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Gli Stati Uniti ritegono «molto sospetto» il risultato del plebiscito riguardante il controverso
referendum indipendentista nelle regioni russofone dell’Ucraina orientale di Donetsk e Lugansk,
organizzato anche tra le barricate dai secessionisti filorussi, in contrapposizione a quelli che
definiscono i «fascisti» di Kiev usciti dalla rivoluzione «filo-occidentale» del Maidan. Il conteggio
dei voti, ha detto Jen Psaki, portavoce del dipartimento di Stato Usa, è stato «molto sospetto».
Secondo alcune notizie, i voti sarebbero stati riempiti in anticipo e a votare sarebbero stati anche
bambini e persone che si trovavano a Mosca e San Pietroburgo. «Non riconosciamo il referendum
illegale», ha sottolineato Psaki.
I risultati
Questo il dato preliminare, annunciato lunedì, dal vice presidente della commissione elettorale
Oleksandr Malykhyn: 95,98% ha votato «sì». Ma lo lasciava presagire anche l’alta affluenza (oltre
il 70% a metà pomeriggio) dichiarata dai separatisti del ricco bacino metallurgico-minerario del
Donbass, che vale il 20% del pil nazionale.
Un voto che per l’Occidente è «illegale», come ha ribadito in serata anche la portavoce del capo
della diplomazia europea Catherine Ashton, che il presidente francese Francois Hollande ha bollato
come «nullo e non valido» e che gli Usa hanno condannato fin dalla vigilia con parole durissime.
Ma soprattutto un voto che per Kiev è una «farsa criminale ispirata, organizzata e finanziata dal
Cremlino», come ha denunciato il ministero degli esteri. Sullo sfondo, rispettivamente, le speranze
e i timori che la Russia lo possa utilizzare come pretesto per una ulteriore annessione in stile Crimea
o per riconoscere un’altra repubblica secessionista, come l’Ossezia del sud e l’Abkazia in Georgia,
o la Transnistria in Moldova.
Il voto, previsto dalle 8 alle 22 locali, si è svolto in un clima di relativa calma in circa 3000 seggi
per circa 5 milioni di elettori (3,2 nella regione di Donetsk, 1,8 in quella di Lugansk), a volte in
seggi desolatamente semivuoti, a volte invece con lunghe code, come a Mariupol (dove però
c’erano solo otto sedi per mezzo milione di abitanti) o tra le barricate di Sloviansk, roccaforte della
rivolta circondata dall’esercito e nelle cui vicinanze si sono udite numerose e forti detonazioni nella
mattinata e in serata. A Svatove, cittadina di 20 mila abitanti nella regione di Lugansk, a 50 km dal
confine russo, il sindaco Ievgheni Ribalko si è invece coraggiosamente rifiutato di organizzare la
consultazione dicendo per due volte «niet» ad alcune decine di uomini armati che avevano tentato
di convincerlo del contrario. «Il mio dovere è di fare rispettare la legge ucraina. La popolazione
deve esprimere la sua opinione in un quadro legale. Non è il caso di questo referendum», ha
spiegato, forte del sostegno dei suoi cittadini.
I
dubbi sulla regolarità
Nuovi scontri
I filorussi hanno attaccato nella notte una torre tv a Sloviansk, roccaforte dei pro-Mosca. Gli organi
d’informazione ucraini hanno detto che la torre è comunque ancora in mano alle truppe fedeli a
Kiev. Due militari ucraini sono rimasti feriti. Le operazioni di voto erano già iniziate sabato a
Mariupol, teatro venerdì di scontri in cui sono morte 21 persone. Secondo l’agenzia Ria Novosti le
autorità locali hanno deciso di anticipare l’apertura delle urne per il timore di nuovi attacchi da parte
delle truppe di Kiev. Secondo il governo ucraino il referendum è una «farsa criminale» organizzata
dal Cremlino. Lo ha riferito il ministero degli Esteri ucraino in una nota.
Valeri Androshchuk, comandante della polizia di Mariupol, è stato trovato impiccato a un albero.
Lo ha reso noto Alexei Chmolenko, uno dei leader dei separatisti di Lugansk. «Con ogni probabilità
sono stati gli abitanti infuriati», ha detto, sostenendo che Androshchuk aveva aperto il fuoco contro
i residenti durante la festa della vittoria del 9 maggio. Non viene comunque escluso il suicidio.