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1) Produzione manifatturiera.
La produzione manifatturiera, o per parti, interessa una ampia gamma di prodotti di
largo consumo.
Ciascun prodotto è un insieme di un numero finito e discreto di componenti (le
parti). Alla fine è possibile tornare dal prodotto ai componenti e questo è ciò che la
differenzia dalla produzione per processo (percorso a ritroso). Si compone di due
fasi:
Fabbricazione: insieme di lavorazioni (=processi=trasmormazioni) che
modificano la forma, la dimensione e lo stato superficiale della singola parte.
Assemblaggio: dopo la fabbricazione, le parti lavorate saranno destinate ad
una serie di operazioni di montaggio per formare un assieme che prende il
nome di sottoassemblato (motore termico) o di assemblato (orologio)
2) Ciclo di realizzazione del prodotto.
Il ciclo inizia con una indagine di mercato o da un ordine del cliente (commessa).
INPUT
Successivamente si elabora un progetto preliminare per studiarne la fattibilità con
un occhio al fine vita, dopodiché, nel caso di conferma, si esegue un progetto
dettagliato con tanto di disegno dettagliato.
Il ruolo del tecnologo si trova dopo la progettazione dettagliata, esso si occuperà
della scelta e della pianificazione del processo produttivo.
In cascata avverrà la progettazione del sistema produttivo (tiene conto dei volumi di
produzione) e la programmazione della produzione (fabbricazione e assemblaggio).
Il ciclo termina con la fase di deproduzione (rilavorazione, riuso, riciclo) che tiene
conto del fine vita del prodotto.
L’approccio al ciclo può essere sia di tipo sequenziale ( L’output di una fase è l’input
della fase successiva, maggiori costi per tornare in dietro nelle fasi) oppure di tipo
simultaneo (lavoro in team, più costo in fase di progettazione ma evita sprechi).
16) Modello.
Viene utilizzato solo nei processi in forma transitoria per ottenere la forma
mediante il processo di formatura (formatura = compattazione del materiale della
forma attorno al modello), processo eseguito con sistemi meccanici in ambito
industriale. Il modello può essere permanente (si riutilizza tante volte quante sono i
getti da ottenere, getti uguali tra loro) o transitorio (a perdere). In caso di modello
transitorio per ogni forma serve un modello diverso e quindi per ogni pezzo serve
una forma diversa. Trattandosi di processi in forma transitoria, ogni pezzo richiede
una forma diversa ottenuta a sua volta con un modello utilizzato una singola volta
perché verrà distrutto . Il modello va realizzato partendo dal disegno del pezzo
considerando aspetti importanti come: il materiale, il sovradimensionamento, il
piano di divisione, gli angoli di sformo, i raccordi e i sottosquadri.
17) Materiali per modelli permanenti e transitori.
Per i modelli transitori si usano la cera, la quale si liquefa scaldandola prima della
colata (serve un forno), o le schiume polimeriche (come il polistirene espanso), in
tal caso si cola il fuso quando è ancora presente il modello nella forma, il quale viene
vaporizzato dal fuso stesso, bisogna però stare attenti poiché i gas derivanti da tale
processo possono contaminare il fuso. Per i modelli permanenti si utilizzano acciaio,
ghisa, alluminio, legno o plastica. Ciascun materiale presenta caratteristiche diverse
di lavorabilità, proprietà meccaniche, peso, riparabilità e resistenza in acqua a usura,
corrosione e rigonfiamento. La plastica, ad esempio, non è scarsa sotto nessun
punto di vista, mentre il legno si usura e si rigonfia in acqua.
18) Tipi di modelli permanenti.
Vale quanto detto prima, per ulteriori dettagli si consulti la tabella riportata sotto.
30) Fusione.
I solidi metallici hanno una struttura cristallina con legame metallico in cui gli atomi
hanno posizioni precise. Allo stato liquido si perde l’ordine a lungo raggio, mentre
permane l’ordine a corto raggio (alcuni atomi), il che è un fattore positivo per la
nucleazione durante la solidificazione. Il passaggio dallo stato solido allo stato
liquido, chiamato fusione, avviene a T costante per i metalli puri e per le leghe
eutettiche, mentre avviene con variazione di temperatura per leghe con
composizione non eutettica.
Il calore totale per portare una massa di metallo puro a fusione è dato dalla somma
del calore per portare il metallo alla T di fusione e del calore latente di fusione:
Q= ρV [c s ( T f −T amb )+ Qf ], dove cs=calore specifico allo stato solido, Qf=calore latente di
fusione.
Ogni metallo puro ha la sua T di fusione, 3410°C per il tungsteno, 1539°C per il ferro
e 660°C per l’alluminio ad esempio, mentre per le leghe come gli acciai essa dipende
dalla composizione e la minor T di fusione possibile si ha per le composizioni
eutettiche, quando presenti. In genere i metalli puri con T di fusione maggiore
hanno un minore calore latente di fusione. Se si somministra solo il calore calcolato
in precedenza potrebbe tuttavia aver luogo una solidificazione prematura, pertanto
si aggiunge un’ulteriore quantità di calore per avere surriscaldamento, pertanto il
calore reale totale è:
Q=Q=ρV [c s ( T f −T amb ) +Qf + c L ( T sur −T f ) ], dove cL=calore specifico allo stato liquido e
Tsur=T di surriscaldamento.
Più è alta la T di surriscaldamento più ci si cautela dalla solidificazione prematura,
ma aumentano il ritiro volumetrico fino alla T ambiente e i costi e si riduce la
permanenza dell’ordine atomico a corto raggio riducendo il numero di siti di
nucleazione durante la solidificazione. Va inoltre riportato che l’espressione
considerata è approssimata, infatti il calore specifico e la densità variano con la
temperatura e con lo stato fisico del materiale. Per le leghe si può in prima
approssimazione considerare che il calore totale da fornire si una media pesata dei
calori da fornire ai suoi costituenti considerati singolarmente. La variazione della
temperature nelle leghe con composizione non eutettica dipende dagli elementi e
dalla composizione.
31) Elementi del sistema di colata e loro funzione.
La colata del fuso nella forma avviene attraverso un apposito sistema di colata
costituito dal bacino di colata, dal canale di colata, dal canale di alimentazione e
dagli attacchi di colata. Il sistema deve assicurare il veloce riempimento della forma
evitando forti abbassamenti di T, l’erosione di forma e anime e il trascinamento di
aria, impurità, inclusioni e ossidi.
32) Bacino di colata.
Il bacino di colata accoglie il fuso versato dalla siviera nel sistema di colata ed è
sagomato in modo da assicurare un flusso tranquillo del fuso nel canale di colata.
Presenta sistemi che trattengono le scorie galleggianti in superficie (ossidi e
impurità) e le inclusioni che si raccolgono sul fondo, si parla di ferma-scorie
(creazione di un vortice nel bacino di colata) o filtri.
34) Tempo di riempimento della forma. Alla luce della velocità alla base di colata
calcolata prima, il tempo di riempimento della forma è :
V V V V
t RF = = = =
Q Q3 A 3 v 3 A 3 √ 2 g h 1 , con V=volume della forma.
Nell’ottenere tale formula si considera che nelle canalizzazioni orizzontali (canale di
alimentazione e attacchi di colata) la portata sia uguale a quella alla base del canale
di colata e inoltre il tempo di riempimento della forma risulta approssimato per
difetto (più breve che in realtà) poiché si trascurano le perdite per attrito.
( )
2 2 2
v2 v v 2 gh
+ g h 2= 3 → 2 =1− 2 2 . Per la continuità v2/v3=A3/A2=R, quindi v2=Rv3 e
2 2 v3 v3
2 2 g h2
sostituendo si ottiene R =1− 2 .
v3
( h ¿ ¿ t−hc )
v3 =√ 2 g ht , quindi
2
Vale h2=ht-hc e R =1−2 g
2 g ht
¿ e di conseguenza
R=
√ hc A 3
= .
ht A 2
dalla composizione chimica del metallo versato: Il discorso è valido per ogni
metallo, ma l’entità della fluidità e della sua variazione dipendono dallo
specifico metallo (composizione chimica). Per le soluzioni solide(leghe) la
fluidità è minore rispetto ai metalli puri e alle leghe eutettiche. Le soluzioni
solide con un ampio ΔT di solidificazione sono caratterizzate da bassa fluidità.
Bassa fluidità difetti nel getto: riprese di colata (o a caldo), ovvero in una
zona il fuso solidifica prima che la cavità sia completamente riempita e il fuso
ulteriormente giunto si salda formando una discontinuità = ripresa a caldo, e
mancanza di particolari per via dell’incompleto riempimento causato dalla
solidificazione prematura.
Per quantificare la fluidità si usa l’indice di fluidità[m], il quale si ottiene
misurando la lunghezza del canale percorso dal fluido in un sistema
standardizzato (canale a spirale) prima di solidificarsi (a volte si usa in
alternativa un canale rettilineo)
Pertanto si ottiene l’indice di fluidità migliore con forme transitorie in terre da
fonderia con pareti massicce e preriscaldate, ma per avere una solidificazione
migliore questa risulta invece essere la configurazione peggiore, poiché si
punta ad avere tanti grani di piccole dimensioni (e quindi servono tanti
nuclei), di conseguenza bisogna trovare un compromesso tra le due esigenze.
39) Viscosità e tensione superficiale.
La viscosità è la resistenza opposta dal liquido allo scorrimento e aumenta al
diminuire della Temperatura.
La tensione superficiale è il lavoro necessario per creare una superficie di area
unitaria a T e V costanti e aumenta al diminuire di T e al formarsi di ossidi. Se è
troppo elevata non si riesce a riempire zone con angoli acuti di piccola ampiezza.
Opera all’interfaccia liquido-solido.
40) Turbolenze.
Le turbolenze sono variazioni incontrollate di velocità e direzione del fuso. Sono
favorite da elevate velocità di colata e devono essere minimizzate per evitare
l’erosione della forma se in terra e delle anime se transitorie, così come
l’intrappolamento di gas e scorie. Possono essere quantificate attraverso il numero
ρvD
di Reynolds ℜ= η , con ρ=densità, v=velocità, D=diametro condotto e η=viscosità
della fase liquida. Si ha una maggiore tendenza alle turbolenze al crescere di Re
(Re<2000regime laminare, Re>20000forti turbolenze). Nei comuni sistemi di
alimentazione si ha 2000<Re<20000, ovvero un regime misto con turbolenze,
dovuto da una parte alla necessità di avere velocità non troppo basse per avere una
buona produttività ed evitare solidificazioni premature, dall’altra al voler evitare i
problemi connessi ad eccessive turbolenze.
41) Solidificazione.
La solidificazione è una fase importante in fonderia perché è quella in cui si
stabiliscono le proprietà meccaniche del getto (ciò significa che non c’è la possibilità
di correggere queste proprietà con trattamenti termici a causa dei gas intrappolati
nel getto).la solidificazione avviene a causa dell’aggregazione di atomi per formare
una struttura cristallina con livello energetico più basso rispetto che allo stato
liquido.
Se T>Tsol è stabile la fase liquida, se T=Tsol si ha equilibrio tra fase solida e fase liquida,
se T<Tsol è stabile la fase solida.
La trasformazione liquiso-solido avviene in 2 fasi. La prima fase è la nucleazione =
formazione di piccoli germi cristallini (nuclei=aggregati di atomi). La nucleazione può
essere omogenea, se il metallo stesso fa sì che si formino i nuclei, oppure
eterogenea, se è un’interfaccia esterna (inclusione solide o le pareti esterne) che
determina la diminuzione dell’energia di attivazione necessaria per dar luogo alla
formazione dei nuclei (a volte si usano anche degli inoculanti).
La seconda fase è la crescita dei nuclei, essa è consentita da processi attivi
termicamente (richiedono il superamento di barriere energetiche) e porta alla
formazione dei grani, la cui forma dipende da vari fattori. I grani possono infatti
essere equiassici e fini (tondeggianti) oppure grossolani e allungati, ma si cerca di
evitare questa condizione anche perché non sono possibili ulteriori trattamenti
termici per migliorare la microstruttura. La dimensione media dei grani dipende dal
numero di nuclei presenti nel liquido, e più nascono nuclei minore sarà la
dimensione dei grani . Se la velocità di nucleazione è molto maggiore di quella di
crescita la struttura si avvicina a quella di un solido amorfo, se è invece molto
minore di quella di crescita la struttura si avvicina a quella di un solido
monocristallino. Gli atomi si dispongono secondo reticoli ben precisi individuati da
un tipo di cella unitaria riconoscibile, spesso CCC, CFC o EC. Comunemente il
materiale solidificato è costituito da grani con dimensioni e forme irregolari e
orientazione casuale, si parla di solido policristallino. I singoli grani hanno proprietà
anisotrope, ma la loro distribuzione casuale fa sì che complessivamente il materiale
sia isotropo. La dimensione media dei grani (da poche unità fino a decine di micron)
dipende dal numero dei nuclei, in particolare un maggior numero di nuclei implica
minori dimensioni medie dei grani. Lo stato liquido è caratterizzato da una forte
agitazione termica che si riduce durante il raffreddamento, con una diminuzione
contestuale del volume specifico per quasi tutti i materiali tranne il bismuto. Questa
è la causa del ritiro volumetrico durante la solidificazione, il quale risulta
particolarmente significativo potendo variare da un 2,5% a un 6,5% su un 10%
relativo al raffreddamento totale.
42) Sottoraffreddamento.
Nel caso ideale di un metallo puro raffreddato in condizioni di equilibrio, la
solidificazione avviene a T costante e viene completata asportando il calore latente
di solidificazione (valido solo all’equilibrio termico), poi la T torna a decrescere e il
metallo rilascia calore sensibile quando tutto il metallo fuso è solidificato.
Nei casi reali si ha il sottoraffreddamento e la solidificazione è più complessa e
avviene in condizione di non equilibrio; Quando si arriva alla T di solidificazione in
realtà la T continua a scendere senza che ci sia solidificazione, quindi si ha un certo
sottoraffreddamento dopo il quale inizia la solidificazione e la T arresta la discesa
per innalzarsi leggermente e stabilizzarsi ad un valore T s aspettando la completa
solidificazione. Si definisce il sottoraffreddamento o grado di sottoraffreddamento:
ΔT=Ts - Tmin , cioè la differenza tra la T più bassa raggiunta dalla massa liquida
durante il raffreddamento, Tmin (a volte è definito negativo invertendo i segni) e la
temperatura liquido-solido Ts.
Si spiega poiché gli atomi sono in movimento caotico nel liquido e pertanto hanno
una bassa probabilità di trovarsi ordinati secondo il reticolo cristallino del solido a T s
e inoltre non trovando immediatamente la giusta disposizione formano aggregati
troppo piccoli per l’accrescimento del cristallo e quindi ritornano in fase liquida. Si
origina così il sottoraffreddamento senza solidificare in modo che il raffreddamento
permetta la diminuzione di energia cinetica favorendo la formazione di nuclei
stabili. Si forma di conseguenza il primo nucleo stabile quando abbastanza atomi
assumono la configurazione del reticolo e formano aggregati di dimensioni
adeguate, si aggiungono poi altri atomi che liberano calore (calore di solidificazione)
formando i legami. Nei casi in cui l’asportazione di calore sia piccola o moderata ci
potrebbe essere un aumento di T fino a Ts per via di tale rilascio di calore da parte
del metallo, altrimenti la T diminuisce costantemente fino alla completa
solidificazione.
43) Energie coinvolte nella solidificazione omogenea.
La solidificazione è spontanea (quindi diminuzione complessiva dell’energia libera
totale) se e solo se ΔG<0 per il principio di minima energia libera. I termini principali
che contribuiscono alla variazione dell’energia libera sono due.
Il primo termine è l’energia libera di volume ΔGv legata al volume, al quale è
proporzionale, e negativa poiché la solidificazione comporta il rilascio di energia
(calore di solidificazione).
Il secondo termine è l’energia libera di superficie ΔGs necessaria per formare la
superficie delle nuove particelle, è una quantità positiva poiché viene assorbita
energia per creare nuove superfici ed è proporzionale alla superficie.
E quindi ΔG=ΔGv+ΔGs.
pertanto l’energia totale cresce fino ad un massimo per poi diminuire. Quando si ha
il massimo?
d ( Δ G (r ))
dr
=0 → −4 π r 2
Qf
Tf
∆ T +8 πr γ SL=0→ (
r −r
Qf
Tf )
∆ T +2 γ SL =0 →
2 γ SL T f 2 γ SL
¿
r= = = raggio critico.
∆T Q f ∆ G b
Il processo di crescita del nucleo avviene solo quando r supera r*, valore in
corrispondenza del quale il contributo dell’energia libera di volume (negativo e
quindi favorevole) supera quello dell’energia libera di superficie (positivo e quindi
¿ 1
sfavorevole). Dalla formula emerge che r ∝ ∆T , pertanto se il sottoraffreddamento
aumenta il raggio critico diminuisce e la solidificazione inizia prima. sostituendo r* a
3 3
16 γ SL
¿ 16 π γ SL
∆G = π = →
( )
2 2
r nella formula di ΔG si ottiene ΔG*: 3 ∆ Gb Qf
3 ∆T
Tf
¿ 1
∆G ∝ ,
∆ T2
67) Colabilità.
La colabilità è l’attitudine di una lega ad essere colata in forma e a riempirla
completamente senza originare difetti nel pezzo solidificato. Si tratta di una
proprietà complessa che dipende da molti fattori, si parla di grandezza di sistema.
Una maggiore colabilità è favorita da un’alta fluidità, da una minore T di fusione, da
un minor calore specifico, da un minor calore latente di fusione, da una minore
solubilità dei gas e da una minore attività chimica del metallo (ad esempio una
minore tendenza a formare ossidi), inoltre la colabilità dipende dalle caratteristiche
fluidiche del fuso. Tutti i metalli sono fusibili, non tutti sono colabili.
Fonderia in forma transitoria con modello permanente.
Si suppone che la forma sia ottenuta con un processo di formatura che può
essere manuale o meccanico. La formatura è un processo che consiste nella
compattazione del materiale attorno ad un modello permanente in modo da
ottenere una forma transitoria.
I materiali per la forma possono essere molteplici, il più comune è la
terra da fonderia.
68) Staffe.
Le staffe servono per contenere il materiale che viene compattato attorno al
modello. Si realizzano in ghisa o in acciaio con dimensioni unificate. Presentano
solo le superfici laterali, mentre quelle di base superiore ed inferiore sono aperte
per consentire la costipazione della terra. Spesso si usano modelli scomponibili,
pertanto servono 2 staffe con opportuni riferimenti per il montaggio che nella
ricomposizione della forma dopo l’estrazione del modello permettono di rimontare
correttamente le staffe. Si parla di staffa base (inferiore) e staffa coperchio
(superiore).
69) Ciclo di fabbricazione di un getto mediante fonderia in terra.
Il ciclo di fabbricazione parte dal ciclo di formatura. Esso inizia dal pezzo, sulla cui
base si genera il modello, formato da 2 semi-modelli. Si prende il semi-modello
inferiore e lo si appoggia sul piano di lavoro considerando che esso coincida col
piano di divisione (pertanto il semi-modello risulterà capovolto), inoltre si mette sul
piano di colata anche la parte che serve per ottenere l’attacco di colata nella forma.
Si pone poi la staffa base capovolta sul piano di lavoro in modo da contenere quanto
già disposto sul piano, in seguito si versa la terra nella staffa e la si compatta attorno
al semi-modello e alla parte corrispondente all’attacco di colata. Successivamente si
capovolge il tutto di 180° attorno ad un asse orizzontale in modo da ottenere la
disposizione corretta con le parti non più capovolte e, sfruttando i riferimenti, si
pone il semi-modello superiore sopra l’inferiore, prevedendo anche gli elementi per
realizzare il bacino e il canale di colata, e la staffa coperchio sopra la staffa base. Si
versa quindi altra terra nella staffa coperchio e la si compatta attorno a quanto
disposto. Si estraggono dunque il bacino e il canale di colata, si ri-separano le due
staffe e si ribalta la staffa coperchio. Si procede dunque a sfilare i 2 semi-modelli e
l’attacco di colata, poi si rimonta opportunamente la staffa coperchio su quella base.
[ ]
σ x τ xy τ xz
Cauchy): [ σ ij ]= τ yx σ y τ yz .
τ zx τ zy σ z
Dall’equilibrio alla rotazione attorno agli assi si ricava τxy=τyx, τxz=τzx e τyz=τzy, dunque
lo stato tensionale è definito da 6 componenti indipendenti (3 tensioni normali e 3
tangenziali) e il tensore delle tensioni è simmetrico. La tensione in una determinata
direzione su una superficie con una determinata normale non varia al variare del
sistema di riferimento, ma variano le sue componenti. Esistono delle particolari
giaciture per cui le tensioni tangenziali sono nulle, si parla di terna principale di
tensione data dagli assi 1, 2 e 3 detti assi principali di tensione. In tale sistema di
[ ]
σ1 0 0
riferimento il tensore delle tensioni assume la forma 0 σ 2 0 .
0 0 σ3
[ ][ ][ ]
σx τ xy τ xz σ x −σ m τ xy τ xz σm 0 0
τ yx σ y τ yz = τ yx σ y −σ m τ yz + 0 σ m 0 ,
τ zx τ zy σ z τ zx τ zy σ z −σ m 0 0 σm
dove il primo termine a destra dell’uguale è la componente deviatorica o deviatore
delle tensioni, il secondo è la componente idrostatica delle tensioni. Lo stesso può
esser fatto partendo dal tensore delle tensioni principali. Si possono definire le
componenti ridotte delle tensioni sia per il generico tensore delle tensioni che per
quello relativo alle direzioni principali, esse coincidono con gli elementi della
diagonale della componente deviatorica: σ 'x =σ x −σ m e σ '1=σ 1−σ m, idem per y’, z’, 2’ e
2 σ 1−σ 2−σ 3
3’. Dal cerchio di Mohr si ricava che σ '1=σ 1−σ m= =¿ ¿ ¿, pertanto si può
3
affermare che la parte deviatorica del tensore nelle direzioni principali coinvolge le
deformazioni tangenziali. Consideriamo il tensore delle tensioni nelle direzioni
principali: la componente deviatorica coinvolge solo le tensioni tangenziali ed è
importante per le deformazioni plastiche; la componente idrostatica coinvolge solo
le tensioni normali, produce solo variazioni elastiche di volume e ha effetto sulle
proprietà a rottura del materiale ma non sulle deformazioni plastiche.
In campo plastico si definiscono le tensioni nominale s=P/A0 e reale σ=P/A, la quale
fornisce pertanto un valore istantaneo. Avviene strizione, A ≠ A0 , A < A0 volume che
si conserva
In campo elastico le due coincidono circa, non avviene strizione, A circa uguale
A0 ,volume che non si conserva
Le deformazioni sono una variazione di distanza tra 2 punti qualsiasi di un corpo
continuo. Si tratta di una questione solo geometrica, non dipende dal materiale e la
definizione è la stessa per deformazioni elastiche e plastiche. Si classificano come
piccole deformazione (elastiche ε<10-3) o deformazioni finite.
101) Piccole deformazioni.
Si tratta di deformazioni elastiche, infinitesime o comunque piccole, campo elastico
ε<10-3. Se lo spostamento è u=(ux(x,y,z), uy(x,y,z), uz(x,y,z,)), le cui componenti sono
continue e derivabili con derivate prime continue. Allora si definiscono le
∂u i
deformazioni principali ε i= e le deformazioni tangenziali o scorrimenti
∂i
γ ij 1 ∂ ui ∂u j
= ( + ). Considerando le direzioni x,y e z si definisce il tensore delle
2 2 ∂ j ∂i
[ ]
ε x γ xy γ xz
deformazioni[ ε ij ] = γ yx ε y γ yz , il quale come nel caso precedente è simmetrico con
γ zx γ zy ε z
6 componenti indipendenti. Per particolari giaciture le deformazioni tangenziali
sono tutte nulle, pertanto si hanno solo le deformazioni longitudinali e si parla di
[ ]
ε1 0 0
terna principale di deformazione 0 ε 2 0 con 1, 2 e 3 assi principali di
0 0 ε3
deformazione. Anche per le deformazioni è possibile individuare una componente
deviatorica e una componente idrostatica.
102) Deformazioni finite.
Sono le deformazioni che avvengono in campo plastico. Gli incrementi di
deformazione plastica sono dello stesso ordine di grandezza delle deformazioni
elastiche e si definisce il tensore degli incrementi di deformazione.
Le deformazioni definite (vere) si ottengono dagli integrali degli incrementi di
deformazione.
Detti L0=lunghezza iniziale e dL=aumento infinitesimo vale dε=dL/L, pertanto
L
dL L
ε =∫ =ln è la deformazione reale o vera. Vale che la deformazione reale totale
L0 L L0
è la somma delle deformazioni parziali incrementali: ε02=ε01+ε12.
2L
Infatti ε 0 →2=ln L =ln ¿.
0
L 0 0 0 0
Criteri di scorrimento per materiali duttili, sono usati per ricondurre stati di
tensione pluriassiali ad un caso monoassiale che abbia la stessa gravità, stesso
effetto dello stato complesso. Si usa il concetto di tensione equivalente (ideale).
104) Criterio di von Mises.
Il criterio di von Mises è un criterio di scorrimento che fa riferimento all’energia di
distorsione e suppone pertanto che esiste un valore massimo per il secondo
invariante del deviatore delle tensioni che non deve essere superato.
1
6[ 1 2
( σ −σ ) + ( σ 1−σ 3) + ( σ 2−σ 3 ) ]=k .
2 2 2 2
σ H=
1
oppure
√2
√ 2 2 2 2 2 2
( σ x −σ y ) + ( σ x −σ z ) + ( σ y −σ z ) +6 (τ xy +τ xz +τ yz )=σ 0.
Nel caso di taglio puro σ1=-σ3=τ0 e σ2=0, quindi sostituendo si ottiene τ0=k e dunque
σ0
k =τ 0 = =0,577 σ 0 è il limite di snervamento torsionale.
√3
105) Criterio di Tresca.
Il criterio di Tresca è un criterio di scorrimento che si basa sulla massima tensione
σ 1 −σ 3
tangenziale: τ max= =k . Lo scorrimento inizia quando la massima delle tensioni
2
tangenziali principali raggiunge il valore “K”.
Nella prova monoassiale tutte le tensioni sono nulle tranne σ1=σ0, quindi
σ 1−σ 3 σ 0
sostituendo si ottiene k=σ0/2 e dunque = → σ 1−σ 3=σ 0.
2 2
σ0
Nel caso di taglio puro σ1=-σ3=τ0 quindi sostituendo σ 1=k = → τ 0=0,5 σ 0 dunque il
2
criterio di Tresca ammette, a parità di tensione di snervamento, un valore critico
inferiore ed è dunque più cautelativo.
106) Tensione equivalente.
La tensione equivalente, come visto, può essere espressa col criterio di von Mises, e
1
allora σ = √ ( σ 1−σ 2 ) + ( σ 1−σ 3 ) + ( σ 2−σ 3 ) , oppure col criterio di Tresca, e allora
2 2 2
√2
σ =σ 1−σ 3 .
ottiene ε =
√
2 2 2 2
( ε + ε +ε ), mentre facendo considerazioni analoghe per le velocità di
3 1 2 3
2
√
deformazione si ottiene ε̇ = ( ε̇ 21+ ε̇ 22 + ε̇ 23) derivando rispetto al tempo entrambi i
membri.
3
' 2
dε 1 =dλ ∙ σ 1=dλ ( σ 1−σ m )= dλ σ 1−
3 ( σ 2+ σ 3
2
, )
' 2
dε 2 =dλ ∙ σ 2=dλ ( σ 2−σ m )= dλ σ 2−
3 (σ 1 +σ 3
2
, )
' 2 σ 1 +σ 2
dε 3 =dλ ∙ σ 3=dλ ( σ 3−σ m )= dλ(σ 3− ).
3 2
Dunque
dε 1−dε 2 dε 1−dε 2 dε 2 −dε 3 dε 3−dε 1 2 2
dε 1 −dε 2=dλ ( σ 1−σ 2 ) ↔ dλ= → = = =dλ→ ( dε 1−dε 2 ) + ( dε 2 −dε 3 ) + ( dε 3−dε 1
σ 1−σ 2 σ 1−σ 2 σ 2 −σ 3 σ 3−σ 1
, quindi estraendo la radice quadrata a entrambi i membri e ricordando la
deformazione equivalente e la tensione equivalente secondo von Mises si ottiene
3 1 3 dε
dλ= d ε∙ = , quindi
√2 √2 σ 2 σ
dε 1 =
dε
σ (
σ 1−
σ 2 +σ 3
2 ),dε 2=
dε
σ (
σ 2−
σ 1 +σ 3
2 )
, dε 3=
dε
σ (
σ 3−
σ 1+ σ 2
2 ).
σ
dε
è il modulo di plasticità, ricavabile dalla curva di flusso plastico del materiale e
dipendente sia dall’incremento di deformazione equivalente che dalla tensione
equivalente.
108) Deformazione plastica bidimensionale.
In molte lavorazioni plastiche la deformazione avviene in un piano x-y per ragioni
geometriche o per impedire il flusso plastico nella terza direzione z, pertanto le
componenti di deformazione lungo l’asse z perpendicolare al piano sono
trascurabili: εz=γxz=γyz=0τxz=τyz=0 “z” è direzione principale di tensione e si
pone pertanto z=3. Dalle equazioni di Levy-von Mises
dε 3 =
dε
σ (
σ 3−
σ1+ σ2
2 )
=0 → σ 3=
σ 1+ σ 2
2
→ σ 2 <σ 3< σ 1.
( ) ( ) ( )=
−1 −1 −1
A0 A 0− A f A 0 − A f A 0 A0 Af Af A 0− A f
ef = −1= = =r f =r f =r f 1−1+ =r f 1−
Af Af A0 A f Af A0 A0 A0
−1 r
r f ( 1−r f ) = f .
1−r f
1
σ=
√2
√ 2 2 2
( σ 1−σ 2 ) + ( σ 1−σ 3 ) + ( σ 2−σ 3 ) , ponendo 1=direzione assiale, 2=direzione radiale e
3=direzione circonferenziale si ha σ1≠0, σ2=σ3=0 nella prova di trazione, pertanto
ε1=ln(L/L0),
ε2=ln(R/R0)=ln(D/D0),
data la costanza del volume: A0L0=AL, quindi A/A0=L0/L e
π R L0 L
( ) √
L 1 L −1
2 2
R
= ↔ = 0 → ε 2=ln 0 = ln 0 = ε,
π R0 L
2
R0 L L 2 L 2 1
()
Au n L0 Lu L 0 1 n
n
n n
P MAX=s u A 0=σ u Au=K n Au → s u=K n =K n , ma ε u=n=ln → = n → su=K ,
A0 Lu L0 L u e e
dove e=numero di Nepero. Se su,calcolato-su,misurato>±3%, allora la retta non approssima
bene i valori sperimentali, quindi bisogna elaborare una nuova retta.
114) Valori ti tensione e di deformazione ottenuti da una prova di compressione
assialsimmetrica.
La prova di compressione permette di risolver alcuni dei problemi tipici della prova
di trazione; nella prova di compressione è assente la strizione e ciò permette di
aumentare la deformazione ai livelli delle lavorazioni reali e avere lo stato tensionale
simile a quello della maggior parte delle lavorazioni massive (fucinatura,
laminazione). Lo svantaggio della prova di compressione risiede nel fatto che
presenta attrito. Esistono due tipi di prove di compressione: la prova di
compressione assialsimmetrica e la prova Ford o prova di compressione in stato
piano di deformazione. Nelle prove di compressione non si ha strizione, pertanto è
possibile ottenere maggiori deformazioni, soprattutto per i materiali duttili, simili a
quelle che si hanno durante le lavorazioni, tuttavia ci sono dei limiti dovuti
all’attrito. Inoltre lo stato tensionale è simile a quello della maggior parte delle
lavorazioni plastiche massive.
Nella prova assialsimmetrica si pone un provino cilindrico tra 2 piastre lisce, piane e
parallele e lo si sottopone a compressione in assenza di attrito, ottenendo così che il
provino veda aumentare il proprio diametro e diminuire la propria altezza.
( )
D 2 h0
In campo plastico il volume si conserva, pertanto D = h .
0
Nei casi reali il flusso del materiale è ostacolato dall’azione dell’attrito a contatto
con le piastre, mentre è indisturbato a metà altezza, pertanto si forma un
caratteristico profilo del campione a forma di botte (barilottatura). Inoltre, a causa
dell’attrito La deformazione è disuniforme e vicino alle piastre si formano zone a
forma di cono in cui il materiale risulta pressoché indeformato. Quando le due zone
a forma di cono finiscono a contatto si ha un conseguente elevato aumento della
forza richiesta (punto indicato dalla freccia nel grafico, la pendenza cambia
significativamente).
Si tratta di un effetto dovuto all’attrito, pertanto o si correggono i dati ottenuti o si
ferma la prova prima di giungere al contatto. Altre soluzioni sono l’uso del
lubrificante, il quale viene però espulso dalla forza normale ed ha pertanto un
effetto limitato a meno che non si usino piastre con opportune scanalature per
trattenere il lubrificante (oppure si possono realizzare le scanalature sul campione),
o l’esecuzione della prova secondo incrementi successivi di deformazione fino alla
variazione di altezza desiderata e lubrificando dopo ogni incremento (è possibile
eseguire questo tipo di prova poiché ε TOT =∑
i
ei , tuttavia è richiesto molto tempo in
115) Effetto del rapporto D0/H0 sulla curva forza – corsa in una prova di
compressione assialsimmetrica.
La scelta del provino è influenzata dal rapporto D0/H0. A parità di riduzione di
altezza, la forza P richiesta aumenta all’aumentare del rapporto D0/H0, poiché
avere un provino in cui la larghezza prevale sull’altezza comporta una maggiore zona
indeformata in proporzione. Per questo si usano provini con rapporto D 0/H0 piccolo,
tuttavia bisogna stare attenti poiché se D0/H0<0,5 si incorre nel rischio del carico di
punta, ovvero dell’instabilità elastica. La curva P-Δh senza attrito si ottiene
estrapolando la curva con D0/H0=0 da curve con D0/H0 diversi.
116) Curva forza - corsa in assenza di attrito ottenuta da una prova di compressione
assialsimmetrica.
La curva P-Δh senza attrito si ottiene estrapolando la curva quando D 0/H0=0 da curve
con D0/H0 diversi con attrito. Si tratta di una procedura lunga poiché richiede
numerose prove, inoltre bisogna considerare che le estrapolazioni non sempre sono
affidabili. La procedura è la seguente: Si considera un valore della forza P e si traccia
la corrispondente retta orizzontale, la quale intersecherà le diverse curve forza-corsa
ottenute per diversi valori di D0/H0 in punti diversi. Il semiasse verticale inferiore è
relativo ai valori di D0/H0, pertanto nel quadrante inferiore si riportano i punti ΔH-
D0/H0 ottenuti considerando le intersezioni individuate in precedenza. Si può poi
individuare la curva passante per questi punti e, per estrapolazione, il punto di
questa curva relativo a D0/H0=0, il quale sarà anche esso relativo alla forza P e al
quale corrisponderà un valore di ΔH, pertanto nel quadrante superiore si può
riportare il punto ΔH-P relativo alla curva con D 0/H0=0. Ripetendo la procedura
variando il valore di P considerato è infine possibile ottenere la curva forza-corsa in
assenza di attrito, ovvero con D0/H0=0.
118) Curva dei valori equivalenti calcolata da quella ottenuta con la prova di
compressione in stato piano di deformazione.
Poniamo 1=direzione dello spessore della lamiera, 2=direzione della lunghezza
(larghezza piastra deformante) e 3=direzione della larghezza (profondità lamiera).
Nel caso in cui w/b>5 si ha ε3=0, quindi dall’equazione di continuità ε1=-ε2, e inoltre
σ 1 +σ 2 σ 1
σ 3= ≈ supponendo trascurabile σ2 (dovuta all’attrito, diminuisce con la
2 2
lubrificazione e con un corretto rapporto t0/b) si ha
ε=
√ 2 2 2 2
3
(ε 1+ ε 2 +ε 3)=
2
√3
2
ε 1= ε cp =1,155 ε cp
√3
σ
( σ 1−σ 2 ) + ( σ 1−σ 3 ) + ( σ 2−σ 3 ) = √ σ 1= √ σ cp= cp .
1 3 3
σ=
√2
√ 2 2 2
2 2 1,155
Esiste inoltre una correlazione tra εu e n. In corrispondenza del picco massimo della
curva nominale s-e si ha dP=0, con P=σA, quindi dP=σdA+Adσ=0, quindi
d
σ=-dσ(A/dA)=dσ/dε, dunque K ε u = dε ( K ε u )=Kn ε u → ε u=n.
n n n−1
()
Au n L0 Lu L 0 1 n
n
n
P MAX=s u A 0=σ u Au=K n Au → s u=K n n
=K n , ma ε u=n=ln → = n → su=K ,
A0 Lu L0 L u e e
dove e=numero di Nepero ( su permette di verificare la bontà dei risultati ottenuti
dall’intrpolazione di K e n derivanti dal grafico logaritmico).
Se su,calcolato-su,misurato>±3%, allora la retta non approssima bene i valori sperimentali,
quindi bisogna elaborare una nuova retta. Esistono diversi modelli semplificati per
le curve σ-ε: rigido-plastico ideale, elastico-plastico ideale e elastico-plastico lineare.
Inoltre deformazioni ad alte T possono comportare fenomeni di riassetto dinamico
o ricristallizzazione dinamica, i quali comportano una modifica dell’andamento della
curva, la quale tende in entrambi i casi ad un valore costante della tensione vera al
crescere della deformazione vera.
( )
m
σ 2 ε̇ 2 σ ε̇ σ +∆σ ε̇ ∆σ ε̇
σ =C ε̇ m → = → ln 2 =m ln 2 → ln 1 =m ln 2 → ln(1+ )=m ln 2 , poiché
σ 1 ε̇ 1 σ1 ε̇ 1 σ1 ε̇ 1 σ1 ε̇ 1
∆σ ∆σ ∆σ ∆σ ε̇ 2
→0 , ln (1+ )→ quindi ≈ m ln .
σ1 σ1 σ1 σ1 ε̇ 1
∆σ
Se m=0,01 e ε̇ 2=10 ε̇ 1, allora σ ≈ 0,023=2.3 % , dunque l’effetto della velocità è
1
trascurabile;
∆σ
se m=0,01 e ε̇ 2=105 ε̇ 1, allora σ ≈ 0,115=11,5 %, dunque l’effetto della velocità non è
1
più trascurabile. La relazione appena analizzata è alla base dei jump test, prove in
cui si ha una variazione improvvisa della velocità di deformazione con conseguente
aumento istantaneo Δσ (essendo istantaneo si considera ε costante, così come la T
∆σ ε̇ 2
durante la prova), pertanto si ricava il valore di m dalla relazione σ ≈ m ln ε̇ . I jump
1 1
Q
In alternativa è possibile valutare l’effetto diretto di T: σ =C 2 e RT ,
ε0 ε0 n+1
σ m=valore medio equivalente della tensione e ε 0=deformazione equivalente allo
snervamento (infatti, come detto, non si considera il tratto elastico, dunque si parte
dallo snervamento). Se poi si suppone trascurabile il lavoro che si compirebbe nel
tratto elastico si ottiene
ε
K ε n +1
w ¿=∫ σ d ε= =σ m ε . Partendo dal risultato appena ottenuto si definisce il lavoro
0 n+1
di pura deformazione plastica come W ¿ =w ¿ V =σ m ε V con V=volume di materiale in
deformazione.
trascurato.
∫σ d ε σm ε .
0
∆ T D=β =β
ρc ρc
Nei processi veloci si ha una limitata dispersione del calore, pertanto ΔTD tende al
valore calcolato; nei processi lenti si ha una forte dissipazione di calore, quindi ΔTD
è minore del valore calcolato. Una lavorazione molto veloce può essere considerata
una lavorazione adiabatica, quindi tutto il calore rimane nel pezzo e T aumenta
molto.
128) Lavoro utilizzato nelle lavorazioni per deformazione plastica nel caso reale.
Il solo lavoro di pura deformazione nel caso ideale, come già detto è una sottostima
perche si trascurano gli effetti dissipativi. Nel caso reale si compie lavoro per la
deformazione plastica(def. omogenea), la distorsione della forma che varia in base
al processo e per vincere la resistenza all’attrito. I lavori di distorsione e attrito
sono legati tra loro (no attritono distorsione). Complessivamente
WTOT=Wdef+Wdist+Watt, ma è difficile distinguere Wdist da Watt. Si definisce inoltre il
rendimento della deformazione.
129) Rendimento della deformazione.
Per le deformazioni reali si definisce il rendimento di deformazione come
W¿ W¿ w
η= = = ¿ =0,5 ÷ 0,65.
W TOT W ¿ +W dist +W att w TOT
ε
W¿ 1
Si valuta WTOT tramite η: W TOT = = V ∫σ d ε.
η η 0
d 0−d
Nella pratica si valuta d0
∙ 100 % (positivo per un attrito elevato, negativo per un
basso attrito) a parità di Δh per varie condizioni di attrito. Si effettuano diverse prove
di compressione per diverse condizioni di attrito e si graficano le relative curve
d 0−d
∙ 100 % -Δh%. A volte i punti sperimentali relativi ad una stessa prova si
d0
dispongono secondo più curve, ovvero dopo un certo valore di Δh% il coefficiente di
attrito varia e ciò è riconducibile ad una perdita da parte del lubrificante della sua
capacità di lubrificazione, ovvero alla rottura del velo di lubrificante. Il valore di μ o
di m si ricava confrontando i dati sperimentali con quelli di curve di calibrazione
ottenute mediante analisi teoriche o simulazioni numeriche. Un altro tipo di prova è
la prova di estrusione a doppia coppa, nella quale si generano due coppe di altezza
diversa, una per estrusione diretta e una per estrusione inversa, e si ha che il valore
di μ o di m è legato a r=h 2/h1, con r elevato per valori di attrito elevati e r≈1 per bassi
valori di attrito.
160) Effetto della geometria iniziale del massello sul riempimento degli stampi. La
geometria iniziale del massello deve essere tale da evitare difetti nel riempimento
e con volume maggiore del pezzo finale per consentire la formazione della bava.
Consideriamo, con riferimento all’immagine a lato, la fucinatura obbligata di un
pezzo assial-simmetrico. Durante il processo si avrà la formazione di una superficie
La forza da esercitare risulta crescere sempre durante il processo: resta bassa fino al
riempimento parziale dei dettagli più complessi, poi aumenta notevolmente alla
formazione della bava (cambio di pendenza del grafico forza-corsa) e continua fino
al completo riempimento (2) e oltre, fino alla chiusura completa degli stampi (3).
L’entità della forza finale dipende dalla dimensione della bava. Da 2 a 3 si ha il
riempimento della camera scartabava nel caso il canale funzionasse a dovere,
altrimenti il riempimento della camera potrebbe avvenire prima. Il processo di
asportazione della bava dipende dal tipo di bava: se la bava è esterna al pezzo si
usa un opportuno sistema matrice-punzone che esegue la tranciatura e poi la
raccolta della bava; se la bava è una membrana centrale si usa un opportuno
sistema matrice-punzone che esplica la sua funzione sulla membrana invece che
sul pezzo.
r=distanza dalla fibra neutra, L0=lunghezza della fibra neutra (invariata in lunghezza
rispetto alla configurazione iniziale), R=raggio di piegatura e L=lunghezza della
generica fibra a distanza r dalla fibra neutra. La deformazione varia linearmente con
r e si ha un andamento a farfalla. La fibra più sollecitata è quella più lontana
t
dall’asse neutro (r=t/2, t=spessore), per la quale vale e θ ,max = 2 R . La fibra
corrispondente all’asse neutro è indeformata: e θ ,min =0 .
Il raggio massimo si ottiene imponendo per la fibra più sollecitata la deformazione
di snervamento (per avere una deformazione residua al rilascio bisogna plasticizzare
il materiale, deformazione all’estradosso pari a quella dello snervamento ottenuto
t s0 Et
dalla prova di trazione), ovvero e θ ,max = 2 R e dunque R MAX =
2 s0 .
=e0 =
MAX E
181) Calcolo del raggio minimo di piegatura. Il raggio minimo si ricava imponendo la
deformazione dell’allungamento a rottura per la fibra più sollecitata (basta che si
abbia rottura in un punto e il più soggetto è naturalmente quello più sollecitato, si
impone che la massima deformazione circonferenziale sia pari alla deformazione a
t A%
rottura determinata con la prova di trazione), ovvero e θ ,max = 2 R =e R = 100 , dove A
min
50 t
%=allungamento a rottura percentuale, pertanto Rmin = A % .
Nella realtà la deformazione della fibra esterna è maggiore della deformazione della
fibra interna poiché si ha spostamento dell’asse neutro verso il punzone (verso il
centro di curvatura), dunque si ha la necessità di utilizzare un fattore di sicurezza
nella valutazione di Rmin(di solito 1,4).
182) Ritorno elastico. Le lamiere presentano il fenomeno del ritorno
elastico=parziale ritorno alla forma originale all’apertura degli utensili deformanti.
La causa è la restituzione della componente elastica della deformazione. Esso
pregiudica la precisione dimensionale, pertanto deve essere valutato e si possono
usare opportuni strumenti (FEM) per prevedere la geometria post-ritorno, nonché
tecniche per ridurlo e/o compensarlo. È un problema che viene trattato nello studio
della piegatura delle lamiere. Si ha per pezzi sottoposti a flessione in campo elasto-
plastico e fa sì che αf=angolo di piegatura dopo la rimozione del carico < αc=angolo
di piegatura sotto carico. La causa è la restituzione della componente elastica della
deformazione al rilascio. Riguarda lo spessore deformato solo in campo elastico,
ovvero la parte vicina all’asse neutro e le porzioni in cui le fibre si sono plasticizzate
ma è presente anche la componente elastica.
183) Quantificazione del ritorno elastico. Il ritorno elastico si quantifica con il
rapporto di ritorno elastico e con l’angolo di ritorno elastico.
Il rapporto di ritorno elastico è dato da k=αf/αc=Rc/Rf, dove Rc=raggio di curvatura
sotto carico e Rf=raggio di curvatura al rilascio. Vale 0<k<1, dove 0 corrisponde ad
una deformazione solo elastica, mentre 1 corrisponde ad una deformazione
completamente plastica, ovvero senza ritorno elastico. Realisticamente k non
raggiunge mai il valore di 1.
1
L’angolo di ritorno elastico è dato da ρ=α c −α f =α f ( k −1). L’entità del ritorno
elastico dipende dalla dimensione della regione deformata solo elasticamente,
quindi esistono dei metodi per diminuire tale zona.
r
184) Effetto del raggio di piegatura sul ritorno elastico. Come visto e θ= R , dunque al
diminuire del raggio di piegatura R si ha un aumento della deformazione
tangenziale, pertanto si riduce lo spessore della zona deformata solo
elasticamente, per questa ragione le lamiera vengono spesso piegate con bassi
valori di R, ovvero con elevate curvature. Anche lo spessore della lamiera influisce
t
sul ritorno elastico: e θ ,max = 2 R , pertanto un aumento di spessore comporta un
MAX
D=
√ 4
∑S,
π i i
con Si=area dell’i-esimo elemento della superficie finale.
198) Ironing.
L’ironing serve per uniformare lo spessore della parete laterale dopo l’imbutitura
(in italiano si traduce con stiratura), ma comporta anche l’aumento dell’altezza
della parete. Può essere eseguito come processo a sé stante o durante l’imbutitura.
Si fa passare la parte imbutita attraverso un anello che ne uniforma lo spessore. La
zona superiore della parete laterale è maggiormente interessata poiché ha uno
spessore maggiore rispetto alla porzione inferiore. La riduzione percentuali di
s −s
i f
spessore durante la stiratura si calcola come R %= s 100 % e di solito è dell’ordine
i
piano, detto piano di scorrimento, inclinato dell’angolo ϕ rispetto alla direzione del
moto di taglio (vedere immagine della risposta 211). Il piano di scorrimento è il
piano sul quale la τ raggiunge il valore necessario per provocare la deformazione
plastica di scorrimento.
215) Modello a zone di deformazione. Nel modello a piano di scorrimento si
presuppone che la deformazione sia prodotta nell’attraversamento di un piano,
tuttavia si tratta di una ipotesi priva di basi fisiche perché la deformazione non può
avvenire su piano che non ha spessore. Nella realtà la deformazione avviene
gradualmente in una zona di transizione tra materiale indeformato (pezzo) e
deformato (truciolo) delimitata da due superfici, si parla di zona di deformazione
primaria. Inoltre, sono presenti ulteriori zone di deformazione: una all’interfaccia
truciolo-petto, detta zona di deformazione secondaria, e una nella superficie
lavorata, detta zona di deformazione terziaria.
A C
H
h0 h0 sin φ
rc= = =
modo: h1 cos( φ−γ ) cos (φ−γ) . Il valore di rc è ottenuto sperimentalmente
h0
sin φ
tramite la misura indiretta di h1 eseguita pesando uno spezzone di truciolo (h 1 non è
misurabile in modo diretto senza una consistente incertezza). Il valore di γ è noto,
cos γ
tan φ=
mentre il valore di ϕ si ricava dalla relazione 1
−sin γ ottenuta risolvendo
rc
l’equazione precedente. Sostituendo a rc il valore ottenuto precedentemente si
sin φ
ricava la velocità di flusso v f =r c v T =v T cos( φ−γ) .
- nella direzione parallela e perpendicolare alla faccia del petto: F=R sin δ e
N=R cos δ ;
Come si nota dallo schema sopra riportato i vertici dei triangoli di scomposizione
sono disposti su un cerchio di diametro pare a R detto Cerchio di Merchant (sono
tutti triangoli rettangoli aventi la stessa ipotenusa, pertanto ovviamente i vertici in
cui si incontrano i due cateti di ciascun triangolo appartengono alla circonferenza
avente tale ipotenusa come diametro). Le componenti Ft e Fn sono rispettivamente
la forza principale di taglio, la quale permette la valutazione della potenza
assorbita nel taglio (prodotto scalare tra forza e spostamento, pertanto compare la
componente della forza parallela alla direzione di taglio, ovvero F t), e la forza di
repulsione. Queste due forze sono misurabili sperimentalmente con un
dinamometro. Le componenti N e F consentono la determinazione delle condizioni
di attrito all’interfaccia truciolo petto (angolo δ) (F è nella direzione parallela al
petto, lungo la quale si ha l’attrito). Le componenti Ns e Fs sono importanti per la
determinazione dello stato di sollecitazione a cui il materiale è sottoposto nella
zona di scorrimento (forze con direzioni relative al piano di scorrimento). La
componente Fs viene calcolata, facendo riferimento al modello piano di
scorrimento, come: Fs=τsAs con τs=tensione tangenziale di scorrimento del
materiale e As=area del piano di scorrimento. L’area del piano di scorrimento è
ottenuta da quella del truciolo indeformato A0 considerando il triangolo ADC della
A0 τ A
seconda immagine riportata nella risposta 220: A s= , di conseguenza F s= s 0 . A
sin φ sin φ
τ A
questo punto si calcola la risultante R dalla relazione F s=R cos ( φ+δ−γ )= s 0
sin φ
τ s A0
ottenendo R= . Sostituendo poi il valore di R nelle espressioni di F t e
sin φ cos ( φ+δ−γ )
τ s A 0 cos ( δ−γ )
Fn si ottiene F t=R cos ( δ−γ )= e
sin φ cos ( φ+ δ −γ )
τ A sin ( δ−γ )
F n=R sin ( δ−γ )= s 0 =Ft tan ( δ −γ ). Pertanto il calcolo della risultante R e
sin φ cos ( φ+δ −γ )
delle sue componenti richiede la conoscenza dei valori di τ s (dipendente dal
materiale, da γs, da γ̇ s e T), di γ(caratteristico dell’utensile), di ϕ (ottenuto da γ e
dalla misura sperimentale di rc) e di δ(ottenuto dalla misura sperimentale con
dinamometro di Ft e Fn). La difficoltà è legata al fatto che non è disponibile la
relazione che lega τs alle variabili da cui dipende riportata, ma si ha la possibilità di
stimare τs riferendosi alla pressione di taglio pt.
230) Potenza assorbita nel taglio. La potenza assorbita nel taglio viene calcolata
considerando le seguenti componenti della forza risultante: la forza principale di
taglio Ft, la forza di repulsione Fn e la forza di resistenza all’avanzamento Fa.
L’espressione della potenza di taglio è pertanto W t =F t v t + F a v a + F n v r, tuttavia poiché
Ft>Fa, vt>>va e vr=0 vale W t ≅ F t v t.
231) Aspetti termici nel taglio. Bisogna considerare gli aspetti termici nel taglio.
Quasi tutta l’energia assorbita nel taglio viene trasformata in calore che si sviluppa
entro un volume assai limitato, inoltre devono essere sommati gli effetti termici
dell’attrito. Ne consegue un notevole aumento della temperatura nella zona di
taglio che influenza: la resistenza meccanica dell’utensile, la resistenza a usura
dell’utensile e l’accuratezza della lavorazione (deformazioni termiche). L’energia
t W t t Fvt F
spesa durante il processo di taglio e trasformata in calore è U = MRR = b h v = A = pt ,
0 t 0
233) Labbro d’usura. Il labbro d’usura è provocato dallo strisciamento del dorso
sulla superficie in lavorazione. È sempre presente, in maggiore o minore misura.
Usura sul dorso (fianco) che si manifesta tramite striature parallele alla direzione del
moto di taglio. Influenza la finitura e la precisione. Le principali dimensioni sono la
larghezza, misurata attraverso il valore medio VB e il valore massimo VBmax, la
lunghezza b (misurata lungo il tagliente) e la distanza tra tagliente principale
usurato e originario N.
234) Cratere d’usura. Il cratere d’usura è un cratere causato dall’usura per
( )
1
−1 C
log(vT),quindilog T = n ( log v T −log C )=log v n → T n v T =C , dove C=costante pari alla vT
T
Nella finitura l’obiettivo e quello di ottenere una superficie con finitura desiderata
e pertanto si hanno bassi valori di a (poco materiale da asportare) e vT maggiori
rispetto alla sgrossatura così che il valore di rugosità tende a quello teorico (gli altri
parametri sono più bassi per via del tipo di lavorazione, pertanto è possibile
aumentare vT senza alterare la T in modo compromettente).
240) Funzioni assolte dai fluidi da taglio nelle lavorazioni per asportazione di
truciolo. I fluidi da taglio assolvono alle funzioni di lubrificante e refrigerante, si
parla di fluidi lubro-refrigeranti. L’azione predominante è differente in base al tipo
di lavorazione e ai parametri di taglio: nelle lavorazioni con vT medio-alte (come
tornitura e fresatura) è quella di refrigerazione (perché si generano microsaldature
e quindi non ci sarebbero più scorrimenti da lubrificare), nelle lavorazioni con vT
basse (come maschiatura e brocciatura) è quella di lubrificazione. Altre funzioni
sono quella di favorire l’evacuazione del truciolo dalla zona di taglio e quella di
proteggere le superfici lavorate da ossidazione e/o corrosione.
242) Principali requisiti dei materiali per utensili nelle lavorazioni per asportazione di
truciolo. Anche i materiali per utensili devono avere dei particolari requisiti: una
elevata durezza, in particolare ad elevate T; una elevata tenacità, intesa sia come
capacità di resistere agli urti che sollecitano l’utensile in condizioni di taglio
interrotto, sia come capacità di deformarsi sotto carico prima di rompersi; una
elevata resistenza alla deformazione plastica, la quale può presentarsi a causa delle
elevate sollecitazioni meccaniche e termiche agenti sull’utensile; una elevata
resistenza all’usura, causata dallo strisciamento del truciolo sul petto e della
superficie lavorata sul dorso dell’utensile; una elevata conducibilità termica, allo
scopo di favorire lo smaltimento del calore dalla zona di taglio; un basso coefficiente
di attrito, allo scopo di impedire eccessivi riscaldamenti nella zona di taglio. I migliori
materiali, alla luce di quanto esposto, sono gli acciai al carbonio e gli acciai
debolmente legati, gli acciai rapidi e superrapidi (HSS=High-Speed Steels), le leghe
fuse di cobalto (Stelliti), i carburi metallici sinterizzati, i carburi metallici rivestiti, i
materiali ceramici, il nitruro di boro cubico (CBN) e il diamante policristallino (PCD).
245) Moti caratteristici nella foratura. La foratura consente di ottenere fori con
livello di precisione grossolano. Il moto di taglio è rotatorio continuo, mentre
quello di avanzamento è traslatorio continuo, ma entrambi appartengono
all’utensile. Il moto di lavoro è elicoidale. Si possono ottenere diverse tipologie di
foro: fori cilindrici passanti, cilindrici ciechi (terminano a punta per via dell’utensile
utilizzato), fori svasati (superfici di raccordo con la superficie da cui è partita la
foratura inclinate, a tronco di cono), fori con lamatura (all’imbocco il foro è più
ampio, ma non si raccorda con continuità al resto del foro come nel caso dei fori
svasati), fori conici e fori a profili multipli. L’utensile è la punta elicoidale, un
utensile pluritagliente, e si divide in corpo e codolo. Esistono diversi tipi di trapano:
a colonna o radiale.