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L’origine del collezionismo dato dal piacere di possedere oggetti di pregio deriva dal mondo
antico, studi recenti lo fanno risalire alle civiltà del vicino oriente con le raccolte di oggetti
esotici.
Ma la tipologia di raccolta più vicina alla moderna concezione di Museo è quella che si
allestiva in età classica nei Templi, di pubblica fruizione, dove la presenza di oggetti preziosi
era funzionale non solo per il valore simbolico/sacrale ed economico ma anche
all’apprezzamento estetico, ed è proprio questo apprezzamento svincolato dai motivi di culto
o di dimostrazione di potenza che costituisce la preistoria del museo moderno.
Le fonti antiche ci parlano anche di un collezionismo privato, sottratto alla pubblica fruizione,
intorno al quale ioriva un vivace mercato di opere d’arte, che ci fanno intuire quanto fosse la
cura di questi amatori di oggetti pregiati nella distribuizione nelle loro abitazioni, e quanto
fossero attenti al rapporto tra queste e l’ambiente. Le disposizioni e la sequenza degli oggetti
infatti non erano mai casuali e anticipano i criteri di allestimento che verranno adottati nelle
collezioni rinascimentali.
Sappiamo ad esempio che Cicerone si rivolgeva ad Attico a inchè gli procurasse delle
sculture per abbellire la sua villa.
Plinio il Giovane fece erigere un ambiente della sua villa, in collegamento con il giardino era
destinato al lavoro intellettuale è decorato da statue (anticipazione dello studiolo umanistico).
Queste raccolte private, sottratte alla pubblica fruizione sono probabilmente di origine
ellenistica (collezione di Pergamo e Alessandria).
Fonti
• SHAYA studia il caso del tempio di Lindo a Rodi del I secolo a.C., raccolta di oggetti molto
singolari dotata anche di una sorta di suo inventario.
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Naturalmente la storia del collezionismo del mondo classico può essere ricostruita solo per
frammenti poiché presenta insormontabili lacune soprattutto nel collezionismo medievale
(età che si rapporta con di icoltà con il patrimonio dell’antichità) dovuto alla carenza di fonti
e all’atteggiamento controverso della chiesa nei confronti dell’ ostentazione.
CICERONE E VERRE
Cicerone nel 70 a.C elabora le sette orazioni contro Verre, accusato di concussione dai
Siciliani.
Tra i vari capi di imputazione addebitati a Verre nel processo, Cicerone accusa l’ex
governatore della Sicilia di aver spogliato la provincia di tutti i suoi tesori artistici.
C. Raccolse un imponente massa di prove e testimonianze, che non fece nemmeno in tempo
ad esporre per intero perché l’imputato dopo la prima orazione, schiacciato dal peso delle
accuse si rese irreperibile e fu condannato.
Nel ritratto di Cicerone, Verre appare dominato da una passione maniacale per l’arte,
derivante da una malattia mentale pericolosa che lo portava a commettere ogni genere di
rapina per accaparrarsi ciò che desidera, come ‘predatore furioso’ e dice che ‘non solo voleva
originali, voleva averli tutti’;
Lo accusa anche di una scarsa cultura in quanto lui stesso non era in grado di riconoscere gli
originali perciò si faceva accompagnare da consulenti ‘perchè potesse rubare con le sue
mani ma con occhi altrui;
In ine lo accusa di mancanza di rispetto per il sacro e la pietas -Valori fondamentali
dell’epoca.
2. COLLEZIONISMO MEDIEVALE
1080/1151.
Al cistercense abate di Sant’Denise nella Francia del XII secolo si deve la ricostruzione della
celebre abbazia divenuta sepolcro dei re di Francia e depositaria di uno dei più ricchi tesori
legati ad una chiesa (ore iceria, reliquari, arredi liturgici, vasi in pietra e persino una raccolta
di gemme antiche).
Dagli scritti autobiogra ici dell’abate emerge il compiacimento per il possesso di oggetti
tanto preziosi, un atteggiamento in aperto contrasto con le tendenze della chiesa che
condannava l’attaccamento ai beni terreni e di certo non apprezzava il desiderio di
possederne.
Ma per l’abate nella bellezza delle opere d’arte risplendeva la grandezza divina e la loro
contemplazione stimolava l’elevazione spirituale di chi li possedeva. (legittimazione per il
collezionismo).
La sua posizione rimane un unicum nel panorama del collezionismo medievale di cui la chiesa
evocava a se ogni iniziativa raccogliendo e conservando oggetti sacri e profani spesso di
grande valore che formavano i tesori delle cattedrali e delle grandi comunità religiose, per cui
le raccolte d’arte sacra non dovevano essere ammirate per il loro valore artistico storico, ma
per i poteri miracolosi che venivano attribuiti ai singoli oggetti, per la loro capacità
taumaturgiche, atte a suscitare meraviglia e timore verso l’in inita ricchezza del creato.
1282
Ristoro d’Arezzo: fu il primo interprete di una forma di collezionismo che possiamo de inire
Pre-Umanistico x il suo interesse nei confronti dell’antichità di cui parla nel suo scritto ‘Le
composizioni del mondo’ dopo aver parlato dei vasi aretini.
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Segna una svolta rispetto al collezionismo medievale di tipo religioso, attraverso una visione
puramente estetica del collezionismo.
1335
Oliviero Forzetta: autore di uno dei primi documenti relativi a una collezione italiana.
Collezione veneziana di gusto antiquario caratterizzata da un’interesse per la cultura
antiquaria; attenzione all’arte del tempo; sensibilità per l’arte profana.
Tra il 300 e il 400 si elabora un modello culturale nuovo che ha al centro il mondo classico e
si a erma l’idea di un luogo concepito non solo per gli studi e l’attività intellettuale ma anche
per la conservazione di opere d’arte.
Lo studio delle antichità si a ronta in maniera nuova, il mondo classico diventa l’esempio su
cui modellare la propria vita e quell’intenso rapporto con il passato si realizza nell’isolamento,
nello spazio appartato dello studio e con il supporto visivo di piccoli oggetti di scavo.
Era necessario dunque disporre di un luogo separato dal resto dell’abitazione, concepito
appositamente per la ri lessione, dove saranno collocati gli strumenti di studio e i materiali di
collezione, in quanto testimonianze dell’antichità, che favoriscono il dialogo ideale con il
passato.
Nasce così lo studiolo, su un modello teorico di Petrarca nell’esaltazione della vita solitaria.
I primi studioli risalgono all’alto medioevo negli ambienti aristocratici:
811
• Nel testamento di Carlo Magno redatto da Eginardo, vengono descritti 4 ambienti della
torre: cappella, biblioteca, camera e vestarium.
1337
• Il primo esempio infatti si trova nella corte Ponti icia ad Avignone, nell’appartamento di
papa Benedetto XII nella Torre dell’Angelo che comprendeva: studio privato- camera
privata- camera di ricevimento- inestra sui giardini- camera del tesoro- archivio e
biblioteca.
1373
• Il Castello di Carlo V a Vincennes all’interno di un torrione orientato vs il bosco.
Anche l’elemento della Natura sarà rilevante poichè può essere d’ispirazione.
Petrarca nei suoi scritti raccolse tutte queste esperienze ed elabora un modello teorico in cui
recupera l’immagine del “turris speculationis” come luogo isolato che consente di osservare il
mondo e de inirne i con ini.
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Concezione studiolo umanista: uno spazio x la contemplazione e lo studio che porta l’uomo
rinascimentale ad una celebrazione di sè secondo una concezione antropocentrica.
Lo studiolo nel 400 divenne un ambiente privato di un palazzo dove solitamente il signore vi
si recava per dedicarsi allo studio o al ricevimento di ospiti di un certo rilievo.
Negli studioli delle grandi dinastie nobiliari le decorazioni erano legate a un programma
iconogra ico a idato di norma ad artisti per esaltare la personalità del committente possiamo
fare un esempio con lo studiolo di Lionello d’Este, quello di Isabella d’Este, quello di Federico
da Montefeltro e quello dei Medici.
Per quanto riguarda lo studiolo di Lionello d’Este venne messa in atto la volontà di esibire un
programma iconogra ico teso all’esaltazione del buon governo, scegliendo Apollo e le muse
come soggetti: le decorazioni erano attinenti alle arti liberali dove le muse rappresentavano le
virtù pubbliche e private.
COLLEZIONISMO MEDICEO
Una delle più cospicue collezioni 400esce fu naturalmente quella dei Medici, iniziata da
Cosimo il Vecchio, incrementata dal iglio Pietro il Gottoso, che trovò in Lorenzo il Magni ico
un appassionato e ra inatissimo continuatore, l’inventario redatto alla morte di Lorenzo nel
1492 ci consente di ricostruirne sia la consistenza e sia la disposizione.
Lo studiolo decorato con 12 tondi di Luca della Robbia ra iguranti i 12 mesi era collocato nella
zona più appartata del palazzo in via larga, i dipinti religiosi e oggetti sacri si mescolavano a
preziosi materiali profani tra i quali spiccava la raccolta di gemme, cammei, pietre incisive
provenienti in gran parte dalla celebre raccolta di Papa Paolo II.
Stando al racconto del Vasari Lorenzo il Magni ico aveva formato una scuola per giovani
artisti cui le sculture dovevano servire come materiale di studio per la propria formazione.
Il ruolo didattico della collezione cominciava dunque a pro ilarsi e troverà una prima
conferma nella creazione dell’Accademia delle arti e del disegno istituita da Cosimo I per poi
riproporsi nei musei settecenteschi come i Musei Capitolini , Brera e le gallerie di Venezia.
Inoltre il dilatarsi della collezione al di fuori dello studiolo occupando gli spazi esterni
costituirà un modello di riferimento per la disposizione delle raccolte nelle ville romane del
500.
Cosimo il Vecchio:
- Interesse per l’architettura e la scultura contemporanea
- Passione per la cultura classica (Seneca)
- Predilezione per l’arte antica, in particolare per la glittica (sigillo di Nerone)
- Nel 1451 vincolò alcuni oggetti della collezione impedendone ai suoi eredi l’alienazione,
non solo x il loro valore ma perchè rappresentavano la personalità della famiglia e cederli
avrebbe impoverito la sensibilità della famiglia.
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Piero il Gottoso:
- fece realizzare lo Scrittorio nel 1455
Lo studiolo di FdM è uno degli ambienti più celebri del Palazzo Ducale di Urbino, poiché oltre
ad essere un capolavoro di per sé è l’unico ambiente interno del palazzo ad essere rimasto
integro, venne realizzato tra il 1473 e il 1476, da artisti iamminghi appositamente chiamati a
corte.
Questo studiolo è diverso rispetto a quello dei Medici che hanno seguito la tradizione
rifacendosi a modelli esistenti, F volle ri lettere in questo luogo i suoi gusti e i suoi interessi
dando forma alla sua ambizione di essere sia un uomo d’armi che un uomo di lettere.
Infatti nel fregio della parete sono ra igurati 28 ritratti di uomini illustri non solo modelli
tradizionali ma anche contemporanei tra cui Sisto IV.
Rappresenta la massima espressione del genere dello studiolo aristocratico di età umanistica,
chiara manifestazione di un intento autocelebrativo del Signore, all’insegna dell’incontro tra
competenze politiche e sensibilità culturale.
Lo studiolo è un luogo piccolo, quasi nascosto (riprende dall’ umanesimo l’idea di luogo
isolato);
Si trova in un luogo sopraelevato (nell’angolo in prossimità dei torricini della facciata che
permetteva di guardare la natura e il paesaggio).
1478-1482
Studiolo di Gubbio (città natia) oggi al Metropolitan Museum;
più piccolo di quello di Urbino ma ne riprende il tema iconogra ico.
LO STUDIOLO DI ISABELLA D’ESTE: svolta nel collezionismo del 400 e degli studiosi in
generale.
L’avvio della collezione si colloca all’inizio dell’ultimo decennio del 400 (1490) quando
Isabella si trasferì a Mantova in seguito al matrimonio con Francesco Gonzaga e cominciò a
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sguinzagliare per tutti Italia i suoi agenti alla ricerca di cose antiche per allestire il suo studio,
e fu la prima e unica donna rinascimentale a possederne uno.
Il primo studiolo fu allestito nei pressi della torretta di San Nicolò della residenza Gonzaga a
Mantova, ed era collegato alla grotta, un ambiente sottostante con volta a botte che
accoglieva parte della collezione, principalmente statue e pezzi antichi per dare l’illusione di
far emergere dallo scavo della natura le antichità dando l’idea del confronto tra antico e
moderno, adottando una qualità di consapevolezza che i collezionisti precedenti non avevano
e la capacità di relazionare gli oggetti tra loro.
Il continuo incrementarsi della raccolta rese insu iciente lo spazio del primo studiolo,
inducendo Isabella a trasferirla nella Corte Vecchia del palazzo ducale (1519).
Nel 1522 lo spostamento era ultimato: ampliò il concetto di studiolo che divenne una vera e
propria collezione con ambizione di diventare un patrimonio.
Ogni ambiente aveva una sua funzione e caratterizzato in base al suo contenuto.
I nuovi ambienti erano tutti a pianterreno e vi si accedeva dal loggiato della corte,
incontrando la camera grande, a iancata dallo studiolo e la grotta, e in ine il giardino segreto
(x dare l’idea di una collezione che cresce nel tempo).
Il punto di svolta fu la volontà di Isabella di mettere il proprio marchio sulla collezione,
indicando che era il suo ambiente e non della sua casata, manifesta il desiderio di trasformare
la raccolta stessa in “un’opera d’arte” polimaterica, polifunzionale, di so isticata simbologia.
Inoltre anticipa il passaggio dallo studiolo alla galleria, infatti il suo studiolo era aperto agli
artisti anche in sua assenza, in quanto luogo di ispirazione e formazione.
Come si può dedurre da un inventario: Codice Stilini del 1542 ogni ambiente aveva una sua
funzione: nello studiolo erano stati riallestiti dipinti allegorici con l’aggiunta di due tele del
Correggio necessarie alle maggior ampiezza della stanza, nella grotta vi era il nucleo più
consistente della collezione, i camerini forse dedicati alla musica ospitavano come lo studiolo
oggetti di piccole dimensioni mentre all’esterno, nelle nicchie del giardino segreto e nella
loggia si disponevano sculture antiche di più ampio respiro che non potevano essere
collocate all’interno, in questo proposito di disposizione razionale si riconosce nello studiolo
di Isabella un signi icativo antecedente al museo moderno.
A Roma il collezionismo era orientato verso le antichità, davanti all’aggressione subita dai
monumenti antichi, spogliati da un mercato sempre più iorente e dal continuo incrementarsi
di scavi non autorizzati, si fece strada una nuova coscienza della necessità di tutelare il
patrimonio archeologico.
- Con Martino V Colonna si ebbero le prime leggi volte alla salvaguardia dei resti classici e al
loro restauro e nel 1425 con la bolla etsi de cunctarum si parlava di sacrilegio per chi
avesse o eso le antichità.
- Papa Pio II Piccolomini con la bolla cum almam nostram urbem del 1462 mise il divieto di
manomettere i resti antichi.
- Papa Gregorio XIII con la bolla quae publiche utilia del 1574 ribadiva l’istituzione del vincolo
sui beni privati di interesse storico artistico.
Questi principi vennero accolti anche dai successori e portano alla formulazione dell’Editto
del cardinale Pacca (1820), la più moderna legge di tutela dell’Italia preunitaria.
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A Roma si colloca uno degli episodi più signi icativi per la storia del museo:
1471
- Papa Sisto IV faceva dono al popolo romano di quattro sculture in bronzo:
La Lupa Capitolina , Lo spinario , Il Camillo e la testa di Costantino, ino allora situate davanti
San Giovanni Laterano e perciò simbolo della continuità tra Roma imperiale e Roma dei papi.
Fu un gesto di alto livello simbolico e politico che, mentre riconosceva il popolo romano
come legittimo depositario delle opere, a ermava l’egemonia del potere papale sul
Campidoglio.
La restituzione di Sisto IV costituisce l’atto di nascita delle collezioni Capitoline, ma solo in età
illuminista, quando la pubblica utilità sarà considerata un caposaldo delle funzioni museali
sfocerà nell’apertura dei musei capitolini, tra i primi in Europa, e verranno inaugurati nel 1734.
1519
- Lettera di Ra aello a papa Leone X: documento fondamentale per la storia della tutela del
patrimonio, in cui denuncia gli scempi di alcune opere d’arte è chiede al papà di prendere
una posizione in merito ad esse.
- Nel 1516 Ra aello è nominato ispettore generale delle Belle Arti.
1550/1565
Fruizione limitata, riservata a pochi, prevalenza di residenze ecclesiastiche.
1580/1600
Maggiore accessibilità delle raccolte sull’in luenza della Controriforma.
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La collezione ci è nota grazie a un inventario topogra ico del 1588 che ci permette di
ricostruire l’esatto disposizione delle opere della residenza di Villa Medici a Trinità dei Monti.
La novità sta nella lunga galleria riservata esclusivamente alla statuaria antica.
LA GALLERIA
Di usa in Francia la galleria viene introdotto in Italia con speci ica funzione espositiva, che ne
accentua gli aspetti scenogra ici e si predisponeva ad accogliere la statuaria scandendo le
pareti con nicchie su più ordini rivestendosi di superbe decorazioni.
Dunque c'è un progressivo passaggio dallo studiolo alla galleria, in quanto già dagli anni
70-80 del 500 lo spazio è meno privato, è un luogo da esibire e nel quale mostrare sé
medesimi attraverso i dipinti e gli oggetti.
La galleria era: uno spazio ampio longitudinale, spesso a rescata con volta, spazio espositivo
aperto al pubblico.
La galleria curava gli aspetti scenogra ici e veniva predisposta x accogliere la statuaria che si
combinava con decorazione pittorica e antiquaria.
A Torino
vi era la Grande Galleria (distrutta nell’800) che collegava Palazzo Madama con il Palazzo
Nuovo (cioè quello ducale), quindi l’antico con il nuovo.
Il progetto originale di Carlo Emanuele I di Savoia prevedeva una celebrazione dei Savoia: i
dipinti dei duchi dovevano essere collocati tra le inestre e sotto di essi delle sculture facenti
parte delle collezioni ducali.
Tuttavia si decise di sistemare in alto i ritratti degli antenati e in basso gli armadi di legno
contenenti migliaia di volumi, divisi in classi tematiche, collezionati dal duca; sopra gli armadi
si disposero dei busti antichi.
1584
A Roma
il cardinale Ferdinando de’ Medici aveva messo insieme un ingente raccolta di marmi antichi e
dipinti moderni tra cui Ra aello, Andrea del Sarto Tiziano e Jacopo Zucchi, la collezione nota
grazie ad un inventario topogra ico stilato nel 1588.
Sul prospetto della villa verso il giardino erano impaginati i fregi e bassorilievi che
anticipavano al visitatore lo splendore dell’interno, la grande novità però di Villa Medici era
una lunga galleria ultimata nel 1584 che si protendeva nel giardino sul lato destro dell’edi icio,
collegata alla residenza ma non utilizzata come abitazione infatti era riservata esclusivamente
alla statuaria antica.
Gallerie tardo500esche:
- Palazzo Spada;
- Palazzo Farnese;
- Antiquarium di Alberto V di Baviera
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1565
Curatore di Alberto V era il medico belga Samuel Quiccheberg, che descrive la collezione in
un' opera che si può considerare in assoluto il primo trattato di museogra ia.
Ispirato all'idea di disporre oggetti d'arte e oggetti naturalistici come in una scenogra ia
teatrale rivolta a tutti gli aspetti della realtà);
- Galleria Borghese: Carattere «pubblico» (apertura esterna, esposizione di statue in
facciata)
- La galleria é legata direttamente al giardino, forma di eclettismo che mette in relazione
natura e arte (teatro dell’universo)
- Espressione del collezionismo del Cardinale Scipione Borghese, frutto di commissioni
importanti e di operazioni spregiudicate.
1650
Descrizione di Manili sulla disposizione degli oggetti nella G.B da cui emerge una tendenza a
mettere in relazione antico e moderno.
A Firenze
1584
si veri ica uno dei passaggi più importanti per la storia dei musei, nato con la volontà del
granduca Francesco I di trasferire negli ambienti luminosi dei palazzi degli U izi le collezioni
che il Padre aveva riunito nella sala delle carte geogra iche di Palazzo Vecchio, veniva così
sancita la volontà e la vocazione museale del nuovo edi icio che, da sede degli u ici
amministrativi del granducato si trasforma in un organismo dedicato all’esposizione delle
collezioni dinastiche e fortemente improntato al ine politico della celebrazione
dell’assolutismo mediceo, il culmine del nuovo progetto era la tribuna ottagonale.
Si apriva dunque un vero e proprio spazio museale con i requisiti del pubblico godimento e le
cui strutture architettoniche ovvero la galleria è la sala a pianta centrale avrebbero costituito
per qualche secolo un modello museogra ico di riferimento.
Secondo collezione privata aperta al pubblico (dopo la donazione di Sisto IV del 1471).
Anche Venezia
sul inire del secolo ebbe il suo museo pubblico.
1523
Domenico Grimani con il suo testamento del 16 agosto 1523 destinava alla repubblica di
Venezia vari dipinti, il Breviario e i marmi della sua collezione, con l’esplicito di costruire un
museo pubblico.
La raccolta venne acquistata dalla repubblica e inizialmente collocate nel Palazzo Ducale e
solo con il nipote Giovanni Grimani la raccolta fu completata e nacque lo Statuario Biblico.
1587
Alla morte di Giovanni Grimani con il suo testamento chiese che la sua raccolta venisse unita
a quella dello zio in un luogo adeguato con un’illuminazione ideale possibilmente dall’alto.
La collezione Grimani viene dunque collocata nell’antisala della biblioteca di San Marco
(Libreria Marciana).
La morte di Giovanni nel 1593 gli impedì di vedere l’apertura dello statuario pubblico che fu
u icialmente consegnato alla città il 19 agosto 1596.
Ex di Museo Evergetico: museo che da propietà privata diventa pubblica grazie a una
donazione.
1536/1543
Strettamente privata invece è la collezione di Paolo Giovio, allestita nella sua villa sul lago di
Como; la costruzione aveva al centro un cortile nei cui portici erano esposti oggetti d’arte, a
essi si a iancava un salone decorato che ospitava il nucleo caratterizzante della collezione.
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Villa ispirata ai modelli antichi (villa di Plinio il Giovane), de inita «iocundissimus museo»
Luigi Spezzato, in un saggio ci parla del collezionismo a Roma del 600 in cui si a erma un
gusto
«moderno», dalla ricerca di una sorta di “eclettismo stilistico” (ricerca della varietà) e da un
fenomeno di «laicizzazione», nel senso di capacità di disgiungere il signi icato iconogra ico (e
il conseguente valore iconico) dalla «qualità» esecutiva dell’opera.
Emerge il concetto di autonomia del bello (casi delle opere ri iutate e acquisite dal
collezionismo privato / Morte della Vergine di Caravaggio)
Cassiano del Pozzo e Giulio Mancini: indicazioni in merito ai criteri di allestimento delle
collezioni pittoriche del 600
1620
Considerazioni sulla Pittura del medico e conoscitore Giulio Mancini.
Fornisce indicazioni sulle regole da seguire nell’allestimento per scuole e cronologia, nella
ricerca di una coerenza tra temi e spazi di esposizione.
A proposito della galleria, consiglia di procedere con una disposizione «secondo le materie, il
modo del colorito, il tempo nel quale sono state fatte e della scuola»
1629
Cassiano dal Pozzo, legato alla produzione artistica, al collezionismo e anche alla collezione
scienti ica, ci lascia una lettera in cui ci dà informazioni su come le opere fossero collocate
all’interno dei palazzi: ci dice che vuole comprare e disporre quadri di architettura e paesaggi
rispettando lo stesso punto di vista, rispondere ad un rigore di concezione prospettica da
parte dello spettatore.
Libro di Francis Gage che riguarda Giulio Mancini collega gli scritti di Mancini con le
competenze mediche di Mancini: quello che emerge è che la di usione della pittura di
paesaggio fosse legata ad una ricerca di condizione di benessere psicologico e isico; gli
scritti di Mancini sembrano accompagnare questa proposta.
Altre collezioni
Tra il ‘500 e il ‘600 è però la dinastia degli Asburgo, regnante in Spagna e nei territori del
Sacro Romano Impero, la detentrice del gusto.
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Era di icile contestare l’autorevolezza di queste a ermazioni, qui non si parla ancora di
scienza ma di iloso ia della natura.
- le raccolte scienti iche che derivano dalle wunderkammer, man mano si formeranno delle
raccolte con intenti più specialistici che saranno il germe delle raccolte scienti iche vere e
proprie, luoghi di studio e ricerca.
Per quanto riguarda le novità a partire dal 600 la quadreria acquisisce un ruolo fondamentale,
essa è una modalità espositiva tipica del 700 in cui le pareti dello spazio vengono
completamente rivestite di quadri senza intervalli come per esempio galleria Doria Pamphili,
galleria Colonna galleria Corsini (collezioni private).
In Italia per proteggere le raccolte nobiliari dalla dispersione, viene introdotto nel 600 il
fedecommesso con l’obbligo di trasmettere intatto il patrimonio da una generazione a
un’altra, tale vincolo consentì la sopravvivenza di molte collezioni storiche.
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Il fedecommesso fu abolito dalla Rivoluzione Francese e poi dal codice Napoleonico.
Tale vincolo consentì la sopravvivenza di molte collezioni storiche che si conservano ancora
oggi.
Inoltre l’emorragia preoccupante di statue antiche a favore di acquirenti europei indusse papa
Clemente XII a impedirne l’esportazione.
1733
Editto Albani : con cui fermò la vendita di 400 sculture della collezione di famiglia che il
fratello Alessandro stava vendendo.
Questo nucleo di oltre 400 sculture, costituito per la maggior parte da ritratti, fu donato dal
papa alle Collezioni Capitoline, aggiungendosi alle donazione di Sisto IV.
L'acquisto determinò la destinazione museale del Palazzo Nuovo, la cui costruzione, era
iniziata nel 1603 e portata a termine verso la metà del 600 dall'architetto Carlo Rainaldi.
1734
Nasceva così la prima raccolta pubblica di antichità, con l’apertura dei Musei Capitolini.
La raccolta venne ordinata secondo nuclei tematici (Sala degli Imperatori, Sala dei Filoso i), e
secondo scelte estetiche incentrate sul capolavoro (Sala del Fauno, Sala del Gladiatore,
Gabinetto della Venere).
La disposizione originaria delle opere è ancor oggi sostanzialmente rispettata, facendo dei
Musei Capitolini una preziosa testimonianza del colto collezionismo dei secoli passati.
Lo studio della statuaria antica, possibile solo attraverso un museo pubblico, veniva
riconosciuto come un elemento fondamentale nella formazione degli artisti: per questo fu
istituita nello stesso anno, l'Accademia Capitolina, la cui Scuola di nudo, attraverso le statue
romane, era strettamente collegata alle collezioni.
1748
In seguito di Clemente XII, e Benedetto XIV acquistarono due delle più importanti collezioni
romane di dipinti cioè quelle del marchese Sacchettti e del principe Pio da Capri e istituirono
la Pinacoteca Capitolina che veniva ad a iancare il museo archeologico nel 1749, anche a
bene icio degli allievi che potevano così accedere allo studio diretto dei grandi modelli della
pittura italiana.
Si a ermava in tal modo quel nesso tra museo e accademia che sarà alla base del museo
800esco.
1737
In onore di questa nuova consapevolezza, Anna Maria Ludovica, stipulò il ‘Patto di Famiglia’,
con cui legava le collezioni granducali a Firenze.
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Per l'apertura della Galleria degli U izi occorrerà attendere il 1769, ma si erano ormai issate le
premesse per l'istituzione del museo pubblico.
1704
Una prima indicazione risale al 1704 quando Leonhard Cristoph Sturm pubblicò la pianta di un
museo ideale dove i vari ambienti erano dedicati ciascuno a una particolare categoria di
oggetti.
1736
Scipione Ma ei propone la costruzione del Il Museo Lapidario di Verona che corrisponde a
questo nuovo criterio di allestimento basandosi sull’idea dell’ abate Lodoli della Galleria
Progressiva che adottava l’ordine cronologico come criterio piú razionale per la disposizione
delle opere, in quanto consente attraverso il confronto di mostrare passo passo l’evoluzione
dell’arte e del disegno.
Successivamente il concetto ispira intenditori in tutta Europa.
Tale organizzazione si espande mai musei egemonici e i musei di antichità del XVIII secolo
non possono adottarla per la mancanza di una cronologia dei loro pezzi.
Si tratta di un museo specialistico dedicato all’esposizione di epigra i, che aveva avuto solo
un illustre precedente a Brescia, dove verso il 1490 era stato allestito con pubblico decreto
un Lapidarium sulla facciata del bramantesco Monte Vecchio di Pietà.
I principi alla base del suo progetto erano basati sulla numismatica ed epigra ia de inite
‘antichità parlanti’ prezioso supporto della ricerca storica ma per diventare un ausilio
concreto bisogna studiare gli originali, non ci si può accontentare di trascrizioni.
Da qui nasce la necessità di istituire musei pubblici dove le epigra i possano essere
conservate e messe a disposizione della comunità scienti ica.
Inoltre antepone gli aspetti decorativi all’esibizione dei pezzi per il concetto di funzionalità in
un ri iuto dell’estetica a favore del razionalismo illuminista.
Altro elemento di Novità: è dato dal fatto che questi musei specialistici erano intimamente
radicati nel territorio, anticipando il concetto dei Musei Civici dell’800 di luoghi depositari
delle memoria e delle cultura locali.
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I MUSEI DELL’ILLUMINISMO
Nella seconda metà del Settecento la trasformazione delle raccolte principesche in musei
rivolti alla "pubblica utilità" si espande in tutta Europa.
Non sempre, però, i nuovi musei sono frutto del gesto di liberalità di un principe.
1753
Il British Museum fu il primo museo pubblico nazionale.
Nasce dalla volontà del Parlamento Inglese che aveva acquistato la collezione del celebre
scienziato Sir Hans Sloane (successore d Newton alla presidenza della Royal Society).
La prima sede 600esca fu Montagu House, palazzo tardobarocco, dove nel 1759 fu
inaugurata la sala di lettura per gli studenti e le raccolte sia artistiche che scienti iche
vennero aperte al pubblico.
L’originalità vocazione scienti ica cedette nel tempo a una connotazione sempre + precisa sul
versante archeologico.
1722-1816
Grazie all’acquisizione della collezione di ceramiche greche di Lord Harnilton e con
l’acquisizione di Lord Elgin dei Marmi del Partenone (1816)che porteranno al trasferimento del
Museo in un edi icio + adeguato interamente dedicato all’archeologia nel 1832.
L'Inghilterra prosegue nell'Ottocento il suo impegno nella fondazione di musei realizzati con
inanziamenti pubblici, secondo la tradizione iniziata con il British Museum.
L'intervento più recente (concluso nel 2000), che ha profondamente modi icato l'aspetto
interno del British Museum, si deve all'architetto Norman Foster, che ha disteso sul cortile una
leggera volta vetrata trasformando la Great Court con al centro la vecchia sede della British
Library in una grande piazza coperta, accogliente e funzionale spazio di sosta.
I musei in qui considerati sono il frutto di una trasformazione o di un adattamento di edi ici
preesistenti:
- i Capitolini utilizzano il palazzo edi icato nel Seicento su disegno di Michelangelo;
- il British si sistema in un edi icio del secolo precedente e così sarà per gli U izzi, per il
Belvedere
di Vienna.
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1769/1777
Fu realizzato uno dei primi edi ici con speci ica destinazione museale a Kassel per volontà di
Federico II, che ne diede incarico all'architetto Simon Louis du Ry.
È un edi icio imponente destinato all’esposizione di una collezione enciclopedica che riuniva
opere d'arte, strumenti scienti ici, armature, reperti naturalistici, perciò era stata adottata una
razionale esposizione per tipologie.
Il prospetto del Museo Federiciano introduce il tema del tempio classico come connotazione
speci ica della progettazione museale, tema che verrà declinato nei principali musei
dell'Ottocento e la cui straordinaria fortuna durerà per oltre un secolo, ino a ritrovarlo, nel
1941 , nel prospetto della National Gallery di Washington.
1786
Anche la Spagna
sentiva l’esigenza di dotarsi di un grande museo per accogliere le collezioni reali.
Come il British Museum, anche il Prado era all'origine un museo dedicato alle scienze
naturali, voluto da Carlo III.
Il progetto iniziale di questa cittadella del sapere scienti ico era stato a idato dal re
all'architetto di corte, Juan de Villanueva.
L'edi icio da lui realizzato, seriamente danneggiato durante l'occupazione francese fu
ricostruito dopo la caduta di Napoleone.
1819 inaugurato
Nasce come museo dedicato alle scienze naturali nell’ambito di un grande progetto di
revisione urbanistica del centro cittadino che aveva come fulcro l’Accademia delle Scienze.
Il perfetto equilibrio delle strutture, l' armoniosa varietà delle sale interne, ellittiche, a pianta
centrale, con volte a botte, hanno fatto del Prado uno dei più alti esempi della museogra ia
neoclassica, tanto da essere preso a modello dalla National Gallery of Art di Washington.
1769
Apertura degli U izzi al pubblico.
Il primo passo era stato fatto dall'ultima erede dei Medici (Anna Maria Ludovica) che, nel
cedere ai Lorena le collezioni granducali con il ‘Patto di Famiglia’, le aveva vincolate come
bene inalienabile alla città di Firenze.
Ma si deve a Pietro Leopoldo di Lorena, iglio di Maria Teresa d'Austria ed erede del titolo di
granduca di Toscana la rinuncia a gestire le collezioni come bene personale demandando
invece la loro cura allo Stato.
È vero che in dal Cinquecento, per iniziativa del granduca Francesco l, le collezioni medicee
erano accessibili a un pubblico selezionato, ma si trattava a quei tempi di un'iniziativa
propagandistica, volta a celebrare i fasti della dinastia e non certo ansiosa di servire
all'interesse pubblico.
Da questo momento invece, il museo si poneva scopi didattici e di educazione,
riorganizzando a tal ine la presentazione delle raccolte.
Il Primo direttore della Galleria degli U izi fu Giuseppe Pelli Bencivenni che, assumendo tale
ruolo tra il 1775 e il 1793, si occupò del riordino delle collezioni.
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1782
Fondamentale fu l'apporto dell'abate Luigi Lanzi nella sistemazione del settore delle antichità
e nell’allestimento della Sala della Niobe.
Luigi Lanzi pubblica La Real Galleria di Firenze accresciuta e riordinata
Da questo momento l’ordinamento delle raccolte seguì criteri sempre + nuovi, era articolata
per scuole regionali e basata sul disegno di un'evoluzione artistica che in larga parte ri lette
ancora la storiogra ia tradizionale (approccio storicistico dell’illuminismo alla storia dell’arte),
erano in sequenza cronologica e vi era un catalogo delle raccolte.
1738
Anche il Regno di Napoli partecipa al processo di liberalizzazione dell'accesso alle raccolte
dinastiche: Carlo di Borbone, iglio di Filippo V di Spagna e dell'ultima erede dei Farnese,
Elisabetta, aveva ereditato dalla madre la collezione di famiglia mentre la raccolta
archeologica si trovava nel palazzo farnesiano di Roma.
Divenuto re col nome di Carlo III, il sovrano fece trasportare le collezioni nel Palazzo Reale di
Napoli istituendo nel 1738 il Museo Farnesiano.
1759
Fu però nella nuova reggia di Capodimonte che, il museo apri al pubblico, ospitando anche
oggetti attinenti alle scienze naturali.
Dalle testimonianze dei visitatori - tra i quali Winckelmann, Goethe, Canova - risulta che la
collezione dei dipinti era allestita "a QUADRERIA", cioè in una itta disposizione su più ordini
come nelle gallerie barocche, ma era ordinata per generi, per singoli autori e per scuole
pittoriche nazionali.
Merito di Carlo III fu anche quello di tutelare le antichità di Ercolano e di Pompei.
1777
Il progetto venne poi portato a termine dal iglio Ferdinando IV che trasferì i due nuclei del
museo Farnesiano e del museo Hercolanese nel Palazzo dei Regi Studi dove venne istituito il
Real Museo Borbonico.
L'apertura di tanti musei nel corso del Settecento non interferì sulle iniziative del
collezionismo privato che, specialmente a Roma, continuava a essere alimentato da un
mercato antiquario quanto mai vivace.
Uno degli esempi più rilevanti è la decisione di Alessandro Albani, collezionista esperto, di
farsi costruire una villa suburbana, sulla via Salaria, dove collocare le sue raccolte d'antichità.
Non si trattava di una residenza ma di un edi icio deputato soltanto all'esposizione, neanche
un museo perché escludeva la presenza del pubblico.
Nel prospetto della villa si avverte ancora il legame di Marchionni con il gusto tardobarocco,
mentre all'interno il salone centrale esibisce col Parnaso di Mengs (1761) il più puntuale
manifesto della nascente arte neoclassica.
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Ma quello che fa di Villa Albani un modello di riferimento è il rapporto tra gli oggetti esposti e
lo spazio, che per la prima volta si piega alle esigenze della collezione tralasciando gli e etti
decorativi a favore di una migliore leggibilità delle opere.
Nuova è anche la rinuncia a collocare le sculture all’aperto, nonché la promozione di
interventi di restauro non più soggettivi e fantasiosi come in passato ma condotti sulla base
della ricerca archeologica.
Di questi si occupò a lungo Bartolomeo Cavaceppi, il più celebre restauratore del tempo, che
illustrò i propri interventi in una sorta di "carta del restauro" ante litteram.
La villa del cardinale diventerà un modello di riferimento per il Museo Pio-Clementino.
1763
Winckelmann veniva nominato commissario delle antichità di Roma, anche se già in
precedenza aveva assistito il ponte ice nella creazione di un museo:
1757
Benedetto XIV con il Museo delle antichità cristiane con lo scopo di contribuire allo studio
della storia del Cristianesimo.
1761
Anche Clemente XIII si avvalse della collaborazione con Winckelmann per fondare un Museo
dedicato ai reperti etruschi e romani- Museo Profano-.
1770
inizio lavori su programma di Alessandro Dori
L’edi icio, nato per altri scopi, venne riadattato trasformando l’ambiente principale, una
grande loggia divisa in vari ambienti, in un’unica vasta galleria e collegandola al cortile
facendone un organismo unitario.
Per la decorazione intervenne Michelangelo Simonetti che collegò la galleria delle statue al
cortile facendone un organismo unico, aggiungendovi un portico ionico dove si alternano
aperture ad archi e centinate.
L’accesso al museo veniva realizzato sul lato orientale del cortile dove era collocato il
vestibolo rotondo, il museo si poneva all’insegna del riuso recuperando ambienti e materiali
preesistenti.
All’ingresso si trovava una targa con la scritta museo Clementino.
L’intervento venne e ettuato rispettando però l’ambiente quattrocentesco, lasciando intatta
la cappella a rescata da Mantegna, in quanto aveva come obbiettivo rimettere in onore il
cortile del Bramante e fare di questa reliquia rinascimentale il fulcro del museo.
Morto Clemente, Pio VI riprese i lavori con nuove ambizioni: il museo doveva ribadire il
prestigio del Papa.
Gli interventi da lui promossi, si articolano in 3 fasi:
1776
- Il prolungamento della Galleria delle statue
Fu un intervento di continuità, dettato dalla volontà di aumentare lo spazio delle gallerie,
aggiungendo 5 campate senza però determinare fratture;
tale intervento comportò tuttavia la demolizione della Cappella di Mantegna.
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1778/1784
- La sequenza delle Sale Romane: ambienti di chiara ispirazione neoclassica (la basilica, il
tempio di Minerva Medica, le terme, il Pantheon: dovendo creare una cornice per una grande
collezione archeologica).
1781/1792
Alla morte di Simonetti, fu sostituito da Giuseppe Camporese, che ne realizzò i progetti
rimasti incompiuti e costruì, in forme sempli icate e più sobrie, l'Atrio dei Quattro Cancelli e la
Sala della Biga.
Il Museo Pio-Clementino, invece, non era aperto al pubblico ma facilmente accessibile per chi
avesse interesse a visitarlo, come racconta Goethe ricordando una visita compiuta al lume
delle iaccole.
In generale possiamo dire che il museo illuminista apriva le collezioni ma non era pubblico
come lo intendiamo noi oggi, ma piuttosto l'accesso era reso possibile a un numero
circoscritto, seppur più ampio, di persone, a seconda della volontà del proprietario; solo con
la Rivoluzione Francese verrà riconosciuto a tutti il diritto a frequentare musei, compiendo il
passo decisivo verso il loro ruolo di istituzioni votate alla "pubblica utilità"
Winckelmann a erma che ai Musei Capitolini l'accesso era libero dalla mattina alla sera,
mentre risulta che al British Museum l'ingresso fosse limitato e a pagamento; il Palais du
Luxembourg era aperto sei ore alla settimana.
LOUVRE
Dibattito che preparò la nascita del Louvre.
Nel processo di istituzione dei musei pubblici in atto in Europa nel 700 la Francia occupa un
ruolo particolare.
Le collezioni reali che erano custodite a Versailles non erano visitabili mentre l’Accademia
reale della pittura e della scultura aveva il monopolio del sistema dell’arte attraverso i saloni
dove si imponeva il gusto artistico.
Molte furono le richieste per l’apertura delle collezioni reali per ini di studio, come quella di
Etienne La Font ce chiedeva l’apertura della galleria del Louvre come sede per l’esposizione
pubblica, esprimendo anche preoccupazione per lo stato di conservazione di una raccolta di
dipinti chiusa nella residenza del re e priva di manutenzione.
1749
Le richieste vennero parzialmente accolte dal Marchese di Marigny che mise a disposizione
una serie di sale nel palazzo di Lussemburgo dove a luirono una serie di dipinti scelti tra i
migliori della collezione reale e dove già si trovava la celebre serie di 24 tele commemorative
di Rubens del 1622 x celebrare la vita di Maria de’ Medici.
La collezione reale quindi venne esposta a Luxemburg a partire dal 1750, aperto 3 ore al
giorno a tutti, il mercoledì e il sabato,questa illusione del museo pubblico durò poco, infatti fu
chiuso nel 1779 perché il fratello del re rivendicò l’uso del palazzo.
Dal 1775
Il conte Charles D’Angiviler (successore di Marigny) si fece promotore della trasformazione
del Louvre in palazzo delle arti, att progetti di ristrutturazione della grande galleria per
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migliorare l’illuminazione con apertura di lucernari ma per i veri e propri progressi bisogna
tendere alla rivoluzione.
Il 10 agosto 1793
nasce così il Louvre in seguito alla rivoluzione francese che porta alla con isca dei beni reali,
ecclesiastici e degli aristocratici.
In generale la Grand Galerie aveva un aspetto ben lontano dall'eleganza dei contemporanei
musei italiani quali il Pio-Clementino o gli U izi.
La svolta venne con le campagne napoleoniche, quando i "furti d'arte" (Wescher) fecero
a luire a Parigi centinaia di dipinti, sculture e oggetti d'arte dai paesi conquistati.
Dal 1803
Il Louvre venne ribattezzato Museo Napoleone.
Al seguito dell’Imperatore c’era Dominique Vivant-Denon, con il ruolo di disegnare e
catalogare il materiale archeologico egizio: egli si legò a Napoleone, che ne fece nel 1802 il
direttore del Musè.
Il nuovo direttore doveva confrontarsi con un enorme lavoro di riordino delle opere a luite
negli anni dell’Impero napoleonico.
Operazione che fu realizzata adottando il già collaudato criterio della suddivisione per
scuole;
Ma anche di assicurare dei inanziamenti al museo che si ottennero anche attraverso la
vendita di stampe tratte dalle opere esposte e dei cataloghi dedicati alle varie sezioni delle
raccolte.
Dal punto di vista museogra ico, gli architetti Perder e Fontaine davano un volto nuovo alla
Grande Galerie realizzando aperture laterali nella volta.
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Inoltre fu realizzato lo scalone monumentale che rendeva più solenne l’accesso al museo.
CAMPAGNE NAPOLEONICHE
La prima o ensiva investì i Paesi Bassi, poi toccò all’Italia: i commissari incaricati delle
requisizioni portarono via un lungo elenco di capolavori, dal cartone della Scuola di Atene di
Ra aello alla Pala di San Zeno del Mantegna, ai capolavori del Correggio, dei Carracci, del
Domenichino e di Guido Reni.
D’altra parte l’avanzata non incontrava ostacoli poiché sia nei territori sottomessi all’Austria
che in quelli della Chiesa l’inso erenza era tale da far apparire Napoleone come un liberatore.
Per mascherare le sue razzie e rivestirle di una parvenza di legalità, Napoleone aveva inserito
le spoliazioni come clausole negli armistizi e nei trattati di pace con le varie nazioni.
1797
Così, ad esempio, col Trattato di Campoformio, Venezia veniva ceduta all’Austria ma pagava
un tributo doloroso alle armate napoleoniche che si impossessavano dei Cavalli di San Marco
e di opere di Tiziano, Tintoretto e Veronese, imbarcate verso Marsiglia e da lì convogliate a
Parigi.
Nel trattato di Tolentino (trattato di pace irmato dai delegati ponti ici) dopo i saccheggi
compiuti in Emilia, in Umbria e nelle Marche che fruttarono al Louvre uno dei nuclei più
consistenti delle sue raccolte, si istituiva il principio che la Francia diveniva proprietaria delle
opere requisite, e la stessa formula veniva utilizzata nelle conquiste successive, il Direttorio si
giusti icava sostenendo che le opere d’arte dovevano essere portate nella patria della libertà
che avrebbe anche provveduto a una loro migliore conservazione.
Il bottino più ricco, tuttavia, fu raccolto a Roma, dove, deposto papa Pio VI, si proclamò la
Repubblica e vennero saccheggiate sculture che in dal Rinascimento erano state ammirate
nel bramantesco Cortile delle Statue, come il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere, e i
capolavori dei Musei Capitolini.
A ciò si aggiungevano gli episodi di vandalismo (ore icerie private di pietre preziose, oro fuso)
e il commercio di opere considerate di minor pregio.
Il bottino venne portato in trionfo per le vie di Parigi al pari dei cortei romani per esaltare il
potere francese.
Nel 1806 ricominciarono le spedizioni napoleoniche, in Russia, poi in Spagna e Austria, dando
avvio pertanto a nuove razzie, sempre con Vivant-Denon al seguito. Nell’ultima campagna in
Italia, nel 1811, ci fu una svolta, con la scoperta dei Primitivi Italiani, trascurati nelle precedenti
requisizioni, come Cimabue, Giotto, Gentile da Fabriano, Beato Angelico.
LE RESTITUZIONI
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Il recupero fu tuttavia parziale: guidato dal suo gusto classicista Canova ignorò molte opere
ad esso estranee e non riuscì a riportare in Italia tutte le opere, ma almeno quelle più preziose
delle collezioni apostoliche ritornarono in sede.
Gli austriaci si occuparono invece delle restituzioni delle opere sottratte al Lombardo-Veneto:
particolarmente ostico fu il recupero dei cavalli di San Marco che rappresentavano un
simbolo del potere francese. Il recupero venne infatti svolto di notte.
La riappropriazione delle opere fece nascere in tutti gli Stati un nuovo sentimento: La
coscienza
dell'appartenenza a un popolo del patrimonio artistico come fondamento della sua unità
culturale.
Il percorso era cronologico e legato all'idea del progresso delle arti, che l'allestimento
sottolineava variando l'intensità della luce: il visitatore veniva accompagnato dall'oscurità
delle sale medievali alla sempre più viva illuminazione delle sale inali, che testimoniavano la
perfezione raggiunta.
Osteggiato da Quatremere de Quincy, il museo fu smantellato nel 1816 e le opere ricollocate
nei luoghi d’origine.
Era la vittoria del contesto sullo sradicamento,del principio di unione fra luoghi e opere, tanto
caro a Quincy.
Una delle conseguenze delle spoliazioni napoleoniche fu una più matura coscienza della
responsabilità dello Stato nella tutela del patrimonio artistico, visto ormai come un bene di
tutti.
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1802
Per questo Pio VII redasse il Chirografo: documento scritto a mano che costituì il primo
nucleo organico di leggi per la tutela del patrimonio artistico e archeologico nello Stato
Ponti icio.
Fu interdetta:
- l’esportazione di statue, mosaici, vasi, vetri, medaglioni, frammenti architettonici antichi e
dipinti rinascimentali;
- Si impose ai privati di fare inventari annuali delle loro collezioni di antichità e di inviarne
l’elenco al papa;
- Nessuno scavo doveva avvenire senza autorizzazione;
- E soprattutto le collezioni papali dovevano essere reintegrate e favorire anche gli artisti
migliorando l’insegnamento e facilitando gli studi con premi.
A questo fece seguito l'Editto del cardinale Doria Pamphilj (carmelongo) : ispirato
dall'archeologo e giurista Carlo Fea, allora commissario delle antichità e degli scavi.
Introduce principi normativi di grande modernità perché estende la tutela anche al
patrimonio mobile, sia pubblico sia privato, elenca nel dettaglio le opere inalienabili.
Da queste premesse si giungerà nel 1820 all'Editto del cardinal Pacca, che rappresenta il
fondamento della legislazione italiana in materia di tutela.
È il primo ed organico provvedimento legislativo di protezione storica artistica che assume
importanza anche al di fuori dello Stato Ponti icio.
Nel XVIII secolo, infatti, per la prima volta vengono a rontati i grandi temi della catalogazione
e del restauro, sono ampliati gli organici per l’azione di salvaguardia ed è istituita la carica di
ispettore generale.
In questo campo è lo Stato Ponti icio a vantare la più antica tradizione.
E’, quindi, a Roma che si hanno le prime e più signi icative forme d’intervento sovrano per
impedire la distruzione e la dispersione delle ricchezze dell’arte e dei resti archeologici.
Quali esperienze tra 700 e 800 testimoniano l’a iancamento della raccolta museale alla
pratica dell’Accademia di formazione per gli artisti?
L’a iancamento della raccolta museale alla pratica dell’accademia di formazione per gli artisti
ha origini a partire dal collezionismo mediceo stando al racconto del Vasari, Lorenzo il
Magni ico aveva formato una scuola per giovani artisti cui le sculture dovevano servire come
materiale di studio per la propria formazione.
Il ruolo didattico della collezione cominciava dunque a pro ilarsi e troverà una prima
conferma nella creazione dell’Accademia delle arti e del disegno istituita da Cosimo I per poi
travare un continuo nella Galleria di Isabella d’Este sempre aperta agli artisti anche in sua
assenza per poi riproporsi nei musei settecenteschi come i Musei Capitolini dove lo studio
della statuaria classica veniva riconosciuto come elemento fondamentale la formazione degli
artisti per questo nel 1734 fu istituita l’Accademia capitolina, la cui Scuola di Nudo attraverso
le statue romane era strettamente legata alle collezioni, la Pinacoteca di Brera, che grazie
all’azione di Bossi si rivolse a impostare su basi diverse l'organizzazione dell'Accademia, sia
sotto il pro ilo gestionale, sia nell'ambito più strettamente didattico.
Tale rinnovamento sfociò nella stesura degli Statuti che consentirono l'apertura u iciale
dell'Accademia (25 ottobre 1803) come Accademia Nazionale.
Anche a Venezia le Gallerie dell'Accademia nascevano nel 1807 con le stesse modalità di
quelle di Brera.
Bologna
Aveva la sua grande tradizione accademica sin da quando i Carracci vi avevano fondato
l’Accademia degli Incamminati (1582);
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A Roma
Clemente XI aveva fondato l’Accademia Clementina (1711), trasformata poi in Accademia
Nazionale dai Francesi (1802) e trasferita nel noviziato gesuita di Sant’Ignazio, dove viene
incrementata attraverso le spoliazioni di enti ecclesiastici.
a Venezia
le Gallerie dell'Accademia nascevano nel 1807 con le stesse modalità di quella di Brera.
Un ruolo importante nella loro formazione fu ricoperto dal restauratore Pietro Edwards,
nominato nel 1771, direttore del restauro delle pubbliche pitture.
A lui si deve un documento di straordinaria modernità che anticipa di due secoli la Carta del
restauro promulgata nel 1972 dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Il "decalogo" di Edwards issa le norme per l'intervento sulle opere pubbliche sottolineando
l'obbligo di rispettare la materia originale e di documentare la metodologia dell'intervento, di
uti- lizzare prodotti di cui fossero note le modalità di rimozione e quindi già pre igurando il
principio della reversibilità del restauro.
Orientamenti diversi distinguono i tre musei napoleonici nel Regno d’Italia: enciclopedico per
Brera, rappresentative della gloriosa tradizione regionale quelli di Bologna e Venezia.
Tutti e tre però hanno in comune la formazione, basata sulle requisizioni, e sono sostenuti da
aspirazioni democratiche: si è parlato di “collezionismo di Stato”, che si distingue dal
tradizionale collezionismo aristocratico per il diverso carattere autoritario e di conquista.
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Se col congresso di Vienna la Francia dovette restituire ai Paesi coinvolti parte delle opere
trafugate, tuttavia interi nuclei di dipinti e sculture con iscate restavano in Francia.
A distanza di due secoli la situazione è ormai storicizzata e oggi quei musei sono legittimati
dalla storia: per questa ragione i direttori dei maggiori musei del mondo hanno sottoscritto la
Dichiarazione sull’importanza e il valore dei musei universali a sostegno del loro assetto ormai
storicizzato e dell’azione da loro svolta nella di usione della cultura.
Il Louvre ha sicuramente contribuito a dare una più moderna concezione del museo e ciò non
va sottovalutato, ma non altrettanto innovative sono state le proposte sul tema della forma,
dello spazio e dell'allestimento del museo, del resto anche il Louvre fu istituito utilizzando un
palazzo preesistente e doveva adattarsi alla sua conformazione.
Sul piano teorico, invece, la Francia espresse idee molto avanzate, elaborando nei
numerosissimi concorsi e progetti museali a volte utopici, come nel caso di Boullée, a volte
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invece decisamente pragmatici come i ben noti di Précis di Durand o come il Traité
d'architecture di Claude-Jacques Toussaint (1811).
Fu però nella Germania del primo 800 che i principi enunciati sul piano teorico trovarono uno
sbocco nella realizzazione di edi ici di chiara ispirazione classica, le cui tipologie sarebbero
divenute normative per la futura architettura dei musei.
Monaco e Berlino sono le città protagoniste di una nuova stagione della progettazione
museale che non si limita al disegno del singolo edi icio ma ne supera i con ini divenendo
occasione per ridisegnare il centro urbano.
Il museo conquista così il ruolo di edi icio simbolico della città, come la cattedrale, il palazzo
del governo.
A Monaco
1816/1830
Si deve all'architetto Leo von Klenze la creazione di un museo archeologico denominato
Glyptothek, LA GLIPTOTECA il cui prospetto inaugura la lunga sequenza di edi ici ispirati
all'architettura classica per i quali si è parlato di “museo-tempio”.
La sua fondazione fu voluta dal principe ereditario Ludovico di Baviera nel quadro di una
riquali icazione della città.
L' ambizione era di creare un'"Atene sull'Isar", una città con edi ici maestosi in cui rivivesse la
classicità, per la quale nel 1810 fu chiesto a Karl von Fischer un progetto urbanistico:
Nella piazza principale si dovevano fronteggiare il Walhalla (il paradiso della mitologia
germanica), in forma di tempio commemorativo, e il museo.
In realtà solo il museo venne realizzato a Monaco, mentre il Walhalla venne eretto a
Regensburg nelle forme di un tempio greco che su un alto podio domina la città, come il
Partenone dall'Acropoli.
Nel 1812 Ludwig aveva arricchito le proprie collezioni archeologiche di un complesso di opere
di grandissima importanza quindi, per collocare il nuovo tesoro, la costruzione del museo
diventava
un'esigenza prioritaria.
1814
L'Accademia indisse un concorso per la sua realizzazione, cui parteciparono Haller, von
Fischer e Von Klenze.
- Il progetto di Fischer prevedeva una grande sala a pianta centrale ispirata al Pantheon;
- Il progetto di Haller era più articolato, ma anch'esso sfruttava il tema della rotonda;
- Von Klenze propose invece tre soluzioni che, nell'ispirarsi all'architettura greca, romana e
rinascimentale, manifestavano l'a ermarsi delle tendenze storiciste tipiche dell’Ottocento.
Ciascuno dei tre progetti presentava sul prospetto un motto "in stile”.
Ludovico preferì il progetto ispirato al tempio greco: i lavori, iniziati nel 1816, si conclusero nel
1830.
La Glyptothek (raccolta di gemme) ha una pianta quadrata con un cortile centrale e si
sviluppa su un unico piano;
sul prospetto sporge un elegante pronao con otto colonne ioniche e un frontone scolpito;
ai lati del portico le pareti sono scandite da sei nicchie con statue sormontate da un timpano,
che si ripetono anche sui ianchi dell'edi icio;
le sale angolari sono a pianta centrale in rapporto con il numero dei pezzi da esporre.
Una delle più ampie è, naturalmente, quella dedicata ai marmi di Egina, le altre - come nei
musei di Roma - prendono il nome dalla scultura più importante in esse ospitata (Sala del
Fauno Barberini, Sala di Niobe, Sala di Apollo ecc.).
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Nel realizzare il suo progetto Von Klenze dovette contrastare le critiche che gli venivano
rivolte da Johann Martin Wagner, un pittore tedesco residente a Roma come agente di
Ludwig, incaricato di procurargli pezzi archeologici per la sua collezione.
L'idea di museo di Wagner era orientata verso criteri di assoluto rigore: nella convinzione che
le opere vanno ammirate per se stesse, senza elementi di distrazione, sosteneva che le pareti
dovessero essere tinteggiate in colori neutri, eliminando i dettagli ornamentali e attribuendo
agli spazi il carattere di semplicità.
Quanto all'allestimento, un'unica grande sala doveva essere dedicata alle sculture di Egina
mentre il resto della collezione doveva essere ordinato in piccole sale e per serie
iconogra iche.
Tutto ciò era in forte opposizione con le idee di Von Klenze, convinto invece che le sculture
antiche dovessero essere accompagnate da decorazioni evocative delle situazioni in cui le
opere erano collocate in origine.
La Glyptothek restava un museo elitario, indi erente alle esigenze del pubblico e a quella
vocazione educativa che il Louvre aveva invece a ermato con forza: l'eliminazione delle
didascalie illustrative delle opere, limitava di molto la possibilità per visitatori impreparati di
comprendere i materiali esposti, così come la mancanza di luoghi di sosta non facilitava la
visita.
1824/1836
L'Alte Pinakothek, qui rinuncia alla tipologia neogreca e, coerentemente alle raccolte da
esporre, o re un'interpretazione del palazzo rinascimentale italiano.
Il tema di fondo è quello della "galleria", realizzata come edi icio a doppio ordine sviluppato
lungo un asse longitudinale, con quattro brevi ali alle due estremità, in modo da assumere la
forma di una "H" allungata.
L’idea originale di questa struttura era la divisione dello spazio in tre fasce parallele di sale
comunicanti:
- al centro una galleria per i dipinti di grande formato, illuminata con luce zenitale spiovente
da grandi lucernari;
- sul lato nord una serie di cabinets per dipinti di piccole dimensioni;
- sul lato opposto una loggia d'ispirazione ra aellesca a rescata da Cornelius con episodi
della vita degli artisti di cui si esponevano le opere.
I dipinti della galleria e delle salette erano ordinati cronologicamente.
All’Alte Pinakothek si ispira la Neue Pinakothek di August von Voit, che Ludwig voleva
sorgesse proprio difronte alla Glyptothek.
La Neue Pinakothek è il primo museo in Europa votato alla modernità, costruito per ospitare
le collezioni di arte contemporanea tedesca.
La facciata attuale non ha nulla a che vedere col progetto di von Voit, poiché nel ’44 subì
danni tali da determinarne la ricostruzione totale.
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La fama che Von Klenze acquisì nel tempo gli valse nel 1836 un invito ad Atene da parte del re
Ottone di Grecia per costruire un museo archeologico collegato a un’accademia (mai
realizzato).
Venne poi chiamato a San Pietroburgo dallo zar Nicola I, il suo progetto per il Nuovo
Ermitage venne però a idato all'architetto russo Vasily Stasov, che lo portò a compimento
nel 1852
seguendo i suoi disegni.
Anche all'Ermitage Von Klenze applicò i principi già proposti a Monaco, legati all'idea di
sontuosa decorazione delle sale.
Berlino
1825/1830
Negli stessi anni sorgeva a Berlino l’Altes Museum di Friedrich Schinkel.
L'opportunità di creare nella capitale del Regno di Prussia un museo che raccogliesse le
collezioni del re, era stata suggerita in dal 1796 a Federico Guglielmo II dall'archeologo Aloys
Hirt.
Ma la morte del re nel 1797 non ne aveva consentito la realizzazione.
Con l' avvento del iglio Federico Guglielmo III, Hirt presentò una seconda relazione al nuovo
re nella quale sosteneva la necessità di rendere pubbliche le collezioni d'arte antica perché
potessero essere studiate e contribuire così al progresso della società.
*Istruzione pubblica unita al piacere della contemplazione dovevano essere gli scopi del
museo immaginato da Hirt*.
Non solo doveva essere garantita la libertà d'accesso ai tesori artistici di proprietà della
corona, ma occorreva andare oltre, con la fondazione di nuovi musei che fossero un bene
dello Stato al servizio dei cittadini.
La situazione politica non era però favorevole alla realizzazione di una simile iniziativa: la
guerra con la Francia rivoluzionaria, l'invasione delle armate napoleoniche a sanguinosa
disfatta di Jena nel 1806, imponevano di attendere momenti più propizi.
1815
Caduto Napoleone e recuperate le opere, il progetto di un nuovo museo riprese forza,
favorito anche dall'acquisto di un nucleo di dipinti provenienti dalla celebre raccolta
Giustiniani a cui si sarebbe aggiunto quello della collezione di Edward Solly.
La scelta del luogo dove costruire il museo fu proposta dall'architetto Schinkel, che ricopriva
il ruolo di Oberbaudirektor (responsabile degli edi ici del regno).
Schinkel aveva realizzato nel 1817 la Neue Wache, il Palazzo della Guardia.
Questa costruzione inaugurava una serie di edi ici pubblici di linguaggio classico.
L’Altes Museum fu costruito tra il 1825 e il 1830 nel cuore della città, riconosciuto come
edi icio pubblico di alto valore simbolico: era legato alla tesi dell’idealismo secondo cui l’arte
fornisce all’uomo la trascendenza in tempo garantita dalla religione.
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Nell'ordinamento delle collezioni, Schinkel trovò valido sostegno in un giovane storico
dell'arte che lo aveva accompagnato nel suo secondo viaggio in Italia: Gustav Friedrich
Waagen, futuro direttore del museo.
Hirt concepiva il museo come una scuola, un luogo esclusivamente votato allo studio, mentre
l'architetto Schinkel spalleggiato da Waagen, pensava invece a un museo capace di elevare lo
spirito attraverso la contemplazione della bellezza.
La bellezza doveva investire anche l'architettura che ospitava le opere d'arte.
Era una concezione del museo sulla quale in luiva l'insegnamento di Hegel e che avrebbe
portato alla nascita di un museo non più fondato sulla Ragione secondo la visione dell'Età dei
Lumi, ma che possiamo de inire idealistico.
Hirt si dimise dalla commissione, lasciando campo libero ai suoi avversari.
L'allestimento dell'Altes Museum era improntato a una grande eleganza: ra inate scelte di
colori, balaustre in ferro battuto disegnate dallo stesso Schinkel, pavimenti intarsiati, varietà
di soluzioni nel rivestimento delle pareti a seconda degli oggetti da esporre.
Nella Rotonda, come già nel Pio-Clementino, trovavano posto le opere di gran di dimensioni
ra iguranti divinità ma, anziché essere collocate nelle nicchie scavate nella parete come nel
museo romano, erano isolate dal muro e poste tra le colonne che sostenevano il ballatoio.
In tal modo ne era consentita la visione anche dal retro.
I dipinti erano divisi in diverse categorie a seconda della loro importanza e soprattutto della
loro qualità, la loro successione cronologica e per scuole corrispondeva al gusto e
all'avanzamento degli studi che privilegiavano i protagonisti del Rinascimento italiano e del
Seicento.
La proposta, avanzata da Humboldt (che aveva già appoggiato l’idea di museo di Schinkel e
Waagen, portando Hirt a dimettersi dalla commissione) di colmare le inevitabili lacune con il
ricorso alle copie fu respinta da Waagen perché l'originalità delle opere è un valore superiore
rispetto alle esigenze didattiche.
Con la presenza dello storico dell'arte in qualità di responsabile delle raccolte, nasce una
nuova scienza che ha il suo centro nel museo che prevedeva solo attraverso lo studio degli
originali la possibilità di individuare un artista e distinguerlo dai seguaci, creare una rete di
relazioni e di rapporti, tracciare percorsi storico-critici, issare una metodologia di lettura.
In questo dibattito emerge l’autonomia della storia dell’arte in cui la igura dell’artista è una
capacità critica di pensiero e per questo veniva coinvolto nelle questioni museali.
L'Altes Museum è il primo edi icio realizzato in quella che ha poi preso il nome di
Museuminsel (Isola dei musei), uno dei più imponenti complessi museali del mondo.
Nei decenni successivi le vicende museali della città diventeranno sempre più importanti e
verranno istituite una serie di musei ino alla costruzione dell’isola dei musei: l’espressione più
caratteristica della museologia enciclopedica del XIX secolo.
Tra le più importanti alla ine dell’800 abbiamo:
1841/1859
- il Neues Museum :alle spalle dell’Altes Museum, per le collezioni egizie e greco-Romane.
Realizzato allievo di Schinkel, August Stuler;
1876
- Sempre a Stuler venne commissionata la Nationalgalerie : voluta da Federico Guglielmo
IV, per accogliere le collezioni di arte tedesca;
1904
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- Il Kaiser Friedrich Museum : sulla punta estrema dell’Isola dei musei, ha la forma di un
sontuoso palazzo neobarocco.
Il suo primo direttore fu Wilhelm von Bode, illustre esponente della Scuola di storia dell’arte
di Berlino.
Bode, dopo gli studi giuridici si era specializzato nel suo ambito d’interesse venendo a
contatto con personalità di spicco e aveva lavorato per realizzare il sogno di un museo
di erenziato dalle precedenti istituzioni museali.
La sua idea di museo era orientata verso gli aspetti didattici, atteggiamento da cui
discendeva la convinzione che le opere d'arte risultino più comprensibili se "ambientate", cioè
se inserite in sale che ripropongano il contesto dei luoghi di provenienza.
In tal modo i dipinti medievali e rinascimentali vengono inseriti in ambienti ispirati, a seconda
delle provenienze, alla chiesa gotica, al palazzo rinascimentale toscano, alla residenza
cinquecentesca, sulla linea adottata dalle Period Rooms di area anglosassone.
Il museo, dedicato all’imperatore tedesco che lo aveva appoggiato, si caratterizza per la
creazione di un’associazione di amici dell’arte per ricevere un appoggio politico per la sua
realizzazione. Questo modello di onde l’idea del museo di ambientazione, in cui convivono
arti maggiori e minori con ambientazioni che restituiscono il gusto di un’epoca trasmettendo
l’idea dell’organizzazione degli spazi (camera, palazzo).
1930
- Il Pergamonmuseum :nato per ospitare i pezzi archeologici acquisiti nelle campagne di
scavo tedesche degli anni Venti, proseguiti nel decennio successivo a Olimpia e a
Pergamo.
Se la tipologia classica aveva dominato nei musei per buona parte dell’Ottocento, nel corso
del secolo sono comunque molti gli edi ici che si rifanno invece ad uno stile monumentale,
ispirato all’architettura civile del Rinascimento e del Barocco.
1932
A Roma la politica papale proseguiva con Pio VII nella direzione favorevole alla fondazione di
musei.
Pio VII Chiaramonti aveva infatti a idato a Canova l’allestimento di una nuova sezione
destinata all’esposizione di circa mille sculture antiche.
Come sempre, non fu creato un nuovo edi icio, ma si utilizzò, riadattandola, una parte del
corridore orientale di Bramante, collegato al Pio-Clementino, la Pinacoteca Vaticana, che coi
criteri del “collezionismo di Stato” accoglieva anche quelle opere razziate nei paesi ponti ici e
poi restituite (anziché tornare dei luoghi d’origine!)
1843
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Il Musée de Cluny Parigi o riva una nuova tipologia di museo, interamente dedicato all'arte
medievale e situato in un edi icio gotico costruito sulla ine del Quattrocento - l'Hotel des
abbés de Cluny- che ha mantenuto ancor oggi la disposizione originaria degli ambienti
interni.
Aperto nel 1843, fu allestito da Albert Lenoir, iglio di Alexandre, e inaugura il tipo di museo
"romantico" votato alla celebrazione nazionale, dal quale discenderanno tanti musei
ottocenteschi dedicati alla storia e alla cultura nazionale.
Dalla seconda metà dell’800 a Londra e a Parigi nascono le grandi esposizioni cioè delle
mostre di arte applicata dove ogni nazione poteva presentare i propri prodotti.
Queste occasioni espositive nascono dall’industrializzazione che avviene in Inghilterra con la
prima grande esposizione inaugurata al Cristal Palace, Hyde park il 1 maggio del 1851.
Il Crystal Palace fu progettato da Joseph Paxton in ferro e pezzi di vetro modulati in modo da
permettere un montaggio e uno smontaggio agevole.
È un palazzo che celebra la modernità che strideva con gli oggetti passati esposti, non erano
esposti pezzi di pittura ma di scultura.
Visto il successo dell’esposizione (in soli 6 mesi di esposizione a luirono oltre 6 milioni di
visitatori, gli oggetti esposti erano più di 100.000 ed erano suddivisi in quattro categorie che
ri lettevano il ciclo produttivo: materie prime, macchinari, invenzioni meccaniche e
manufatti) si sentirà necessità di creare un museo permanente per gli oggetti dell’esposizione
in un museo che avrebbe esposto oggetti sia antichi e moderni in grado di testimoniare
l’evoluzione della tecnica e delle potenzialità creative delle sue applicazioni.
1852
Su iniziativa di Henry Cole, uno di organizzatori dell’esposizione universale, fu fondato nella
sede di Marlbourough house, il Museum of Manufactures.
Presto ci fu bisogno di più ampia per contenere tutti gli oggetti espositivi, così contando di
rinnovare il successo del Cristal Palace fu realizzato nella zona di Brompton, in ferro e vetro
(sotto la direzione di H. C)
1852
il South Kensington Museum
1899
Ribattezzato Victoria and Albert Museum in onore dei regnanti inglesi dopo la morte di
Alberto per volere della regina.
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Rappresenta la prima grande rottura con il mondo classico per la necessità di trovare un punto
d’incontro tra arte industria e società in rapporto con la qualità estetica.
L'istituzione di musei di "arte applicata all'industria" veniva vista come parte integrante di un
programma didattico che avrebbe avuto ricadute a livello sociale ed economico.
L'educazione del gusto e l'applicazione di criteri estetici ai prodotti industriali sarebbero stati
in grado di democratizzare l'arte, rendendo possibile per un numero maggiore di persone la
fruizione, il possesso e la produzione del bello.
Progressivamente prende piede l'idea che ogni epoca ha un proprio valore e non esistono
momenti di apice e di decadenza, in quanto le opere sono documenti storici.
Lo storico dell'arte, dunque, non deve più usare i parametri dell'estetica accademica creando
un
sistema gerarchico tra gli oggetti: è la "rimonta" delle arti minori.
Il modello inglese, la sua attenzione al design e alla produzione industriale, fecero scuola
negli Stati Uniti, dove molti dei musei fondati negli anni ottanta dell'Ottocento ne adottarono
le inalità formative, volte allo studio dell'arte e alla sua applicazione agli oggetti di uso
comune, incoraggiando i rapporti con aziende manifatturiere e imprenditori .
In Europa, sull'onda di questi fermenti e del successo ottenuto dalle prime sperimentazioni,
per tutta la seconda metà dell'Ottocento si assiste al susseguirsi di Grandi Esposizioni
nazionali e universali, alla fondazione di scuole dedicate all'insegnamento delle arti applicate e
alla creazione di musei di arte decorativa ispirati al modello inglese.
Su questa scia nacquero nel XIX i musei della scienza e della tecnica e i musei industriali.
Nonostante le molte comunanze con i contemporanei musei d'arte applicata, i musei tecnico-
scienti ico daranno meno importanza alle valenze estetiche dei prodotti esposti, dunque
saranno meno dimostrate le potenzialità del connubio arte-industria.
Uno esempio della realtà industriale italiana fu la prima Esposizione Nazionale tenutasi a
Firenze nel 1861.
Nata per celebrare la nuova nazione, l"'Esposizione Italiana Agraria, Industriale e Artistica"
aveva il carattere delle manifestazioni Europee, anche la scelta della nuova stazione Leopolda
come sede dimostra l'attenzione al modello inglese.
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Secondo alcune voci autorevoli, tra le quali quella dell'architetto e scrittore Camillo Boito
(1836-1914), le numerose accademie artistiche italiane avrebbero dovuto essere trasformate,
almeno in parte, in scuole professionali, in istituti d'insegnamento popolare.
La nuova proposta didattica prevedeva un iter formativo che, partendo dall'educazione al
bello, giungesse all’acquisizione di abilità tecniche in grado di trasformare un oggetto dotato
di valore estetico in prodotto riproducibile in serie.
In questo contesto avvenne l'associazione tra scuole e musei e il modello preso ad esempio
fu quello di Londra, dove al South Kensington era stata annessa una scuola con l’intento di
formare i nuovi designer.
La prima città italiana a dotarsi di un museo industriale fu Torino dove, nel 1862, nacque il
Museo Civico di Arte Applicata all'Industria, presto a iancato da un Istituto Tecnico.
Gli oggetti esposti furono: materiali ritrovati durante gli scavi per la costruzione della linea
ferroviaria Torino-Milano, prodotti delle grandi manifatture di ferro e acciaio, collezioni di vetri
e ceramiche, carrozze e, più tardi, automobili.
La formazione o erta dall'Istituto Tecnico dimostrava la volontà di far coesistere diversi
ambiti del sapere: quello archeologico, quello artistico-artigianale e quello più strettamente
tecnico-scienti ico.
A distanza di più di dieci anni dalla fondazione del museo industriale di Torino, in diverse città
italiane nacquero musei che si ponevano nel solco di quello torinese.
A Roma, che nel 1874 vede la fondazione del Regio Museo Artistico Industriale, e Napoli,
dove nel 1882 si apre il Museo Artistico Industriale e a Milano , il Museo d' Arte
Industriale,la cui istituzione era stata annunciata in dal 1873.
Queste istituzioni, pur proponendosi inalità didattiche, erano ben lontane dai primi musei
industriali che faticavano a non essere assimilati a quelli di arti decorative.
Il pubblico al quale si rivolgevano i musei commerciali era composto prevalentemente dagli
operatori del settore industriale e commerciale che intendevano mostrare le migliori
produzioni nazionali e straniere senza alcuna implicazione estetica.
L'evoluzione di queste esperienze, specie in Europa, sarà la loro trasformazione in musei della
scienza e della tecnica.
MUSEI NATURALISTICI
Insieme ai musei di arti applicate e a quelli industriali, nel corso del secondo 800 ebbero
grande impulso i musei naturalistici
organizzati su basi scienti iche moderne, lontane dal concetto di “meraviglia”, criterio
ispiratore delle prime raccolte naturalistiche nate in Italia e in Europa tra la ine del 500 e
l'inizio del 600.
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Fra la ine del XVI e l’inizio del XVII le collezioni naturalistiche scon inarono nelle
Wunderkammern, con le quali condividevano l’interesse per gli aspetti spettacolari (stanze
delle meraviglie); col tempo, passando attraverso la progressiva specializzazione del sapere
tipica dell’Epoca dei Lumi, le raccolte con luirono in musei pubblici.
La divisione organizzata dei diversi ambiti scienti ici comporterà la fondazione di una
costellazione di piccoli musei specializzati nella storia, nelle scienze naturali, nell’astronomia,
nella isica e così via.
Fra le realtà più importanti vanno ricordati: il Natural Hystory Museum di Londra (1871-81), il
Museum di Histoire Naturelle di Parigi e, soprattutto, il Naturhistorisches di Vienna
(1872-89).
Una soluzione ampiamente usata nei musei di storia naturale che ospitano pezzi di grandi
dimensioni, come gli scheletri degli animali preistorici, è la corte vetrata, soluzione per altro
assai scenogra ica.
In questi musei come anche in quelli di arte applicata, l’approccio adoperato è quello
interattivo, basato sulla partecipazione emotiva dei visitatori, i quali possono così meglio
comprendere la valenza dei materiali esposti.
Tale impostazione prettamente didattica, rischia di penalizzare il contenuto esposto in
funzione di una spettacolarizzazione eccessiva, spesso infatti la partecipazione comporta la
fruizione più di riproduzioni che non dei materiali e ettivi.
Nel corso della seconda metà del XX secolo i musei della scienza e della tecnica hanno avuto
un impetuoso sviluppo, conformandosi come piccole città di padiglioni espositivi, stimolando
l'immaginazione degli architetti.
MUSEI CIVICI
1. Volontà dei collezionisti di legare le proprie raccolte alla città con il proposito di creare un
museo; (ciò avveniva nelle città dove già esisteva un museo che sarebbe poi diventato
nazionale che conservasse le memorie cittadine e del territorio);
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2. L’a ermarsi di una legislazione che tendeva a ridimensionare il potere della chiesa;
1850
Un ministro del regno di Sardegna (Giuseppe Siccardi) aveva fatto approvare le cosiddette:
Leggi Separatiste, volte a rompere quell’alleanza tra Stato e Chiesa che aveva caratterizzato
l’antico regime.
Tra i privilegi ecclesiastici da abolire c’era la cosiddetta “manomorta“: che riguarda
l’inalienabilità dei possedimenti ecclesiastici e la loro esenzione dalle imposte.
In quanto erano privilegi dal sapore feudale inammissibili in uno Stato moderno.
Questi provvedimenti vennero ra orzati dalle Leggi Rattazzi del 29 maggio 1855: che
abolivano nel regno di Sardegna gli ordini religiosi ritenuti privi di utilità sociale e ne
espropiava i conventi.
Su questa stessa linea si ponevano le Leggi Eversive dell’Italia unita, la 1 legge (legge 3036
del 7 luglio 1866): negava il riconoscimento di ordini religiosi e congregazioni espropriandone
i beni che venivano incrementati nel demanio dello Stato.
In seguito a queste leggi si ebbe rivolgimento del patrimonio italiano in quanto l’enorme
quantità di beni di cui lo Stato provvedeva si ritrovavano privi di tutela, minacciati dalla
dispersione e sottoposte a rivendicazione.
In più l’Italia unita non disponeva di un apparato legislativo volto a proteggere i beni passati
al demanio, mentre quelli dello Stato ponti icio erano sottoposti a tutela dall’editto del
Cardinal Pacca del 1820.
Le prime istituzioni investite del problema della salvaguardia delle opere nazionalizzate
furono le Accademie (nelle regioni in cui erano presenti), ma era comunque una soluzione
e icace, sia per l’Indisponibilità di uno spazio adatto al deposito di materiali, sia per la
mancanza di personale in grado di far fronte alle tante operazioni: dall’inventario e restauro,
necessarie per una corretta conservazione.
Occorreva dunque creare delle strutture idonee, dotate di risorse adeguate e avviare una
politica di conservazione per cui il museo rappresentaste uno strumento insostituibile.
1862
L'importanza del ruolo dei musei civici o meglio, la loro necessità, era ben chiara nel pensiero
del grande studioso e era stata sostenuta da Giovanni Morelli in un discorso alla Camera dei
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Deputati (19 luglio 1862) in cui si dichiarava favorevole all'istituzione nelle diverse regioni
d'Italia di musei dove far con luire le opere d'arte prelevate dagli edi ici di culto.
Spesso, perciò, queste istituzioni sono state viste come "cimiteri dell'arte", luoghi di
deportazione di opere sradicate e quindi private del loro signi icato.
Occorre però ricordare come il museo - in particolare quello civico - sia stato un baluardo
contro le dispersioni e come abbia esercitato una funzione preziosa soprattutto in tempi di
grandi rivolgimenti urbanistici.
1863
Ne ribadiva la necessità il Morelli in una lettera a Francesco De Sanctis, allora ministro
dell'Istruzione Pubblica, in cui auspicava l'istituzione di musei su base regionale e provinciale,
sottolineandone il profondo legame col territorio in termini ancor oggi attuali.
Anche le urbanizzazioni nel secondo Ottocento hanno contribuito alla crescita dei musei
civici.
Nei centri storici chiese e palazzi antichi furono sacri icati alle esigenze della città moderna,
talvolta demoliti o anche trasformati o ripristinati, come nel caso delle chiese romaniche, per
raggiungere l’aspetto originario.
Così frammenti architettonici, a reschi strappati, iscrizioni, suppellettili prendevano la via del
museo.
Ciò che attiene alla storia locale, anche in termini di collezionismo, le memorie cittadine, che
esulano dagli interessi dei musei nazionali, le indagini sul territorio, sono dunque gli ambiti ai
quali si rivolge il museo civico.
Un aspetto particolare è poi quello rappresentato dai musei storici, nelle collezioni dei Musei
civici era spesso compreso un settore dedicato alla storia che, in molti casi, assume veste
autonoma come “Museo civico di Storia Patria”.
A di erenza delle contemporanee esperienze europee simili, i musei storici italiani si
caratterizzano per un forte patriottismo, che mira a celebrare lo splendore risorgimentale; in
quest’ottica, anche l’opera d’arte è vista come documento, considerando dunque di maggiore
importanza il racconto che veicola.ovvero i musei che si attengono alla storia locale e alle
memorie cittadine.
In quest'ottica particolare anche l'opera d'arte è vista come documento, nel senso che non
viene considerata per la sua qualità ma per il racconto che contiene, per la battaglia che
rievoca, per il personaggio storico che ra igura.
Tra i musei civici di Torino si segnala Palazzo Madama, nome seicentesco dell’antica
residenza degli Acaja, che ospita le Madame Reali, Cristina di Francia e Maria Giovanna
Battista di Savoia-Nemours.
Nel momento in cui il palazzo diventa sede di un museo civico ci sono da considerare alcuni
aspetti:
- Bisogna cancellare qualsiasi elemento della precedente funzione a inchè il museo sia
realizzato in spazi “non condizionati” dalla sua storia;
- Si deve far convivere l’idea di museo di arti decorative con quella di palazzo- residenza.
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Il direttore Vittorio Viale opta per una sistemazione del palazzo che mantiene lo spazio della
residenza e ospita la collezione nella parte dell'’edi icio che presenta una minor traccia
dell’uso originario.
La prima sala (Sala Sta arda) ospita i cori lignei scolpiti e al centro un monumentale leggio; il
so itto venne preso da una casa torinese del tardo 400 e adattato a quello della sala
attraverso un lungo lavoro di integrazione delle sezioni mancanti o rovinate, in modo da
rendere l’opera nella sua completezza.
Il nuovo direttore Enrica Pagella, invece, fa riallestire la sala in modo da permettere
all’osservatore attento di individuare le parti nuove e quelle originali.
Gli Stati Uniti avevano avuto un'esperienza museale in dal 1786, quando Charles W. Peale
aveva istituito a Filadel ia un museo scienti ico che aveva come scopo l'insegnamento delle
scienze naturali.
1814
Peale fondò poi un secondo museo a Baltimora, anch'esso principalmente dedicato alla storia
naturale ma che non escludeva l'organizzazione di mostre e intrattenimenti di contenuto
molto popolare.
Tipici di questa prima fase furono anche i piccoli musei storici che documentavano le fasi
dell'Indipendenza americana.
1831
-La Yale Art Gallery fu invece il primo museo dedicato alle arti visive.
accomunati dal fatto che la loro fondazione nasceva dall'iniziativa privata di personaggi
in luenti della società americana.
Questo segna una profonda di erenza rispetto ai musei europei, di erenza che si ri lette
anche sulla gestione, a idata a consigli d' amministrazione (Board of Trustees) e dunque
legata a logiche privatistiche.
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Un altro aspetto che distingue i musei americani è il fatto che nascono sul mercato, cioè
tramite la formazioni di grandi collezioni acquisite attraverso celebri e abili mercanti e con la
consulenza di storici dell'arte non meno celebri.
L'estraneità di tali collezioni alla cultura americana in luisce anche nel modo di concepire il
museo, che più che altrove necessita di un veicolo di conoscenza per la sua comprensione e
pone dunque in primo piano la missione educativa.
La fedeltà ai modelli europei contraddistingue gli aspetti architettonici che continueranno a
adottare lo stile classico ino ai primi decenni del 900, quando gli americani iniziarono a
guardare il processo evolutivo dei musei europei cercando di liberarsi dall’assetto trad e
ripetitivo del passato, puntando a costruire edi ici sempre nuovi e non edi ici antichi
riutilizzati il che consentiva una progettazione mirata alla necessità di un’istituzione che
voleva dare risposte e icaci alla richiesta di un pubblico sempre più vasto.
Dal punto di vista architettonico invece, i Musei americani si rifanno dal punto di vista formale
agli stilemi neoclassici adottati nel vecchio continente, tuttavia va sottolineato che si tratta
solo di un rimando estetico, poiché l’organizzazione del museo americano era molto più
funzionale.
Ma soprattutto caratterizzati da approcci organizzativi so isticati in cui si cambiavano
l’ambientazione e l’atmosfera con criteri scienti ici, nacquero le Period Rooms: esposizioni
che rappresentano il design e l’arte decorativa di un particolare contesto storico e sociale.
Nel 1929
Tre donne hanno l’idea di creare il MOMA.
Erano tre signore molto ricche, e inizialmente il museo non ha una sede importante, collocato
in un edi icio che ospitava anche degli u ici.
Vuole essere un museo dell’arte di oggi, del presente, degli artisti viventi, quindi capace di
porsi la questione di che cose è arte e di che cosa fosse moderno.
All’idea del museo del presente delle tre signore si aggiunge la personalità di Alfred Barr,
storico dell’arte.
Nel suo viaggio in Europa aveva visitato l’ambiente del Bauhaus, nel 1929 è nominato primo
direttore del MOMA e concepisce il nuovo museo come un laboratorio, luogo di
sperimentazione interattivo: il pubblico è invitato a partecipare.
È un museo che non ha vincoli e preclusioni, c’è spazio per tutte le arti, per ragionare
sull’utilità dell’arte nel presente.
- Nel ’37 apre la sezione didattica del museo e si rivolge a Victor D’amico che gestisce la
sezione didattica aprendo la galleria dei giovani o rendo lezioni di arte e spazi alle scuole.
- Nel ’42 si inventa il carnevale dell’arte dei bambini.
- Nel ’42 fonda il Comitato per l’arte nell’educazione e nella società americana.
- Propone corsi rivolti a tutte le età.
- Nel ’55 a Long Island riutilizza una chiatta per insegnare alle persone a dipingere,
ovviamente con lo scopo dei invitarle al museo.
- Promuove da subito un grande numero di esposizioni itineranti, legato alle dimensioni
iniziali ristretti ma anche con il ine di promuovere la conoscenza dell’arte in 1400 località
degli Stati Uniti.
- In poco diventa il museo più visitato d’America.
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Il museo moderno non può essere conservatore, ma deve essere aperto al presente e non è
scontato che non faccia errori con cui poi confrontarsi in seguito.
Le critiche infatti ci furono: Gertrud Stein sostiene che non si può essere moderni se si è un
museo, è una contraddizione.
Barr capisce che proprio per queste ragioni il museo moderno è diverso dagli altri musei, dà
per scontato che il suo museo non può essere statico.
Se è un museo della modernità è chiaro che deve cambiare con il variare della società, è una
macchina in movimento costante che deve fare i conti con le scelte che ha già preso in
precedenza.
Dopo un po’ di anni un’opera che non risponde più ai criteri di modernità deve essere messa
altrove, quindi Barr fa un accordo con i musei tradizionali.
Immagina un museo torpedine, un siluro che si muove nell’acqua: serve ad immaginare che,
come il siluro i muove nell’acqua, man mano che avanza nel tempo lascerà le parti più datate
per potersi propendere verso il nuovo.
La coda è destinata ad essere ceduta ai musei storici, in modo da mantenere il museo sempre
aggiornato. Ma buon parte di questa idea è stata accantonata.
- Nel ’48 una delle tre fondatrici lascia al MOMA la sua collezione e per prima si pone la
questione delle opere che sarebbero invecchiate, stabilendo che tra 50 anni andranno al
Metropolitan.
- Nel 1947/48 viene sottoscritto un patto con Metropolitan, MOMA e Withney. Nelle
didascalie di Barr a volte ci sono domande rivolte direttamente al visitatore, cambia il suo
stato d’animo, lo induce al dubbio.
Attività del MOMA negli anni subito dopo la guerra, promozione dell’espressionismo astratto
e in particolare dell’opera di Pollock.
Diversi studi chiariscono il ruolo che il MOMA ha avuto durante la guerra fredda per
promuovere un’idea di democrazia occidentale e dedica mostre all’espressionismo astratto in
Europa, linguaggi che promuovono un’idea di libertà e indipendenza associata alle
democrazie occidentali.
Pare che la CIA abbia avuto un ruolo fondamentale nel inanziare queste attività per
contrastare il blocco sovietico.
La seguente espressione signi ica storia culturale e ci si riferisce a uno speci ico metodo di
ricerca storica sviluppatosi nel corso del XIX-XX secolo.
Insieme alla storia politica, alla storia delle idee, alla storia economica e quella sociale, essa
rappresenta uno dei iloni più importanti della storiogra ia tradizionale, la storia culturale si
caratterizza per un’attenzione particolare verso fattori culturali quale la mentalità, la
credenza, le usanze e le pratiche dei popoli antichi.
Nel 1862
Venne inaugurato il Metropolitan di New York, e altri ancora, accomunati dal fatto che la loro
fondazione nasceva dall’iniziativa privata di personaggi in luenzati della società americana
come banchieri, industriali, professionisti e grandi collezionisti.
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Questo segna una profonda di erenza rispetto al musei europei, di erenza che si ri lette
anche sulla gestione, a idata a consigli d’amministrazione, e dunque legata a logiche
privatistiche.
Tutto ciò in luisce anche nel modo di concepire il museo, che più che altro ove necessita di
un veicolo di conoscenza per la sua comprensione e pone dunque in primo piano la missione
educativa, secondo un’inclinazione tuttavia tipica dell’approccio anglosassone al museo, la
fedeltà ai modelli europei contraddistingue gli aspetti architettonici che continueranno a
adottare lo stile classico con colonne, frontoni, cupole e rotonde tutto ciò ino ai primi
decenni del 900, anche se questo riguarderà solo gli aspetti formali e non l’organizzazione
del museo, molto più evoluta..
Le forme con cui era stato concepito il museo ottocentesco, alle soglie del XX secolo non
rispecchiano più le esigenze di una società profondamente cambiata.
Non è solo la forma del museo ad essere messa in discussione, ma anche la sua funzione che
deve tener conto di un pubblico molto più vasto che desidera essere inserito nei circuiti
culturali, ma che ha anche bisogno di essere guidato.
L'attenzione per il museo come veicolo di comunicazione di massa si intensi ica nel periodo
fra le due guerre, quando all'interno della Società delle Nazioni nel 1922 viene creata la
Commission Internationale de Coopération Intellectuale (CICI), con lo scopo di promuovere
gli scambi interculturali fra gli stati membri, su proposta francese e presieduta da Bergson:
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la CICI aveva come scopo quello di promuovere scambi culturali tra gli stati membri e
stabilire relazioni reciproche per una piú vasta comunità intellettuale.
Da questo primo nucleo discendono altri organismi come l’OCI (antenato dell’UNESCO):
comitato sovranazionale che abbraccia tutti i campi del sapere a cui erano a idati aspetti
organizzativi e si srticolava in numerose sottocommissioni.
Tra le sottocommissioni dell’OCI vi era quella per le lettere e le arti di cui era membro
Herni Focillon, a cui si deve la fondazione dell’OIM (u icio internazionale dei musei): fondato
nel 1926 e che aveva come ambito d'indagine la museogra ia.
Per Focillon il museo era visto come luogo di confronto, laboratorio per lo studio comparativo
delle testimonianze visive di una civiltà, da leggere come sistema di relazioni formali,
tecniche e materiali.
Ma al tempo stesso non deve rispondere solo alle esigenze dello storico dell’arte: il Paradoxe
Supernant del museo è la sua capacità di conciliare le domande dello studioso con le
curiosità del nuovo pubblico.
Per far questo il museo deve rinnovarsi, cancellando l'immagine del museo ottocentesco per
assumere una veste radicata nell'attualità.
F: “il museo è un milieux vivant, dove il pubblico viene a cercare un certa in mode
d’information, mais aussi un monde heroique” : ambienti di vita, dove il pubblico viene a
cercare una certa modalità di informazione, ma anche un mondo eroico”.
Nella sua lucida analisi, Focillon a erma che la tradizione ottocentesca aveva contrapposto
due tipi di musei: quello dedicato agli artisti, che concepisce la storia dell'arte come
successione di capolavori isolati, e quello per gli storici dell'arte, che la vede invece come
serie di opere concatenate, talvolta di carattere documentario, anche cedevoli sul piano della
qualità.
Focillon a erma anche la necessità di svecchiare gli allestimenti con una presentazione più
moderna delle opere, che escluda il sovra ollamento per restituire a ogni oggetto il suo
spazio.
Fu lo stesso Focillon a indicare le principali attività che avrebbero impegnato l'O ice
International des Musées (OIM): la redazione di cataloghi dei musei d'arte e di archeologia, la
compilazione di un catalogo generale delle vendite di opere d'arte, la stipulazione di un
accordo internazionale tra le Calcogra ie di Parigi, Roma e Madrid, atto a favorire lo scambio di
opere in vista di esposizioni itineranti, l'avvio di attività didattiche nei musei ispirate
all'esperienza americana, e soprattutto la fondazione di una rivista trimestrale in cui discutere
di problemi di museogra ia, esplicitamente riconosciuta come una scienza nuova i cui
contenuti abbracciavano non solo questioni di architettura e di storia dell'arte, ma anche
problematiche relative all'organizzazione interna del museo.
I Destinatari della rivista erano in particolare direttori di museo, conservatori e storici dell'arte,
che venivano informati sull'attività dell'OIM, sulle trasformazioni in atto nei musei europei,
sulle novità americane;
• La rivista era anche un prezioso veicolo di informazioni: in un fascicolo del 1932 dava notizia
della prima inchiesta internazionale sullo stato dei musei tracciando un breve consuntivo
delle proposte di riforma che giungevano dall'Europa e dagli Stati Uniti;
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• Altro suo merito fu quello di preparare il terreno alla Conferenza che si svolse a Madrid nel
1934 e che costituisce un momento fondamentale della discussione, documentato dai due
volumi che raccolgono gli interventi dei relatori e che restano ancor oggi una pietra miliare
nella bibliogra ia museogra ica, tanto da essere aggiornati dall'UNESCO alla ine degli anni
cinquanta.
Nella consapevolezza della natura complessa del museo, il cui ine non è soltanto quello di
pre- sentare degli oggetti ma di assolvere al triplice compito di esporre, conservare,
educare…
Richard F. Bach enuncia i sevizi necessari al buon funzionamento di una struttura museale,
sevizi che implicano anche spazi per gli u ici amministrativi, per i depositi, gabinetti,
fotogra ia e restauro, guardaroba, sale di studio per gli specialisti, luoghi di sosta.
Questi temi portano a de inire nuove forme di museo, in particolare all’ordine della lessibilità,
ossia la possibilità per il museo di crescere e adattarsi a nuove interpretazioni delle raccolte.
Proprio questa è la s ida che vede impegnati gli architetti:
Stein prevedendo uno sviluppo in senso verticale, Perret estendendo il museo sul piano
orizzontale, Le Corbusier immaginando una spirale che cresce su se stessa.
- Clarence S. Stein: il cui intervento sarebbe stato ripubblicato su "Mouseion" nel 1933.
Alla base della sua proposta per il "museo di domani" c'è la constatazione che il pubblico si
divide in studiosi: interessati al museo per ragioni scienti iche, e visitatori comuni: attratti dal
museo per il proprio piacere.
Occorre allora distinguere due percorsi.
Ne consegue che anche le opere dovranno essere suddivise per interesse e qualità, a
seconda che si tratti di capolavori o di opere di documentazione, collocando le prime nelle
sale principali e le altre in un per corso secondario.
• Il museo immaginato dall'architetto americano è un grattacielo basato su una planimetria
ottagonale suddivisa all'interno in otto raggi che si dipartono dal centro e sfociano
nell'anello perimetrale.
• Le opere + importanti dovevano essere collocate nelle 8 gallerie suddivise in Period rooms,
mentre la galleria ottagonale esterna era pensata per gli studiosi.
• I due settori del museo: selettivo e comprensivo, dunque, dovranno essere posti in
comunicazione in modo che anche al pubblico che vuole approfondire un argomento possa
accedervi facilmente.
• Naturalmente non potranno mancare servizi di accoglienza, spazi amministrativi ecc.
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Nonostante il ricorso classicista nell'uso della rotonda, delle gallerie e delle scale
monumentali, il progetto museogra ico di Stein è indubbiamente sostenuto da una
concezione moderna del museo, soprattutto per il problema della lessibilità.
- Le Courbousier pensa a una spirale che cresce su se stessa da cui trasse l’idea di “museo a
crescita illimitata”.
Si tratta di una struttura in esplicita polemica con la solennità dei musei ottocenteschi, poco
costosa, costruita di materiali semplici, senza facciata e, ovviamente, lessibile.
Questo tipo di museo è basato sul modulo quadrato e sulla spirale;
le pareti sono costituite da pannelli mobili che possono essere facilmente spostati;
l’illuminazione è zenitale, di usa attraverso un so itto vetrato.
Nella mente di Le Corbusier, il Museo è visto in senso funzionale, come una macchina per
esporre.
Nel 1927 la Società delle Nazioni aveva bandito un concorso per la costruzione, a Ginevra, di
un centro culturale internazionale, il Mundaneum, che includeva un museo dedicato al sapere
universale.
Il progetto più a ascinante è quello presentato da Le Corbusier, sebbene scon itto.
1934
Sulla rivista "Mouseion", Paul Philippe Cret (architetto francese trasferitosi a Filadel ia e autore
del Detroit Institute of Arts), prendeva posizione contro la riduzione del museo alla nudità di
un magazzino costruito in economia, rivendicando la necessità di armonizzare la cornice
architettonica alla qualità delle opere esposte.
Come emerge dalle relazioni del Congresso era ormai consapevolezza comune che una
buona conservazione dipende dal controllo di umidità e temperatura e che il mantenimento
di valori costanti avrebbe diminuito la necessità di interventi di restauro.
A distanza di un anno fu poi organizzata ad Atene la prima Conferenza Internazionale sulla
Conservazione dei Monumenti Storici, che elaborò un decalogo, la "Carta d'Atene" (1931), nel
quale, sul versante del restauro architettonico, si stabilivano principi analoghi a quelli
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a ermati a Roma per gli interventi sulle opere mobili, primo fra tutti il ri iuto delle integrazioni
e dei rifacimenti "in stile" che avevano caratterizzato le metodologie ottocentesche.
Era il primo passo verso la redazione di un codice normativo degli interventi di conservazione
e di recupero dei monumenti storici che fu issato con la Carta Internazionale del Restauro
pubblicata a Venezia nel 1964.
CONFERENZA DI MADRID
1934
- Rappresenta un momento cruciale per la storia della museogra ia in cui si a erma la
convinzione di dover adottare dei criteri di selezione delle opere da esporre, ampliando gli
spazi espositivi, controllando l’illuminazione e la climatizzazione e l’accoglienza.
- Momento riassuntivo del dibattito sull’idea di museo tra le due guerre iniziato con la CICI e
proseguito sulla rivista “Museion”.
La scelta di Madrid va collegata al riordino del Prado da poco messo in atto e che
rispecchiava molti dei più moderni criteri allestitivi emersi in quegli anni.
L’ispiratore e il grande protagonista della Conferenza fu Louis Hautecœur, conservatore del
Louvre e docente alla scuola superiore di Belle Arti, in cui dal 1927 era u icialmente inserita
come disciplina di studio, la Museogra ia.
Le sue dettagliatissime conoscenze in ambito museogra ico erano state presentate ad una
conferenza all’Ecole du Louvre, l’intervento era stato poi riportato su Mouseion e, dopo
essere stato ampliato, aveva costituito l’intervento di apertura della conferenza del ’34.
Nel saggio, LH ripercorreva la storia e lo sviluppo delle varie forme architettoniche utilizzate
per spazi espositivi, per poi procedere con l’elenco dei principali temi di dibattito in merito
alle nuove forme e alle nuove esigenze a cui adattarsi nel XX secolo;
il testo non aveva la pretesa di risolvere i quesiti che si poneva, ma di fornire una base per la
discussione in modo che fosse il più completa possibile.
Tra i temi centrali della Conferenza quello dell’illuminazione viene trattato nell’intervento di
Stein, unico architetto.
che illustrava le numerose esperienze di illuminazione arti iciale realizzate nei musei
americani con ri lessioni che meritano interesse per la crescente attenzione circa gli e etti
della luce sulle opere d'arte.
Siamo, tra l'altro, negli anni in cui la luce elettrica faceva le sue prime apparizioni nei musei
europei, dal Museo Nazionale di Stoccolma a quello realizzato al Louvre nel 1933.
Il punto forte della relazione di Stein è il riconoscimento del ruolo della luce, al pari degli altri
elementi della composizione architettonica, tanto da rendere impossibile scindere la
progettazione del museo da quella del sistema illuminotecnico.
Il nodo fondamentale è che la luce va considerata al pari degli altri elementi facenti parte
della composizione architettonica.
Altri temi trattati riguardano l’architettura esterna e l’allestimento delle sale (di sei diverse
tipologie di raccolte: da quelle etnogra iche alle collezioni di gra ica, dalle raccolte d'arte
decorativa e industriale a quelle numismatiche, dalle collezioni di sculture a quelle di reperti
preistorici, ciascuna con le sue peculiari necessità di presentazione).
Altro argomento centrale della Conferenza fu quello della lessibilità, nuovo imperativo nella
progettazione museale che interpretava l'interno come spazio aperto.
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Di qui anche la critica alle ricostruzioni d'ambiente: in una visione moderna, all'oggetto
esposto doveva essere restituita la sua qualità di frammento decontestualizzato e perciò
presentato nei modi più vari.
La lessibilità non investiva solo la museogra ia, ma anche il criterio espositivo della
collezione, mai issa, mai inchiodata alle pareti, aperta a nuove letture.
Nel complesso la museogra ia italiana appariva sospesa tra una concezione ancora
fortemente tradizionale (riuso degli edi ici antichi) e una prudente aspirazione ad aggiornarsi
sulle novità europee.
La delegazione italiana a Madrid non era composta dai direttori dei musei, bensì dagli alti
funzionari del Ministero dell’Educazione Nazionale.
Nel complesso viene mostrata una museogra ia italiana sospesa tra una concezione ancora
fortemente tradizionale e una prudente aspirazione ad aggiornarsi sulle novità delle grandi
istituzioni europee, come conferma la Pinacoteca Vaticana, di Luca Beltrami, edi icio
neorinascimentale ricco di apparati decorativi e quindi di gusto antiquato, ma con
attrezzature all’avanguardia soprattutto per quanto concerne i laboratori di restauro. In
questo panorama si registra un’eccezione con Pacchioni, direttore della Galleria Sabauda di
Torino che, in occasione del suo centenario, ne riorganizza il percorso con criteri moderni e
con un ordinamento selettivo.
Dopo le guerre mondiali le collezioni erano rimaste pressoché indenni, grazie all’ottimo lavoro
svolto dalle soprintendenze e dalle amministrazioni locali per ricoverare le opere mobili in
rifugi antiaerei e in luoghi protetti, ma bisognava sostanzialmente agire su due fronti: il
restauro delle sedi espositive e il loro riammodernamento.
I musei milanesi furono quelli maggiormente colpiti dai disastri bellici, ma fu proprio Milano,
assieme a Genova e Venezia, a fornire le soluzioni migliori e più moderne.
Nel 1953 il direttore generale delle Antichità e Belle Arti, Guglielmo De Angelis d'Ossat,
pubblicava un rapporto sul ripristino dei musei italiani iniziato a partire dalla ine della guerra
(Musei e Gallerie d'Arte in Italia, 1945-1953, Roma, Poligra ico dello Stato).
È un documento che testimonia l'impegno nella ricostruzione e traccia i principi generali ai
quali ci si era attenuti.
L'opera di ricostruzione aveva coinvolto oltre 150 musei e non si era limitata a "ripristinare lo
stato quo ante, ma si è proposta di migliorare le condizioni preesistenti, di trasformare un
avvenimento doloroso in una occasione per compiere un passo avanti verso una più
completa e adeguata sistemazione di una parte preziosissima del patrimonio artistico
nazionale".
Dopo quasi vent'anni, i principi a ermati a Madrid, che l'Italia aveva accolto, si impongono
nella museogra ia italiana e vengono enunciati da De Angelis d'Ossat come i criteri-guida
perseguiti nel corso della ricostruzione.
- Sostituire alle sale imponenti locali più semplici;
- Prevedere strutture leggere e spostabili;
- Sostituire le vecchie tappezzerie e le decorazioni con pareti tinteggiate in tonalità chiare;
- Realizzare un percorso logico;
- Studiare attentamente le condizioni di luce preferendo l'illuminazione naturale proveniente
dall'alto;
- Istituire laboratori di restauro, sale di studio, sale per esposizioni temporanee, organizzare
mostre didattiche (come diceva Focillon).
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Principali interpreti: Albini a Genova, lo Studio BBPR (Antonio Ban i, Lodovico Barbiano di
Belgiojoso, Enrico Peresutti, Ernesto Nathan Rogers) e Gardella a Milano, Carlo Scarpa a
Venezia, Palermo e Verona.
Interventi:
A Milano
Nel quadro dei rifacimenti, quello della Pinacoteca di Brera (1950) rappresenta un caso
esemplare dell’incertezza fra tradizione e modernità: la ricostruzione si presenta infatti come
un compromesso tra la tradizione, persistente nei pavimenti in marmi preziosi e nella solenne
eleganza, e la modernità, emersa nella nuova presentazione dei dipinti su un solo registro e
nella trasformazione dei sistemi di illuminazione.
Non mancavano neppure soluzioni che ammiccavano alla tecnica dell’ambientazione, come
le sale ellittiche destinate ai dipinti settecenteschi, la “cappella” per la pala di Ra aello e lo
“studiolo” pensato per Piero della Francesca.
Negli stessi anni si realizzava il riallestimento dei musei del Castello Sforzesco, secondo il
progetto museogra ico del gruppo BBPR (Ban i, Barbiano di Belgiojoso, Peresutti, Rogers).
Il gruppo aveva aderito al contestualismo architettonico, ossia la necessità da parte
dell’Architettura di tener conto delle preesistenze ambientali, cosa che lo rendeva
particolarmente adatto al lavoro su un edi icio antico.
Ex. Lavori di restauro del Castello Sforzesco a Milano, riordinati dal direttore Costantino
Baroni secondo un progetto museogra ico a idato al Gruppo BBPR.
Anche qui fu indispensabile il dialogo tra i progettisti e lo storico dell’arte.
La base concettuale era che il Castello Sforzesco fornisse la possibilità di realizzare un museo
romantico, parlante, che comportasse, con la sua stessa architettura e con l’allestimento, una
immediata comprensione dell’opera, ma anche un forte coinvolgimento emotivo dello
spettatore. Le soluzioni adottate suscitarono anche molti dispareri poiché vennero da alcuni
giudicate eccessive e preponderanti sulle opere.
Il restauro architettonico fu il primo punto da a rontare dopo le distruzioni della Guerra: ciò
che lo rendeva più complesso erano le aggiunte in stile e ettuate non più di cinquant’anni
prima, che vennero mantenute e alleggerite negli spazi interni.
Il maggiore risultato fu l’abbattimento dei muri divisori delle prime sale della Corte Ducale,
non solo nei riguardi dell’architettura originale, ma anche verso una maggiore scorrevolezza
del percorso espositivo; nel nuovo ambiente fu collocata la trecentesca Posterla dei fabbri,
una delle antiche porte della città, che costituiva così un incipit sicuramente suggestivo per
la visita.
Altro avvenimento fondamentale fu il ritrovamento del monocromo di Leonardo, nascosto
sotto i rivestimenti lignei.
La lessibilità stava nella presenza di spinotti predisposti per sostegni di eventuali nuove
acquisizioni oppure tagli nel pavimento con la medesima funzione.
A conclusione del percorso della scultura era posta la Pietà Rondanini che, posta al termine di
una grande scalinata, sorprendeva il visitatore.
Più pacati sono i toni del piano superiore, che ospitava il mobilio e la pinacoteca.
Sempre a Milano, anche la Galleria d’arte moderna venne danneggiata e le antiche scuderie
che occupavano un’area trapezoidale a ianco del palazzo erano completamente distrutte.
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Nel riordino, si decise di dedicare la struttura solo alle opere ottocentesche, mentre le opere
contemporanee vennero posizionate in uno spazio distinto che, nel progetto di Ignazio
Gardella, ricalcava il perimetro delle scuderie distrutte.
Nasceva così il PAC, Padiglione di Arte Contemporanea, inaugurato nel 1953.
Gardella aveva deciso di rispettare i valori storici preesistenti, la villa e il giardino all’inglese
progettati da Pollack, ma anche la memoria delle porzioni distrutte, mantenendo le
proporzioni del giardino di servizio fra la villa e le scuderie, così come la planimetria
irregolare e lo sviluppo in altezza.
A Genova*
Franco Albini, soprintendente alle Gallerie dal 1939 al 1946, fu assegnata a Franco Albini la
progettazione delle salette attigue alle sale napoleoniche a Brera.
Albini era già ben conosciuto a Brera per aver lavorato anni prima, sempre su invito di
Pacchioni, alla sistemazione di un'ala della pinacoteca (1939) e successivamente
all'allestimento di una mostra temporanea, nel 1941, dedicata a Scipione (pseudonimo del
pittore Gino Bonichi, Macerata).
Fu un intervento memorabile che, per la prima volta, introduceva negli storici ambienti di
Brera strutture leggere mutuate dalle attrezzature industriali, come quelle utilizzate dallo
stesso architetto negli anni trenta in padiglioni ieristici (il Padiglione INA, quello della Fiat e
interventi espositivi alla Triennale “Mostra dell'antica ore iceria italiana nel”, 1936). La mostra
di Scipione si avvaleva di montanti, in legno, issati al so itto con cavetti d'acciaio cui si
agganciavano sia i supporti per i quadri sia le lampade.
Attraverso le mostre, insostituibili laboratori di sperimentazione, l' architetto issava i canoni
cui si sarebbe attenuto nel corso del suo lavoro, piegando i propri mezzi espressivi alle
diverse esigenze di stabilità del museo.
Intervenendo in quello che ancor oggi si chiama "corridoio Albini" (benché radical mente
modi icato per esigenze di spazio), l'architetto uni icava le salette adiacenti alle quattro sale
napoleoniche in una galleria continua dove una sequenza di pannelli dalle tonalità chiare,
staccati sia dal pavimento sia dalla parete - e quindi sospesi nello spazio, creando una serie di
vani per ospitare le pitture venete di formato minore.
Luce naturale proveniente dalle inestre schermate da doppie tende (una bianca e una nera,
per graduare la luce) e luce arti iciale nascosta da una so ittatura, costituivano un originale
esperimento di illuminazione.
Ma fu a Genova che Albini realizzò i suoi più importanti interventi in campo museale.
Al Palazzo Bianco mira a mettere in rapporto il visitatore e il museo attraverso l’uso di
strutture semplici, di elementi d’arredo semplici e familiari che non attirino l’attenzione, che
deve essere sollecitata dalle sole opere in mostra; così facendo l’allestimento non entrava in
competizione con l’architettura settecentesca del palazzo, che restava interamente leggibile.
Da qui la selezione delle opere e l’eliminazione di tutti gli arredi aggiunti a posteriori.
Le scelte cromatiche sono giocate sui toni chiari delle pareti e dei pavimenti e i supporti neri
e grigi; la luce è naturale, iltrata da tendine e listelli orientabili, e arti iciale, di usa da
lampade luorescenti che scendono dal so itto tramite cavi d’acciaio.
Criteri simili vengono usati per il restauro di Palazzo Rosso, dove però l’approccio nei
confronti dell’architettura fu diverso, poiché se ne conservò il carattere patrizio.
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Il palazzo seicentesco barocco era stato danneggiato nei bombardamenti del ’42 e il suo
rifacimento aveva preso avvio già nel 1950.
Albini qui operò una netta distinzione fra i due piani nobili: il primo, senza a reschi, era
riservato alle opere più antiche; il secondo alle opere più tarde, ma anche il mobilio e le
sculture, in armonia con le decorazioni barocche presenti.
Una logica diversa, invece, è adottata per il Museo del Tesoro di San Lorenzo, annesso alla
cattedrale. Il Museo si compone di tre camere circolari collegate da passaggi rettilinei rivestiti
in pietra, con volte ribassate; la luce zenitale iltra tenue dall’oculo.
Nel pavimento viene ricavato un incavo che ospita le opere principali mentre le altre sono
disposte liberamente nello spazio o protette da teche.
Il carattere chiuso della collezione non poneva il problema della lessibilità e ne consentiva
una sistemazione de initiva, articolata come un prezioso reliquiario.
A Venezia
L’architetto Carlo Scarpa aveva avuto modo di curare gli allestimenti di una serie di mostre
che, come sempre, servirono per sperimentare metodi e soluzioni applicabili alle collezioni
permanenti.
Ne sono esempi la sala dedicata a Paul Klee per la biennale del 1948 e la mostra di Giovanni
Bellini del ’49.
Fra il ’46 e il ’49, infatti, prendono avvio i primi interventi di Scarpa operati sulle Gallerie
dell’Accademia.
La linea fu quella delle esperienze contemporanee nel resto d’Italia: si eliminarono le cornici
non pertinenti, si operò una scrematura fra le opere da esporre, le pareti vennero spogliate
delle tappezzerie e trattate con intonaci lavorati per di erenziare le sale, le opere erano
presentate su pannelli e disposte con lievi variazioni per non creare e etti monotoni, la loro
disposizione teneva conto dell’incidenza della luce naturale, prediletta da Scarpa.
Nel 1953 Scarpa cominciò a lavorare al riallestimento delle sezioni storiche del Museo
Correr, condotto in parallelo con la realizzazione della mostra su Antonello da Messina in
Sicilia, altro momento altissimo della sua carriera.
Tutta questa esperienza con luì nell’allestimento Correr, le cui collezioni storiche
raccoglievano una vastissima gamma di oggetti tutti diversi, con in inite possibili soluzioni
allestitive. Particolarmente felice fu quella adottata per la sezione dei costumi, presentati in
semplicissime vetrine di cristallo e ferro, abbinati alle bandiere e ai vessilli applicati su teli di
sto a, così da rievocarne la funzione
Nel 1958
Si occupò della mostra “Da Altichiero a Pisanello” allestita nelle sale di Castelvecchio fu il
primo intervento a rontato da Scarpa nella reggia veronese su incarico del neodirettore
Licisco Magagnato.
Fu il primo episodio del complesso restauro e dell'allestimento museogra ico delle collezioni
che impegnò l'architetto tra il 1957 e il 1964.
L'intervento fu occasione di scoperte importanti, come il ritrovamento del vallo trecentesco e
dell'antica porta del Morbio, un varco aperto nelle mura comunali e chiuso al tempo degli
Scaligeri, che indirizzarono le scelte museogra iche piegandole alle esigenze di quanto il
restauro andava svelando dell'originaria struttura del castello.
Il rispetto per le tracce antiche portò alla demolizione della caserma napoleonica che le
aveva occultate, mentre venne mantenuto il prospetto verso il cortile con la ricostruzione di
facciate gotiche veronesi messe in opera nell'allestimento degli anni venti.
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Restauro e soluzioni museogra iche procedevano dunque di pari passo, in una continua
messa a punto che in luenzava i rispettivi orientamenti.
All'interno delle sale le sculture antiche, diradate e presentate su basi sempre diverse e
calibrate su ciascuna opera, collocate nella nuova luce degli spazi del museo, ritrovavano
senso e attualità come preziosi documenti del passato.
Preceduta da lunghe ri lessioni fu la sistemazione della statua equestre di Cangran de della
Scala, opera emblematica del museo, in un primo tempo pensata nel cortile d'ingresso come
solenne invito alla visita, ma poi, con il ritrovamento della porta del Morbio, collocata in
corrispondenza del nuovo accesso.
Questi concetti, che erano stati al centro del dibattito degli anni trenta e che avevano trovato
piena applicazione nella museogra ia italiana del dopoguerra, a New York si andava
realizzando il Solomon Guggenheim Museum, per contenere la collezione del mecenate
americano Peggy Guggenheim, inanziato dallo zio Solomon.
1943/1945-1959
Il progetto fu a idato a Frank Lloyd Wright, l'apertura avvenne molti anni dopo, nel 1959.
Questo museo sconvolgeva i canoni tradizionali, ancora attuali negli Stati Uniti se si pensa
che la National Gallery of Art di Washington, fedele alla tipologia classica del tempio greco.
Il cuore del Guggenheim è invece un a ascinante invaso vuoto, cinto da una rampa a spirale
di sette piani che costituisce il percorso del museo.
Percorso che inizia dall'alto e non prevede altra possibilità di visita se non quella imposta
dallo svolgersi della rampa.
Seguendo il suo ininterrotto dipanarsi intorno al vasto cavedio, il visitatore può contemplare
le opere esposte collocate su muri curvi e in relazione col piano inclinato del pavimento, le
quali sembrano luttuare prive di appoggio.
Se l'idea della spirale può essere messa in rapporto con il ''museo a crescita illimitata" di Le
Corbusier, il Guggenheim ne contraddice lo spirito: dove l'architetto svizzero immaginava una
costruzione minimalista priva di solennità, fatta di pannelli mobili e di materiali poveri, il più
possibile neutra e funzionale, Wright crea invece un edi icio spettacolare che si impone nel
tessuto urbano cercando un nuovo rapporto con la città.
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Questa rivisitazione in chiave moderna della classica "rotonda" vuole porsi in continuità con
lo spazio esterno, "come se il marciapiede.. proseguisse ino alla ine dell'edi icio".
Ma l'aspetto più nuovo, e più carico di conseguenze, è la competizione che qui si instaura tra
struttura architettonica e opere d'arte, dove la prima inisce per prevalere marginalizzando la
collezione: in questo senso il Guggenheim Museum è il prototipo delle odierne esperienze
museogra iche che in maniera sempre più esplicita hanno investito l'immagine di un
quartiere, se non dell'intera città, in cui al museo, in quanto struttura, viene a idato il ruolo di
landmark e su di esso viene costruita l’immagine di un intero quartiere, se non dell’intera
città.
Questo disinteresse per la funzionalità a vantaggio della forza espressiva del segno
architettonico si ritrova nella Neue National Gallery di Berlino che, realizzata da Mies van der
Robe nel 1968, sviluppa l'idea del rapporto con l'esterno proposto dall'architetto nel progetto
di un "museo per una piccola città" americana, un edi icio a un solo piano caratterizzato da
una grande vetrata che ne costituisce il prospetto e crea un dialogo con il paesaggio.
È tuttavia opportuno ricordare che già nel 1939 il piano inferiore del Museum of Moder Art di
New York (MOMA) era stato concepito dai suoi architetti Philip Goodwin e Edward Dorrei
Stone "come la vetrina di un grande magazzino" alla portata dello sguardo dei passanti.
Come un Crystal Palace razionalista, collocato su un alto podio in granito e sovrastato da
un'ampia falda di copertura, il museo è una vasta aula dalle pareti in vetro, uno spazio
continuo e senza interruzioni, all'interno del quale le opere esposte hanno come scenario la
città.
CENTRE POMPIDOU
1977
Una svolta ancora più radicale nella storia dei musei moderni, del XXI sec, è quella che si
a erma a Parigi con la creazione del Centre Pompidou, che prende il nome dal presidente
francese che ne promosse l’istituzione, detto anche Beaubourg dal nome della piazza in cui
sorge.
Alla sua base c'è una forte volontà politica, tesa a rilanciare Parigi sulla scena dell'arte
contemporanea strappando a New York il ruolo di capitale che la città francese stava
perdendo.
Già dalla de inizione di "centro" è chiara la volontà di distinguersi dalle istituzioni tradizionali
ponendosi obiettivi che non si esauriscono nella conservazione, nell'esposizione e negli
usuali rapporti col pubblico.
Il Centre Pompidou rivendica un ruolo propositivo, come luogo di attività dove le arti visive si
accompagnano al cinema, alla fotogra ia, alla musica, al design e, attraverso un centro di
documentazione che include biblioteca, cineteca, videoteca e una sezione dedicata alla
musica e all’acustica e alla ricerca di nuove discipline.
È un progetto che va visto nel quadro del movimento sociale e politico che scuote le società
occidentali nel corso degli anni ‘60 e che trova il suo apice nelle rivolte studentesche del ‘68:
la negazione della cultura u iciale, del principio d'autorità, del sistema scolastico vigente,
coinvolgeva anche il museo, a cui si chiedeva di tener conto di una società mutata, portatrice
di nuovi valori e di nuove richieste.
È dunque a un pubblico più esigente e desideroso di partecipazione che si rivolge il Centre
Pompidou, coinvolgendo il quartiere: ponendosi come strumento di comunicazione sociale.
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Ciò che si svolge dentro il museo, è ben visibile dalla spianata antistante perché la totale
trasparenza dissolve i con ini tradizionali tra l'interno e l'esterno, tra il museo e la città.
È l'annullamento del limen, cioè del con ine tra la vita quotidiana e lo spazio ''sacrale" del
museo.
1989
Persino per il Louvre, di fondazione ottocentesca, si sente il bisogno di creare un logo, la
Piramide di Leoh Ming Pei: che è diventata ormai il simbolo del museo e il segno della sua
modernità, tanto da far dimenticare il legame con la storia: la sua mole luminosa è infatti
percepita come un fatto nuovo, un episodio senza precedenti (ricordare che l'erezione di una
piramide al centro della Cour Napoléon era stata già progettata nel 1809 come omaggio dei
francesi all’imperatore).
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Peacock Room, 1876- 1 877, oggi alla National Gallery di Washington, dove l' opera d'arte è
costituita non solo dai dipinti ma dall'intero ambiente in cui essi sono inseriti.
È il concetto di Gesamtkunstwerk (opera d' arte totale) che Richard Wagner usò per primo
nel 1849 in riferimento al teatro lirico, unione di testo, musica, scenogra ia, attori.
La storia aveva conosciuto altre opere d'arte "totali" come la cattedrale gotica dove
architettura vetrate e a reschi, sculture e ore icerie si integravano a vicenda.
Dalla prima manifestazione dello Jugendstil a Vienna nel 1902, dove il nuovo edi icio di Joseph
Olbrich si accompagnava in un insieme inscindibile al grande a resco di Klimt ispirato alla
nona sinfonia di Beethoven e alla scultura colorata di Max Klinger, artisti e committenti
cercarono di unire in un solo progetto le opere d'arte e l'architettura.
Era un processo opposto a quello che aveva caratterizzato il museo, che dopo i tentativi
romantici di ambientazione storicizzante, si confrontava con opere d'arte isolate e prive di un
contesto di riferimento.
Con il surrealismo e la pop art l'idea di arte totale tornava invece in auge attraverso
l'installazione, cui talvolta si accompagnava anche l'azione.
Di questi nuovi fermenti si fece interprete, nel 1967, la Documenta: rassegna inter nazionale
d'arte contemporanea istituita a Kassel nel 1955.
In quell'anno un parco e un castello in parte bombardato furono messi a disposizione degli
artisti, invitandoli a inventare un'opera in relazione con il sito (site specijìc).
Anche un museo come quello della scultura del XX secolo a Matera (MUSMA), che utilizza i
famosi "Sassi" come "sale espositive", sarebbe stato inconcepibile senza i radicali mutamenti
dell'esperienza artistica e l'uscita dell'arte dai suoi con ini tradizionali.
Innumerevoli gli esempi che si possono citare: il "parco architettonico" di Weil am Rhein,
dove le sinuose murature del Vitra Design Museum di Frank O. Gehry (1989) dialogano con i
padiglioni di Alvaro Siza, di Zaha Adid, di Tadao Ando, di Herzog & de Meuron, ciascuno
portatore di una sua peculiare visione.
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In stretta simbiosi con la città è invece il nuovo Museums Quartier di Vienna (MQW),
inaugurato nel 2001, un vastissimo spazio che fa da sfondo alla Maria The resien Platz dove si
fronteggiano i due grandi musei ottocenteschi, il Kunsthistorisches Museum e il
Naturhistorisches Museum.
Qui Stile barocco e linguaggio d'avanguardia convivono così nel grande complesso che
accoglie più di venti istituzioni cultura.
1991/1997
Non si è invece trattato della riquali icazione di un quartiere ma di un'intera città quello che è
avvenuto a Bilbao, dove il celebrato Guggenheim Bilbao Museoa ha risollevato le sorti del
capoluogo basco, già ricco centro industriale ma da tempo avviato alla decadenza.
Per questi nuovi musei è stato coniato il termine di ipermusei o musei dell'iperconsumo (G.
De Carlo): in cui la spettacolarità delle architetture ne fa i monumenti urbani più riconoscibili,
mentre la varietà di servizi al pubblico li rende luoghi di attrazione sociale.
Il moltiplicarsi di ipermusei nasce oltre che dalla visibilità, dalla necessità di molti musei di
aumentare i propri spazi sia per l’ampliamento delle collezioni che degli spazi di accoglienza,
sia attraverso ampliamenti loco, sia attraverso nuove sedi decentrate, a volte in altre città.
Così nel Victoria and Albert Museum di Londra è stata recuperata la corte laterale a acciata
su Exhibition Road scavando una nuova piazza.
Realizzata dall'architetto Amanda Levete e inaugurata nel giugno del 2017, la nuova struttura
sostituisce il precedente progetto di Daniel Libeskind, ritenuto troppo invasivo e perciò
scartato a favore della nuova soluzione.
Del tutto opposto, invece, l'approccio di Frank O. Gehry nell'ampliamento dell'Art Gallery
Ontario (AGO) inaugurato nel 2008 a Toronto, sua città natale: la nuova costruzione incombe
sulla sobria facciata in pietra del vecchio museo soverchiandolo con l'imponente scala a
spirale esterna e la copertura ondulata, sviluppandosi poi nel lato opposto con la luminosa
Galleria Italia in vetro e legno che o re una veduta panoramica sulla città.
L'apertura di sedi decentrate fu inaugurata dalla Fondazione Guggenheim di New York per
iniziativa dell'allora direttore Thomas Krens: il suo progetto prevedeva l'istituzione di un
sistema di iliali che non comprendevano solo il museo di Bilbao, realizzato nel 1997, ma
anche nuove succursali che ebbero però vita breve (il Deutsche Guggenheim di Berlino,
quello di Las Vegas).
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potenziarmento dei musei per il rilancio della città, il cui segno distintivo è dato dal Cubo di
Cristallo irmato dall'artista francese Daniel Buren.
Anche il Louvre ha aperto a Lens nel 2012 una propria sede decentrata. Dieci anni fa fu
rati icato l'accordo con gli Emirati per le cessione trentennale del "marchio" Louvre, insieme
al prestito a lungo termine di opere del Louvre e di altri dodici musei francesi in cambio di un
lauto inanziamento. Si parlò di simonia, di svendita dei valori culturali; i conservatori del
Louvre irmarono un appello contro l'accordo.
In seguito l'idea della " iliale" araba ha perso i connotati negativi dati all'inizio e sull'isola
arti iciale di Saadiyat, che fronteggia la città di Abu Dhabi, è stato inaugurato (2017) il nuovo
Classical Museum, ribattezzato Louvre Abu Dhabi.
Progettato da Jean Nouvel, è concepito come un insieme di oltre cinquanta edi ici bianchi
ispirati alle medine arabe e collegati da un'enorme cupola luminosa che sembra luttuare
sull'acqua: un complesso che pare andare oltre l"'ipermuseo" per diventare una città-museo :
insieme di + ipermusei, piano che punta sulle nuove opportunità di consumo.
Il tema degli “ipermusei" tocca marginalmente l'Italia, dove troviamo rari esempi di musei
costruiti ex novo: il MAXXI di Roma dell'allieva di Gehry Zaha Adid (2010) e il Museo delle
Scienze (MUSE) di Trento, progettato da Renzo Piano e inaugurato nel 2013 .
Anche il MUSE ha risposto a un'esigenza di riquali icazione urbana perché sorge in un'area
industriale.
Costruito seguendo i parametri di risparmio energetico e di sostenibilità ambientale, è del
tutto svincolato dalla tradizione, il suo pro ilo irregolare l'andamento delle cime montuose
che lo circondano.
Ma nel panorama italiano prevale la scelta di collocare i musei in edi ici da riutilizzare.
- A Milano il nuovo Museo del Novecento progettato da Itaio Rota (2010) è col locato nello
spazio dell'Arengario, un edi icio di chiara matrice fascista non facile da piegare alle
esigenze di un museo.
- Diverso il caso del Museo delle culture (MUDEC), versione milanese del parigino Musée du
Quai Branly (Jean Nouvel, 2006): l'edi icio, progettato da David Chipper ield e inaugurato
nel 2014, è una struttura nuova che sorge però all'interno di un'area industriale dismessa e
deve dunque misurarsi con i vecchi edi ici che l'hanno preceduta.
Fenomeno Bilbao
Il fenomeno che ha visto società multi nazionali ed amministrazioni pubbliche di tutto il
mondo avviare la corsa frenetica alla realizzazione di architetture sempre più costose e
sbalorditive come nuove sedi decentrate, in seguito al largamente equivocato successo del
Guggenheim , ormai riconosciuto come e etto Bilbao .
MUSEI E MUSEOLOGIA DI POULOT.
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MUSEO BLOCKBUSTER
Poulot a erma che la varietà dei musei del XXI secolo, alimentata dall’accelerata
moltiplicazione di nuove fondazioni, rende ormai impossibile enumerarne tutte le categorie;
in particolare si assiste a un doppio movimento: da un lato c’è un numero sempre maggiore di
musei monogra ici, dall’altro i musei universali perseguono ogni giorno di più il loro progetto
di esaustività.
MUSEI DI STORIA: si inscrivono in una prospettiva identitaria, per difendere una confessione,
una nazione o delle comunità.
Il loro sviluppo nell’Europa del XIX secolo sembra legato ai momenti di maggiore intensità del
fervore patriottico, mentre il relativo assopimento alla ine del XIX secolo pare dovuto alla sua
diminuzione.
Possiamo individuare il primo museo di questo tipo nel Museo dei Monumenti Francesi, con
l’obiettivo di rappresentare la storia di Francia dalle origini ai nostri giorni attraverso una
passeggiata didattica.
La collezione, all’origine semplice deposito di opere provenienti dalle chiese parigine,
insediato nell’antico convento di Petits-Augustins, diviene un museo grazie all’abilità del suo
conservatore, il giovane pittore Alexandre Lenoir nel 1795.
La sistemazione dei monumenti per evitarne la perdita porta all’elaborazione di un museo di
storia che vuole o rire in un colpo d’occhio la progressione delle arti, dal barbaro al
perfezionato e che si traduce in una museogra ia spettacolare che si avvale dell’aumento
della luce, dalle scure sale medievali al chiarore classico, dimostrando come la storia dell’arte
sia necessariamente legata alla storia politica.
Un secondo tipo di museo storico è quello ROMANTICO (Museo di Cluny)che illustra la
di erenza dei tempi, così come il Museo di Versailles, che vuole mostrare la continuità dei
due volti della Francia prima e dopo la Rivoluzione.
La sua trasformazione in museo è dovuta alla necessità di un riutilizzo del castello e mira a
celebrare la grandezza della Francia e lo splendore della corona.
In ine un ultimo tipo di museo storico è il MUSEO-LABORATORIO dedicato più all’avvenire
della scienza che all’estetica della resurrezione del passato o all’obbligo politico di illustrare
gli annali del Paese; tra questi sono il Museo degli Archivi, scuola di paleogra ia, e il Museo
delle Antichità Nazionali, luogo di lavoro per gli studiosi di preistoria.
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MUSEO DELLE SCIENZE SOCIALI: nel XX secolo il progetto di una storia delle scienze sociali
ha segnato un cambiamento notevole degli interessi e dei discorsi eruditi;
Nel corso degli anni 70 la storia economica e sociale e la storia delle mentalità sono entrate a
far parte dei nuovi musei di storia.
Oggi la creazione di musei di storia del presente non ha dato sempre luogo alla felice
collaborazione tra conservatori e ricercatori e lascia aperti alcuni interrogativi legati alla
duplice esigenza di conservare gli elementi del passato e darne coscienza;
Ossia costruire un racconto senza ridurre i propri visitatori al silenzio ma anche senza cedere
ai pericoli di una rappresentazione troppo empatica.
Ex. Il Museo dell’Apartheid a Johannesburg cerca di ricordare il passato in modo che sia
familiare e spaventoso al tempo stesso.
Espone 12 scatole della memoria che devono indurre il visitatore a ri lettere sui propri
sentimenti davanti all’orrore e indurlo a ri lettere sul razzismo e la povertà.
Parallelamente celebra coloro che hanno sacri icato la vita per l’abolizione dell’Apartheid.
Con questa sua duplice missione, commemorativa e celebrativa, empatica e vittimista, il
museo è rivelatore di una nuova generazione di istituzioni.
Esemplare è il caso dei numerosi Musei dell’Olocausto: da un lato appare interessante la
trasformazione del museo in memoriale o in teatro della memoria, come nel caso del museo
ebraico a Berlino, Il museo, descrive e integra, per la prima volta nella Germania del
dopoguerra, la storia degli ebrei del Paese, le ripercussioni dell’Olocausto e il senso di
disorientamento spirituale connesso a tutto ciò.
dall’altro gli sforzi della museogra ia possono far sì che un rapporto troppo doloroso o
politicamente problematico nei confronti di un trauma storico venga aggirato da un racconto
che libera di un simile fardello, simulando la continuità di una identità o l’integrità di una
storia.
MUSEO ETNOGRAFICO: Già nei secoli passati il gusto per il viaggio e l'interesse per l'esotico
alimentarono un collezionismo di tipo etnogra ico, prevalentemente extraeuropeo,
documentato dal seicentesco Museo Kircheriano, ma i primi musei etnogra ici fondati su
basi moderne nacquero alla ine dell'Ottocento.
tema di questi è l’indagine sulle diverse identità etniche.
il paragone tra Francia e Germania mostra ino a che punto il museo etnogra ico abbia
assunto forme diverse a seconda del tipo di costruzione nazionale e dei modelli scienti ici
adottati.
In Germania, infatti, dove la di icoltà di uni icazione nel XIX secolo consiste nell’integrare i
diversi Stati preunitari si a erma un notevole sviluppo degli Heimatmuseum (da Heimat,
piccola patria); tali istituzioni ri lettono l’attivismo di personaggi desiderosi di creare un
patrimonio, impegnati a valorizzare la cultura di ciascuna delle loro piccole patrie in seno a
una “nazione di provinciali”.
In Francia, invece, la nozione di cultura nata dalle scienze sociali - in primo luogo
dall’antropologia – compare nel periodo tra le due guerre, che vede un riconoscimento
inedito delle culture popolari, contadine e operaie, legato a movimenti politici e intellettuali
diversi.
Qui si sviluppano i Musei di arti e tradizioni popolari con l’intento di o rire un’immagine
globale della cultura francese preindustriale.
Nonostante una grande coerenza, tali musei sono stati presto vittime della loro localizzazione
decentrata, della mancanza di edi ici e di uno scarso rinnovamento delle esposizioni
permanenti. Proprio prendendo atto della stagnazione generale il Ministero della Cultura ha
deciso il trasferimento del museo a Marsiglia per dedicarlo, dal 2008, alle civiltà europee e
del Mediterraneo.
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Nell’allestimento dei Musei etnogra ici hanno un ruolo centrale gli oggetti (in genere oggetti
d’uso) che raccontano i costumi e le tradizioni di un popolo, ma non da meno sono le
produzioni immateriali – danze, suoni, rituali, consuetudini – talvolta in grado di raccontare
un popolo meglio degli oggetti concreti; di qui l’uso sempre più frequente di attrezzature
multimediali.
MUSEO DELLA CITTÀ: può presentare analisi recenti della storia, geogra ia o sociologia
urbane, fornire l’immagine di un’età d’oro della perduta grandezza o anche tratteggiare
un’alternativa allo stato presente delle cose.
In quest’ultimo caso è costretto ad alimentare un senso della comunità o a risvegliare la
coscienza politica o sociale.
Un ruolo simile è stato assunto dai musei di quartiere o di comunità, che desideravano o rire
ad alcuni gruppi sociali o etnici sfavoriti la possibilità di trovare la propria cultura e a rontare
la vita di ogni giorno.
La percezione odierna del patrimonio urbano appare solo nella seconda metà del XIX secolo,
legata al rimpianto per la scomparsa di una parte del tessuto tradizionale; questa nuova
sensibilità cittadina trasforma il museo della città in una fucina di identità locale.
Esso può presentare analisi recenti della storia, della geogra ia o della sociologia urbane,
fornire l’immagine di un’età d’oro della perduta grandezza o tratteggiare un’alternativa allo
stato presente delle cose; in quest’ultimo caso è costretto ad alimentare un senso della
comunità o a risvegliare la coscienza politica o sociale.
Un ruolo simile è stato assunto dai MUSEI DI QUARTIERE o di comunità apparsi negli anni 70
in Nord America che desideravano o rire ad alcuni gruppi sociali o etnici sfavoriti la
possibilità di ritrovare la propria cultura e di a rontare la vita di ogni giorno.
In Francia, se la città è divenuta oggetto di attenzione tardivamente, con la creazione di un
ministero ad hoc, i musei della città costituiscono un tipo complesso, inizialmente male
identi icato, che sta tra i musei regionali e gli ecomusei e in cui in seguito ha prevalso la
tipologia tradizionale.
MUSEO ALL’APERTO: costituisce l’innovazione più originale tra la ine del XIX secolo e l’inizio
del XX.
Il ilologo Arthur Hazelius comincia a creare un museo di etnogra ia nazionale dedicato alla
vita del popolo scandinavo esponendo non solo costumi e utensili, ma anche le costruzioni, il
bestiame e gli stessi contadini, riccorrendk ai manichini per illustrare la vita di questi.
Il museo diviene così un modo di conservare modalità di vita che conosce un grande
sviluppo essenzialmente in Nord Europa.
apre così il villaggio di attività tradizionali e o icine, primo museo all’aperto, animato da
guide e manifestazioni folcloristiche:
il museo diviene così un modo di conservare “modalità di vita” che conosce un grande
sviluppo essenzialmente nel Nord Europa.
Il termine ECOMUSEO viene creato nel momento in cui emerge l’idea di un patrimonio legato
a una comunità e a un ambiente.
Intendono essere uno specchio in cui una popolazione si guarda per riconoscersi, in cui
cerca la spiegazione del territorio al quale è legata, assieme alla storia delle popolazioni che
l’hanno preceduta.
Nascono da un'idea nata in Francia negli anni sessanta del Novecento per rispondere
all'esigenza di salvaguardare la cultura rurale fortemente minacciata dai radicali cambiamenti
sociali, economici, produttivi in atto in quegli anni.
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Le "testimonianze" di cui si è detto rientrano nel "patrimonio culturale", cioè quell'insieme di
beni di riconosciuta importanza storica ed estetica che, essendo di interesse pubblico, sono
oggetto di fruizione collettiva.
È una de inizione volutamente ampia perché include tutti gli aspetti, anche quelli
paesaggistici e ambientali, che de iniscono l'identità culturale di un territorio: in questo senso
il concetto di "patrimonio" non si discosta molto da quello di "testimonianza", se non per il
fatto che introduce un riferimento al valore dei beni che lo costituiscono.
In Italia l'esperienza degli ecomusei ha il suo epicentro in Piemonte.
Questa regione, che già nel 1995 ha emanato una legge regionale a favore dello sviluppo di
una rete ecomuseale, risulta ancor oggi tra le più attive in questo settore.
Diverse sono i punti critici relative agli ecomusei sorti di recente sul territorio nazionale: dalle
di icoltà annesse alla gestione organizzativa e inanziaria, alle problematiche legate
all'attività didattica, particolarmente importante in questo tipo di musei ma spesso a idata a
enti esterni.
Risulta subito evidente come il concetto di ecomuseo scon ini in quello di museo di uso, il
cui spazio di riferimento non è più l'edi icio che espone le collezioni ma l'ambiente, rurale o
urbano, che ospita il patrimonio naturale e culturale.
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quanto frutto del lavoro dell’artista stesso o perché raccolti da quest’ultimo come modello
per l’attività creativa. Sono spesso gli artisti stessi a decidere la destinazione museale per le
loro dimore, con idando in tal modo di perpetuare nel tempo la memoria della propria igura
e del proprio lavoro: tra i tanti esempi uno è quello del Vittoriale, la dimora autocelebrativa di
D’Annunzio, o ancora la semplicità dello studio di Giuseppe Pellizza da Volpedo, coi suoi
poveri arredi, gli studi alle pareti, gli strumenti da pittore e parte della biblioteca.
MUSEO DIOCESANO: nel panorama museale nazionale del secondo Ottocento una parte
signi icativa è rivestita anche dalle collezioni artistiche di proprietà ecclesiastica;
la Chiesa, infatti, ha numerose raccolte di reliquie e mirabilia e molti musei annesse a chiese
e cattedrali, ma sarà solo sul inire del secolo che inizieranno a costituirsi in Italia i primi
musei diocesani con lo scopo di riunire e salvaguardare una grande varietà di beni (reliquie,
paramenti sacri, oggetti devozionali, pale d’altare, gruppi scultorei, ore icerie...).
Sussistono, accanto a questi, musei di più antica fondazione anch’essi legati alla Chiesa:
i Musei del tesoro, in genere allestiti in cripte e sacelli e formati da oggetti di piccole
dimensioni, e i Musei della Fabbrica o dell’opera del Duomo, che espongono generalmente
pezzi legati alle vicende edilizie della chiesa, come frammenti scultorei o architettonici.
Diversi, invece, i contenuti dei Musei missionari, che raccolgono testimonianze dell’opera di
evangelizzazione della Chiesa nel mondo e, esponendo materiali riferibili alle diverse culture
e civiltà incontrate, sono assimilabili ai musei antropologici ed etnogra ici.
In ine abbiamo una tipologia di recente formazione: i MUSEI AZIENDALI: essi sono il risultato
delle collezioni che le imprese costituiscono con i pezzi storici della propria attività
produttiva per conservarne la memoria e hanno come principale scopo inalità promozionali.
Infatti, per trasformare la propria raccolta privata in museo l’azienda deve farsi carico di una
serie di oneri inanziari, organizzativi, gestionali, non compensati da vantaggi economici ma
evidentemente equilibrati da un ritorno d’immagine positivo.
Come i musei di tipo tradizionale anche questi hanno le medesime problematiche circa la
conservazione e l’esposizione, ma si di erenziano per il fatto di essere musei in progress,
istituzioni legate a un’azienda ancora produttiva, per la quale la storia pregressa testimoniata
dal museo costituisce una sorta di garanzia di a idabilità.
La continua produzione di oggetti comporta però per il museo d’impresa una costante
revisione del percorso espositivo e presuppone uno spazio molto lessibile e suscettibile di
ampliamenti. Spesso poi la singolarità sta anche nell’atipicità della loro ubicazione, ricavata
da ambienti preesistenti limitro i o interni all’azienda.
La speci icità del museo francese si lega alle sue origini rivoluzionarie: la sua creazione,
infatti, si basa sulla con isca dei beni del clero prima e degli emigrati poi, sulle antiche
collezioni reali e sulle conquiste militari;
Ma soprattutto il museo francese si è sempre caratterizzato per una singolare relazione con lo
Stato.
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Sotto la Rivoluzione l’a ermazione dei diritti dell’uomo conduce a rivendicare l’accesso alle
opere d’arte come un diritto legittimo e, nel vuoto istituzionale aperto dalla soppressione della
maggior parte delle scuole e delle associazioni, il museo incarna l’ideale di una trasmissione
libera e immediata del Bello e dei principi.
Tuttavia, la sua legittimità è aspramente contestata e i rivoluzionari più radicali si interrogano
sull’utilità di conservare un’eredità esecrabile: addirittura si pensa a un “museo sequestrato”
per le opere dal soggetto o ensivo e il Louvre decide di porre i capolavori tra questi in luogo
accessibile solo agli artisti che potrebbero trarne vantaggio.
Diverse voci si fanno sentire; tra queste quella di David, che invoca un museo realmente
rivoluzionario, che non soddis i solo la curiosità ma sia anche scuola diventando
un’istituzione-chiave nel sistema delle arti.
A partire dal 1791 l’ideale democratico di una libera carriera aperta a tutti i talenti conduce ad
ampliare il Salon e due anni dopo l’ulteriore soppressione della giuria porta all’esposizione di
più di un migliaio di opere, cosa che rovina la manifestazione e porta a ristabilire il principio
di una scelta preventiva allo scopo di scartare le più mediocri.
In questi anni le vittorie degli eserciti rivoluzionari riempiono i musei di Parigi e delle altre
province, giusti icando le spoliazioni poiché “i monumenti della gloria dei tempi antichi
divengono nei musei i monumenti della gloria dei Francesi”.
Se da un lato i conservatori del Louvre sottolineano l’eccellenza di un’organizzazione
concepita come una successione cronologica di quadri che o re i mezzi per studiare la storia
dell’arte, dall’altro Quatremere de Quincy aggiunge alla sua prima condanna morale delle
con ische francesi il ri iuto del museo in quanto evocherebbe un’arte senza inalità: è la
museofobia, secondo cui ogni cosa deve essere (ri)messa al proprio posto perché le vengano
restituiti senso e legittimità.
La seconda Restaurazione prende atto delle restituzioni alle potenze straniere e intende
compensare le perdite dei capolavori antichi o stranieri attraverso la valorizzazione della
scuola francese.
Nella prima metà del XIX secolo il numero di opere e artisti accettati al Salon non cessa di
aumentare e da dopo il 1848 alla giuria di artisti accademici si aggiungono artisti
indipendenti; tuttavia, si assiste a esposizioni isolate esterne al Salon a favore di artisti
ri iutati, senza dar luogo a una vera secessione come sarà quella degli impressionisti del 1874,
preludio alla creazione del Salon des Independants.
Nel 1881 il Salon passa a una società privata di artisti: tale sistema, dunque, entra in crisi a
conclusione di un lungo declino di questo monopolio dell'informazione e dell'esposizione e a
poco a poco gli artisti indipendenti, i critici e i mercanti rivestono un ruolo sempre più
importante e iniscono per porre termine al Salon nella sua forma tradizionale.
Nel XX secolo i rapporti tra i musei e lo Stato si integrano in un altro scenario, quello delle
politiche dello sviluppo culturale.
La con igurazione dei rapporti tra l'arte e la collettività pubblica dell'epoca si delinea in
occasione di alcune realizzazioni esemplari, come la creazione del Palais de la Decouverte in
occasione
dell'Esposizione Universale del 1937, primo museo destinato a illustrare la dinamica della
scienza.
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In ine, all'inizio del XXI secolo, viene elaborata una nuova de inizione del "museo di Francia"
allo scopo di gerarchizzare l'insieme delle istituzioni museali.
La legge attuale di riferimento, del 2002, per la prima volta applicata all'insieme dei musei
riconosciuti dallo Stato, cerca di ride inire il ruolo e la posizione del museo di fronte alle
attese della società attribuendogli compiti non solo patrimoniali ma anche di educazione e
di usione.
La protezione delle collezioni appare come elemento essenziale, poiché la loro inalienabilità è
a ermata nel quadro della demanialità pubblica.
La tendenza attuale è quella di una moltiplicazione dei musei: perciò è quasi impossibile
stabilire l’attuale numero dei musei, tanto per ogni singolo Paese quanto su scala mondiale, e
ciò dipende dalla scelta dei criteri, tra cui l’allargamento costante e probabilmente
irreversibile delle de inizioni alimenta a questo proposito le incertezze statistiche.
Un simile sviluppo è recente, avvenuto negli ultimi venti o trent’anni, e sembra valido per
molti Paesi sviluppati, dove si ritiene che le istituzioni museali forniscano risorse educative,
contribuendo in maniera positiva allo sviluppo della società e producendo un vantaggio
economico.
Tale crescita non è uniforme per tutte le categorie di musei: è notevole per i musei di storia,
sociali, di civiltà, per i musei tecnici e specializzati, ma è stata minore nel settore delle Belle
Arti.
Questa ultima generazione di musei manifesta un certo scarto rispetto alle strategie
identitarie che accompagnavano un tempo le fondazioni, o rispetto alle politiche culturali
nazionali. Il classico museo monogra ico di un artista nella sua città natale assume la forma di
un museo internazionale.
In merito al paesaggio museale attuale, un discorso importante riguarda le avanguardie
artistiche, politiche e intellettuali del XX secolo.
Ciò che appare come 'esasperazione contemporanea del passato è anche il sintomo
della sua insigni icanza e prelude alla sua auspicata liquidazione.
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Da un’indagine francese del 1993 appare che la visita solitaria costituisce solo il 9%, mentre
più alta è la percentuale di casi di visite in famiglia, in coppia o con amici; in particolare è
esplosa la frequentazione dei gruppi scolastici.
Gli obiettivi dei musei sembrano oggi quelli di istruire e divertire, ma accanto alle esigenze
relative al successo delle loro esposizioni altre richieste pesano sui musei in termini di
contributo alla gestione del territorio, allo sviluppo del turismo, alla riduzione delle
inuguaglianze culturali e all’integrazione sociale.
La fondazione del museo ha cominciato a integrarsi all'interno di operazioni di rilancio, a
partire dagli anni Settanta, i programmi di riassetto di aree abbandonate e più in generale di
strutture storiche a partire da un museo.
Considerando il caso della Francia, tra le due guerre si assiste a un primo abbozzo di
professionalizzazione.
Il modello tradizionale del conservatore prevale ancora, la sua formazione si compie all'Ecole
du Louvre.
La comparsa di nuovi tipi di istituzione richiede nuovi reclutamenti che sfocia in un
reclutamento
massiccio, prevalentemente femminile.
Questo insieme di riforme ha permesso una maggiore mobilità professionale in tutto il paese.
Compaiono poi nuove professioni, come:
Commissario: compito nato dalla moltiplicazione degli incarichi legati alle esposizioni
temporanee
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Accanto a questo vi è mito del museo virtuale, nutrito dalle nuove tecnologie di riproduzioni e
di comunicazione, la rappresentazione contemporanea del museo trae forza dalla
moltiplicazione delle proprie incarnazioni architettoniche.
La moltiplicazione di spazi aperti o mobili in questi musei tipo scatola o container lascia al
conservatore un grande margine di manovra.
Per quanto riguarda le architetture se la prima metà del XX secolo è stata dominata da musei
funzionalisti che si basano su principi speci ici (accento sui volumi e sugli spazi, insistenza
sulla regolarità e sul ritmo, bellezza legata alle proporzioni e ai materiali), da due decenni a
questa parte si è assistito alla ine dell’ideale di “ lessibilità” degli anni Sessanta e Settanta, a
vantaggio di un ritorno alla vecchia disposizione in sale, nonché di un elogio alla luce naturale.
Il museo moderno oggi non si preoccupa più unicamente del concetto di esposizione, ma è
attento alla distinzione degli spazi di visita da quelli tecnici e professionali e soprattutto ai
nuovi servizi destinati al pubblico quali ca etterie, librerie, boutiques, parcheggi.
Lo sviluppo di impianti specializzati, dalle vetrine all’illuminazione, dalla segnaletica alla
sicurezza, dalla biglietteria alla gestione informatica delle collezioni, segna l’ingresso dei
musei nell’era delle grandi organizzazioni, che richiedono spazi so isticati e costosi.
Il primo si distingue per la sua architettura ben inserita nel paesaggio lacustre, il secondo è
caratterizzato da un edi icio iconico e mette a frutto tutta la suggestione del marchio
Neanderthal iniziando il suo percorso con un titolo signi icativo: una valle e il suo segreto.
A Turku, in un edi icio storico, si intrecciano diverse modalità espositive, ino alla visita al
piano interrato degli scavi ancora in corso della città medievale.
Quest'ultimo esempio ci riconduce a una delle problematiche più spinose in merito a come
preservare e presentare i risultati degli scavi all'interno del paesaggio urbano
contemporaneo.
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musealizzazione, come il Parque de Varela di Cadice, e quello di Marq, la necropoli della Vila
de Madrid integrata in un progetto di piazza pubblica o la passeggiata archeologica
sotterranea di Plaza Del Rey di Barcellona.
I sentieri archeologici svolgono un po' lo stesso ruolo delle vetrine del museo;
il problema della sostenibilità a lungo termine di un programma di accesso a siti
particolarmente fragili, e allo stesso tempo capace di attrarre grandi numeri, ha dato vita alla
sperimentazione dei cosiddetti centri di interpretazione, dove la museogra ia integra resti in
situ per una cosiddetta interpretazione cognitiva.
Nel caso dei musei della memoria, il museo deve conservare gli elementi del passato e darne
coscienza, costruendo un racconto, senza ne ridurre i visitatori al silenzio ne fornirgli una
rappresentazione troppo empatica.
Da notare è anche la s ida di esporre l’abiezione e di spiegarla, ha governato la museologia
dell’Olocausto, e continua a dividere la sfera erudita e sociale.
Di solito consiste nel trasformare il museo in memoriale o in un teatro della memoria.
La memoria traumatica comporta distorsioni, mascheramenti e talvolta repressioni e
negazione.
Il collezionismo dell’inizio dell’età moderna (XVI e XVII) usa l’etimologia classica del museo
per inventare a poco a poco la propria rappresentazione.
L’apertura di collezioni (regali, principesche e borghesi) su un modello de inito, e non più solo
secondo il gusto del proprietario, inaugura l’era dei musei moderni, aperti a un pubblico più
vasto, a partire dalla Rivoluzione Francese che rende l’ingresso al un museo un diritto del
cittadino e, al tempo stesso, una necessità per l’identità e la perpetuazione della nuova
comunità immaginaria.
Nel corso del XIX secolo, i vari musei sono intesi in funzione dei valori e dei modi di
strutturarsi di ciascun Stato proprietario.
A poco a poco trionfa l’esigenza di una classi icazione dell’esposizione secondo epoche e
nazioni.
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A Vienna nel 1780 Christian de Mechel realizza un progetto di museo per ordine cronologico o
per successione di maestri, che distribuisce i quadri secondo le scuole e riunisce le opere di
un maestro nella stessa sala.
Nella seconda metà del XVIII secolo si sviluppa un nuovo ideale di uso pubblico di modelli
ed esempi, basato su un obbligo di e icacia.
La costatazione di collezioni inaccessibili, male ordinate o prive di cataloghi scandalizza
coloro che vedono in loro il mezzo per dissipare l’ignoranza.
Nonostante anche la nascita di diverse scuole e Accademie per l’apprendimento delle arti, le
condizioni di apertura e le modalità di visita delle gallerie rimangono spesso di icili.
I veri utenti dei musei rimangono gli studiosi e gli artisti, che godevano di condizioni
privilegiate.
Il museo classico del XIX secolo europeo è il simbolo di una nazione o di una collettività.
Tutti gli oggetti che vi sono esposti sono elementi caratteristici o rappresentativi di un’opera,
cultura, uomo quindi una parte della realtà, esteriore e spirituale al tempo stesso, della
comunità immaginaria in questione.
Essi rispondono a severe condizioni di autenticità, di qualità e di proprietà pubblica e si
organizzano in vista di una rigenerazione della memoria culturale.
La costruzione dei grandi musei rappresenta in genere l’occasione per ridisegnare un centro
urbano.
Un esempio di questo tipo può essere Vienna che da al museo un posto centrale nella
ristrutturazione della capitale nel XIX secolo, con la demolizione dei bastioni.
Gottfried von Semper aveva concepito 2 musei simmetrici con la statua dell’imperatrice
Maria Teresa al centro della piazza tra i musei come protettrice.
Successivamente l’ascesa al potere del fascismo e poi del nazismo sfociano in sistemi politici
decisi a trasformare l’istituzione, rinnovata e orientata verso il pubblico, in uno strumento di
propaganda.
Tra il 1926-1938
La memoria dell’Impero romano diviene un elemento essenziale per il regime italiano.
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Nell’ Unione Sovietica il museo appare come uno strumento di educazione indispensabile.
Nel 1921 è notabile un u icio generale di conservazione degli oggetti d’arte e di archeologia
che controlla tutti musei sovietici, i quali sono investiti da una grande crescita.
La museogra ia sovietica accorda un posto inedito alla geogra ia delle popolazioni del nuovo
Stato, ai modi di produzione.
Si comprende quindi che in alcuni paesi moderni dove l’azione politica tende a divenire il
punto di convergenza di tutte le forze della nazione, il museo vede il proprio ruolo sociale e
pedagogico prevalere sul ruolo estetico e sensibile.
In questo museo, l’opera d’arte è considerata come un fattore storico e viene completata da
tutto un insieme di materiale ausiliario composto da: calchi, copie, statistiche, carte.
Per quanto riguarda l’America, con il museo di Cleveland si pone l’inizio dell’era classica dei
musei americani che ha obiettivi pedagogici e culturali.
I grandi uomini d’a ari sono i primi responsabili di questo sviluppo.
Questa risulta essere una museologia del contesto, che assomiglia a una museologia da
arredatore che segna questa generazione di istituzioni ampiamente fondate su massicci
trasferimenti dall’Europa.
Acquisti, di beni mobili o immobili, e ettuati da questi musei americani hanno accelerato la
presa di coscienza di molte nazioni europee quanto alle misure di protezioni in situ.
Gli architetti hanno quindi un compito delicato in quanto oltre che preoccuparsi di costruire
ambienti adatti alla conservazione degli oggetti ora deve anche soddisfare i visitatori
o rendogli un percorso semplice e gradevole.
Una questione aperta è quella degli spazi di accoglienza e di orientamento: l’ingresso (punto
di iga per la vista e spazio di orientamento del visitatore) mentre per alcuni tra cui Jonhson
va riabilitato il monumentale, al contrario la nuova museologia chiudeva gli ingressi
monumentali a vantaggio di una circolazione attraverso le uscite di servizio, giudicate meno
intimidatorie.
Il MoMA, ad esempio, ha rinunciato alla magni icenza a vantaggio dell’e icacia che, a motivo
della lessibilità degli spazi espositivi, dipende dal talento degli organizzatori degli spazi
espositivi.
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La collezione è una forma di rappresentazione del sapere ed esprime una interpretazione del
mondo e del rapporto tra uomo e mondo.
Hooper-Greenhill (“Museums and shaping of knowledge”) ha proposto una lettura del
funzionamento socio-culturale delle collezioni/ musei basata sul pensiero di Foucault, autore
di “Le parole e le cose un’archeologia delle scienze umane”, che fa un esercizio di metodo
proponendo un'approccio storiogra ico che def. “storia e ettiva”, una sorta di microstoria in
cui è possibile riconoscere i momenti di cambiamenti e di svolta delle società e de inisce tre
modelli di conoscenza nella storia dell’Occidente: rinascimentale, classica e moderna.
Per la Greenhil «una storia dei musei scritta dal punto di vista della «storia e ettiva» aiuta a
svelare nuove relazioni e articolazioni, focalizzandosi su come sono cambiati i musei nel
corso del tempo, possiamo trovare un contesto che ci aiuta a capire i mutamenti del tempo
presente.
Portando l’insegnamento di Foucolt nella Museologia.
Per Foucault l’assetto epistemologico di un tempo assume un assetto e una struttura.
Nell’episteme rinascimentale prevale la somiglianza con la natura, nell’epoca successiva
classica prevalgono le tassonomie, mentre dall’Ottocento domina l’assetto linguistico.
L’analisi dei fenomeni culturali è quindi un’indagine per comprendere signi icati di fenomeni e
oggetti, quindi attraverso la storia dei musei possiamo comprendere la storia dell’umanità,
ciascuno dei fenomeni corrisponde ad una certa cultura che concepisce e sistema il mondo.
Mettere in relazione la museologia con la storia della cultura.
MUSEOLOGIA
L’a ermazione del termine stesso “museologia” viene coniato dall’Icom (International
Council of Museums), che dal 1948 inizia i suoi lavori di coordinamento tra i musei di tutto il
mondo; si a erma il termine “museology”, di adozione anglosassone, che viene a sostituire
gradualmente, anche se permangono confusioni, l’antico “museographia” codi icato nel 1727
da Caspar Neickel, ricco mercante di Amburgo che nel contesto in cui il museo stava
muovendo i primi passi verso la sua vocazione educativa e pubblica, (Neickel) a ronta per la
prima volta i problemi generali;
In questo contesto si vuole dare un’immagine d’insieme delle principali collezioni europee e
fornire una “Guida per una giusta idea ed un utile allestimento dei Musei” (sottotitolo).
Questa descrizione di musei non era destinata a un pubblico di intenditori, bensì a lettori
profani, a viaggiatori desiderosi di apprendere.
Nel trattato vengono distinte le varie tipologie delle raccolte (innanzitutto Naturalia/
Arti icialia) e poi precisate, a seconda dei contenuti, le de inizioni che le raccolte hanno
assunto nei vari Paesi.
Oggi l’antica museogra ia è stata a iancata dalla museologia e le due discipline iniziano a
convivere, mutando i loro signi icati.
Il ruolo che oggi svolge la Museologia e che ha svolto nel secondo dopoguerra era però
impensabile per la “museographia” antica: nessun problema di destinazione o funzionamento
del museo se non dal momento in cui il museo si apriva al pubblico indistinto.
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Se oggi parliamo di Museologia è per l’esplosione del caso-museo dalla Rivoluzione francese
e dall’Ottocento.
Poichè da quel momento ha inizio un processo di ri lessione sul museo, sulla sua de inizione e
sulle sue funzioni che dal secondo dopoguerra conosce una nuova metamorfosi: appaiono i
primi tentativi di precisazione dei con ini di una disciplina che vuole abbracciare
un’istituzione così complessa.
Dunque è la museologia che nasce dal museo e non viceversa.
La Museologia è una scienza che ha a che fare con il Logos/pensiero e quindi privilegia gli
aspetti teorici relativi al museo e alla sua storia.
Def. UNESCO: “La museologia è la scienza dei musei che concerne lo studio della storia e delle
origine dei musei, il loro ruolo nella società, gli speci ici sistemi di riconoscimento,
conservazione, educazione e organizzazione”.
La Museogra ia, rispetto alla Museologia si occupa degli aspetti più pratici come:
1. Le tecniche espositive;
2. Soluzioni illuminotecniche;
3. Gestione degli spazi;
4. Sistemi di comunicazione;
5. Sicurezza degli oggetti.
[Il famoso tourniquet: è lo sbarramento che viene collocato all’ingresso del museo e impone,
a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, che si paghi una tassa per poter entrare, indica
un con ine preciso: da un lato introduce un discrimine economico, dall’altro è il segno di
un’apertura molto più ampia al pubblico, non più legata alla professione o allo status di
studioso o artista]
Il successo dei musei e delle esposizioni che ne costituiscono l'attualità stimola uno sviluppo
signi icativo della critica dei musei e di conseguenza anche una letteratura specializzata, che
corrisponde alla crescita dei corsi accademici.
Lo studio della Museologia richiede uno SGUARDO CRITICO, in quanto ciascuna collezione o
raccolta non può essere considerata semplicemente un’assemblaggio neutrale di beni che si
intende trasmettere al futuro.
Ma è necessario stabilire un rapporto tra un’oggetto e un’altro in quanto ogni collezione ha
una sua storia e l’insieme delle opere compone a sua volta un’opera d’arte.
Perciò bisogna guardare gli oggetti collezionati come parte di una NARRAZIONE creata dalla
disposizione delle opere all’interno delle sale.
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La Museologia Eleonora 3 grandi questioni da considerare sul ruolo del Museo:
1. Idea della raccolta come forma di conoscenza e a ermazione di uno status, in quanto
ciascuna epoca elabora il suo sistema di conoscenza e il museo ne è una prova materiale,
corrisponde ad una nostra concezione di conoscenza;
2. Rapporto tra visibile e invisibile, l’oggetto collezionato si pone come oggetto semioforo,
cioè portatore di signi icato, e il museo lo deve rendere evidente att una narrazione
chiara;
Quando si esamina la storia di un museo bisogna tenere conto di diversi elementi: l’ingresso
dell’opera d’arte:da dove arriva, come arriva, quando, costo, donazione o restituzione, la
collocazione: come è stata collocata nel corso del tempo, il restauro, quali sono i criteri di
restauro, la scelta espositiva se è stata collocata precedente e la storia dell’oggetto.
Il fenomeno del museo ha diversi fattori e aspetti integrati e sovrapposti tra loro: fenomeno
antropologico, fenomeno storico-culturale, fenomeno di elaborazione di processi culturali e
nuove relazioni, fenomeno sociale, fenomeno politico.
Fenomeno antropologico: Donazione di Sisto IV del 1471 al popolo romano: esempio che
possiamo legare al rapporto tra collezione-memoria-identità quanto al contesto politico,
rapporto tra il popolo e il suo patrimonio-memoria.
Fenomeno storico culturale: Camera delle meraviglie, stanza in cui si trovano archivi
scienti ici quindi oggetti di studio, il museo quindi è lo specchio del modo in cui una
comunità stabilisce la concezione del sapere e della conoscenza.
I Musei Capitolini hanno organizzazione tematica, modo di classi icare gli oggetti rappresenta
un modo di catalogare la conoscenza tipico della cultura dell’illuminismo. Nel museo si trova
la rappresentazione del modello conoscitivo.
Fenomeno di processi culturali e di relazione: a volte le collezioni e i musei sono luoghi che
in luenzano anche gli artisti a distanza di tempo.
Fenomeno politico: Louvre, nato dalla rivoluzione francese in cui si elabora il senso della
cittadinanza. Anche David difende il museo come scuola alla ine del Settecento, principio
che vige tutt’oggi. Si impara il senso di appartenenza, il valore di comunità ed identità.
DEFINIZIONE DI MUSEO?
Etimologicamente la parola musaeum deriva dal greco mouseion, cioè luogo delle Muse.
Utilizzata dal geografo Strabone in riferimento all’ambiente porticato all’interno della
Biblioteca di Alessandria, dove si riunivano dotti e iloso i per dedicarsi alla ri lessione e
discussione su problemi spirituali e culturali.
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Per quanto riguarda invece la considerazione del Museo moderno, una delle più complete
de inizioni moderne è quella formulata nel 1951 dall'ICOM (lnternational Council of Museums),
l'organismo fondato nel 1946 con lo scopo di coordinare i musei di tutto il mondo.
"Il museo è un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo
sviluppo, aperta al pubblico, che ha come obiettivo l'acquisizione, la conservazione, la ricerca,
la comunicazione e l'esposizione, per scopi di studio, di educazione e di diletto, delle
testimonianze materiali dell'umanità e dell’ambiente".
Quest’ultimo punto è stato modi icato dall’ICOM nel 2004 a iancando alle “testimonianze
materiali” anche quelle “immateriali”, concetto che estende la tutela del museo a tradizioni e
culture svincolate dalla concretezza dell’oggetto (tutto ciò che caratterizza il costume e la
memoria di una comunità).
A questo va aggiunto la + recente introduzione di un nuovo tipo di museo, rivolto alla
conservazione, tutela e allo studio del patrimonio culturale di uso su un intero territorio: l’
ECOMUSEO.
Fin dalla sua nascita ICOM propone ai suoi membri una de inizione di museo, inserita nei suoi
statuti e nel suo Codice di deontologia, e di usa nel mondo intero.
Questa de inizione ha svolto nel tempo due principali funzioni:
– ha de inito il campo di responsabilità e di azione di ICOM, consentendo di individuare le
istituzioni e i professionisti che potevano farne parte, come quelle aventi la missione di
aiutare la conservazione, la continuità e la gestione delle risorse patrimoniali tangibili e
intangibili.
I Ministri della Cultura cominciano a de inire le condizioni minime per aver diritto al titolo di
museo e per bene iciare di sovvenzioni pubbliche e di aiuti diversi.
- Associazione Britannica dei Musei ritiene che questi debbano mettere i visitatori nella
condizione di: esplorare le collezioni per l’evocazione, il sapere e il diletto.
- Associazione Americana dei Musei: accorda all’istituzione il nome di museo solo se essa “è
per sua natura essenzialmente educativa”.
- In Francia: nel 2002 è stato de inito il museo di Francia, qualsiasi collezione permanente
composta di beni la cui conservazione e presentazione rivestono un interesse pubblico e
organizzata per la conoscenza, l’educazione e il piacere del pubblico.
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Essi hanno la missione di: conservare, restaurare, arricchire le proprie collezioni e renderle
accessibili a un pubblico più largo.
“Il museo è una istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo
sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, compie ricerche, espone e comunica il
patrimonio materiale e immateriale dell’umanità e del suo ambiente per inalità di educazione,
di studio e di diletto”.
La necessità di aggiornare la de inizione era già emersa nella Conferenza generale di Rio de
Janeiro del 2013, ma è stata messa all’ordine del giorno in occasione della Conferenza
generale di Milano del 2016, che ha approvato anche la costituzione di un Comitato
Permanente:
Standing committee for Museum De inition, Prospect and Potential (MDPP) per elaborarla.
Per allargare il confronto e raccogliere le posizioni nelle diverse aree del mondo, ICOM ha
lanciato anche un appello online ai soci, chiedendo loro di indicare quale dovesse essere la
de inizione di museo nel XXI secolo.
A seguito di questo appello sono pervenute 267 risposte che, a fronte di una domanda
rivelatasi, a posteriori, troppo generica, hanno proposto approcci diversi e di icilmente
comparabili: (da proposte di modi ica della de inizione a dichiarazioni sulla visione e le
prospettive, a risposte volutamente ‘provocatorie’).
Alcune di queste proposte erano state elaborate da singoli, altre, come nel nostro caso, da
parte di Comitati Nazionali.
La situazione è precipitata quando, a pochi mesi dalla Conferenza generale di Kyoto, del
2019 la proposta di de inizione elaborata dallo Standing Committee è stata approvata (a
maggioranza) dall’Executive Board e messa all’ordine del giorno dell’Assemblea generale,
senza dare la possibilità ai Comitati nazionali e internazionali di discuterla preventivamente.
“I musei sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul
futuro. Riconoscendo e a rontando i con litti e le s ide del presente, custodiscono manufatti
ed esemplari in custodia per la società, salvaguardano memorie diverse per le generazioni
future e garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone.
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Lo Standing Committee, integrato dopo la Conferenza Generale con nuovi membri (MDPP2),
di fatto non è riuscito a funzionare, e dopo le dimissioni della coordinatrice Jette Sandal e di
altri componenti, seguite da quelle della presidente di ICOM e di alcuni membri
dell’Executive Board, è stato insediato, sotto la presidenza di Garlandini, un nuovo Comitato,
rinominato ICOM De ine, coordinato da Bruno Brulon (presidente di ICOFOM) e Lauran
Bonilla-Merchav (ICOM Costarica), che ha de inito precisamente modalità e tempi del
processo di ampia consultazione e di elaborazione della proposta di de inizione: 4 fasi divise
in 11 step, della durata complessiva di 18 mesi, che sarà presentata per l’approvazione alla
Conferenza generale di Praga dell’agosto 2022.
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EB esamina, approva e pubblica la proposta almeno due mesi prima dell’ ASSEMBLEA
GENERALE STRAORDINARIA di Praga 2022.
Proposta A:
Un museo è un'istituzione permanente, senza ini di lucro, accessibile al pubblico e di servizio
alla società. Ricerca, raccoglie, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale e
naturale materiale e immateriale in modo professionale, etico e sostenibile per l'educazione, la
ri lessione e il divertimento. Opera e comunica in modi inclusivi, diversi icati e partecipativi
con le comunità e il pubblico.
Proposta B:
Un museo è un'istituzione permanente senza ini di lucro al servizio della società che ricerca,
raccoglie, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al
pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e
comunicano eticamente, professionalmente e con la partecipazione delle comunità, o rendo
svariate esperienze di educazione, divertimento, ri lessione e condivisione di conoscenze.
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