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Sistemi di produzione - Prof.

Lombardi

1 Lezione Intro 1

Che cos’è la produzione?


Il termine manifattura deriva da due parole latine, manus e factus, il cui significato è
"fatto a mano"; il termine anglosassone "manufactoring" risale a diversi secoli fa, intorno
al 1567 d.C., ed è nato per descrivere i metodi di fabbricazione utilizzati in quel tempo.
La produzione moderna, al contrario, avviene, in generale, con l’impiego di macchinari
automatizzati e computerizzati, supervisionati da lavoratori umani.

La definizione di produzione
La produzione può essere vista sotto due differenti profili, uno tecnico e l’altro economico.
Dal punto di vista tecnico, la produzione è l’applicazione di processi fisici e chimici atti a
modificare la geometria, le proprietà e/o l’aspetto di un materiale in ingresso per realizzare
un prodotto o parti di esso. La produzione comprende l’assemblaggio delle parti per
formare il prodotto finale ed è quasi sempre effettuata come una sequenza di operazioni.
Invece, dal punto di vista economico, la produzione è la trasformazione di materie prime in
oggetti di maggiore valore mediante una o più trasformazioni e/o operazioni di assemblaggio:
il punto chiave è che la produzione aggiunge valore al materiale modificandone la forma
o le proprietà, o combinandolo con altri materiali.

Figura 1: Produzione come processo tecnico (a) ed economico (b)

I prodotti finiti realizzati dalle industrie possono essere di tre tipi:

• Prodotti discreti, come ad esempio chiodi, bulloni, bevande e lattine;

• Prodotti continui, come ad esempio fili, lamiere e filati;

• Prodotti unici: un esempio è un cantiere navale, per cui si hanno lotti limitati.

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2 Lezione Intro 2

Industrie manifatturiere
Le industrie manifatturiere sono imprese e organizzazioni che producono o forniscono
beni e servizi; le industrie possono essere divise in primarie, secondarie e terziarie.
Le industrie primarie coltivano e sfruttano risorse naturali come le risorse agricole.
Le industrie secondarie utilizzano gli output delle indutrie primarie, che vengono
convertiti in beni di consumo e prodotti finiti; in questa categoria l’attività principale è la
produzione, ma sono incluse anche l’edilizia e i servizi energetici.
Le industrie terziarie costituiscono il settore dei servizi.

I materiali impiegati nella produzione


La maggior parte dei materiali utilizzati nei processi produttivi appartiene a una delle
tre categorie di base: metalli, ceramiche e polimeri.
Tali materiali differiscono tra loro per la composizione chimica e le proprietà meccaniche e
fisiche, e queste differenze influenzano i processi che li utilizzano; oltre a queste tre categorie
di base esistono i composti, ovvero miscele non omogenee delle tre categorie precedenti.
Descriviamo queste quattro categorie:

• Metalli
I metalli usati in produzione di solito sono leghe, cioè composti da due o più elementi,
di cui almeno uno metallico; metalli e leghe vengono divisi in ferrosi e non ferrosi.
I metalli ferrosi sono a base di ferro e in questo gruppo rientrano l’acciaio e la ghisa:
l’acciaio è una lega ferro-carbonio contenente dallo 0,02% al 2,11% di carbonio;
la ghisa, invece, è una lega ferro-carbonio contenente dal 2% al 4% di carbonio.
I metalli non ferrosi, come l’alluminio, sono tutti gli altri metalli e le loro leghe.

• Ceramiche
La ceramica è un composto contenente elementi metallici (o semimetallici) e
non-metallici; esempi di elementi non-metallici sono l’ossigeno, l’azoto e il carbonio.
La ceramica può avere struttura cristallina o vetrosa: le ceramiche cristalline
includono ceramiche tradizionali, come l’argilla, e ceramiche moderne, come l’allumina
(Al2 O3 ); le ceramiche vetrose, invece, sono basate maggiormente sulla silice (SiO2 ).

• Polimeri
Un polimero è un composto formato da unità strutturali ripetute, i cui atomi
condividono elettroni formando molecole molto grandi; i polimeri si possono dividere
in tre categorie: polimeri termoplastici, polimeri termoindurenti ed elastomeri.
I polimeri termoplastici sono in grado di sopportare diversi cicli di riscaldamento
e raffreddamento senza che la loro struttura molecolare venga alterata.
I polimeri termondurenti induriscono formando una struttura rigida durante la
fase di raffreddamento; tali polimeri non possono essere riscaldati dopo l’indurimento.
Gli elastomeri sono polimeri che presentano un comportamento molto elastico.

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• Compositi
Un composito è un materiale prodotto attraverso due o più fasi che vengono lavorate
separatamente e poi unite per ottenere proprietà migliori di quelle dei componenti.
Il termine fase si riferisce ad una massa omogenea di materiale, come un aggregato
di molecole con la stessa struttura in un metallo solido.
La struttura di un composito costituito da particelle o fibre si dice matrice.
Le proprietà di un composito dipendono dai materiali che lo compongono, dalle forme
fisiche dei componenti e da come questi sono uniti per formare il composito stesso.

I processi di produzione
Le operazioni di produzione si dividono in operazioni di lavorazione e di assemblaggio.
Un’operazione di lavorazione interviene su un materiale di partenza lavoro da uno
stato a uno più avanzato; tali operazioni aumentano il valore del materiale di partenza
modificandone la geometria, le proprietà o l’aspetto.
Un’operazione di assemblaggio lega due o più componenti per creare un nuovo elemento.

Operazioni di lavorazione
Un’operazione di lavorazione utilizza energia per modificare la forma del pezzo, le sue
proprietà fisiche o il suo aspetto per incrementarne il valore.
Si distinguono tre tipi di operazioni di lavorazione: operazioni di modellazione, operazioni
di modifica delle proprietà fisiche e trattamenti di superficie.
Le operazioni di modellazione alterano la geometria del materiale di partenza.
Le operazioni di modifica delle proprietà fisiche migliorano le qualità del materiale.
I trattamenti di superficie si eseguono per pulire, trattare, ricoprire o depositare altro
materiale sulla superificie esterna del pezzo.

Processi di modellazione
I processi di modellazione possono essere divisi in quattro categorie:

• tecniche fusorie, in cui il materiale di partenza viene scaldato fino allo stato liquido
o semifluido. Esempi di tecniche fusorie sono la colata, termine usato di solito per
i metalli, e lo stampaggio, termine usato per le plastiche;

• metallurgia delle polveri, in cui i materiali di partenza sono polveri metalliche o


ceramiche. La tecnica comune consiste nella pressatura e nella sinterizzazione, in
cui le polveri vengono prima compresse in uno stampo e poi riscaldate in modo da
essere aggregate tra loro;

• processi di deformazione plastica, in cui il pezzo di partenza è modellato


mediante l’applicazione di forze che superano il punto di snervamento del materiale.
I processi di deformazione sono operazioni di solito svolte per la lavorazione dei
metalli e comprendono le operazioni di forgiatura ed estrusione;

• processi di asportazione, in cui viene rimosso il materiale in eccesso del pezzo


per raggiungere la forma desiderata; i processi di asportazione più importanti sono le
operazioni di lavorazione quali la tornitura, foratura e la fresatura.
Anche la rettifica è un processo che rientra in questa categoria.
Altri processi di lavorazione sono noti come processi non-convenzionali.

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Quando si effettua una lavorazione meccanica è necessario minimizzare la quantità di sfridi
e di scarti derivanti dai processi tecnologici impiegati.
I processi produttivi che trasformano quasi tutto il materiale di partenza nel prodotto finito
e non richiedono altre lavorazioni successive per raggiungere la forma finale del pezzo sono
denominati processi net shape. I processi, invece, che richiedono una piccola lavorazione
aggiuntiva per raggiungere la forma finale sono definiti processi near net shape.

Processi di modifica delle proprietà


Il secondo tipo più diffuso di lavorazione viene eseguito per migliorare le proprietà
meccaniche o fisiche dei materiali; questi processi di solito non alterano la forma del pezzo.
I principali processi di questo tipo sono i trattamenti termici di metalli e vetri e la
sinterizzazione di metalli in polvere e ceramiche.

Trattamenti superficiali
I trattamenti superficiali comprendono la pulitura, altri trattamenti superficiali e i processi
di rivestimento o deposizione di film sottili sulla superficie.
La pulitura comprende processi sia chimici che meccanici per rimuovere lo sporco, l’olio e
altre sostanze contaminanti per la superficie.
Altri trattamenti superficiali utilizzano lavorazioni meccaniche, come la pallinatura e
la sabbiatura, o processi fisici, come la diffusione e l’impiantazione ionica.
I processi di rivestimento e di deposizione di film sottili applicano un rivestimento
di materiale sulla superficie esterna del pezzo.

Operazioni di assemblaggio
Nelle operazioni di assemblaggio due o più parti separate vengono unite, in modo
permanente o semipermanente, per formare una nuova entità.
I collegamenti permanenti includono la saldatura, la brasatura e l’incollaggio.
Ci sono metodi di assemblaggio meccanico che permettono di fissare due (o più) parti
in modo che possano essere smontate più facilmente: l’uso di viti, bulloni e altri elementi
di fissaggio filettati sono i metodi più tradizionali utilizzati in questa categoria.
Altre tecniche di assemblaggio meccanico danno origine a un collegamento permanente, tra
cui rivetti, ribattini, montaggi a stampa o incastri con linguette a espansione.

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Quantitativi di produzione e varietà di prodotti
Il quantitativo di prodotti da realizzare influenza notevolmente il modo in cui sono
organizzate le persone, le strutture e le procedure di una fabbrica.
I quantitativi di produzione annuali di un impianto possono essere classificati in tre gruppi:
produzione in serie limitata, per quantitativi da 1 a 100 unità l’anno, produzione media,
da 100 a 10.000 unità l’anno e produzione grande serie, da 10.000 a milioni di unità.
La varietà di prodotto, invece, si riferisce al numero di prodotti diversi che vengono
realizzati all’interno di uno stabilimento. Il numero di prodotti diversi realizzabili all’anno
è limitato; se tale numero è elevato significa che la fabbrica ha una grande varietà di
produzione. Vi è generalmente una correlazione inversa tra varietà di prodotto e dimensione
dei lotti di produzione in termini di operazioni industriali espressa dalla seguente figura:

Figura 2: Relazione tra varietà di prodotti e numerosità dei lotti di produzione

Capacità di produzione
La capacità produttiva si riferisce ai limiti tecnici e fisici di un’impresa e dei suoi impianti.
Possiamo distinguere tre tipolgie diverse di capacità: la capacità tecnica, i limiti di capacità
legati a dimensioni e peso del prodotto e la capacità produttiva.
• Capacità tecnica
La capacità tecnica di un’azienda è l’insieme dei suoi processi produttivi ed è
strettamente legata al tipo di materiale utilizzato; specializzandosi in determinati
processi l’impianto si specializza automaticamente nella lavorazione di alcuni materiali.
La capacità tecnica non coinvolge solo i processi fisici, ma anche le competenze
professionali del personale che lavora presso gli impianti.
• Limitazioni fisiche di prodotto
Un impianto con un dato insieme di processi è limitato in termini di dimensione e
peso dei prodotti che può gestire; i limiti alle dimensioni e al peso del prodotto si
estendono anche alla capacità delle attrezzature di produzione che devono essere
adatte ai prodotti di una certa dimensione e di un certo peso.
• Capacità produttiva
La capacità produttiva è definita come la quantità massima di pezzi che un impianto
può produrre in un determinato periodo di tempo sotto determinate condizioni
operative (numero di turni settimanali, numero di ore per turno ecc. . . ).
La capacità produttiva viene di solito misurata in termini di unità di prodotto finito.

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3 Lezione A02
Proprietà dei materiali industriali
Le proprietà meccaniche determinano il comportamento del materiale quando viene
sottoposto a sollecitazioni meccaniche e comprendono la rigidezza, la duttilità e la durezza.

3.1 Stati di sforzo e deformazione


Ci sono tre stati tensionali fondamentali a cui possono essere quasi-staticamente sottoposti i
materiali: trazione, compressione e taglio. Le sollecitazioni di trazione agiscono stirando il
materiale, le sollecitazioni di compressione lo schiacciano e il taglio comporta scorrimenti
di porzioni adiacenti di materiale una contro l’altra. La curva sforzo-deformazione è la
relazione che descrive le proprietà meccaniche dei materiali per i tre tipi di sollecitazioni.

Resistenza alla trazione


La prova di trazione è la procedura più comune per studiare il legame sforzo-deformazione,
in particolare per i metalli; durante la prova è applicata una forza di trazione che provoca
un allungamento del materiale riducendone il diametro (a).
Il provino (b) e la configurazione della prova di trazione (c) sono illustrati in figura.

Figura 3: Prova di trazione: (a) forza di trazione applicata a (1) che causa l’allungamento
del materiale (2); (b) tipico provino cilindrico e (c) configurazione della prova di trazione.

Figura 4: Fasi attraversate da un provino durante una prova di trazione:


(1) inizio del test, senza carico, (2) allungamento uniforme e riduzione della sezione
trasversale, (3) ulteriore allungamento, il carico massimo viene raggiunto.
(4) Inizia a formarsi una strizione, il carico inizia a diminuire, (5) frattura.
(6) Ricongiungendo i due pezzi del provino si può misurare la lunghezza finale raggiunta.

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Tensione - deformazione ideale
La tensione e la deformazione ideali (o ingegneristiche) in una prova di trazione vengono
definiti in relazione all’area e alla lunghezza originali del provino.
Un esempio di curva tensione-deformazione ideale in una prova di trazione di un provino
metallico è riportato nella Figura 5; in questa curva distinguiamo due regioni che indicano
due forme diverse di comportamento di un materiale: la regione elastica, precedente al
cedimento del materiale, e la regione plastica, successiva al cedimento del materiale.

Figura 5: Curva tipica sforzo-deformazione ideale di un metallo soggetto a prova di trazione.

Lo sforzo in ogni punto della curva viene definito come la forza diviso l’area originale:
F
σe = (1)
Ao
dove σe è la tensione espressa in MPa, F è la forza applicata in N e Ao è l’area originale
del provino in mm 2 . La deformazione invece è data da:
L − Lo
e= (2)
Lo
dove e è la deformazione in mm/mm, quindi un numero adimensionale, L è la lunghezza
istantanea in mm e Lo è la lunghezza originale in mm.
Nella regione elastica, la relazione tra tensione e deformazione è lineare, e il materiale
presenta un comportamento elastico ritornando alla sua lunghezza originale quando il
carico viene rilasciato. La relazione è definita dalla legge di Hooke:

σe = E e (3)
dove E è il coefficiente di elasticità (o modulo elastico) in MPa, cioè la misura della
rigidezza intrinseca di un materiale, che dipende dal materiale preso in considerazione.

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All’aumentare della tensione si raggiunge il punto al termine della curva lineare in cui il
materiale comincia a cedere; questo punto di snervamento Rs del materiale, identificabile
con il cambiamento di pendenza alla fine del tratto lineare, è il punto in cui la curva
tensione - deformazione del materiale interseca una linea che è parallela al tratto rettilineo
della curva ma sfalsato da esso dello 0,2% di deformazione.
Il punto di snervamento è una caratteristica di resistenza del materiale e viene indicato
anche come carico di snervamento o limite elastico.
Il punto di snervamento segna l’inizio della deformazione plastica del materiale; la relazione
tra tensione e deformazione non segue più la legge di Hooke.
Quando il carico viene aumentato oltre il punto di snervamento l’allungamento del provino
continua, a una velocità molto maggiore di prima, causando un cambio drastico della
pendenza della curva, e resiste anche quando il carico viene rimosso.
L’allungamento è accompagnato da una riduzione uniforme della sezione trasversale, mentre
il volume del materiale si mantiene costante; quando il carico applicato F raggiunge il suo
valore massimo Fm la corrispondente tensione applicata viene chiamata resistenza alla
trazione o carico di rottura del materiale: il simbolo utilizzato è Rm , pari a Fm /Ao .
Dopo il punto di carico massimo sulla curva tensione - deformazione, la forza applicata e lo
sforzo ingegneristico cominciano a diminuire; il provino inizia un processo di allungamento
localizzato noto come strizione. Anziché continuare ad allungarsi uniformemente, la
deformazione e gli sforzi si concentrano in una piccola regione del provino.
L’area della sezione si restringe in modo significativo fino a quando si verifica una frattura.
Finché il provino si deforma uniformemente, il suo stato tensionale è uniassiale, ma quando
viene raggiunta la strizione, lo stato di sforzo diventa localmente triassiale.
Dalla Figura 5 notiamo che il momento in cui inizia la strizione corrisponde a un punto di
massimo della curva; per ricavare tale punto di massimo possiamo scrivere (F = σ A):

Ao Ao dA
ε = ln→ = eε → A = Ao e−ε → = −Ao e−ε
A A dε
dF dσ dA dσ dσ
=0→A +σ = 0 → Ao e−ε − σ Ao e−ε = 0 ⇒ =σ (4)
dε dε dε dε dε
In questo caso c’è da notare che e ≈ 2,72 è il numero di nepero ⇒ e 6= (L − Lo )/Lo .
La duttilità, invece, è la capacità di un materiale di deformarsi plasticamente senza
fratturarsi; un modo per misurare la duttilità è ricorrere all’allungamento:
Lf − Lo
ef = (5)
Lo
dove ef è l’allungamento, di solito espresso in percentuale, Lf è l’allungamento del provino
alla frattura in mm misurato come distanza tra i riferimenti di misura dopo che le due
parti del provino sono state riavvicinate e Lo è la lunghezza originale in mm.

8
Tensione - deformazione reale
Il valore della tensione ottenuto dividendo la forza applicata per il valore istantaneo
dell’area è definito come tensione (o sforzo) reale:
F
σ= (6)
A
dove σ è la tensione reale in MPa, F la forza in N e A l’area effettiva (istantanea) che
resiste al carico in mm 2 . La tensione reale e ideale (σe = F /Ao ) sono legate dalla relazione:
F F Ao Ao l
σ= = = σe = σe ⇒ σ = σe (1 + e) (7)
A Ao A A lo
La deformazione reale, invece, fornisce una valutazione più realistica dell’allungamento
"istantaneo" per unità di lunghezza:
Z l1
dl dl l1
dε = ⇒ε= = ln (8)
l lo l lo
dove l è la lunghezza istantanea in ogni momento dell’allungamento misurata in mm;
alla fine della prova il valore finale della deformazione si calcola imponendo l = lf .
Finchè il volume rimane costante (Do = diametro iniziale , D1 = diametro finale):
   2  
l1 Ao Ao Do Do
lo Ao = l1 A1 ⇒ = ⇒ ε = ln = ln = 2 ln (9)
lo A1 A1 D1 D1

dove è stata usata l’uguaglianza A = π D 2 /4.


La deformazione reale può essere legata alla deformazione ideale dalla relazione:
l1 − lo l1 l1 l1
e= = −1 → = 1 + e → ln = ln(1 + e) ⇒ ε = ln(1 + e) (10)
lo lo lo lo
Nella Figura 6 si può notare che la tensione aumenta costantemente nella regione plastica fin-
chè inizia la strizione. L’aumento della tensione reale denota un incremento della resistenza
del metallo via via che questo si deforma: tale proprietà è chiamata incrudimento.

Figura 6: Curva sforzo - deformazione reale

9
Consideriamo come il comportamento di un metallo viene influenzato da questo fenomeno.
Se la porzione della curva tensione - deformazione reale rappresentante la regione plastica
fosse tracciata in scala logaritmica il risultato sarebbe una relazione all’incirca lineare:

Figura 7: Curva tensione - deformazione reale in scala logaritmica

Poichè in questa trasformazione essa risulta una linea retta, la relazione tra tensione e
deformazione reali nella regione plastica può essere espressa come:

ln (σ) = ln (K ) + ln (εn ) → ln (σ) = ln (K ) + n ln (ε) ⇒ σ = K εn (11)


Questa equazione è una delle tante possibili rappresentazioni matematiche della cosiddetta
curva di flusso plastico. La costante K è detta coefficiente di resistenza espresso in
MPa, ed è pari al valore di tensione raggiunto per avere una deformazione reale pari a uno.
Il parametro n è detto esponente di incrudimento ed è la pendenza della linea nella
Figura 7. Il suo valore esprime la tendenza di un metallo a incrudire.

Velocità di deformazione ingegneristica


La velocità di deformazione ingegneristica è la velocità v a cui la prova di tensione viene
effettuata (velocità di deformazione) divisa per la lunghezza originale del provino:
 
l − lo
de d lo 1 dl v
ė = = = = (12)
dt dt lo dt lo

Velocità di deformazione reale


La velocità di deformazione reale è la velocità v a cui la prova di tensione viene effettuata
(velocità di deformazione) divisa per la lunghezza effettiva del provino:
dε 1 dl v
ε̇ = = = (13)
dt l dt l

Formula per trovare la tensione nei processi di formatura a caldo


Detto K il coefficiente di resistenza in Mpa, la formula per trovare la tensione reale nei
processi di formatura a caldo è la seguente:

σ = K ε̇m (14)
dove m è la sensibilità del materiale alla velocità di deformazione.

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Effetto della temperatura
Aumentare la temperatura ha i seguenti effetti sulle curve tensione - deformazione:

• il modulo di elasticità E diminuisce;

• il punto di snervamento Rs e la resistenza alla trazione Rm diminuiscono;

• la duttilità e la durezza aumentano;

• l’esponente di incrudimento n diminuisce.

Tipi di legami tensione-deformazione


Il comportamento di quasi tutti i tipi di materiali può essere approssimato usando uno dei
tre tipi di rapporti tensione - deformazione seguenti, come mostrato nella Figura 8:

• Perfettamente elastico
Il comportamento di questi materiali è definito solo dalla loro rigidezza, indicata dal
coefficiente di elasticità E : si fratturano piuttosto che cedere al flusso plastico.
I materiali fragili come le ceramiche, molte ghise, e i polimeri termoindurenti hanno
curve tensione - deformazione che rientrano in questa categoria. (a)

• Elastico e perfettamente elastico


Questi materiali hanno una rigidezza definita da E ; dopo aver raggiunto il punto di
snervamento Rs il materiale si deforma plasticamente.
La curva di flusso è data da K ∼
= Rs e n = 0; i metalli si comportano in questo modo
se sono riscaldati a temperature sufficientemente alte da farli ricristallizzare. (b)

• Elastico con incrudimento


Questi materiali seguono la legge di Hooke nella regione elastica e cominciano a
deformarsi plasticamente al punto di snervamento Rs .
La deformazione continua richiede una tensione sempre maggiore, data da una curva
di flusso il cui coefficiente di resistenza K è diverso da Rs e il cui esponente di
incrudimento n è maggiore di zero. La curva di flusso plastico è generalmente
rappresentata come una funzione lineare su un grafico logaritmico; i metalli duttili si
comportano in questo modo quando sono lavorati a freddo. (c)

Figura 8: Le tre categorie di rapporti tensione - deformazione: perfettamente elastico (a),


elastico e perfettamente plastico (b), elastico con incrudimento (c).

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4 Lezioni A03rev e A03b (Durezze)
Proprietà di compressione
Una prova di compressione applica un carico che comprime un provino cilindrico (o
prismatico) tra due piastre, come illustrato nella Figura 9:

Figura 9: Prova di compressione: (a) forza di compressione applicata al provino (1) che
causa la sua riduzione di altezza (2) e (b) configurazione della prova.

Poichè il provino viene compresso la sua altezza si riduce e la sua sezione trasversale
aumenta. La tensione ideale è quindi definita dalla relazione:
F
σe = − (15)
Ao
dove Ao è l’area originale del provino in mm. La deformazione ideale, invece, è definita da:
h − ho
e= (16)
ho
dove h è l’altezza in ogni istante del test in mm e ho è l’altezza iniziale in mm.
Dato che l’altezza diminuisce durante la compressione il valore di e è negativo; tuttavia,
quando viene espressa la deformazione di compressione, il segno meno viene ignorato.
La curva tensione - deformazione reali in una prova di compressione è riportata in figura:

Figura 10: Tipica curva tensione-deformazione reali per un test di compressione.

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La curva è divisa in regione elatica e plastica ma la forma della parte plastica della curva
è diversa da quella nella prova di trazione. Poichè la compressione provoca l’aumento
della sezione trasversale (anzichè la diminuizione come nella prova di trazione), il carico
aumenta più rapidamente e ciò si traduce in un maggior valore di tensione applicata.
Anche se esistono differenze tra le curve tensione-deformazione ideali di trazione e
compressione, quando i rispettivi dati sono riportati sui grafici tensione-deformazione reali,
i rapporti sono quasi identici (per quasi tutti i materiali).
Poiché i risultati delle prove di trazione sono più diffusi, i valori dei parametri della curva
di flusso (K ed n) possono essere derivati dalla prova di trazione e applicati con la stessa
validità ad un’operazione di compressione. Se si usano i risultati della prova di trazione per
un’operazione di compressione bisogna solo ignorare l’effetto della strizione, un fenomeno
che è peculiare della deformazione indotta da tensioni di trazione.

Lavoro di deformazione elastica


Il lavoro specifico di deformazione elastica (per unità di volume) (a) è dato dalla relazione:
1
w= σfin εfin (17)
2

Lavoro di deformazione plastica


Il lavoro di deformazione plastica (b) è definito dalla relazione:

εf in εf in
εn+1
Z Z
dw = σ d ε → w = σ dε = K εn dε ⇒ w = K (18)
0 0 n +1
Z εfin
U =V ·w =V · σ dε (19)
0

Tensione di flusso media


La tensione di flusso medio è il valore medio della tensione sulla curva tensione - deformazione
dall’inizio della deformazione fino al valore finale (massimo) durante la deformazione:

w K εnfin
Yf = = (20)
εfin n +1
dove Y f è la tensione di flusso media in MPa, ed ε è il valore della deformazione massima.

(a) (b)

Figura 11: U è l’area al di sotto della curva tensione - deformazione

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Deformazione equivalente
Quando lo stato tensionale è triassiale anche le deformazioni lo saranno, per cui Yf non può
essere espresso tramite un semplice legame con un valore unidirezionale ε di deformazione.
Piuttosto, lo sforzo di flusso, che è istantaneo ed equivalente, dovrà essere legato a una
deformazione equivalente ε̃:

2p
ε = ε̃ = εeff = (ε1 − ε2 )2 + (ε2 − ε3 )2 + (ε3 − ε1 )2 (21)
3

Prova di compressione: condizioni ideali


Un’appropriata lubrificazione può ridurre il rigonfiamento.
In condizioni ideali, ovvero in assenza di forze di attrito, la deformazione naturale è:
h h ho
ε = ln = − ln → |ε| = ln ; ε = ln (1 + e)
ho ho h
Finchè il volume rimane costante:
Ao
A = Ao e−ε =
1+e
ho A A
ho Ao = h A → = ⇒ ε = − ln
h Ao Ao
L’area effettiva della sezione trasversale (do = diametro iniziale) è definita dalla relazione
:

π do 2 π do 2
A = Ao e −ε
= = (N.B. : e ≈ 2,72 6= e) (22)
4 eε 4 (1 + e)
mentre la tensione reale σ è definita dalla relazione:

F 4 F (1 + e)
σ= = (23)
A π do 2

Figura 12

14
Prova di Watts - Ford
Per ridurre l’influenza dell’attrito, durante la prova di Watts - Ford viene adottato un
insieme di provini diversi con uguale diametro e lunghezze differenti: 0.5 < do /ho < 3.0.
Su ciscun provino viene applicata la stessa sequenza di carico (F1 , F2 > F1 , F3 > F2 , . . . )
e viene misurata la deformazione, ovvero la differenza di altezza.
Le superfici di contatto vengono lubrificate ogni volta che viene applicato un nuovo carico.
Infine, vengono valutati i rapporti r (Figura 13):
∆h ho − h
r= = = −e (24)
ho ho

Figura 13: L’intersezione di ciascuna linea con l’asse r corrisponde alla deformazione di un
provino ideale di altezza infinita, che subisce deformazioni quasi uniformi (questo finchè
l’attrito è limitato alle superfici superiore e inferiore

Proprietà di taglio
Il taglio comporta l’applicazione di tensioni in direzioni opposte sui due lati di un concio
sottile per deformarlo come mostrato nella Figura 14.

Figura 14: Tensione (a) e deformazione (b) da taglio.

La tensione (o sforzo) di taglio (o tangenziale) è definita come:


F
τ= (25)
A
dove τ è la tensione di taglio in MPa, F la forza applicata in N e A l’area su cui è applicata
la forza in mm 2 . La deformazione di taglio è invece definita come:
δ
γ= (26)
b
dove γ è la deformazione di taglio in mm/mm, δ è la flessione dell’elemento in mm e b la
distanza ortogonale su cui si verifica la flessione in mm.

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Nella regione elastica, il rapporto tra tensione e deformazione tangenziale è definito da:

τ =Gγ (27)
dove G è il fattore di taglio o coefficiente di elasticità tangenziale in MPa.
Per la maggior parte dei materiali il fattore di taglio può essere approssimato a G = 0.4 E ,
dove E è il coefficiente di elasticità (Figura 15).
Nella regione plastica della curva tensione - deformazione da taglio la deformazione del
materiale aumenta all’aumentare della coppia applicata, fino alla frattura; il comportamento
in questa regione è simile alla curva di flusso plastico.
Il valore della tensione di taglio alla frattura è chiamato resistenza al taglio Rt del
materiale; la resistenza al taglio può essere stimata dai dati della resistenza alla trazione
mediante l’approssimazione: Rt = 0.7 Rm . Poichè l’area della sezione trasversale del
provino nella prova di torsione non cambia come avviene nelle prove di trazione e di
compressione, la curva tensione - deformazione da taglio ideale è uguale a quella reale.

Flessione e prove dei materiali fragili


I materiali duri e fragili, come ad esempio le ceramiche, che possiedono molta elasticità ma
poca o nulla plasticità, vengono spesso testati attraverso una prova di flessione (anche
nota come prova di piegatura), come illustrato nella Figura 15.
Il valore della resistenza in questa prova si chiama carico di rottura trasversale Rf :
FL
Rf = 1.5 (28)
b to 2
dove Rf è il carico di rottura trasversale in MPa, F il carico applicato alla frattura in N,
L la lunghezza del provino tra i due supporti in mm, b e to rispettiavemente larghezza e
spessore trasversale del provino in mm.

Figura 15: Risultato della piegatura di una sezione rettangolare attraverso tensioni di
trazione e di compressione del materiale: (1) carico iniziale, (2) provino sottoposto ad alte
tensioni di trazione e compressione, e (3) provino piegato.

16
Prove di durezza
La durezza di un materiale è definita come la sua resistenza alla deformazione permanente.
Una buona durezza superficiale generalmente significa che il materiale è resistente alle
scalfiture e all’usura; le prove di durezza sono state usate comunemente per valutare le
proprietà dei materiali, perchè sono veloci ed economiche.
Ci sono diversi metodi di test a causa delle differenze tra le durezze di materiali diversi; uno
di questi metodi prevde di ricorrere alla prova statica, test basato sulla misura dell’impronta
lasciata sulla superficie del saggio, o provetta, da un penetratore adeguatamente caricato.
Le prove statiche più note sono quelle di Brinell, Rockwell, Vickers e Knoop.

Prova di durezza di Brinell


La prova di durezza di Brinell (Figura 16a) è ampiamente usata per testare materiali
metallici e non metallici di bassa e media durezza.
La prova si esegue premendo una sfera di acciaio temprato (o metallo duro) di 10 mm di
diametro sulla superificie del campione usando un carico di 500, 1500 o 3000 kg.
Il carico viene quindi diviso per l’area della cavità permanente prodotta per ottenere il
Numero di Durezza di Brinell (HB ):
2F
HB =  p  (29)
π Db Db − Db 2 − Di 2

dove HB è la durezza di Brinell espresso in kg/mm 2 , anche se di solito l’unità di misura


viene omessa, F è il carico in kg, Db è il diametro della sfera in mm e Di il diametro della
cavità in mm. Per ottenere buoni valori di HB ci deve essere la seguente relazione tra
Db e Di : 0.25Db < Di < 0.50Db , che viene rispettata mantenendo costanti i valori di F /Db 2
per ogni materiale testato. Dall’analisi di Meyers, invece, si ottiene che: HM = 4F /πDi 2

Prova di durezza di Rockwell


Nella prova di durezza di Rockwell il penetratore è a forma di cono (o piccola sfera) e
viene premuto contro il campione con un carico minore di 10 kg, causando una leggera
penetrazione nel materiale; poi viene applicato un carico maggiore, per esempio 150 kg, e la
penetrazione continua fino a una certa distanza oltre la posizione iniziale: questa seconda
distanza di penetrazione d viene convertita in un valore di durezza Rockwell.
La sequenza di operazioni è mostrata nella Figura 16 (b).

Prova di durezza di Vickers


Questa prova utilizza un penetratore piramidale di diamante e si basa sul principio che le
impronte lasciate da questo penetratore siano geometricamente simili indipendentemente
dal carico; vengono applicati carichi di varie dimensioni a seconda della durezza del
materiale da misurare. Il valore di durezza di Vickers (HV ) è determinato dalla formula:

2F sin(θ/2) 1.854F
HV = 2
= (30)
D D2
dove F è il carico applicato in kg, θ = 136° e D è la diagonale dell’impronta lasciata dal
penetratore in mm. La prova di durezza di Vickers è illustrata nella Figura 16 (c).
Il simbolo HV senza ulteriori specificazioni indica che la prova è stata eseguita con un
carico F = 30 kg applicato per un intervallo di tempo di 10 - 15 secondi.
In condizioni di test diverse si pone alla destra di HV un indice che specifichi il carico
impiegato e la durata di permanenza (ad esempio HV 30/20 - HV 5/15).

17
Prova di durezza di Knoop
Anche la prova Knoop utilizza un penetratore piramidale di diamante, ma la piramide
ha un rapporto lunghezza - larghezza di circa 7:1, come illustrato nella Figura 16 (d), e i
carichi applicati sono generalmente più leggeri di quelli della prova Vickers. Questa è una
prova di microdurezza, nel senso che è adatta per misurare campioni sottili o materiali
fragili che potrebbero fratturarsi se sottoposti a un carico più pesante. Il valore di durezza
Knoop (HK ) è dato dalla formula:
14.23F
HK = (31)
D2
dove F è il carico applicato in kg e D è la diagonale lunga dell’impronta lasciata dal
penetratore in mm. Poichè l’impronta che si ricava da questa prova è generalmente molto
piccola, occorre fare particolare attenzione nella preparazione della superficie da misurare.

Figura 16: Metodi di prove di durezza (a) Brinell e (b) Rockwell, (1) carico iniziale minore
e (2) carico iniziale maggiore, (c) Vickers e (d) Knoop.

18
Nonostante le prove statiche sopra descritte siano le più famose non sono le uniche esistenti.
Altre prove statiche, infatti, vengono descritte brevemente qui di seguito.

Prova di rimbalzo
In una prova di rimbalzo un oggetto di massa e di dimensioni definite viene fatto cadere
oppure viene proiettato sulla superficie da provare misurandone il rimbalzo.

Prove di rigatura (scratch test)


In una prova di rigatura l’oggetto più duro incide il più tenero; appartengono a questa
classe tutte le prove atte a classificare i materiali secondo la scala di Mohs:

Figura 17: Scala Mohs

Prove sclerometriche
In una prova sclerometriche un utensile (microaratro), generalmente di diamante,
adeguatamente caricato, viene trascinato sulla superficie con velocità costante.
La durezza, anche locale, in queste prove viene valutata misurando l’ampiezza del solco.

Prove di smorzamento
In una prova di smorzamento si misura la diminuizione dell’ampiezza dell’oscillazione
di un pendolo attrezzato con un perno duro che sfrega sulla superficie del pezzo da provare.

Prove di taglio
In una prova di taglio si misura la forza necessaria per tagliare dalla superficie del provino
un truciolo di opportune dimensioni tramite un utensile standardizzato.

Prove d’abrasione
In una prova d’abrasione la superficie del provino striscia, sotto un adeguato carico,
contro un disco rotante. In questa prova la misura della durezza è valutata in base all’usura.

Prove d’erosione
In una prova di erosione un abrasivo, costituito da particelle di dimensioni calibrate,
viene proiettato contro la superficie da provare.
In questa prova viene misurata la variazione di peso del provino.

19
Effetti della temperatura sulle proprietà meccaniche
La temperatura ha un effetto significativo sulle proprietà meccaniche dei materiali.
A temperature elevate i materiali hanno resistenza inferiore e duttilità maggiore.
I comportamenti generali dei metalli sono rappresentanti nella Figura 17.

Figura 18: Effetto generale della temperatura su resistenza e duttilità

Durezza a caldo
La durezza a caldo è la proprietà usata per caratterizzare il comportamento meccanico
a temperature elevate e di solito si esprime attraverso un grafico come nella Figura 18.

Figura 19: Durezza in funzione della temperatura per materiali diversi

Ricristallizzazione
La maggior parte dei metalli incrudisce a temperatura ambiente in accordo con la curva
di flusso plastico (esponente di incrudimento n > 0); se il metallo viene riscaldato a una
temperatura sufficientemente elevata, e poi deformato, l’incrudimento non si verifica.
Si formano, invece, nuovi grani cristallini privi di tensione e il metallo tende a comportarsi
come un materiale perfettamente plastico (esponente di incrudimento n = 0).
La formazione di nuovi grani cristallini privi di tensione è un processo chiamato
ricristallizzazione e la temperatura alla quale si verifica, misurata su una scala assoluta
e pari alla metà del punto di fusione (0.5 Tm) , viene chiamata temperatura di
ricristallizzazione. Riscaldando il metallo oltre la temperatura di ricristallizzazione prima
della deformazione, si aumenta la quantità di deformazione totale che può sopportare il
metallo, mentre si riducono al forza e la potenza necessarie per eseguire il processo.
La formatura dei metalli a temperature al di sopra della temperatura di ricristallizzazione
è chiamata lavorazione a caldo.

20
5 Lezione A04 (Tensori)
Tensione totale in un punto
Ipotesi 1
Consideriamo un corpo solido, costituito da un mezzo continuo, in condizioni di equilibrio
sotto l’azione di un sistema di forza esterne F1 , . . . , F5 (Figura 20).

Figura 20

Ipotesi 2
Consideriamo in questo caso, invece, un semi - corpo separato lungo la superficie Σ.
Il semi - corpo si trova in nuove condizioni di equilibrio poichè è sottoposto all’azione
del sotto - sistema di forze esterne F1 , F2 , F3 , e delle forze interne che agiscono in modo
distribuito attraverso la superficie Σ (Figura 21).
Detta δF l’ampiezza delle forze interne che agiscono su un’area δΣ nell’intorno del punto
P, possiamo definire la tensione f che agisce su P attraverso al relazione:
δF
f = lim (32)
δΣ→0 δΣ

Figura 21

21
La tensione f , rispetto alla superficie d Σ, può essere scomposta in una componente normale
e una tangenziale (Figura 22). σ = f cos θ e τ = f sin θ denotano, rispettivamente, la
tensione normale e la tensione tangenziale agenti sulla superficie d Σ.

Figura 22

La tensione f , inoltre, può essere scomposta in componenti cartesiane.


Supponiamo, per esempio, che d Σ sia la superficie ortogonale all’asse y (Figura 23).
La tensione f , allora, può essere scritta come:

f = τyx ax + σy ay + τyz az (33)


dove a è il vettore contenente i coseni direttori (Figura 23):

ax = cos α
ay = cos β (34)
az = cos γ

Figura 23

Similmente vengono ricavate le scomposizioni rispetto a superfici ortogonali agli assi x e z.

22
Stato di tensione

Figura 24: Definizione delle condizioni di equilibrio di un parallelepipedo elementare alla


rotazione attorno all’asse x.

Le componenti della tensione totale valutate attraverso una decomposizione cartesiana


vengono raccolte in un tensone simmetrico :
 
σx τxy τxz Tx = i σx + j τxy + k τxz
Tσ = τxy σy τyz → Ty = i τxy + j σy + k τyz
  (35)
τxz τyz σz Tz = i τxz + j τyz + k σz
fx = ax σx + ay τxy + az τxz
a = i ax + j ay + k az , fy = ax τxy + ay σy + az τyz (36)
fz = ax τxz + ay τyz + az σz
fx = a · Tx
fy = a · Tx , f = i fx + j fy + k fz → f = i (a · Tx ) + j (a · Ty ) + k (a · Tz ) (37)
fz = a · Tz

σ = fx ax + fy ay + fz az
= σx ax 2 + σy ay 2 + σz az 2 + 2 τxy ax ay + 2 τyz ay az + 2 τzx az ax (38)
2 2 2 2 2 2 2
τ = f − σ = fx + fy + fz − σ

(b)
(a)

23
Tensioni principali
K K2
r=p →σ=± 2 (39)
|σ| r
x = ax · r
y = ay · r → σx x 2 + σy y 2 + σz z 2 + 2 τxy xy + 2 τyz yz + 2 τzx zx = ±K 2 (40)
z = az · r
fx = ax · σ1
fx 2 fy 2 fz 2
fy = ay · σ2 , ax 2 + ay 2 + az 2 = 1 → 2 + 2 + 2 = 1 (41)
σ1 σ2 σ3
fy = ay · σ3

Figura 26

fx = ax · σ = ax σx + ay τxy + az τxz (σx − σ) ax + τxy ay + τxz az = 0


fy = ay · σ = ax τxy + ay σy + az τyz → τxy ax + (σy − σ) ay + τyz az = 0 (42)
fy = ay · σ = ax τxz + ay τyz + az σz τxz ax + τyz ay + (σz − σ) az = 0

(σx − σ) τxy τxz
(43)

τxy
(σy − σ) τyz = 0
τxz τyz (σz − σ)

τ 2 = σ12 ax 2 + σ22 ay 2 + σ32 az 2 − (σ1 ax 2 + σ2 ay 2 + σ3 az 2 ) 2 (44)

ax [ (σ1 − σ3 ) ax 2 + (σ2 − σ3 ) ay 2 − 21 (σ1 − σ3 ) ] = 0


(45)
ay [ (σ1 − σ3 ) ax 2 + (σ2 − σ3 ) ay 2 − 21 (σ2 − σ3 ) ] = 0

σ2 − σ3 σ1 − σ3 σ1 − σ2 σ1 − σ3
τ1 = ± , τ2 = ± , τ3 = ± , τmax = ± (46)
2 2 2 2

24
 
σx τxy τxz
Tσ = τxy σy τyz 
τxz τyz σz

Indipendenza dal sistema di riferimento → Invarianti J1 , J2 , J3

Per ogni punto in un corpo sottoposto a sforzo esiste un sistema di coordinate tale che non ci
siano tensioni di taglio τ , e Tσ diventa un tensore diagonale; le tre tensioni normali vengono
chiamate tensioni principali, e le corrispondenti direzioni sono le direzioni principali.
La valutazione delle tensioni principali corrisponde a un problema agli autovalori:

T a = σa
Gli autovalori σ del tensore T corrispondono alle tensioni principali.
Gli autovettori a identificano le direzioni principali.
 
σ1 0 0
σ =  0 σ2 0  (47)
0 0 σ3
Le tensioni principali vengono solitamente indicate con i simboli σ1 , σ2 , σ3 .
Il polinomio caratteristico del tensore T è:

σ 3 − J1 σ 2 − J2 σ − J3 (48)
dove J1 , J2 , J3 vengono chiamati invarianti delle tensioni:

J1 = tr(T ) = σx + σy + σz
2
J2 = − (σx σy + σx σz + σy σz ) + (τxy 2
+ τxz 2
+ τyz ) (49)
J3 = det(T )

I tre autovalori, ovvero le radici reali del polinomio, corrispondono ai valori delle tensioni
principali; i tre autovettori reciprocamente ortogonali, invece, ciascuno corrispondente a
un autovalore, identificano le direzioni principali.

Scomposizione del tensore degli sforzi


Il tensore degli sforzi T può essere scomposto nella somma di un tensore degli sforzi
idrostatico, che tende a cambiare il volume del corpo, e una componente deviatorica,
che tende a distorcerlo:
1 J1
T = σm I + T 0 , dove σm = (σx + σy + σz ) = (50)
3 3
Le tensioni principali della componente deviatorica di T corrispondono alle radici del
polinomio:
0 0 0 0
σ 3−J 2σ −J 3 (51)
0 0
dove J 2 eJ 3 sono gli invarianti della componente deviatorica di T:

0 J12 + 3 J2 0 2 J13 + 9 J1 J2 + 27 J3
J 2 = , J 3 = (52)
3 27

25
Per valutare le tensioni principali, vengono definiti i due seguenti invarianti:
0 0
J 2 J 3 q 
(53)
p
p=− ; q =− , da cui : r = |p| , θ = arccos 3
3 2 r
Le tensioni principali della componente deviatorica sono date da:
   
0 θ 0 π±θ
σ1 = −2r cos , σ2,3 = 2r cos (54)
3 3
Le corrispondenti tensioni principali del tensore degli sforzi sono date dalla somma delle
tensioni deviatoriche principali e dalla componente idrostatica:

0 0 J1
σi = σi + σm = σi + , i = 1, 2, 3 (55)
3

Cerchio di Mohr
ax = cos θ f = cos θ · σx + sin θ · τxy
→ x (56)
ax = sin θ fy = sin θ · σy + cos θ · τxy

σ = fx · cos θ + fy · sin θ =
= cos2 θ · σx + sin2 θ · σy + 2 sin θ cos θ · τxy = (57)
= cos2 θ · σx + sin2 θ · σy + sin 2θ · τxy

σx + σy σx − σy
σ= + cos 2 θ + τxy sin 2 θ (58)
2 2
σx − σy
τ= sin 2 θ − τxy cos 2 θ (59)
2
 2  2
σx + σy σx − σy
σ− +τ = 2 2
+ τxy (60)
2 2

Figura 27

26
Cerchi di Mohr - Tensioni biassiali
Un cerchio di Mohr è una rappresentazione grafica del tensore degli sforzi in un punto P.
Il cerchio viene disegnato su di un piano σ τ : vengono tracciati i punti (σx , τxy ) e (σy , τyx ).
La linea che unisce i due punti costituisce il diametro del cerchio.
I punti sul cerchio rappresentano molti dei possibili stati di tensione su ogni piano passante
attraverso l’asse z. Le intersezioni tra il cerchio di Mohr e l’asse σ rappresentano le tensioni
principali; la massima tensione di taglio τmax è data dal raggio R del cerchio.
L’angolo 2 θ è la rotazione antioraria che deve essere applicata al sistema di coordinate per
identificare le direzioni principali.

Figura 28

s 2
σx + σy σx − σy
σ1,2 = ± 2
+ τxy (61)
2 2
s 2
σx − σy 2 = ± 1
σ − σ2
τmax = ± + τxy (62)
2 2

(σx − σ) τxy
=0 (63)
τxy (σy − σ)

Figura 29

27
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σx = + cos 2 α (64)
2 2
σ1 − σ2
τxy = sin 2 α (65)
2
τxy CF
tan 2 α = σ1 +σ2 = (66)
σx − 2 OF
 2  2
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σ− 2
+τ = (67)
2 2

Figura 30

Figura 31

28
Tensioni principali - tensioni biassiali
Nel caso delle tensioni piane ricavare le tensioni principali è più facile:
s 2
σx + σy σx − σy
σ1,2 = ± 2
+ τxy (68)
2 2
La rotazione antioraria θ da applicare al sistema di coordinate per ottenere le direzioni
principali è data da:
 
1 2 τxy
θ = arctan (69)
2 σx − σy
Le tensioni massime e minime di taglio e le loro direzioni sono date da:

s 2  
σx − σy 1 σx − σy
τmax = 2 ;
+ τxy θτmax = arctan (70)
2 2 2 τxy
τmin = − τmax ; θτmin = θτmax + π (71)

Cerchi di Mohr - Tensioni triassiali

Figura 32

σ = σ1 ax 2 + σ2 ay 2 + σ3 az 2 , τ 2 = σ1 ax 2 + σ2 ay 2 + σ3 az 2 − σ 2 (72)
(σ2 −σ) (σ3 −σ)+τ 2
ax 2 = (σ2 −σ1 ) (σ3 −σ1 )
(σ3 −σ) (σ1 −σ)+τ 2
ay 2 = (σ3 −σ2 ) (σ1 −σ2 )
→ ax 2 + ay 2 + az 2 = 1 (73)
2 (σ1 −σ) (σ2 −σ)+τ 2
az = (σ1 −σ3 ) (σ2 −σ3 )

(σ1 − σ) (σ2 − σ) + τ 2 = 0 (74)

 2  2
σ1 + σ2 2 σ1 − σ2
σ− +τ =
2 2

29
(b)

(a)

(σ1 − σ) (σ2 − σ) + τ 2 = az 2 (σ1 − σ3 ) (σ2 − σ3 ) (75)

 2  2
σ1 + σ2 σ1 − σ2
σ− 2
+τ = + az 2 (σ1 − σ3 ) (σ2 − σ3 ) (76)
2 2

Figura 34

Figura 35

30
6 Lezione A04 (Criteri)
Plasticità
Combinazioni di forze differenti danno origine a tensioni triassiali locali:
(σx , σy , σz , τxy , τyz , τzx )

Figura 36

Criteri di plasticità
Problema: Tensione uniassiale → Y ⇐⇒ Tensione triassiale → ?
Soluzione: identificare una funzione tensoriale F , o "tensione equivalente" tale che
l’effetto di tensione dovuto a qualsiasi carico triassiale (σx , σy , σz , τxy , τyz , τzx ) corrisponda
all’effetto uniassiale di σ0 applicata al materiale nella prova di trazione.

F (σx , σy , σz , τxy , τyz , τzx ) = 0

Indipendenza dal sistema di riferimento → F = F (σ1 , σ2 , σ3 )

F (σ1 , σ2 , σ3 ) = 0 → Materiale Isotropico → Φ(J1 , J2 , J3 ) = 0

Figura 37

31
Scomposizione del tensore
Dato un tensore degli sforzi Tσ e σm = (σx + σy + σz )/3 :

     
σx τxy τxz σm 0 0 σx − σm τxy τxz
τxy σy τyz  =  0 σm 0  +  τxy σy − σm τyz  (77)
τxz τyz σz 0 0 σm τxz τyz σz − σm
| {z } | {z }
ISOST AT ICA DEV IAT ORICA
Tσ = Tσ00 + Tσ0 (78)
Tε = Tε00 + Tε0 (79)

Evidenza sperimentale
Tσ00 conserva le proporzioni e non causa alcuna deformazione permanente.

Deformazione elastica: Tσ00 → Tε00

Tσ0 modifica la forma e non causa alcuna variazione di volume → deformazione plastica

Tσ0 → Tε0 ⇒ Φ(J 0 1 , J 0 2 , J 0 3 ) = 0 , J 0 1 = 0 ⇒ Ψ(J 0 2 , J 0 3 ) = 0 (T. e V.M.)

Criterio di Tresca
1
τmax = max {|σ1 − σ2 | , |σ1 − σ3 | , |σ2 − σ3 |} (80)
2
Nel caso di carico uniassiale:
1 Y
τmax = σ0 = (81)
2 2
Finchè i due stati di tensione sono equivalenti:

Y = σ0 = max {|σ1 − σ2 | , |σ1 − σ3 | , |σ2 − σ3 |} (82)


Y viene anche indicata con il simbolo σ (tensione effettiva)

(a)

(b)

32
Il criterio di Tresca descrive un prisma esagonale; le deformazioni all’interno della su-
perficie sono elastiche. Ogni volta che le tensioni principali sono simili
(σ1 ≈ σ2 ≈ σ3 ), cioè quando la componente isostatica è quella prevalente, indipendente-
mente dalla grandezza della tensione, le deformazioni sono elastiche.

(a)

(b)

Nel caso di tensione piana (a) σ3 = 0, quindi l’intersezione tra il prisma esagonale e il
piano σ3 = 0 è un esagono.

|σ1 − σ2 | ≤ Y
|σ1 − σ3 | ≤ Y ⇒ |σ1 | ≤ Y (83)
|σ2 − σ3 | ≤ Y ⇒ |σ2 | ≤ Y

Nel caso di puro taglio (b), invece, σ1 = −σ2 .

(b)
(a)

33
Criterio di Von Mises
Il criterio di Von Mises descrive un cilindro; le deformazioni sono elastiche all’interno
della superficie. Ogni volta che le tensioni principali sono simili
(σ1 ≈ σ2 ≈ σ3 ), cioè quando la componente isostatica è quella prevalente, indipendente-
mente dalla grandezza della tensione, le deformazioni sono elastiche.
1
J 0 2 = [(σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ1 − σ3 )2 ] = konst (84)
6
In caso di carico uniassiale: σ2 = σ3 = 0, σ1 6= 0:

σ02 Y2
quando σ1 = σ0 = Y ⇒ konst = = (85)
3 3
p
σ = σ0 = σ12 + σ22 + σ32 − (σ1 σ2 + σ1 σ3 + σ2 σ3 )
q (86)
1
= 2
[(σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 ]

Figura 41

Legge di Hooke
σx σx
x = , y = z = − ν x = − ν (87)
E E

Leggi di Hooke generalizzate


1 1 1
x = [σx − ν (σy + σz )] , y = [σy − ν (σz + σx )] , z = [σz − ν (σx + σy )] (88)
E E E
τxy τyz τzx
γxy = , γyz = , γzx = (89)
G G G

(a)

(b)

34
Il lavoro di deformazione elastica (unità di volume) dell’i-esima tensione principale è:
1
Ui = σi ei , i = 1, 2, 3 (90)
2
L’energia totale di deformazione elastica è: U = U1 + U2 + U3 .
Scrivendo ei come una funzione delle tensioni principali, l’espressione precedente diventa:
q 
1
U = 2 2 2
σ1 + σ2 + σ3 − 2 ν(σ1 σ2 + σ1 σ3 + σ2 σ3 ) (91)
2E
U è data dalla somma di due componenti: l’energia di deformazione elastica Uv dovuta
alle variazioni di volume e l’energia di deformazione elastica Ud .
Quindi: U = Ud + Uv → Ud = U − Uv . Per valutare Uv , noi poniamo
σ1 = σ2 = σ3 = σm (caso idrostatico) nell’equazione per trovare U :
1  2  1 − 2ν 1 − 2ν
Uv = 3 σm − 6 ν σm2
= 2
3 σm = (σ1 + σ2 + σ3 )2 (92)
2E 2E 6E
Infine, l’energia di distorsione elastica nel sistema di coordinate della tensione principale è:
1+ν  2
σ1 + σ22 + σ32 − (σ1 σ2 + σ1 σ3 + σ2 σ3 ) (93)

Ud = U − Uv =
3E
Nel caso del carico uniassiale equivalente: σ1 = σ0 e σ2 = σ3 = 0, perciò:
Ud,0 = (1 + ν) σ02 /3 E . Quindi, uguagliando le due espressioni trovate per Ud , si ottiene:
p
σ = σ0 = σ12 + σ22 + σ32 − (σ1 σ2 + σ1 σ3 + σ2 σ3 )
q (94)
1 2 2 2
= 2 [(σ1 − σ2 ) + (σ2 − σ3 ) + (σ3 − σ1 ) ]

• In caso di tensione piana, σ3 = 0, l’intersezione tra il cilindro e il piano σ3 = 0 è


un’ellisse: σ < σ12 + σ22 − σ1 σ2 .
p


• In caso di puro taglio, σ1 = − σ3 . Quindi: σ = 3 σ1 .

(b)
(a)

35
q √ 1
σ0 = σ12 + σ22 − σ1 σ2 → σ0 = 3σ1 → σ1 = √ σ0 (σ1 = − σ2 , σ3 = 0) (95)
3
Se σ3 = 0 , σ2 = (σ3 + σ1 )/2 → σ2 = σ1 /2, allora:

3 2
q
σ0 = σ12 + σ22 − σ1 σ2 = σ1 → σ1 = √ σ0 ∼ = 1,15 σ0 = 1,15 Y = Y 0 (96)
2 3

Figura 44
In campo plastico, la tensione effettiva è definita, secondo il criterio di Von Mises, come:
1 p
Y =σ= √ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 (97)
2
In caso di carico unissiale, σ2 = σ3 = 0, e Y = σ = σ1 .

Incremento della deformazione effettiva


Al cedimento, le leggi di Hook si trasformano in:
 
1 1
d ε1 = σ1 − (σ2 + σ3 )
E 2
 
1 1
d ε2 = σ2 − (σ1 + σ3 ) (98)
E 2
 
1 1
d ε3 = σ3 − (σ1 + σ2 )
E 2
In caso di carico uniassiale:
1 1 1
d ε1 = σ 1 , d ε2 = − σ1 , d ε3 = − σ1 (99)
E 2E 2E

2p
dε = (d ε1 − d ε2 )2 + (d ε2 − d ε3 )2 + (d ε3 − d ε1 )2
3 s
√  2  2
2 3 3
= σ1 + 0 + σ1 (100)
3 2E 2E
√ r
2 9 1
= 2· 2
σ12 = σ1 = d ε1
3 4E E

36
7 Lezione A04 (Slab Method)
Deformazione plastica dei metalli
Deformazioni finite
In campo plastico le deformazioni sono permanenti e finite, mentre nel campo elastico sono
considerate infinitesime, dell’ordine di 10−3 − 10−4 , rispetto alle dimensioni del pezzo e
sono linearizzabili. In campo plastico si hanno grandi deformazioni.
Si definiscono gli incrementi (fisicamente finiti, teoricamente infinitesimi) delle deformazioni,
basandosi sugli incrementi infinitesimi degli spostamenti: u, v, w.
Gli incrementi infinitesimi delle deformazioni si definiscono come:

∂(du) ∂(dv ) ∂(dw )


d εx = , d εy = , d εz = (101)
∂x ∂y ∂z
Gli incrementi infinitesimi degli scorrimenti, invece, si definiscono come:

∂(du) ∂(dv ) ∂(dv ) ∂(dw ) ∂(dw ) ∂(du)


d γxy = + , d γyz = + , d γxz = + (102)
∂y ∂x ∂z ∂y ∂x ∂z
Le grandi deformazioni vanno intese come la successione di tanti incrementi infinitesimi di
deformazione. Il tensore degli incrementi infinitesimi della deformazione plastica è dato da:
 dγxy dγxz 
d εx 2 2
Tdε =  dγ2xy d εy dγyz
2
 (103)
dγxz dγyz
2 2
d εz

Studio della grande deformazione


Criterio per stabilire quando e come si entra in zona plastica.
Presi 2 punti, P e P1 , nel materiale sufficientemente vicini fra loro, se la deformazione è
piccola si ha una variazione δl della distanza tra i due punti.
Si individuino due punti P e P1 molto vicini, distanti dl, e si sottoponga il corpo a un
piccolo incremento di deformazione plastica, tale per cui dl subisca un incremento pari a
d(dl). Si definisce allungamento incrementale della distanza tra P e P1 la quantità:

d (δl )
dε = (104)
δl
Il valore può essere calcolato a partire dalle componenti del tensore degli incrementi di
deformazione nel punto P, noti i coseni direttori del segmento P P1 .
Se ora si suppone che il corpo subisca una grande deformazione plastica per cui il punto P1
si sposta in P 0 1 , il segmento P P1 sarà sede di una deformazione lineare pari alla somma
di tutti gli incrementi di deformazione lineare verificatisi lungo il segmento stesso durante
la trasformazione. La deformazione lineare così definita è detta deformazione razionale
ed è congruente con la definizione in campo elastico.
La deformazione razionale risulta pertanto pari a:
δl0 δl0
d (δl 0 ) δl 0
Z Z
εP P 0 1 = dε = = ln (105)
δl δl δl 0 δl

37
Figura 45

La Figura 45 descrive il caso in cui gli assi principali ruotano durante la deformazione,
cioè quando il segmento P P1 non giace o permane su un asse principale di deformazione.
Anche gli assi principali ruotano: si può pertanto immaginare di sistemare tre basi δl1 , δl2 ,
δl3 e osservare la deformazione. In tal caso si potranno definire tre deformazioni principali:

δl 0 1 δl 0 2 δl 0 3
1 = ln , 2 = ln , 3 = ln (106)
δl 1 δl 2 δl 3
Le deformazioni differiscono dalle analoghe componenti in campo elastico perchè non fanno
parte di un tensore. δl1 , δl2 , δl3 dovranno quindi essere tanto più piccole quanto più la
deformazione è disuniforme nell’intorno di P.
Come riferimento è possibile prendere distanze finite del corpo stesso, anzichè δl1 , δl2 , δl3 .

(a)
(b)

Quindi se non ho rotazione delle direzioni principali rispetto al materiale, e la deformazione


è omogenea (uniformemente distribuita in tutto il corpo), allora esistono tre deformazioni
razionali espresse da:

l 01 l 02 l 03
ε1 = ln , ε2 = ln , ε3 = ln , (107)
l1 l2 l3
oppure espresse dalle analoghe coordinate cilindriche.
Poichè si ha costanza di volume nelle deformazioni plastiche dei metalli, anche per le
deformazioni razionali principali si avrà che:

l 01 l 02 l 03
l 1 · l 2 · l 3 = l 0 1 · l 0 2 · l 0 3 ⇒ ε1 + ε2 + ε3 = ln =0 (108)
l1 l2 l3

38
Per quanto concerne gli scorrimenti finiti, nel caso generico si può individuare un piano α
ortogonale al segmento P P 0 1 . Posto che il piano α’ rappresenti la nuova giacitura di α dopo
la deformazione, che in generale non sarà più normale a P P 0 1 , si definisce deformazione
finita di taglio, o scorrimento plastico, la quantità:

P 01Q
γ= = tan Ψ (109)
PQ
dove PQ è la perpendicolare ad α’ tracciata per P.
Nel caso di deformazione di puro taglio, il piano α rimane parallelo a se stesso e, quindi,
anche al piano α0 inizialmente tracciato per P e parallelo ad α stesso.
In tal caso, lo scorrimento totale è definito dalla quantità:

P1 P 0 1
γ = tan Ψ = (110)
L
dove L è la distanza (costante) tra P1 e P.

Figura 47

Generalizzazione del diagramma σ = f (ε)


Si definisce tensione efficace, o equivalente, la seguente quantità:
1 p
σ=√ (σ1 − σ2 )2 + (σ2 − σ3 )2 + (σ3 − σ1 )2 (111)
2
σ è un indicatore scalare, valido per qualsiasi stato tensionale che misura il grado di
incrudimento raggiunto a un certo stadio del processo di deformazione.
In caso di tensione monoassiale la formula si traduce nell’espressione: σ = |σ1 |, e il criterio
di Von Mises si riconduce a σ = σ0 . Si definisce incremento di deformazione efficace,
o equivalente, basato sull’invariante del II ordine, la quantità:

2p
dε = (d ε1 − d ε2 )2 + (d ε2 − d ε3 )2 + (d ε3 − d ε1 )2 (112)
3
Il coefficiente è stato scelto in modo che, per uno stato di tensione monoassiale, si abbia:
d ε1
d ε2 = d ε 3 = − ⇒ d ε = |d ε1 | (113)
2
In campo plastico ν = 0,5. La misura di deformazione plastica totale subita dal materiale
sarà data da d ε.
R

39
La legge
R generale dell’incrudimento sarà quindi espressa da una relazione del tipo:
σ = f ( d ε). In generale d ε dovrà essere calcolato in forma numerica.
R

Esso, però, può essere esplicitato in forma analitica se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

• I rapporti tra d ε1 , d ε2 , d ε3 si mantengono costanti.

Figura 48

d ε2 = α · d ε1
d ε3 = β · d ε1 ⇒ β = − (1 + α) (114)
d ε2 + d ε2 + d ε2 = 0
r
2
dε = · (d ε21 + d ε21 + d ε21 )
3
r
2 (115)
= · (1 + α2 + 2 · α + 1 + α2 ) d ε21
3
2 √
= √ · 1 + α + α2 · |d ε1 |
3
• Gli
R assi principali di tutti gli incrementi d ε devono coincidere → è possibile esplicitare
d ε1 come deformazione razionale (gli assi principali non ruotano).

2 √
Z
d ε = √ · 1 + α + α 2 · ε1 (116)
3
• Le componenti di ciascun incremento di deformazione devono avere lo stesso segno.

Quindi se valgono contemporaneamente le tre condizioni l’integrale è esplicitabile.


Se vale la prima condizione tra gli incrementi, essa vale anche per le deformazioni razionali
principali ε1 , ε2 , ε3 . Pertanto, si avrà che la quantità:

Z r √
2 2p
ε= dε = 2 2 2
· (ε1 + ε2 + ε3 ) = (ε1 − ε2 )2 + (ε2 − ε3 )2 + (ε3 − ε1 )2 (117)
3 3
definisce la deformazione razionale efficace o deformazione equivalente totale.
In tal caso, la legge generale di incrudimento assumerà la forma: σ = f (ε), che rappresenta il
diagramma tensione - deformazione generalizzato (purchè siano soddisfatte le tre condizioni).

40
Qualora risulti necessario (o opportuno) fare riferimento ad assi diversi da quelli principali,
σ e ε possono essere espresse nella forma più generale, in funzione delle altre componenti:

1 q
σ=√ (σx − σx )2 + (σy − σz )2 + (σz − σx )2 + 6 · (τxy 2 + τ 2 + τ 2 )2
yz zx (118)
2
1
q 
dε = 2 · [(d εx − d εy )2 + (d εy − d εz )2 + (d εz − d εx )2 ] + 3 · d γxy
2 + d γ2 + d γ2
yz zx
3
In tal caso, d ε può essere esplicitato solo in casi particolari. Il più importante è
R

rappresentato dalla deformazione di taglio semplice (prova di torsione)

Taglio semplice → d γ = d (tan Ψ)


Z γ
1 γ
ε= √ · dγ = √ (119)
3 0 3
purchè i successivi incrementi abbiano tutti lo stesso segno.

Relazione fra tensioni e deformazioni incrementali


Ipotesi:

• materiale rigido - plastico: σ = f (ε);

Figura 49

• applico sollecitazioni crescenti;

• esamino d εi successivi.

a) d ε1 + d ε2 + d ε3 = 0
b) le direzioni principali delle σ e delle d ε nell’i - esimo incremento coincidono
c) Mohr (σ, τ ) ∼ Mohr (d γ, d ε) ⇒ µ = ν

41
Tσ0 = f (τmax , µ)
σ1 − σ3
τmax = (120)
2
2 · σ2 − σ1 − σ3 Di − d i
µ= =
σ1 − σ3 De
La componente deviatorica è:

 µ
σ10 = σ1 − σ 00 = 1 − · τmax
 3 
2·µ
0 00
σ2 = σ2 − σ = 1 − · τmax (121)
3
 µ
σ30 = σ3 − σ 00 = 1 + · τmax
3
Analogamente per il tensore delle deformazioni:

Td ε = T 0 d ε = f (d γmax , ν)
d γmax = d ε1 − d ε3 (122)
2 · d ε2 − d ε1 − d ε3
ν=
d ε1 − d ε3

(a) (b)

(b)
(a)

42
Risoluzione di problemi di deformazione plastica con il metodo
dell’elemento sottile (slab method)
Analisi della lastra di formatura
Analisi della distribuzione della tensione nei processi di formatura semplice includono
l’attrito, per determinare la distribuzione della pressione, e il carico richiesto.
• Deformazione piana
• La direzione del carico applicato e i piani perpendicolari a questa direzione definiscono
le direzioni principali, e le tensioni principali non variano su questi piani
• Sebbene l’effetto dell’attrito superficiale sia incluso nel bilancio delle forze, questo non
influenza la distorsione interna del metallo o l’orientazione delle direzioni principali
• Le sezioni piane rimangono tali, quindi la deformazione è omogenea

Figura 52

Il bilancio delle forze sulla lastra nella direzione x è:

(σx + d σx )h + 2µσy dx − σx h = 0 (123)


Assumendo σy e σx come tensioni principali si ottiene:
d σx h + 2µσy dx = 0
→ d σx = d σy = −dp (124)
2
σx − σy = √ Y = Y 0 (V.M.)
3
d σy d σx 2µx
= ⇒ σy = C e− h (125)
σy σx

2 2 2µa
x = a → σx − σy = √ Y → C = − √ Y e h (condizioni al contorno)
3 3
2µx
σy = C e− h (126)

2 2µa−x
p = −σy = √ Y e h (127)
3
2 2 h 2µ(a−x )
i
σx = σy + √ Y = √ Y 1 − e h (128)
3 3

43
Figura 53
Z a
1 Y h  2µa 
pm = pav = |σy | dx = √ e h −1 (129)
a 0 3 µa

Figura 54: Rapporto tra la pressione media e la tensione di snervamento in funzione


dell’attrito e delle proporzioni del provino: (a) compressione in deformazione piana, e (b)
compressione di un provino cilindrico solido. C’è da notare che la tensione di snervamento
nella figura (b) è Y, e non Y’, come nella compressione in deformazione piana mostrata
nella figura (a)

Risultati in presenza di attrito in deformazione piana:


 
a −x
p = Y’ 1 + (130)
h
Risultati in presenza di attrito per il provino cilindrico:
 
r −x
p =Y 1+ (131)
h
Ricordando che ex = 1 + x + x 2 /2! + x 3 /3! + . . . ∼
= 1 + x:
 
2 2µ(a − x ) ∼ 2 h µa i
pm ∼= √ Y 1+ = √ Y 1+ ⇒ F = pm A = pm 2a w (132)
3 h 3 h

44
Figura 55: Distribuzione del rapporto di pressione adimensionale, p/Y’, nella compressione
di un provino rettangolare in deformazione piana e sotto condizioni difficili. Aderente
(sticking) significa che la tensione di attrito (di taglio) sull’interfaccia ha raggiunto la
tensione di snervamento di taglio del materiale. C’è da notare che la pressione ai bordi è
pari alla tensione di snervamento uniassiale del materiale in deformazione piana, Y’

Figura 56


(σr + d σr ) h (r + dr ) d θ − σr h r d θ − 2σθ h dr sin − 2 τzr r d θ dr = 0 (133)
2
τzr = µp = −µσz (134)
d σr σr − σθ 2µσz
+ =−
dr r h
d σr 2µσz
→ =− (135)
dr h
σr = σθ Assial − simmetrica

45
Figura 57

d σr 2µσz
=−
dr h
d σz 2µ
→ = − dr (136)
σz h
σr − σz = Y (criterio di V.M./T.)

Condizioni al contorno: r = D/2 , σr = 0

2µ(a−r )
p = − σz = Y e h (137)
 
2µr
pm ∼
=Y 1+ (138)
3h
F = pm A = pm πR 2 (139)

46
Premessa
Tutte le informazioni relative alla lezione seguente sono state tratte dal libro "Tecnologia
Meccanica" (libro in pdf), da pagina 264 a pagina 276, vista l’insufficienza di informazioni
presenti nelle slide fornite dal professore sull’argomento.

8 Lezione B01 (Forgiatura)


La forgiatura è un processo di deformazione in cui il pezzo viene premuto tra due stampi.
Un modo per classificare le operazioni di forgiatura è dividerle in base alla temperatura di
funzionamento. La maggior parte delle operazioni di forgiatura vengono eseguite a tiepido
o a caldo, a causa della deformazione significativa richiesta dal processo e della necessità
di ridurre la resistenza e aumentare la duttilità del metallo da lavorare.
Però in alcuni casi si utilizza anche la forgiatura a freddo, per pezzi di piccole dimensioni.
Il vantaggio della forgiatura a freddo è la maggiore resistenza del pezzo dovuta
all’incrudimento e le migliori tolleranze dimensionali di lavorazione.
Nella forgiatura si usa un impatto o una pressione graduale; la distinzione deriva più che
altro dal tipo di macchinario utilizzato che dalla tecnologia di processo.
Una macchina da forgiatura che applica un carico impulsivo viene chiamata maglio, mentre
una che applica una pressione graduale è chiamata pressa di forgiatura.
Un’altra differenza tra le operazioni di forgiatura è il grado in cui il flusso del metallo viene
vincolato e controllato geometricamente dagli stampi.
Secondo questa classificazione, possiamo distinguere tre tipi di operazioni di forgiatura:
forgiatura a stami aperti (Figura 58a), forgiatura a stampi chiusi con bava (Figura 58b) e
forgiatura a stampi chiusi senza bava (Figura 58c).
Nella forgiatura a stampi aperti, il pezzo viene compresso tra due matrici piatte,
lasciando quindi il metallo libero di fluire senza vincoli lungo la direzione ortogonale
al moto dello stampo superiore. Nella forgiatura con bava, le superfici degli stampi
contengono la forma da dare al pezzo durante il processo, limitando significativamente
il flusso laterale del metallo. In questo tipo di operazione, una parte di metallo fluisce
comunque oltre la forma della matrice e forma una bava (flash); la bava è del metallo in
eccesso che deve essere successivamente tagliato. Nella forgiatura senza bava, il pezzo è
completamente vincolato all’interno della matrice, quindi non possono formarsi bave.

Figura 58: Illustrazione delle sezioni trasversali di tre tipi di operazioni di forgiatura: (a)
forgiatura a matrice aperta, (b) forgiatura a stampi chiusi con bava e (c) forgiatura a
stampi chiusi senza bava

47
Forgiatura a stampi aperti
Il caso più semplice della forgiatura a stampi aperti comporta la compressione di un pezzo
di sezione trasversale circolare (o rettangolare) tra due matrici piane.
Questa operazione di forgiatura, nota anche con il termine di upsetting, riduce l’altezza
del pezzo e ne aumenta il diametro (o i lati, se a sezione rettangolare).

Analisi della Forgiatura a stampi aperti


Se la forgiatura viene eseguita in condizioni ideali senza attrito tra il pezzo e le superfici
degli stampi si verifica una deformazione omogenea e il flusso radiale del materiale è
uniforme lungo la sua altezza (Figura 59). Tuttavia un’operazione di forgiatura reale non
avviene in questo modo, vista la presenza di attrito che si oppone al flusso di metallo alle
superfici dello stampo, creando un effetto di rigonfiamento (Figura 60).
Se eseguita su un pezzo caldo con matrici fredde, l’effetto si fa ancora più marcato.
Questo deriva dal fatto che il coefficiente di attrito nella lavorazione a caldo è più alto
e si verificano dei maggiori trasferimenti di calore vicino alle superfici della matrice, che
raffeddano il metallo e ne aumentano la sua resistenza alla deformazione.
Il metallo caldo centrale scorre più facilmente del metallo freddo alle estremità.
Tutti questi fattori causano una forza effettiva di forgiatura F pari a:

F = kp Yf A (140)
dove F è la forza in N, A è l’area della sezione trasversale del pezzo in mm 2 , Yf è lo sforzo
di flusso plastico in MPa e kp è il coefficiente di forma della forgiatura.

Figura 59: Deformazione omogenea di un pezzo cilindrico in condizioni ideali in un’opera-


zione di forgiatura a stampi aperti: (1) inizio del processo con il pezzo alla sua lunghezza e
diametro originali, (2) compressione parziale e (3) dimensione finale.

Figura 60: Deformazione effettiva di un pezzo cilindrico in un’operazione di forgiatura


a matrice aperta, che mostra un evidente rigonfiamento: (1) inizio del processo, (2)
deformazione parziale e (3) forma finale.

48
Forgiatura a stampi chiusi con bava
La forgiatura a stampi chiusi con bava viene eseguita con stampi che contengono il negativo
della forma del pezzo. Il processo è illustrato nella sequenza di tre fasi nella Figura 61.
Il pezzo di partenza ha una forma cilindrica simile a quella utilizzata nella precedente
operazione di forgiatura a matrice aperta. Quando la matrice si chiude nella sua posizione
finale, si forma una bava dovuta al metallo che esce dalla cavità dello stampo nel piccolo
spazio tra le matrici. Sebbene questa bava debba essere eliminata dal pezzo attraverso
una successiva operazione di taglio, nella cosiddetta camera scarta - bava, essa ha una
funzione molto importante. Infatti la camera scarta - bava e soprattutto la zona periferica
di minima distanza tra i due stampi funge da argine al materiale, forzandolo a rimanere per
la maggior parte nella cavità dello stampo. Nella forgiatura a caldo, il flusso del metallo
è ulteriormente limitato in quanto la bava sottile si raffredda rapidamente nella matrice,
aumentando così la sua resistenza alla deformazione.
A causa della formazione di bave e della maggiore complessità delle forme realizzate con
queste matrici, le forze richieste da questo processo sono significativamente maggiori e più
difficili da analizzare di quelle della forgiatura a matrice aperta.
La formula della forza, pur essendo formalmente identica a quella utilizzata per la forgiatura
in stampi aperti, ha un’interpretazione leggermente diversa:

F = Yf A kp
dove F è la forza massima dell’operazione in N, A l’impronta del pezzo sul piano di bava,
compresa la bava stessa in mm 2 , Yf la tensione di flusso del materiale in MPa e kp il
coefficiente di forma della forgiatura. Nella forgiatura a caldo, il valore di Yf è il carico di
snervamento del metallo a temperatura elevata.
In altri casi è più difficile determinare il valore corretto della tensione di flusso perchè la
deformazione varia attraverso il pezzo nel caso di forme complesse.
kp è un coefficiente che tiene conto degli aumenti della forza necessari a forgiare forme
di varia complessità. La forza massima viene raggiunta solo al termine della corsa di
forgiatura, quando la superficie di contatto tra pezzo e stampi è massima e di conseguenza
sono massime le forze di attrito.

Figura 61: Sequenza della forgiatura a in stampo chiuso: (1) subito prima del contatto
con il pezzo iniziale, (2) compressione parziale e (3) chiusura definitiva della matrice che
causa la formazione di bava nell’apposito canale e nella camera di bava.

49
Forgiatura senza bava
Nella forgiatura senza bava (flashless), illustrata nella Figura 62, il pezzo iniziale è contenuto
completamente all’interno della cavità dello stampo, quindi durante la compressione non si
formano bave. La regola più importante è che il volume del pezzo di partenza deve essere
uguale al volume dello spazio della cavità di stampo con una tolleranza molto stretta.
A causa di queste particolari esigenze della forgiatura senza bave, il processo si presta meglio
a realizzare forme semplici e simmetriche. Le forze nella forgiatura flashless raggiungono
valori paragonabili a quelle della forgiatura a matrice semi-chiusa.

Figura 62: Forgiatura senza bava: (1) appena prima del contatto iniziale con il pezzo, (2)
compressione parziale e (3) compressione finale e chiusura della matrice. I simboli v ed F
indicano rispettivamente la velocità e la forza applicata.

Conifica e forgiatura radiale


La conifica e la forgiatura radiale sono processi di forgiatura utilizzati per ridurre il diametro
di un tubo o di un albero. La conifica di solito viene effettuata all’estremità di un pezzo
per creare una sezione rastremata. Il processo di conifica, mostrato nella Figura 63, è
realizzato per mezzo di matrici rotanti che danno dei colpi al pezzo girando attorno ad esso.
La forgiatura radiale è simile alla conifica nella sua azione sul pezzo e viene utilizzata
per creare forme simili. La differenza è che nella forgiatura radiale le matrici non ruotano
intorno al pezzo, ma è il pezzo che ruota dopo essere stato inserito nelle matrici.

Figura 63: Processo di conifica per ridurre il diametro di un albero; le matrici ruotano
mentre colpiscono il pezzo. Nella forgiatura radiale il pezzo ruota mentre le matrici
rimangono fisse nella loro posizione.

50
9 Lezione B02 (Laminazione)
La laminazione è un processo di deformazione in cui viene ridotto lo spessore del pezzo
mediante delle forze di compressione esercitate da due cilindri contrapposti.
I cilindri sono controrotanti, cioè ruotano come illustrato nella Figura 64, allo scopo
di attirare il pezzo nella luce di passaggio tra loro interposta e contemporaneamente
schiacciarlo. Il processo di base illustrato nella figura è la laminazione piana, usata per
ridurre lo spessore di una sezione trasversale rettangolare.
Un processo molto simile è la laminazione di forma (profilatura o calibratura), in cui una
sezione trasversale inizialmente rettangolare viene trasformata, ad esempio in una trave a I
o in un profilo complesso. La maggior parte delle operazioni di laminazioni viene eseguita
a caldo, a causa della grande quantità di deformazione richiesta.
Di solito si esegue un’ulteriore assottigliamento delle lastre e dei fogli già laminati a caldo
mediante una laminazione a freddo, fino a ottenere dei prodotti a spessore sottile.

Figura 64: Il processo di laminazione

Figura 65: Schema delle varie operazioni di laminazione piana e di laminazione di forma

51
Analisi della laminazione piana
La laminazione piana è illustrata nella Figure 64 e nella Figura 66.
Essa consiste nella laminazione di blumi, nastri, piastre e lamiere, tutti prodotti a sezione
rettangolare, in cui la larghezza è maggiore dello spessore.

Figura 66: Vista laterale della laminazione, che indica gli spessori e le velocità del pezzo
prima e dopo il contatto con i cilindri, l’angolo di contatto e altre caratteristiche.

Nella laminazione piana, il materiale di partenza viene schiacciato tra due cilindri in modo
che il suo spessore venga ridotto di un valore detto luce (o draft) pari a:

d = ti − tf (141)
dove d è la luce in mm, ti è lo spessore di partenza in mm e tf lo spessore finale in mm.
La luce a volte è espressa come una frazione dello spessore di partenza, in questo caso è
detta riduzione o rapporto di riduzione:
d
r= (142)
ti
dove r è la riduzione. Quando si eseguono più operazioni di laminazione, la riduzione è
data dalla somma dei draft divisa per lo spessore originale.
La quantità di strisciamento tra i cilindri e il pezzo può essere misurata mediante lo
slittamento in avanti s, un termine usato nella laminazione definito come:
vu − vc
s= (143)
vc
dove vu è la velocità di uscita del pezzo in m/s e vc è la velocità tangenziale del cilindro in
m/s. Possiamo definire anche un’altra quantità, chiamata precessione, pari a:
vu ∼
p= (= 1,03 · · · 1,05) (144)
vc
I cilindri, di raggio R, entrano in contatto con il pezzo per un arco di lunghezza L definito
dall’angolo α, che è solitamente molto piccolo. La sua lunghezza di contatto, essendo α
molto piccolo, è approssimabile con la corda a essa sottesa, e può essere calcolata come:

L= R · ∆h (145)

52
Condizione di imbocco e di trascinamento

(b)
(a)

Figura 67: Condizione di imbocco (a) e di trascinamento (b)

Condizione di imbocco, Figura 67 (a):

µ P cos α ≥ P sin α → µ ≥ tan α → α ≤ arctan µ = ρ (146)


r
L ∆h
tan α ∼
= ≈ ≤ µ → ∆h ≤ µ2 R (147)
R R
Condizione di trascinamento, Figura 67 (b):
α α
µ ≥ tan → ≤ arctan µ = ρ (148)
2 2

La pressione media del rullo sul materiale

Figura 68

Secondo il criterio di Von Mises per la deformazione piana:


2
pm ≈ σ3 = √ Y
3
Per condizioni di attrito maggiore, invece, vale la seguente relazione:
 
2 µL
pm = √ Y 1 + (149)
3 2 hm

53
Calcolo delle forze

Figura 69

Caso 1 - attrito trascurabile:

2
pm = √ Y
3
2 √
F = pm L w ⇒ F = √ Y w R · ∆h (150)
3

L = R · ∆h
Caso 2 - In presenza di attrito
 
2 µL
F = pm A , dove pm = √ Y 1+ (151)
3 2 hm

Coppie e Potenza

Figura 70

La coppia C agente su ciascun cilindro risulta pari a:


F ·L
C = (152)
2
La potenza W assorbita da ciascun cilindro vale:

W = C ω , dove ω = 2πn (153)

54
Laminatoi
Sono disponibili diverse configurazioni di laminatoi per affrontare la varietà di applicazioni
e i diversi problemi tecnologici del processo di laminazione.
Il laminatoio di base è costituito da due cilindri contrapposti, come mostrato nella
Figura 71 (a). Nella configurazione a tre cilindri sovrapposti, Figura 71 (b), ci sono
tre cilindri in verticale e la direzione di rotazione di ogni cilindro rimane invariata.
Per ottenere riduzioni successive della sezione, il pezzo viene fatto passare da entrambi i
lati alzando o abbassando al striscia dopo ogni passaggio.
La configurazione a quattro cilindri sovrapposti utilizza due cilindri di diametro piccolo
a contatto con il pezzo e due cilindri più grandi dietro, come nella Figura 71 (c).
Un’altra configurazione che utilizza dei cilindri di piccolo diametro a diretto contatto con
il pezzo è il laminatoio in cluster, Figura 71 (d).
Per raggiungere tassi di produzione superiori, si può anche usare un laminatoio in tandem.
Questa configurazione consiste di una serie di gabbie di laminazione, Figura 71 (e).

Figura 71: Diverse configurazioni dei laminatoi: a due cilindri sovrapposti (a), a tre cilindri
sovrapposti (b), a quattro cilindri sovrapposti (c), in cluster (d) e in tandem (e).

55
10 Esercitazione (Tubi a parete sottile)
Problema elastico assi-simmetrico
Problema: valutare le tensioni negli elementi cilindrici; vengono utilizzate coordinate
cilindriche. Siano σr la tensione radiale, σθ la tensione tangenziale e σz la tensione assiale.
Se non viene applicato alcun carico σr , σθ e σz sono le tensioni principali.
Eventualmente un carico esterno potrebbe essere applicato lungo la direzione z.
La parete del cilindro è sottile se viene rispettata la seguente condizione: Dt < 0,1 = 10%.

Figura 72

(
0, sulla superficie esterna
• Tensione radiale σr : σr =
− p , sulla superficie interna

Figura 73

56
• Tensione tangenziale σθ : uniformemente distribuita lungo lo spessore della parete.
La condizione di equilibrio lungo la direzione y è la seguente:

pr
p · L · r · sin θ d θ = 2 σθ t L → 2 p L r = 2 σθ t L ⇒ σθ = (154)
t
0

Figura 74

• Tensione assiale o longitudinale σz :


p·r σθ
π r 2 · p = 2 πr · t · σz ⇒ σz = = (155)
2·t 2

Figura 75

57
Esercizio
Un tubo di raggio r = 50 mm, avente spessore della parete cilindrica t = 5 mm, chiuso
alle due estremità e realizzato in acciaio, sottoposto a una pressione interna p = 15 MPa,
presenta le seguenti caratteristiche:

• tensione di snervamento Y = 212 MPa;

• modulo elastico E = 202 GPa , coefficiente di Poisson ν = 0,3.

Calcolare:

1. le tensioni principali nella parete del tubo, verifacando se nella condizione nominale
il materiale supera la soglia del regime elastico;

2. la variazione delle dimensioni geometriche del tubo nella condizione nominale;

3. la pressione interna pY in grado di condurre le pareti del tubo in regione plastica;

4. lo spessore tY minimo del tubo che, in condizioni nominali, consente di evitare la


plasticizzazione del materiale (non si supera il limite di snervamento)

Soluzione

1. In assenza di altre sollecitazioni, le tensioni suddette coincidono con le tensioni


principali:
pR
σ1 = σθ = = 150 MPa
t
pR
σ2 = σz = = 75 MPa
2t
σ3 = σr = − p . . . 0 = − 15 . . . 0 MPa

Criteri di plasticità:

σ1 −σ3 ≤ Y = 212 MPa


pR
T resca − 0 ≤ 212 MPa
t
(150 + 15) < 212MPa → Campo elastico

σ1 −σ3 ≤ Y 0 = 1, 15 · 212 ∼
= 245MPa
pr
V onM ises − 0 ≤ 245MPa
t
(150 + 15) < 245MPa → Campo elastico

58
2. Dalla legge di Hooke (campo elastico) ricaviamo che:
1
e1 = eθ = [σθ − ν(σz + σr )] = 4,46 · 10−4
E
1
e 2 = e z = [σz − ν(σθ + σr )] = 1,05 · 10−4
E
1
e 3 = e t = [σr − ν(σz + σθ )] = − 2,36 · 10−4
E
Nell’ipotesi di deformazione uniforme:
∆θ 2 π r − 2 π r0
eθ = = → ∆r = r0 · eθ
θ0 2 π r0
z − z0
ez = → ∆z = z0 · ez
z0
t − t0
et = → ∆t = t0 · et
t0

(b)
(a)

Figura 76: Condizione di imbocco (a) e di trascinamento (b)

3. Pressione pY e spessore tY di plasticizzazione

T resca σ1 − σ3 = Y = 212 MPa


pr
+ p = Y = 212 MPa
t
t
pY = Y = 19,3 MPa
r +t
p·r
tY = Y = 3,81mm
Y −p

V onM ises σ1 − σ3 = Y 0 = 1, 15 · 212 ∼


= 245 MPa
pr
+ p = Y 0 = 245 MPa
t
t
pY = Y = 22,3 MPa
r +t
p·r
tY = Y 0 0 = 3,26mm
Y −p

59
11 Lezione B03 (Estrusione)
L’estrusione è un processo di deformazione plastica massiva, in cui il metallo si trova in
stato di sforzo medio di compressione ed è forzato a fluire attraverso l’apertura di una
matrice per formare una determinata sezione trasversale.

Tipi di estrusione
Ci sono diversi modi per effettuare l’estrusione.
Una distinzione importante è tra l’estrusione diretta e l’estrusione inversa.

Estrusione diretta e inversa


L’estrusione diretta è illustrata nella Figura 77: una billetta metallica viene caricata in un
contenitore e un pistone comprime il materiale.
Quando il pistone arriva alla matrice, rimane una piccola porzione della billetta che non
viene spinta attraverso l’apertura della matrice: questa parte, chiamata calcio, viene
tagliata via dal pezzo subito dopo l’uscita della matrice.

Figura 77: Estrusione diretta

I profilati cavi (ad esempio i tubi) possono essere realizzati tramite estrusione diretta
tramite il processo mostrato nella Figura 78.
Si prepara la billetta di partenza facendo un foro parallelo al suo asse; questo permette il
passaggio di una spina attaccata al blocco di appoggio.
Quando la billetta viene compressa, il materiale è costretto a fluire nello spazio tra la spina
e l’apertura della matrice. La sezione trasversale risultante è tubolare.
Anche le sezioni trasversali semi - cave vengono estruse allo stesso modo.
La billetta di partenza nell’estrusione diretta è generalmente a sezione circolare, ma la
forma finale è determinata dalla forma dell’apertura della matrice.

Figura 78: Estrusione diretta per produrre una sezione trasversale cava o semi - cava

60
Nell’estrusione inversa, illustrata nella Figura 79 (a), la matrice è posizionata sul pistone
anzichè dalla parte opposta del contenitore; quando il pistone penetra nel pezzo, il metallo
è costretto a fluire attraverso lo spazio libero in direzione opposta rispetto al movimento
del pistone. Poichè la billetta non deve muoversi rispetto al contenitore, la forza richiesta
dal pistone è inferiore rispetto all’estrusione diretta.
I limiti dell’estrusione inversa sono causati dal fatto che il pistone cavo ha una rigidezza
inferiore e dalla necessità di sostenere il prodotto estruso all’uscita della matrice.
L’estrusione inversa può produrre anche sezioni trasversali cave (tubolari), Figura 79 (b).

Figura 79: Estrusione inversa per produrre (a) una sezione trasversale piena e (b) una
sezione trasversale cava

Estrusione a caldo o a freddo


L’estrusione può essere effettuata a caldo o a freddo, a seconda del metallo da lavorare
e della quantità di deformazione a cui questo viene sottoposto durante la deformazione.
L’estrusione a caldo comporta il riscaldamento iniziale della billetta a una temperatura
superiore alla sua temperatura di ricristallizzazione.
Questo riduce la resistenza e aumenta la duttilità del metallo, permettendo delle riduzioni
delle dimensioni più marcate e la realizzazione di forme più complesse.
L’estrusione a freddo e a tiepido sono utilizzate di solito per la produzione di pezzi di
piccole dimensioni, spesso in forma finita (o quasi finita); si usa il termine estrusione a
impatto per indicare un’estrusione a freddo eseguita ad alta velocità.

Analisi dell’estrusione
Un parametro importante è il rapporto di estrusione, chiamato anche rapporto di
riduzione. Il rapporto è definito come:
Ao
R= (156)
Af
dove R è il rapporto di riduzione, Ao l’area della sezione trasversale della billetta di
partenza in mm 2 e Af l’area finale della sezione trasversale del profilo estruso in mm 2 .
Il rapporto vale sia per l’estrusione diretta che inversa.
Il valore di R può essere utilizzato per determinare la deformazione reale equivalente
nell’estrusione, considerando che la deformazione ideale si verifica senza attrito:
Ao
ε = ln R = ln (157)
Af

61
Premessa
Assumendo di estrudere una billetta assial - simmetrica di lunghezza Lo e sezione Ao per
ottenere un prodotto analogo di sezione Af , la si immagini suddivisa in tanti dischi di
spessore infinitesimo. Si supponga inoltre che nell’attraversamento dello stampo ciascun
disco elementare subisca una deformazione uniforme (la stessa in tutti i punti del suo
volume) composta dalla successione di deformazioni elementari uniformi e progressive,
subite dal materiale mentre procede all’interno dello stampo.
A ogni passo della deformazione elementare , la deformazione efficace d˜ε coincide con
quella assiale (principale) d ε1 . Quindi, la deformazione efficace complessiva sarà:

Zε˜f Zε1
ε̃ = d˜ε = d ε1 = ε1 (158)
0 0

Lavoro interno di deformazione nell’estrusione


Nell’ipotesi di deformazione ideale (uniforme e senza distorsioni) il lavoro di deformazione
speso dalle tensioni interne Wi per deformare il materiale sarà dato da:

• nel caso di un materiale plastico ideale (senza incrudimento e insensibile alla velocità
di deformazione ε̇):
Wi = V · Y · ln R (159)
dove il volume è : V = Ao Lo ;

• nel caso di materiali incrudenti (lavorazioni a freddo):

Wi = V · Y · ln R (160)

dove Y è la tensione di flusso plastico media (equivalente a quella di un materiale


plastico ideale che richiede lo stesso lavoro di deformazione)

Lavoro esterno di estrusione


Trascurando l’effetto dell’attrito della billetta sulle pareti della camera di estrusione, la
pressione p esercitata dal pistone sulla base della billetta sarà costante per l’intera durata
del processo. La forza di estrusione nel caso ideale descritto sarà perciò:

Fid = p · Ao (161)
Di conseguenza, il lavoro esterno (prodotto dal pistone) sarà:

We = Fid · Lo = p · Ao · Lo = p · V (162)

62
Pressione di estrusione
Uguagliando il lavoro speso dalle tensioni interne per deformare il materiale con quello
compiuto dalla forza esterna, ossia We = Wi , si può determinare la pressione p:

Figura 80

Però l’estrusione non è un processo senza attrito e le equazioni precedenti sottostimano


un po’ la deformazione e la pressione in un’operazione di estrusione.
L’attrito si verifica tra la matrice e il pezzo mentre la billetta si restringe e passa attraverso
l’apertura della matrice. L’effetto dell’attrito è quello di aumentare la tensione sul metallo.
La deformazione effettiva è influenzata da una deformazione non uniforme.
L’equazione seguente venne proposta da Johnson per stimare la deformazione:
ε̃ ≡ εx = a + b · ln R (163)
dove εx è la deformazione dell’estrusione e a e b sono delle costanti empiriche per un certo
angolo della matrice. Valori tipici della costante a sono 0,8 e della costante b da 1,2 a 1,5.
I valori di a e b tendono ad aumentare con l’aumento dell’angolo della matrice.
Inoltre, la pressione associata del pistone nell’estrusione può essere valutata come:
p = Y · εx = Y · (a + b · ln R) , per un materiale plastico ideale (164)
p = Y · εx = Y · (a + b · ln R) , per un materiale incrudito (165)
In alternativa, può essere adottata una formula ancora più semplice:

p∼
= 1,7 · Y · ln R (166)
Nell’estrusione diretta, l’effetto dell’attrito tra le pareti del contenitore e la billetta
richiede una pressione del pistone superiore. Quindi, per calcolare la pressione del pistone
nell’estrusione diretta si può usare la formula empirica seguente:
 
2L
pTotMax = pe + pf = Y · 1,7Y ln R + (167)
Do
dove il termine Y 2L/Do quantifica l’incremento di pressione dovuto all’attrito tra la
camera e la billetta. Si noti che p si riduce man mano che la lunghezza residua della
billetta diminuisce durante il processo. La Figura 81 mostra i grafici tipici della pressione
del pistone in funzione della sua corsa per l’estrusione diretta e inversa.

Velocità di deformazione
6 vo Do 2 tan α ∼ 6 vo ln R
ε̇ = 3 3 ln R ⇒ (α = 45° , Do  Df ) ⇒ ε̇ = (168)
D o − Df Do

63
Figura 81: Grafici della pressione rispetto alla corsa del pistone (e alla lunghezza rimanente
della billetta da estrudere) per l’estrusione diretta e inversa.
I valori più elevati dell’estrusione diretta sono dovuti all’attrito con la parete della camera.
L’incremento iniziale di pressione delle curve dipende dall’angolo della matrice (angoli
maggiori causano rampe di pressione più ripide).
L’aumento della pressione alla fine della corsa è dovuto alla formazione del calcio.

Pressione di estrusione (con il contributo dell’attrito)


A causa dell’attrito tra la billetta e la matrice, la pressione di estrusione è maggiore di
quella ottenuta in precedenza. In accordo con il metodo dell’elemento sottile (includendo
l’attrito, ma non l’energia di distorsione), si ottiene:
 
tan α
· R µ·cot(α) − 1 (169)
 
p =Y · 1+
µ

Figura 82

Figura 83: Pressione di estrusione in funzione del rapporto di estrusione per una lega
di alluminio. (a) Estrusione diretta, α = 90°; (b) estrusione idrostatica, α = 45°; (c)
estrusione idrostatica, α = 22.5°; (d) deformazione omogenea ideale.

64
Matrici e presse da estrusione
A parità di rapporto di riduzione, una delle caratteristiche più importanti di una matrice di
estrusione è l’angolo di inclinazione. L’angolo, o più precisamente il semiangolo, è indicato
con α nella Figura 83 (a). Per angoli piccoli, la superficie della matrice aumenta, causando
un aumento dell’attrito tra la billetta e la matrice.
Se l’attrito è più alto, serve una pressione del pistone maggiore.
D’altro canto, un angolo grande provoca una maggiore variazione delle linee di flusso assiale
del metallo durante la riduzione della sezione, aumentando anche in questo caso la forza
del pistone necessaria, per via del maggiore lavoro di distorsione.
Quindi l’effetto complessivo dell’inclinazione della matrice sulla forza del pistone si traduce
in una curva con un minimo, come mostrato nella Figura 83 (b).
Esiste quindi un angolo ottimale, che dipende da diversi fattori (come il materiale in
lavorazione, la temperatura della billetta e la lubrificazione) ed è quindi difficile da
determinare in uno specifico processo di estrusione.

Figura 84: (a) Definizione dell’angolo della matrice nell’estrusione diretta, (b) effetto
dell’angolo della matrice sulla forza del pistone

65
Trafilatura di fili e barre
La trafilatura è un’operazione in cui si riduce la sezione trasversale di una barra o un filo
tirandoli attraverso l’apertura di una matrice, come mostrato nella Figura 85.
Le caratteristiche generali del processo sono simili a quelle dell’estrusione.
La differenza è che il pezzo viene tirato attraverso la matrice, anzichè essere spinto.
Sebbene la presenza di tensioni di trazione sia prevalente nella trafilatura, anche la
compressione gioca un ruolo significativo perchè il metallo viene compresso radialmente
mentre passa attraverso l’apertura della matrice.
Visto che il termine trafilatura è anche usato nella lavorazione della lamiera, qui è usato il
termine trafilatura di fili e barre per distinguere i due processi.
La differenza fondamentale tra la trafilatura di barre e di fili è la dimensione del pezzo
iniziale che viene lavorato. La trafilatura di barre è il termine usato per barre o alberi
di diametro più grande, mentre la trafilatura di fili si applica a pezzi di diametro più
piccolo. Nella trafilatura di fili le dimensioni possono scendere fino a 0,03 mm nel diametro.
Anche se i meccanismi del processo sono uguali nei due casi, i metodi, i macchinari e anche
la terminologia sono leggermente differenti.
La trafilatura di barre e tubi di solito è un’operazione di trafilatura discreta: un pezzo
viene tirato attraverso l’apertura di una matrice.
Il pezzo iniziale ha diametro molto grande ed è in forma di barra cilindrica.
In un’operazione di trafilatura, la variazione delle dimensioni del pezzo di solito è data
dalla riduzione della superficie, definita come:
Ao − Af
r= (170)
Ao
dove r è la riduzione dell’area nella trafilatura, Ao l’area originale del pezzo in mm 2 e Af
l’area finale in mm 2 . La riduzione dell’area è anche talvolta espressa in percentuale.

Figura 85: Trafilatura di barre, alberi o tubi.

Figura 86

66
Analisi della trafilatura
Meccanica della trafilatura
In assenza di attrito o di lavoro ridondante, la deformazione reale si può calcolare come:
Ao 1
ε = ln = ln (171)
Af 1−r
dove Ao e Af sono le aree iniziale e finale della sezione trasversale del pezzo e r è la
riduzione di trafilatura riportata nell’Equazione (170).
La tensione che deriva da questa deformazione ideale è data da:
Ao
σ = Y f ε = Y f ln (172)
Af
dove ε è la tensione di flusso media in base al valore di deformazione ideale dato
dall’Equazione (171). Poichè l’attrito è ovviamente presente nella trafilatura e il metallo
subisce una deformazione con distorsione, la tensione effettiva è maggiore di quella data
dall’Equazione (172). Oltre al rapporto Ao /Af , le altre variabili che influenzano lo sforzo
di trafilatura sono l’angolo della matrice α e il coefficiente di attrito tra pezzo e matrice.
La tensione subita dal trafilato sarà quindi pari a:
 µ  Ao
σd = ΦY f 1+ ln (173)
α Af
dove σd è la tensione di trafilatura in MPa, µ il coefficiente di attrito tra un pezzo e matrice,
α l’angolo della matrice (semiangolo) come definito nella Figura 85 e Φ un fattore che
esprime la disomogeneità della deformazione, che per una sezione circolare è calcolato nel
modo seguente:
D
Φ = 0, 88 ± 0, 12 (174)
Lc
dove D è il diametro medio del pezzo durante la trafilatura in mm e Lc la lunghezza della
superficie di contatto del pezzo con la matrice nella Figura 85 in mm.
I valori di D e Lc si possono calcolare come segue:
Do + Df Do − Df
D= , Lc = (175)
2 2 sin α

67
Riduzione massima per passaggio
Occorre solitamente eseguire più di un passaggio per ottenere la riduzione desiderata nella
trafilatura. Affinchè la trafilatura abbia successo, la tensione massima deve essere inferiore
al carico di snervamento del metallo in uscita.
Supponiamo che un metallo sia perfettamente elastico (n = 0) e non si verifichi nessun
attrito e nessun lavoro ridondante. In questo caso ideale, la tensione massima possibile è
uguale al carico di snervamento del materiale in lavorazione.
Questa quantità si può esprimere utilizzando l’equazione per la tensione di trafilatura in
condizioni di deformazione ideale, l’Equazione (172), imponendo Y f = Y (perchè n = 0):
Ao Ao 1
σd = Y f ln = Y ln = Y ln =Y
Af Af 1−r
Questo significa che ln(Ao /Af ) = ln(1/(1 − r )) = 1, cioè εmax = 1. Per rendere εmax pari a
0, Ao /Af = 1/(1 − r ) deve essere pari al logaritmo naturale in base e. Di conseguenza, il
rapporto massimo possibile tra le aree è:
Ao
= e ≈ 2, 7183 (176)
Af
e la riduzione massima possibile è
e−1
rmax = ≈ 0, 6321 (177)
e
Il valore teorico di rmax aumenterebbe se si considerasse l’effetto del determinante ruolo
che l’incrudimento assume nel processo, che viene eseguito a freddo.
L’incrudimento fa aumentare la riduzione massima possibile perchè il filo in uscita è più
resistente di quello di partenza. Per un materiale metallico con n > 0 si avrebbe:
1
rmax = 1 − (178)
e(n+1)

Premessa
Assumendo di trafilare una barra tonda di lunghezza Lo e sezione Ao per ottenere un
prodotto analogo di sezione Af , la si immagini suddivisa in tanti dischi di spessore
infinitesimo. Si supponga inoltre che nell’attraversamento della trafila ciascun disco
elementare subisca una deformazione uniforme (la stessa in tutti i punti del suo volume)
composta dalla successione di deformazioni elementari uniformi e progressive, subite dal
materiale mentre procede all’interno della trafila.
A ogni passo della deformazione elementare , la deformazione efficace d˜ε coincide con
quella assiale (principale) d ε1 . Quindi, la deformazione efficace complessiva sarà:

Zε˜f Zε1
ε̃ = d˜ε = d ε1 = ε1
0 0

68
Lavoro interno di deformazione nella trafilatura
Prendiamo in considerazione uno spezzone di filo da trafilare, con area della sezione Ao e
lunghezza Lo , nell’ipotesi di deformazione ideale (uniforme, senza distorsioni) il lavoro di
deformazione speso dalle tensioni interne Wi per deformare il materiale sarà dato da:
• nel caso di un materiale plastico ideale (senza incrudimento e insensibile alla velocità
di deformazione ε̇):
Wi = V · Y · ln R
dove il volume è : V = Ao Lo ;
• nel caso di materiali incrudenti (lavorazioni a freddo):
Wi = V · Y · ln R
dove Y è la tensione di flusso plastico media (equivalente a quella di un materiale
plastico ideale che richiede lo stesso lavoro di deformazione).

Lavoro esterno di trafilatura


La tensione di trazione σT esercitata dall’aspo avvolgitore sul materiale a valle della trafila
sarà pressochè uniforme e costante per l’intera durata del processo.
La forza di trafilatura, nel caso ideale, sarà pertanto:

T = σT · Af (179)
dove Af è l’area della sezione del filo a valle del processo.
Ipotizzando di prendere in considerazione lo stesso spezzone dopo la trafilatura, per la
conservazione del volume la sua lunghezza Lf sarà tale che:

V = Af · Lf (180)
Il lavoro esterno, prodotto dall’organo che esercita la forza di trazione, necessario a trafilare
lo stesso spezzone di volume V sarà quindi:

We = T · Lf = σT · Af · Lf = σT · V , dove V è il volume dello spezzone (181)

Consigli pratici sulla trafilatura


La trafilatura di solito viene eseguita come un’operazione di lavorazione a freddo per
profurre sezioni circolari. La trafilatura di fili consente la produzione di molti prodotti
commerciali come i cavi e i fili elettrici, i fili per le recinzioni, gli appendiabiti, i carrelli
della spesa, i fili per la produzione di chiodi, viti, rivetti, molle e altri elementi.
La trafilatura di barre viene utilizzata per produrre barre metalliche usate nella lavorazione
meccanica, nella forgiatura e in altri processi.

Preparazione del pezzo


Prima di essere trafilato, il pezzo iniziale deve essere preparato adeguatamente.
La preparazione comprende tre fasi: ricottura, pulitura e preparazione della punta.
Lo scopo della ricottura è quello di aumentare la duttilità del pezzo per migliorare la
deformazione durante la trafilatura. La pulitura del pezzo è necessaria per evitare danni
alla superficie del pezzo e alla matrice. La preparazione della punta comporta la
riduzione del diametro dell’estremità iniziale del pezzo in modo che possa essere inserito
attraverso la matrice all’inizio del processo.

69
Macchine e utensili per la trafilatura
La trafilatura di barre è effettuata da una macchina chiamata trafilatrice, che è costituita
da una tavola di ingresso, un supporto della matrice, contenente la matrice stessa, un carro
e un binario di uscita. La disposizione delle attrezzature è mostrata nella Figura 87.
La trafilatura di fili viene effettuata su macchine trafilatrici continue che consistono di
diverse filiere separate da tamburi di accumulo, come mostrato nella Figura 88.
Ogni tamburo, chiamato cabestano, è motorizzato per fornire la forza di trazione adeguata
per tirare il filo attraverso la matrice a monte.
Ogni filiera produce una certa riduzione del filo, in modo che alla fine della serie si raggiunga
la riduzione totale desiderata. A volte è necessaria una ricottura del filo tra i gruppi di
matrici di una serie per ridurre lo sforzo di trafilatura.

Matrici di trafilatura
La Figura 88 mostra le caratteristiche di una tipica filiera.
Si possono distinguere quattro regioni della matrice: imbocco, tratto conico, tratto calibrato
e rilascio. La regione di imbocco ha lo scopo di incanalare il lubrificante nella matrice e
impedire lo scheggiamento del pezzo e della superficie della matrice.
Il tratto conico è dove effettivamente avviene il processo di trafilatura.
Il tratto calibrato determina e stabilizza la dimensione dell’estruso finale.
Infine, il rilascio posteriore è la zona di uscita e di solito ha un angolo (semiangolo) di
circa 30°. Le matrici di trafilatura sono realizzate in acciai per utensili o carburi cementati.

Figura 87: Trafilatrice ad azionamento idraulico per barre metalliche

Figura 88: Trafilatura continua di fili

70
12 Lezione B04 (Lamiere)
La lavorazione della lamiera consiste nelle operazioni di taglio e di formatura eseguite su
fogli di metallo relativamente sottili. Gli spessori tipici delle lamiere sono tra gli 0,4 mm e
i 6 mm. Quando lo spessore supera i 6 mm, la lamiera prende il nome di lastra.
La lavorazione della lamiera è molto significativa dal punto di vista economico.
Si consideri il numero di prodotti di consumo e industriali che includono pezzi fatti con
lamiere metalliche: parti di automobili e camion, aerei, vagoni, locomotive, macchinari da
terra e agricoli, elettrodomestici, mobili per ufficio e molti altri.
I pezzi in lamiera di solito sono caratterizzati da un’elevata resistenza, una buona precisione
dimensionale, una buona finitura superficiale e un costo relativamente basso.
Per i componenti che devono essere realizzati in grande quantità, si possono progettare
delle operazioni di produzione di massa piuttosto economiche per realizzare i pezzi.
Il processo di lavorazione della lamiera di solito è eseguito a temperatura ambiente
(lavorazione a freddo). La maggior parte delle operazioni sulle lamiere vengono eseguite da
macchine utensili chiamate presse. Per distinguerle da quelle di estrusione o forgiatura, si
usa il termine presse da stampaggio. L’utensile che esegue la lavorazione delle lamiere
è chiamato punzone o matrice, a seconda del ruolo e della forma.
Le lamiere prodotte sono chiamate stampaggi. Le tre categorie principali dei processi di
lavorazione della lamiera sono di taglio, di piegatura e di imbutitura.
Il taglio viene utilizzato per dividere i fogli di grandi dimensioni in pezzi più piccoli, per
preparare gli spezzoni semilavorati prima di un successivo processo, oppure per eliminare,
dopo la formatura, delle parti esterne (tranciatura) o interne (punzonatura) al pezzo.
La piegatura e l’imbutitura sono i due processi fondamentali usati per modellare i pezzi
di lamiera nelle forme richieste.

Operazioni di tranciatura
La tranciatura della lamiera viene effettuata attraverso un’apposita azione di taglio tra
due bordi taglienti, illustrata nelle quattro immagini della Figura 89.

Figura 89: Taglio di una lamiera tra due profili taglienti: (1) appena prima che il punzone
entri in contatto con la lamiera, (2) il punzone comincia a fare pressione sulla lamiera,
causando una deformazione plastica, (3) il punzone comprime e penetra nella lamiera
provocando una superficie liscia di taglio e (4) inizia la frattura ai due lati opposti dei bordi
taglienti che separano la lamiera. I simboli v e F indicano rispettivamente la direzione di
movimento e la forza applicata, t è lo spessore del pezzo e g il gioco tra il punzone e la
matrice.

71
Cesoiatura, tranciatura e punzonatura
Le tre operazioni più importanti per tagliare il metallo usando il meccanismo di taglio
appena descritto sono la cesoiatura, la tranciatura e la punzonatura.
La cesoiatura è un’operazione di taglio lungo una linea retta tra due bordi taglienti, come
mostrato nella Figura 90 (a). Di solito si utilizza per il taglio di lastre grandi dimensioni
in sezioni più piccole da usare nelle successive operazioni di stampaggio.
La tranciatura prevede il taglio della lamiera lungo un contorno chiuso in un unico
passaggio per separare il pezzo interno dal resto, come mostrato nella Figura 91 (a).
La parte interna che viene tagliata è il prodotto finale ed è detta grezzo o spezzone.
La punzonatura è simile alla tranciatura solo che serve a produrre dei fori interni ai pezzi.
La parte di scarto interna al foro è detta sfrido.
La distinzione tra tranciatura e punzonatura è illustrata nella Figura 91 (b).

Figura 90: Operazione di cesoiatura: (a) vista laterale dell’operazione di cesoiatura, (b)
vistra frontale di una cesoia elettrica con la lama di taglio superiore inclinata.
Il simbolo v indica il movimento.

Figura 91: Tranciatura (a) e punzonatura (b).

72
Analisi ingegneristica del taglio della lamiera
Gioco
In un’operazione di cesoiatura il gioco c è la distanza tra il punzone e la matrice, come
mostrato nella Figura 92 (a). I giochi tipici nelle lavorazioni tradizionali sono tra il 4% e
l’8% dello spessore della lamiera t. Il gioco può essere calcolato con la formula seguente:

c = Ac t (182)
dove c è il gioco in mm, Ac è il margine di variazione del gioco e t è lo spessore della
lamiera in mm. La variazione del gioco si determina in base al tipo di metallo.
I metalli sono classificati in tre gruppi indicati nella tabella presente nella Figura 93.
Le dimensioni di punzone e matrice per tranciare un pezzo circolare di diametro Db sono:

Diametro del punzone di tranciatura = Db − 2c (183)


Diametro della matrice di tranciatura = Db (184)

Le dimensioni di punzone e matrice per un foro punzonato di diametro Dh sono:

Diametro del punzone di punzonatura = Dh (185)


Diametro della matrice di punzonatura = Dh + 2c (186)

Affinchè il pezzo tranciato o il foro vengano facilmente estratti dalla matrice, l’apertura
della matrice deve avere una parete leggermente inclinata tra 0.25° e 1.5° da ogni lato,
come illustrato nella Figura 92 (b).

(a) Le dimensioni della matrice determinano le


dimensioni del pezzo tranciato Db e le (b) Gioco angolare
dimensioni del punzone determinano le
dimensioni del foro Dh ; c = gioco.

Figura 92

Figura 93: Valori di gioco tra punzone e matrice per le tre categorie di metalli.

73
Forze di taglio
Le stime della forza di taglio sono importanti perchè questa forza determina le dimensioni
della pressa necessaria. La forza di taglio F nella lavorazione della lamiera è uguale a:

Fmax = Rt t l (187)
dove Rt è la resistenza al taglio della lamiera in MPa, t è lo spessore del pezzo in mm e l è
la lunghezza del solco di taglio in mm.

Operazioni di piegatura
Nella lavorazione della lamiera la piegatura è definita come la deformazione del metallo
intorno a un asse rettilineo, come mostrato nella Figura 94.
Durante l’operazione di piegatura, il metallo interno rispetto al piano neutro, chiamato
intradosso, subisce una compressione, mentre il metallo esterno, chiamato estradosso,
subisce un allungamento. Queste condizioni di deformazione sono mostrate nella
Figura 94 (b). Il metallo si deforma plasticamente e rimane nella nuova condizione anche
dopo che le tensioni che hanno causato la piegatura vengono rimosse.

Figura 94: (a) Piegatura della lamiera, (b) compressione e allungamento che si verificano
durante la piegatura.

74
Piegatura a V e piegatura ad angolo retto
I due metodi di piegatura più comuni con i relativi utensili sono la piegatura a V,
eseguita con una matrice per l’appunto di forma a V su cui il punzone comprime la
lamiera, e la flangiatura, eseguita con una matrice rientrata, su cui il punzone striscia
con l’interposizione della lamiera. Questi due metodi sono illustrati nella Figura 95.
La piegatura a V di solito viene utilizzata per operazioni a bassi ritmi produttivi.
Spesso è eseguita su una pressa piegatrice e le matrici a V associate sono relativamente
semplici e poco costose. La flangiatura, invece, prevede l’applicazione di un carico a un
lato della lamiera. Si usa una premilamiera per applicare una forza Fbh per tenere la base
del pezzo a contatto con la matrice, mentre il punzone spinge l’altra estremità del pezzo a
piegarsi oltre il bordo della matrice. Queste matrici sono più complicate e costose di quelle
a V e di solito si usano per ritmi produttivi più elevati.

Figura 95: Due metodi diffusi di piegatura: (a) piegatura a V e (b) flangiatura: (1) prima
e (2) dopo la piegatura. Simboli: v = movimento, F = forza di piegatura applicata,
Fbh = Forza di contrasto.

Analisi ingegneristica della piegatura


Allungamento in piegatura
Se il raggio di curvatura è piccolo rispetto allo spessore del pezzo, il metallo tende
complessivamente ad allungarsi durante la piegatura.
E’ importante essere in grado di stimare la quantità di deformazione, se presente, che si
verifica in modo che la lunghezza del pezzo finale corrisponda a quella specificata.
Il problema è determinare la lunghezza dell’asse neutro prima della piegatura per tenere
conto dello stiramento nel pezzo piegato finale. Questa lunghezza è chiamata margine di
allungamento di piegatura e può essere calcolata come segue:
α
Ab = 2π (R + Kba t) (188)
360
dove Ab è il margine di allungamento di piegatura in mm, α è l’angolo di piegatura in gradi,
R il raggio di curvatura in mm, t, lo spessore della lamiera in mm e Kba è un coefficiente
che stima l’allungamento. I valori di progetto consigliati per il coefficiente Kba sono i
seguenti: se R < 2t → Kba = 0, 33, e se R ≥ 2t → Kba = 0, 5.

75
Ritorno elastico
Quando al termine dell’operazione di deformazione si rimuove la pressione di piegatura,
l’energia elastica che rimane nel pezzo piegato causa una tendenza del pezzo a ritornare
verso la sua forma iniziale. Questo fenomeno è chiamato ritorno elastico ed è definito
come l’aumento dell’angolo del pezzo piegato rispetto all’angolo dell’utensile dopo che
questo è stato rimosso. Questo fattore è illustrato nella Figura 96.

Figura 96: Il ritorno elastico nella piegatura si manifesta come un aumento dell’angolo
di piegatura e del raggio di curvatura: (1) durante l’operazione, il pezzo è costretto ad
assumere il raggio Rt e l’angolo interno αb0 determinati dallo strumento di piegatura (il
punzone nella piegatura a V), (2) dopo che il punzone viene rimosso, il pezzo assume il
raggio R e l’angolo finale α0 . Il simbolo F indica la forza di piegatura applicata.

Forza di piegatura
La forza di piegatura massima può essere calcolata mediante la seguente equazione:

Kbf Rm w t 2
F = (189)
D
dove F è la forza di piegatura in N, Rm è la resistenza alla trazione della lamiera in MPa,
w è la larghezza del pezzo nella direzione dell’asse di curvatura in mm, t è lo spessore
del pezzo in mm e D è la dimensione dell’apertura della matrice, come definita nella
Figura 97, in mm. Kbf è una costante sperimentale che serve a rendere la formulazione più
realistica. Il suo valore dipende dal tipo di piegatura: per la piegatura a V Kbf = 1, 33,
per la piegatura ad angolo Kbf = 0, 33.

Figura 97: Dimensione D dell’apertura della matrice: (a) matrice a V, (b) matrice ad
angolo.

76
Imbutitura
L’imbutitura è un’operazione di lavorazione della lamiera usata per realizzare oggetti a
forma di bicchiere, scatola o altre forme concave più complesse.
Viene eseguita posizionando un pezzo di lamiera sulla cavità di una matrice e poi spingendo
il metallo nell’apertura della matrice usando un punzone, come mostrato nella Figura 98.
Esempi di oggetti realizzati con questa tecnica sono le lattine delle bevande, gli involucri
dei proiettili, i lavelli, le pentole e i pannelli della carrozzeria delle automobili.

Figura 98: (a) Imbutitura di un pezzo a forma di bicchiere: (1) all’inizio dell’operazione
prima che il punzone entri in contatto con la lamiera e (2) quasi alla fine della corsa; (b)
pezzo corrispondente: (1) pezzo iniziale e (2) pezzo imbutito. I simboli sono:
c = gioco, D = diametro del pezzo iniziale, Dp = diametro del punzone,
Rd = raggio d’angolo della matrice, Rp = raggio d’angolo del punzone,
F = forza di imbutitura, Fbh = forza di ritenuta esercitata dal premilamiera.

Meccanica dell’imbutitura
Prendiamo come riferimento l’imbutitura di un pezzo a forma di bicchiere (imbutitura
cilindrica), con le dimensioni e i parametri illustrati nella Figura 98.
Una lamiera iniziale di diametro Db viene imbutita nella cavità di una matrice per mezzo
di un punzone di diametro Dp . I lati del punzone e della matrice sono separati da una
distanza (gioco) c. Questo deve essere maggiore di circa il 10% dello spessore del pezzo:

c = 1, 1 t (190)

77
Analisi ingegneristica dell’imbutitura
Misura dell’imbutitura
Una delle misure del grado di difficoltà dell’imbutitura è il rapporto di imbutitura DR
(Drawing Ratio). Questo rapporto si definisce per una forma cilindrica come segue:
Db
DR = (191)
Dp
dove Db è il diametro del pezzo iniziale e Dp è il diametro del punzone.
Il rapporto di imbutitura fornisce un’indicazione del grado di difficoltà di una determinata
operazione. Un limite superiore approssimativo del rapporto di imbutitura è dato da
DR ≤ 2, 0. Le caratteristiche della lamiera che influenzano questo limite superiore sono la
duttilità e l’anisotropia. L’anisotropia della lamiera è causata dal processo di laminazione,
ed è soprattutto presente per lamiere sottili prodotte per laminazione a freddo.
In questo caso la laminazione deforma e orienta i grani metallurgici in direzione della
laminazione. Si definisce anisotropia normale la quantità:
εb
Ra = (192)
εt
dove εb ed εt sono rispettivamente la deformazione trasversale e nello spessore di un provino
da prova di trazione, mentre il pedice a indica l’angolo formato dall’asse del provino e
la sua direzione di laminazione. Tipicamente Ra si può calcolare in direzione 0° (cioè
in direzione di laminazione), 45° o 90°. Per un materiale perfettamente isotropo, si ha:
R0 = R45 = R90 = 1. Se invece il valor medio di anisotropia normale è maggiore di 1, la
lamiera mostra una tendenza a opporsi all’assottigliamento.
Un altro parametro importante per misurare la difficoltà nel produrre un pezzo sano è il
rapporto spessore - diametro t/D. Questo rapporto spesso viene espresso in percentuale,
e deve essere almeno pari o maggiore dell’1%. Se il rapporto t/D diminuisce, aumenta la
tendenza del metallo a formare grinze.

Forze
La forza di imbutitura necessaria per eseguire una certa operazione può essere stimata
approssimativamente tramite la seguente formula:
 
Db
F = π Dp t Rm − 0, 7 (193)
Dp
dove F è la forza di imbutitura in N, t è lo spessore del pezzo iniziale in mm, Rm è la
resistenza alla trazione in MPa e Db e Dp sono il diametro del pezzo iniziale e quello del
punzone in mm. La costante 0,7 è un fattore di correzione per tenere conto dell’attrito.

Definizione delle dimensioni del pezzo iniziale


Per poter realizzare il pezzo finale delle giuste dimensioni, bisogna correttamente
dimensionare il pezzo iniziale. Un metodo ragionevole per valutare il diametro del pezzo
iniziale per un’operazione di imbutitura che produca un pezzo circolare è il seguente. Poichè
il volume del pezzo finale deve essere uguale a quello della lamiera di partenza, il diametro
del pezzo iniziale può essere calcolato impostando il volume iniziale uguale al volume finale
e risolvendo l’equazione per trovare il diametro Db .
Per facilitare il calcolo, spesso si assume che l’assottigliamento delle pareti sia trascurabile.

78
Altre operazioni di imbutitura
Imbutitura di forme non assialsimmetriche
Molti prodotti richiedono l’imbutitura di forme diverse dalla cilindrica.
Si possono realizzare altri profili assialsimmetrici, come coni e coppe a base sferica anziché
piatta, e non. Ogni forma diversa presenta specifici problemi tecnici da considerare.

Altre operazioni di lavorazione della lamiera


Oltre alla piegatura e l’imbutitura, ci sono molte altre operazioni delle lamiere che possono
essere realizzate usando presse tradizionali, che si possono classificare nel seguente modo:
operazioni eseguite con utensili di metallo e operazioni eseguite con utensili flessibili.

Operazioni eseguite con utensili di metallo


Stiratura
Nell’imbutitura le parti più esterne della flangia tendono a inspessirsi, mentre le zone
prossime al raggio punzone si assottigliano. Quindi lo spessore risultante del pezzo non è
uniforme. L’operazione di stiratura (ironing) serve a calibrare lo spessore del bicchiere,
rendendolo costante, eseguendo un’operazione di imbutitura, con gioco ridotto.
Molto spesso la stiratura viene eseguita come una fase separata che segue l’imbutitura.
Questo caso è illustrato nella Figura 99. La stiratura rende lo spessore della parete del
bicchiere cilindrico più uniforme.

Figura 99: Operazione di stiratura per ottenere uno spessore uniforme nel bicchiere: (1)
inizio del processo, (2) durante il processo. Notare l’assottigliamento e l’allungamento delle
pareti. I simboli v e F indicano rispettivamente il movimento e la forza applicata.

79
13 Lezione D01 (Cutting)
I processi per asportazione di truciolo sono un sottoinsieme delle operazioni di
formatura in cui il materiale in eccesso viene rimosso dal pezzo di partenza affinché assuma
la forma finale desiderata. Il ramo più importante di questa famiglia è rappresentato dalle
lavorazioni per asportazione di truciolo tradizionali, in cui si utilizza un utensile
da taglio per effettuare un’asportazione meccanica del materiale.
I tre processi di lavorazione principali sono la tornitura, la foratura e la fresatura.
Altre lavorazioni comprendono la limatura, la piallatura, la brocciatura e la segatura.
Tra i processi di asportazione rientrano i processi abrasivi, che rimuovono
meccanicamente il materiale attraverso l’uso di particelle abrasive.
In questo gruppo di processi il più importante è la rettifica.
Infine, ci sono i processi non tradizionali, che utilizzano varie forme di energia, diversa
da quella prodotta dagli utensili da taglio, per asportare parte del materiale.
Nelle lavorazioni per asportazione di truciolo l’azione di taglio comporta una
deformazione di taglio del materiale che forma un truciolo; il truciolo viene rimosso e si
forma una nuova superficie del pezzo. La lavorazione per asportazione di truciolo di solito
si usa per formare pezzi di metallo. Il processo è illustrato nella Figura 100.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo rappresentano uno dei più importanti processi
produttivi. I motivi che la rendono importante sono i seguenti: varietà dei materiali
lavorati; varietà di forme e di geometrie dei pezzi, in quanto le lavorazioni per
asportazione di truciolo consentono di realizzare svariate forme geometriche regolari,
come i piani, i fori e le forme cilindriche; precisione dimensionale e buone finiture
superficiali. Nonostante gli aspetti positivi sopra elencati, vi sono anche aspetti negativi
associati alle lavorazioni per asportazione di truciolo che sono i seguenti: spreco di
materiale, in quanto il truciolo ottenuto dalle lavorazioni meccaniche costituisce uno
scarto della lavorazione, e consumo di tempo, in quanto le lavorazioni per asportazione
di truciolo richiedono generalmente un impiego di risorse temporali maggiore rispetto a
processi di formatura alternativi come la colata o la forgiatura.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo sono generalmente eseguite in seguito ad altri
processi di lavorazione come la colata o la deformazione (forgiatura o trafilatura) in modo
che si realizzino forma, dimensioni e finitura desiderate sul pezzo.

Figura 100: (a) Vista della sezione trasversale del processo di asportazione di truciolo.
(b) Utensile con angolo di spoglia superiore ortogonale negativo, a differenza di (a) in cui
l’angolo di spoglia superiore ortogonale è positivo.

80
Tipi di lavorazioni per asportazione di truciolo
Le tre lavorazioni per asportazione di truciolo principali sono la tornitura, la foratura e la
fresatura, che sono illustrate nella Figura 101.
Nella tornitura, un utensile da taglio monotagliente viene usato per rimuovere il materiale
da un pezzo in rotazione in modo da produrre una forma cilindrica, come mostrato nella
Figura 101 (a). La foratura viene eseguita da un utensile rotante che ha tipicamente due
taglienti. L’utensile avanza in direzione parallela al suo asse di rotazione dentro il pezzo
per formare il foro, come mostrato nella Figura 101 (b).
Nella fresatura, un utensile rotante a taglienti multipli viene fatto avanzare lentamente
attraverso il pezzo per creare una superficie piana.
La direzione del movimento di avanzamento è perpendicolare all’asse di rotazione
dell’utensile. Il movimento di taglio deriva dalla fresa in rotazione.
Le due varianti principali della fresatura sono la fresatura periferica e la fresatura frontale,
illustrate nella Figura 101 (c) e Figura 101 (d).

Figura 101: I tre processi principali di lavorazione per asportazione di truciolo: (a) tornitura,
(b) foratura e due forme di fresatura: (c) fresatura periferica e (d) fresatura frontale.

Utensile da taglio
Ci sono due tipi di base di utensili, di cui la Figura 102 mostra degli esempi: (a) mono-
tagliente e (b) a taglienti multipli. Un utensile monotagliente ha un solo tagliente ed
è usato ad esempio nella tornitura. Questi utensili hanno una punta che penetra nella
superficie del pezzo durante la lavorazione. La punta viene arrotondata secondo un certo
raggio, che prende il nome di raggio di punta. Gli utensili a taglienti multipli hanno
più bordi di taglio ed eseguono una rotazione relativa al pezzo; la foratura e la fresatura
usano utensili a taglienti multipli rotanti.

Figura 102: (a) Un utensile monotagliente su cui è possibile notare il petto, il fianco e la
punta e (b) una fresa elicoidale, come esempio di utensile a taglienti multipli.

81
Parametri di taglio
Per eseguire una lavorazione per asportazione di truciolo occorre che l’utensile e il pezzo
siano in movimento uno rispetto all’altro. Il moto primario avviene a una certa velocità
di taglio vc . Inoltre, l’utensile si deve spostare lateralmente attraverso il pezzo.
Questo è un movimento molto più lento, chiamato avanzamento f.
L’ultima dimensione da considerare è la penetrazione dell’utensile nella superficie del pezzo,
definita profondità di passata ap . La velocità, l’avanzamento e la profondità di passata
sono quantità che prendono il nome di parametri di taglio.
Essi costituiscono le tre dimensioni del processo di lavorazione per asportazione di truciolo,
e per certe operazioni, come la maggior parte di quelle eseguite mediante utensili monota-
glienti, possono essere utilizzati per calcolare il tasso di asportazione di materiale (material
removal rate, RMR ) del processo:

RMR = vc f ap (194)
dove RMR è il tasso di asportazione di materiale in mm 3 /s, vc è la velocità di taglio in
m/s, che deve essere convertita in mm/s, f è l’avanzamento in mm e ap la profondità di
passata in mm. I parametri di taglio sono mostrati nella Figura 103.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo si possono dividere in due categorie, a seconda
delle motivazioni del taglio e dei parametri di taglio: operazioni di sgrossatura e operazioni
di finitura. Le operazioni di sgrossatura sono utilizzate per rimuovere grandi quantità
di materiale dai pezzi il più rapidamente possibile, al fine di produrre una forma più
simile a quella finale, ma lasciando del materiale aggiuntivo sul pezzo per una successiva
operazione di finitura. Le operazioni di finitura vengono utilizzate per completare il
pezzo e raggiungere la dimensione, la tolleranza e la finitura superficiale finale.
In produzione, di solito si eseguono uno o più tagli di sgrossatura, seguiti da uno o due
operazioni di finitura. Le operazioni di sgrossatura vengono eseguite a valori elevati di
avanzamenti e profondità, che sono bassi, invece, nelle operazioni di finitura.
Le velocità di taglio sono più basse nella sgrossatura che nella finitura.

Figura 103: Velocità di taglio, avanzamento e profondità di passata in una lavorazione di


tornitura.

82
Macchine utensili
Le macchine utensili sono usate per sostenere il pezzo, posizionare l’utensile rispetto al pezzo
e fornire l’energia al processo di lavorazione per raggiungere la velocità, l’avanzamento e la
profondità che sono stati impostati. Il termine macchina utensile si applica a qualsiasi
macchina elettrica che esegue una lavorazione per asportazione di truciolo, compresa la
rettifica. Il termine si applica anche a macchine che eseguono operazioni di formatura del
metallo e pressatura.

Condizioni di taglio in tornitura


La velocità di rotazione nella tornitura è legata alla velocità di taglio che si deve avere
sulla superficie del pezzo cilindrico mediante la seguente equazione:

vc = π n D o (195)
dove n è la velocità di rotazione in giri/min, v la velocità di taglio in m/min e Do il
diametro iniziale del pezzo in mm. Nella tornitura l’avanzamento si esprime di solito in
mm/giro. Questo avanzamento può essere convertito in una velocità di movimento lineare
in mm/min dalla formula seguente:

vf = n f (196)
dove vf è la velocità di avanzamento in mm/min e f l’avanzamento in mm/giro.
Invece, il tempo impiegato per la lavorazione di un pezzo da un’estremità del cilindro
all’altra è pari a:
L+e
Tm = (197)
n ·a
dove L è la lunghezza del cilindro in mm ed e è una piccola distanza espressa in mm,
chiamata extracorsa, che viene aggiunta sia all’inizio che alla fine del pezzo per consentire
l’approccio e l’uscita dell’utensile.

Fattori relativi alle vibrazioni e alle macchine utensili


Questi fattori sono legati alle macchine utensili, agli utensili e alla configurazione della
lavorazione; essi comprendono le vibrazioni e il fenomeno del « chatter » (vibrazione
autoeccitata) nelle macchine utensili o negli utensili da taglio, l’inflessione dell’attrezzatura
di bloccaggio e i giochi nel meccanismo di avanzamento.
Anche se il chatter potesse essere eliminato, la rugosità superficiale sarebbe determinata
da fattori geometrici e relativi al materiale lavorato.
Alcuni metodi che si possono usare per ridurre o eliminare le vibrazioni sono: aumentare la
rigidità e/o lo smorzamento nel sistema; eseguire l’operazione a velocità che non causano
forze cicliche le cui frequenze si avvicinano alla frequenza naturale del sistema della
macchina utensile; ridurre l’avanzamento e la profondità di passata in modo da ridurre le
forze di taglio e modificare la progettazione dell’utensile per ridurre le forze di taglio.

83
Teoria della formazione del truciolo nella lavorazione per
asportazione di truciolo
Le operazioni svolte nelle lavorazioni per asportazione di truciolo sono piuttosto complesse.
Esiste un modello semplificato di lavorazione per asportazione di truciolo, che trascura
molte delle complessità geometriche, ma descrive bene la meccanica del processo.
Si chiama modello di taglio ortogonale, ed è illustrato nella Figura 104.
Sebbene un processo reale di lavorazione per asportazione di truciolo sia tridimensionale,
il modello ortogonale considera per l’analisi solo due dimensioni.

Il modello di taglio ortogonale


Per definizione, il taglio ortogonale considera un utensile a forma di cuneo in cui il bordo
tagliente è perpendicolare alla direzione della velocità di taglio.
Quando l’utensile penetra nel materiale, si forma un truciolo a causa della deformazione di
taglio lungo il piano chiamato piano di scorrimento.
Il cedimento del materiale si verifica solo lungo il tagliente dell’utensile, con conseguente
distacco del truciolo dalla superficie. Lungo il piano di scorrimento, dove si consuma
la maggior parte dell’energia meccanica della lavorazione, il materiale viene deformato
plasticamente. Durante il taglio, il bordo tagliente dell’utente viene posizionato a una
certa distanza al di sotto della superficie del pezzo di partenza.
Ciò corrisponde allo spessore del truciolo indeformato (o spessore nominale di
taglio), to . Man mano che il truciolo si forma lungo il piano di scorrimento, il suo spessore
aumenta a tc . Il rapporto di to su tc è chiamato rapporto di compressione dello
spessore del truciolo o fattore di ricalcamento rc :
to
rc = (198)
tc
Poiché lo spessore del truciolo dopo il taglio è sempre maggiore dello spessore corrispondente
prima del taglio, il fattore di ricalcamento sarà sempre inferiore a 1.

Figura 104: Taglio ortogonale visto come un processo tridimensionale.

84
Relazioni tra le forze
Forze di taglio
E’ possibile misurare due componenti di forza che agiscono sull’utensile: la forza di taglio
e la forza di avanzamento. La forza di taglio Fc è nella direzione del moto di taglio, la
stessa direzione della velocità vc di taglio, e la forza di avanzamento Ft è perpendicolare
alla forza di taglio. La forza di taglio e la forza di avanzamento sono mostrate nella Figura
105 assieme alla loro risultante R”.

Figura 105: Forze di taglio che agiscono sull’utensile.

Relazioni di potenza ed energia nella lavorazione per


asportazione di truciolo
Un’operazione di lavorazione per asportazione di truciolo richiede potenza.
Il prodotto della forza e della velocità di taglio costituisce la potenza (energia per unità di
tempo) necessaria per eseguire un’operazione di lavorazione per asportazione di truciolo:

P c = F c vc (199)
dove Pc è la potenza di taglio in N m/s o W, Fc è la forza di taglio in N e vc è la velocità
di taglio in m/s. La potenza lorda necessaria al funzionamento della macchina utensile è
maggiore della potenza fornita al processo di taglio a causa delle perdite meccaniche nel
motore e nella trasmissione della macchina. Queste perdite possono essere rappresentate
dal rendimento meccanico della macchina utensile:
Pc
Pg = (200)
E
dove Pg è la potenza lorda del motore della macchina utensile in W ed E è il rendimento
meccanico della macchina utensile. Valori tipici di E sono intorno al 90%.
Spesso è utile convertire la potenza in potenza per unità di volume di metallo asportato.
Questa grandezza viene chiamata potenza unitaria, ed è definita come:
Pc
Pu = (201)
RMR
dove RMR è il tasso di asportazione di materiale in mm 3 /s. Il tasso di asportazione di
materiale può essere calcolato come il prodotto vc f ap che non è altro che l’equazione (194).
La potenza unitaria è anche nota come energia specifica U :
Pc Fc vc Fc
U = Pu = = = (202)
RMR vc f ap f ap
Le unità di misura per la pressione di taglio di solito sono i N /mm 2 (o anche i J /mm 3 ).

85
Figura 106

Temperatura di taglio
Dell’energia totale consumata nella lavorazione per asportazione di truciolo, quasi tutta
(∼ 98%) viene convertita in calore. Questo calore provoca una temperatura molto elevata
sulla superficie di contatto tra l’utensile e il truciolo.
L’energia residua (∼ 2%) viene trattenuta come energia elastica dal truciolo.
Le temperature di taglio sono importanti da considerare perché una temperatura alta
riduce la durata dell’utensile, produce dei trucioli caldi che possono rappresentare un
pericolo per l’operatore e può causare delle imprecisioni nelle dimensioni del pezzo a causa
della dilatazione termica del materiale lavorato.

Vita utile degli utensili


Lo sviluppo tecnologico degli utensili ha sempre puntato su due aspetti principali: il mate-
riale e l’ottimizzazione della geometria. I materiali devono infatti resistere alle sollecitazioni
ad alte temperature e devono esibire una buona resistenza all’usura.
Anche l’ottimizzazione della geometria, fissata la lavorazione e il materiale, permette di
incrementarne la durata. Ci sono tre modi possibili attraverso i quali un utensile da taglio
può danneggiarsi durante la lavorazione: danneggiamento da frattura o
scheggiatura, che si verifica quando la forza di taglio sulla punta dell’utensile diventa
eccessiva; deformazione plastica, che si verifica quando la temperatura di taglio è troppo
alta, dando origine a una riduzione delle proprietà meccaniche del materiale dell’utensile e
alla perdita del bordo affilato; usura graduale, ovvero un’usura progressiva dell’utensile
che, modificando la geometria iniziale, compromette l’efficienza e la qualità del taglio.
Scheggiatura e deformazione plastica determinano una messa fuori servizio prematura
dell’utensile e quindi sono situazioni da evitare.
L’usura graduale è quella meno critica perchè permette comunque l’uso prolungato
dell’utensile con conseguenti vantaggi economici e produttivi.

86
Usura dell’utensile
L’usura si concentra soprattutto in due punti dell’utensile da taglio: sulla faccia superiore,
detta petto, e sul fianco. Si distinguono quindi due zone usurate: il cratere di usura che si
forma sul petto dell’utensile e il labbro d’usura che si forma sul fianco dell’utensile, come
illustrato nella Figura 107 per un utensile a punta singola (utensile per la tornitura).

Figura 107: Immagine di un utensile da taglio usurato, che mostra le regioni principali e i
tipi di usura che si verificano.

Vita dell’utensile ed equazione di Taylor


I vari meccanismi di usura causano l’aumento del livello di usura dell’utensile, man mano
che il taglio procede. La relazione generale che lega l’usura dell’utensile al tempo di taglio
è illustrata nella Figura 108. Il grafico riportato fa riferimento all’usura sul fianco, anche
l’usura sul petto (cratere) esibisce però un andamento simile.
Nella curva di crescita dell’usura si possono identificare tre regioni.
La prima è la zona di rodaggio, in cui il tagliente affilato dell’utensile subisce un’usura
molto rapida all’inizio del suo utilizzo. Con il proseguire della lavorazione, il tasso di usura
si attesta su valori uniformi (usura stazionaria). Nell’andamento riportato in figura, questa
regione è rappresentata come una funzione lineare del tempo di lavoro.
Quando l’utensile comincia a essere usurato, il tasso di usura, o velocità di usura, torna
a crescere. Questo indica l’inizio della zona di usura rapida o zona di cedimento
dell’utensile, in cui le temperature di taglio sono più alte e l’efficienza generale del
processo di lavorazione si riduce. La pendenza della curva dell’usura dell’utensile nella
regione stazionaria dipende dal materiale da lavorare e dalle condizioni di taglio.

Figura 108: Usura dell’utensile in funzione del tempo di taglio.

87
La velocità di taglio è sicuramente il parametro che influenza maggiormente l’usura.
Rappresentando la curva di usura per diverse velocità di taglio, si ottiene un grafico come
quello mostrato nella Figura 109. La vita dell’utensile è definita come il periodo di
tempo in cui l’utensile può essere usato prima che si verifichi una rottura definitiva.
Questa situazione è rappresentata, facendo riferimento alla Figura 109, dall’estremità delle
curve. Tuttavia, durante la produzione, non si può portare un utensile a rottura. Si decide
di sostituire l’utensile, di fatto stabilendo un criterio di fine vita utile, quando un parametro
caratteristico d’usura raggiunge un determinato valore.
Questa condizione è rappresentata sul grafico da una retta orizzontale.
L’intersezione delle varie curve con la retta orizzontale rappresenta la fine della vita utile
dell’utensile: la durata può quindi essere determinata proiettando l’intersezione della curva
di usura e della retta orizzontale sull’asse delle ascisse.

Figura 109: Effetto della velocità (3 diverse velocità) di taglio sull’usura del fianco
dell’utensile (FW). Si mostrano i valori ipotetici di velocità e di durata dell’utensile
fissando un criterio di fine vita dell’utensile che in questo caso corrisponde a un labbro di
usura dalla larghezza di 0,50 mm.

Su un piano logaritmico (naturale) velocità di taglio-vita utile, il comportamento dell’u-


tensile è rappresentato dalla retta riportata nella Figura 110. I vari punti sono associati
alla durata dell’utensile alle velocità riportate nella Figura 109. L’equazione caratteristica
della retta è chiamata equazione di Taylor della vita utensile:

vc T n = C (203)
dove vc è la velocità di taglio in m/min, T è la vita dell’utensile in min e n e C sono
parametri i cui valori dipendono dall’avanzamento, dalla profondità di passata, dal materiale
lavorato, dall’utensile (in particolare il suo materiale) e dal criterio di fine vita utilizzato.
n dipende prevalentemente dal materiale dell’utensile, mentre C dipende dal materiale
dell’utensile, dal materiale di lavoro e dai parametri di taglio.

Figura 110: Grafico velocità di taglio in relazione alla vita dell’utensile in coordinate
logaritmiche (naturale).

88
Materiali degli utensili
Le tre modalità di guasto individuano tre importanti proprietà che devono possedere i
materiali con cui vengono realizzati gli utensili:

• Tenacità
Per evitare il guasto da frattura.
• Durezza a caldo
La durezza a caldo è la capacità di un materiale di mantenere la sua durezza alle
alte temperature.
• Resistenza all’usura
La durezza è la proprietà più importante necessaria per resistere all’usura abrasiva.

Figura 111: Andamenti tipici della durezza a caldo per alcuni materiali per utensili.
L’acciaio al carbonio mostra una rapida perdita di durezza all’aumentare della temperatura.
L’acciaio rapido ha un andamento notevolmente migliore e i metalli duri e le ceramiche
preservano maggiormente la durezza a temperature elevate rispetto agli altri materiali.

Tenacità
La tenacità è la capacità di assorbire energia e di deformarsi plasticamente senza fratturarsi.
E’ definita come l’area sottostante la curva tensione/deformazione di una prova di trazione;
in questo caso il suo significato fisico è quello di densità energetica, con unità di misura
J /m 3 , immagazzinata nel materiale:
Z f
energia
= σ d (204)
volume 0
Una elevata tenacità richiede doti sia di resistenza, sia di duttilità; la scarsa tenacità di un
materiale può portare a una rottura di tipo fragile che si svolge nelle seguenti fasi:

• Innesco di una cricca, ovvero di una rottura locale.


• Propagazione della rottura (se il materiale è privo di tenacità la rottura procede
rapidamente e con un minimo dispendio di energia).
• La tenacità di un materiale non è una sua caratteristica assoluta ma dipende dalle
condizioni di prova, ad esempio dalla velocità di deformazione, dalla temperatura,
dai difetti presenti nel campione, come ad esempio eventuali intagli.

89
Resilienza
Il modulo della resilienza è dato dalla seguente equazione:

Y2
U = (205)
2·E

Acciaio rapido
L’acciaio rapido (High Speed Steel, HSS) è un acciaio per utensili altamente legato in
grado di mantenere la durezza a temperature elevate meglio degli acciai ad alto contenuto di
carbonio o bassolegati. Esistono vari acciai rapidi, che si possono dividere in due tipologie
fondamentali: al tungsteno, indicato con qualità T dall’American Iron and Steel Institute
(AISI) e al molibdeno, indicato con qualità M.

Carburi sinterizzati, cermet e carburi rivestiti


Carburi sinterizzati
I carburi sinterizzati sono una classe di materiali per utensili dall’elevata durezza costituiti
da carburo di tungsteno (WC), utilizzando tecniche di metallurgia delle polveri, con del
cobalto (Co) come elemento legante. I primi utensili di carburo sinterizzato furono fatti in
WC-Co ed erano usati per lavorare le ghise e altri materiali metallici non particolarmente
difficili da lavorare con velocità di taglio più elevate rispetto a quelle ottenibili con l’acciaio
rapido e le leghe al cobalto. Tuttavia, quando questi utensili WC-Co venivano usati per
tagliare l’acciaio, si manifestava una craterizzazione che in poco tempo portava a rottura
l’utensile. Si è poi scoperto che l’aggiunta di carburo di titanio e di carburo di tantalio
(in aggiunta al WC-Co) ritardava significativamente il tasso usura (formazione cratere)
durante il taglio dell’acciaio. Questi nuovi utensili WC-TiC-TaC-Co erano adatti alla
lavorazione dell’acciaio. I carburi sinterizzati si dividono in due gruppi fondamentali: quelli
per il taglio dei materiali metallici facilmente lavorabili, costituiti solo da WC-Co, e quelli
per il taglio degli acciai, che contengono combinazioni di TiC e TaC, in aggiunta al WC-Co.
Le proprietà generali dei due tipi di carburi sinterizzati sono simili: alta resistenza alla
compressione; ma da bassa a moderata resistenza alla trazione; elevata durezza (90-95
HRA); buona durezza a caldo; buona resistenza all’usura; elevata conducibilità termica;
elevato coefficiente elastico, con valori di E fino a circa 600 x 103 MPa e durezza inferiore a
quella dell’acciaio rapido. Qualità dei materiali per utensili per la lavorazione di materiali
metallici facili da processare: si riferiscono a quei carburi sinterizzati che sono adatti per la
lavorazione di alluminio, ottone, rame, magnesio, titanio e altri metalli non ferrosi. Anche
la ghisa grigia viene inclusa in questo gruppo di materiali.
In questa categoria di materiali per utensili, la dimensione dei grani e la percentuale di
cobalto sono i fattori che influenzano le proprietà del carburo sinterizzato.
Con l’aumentare della granulometria, la durezza e la durezza a caldo diminuiscono e la
forza di rottura trasversale aumenta. All’aumentare del contenuto di cobalto, il carico di
rottura trasversale (TRS) aumenta a scapito della durezza e della resistenza all’usura.
Qualità dei materiali utensili per la lavorazione di acciai: sono utilizzati per gli acciai a
basso contenuto di carbonio, gli acciai inossidabili e altre leghe di acciaio.
Per queste tipologie di carburi, il carburo di titanio e/o di tantalio sostituiscono una
parte del carburo di tungsteno. TiC è l’additivo più comune nella maggior parte delle
applicazioni. Questa composizione aumenta la resistenza alla formazione del cratere ma
tende a influire negativamente sulla resistenza all’usura sul fianco quando si lavorano
materiali metallici "facili da lavorare".

90
Cermet
Anche se i carburi sinterizzati sono tecnicamente dei composti cermet, il termine cermet
di solito si usa solo per le combinazioni di TiC, TiN e carbonitruro di titanio (TiCN), con
nichel e/o molibdeno come leganti. Alcune composizioni chimiche dei cermet sono più
complesse. Le applicazioni dei cermet includono la finitura ad alta velocità e la semifinitura
di acciai, acciai inossidabili e ghise. Di solito questi utensili possono raggiungere delle
velocità più alte rispetto alle qualità di carburi per il taglio degli acciai.
Essi usano degli avanzamenti inferiori in modo da ottenere una migliore finitura superficiale,
eliminando spesso la necessità di una rettifica successiva.

Carburi rivestiti
I carburi rivestiti sono ottenuti rivestendo un inserto di carburo sinterizzato con uno
o più strati sottili di materiale resistente all’usura, come il carburo di titanio, il nitruro
di titanio o l’ossido di alluminio (Al2 O3 ). Il rivestimento viene applicato al substrato
mediante deposizione chimica a vapore o deposizione fisica a vapore.
Lo spessore del rivestimento va dai 2,5 ai 13µm.
I carburi rivestiti sono utilizzati per lavorare le ghise e gli acciai nella tornitura e nella
fresatura. Sono i materiali migliori da usare a elevate velocità di taglio in situazioni in cui
la forza dinamica e gli shock termici sono minimi.

Utensili ceramici
Gli utensili da taglio in ceramica oggi sono composti principalmente da ossido di alluminio
(Al2 O3 ) a grana fine sinterizzato in inserti a pressioni e temperature elevate senza l’ausilio
di legante. Gli utensili in ossido di alluminio sono molto usati nella tornitura ad alta
velocità della ghisa e dell’acciaio. E’ meglio non usarli per operazioni pesanti di taglio
interrotto (come la fresatura di sgrossatura) a causa della loro scarsa tenacità.
Oltre a essere usato come inserto nelle operazioni di lavorazione tradizionali, l’ossido di
alluminio è anche molto usato come abrasivo nelle mole da rettifica.

Diamanti sintetici e nitruro di boro cubico


Il diamante policristallino sinterizzato (sintered polycrystalline diamond, SPD) è
fabbricato sinterizzando dei grani fini di cristalli di diamante a temperature e pressioni
elevate nella forma desiderata, senza o quasi usare leganti.
Gli inserti sull’utensile di solito si realizzano depositando uno strato di SPD di circa 0,5
mm sulla superficie di un carburo sinterizzato. Le applicazioni degli utensili da taglio
diamantati includono le lavorazioni ad alta velocità di metalli non ferrosi e non metallici
particolarmente abrasivi come ad esempio la fibra di vetro, la grafite e il legno.
Invece non vanno bene per l’acciaio. Dopo il diamante, il materiale più duro è il nitruro
di boro cubico, che si usa per gli inserti degli utensili usando la stessa procedura del
diamante SPD, cioè mediante rivestimento di WC - Co.
Il nitruro di boro cubico, il cui simbolo è cBN, non reagisce chimicamente con il ferro e
nichel come l’SPD, quindi tra le applicazioni previste per gli utensili cBN vi sono anche le
lavorazioni dell’acciaio e delle leghe a base di nichel.
Sia l’SPD che il cBN sono materiali molto costosi.

91
14 Lezione D02 (Cutting)
Tolleranze nelle lavorazioni per asportazione di truciolo
Le lavorazioni per asportazione di truciolo vengono utilizzate di solito quando sono richieste
tolleranze molto strette in quanto sono tra i processi di creazione della forma più accurati.
Avere tolleranze più strette di solito significa aumentare i costi.

Finitura superficiale nelle lavorazioni per asportazione di truciolo


La rugosità di una superficie lavorata dipende da molti fattori, che possono essere
raggruppati come segue: fattori geometrici, fattori relativi al materiale da lavorare e fattori
relativi alle vibrazioni e alla macchina utensile.

Fattori geometrici
Questi sono i parametri che determinano la geometria della superficie di un pezzo lavorato
e sono il tipo di lavorazione, la forma dell’utensile, in particolare il raggio di punta e
l’avanzamento. La geometria che si otterrebbe in assenza di materiale lavorato, di vibrazioni
e di fattori legati alla macchina utensile è detta rugosità superficiale « ideale » o « teorica ».

Rugosità e finitura superficiale


La misura più comunemente utilizzata per valutare la finitura superficiale è la rugosità.
In riferimento alla Figura 112, la rugosità può essere definita come la media delle deviazioni
verticali dalla superficie nominale per una certa lunghezza di superficie.
Solitamente si esprime come media aritmetica dei valori assoluti delle deviazioni e questa
misura della rugosità è indicata con il termine di rugosità media. In forma di equazione:
Z L
|y|
Ra = dx (206)
0 Lm
dove Ra è la misura della rugosità media aritmetica in mm, y è la deviazione verticale dalla
superficie nominale (considerata in valore assoluto) in mm e Lm è la lunghezza specificata
su cui si misurano le deviazioni. Possiamo inoltre definire Rmax come la massima distanza
tra i picchi più alti e le valli più profonde.
La relazione che intercorre tra Ra e Rmax è la seguente:

Rmax f2
Ra = = (207)
4 32 rc
dove Ra è la rugosità superficiale media ideale in mm, f è l’avanzamento in mm e rc è il
raggio di punta dell’utensile in mm. In realtà, visto che le deviazioni sono molto piccole,
le unità più appropriate sarebbero µm. Queste sono le unità comunemente usate per
esprimere la rugosità superficiale.

92
Figura 112: Deviazioni dalla superficie nominale usate nella definizione di rugosità
superficiale.

Figura 113: Effetto dei fattori geometrici nella determinazione della finitura teorica sulla
superfici e del pezzo nel caso di utensili monotaglienti: (a) effetto del raggio di punta, (b)
effetto dell’avanzamento e (c) effetto dell’angolo di registrazione del tagliente secondario.

Fattori relativi al materiale da lavorare


Nella maggior parte delle operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo non è
possibile raggiungere la finitura superficiale ideale a causa dei fattori legati al materiale da
lavorare e alla sua interazione con l’utensile.
I fattori relativi al materiale da lavorare che influiscono sulla finitura sono: gli effetti del
tagliente di riporto che ciclicamente si forma e si stacca, facendo sì che delle particelle si
depositino sulla superficie lavorata, facendole assumere una trama tipo « carta vetrata »; i
danni alla superficie causati dal truciolo che si arriccia all’indietro sul pezzo; lo strappamento
della superficie del pezzo durante la formazione del truciolo in caso di materiali duttili; le
cricche superficiali causate dalla formazione di truciolo discontinuo in caso di materiali
fragili e l’attrito tra il fianco dell’utensile e la superficie lavorata.
La procedura per predire la rugosità superficiale effettiva in una lavorazione consiste nel
calcolare il valore della rugosità ideale e poi moltiplicarlo per il rapporto tra rugosità reale
e ideale della classe specifica di materiale.

93
Figura 114: Rapporto tra la rugosità superficiale reale e ideale per diverse classi di materiali.

Fluidi da taglio
Un fluido da taglio è un qualsiasi liquido o gas applicato durante l’operazione di
lavorazione per migliorare le prestazioni del taglio.
I fluidi da taglio sono usati per gestire due problemi principali: la generazione di calore in
corrispondenza della zona di taglio e della zona di attrito e l’attrito generato a causa del
contatto tra l’utensile e il truciolo e tra il truciolo e il pezzo in lavorazione.
Oltre a rimuovere il calore e ridurre gli attriti, i fluidi da taglio apportano dei vantaggi
aggiuntivi, come aiutare a rimuovere il truciolo dalla zona di lavoro (molto utile soprattutto
in fresatura e rettifica), ridurre la temperatura del pezzo per facilitarne la movimentazione
e migliorare la stabilità dimensionale del pezzo e la finitura superficiale.

Tipi di fluidi da taglio


Funzioni dei fluidi da taglio
Ci sono due categorie principali di fluidi da taglio, associate sostanzialmente ai loro
principali obiettivi: refrigeranti e lubrificanti. I refrigeranti sono fluidi da taglio che
servono a ridurre gli effetti del calore durante la lavorazione.
Come base dei fluidi refrigeranti viene usata l’acqua.
Sembra che i fluidi refrigeranti siano più efficaci a velocità di taglio relativamente elevate in
cui la generazione di calore e l’innalzamento delle temperature costituiscono un problema.
Sono più efficaci sui materiali per utensili che sono più suscettibili a guasti dovuti a
temperature elevate, come gli acciai rapidi. I lubrificanti di solito sono fluidi a base di
olio usati per ridurre l’attrito sulla superficie di contatto utensile truciolo e truciolo - pezzo.
I fluidi lubrificanti sono più efficaci per velocità di taglio basse e riducono la temperatura
durante le operazioni di taglio.

94
Filtri per fluidi da taglio e lavorazione a secco
Durante il loro utilizzo i fluidi da taglio possono essere contaminati con una varietà di
sostanze, come ad esempio l’olio di scarto (olio per macchine, olio idraulico ecc.), i rifiuti
(mozziconi di sigarette, cibo ecc.), piccoli trucioli, muffe, funghi e batteri.
I metodi per risolvere questo problema sono: sostituire il fluido da taglio a intervalli
regolari e frequenti, utilizzare un filtro per pulire continuamente o periodicamente il fluido
e lavorare, quando possibile, a secco, cioè senza l’ausilio di fluidi da taglio. Per risolvere
il problema della contaminazione in diverse officine sono stati installati dei sistemi di
filtraggio. I vantaggi di questi sistemi sono: un prolungamento della durata del fluido; una
riduzione dei costi di smaltimento del fluido; un fluido da taglio più pulito con conseguente
miglioramento dell’ambiente di lavoro e minori rischi per la salute; una manutenzione delle
macchine utensili minore e una maggiore durata degli utensili.
La terza alternativa è la lavorazione a secco, così chiamata perché non è coadiuvata
all’uso di nessun fluido da taglio. La lavorazione a secco evita i problemi di contaminazione
del fluido da taglio, del suo smaltimento e della filtrazione, ma può causarne altri come:
il surriscaldamento dell’utensile, la necessità di lavorare a velocità di taglio e a tassi di
produzione più bassi per prolungare la vita dell’utensile e l’assenza dei benefici apportati
dai fluidi nella rimozione del truciolo nella rettifica e nella fresatura.

Considerazioni sulla progettazione dei prodotti nelle


lavorazioni per asportazione di truciolo
In questa sezione vengono presentate alcune linee guida per la progettazione della
lavorazione per asportazione di truciolo.

• Quando è possibile, i pezzi dovrebbero essere progettati in modo tale che non
prevedano una lavorazione per asportazione di truciolo.
Se questo non è possibile si deve comunque cercare di limitare la quantità di lavorazioni
richieste sul pezzo. In generale, il costo del prodotto è più basso se si usano dei processi
« net shape » come la microfusione, la forgiatura in stampo chiuso e lo stampaggio
(per materie plastiche), oppure processi « near net shape » come la forgiatura in
stampo semi - chiuso. Le ragioni per cui può essere necessario usare una lavorazione
per asportazione di truciolo sono il raggiungimento di tolleranze specifiche, una buona
finitura superficiale e la necessità di ottenere feature geometriche particolari come le
filettature, i fori di precisione e le sezioni cilindriche a elevato grado di circolarità.

• Le tolleranze devono essere impostate per soddisfare le esigenze funzionali, ma occorre


anche tenere conto delle caratteristiche del processo.
Può succedere che impostare delle tolleranze eccessivamente strette faccia aumentare
i costi, ma non aggiunga valore al pezzo. Man mano che le tolleranze diventano più
strette, il costo del prodotto aumenta a causa della necessità di ulteriori lavorazioni,
attrezzature di bloccaggio, controlli, smistamenti, rilavorazioni e scarti.

• La finitura superficiale deve essere impostata in modo da soddisfare i requisiti


funzionali e/o estetici, ma anche il miglioramento della finitura causa un aumento
dei costi perché richiede operazioni aggiuntive come la rettifica o la lappatura.

95
• Alcune feature come angoli acuti, spigoli vivi e punte dovrebbero essere evitate,
perché sono difficili da realizzare tramite una lavorazione per asportazione di truciolo.
Angoli interni acuti richiedono degli utensili da taglio appuntiti che si possono
rompere più facilmente durante la lavorazione. Angoli acuti e spigoli vivi esterni
stretti tendono a creare bave e sono pericolosi da maneggiare.

• I pezzi da sottoporre a lavorazione per asportazione di truciolo devono essere


progettati in modo che possano essere prodotti a partire dai grezzi standard disponibili.
Ad esempio, è meglio progettare pezzi rotazionali con diametro esterno uguale a
quello delle barre standard.

• I progettisti dovrebbero scegliere dei materiali con buona lavorabilità.


In linea di massima, il grado di lavorabilità di un materiale è correlato alla velocità
di taglio ammissibile e al ritmo produttivo che può essere raggiunto.
Quindi, i pezzi in materiali con lavorabilità più bassa sono più costosi da produrre.

• I pezzi da lavorare devono essere progettati con caratteristiche che si possono ottenere
con utensili standard. Questo significa evitare fori o filetti con dimensioni insolite o
forme particolari che richiedono utensili di forma molto specifici.
Inoltre, è utile progettare i pezzi in modo da minimizzare il numero di utensili
necessari.

Economie delle lavorazioni per asportazione


Uno dei problemi pratici della lavorazione è la selezione delle condizioni di taglio appropriate
per una determinata operazione. Questo è uno dei compiti di chi si occupa di pianificare i
processi. Per ogni operazione, bisogna prendere delle decisioni in merito al tipo di macchina
utensile, al tipo di utensile/i da taglio e di parametri di taglio da utilizzare.
Queste decisioni devono essere prese in relazione alla lavorabilità del pezzo, la forma del
pezzo, la finitura superficiale e così via.

Scelta dell’avanzamento e della profondità di taglio


I parametri di taglio in un’operazione di asportazione sono la velocità di taglio,
l’avanzamento, la profondità e il fluido. La profondità di taglio di solito dipende dalla
forma del pezzo e dalla sequenza di operazioni da eseguire.
Nelle operazioni di sgrossatura, la profondità è la più grande possibile rispettando i limiti
di potenza disponibile, considerando inoltre la rigidezza della macchina, l’entità delle forze
di taglio e altri aspetti. Nelle operazioni di finitura, la profondità deve essere adeguata a
garantire l’ottenimento di un pezzo con le dimensioni finali corrette.
Il problema quindi si riduce alla scelta dell’avanzamento e della velocità.
In generale, i rispettivi valori devono essere decisi in quest’ordine: prima l’avanzamento
e poi la velocità. La scelta dell’avanzamento per una lavorazione specifica dipende dai
fattori seguenti.

96
Utensili
Materiali per utensili più duri sono normalmente utilizzati con avanzamenti inferiori.

Sgrossatura o finitura
Le operazioni di sgrossatura comportano degli avanzamenti elevati, tipicamente da 0,5
a 1,25 mm/giro per la tornitura. Le operazioni di finitura possono essere effettuate ad
avanzamenti più bassi, come da 0,125 a 0,4 mm/giro per la tornitura.

Vincoli sull’avanzamento nella sgrossatura


Per aumentare al massimo l’asportazione di truciolo, l’avanzamento deve essere il più alto
possibile. Ci sono dei limiti superiori all’avanzamento che sono imposti dalle forze di taglio,
dalla rigidità della configurazione e dalla potenza disponibile.

Requisiti di finitura superficiale


L’avanzamento è un fattore importante nella finitura superficiale e si possono effettuare
delle stime per calcolare l’avanzamento che produce una certa finitura superficiale finale.

Velocità di taglio
La scelta della velocità di taglio si basa sul migliore uso possibile che si può fare dell’utensile,
che normalmente significa scegliere una velocità che fornisca una elevata velocità di
rimozione del metallo e una buona durata dell’utensile.
Si sono formulati degli approcci analitici per la determinazione della velocità di taglio
ottimale per una certa lavorazione considerando che il tempo e il costo dei vari componenti
dell’operazione sono noti. Le formule consentono di calcolare la velocità di taglio ottimale
per uno dei seguenti due obiettivi: massimizzare la velocità di produzione o minimizzare il
costo unitario.

Massimizzazione della velocità di produzione


Per massimizzare i tassi di produzione, bisogna determinare la velocità che riduce al minimo
il tempo ciclo di produzione per ogni pezzo. Questo è equivalente a massimizzare la velocità
di produzione. Nella tornitura ci sono tre contributi che vanno a costituire il tempo ciclo
totale di produzione di un pezzo: il tempo di spostamento del pezzo Th , che è il
tempo impiegato dall’operatore per caricare il pezzo nella macchina all’inizio del ciclo di
produzione e per scaricarlo alla fine (è incluso anche il tempo necessario a riposizionare
l’utensile per l’inizio del ciclo successivo); il tempo di lavorazione Tm , che è il tempo
effettivamente impiegato dall’utensile per rimuovere il materiale del pezzo durante il ciclo;
il tempo di spostamento del pezzo Tt che è il tempo necessario a cambiare l’utensile
alla fine della sua vita utile; questo tempo deve essere diviso per il numero di pezzi lavorati
durante la vita dell’utensile. Indicando con np il numero di pezzi lavorati durante la vita
dell’utensile si ha che il tempo di cambio utensile per pezzo è Tt /np .
La somma di questi tre tempi dà il tempo ciclo unitario totale per ciclo di produzione:
Tt
Tc = Th + Tm + (208)
np
dove Tc è il tempo ciclo unitario di produzione in min e gli altri termini sono quelli definiti
in precedenza. Questo tempo ciclo è una funzione della velocità di taglio.

97
Figura 115: Rappresentazione dei tempi di un ciclo di lavorazione in funzione della velocità
di taglio. Il tempo di ciclo totale per pezzo viene minimizzato da un certo valore della
velocità di taglio. Questa è la velocità da impostare per massimizzare la velocità di
produzione.

Se la velocità di taglio aumenta, Tm diminuisce e Tt /np aumenta; Th invece non è influenzato


dalla velocità di taglio. Queste relazioni sono illustrate nella Figura 115.
Il tempo ciclo unitario viene minimizzato per un determinato valore della velocità di taglio,
che può essere calcolato riscrivendo l’Equazione (208).
Il tempo di lavorazione Tm in un’operazione di tornitura è dato dall’Equazione (209):
πDL
Tm = (209)
vc f
dove Tm è il tempo di lavorazione in min, D è il diametro del pezzo in mm, L la lunghezza
del pezzo in mm, f l’avanzamento in mm/giro e vc la velocità di taglio in mm/min per
avere coerenza di unità di misura. Anche il numero di pezzi per utensile, np , può essere
espresso in funzione della velocità. Infatti si può dimostrare che:
T
np = (210)
Tm
dove T è il tempo di vita utensile in mm/utensile e Tm il tempo di lavorazione al pezzo in
min/pezzo. T e Tm sono funzioni della velocità, di conseguenza anche il rapporto seguente
è in funzione della velocità:

f C 1/n
np = 1/n−1
(211)
π D L vc
Il significato di questa relazione è che il termine Tt /np nell’Equazione (208) aumenta
all’aumentare della velocità di taglio. Sostituendo le Equazioni (209) e (211) nell’Equazione
(208) e risolvendo per Tc si ha:
1/n−1
π D L Tt (π D L vc )
Tc = Th + + (212)
f vc f C 1/n

98
Il tempo di ciclo unitario raggiunge il suo valore minimo alla velocità di taglio in cui la
derivata dell’Equazione (212) è pari a zero: d Tc /d vc .
Risolvendo questa equazione si ottiene la velocità di taglio corrispondente al massimo tasso
di produzione:
C
vc max =  1 n (213)
Tt ( n − 1)
dove vc max è espressa in m/min. La vita dell’utensile corrispondente al massimo tasso di
produzione è:
 
1
Tmax = Tt −1 (214)
n

Minimizzazione del costo unitario


Per minimizzare il costo unitario bisogna determinare la velocità che riduce al minimo
il costo di produzione al pezzo. Per definire le equazioni necessarie, si deve iniziare a
considerare i quattro componenti che determinano il costo totale di produzione di un pezzo
per una operazione di tornitura:

1. Costo di spostamento del pezzo


Questo è il costo associato al tempo impiegato dall’operatore per caricare e scaricare
il pezzo dalla macchina. Indicando con Co il costo al minuto (ad esempio in e/min)
per un certo operatore e una certa macchina, il costo di spostamento è quindi Co Th .

2. Costo di lavorazione
Questo è il costo associato al tempo necessario per la produzione di un pezzo.
Utilizzando nuovamente Co per rappresentare il costo al minuto dell’operatore su
una macchina utensile, il costo di lavorazione è Co Tm .

3. Costo di cambio utensile


Il costo del tempo di cambio dell’utensile è Co Tt /np .

4. Costo dell’utensile
Oltre al tempo necessario per cambiare l’utensile, esiste un costo anche dell’utensile
stesso che deve essere aggiunto al costo totale dell’operazione.
Questo è il costo per tagliente Ct , diviso per il numero di pezzi lavorati con quel
tagliente. Quindi, il costo dell’utensile al pezzo è dato da Ct /np .

La somma delle quattro componenti di costo dà il costo totale unitario al pezzo Cc :


Co Tt Ct
Cc = Co Th + Co Tm + + (215)
np np
Cc è una funzione della velocità di taglio, così come Tc è una funzione di vc .
Le relazioni dei singoli termini e del costo totale rispetto alla velocità di taglio sono mostrate
nella Figura 116. L’Equazione (215) può essere riscritta in termini di vc nel modo seguente:
1/n−1
Co π D L (Co Tt + Ct )(π D L vc )
Cc = Co Th + + (216)
f vc f C 1/n

99
La velocità di taglio che minimizza il costo totale al pezzo può essere determinata calcolando
la derivata dell’Equazione (216) rispetto a vc , uguagliandola a zero, e ricavando poi vc min :
 n
n Co
vc min = C · (217)
1 − n Co Tt + Ct
La durata dell’utensile corrispondente è data da:
  
1 Co Tt + Ct
Tmin = −1 (218)
n Co

Figura 116

Considerazioni sulle economie di lavorazione


Si possono fare alcune considerazioni pratiche su queste equazioni della velocità di taglio
ottimale. In primo luogo, se i valori di C e n aumentano nell’equazione di Taylor della vita
utile dell’utensile, aumenta anche il valore della velocità di taglio di entrambe le Equazioni
(213) e (217). Ne consegue, per quanto riportato in precedenza, che gli utensili da taglio in
carburo sinterizzato e in ceramica devono essere utilizzati a velocità nettamente superiori
rispetto a quelli in acciaio rapido. In secondo luogo, all’aumentare del tempo di cambio
utensile e/o del costo dell’utensile (Tt e Ct ) si ottengono valori di velocità ottima più
bassi. Velocità inferiori consentono agli utensili di durare più a lungo: chiaramente, se
il cambio utensile è oneroso (sia in termini di tempi che di costo) conviene limitarne il
numero scegliendo una velocità un po’ più bassa.
Gli inserti non riaffilabili di solito hanno un sostanziale vantaggio economico rispetto a
quelli riaffilabili: anche se il costo per inserto è alto, il numero di taglienti per inserto è
abbastanza grande e il tempo richiesto per cambiare il tagliente è abbastanza basso, quindi
è possibile ottenere tassi di produzione maggiori e costi unitari minori.
In terzo luogo, vc max è sempre maggiore di vc min . Il termine Ct /np nell’Equazione (215) ha
l’effetto di spostare a sinistra nella Figura 116 il valore ottimale della velocità, risultando
in un valore inferiore rispetto a quello nella Figura 115.

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15 Lezione D03 (Drilling - Milling)
Foratura
La foratura è una lavorazione che si usa per creare un foro circolare in un pezzo.
Questa operazione è diversa dalla barenatura, che può essere utilizzata solo per allargare
un foro preesistente. La foratura viene generalmente eseguita con un utensile rotante
cilindrico dotato di due taglienti sulla faccia frontale.
Questo utensile si chiama punta a forare. La punta più comune è la punta elicoidale,
che solitamente è realizzata con l’acciaio rapido. La forma standard della punta elicoidale
è mostrata nella Figura 117. Il corpo dell’utensile ha due scalanature a spirale.
L’azione di taglio della punta elicoidale è complessa. La rotazione e l’alimentazione della
punta causano un moto relativo trai taglienti e il pezzo che forma il truciolo.
La velocità di taglio lungo i taglienti varia in funzione della distanza dall’asse di rotazione.
Siccome la velocità relativa nel punto centrale della punta è zero, lì non si verificherebbe
nessun taglio. Invece, il tagliente trasversale della punta incrudisce il materiale man mano
che la punta penetra nel foro, azione che richiede una grande forza di spinta.
In foratura l’asportazione del truciolo può rappresentare un problema.
L’azione di taglio avviene all’interno del foro e le scalanature devono fornire uno spazio
sufficiente per tutta la lunghezza della punta per consentire ai trucioli di fuoriuscire dal
foro. L’attrito ostacola l’evacuazione in due modi, perché in aggiunta al normale attrito
che si verifica nelle operazioni di taglio tra il truciolo e la faccia inclinata del tagliente, c’è
anche un attrito risultante dallo sfregamento tra la superficie esterna della punta e il foro
appena formato. Risulta difficile erogare del fluido di taglio per ridurre l’attrito durante
la foratura e la generazione di calore perché ci sono i trucioli che scorrono nella direzione
opposta. La foratura di solito viene svolta su un trapano a colonna, anche se esistono
altre macchine utensili che eseguono questa operazione.

Figura 117: Forma standard di una punta elicoidale per forature.

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Condizioni di taglio in foratura
I fori generati possono essere fori passanti o fori ciechi, come mostrato nella Figura 118.
Nei fori passanti la punta esce dalla parte opposta del pezzo, mentre non esce nei fori
ciechi.

Figura 118: Due tipi di fori: (a) foro passante e (b) foro cieco.

Operazioni legate alla foratura


Le varie operazioni collegate alla foratura sono illustrate nella Figura 119. La maggior
parte delle operazioni sono successive alla foratura: prima si crea un foro e poi si esegue
una delle altre operazioni per modificarlo. Tutte le operazioni utilizzano utensili rotanti.

(a) Alesatura
L’alesatura si usa per allargare leggermente un foro, per fornire una migliore tolleranza
sul suo diametro e per migliorarne la finitura superficiale.
(b) Maschiatura
Questa operazione viene eseguita tramite un utensile chiamato maschio ed è
utilizzata per filettare internamente un foro già esistente.
(c) Lamatura
La lamatura produce un foro a gradini in cui un diametro maggiore ne segue uno
minore.

Figura 119: Operazioni di lavorazione per asportazione di truciolo legate alla foratura: (a)
alesatura, (b) maschiatura, (c) lamatura.

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Trapani
La macchina utensile standard usata nella foratura è il trapano. Ci sono vari tipi di trapani;
quello di base è il trapano a colonna verticale, illustrato nella Figura 120.
Il trapano a colonna si appoggia al pavimento; un trapano simile, ma più piccolo, è il
trapano da banco, che è montato su un tavolo o un bancone anziché sul pavimento.
Il trapano radiale (o trapano a bandiera), mostrato nella Figura 121, è un trapano
di grandi dimensioni progettato per eseguire fori in pezzi di grandi dimensioni. I pezzi
vengono bloccati sul trapano con una morsa, un’attrezzatura di bloccaggio o una maschera
di foratura. Una morsa è un dispositivo di bloccaggio a uso generale che possiede due
ganasce che tengono il pezzo in posizione. Un’attrezzatura di bloccaggio è un dispositivo
solitamente progettato su misura per il pezzo specifico.
Anche la maschera di bloccaggio è un dispositivo progettato appositamente per il pezzo
specifico, ma è diversa rispetto all’attrezzatura di bloccaggio perché fornisce anche una
guida all’utensile durante la foratura. Una maschera di bloccaggio usata per la foratura è
chiamata anche maschera di foratura (o dima).

Figura 120: Trapano a colonna

Figura 121: Trapano radiale

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Fresatura
La fresatura è una lavorazione in cui il pezzo viene movimentato sotto un utensile rotante
cilindrico pluritagliente. L’utensile della fresatura è chiamato fresa e gli spigoli taglienti
sono chiamati denti. La macchina utensile standard che esegue questa operazione è la
fresatrice. La forma geometrica creata mediante fresatura è una superficie piana.
Si possono creare anche altre geometrie del pezzo regolando il percorso di taglio o la forma
dei taglienti. La fresatura è un’operazione di taglio interrotto.

Tipi di fresatura
Fresatura periferica
Nella fresatura periferica, detta anche fresatura piana, l’asse dell’utensile è parallelo alla
superficie da lavorare e l’operazione viene eseguita dai taglienti sulla superficie laterale della
fresa. I diversi tipi di fresatura periferica sono mostrati nella Figura 122: (a) fresatura
periferica convenzionale (slab milling), la forma di base della fresatura periferica, in
cui la larghezza della fresa si estende oltre il pezzo su entrambi i lati, (b) fresatura di
scalanature (slotting), in cui la larghezza della fresa è inferiore alla larghezza del pezzo,
per creare una cava nel pezzo o anche, quando la fresa è molto sottile, per tagliare un
pezzo in due parti; in questo caso viene chiamata fresatura di segatura, (c) fresatura
laterale, in cui la fresa è applicata solo a un lato del pezzo, (d) fresatura simultanea
(straddle milling), simile a quella laterale, ma il taglio avviene su entrambi i lati del pezzo
e (e) fresatura di forma, in cui i taglienti hanno un profilo particolare che determina la
forma prodotta nel pezzo. La fresatura di forma è quindi classificata come operazione di
formatura.

Figura 122: Fresatura periferica: (a) fresatura periferica convenzionale, (b) fresatura di
scalanature, (c) fresatura laterale, (d) fresatura simultanea (straddle), (e) fresatura di
forma.

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