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Pontificia Università Salesiana, sezione Torino 1

Corso di Liturgia I, prof. Baldacci

Il “genio” dell’orazione romana pura.


(secoli V-VIII)

→ La lingua latina, ormai cristianizzata, diventa ovunque di uso comune. Viene inserita gradualmente
nella liturgia. Sappiamo con certezza che intorno al 380 d.C, sotto papa Damaso (366-384), viene adottata
per la parte più importante della celebrazione: il Canone. In questa epoca si sviluppano le eucologie
romane: collecta, super oblata, praefatio, Canone, post communio, oratio super populum. colleta per oggi

→ Lo stile delle preghiere si caratterizza per una disposizione chiara, sobria, breve, non verbosa, poco
sentimentale; l’esposizione è chiara e lucida; le espressioni sono di grande valore letterario.

→ La liturgia romana pura non esprime pensieri e sentimenti soggettivi e neppure la situazione
psicologica dei singoli, ma solo ciò che la comunità può assumere come espressione propria. Per fare
questo, la lingua latina ha una capacità tutta particolare: sa esprimersi in forme razionalmente organizzate,
rifiuta ogni sentimentalismo, preferisce uno stile sobrio e dignitoso.

→ La preghiera liturgica romana è sempre orientata al Padre, per Cristo, nello Spirito Santo, il
linguaggio è riservato, la pietà dei fedeli viene orientata verso le azioni sacre e le parole della liturgia. Non
incontriamo preghiere rivolte direttamente a Cristo.

→ La terminologia è “simbolica” e difficilmente i testi utilizzano argomenti teologici e speculativi per


menzionare i misteri divini.

In sintesi, ogni eucologia romana deve rispondere alle seguenti esigenze:


• chiarezza del pensiero,
• aderenza alla verità,
• nobiltà e bellezza delle espressioni,
• brevità ed essenzialità,
• ritmo solenne e gradevole.
Nei secoli IV-VI, con sempre nuovo vigore, è stato creato dai vescovi di Roma un tesoro di formule che,
nella loro rispondenza ai valori oggettivi, nella loro chiarezza di pensiero, nel loro ritmo solenne, nella loro
aderenza alle verità dogmatiche fondamentali e ai sentimenti religiosi di base, devono essere considerate
come una delle grandi classiche creazioni della storia umana.

Un esempio della bellezza e della semplicità di questi testi è la colletta del giorno di Pasqua:

STRUTTURA DELLA COLLETTA

Deus,
qui hodierna die per Unigenitum tuum
aeternitatis nobis aditum Invocazione+ anamnesi:
devicta morte reserasti, O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio hai
vota nostra, vinto la morte (personificazione) e ci hai dischiuso l’accesso
quae praeveniendo adspiras, all’eternità…..
etiam adiuvando prosequere
per Dominum nostrum Iesum Christum Supplica:fa’ sì che (vota=preghiera, offerta ) possiamo
condurre a buon termine, con la divina assistenza, l’azione religiosa
iniziata.
Intercessione
Pontificia Università Salesiana, sezione Torino 2
Corso di Liturgia I, prof. Baldacci

Le orazioni romane si rivolgono alla mente: la fantasia dei credenti a fatica viene impegnata, al massimo, il
sentimento subisce un richiamo indiretto. Inoltre, nei testi ecologici raramente possiamo riconoscere delle
esplicite espressioni e riferimenti biblici.

Il pensiero teologico espresso in questa orazione intende esporre in termini chiari e distinti la dottrina
agostiniana della grazia, chiaramente in posizione antipelagiana: per offrire nell’azione liturgica i suoi vota il
credente ha bisogno anzitutto della grazia preveniente e poi quella concomitante. Senza la grazia di Dio noi
non siamo affatto in grado di portare a buon termine la nostra preghiera e la nostra offerta pasquale.

Le orazioni romane, nella prima parte (proposizione relativa) esprimono verità dogmatiche fondamentali
con espressioni precise, quasi giuridiche e che motivano, in modo altrettanto preciso la richiesta espressa
nella seconda parte. In questo caso: Siccome Dio in quel primo giorno di Pasqua ha operato per noi un
evento tanto decisivo, certamente oggi, nel giorno della ricorrenza annuale della Pasqua, vorrò concederci
quel beneficio, che oggi chiediamo.

Questi dati teologici vengono espressi secondo le regole più accurate dell’arte oratoria romana e le
espressioni più raffinate della lingua latina: periodi proporzionati, collegamenti di parole, assonanze, il tutto
per ottenere un ritmo solenne.

Tutte le orazioni romane si concludono con l’intercessione presso il trono di Dio, il Sommo sacerdote,
l’unico mediatore: per Dominum nostrum Jesum Christum.

Nel ritmo dell’anno liturgico, i richiami dottrinali espressi nelle orazioni, aiutano ad inculcare nei fedeli gli
insegnamenti fondamentali della fede. Nello stesso tempo questo stile di preghiera è adatto a richiamare
senza posa alla coscienza dei fedeli, l’infinita maestà di Dio e, di fronte a questa, la piccolezza delle
creature.

E’ bene sottolineare anche alcuni svantaggi di questa “genialità” romana:

- la fantasia dei credenti e la sensibilità popolare sono del tutto disattese. Là dove si compie una
liturgia esclusivamente basata su queste formule, vengono tralasciate e trascurate alcune
importanti componenti della religiosità umana.

- La struttura della preghiera, secondo le leggi della tradizione letteraria romana hanno come
conseguenza che il modo di esprimersi della preghiera non solo si trova ad un livello superiore a
quello del linguaggio di ogni giorno, ma si rivolge a tale altezza che già il cristiano di media cultura
del IV-VI secolo non era sempre in grado di seguire e capire.

- Infine, come già segnalato, possiamo evidenziare come queste orazioni siano di fatto extra-bibliche.

Per approfondire:
T. KLAUSER, La liturgia nella chiesa occidentale, ElleDiCi, Torino-Leumann, 1971
B. NEUNHEUSER, Storia della liturgia attraverso le epoche culturali, CLV Roma, 1983
E. CATTANEO, Il culto cristiano in occidente, CLV Roma 1984
M. METZEGER, Storia della Liturgia. Le grandi tappe, San Paolo, Roma 1996.

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