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II. I principi generli sull’importanza e la dignità della celebrazione eucaristica (= primo capitolo, n. 16-26)
1. Alcune indicazioni
a. Il Cristianesimo è incarnazione: incontro con Cristo nel corpo, non è un libro.
b. Rivelazione: verbum gestisque
c. Il gesto richiede la parola, un linguaggio fatto solo di gesti non è pienamente umano
2. Significa: tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno
significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti. (OGMR 42/1)
a. Non dipende al gusto personale o all‟arbitrio del sacerdote.
b. I riti non hanno bisogno di molte spiegazioni evita l‟artificiosità.
c. Solo per contribuire al bene spirituale comune del popolo di Dio
3. È segno dell‟unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia (OGMR 42/2)
a. Quindi, un altro criterio generale: va osservato da tutti i partecipanti; tranne il sacerdote e i ministri in
alcuni momenti
b. Guardini: deve sentirsi con tutti gli altri fedeli una cosa sola in questa unità superiore occore umiltà
e carità
4. Stare in piedi
a. Quando: dall‟inizio fino alla colletta; durante l‟Alleluia, il Vangelo, la professione di fede, la
preghiera universale; dall‟invito Pregate fratelli fino al termine della Messa, fatta eccezione.
b. Il senso non è univoco: essere attenti, in attesa, ecc. è il contesto a determinarne il significato
c. Durante la Messa: manifesta una disposizione attenta, interiormente attiva.
5. Stare seduti
a. Quando: durante le letture, il salmo responsoriale; all‟omelia e durante la preparazione dei doni; anche
dopo Comunione.
b. Il significato è anche non univoco, dipende dal contesto
c. Non è neccessariamente rilassato e passivo, perché può favorire l’ascolto attento
6. L‟inginocchio
a. Quando: alla consacrazione (per chi non può, si faccia un inchino profondo)
b. Dipede alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli
c. Novità di 3° edizione: se la consuetudine che il popolo rimanga in ginocchio dal Santo fino alla
conclusione di PE; oppure dall‟Agnello di Dio fino alla Comunione va conservato.
7. La genuflessione
a. IGMR: è un gesto di adorazione del Santissimo Sacramento
b. Genuflessione dopo ogni consacrazione più tardive (fine XIII sec.) recepito dal MR 1570
8. Le processioni:
a. Sono 4: all‟altare; all‟ambone; dei doni; per la Comunione
b. Fare in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati.
9. Silenzio
a. È come una parte della celebrazione
b. Duranto l‟atto penitenziale; dopo l‟invito alla preghiera aiuta il raccoglimento
c. Dopo la lettura o l‟omelia è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato
d. Dopo la Comunione favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica
e. I momenti di silenzio non consistono nel semplice non parlare, ma implicano una vera attività di
meditazione e preghiera, che si manifesta anche all’esterno nell’attenzione al rito.
i. “il silenzio liturgico è richiamo ad essere disponibili per l‟azione dello Spirito”
f. Anche prima della celebrazione il silenzio favorisce la devota preparazione in modo giusto
1. La parte finale della processione: «salutano l‟altare con un profondo inchino» (OGMR 49/1).
2. L‟Evangeliario portato in processione si colloca sull‟altare.
a. Non è obbligatoria, ma si loda che sia fatto così.
b. Significato: manifesta la venerazione alla parola di Cristo contenuta nei Vangeli.
3. La venerazione dell’altare
a. Attraverso
i. col profondo inchino di tutti + col bacio del sacerdote e del diacono (+ eventuali
concelebranti),
ii. con l‟incensazione (anche croce) non sia obbligatoria.
b. La processione d‟ingresso è orientata verso l‟altare è venerato per il suo significato cristologico
“L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, è il
centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia” (OGMR 296)
i. è il luogo del sacrificio eucaristico, vi si rende presente sacrificio della croce sotto i segni
sacramentali.
ii. e mensa del Signore,, perché egli ci dà il suo corpo e il suo sangue come cibo e bevanda.
c. Preghiere di dedicazione e di benedizione dell‟altare – le funzione dell‟altare
i. Esso è ara del sacrificio di Cristo e mensa del suo convito.
1. Benedizione si sviluppa: il sacrificio di Cristo è offerto in mysterio dalla Chiesa +
novità: il frutto della partecipazione al sacrificio di Cristo, che si traduce nel sacrificio
spirituale di una vita santa, gradita a Dio, sull‟altare del croce.
ii. segno di Cristo dal cui fianco squarciato scaturirono l’acqua e il sangue, coi quali si
fondarono i sacramenti della Chiesa;
iii. mensa del convito festivo a cui accorrono lieti i commensali di Cristo;
iv. luogo di intima unione con il Padre, nella gioia e nella pace
v. fonte di unità della Chiesa e di concordia fraterna.
vi. centro della lode e comune rendimento di grazie
4. La sede
a. Finita la processione e la venerazione dell‟altare, si recano alle rispettive sedi.
b. «La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di
guidare la preghiera».
c. Sacerdoti concelebranti anche le loro sedi vanno collocate nel presbiterio.
d. Presbiteri con la veste corale prendono pure posto nel presbiterio in apposite sedi.
e. Diacono « posta vicino alla sede del celebrante»
f. Altri ministri «che si distinguano dalle sedi del clero e che sia permesso loro di esercitare con
facilità il proprio ufficio».
g. Tutta questa disposizione dei membri dell‟assemblea eucaristica è un segno della comunità
cristiana, strutturata secondo il rapporto ordo sacer – plebs fidelis.
5. Segno di croce e saluto al popolo
a. Il segno della croce + le parole (Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo – Amen)
i. è una novità del Missale di Paolo VI
ii. Non c‟era fino MR 1570, dove era riservato al sacerdote
iii. Ha un chiaro senso battesimale.
iv. L‟azione liturgica non è unicamente umana, ma soprattutto trinitaria, perché Cristo per
mezzo della croce ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo
b. Dopo, il sacerdote saluta il popolo «con una delle formule proposte».
i. Il significato: «annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto
sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata»
ii. Anche è una novità
iii. MR 1570 colloca immediatamente prima della collecta.
iv. Perché all‟inizio della Messa e non come introduzione alla colletta? due ragioni:
1. Signore risorto che apparve nel cenacolo e saluta ai discepoli radunati;
2. Agostino: descrivi questi riti nel De Civitate Dei, XXII, 8.
v. Tre formule a scelta per il saluto del celebrante presbitero.
c. Prima formula: «Gratia Domini nostri Iesu Christi, et caritas Dei, et communicatio Sancti Spiritus sit
cum omnibus vobis»
i. cfr. 2Cor 13, 13.
ii. sit = un desiderio che al contempo è preghiera e insieme esortazione ad assecondare l‟azione
della Trinità.
iii. communicatio (κοινωνία) = mettere in comunione.
iv. Spiritus Sancti = genitivo oggettivo/ soggettivo, perché egli è dono che dona comunione
d. Seconda formula: «Gratia vobis et pax a Deo Patre nostro et Domino Iesu Christo»
i. cfr. Rm 1, 7
ii. Il verbo è sottinteso lascia intendere chiaramente il desiderio, la preghiera e l‟esortazione.
iii. Il significato simile a quello della prima, anche se il senso pneumatologico resta implicito.
e. Terza formula: «Dominus vobiscum»
i. Ha radici bibliche (Rt 2; 2Cr 15; 2Ts 3) + Agostino (+ anche libri antichi)
ii. (est) : Gesù è presente nella comunità oppure (sit): come preghiera a Cristo ed esortazione alla
comunità perché agisca come Chiesa di Cristo meglio entrambi insieme
f. Il vescovo: «Pax vobis».
i. È saluto di Gesù risorto ai discepoli
ii. Mette in rilievo la presenza di Cristo attraverso il vescovo.
g. La risposta del popolo «Et cum spiritu tuo»
i. è un richiamo al carisma che il sacro ministro ha ricevuto dallo Spirito nell’ordinazione.
ii. Giovanni Crisostomo: ciò che il sacro ministro inizia a realizzare ha un’efficacia trascende il
suo potere umano, la sua forza operativa deriva dallo Spirito Santo.
h. Il saluto del sacerdote – la risposta del popolo manifesta la Chiesa come comunione derivante dalla
comunione trinitaria, come Corpo di Cristo, vivificata dal suo Spirito, strutturata come plebs fidelis –
ordo saceri.
1. Kyrie eleison
«Dopo l’atto penitenziale ha sempre luogo il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l’atto penitenziale.
Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in
alternanza tra il popolo e la schola o un cantore».
a. Sono traslitterazioni dal greco.
b. Frequente nell‟AT, soprattutto nei Salmi. Appare anche nel NT.
c. Sviluppo
i. Fino a metà del IV secolo il greco = più diffusa a Roma tra la comunità cristiana.
1. Ma non significa invalida l‟ipotesi dell‟influsso orientale nella sua introduzione,
perché già nel IV secolo faceva parte di alcune litanie in oriente.
ii. Liturgia milano (più antica testimonianza occidentale – V sec.): tre volte alla fine di una
litania che si diceva le domeniche di Quaresima.
iii. Concilio di Vaison (529) nell‟ufficio mattutino e vespertino + senso penitenziale.
iv. Gregorio Magno dice che sia il Kyrie eleison, sia il Christe eleison, si diceva in tutte le
Messe, prima dai chierici e poi dal popolo.
v. OR I: è riservato al coro, che lo canta dopo l‟antifona introitale un numero variabile di volte,
finché il pontefice non fa il cenno di finire.
vi. Sec. XI in poi continua ad essere presente, spesso come cantato dalla schola.
vii. MR 1570 3 Kyrie, 3 Christe, 3 Kyrie + alternati di seguito fra sacerdote e i ministri.
d. Valenza teologica
i. è duplice: laudativa (le acclamazioni Kyrie, Christe) + supplicatoria penitenziale (verbo
eleison).
ii. Rivolge a Gesù – “ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”
iii. Il Kyrie è previsto come testo per il canto.
1. Raccomandabile per domeniche e feste di precetto
2. Proprio il Kyrie è uno dei canti più si adatta ad essere cantato dal popolo
2. Gloria
a. È un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e
supplica Dio Padre e l‟Agnello.
i. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro.
b. Inizia dal sacerdote (o cantore o schola) cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo
alternativamente con la schola, oppure dalla stessa schola.
i. Se no, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano.
ii. Domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in
celebrazioni di particolare solennità (OGMR 53).
c. Sviluppo
i. Diverse redazioni
ii. La più antica versione latina quella dell‟Antifonario monastico di Bangor (anni 691-698),
come inno per i vespri e per l‟ufficio mattutino.
iii. Telesforo (sec. II): stabilì che la notte di Natale, all‟inizio della Messa, si cantasse l‟inno
Gloria in excelsis Deo non è un dato molto affidabile
iv. Simmaco (498-514): estese la recita del Gloria alle domeniche e alle feste dei martiri.
v. Gregoriano: per vescovo si dice l‟inno le domeniche e i giorni festivi; per un presbitero,
soltanto nella Pasqua.
1. Questa distinzione scompare nel Micrologus.
vi. Onorio III (1216-1227): non si diceva nelle Messe feriali e votive infrasettimanali, ma si
diceva dalla Pasqua all‟ottava di Pentecoste, nelle domeniche dopo Pentecoste e nei giorni
festivi.
vii. MR 1570: è stabilito un gesto per accompagnare l‟incoazione dell‟inno: mentre diceva le
quattro parole iniziali, il sacerdote estendeva ed elevava le mani e poi le congiungeva,
inclinando il capo.
d. Valenza teologica
i. Tre aspetti: trinitario, laudativo e supplicatorio.
1. Proprio gli aspetti laudativo e supplicatorio pongono l‟inno in continuità con il Kyrie
eleison.
ii. L‟esordio dell‟inno riproduce la lode angelica che segue l’annuncio dell’angelo alla nascita
del Salvatore.
1. La bona voluntas non ha come soggetto gli uomini, ma alla benevolenza di Dio
verso gli uomini.
2. Il testo è lodativo non esortativo: il riflesso sulla terra della gloria di Dio che
risplende in cielo è la pace sugli uomini che egli ama.
e. La seconda parte costituisce l‟esultanza della comunità liturgica che loda Dio Padre.
i. Motivo del ringraziamento l‟immensa gloria + la sovranità del Padre, confessato Signore
e Re altissimo + la sua onnipotenza.
ii. Gloria e onnipotenza manifestate negli stupendi eventi di salvezza di cui la celebrazione
eucaristica è memoria attualizzante.
iii. Codice alessandrino e dall‟Antifonario di Bangor: la glorificazione della seconda parte si
estendeva anche al Figlio e allo Spirito Santo.
1. Messale attuale: l‟esaltazione delle tre Persone alla fine.
iv. Il Figlio invocato con i titoli divini (Dominus, Filius unigenitus, Deus, Filius Patris), e
titoli di mediatore (Iesu Christe,Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, qui sedes ad dexteram
Patris).
f. La terza parte ha un forma litanica con tre stichi, composti di una proposizione relativa e di una
supplica. Queste invocazioni dimostrano il ruolo del Figlio come redentore e intercessore in cielo.
g. La parte finale in continuità con la terza (quoniam + rivolta a Gesù Cristo)
i. Tuttavia si distingue dalla terza perché abbandona la forma litanica ed è strettamente
laudativa.
ii. Gesù viene chiamato «Dominus et Christus», «Sanctus», e «Altissimus».Viene glorificato in
quanto Dio.
h. Finisce con una glorificazione della Trinità economica nel suo disegno di salvezza.
XI. Colletta
1. «Poi il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di
essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l‟orazione, chiamata
comunemente “colletta”, per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione» (OGMR 54/1).
2. La colletta conclude i riti iniziali. Una delle tre preghiere (oltre la preghiera eucaristica) che il sacerdote dice
nel nome dell‟assemblea.
3. collectæ (l‟area gallicana) = le orationes breves della Messa e dell‟ufficio, dal primo quarto del secolo VII.
a. Prima: erano chiamate collectiones poi collectio
b. Viene dall‟espressione verbale colligere orationem, equivalente a consummare orationem e precem
concludere (cfr. Micrologus di Bernoldo).
c. MR 1570 = oratio (soltanto una volta nel Ritus servandus si parla di collectæ)
d. Nel attuale messale si parla sempre di collecta.
4. Sviluppo
a. Non si sa quando la colletta è diventata parte normativa della liturgia romana.
b. Giustino: senza alcun rito iniziale.
c. Comunque appare nei libri più antichi.
5. Struttura: 4 momenti
6. L’Oremus che è un invito alla preghiera.
a. Tutto prima era già preghiera, ma adesso è il momento di presentare tutti insiemem alla santta Trinità
alcuni petizini comuni che derivano dalle circostanze della celebrazione
b. In prima persona plurale perché è la preghiera di tutti
c. Il sacerdote prega rappresentando Cristo e così manifesta che Cristo prega il Padre nell‟intim dei cuori
dei fedeli.
d. Agostino: “Prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro capo; è pregato da noi
come nostro Dio”
7. Un momento di silenzio per rendersi disponibile all‟opera dello Spirito.
a. Non è semplice attesa, ma preghiera silenziosa
8. Canta o recita a voce alta la preghiera stessa.
a. Viene detta con le mani estese esprime che l‟orazione è rivolta a Dio nell‟alto dei cieli
b. Segue una redazione piuttosto fissa.
i. La collecta è (di solito) rivolta al Padre, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo
1. Inizio: Deus, Domine o Pater
2. Rivolte direttamente a Cristo poche
3. La mediazione di Cristo nello Spirito Santo normalmente nella conclusione
9. La conclusine esprime l‟economia trinitaria della salvezza
a. Si rivolge al padre contemplando il Figlio e lo Spirito Santo
b. La mediazione di Cristo va oltre quella dell‟intermediario e di chi appogia la petizione
c. La preghiera della Chiesa s‟inserisce sempre nella preghiera sacerdotale-sacrificale di Cristo
i. Anche quando rivolge a Cristo, essa entra nella preghiera in lui e lo invoca contemplandolo
seduto alla destra del Padre e che intercede in nostro favore: Qui vivis et regnas cum De Patre
ii. La K prega sempre quale Corpo di Cristo, unita al suo Capo, quale Sposa unita al suo Sposo
d. Finisce con il Per Dominum che è una confessione della Trinità è una petizione che la nostra
preghiera disegno salvifico della Trinità inserisce tutta la preghiera di Cristo. La parola Deus nella
conclusione Cristo.
e. Tutte le collette contengono un‟invocazione che varia. Poi c‟è una sezione di anamnesi
(amplificazione che menziona qualche attribuito divino e/o un intervento divino nella storia di
salvezza). Poi c‟è una petizione che si forma con l‟uso dell‟imperativo e/o congiuntivo. Ci può essere
una descrizione che spiega gli effetti della petizione.
10. L‟Amen del popolo.