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1)CORPI

1.1) Io, fotografo


La fotografia, scattata da
Vivian Maier, sembra che sia
composta da più fotogrammi
sovrapposti; si possono
riconoscere tre livelli, tre
fotografie nella fotografia: la
prima è quella che domina,
una strada trafficata di New
York ma con delle auto
vecchie, quasi di una noiosa
ordinarietà; la seconda è la
parte centrale dove si
riconoscono due donne, una
a sinistra, vestita di nero,
sembra parlare con la
ragazza più giovane,
fissandola con intensità,
questa a sua volta non
guarda lʼaltra ma guarda
lʼobiettivo; la terza parte è
occupata da una donna
china sulla Rolleiflex ed è
proprio Maier: è lei che ha
attirato lo sguardo della
ragazza che quando le
punta gli occhi addosso
sembra guardare anche noi.
È la fotografia di qualcuno
che fotografa, una sorta di
metaforografia, una sorta di
selfie: si vuole immortalare
qualcuno che viene visto nel
momento in cui sta
fotografando.
Lo sfondo trafficati ne vela la
superficie: è il riflesso di una
vetrina che viene
immortalata dalla fotografa e
il cui corpo permette di
vedere ciò che cʼè dietro,
grazie al suo cappotto
scuro, nella sua silhouette. È
la macchina a immortalare,
ma è la fotografa a mostrare
ciò che cʼè da vedere.

1.2) Critica della ragione


tecnica
Lʼimmaginario fotografico di
basa sul mito della
macchina.
Barthes diceva quando
fosse necessario pensare la
fotografia come una pratica
che prevedeva, oltre la
prospettiva dello Spectator
(colui che guarda le
immagini) e quella dello
Spectrum (colui che viene
ritratto) anche quella
dellʼOperator (colui che le
fa). Così la fotografia diventa
una questione di corpi più
che dʼintelletto, di sensibilità
più che di ragionamento.
Lʼorgano del fotografo non è
lʼocchio ma il dito.
La semiotica del design può
aiutare ad indagare le ragioni
di questʼaporia facendo luce
sulla relazione fra uomo e
macchina, mostrando come
si costituisca, descrivendo la
forma che assume. Si
devono comprendere gli
studi sulla significazione
come una teoria delle
relazioni: la macchina
fotografica non si limita a
fissare lʼattimo rendendolo
riproducibile, fa sì che
questo possa essere
cercato, desiderato,
prefigurato e inquadrato. Il
fotografo diventa un
soggetto nuovo, trasformato
nella sua fisicità e nella sua
soggettività.

1.3) Corpi-macchina
È proprio il corpo una
dimensione fondamentale
per indagare i fenomeni di
significazione: è unʼentità
paradossale attraverso cui
percepiamo il mondo, anche
se esso stesso ne è parte.
Da un lato è grazie al corpo
che ci affacciamo al mondo
(esterocezione), dallʼaltro
esso guarda a se stesso,
percependosi percepire
(prorpiocezione). Questo ne
fa hnentita ambigua,
soggettiva e oggettiva.
Le logiche so mantiche
permeano lʼindividuo, ma la
società si da a partire da
individui che sono
innanzitutto corpi, quindi
lʼintersiggettività deve
essere considerata
unʼintercorporeità, tanto
nelle premesse (a partire dai
corpi) quanto nelle
conseguenze (produr corpi).
Il problema alla base dei
processi di significazione ha
a anche fare con i sensi,
intesi come precondizione
corporea indispensabile alla
percezione considerata
come atto situati fisicamente
e socialmente. A
fondamento di ogni
processo semiotico cʼè un
processo percettivo quindi
qualunque stativa si deve
basare su unʼestesia. Ma se
la percezione è qualcosa di
costruito e se ha a che fare
con la società ci si deve
interrogare su questʼultima,
su quali siano i confini ecc.
Latour dice che se vogliamo
capire come funziona la
società si devono
riconsiderare i modi di
esistenza delle entità che
riteniamo ne facciano parte.
Analizzando fiabe e racconti
ci si confrontava con entità
non umane che non solo
agivano ma erano
fondamentali per il testo. È
questa la distinzione fra
attori e attanti: gli attori sono
antropomorfi e si
definiscono per la loro
natura figurativa, gli attanti
sono forze profonde della
narrazione caratterizzati per
la capacità di agire,
indipendentemente da una
natura umana o no.
Sono le caratteristiche della
macchina a influenzare la
costruzione del fotografo in
quanto ibrido: la fotografia
non è lʼesito di unʼidea che
diviene realizzabile grazie ad
unʼattrezzatura
appositamente concepita,
ne è lʼesatto contrario. La
fotografia non è una cosa né
una pratica, è un modo di
relazionarsi con ciò che si ha
intorno.
Per comprendere la
percezione dobbiamo
sorprenderla e per farlo
dobbiamo tradurla
assumendola come un testo.

1.4) Lʼatto fotografico


Se quindi il fotografo è un
ibrido ci si deve interrogare
su come sia possibile
costruirne un identikit. Non
si tratta di parlare delle
percezioni ma di esplorare la
configurazione degli
apparecchi, intendendoli
come campi di possibilità:
non come un fotografo
percepisce la propria
macchina, ma come questa
pensa implicitamente lui.
Quindi lʼatto fotografico è
sempre prefigurato
nellʼoggetto che lo costudiva
come una promessa.
Lʼatto fotografico si articola
nei seguenti passaggi:
● Impugnare/trasportare

● Inquadrare

● Regolare

● Scattare

E da questi aspetti
scomporremo lʼoggetto in
parti (analisi configurativa),
compareremo diverse
soluzioni (analisi tassica) ed
evidenzieremo gli effetti che
ciascuna configurazione
materiale produce in termini
pratici e simbolico (analisi
funzionale).

1.5) Impugnare/
trasportare
La gran parte degli oggetti
deve essere trasportata e
agita e questo da forma
allʼergonomia che si
occupa della relazione fra
oggetti e corpi. Nella
fotografia il modo di genere
in mano la macchina
fotografica ha a che fare
solo con la praticità dʼuso,
ma con la maniera in cui il
fotografo si relazionerà con
ciò che lo circonda.
La Brownie di Kodak eliminò
ogni difficoltà tecnica,
portandola alla portata di
tutti, riducendola ad una
scatola nera e un pulsante.
La Leica 1 di Leica
proponeva che non fosse più
lʼocchio del fotografo a
cercare la macchina
fotografica, ma questa ad
essere portata davanti ad
esso, essendo alleggerita e
compattata.
Dalla Nikon F parte una vera
e propria serie pensata per
professionisti.
Nella Nikon F e nella F2 non
viene ricavato un posto per
le dita che invece andavano
ad afferrare lʼobbiettivo ma
con la F3 alla sinistra spunta
una protuberanza che
permetteva di tenerla e di far
scorrere la pellicola con il
pollice. Nella F4 si parte
proprio da questo punto
dʼappiglio pee garantire
maggiore comodità e la
pellicola si trascina da sola.
Nella F5 vi è una diversa
concezione dellʼinterfaccia-
uomo dove si assottiglia
lʼimpugnatura principale e se
ne aggiunge una al di sotto,
per una presa verticale che
però impediva di scattare le
foto così nella. La F5 così
cambia lʼaspetto
dellʼapparecchio, rivedendo
la presa e aggiungendo una
soluzione per favorire un
modo del tutto diverso di
comporre il fotogramma.

1.6) Inquadrare
Inquadrare vuol dire mettere
qualcosa dentro una
cornice. La storia dellʼarte ci
mostra come in alcuni casi si
sia fatto di tutto per negare
la necessità di un confine in
cerca di un effetto di realtà
(trompe lʼoeil) e in altri si è
teorizzati come spazio
complesso: Magritte decide
di far seguire alla cornice del
suo La Représentation il
corso di donna che mostra.

Ogni quadro ha bisogno di


gestire il suo rapporto con la
parete, un confine che viene
moltiplicati allʼinterno
dellʼopera con alte cornici
che generano effetti di mise
en abyme. Quindi cʼè una
distinzione fra contorni che
separano e bordi che
sanciscono lo statuto
semiotico di ciò che si trova
allʼinterno.
Così ci si deve chiedere
dove stai la creatività del
fotografo, se ha sede nel
suo occhio o invece si
estende alla corporeità di cui
la macchina entra a far
parte, come una sorta di
cyborg: ma è take natura
ibrida a produrre un gusto
estetico.

1.7) Lʼobiettivo
Non si può parlare di
inquadratura riferendosi solo
al dispositivo di mira, infatti a
determinarla è anche
lʼocchio della macchina
fotografica, lʼobiettivo.
Il sistema reflex ha sostituito
il telemetro, che consente al
fotografo di vedere quel che
vede lʼobiettivo, allineando
così la percezione umana a
quella della macchina.
Lʼazione dellʼobiettivo è
quella di ampliare o ridurre le
proporzioni fra le dimensioni
di ciò che viene inquadrato:
normale (lunghezza focale
43mm), teleobiettivo
(maggiore di 43mm,
ingrandisce cui che viene
inquadrato riducendo
lʼangolo di campo),
grandangolare (minore di
43mm, rimpicciolisce ciò
che viene inquadrato
aumentando lʼangolo di
campo).
Nella scelta di quale
obiettivo utilizzare sono
coinvolti sia aspetti tecnici
che di natura estetica: le
focali sono distinte sulla
base del genere fotografico
(grandangolari per il
paesaggio, teleobiettivi per il
ritratto, più lunghe per sport
o natura).
Un obiettivo agisce sulla
composizione del
fotogramma e sulle
caratteristiche dellʼimmagine
ed anche sulla relazione fra
chi inquadra e ciò che viene
inquadrato, modificandone il
ruolo narrativo di entrambi.
La semiotica riconosce
diversi tipi di fotografi:
destinanti (costruiscono un
sistema di valori comune
con il proprio soggetto),
aiutanti (persone
ioercompetenti abili a
risolvere ogni problema,
facendo apparire al meglio il
proprio soggetto) e soggetti
operatori (capaci di
scomparire alla vista fino al
momento di entrare in
azione). Ognuno di essi avrà
una focale preferita in
funzione al modo di
interagire con il mondo in
cerca dellʼattimo perfetto. La
ricerca non è la volontà di
creare una scena artificiale,
ma di far in modo che si
producano quelle condizioni
necessarie affinché listante
decisivo sia esattamente
nellʼattimo in cui il fotografo
è pronto a ritrarlo.

1.8) Regolare
Non è solo il “cosa”
inquadrare a contare, ma
anche il “come” che ha a
che fare con le colazioni che
la macchina offre.
Per Calabrese si parla di
errore quando non è
possibile dare
unʼinterpretazione ad
eccezione di una “realista”,
mentre di effetto estetico
quando si può dare a questa
deviazione dalla visione
normale un significato altro
rispetto allʼillusione
referenziale.
La cosa che ci interessa è
come tutto questo insieme
di regolazioni, automatismi e
programmi si traducano a
livello dellʼinterfaccia
dellʼoggetto. Se in una
visione meccanicistica il
rapporto fra la funzione e il
comando è legata a
parametri presunti oggettivi
quali la raggiungibilità di
questʼultimo, si produce un
determinato effetto.
Nelle macchine spesso non
è lʼuomo a prenderne il
comando ma a volte le si
può forzare per farne quello
che si vuole: vi è un
comando che può
sovraesporre (schiarire
lʼimmagine, più leggibilità a
zone più scure) o
sottoesporre (rendere più
scura lʼimmagine, per creare
unʼatmosfera o compensare
aree triplo illuminate) il
fotogramma alla luce;
questo è permesso da una
rotella che è posta o sul
dorso, quindi guardando dal
mirino, oppure sulla parte
superiore del corpo, quindi
prima che venga portata
allʼocchio. Per il primo caso
si favorisce una variazione
continua realizzata durante
lʼinquadratura, quindi porre
lʼeffetto come una cosa che
sta a valle della
composizione e in funzione
di essa di determina; per il
secondo caso si invita con
lʼinterfaccia ad una
regolazione preventiva,
questo vuol dire concepire
lʼatto creativo come
qualcosa che comincia
prima che si sia deciso cosa
inquadrare.
La lomografia è il contrario
della fotografia: vi è un
incoraggiamento al ritorno
dellʼanalogico nella sua
peggiore incarnazione,
usando pellicole scadute e
macchine giocattolo, in
modo che il controllo da
parte dellʼuomo sia
impossibile: si esalta lʼerrore.

1.9) Scattare
La percezione del fotografo
non solo è
multidimensionale, ma
anche trasformata dalla
presenza a macchina; il
fotografo deve ascoltare. Si
simula infatti il suono dello
scatto che ha una finalità
pratica: serve a comunicare
al fotografo che
lʼapparecchio si è attivato, e
fa parte dellʼesperienza che
è fotografare.
Se consideriamo fotografare
come unʼazione possiamo
dire cʼè questa può essere
considerata un mezzo per
ottenere un fine. È
lʼimmagine a dare un senso
a tutto ciò che viene prima .
Se la consideriamo invece
unʼesperienza è un modo di
dare senso al mondo.
Fotografando percepiamo
noi stessi nellʼatto di
percepire e siamo spinti a
riflettere su quel mondo che
non possiamo smettere di
sentire e che, attraverso un
corpo trasformato da una
macchina, diventa “reale”.

2)SEGNI
2.1) Il senso di un saluto
Questa copertina arriva nelle
mani di Barthes e come tutti
i settimanali dal 1955
iniziano a fare illustra con
una fotografia il proprio
articolo. Colpisce la sua
semplicità, la sua apparente
innocenza: il ragazzo ha un
volto serio, concentrato e
completamente assorbito
nel gesto. Il saluto è rivolto a
qualcosa in alto, la bandiera
della patria, e lʼinquadratura
la accentua, rendendo il suo
viso più imponente. Non ma
si vede ma la di avverte.
Barthes dice che da
questʼimmagine si enuncia il
fatto che tutti, senza
distinzione di colore,
servono fedelmente la
Francia. Ma vi è un
significato nascosto, la
legittimazione del
colonialismo, legittimata da
chi vi si dovrebbe opporre
con più resistenza.
Nel libro Miti dʼoggi si
mostra come la scienza dei
segni potesse essere
utilizzata come metodologia
per analizzare prodotti sia
elevati (lettura) che popolari.
Tutto può essere
considerato mito attraverso
il processo semiotico che lo
riguarda: come la società
viene significata da ciò che
produce. Conoscere la realtà
vuol dire fare un senso a ciò
che la costituisce, assumere
tutto come un segno che si
collega ad altri. Ogni segno
è arbitrario e da qui ha luogo
la naturalizzazione: ciò
che era frutto di un arbitrio
diviene necessario, la cui
pretesa è quella di dormire
un principio esplicativo
totalizzante, un ideologia.
Per diventare mito
lʼimmagine si deve svuotare
del senso e per garantirne la
sua efficacia la società deve
diffondere la propria
ideologia, una continua
traduzione del messaggio.
Per Barthes la forma del
mito non è un simbolo:
lʼimmagine è troppo ricca di
senso e troppo facilmente
svuotabile di esso.

2.2) Retoriche
dellʼimmagine
Nel Il messaggio
fotografico si articola
lʼaspetto dellʼarbitrarietà del
segno. Per Saussure il
segno è costituito da
significante e significato il
cui rapporto non ha nulla di
necessario ma che una volta
fatto diventa necessario:
senza conoscere il codice
non è possibile interpretare
correttamente il segno. La
fotografia ne è lʼeccezione
infatti porta due messaggi:
1) quello preso alla lettera
che non ha bisogno di un
codice per essere decifrato
perché è lʼesito dellʼanalogia
fra significato e significante;
2) quello che ha una matrice
culturale e deve essere
interpretato nella sua
funzione. Il paradosso non
sta nellʼesistenza dei due
messaggi, uno denotato
(senso primo che lʼimmagine
comunica: soldato saluta la
bandiera) e uno connotato
(ulteriore significato che la
società vuole farci leggere:
legittimazione colonialismo),
ma sta nella codifica che
subentra nel secondo tempo
rendendo la fotografia un
messaggio naturale e
culturale. Ma la fotografia è
piena di dettagli e possibili
letture così spesso vi si
accosta un testo in modo da
essere compresa come è
ritenuto giusto dalla società.
Se questo avviene vi è un
effetto di senso cioè come
la strategia comunicativa
mira a farla sembrare rese
combinando linguaggio
visivo e verbale.
Nella Retorica
dellʼimmagine si insiste
sullʼaspetto ideologico della
fotografia, mostrando come i
messaggi visivi possano
esercitare una forza
persuasiva simile a quella
della retorica.
In questʼimmagine
pubblicitaria di sponsorizza
la pasta Panzani e la so
rappresenta in una borsa
piena di prodotti freschi e
insieme ad altri due prodotti
da sponsorizzare,
parmigiano e sugo. La borsa
è semiaperta per produrre
un effetto di senso:
freschezza, genuinità. Sono
questi i valori che si vogliono
trasmettere insieme ad un
valore legato al linguaggio
verbale: lʼitalianità, che è
data sia dal nome di dallo
slogan.
Nella La camera chiara
lʼobiettivo è quello di usare la
semiotica per esplorare i
suoi limiti: da una
dimensione cognitiva di
passa a una patetica.

2.3) La ricerca
dellʼessenza
Brunet dice che questo
libro costituisce la
“devolgarizzazione della
fotografia”, dove intese un
processo di riqualificazione
di essa nella cultura e nella
società che la trasforma in
una pratica volta.

Nel libro questa è la prima


pagina ed è lʼunica immagine
colorata di tutto il libro:
mostra una tenda verde da
cui si apre un piccolo
spiraglio, lo squarcio in cui
Barthes proponeva di
penetrare. Lui capisce che è
lʼessenza a dovere
interessare il semiologo, il
rapporto che ha con questo
tipo di immagini a dover
essere esplorato attraverso
la propria interiorità: per
capirne il senso si deve
guardare ciò che lascia.
Il referente è quella realtà
che si pone come
precondizione dellʼattività
conoscitiva e non come
prodotto. Se la foto significa
il fluire del tempo questo si
lega alla morte e i fotografi
ne sono gli agenti. Ed è su
questo che si basa la
seconda parte del libro.
Descrive una fotografia della
madre che aveva il compito
di evocargli tutti i ricordi. La
descrive con cura,
decidendo di non mostrarla
perché questa non direbbe a
noi quel che dice a lui: non
conoscendo la persona non
potremmo riconoscere
niente in quella foto. Di essa
rimane il fatto di essere stata
vista da lui e raccontata,
quando evoca qualcosa con
la certezza della sua
esistenza sparisce in quanto
oggetto sociale.

2.4) Il ritorno del segno


Attribuire un principio di
realtà facendone la
testimonianza ideale ha
profonde conseguenze sulla
riflessione fotografica. La
“falsa rivoluzione” della
fotografia digitale decreta la
fine del valore testimoniale
della fotografia che Barthes
aveva contribuito a
individuare.
Marra dice che è la luce a
determinare ciò che
vediamo; La fotografia
continua a funzionare
perché cʼentra il modo in cui
noi la assumiamo in quanto
oggetto di senso, su come
attribuiamo significati alle
fotografie. Lʼeffetto di realtàʼ
sintetizza lʼesistenza di una
processualità intrinseca a
ogni artefatto comunicativo
che la fotografia non può
non possedere. Reale è ciò
che viene creduto tale.

2.5) Modelli di segno a


confronto
Per Saussure il segno è dato
dalla relazione che si
istituisce fra i piani
costituitivi di qualunque
linguaggio, significante, che
nella lingua verbale è da
intendere come lʼimmagine
acustica dei singoli segni-
parole, e il significato, che va
pensato con un concetto. La
relazione che è alla base
della concezione
saussuriana della semiotica
è unʼoperazione
intrapsichica e che poi è
capace di produrre effetti
concreti.
Se si parla di un referente si
rimanda ad una concezione
di segno diversa, quella
elaborata da Peirce, che
pensa la semiotica come una
teoria della conoscenza
concepita come un processo
di rimando. È un elemento
della realtà il primo motore
della semiosi, il referente,
che per mezzo di un segno
genera un interpretante che
è da intendere come unʼidea
cui tale elemento rimanda.
La semiosi è un processo
per cui la conoscenza di una
realtà avviene tramite segni
che danno vita al altri
interpretanti; questa è
illimitata poiché il referente è
dato dallʼinizio degli infiniti
interpretanti a esso riferibili,
la conoscenza rimane
unʼutopia.
Vi sono tre segni di rimando
al referente:
– Icona: caratterizzata da

una relazione di
somiglianza fra segno e
oggetto che rende
motivato il rimando
(illustrazione)
– Indice: segno motivato

con contiguità fisica,


materialmente o
casualmente connesso
con il proprio oggetto
(firma su un foglio che
rimanda a colui che lʼha
posta)
– Simbolo: riferito

allʼoggetto in virtù di una


legge che lo rende
arbitrario e o fa
funzionare attraverso la
condivisione di un
codice da parte di chi lo
emette/riceve
Le definizioni di segno date
sono dei modelli,
elaborazioni mentali
prodotto nel modo in cui
possono spiegare un
fenomeno. Ogni modello di
segno non è da giudicare
solo attraverso la sua
aderenza a una realtà
empirica, ma funziona come
un dispositivo
epistemologico, cioè piroetta
suo fenomeno di riferimento
una struttura che ne spiega
il funzionamento.
Dubois nel Lʼatto
fotografico pone in
relazione il principio di realtà
della fotografia (rapporto
immagine-referente) con il
modo in cui storicamente
questʼarte è stata concepita:
il tema è barthesiano ma
lʼarticolazione peirciana. La
di può riassumere in tre
momenti:
● Mimesi: foto come

specchio del reale,


modello del segno
iconico
● Codice: foto come

trasformazione del
reale, modello del
simbolo
● Referenza: foto come

traccia, modello del


segno indicale
2.6) Lo specchio del
reale: lʼicona
È il più antico perché
rimanda alla questione della
somiglianza, cioè che
lʼimmagine sia unʼimitazione
della realtà. Lʼobiettivo con la
fotografia era quello della
riproduzione, non di un
effetto estetico. Ci sono due
schieramenti quindi:
Baudelaire da apocalittico,
contro la fotografia e
Picasso da integrato, che si
adatta al cambiamento.
Eco però dice che la foto
porta solo alcune proprietà
dellʼoggetto rappresentano
(naso ha tre dimensioni,
pori, e narici). Dubois
insieme a Schaeffer propone
di guardare la foto non come
prodotto ma come
dispostivi: hanno in mente
più il disegno e la pittura
infatti nel caso della foto
sarebbe possibile lʼiconismo.
Schaeffer fa lʼesempio di
unʼaborigena a cui viene
mostrata la foto del figlio
che però non riconosce ma
questo non per necessità di
una forma di codifica ma del
suo opposto, della
possibilità che le immagini
producano un
riconoscimento per
somiglianza; questa non sa
cosa sia la fotografia.

2.7) La trasformazione
del reale: il simbolo
Intendere la fotografia come
un simbolo comporta che il
rapporto fra il segno e la
cosa sia mediati da un
sistema culturalmente
costruiti, un codice, con
modelli di riferimento quello
linguistico. Vi è una pretesa
neutralità dellʼimmagine
prodotta meccanicamente e
la pseudo oggettività di cui
si fa portatrice. È un effetto
di senso che diventa tanto
più forte quanto più il
meccanismo di produzione.
Questa è tutto lʼopposto del
naturale (il grandangolare
include nel lʼinquadratura più
di ciò che la visione naturale
abbraccerebbe).

2.8) La traccia del reale:


lʼindice
Lʼindice si caratterizza per
una connessione fisica con
ciò che lo produce (fumo-
fuoco). Questo vuol dire che
vi è una relazione tra
lʼimmagine e ciò che la
determina, il referente, che
determina la prima. Lʼindice
è tale in relazione allʼoggetto
a cui si riferisce (referente)
ma linfoma lo è sulla base di
un principio di somiglianza
con lʼinterpretante.

2.9) Oltre il segno


Come fare ad andare oltre la
questione della della
referenza, oltre lʼidea del
segno fotografico? Vi sono
due aspetti: il primo riguarda
lʼidea che la foto non debba
essere considerata un
fenomeno unico, il secondo
riguarda i concetti di
studium e punctum .
2.10) Il fare fotografico
Per Barthes il fare
fotografico è legato a tre
dimensioni: Operator,
Spectrum e Spectator.
Sono delle posizioni logiche
che presuppongono una
soggettività che si
costituisce secondo criteri
specifici. Lʼattante è tale
perché agisce, patisce e
percepisce. Lui decide di
affrontare solo lo Spectator
e quella dello Spectrum, il
soggetto fotografato,
lʼOperator no perché lui non
era un fotografo. Ognuna
delle tre ha una relazione:
Operator-attrezzatura
fotografica; Spectrum-
fotografo/se stesso;
Spectator-immagine
fotografica.
2.11) Studium e punctum
Possono essere considerati
come due modi di disporsi
alla visione delle fotografie.
● Lo studium è un primo

approccio: immediato e
quindi culturalizzato.
Guardare è un fare
cognitivo che si avvale
di saperi. Vi è un
piacere, il to like
● Il punctum rimanda ad

una puntura, una


reazione a ciò che viene
da fuori. Non si cura di
una morale o di un
buongusto ma è una
forza di espansione che
lo porta a dominare la
scena.
Il dettaglio che sembra
uscire innanzitutto è la mano
del marinaio che si trova a
destra, posata sulla coscia
dellʼesploratore (con tratti
vagamente femminili).
Richiama lʼattenzione ma
non è il punctum (se un
dettaglio si fa notare non lo
può essere). Questo arriva
dopo, da parte delle braccia
incrociate dellʼaltro marianio
che sono fuori luogo e
estranee al resto.
La foto non riproduce la
realtà, la riscrive perché è
piena di dettagli: la
fotografia è sempre
pericolosa non per ciò che
mostra, ma per ciò che fa.

2.12) Verso un nuovo


paradigma
Barthes mette in discussione
la cornice epistemologica
che il concetto di segno
offriva secondo un modello
di comunicazione che
somiglia più a uno scambio
di informazioni che a una
relazione di condivisione. Il
problema non è se la foto sia
un segno ma se si può
parlare di comunicazione.
3)TESTI
3.1) << Flagranti reati>>

Le fotografie raccontando
storie così come questa.
Non siamo sicuri di ciò che
vediamo perché non
riconosciamo con certezza
la scena che si svolge
(sfocata, mossa, sgranata).
Vi è una figura a sinistra e
sulla destra un uomo baffuto
con un cappello da militare,
al centro dei cerchi
(bersaglio?): non vi è nulla di
rilevante, la composizione è
sbilanciata.
Il ragazzo ha lʼaria inquieta,
come se fosse stato colto in
flagrante. Vi è una cesura fra
la parte destra, chiara, e la
sinistra, scura, una
discontinuità posta al
numero 7. Vi sono vari
elementi che collegano le
due foto, come i cerchi dello
sfondo con gli occhiali del
signore. Listante decisivo è
tale per il modo in cui disvela
la struttura profonda di ciò
che percepiamo, facendone
un oggetto di significazione
nuovo.

3.2) <<Forme
dellʼimpronta>>
Floch propone di andare
oltre il modo di produzione,
recuperando la vocazione
empirica della disciplina. È
convinto che la fotografia sia
un fenomeno sociale in
continuo mutamento quindi
per analizzarla si deve
partire da ciò che la genera,
da come vengono poste le
immagini, dai loro soggetti.
Prende spunto da Bourdieu
che aveva ricostruito i diversi
modi di concepire la
fotografia: la realtà non
preesiste alla fotografia più
di quanto non possa essere
considerata uno dei prodotti.
Conta la forma che essa può
assumere, intesa come da
Saussure e Hjelmslev.
Questʼultimo considerava il
segno la regolazione istituita
tra i due piani che
caratterizzano il linguaggio,
espressione e contenuto.
In Forme dellʼimpronta
Floch presenta le regole che
formano la fotografia. Il titolo
è un ossimoro poiché da un
lato lʼimpronta è unica,
dallʼaltro le forme (plurale)
dicono il contrario. Offre una
visione sistematica della
fotografia in cui viene data
priorità a le logiche del
senso che la rendono un
testo.

3.3) Dal segno al testo


La natura del testo e
concettuale, è unʼidea, o più
correttamente un modello a
partire dal quale prendere in
considerazione i fenomeni di
significazione. Greimas parla
di semi contestuali per
indicare le unità di
comunicazione più ampie
dei lessemi entro i quali si
manifestano i nuclei semici.
Per capire la parola si deve
fare riferimento a ciò che le
sta intorno e pensarla non
come una cosa ma come un
insieme di proprietà che si
attivano solo se rese
pertinenti dalla struttura di
cui il lessema fa parte.
Le proprietà del testo sono:
l. Sono connessi un piano
dellʼespressione e uno
del contenuto: quando
vediamo un immagine
cerchiamo di darle un
significato
m. La fotografia è un testo
se può essere
considerata una
struttura, un insieme di
elementi che possono
non essere segni ma lo
diventano quando
intrattengono relazioni
con altri elementi
n. La fotografia deve avere
una tenuta interna, data
dalla coerenza formale e
la coesione somatica
o. La chiusura del testo è
spesso data dai bordi
della carta ma è un
limite relativo. Al di fuori
del testo sta tutto ciò
che non è pertinente
rispetto al progetto della
sua descrizione.
p. La molteplicità di livelli
caratterizzano ogni
testo (testa= di persona,
di animale, di cometa,
ecc)
q. Lʼenunciazione è intesa
come lʼoperazione che è
presupposta da
qualunque enunciati,
che a sua volta
presuppone un
enunciatore e un
enunciatario.

3.4) Linguaggi della


fotografia
Per Greimas il punto di
partenza è il concetto di
rappresentazione, lʼiconicità
intesa come forma di
motivazione del segno
grafico. Per fare in modo che
il concetto di somiglianza
funzioni si deve presupporre
che non si limiti ad una
corrispondenza fra tratti
della realtà e la loro e
trasposizione, ma
lʼapplicazione di una griglia
di lettura che si situa sul
piano del contenuto. Se la
figuratività si configura
come effetto di senso lo si fa
a partire da un sapere
pregresso, che prevede una
decodifica dello stimolo
visivo e lʼaggregazione dei
tratti visivi.
– immagini figurali:

densità di tratti tale che


il riconoscimento
avviene in maniera
semplice (caricature). È
un linguaggio figurativo
– Immagini iconiche:

quando la densità è
superiore alla media
(opere dei pittori
iperrealisti). È un
linguaggio plastico

3.5) Dimensione
topologica
Quando ci viene chiesto di
descrivere la foto noi
inizieremo a elencare quello
che vediamo: a sinistra una
signora e a destra una mano
di una scimmia. Per i più
competenti la signora sarà
Jane Goodall, una delle più
importanti etologhe, e la
mano apparterrà ad uno
scimpanzé. Il triangolino
bianco potrebbe essere un
quaderno così assoceremo
la figura della donna a quella
di una studiosa.
Se si specchia lʼimmagine
noi la leggiamo da sinistra
verso destra (sinistra :
destra = causa : effetto). Si
parla quindi di
semisimbolismo essendo un
tipo di relazione che oltre a
riguardare coppie di tratti
non ha valore generale, ma
viene istituita in un testo
specifico e vige solo al suo
interno.

3.6) Dimensione eidetica

Se analizziamo
questʼimmagine vedremo
che forma un disegno
geometrico che ne
costituisce la dimensione
eidetica. Il piede e la mano
dellʼuomo disteso indicano
gli angoli inferiori
dellʼimmagine facendoci
guardare il suo confine

A creare questo triangolo


contribuisce anche lenta
uniforme che sembra piatta
e fa perdere il senso della
profondità.

3.7) Dimensione
cromatica
Con la scoperta del colore
nella fotografia questo si
limita ad arricchire i vecchi
soggetti per inventarne di
nuovi.
Nella foto alcune dei
soggetti appaiono mossi,
dinamizzando la scena che
sarebbe stata statica. Un
ruolo fondamentale lo ha il
dipinto sullo sfondo, la Cena
a casa di Levi, criticato
perché poco inerente alla
tradizione. Lʼinquadratura ne
accentua lʼeffetto trompe
lʼoeil creando una continuità
fra lo spazio del quadro e
quello della sala. Alcuni degli
abiti dei soggetti ritratto
corrispondono con quelli
che allo ammirano, con un
ritorno dei colori (verde, blu,
rosso e giallo).

4)DISCORSI
4.1) Fotografia
testimonianza
Questa foto ha vinto il World
Press Photo e documenta
lʼomicidio di un
ambasciatore russo. Sono
tre le caratteristiche che li
hanno reso interessante:
l. Lʼattentatore è un
giovane curato, bello e
giovane, che assume
una posa da popstar per
farsi ascoltare, ancora
con la pistola fumante
accanto
m. Lʼattentatore era un
poliziotto e quindi
consapevole a cosa
stesse andando incontro
n. Lʼintera azione si è
svolta sotto le
telecamere, in un vero e
proprio set allestito e
illuminati per una mostra
fotografica
Vi sono state due
opposizioni contro questa
foto, una che riteneva
rappresentasse al meglio la
definizione del World Press
Photo (parla dellʼodio dei
nostri tempi); lʼaltra invece
aveva un problema etico
(mostrava atti troppi crudeli
e brutali).
Quanto più una fotografia è
ben fatta, riuscendo a
terrorizzare alla perfezione,
tanto meno siamo portati a
ritenerla vera e questo, per
una fotografia di reportage,
è un problema.
La foto ha vinto per la sua
forza, non per la sua
esteticità.

4.2) Dal testo al discorso


La semiotica ha affiancato
alla testualità una
dimensione dʼanalisi più
vasta, che è il discorso. Non
inteso come unità superiore
alla frase i come dialogo
orale grazie persone, ma
come parola chiave del
metalinguaggio semiotico.
Vi sono due modi di pensare
la fotografia: una di chi la
considera una
testimonianza; una di chi le
attribuisce un valore,
concependola come un
prodotto artistico. Da queste
de ne ricavano altre due: per
negazione di un valore
strumentale si ha una
concezione ludica; per
negazione di un valore
artistico si ha una
concezione tecnica.

4.3) Realtà parallele


Quando Floch elabora le sue
concezioni lo fa a partire
dalle pratiche di fruizione,
dallʼanalisi dei testi che
parlano di quelle pratiche.
Vi sono altre fotografie che
ritraggono ‘Un assassinio in
Turchiaʼ ma perché queste
non sono state premiate?
Nessuno dei World Press
Photo ha parlato di
esteticità.
In questa foto si vede
perfettamente il volto del
lʼambasciatore ma non
quello del terrorista. Vi è
persino lui che scatta la
tanto famosa foto: è una
forma di metalinguaggio, la
fotografia di una fotografia,
la fotografia di un atto
fotografico. Anche se il
valore testimoniale non può
cambiare il primo prende il
premio e la seconda invece è
come se non esistesse. In
questa foto la protagonista
non è lʼira come nella prima,
ma il terrore. La folla che
scappa e si nasconde, il
corpo dellʼambasciatore
morto con u bossoli accanto.

Questa invece è una via di


mezzo tra le due, si
concentra su assassino e
vittima escludendo la folla. Il
momento è diverso e
lʼespressione dellʼomicida
meno efficace, mentre il
volto dellʼambasciatore
ancora più in evidenzia, con
una posizione che sembra
quasi come crocifisso.
È stata scelta la prima foto e
di raccontare la storia di
Özbilici perché si è voluto
insistere sulla paura.
Testo è fruitore si
costituiscono nella loro
relazione reciproca, così il
testo viene valorizzato da
una pratica fruitiva che viene
indirizzata dal testo, che
propone al suo fruitore una
sorta di tacito patto.

4.4) Fotografia opera


Nel caso della fotografia
opera vi sono due aspetti:
lʼessere esposta ad un
museo e valorizzarla;
proporre con caratteristiche
una specifica valorizzazione.
Vi è una somiglianza tra le
due foto eppure sono molto
diverse tra loro: Cartier
vuole mostrare qualcosa, i
vestiti e le persone, e la
composizione sembra quasi
un caso fortuito. Giacomelli
invece non vuole riprodurre
la realtà: lʼimmagine è
sovraesposta al punto che le
zone più chiare sono
completamente bruciate,
cosa che rende gli abiti neri
più evidenti; non mostra
nessun volto e le persone
sono macchie di colore.
Il MOMA acquista lʼintera
serie di Giacomelli come
attestazione di una
valorizzazione che lʼautore
aveva già scritto nel suo
testo, il riconoscimento di un
patto comunicativo che il
fotografo aveva stipulato
con le sue scelte.

4.5) Fotografia ludica


Il fotografo decide di
raccontare con una
fotografia il colpo di genio
che praticamente tutti i
turisti hanno. Sposta
lʼobiettivo in modo da
rovinare lʼillusione ottica e
far apparire i turisti come
vittime della stessa trovata;
taglia i piedi della ragazza in
primo piano (vs fotografia).
Ne rivela lʼestetica e i
processi che le danno vita.
Nella fotografia ludica
fotografo e soggetti sono
pari, la fotografia viene
chiesta ma il fotografo
conosce bene le regole del
gioco.

4.6) Fotografia tecnica

La microfotografia può
bloccare attimi fuggenti ma il
senso dellʼimmagine si
riduce ad un gesto tecnico:
manca una storia; lo
spettacolo finisce lì non cʼè
nessuna azione, nessun
movimento.

4.7) Generi comunicativi


La parole genere ritorna di
continuo: generi letterari,
cinematografici, pittorici;
così come in fotografia.
Il ritratto: soggetto deve
essere una cosa o un
paesaggio (cosa= still life) e
presuppone unʼintenzione
comunicativa complessa:
vuole suggerire qualcosa
della persona.
La lingua per poter essere
usata nella comunicazione
ha bisogno di norme che
sono sia rigide che flessibili.
Per Saussure la langue è un
insieme di regole che ogni
linguaggio prevede, invece
le parole sono lʼatto
individuale con il quale ci si
mette in azione.
Per Hjelmslev invece la
lingua è individuale e ne
evidenzia la regolarità. Il
discorso è un insieme di
blocchi già esistenti che
sono prodotti dellʼuso e si
depositano nel sistema della
lingua sotto forma di
primitivi. Associa alla langue
lʼidea di parlare di “sistema”
però lʼuso lo intende
diversamente dalle parole
perché la lingua
nellʼesecuzione risponde a
dei vincoli.
Vi è chi attribuisce al
linguaggio una funzione
rappresentativa
(rappresentare il mondo,
significati origine da
questʼultimo), e chi gli
attribuisce una funzione
costruttiva (referenti esterni
non hanno un ruolo essendo
il pensiero stesso as essere
articolato attraverso la
lingua). Vi è quindi lʼidea che
il senso preesista al
linguaggio e lʼidea che esso
sia prodotto grazie a questo.
Questa opposizione da vita
ad altre due posizioni.

4.8) Fotografia
referenziale

È una vera icona del


fotogiornalismo. Capa la
scatta per caso, alzando la
macchina fotografica sopra
la sua testa. Vi è una carica
semantica eccessiva: il
soldato colpito a morte che
perde le forze e stramazza al
suolo, ancora in piedi ma già
morto, non vino e non
(ancora) morto.
Lʼinquadratura: non è una
composizione armonica. Al
centro non cʼè nulla, solo un
paesaggio; il soggetto un poʼ
sfocato è a sinistra, il piede
destro è tagliato e di quello
sinistro se ne vede un pezzo
di suola. È bloccato un una
posa impossibile, a
mezzʼaria, con il piede
mosso che ci testimonia che
è un momento di passaggio.
Il fucile è anchʼesso tagliato,
sfugge dalla sua mano come
se volesse liberarmene,
perfettamente parallelo al
busto e alla testa, con il
mirino che somiglia al ciuffo
dei capelli del soldato
(punctum?). Le gambe sono
parallele e contrastano con
la posa sgraziata del
soldato. Il volto è poco
visibile, solo lʼorecchio
appare illuminato da un
raggio di sole, che lo rende
una nota stonata nella
drammaticità ma anche un
appiglio per lo sguardo
(puncutum?).
Ombre: quella del soldato
anticipa il corpo muto nella
sua destinazione finale. La
nuvola lambisce il ginocchio
sinistro distendendosi sul
paesaggio. A sinistra vi è la
scompostezza di un corpo
colpito a morte con un gioco
di parallelismo che evoca
una sistematicità; A destra
cʼè un morbido paesaggio
che accoglie le ombre che
provengono dal cielo e dalla
terra.
È una fotografia ben
bilanciata a cui non
riusciamo a credere per il
modo in cui ci viene
mostrata. È una fotografia
referenziale.

4.9) Fotografia mitica

In questa fotografia cʼè il


seno nudo, una leggera
sfocatura del viso, un bianco
in nero senza grigi, una
composizione attenta e
controllata che mette tutto
ciò in gioco e lo rilancia in
termini plastici.
Punto di vista figurativo:
vediamo il viso di una donna,
il gomito del braccio che è
costituito da una forma priva
di ombre su cui poggia la
fronte, nellʼangolo inferiore
sinistro una forma
vagamente ombreggiata che
diviene il seno.
Punto di vista plastico: si
presenta con uno spazio
quasi perfettamente
quadrato dove lʼaltezza
supera di poco la base. I
colori dando dinamicità alla
composizione, facendo
emergere dei percorsi di
lettura. Per quanto riguarda
gli aspetti cromatici vi è un
sostanziale equilibrio fra le
superfici, né bianco né il
nero prendono il
sopravvento. Le poche
forme modellate sono
racchiuse da superfici piatte
di colore nero, con
lʼeccezione del braccio. Per
lʼaspetto eidetico invece le
linee sono nette e precise ,
disegnano forme elementari:
lʼovale quasi perfetto del
viso, il tondo del seno e il
braccio che traccia un
doppio triangolo (uno
esterno che ingloba lʼangolo
inferiore destro allʼaltro
interno dove è contenuto il
viso). Il suo naso fa partire
una linea retta che divide a
metà lʼimmagine.
Lʼarticolazione plastica non
ha alcun valore se non è
possibile accostare al piano
espressivo anche un piano
del contenuto. La lettura
plastica sembra avere il
potere di cambiare ciò che
abbiamo davanti: non più
una donna nuda, ma la
visione del cosmo.
Lʼosservatore deve andare
oltre ciò che vede,
intraprendendo un percorso
cognitivo. Così la lettura
plastica finisce per offrire
una definizione narrativa e
astratta al motivo della
malinconia che la lettura
figurativa già aveva
individuato.

4.10) Fotografia
sostanziale
È Adams lʼinventore della
straight photography, che
predica la necessità di una
fotografia pura, priva di
qualunque alterazione. La
fotografia mitica
presupponeva che il
linguaggio fotografico fosse
in grado di costruire una
realtà dʼordine diverso da
quello che vediamo, invece
quella sostanziale,
essendone la negazione,
riporta la concretezza del
mondo, alla sua riproduzione
diretta. Lo sguardo punta
una semplice rosa posata su
un tavolo, oggetti quotidiani.
Il livello del dettaglio e la
perfetta luce ci danno la
sensazione tattile oltre che
visiva e lo sguardo finisce
per passare su ogni cosa
quasi accarezzandola.

4.11) Fotografia obliqua

Negare la fotografia
referenziale vuol dire
attribuire al linguaggio
fotografico la possibilità di
fare ciò che in linea teorica
gli riesce più difficile:
distaccarsi dalla realtà.,
lʼimmagine costruisce una
nuova realtà. La fotografia
obliqua invece fa di tutto per
rimanere in questa
condizione di
indeterminatezza: ciò che
vediamo è comune ma ci fa
chiedere cosa rappresenti e
come sia stata fatta. Stampa
le sue fotografie in formato
fuori dal comune, rendendoli
da lontano come opere
astratte ma avvicinandosi si
può iniziare a riconoscere
ciò che viene mostrato. Nella
fotografia Amazon si mostra
il suo magazzino pieno di
oggetti. La visione è
realistica ma non reale, più ci
si avvicina più ci si
concentra su porzioni di
materia più piccole. Così si
dimostra lʼiperrealismo che
non è affatto intrinseco alla
fotografia: è un effetto di
senso che bisogna produrre
con tecniche che sono
certamente diverse da
quelle della pittura.
Lʼattenzione al dettaglio
finisce per farci vedere in
modo diverso la realtà, in
particolare quella industriale
dei prodotti di consumo.

4.12) Strategie
fotografiche

Non è unʼimmagine
rappresentativa, non vi è
nessun volto, nessuna
espressione, nessun gesto.
Vi è unʼassenza dei dettagli,
un forte mosso, una grana
evidente che la rendono una
fotografia sporca. Anche la
composizione sembra
distaccarsi da qualche ti
aspetteremmo da un
reportage. Lʼimmagine
sembra frutto di una ricerca
che si addice alla
spontaneità che un
reportage dovrebbe
significare. Funziona perché
è unʼimmagine sostanziale,
è la materialità del supporto
ad agire semioticamente,
generando precisi effetti di
senso. Lʼimmagine è un
mezzo, una testimonianza
ma il suo linguaggio non è
rappresentativo, è un
linguaggio che nega ogni
costruzione, ogni
immaginazione, ogni effetto
di realtà per farci sentire
fisicamente la situazione.

Salgado non usa il


linguaggio referenziale:
costruisce una epica
distopica, celebrando lo
squallore e il degrado più
profondo, lʼallenamento delle
due individualità e la
bassezza della vita umana. Il
gioco di geometrie produce
questo effetto di senso
insieme allʼuso del colore
bianco e nero che
appiattisce lʼimmagine e fa
emergere solo la
discontinuità cromatica di
occhi, bocca e capelli.
Utilizza la fotografia mitica,
che trasforma la miniera in
un girono dellʼinferno pieno
di anime in pena.

Nella macrofotografia vi è un
linguaggio diverso per
rendere lo scatto unico.
Ghizzi mette la sua
competenza tecnica al
servizio delle proprie volontà
espressive, vuole raccontare
una storia. Riprende lʼinsetto
con un ingrandimento tanto
da ricavarne le minuscole
gocce di rugiada dove vi è
riflesso un fiore, lʼoggetto di
desiderio. Basta questo per
trasformare la foto, lʼinsetto
sta facendo qualcosa,
aspetta allʼoggetto e questo
è proporzionato alla quantità
di riflessi che lo riproducono.
Non si vuole descrivere la
realtà ma articolarla. Il
genere è obliquo.

Didi-Huberman analizza
due foto uguali ma con
riquadratura diversa di un
campo di concentramento
dove si mostrano i corpi
morti. La foto
originariamente era
contornata dalla porta della
camera a gas, da dove il
fotografo aveva scattato la
foto. Nella prima foto
(immagine tagliata) si tratta
di una foto referenziale,
mentre nel secondo
(immagine originale) si tratta
di una foto obliqua, che ci
spinge a riflettere che erano
proprio i prigionieri a dover
“gestire” i corpi.
Quando una fotografia
funziona è perché una
macchina semiotica si è
messa in morto,
coinvolgendo il suo fruitore.

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