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DIPARTIMENTO DI ………………………….

Corso di Laurea
in ……………………………………….

Relazione Finale
TITOLO RIGA 1
TITOLO RIGA 2
TITOLO RIGA 3

Relatore: Chiar.mo Prof. …………….


(Correlatori: Chiar.mo Prof. ……………..
Ing. ………………………….)

Laureand_:
_______________
Matricola n. ________

Anno Accademico 20--/20--

Capitolo 1. Colata in ghisa di grandi spessori e problematiche ad essi collegate


• Ghisa, breve analisi del materiale
• Solidificazione
• Sottoraffreddamento costituzionale
• Nucleazione
• Energia libera di Gibbs
• Crescita e stabilità dell’interfaccia
• Strutture cellulari
• Strutture dendritiche
• Influenza del tipo di diagramma di fase
• Effetto del sottoraffreddamento costituzionale
• Effetto della velocità di solidificazione
• Solidificazione rapida
• Strutture di solidificazione dell’eutettico
• Classificazione degli eutettici
• Intervallo compositivo operativo
• Colata in sabbia
• Forma
• Canali di colata
• Alimentazione del getto
• Preparazione del bagno fuso

Capitolo 2. Simulatore
• Presentazione ProCast
• Personalizzazione parametri
• Mesh
• Cast
• Gravità
• Volume manager (caratterizzazione materiali)
• Interface HTC manager (gestione interfacce)
• Process condition manager (parametri volumi)
• Simulation parameters (tutte le impostazioni inerenti a come Procast
gestirà la simulazione)
Capitolo 3. Analisi colata reale e confronto con simulazione
• Studio della geometria pezzo
• Progettazione colata
• Analisi modulo termico
• Studio alimentazione
• Collaudo pezzo (analisi risultati e confronto con la simulazione)
• Controlli non distruttivi
• Controlli distruttivi (?)
• Commento ai parametri di simulazione usati e scelta nuovi parametri
Capitolo 4. Risultati
• Confronto nuova simulazione con risultati procedenti
• Andamento temperatura
• Analisi porosità
• Analisi fasi
• Verifica validità risultati ottenuti tramite confronto con nuova colata

Abstract
L’oggetto principale della tesi è la caratterizzazione al simulatore di processi di
colata di getti in ghisa con grandi spessori in forma in sabbia.
Inizialmente è stata effettuata un’indagine bibliografica sul programma di
simulazione ProCast, il programma di simulazione numerica FEM (dall’inglese
Finite Element Method, metodo degli elementi finiti) utilizzato nel corso del
progetto di tesi, si è quindi proceduto ad analizzare le problematiche relative
all’influenza dei parametri del processo fusorio (composizione chimica,
trattamento del bagno, velocità di raffreddamento) sulle proprietà microstrutturali
del getto ottenuto.
Successivamente si è scelto un getto dotato delle caratteristiche ricercate (peso
elevato e spessori elevati) e si è proceduto allo studio della sua realizzazione in
forma in sabbia legata, si è studiato il suo sistema di alimentazione, il
posizionamento delle termocoppie e dei provini. Infine si è proceduto alla
realizzazione dell’attrezzatura sperimentale ed alla colata. Ottenuto il grezzo si è
proceduto ad analizzarne lo stato microstrutturale e una valutazione delle
porosità da ritiro tramite controlli non distruttivi (analisi al microscopio di campioni
ricavati dai provini, analisi della durezza superficiale, analisi delle difettosità
interne al getto tramite controllo agli ultrasuoni).
Successivamente i risultati ottenuti sono stati utilizzati per eseguire l’allineamento
dei risultati della simulazione della colata del getto al simulatore tramite la
personalizzazione dei materiali (composizione chimica della lega, della sabbia e
degli accessori) e dei parametri di colata.
Infine, allo scopo di verificare l’affidabilità dei parametri trovati, si è proceduto
effettuando un nuovo studio al simulatore per un ulteriore getto, sempre
caratterizzato da elevata massa e di grande spessore, ma con differente
geometria. Il quale è stato successivamente analizzato come in precedenza
tramite controlli non distruttivi allo scopo di valutarne lo stato microstrutturale e
individuare la presenza di porosità interne.
I risultati ottenuti della simulazione sono stati confrontati con i dati sperimentali
ricavati dall’analisi del getto, ciò ha permesso di verificare la validità di quanto
previsto dal simulatore.
Introduzione
La ghisa è una delle leghe più utilizzate nella storia dell’uomo. Nonostante ciò,
negli ultimi decenni si è assistito ad una ulteriore evoluzione nelle sue tecnologie
di produzione che ha portato al miglioramento delle sue proprietà ed
all’ampliamento del suo campo di applicazione. La sua diffusione è legata sia alle
sue peculiari proprietà tecnologiche e fisiche quali la buona colabilità, la ridotta
contrazione volumetrica durante la solidificazione, la buona lavorabilità alle
macchine utensili e l’elevata conducibilità termica, sia alle interessanti proprietà
meccaniche e di resistenza ad usura. Tali proprietà, possono essere variate in un
ampio intervallo, agendo sui parametri di processo che influenzano la formazione
delle microstrutture.
Tuttavia gli incrementi dei costi dell’energia e delle materie prime registratisi negli
ultimi anni hanno reso prioritaria l’ottimizzazione dei processi fusori, questo ha
favorito lo sviluppo e la diffusione dei programmi di simulazione di processi di
colata sempre più sofisticati, in grado di prevedere i fenomeni che vengono ad
instaurarsi nella forma e calcolare le caratteristiche fisiche e le difettosità del
getto che si arriverà ad ottenere, consentendo di progettare una colata
interamente al calcolatore prima di procedere alla sue effettiva realizzazione
garantendo un risparmio in termini di tempo e materiali ed eliminando il rischio di
ottenere getti scarti.
Lo scopo del lavoro di tesi è la caratterizzazione al simulatore di processi di
colata di getti in ghisa di grandi dimensioni caratterizzati da grandi spessori in
forma in sabbia, dove l’utilizzo della simulazione è ormai d’obbligo dati gli elevati
costi dell’opera, nello specifico di unX XXXXXXXX da XXXkg con spessori fino a
XXXXmm allo scopo di ottenere risultati affidabili e ripetibili.
Inizialmente è stata effettuata un’indagine bibliografica sul programma di
simulazione ProCast, il programma di simulazione numerica FEM (dall’inglese
Finite Element Method, metodo degli elementi finiti) utilizzato nel corso del
progetto di tesi, si è quindi proceduto ad analizzare le problematiche relative
all’influenza dei parametri del processo fusorio (composizione chimica,
trattamento del bagno, velocità di raffreddamento) sulle proprietà microstrutturali
del getto ottenuto.
In seguito si è proceduto con lo studio del sistema di alimentazione per il getto ed
alla sua realizzazione in forma transitoria in sabbia legata, questo è servito a
raccogliere per raccogliere dati quali: andamento termico del getto mediante il
posizionamento di termocoppie, stato microstrutturale del getto attraverso analisi
microscopiche su campioni prelevati da provini e difettosità da analisi con
ultrasuoni. Questi sono stati poi utilizzati al simulatore per la ricerca
dell’impostazioni che dessero risultati allineati con i dati ricavati
sperimentalmente dal getto.
In seguito si è voluto realizzare una colata di un nuovo getto caratterizzato
anch’esso da massa elevata e grandi spessori e come in precedenza di sono
volti controlli per valutarne lo stato microstrutturale, le difettosità e l’andamento
termico durante il raffreddamento, quindi si è svolta una simulazione utilizzando
le impostazioni trovate in precedenza. Questi risultati sono stati confrontati con i
dati sperimentali ottenuti dall’analisi della seconda colata per stimarne la validità.
Capitolo 1 - Colata in ghisa di grandi spessori e problematiche ad essi
collegate

• Ghisa, analisi del materiale


Sotto il nome di ghise si intendono le leghe ferro-carbonio con tenore di C tale da
rendere satura l’austenite alla T° eutettica (tra il 2% e il 5,5%), alle quali viene
data forma con la colata o con lavorazioni alle macchine utensili e non con
lavorazioni di deformazione a caldo o a freddo. Sono ottenute per riduzione di
minerali di ferro quali l’ematite (Fe 2O3), magnetite (Fe3O4), siderite (FeCO3) in
altoforno, queste prendono il nome di ghise di prima fusione e, di norma, non
vengono impiegate direttamente, infatti: o vengono affinate per la produzione
dell’acciaio o vengono rifuse allo scopo di ottenere una composizione controllata
per le singole applicazioni.

Figura 1.1 – Ematite, Magnetite e Siderite


Presentano un punto di eutettico (dal greco εὐ, eu- = buono e τήκω, tēkō =
fondere) alla concentrazione in C del 4,3% e in base al tenore di carbonio
vengono diviste in ipoeutettoidiche, eutettoidiche e ipereutettoidiche.
In generale rispetto agli acciai possono vantare una migliore colabilità, maggiore
resistenza alla corrosione, migliore lavorabilità per asportazione di truciolo
(dovuta all’elevato tenore di grafite nella matrice che svolge una funzione
lubrificante che facilita la rottura e la rimozione del truciolo), maggiore durezza
che le conferisce un’ottima resistenza all’usura, ma anche un’elevata fragilità e
scarsa resistenza a torsione e flessione, rendendola inadatta a lavorazioni per
deformazione plastica. Queste proprietà sono dovute alla microstruttura della
ghisa e alla morfologia assunta dal carbonio presente, il cui totale contenuto è in
parte combinato sotto forma di cementite (equilibrio metastabile) e in parte
invece libero sotto forma di grafite (equilibrio stabile), non vale una regola precisa
o assoluta, ma si può affermare che le ghise sono in realtà una mescolanza dei
due sistemi di equilibrio.
A temperatura ambiente, la microstruttura della ghisa può essere caratterizzata
da varie composizioni:
• Cementite primaria e perlite: struttura tipica delle ghise bianche, dure e a
basso contenuto di Si. L’eutettico Fe 3C-austenite si forma a 1131°C e
quando la lega viene raffreddata fino a 723°C l’austenite si trasforma in
una struttura lamellare α-Fe3C. La cementite è un composto di Fe e C
(carburo di ferro Fe3C) presente totalmente nella ghisa bianca e
parzialmente nella trotata; è generata da elementi antigrafittizzanti (Mn,
Cr) o da elevate velocità di raffreddamento. È un costituente duro
(550HB), fragile (A% pari a 0) e difficilmente lavorabile. La perlite è una
fine struttura lamellare composta di fase α ed Fe 3C. La forma naturale
della perlite è quella lamellare, ma attraverso trattamenti termici o con
elementi di lega si può ottenere anche in forma globulare fine. La perlite si
lavora facilmente pur presentando buona resistenza all’abrasione e
influenza notevolmente le caratteristiche meccaniche, con un carico di
rottura di 820MPa, un allungamento percentuale del 25% ed una durezza
intorno ai 200HB.
• Cementite primaria, grafite e perlite: sono le ghise trotate che hanno una
composizione o subiscono un raffreddamento con una velocità tale da
favorire la formazione sia della cementite che della grafite; la rimanente
austenite presente a 723°C si trasforma in perlite.
• Grafite e perlite: questa struttura è tipica delle ghise grigie, che sono
solidificate come un eutettico grafite-austenite e nella quale l’austenite si è
poi trasformata in perlite a 723°C.
• Grafite, perlite e ferrite: si tratta generalmente di ghise grigie con grano più
grosso e che hanno quindi minori caratteristiche meccaniche; il contenuto
di Si è alto. In questa lega l’eutettico grafite-austenite è raffreddato
abbastanza lentamente attraverso l’orizzontale eutettoidica, lasciando una
matrice di ferrite; parte dell’austenite si trasforma invece in perlite. La
ferrite contiene una piccola percentuale di C ed è un costituente tenero
(100HB circa), poco resistente ma duttile (carico di rottura pari a 340MPa
e allungamento intorno al 40%) e anche poco resistente all’usura. La sua
presenza nella ghisa è generata da elementi grafitizzanti (Si e Ni). È un
costituente non gradito per alcune applicazioni (ghise resistenti all’usura)
o provocato ad arte per altre applicazioni (ghisa malleabile).

Figura 1.2 - Diagramma di stato Fe-C


• Grafite e ferrite: questo tipo di ghisa ha un alto contenuto di Si; l’eutettico
grafite-austenite si raffredda abbastanza lentamente, lasciando una
matrice completamente ferritica. Una ghisa siffatta ha una bassa durezza
ed è facilmente lavorabile alle macchine utensili; la ferrite presente
contiene Si e Mn disciolti. [1]
La grafite, conferisce alla ghisa caratteristiche di resistenza all’attrito, proprietà
antigrippanti e parzialmente autolubrificanti, resistenza all’ossidazione e
particolari caratteristiche di colata, fluidità e ritiro. Tutte queste peculiarità sono
influenzabili e influenzate sia dalla quantità che dalla forma della grafite, che può
essere lamellare, con lamelle più o meno grosse, fino a diventare sferoidale. Per
quanto riguarda la forma della grafite, quella dendritica dà sempre origine a
pessime proprietà meccaniche e si è sempre cercato di evitarla, tentando invece
di ottenere forme lamellari o nodulari. È evidente che la grafite, anche nelle sue
forme strutturalmente migliori, non può che peggiorare le proprietà meccaniche
in generale e specialmente quelle di duttilità e resistenza agli urti della matrice.
Le ghise per fonderia di getti, dette talvolta ghise di seconda fusione, possono
essere classificate secondo criteri differenti in base all’aspetto della frattura, ai
costituenti microstrutturali o a particolari proprietà. I parametri principali che
influenzano la struttura finale a temperatura ambiente sono la percentuale di
carbonio e quella di silicio. Il comportamento è indicato nel diagramma di Maurer
in Figura1.3 che si riferisce a dei provini cilindrici di diametro 40 mm colati in
terra di fonderia. [2]

Fig.1.3 - Diagramma di Maurer


Nel contesto di applicazioni che vedono l’utilizzo della stessa lega, ed anche
all’interno dello stesso getto, a causa di diversi spessori e modalità di
asportazione di calore, si possono avere velocità di raffreddamento molto diverse
e quindi modalità di solidificazione che possono avvicinarsi a sistemi metastabili
(solidificazione rapida, formazione di cementite, ghise bianche) oppure stabili
(solidificazione lenta, formazione di grafite, ghise grigie).
Tuttavia, nella definizione delle microstrutture, occorre distinguere fra gli effetti
correlati alle velocità di raffreddamento durante distinte fasi del processo ed in
diverse zone del getto. Durante la solidificazione, le velocità di raffreddamento
hanno influenza principalmente sulla dimensione dei grani, mentre durante la
trasformazione eutettoidica in fase solida, le velocità di raffreddamento
influenzano principalmente il rapporto fra ferrite e perlite nella matrice metallica.
Con elevate velocità di raffreddamento, associabili ad una trasformazione
eutettoidica di tipo metastabile, si promuove la formazione di perlite del getto.
D’altra parte, un incremento delle velocità di raffreddamento durante la
solidificazione, causando un affinamento del grano, può favorire indirettamente la
formazione di ferrite. Questo fenomeno dipende principalmente dal meccanismo
di accrescimento della ferrite, governato da leggi di diffusione del carbonio nel
solido attraverso la fase austenitica.
Anche la composizione chimica ha una forte influenza sulla microstruttura, come
già detto pocanzi le microstrutture sono classificate in base alla morfologia
assunta dal carbonio, tuttavia il suo tenore non è l’unico fattore che la influenza,
infatti la presenza di altri elementi, detti elementi di lega, va ad alterare
l’evoluzione della microstruttura durante la solidificazione, da cui la necessità di
equiparare l’influenza dei vari elementi di lega con il carbonio. Per farlo si è
ricorsi al concetto di Contenuto di Carbonio Equivalente, sostanzialmente si tratta
di convertire la percentuale di altri elementi di lega nell’equivalente percentuale di
carbonio stimandone l’effetto grafitizzante o cementizzante, per determinare se
la lega è ipoeutettica, eutettica o ipereutettica.
In particolare il Silicio (Si) ed altri elementi minori come Ni e Al promuovono in
generale una tendenza alla formazione di grafite secondo una trasformazione
eutettica stabile, mentre al contrario altri elementi come Cr, Mn, V, Ti
promuovono la formazione di cementite secondo una trasformazione
metastabile. In figura si riporta un diagramma che mette in correlazione
composizione chimica (C%, Si%) e velocità di raffreddamento sulle tipologie di
ghise e relative microstrutture.
Figura 1.4 - Influenza di Composizione Chimica (C%, Si%) e Velocità di
raffreddamento sulle microstrutture caratteristiche delle ghise
Composizione chimica e velocità di raffreddamento non sono gli unici parametri
che influenzano le caratteristiche microstrutturali delle ghise. Anche le modalità
di trattamento del bagno di lega sono uno dei parametri di processo
fondamentali. Attraverso la dispersione nella lega di particelle di diverso
materiale, dette inoculanti, le quali fungono da centri di nucleazione eterogenea,
le modalità di solidificazione della lega e di formazione delle microstrutture
possono venire profondamente modificate. Il trattamento di inoculazione è
largamente impiegato nella pratica fusoria delle ghise e viene solitamente
effettuato inserendo nel bagno di lega piccole quantità di leghe di Fe-Si insieme
a particelle di Ca, Al, Ba, Terre Rare, etc. portando ad un affinamento del grano
e promuovendo trasformazioni eutettiche stabili. Nel caso specifico delle ghise
sferoidali (GS), al trattamento di inoculazione si affianca il trattamento di
sferoidizzazione, che consiste nella dispersione di magnesio nel bagno di lega.
L’aggiunta di magnesio modifica profondamente le modalità di nucleazione e
crescita della fase grafitica, la quale, assumendo forma sferoidale, influenza, di
conseguenza le morfologie delle microstrutture delle altre fasi.

1.2 Solidificazione
La solidificazione è il passaggio della materia dallo stato liquido allo stato solido,
è uno dei processi di produzione più antichi (i primi manufatti rinvenuti, ottenuti
tramite fusione di metalli risalgono al 4000 a.C.), ma tuttora di fondamentale
importanza nei processi fusori, infatti la microstruttura risultante dalla
solidificazione può essere quella finale del getto, in tal caso ne determinerà le
proprietà meccaniche, in caso contrario è possibile eseguire trattamenti termici
sul prodotto solido per andare ad alterarne la microstruttura ottenuta dalla
solidificazione, tuttavia la qualità della microstruttura ottenuta da questi
trattamenti è fortemente dipendente dalla qualità della microstruttura ottenuta
dalla solidificazione. Spesso per comprendere il comportamento della lega
liquida durante la solidificazione si ricorre ai diagrammi di stato d’equilibrio,
tuttavia questi sono validi solo in condizione di potenziali chimici e temperatura
uniformi in tutto il sistema, in questi casi, al trascorrere del tempo non avvengono
mutazioni nella sostanza, il diagramma di stato fornisce la composizione
omogenea delle fasi liquida e solida e la frazione delle fasi può essere calcolata
con la regola della leva. Queste condizioni esistono solo quando la velocità di
solidificazione è molto minore della velocità di diffusione, pertanto richiederebbe
una solidificazione estremamente lenta. Nei normali processi produttivi la
solidificazione non avviene all’equilibrio poiché nella maggior parte dei getti si
instaurano gradienti di temperatura e di composizione attraverso il getto. La
termodinamica elementare dimostra che un liquido non può solidificarsi a meno
che non si verifichi un certo sottoraffreddamento al di sotto della temperatura di
equilibrio (fusione) Te. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la cinetica
complessiva di solidificazione può essere descritta con sufficiente accuratezza
utilizzando la condizione di equilibrio locale, cioè utilizzando le equazioni di
massa, energia e trasporto di specie per esprimere la variazione di temperatura
e composizione all'interno di ogni fase e utilizzando i diagrammi di fase di
equilibrio per valutare la temperatura e la composizione dei limiti di fase, come
l'interfaccia Solido/Liquido (devono essere apportate correzioni per la curvatura
dell'interfaccia). La maggior parte delle trasformazioni di fase, ad eccezione delle
trasformazioni massicce (senza partizioni) e martensitiche, può essere descritto
con la condizione di equilibrio locale. Quando la fase stabile non può nucleare o
crescere abbastanza velocemente (ad esempio, transizione dal grigio al bianco
nella ghisa), può verificarsi un equilibrio locale metastabile. Sia per l'equilibrio
locale stabile che per quello metastabile, i potenziali chimici dei componenti
attraverso l'interfaccia devono essere uguali per il liquido e per il solido. Tuttavia,
in caso di sottoraffreddamento generale, la velocità di solidificazione supera la
velocità di diffusione degli atomi di soluto nella fase liquida (rapida
solidificazione). Il soluto è intrappolato nel solido a livelli superiori alla solubilità di
equilibrio. Tipicamente, per l'intrappolamento dei soluti, la velocità di
solidificazione deve superare i 5 m/s.
Sottoraffreddamento costituzionale (solutivo). Durante la solidificazione della
lega, il soluto viene espulso dal solido. Ciò può essere compreso dal diagramma
di fase in Figura 1.5.a. Per una data temperatura, T*, la composizione del solido,
CS, è inferiore a quella del liquido, C L, in equilibrio con il solido. Il rapporto k =
CS/CL è chiamato coefficiente di partizione. Per il caso in figura (dove le
temperature di equilibrio diminuiscono con l'aumentare della composizione della
lega) k<1. La pendenza della linea del liquidus è m L=dTL/dCL, dove TL è la
temperatura del liquidus. A causa del rigetto del soluto, all'interfaccia S/L si forma
uno strato limite, più ricco di soluto rispetto al liquido di massa. Una diretta
conseguenza di questo fenomeno è che la temperatura del liquidus è più bassa
vicino all'interfaccia che lontano da essa (Figura 1.5.b). Il flusso di calore dal
liquido al solido impone un gradiente termico (G T) che detta la temperatura locale
nel fuso. Se il gradiente termico è inferiore al gradiente di liquidus (G L) (la
tangente a TL all'interfaccia S/L), come nel caso mostrato in Fig. 1.5.b, la
temperatura nello strato limite sarà inferiore alla temperatura di equilibrio
liquidus. Pertanto, ne risulterà una regione costituzionalmente sottoraffreddata.
La dimensione del sottoraffreddamento costituzionale locale (solutale) può
essere calcolata in funzione della composizione locale come:

Sotto-raffreddamento = ΔT = Tin raffreddamento - Tliquidus = mL (C*L – C0)


dove ΔT è il sotto-raffreddamento costituzionale, C* L è la composizione del
liquido, C0 è la composizione della lega all'inizio della solidificazione, e gli altri
termini sono definiti come in precedenza.

Figura 1.5.a - Angolo sinistro di un diagramma di fase. C , composizione


E

eutettica; C , composizione del liquido; C , composizione del solido; C , massima


L S SM

solubilità in solido; T*, temperatura interfaccia; T , temperatura di liquidus; T ,


L S

temperatura solida
Figura 1.5.b - Formazione di una regione costituzionalmente sottoraffreddata
(area tratteggiata) nel liquido vicino all'interfaccia solido/liquido a causa della
minore temperatura di liquidus prodotta dal più alto contenuto di soluto
Nucleazione. È conveniente classificare i tipi di nuclei disponibili nel fuso come
risultanti da nucleazione omogenea, nucleazione eterogenea e nucleazione
dinamica. La nucleazione omogenea, che implica che la crescita sia iniziata su
substrati aventi la stessa chimica del solido, non è comune nella fusione delle
leghe. La nucleazione eterogenea si basa sull'ipotesi che lo sviluppo della
struttura dei grani avvenga su una famiglia di substrati di chimica diversa da
quella del solido. La nucleazione eterogenea si verifica quando le particelle di
substrato vengono deliberatamente introdotte in un fuso per promuovere la
formazione di grani equiassici. Questa pratica detta inoculazione, come vedremo
in seguito, è comune nella lavorazione liquida delle leghe metalliche. La
nucleazione dinamica si verifica a causa dell'azione delle correnti convettive
all'interno del fuso. L'azione di raffreddamento iniziale dello stampo può indurre
la formazione locale di grani solidi, questi vengono quindi trasportati nella massa
dal flusso del fluido, sopravvivono e crescono nel liquido sottoraffreddato. Questo
è chiamato meccanismo del big bang. Un altro possibile meccanismo per la
nucleazione dinamica prevede la frammentazione dei cristalli esistenti attraverso
la maturazione e la rifusione locale di dendriti colonnari. I bracci dendritici
staccati sono portati al centro dello stampo da correnti di convezione, se il centro
dello stampo è sottoraffreddato, questi cristalli fungono da nuclei per i grani
equiassici. Il numero di grani individuati dalle tecniche metallografiche al termine
della solidificazione non è necessariamente uguale al numero dei nuclei iniziali,
infatti alcuni nuclei possono ridissolversi a causa di un sottoraffreddamento
insufficiente, mentre altri possono crescere e fondersi, diminuendo così il numero
finale di grani che risulta essere fino al 27% inferiore al numero massimo di grani
sviluppati durante la solidificazione.

Questi processi sono descrivibili anche tramite l’energia libera di Gibbs, una
funzione di stato utilizzata per rappresentare l’energia libera nelle trasformazioni
isotermobariche che determina la spontaneità di una reazione indicando la
capacità del sistema di compiere lavoro.
Come mostrato in figura 1.6 l’energia libera di Gibbs associata alla fase liquida e
quella associata alla fase solida diminuiscono al crescere della temperatura,
invertendosi alla temperatura di fusione (Tm), infatti il sistema tende verso lo
stato più stabile, ossia lo stato con G minore. Si può inoltre notare che la
differenza di G (ΔG) tra le due fasi cambia di segno alla Tm ed è proporzionale al
sottoraffreddamento. ΔG, ad una T generica è definita come:
ΔG = ΔH - ΔT x ΔS (Equazione 1)
Dove ΔH è la variazione di entalpia, ΔT è il sottoraffreddamento e ΔS la
variazione di entropia.
Come detto in precedenza perché ci sia nucleazione è indispensabile che il
metallo liquido sia sottoraffreddato, in tale condizione si ha ΔG<0 e ciò rende la
solidificazione possibile, infatti a temperatura T<T fusione si ha:
ΔGLS(T,p)= ΔGS(T,p)- ΔGL(T,p)<0 (Equazione 2)
Dove ΔGLS è la differenza tra l’energia libera di Gibbs associata allo stato solido
ΔGS e quella associata allo stato liquido ΔGL, ed è la forza che governa la
cristallizzazione in funzione di Temperatura e pressione.
Il processo di nucleazione omogenea non è un processo lineare, infatti i cluster
che vengono a formarsi nella massa liquida possono crescere di dimensioni
diventando embrioni stabili oppure possono ridisciogliersi nel fuso. Quando ad un
cluster si aggiunge un atomo di ha una variazione infinitesima dell’energia libera
di Gibbs (δG) pari a:
(Equazione 3)
dove δnS è la variazione del numero di atomi del cluster, p S è la pressione del
cluster, VS è il volume del cluster, T 0 e p0 sono Temperatura e pressione della
lega mentre c0 è la composizione della lega. Queste variazioni equivalgono
matematicamente a:
(Equazioni 4 e 5)
Sostituendo le equazioni 4 e 5 nell’equazione 3 si ottiene l’equazione 6
(Equazione 6)
Integrando sul raggio del cluster si ottiene la variazione di energia libera di Gibbs
espressa dall’equazione 7
(Equazione 7)
In questa espressione è possibile individuare nel primo addendo un contributo
dato a ΔG dal volume del cluster e nel secondo addendo un contributo dato dalla
sua superficie/interfaccia, dal loro andamento è possibile definire tre casistiche
mostrate in figura 1.7.

Figura 1.7: Andamento di ΔG , ΔG e ΔG al variare del raggio del cluster r : a)


v i c

T>T ; b) T=T ; c) T<T


f f f

T>Tfusione: se la temperatura del metallo è maggiore di quella di fusione, si è in


assenza di sottoraffreddamento, come mostrato in figura 1.7.a, ΔG i e ΔGv hanno
entrambe segno positivo e tendono a crescere all’aumentare del raggio del
cluster provocando il rapido aumento dell’energia dell’embrione e la dispersione
dei suoi atomi nel fuso prima che possa diventare un nucleo stabile.
T=Tfusione: se la temperatura del metallo è uguale a quella di fusione, si è ancora
assenza di sottoraffreddamento, come mostrato in figura 1.7.b in questo caso
ΔGv è nulla, tuttavia ΔGi è ancora positiva e cresce al crescere del raggio
dell’embrione aumentandone l’energia fino al suo discioglimento.
T<Tfusione: se la temperatura del metallo liquido è minore di quella di fusione, si è
in condizione di sottoraffreddamento, in questo caso ΔG i dà ancora un contributo
positivo a ΔG, mentre il contributo dato da ΔGv è ora negativo. Come mostrato in
figura 1.7.c, inizialmente il contributo positivo dato da ΔG i è prevalente sul
contributo negativo dato da ΔG v e la ΔG del cluster tende a crescere
all’aumentare del suo raggio fino al raggiungimento del raggio critico (r c), definito
nell’equazione 8
(Equazione 8)
è il valore del raggio dell’embrione a cui ΔG v diviene maggiore (in modulo) di ΔG i
e in cui si ha il valore massimo raggiunto da ΔG, detto energia di soglia ΔG* e
definita come
(Equazione 9)
è la soglia energetica minima che il cluster deve superare per poter divenire un
nucleo, infatti oltre il raggio critico si ha un’inversione nel comportamento di ΔG
che tenderà non più a crescere all’aumentare del raggio del cluster, come in
precedenza, ma a diminuire, stabilizzando l’embrione che potrà da ora dirsi
nucleo. È doveroso precisare che perché l’embrione possa raggiungere e
superare l’energia di soglia è necessario avere un sottoraffreddamento
sufficientemente ampio, così da avere un valore di raggio critico e di energia di
soglia sufficientemente piccoli.
Per descrivere il processo di solidificazione eterogenea è necessario introdurre il
concetto di angolo di bagnabilità del substrato (θ), definito come l’angolo della
tangente al substrato prodotto dalla sfera di atomi accumulati sul substrato, θ
può variare tra 180° e 0°, per θ=180° si ha nucleazione omogenea, angoli
inferiori si hanno solo con la presenza di un substrato.
In figura 1.8 è schematizzato un embrione in formazione su un generico
substrato, si consideri il volume di embrione che sostituisce quello sferico,
dall’angolo di bagnabilità dipende la frazione di sfera devo considerare, come
visto per la nucleazione eterogenea, per ogni atomo che si aggiunge al cluster e
che ne accresce le dimensioni del cluster si ha una variazione della sua energia
espressa dall’equazione 3

(Equazione 3)
dove δns e (ps-p0) sono definiti come in precedenza ed equivalgono
matematicamente a
(Equazione 5 e 10)
tuttavia diversamente dalla nucleazione omogenea nell’espressione della
variazione del numero di atomi del cluster δn s, compare la funzione f(θ) definita
come
(Equazione 11)
può assumere valori compresi tra 1 (per θ=180) e 0 (per θ=0). Nell’equazione 12
è riportata l’energia associata alla nucleazione eterogenea,
(Equazione 12)
si può facilmente notarne la somiglianza con l’equazione 7, che compare
moltiplicata per la funzione f(θ), è pertanto evidente come l’energia associata alla
nucleazione eterogenea risulti essere sempre minore dell’energia associata alla
nucleazione omogenea, rendendo il processo di nucleazione eterogenea più
stabile e con un’energia di attivazione minore, pertanto sarà necessario un
sottoraffreddamento minore perché l’embrione possa crescere fino a superare il
raggio critico, che resta invariato tra i due processi, e divenire un nucleo stabile.

Crescita e stabilità dell'interfaccia. I campi termici e composizionali all'interfaccia


S/L determinano la morfologia dell'interfaccia. Durante la crescita, si formeranno
perturbazioni locali (instabilità) all'interfaccia S/L. Se le perturbazioni non
possono sopravvivere, l'interfaccia rimane planare (Fig. 1.9 a). Se al contrario
diventano stabili, continueranno a svilupparsi e possono derivarne diverse
morfologie di interfaccia (Fig.1.9 b-d). Nei metalli puri, l'unica fonte di crescenti
instabilità sull’ interfaccia è il campo termico (sottoraffreddamento termico). Nelle
leghe, le instabilità sia termiche che solutali(?) possono aumentare, come
risultato del sottoraffreddamento termico e solutale. Quando il gradiente termico
nel liquido all'interfaccia S/L è inferiore al gradiente di temperatura del liquidus,
ovvero GT<GL (vedi Fig. 1.5 b), il liquido all'interfaccia (T*) è a una temperatura
inferiore rispetto alla sua temperatura di liquidus (T L), pertanto è
costituzionalmente sottoraffreddato. Le instabilità che crescono in questa regione
diventeranno stabili, perché si troveranno a una temperatura inferiore alla loro
temperatura di equilibrio. Continueranno a crescere. Al contrario, se G T>GL,
l'interfaccia rimarrà planare (Fig. 1.9 a). Per un piccolo sottoraffreddamento
costituzionale, le instabilità cresceranno solo nella direzione di solidificazione
(direzione x) e risulterà un'interfaccia cellulare (Fig. 1.9 b e c). Questo è mostrato
in figura 1.10.

Figura 1.9 L’evoluzione della morfologia dell’interfaccia solido/liquido in funzione


della velocità di crescita (V) in un sistema organico trasparente
La transizione planare-cellulare avviene a gradiente G p/c. Man mano che il
sottoraffreddamento costituzionale aumenta a causa del gradiente termico
inferiore, la distanza tra le celle aumenta e può verificarsi anche un
sottoraffreddamento costituzionale perpendicolare alla direzione di crescita (nella
direzione y). Si svilupperanno instabilità ai lati delle cellule, con conseguente
formazione di dendriti (Fig. 1.9 d). Questa è la transizione cellulare-dendrite.
Avviene con un gradiente di temperatura G c/d. Sia la crescita cellulare che quella
dendritica che si verificano dalla parete nella direzione opposta al trasporto di
calore possono essere descritte come crescita colonnare. Se il
sottoraffreddamento costituzionale è maggiore, i grani equiassici possono essere
nucleati nel liquido lontano dall'interfaccia. La transizione da dendritico a
equiassiale avviene a Gd/e. Se il gradiente termico è quasi piatto, cioè G T=0, la
forza motrice per il fronte colonnare sarà estremamente piccola. Ci si aspetta
una struttura equiassiale completa. Tutte le transizioni descritte nel paragrafo
precedente sono controllate dalla composizione iniziale della lega, dalla velocità
di solidificazione (V) e dal gradiente termico. La transizione planare-cellulare
durante la solidificazione allo stato stazionario è governata dal criterio per l'inizio
del sottoraffreddamento costituzionale dato da:
(Equazione 13)
dove k è il coefficiente di partizione, D L è la diffusività del liquido e ∆T0 è la
differenza di temperatura tra l'equilibrio liquidus e solidus della lega di
composizione C0. Se la solidificazione non è allo stato stazionario, ∆T0 viene
sostituito con il sottoraffreddamento ∆T al quale avviene la solidificazione.
Strutture di solidificazione di soluzioni solide
Le leghe sono costituite da un metallo di base, come ferro, alluminio, rame o
nichel, a cui vengono aggiunti altri elementi (soluti) per ottenere le proprietà
desiderate. La più semplice trasformazione da liquido a solido (solidificazione)
avviene quando la soluzione liquida si trasforma in una soluzione solida (Fig.1.11
a). Tuttavia, per molte leghe la solidificazione può essere completata da qualche
altro processo, come una reazione eutettica (Fig. 1.11 b), peritettica (Fig. 1.11 c),
o monotettica (Fig. 1.11 d). I dettagli della solidificazione della soluzione solida
sono importanti per determinare la microstruttura finale e quindi le proprietà del
manufatto. Come mostrato in figura 1.5.a, il liquido ha una composizione diversa
(CL) rispetto al solido (CS) da cui si sta formando (nella figura C L>CS).
Conseguenze di questo fenomeno sono il verificarsi di sottoraffreddamento
costituzionale e segregazione. Il sottoraffreddamento costituzionale è
fondamentale per destabilizzare l'interfaccia S/L e promuovere morfologie
dell'interfaccia diverse da quelle planari. Come dedotto dall'equazione 13, c'è un
contenuto di soluto critico (C0) della lega per una data combinazione di rapporto
GT/V, in corrispondenza del quale l'interfaccia diventa instabile. Questo può
essere presentato graficamente come mostrato in figura 1.12, dove la linea Eq.
13 indica la transizione planare-cellulare.

Figura 1.12 - Transizione a diverse morfologie di interfaccia in funzione del


rapporto temperatura-gradiente/solidificazione-velocità (G /V) e concentrazione
T

del soluto (C ) 0

Man mano che il rapporto GT/V continua a diminuire (o C0 ad aumentare),


l'interfaccia S/L diventa sempre più instabile con successiva formazione di una
struttura dendritica colonnare e quindi equiassiale. La formazione della struttura
dendritica equiassiale richiede la nucleazione di massa. In assenza di
nucleazione di massa, il fronte colonnare continuerà a crescere o, in alternativa,
ad alti sottoraffreddamenti può verificarsi solidificazione amorfa (cioè
solidificazione senza cristallizzazione, chiamata anche formazione di vetro).
Figura 1.11 - Diagrammi di fase binari. L, L1 e L2 sono soluzioni liquide. A e B
soluzioni solide pure. (a) Solubilità solida completa. (b) Solubilità solida parziale
con reazione eutettica. (c) Solubilità solida parziale con reazione peritettica. (d)
Solubilità solida parziale con reazione monotettica

Strutture cellulari.
Quando si verifica un sottoraffreddamento costituzionale, la morfologia
dell'interfaccia S/L diventa cellulare o dendritica. Per condizioni di crescita in cui il
rapporto GT/V è solo leggermente inferiore al rapporto ∆T/DL, l'interfaccia è
cellulare, come mostrato in Fig. 1.9 c per una “lega” organica trasparente che
solidifica come una lega metallica. Per condizioni di crescita in cui il rapporto
GT/V è molto più piccolo del rapporto ∆T/DL, l'interfaccia diventa dendritica
colonnare, come mostrato in Fig. 1.9 d. Le regioni tra cellule e dendriti, ancora
liquide nelle micrografie, si arricchiscono di soluto e producono
microsegregazioni al termine della solidificazione. Le strutture cellulari sono più
spesso osservate nelle leghe diluite dove ∆T è piccolo. Le strutture cellulari
possono assumere tre morfologie caratteristiche: nodi, cellule allungate e celle
esagonali. La struttura cellulare esagonale è osservata molto più frequentemente
del nodo o delle strutture cellulari allungate.
Strutture dendritiche.
La morfologia dendritica è la struttura di solidificazione più comunemente
osservata. Poiché i dendriti sono strutture tridimensionali complesse, le
micrografie a sezione piana devono essere interpretate con attenzione. La Figura
1.13 mostra la struttura dei dendriti di cobalto quando il materiale che circonda i
dendriti è stato rimosso mediante incisione profonda selettiva. La Figura 1.14
mostra la stessa struttura osservata in una sezione piana. Parti di un singolo
dendrite spesso appaiono collegate se viste in una sezione piana. L'elevato
grado di segregazione presente in questa struttura è rivelato dalla mappatura
elementare di cobalto e rame, come mostrato in Figura 1.15. Effetto
dell'orientamento cristallografico. I dendriti sono singoli grani che hanno direzioni
di crescita preferite. La morfologia di un dendrite colonnare è influenzata
dall'orientamento del grano rispetto a quello dell'estrazione del calore, come
mostrato in Figura 1.16, dove la direzione dell'estrazione del calore è verso l'alto.
Figura 1.13 - Micrografia elettronica secondaria della colata di lega Cu-10Co.

Figura 1.14 - Micrografia elettronica secondaria della colata di lega Cu-10Co.

Figura 1.15 - Dendrite ricca di cobalto ottenuta dall'emissione di raggi X

Figura 1.16 - Effetto dell'anisotropia cristallina sulla forma dell'interfaccia nella


crescita direzionale (velocità di crescita di 35 µm/s) dei modelli di crescita di
solidificazione direzionale in film sottili della lega CBr4-8 mol % C Cl .
2 6

Influenza del tipo di diagramma di fase.


La natura del materiale rappresentata dal tipo di diagramma di fase influenzerà
anche le strutture dendritiche. Se il diagramma di fase mostra una solubilità
solida completa (Fig. 1.11 a), la struttura sarà monofase, contenente solo
dendriti. Se il diagramma di fase contiene un eutettico (Fig. 1.11 b), le regioni
interdendritiche saranno composte dall'eutettico a due fasi. La Figura 1.17
presenta una microstruttura a basso ingrandimento di una lega Ni-25Cu (at.%).
La microstruttura appare completamente dendritica. Tuttavia, a un ingrandimento
maggiore, appare evidente una frazione di volume elevato di eutettici
interdendritici. Per le leghe in cui la solidificazione primaria è seguita da una
reazione peritettica, la microstruttura dipende fortemente dai tassi di diffusione
del solido. Quando questa diffusione è lenta, i dendriti sono rivestiti dalla fase
peritettica.
Effetto del sottoraffreddamento costituzionale.
Come mostrato in Fig. 1.12, all'aumentare della quantità di soluto, o al diminuire
del rapporto GT/V, si verifica una solidificazione cellulare-dendritica. Questo
perché il sottoraffreddamento costituzionale è ampio. La Figura 1.12 indica che
per gradienti termici piuttosto ripidi si formeranno dendriti colonnari, mentre per
gradienti poco ripidi solidificano dendriti equiassiali.

Effetto della velocità di solidificazione.


Come sottolineato in precedenza, la velocità di solidificazione è, insieme al
gradiente di temperatura, la variabile più importante che influenza le transizioni
microstrutturali. La variazione della velocità di solidificazione può determinare
che un'interfaccia S/L planare diventi cellulare e quindi dendritica. Inoltre, la
morfologia dei dendriti equiassiali (ramificazione e raggio della punta) dipende in
modo significativo dalla velocità di raffreddamento e/o dal sottoraffreddamento. A
velocità molto piccole il raggio della punta dendritica è molto grande, anche
infinito, nel qual caso si ottiene un'interfaccia planare. All'aumentare della
velocità, il raggio diminuisce e la morfologia cambia da planare a
globulare/cellulare, quindi a regolare dendritico equiassiale. Un ulteriore aumento
della velocità di solidificazione nell'intervallo di solidificazione rapida determina
una transizione da dendriti completamente ramificate a dendriti globulari/cellulari,
e infine di nuovo all'interfaccia planare (stabilità assoluta). La scala dei tempi di
solidificazione influenza anche la spaziatura dei bracci dendritici secondari. La
SDAS (dall’inglese Secondary Dendrite Arm Spacing) è la distanza tra i rami
adiacenti che crescono dal braccio dendritico principale. È direttamente correlato
a determinate proprietà meccaniche. È generalmente accettato che lo SDAS sia
una funzione del tempo di solidificazione locale, t f, descritto da:
SDAS=µ0⋅tf1/3 (Equazione 14)
dove µ0 è una costante specifica del materiale (costante grossolana). È stato
anche riportato che ampi dati sperimentali sulla spaziatura del braccio
secondario si adattano a un'equazione della velocità di raffreddamento SDAS:
- ±0.02
SDAS= µ1∙(Ṫ) 0.34 (Equazione 15)
dove µ1 è una costante specifica del materiale e Ṫ è la velocità di raffreddamento
Ridistribuzione dei soluti e microsegregazione nella solidificazione dendritica.
Il rigetto del soluto dal solido durante la solidificazione che è responsabile della
formazione dello strato limite del soluto (vedi Fig. 1.5 b) produce disuniformità
compositiva attraverso la dendrite durante la solidificazione chiamata
microsegregazione. Per comprendere il meccanismo di formazione della
microsegregazione, si consideri l'elemento di volume che si estende dall'asse del
braccio dendritico al bordo del dendrite finale (alla fine della solidificazione)
mostrato in figura 1.18. La linea spessa nella parte inferiore della figura
rappresenta la variazione di composizione del solido durante la solidificazione.
All'inizio della solidificazione, quando non si forma alcun solido, la frazione solida
è fs=0. Il primo solido a formarsi avrà la composizione kC 0<C0. Supponendo che
non vi sia diffusione in solidi e liquidi di composizione uniforme, la composizione
del solido continuerà ad aumentare con il progredire della solidificazione. Presto
sarà superiore a C0, e quindi raggiungerà la massima solubilità in solido, C SM, e
quindi la composizione eutettica, C E, secondo il diagramma di fase di figura 1.5
a. Il liquido ancora disponibile solidificherà ora come eutettico. La composizione
del solido (la linea spessa in Fig. 1.15) nonché la quantità di eutettico a fine
solidificazione, ƒE, possono essere calcolate con l'equazione di Gulliver-Scheil:
CS=kC0(1 -fS)k-1 (Equazione 16)
Le previsioni dell'equazione di Gulliver-Scheil dovrebbero essere usate con
attenzione. Generalmente l'equazione tende a sottostimare leggermente la
composizione al centro di un dendrite e a sovrastimare la frazione di volume
dell'eutettico (per k<1). Inoltre, se esiste un flusso di fluido esteso attraverso la
zona dendritica, la composizione media dei getti solidificati può essere
significativamente alterata nelle regioni che sono grandi rispetto alla scala
dendritica, in tal caso si parla di macrosegregazione.

Figura 1.18 Modello di microsegregazione che si verifica nel braccio di un


dendrite in crescita. diagramma di fase. C , composizione eutettica; C , massima
E SM

solubilità in solido; f ,frazione solida; f , quantità di eutettico critico; C ,


s E 0

concentrazione critica di soluti; k, coefficiente di partizione

Solidificazione rapida.
La scala di lunghezza microstrutturale delle leghe solidificate generalmente
diminuisce all'aumentare della velocità di estrazione del calore (velocità di
raffreddamento). Il termine solidificazione rapida viene normalmente applicato ai
processi di fusione in cui la velocità di raffreddamento del liquido supera i 100
K/s. Questa definizione è piuttosto vaga perché leghe diverse rispondono in
modo molto diverso a velocità di raffreddamento elevate. Inoltre, alcune
microstrutture osservate nelle leghe solidificate rapidamente possono essere
ottenute mediante raffreddamento lento quando si ottiene un ampio
sottoraffreddamento del liquido prima della nucleazione. Tuttavia, come con i
getti ordinari, molte caratteristiche della struttura di solidificazione possono
rimanere nel prodotto finale. L'effetto delle alte velocità di raffreddamento sulla
morfologia dei dendriti può essere compreso dalla Fig. 29. si vede che
all'aumentare della velocità di raffreddamento nell'intervallo di solidificazione, il
raggio della punta aumenta. Ciò significa anche che la ramificazione diminuisce
e il dendrite equiassiale diventerà globulare/cellulare. Un evento comune in
alcune leghe a solidificazione rapida è un cambiamento nell'identità della fase di
solidificazione primaria rispetto a quella osservata per la solidificazione lenta.
Molti esempi si trovano nelle leghe di alluminio ipereutettiche contenenti elementi
di transizione come ferro, manganese o cromo. Se la lega è ipereutettica, i getti
raffreddati lentamente conterranno intermetallici come Al 3Fe o Al6Mn come fase
primaria. Tuttavia, in condizioni di rapida solidificazione, la fase primaria in
queste leghe è la soluzione solida di alluminio, solitamente presente in una
struttura cellulare con un intermetallico nelle regioni intercellulari. Questa
transizione da una soluzione solida intermetallica a una di alluminio come fase
primaria può essere compresa da un attento esame della cinetica della
nucleazione competitiva e della crescita della soluzione solida intermetallica e di
alluminio. In alcuni casi, un intermetallico che non è riportato sul diagramma di
fase di equilibrio può competere con l'alluminio. Nelle leghe alluminio-ferro, una
fase metastabile, Al6Fe, piuttosto che la fase stabile, Al 3Fe, può formarsi in
alcune condizioni di solidificazione rapida. Questa situazione è analoga alla
comparsa della cementite piuttosto che della grafite in alcune ghise. Come
spiegato in questo capitolo, altre leghe solidificate rapidamente hanno strutture
prive di microsegregazione formate da una trasformazione liquido-solido simile a
una massiccia trasformazione solido-solido (trasformazione senza partizione o
senza diffusione). Il liquido si trasforma in solido senza cambiare la
composizione. Il rapporto tra la composizione solida all'interfaccia e la
composizione liquida è CS/CL=1, piuttosto che il coefficiente di partizione
all'equilibrio. Le velocità richieste per produrre una solidificazione senza partizioni
devono superare i 5 m/s (da 40 a 400 pollici/s). I diagrammi di fase ovviamente
non si applicano in questa situazione.
Strutture di solidificazione dell'eutettico
Gli eutettici sono leghe che hanno una composizione fissa in termini di specie A
e B e solidificano come solidi bifasici (α+β). Il diagramma di fase in figura 1.8 (b)
mostra un punto binario eutettico invariante alla temperatura T E e alla
composizione CE. A questo punto, due fasi solide, a e b, solidificano
contemporaneamente dal liquido, L. La reazione eutettica può essere scritta
come: L-> α+β. È stato osservato che fino a quattro fasi crescono
simultaneamente dalla fusione. Tuttavia, le leghe eutettiche più
tecnologicamente utili sono costituite da due fasi. La particolare morfologia
dell'eutettico è funzione delle condizioni di lavorazione e della natura delle due
fasi.
Classificazione degli eutettici. Sono state proposte molte classificazioni
eutettiche, basate su criteri diversi. Una prima classificazione degli eutettici in
base al loro meccanismo di crescita è:
● Crescita cooperativa: le due fasi dell'eutettico crescono insieme come una
coppia di diffusione.
● Crescita divorziata: le due fasi dell'eutettico crescono separatamente; non c'è
scambio diretto di soluto tra le due fasi solide e nessuna trigiunzione (anche
detta punto triplo).
Gli eutettici cooperativi possono essere ulteriormente classificati in base al
rapporto tra le frazioni delle due fasi dell'eutettico, f α e fβ, e sulla morfologia
dell'interfaccia S/L come mostrato in figura 1.19.
Figura 1.19 - Tipologie di eutettico cooperativo

L'entropia non dimensionale di fusione, ΔS f/R, dove R è la costante dei gas,


viene utilizzato per distinguere tra morfologie sfaccettate e non sfaccettate. Se
una delle fasi non è sfaccettata la morfologia diventa irregolare, perché la fase
sfaccettata cresce preferenzialmente in una direzione determinata da specifici
piani atomici. Inoltre, una fase solida si proietta nel liquido molto prima dell'altra
fase solida. Quando la frazione di volume di una fase è significativamente
inferiore a quella dell'altra (tipicamente <0,28), risulterà una struttura fibrosa.
Questo è il risultato della tendenza del sistema a minimizzare la sua energia
interfacciale selezionando la morfologia associata alla più piccola area
interfacciale. Le fibre hanno un'area interfacciale più piccola delle lamelle.
Tuttavia, quando la fase minore è sfaccettata, può formarsi una struttura
lamellare anche in una frazione di volume molto bassa, poiché piani specifici
possono avere l'energia interfacciale più bassa. La fase minore crescerà quindi
in modo tale da esporre questi piani anche quando si formano lamelle anziché
fibre. I due eutettici commercialmente più significativi, alluminio-silicio e ferro-
grafite, rientrano in questa categoria. Si noti che nell'eutettico ferro-grafite la
frazione grafite è ƒGr=0.07. L'eutettico ferro-grafite può essere sia cooperativo,
irregolare, come nel caso della ghisa a grafite lamellare, sia divorziato, come nel
caso della ghisa a grafite sferoidale (Figura 1.20). In quest'ultimo caso, all'inizio
della solidificazione le due fasi, dendriti di grafite e austenite, crescono
indipendentemente dal liquido senza stabilire una coppia di diffusione.

Figura 1.20 - Eutettico divorziato Fe-grafita sferoidale


Intervallo compositivo operativo.
Dal diagramma di fase eutettico risulta che si può ottenere una struttura eutettica
solo quando la composizione è esattamente eutettica. Tuttavia, sia gli
esperimenti che la teoria mostrano che, a seconda delle condizioni di crescita, si
possono ottenere microstrutture eutettiche a composizioni non eutettiche. Tali
condizioni includono un gradiente sufficientemente ripido o una velocità di
solidificazione lenta durante la solidificazione direzionale.
Figura 1.21 - Zone eutettiche accoppiate:
(a) Zona accoppiata simmetrica (eutettica regolare).
(b) Zona accoppiata asimmetrica (eutettica irregolare).

Ciò è possibile perché l'eutettico cresce più velocemente dei dendriti, poiché la
crescita accoppiata alla diffusione è molto più veloce della crescita dendritica
isolata. Di conseguenza, anche nelle composizioni non eutettiche, l'eutettico può
superare i singoli dendriti, risultando in una microstruttura puramente eutettica.
D'altra parte, ad alte velocità di crescita, i dendriti possono essere trovati in leghe
di composizioni eutettiche. Un'analisi della possibile microstruttura di
solidificazione di una lega binaria può essere effettuata sulla base delle velocità
di crescita delle fasi concorrenti. Sul diagramma di fase in figura 1.21 (a), le tre
regioni ombreggiate che si estendono sotto l'invariante eutettico formano una
zona accoppiata. Questa è una regione di composizione dipendente dalla
velocità di solidificazione in cui l'eutettico cresce più rapidamente, o con un
sottoraffreddamento inferiore, rispetto a α o β dendriti.
Per eutettici regolari la zona accoppiata è simmetrica. Si noti che l'allargamento
della zona accoppiata vicino alla temperatura eutettica si osserva solo nella
solidificazione direzionale (DS), dove il gradiente termico è positivo. Per piccoli
sottoraffreddamenti l'interfaccia S/L è planare. Come mostrato sul lato destro
della Fig. 1.21 (a), anche per una lega ipereutettica che solidifica con un piccolo
sottoraffreddamento, l'eutettico ha la più alta velocità di crescita e viene prodotto
un eutettico planare. A un sottoraffreddamento più elevato, la fase β avrà una
velocità di crescita più elevata e ne risulterà una struttura eutettico-dendritica. A
un sottoraffreddamento ancora più elevato, la velocità eutettica diventerà
nuovamente la più alta. Tuttavia, a causa del sottoraffreddamento, non è
possibile una struttura planare e ne risulterà una crescita accoppiata equiassiale.
Se una delle fasi eutettiche viene sfaccettata, la crescita di questa fase e di
conseguenza quella dell'eutettico viene rallentata. I dendriti dell'altra fase
possono crescere più velocemente a un dato sottoraffreddamento rispetto
all'eutettico, anche per la composizione eutettica. Di conseguenza, microstrutture
puramente eutettiche possono essere ottenute solo a composizioni
ipereutettiche. Questo è esemplificato in Fig. 1.21 (b), per il caso della fase β
sfaccettata. Ne risulta una zona accoppiata asimmetrica. Dalla Fig. 1.21 (a) si
può notare che all'aumentare del sottoraffreddamento, la microstruttura
dell'eutettico cambia da planare a cellulare, dendritica e quindi equiassiale.
Quando la lega solidifica con un'interfaccia cellulare piuttosto che planare, si
formano colonie eutettiche. All'aumentare della velocità di solidificazione, la
microstruttura cambia da colonie con disposizione planare a ventaglio.
Figura 1.22 – (a)colonie di strutture eutettiche lamellari solidificate
direzionalmente. -- (b) colonie di strutture eutettiche lamellari solidificate non-
direzionalmente. -- (c) struttura eutettica lamelare solidificata direzionalmente.
Una sezione normale alla direzione di solidificazione di una struttura di colonia è
presentata in figura 1.22 a. Notare il motivo a nido d'ape delle colonie. Gli strati
scuri e chiari in ciascuna colonia sono rispettivamente fase Mg 2Al3 e Al. Le
strutture delle colonie si osservano anche nei campioni non DS (figura 1.22 b).
La sezione mostra sia l'andamento a nido d'ape (dove il piano metallografico era
normale alla direzione di solidificazione) sia la disposizione a ventaglio (dove il
piano metallografico era parallelo alla direzione di solidificazione). Se il
sottoraffreddamento è elevato, si possono formare grani eutettici equiassici
anche durante la solidificazione direzionale. I confini dei grani sono delineati a
causa della segregazione del fosforo e della formazione di un fosfuro eutettico a
basso punto di fusione. I bordi dei grani non sono facilmente osservabili negli
eutettici che si solidificano con un'interfaccia planare. Ad esempio, il lato destro
della figura 1.22 c,ha l'aspetto di un campione contenente due grani: le lamelle in
un grano sono ad un angolo di circa 40° rispetto alle lamelle nell'altro grano. A
sinistra della microfotografia, invece, i due grani si fondono in uno solo. In altri
eutettici, in particolare quelli in cui la frazione di volume di una fase è ƒ≈ 0,01 a
0,02, saranno visibili i grani della fase predominante. Possono anche essere
prodotte strutture eutettiche bifase accoppiate le cui quantità e le chimiche delle
singole fasi possono essere variate mediante solidificazione di composizioni che
giacciono su o vicino a vasche eutettiche nella superficie del liquidus delle leghe
ternarie. Occorre prestare attenzione durante l'analisi metallografica delle
microstrutture eutettiche. Il sezionamento seriale, le tecniche di estrazione di
fase e l'esame di due sezioni che si incontrano su un bordo comune hanno
rivelato che le microstrutture della maggior parte degli eutettici non possono
essere considerate aggregati di molte particelle discrete di forma semplice di una
fase incorporate in una matrice dell'altra fase o fasi. Piuttosto, se si esaminano le
forme tridimensionali di tutte le fasi, le particelle apparentemente individuali di
ciascuna fase si trovano tipicamente interconnesse in una disposizione
topologicamente complessa. Ulteriori esempi sono forniti per leghe specifiche.
Scala di lunghezza dell'eutettico.
La scala di lunghezza dell'eutettico influisce fortemente sulle proprietà
meccaniche e fisiche dell'aggregato eutettico. Per gli eutettici cooperativi, la
scala di lunghezza è data dalla spaziatura lamellare (interlamellare o interfibra),
che è influenzata dalla velocità di solidificazione, dai gradienti termici, dal
sottoraffreddamento, dal legame atomico, dalle quantità relative, dai fattori
cristallografici, dalle energie interfacciali, dal contenuto di impurità e dalla
composizione della lega. La spaziatura lamellare, λ, e la velocità di
solidificazione sono correlate dalla semplice equazione λ 2V=costante. L'effetto
della velocità di solidificazione è illustrato in figura 1.23. Si vede che la spaziatura
degli eutettici irregolari è significativamente maggiore di quella degli eutettici
regolari. L'aggiustamento della spaziatura eutettica durante la crescita avviene
per difetto.
Figura 1.23 – Confronto della correlazione tra eutettici ed eutettoidi
Due tipi di faglia sono mostrati in figura 1.24. La figura 1.24 (a) mostra una faglia
non netta in cui il numero di lamelle su entrambi i lati della faglia è lo stesso. La
figura 1.24 (b) mostra una faglia netta in cui un lato della faglia ha una lamella in
più rispetto all'altro lato. Questo difetto è analogo a una lussazione estesa in
quanto il numero di lamelle sopra e sotto il difetto differisce di uno. Per gli
eutettici equiassiali, la scala di lunghezza può includere la dimensione del grano
oltre alla spaziatura lamellare. L'identificazione metallografica della granulometria
è specifica della lega.

Figura 1.24 -Sezioni trasversali (a) e (b) di un eutettico piombo-cadmio


solidificato direzionalmente che mostrano la presenza di faglie nelle lamelle.

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