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Livan Fratini
PREMESSA
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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini
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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini
In alcuni tipi di problemi la flow formulation presenterà' la soluzione più' naturale: sarà' il
caso dei processi stazionari in cui la velocità' in un dato punto nello spazio rimane costante.
Di contro a tutto ciò' l'analisi che risulta dalla seconda assunzione è nota come "solid
formulation" .
Da quanto detto il problema da affrontare sarà caratterizzato in modo differente usando le due
diverse formulazione ; in particolare la flow formulation assume che in un determinato stadio del
processo di deformazione la forma del corpo , la distribuzione interna delle temperature, la
microstruttura del materiale ed i valori attuali dei parametri che lo caratterizzano siano noti; il
vettore velocità' è assegnato su una porzione della superficie denominata Su, insieme al vettore
delle forze applicato sulla rimanente parte della superficie SF .
La soluzione di tale formulazione consiste nel determinare la distribuzione degli sforzi e delle
velocità' che soddisfa le equazioni risolutive cui si perviene e le condizioni al contorno .
Per quanto riguarda la solid formulation il problema ha la stessa configurazione ma in più si
suppone nota anche la distribuzione degli sforzi interni ad un dato stadio del processo ; la soluzione
cui si perviene è data in termini di spostamenti e incrementi di tensioni .
Come detto tale impostazione è assolutamente necessaria quando si affrontano problemi di
formatura in cui non è possibile trascurare l'elasticità dei materiali, è questo il caso delle lavorazioni
delle lamiere dove bisogna tenere conto del ritorno elastico del materiale.
Tratteremo in seguito nel dettaglio le due diverse formulazioni cercando di evidenziare le
differenze concettuali che le differenziano cominciando dal diverso modello assunto nella
descrizione del materiale.
Arriveremo quindi alle equazioni risolutive e passeremo alla successiva discretizzazione ad
elementi finiti con la scrittura in forma matriciale delle equazioni stesse; cercheremo, inoltre, di
delineare i diversi giudizi che i vari autori hanno espresso in merito, con le motivazioni del caso .
Si deve evidenziare fin da adesso, comunque, che (come dice Kobayashi) una soluzione
semplificata del problema è quella di trascurare le componenti elastiche delle deformazioni e quindi
valutare le deformazioni plastiche come un problema di flusso.
L'approccio alle problematiche del metal forming che fino a questo momento è stato
introdotto, si fonda su metodologie che presuppongono un'analisi dell'equilibrio quasi-statico del
pezzo che si sta lavorando.
Sicuramente, questo è il modo più naturale di affrontare il problema; così facendo il
soddisfacimento delle condizioni di equilibrio allo stadio in esame (che indicheremo come tempo
t+Dt), che sono espresse da equazioni matriciali non lineari, deve essere ottenuto con un
procedimento iterativo .
Tale formulazione, chiaramente, risulta appesantita dal punto di vista analitico dall'essere non
lineare ed inoltre presenta una risoluzione lenta e impegnativa (ciò a causa, come vedremo, degli
incrementi temporali, che devono essere necessariamente piccoli affinché si abbia una soluzione
sufficientemente significativa ) .
Recentemente è stata sviluppata una nuova formulazione che si fonda sulla risoluzione delle
equazioni di equilibrio dinamico del corpo, questo metodo viene denominato esplicito in quanto le
equazioni risolutive risultano essere esplicite e lineari ( un fatto, questo, molto importante ) .
Come abbiamo detto, la base del procedimento che si segue è la soluzione delle equazioni di
equilibrio dinamico al tempo t: ciò si ottiene tramite uno schema di integrazione esplicita.
Si capisce subito l'efficacia di questo nuovo punto di vista soprattutto dal punto di vista
dell'onere computazionale.
Approfondendo meglio queste tematiche vedremo successivamente anche gli eventuali
problemi che si possono avere in un'analisi di questo tipo (necessità di piccoli incrementi temporali
e pericolo di instabilità della soluzione).
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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini
CAPITOLO 1
PROGETTAZIONE DEI PROCESSI DI FORMATURA
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Per quanto riguarda i primi, facendo ad esempio riferimento ad una lavorazione di forgiatura a
caldo tra stampi semi-chiusi, il problema fondamentale da affrontare per ottenere il successo
dell'operazione è quello del completo riempimento della cavità tra gli stampi: in questo caso il
progettista deve definire la geometria del canale di bava (flash), nonché le dimensioni, la forma e la
posizione iniziale del semilavorato all'interno della cavità. Analogamente in una lavorazione di
stampaggio delle lamiere, ad esempio nel caso, relativamente semplice, di imbutitura di una
vaschetta rettangolare, il progettista dovrà definire la geometria del blank di partenza, dovrà
scegliere i raggi di raccordo del punzone e della matrice, tra i quali, fondamentale, è il raggio di
raccordo in pianta, ed infine dovrà stabilire il gioco tra punzone e matrice.
I parametri operativi relativi al processo invece, sono tutti quei parametri che definiscono, da
un punto di vista tecnologico, le modalità di svolgimento del processo, quali la temperatura di
preriscaldo del semilavorato, la temperatura iniziale degli stampi, le condizioni di lubrificazione
all'interfaccia stampo-pezzo, la velocità con la quale si muovono gli stampi, e, nel caso dello sheet
metal forming, la pressione esercitata sulla lamiera dal premilamiera o la disposizione e la
penetrazione dei rompigrinze.
Sono questi i parametri operativi di processo per così dire tradizionali: lo sviluppo di nuovi
processi di formatura, o di modi innovativi di condurre processi tradizionali, introduce nuovi
parametri operativi. Si pensi, ancora con riferimento al processo di imbutitura di vaschette quadrate,
alla possibilità di impiegare premilamiera (eventualmente segmentati) a comando oleodinamico
gestibili tramite computer: in questo caso l'intero andamento della pressione applicata dal
premilamiera (o da ciascun segmento del premilamiera) durante la corsa del punzone diventa un
parametro operativo da definire in modo opportuno per evitare i problemi opposti di formazione di
grinze nella flangia o di eccessivo assottigliamento fino alla formazione di fratture duttili
nell'imbutito.
E' evidente che la scelta di tali parametri potrà avvenire solo attraverso l'impiego di potenti ed
affidabili metodologie di analisi e di modellizzazione dei processi in grado di assistere il progettista
del processo produttivo evidenziando il ruolo di ciascun parametro operativo sulla meccanica del
processo di deformazione.
In altri termini la modellizzazione del processo, per ogni assegnato set di parametri operativi
geometrici e di processo prescelti, dovrà consentire di stabilire:
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meno, avvicinarsi agli obiettivi prima indicati. La simulazione ha raggiunto oggigiorno un livello di
attendibilità e di affidabilità dei risultati, tale da sostituirsi validamente alle tradizionali tecniche
sperimentali trial and error, comportando, rispetto a queste ultime, un evidente risparmio in termini
di tempi e di costi.
Occorre innanzi tutto evidenziare due aspetti che differenziano in modo preciso il
comportamento elastico ed il comportamento plastico dei materiali:
le deformazioni plastiche sono, per loro natura, permanenti, cioè non scompaiono al cessare
dell'applicazione del carico che le ha provocate, così come avviene per le deformazioni
elastiche;
in campo elastico esiste una corrispondenza biunivoca tra tensioni e deformazioni: noto lo stato
tensionale, da esso è possibile ricavare in modo univoco il campo deformativo e viceversa. Tale
circostanza non è più vera in campo plastico, ove, al fine di valutare lo stato di deformazione
non è più sufficiente conoscere il campo tensionale, ma è necessario analizzare l'intera storia di
carico che ha portato allo stato tensionale finale.
Al fine di chiarire l'aspetto ora citato si osservi la figura 1.1: ad ogni assegnato valore di
tensione σ* possono corrispondere diversi valori di deformazione accumulata e ciò in dipendenza
della storia di carico subita dal materiale. In definitiva in campo plastico il comportamento del
materiale dipende dalla storia di deformazioni (deformation path) che il materiale stesso ha subito;
si suole dire, a tale proposito, che il materiale ha memoria del suo passato.
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Iniziamo a caricare il provino a trazione pura; giunti nel punto A iniziano le deformazioni
permanenti e pertanto, continuando a caricare fino al punto B, il provino accumula deformazioni
normali permanenti (degli allungamenti in altri termini). Il materiale si è incrudito e, nell'ipotesi di
incrudimento perfettamente isotropo, la nuova condizione di plasticità sarà ancora una ellisse più
allargata (curva FB in figura).
Se adesso iniziamo a scaricare, rientrando in campo elastico fino al punto C e
successivamente cominciamo a caricare a torsione fermandoci nel punto D, otterremo, alla fine
della prova solo delle deformazioni normali permanenti. Infatti per quanto riguarda la torsione, ci
siamo fermati nell'istante in cui stavano per raggiungersi condizioni di deformazione plastica, ma le
deformazioni impresse fino a questo punto sono esclusivamente elastiche.
Analizziamo ora un diverso ciclo di carico su di un materiale nuovamente allo stato ricotto,
iniziando questa volta a caricare a torsione. Giunti nel punto E entriamo in campo plastico e,
caricando fino al punto F accumuliamo sul pezzo deformazioni tangenziali permanenti (degli
scorrimenti in questo caso). Se adesso scarichiamo sino al punto H e poi iniziamo a caricare a
trazione fino ad arrivare al punto D, avremo ottenuto sul pezzo alla fine della prova solo delle
deformazioni permanenti di tipo scorrimento, mentre gli allungamenti sono soltanto elastici.
E' pertanto possibile concludere che, pur se con i due cicli di carico analizzati siamo arrivati
allo stesso stato tensionale finale, lo stato deformativo ottenuto è completamente differente, appunto
dipendentemente dal cammino di deformazione percorso. Tale risultato conferma la validità
dell'affermazione esposta in precedenza: in campo plastico il materiale conserva memoria del suo
passato e pertanto al fine di valutare lo stato deformativo del pezzo è necessario ripercorrere l'intera
storia di carico.
Le considerazioni esposte sino a questo punto costituiscono il punto di partenza per
determinare un set di equazioni che leghino le tensioni e le deformazioni in campo plastico nel caso
generico di stato tensionale e deformativo tridimensionale.
Le equazioni tensioni-deformazioni in campo plastico devono presentare alcune
caratteristiche peculiari:
in primo luogo le equazioni devono avere carattere incrementale: si è visto infatti che in campo
plastico è necessario seguire il cammino di deformazione per incrementi successivi al fine di
pervenire alla conoscenza dello stato deformativi e tensionale;
in campo plastico non sono ammesse variazioni permanenti del volume; la condizione di
invariabilità del volume
εvolume=ε1+ε2+ε3=0 (1.30)
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si traduce, applicata alle equazioni sopra riportate, nell'imporre che in campo plastico il modulo
di Poisson sia eguale a 0.5;
infine la natura tipicamente non lineare del legame reologico in campo plastico richiede che al
posto della costante E sia presente una quantità variabile, in grado di tener conto del cammino di
deformazione che il materiale ha già percorso (ed in particolare dell’incrudimento che ha già
subito).
⎡ 1 ⎤
dε 1 = dλ ⎢σ 1 − (σ 2 + σ 3 )⎥
⎣ 2 ⎦
⎡ 1 ⎤
dε 2 = dλ ⎢σ 2 − (σ 3 + σ 1 )⎥ (1.1)
⎣ 2 ⎦
⎡ 1 ⎤
dε 3 = dλ ⎢σ 3 − (σ 1 + σ 2 )⎥
⎣ 2 ⎦
E’ immediato osservare che nelle equazioni (1.1) il compito di tener conto della storia
deformativa pregressa del materiale è appunto affidato al termine dλ.
In merito alla definizione di tale termine, va certamente ricordato il contributo offerto dagli
studiosi Levy e von Mises, i quali, procedendo del tutto indipendentemente tra loro, pervennero ad
un set di equazioni tensioni-incrementi di deformazione valide per il campo plastico, caratterizzate,
appunto, da una opportuna definizione del termine dλ.
Secondo Levy e von Mises, esiste una relazione di proporzionalità tra le componenti dei
tensori incremento di deformazione e deviatore delle tensioni, ed il parametro che definisce tale
relazione di proporzionalità è, istante per istante, proprio il modulo dλ. Si ha cioè, con riferimento
alla terna principale:
dε 1 dε 2 dε 3
= = = dλ (1.2)
σ '
1 σ '
2 σ 3'
dε 1 = dλ ⋅ σ 1'
⎛ σ + σ2 + σ3 ⎞ 2 ⎛ σ + σ3 ⎞ (1.3)
dε 1 = dλ ⋅ ⎜ σ 1 − 1 ⎟ = dλ ⋅ ⎜ σ 1 − 2 ⎟
⎝ 3 ⎠ 3 ⎝ 3 ⎠
2 ⎡ ⎤
dλ ⎢σ 1 − (σ 2 + σ 3 )⎥
1
dε1 =
3 ⎣ 2 ⎦
2 ⎡ ⎤
dλ ⎢σ 2 − (σ 1 + σ 3 )⎥
1
dε 2 = (1.4)
3 ⎣ 2 ⎦
2 ⎡ ⎤
dλ ⎢σ 3 − (σ 1 + σ 2 )⎥
1
dε 3 =
3 ⎣ 2 ⎦
dε 1 − dε 2 dε 2 − dε 3 dε 3 − dε 1
= = = dλ (1.5)
σ1 − σ 2 σ 2 −σ3 σ 3 − σ1
1
σ = (σ1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3 )2 + (σ 3 − σ1 )2 (1.7)
2
2
dε = (dε1 − dε 2 )2 + (dε 2 − dε 3 )2 + (dε 3 − dε1 )2 (1.8)
3
3 dε
dλ = (1.9)
2σ
Il set di equazioni (1.4) può quindi essere definitivamente scritto nella forma:
dε ⎡ ⎛ σ + σ 3 ⎞⎤
dε 1 = ⎢σ1 − ⎜ 2 ⎟⎥
σ ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦
dε ⎡ ⎛ σ + σ ⎞⎤
dε 2 = ⎢ σ 2 − ⎜ 3 1 ⎟⎥ (1.10)
σ ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦
dε ⎡ ⎛ σ + σ 2 ⎞⎤
dε 3 = ⎢σ3 − ⎜ 1 ⎟⎥
σ ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦
dε
dε 1 = σ1 (1.11)
σ
ed anche, integrando:
σ1 σ
= (1.12)
ε1 ε
Alla luce di quest’ultima relazione, il diagramma tensioni-deformazioni caratteristico della
prova di trazione sino al manifestarsi della strizione (sino a che, cioè, lo stato tensionale può
effettivamente essere considerato mono-direzionale) equivale al diagramma tensioni equivalenti –
deformazioni equivalenti. E’ pertanto possibile, proprio attraverso l’utilizzo delle informazioni
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contenute in tale diagramma sperimentale, tener conto della storia deformativa pregressa del
materiale nelle equazioni che legano tensioni e deformazioni in campo plastico.
La procedura da seguire è, a questo punto, piuttosto semplice: ad ogni istante del processo di
deformazione e per ogni elemento di materiale sottoposto alla deformazione, basterà infatti, nota la
deformazione equivalente accumulata fino a quel momento ( ε ) determinare la corrispondente
tensione di flusso plastico ( σ ) e quindi applicare il set di equazioni (1.40).
Occorre infine aggiungere che approfonditi studi teorici condotti negli anni ’50 e ’60 hanno
dimostrato l’esistenza di un legame preciso tra condizioni di plasticità ed equazioni tensioni-
deformazioni in campo plastico ad esse associate. Per ogni condizione di plasticità, in altri termini,
è possibile derivare un ben preciso set di relazioni che legano tensioni e deformazioni in campo
plastico. Tali studi si sono basati, in particolare, sull’introduzione della funzione potenziale plastico,
definita come funzione scalare delle tensioni, g(σij), le cui derivate parziali rispetto alle variabili σij
siano proporzionali alle componenti dell’incremento di deformazione dεij:
∂ g (σ ij )
d ε ij = d λ ' (1.13)
∂σ ij
essendo dλ’ un infinitesimo non negativo. Se si ammette che la funzione potenziale plastico g(σij)
coincide con la condizione di plasticità f(σij), la (1.43) assume la forma:
∂ f (σ ij )
d ε ij = d λ ' (1.14)
∂σ ij
Le relazioni (1.14) – è immediato far rilevare che si tratta di tre relazioni se ci si riferisce
alla terna principale, di sei relazioni se invece si fa riferimento ad una terna generica – stabiliscono
un profondo legame tra le equazioni tensioni-deformazioni in campo plastico e la condizione di
plasticità. Utilizzando tali relazioni è possibile, per ogni condizione di plasticità, derivare un ben
preciso set di equazioni che legano, in campo plastico, gli incrementi di deformazione e le tensioni.
Proprio per questa ragione si suole parlare di regola di scorrimento (in termini anglo-sassoni flow
rule) associata alla condizione di plasticità.
Applicando, ad esempio, la (1.44) alla condizione di plasticità del von Mises, si ottiene:
⎡ ⎤
dε1 = 2dλ' [(σ 1 − σ 2 ) − (σ 3 − σ 1 )] = 4dλ' ⎢σ 1 − (σ 2 + σ 3 )⎥
1
(1.15)
⎣ 2 ⎦
2
relazione identica alla (1.13) ponendo dλ = 4dλ ' . Tale circostanza dimostra che le equazioni di
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Levy-Mises costituiscono la regola di scorrimento associata alla condizione di plasticità del von
Mises. In modo del tutto analogo sarebbe possibile determinare le regole di scorrimento associate
alla condizione del Tresca ed a qualunque altra condizione di plasticità.
Le relazioni (1.14) hanno un’altra conseguenza di notevole rilevanza. Si immagini di
sovrapporre, nello spazio di Haigh-Westergaard, agli assi σ1, σ2, σ3 gli assi dε1, dε2, dε3; il vettore
immagine dell’incremento di deformazione (le cui componenti sono appunto dε1, dε2, dε3) associato
allo stato tensionale σ1, σ2, σ3 secondo le (1.14), può essere convenientemente posizionato in
corrispondenza del punto rappresentativo dello stato tensionale medesimo, quest’ultimo
naturalmente giacente sulla superficie di plasticità.
Ebbene, proprio a causa delle (1.14), la direzione del vettore immagine dell’incremento di
deformazione sarà coincidente con la direzione normale alla superficie di plasticità nel punto
considerato (figura (1.3).
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Alla luce delle (1.14), infatti, le componenti del vettore incremento di deformazione sono
proporzionali ai coseni direttori della normale alla superficie di plasticità f(σij): ne deriva che il
vettore dεij è sempre perpendicolare alla superficie di plasticità nel punto corrispondente allo stato
tensionale ad esso associato. Tale condizione prende il nome di condizione di normalità.
Si è visto, nel paragrafo che precede, che l'analisi di un processo di formatura per assegnate
condizioni operative deve fornire precise risposte in merito al flusso plastico del materiale, ai
carichi necessari, alle sollecitazioni agenti sulle attrezzature ed infine, all'eventuale insorgenza di
difetti.
E’ innanzi tutto opportuno far rilevare che la soluzione esatta di un problema di formatura
richiederebbe, ad ogni istante del processo considerato, l’esatta individuazione dello stato tensionale
e deformativo (e cioè del campo di spostamenti) che si verificano all’interno del materiale
sottoposto a deformazione.
Lo stato tensionale reale sarà certamente staticamente ammissibile: esso cioè rispetterà in ogni
punto le equazioni di equilibrio, soddisferà le condizioni statiche imposte sul contorno, ed in nessun
punto violerà la condizione di plasticità. D’altra parte il campo di spostamenti reale sarà certamente
cinematicamente ammissibile: dovrà cioè soddisfare le condizioni cinematiche al contorno
(spostamenti imposti, vincoli) e, punto per punto, dovrà rispettare la condizione di invariabilità del
volume, caratteristica del campo plastico. Infine la distribuzione degli incrementi di deformazione
associata al campo di spostamenti reale e lo stato tensionale reale dovranno infine verificare il
legame tensioni-deformazioni caratteristico del comportamento plastico dei materiali metallici
descritto dalle relazioni (1.14).
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• le sei componenti del tensore delle tensioni: σx, σy, σz, τxy, τyz, τzx;
• le tre componenti del vettore degli spostamenti ux, uy, uz;
• il parametro dλ che permette di tener conto della storia deformativa pregressa del materiale
nelle equazioni che definiscono il legame tensioni-deformazioni in campo plastico.
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Il lavoro plastico compiuto dai due stati tensionali, σij e σij*, con riferimento al medesimo
incremento di deformazione plastica dεij, può essere calcolato mediante i prodotti scalari:
r r r r
dW = OP • PQ dW * = OP * • PQ (1.16)
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La differenza:
r r r r
dW − dW * = OP ⋅ PQ − OP * ⋅PQ = (σ ij − σ ij* )dε ij (1.17)
è una quantità certamente non negativa, alla luce della condizione di normalità del vettore
incremento di deformazione rispetto alla superficie di plasticità e del principio di convessità della
superficie di plasticità.
E’ quindi possibile affermare che, dato un incremento di deformazione permanente dεij, il
lavoro di deformazione compiuto dal tensore σij che ha provocato tale incremento di deformazione
è massimo rispetto al lavoro attribuibile a qualunque altro stato di tensione σij* diverso dal
precedente e tale tuttavia da soddisfare la condizione di plasticità.
Un incremento di deformazione plastica richiede quindi la massima dissipazione di energia.
Tale circostanza è del tutto congruente con quanto avviene in altri settori della fisica: si pensi, ad
esempio, al caso di due corpi a contatto in moto reciproco. Le forze di attrito sulle superfici di
contatto hanno direzione e verso tali da rendere massima la dissipazione di energia.
La relazione (5.2) è sta ricavata facendo riferimento alle sollecitazioni localmente agenti in un
punto del solido considerato; se invece si considera l’intero volume del solido sottoposto a
deformazione, la (5.2) assume la forma:
∫ (σ
V
ij − σ ij* )dε ij dV ≥ 0 (1.18)
nella quale dεij è l’incremento di deformazione plastica in un generico punto, σij lo stato tensionale
ad esso associato ed infine σij* un qualunque altro stato di tensione diverso dal precedente e tale
tuttavia da soddisfare la condizione di plasticità.
Enunciati i principi di convessità della superficie di plasticità e del massimo lavoro plastico, è
ora possibile procedere alla dimostrazione del teorema dell’upper-bound.
Si consideri un corpo rigido-plastico, di volume V e superficie S sottoposto ad un processo di
formatura. Su una parte della superficie S, St, sia nota la distribuzione dei carichi agenti per unità di
superficie, ti; su un’altra parte della superficie S, Su, sia invece nota la distribuzione degli
spostamenti infinitesimi dui. Il significato delle superfici St ed Su è immediatamente evidente se si
considerano alcuni esempi: è una superficie St la superficie del materiale sottoposta alla pressione
del fluido nel caso dell’estrusione idrostatica; può esserlo la superficie di contatto stampo-pezzo
nell’upsetting se sono note le forze di attrito al contatto; sono invece tipicamente superfici del tipo
Su tutte le superfici di contatto tra il pezzo in lavorazione e gli stampi sottoposte a spostamenti
imposti dal moto rigido degli stampi medesimi.
Tutto ciò premesso sia σij e dui la soluzione esatta (reale) del problema di formatura
considerato; alla luce di quanto si è detto in precedenza σij è uno stato tensionale staticamente
ammissibile, dui è una distribuzione di spostamenti infinitesimi cinematicamente ammissibile ed il
campo di incrementi di deformazione dεij, dovuto agli spostamenti infinitesimi dui, è legato allo
stato tensionale σij mediante le relazioni (1.44).
Sia inoltre dui* un qualunque altro campo di spostamenti infinitesimi cinematicamente
ammissibile, tale cioè da rispettare in ogni punto la condizione di invariabilità del volume e le
condizioni cinematiche al contorno, i.e. dui*=dui, sulla superficie Su. Sia, infine, dεij* il campo di
incrementi di deformazione dovuto alla distribuzione di spostamenti infinitesimi dui*.
Applicando il principio dei lavori virtuali allo stato tensionale reale σij ed al campo di
spostamenti infinitesimi cinematicamente ammissibile dui* si avrà:
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∫ t du dS = ∫ σ
i
*
i ij dε ij* dV + ∑ ∫ τ du ∗ dS d (1.19)
S V Sd
∫σ dε ij∗ dV ≥ ∫ σ ij dε ij∗ dV
∗
ij (1.20)
V V
∫ t du dS ≤ ∫ σ
i
∗
i
∗
ij dε ij∗ dV + ∑ ∫ τ 0 du ∗ dS d (1.21)
S V Sd
nella quale, peraltro, il secondo membro è stato ulteriormente maggiorato introducendo, in luogo di
τ, la tensione tangenziale limite τ0.
Considerando infine che la superficie S comprende le due porzioni St ed Su (sulla quale gli
spostamenti infinitesimi sono noti e pertanto dui*=dui), il primo membro della (1.21) può essere
scisso nei due termini:
∫ t du ∫ t du ∫ t du
∗ ∗
i i dS = i i dS t + i i dS u (1.22)
S St Su
∫ t du dS ≤ ∫ σ
i i u
∗
ij dε ij∗ dV + ∑ ∫ τ 0 du ∗ dS d − ∫ ti dui*dSt (1.23)
Su V Sd St
La relazione alla quale si è pervenuti afferma che il lavoro compiuto dai carichi reali agenti
sulla superficie Su, sulla quale gli spostamenti sono noti, è in ogni caso minore od al più eguale alla
somma dei tre contributi energetici riportati al secondo membro, rispettivamente riconducibili
all’energia di deformazione interna, all’energia dissipata in corrispondenza ad eventuali superfici di
discontinuità del campo di spostamenti ed infine all’energia dissipata dalle forze esterne note.
Ricordando gli esempi inizialmente proposti in merito al significato della superficie Su, è
immediato riconoscere nel termine al primo membro della relazione (5.8), l’energia necessaria per
eseguire il processo di deformazione: il teorema dell’upper bound stabilisce che è possibile ottenere
una stima per eccesso di tale energia, sommando i tre termini energetici presenti al secondo
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membro della (5.8), questi ultimi calcolati sulla base di un qualunque campo di spostamenti
cinematicamente ammissibile.
La relazione (5.8) può essere scritta, anziché in termini di spostamenti infinitesimi ed
incrementi di deformazione, in termini di velocità e velocità di deformazione : si ha pertanto:
∫ t v dS ≤ ∫ σ
i i u ε& dV + ∑ ∫ τ 0 Δv ∗ dS d − ∫ ti vi* dS t
∗ ∗
ij ij (1.24)
Su V Sd St
E’ immediato osservare che tutti gli integrali assumono il significato di potenze: assunto un
campo di velocità cinematicamente ammissibile, è possibile calcolare la potenza di deformazione
interna, la potenza dissipata in corrispondenza ad eventuali superfici di discontinuità del campo di
velocità e la potenza dissipata dalle forze esterne note. La somma di questi tre termini fornisce una
valutazione per eccesso, un limite superiore (upper bound) della potenza totale di deformazione
necessaria per eseguire il processo di formatura. Da essa, nota la velocità di spostamento degli
stampi, è possibile derivare il carico istantaneamente richiesto per l’esecuzione del processo.
E’ peraltro evidente che, quanto più basso sarà l’upper bound calcolato, tanto più il campo di
velocità ipotizzato sarà vicino a quello reale; sviluppando il ragionamento, tra tutti i campi di
velocità cinematicamente ammissibili, il campo di velocità reale sarà quello che minimizza la
potenza totale di deformazione, calcolata mediante la somma dei tre termini al secondo membro
della (5.9).
Non è evidentemente possibile investigare tutti i campi di velocità cinematicamente
ammissibili: tuttavia se si considera una classe di campi di velocità dipendenti da uno o più
parametri, l'elemento migliore di questa classe potrà essere determinato minimizzando la potenza
totale di formatura rispetto al parametro od ai parametri. In generale quanto maggiore è il numero di
parametri, tanto più precisa sarà l'analisi, ma anche tanto più complesso ed oneroso risulterà il
processo di calcolo: conseguentemente l'applicazione pratica del metodo richiede un intelligente
compromesso nella scelta dei parametri utilizzati per definire la classe di campi di velocità.
Il metodo dell'upper bound, nelle sue varie versioni (metodo di Johnson-Kudo, metodo di
Avitzur ecc.), è stato largamente utilizzato nella progettazione di processi di formatura. Il concetto
di upper-bound è infatti del tutto compatibile con la logica da seguire nella scelta della macchina
necessaria per l'esecuzione di un dato processo: nelle lavorazioni di formatura viene infatti imposto
il movimento agli stampi, mentre alla macchina è richiesto un carico in grado di equilibrare, durante
il processo, la resistenza opposta dal materiale alla deformazione imposta. Pertanto la conoscenza,
con assoluta precisione, del carico richiesto istante per istante, ha una rilevanza piuttosto relativa; in
genere è del tutto sufficiente conoscere un upper bound del carico, un valore cioè che in ogni caso
approssima per eccesso il carico effettivamente richiesto. Il metodo dell'upper bound, inoltre,
fornisce una valutazione, sia pure approssimata, del flusso plastico del materiale rappresentato dalla
distribuzione di velocità cinematicamente ammissibile assunta.
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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini
passando attraverso la sezione di uscita della matrice, la cui geometria è caratterizzata dall’angolo
di inclinazione α.
La superficie di contatto tra il punzone e la matrice costituisce, evidentemente, una superficie
di tipo Su, secondo la nomenclatura introdotta nel paragrafo precedente: su di essa infatti la velocità
in direzione orizzontale è nota, in quanto imposta dal moto rigido del punzone, mentre la pressione
necessaria per eseguire il processo costituisce l’incognita del problema, per la quale si intende
calcolare un upper bound, quanto più prossimo alla soluzione reale. D’altra parte, assumendo per
semplicità che non si manifestino fenomeni di attrito all’interfaccia materiale-matrice, non vi sono
superfici del tipo St e pertanto il terzo termine al secondo membro della (5.9) risulta identicamente
eguale a zero.
Il metodo di Johnson-Kudo si basa sulla rappresentazione del materiale secondo blocchi
(parallelepipedi) rigidi, i quali subiscono deformazione solo nel momento in cui attraversano le
superfici di discontinuità del campo di velocità (superfici SD). Alla luce di questa assunzione, nella
∫σ ε& dV risulta essere identicamente eguale a zero: si potrà pertanto
∗ ∗
(5.9) anche il termine ij ij
V
valutare un upper bound della potenza di formatura necessaria per eseguire il processo, calcolando
esclusivamente il termine ∑ ∫τ 0 Δv ∗ dS d , una volta definito un campo di velocità
Sd
cinematicamente ammissibile.
Ebbene, la più semplice classe di campi di velocità cinematicamente ammissibili può essere
costruita sulla base delle due superfici di discontinuità del campo di velocità, le cui tracce sul piano
di figura 1.5 sono i segmenti AC, A’C, BC e B’C; al variare dell’angolo θ, varia la posizione del
punto C e viene pertanto definita un’intera classe di campi di velocità.
r
Un generico elemento di materiale, inizialmente dotato di velocità V0 per effetto dell’azione del
punzone, nell’attraversare la superficie di traccia BC subisce una variazione istantanea della
r
componente di velocità tangente a tale superficie, ΔVBC , che lo costringe a muoversi parallelamente
r
alla superficie di traccia AB con velocità VAB . Successivamente, l’elemento di materiale
considerato, nell’attraversare la superficie di traccia AC subisce una nuova variazione istantanea
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r
della componente di velocità tangente a tale superficie, ΔVAC , che lo porta infine a riassumere una
r
direzione di moto orizzontale con velocità V finale .
Il modulo della velocità finale è naturalmente legato al modulo della velocità iniziale dalla
r r
condizione di invariabilità del volume, mentre i moduli di ΔVBC e ΔVAC possono essere determinati
risolvendo graficamente, o con semplici considerazioni trigonometriche, il diagramma delle velocità
(odografo) riportato in figura 1.6.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono la relazione (1.24) che esprime
analiticamente il teorema dell’upper bound assume nel caso in esame la seguente forma:
( r r
p ⋅ 2 H ⋅ V0 = 2τ 0 ΔVBC ⋅ BC + ΔVAC ⋅ AC ) (1.25)
Il metodo della visioplasticità combina invece osservazioni sperimentali ed analisi: sul pezzo
in lavorazione sono impresse delle griglie, analizzando le quali è possibile ricavare, in processi
stazionari, la distribuzione reale delle velocità all'interno del pezzo. Dalla distribuzione delle
velocità si risale alle velocità di deformazione e da esse, tramite le equazioni costitutive del
materiale, alla distribuzione delle tensioni. L'applicabilità del metodo è evidentemente limitata a
processi stazionari per i quali la determinazione sperimentale delle velocità sia possibile.
Lo svolgimento delle fasi 1 e 3 appena citate può avvenire mediante l'impiego di diversi tipi
di approcci; in particolare è possibile seguire un approccio variazionale, un approccio residuale od
un approccio basato su un bilancio energetico.
Entrando maggiormente nel merito della simulazione ad elementi finiti di processi di
formatura, l'approccio variazionale consiste nella minimizzazione di un funzionale opportunamente
definito e dipendente dalle equazioni costitutive del materiale in esame. In particolare, come meglio
sarà descritto nel prosieguo, detto funzionale è definito sulla base del teorema dell'upper-bound ed è
espresso localmente, per ciascun elemento, in funzione delle variabili nodali; successivamente i
funzionali elementari sono assemblati nel funzionale globale sul quale viene imposta la condizione
di stazionarietà.
L'approccio residuale è invece basato sulla minimizzazione a livello globale (a livello cioè
dell'elemento finito) dei residui causati dal mancato soddisfacimento puntuale delle equazioni
fondamentali da parte della soluzione approssimata ad elementi finiti. Per rendere più chiaro il
precedente concetto è opportuno far ricorso ad un esempio. Nella meccanica del continuo, le
equazioni fondamentali che governano il processo sono le condizioni di equilibrio statico le quali
devono essere verificate puntualmente all'interno e sulla superficie esterna del dominio preso in
esame; l'impiego di funzioni forma e quindi l'ipotesi ad esso connessa di un particolare andamento
degli spostamenti (e di conseguenza delle deformazioni e delle tensioni) all'interno dell'elemento,
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processo di formatura, oltre alle caratteristiche meccaniche del materiale punto per punto, è altresì
nota la distribuzione delle tensioni all'interno del semilavorato; costituiscono dati del problema
anche le condizioni al contorno, sia dal punto di vista cinematico che statico. La soluzione al
problema è rappresentata dagli spostamenti nodali e dagli incrementi di tensione, questi ultimi al
fine di verificare l'avvenuta plasticizzazione del materiale.
Occorre ancora aggiungere che lo studio dei processi di formatura delle lamiere deve essere in
grado di tener conto degli ingenti moti rigidi (spostamenti e rotazioni) che la lamiera subisce
durante la lavorazione. Tali moti rigidi rendono non lineare il legame tra spostamenti nodali e
deformazioni (o tra velocità nodali e velocità di deformazione), complicando pertanto ulteriormente
l'analisi, ed inoltre richiedono l'impiego di particolari tensori delle tensioni, indipendenti dai moti
rigidi.
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Talora lo svolgimento di una operazione di remeshing è necessario, altresì, per una efficace
rappresentazione delle condizioni di contatto all'interfaccia stampo-pezzo in lavorazione. Una
discretizzazione poco fitta, o la distorsione del mesh per effetto della deformazione impressa fino a
quel punto, possono infatti rendere impropria la modellizzazione del contatto.
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La figura 1.9 invece riporta alcuni risultati ottenuti simulando un processo industriale di
idroformatura di bilamiere. In particolare la figura 1.9.a presenta il componente da realizzare,
mentre in figura 1.9.b è riportata la distribuzione degli assottigliamenti subiti dalla lamiera, così
come calcolati dal codice FEM. Sulla base di questi risultati il progettista del processo produttivo è
in grado di verificare se la configurazione di processo prescelta è effettivamente valida o se sono
necessarie delle modifiche dei parametri operativi al fine di ottenere un miglior soddisfacimento
delle specifiche di prodotto.
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Occorre infine osservare che lo studio di processi 3-D, siano essi riferiti alla formatura di
pezzi pieni o di lamiere, determina tempi di CPU e conseguentemente costi connessi
all'elaborazione alquanto elevati. In generale è possibile affermare che i tempi di CPU dipendono
esponenzialmente dal numero di nodi impiegato nella discretizzazione con un valore dell'esponente
compreso tra 2 e 3. Per tale ragione, negli anni più recenti è stata proposta una nuova metodologia
di analisi, cosiddetta esplicita, che ha mostrato notevoli vantaggi con particolare riferimento allo
studio di processi di formatura delle lamiere.
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