Sei sulla pagina 1di 5

Bush, Bin Laden e il petrolio

di Sbancor - 26 dicembre 2004

Se fosse ancora vivo, Plutarco non avrebbe avuto esitazioni a scrivere le “Vite Parallele” di Bush e Bin Laden. Come in
una antica leggenda l’uno infatti non fa che inverare i fantasmi dell’altro, in un gioco di specchi e porte aperte e chiuse
degne di una commedia attica. Eppure Plutarco, ultimo dei grandi sacerdoti ellenici, avrebbe avuto qualche difficoltà a
capire la “religiosità” dei due protagonisti. Ad esempio nessuno ha finora notato la comune avversione verso l’alcool
che accomuna Bush, cristiano rinato, e Bin Laden adepto wahabbita. E ve lo dice chi dell’alcool ha lunga e non pentita
esperienza. Ad entrambi manca quello spirito dionisiaco e panico, che solo una lunga ed accorta distillazione può dare.
Entrambi troppo attaccati al proprio “io astemio” per poter liberamente delirare, con le innumerevoli forme che l’essere
può prendere, saggiamente diluito appunto, in una miscela alcolica. Vero è che non c’è più pericoloso alcolizzato
dell’astemio, sempre pronto – senza neppure la giustificazione dell’ubriachezza – a prendere per verità i suoi deliri.

Insomma è sapienza volgare, ma non per questo meno attinente, il dire che un ottimo Martini o Alerxander o, se più vi
piace un Bloody Mary, avrebbe fatto del gran bene ai due forsennati protagonisti della III° o IV mondiale guerra che,
con insulsa vanità, si propone di insanguinare il già provato pianeta.

Fuggiti dai concreti piaceri del vitigno, i nostri, (si scusi il termine) eroi sembrano prediligere il petrolio, ancorché il
vino o i distillati, ad oggetto delle proprie smisurate brame. Entrambi con un unico e coerente obiettivo: farne
aumentare il prezzo.

E di petrolio dunque si parli, visto che non abbiamo di meglio. L’oro nero, sommamente inquinante e a differenza
dell’oro, di vischioso ed insalubre aspetto, attraversa una delle sue cicliche fasi di scarsezza. E non perché non ve ne sia
abbastanza sulla terra, anzi sotto la terra. Finirà ben prima il genere umano del petrolio, se non pone fine alla
dissennatezza di usarlo come principale fonte di energia.

Sul petrolio si dicono molte sciocchezze. Modelli matematico statistici che ne prevedono la fine entro pochi anni,
congiure di palazzo della famiglia Saud, apocalittici scenari sui consumi cinesi. Ripeto: molto probabilmente sarà il
petrolio a mettere fine al genere umano, ma non per la sua scarsità, semmai per la sua abbondanza e per il suo uso
scriteriato. Il fatto è che le riserve mondiali di petrolio sono oggi un multiplo di quelle che erano negli anni ’70, quando
già gli apocalittici del Club di Roma volevano convincermi ad andare in bicicletta. Riaffermo: la bicicletta è
sicuramente salubre, ma con il petrolio non ha nulla a che vedere.

Ed allora, come diceva il banchiere Mattioli, facciamo due conti. La domanda mondiale di petrolio nel II° trimestre
2004 è stata 80,90 milioni di barili/giorno, contro i 79,77 del 2003. Un po’più di 1 milione di barili di domanda. Circa 1
milione di barili ne ha assorbiti la Cina, che è passata dai 5,55 del 2003 ai 6,57 del II° trimestre 2004. La domanda
cinese ha “fatto” il mercato nonostante che il suo “peso”, in termini di incremento di domanda sia pari all’1,25% del
mercato. Troppo poco per spiegare gli incrementi di prezzo.

Ed allora cos’è che spinge in alto i “prezzi del greggio”?

Da economista risponderei:

1) il grado di utilizzo degli impianti, che è superiore al 96%: troppo alto. I mancati investimenti dovuti al “basso”
prezzo del petrolio degli anni ’90 fanno sentire il loro effetto con un “gap” temporale di 5/10 anni, che è assolutamente
“normale” nell’industria petrolifera.

2) La guerra “irachena”: il cui effetto è però relativo. Nei primi nove mesi del 2004 infatti la produzione si è stabilizzata
su 2,4 milioni di barili giorno, nonostante gli attentati. E vero che l’Iraq può superare i 4 milioni di barili giorno, ma è
comunque sopra la media degli 1,3 del 2003, anno di guerra. Gli attentati per ora hanno inciso soprattutto sul trasporto
via autobotte e sulle interruzioni delle pipelines, più raramente sulla produzione

3) La contesa sulla “Yukos” fra Putin e la mafia russa, dove Putin rivendica tasse non pagate dal colosso petrolifero per
un ammontare tale da farlo fallire. La Russia infatti è il secondo produttore mondiale di petrolio e la Yukos è la più
grande compagnia petrolifera del paese. Ora ri-nazionalizzata, con un colpo di mano giusto prima della fine dell’anno.

4) Le crisi in Venezuela e Nigeria, che assommate alle precedenti hanno un influenza maggiore del peso relativo dei
due paesi sullo scacchiere internazionale.
Questa congiuntura pone l’Arabia Saudita, primo produttore al mondo di petrolio, e paese più ricco di riserve accertate,
cioè disponibili, in una condizione di arbitro del mercato mondiale. 9.500 milioni di barili giorno esclusi i condensati. E
possono arrivare a 12 milioni di barili, in caso di crisi.

E i Saud sono il vero mistero. Chi dagli anni ’70 abbia seguito le sorti della dinastia, sa che le strategie saudite sono
almeno doppie, quando sono a corto di idee. Unica provincia dell’Impero che può dialogare direttamente con il sovrano,
l’Arabia Saudita può disorientare anche gli analisti più accorti.

I legami d’interesse e i conflitti con l’imperatore, i rapporti fra la Casa dei Bush e la Casa dei Saud costituiscono la vera
chiave interpretativa degli ultimi 30 anni di Storia. (Si veda in proposito l’ottimo libro di Robert Baer – ex agente CIA –
“Sleeping with the Devil”, ora tradotto anche in italiano).

Ho incontrato dei Sauditi a uno di quei convegni internazionali che fanno la gioia dei banchieri. Solerti promettevano
petrolio a non finire. Il balletto intorno alle cifre delle riserve di petrolio saudite era impressionante. Un dato però
risultava certo: in un orizzonte di tempo di cinque-dieci anni i giacimenti di petrolio saudita rappresenteranno l’unica
vera “valvola” sul prezzo. Soli i sauditi infatti possono aumentare immediatamente la produzione

fino a due milioni di barili giorno. E due milioni di barile giorno sono la differenza fra un mercato del greggio “corto” o
lungo. Fra 30 dollari barile e 150 dollari al barile. Gli americani lo sanno. I sauditi anche. Bin-Laden pure.

Il vero problema è che, all’interno degli oltre 50.000 principi che formano la casa reale dei Saud, è difficilissimo
distinguere i filo-occidentali dai seguaci di Osama Bin Laden E il motivo è semplice, per quanto sconcertante: sono le
stesse persone.

“Follow the money” – Segui il denaro diceva Deep Throath (Gola Profonda) ai due giornalisti che incriminarono il
Presidente Nixon per lo scandalo Watergate. Ma per seguire questo flusso di denaro non bastano due intraprendenti
cronisti del “Washington Post”. Dal 1979 la casa regnante dei Saud lancia la più grossa offensiva di propaganda
religiosa mai vista sulla faccia del pianeta. 70 miliardi di dollari è il “budget” iniziale. Nel 1979 due fatti erano
intervenuti a modificare gli assetti del Medio-Oriente: la rivoluzione iraniana aveva creato una teocrazia sciita che
sembrava in grado di combattere il “Grande Satana”, gli Stati Uniti d’America. Sempre nel 1979 un gruppo di militanti
sciiti si impossessò per alcune ore della Grande Moschea della Mecca. il luogo santo dell’Islam dove è conservata la
Ka’aba, la pietra nera. I Principi Sauditi si risvegliarono dal loro ozio fatto di ville sulla costa azzurra, Ferrari, Roll’s
Royce e Rolex tempestati di diamanti. Gli “eretici” sciiti erano alle porte, l’Iran di Khoimeni si espandeva fino a Beirut
dove nasceva il Partito di Dio, gli Hezbollah. Tutti i regimi mediorientali tremavano sotto la minaccia della Shia. A
Istambul le donne si vestivano “all’iraniana”, Chador e cappotti lunghi grigi. A partire dagli anni ’80, con la guerra in
Afghanistan, il flusso di denaro aumenta. I risultati si vedono: 1.500 moschee, 210 centri islamici, 202 collegi e circa
2000 scuole realizzate in quegli anni solo nei paesi non-islamici. Le organizzazioni “di carità” incanalano flussi continui
di valuta verso tutte le organizzazioni radicali islamiche, dall’Algeria al Sudan, dall’Indonesia alle Filippine.

Incontrammo Ben Bella ad Algeri: era appena iniziata la “mattanza algerina”, che è costata la vita ad oltre 300.000
persone. Gli chiedemmo chi secondo lui finanziasse gli estremisti islamici. “Ci rispose: “I Saud, cioè gli americani”.
Riyadh e Washington insieme fornirono 3,5 miliardi di dollari ai “mujaddin” che combattevano in Afghanistan. Durante
la guerra in Bosnia i Saud misero a disposizione dei gruppi integralisti circa 150 milioni di dollari. Lo stesso fu fatto in
Cecenia.

Ora è difficile credere che questa politica estera Saudita possa essere durata circa 25 anni senza che gli Americani ne
sapessero nulla. Ma è proprio quello che il “rapporto al Congresso sul 9/11” ci vuol far credere. Più realistico pensare
che in questo fiume di dollari, di petro-dollari, nuotassero molti pesci dell’amministrazione U.S.A . Di alcuni si ha
diretta notizia, come dell’ex Direttore della CIA Richard Helmes, coinvolto nello scandalo BCCI come risulta dal
“Rapporto Kerry”. Di altra si ha evidenza dai libri soci di alcune società ben introdotte in Medioriente come il “Carlyle
Group” o la “Halliburton”. Quindi Bush padre e Cheney, Frank Carlucci e James Baker III.

Diversi agenti Cia hanno raccontato come per tutti gli anni ’90 qualsiasi inchiesta sul terrorismo islamico che
coinvolgesse la famiglia reale Saudita venisse immediatamente fermata dai livelli gerarchici più alti.. (cfr. The Saudi
Conneciton “How Billions in oil money spawned a global terror network”
http://foi.missouri.edu/terrorbkgd/saudiconnect.htm ) Stessa storia per il Pakistan e per il suo famigerato servizio
segreto: l’I.S.I.

All’interno della Casa Reale Saud il “prediletto” di Re Fahd è Abdul Aziz, detto “Azouzi” che in arabo significa “Caro”
a detenere la leadership nei finanziamenti agli integralisti. “Caro” girava con una Harley Davidson dentro i palazzi
sauditi, travolgendo servi e schiavi. “Caro” è un po’ lento di cervello, viziato, inaffidabile. “Caro” ha speso 4,6 milardi
di dollari per un palazzo. “Caro” ha ricostruito la “Mecca” in scala e paga attori perche recitino la parte dei “fedeli 24
ore su 24. HHa ricostruito anche l’Alhambra Medina e una mezza dozzina di siti islamici. “Caro” è pazzo da legare. Ma
l’indovino di Re Fahd disse che “Azousi” avrebbe portato fortuna e lunga vita al Re. E ormai Fahd è ridotto a un
vegetale. Defeca in pubblico e può essere mostrato solo da lontano alle cerimonie del regno. Recentemente gli uomini
di Ghedaffi hanno cercato di eliminarlo. Inutilmente.

Regna Abdullah, il reggente uomo di costumi severi, della tribù dei Rashid. Uomo che viveva nel deserto amava i
datteri ed il latte di capra. Ma intorno ci sono Salman, Sultan e Nayef . La “guerra di successione saudita” è già iniziata.
E qualcuno pensa che porterà alla fine della “Casa dei Saud”

Il reddito procapite nell’Arabia Saudita è passato dai 28.600 dollari del 1981 ai 6.800 del 2001. Nel 1981 era ancora in
corso la guerra fra Iraq ed Iran che ha tenuto per anni alto il prezzo del petrolio. Il 9/11 2001 avviene l’attacco alle
“Twin Towers”. L’Arabia Saudita subito dopo l’11 settembre invia negli USA oltre 9 milioni di barili di petrolio,
scongiurando un inflazione devastante sui prezzi delle merci americane. Nel 2003 il P.I.L. dell’Arabia Saudita è
cresciuto del 7,2%. E anche per il 2004 ed il 2005 si prevedono incrementi del P.I.L. superiori al 6%

L’alleato saudita paga ed è pagato. Chi paga e chi è pagato? “That is the question”.

Esiste una sezione speciale della CIA. Si chiama Illicit Transactions Group (ITG). Cerca di trovare i canali che
finanziano i terroristi, ed Al Qaeda in particolare. In Bosnia nell’ottobre del 2001 le force della Nato fanno un irruzione
dell’Alta Commissione Saudita per gli Aiuti in Bosnia, fondata dal Principe Salman. Trovano foto degli attentati alle
ambasciate USA in Kenia e Tanziana, prima e dopo il bombardamento, trovano foto del Word Trade Center e
dell’incrociatore “Cole”, affondato da un commando di Al Qaeda. Ma c’è di più: 130.000 $ sono stati versati da Haifa
moglie dell’ambasciatore saudita negli U.S.A, Principe Bandar, a due degli attentatori delle “Twin Towers”.

Tutte le indagini concernenti il flusso di fondi che portano ad Al Qaeda sono state bloccate. Ahmed Idris Nasreddin e
Youssef M. Nada, indicati dopo l’11 settembre come due delle principali fonti finanziarie di Al Qaeda sono ancora a
piede libero. Nada possiede ancora un albergo a Milano. Tutte le indagini sulle fonti finanziarie del terrorismo indicano
un unico grande “sponsor”: la “famiglia Saud”. Ma questo non sembra interessare a nessuno, tranne che a Michael
Moore.

La IIRO, controllata dal Gran Mufti di Riyadh, come la Muslim Word League ed altre centinaia di associazioni
“caritatevoli” continuano a finanziare l’estremismo islamico in Bosnia, Kossovo, Checenia, Algeria, Sudan, Indonesia,
Filippine, Thailandia Malesia ecc.

In Macedonia il fratello di Zawahiri, lo sceicco egiziano numero due di Al Qaeda ha agito indisturbato fino all’ 11
settembre. Guidava i ribelli di etnia albanese, mussulmani, sostenuti dal Kossovo Liberation Army (KLA). Ha avuto
ospitalità in una base di una consociata della “Halliburton”.

A volte navigare su “Internet” non è solo piacevole. Ma anche interessante. E’ così che ho scoperto www.saag.org un
sito legato all’”intelligence” dell’India.

Ora gli indiani il problema del “fondamentalismo islamico”, come dire, ce l’hanno. In casa ed alle frontiere. E a volte
sembrano decisamente sconcertati dal comportamento degli Americani. Come quando gli USA si fanno scappare
Osama da Tora Bora. A loro risulta che sia stato ospitato e curato in Pakistan da ex membri dell’I.S.I. (il servizio
segreto pakistano). Agli Americani no.

Non solo, agli indiani risulta anche che il capo della banda di rapitori di alcuni ingegneri cinesi in Afghanistan sia
Abdullah Mahsud, un capo talebano arrestato durante l’offensiva americana del 2001-2002, deportato a Guantanamo e
poi rilasciato. Attualmente è operativo nell’area del Sud Waziristan.

Ma ciò che manda decisamente “ai matti” i poveri indiani è la questione delle cassette audio e video di Osama. Si tratta
di ben 30 messaggi, dal 9/11/2001 recapitati tutti alla sede di Al Jazeera ad Islamabad. Ora – dicono gli indiani - come è
possibile che trenta invii fatti da persone che presumibilmente sono in contatto diretto con Osama Bin Laden, che non
usa altra forma di comunicazione con il mondo esterno, non siano stati soggetti neanche ad una “intercettazione” da
parte della CIA, dell’FBI o dei servizi segreti pakistani (ISI), che non trascurano, peraltro, di interrogare chiunque, per
caso, entri nell’ambasciata indiana a Islamabad?

Gli indiani si ritengono parte importante, e non a torto, della “guerra al terrorismo islamico”. Ma sono assolutamente
sconcertati dal comportamento degli U.S.A.

I quali stanno chiudendo l’anno in bellezza con la fornitura di F/16 (che possono trasportare armi nucleari), batterie di
missili anti tank e anti arereo, sistemi radar per la marina e batterie di modernissimi cannoni “Vulcan” proprio
all’esercito pakistano del Gen. Musharraf.
La guerra è una forma di linguaggio. Sbaglia chi pensa che il processo comunicativo sia sospeso in tempo di guerra.
Certo, i soldati dei due campi avversi comunicano solo attraverso le armi. Non sempre, comunque, e non solo. Hitler era
convinto fino alla fine di poter “parlare” con gli anglo americani, che avevano avuto una non piccola parte nella sua
ascesa al potere, segnatamente nell’anno 1932. Churcill pensava di poter parlare ancora con Mussolini. Kennedy e
Krusciov inaugurarono l’era dei telefoni rossi.

Le guerre moderne creano poi delle “economie di guerra”. Da un punto di vista “macro” sono la “spesa militare”, come
spesa pubblica aggregata che contribuisce come moltiplicatore alla crescita del P.I.L. Il “miracolo tedesco” degli anni
’30, l’uscita dalla “depressione” degli U.S.A. nella II° guerra mondiale, ad esempio.

Da un punto di vista “micro” sono le sottili trame che legano i contendenti durante la guerra. I rifornimenti “serbi” a
Sarajevo assediata, le “donazioni” saudite ad Hamas durante le interminabili “Intifada”, i tesori accumulati da Arafat.
O, si “parva licet” le rapine condotte dai gruppi armati della “sinistra combattente” in Italia per autofinanziamento. Non
è possibile capire una guerra se non si tiene conto delle “macro” o “micro” economie di guerra.

La Somalia è un esempio di questa “microeconomia di guerra” che sostituisce addirittura lo Stato, sostituendolo con le
“bande”.

Il petrolio è certo una merce che ben si addice a queste “economie” di guerra. Navi cariche di greggio negli anni 70
partivano dagli emirati e dall’Arabia Saudita. Nel canale di Suez cambiavano “bandiera”, panamense preferibilmente.
Una solerte Banca Svizzera effettuava la “transazione” per cui il petrolio veniva scaricato nel porto di Haifa (Israele).
80 dollari al barile. Il sovrapprezzo serviva a rifornire di armi le organizzazioni palestinesi e a rimborsare l’Emiro e la
Banca Svizzera per tutto quel disturbo.

Ragazzi morivano e muoiono per l’ideale. Altri accumulano ricchezze. L’economia di guerra è cinica, cattiva, spietata.
Nello stesso tempo navi cariche di rifiuti industriali tossici e nocivi scaricavano sulle spiagge del Libano il loro carico.
Armi e dollari per i “Partiti di Dio”. Qualunque Dio fosse. In fondo non siamo tutti figli di Abramo?

La moderna guerra fra l’”Occidente” e “il fondamentalismo islamico” non esce dallo schema collaudato in decenni da
chi “tira le fila” di questa storia, che ormai è impossibile scrivere con la maiuscola.

Gli americani hanno addirittura forgiato una sigla “ MOOTW”. Military Operations Other Than War. Cercate su
internet l’acronimo. Troverete manuali che spiegano le operazioni militari diverse dalla guerra. C’è addirittura un
manuale operativo “Joint Pub 3-07.2”. Le operazioni sono descritte come “counterinsurgency”, ma prevedono anche
l’”insurrezione” come “MOOTW”.

Manca invece il “vero” testo di riferimento, scritto da Ted Schackley: “The Third Option”, 1981. Pare che ne sia stata
fatta sparire ogni copia.

Schackley non faceva altro che riprendere un’idea di Luttwak (1969) in cui si teorizzava il “Colpo di Stato”. Esso
partiva dalla considerazione che conveniva incentivare i gruppi più estremisti, per coinvolgere l’opposizione in un
tentativo insurrezionale a cui rispondere con il “Colpo di Stato”.

Chiunque abbia vissuto gli anni ’70 riconosce la trama.

Applichiamola all’Iraq.

- Innanzitutto si invia una forza assolutamente inadeguata: 150.000-200.000 uomini per un territorio di 437,072 sq km
con una popolazione di oltre 25.000.000 di abitanti;

- Si scioglie l’esercito e le forze di polizia;

- Si consentono saccheggi e abusi ai danni della popolazione;

- Si praticano torture sui prigionieri;

- Si rendono manifeste al pubblico tali azioni;

- Si crea un “governo fantoccio” privo di credibilità popolare;

- Si consente il concentramento di forze “ribelli” nella citta di Falluja.

- Nasce un movimento di resistenza. Parte fondamentale è uyno sceicco scitta Mossadeq al Sadr. La battaglia si
concentra a Najaf. Lo sceicco, su pressioni del grande ayatollah Al Sistani ferma i combattimenti.
- Si rade al suolo Falluja durante un periodo di “Ramhadan” particolarmente sensibile per la popolazione islamica

- Si elegge un “leader dei ribelli”, Zarkawi.

- Zarkawi in una “missiva”, prontamente intercettata, pone l’obiettivo di una guerra civile con gli Sciti

- Osama bin laden lo riconosce “Emiro” per l’Iraq come rappresentante di Al Qaeda

- Zarkawi fugge all’assedio di Falluja, dopo aver decapitato in modo assolutamente orribile alcuni ostaggi;

- Si proclama la vittoria a Falluja, nonostante vi siano ancora sacche di resistenza.

Tutto ciò costa agli U.S.A. 1.200 vittime. Più un numero imprecisato di feriti. Siamo al di sotto delle vittime per
incidenti automobilistici in un anno.

Obbiettivi raggiunti: La “resistenza” viene identificata con Al Qaeda.

La “creazione del nemico” ha successo. Chi è il nemico: ovviamente Osama Bin Laden. Chi e è Osama Bin Laden? Uno
le cui truppe stavano al soldo degli U.S.A. almeno fino all’offensiva in Macedonia (2001)

La storia continua……

(Continua)

Fonte: mailing list di http://www.rekombinant.org

Potrebbero piacerti anche