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Progettazione di processi di formatura – Prof.

Livan Fratini

PREMESSA

La produzione di un organo di macchina richiede l'esecuzione di numerose lavorazioni,


schematicamente raggruppabili in due catagorie: lavorazioni per deformazione plastica ( o talora
per fusione ) e lavorazioni per asportazione di truciolo.
Per quanto riguarda le prime la tecnologia moderna ha consentito negli ultimi tempi il
raggiungimento di livelli di qualità notevolmente elevati (net shape forming), sicchè le lavorazioni
ad asportazione di truciolo tendono sempre più ad assumere un significato di processo di finitura del
pezzo ; si cerca , infatti , di ottenere a valle della fase di formatura un semilavorato che già si
avvicini per quanto possibile al prodotto finito.
Per fare ciò gli studi si sono concentrati sulle lavorazioni per deformazione
plastica,intendendole, come fa Kobayshi , come un' "analisi" che comprende una serie di dati del
problema (la geometria e la configurazione metallurgica del pezzo di partenza e dell'utensile , le
condizioni di attrito sulla superficie di contatto , le caratteristiche del prodotto etc) e che consente di
studiare gli effetti della variazione di tali variabili sulla qualità del prodotto e sull'economia del
processo.
Uno dei concetti chiave in questo tipo di interpretazione del problema è quello che l'autore
chiama "metal flow": tale flusso che si istaura durante la formatura va opportunamente individuato
e controllato .
Infatti esso determina sia le proprietà meccaniche legate alle deformazioni locali che
l'eventuale formazione di difetti nel pezzo .
Le variabili che influenzano il "metal flow" sono diverse e di diversa natura , quali ad
esempio , per citare le più importanti :
---quelle dipendenti dalle caratteristiche meccaniche del materiale
---il tipo di macchina utilizzato
---l'attrito al contatto
---le condizioni termiche
---le proprietà richieste al prodotto .
Tra le variabili dipendenti dalle caratteristiche del materiale citiamo la composizione
metallurgica e la storia delle deformazioni e dei trattamenti termici subiti .
La macchina da utilizzare viene scelta in base alle modalità di applicazione del carico e al
carico da imprimere, ma anche in relazione all'intera sequenza di lavorazioni per deformazione
plastica da eseguire ed alle dimensioni del lotto di pezzi trattato .
L'entità delle forze di attrito sulla superficie di contatto tra utensile e pezzo influenza
notevolmente la deformazione , per cui , come vedremo in seguito , è necessario conoscere con
buona precisione il coefficiente di attrito al contatto del pezzo con lo stampo.
Infine , risulta evidente che le variabili di processo vanno adattate alle caratteristiche del
prodotto che si vuole ottenere .
Per l'analisi dei problemi di deformazione plastica sono stati proposti diversi metodi di
approccio , in grado di fornire delle modellizzazioni più' o meno complesse del processo e che
conducono a soluzioni di diversa approssimazione.
Tali metodi, schematizzando possono essere suddivisi in due categorie: metodi basati
sull'analisi del continuo e metodi numerici .
I primi consentono di determinare il valore dei carichi da impiegare, la distribuzione delle
tensioni e talora la variazione della geometria del pezzo.
La loro precisione è tuttavia più o meno inficiata dalle ipotesi semplificative assunte a base
delle trattazioni.

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Solo recentemente, l'introduzione di metodi numerici, ha reso possibile un'accurata


determinazione dell'influenza delle diverse variabili sui processi di formatura .
A tale scopo si sono messi a punto una serie modelli matematici in grado di simulare i
processi di deformazione plastica e di fornire le distribuzioni di tensioni e deformazione in funzione
degli spostamenti degli utensili.
Negli ultimi venti anni infatti l'uso delle tecniche computerizzate nello studio dei processi di
formatura dei metalli si è sviluppato notevolmente sia in fase di progetto che in fase di verifica; ciò'
ha comportato un onere computazionale sempre maggiore, del resto perfettamente sostenuto dalle
capacità dei moderni elaboratori.
I fenomeni fisici che costituiscono un processo di formatura sono difficili da esprimere
tramite relazioni quantitative.
Infatti elementi come il flusso plastico, l'attrito sulle superfici di contatto, la generazione ed il
trasferimento del calore durante la formatura così come le variazioni nelle proprietà microstrutturali
sono difficili da analizzare e modellizzare.
Spesso tuttavia un pezzo deve subire diverse operazioni di formatura con lo scopo di ottenere
la " forma " voluta e ciò deve ovviamente avvenire senza formazioni di cricche letali o degrado
delle proprietà del materiale.
Di conseguenza gli studi in questo campo devono consentire di stabilire i limiti di
deformazione a cui si può' assoggettare il pezzo in questione e di valutare i carichi e gli sforzi
necessari per eseguire la formatura in modo da potere scegliere adeguatamente l'attrezzatura
necessaria.
Le tecniche numeriche sviluppatesi negli ultimi decenni si basano sulla discretizzazione del
corpo mediante "elementi finiti ".
Tale discretizzazione costituisce il primo passo per quello che oggi è chiamato il "metodo agli
elementi finiti": che consiste nella divisione del corpo in elementi interconnessi nei punti nodali .
Tali punti sono identificati nel dominio di un'opportuna funzione interpolatrice, tramite la
quale si può esprimere il valore di una variabile (per esempio la velocità) di un qualunque punto
interno all'elemento in relazione ai valori assunti dalla stessa variabile in corrispondenza a quelli
che abbiamo chiamato punti nodali .
Si può dire che il dominio della funzione introdotta è rappresentato approssimativamente da
una raccolta di un numero finito di sottodominii chiamati elementi finiti.
In seguito verrà esposto il metodo in dettaglio, ma si vogliono evidenziare sin da ora i punti
fondamentali che consentono di pervenire alla soluzione desiderata, i cui punti fondamentali sono:
---identificazione del problema
---scelta della funzione relativa al singolo elemento
---assemblaggio delle diverse funzioni
---soluzione numerica delle funzioni globali .
I principali vantaggi di questo metodo sono la capacità di fornire un quadro dettagliato della
meccanica della deformazione in tutti i suoi aspetti ed anche la possibilità di essere implementato
facilmente per via automatica e di essere di conseguenza adattabile ad una grande varietà' di
problemi semplicemente variando i dati di ingresso .
In questi problemi di formatura dei metalli rivestono una grande importanza dal punto di vista
analitico e in generale dal punto di vista concettuale, le equazioni costitutive del materiale .
Di solito si trascurano le deformazioni elastiche che il materiale subisce e si assume un
comportamento rigido-plastico oppure rigido-viscoplastico; in determinate applicazioni però, i
fenomeni associati con l'elasticità' del materiale non possono essere trascurati (ritorno elastico etc)
ed allora si preferisce il modello elasto-plastico .
L'analisi che risulta dalla prima assunzione è nota come "flow formulation" e in questo caso il
comportamento del materiale è essenzialmente quello che caratterizza un fluido: in tale
formulazione i parametri che, come vedremo, risulteranno di fondamentale importanza saranno le
velocità' piuttosto che gli spostamenti .

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In alcuni tipi di problemi la flow formulation presenterà' la soluzione più' naturale: sarà' il
caso dei processi stazionari in cui la velocità' in un dato punto nello spazio rimane costante.
Di contro a tutto ciò' l'analisi che risulta dalla seconda assunzione è nota come "solid
formulation" .
Da quanto detto il problema da affrontare sarà caratterizzato in modo differente usando le due
diverse formulazione ; in particolare la flow formulation assume che in un determinato stadio del
processo di deformazione la forma del corpo , la distribuzione interna delle temperature, la
microstruttura del materiale ed i valori attuali dei parametri che lo caratterizzano siano noti; il
vettore velocità' è assegnato su una porzione della superficie denominata Su, insieme al vettore
delle forze applicato sulla rimanente parte della superficie SF .
La soluzione di tale formulazione consiste nel determinare la distribuzione degli sforzi e delle
velocità' che soddisfa le equazioni risolutive cui si perviene e le condizioni al contorno .
Per quanto riguarda la solid formulation il problema ha la stessa configurazione ma in più si
suppone nota anche la distribuzione degli sforzi interni ad un dato stadio del processo ; la soluzione
cui si perviene è data in termini di spostamenti e incrementi di tensioni .
Come detto tale impostazione è assolutamente necessaria quando si affrontano problemi di
formatura in cui non è possibile trascurare l'elasticità dei materiali, è questo il caso delle lavorazioni
delle lamiere dove bisogna tenere conto del ritorno elastico del materiale.
Tratteremo in seguito nel dettaglio le due diverse formulazioni cercando di evidenziare le
differenze concettuali che le differenziano cominciando dal diverso modello assunto nella
descrizione del materiale.
Arriveremo quindi alle equazioni risolutive e passeremo alla successiva discretizzazione ad
elementi finiti con la scrittura in forma matriciale delle equazioni stesse; cercheremo, inoltre, di
delineare i diversi giudizi che i vari autori hanno espresso in merito, con le motivazioni del caso .
Si deve evidenziare fin da adesso, comunque, che (come dice Kobayashi) una soluzione
semplificata del problema è quella di trascurare le componenti elastiche delle deformazioni e quindi
valutare le deformazioni plastiche come un problema di flusso.
L'approccio alle problematiche del metal forming che fino a questo momento è stato
introdotto, si fonda su metodologie che presuppongono un'analisi dell'equilibrio quasi-statico del
pezzo che si sta lavorando.
Sicuramente, questo è il modo più naturale di affrontare il problema; così facendo il
soddisfacimento delle condizioni di equilibrio allo stadio in esame (che indicheremo come tempo
t+Dt), che sono espresse da equazioni matriciali non lineari, deve essere ottenuto con un
procedimento iterativo .
Tale formulazione, chiaramente, risulta appesantita dal punto di vista analitico dall'essere non
lineare ed inoltre presenta una risoluzione lenta e impegnativa (ciò a causa, come vedremo, degli
incrementi temporali, che devono essere necessariamente piccoli affinché si abbia una soluzione
sufficientemente significativa ) .
Recentemente è stata sviluppata una nuova formulazione che si fonda sulla risoluzione delle
equazioni di equilibrio dinamico del corpo, questo metodo viene denominato esplicito in quanto le
equazioni risolutive risultano essere esplicite e lineari ( un fatto, questo, molto importante ) .
Come abbiamo detto, la base del procedimento che si segue è la soluzione delle equazioni di
equilibrio dinamico al tempo t: ciò si ottiene tramite uno schema di integrazione esplicita.
Si capisce subito l'efficacia di questo nuovo punto di vista soprattutto dal punto di vista
dell'onere computazionale.
Approfondendo meglio queste tematiche vedremo successivamente anche gli eventuali
problemi che si possono avere in un'analisi di questo tipo (necessità di piccoli incrementi temporali
e pericolo di instabilità della soluzione).

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CAPITOLO 1
PROGETTAZIONE DEI PROCESSI DI FORMATURA

1.1 OBIETTIVI DELLA PROGETTAZIONE

Si è ripetutamente affermato che lo scopo fondamentale di un processo di formatura è


rappresentato dalla realizzazione, secondo la metodologia economicamente più conveniente, di un
pezzo di forma alquanto complessa partendo da un semilavorato di geometria semplice.
Naturalmente il pezzo finito deve essere esente da difetti, siano essi difetti di forma o di mancato
riempimento, cattiva qualità della superficie, non adeguate caratteristiche meccaniche o
microstrutturali od infine fratture interne od esterne, che possano comprometterne l'impiego in
esercizio.
Quasi sempre, peraltro, una sola lavorazione di formatura non è sufficiente per il
raggiungimento dell'obiettivo: di solito la produzione di un componente di interesse industriale
richiede l'esecuzione di una intera sequenza di lavorazioni per deformazione plastica per
trasformare la geometria iniziale semplice nella geometria finale complessa, sequenza della quale
fanno parte, come si è detto in precedenza, anche processi intermedi di ricottura del materiale ed
operazioni di lubrificazione.
Conseguentemente il progetto di un processo di formatura consiste nella scelta della sequenza
di operazioni economicamente e tecnologicamente più conveniente per la produzione del pezzo
finito: il progettista dovrà cioè definire la migliore sequenza di operazioni e per ciascuna di esse
dovrà scegliere i parametri operativi più adatti.
Concentrando più in particolare l'attenzione su una singola lavorazione, il progettista dispone
di una serie di dati di input, conosce l'obiettivo da raggiungere ed i vincoli collaterali da soddisfare
ed il suo compito (in ciò appunto consiste il progetto) è quello di scegliere alcuni parametri
operativi.
Entrando maggiormente nel dettaglio, i principali dati di input sono costituiti dalle
caratteristiche del materiale: deve essere evidentemente nota la legge reologica, e cioè il legame
costitutivo tra la tensione di flusso plastico, la deformazione, la velocità di deformazione e la
temperatura (nel caso di processi di deformazione a caldo od a tiepido) o più semplicemente tra
tensione di flusso plastico e deformazione nel caso di processi a freddo; se il processo in esame è un
processo di formatura delle lamiere, è altresì fondamentale, alla luce di quanto si è detto in
precedenza, conoscere le caratteristiche di anisotropia del materiale; è inoltre essenziale disporre di
dati relativi alla duttilità, o per meglio dire, alla formabilità del materiale, relativi cioè alla capacità
del materiale di subire deformazioni permanenti senza pervenire alla frattura duttile.
L'obiettivo da raggiungere si concretizza naturalmente nel prodotto: di esso devono essere
note la geometria e le dimensioni desiderate, le tolleranze ammesse, la qualità superficiale richiesta
e, se necessario, le caratteristiche microstrutturali, dal punto di vista, ad esempio, delle dimensioni
dei grani cristallini. La progettazione peraltro va condotta nel rispetto dei vincoli, tra i quali quelli
relativi alle macchine ed alle attrezzature di stabilimento disponibili, ad esempio per quanto
riguarda la massima capacità di carico. E’ infine probabilmente superfluo aggiungere che la
progettazione deve permettere di individuare la soluzione ottima anche dal punto di vista
economico; tra tutte le soluzioni tecnologicamente soddisfacenti, il progettista dovrà scegliere
quella che determina il minimo costo di lavorazione.
Ciò premesso la progettazione consiste nella scelta di una serie di parametri operativi,
riassumibili in:

‰ parametri operativi relativi alla geometria degli stampi e del semilavorato;

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‰ parametri operativi relativi al processo.

Per quanto riguarda i primi, facendo ad esempio riferimento ad una lavorazione di forgiatura a
caldo tra stampi semi-chiusi, il problema fondamentale da affrontare per ottenere il successo
dell'operazione è quello del completo riempimento della cavità tra gli stampi: in questo caso il
progettista deve definire la geometria del canale di bava (flash), nonché le dimensioni, la forma e la
posizione iniziale del semilavorato all'interno della cavità. Analogamente in una lavorazione di
stampaggio delle lamiere, ad esempio nel caso, relativamente semplice, di imbutitura di una
vaschetta rettangolare, il progettista dovrà definire la geometria del blank di partenza, dovrà
scegliere i raggi di raccordo del punzone e della matrice, tra i quali, fondamentale, è il raggio di
raccordo in pianta, ed infine dovrà stabilire il gioco tra punzone e matrice.
I parametri operativi relativi al processo invece, sono tutti quei parametri che definiscono, da
un punto di vista tecnologico, le modalità di svolgimento del processo, quali la temperatura di
preriscaldo del semilavorato, la temperatura iniziale degli stampi, le condizioni di lubrificazione
all'interfaccia stampo-pezzo, la velocità con la quale si muovono gli stampi, e, nel caso dello sheet
metal forming, la pressione esercitata sulla lamiera dal premilamiera o la disposizione e la
penetrazione dei rompigrinze.
Sono questi i parametri operativi di processo per così dire tradizionali: lo sviluppo di nuovi
processi di formatura, o di modi innovativi di condurre processi tradizionali, introduce nuovi
parametri operativi. Si pensi, ancora con riferimento al processo di imbutitura di vaschette quadrate,
alla possibilità di impiegare premilamiera (eventualmente segmentati) a comando oleodinamico
gestibili tramite computer: in questo caso l'intero andamento della pressione applicata dal
premilamiera (o da ciascun segmento del premilamiera) durante la corsa del punzone diventa un
parametro operativo da definire in modo opportuno per evitare i problemi opposti di formazione di
grinze nella flangia o di eccessivo assottigliamento fino alla formazione di fratture duttili
nell'imbutito.
E' evidente che la scelta di tali parametri potrà avvenire solo attraverso l'impiego di potenti ed
affidabili metodologie di analisi e di modellizzazione dei processi in grado di assistere il progettista
del processo produttivo evidenziando il ruolo di ciascun parametro operativo sulla meccanica del
processo di deformazione.
In altri termini la modellizzazione del processo, per ogni assegnato set di parametri operativi
geometrici e di processo prescelti, dovrà consentire di stabilire:

1. il flusso plastico del materiale, e cioè le relazioni cinematiche, in termini di spostamenti,


velocità, geometria, deformazioni, velocità di deformazione, tra il semilavorato ed il
prodotto ottenuto;
2. i limiti di formabilità, cioè determinare se è possibile pervenire all'ottenimento per
deformazione della forma finale desiderata senza che si manifestino fratture duttili sulla
superficie del pezzo od all'interno;
3. i carichi necessari per l'esecuzione della lavorazione e le sollecitazioni agenti sugli stampi,
in modo da verificare la compatibilità con le macchine e con le attrezzature disponibili
presso l'impianto;
4. la microstruttura ottenuta sul pezzo prodotto, al fine di valutare le caratteristiche meccaniche
del prodotto finito e quindi verificarne la congruenza con le specifiche progettuali.

Solo disponendo di un tale complesso di informazioni, il progettista del processo di formatura


potrà determinare l’ottimo set di parametri operativi e pervenire quindi alla soluzione del problema
progettuale.
Nel successivo paragrafo sono presentate le metodologie di analisi dei processi di formatura
più diffuse, dallo slab method, all’upper bound method al metodo degli elementi finiti. In effetti
solo le tecniche di simulazione numerica agli elementi finiti permettono di raggiungere o, quanto

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meno, avvicinarsi agli obiettivi prima indicati. La simulazione ha raggiunto oggigiorno un livello di
attendibilità e di affidabilità dei risultati, tale da sostituirsi validamente alle tradizionali tecniche
sperimentali trial and error, comportando, rispetto a queste ultime, un evidente risparmio in termini
di tempi e di costi.

1.2 RICHIAMI DI TEORIA DELLA PLASTICITÀ

Occorre innanzi tutto evidenziare due aspetti che differenziano in modo preciso il
comportamento elastico ed il comportamento plastico dei materiali:

‰ le deformazioni plastiche sono, per loro natura, permanenti, cioè non scompaiono al cessare
dell'applicazione del carico che le ha provocate, così come avviene per le deformazioni
elastiche;
‰ in campo elastico esiste una corrispondenza biunivoca tra tensioni e deformazioni: noto lo stato
tensionale, da esso è possibile ricavare in modo univoco il campo deformativo e viceversa. Tale
circostanza non è più vera in campo plastico, ove, al fine di valutare lo stato di deformazione
non è più sufficiente conoscere il campo tensionale, ma è necessario analizzare l'intera storia di
carico che ha portato allo stato tensionale finale.

Al fine di chiarire l'aspetto ora citato si osservi la figura 1.1: ad ogni assegnato valore di
tensione σ* possono corrispondere diversi valori di deformazione accumulata e ciò in dipendenza
della storia di carico subita dal materiale. In definitiva in campo plastico il comportamento del
materiale dipende dalla storia di deformazioni (deformation path) che il materiale stesso ha subito;
si suole dire, a tale proposito, che il materiale ha memoria del suo passato.

Figura 1.1 – Non biunivocità tra tensioni e deformazioni in campo plastico

L’affermazione appena citata può essere ulteriormente dimostrata utilizzando un esempio


inizialmente proposto dal Mendelsson.
Ammettiamo di essere in presenza di un provino tubolare di piccolo spessore sottoposto a
trazione od a torsione. Sul provino potranno pertanto destarsi solo tensioni normali σx, assiali,
derivanti dalla trazione, o tensioni tangenziali τxy, dovute alla torsione. In tali condizioni il criterio
2 2 2
di snervamento proposto dal Von Mises assume la forma σx +3τxy =σ0 la quale, nel piano σx, τxy si
traduce in una ellisse (figura 1.2).

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Figura 1.2 - Esempio di Mendelsson

Iniziamo a caricare il provino a trazione pura; giunti nel punto A iniziano le deformazioni
permanenti e pertanto, continuando a caricare fino al punto B, il provino accumula deformazioni
normali permanenti (degli allungamenti in altri termini). Il materiale si è incrudito e, nell'ipotesi di
incrudimento perfettamente isotropo, la nuova condizione di plasticità sarà ancora una ellisse più
allargata (curva FB in figura).
Se adesso iniziamo a scaricare, rientrando in campo elastico fino al punto C e
successivamente cominciamo a caricare a torsione fermandoci nel punto D, otterremo, alla fine
della prova solo delle deformazioni normali permanenti. Infatti per quanto riguarda la torsione, ci
siamo fermati nell'istante in cui stavano per raggiungersi condizioni di deformazione plastica, ma le
deformazioni impresse fino a questo punto sono esclusivamente elastiche.
Analizziamo ora un diverso ciclo di carico su di un materiale nuovamente allo stato ricotto,
iniziando questa volta a caricare a torsione. Giunti nel punto E entriamo in campo plastico e,
caricando fino al punto F accumuliamo sul pezzo deformazioni tangenziali permanenti (degli
scorrimenti in questo caso). Se adesso scarichiamo sino al punto H e poi iniziamo a caricare a
trazione fino ad arrivare al punto D, avremo ottenuto sul pezzo alla fine della prova solo delle
deformazioni permanenti di tipo scorrimento, mentre gli allungamenti sono soltanto elastici.
E' pertanto possibile concludere che, pur se con i due cicli di carico analizzati siamo arrivati
allo stesso stato tensionale finale, lo stato deformativo ottenuto è completamente differente, appunto
dipendentemente dal cammino di deformazione percorso. Tale risultato conferma la validità
dell'affermazione esposta in precedenza: in campo plastico il materiale conserva memoria del suo
passato e pertanto al fine di valutare lo stato deformativo del pezzo è necessario ripercorrere l'intera
storia di carico.
Le considerazioni esposte sino a questo punto costituiscono il punto di partenza per
determinare un set di equazioni che leghino le tensioni e le deformazioni in campo plastico nel caso
generico di stato tensionale e deformativo tridimensionale.
Le equazioni tensioni-deformazioni in campo plastico devono presentare alcune
caratteristiche peculiari:

‰ in primo luogo le equazioni devono avere carattere incrementale: si è visto infatti che in campo
plastico è necessario seguire il cammino di deformazione per incrementi successivi al fine di
pervenire alla conoscenza dello stato deformativi e tensionale;
‰ in campo plastico non sono ammesse variazioni permanenti del volume; la condizione di
invariabilità del volume

εvolume=ε1+ε2+ε3=0 (1.30)

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si traduce, applicata alle equazioni sopra riportate, nell'imporre che in campo plastico il modulo
di Poisson sia eguale a 0.5;
‰ infine la natura tipicamente non lineare del legame reologico in campo plastico richiede che al
posto della costante E sia presente una quantità variabile, in grado di tener conto del cammino di
deformazione che il materiale ha già percorso (ed in particolare dell’incrudimento che ha già
subito).

Tali caratteristiche portano a scrivere il seguente set di equazioni tensioni-deformazioni valide


in campo plastico:

⎡ 1 ⎤
dε 1 = dλ ⎢σ 1 − (σ 2 + σ 3 )⎥
⎣ 2 ⎦
⎡ 1 ⎤
dε 2 = dλ ⎢σ 2 − (σ 3 + σ 1 )⎥ (1.1)
⎣ 2 ⎦
⎡ 1 ⎤
dε 3 = dλ ⎢σ 3 − (σ 1 + σ 2 )⎥
⎣ 2 ⎦

E’ immediato osservare che nelle equazioni (1.1) il compito di tener conto della storia
deformativa pregressa del materiale è appunto affidato al termine dλ.
In merito alla definizione di tale termine, va certamente ricordato il contributo offerto dagli
studiosi Levy e von Mises, i quali, procedendo del tutto indipendentemente tra loro, pervennero ad
un set di equazioni tensioni-incrementi di deformazione valide per il campo plastico, caratterizzate,
appunto, da una opportuna definizione del termine dλ.
Secondo Levy e von Mises, esiste una relazione di proporzionalità tra le componenti dei
tensori incremento di deformazione e deviatore delle tensioni, ed il parametro che definisce tale
relazione di proporzionalità è, istante per istante, proprio il modulo dλ. Si ha cioè, con riferimento
alla terna principale:

dε 1 dε 2 dε 3
= = = dλ (1.2)
σ '
1 σ '
2 σ 3'

Dalla relazione che precede, si ottiene:

dε 1 = dλ ⋅ σ 1'
⎛ σ + σ2 + σ3 ⎞ 2 ⎛ σ + σ3 ⎞ (1.3)
dε 1 = dλ ⋅ ⎜ σ 1 − 1 ⎟ = dλ ⋅ ⎜ σ 1 − 2 ⎟
⎝ 3 ⎠ 3 ⎝ 3 ⎠

L’assunzione di Levy e von Mises conduce, pertanto, al seguente set di equazioni:

2 ⎡ ⎤
dλ ⎢σ 1 − (σ 2 + σ 3 )⎥
1
dε1 =
3 ⎣ 2 ⎦
2 ⎡ ⎤
dλ ⎢σ 2 − (σ 1 + σ 3 )⎥
1
dε 2 = (1.4)
3 ⎣ 2 ⎦
2 ⎡ ⎤
dλ ⎢σ 3 − (σ 1 + σ 2 )⎥
1
dε 3 =
3 ⎣ 2 ⎦

D’altra parte la relazione (1.2) può essere scritta nella forma:


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dε 1 − dε 2 dε 2 − dε 3 dε 3 − dε 1
= = = dλ (1.5)
σ1 − σ 2 σ 2 −σ3 σ 3 − σ1

Quadrando e sommando si ottiene:

(dε1 − dε 2 )2 + (dε 2 − dε 3 )2 + (dε 3 − dε1 )2 = dλ2[(σ1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3 )2 + (σ 3 − σ1 )2 ] (1.6)

Nella relazione (1.6) è immediato riconoscere, al secondo membro, la forma della


condizione di plasticità del von Mises. E’ quindi possibile definire le grandezze tensione
equivalente, σ , ed incremento di deformazione equivalente, dε , rispettivamente nella forma:

1
σ = (σ1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3 )2 + (σ 3 − σ1 )2 (1.7)
2

2
dε = (dε1 − dε 2 )2 + (dε 2 − dε 3 )2 + (dε 3 − dε1 )2 (1.8)
3

in modo tale che il modulo dλ assume l’espressione:

3 dε
dλ = (1.9)

Il set di equazioni (1.4) può quindi essere definitivamente scritto nella forma:

dε ⎡ ⎛ σ + σ 3 ⎞⎤
dε 1 = ⎢σ1 − ⎜ 2 ⎟⎥
σ ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦
dε ⎡ ⎛ σ + σ ⎞⎤
dε 2 = ⎢ σ 2 − ⎜ 3 1 ⎟⎥ (1.10)
σ ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦
dε ⎡ ⎛ σ + σ 2 ⎞⎤
dε 3 = ⎢σ3 − ⎜ 1 ⎟⎥
σ ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦

Le equazioni (1.10) prendono il nome di equazioni di Levy-Mises.


Nel caso particolare di stato di sollecitazione mono-direzionale, dalle (1.40) si ottiene:


dε 1 = σ1 (1.11)
σ

ed anche, integrando:

σ1 σ
= (1.12)
ε1 ε
Alla luce di quest’ultima relazione, il diagramma tensioni-deformazioni caratteristico della
prova di trazione sino al manifestarsi della strizione (sino a che, cioè, lo stato tensionale può
effettivamente essere considerato mono-direzionale) equivale al diagramma tensioni equivalenti –
deformazioni equivalenti. E’ pertanto possibile, proprio attraverso l’utilizzo delle informazioni

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contenute in tale diagramma sperimentale, tener conto della storia deformativa pregressa del
materiale nelle equazioni che legano tensioni e deformazioni in campo plastico.
La procedura da seguire è, a questo punto, piuttosto semplice: ad ogni istante del processo di
deformazione e per ogni elemento di materiale sottoposto alla deformazione, basterà infatti, nota la
deformazione equivalente accumulata fino a quel momento ( ε ) determinare la corrispondente
tensione di flusso plastico ( σ ) e quindi applicare il set di equazioni (1.40).
Occorre infine aggiungere che approfonditi studi teorici condotti negli anni ’50 e ’60 hanno
dimostrato l’esistenza di un legame preciso tra condizioni di plasticità ed equazioni tensioni-
deformazioni in campo plastico ad esse associate. Per ogni condizione di plasticità, in altri termini,
è possibile derivare un ben preciso set di relazioni che legano tensioni e deformazioni in campo
plastico. Tali studi si sono basati, in particolare, sull’introduzione della funzione potenziale plastico,
definita come funzione scalare delle tensioni, g(σij), le cui derivate parziali rispetto alle variabili σij
siano proporzionali alle componenti dell’incremento di deformazione dεij:

∂ g (σ ij )
d ε ij = d λ ' (1.13)
∂σ ij

essendo dλ’ un infinitesimo non negativo. Se si ammette che la funzione potenziale plastico g(σij)
coincide con la condizione di plasticità f(σij), la (1.43) assume la forma:

∂ f (σ ij )
d ε ij = d λ ' (1.14)
∂σ ij

Le relazioni (1.14) – è immediato far rilevare che si tratta di tre relazioni se ci si riferisce
alla terna principale, di sei relazioni se invece si fa riferimento ad una terna generica – stabiliscono
un profondo legame tra le equazioni tensioni-deformazioni in campo plastico e la condizione di
plasticità. Utilizzando tali relazioni è possibile, per ogni condizione di plasticità, derivare un ben
preciso set di equazioni che legano, in campo plastico, gli incrementi di deformazione e le tensioni.
Proprio per questa ragione si suole parlare di regola di scorrimento (in termini anglo-sassoni flow
rule) associata alla condizione di plasticità.
Applicando, ad esempio, la (1.44) alla condizione di plasticità del von Mises, si ottiene:

⎡ ⎤
dε1 = 2dλ' [(σ 1 − σ 2 ) − (σ 3 − σ 1 )] = 4dλ' ⎢σ 1 − (σ 2 + σ 3 )⎥
1
(1.15)
⎣ 2 ⎦

2
relazione identica alla (1.13) ponendo dλ = 4dλ ' . Tale circostanza dimostra che le equazioni di
3
Levy-Mises costituiscono la regola di scorrimento associata alla condizione di plasticità del von
Mises. In modo del tutto analogo sarebbe possibile determinare le regole di scorrimento associate
alla condizione del Tresca ed a qualunque altra condizione di plasticità.
Le relazioni (1.14) hanno un’altra conseguenza di notevole rilevanza. Si immagini di
sovrapporre, nello spazio di Haigh-Westergaard, agli assi σ1, σ2, σ3 gli assi dε1, dε2, dε3; il vettore
immagine dell’incremento di deformazione (le cui componenti sono appunto dε1, dε2, dε3) associato
allo stato tensionale σ1, σ2, σ3 secondo le (1.14), può essere convenientemente posizionato in
corrispondenza del punto rappresentativo dello stato tensionale medesimo, quest’ultimo
naturalmente giacente sulla superficie di plasticità.
Ebbene, proprio a causa delle (1.14), la direzione del vettore immagine dell’incremento di
deformazione sarà coincidente con la direzione normale alla superficie di plasticità nel punto
considerato (figura (1.3).
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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

Figura 1.3 - Normalità del vettore incremento di deformazione

Alla luce delle (1.14), infatti, le componenti del vettore incremento di deformazione sono
proporzionali ai coseni direttori della normale alla superficie di plasticità f(σij): ne deriva che il
vettore dεij è sempre perpendicolare alla superficie di plasticità nel punto corrispondente allo stato
tensionale ad esso associato. Tale condizione prende il nome di condizione di normalità.

1.3 METODOLOGIE DI ANALISI DEI PROCESSI DI FORMATURA

Si è visto, nel paragrafo che precede, che l'analisi di un processo di formatura per assegnate
condizioni operative deve fornire precise risposte in merito al flusso plastico del materiale, ai
carichi necessari, alle sollecitazioni agenti sulle attrezzature ed infine, all'eventuale insorgenza di
difetti.
E’ innanzi tutto opportuno far rilevare che la soluzione esatta di un problema di formatura
richiederebbe, ad ogni istante del processo considerato, l’esatta individuazione dello stato tensionale
e deformativo (e cioè del campo di spostamenti) che si verificano all’interno del materiale
sottoposto a deformazione.
Lo stato tensionale reale sarà certamente staticamente ammissibile: esso cioè rispetterà in ogni
punto le equazioni di equilibrio, soddisferà le condizioni statiche imposte sul contorno, ed in nessun
punto violerà la condizione di plasticità. D’altra parte il campo di spostamenti reale sarà certamente
cinematicamente ammissibile: dovrà cioè soddisfare le condizioni cinematiche al contorno
(spostamenti imposti, vincoli) e, punto per punto, dovrà rispettare la condizione di invariabilità del
volume, caratteristica del campo plastico. Infine la distribuzione degli incrementi di deformazione
associata al campo di spostamenti reale e lo stato tensionale reale dovranno infine verificare il
legame tensioni-deformazioni caratteristico del comportamento plastico dei materiali metallici
descritto dalle relazioni (1.14).

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

E’ possibile dimostrare che la soluzione esatta di un problema di deformazione plastica è


unica.
Da un punto di vista squisitamente teorico, la ricerca e l’individuazione della soluzione esatta
sarebbe possibile: si tratterebbe infatti di risolvere, ad ogni istante del processo considerato e per
ogni elemento del materiale sottoposto a deformazione, un sistema di dieci equazioni in dieci
incognite. Rispetto alla generica terna di riferimento x,y,z, le equazioni da considerare sono:

• le tre equazioni indefinite di equilibrio;


• le sei equazioni che definiscono il legame tensioni-deformazioni in campo plastico;
• la condizione di plasticità.

Le incognite sono invece:

• le sei componenti del tensore delle tensioni: σx, σy, σz, τxy, τyz, τzx;
• le tre componenti del vettore degli spostamenti ux, uy, uz;
• il parametro dλ che permette di tener conto della storia deformativa pregressa del materiale
nelle equazioni che definiscono il legame tensioni-deformazioni in campo plastico.

Vi sono quindi dieci incognite e dieci equazioni indipendenti e la individuazione della


soluzione esatta è teoricamente possibile. Nella realtà solo in un numero limitatissimo di casi,
caratterizzati da geometrie particolarmente semplici e dall’assenza di fenomeni di attrito (e quindi
molto lontani dai problemi reali) la soluzione esatta può essere individuata. Sono state pertanto
proposte numerose metodologie di analisi in grado di condurre uno studio approssimato. nel seguito
saranno prese in esame quelle maggiormente utilizzate nella pratica, avendo cura di evidenziare, per
ciascuna di esse, i risultati ottenibili ed i limiti caratteristici.

1.3.1 Lo slab method


Nello slab method o elementary method viene studiato l'equilibrio delle forze agenti su di un
elementino del corpo da deformare, utilizzando una distribuzione delle tensioni semplificata. Il
metodo considera le tensioni agenti sulla superficie di un elementino isolato all'interno del pezzo in
lavorazione, cui viene imposto l'equilibrio delle forze. Ciò conduce, in genere, ad una equazione
differenziale, che viene integrata, analiticamente o numericamente, utilizzando la condizione di
plasticità ed assumendo una legge di attrito. L'integrazione dell'equazione differenziale conduce alla
determinazione, sia pure approssimata, della distribuzione delle tensioni agenti sul pezzo, della
distribuzione delle pressioni all'interfaccia stampo-pezzo e, conseguentemente ad una stima dei
carichi necessari. Esempi di applicazione dello slab-method sono stati presentati in precedenza, con
riferimento al caso dello schiacciamento di un massello cilindrico ed al caso dell’estrusione diretta
(Capitolo 3).
L'integrazione dell'equazione differenziale richiede tuttavia, di solito, l'assunzione di ipotesi
semplificative sullo stato tensionale: in genere è necessario assumere quali principali, tensioni che
in realtà principali non sono, non considerando, in altri termini, la presenza di azioni tangenziali
dovute all'attrito sulle superfici su cui esse agiscono. Ciò nonostante lo slab method ha trovato un
gran numero di applicazioni proprio perché è facilmente implementabile anche su piccoli
elaboratori, ciò che consente di analizzare, rapidamente ed a basso costo, l'influenza di alcuni
parametri operativi sullo stato tensionale e sui carichi richiesti per lo svolgimento del processo. Si
tratta, in definitiva, di un metodo in grado di suggerire solo alcune informazioni al progettista del
processo produttivo, mentre, ad esempio, non fornisce alcuna indicazione sul flusso plastico del
materiale.

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

1.3.2 L'upper bound method


Il metodo dell’upper bound è basato sul teorema omonimo e, più in particolare, sulla
individuazione di un campo di velocità cinematicamente ammissibile in grado di descrivere lo
scorrimento plastico del materiale nel corso del processo di formatura.
Prima di procedere alla dimostrazione del teorema dell’upper bound, è necessario enunciare
due fondamentali principi, necessari per lo svolgimento della dimostrazione medesima: il principio
di convessità della superficie di plasticità ed il principio del massimo lavoro plastico.
Per quanto riguarda il primo, la dimostrazione della sua validità può essere effettuata per
assurdo: se infatti la superficie di plasticità fosse concava rispetto ad un osservatore esterno, sarebbe
possibile provocare incrementi di deformazione permanente anche con una riduzione delle tensioni
agenti, ciò che risulta evidentemente impossibile.
Per ciò che invece concerne il principio del massimo lavoro plastico, si consideri la figura
5.1. La figura riporta la sezione della superficie di plasticità secondo il piano π, essendo
quest’ultimo il piano di equazione σ1+ σ2+σ3=0, perpendicolare alla trisettrice dell’ottante positivo
nello spazio di Haigh e Westergaard. Rispetto al piano π la condizione di plasticità del von Mises,
ad esempio, si traduce in una circonferenza di raggio σ0.
r
Si consideri, in figura 5.1, il vettore OP , immagine di uno stato di sollecitazione σij che
r
soddisfa la condizione di plasticità; sia inoltre PQ il vettore immagine dell’incremento di
deformazione dεij associato allo stato tensionale σij secondo le ben note relazioni (1.44); sia infine
r
OP* il vettore immagine di un qualunque altro stato tensionale σij* che verifichi la condizione di
plasticità.

Figura 1.4 - Principio del massimo lavoro plastico

Il lavoro plastico compiuto dai due stati tensionali, σij e σij*, con riferimento al medesimo
incremento di deformazione plastica dεij, può essere calcolato mediante i prodotti scalari:
r r r r
dW = OP • PQ dW * = OP * • PQ (1.16)

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

La differenza:
r r r r
dW − dW * = OP ⋅ PQ − OP * ⋅PQ = (σ ij − σ ij* )dε ij (1.17)

è una quantità certamente non negativa, alla luce della condizione di normalità del vettore
incremento di deformazione rispetto alla superficie di plasticità e del principio di convessità della
superficie di plasticità.
E’ quindi possibile affermare che, dato un incremento di deformazione permanente dεij, il
lavoro di deformazione compiuto dal tensore σij che ha provocato tale incremento di deformazione
è massimo rispetto al lavoro attribuibile a qualunque altro stato di tensione σij* diverso dal
precedente e tale tuttavia da soddisfare la condizione di plasticità.
Un incremento di deformazione plastica richiede quindi la massima dissipazione di energia.
Tale circostanza è del tutto congruente con quanto avviene in altri settori della fisica: si pensi, ad
esempio, al caso di due corpi a contatto in moto reciproco. Le forze di attrito sulle superfici di
contatto hanno direzione e verso tali da rendere massima la dissipazione di energia.
La relazione (5.2) è sta ricavata facendo riferimento alle sollecitazioni localmente agenti in un
punto del solido considerato; se invece si considera l’intero volume del solido sottoposto a
deformazione, la (5.2) assume la forma:

∫ (σ
V
ij − σ ij* )dε ij dV ≥ 0 (1.18)

nella quale dεij è l’incremento di deformazione plastica in un generico punto, σij lo stato tensionale
ad esso associato ed infine σij* un qualunque altro stato di tensione diverso dal precedente e tale
tuttavia da soddisfare la condizione di plasticità.
Enunciati i principi di convessità della superficie di plasticità e del massimo lavoro plastico, è
ora possibile procedere alla dimostrazione del teorema dell’upper-bound.
Si consideri un corpo rigido-plastico, di volume V e superficie S sottoposto ad un processo di
formatura. Su una parte della superficie S, St, sia nota la distribuzione dei carichi agenti per unità di
superficie, ti; su un’altra parte della superficie S, Su, sia invece nota la distribuzione degli
spostamenti infinitesimi dui. Il significato delle superfici St ed Su è immediatamente evidente se si
considerano alcuni esempi: è una superficie St la superficie del materiale sottoposta alla pressione
del fluido nel caso dell’estrusione idrostatica; può esserlo la superficie di contatto stampo-pezzo
nell’upsetting se sono note le forze di attrito al contatto; sono invece tipicamente superfici del tipo
Su tutte le superfici di contatto tra il pezzo in lavorazione e gli stampi sottoposte a spostamenti
imposti dal moto rigido degli stampi medesimi.
Tutto ciò premesso sia σij e dui la soluzione esatta (reale) del problema di formatura
considerato; alla luce di quanto si è detto in precedenza σij è uno stato tensionale staticamente
ammissibile, dui è una distribuzione di spostamenti infinitesimi cinematicamente ammissibile ed il
campo di incrementi di deformazione dεij, dovuto agli spostamenti infinitesimi dui, è legato allo
stato tensionale σij mediante le relazioni (1.44).
Sia inoltre dui* un qualunque altro campo di spostamenti infinitesimi cinematicamente
ammissibile, tale cioè da rispettare in ogni punto la condizione di invariabilità del volume e le
condizioni cinematiche al contorno, i.e. dui*=dui, sulla superficie Su. Sia, infine, dεij* il campo di
incrementi di deformazione dovuto alla distribuzione di spostamenti infinitesimi dui*.
Applicando il principio dei lavori virtuali allo stato tensionale reale σij ed al campo di
spostamenti infinitesimi cinematicamente ammissibile dui* si avrà:

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∫ t du dS = ∫ σ
i
*
i ij dε ij* dV + ∑ ∫ τ du ∗ dS d (1.19)
S V Sd

nella quale i termini ∫σ ij dε ij* dV ed ∑ ∫τ du ∗


dS d rappresentano rispettivamente l’energia di
V Sd

deformazione interna e l’energia dissipata in corrispondenza ad eventuali superfici di discontinuità


SD del campo di spostamenti infinitesimi dui*. E’ evidente che, affinché rimanga rispettata la
condizione di invariabilità del volume, tale discontinuità può riguardare esclusivamente la
componente degli spostamenti tangente ad SD, mentre la componente normale deve mantenersi
continua. Nell’espressione che precede, τ è la tensione tangenziale reale che agisce sulla superficie
SD, mentre du ∗ rappresenta la discontinuità della componente degli spostamenti infinitesimi
tangente ad SD.
Si consideri adesso lo stato tensionale σij*, non necessariamente staticamente ammissibile,
associato al campo di incrementi di deformazione dεij* secondo il ben noto legame tensioni-
deformazioni espresso dalle relazioni (1.44). Alla luce del principio del massimo lavoro plastico, è
possibile scrivere la relazione che segue:

∫σ dε ij∗ dV ≥ ∫ σ ij dε ij∗ dV

ij (1.20)
V V

e pertanto, applicando la (5.5) alla (5.4), si ottiene:

∫ t du dS ≤ ∫ σ
i

i

ij dε ij∗ dV + ∑ ∫ τ 0 du ∗ dS d (1.21)
S V Sd

nella quale, peraltro, il secondo membro è stato ulteriormente maggiorato introducendo, in luogo di
τ, la tensione tangenziale limite τ0.
Considerando infine che la superficie S comprende le due porzioni St ed Su (sulla quale gli
spostamenti infinitesimi sono noti e pertanto dui*=dui), il primo membro della (1.21) può essere
scisso nei due termini:

∫ t du ∫ t du ∫ t du
∗ ∗
i i dS = i i dS t + i i dS u (1.22)
S St Su

e pertanto la (5.6) assume la forma definitiva:

∫ t du dS ≤ ∫ σ
i i u

ij dε ij∗ dV + ∑ ∫ τ 0 du ∗ dS d − ∫ ti dui*dSt (1.23)
Su V Sd St

La relazione alla quale si è pervenuti afferma che il lavoro compiuto dai carichi reali agenti
sulla superficie Su, sulla quale gli spostamenti sono noti, è in ogni caso minore od al più eguale alla
somma dei tre contributi energetici riportati al secondo membro, rispettivamente riconducibili
all’energia di deformazione interna, all’energia dissipata in corrispondenza ad eventuali superfici di
discontinuità del campo di spostamenti ed infine all’energia dissipata dalle forze esterne note.
Ricordando gli esempi inizialmente proposti in merito al significato della superficie Su, è
immediato riconoscere nel termine al primo membro della relazione (5.8), l’energia necessaria per
eseguire il processo di deformazione: il teorema dell’upper bound stabilisce che è possibile ottenere
una stima per eccesso di tale energia, sommando i tre termini energetici presenti al secondo

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

membro della (5.8), questi ultimi calcolati sulla base di un qualunque campo di spostamenti
cinematicamente ammissibile.
La relazione (5.8) può essere scritta, anziché in termini di spostamenti infinitesimi ed
incrementi di deformazione, in termini di velocità e velocità di deformazione : si ha pertanto:

∫ t v dS ≤ ∫ σ
i i u ε& dV + ∑ ∫ τ 0 Δv ∗ dS d − ∫ ti vi* dS t
∗ ∗
ij ij (1.24)
Su V Sd St

E’ immediato osservare che tutti gli integrali assumono il significato di potenze: assunto un
campo di velocità cinematicamente ammissibile, è possibile calcolare la potenza di deformazione
interna, la potenza dissipata in corrispondenza ad eventuali superfici di discontinuità del campo di
velocità e la potenza dissipata dalle forze esterne note. La somma di questi tre termini fornisce una
valutazione per eccesso, un limite superiore (upper bound) della potenza totale di deformazione
necessaria per eseguire il processo di formatura. Da essa, nota la velocità di spostamento degli
stampi, è possibile derivare il carico istantaneamente richiesto per l’esecuzione del processo.
E’ peraltro evidente che, quanto più basso sarà l’upper bound calcolato, tanto più il campo di
velocità ipotizzato sarà vicino a quello reale; sviluppando il ragionamento, tra tutti i campi di
velocità cinematicamente ammissibili, il campo di velocità reale sarà quello che minimizza la
potenza totale di deformazione, calcolata mediante la somma dei tre termini al secondo membro
della (5.9).
Non è evidentemente possibile investigare tutti i campi di velocità cinematicamente
ammissibili: tuttavia se si considera una classe di campi di velocità dipendenti da uno o più
parametri, l'elemento migliore di questa classe potrà essere determinato minimizzando la potenza
totale di formatura rispetto al parametro od ai parametri. In generale quanto maggiore è il numero di
parametri, tanto più precisa sarà l'analisi, ma anche tanto più complesso ed oneroso risulterà il
processo di calcolo: conseguentemente l'applicazione pratica del metodo richiede un intelligente
compromesso nella scelta dei parametri utilizzati per definire la classe di campi di velocità.
Il metodo dell'upper bound, nelle sue varie versioni (metodo di Johnson-Kudo, metodo di
Avitzur ecc.), è stato largamente utilizzato nella progettazione di processi di formatura. Il concetto
di upper-bound è infatti del tutto compatibile con la logica da seguire nella scelta della macchina
necessaria per l'esecuzione di un dato processo: nelle lavorazioni di formatura viene infatti imposto
il movimento agli stampi, mentre alla macchina è richiesto un carico in grado di equilibrare, durante
il processo, la resistenza opposta dal materiale alla deformazione imposta. Pertanto la conoscenza,
con assoluta precisione, del carico richiesto istante per istante, ha una rilevanza piuttosto relativa; in
genere è del tutto sufficiente conoscere un upper bound del carico, un valore cioè che in ogni caso
approssima per eccesso il carico effettivamente richiesto. Il metodo dell'upper bound, inoltre,
fornisce una valutazione, sia pure approssimata, del flusso plastico del materiale rappresentato dalla
distribuzione di velocità cinematicamente ammissibile assunta.

1.3.2.1 Il metodo di Johnson-Kudo


Si è detto in precedenza che traendo spunto dal base sul teorema dell’upper bound sono state
sviluppate numerose metodologie di analisi dei processi di formatura: tra esse particolarmente
interessante, anche per la sua semplicità, è quella proposta dagli studiosi Johnson e Kudo, anche se,
come si vedrà, la sua applicabilità a casi industriali reali risulta piuttosto limitata.
Il metodo di Johnson e Kudo è infatti applicabile in problemi di formatura nei quali le
condizioni di deformazione siano assimilabili al caso della deformazione piana, il materiale abbia
un comportamento rigido perfettamente plastico (non si verifichino, cioè, fenomeni di
incrudimento) ed infine la geometria del problema sia piuttosto semplice.
Si consideri, ad esempio, il processo di estrusione, in condizioni di deformazione piana,
rappresentato in figura 5.2: il pezzo in lavorazione subisce una riduzione di spessore da 2H a 2h

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

passando attraverso la sezione di uscita della matrice, la cui geometria è caratterizzata dall’angolo
di inclinazione α.
La superficie di contatto tra il punzone e la matrice costituisce, evidentemente, una superficie
di tipo Su, secondo la nomenclatura introdotta nel paragrafo precedente: su di essa infatti la velocità
in direzione orizzontale è nota, in quanto imposta dal moto rigido del punzone, mentre la pressione
necessaria per eseguire il processo costituisce l’incognita del problema, per la quale si intende
calcolare un upper bound, quanto più prossimo alla soluzione reale. D’altra parte, assumendo per
semplicità che non si manifestino fenomeni di attrito all’interfaccia materiale-matrice, non vi sono
superfici del tipo St e pertanto il terzo termine al secondo membro della (5.9) risulta identicamente
eguale a zero.
Il metodo di Johnson-Kudo si basa sulla rappresentazione del materiale secondo blocchi
(parallelepipedi) rigidi, i quali subiscono deformazione solo nel momento in cui attraversano le
superfici di discontinuità del campo di velocità (superfici SD). Alla luce di questa assunzione, nella
∫σ ε& dV risulta essere identicamente eguale a zero: si potrà pertanto
∗ ∗
(5.9) anche il termine ij ij
V
valutare un upper bound della potenza di formatura necessaria per eseguire il processo, calcolando
esclusivamente il termine ∑ ∫τ 0 Δv ∗ dS d , una volta definito un campo di velocità
Sd
cinematicamente ammissibile.

Figura 1.5 – Campo di velocità cinematicamente ammissibile

Ebbene, la più semplice classe di campi di velocità cinematicamente ammissibili può essere
costruita sulla base delle due superfici di discontinuità del campo di velocità, le cui tracce sul piano
di figura 1.5 sono i segmenti AC, A’C, BC e B’C; al variare dell’angolo θ, varia la posizione del
punto C e viene pertanto definita un’intera classe di campi di velocità.
r
Un generico elemento di materiale, inizialmente dotato di velocità V0 per effetto dell’azione del
punzone, nell’attraversare la superficie di traccia BC subisce una variazione istantanea della
r
componente di velocità tangente a tale superficie, ΔVBC , che lo costringe a muoversi parallelamente
r
alla superficie di traccia AB con velocità VAB . Successivamente, l’elemento di materiale
considerato, nell’attraversare la superficie di traccia AC subisce una nuova variazione istantanea

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r
della componente di velocità tangente a tale superficie, ΔVAC , che lo porta infine a riassumere una
r
direzione di moto orizzontale con velocità V finale .
Il modulo della velocità finale è naturalmente legato al modulo della velocità iniziale dalla
r r
condizione di invariabilità del volume, mentre i moduli di ΔVBC e ΔVAC possono essere determinati
risolvendo graficamente, o con semplici considerazioni trigonometriche, il diagramma delle velocità
(odografo) riportato in figura 1.6.

Figura 1.6 – Diagramma delle velocità

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono la relazione (1.24) che esprime
analiticamente il teorema dell’upper bound assume nel caso in esame la seguente forma:

( r r
p ⋅ 2 H ⋅ V0 = 2τ 0 ΔVBC ⋅ BC + ΔVAC ⋅ AC ) (1.25)

La relazione (1.25) consente di approssimare per eccesso (cioè di calcolare un limite


superiore) la pressione p necessaria per realizzare il processo di estrusione.
r
E’ evidente che la misura dei segmenti AC e BC, così come il modulo dei vettori ΔVBC e
r
ΔVAC sono funzione dell’angolo θ. Pertanto, nell’ambito della classe di campi di velocità
cinematicamente ammissibili presa in considerazione, il campo migliore, il più vicino alla soluzione
esatta, sarà quello che rende minimo il valore della pressione necessaria per realizzare il processo.
L’esempio proposto dimostra la notevole semplicità del metodo di Johnson-Kudo e la facilità
della sua applicazione. E’ evidente però che subentrano notevoli limitazioni nel caso in cui si
debbano affrontare problemi di geometria più complessa: in questo caso, infatti, l’individuazione
del campo di velocità cinematicamente ammissibile e la costruzione dell’odografo riservano
difficoltà spesso insormontabili.
Prima di passare al metodo degli elementi finiti si ritiene di dover fornire un cenno relativo al
metodo delle slip-lines ed alla visioplasticità. Il primo approccio, piuttosto interessante dal punto di
vista teorico, è basato sull'individuazione della distribuzione delle slip lines (linee di scorrimento),
definite come le curve tangenti, punto per punto, alle direzioni delle tensioni tangenziali massime e
minime agenti nel pezzo in lavorazione. L'applicazione del metodo, che in effetti è in grado di
fornire soluzioni esatte, è tuttavia limitata a processi che si svolgono in condizioni di deformazione
piana su materiali aventi comportamento rigido-perfettamente plastico, per i quali cioè la parte
elastica della deformazione ed il fenomeno dell'incrudimento siano trascurabili.
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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

Il metodo della visioplasticità combina invece osservazioni sperimentali ed analisi: sul pezzo
in lavorazione sono impresse delle griglie, analizzando le quali è possibile ricavare, in processi
stazionari, la distribuzione reale delle velocità all'interno del pezzo. Dalla distribuzione delle
velocità si risale alle velocità di deformazione e da esse, tramite le equazioni costitutive del
materiale, alla distribuzione delle tensioni. L'applicabilità del metodo è evidentemente limitata a
processi stazionari per i quali la determinazione sperimentale delle velocità sia possibile.

1.3.3 Il metodo degli elementi finiti


Il metodo degli elementi finiti è basato sul concetto della discretizzazione: il dominio della
funzione oggetto di studio (spostamento, velocità, temperatura) è suddiviso in sottodomini
(elementi), interconnessi nei punti nodali. In tal modo la funzione è approssimata localmente,
all'interno di ciascun elemento, mediante una funzione continua (funzione forma od interpolatrice)
descritta univocamente dai valori assunti dalla funzione stessa nei punti nodali. Ad esempio
l'impiego di una funzione forma consente di esprimere il valore della velocità lungo l'asse x di un
qualunque punto all'interno dell'elemento in funzione dei valori assunti nei nodi.
La soluzione del problema analizzato non è quindi più costituita da una funzione agente in un
dominio, ma da un numero discreto di variabili, tramite le quali è possibile risalire ad una
valutazione, sia pure approssimata, dell'andamento della funzione nell'intero dominio. Appare
immediatamente evidente come il numero degli elementi impiegati nella discretizzazione ed il
grado della funzione forma (lineare, quadratica, cubica, ecc.) influenza notevolmente il livello di
approssimazione dell'analisi e, di converso, la quantità di calcoli necessaria e quindi, in ultima
analisi, i tempi ed i costi dell'elaborazione.
Al fine di pervenire alla soluzione ad elementi finiti di un problema fisico, è quindi
necessario:

1. definire le equazioni fondamentali che governano il processo;


2. definire una discretizzazione in grado di garantire un buon compromesso tra la qualità dei
risultati ed i tempi (e quindi i costi) necessari per l'analisi;
3. per ciascun elemento scrivere le equazioni fondamentali discretizzate, in funzione cioè delle
variabili nodali;
4. assemblare le equazioni elementari in un sistema globale;
5. risolvere numericamente il sistema di equazioni (sia esso lineare o non lineare) così ottenuto.

Lo svolgimento delle fasi 1 e 3 appena citate può avvenire mediante l'impiego di diversi tipi
di approcci; in particolare è possibile seguire un approccio variazionale, un approccio residuale od
un approccio basato su un bilancio energetico.
Entrando maggiormente nel merito della simulazione ad elementi finiti di processi di
formatura, l'approccio variazionale consiste nella minimizzazione di un funzionale opportunamente
definito e dipendente dalle equazioni costitutive del materiale in esame. In particolare, come meglio
sarà descritto nel prosieguo, detto funzionale è definito sulla base del teorema dell'upper-bound ed è
espresso localmente, per ciascun elemento, in funzione delle variabili nodali; successivamente i
funzionali elementari sono assemblati nel funzionale globale sul quale viene imposta la condizione
di stazionarietà.
L'approccio residuale è invece basato sulla minimizzazione a livello globale (a livello cioè
dell'elemento finito) dei residui causati dal mancato soddisfacimento puntuale delle equazioni
fondamentali da parte della soluzione approssimata ad elementi finiti. Per rendere più chiaro il
precedente concetto è opportuno far ricorso ad un esempio. Nella meccanica del continuo, le
equazioni fondamentali che governano il processo sono le condizioni di equilibrio statico le quali
devono essere verificate puntualmente all'interno e sulla superficie esterna del dominio preso in
esame; l'impiego di funzioni forma e quindi l'ipotesi ad esso connessa di un particolare andamento
degli spostamenti (e di conseguenza delle deformazioni e delle tensioni) all'interno dell'elemento,

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

determina il mancato soddisfacimento puntuale delle equazioni di equilibrio e quindi l'insorgere di


un errore puntuale (il residuo). La formulazione residuale consiste appunto nella minimizzazione
globale, condotta cioè con riferimento al volume dell'elemento, dei residui puntuali,
opportunamente pesati.
E' infine possibile utilizzare un approccio di tipo energetico, facendo riferimento al principio
dei lavori virtuali ed esprimendo in termini discreti le equazioni così ottenute. In effetti sarebbe
possibile dimostrare che le due ultime formulazioni sono praticamente equivalenti dal punto di vista
di una soluzione ad elementi finiti, dal momento che il principio dei lavori virtuali costituisce una
forma debole, valida cioè a livello elementare, delle equazioni di equilibrio.

1.3.4 Aspetti relativi alla simulazione ad elementi finiti di processi di formatura

1.2.4.1 Equazioni costitutive: formulazione flow e solid


Nel secondo capitolo di questa trattazione si è osservato che nell'analisi dei processi di
formatura, in particolare per quanto riguarda i processi di bulk forming, la componente elastica della
deformazione può essere ragionevolmente trascurata, senza che ciò infici il livello di accuratezza
dello studio. Tale assunzione conduce ad una caratterizzazione del materiale di tipo rigido-plastico
o rigido-viscoplastico, dipendentemente se l'influenza della velocità di deformazione sulla tensione
di flusso plastico sia o meno rilevante.
Dal punto di vista della simulazione il poter trascurare la parte elastica della deformazione
presenta notevole rilevanza, in quanto permette una notevole semplificazione delle equazioni
tensioni-deformazioni da utilizzare: le equazioni alle quali far riferimento sono le equazioni di
Levy-Mises, che legano direttamente le componenti del vettore deviatore delle tensioni con le
componenti del vettore velocità di deformazione.
La simulazione numerica dei processi di formatura di pezzi pieni, per i quali l'ipotesi di
comportamento rigido-plastico del materiale è assolutamente plausibile, è quindi condotta
assumendo le velocità nodali quali variabili del problema, calcolate le quali è possibile pervenire
alle velocità di deformazione e da esse allo stato tensionale deviatorico. L'analogia del problema
con quello relativo allo studio del moto di un fluido non newtoniano all'interno di un canale (anche
in questo caso le equazioni costitutive legano, tramite il parametro viscosità, il vettore deviatore
delle tensioni con il vettore velocità di deformazione), ha fatto sì che la formulazione venisse
definita flow formulation.
In definitiva il problema è impostato nei seguenti termini: ad un certo istante del processo di
deformazione sono note la forma del semilavorato, la distribuzione delle temperature e delle
deformazioni permanenti accumulate fino a quell'istante e conseguentemente le caratteristiche
meccaniche del materiale punto per punto. Su una parte della superficie del materiale è assegnato il
vettore velocità (si tratta ad esempio delle porzioni della superficie a contatto con gli stampi, che
sono quindi costrette a seguire il movimento degli stampi medesimi), mentre sulla stessa o su altre
parti della superficie sono note le forze esterne agenti sul semilavorato (è il caso, tipicamente, delle
zone sulle quali agiscono le forze di attrito, le quali, come si vedrà nel prosieguo, possono essere
calcolate in funzione della tensione tangenziale di scorrimento del materiale). La soluzione al
problema è rappresentata dal vettore delle velocità nodali, noto il quale è possibile risalire allo stato
tensionale all'interno del pezzo in lavorazione.
Non sempre l'assunzione del comportamento rigido-plastico del materiale può essere
accettabile: è il caso dei processi di formatura delle lamiera, nei quali la componente elastica della
deformazione non è certamente trascurabile. In questo caso il materiale va studiato come elasto-
plastico e le equazioni tensioni-deformazioni devono tener conto di entrambe le componenti
(equazioni di Prandtl e Reuss).
L'analisi delle lavorazioni delle lamiere richiede pertanto una diversa formulazione, la solid
formulation, le cui linee fondamentali possono essere così tratteggiate: ad un dato istante del

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

processo di formatura, oltre alle caratteristiche meccaniche del materiale punto per punto, è altresì
nota la distribuzione delle tensioni all'interno del semilavorato; costituiscono dati del problema
anche le condizioni al contorno, sia dal punto di vista cinematico che statico. La soluzione al
problema è rappresentata dagli spostamenti nodali e dagli incrementi di tensione, questi ultimi al
fine di verificare l'avvenuta plasticizzazione del materiale.
Occorre ancora aggiungere che lo studio dei processi di formatura delle lamiere deve essere in
grado di tener conto degli ingenti moti rigidi (spostamenti e rotazioni) che la lamiera subisce
durante la lavorazione. Tali moti rigidi rendono non lineare il legame tra spostamenti nodali e
deformazioni (o tra velocità nodali e velocità di deformazione), complicando pertanto ulteriormente
l'analisi, ed inoltre richiedono l'impiego di particolari tensori delle tensioni, indipendenti dai moti
rigidi.

1.3.4.2 Effetto della temperatura: formulazioni coupled


In un qualunque processo di formatura, sia la deformazione plastica che l'attrito all'interfaccia
stampi-pezzo in lavorazione, contribuiscono alla generazione di calore: in particolare è stato
calcolato che una aliquota approssimativamente compresa tra il 90% ed il 95% dell'energia
meccanica totalmente in gioco nel processo viene trasformata in calore.
Nelle normali operazioni di formatura, specialmente in quelle realizzate ad alta velocità, si
possono avere incrementi della temperatura anche di qualche centinaio di gradi centigradi. Parte di
questo calore è trasmesso per conduzione agli stampi, parte viene irradiato nell'ambiente
circostante, parte rimane nel materiale deformato, ma in ogni caso si hanno dei gradienti di
temperatura assai severi nel pezzo in lavorazione.
Conseguentemente è molto importante cercare di introdurre l'effetto della temperatura
nell'analisi di problemi di formatura dei metalli: un incremento della temperatura determina una
notevole variazione delle caratteristiche meccaniche del materiale ed inoltre influenza le condizioni
di lubrificazione, la durata degli stampi e le stesse proprietà dei componenti finiti.
E' necessario far rilevare, d'altra parte, che l'incremento della temperatura è determinato dalle
condizioni nelle quali il processo si evolve: esso infatti dipende dalle temperature iniziali del
semilavorato e degli stampi, dall'entità della deformazione impressa nel materiale e dalla velocità
con la quale questa deformazione viene applicata: i gradienti di temperatura sono infatti funzione
della generazione di calore dovuta alla deformazione plastica e del trasferimento di calore verso gli
stampi e l'ambiente esterno (attraverso l'aria od un agente refrigerante), il quale è fortemente
dipendente dalla durata del processo.
Le considerazioni che precedono mostrano come, al fine di tener conto dell'effetto della
temperatura nella simulazione numerica di un processo di formatura, è necessario sviluppare una
formulazione accoppiata: se, infatti, da una parte la meccanica di deformazione del processo
dipende dalla distribuzione delle temperature, le quali influenzano in modo decisivo le
caratteristiche meccaniche del materiale, dall'altra la distribuzione delle temperature è funzione
dalla meccanica del processo ed in particolare delle deformazioni permanenti impresse sul materiale
e della durata del processo medesimo.
Gli approcci proposti in letteratura sono appunto basati su formulazioni accoppiate di tipo
iterativo, le quali prevedono, per ogni passo del processo di deformazione, la soluzione alternata del
problema meccanico e del problema termico fino al raggiungimento della convergenza: ad ogni
iterazione è analizzato in primo luogo il problema termico, l'output del quale (la distribuzione delle
temperature) costituisce uno degli input del problema meccanico; a sua volta l'output del problema
meccanico (la distribuzione delle deformazioni accumulate o, se si preferisce, il lavoro di
deformazione plastica) rappresenta l'input del problema termico nella seconda iterazione. Il
procedimento è iterato fino al raggiungimento della convergenza nei valori calcolati di temperatura
o di deformazione.

1.3.4.3 Definizione delle condizioni al contorno - attrito

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

La qualità della soluzione fornita da una metodologia di simulazione numerica, e quindi, in


altri termini, la reale possibilità di applicazione di tali metodologie per lo studio di processi
industriali di formatura dipende dalla efficacia e dalla affidabilità dei dati forniti al codice in merito
alla caratterizzazione del materiale, delle condizioni di attrito e delle condizioni di scambio termico
all'interfaccia. La qualità della soluzione dipende inoltre dalla discretizzazione impiegata, con
riferimento sia al livello di affinamento del mesh che alla distorsione degli elementi: quest'ultimo
aspetto sarà analizzato nel successivo paragrafo.
Le condizioni di attrito all'interfaccia stampo-pezzo influenzano notevolmente il flusso
plastico del materiale, lo stato tensionale, i carichi richiesti per l'esecuzione del processo e la
possibilità di formazione di difetti siano essi di flusso (legati ad esempio ad un incompleto
riempimento della cavità compresa tra gli stampi) che fratture duttili.
L'introduzione delle condizioni di attrito in un codice numerico ad elementi finiti avviene, di
solito, mediante due principali metodologie, in particolare le tensioni tangenziali dovute all'attrito
possono essere calcolate in funzione della tensione normale agente sulla superficie (τ=μp) o come
una aliquota della tensione tangenziale di scorrimento caratteristica del materiale (τ=mτ0, con m
compreso tra 0 ed 1).
Gli studi condotti hanno mostrato la validità della prima metodologia con particolare
riferimento alle lavorazioni di formatura delle lamiere. Di contro essa non risulta adatta al caso delle
lavorazioni di pezzi pieni ove le pressioni agenti sono assai elevate: per tale ragione si potrebbe
arrivare, se non si ricorresse a particolari accorgimenti correttivi, alla valutazione di una tensione
tangenziale dovuta all'attrito superiore alla tensione tangenziale limite di scorrimento del materiale,
circostanza quest'ultima evidentemente impossibile dal punto di vista fisico. Pertanto nel bulk
forming le condizioni di attrito vengono modellate impiegando la relazione τ=mτ0.
L'impiego dell'uno o dell'altro modello richiede, in ogni caso, una accurata determinazione del
valore del coefficiente di attrito, da effettuarsi mediante un opportuno test. Come si è diffusamente
descritto nel Capitolo 3, il test deve riprodurre le condizioni che si verificheranno durante il
processo reale, con particolare riferimento a tutte quelle caratteristiche che riguardano le superfici a
contatto (velocità di scorrimento tra il materiale in lavorazione e gli stampi, eventuale allargamento
della superficie di contatto, entità delle pressioni che vengono scambiate all’interfaccia).
Nel Capitolo 3 di questa trattazione sono stati presentati due tra i test più diffusi per la
valutazione del coefficiente di attrito nei processi di formatura massiva, il ring-test ed il double cup
extrusion test. Allo stesso modo numerosi test sono stati proposti per la valutazione del coefficiente
d’attrito nelle lavorazioni delle lamiere; allo stato è possibile affermare che non esiste ancora una
metodologia consolidata, mentre l’argomento è oggetto di intense ricerche in numerosi laboratori.

1.3.4.4 La scelta del mesh iniziale ed il remeshing


Nel corso dell'introduzione generale alle metodologie di simulazione numerica si è avuto
modo di osservare che la qualità della soluzione ottenuta dipende dal livello di affinamento della
discretizzazione e dal grado delle funzioni forma. Il concetto di discretizzazione impone, infatti, che
l'andamento reale di una funzione venga approssimato assumendo che, all'interno di ciascun
elemento, tale funzione abbia un andamento ben noto, sia esso lineare, quadratico o cubico,
dipendentemente dalla funzione forma prescelta. E' chiaro pertanto che la bontà
dell'approssimazione dipenderà dal numero di elementi in cui il dominio oggetto di indagine viene
suddiviso e dal grado della funzione interpolatrice.
I software più moderni dispongono, almeno limitatamente a problemi 2-D, di potenti
algoritmi per la discretizzazione automatica; naturalmente è possibile, da parte dell'analista, guidare
l'algoritmo, suggerendo le zone nelle quali un maggiore affinamento del mesh appare
particolarmente importante. In generale è fondamentale affinare la discretizzazione nelle zone in cui
sono previsti forti gradienti della funzione oggetto di indagine, ad esempio in prossimità degli
spigoli degli stampi, ove sono prevedibili elevati valori delle deformazioni accumulate.

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

Altrettanto importante è la possibilità di compiere operazioni di remeshing nel corso della


simulazione. La deformazione plastica determina infatti notevoli distorsioni della discretizzazione:
gli elementi possono risultare parecchio deformati e conseguentemente la capacità della funzione
forma di rappresentare l'andamento della variabile considerata in funzione dei valori nodali può
risultare fortemente compromessa. Tale circostanza si verifica quando, ad esempio, un elemento
rettangolare raggiunge un valore del rapporto tra i lati troppo elevato o degenera in un triangolo. In
questi casi è necessario procedere ad una completa ridiscretizzazione, avendo però cura di trasferire
dal vecchio al nuovo mesh tutto quel complesso di informazioni (temperature nodali, deformazioni
accumulate, eventualmente livelli di danneggiamento già subiti dal materiale) necessarie per il
proseguimento dell'analisi. La figura 1.7 riporta ad esempio il mesh deformato ottenuto al termine
della simulazione di un processo di forgiatura entro stampi semichiusi in condizioni di
deformazione piana: si può notare l’infittimento della discretizzazione operato dall’algoritmo di
remeshing di cui è dotato il codice numerico utilizzato, in corrispondenza dei flash, dove è massima
la deformazione subita dal materiale e conseguentemente la distorsione del mesh originario.

Figura 1.7 – Infittimento della discretizzazione dopo il remeshing

Talora lo svolgimento di una operazione di remeshing è necessario, altresì, per una efficace
rappresentazione delle condizioni di contatto all'interfaccia stampo-pezzo in lavorazione. Una
discretizzazione poco fitta, o la distorsione del mesh per effetto della deformazione impressa fino a
quel punto, possono infatti rendere impropria la modellizzazione del contatto.

1.3.4.5 Applicazioni a processi 3D


Le metodologie di simulazione numerica presentano un vastissimo numero di applicazioni,
anche in ambiente industriale, con riferimento a problemi 2-D. I codici commerciali oggi disponibili
sono dotati di algoritmi di discretizzazione e di remeshing automatico, permettono una efficace
gestione delle condizioni di contatto, dispongono di validi modelli di attrito, di procedure per
l'analisi accoppiata di problemi termo-meccanici e così via. La situazione è sostanzialmente diversa
per quanto riguarda i problemi 3-D, ove la gestione del contatto e le opzioni di meshing e di
remeshing automatico sono assai meno efficienti e richiedono un ulteriore, cospicuo sforzo di
ricerca. La figura 1.8 riporta i risultati ottenuti nella simulazione numerica di un complesso
processo tridimensionale di stampaggio; nella figura 1.8.a, in particolare sono distinguibili il
punzone emisferico, il premilamiera dotato di rompigrinze, la matrice con lo scasso coniugato e la
lamiera. L’azione del rompigrinze blocca completamente il flusso plastico del materiale,
determinando un tipico meccanismo di stretching (figura 1.8.b).

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Progettazione di processi di formatura – Prof. Livan Fratini

Figura 1.8.a – Simulazione di un processo tridimensionale di stampaggio; configurazione non


deformata

Figura 1.8.b – Simulazione di un processo tridimensionale di stampaggio; configurazione


deformata

La figura 1.9 invece riporta alcuni risultati ottenuti simulando un processo industriale di
idroformatura di bilamiere. In particolare la figura 1.9.a presenta il componente da realizzare,
mentre in figura 1.9.b è riportata la distribuzione degli assottigliamenti subiti dalla lamiera, così
come calcolati dal codice FEM. Sulla base di questi risultati il progettista del processo produttivo è
in grado di verificare se la configurazione di processo prescelta è effettivamente valida o se sono
necessarie delle modifiche dei parametri operativi al fine di ottenere un miglior soddisfacimento
delle specifiche di prodotto.

Figura 1.6.a – Simulazione di un processo di idroformatura di bilamiera

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Figura 1.6.b – Simulazione di un processo di idroformatura di bilamiera; distribuzione degli


assottigliamenti

Occorre infine osservare che lo studio di processi 3-D, siano essi riferiti alla formatura di
pezzi pieni o di lamiere, determina tempi di CPU e conseguentemente costi connessi
all'elaborazione alquanto elevati. In generale è possibile affermare che i tempi di CPU dipendono
esponenzialmente dal numero di nodi impiegato nella discretizzazione con un valore dell'esponente
compreso tra 2 e 3. Per tale ragione, negli anni più recenti è stata proposta una nuova metodologia
di analisi, cosiddetta esplicita, che ha mostrato notevoli vantaggi con particolare riferimento allo
studio di processi di formatura delle lamiere.

1.3.5 Integrazione tra simulazione numerica e tecniche di Intelligenza Artificiale


Nei precedenti paragrafi sono stati individuati i rilevanti vantaggi offerti dalle tecniche di
simulazione numerica rispetto alle altre metodologie di analisi, e si è cercato di evidenziare la
potenza di questo strumento di indagine, del resto ormai largamente diffuso, almeno limitatamente
ad applicazioni 2-D, in ambiente industriale. Occorre tuttavia far rilevare che la simulazione
numerica costituisce una metodologia di verifica e non di progetto: si tratta cioè di una tecnica in
grado, una volta che sia stato definito un set di parametri operativi, di verificarne la validità tramite
il confronto tra il prodotto ottenuto e le specifiche progettuali. E' evidente pertanto che la scelta del
miglior set di parametri operativi richiederebbe un numero di simulazioni praticamente infinito, al
fine di determinare l'efficacia di ciascuna combinazione.
Tutto ciò peraltro con riferimento ad una singola lavorazione: le cose si complicano se si
considera l'intera sequenza di processi di formatura generalmente necessaria per pervenire al
prodotto finito. Si pensi ad esempio al caso della forgiatura a caldo delle bielle nell'industria
automobilistica: questo processo richiede l'esecuzione di almeno tre o quattro passaggi di forgiatura,
necessari per portare la forma semplice del semilavorato alla forma complessa desiderata. La
progettazione del processo richiede pertanto la definizione della geometria del prodotto finito di
ciascun processo intermedio, il quale naturalmente costituisce il semilavorato per l'operazione
successiva. L'applicazione diretta di tecniche di simulazione numerica risulta evidentemente
impossibile in questo caso.
Per questa ragione, negli anni più recenti, è stata proposta l'applicazione di tecniche di
intelligenza artificiale, da affiancare alla simulazione numerica, per la progettazione di processi di
formatura.
Le tecniche di intelligenza artificiale hanno sostanzialmente il compito di codificare la
conoscenza disponibile. Ciò avviene, laddove possibile, attraverso la definizione di regole di
processo per ciascuna lavorazione: è il caratteristico modo di procedere dei sistemi esperti, nei quali
viene stabilita una base di conoscenza composta da un numero, il più possibile elevato, di regole
empiriche. Ad esempio, nel caso di un processo di imbutitura di pezzi assialsimmetrici, le regole
riguarderanno i valori limite del rapporto di imbutitura, le dimensioni della lamiera circolare da cui
partire e così via. Se il processo richiede più passaggi il sistema conterrà alcune regole relative al
sequenziamento ed in particolare alla più opportuna suddivisione della riduzione totale di diametro
(tra la lamiera di partenza ed il bossolo al quale si desidera pervenire) tra i vari passaggi.
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Il secondo elemento caratteristico di un sistema esperto è il motore inferenziale: è


quest'ultimo che, in fase di progettazione del processo produttivo, genera le possibili sequenze e,
sulla base delle regole contenute sulla base di conoscenza, analizza la loro validità dal punto di vista
tecnologico scartando quelle che non rispettano le regole medesime.
Non sempre, però, la conoscenza disponibile è classificabile mediante regole: i processi di
formatura costituiscono in effetti una tecnologia largamente basata sull'esperienza. Attraverso gli
anni si è accumulato un grandissimo ammontare di conoscenze e di esperienze, principalmente
grazie ad un approccio sperimentale di tipo trial and error. La codifica di questo bagaglio
rappresenta un obiettivo certamente assai complesso e probabilmente impossibile. Pertanto ai
sistemi esperti si è affiancata una ulteriore tecnica di intelligenza artificiale, quella basata sulle reti
neuronali. In questo caso la conoscenza non è codificata, ma è direttamente utilizzata per allenare
una rete, opportunamente strutturata (numero di neuroni di input, di output, numero degli strati
intermedi nascosti e così via).
L'impiego di tecniche di intelligenza artificiale permette tuttavia solo una progettazione di
massima del processo di formatura: esso infatti è in ogni caso basato su un numero limitato di
regole empiriche o di casi industriali e consente pertanto solo di definire, nell'ambito di tutte le
possibili sequenze di lavorazione, quelle tecnologicamente ammissibili e cioè compatibili con le
regole. Il passo successivo, la scelta cioè della sequenza migliore, può essere effettuata solo
impiegando una metodologia di analisi in grado di analizzare nel dettaglio la meccanica del
processo di deformazione, calcolare il flusso plastico del materiale, predire i carichi necessari e le
sollecitazioni agenti sulle attrezzature, individuare la possibilità di formazione di difetti. Ecco
quindi che un approccio sinergico tra le tecniche di intelligenza artificiale e le metodologie di
simulazione numerica appare oggigiorno il più efficace, affidabile e potente per la progettazione di
processi di formatura dei metalli.

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