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5.

La riforma conciliare tra principi e prassi:


la liturgia delle Ore
STUDI

P.A. Muroni La riforma del Breviario 3

P. Chiaramello Liturgia delle Ore ed eucaristia: tempo festivo e tempo feriale 12

F. Garelli – Come pregano gli italiani? 17


S. Martino

F. Gomiero Celebrare ‘con arte’ la liturgia delle Ore 23

C. Doglio Salmi, mattino e sera 34

M. Baldacci Il volto della comunità cristiana


nella parrocchia che cambia.
Comunità senza celebrazione eucaristica 40

SCHEDE PER LA formaZIONE

L. Donati Fogliazza La liturgia delle Ore: laboratorio catechistico 47

G. Midili Cristo, vera luce del mondo. Schema di liturgia lucernale 54

P. Ruaro Musica e canto nella liturgia delle Ore:


i secondi Vespri di Natale 67

A. Gerhards Il luogo della Liturgia horarum nel passato e nel presente 87

RECENSIONI

RIVISTA DI PASTORALE  LITURGICA
Settembre-Ottobre 5/2014 ◊ Anno LII ◊ n. 306
Q
uesto fascicolo, come i precedenti, si apre chiedendoci
le motivazioni della riforma liturgica, in questo caso
del perché dal Breviario si sia passati alla liturgia delle
Ore. La riforma, scrive P.A. Muroni, ha dovuto mettere mano
ai problemi teologici e celebrativi che la preghiera quotidiana
della chiesa si trascinava da secoli: la clericalizzazione, la pri-
vatizzazione, la complessità della struttura, la lingua. Il concilio
ha riaffermato il rapporto tra eucaristia domenicale e preghiera
ecclesiale. Il rapporto tra il festivo e il feriale si coglie in quella
stretta connessione originata dal riferimento al mistero pasqua-
le da parte dell’eucaristia e della liturgia delle Ore. Nel feriale la
celebrazione della liturgia delle Ore diventa eco continuata del-
la celebrazione eucaristica avvenuta nel giorno festivo (P. Chia-
ramello). Ma quanti italiani, come, perché, quando e chi pre-
gano? Una breve sintesi delle ricerche di F. Garelli e S. Martino
ci aiuta a collocare il tema della liturgia delle Ore nel contesto
sociologico attuale. Difficile in poche pagine descrivere strut-
tura e funzionamento delle diverse ore; F. Gomiero osserva che
anche per la liturgia delle Ore bisogna partire prima di tutto dal
cuore. Occorre avere delle motivazioni interessanti e condivise
I n questo numero

che scaldino il cuore ogni volta e facciano della recitazione o del


canto delle ore un’opera dello Spirito Santo e un momento di
edificazione della chiesa. I salmi sono la struttura portante della
liturgia delle Ore. C. Doglio nella schematica selezione di alcuni
salmi suggerisce di adoperare – come preghiera individuale al
mattino e alla sera – alcuni testi biblici, carichi di poesia e teo-
logia. Ogni salmo è accompagnato da essenziali note esegetiche
e una breve interpretazione alla luce di Cristo e della chiesa. M.
Baldacci rilegge il problema della liturgia delle Ore nel quadro
in via di radicale cambiamento della struttura delle nostre par-
rocchie che si avviano ad avere sempre meno la presenza della
celebrazione eucaristica domenicale e già fin d’ora molto ridot-
ta la messa feriale.
La rivista prosegue offrendo ai lettori schede formative che
completano il tema trattato dagli studi con strumenti per la
catechesi del gruppo liturgico e/o degli adulti (L. Donati Fo-
gliazza), sussidi celebrativi (G. Midili) e musicali (P. Ruaro) e di
riflessione sull’arte per la liturgia (A. Gerhards).
D.P.
Pietro Angelo Muroni RPL 306
Set-Ott 2014

La riforma del Breviario

La riforma dell’Ufficio divino voluta dal concilio Vaticano

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II farà fronte a diverse problematiche che nel corso dei se-
coli si erano andate man mano sommandosi, allontanando
sempre di più la preghiera ‘della chiesa’ ‘dalla chiesa’ di cui
il popolo di Dio, riunito insieme al suo vescovo e ai suoi
ministri, è l’espressione più alta. Menzioniamo di seguito
alcune questioni che necessariamente dovranno trovare
risposta nel lavoro posto in atto dagli ‘operai’ di quel gran
cantiere che sarà appunto la riforma liturgica.

1. Da dove parte la riforma

Tra i problemi che la riforma liturgica del Vaticano II


dovrà affrontare, possiamo menzionare anzitutto la pro-
gressiva clericalizzazione dell’Ufficio divino. Esso, in-
fatti, nato come preghiera di tutta la chiesa, tenderà ad
essere riservato ai presbiteri con un allontanamento sempre
più importante da parte del popolo di Dio, a motivo sia
dell’impossibilità di possedere gli strumenti necessari per
la preghiera, ossia i libri liturgici (comunque, anche se li
avessero posseduti, per la maggior parte del popolo di Dio
sarebbe rimasto il problema dell’analfabetismo…), sia l’in-
capacità nel comprendere la lingua latina nonché il diffon-
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dersi della liturgia corale, con il fasto, l’ampiezza e i numerosi uffici
occasionali dei quali l’ufficiatura era stata man mano sovraccaricata;
tutto ciò impediva la partecipazione del popolo, riservata piuttosto
agli ‘specialisti’: monaci, canonici, chierici, beneficiati. Nonostante
ciò i cristiani conservarono sempre il desiderio della preghiera delle
Ore e cercavano di parteciparvi a loro modo1. Si assistette, perciò, a
un allontanamento del popolo di Dio dall’Ufficio divino e alla sua
sostituzione con dei veri e propri ‘surrogati’ tra i quali il più impor-
tante risulta essere la recita del rosario, il cosiddetto «breviario dei
semplici».
Al problema della clericalizzazione si aggiungerà quello della
privatizzazione. Già intorno all’viii secolo erano presenti, infatti,
alcune norme canoniche che stabilivano che chiunque (natural-
mente monaco o chierico) non potesse essere presente in coro per
la recita comunitaria dell’Ufficio, dovesse comunque assolvere in
privato a questo compito. E di questo passo la celebrazione comu-
nitaria, che nella tradizione antica rappresentava l’unica forma di
celebrazione per l’Ufficio divino, finì con l’essere percepita quale
forma migliore e preferenziale ma alla quale di fatto fu preferita
l’alternativa, agli inizi solamente eccezionale, della recita privata.
Nasceranno in seguito i cosiddetti ‘breviari’ i quali, come suggeri-
sce il nome stesso, rispondevano a una precisa necessità pratica. Il
sovraccarico sia dell’orario sia del contenuto dell’Ufficio, nonché
la celebrazione completa, giornaliera e solenne dello stesso imposta
dalla legislazione carolingia a tutte le chiese, porterà alla richiesta,
da parte soprattutto degli ordini mendicanti e dei presbiteri impe-
gnati nella pastorale, di un ufficio accorciato e semplificato, conte-
nuto in un libro facilmente ‘trasportabile’. Se il Breviario risponderà
a un’esigenza pratica di molti presbiteri, in realtà verrà man mano
snaturandosi l’ideale della preghiera oraria. In effetti molti sacerdoti
saranno facilmente indotti a vedere quest’ultima come un ‘ufficio’,
un dovere-obbligo da espletarsi il prima possibile (l’Ufficio divino
veniva possibilmente ‘detto’ interamente al mattino) per dedicarsi

Cfr. A.G. Martimort, La preghiera delle Ore, in La Chiesa in preghiera. Introdu-


1

zione alla Liturgia, 4: La Liturgia e il tempo, Queriniana, Brescia 19952, 211.

4
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in seguito alle attività pastorali. La tendenza sarà allora quella di


tradire sia l’aspetto comunitario della preghiera oraria, e quindi
la sua celebrazione corale, a favore invece di una privatizzazione
della stessa, nonché quella di venir meno al principio della veritas
horarum, ossia la corrispondenza tra l’ufficio celebrato e il ritmo
naturale delle ore.
Queste alcune delle problematiche a cui cercherà di far fronte la
riforma del Vaticano II. Essendo il campo d’indagine molto vasto,
ci limiteremo a proporre alcune sottolineature che hanno caratteriz-
zato profondamente tale riforma.

2. Dal Breviario alla liturgia delle Ore

Dalla tradizione biblica e semita, fatta propria in seguito dalla


tradizione cristiana, sappiamo bene come il ‘nome’ abbia un’im-
portanza fondamentale non legata semplicemente al suo aspetto
funzionale, ossia quello di identificare qualcuno o qualcosa attri-
buendogli un nome appunto, ma manifesti l’identità più profonda
della persona e la missione che è chiamata a svolgere. Lo stesso
accade per quanto riguarda la «preghiera pubblica e comune del
popolo di Dio», ritenuta giustamente «tra i principali compiti della
chiesa»2. Se, infatti, nel periodo in cui essa era percepita piuttosto
come un pondus, un peso (officium, in senso giuridico), al punto
da essere identificata più con il libro che con la preghiera stessa (in
passato, infatti – e forse ancora oggi in alcuni ambienti – non era
raro sentir pronunciare l’espressione «recitare il Breviario»), oggi si
preferisce parlare di «celebrazione della liturgia delle Ore», dando
maggiore enfasi alla preghiera stessa piuttosto che allo strumento
che la raccoglie. L’espressione liturgia delle Ore, infatti, non vuole
semplicemente esprimere la volontà di identificare con un nome
più appropriato o, forse, più ‘attuale’ la preghiera della chiesa, ma

2
Sacra Congregazione per il culto divino, Principi e norme per la liturgia delle
Ore (02.02.1971), 1 (= PNLO), in Enchiridion Vaticanum 4, Dehoniane, Bologna
198212, 133.

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ne esprime profondamente la sua identità oltre che essere la sintesi
delle scelte che stanno al fondo della riforma. Si tratta, in effetti, non
di un cambiamento di ‘nome’, ma di una prospettiva ecclesiologica
diversa che affonda le sue radici proprio nella tradizione della chie-
sa e alle origini della preghiera stessa.

2.1. Liturgia… delle Ore

Possiamo dire, innanzitutto, che l’Ufficio divino è ‘liturgia’, e non


più un insieme di preghiere che siamo obbligati a recitare. Tale real-
tà ci viene espressa già dal n. 83 di quel cap. 4 che la costituzione li-
turgica Sacrosanctum concilium (= SC) dedica interamente all’Ufficio
divino3 e che inquadra la preghiera proprio all’interno dell’ambito
teologico-ecclesiale che le è proprio:

Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza,


prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terre-
stre quell’inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti.
Egli unisce a sé tutta l’umanità e se l’associa nell’elevare questo
divino canto di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione
sacerdotale per mezzo della sua chiesa, che loda il Signore inces-
santemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la
celebrazione dell’eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente
recitando l’Ufficio divino.

La liturgia delle Ore, al pari delle altre celebrazioni liturgiche


(sebbene con un proprium che le deriva dal suo rapporto privile-
giato con la parola di Dio), diventa continuazione della funzione
sacerdotale di Cristo (cfr. SC 7), specie nel suo ruolo di mediazione
e di intercessione. Nella sua incarnazione, Cristo diventa l’unico

3
Per uno studio sulla riforma della liturgia delle Ore voluta dal Vaticano II e
specie sulla formazione del cap. 4 di SC, si veda l’interessante volume di C. Braga,
La Liturgia delle Ore al Vaticano II (Bibliotheca ‘Ephemerides liturgicae’. Subsidia
145), C.L.V. - Edizioni Liturgiche, Roma 2008; cfr. anche A. Bugnini, La riforma
liturgica (1948-1975) (Bibliotheca ‘Ephemerides liturgicae’. Subsidia 30), C.L.V. -
Edizioni Liturgiche, Roma 1997, 481-564.

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mediatore, l’unico pontefice che unisce terra e cielo nella continua


intercessione al Padre per l’intera umanità; e tale intercessione trova
il suo culmine proprio nel sacrificio di Cristo in croce, culmine della
supplica e intercessione gradita al Padre. Con la sua ascensione al
cielo Cristo non riporta con sé quel canto divino ‘sottratto’ dalle di-
more celesti e incarnato sulla terra, ma lo consegna definitivamente
alla chiesa, sua sposa, affinché sia coinvolta nell’unica intercessione
del Figlio al Padre per l’umanità intera. Potremmo dire, perciò, che
Cristo ha voluto associare a sé la chiesa nell’unico grido al Padre; ed
è per questo che la chiesa, unita intimamente a lui, ne diventa sposa
e canta un unico inno perché unita all’unico Cristo ‘la voce’ della
chiesa si unisce ‘alla parola’ di Dio fatta carne. In effetti,

la preghiera diretta a Dio […] deve essere connessa con Cristo,


Signore di tutti gli uomini, unico mediatore, e il solo per il quale
abbiamo accesso a Dio. Cristo, infatti, unisce a sé tutta l’umanità,
in modo tale da stabilire un rapporto intimo tra la sua preghiera e la
preghiera di tutto il genere umano (PNLO 6).

Al n. 13 dei PNLO si sottolinea come:

«L’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione


di Dio», Cristo la compie nello Spirito Santo per mezzo della sua
chiesa non soltanto quando si celebra l’eucaristia e si amministrano
i sacramenti, ma anche, a preferenza di altri modi, quando si celebra
la liturgia delle Ore.

Per cui, anche nella liturgia delle Ore si può registrare quel duplice
movimento di santificazione che da Dio va verso l’uomo, e di glori-
ficazione che dall’uomo sale a Dio. La santificazione dell’uomo, da
parte di Dio, si esplicita nella santificazione del tempo dell’uomo,
ossia della sua vita, esistenza, azioni, opere, pensieri di modo che
l’uomo stesso sia a sua volta santificato perché già consacrato con il
battesimo (PNLO 7). Potremmo dire, perciò, che il tempo dell’in-
carnazione, momento della storia della salvezza in cui Dio ha consa-
crato definitivamente il tempo dell’uomo con l’invio del suo Figlio e
dunque con il suo ingresso nella storia dell’uomo, è stato preparato
ottimamente da quell’inno che viene eternamente cantato nelle di-

7
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more celesti e continuato nella storia dell’uomo proprio attraverso
la liturgia delle Ore che continua a spandere sulla terra, nella voce
orante della chiesa unita al suo Sposo, quel profumo inebriante della
santificazione partito dall’incarnazione e che ha trovato il suo apice
nel sacrificio di soave odore che è la croce di Cristo. Non a caso, tale
carattere di ‘preparazione-distensione’ viene riconosciuto alla litur-
gia delle Ore dagli stessi PNLO quando fanno riferimento al suo
profondo rapporto con l’eucaristia:

La liturgia delle Ore estende alle diverse ore del giorno le preroga-
tive del mistero eucaristico, «centro e culmine di tutta la vita della
comunità cristiana»: la lode e il rendimento di grazie, la memoria
dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria
celeste. La celebrazione dell’eucaristia viene anche preparata otti-
mamente mediante la liturgia delle Ore, in quanto per suo mezzo
vengono suscitate e accresciute le disposizioni necessarie alla frut-
tuosa celebrazione dell’eucaristia, quali sono la fede, la speranza, la
carità, la devozione e il desiderio dell’abnegazione di sé (PNLO 12).

2.2. La liturgia delle Ore celebra il mistero di Cristo

Ecco allora la base teologica sulla quale posa tutta la liturgia delle
Ore: essa, proprio per la sua funzione di continuazione dell’opera
della redenzione umana promossa da Dio in Cristo, diventa cele-
brazione del mistero pasquale del Signore che ha origine come ab-
biamo visto nell’incarnazione e che si manifesta in particolare nella
celebrazione delle due ore cardine dell’Ufficio divino: le Lodi e i
Vespri. Della prima, infatti, si dice che

sono destinate e ordinate a santificare il tempo mattutino come ap-


pare da molti dei loro elementi. […] Quest’ora inoltre, che si cele-
bra allo spuntar della nuova luce del giorno, ricorda la risurrezione
del Signore Gesù, «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) e
«sole di giustizia» (Ml 4,2) «che sorge dall’alto» (Lc 1,78). Perciò
ben si comprende la raccomandazione di san Cipriano: «Bisogna
pregare al mattino, per celebrare con la preghiera mattutina la risur-
rezione del Signore» (PNLO 38).

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Della seconda, invece, si osserva come

i Vespri si celebrano quando si fa sera e il giorno ormai declina,


«per rendere grazie di ciò che nel medesimo giorno ci è stato donato
o con rettitudine abbiamo compiuto». Con l’orazione che innal-
ziamo, «come incenso davanti al Signore», e nella quale «l’elevarsi
delle nostre mani» diventa «sacrificio della sera», ricordiamo anche
la nostra redenzione. E questo «si può anche intendere, con un
significato più spirituale, dell’autentico sacrificio vespertino: sia di
quello che il Signore e Salvatore affidò, nell’ora serale, agli apostoli
durante la Cena, quando inaugurò i santi misteri della chiesa, sia di
quello stesso del giorno dopo, quando, con l’elevazione delle sue
mani in croce, offrì al Padre per la salvezza del mondo intero se
stesso, quale sacrificio della sera, cioè come sacrificio della fine dei
secoli» (PNLO 39).

Efficace, a tal proposito, l’osservazione di O.M. Sarr che, in un suo


prezioso e recente studio sul rapporto tra liturgia delle Ore e tempo,
sottolinea come la prima possa definirsi «celebrazione quotidiana
del mistero pasquale»4, e aggiunge:

In fin dei conti, per celebrazione quotidiana del mistero pasquale


nella liturgia delle Ore, si intende far rivivere e attualizzare il mi-
stero della salvezza; perché l’Ufficio non può essere compreso, ce-
lebrato, amato se non inserito nel centro della storia della salvezza,
costantemente celebrato nella liturgia: il mistero pasquale5.

Ecco, allora, da dove deriva l’essere cardine delle Lodi e dei


Vespri: non semplicemente perché stanno all’inizio e alla fine del
giorno, ma perché stanno all’inizio e al compimento del mistero di
Cristo; lo sono in quanto, attraverso la loro celebrazione, diventa-
no memoriale dei due misteri ‘cardine’ della Pasqua di Cristo: la
sua morte in croce, anticipata nella Pasqua rituale e sacramentale

4
O.M. Sarr, In omni tempore. La Liturgie des Heures et le temps: louange quoti-
dienne et ouverture vers l’éternité (Studia Anselmiana 162. Analecta liturgica 32),
Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma 2014, 261.
5
Ibid., 265.

9
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dell’ultima Cena, e la sua risurrezione. Questo il motivo perché ci
viene raccomandato oltretutto di celebrarle quali ‘ore principali’,
prevedendo perciò una solennità e un’ars celebrandi più attenta,
se così si può dire, rispetto alle altre ore. Queste ultime, in parti-
colare l’Ora media, è inserita proprio all’interno di questo mistero
celebrato, di cui il giorno diventa il ‘luogo’ primordiale della sua
celebrazione, più che la chiesa o la cappella o il coro; ed è ‘media’
non semplicemente perché si trova ‘in mezzo’ alla giornata, ma per-
ché in essa l’orante si trova in mezzo, con tutto se stesso, al mistero
pasquale che sta celebrando e che nelle cosiddette ‘ore minori’ viene
approfondito ancor di più e reso digeribile alla fede dei credenti.
Ecco, perciò, che la riforma della liturgia delle Ore ci strappa da
quella concezione rubricista, privata, clericale della ‘preghiera del
clero’, per farci entrare piuttosto nella dimensione teologica, eccle-
siale e dunque battesimale della liturgia delle Ore che le è propria:
essa diventa il ‘luogo’ privilegiato nel quale la chiesa tutta può met-
tere in atto il proprio sacerdozio battesimale, glorificando Dio e
intercedendo per la chiesa e l’umanità intera. Per tale motivo, la ri-
forma raccomanderà che, proprio per rispondere all’obiettivo prin-
cipale della liturgia delle Ore che è la santificazione del giorno e di
tutta l’attività umana, la celebrazione delle ore corrisponda al loro
vero tempo. Ancora una volta la riforma ci strappa da un’ulteriore
tentazione: quella di consumare, il più presto possibile e nel minor
tempo possibile le pagine dei nostri ‘breviari’, invitandoci piuttosto
a indugiare nella meditazione e celebrazione del mistero celebrato.

3. Alcune scelte della riforma

Da questi princìpi ispiratori della riforma scaturirà la conseguente


revisione dell’Ufficio divino, della quale i passaggi più rilevan-
ti saranno raccolti nella costituzione apostolica Laudis canticum
(01.11.1970), con cui Paolo VI promulgava l’Ufficio divino riforma-
to per mandato del concilio Vaticano II, e nei PNLO (02.02.1971).
Tra le diverse modifiche apportate, ricordiamo innanzitutto la
semplificazione della struttura della liturgia delle Ore e la distri-
buzione del Salterio in quattro settimane, con l’abolizione del ciclo

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settimanale, così da alleggerire l’Ufficio stesso rispondendo alle


necessità dei presbiteri impegnati nel servizio pastorale6 e rendendo
l’Ufficio divino più accessibile anche ai laici. La raccolta dell’intera
liturgia delle Ore in quattro volumi, che seguono lo svilupparsi
dell’anno liturgico, offre una più ampia ricchezza di testi biblici ed
eucologici distribuiti in relazione al tempo liturgico che si sta cele-
brando. Viene rivisto l’ordinamento generale dell’Ufficio divino, di
modo che le ore canoniche possano più facilmente corrispondere
alle varie ore del giorno e perciò, la preghiera pubblica della chie-
sa, possa rispondere alla sua vera e originaria ispirazione, quella di
‘liturgia delle Ore’, santificando perciò «tutto il corso del giorno e
della notte» (PNLO 10). Viene abolita l’ora di Prima e il tesoro della
parola di Dio si effonde più copioso nel nuovo ciclo di letture; inol-
tre, per quanto riguarda l’Ufficio delle letture, la prescritta lettura
quotidiana delle opere dei santi Padri e degli scrittori ecclesiastici
viene rinnovata in modo da proporre i migliori scritti degli autori
cristiani, rivedendo anche, soprattutto, le letture agiografiche nel
rispetto della verità storica. Non dimentichiamo infine l’uso della
lingua volgare, la quale contribuirà in maniera efficace all’accosta-
mento del popolo di Dio alla preghiera della chiesa che, da preghie-
ra privata del clero «recitata individualmente», diverrà finalmente la
preghiera pubblica della chiesa «celebrata comunitariamente»7.

6
Cfr. ibid., 158-165.
7
Cfr. P.A. Muroni, Il Mistero di Cristo nel tempo e nello spazio. La celebrazione
cristiana (Manuali/Teologia. Strumenti di studio e di ricerca 38), Urbaniana Uni-
versity Press, Città del Vaticano 2014, 236-248.

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