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Zeta Cinema

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IN COPERTINA:
Illustrazione di Anton Špacapan.

Dipartimento di Storia e Tutela


dei Beni Culturali
Università degli Studi di Udine

Cinema

Questo volume
a cura di
Campanotto Editore
è stato impresso
a Pasian di Prato
nel laboratorio d’arte
Grafiche Piratello
nel mese di giugno 2006

© 2006 Copyright Campanotto Editore


Via Marano, 46 33037 Pasian di Prato (UD) Italia
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who may quote brief passages in a review.

ISBN 88-456-0804-2

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a cura di
Simone Venturini

IL RESTAURO CINEMATOGRAFICO
PRINCIPI, TEORIE, METODI

Campanotto Editore

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S i m o n e V e n t u r i n i

6
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

SOMMARIO

INTRODUZIONE Pag. 9

Il restauro cinematografico, storia moderna ” 13


Simone Venturini

PRINCIPI

Alcuni principi di restauro del film ” 55


Eileen Bowser

Etica e principi del restauro ” 58


Ray Edmondson

“Un cinema corrotto” ” 64


Alberto Farassino

METODO E MATERIA

Immagini e materia. Questioni di restauro cinematografico ” 73


Michele Canosa

Note a pie’ pagina


(Per un glossario del restauro cinematografico) ” 89
Nicola Mazzanti

EIDETICA, ESTETICA, ETICA

L’eidetico, l’ermeneutica e il restauro del film ” 101


Paolo Bertetto

Restaurare, conservare, mostrare ” 108


Dominique Païni

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S i m o n e V e n t u r i n i

Il restauro dei film Pag. 115


Ségolène Bergeon

OLTRE IL FILM

Il film che avrebbe potuto essere,


o l’analisi delle lacune considerata come una scienza esatta ” 125
Paolo Cherchi Usai

Effetto diorama.
Sulla nozione di testo nel cinema delle origini. Una nota ” 133
Leonardo Quaresima

O for Original ” 138


Antonio Costa

BIBLIOGRAFIA ” 143

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

INTRODUZIONE

Il volume offre una selezione di contributi teorici e metodologici sul restauro


cinematografico. Un’antologia rappresentativa, e al contempo inevitabilmente
selettiva, della riflessione scientifica sulla prassi del restauro negli ultimi venti-
cinque anni. Altri ancora sarebbero stati gli interventi di studiosi riconosciuti
internazionalmente da poter accludere: rimandiamo, per ora, alla bibliografia e
al saggio iniziale che propone un inquadramento storico e teorico dello stato del-
l’arte della materia.
I contributi sono suddivisi in quattro sezioni, rappresentative delle tensioni e
dei propositi teorici che hanno contraddistinto e contraddistinguono gli approcci
al restauro cinematografico: I principi (nel duplice significato, storico e teorico)
della problematizzazione della prassi e dell’oggetto; la costituzione di un metodo
e l’identificazione dell’oggetto del restauro cinematografico (metodo e materia); le
teorizzazioni più ampie, rappresentative di un ambito epistemologico di riflessio-
ne sul film e sul cinema e al contempo concentrate sul restauro del film (eidetica,
estetica, etica); infine i contributi che hanno sottolineato la necessita di procedere
“oltre” il testo filmico, alla ricerca di una riconsiderazione dell’oggetto e della
materia del restauro e dei suoi rapporti con la dimensione culturale, storica e sto-
riografica del cinema (oltre il film).
Seguendo l’indice, segnaliamo la provenienza dei saggi contenuti nel volume.
Il saggio di Eileen Bowser, Alcuni principi di restauro del film, è stato pubblicato
per la prima volta in “Griffithiana”, nn. 38-39, 1990. Il saggio integrale di Ray
Edmondson, Etica e principi del restauro, è stato pubblicato in “Cinegrafie”, n. 3,
1991. Il saggio di Alberto Farassino, qui intitolato “Un cinema corrotto”, sotto la
piena responsabilità dello scrivente, costituisce l’intervento dell’autore al
Convegno “Il film come bene culturale”, tenutosi a Venezia da 25 al 29 marzo
1981: Il film come bene culturale, La Biennale/ERI, Venezia/Roma 1982. La tra-
scrizione dell’intervento di Farassino venne aggiunta agli atti solo dopo l’edizione
del testo.
La versione integrale del saggio di Michele Canosa, Immagini e materia.
Questioni di restauro cinematografico, proviene da Michele Canosa (a cura di), La
tradizione del film. Testo, filologia, restauro, “Cinema & Cinema, n. 63, 1992 e
costituisce una prima stesura, una prima “versione”, dello studio, Per una teoria

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S i m o n e V e n t u r i n i

del restauro cinematografico, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cine -
ma mondiale. Teorie, strumenti, memorie, vol. V, Einaudi, Torino 2001. Il saggio
di Nicola Mazzanti, Note a pie’ pagina (Per un glossario del restauro cinematogra -
fico), è stato pubblicato in Luisa Comencini - Matteo Pavesi (a cura di), Restauro,
conservazione e distruzione dei film, Il Castoro, Milano 2001 e costituisce la base
per un successivo e più ampio saggio: Gian Luca Farinelli - Nicola Mazzanti, Il
restauro: metodo e tecnica, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema
mondiale. Teorie, strumenti, memorie, vol. V., Einaudi, Torino 2001.
Lo scritto di Paolo Bertetto, L’eidetico, l’ermeneutica e il restauro del film, è
stato pubblicato (con il titolo Lo eidético, la hermeneutica y la restauracion del
filme) in “Archivos de la Filmoteca”, n. 10, 1991. L’intervento di Dominique Païni,
Restaurare, conservare, mostrare è stato pubblicato nell’edizione italiana in
“Cinegrafie”, n. 10, 1997. L’edizione originale e integrale di Ségolène Bergeon, Il
restauro dei film, è: Le Restauration des films, in “CinémAction”, n. 97, 2000.
L’edizione originale e integrale del saggio di Paolo Cherchi Usai è: El film que
hubiera podido ser; o, el análisis de las lagunas considerado como una ciencia
exacta, in “Archivos de la Filmoteca”, n. 10, 1991. Il contributo di Leonardo
Quaresima, Effetto diorama. Sulla nozione di testo nel cinema delle origini. Una
nota, è stato pubblicato in Michele Canosa (a cura di), La tradizione del film.
Testo, filologia, restauro, “Cinema & Cinema, n. 63, 1992. Il saggio, nella versione
integrale, di Antonio Costa, O for Original, è stato pubblicato in Gian Luca
Farinelli - Nicola Mazzanti (a cura di), Il cinema ritrovato. Teoria e metodologia
del restauro cinematografico, Grafis, Bologna 1994.
Vorrei qui ringraziare la disponibilità degli autori e degli editori dei contributi
raccolti nel volume. Ringrazio per la fiducia, la stima e i continui stimoli offerti
Leonardo Quaresima, Roy Menarini, Francesco Pitassio, Davide Pozzi. Un rin-
graziamento particolare va a Mariapia Comand per avere seguito con affettuosa
pazienza e fiducia il mio lavoro. Un ringraziamento va a Paolo Bertetto per i pre-
ziosi consigli offerti. Un ringraziamento a Michele Canosa e Nicola Mazzanti per
gli stimoli e gli sferzanti ammonimenti. Ringrazio inoltre per la disponibilità
Matteo Pavesi. Un ringraziamento va a Marco Cumin per il prezioso e insostitui-
bile aiuto. Un sentito ringraziamento, per la pazienza e l’amicizia, ad Alice
Autelitano, Cristiano Poian, Gianandrea Sasso e Anton Spazzapan.
[S.V.]

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

A Misa

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S i m o n e V e n t u r i n i

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

IL RESTAURO CINEMATOGRAFICO, STORIA MODERNA


Simone Venturini

Nel corso del Novecento le modalità e i processi di distruzione dei film da una
parte e della loro conservazione dall’altra si sono costantemente affrontate e con-
frontate, selezionando e costituendo il patrimonio filmico della memoria cinema-
tografica1. Questi due fenomeni complementari, come la memoria e l’oblio, si sono
fin dal principio tradotti in letteratura, istituzioni deputate e prassi d’azione
sulla materia filmica.
Il restauro filmico si costituisce storicamente come azione e ambito minore e
particolare. Come nella tradizione degli altri contesti artistici e culturali, si
affianca solo recentemente all’opera di conservazione del film, sia in termini
potenziali di disciplina o ambito teorico ancora in fieri e in parte rimasto incom-
piuto, sia in termini di prassi.
Se dovessimo osservare e interpretare nel complesso il percorso storico di isti-
tuzione della pratica del restauro filmico e della sua problematizzazione teorica e
metodologica potremmo distinguere principalmente tre fasi - che si sovrappongo-
no, si avvicendano e si intersecano fra loro, giungendo a nominare la pratica del
restauro prima e a intensificare poi e progressivamente la complessità della
riflessione sull’oggetto.
La prima appare come una fase in cui il restauro è latente, nascosto e si rivela
in negativo: ovvero pone le basi storiche, culturali e concrete della propria neces-
sità attraverso la materia da cui trae origine: le copie dei film proliferano, si
riproducono e si differenziano; contemporaneamente si ammantano di corruzioni
e in molti casi, in parte o totalmente, scompaiono. Questo primo periodo giunge
negli anni Trenta a cristallizzarsi - nella riflessione estetica e culturale, nonché
nell’azione istituzionale - in un momento “forte” di scoperta dell’oggetto e ha
come conseguenza principale la conservazione materiale delle pellicole.
La seconda fase - tra gli anni Cinquanta e Settanta - coincide con la scoperta
delle potenzialità dell’oggetto e con l’opportunità di restituire un valore estetico,
storico, d’uso all’oggetto preservato e di renderlo fruibile in un nuovo contesto
mediatico e per nuovi pubblici. Un periodo che giunge all’emergenza della pratica
del restauro, e di conseguenza alla fruizione di opere filmiche cui sono state resti-
tuite le qualità e le caratteristiche perdute: degli “inediti” ripristinati, ricostruiti
e offerti a una re-visione estetica e storico-culturale eccezionale (in termini

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S i m o n e V e n t u r i n i

performativi) e tale da imporsi come un fenomeno di restituzione, ri-testualizza-


zione e di attualizzazione dei film del passato.
La terza fase infine - gli anni Ottanta e Novanta in particolare - corrisponde,
alla scoperta, parallela e derivata dalle manifestazioni della seconda fase, della
problematicità teorica e metodologica del restauro del film.
Una storia del restauro cinematografico non può prescindere dalla storia del
cinema tout court. È una storia che scorre all’interno di contesti teorici e storici
di più ampio respiro, con cui interagisce, intersecandosi, subendo o producendo
sollecitazioni, interrogativi e reciproche influenze. Nelle pagine che seguono ci
limiteremo a delinearne alcuni dei suoi tratti problematici ed essenziali.

Conservare, preservare

Negli anni Trenta, la sensazione estetica e culturale di perdita di un mondo


immaginario, di un’arte e di un linguaggio, di testimonianze storiche e culturali,
avvertita durante il passaggio dal muto al sonoro, portò all’istituzionalizzazione
delle azioni individuali e pragmatiche di conservazione del patrimonio cinemato-
grafico, in gran parte privato di valore dalla conversione al sonoro.
La letteratura sulle origini della conservazione cinematografica e dell’istitu-
zione delle cineteche è concorde nell’assumere il periodo di passaggio dal muto al
sonoro come il momento fondativo2. Il processo di istituzionalizzazione e di prima
valorizzazione coincide nei primi anni Trenta con la fondazione dei primi
Cineclub e parallelamente degli “Archivi del Film”, votati alla conservazione
delle pellicole cinematografiche. Possiamo infine assumere come tappa e approdo
temporaneo di questo nuovo atteggiamento la costituzione, nel giugno del 1938,
della Fédération Internationale des Archives du Film (FIAF).
Se per i “vecchi” film, privati di redditività commerciale, il «valore si riduce a
quello dell’argento contenuto nell’emulsione»3, allora l’atteggiamento conservati-
vo si oppone come movimento di attribuzione di una nuova e inedita classe di
valori: alla riduzione, all’estinzione, del valore d’uso, si risponde con l’attribuzio-
ne di un differente ordine di valori. Ciò conduce oltre le collezioni “utilitaristiche”
- a fini pedagogici e di documentazione - che già erano state costituite durante il
periodo del muto4.
Questo periodo può quindi essere preso in considerazione come il primo
momento, ampio e diffuso, di scoperta dell’oggetto: al film viene attribuito un
valore estetico e, in seconda istanza, storico e culturale 5. Il film nasce come
“monumento non intenzionale”: sarà la cinefilia e il riconoscimento critico, esteti-
co, storico a elevarlo alla categoria di “monumento” e “bene culturale”, a eleggerlo
come “opera d’arte”, a qualificarlo come “documento” storico6.
Ovvero, dal punto di vista della conservazione cinematografica, si assiste a un
primo inquadramento dell’oggetto teorico (il film come opera d’arte e come docu-
mento/monumento) per tramite della sua definizione fisica, nel senso di individua-
zione della pellicola come l’elemento materiale primario da conservare. L’attività e
la cultura della conservazione «prolunga l’esistenza di quanto sussiste»7.

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

All’inizio degli anni Cinquanta - con la sostituzione del supporto in nitrato di


cellulosa con la pellicola safety per il 35mm - si assiste a una ulteriore e ambiva-
lente conflitto e sviluppo interno alle forze complementari della distruzione e
della conservazione del film.
A fronte di quella che Raymond Borde ha descritto come la terza fase della
distruzione del cinema8 (la sostituzione e l’abbandono del supporto in nitrato di
cellulosa), la conservazione, proprio grazie al “nuovo” supporto di sicurezza, apre
alla preservazione9 - pratica e metodo da identificarsi principalmente, in questa
fase, con la duplicazione dei nitrati su supporto safety.
L’identificazione di questo passaggio con l’apertura alla prassi della duplica-
zione e l’identificazione con il supporto in triacetato di cellulosa in formato 35
mm con la materialità destinataria del trasferimento che salvaguarda l’“opera”
filmica è, ovviamente, frutto di una schematizzazione: già dalla seconda metà
degli anni Venti inizia a svilupparsi con forza e per necessità il settore dei mate-
riali intermedi. Questi “nuovi” elementi filmici e l’affermazione dei formati ridotti
“moderni” (16mm, 8mm) attivano processi di duplicazione, trasferimento e proli-
ferazione (ma anche di distruzione dei nitrati), nonché una “preservazione” pri-
mitiva.
Contestualmente gli archivi del film allargano la propria attività alla mostra-
zione del patrimonio filmico (la ricomparsa sugli schermi del passato cinemato-
grafico attraverso la programmazione specializzata). Tra gli anni Cinquanta e
Sessanta quindi, per offrire una prima periodizzazione, i film conservati iniziano
a essere duplicati a fini preservativi.
La duplicazione e la preservazione estendono il proprio ambito di azione fino a
comprendere la produzione di copie di accesso, fruibili e interpretabili, facendo sì
che i film venissero considerati testimoni, documenti, espressioni di carattere
estetico, linguistico e storico-culturale, e che venissero considerati come oggetti di
studio scientifico nonché di passione per cinefili e collezionisti. È la scoperta della
storia del cinema attraverso i film conservati, ma anche riportati sugli schermi
secondo le direttive, le selezioni elettive e le impressioni prodotte dalle prime sto-
rie generali del cinema, ma anche secondo le “ispirazioni” e le “invenzioni” dei
primi grandi storici e conservatori. Come ha sintetizzato Patalas,

è bene rendersi conto che i nostri ispiratori degli anni Cinquanta e


Sessanta, Langlois, Leyda, Jacobs, Eisner, Kracauer, non si accontentaro-
no - in una certa misura - di scoprire i film delle precedenti generazioni,
ma li inventarono per noi10

Si avvia così una seconda fase, successiva all’individuazione dell’oggetto, che


lo (ri)scopre nelle sue potenzialità: i film del passato, seppure riprodotti attraver-
so una spesso ingenua opera di duplicazione, vivono una seconda vita.
L’accessibilità, seppure limitata, ai materiali preservati si traduce in opera di
revisione fisica e testuale (da parte degli archivi), di «prima visione»11 e di re-
visione estetica (da parte di studiosi, cinefili e spettatori inseriti in un nuovo con-
testo generale), costituendo i prodromi di una fase più consapevole di riconsidera-

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S i m o n e V e n t u r i n i

zione critica dei testi e delle copie, di manifestazione di nuove occorrenze perfor-
mative e “rivelatrici” dei film d’archivio (in sala e progressivamente nei circuiti
televisivi), nonché di recupero del valore d’uso perduto12.
Tuttavia, questa fase, prima e durante la parallela e connessa emergenza
delle prime esperienze di restauro è contraddistinta da un sentimento e da una
sensazione implicita di incompiutezza. È in questo momento che affiora progres-
sivamente l’esigenza estetica, storica e culturale sincronica (cioè che è sempre
dell’epoca che agisce sul film, lo “problematizza’ e lo “racconta” in modo nuovo)
che trasla il film da un piano di relativa indifferenza della copia conservata, tra-
smessa e proposta a un piano di attenzione necessaria e irrinunciabile verso il
recupero delle qualità - figurative, narrative - perdute.
Come vedremo più avanti ciò dipende anche da un’ideologia del testo filmico -
come concezione che vede il film come un insieme compiuto e coerente da dover
ricondurre a uno stato “originale” e che applica retroattivamente la concezione
contemporanea del film come testo e oggetto della storia del cinema e del restau-
ro -, nonché da un’idea di cinema come forma di spettacolo che non ammette l’in-
completo, il lacunoso, il corrotto, il “rovinato”.
Come scrive Torsello,

il restauro si configura, più esplicitamente, come atto che riconosce la man-


canza o se vogliamo la e s i g e n z a, oltre che alla perdita di requisiti, cioè
come operazione che in qualche modo aggiunge oltre che recuperare attri-
buti […] Non è difficile affermare, del resto, che nel pensiero dei restaura-
tori, dall’800 ad oggi, il concetto di degradazione appaia congiunto con
quello di perdita di qualità, e che il restauro si configuri, per essi, come
recupero di qualità. Il concetto di perdita trova poi estensione speciale in
quello di esigenza di qualità […]13

Il restauro quindi non contribuisce solo alla storiografia e alla storia del cine-
ma sottoponendo allo storico i testi “corretti” su cui lavorare, il restauro «aggiun -
ge oltre che recuperare», ovvero crea una nuova storia e una nuova estetica, e si
costituisce come forma particolare e interna al cinema a sé contemporaneo.

L’epoca dei grandi restauri e delle “rivelazioni”: Napoleone alla conquista di Metropolis

A fianco ed entro l’esperienza di conservazione e di preservazione di cui sono


stati protagonisti archivisti e conservatori del film, collezionisti, cinefili e storici
del cinema, si collocano i lavori pionieristici e fondativi di Eileen Bowser, Harold
Brown, Kevin Brownlow, Enno Patalas, Robert Gitt, Peter Williamson, Gosta
Werner, Sam Shepard, che si manifestano a partire dalla fine degli anni Sessanta
e durante gli anni Settanta e Ottanta, aprendo il campo - fino ad allora pratica-
mente esclusivo - della distruzione e della conservazione/preservazione al restau-
ro del film14.
Patalas dal 1973 dirige il Filmmuseun di Monaco di Baviera, a lui e alla sua

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

direzione si devono i primi restauri del cinema tedesco del muto: film di Paul
Wegener, Friederich Wilhelm Murnau e in particolare la prima ricostruzione di
Metropolis (Fritz Lang, 1927).
La prima operazione di restauro condotta dal Národní filmový archiv di Praga
risale al 1969 con Svatý Václav (Jan Stanislav Kolár, 1929).
Nel 1975 la Bowser fornirà un ottimo esempio di ricostruzione e di documen-
tazione (sotto forma di un articolo apparso sui Cahiérs de la Cinémathèque) di A
Corner in Wheat (David Wark Griffith, 1909)15. Tra il 1973 e il 1980 Brownlow
propone a Washington, Londra e New York due fasi del restauro di Napoléon
(Abel Gance, 1927). Robert Gitt nel 1975 inizia a lavorare alla ricostruzione di
Lost Horizon (Frank Capra, 1937) all’American Film Institute e successivamente
a l l ’ U C L A - con i restauri di metà anni Ottanta di Becky Sharp ( R o u b e n
Mamoulian, 1935) e di The Toll of the Sea (Chester Franklin, 1922) - riapre l’inte-
resse e la ricerca nel restauro del film a colori avviato da Harold Brown e il
Museum of Modern Art di New York nel 1970 con il restauro di The Black Pirate
(Albert Parker, 1926).
Le prime e maggiori “esibizioni” di film restaurati sollecitano una riflessione
sempre più consistente che si allarga dagli specialisti alla comunità degli storici e
degli studiosi di cinema. Così, a partire dalla fine degli anni Settanta, a fianco
della “pratica” del restauro si moltiplicano gli interventi che sottolineano e pro-
pongono la necessità e l’avvento di una moderna filologia del film. La prassi del
restauro sollecita così la riflessione teorica. Come testimoniava Brunetta nel
1981,

fino a poco tempo fa […] i critici e gli storici del cinema non sembravano
preoccuparsi troppo della qualità della testimonianza. Il textus receptus era
la vulgata eguale per tutti16

A partire dai primi anni Settanta e fino alla prima metà degli anni Ottanta,
in coincidenza con questo primo picco di maturità e di attenzione approfondita al
restauro del film, sono forse due le componenti, per così dire esogene, che sorreg-
gono e fondano la necessità epistemologica del restauro e della ricostruzione filo-
logica: da un lato una dimensione economica e industriale, dall’altra uno stato
della sfera culturale.
Gli archivi delle majors americane e più in generale delle case detentrici dei
diritti di proprietà e sfruttamento diventano una voce importante nella politica
economica cinematografica e un patrimonio da rivalutare e rimettere in circola-
zione.
La perdita di valore è correlata all’esaurirsi del tempo di vita, nel senso di
sfruttamento commerciale, del film. L’affermazione del medium televisivo prima
(tra gli anni Cinquanta e Settanta) e dell’home video poi, rinnova ed estende la
validità dei film del passato in termini di sfruttamento commerciale.
I film - sospesi, ‘congelati’ e privati di valore d’uso - sono riversati in settori
che ne richiedono sempre più massicciamente l’utilizzo e che quindi spostano l’at-
tenzione dal conservare al mostrare. Ai film “conservati” viene restituito, sotto

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S i m o n e V e n t u r i n i

nuova forma, un valore commerciale ed evenemenziale che ne permette una cir-


colazione diffusa. Così, il passato cinematografico si trasforma in una risorsa eco-
nomica di alto rilievo17.
Il nuovo contesto massmediatico introduce i film in una dimensione di circola-
zione e rimediazione mai sperimentata. I film del passato sono soggetti a una
revisione che si estende dalla versione restaurata al passaggio televisivo della
ristampa d’archivio o commerciale, alle prime edizioni home video. Nuovi pubbli-
ci, da quelli specialistici a quelli generalisti incontrano “nuovi” o “mitici” testi
emersi dal patrimonio conservato dagli archivi del film.
Esiste inoltre una relazione storica tra le trasformazioni tecnologiche del
media veicolo del film, gli archivi e le forme di cinefilia. Se con l’avvento del sono-
ro la cinefilia, la nascita degli archivi e i film sono uniti da un sentimento limita-
to ai pochi iniziati, da correlare con le selezioni e le elezioni operate sui film con-
servati, a partire dagli anni Cinquanta la cinefilia da «quasi-religious senti-
ment», si trasforma lentamente in una “forza economica potenziale”. Una nuova
relazione tra tecnologia e media (la televisione), gli archivi e la cinefilia. Con l’ar-
rivo dell’home video è questa nuova tecnologia a emergere (come materia e
ambiente di fruizione) e, dalla parte dello spettatore, la cinefilia converge forte-
mente verso i fondamenti dell’archiviazione: il collezionismo. Infine, a partire
dall’inizio degli anni Novanta, sarà il DVD e poi la disponibilità on-line dei film
(vecchi e nuovi) a mutare (a far convergere) il quadro generale dei rapporti tra
archivi, tecnologie di visualizzazione e accesso, forme di cinefilia e fruizione18.
D’altra parte, nei primi anni Ottanta, si avverte una crisi del sistema-cinema,
non tanto e solo di natura economica, che fa riflettere, parlare e scrivere gli stu-
diosi di “morte” del cinema. Antonio Costa nel 1992, introducendo il celebre
monografico di “Cinema & Cinema” dedicato alla filologia e al restauro del film
poneva il seguente interrogativo:

In quale misura l’attuale fortuna delle tematiche della conservazione e del


restauro ha relazioni con la presa di coscienza della conclusione di un altro
ciclo storico, o meglio forse del ciclo storico del cinema?19

Il restauro del film è un’attività e un atteggiamento interno ai conflitti e alle


ambiguità della modernità, soprattutto della sua fase terminale, nonché del
mutato approccio interpretativo occorso:

[…] il restauro è un attività radicata nella modernità […] non è un caso che
il restauro si affermi pienamente negli ultimi vent’anni, quando sembrano
venire meno le letture ideologiche, pragmatiche e tendenziose del cinema e
prende piede un rapporto più diretto con il testo e con il linguaggio20.

I film del passato subiscono “gli assalti della modernità”21, principalmente


attraverso ricolorazioni e sonorizzazioni, e si scoprono parte, frammenti, di una
“moderna arte delle rovine” e del ri-uso22.
Si tratta di un momento e di una sensazione di perdita d’identità - a conclu-

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

sione della modernità cinematografica, che sposta - in modo nuovo - il film e il


cinema nel regno dell’estetica, dello studio dei linguaggi e della storiografia, non-
ché verso la necessità di trasferirsi, per sopravvivere, nel campo dei beni cultura-
li. A rischio, in quel momento, non è il cinema del periodo del muto, ma il cinema
stesso. Si potrebbe parlare di una confusione generale attorno ai concetti di valo-
re e di materia.
È pertinente notare che questo “sentimento” induceva alcuni studiosi a mette-
re in relazione la necessità di una filologia e di un restauro filmico con modelli e
fenomeni degli anni Settanta, prodromici alla supposta “morte del cinema” avver-
tita durante gli anni Ottanta: il dibattito su storia e cinema, il fenomeno retrò, il
cinema di nostalgia della Nuova Hollywood23.
A fronte della sensazione di perdita estrema, gli studiosi trovano nella memo-
ria e nella materia filmica - rinvenendo ancora una volta nel muto un centro di
attenzione particolare, a sua volta in più sensi “orfano”24 -, un oggetto e un patri-
monio in grado di agire come antidoto e come amuleto nei confronti della confu-
sione e della “industrializzazione della memoria”: uno slittamento ermeneutico e
culturale che si è tradotto, anche, in un primo forte momento di attenzione e
riflessione sulla necessità di una teoria e di un metodo di approccio filologico e di
restauro al film.

Una prassi complessa

È in questo periodo, che si può collocare l’inizio della terza fase di confronto
con l’oggetto. A partire dagli anni Ottanta e in particolare modo nel decennio suc-
cessivo si scopre e si indaga la problematicità teorica e metodologica interna alla
preservazione e al restauro del film.
Se il Congresso FIAF di Brighton del 1978 è stato per gli storici del cinema
uno dei momenti forti della rinascita della propria disciplina e di accensione della
“passione infiammabile”, i restauri di M e t r o p o l i s, I n t o l e r a n c e (David Wa r k
Griffith, 1916), Napoléon rappresentano per gli studiosi di cinema le prime illu-
minanti esperienze di restauro moderno.
Così, la nascita della storiografia avanzata del cinema e la nascita del restau-
ro e della moderna filologia del film hanno in comune lo stesso retroterra cultura-
le, le stesse spinte innovative e si intrecciano fin dal loro principio: «il “laborato-
rio” dello storico del cinema è ormai legato a un laboratorio meno metaforico,
quello degli archivi del film»25.
Ancora, l’allargamento della nuova storiografia cinematografica allo studio
del cinema delle origini, ai modelli e ai processi produttivi e tecnologici, trova
nella ricerca laboratoriale sui film d’archivio interessi analoghi e convergenti.
Nasce così un primo periodo di grande attenzione verso un possibile approccio
moderno alla filologia e al restauro del film, nel senso di un paragone e di una
equivalenza con le spinte avvertibili nella seconda metà dell’Ottocento nella filo-
logia letteraria e nel restauro d’arte e architettonico. Borde, Brunetta, Bowser,
Cherchi Usai, Cosandey, Farassino, Edmonson, Patalas, Pinel, solo per citarne

19
S i m o n e V e n t u r i n i

alcuni dei maggiori pongono le basi della teoria filologica e “restaurativa”.


Inoltre, se il restauro del film nasce nel momento della perdita definitiva di
centralità del cinema nell’universo mediale e il film entra in modo sempre più
massiccio nei processi di migrazione e rimediazione26, si intensifica l’attenzione
verso la materia: l’oggetto film si pone come base e partenza materiale per la
ricostruzione di versioni “legittime”, come luogo delle varianti, delle versioni e
della mostrazione (a partire dagli anni Novanta le mille “rivelazioni” e riscoperte
in uscita dagli archivi, sostenute da progetti nazionali e internazionali e dirette
ai festival specializzati). È la riscoperta generalizzata delle tecniche che sostan-
ziano l’immagine filmica, delle possibilità di manipolazione, riparazione e di rico-
struzione materiale; è la presa di coscienza della pellicola nella sua consistenza
fisica, nel suo essere il veicolo di conservazione, ricostruzione e trasmissione
principale, ancorché non esclusiva, della memoria cinematografica.
Parallelamente emergono i nuovi atteggiamenti e ricerche nel campo della con-
servazione e preservazione del nitrato (con l’urgenza allargata agli acetati e ai
film su pellicola a colori).
Tale periodo, di problematizzazione dell’oggetto e di definizione del campo teo-
rico che lo comprende, coincide a livello fenomenologico con l’accelerazione dello
sviluppo delle tecniche, delle competenze, delle reti di comunicazione e delle occa-
sioni di confronto tra e dei primi laboratori di restauro e - a livello dei risultati
immediati - con la “produzione” e la “circolazione” sempre più “evidente” e
“performativa” delle edizioni restaurate.
Negli stessi anni, si assiste a una battaglia che trova un preciso corrispettivo
nella storia e nel restauro d’arte e architettonico: il riconoscimento, lo studio, la
ricostruzione e la valorizzazione del colore durante il periodo del muto27. La pre-
servazione “primitiva” del muto aveva spesso - per ragioni emergenziali ma
anche ideologiche - trascurato la componente cromatica, che risultava così assen-
te nelle copie d’accesso su supporto safety e sulle copie in formato video che ini-
ziavano a circolare.
Negli anni Ottanta la letteratura appare ancora frammentata e i convegni, le
tavole rotonde e i numeri speciali dei periodici specializzati contengono interventi
molto differenti tra loro per approccio, metodo e finalità. Si avverte una divergen-
za tra nuove e vecchie prospettive teoriche e tra tradizionali e avanzati approcci
storiografici. Contemporaneamente la riflessione sulle problematiche teoriche e
metodologiche di una filologia e di un restauro del film inizia a dialogare e con-
frontarsi con la prassi del restauro, fino ad allora pratica specialistica e oscura ai
più, e a procedere alla ricerca di principi etici e procedurali che dovranno sostan-
ziare la “legittimità” della figura specializzata che sovrintende al restauro e alla
versione restaurata.
Con il “restauratore” si individua inizialmente una figura ambigua (tuttora) a
più livelli (scientifico, giuridico, istituzionale) e soprattutto “mitica” nella sua
identità individuale; lo si descrive e interpreta come “restauratore-archeologo” o
“restauratore-artista”. Nei panni dell’archeologo, il restauratore privilegerebbe la
ricostruzione documentaria, sacrificando la fruibilità del testo restituito, eviden-
ziando - come in alcuni assetti e momenti del restauro archeologico e d’arte - le

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

lacune, a volte colmandole attraverso fonti alternative (non filmiche, soprattutto


fotografiche), al fine di ricostruire testi compromessi o perduti (Robert Gitt, Peter
Williamson, Gosta Werner). Nei panni dell’artista, il restauratore privilegerebbe
invece la fruibilità e l’estetica del film integrando e selezionando il materiale in
nome di una fedeltà tributata tanto al senso quanto al testo “originale” ipotizzato
(Patalas - in parte, Shepard)28.
In realtà le due posizioni sembrano in un qualche modo convergere tra loro: il
restauratore-archeologo esplicita ed evidenzia le lacune attraverso l’integrazione
di fonti extrafilmiche nel tentativo di evitare l’incompiutezza della configurazione
testuale ipotizzata e giungendo a toccare i “limiti” tra “ricostruzione” e “ricreazio-
ne” del film, il restauratore-artista cela nella versione restaurata le mancanze
oggettive e i frammenti che seppure conservati disturberebbero la fruizione.
Entrambi evidenziano la tendenza irresistibile alla ricostruzione dell’unità poten-
ziale dell’opera d’arte e denunciano l’essenziale attività di interpretazione nel
restauro.
Bertetto ha proposto così di risolvere tale ambivalenza:

[…] l’alternativa tra restauro filologico e spettacolare, che le grande espe-


rienze di restauro degli anni Ottanta e i restauratori più seri hanno consi-
derato, non si risolve in rapporto alla filologia e allo spettacolo, ma affer-
mando l’assoluta centralità della forma29.

Recentemente, David Shepard ha proposto la visione dell’equipe di restauro


come un medium che interpreta, su un piano anche performativo, il film al fine di
realizzare un accordo con il presente mediatico30.
Agli inizio degli anni Ottanta, nel rapporto tra questo fare interpretativo del
restauratore e le considerazioni teoriche sul restauro, appaiono già avanzate e
pertinenti le riflessioni sulla pratica e sul metodo del restauratore in relazione al
metodo filologico. Brunetta, ad esempio, individua in alcune prassi «tipici esempi
della congettura e della divinatio stilistica»31.
Per ciò che concerne la “natura” e la legittimità della versione restaurata, ciò
che si avverte, ma stenta ad affermarsi nella teoria - sempre nel rapporto tra
restauratore e l’oggetto del restauro -, è semmai l’azione che il processo di restau-
ro esercita nel presente e per il presente, ovvero l’intuizione che, spesso anche se
non sempre, la versione “prodotta” dal restauratore e dal laboratorio di restauro
rappresenti un testo letteralmente nuovo, inedito e attuale. Così, appare ancora
prematura, salvo alcune importanti eccezioni, la generalizzazione dell’idea che «il
restauratore [sia] il responsabile delle forme del nostro museo immaginario»32.
Tra i primi a intuirlo e a esporlo, Ray Edmondson, che con il proposito di
«esplorare l’etica della ricostruzione», si interrogava sulle «finalità» del restauro.
Per Edmondson «non si danno ricostruzioni “in astratto”. Ciascuna può persegui-
re una sua diversa finalità»33.
Le tecniche e il budget a disposizione, il pubblico destinatario, i supporti e i
media di destinazione prescelti influenzano le scelte che prefigurano il risultato
finale della ricostruzione. Si tratta di un tema ampiamente dibattuto e comune (a

21
S i m o n e V e n t u r i n i

Eileen Bowser e ad altri autori) e corrispondente al tentativo di individuare e


definire i confini, le funzioni e la legittimità etica e procedurale del restauro.
All’interno di questa dimensione per Edmondson

questo significa che il lavoro di ricostruzione - tecnico, musicale, di mon-


taggio - rifletterà esattamente le esplicite intenzioni del suo artefice, e che
le modalità di presentazione dovranno valorizzare la fruibilità del film34

Edmondson verificava come «un ricostruttore è in qualche modo un regista


“per procura”»35. Più significativo e ampiamente sottostimato - ciò che si tende in
realtà a perdere nell’esperienza spettatoriale (generica e specializzata) - è un’evi-
denza, fin troppo ovvia, data da Edmondson al fatto che tutto ciò «significa anche
che il pubblico dovrà essere consapevole che sta guardando una ricostruzione e
non l’originale»36.
L’appello di Edmondson, indirizzato a rendere evidente la natura dell’edizione
fruita e implicitamente a garantire il principio di reversibilità e di trasparenza
operativa, è stato solo in parte ascoltato e seguito, se non in casi eccezionali ed
estremamente acuti dagli studiosi e dagli specialisti del restauro
cinematografico37. Attualmente, sono forse le riflessioni e la prassi avviata attor-
no alle “edizioni critiche” a sollecitare questi e altri aspetti riguardanti l’identità
e la funzionalità delle versioni restaurate.
In prospettiva, se per Eileen Bowser, come per altri archivisti e restauratori
del film occorre enunciare e sottolineare la necessità etica e procedurale di «non
distruggere mai la versione sopravvissuta nel tentativo di crearne un’altra»38, per
Ségolène Bergeon il concetto di “reversibilità” nel restauro del film - semplice-
mente - non sussiste. La Bergeon infatti sviluppa, al limite delle sue conseguenze
teoriche, la prassi di lavoro sui duplicati nel restauro cinematografico:

l’originale è altrove. Per il restauro di un film non si lavora mai diretta-


mente sul negativo: si ricava un positivo, chiamato copia, e si lavora su
questa. Il principio essenziale di reversibilità non ha più, quindi, ragione
d’esistere, né tanto meno lo ha il principio d’innocuità39

Parallelamente, il concetto di “originale” è ampiamente dibattuto e considera-


to come una «visione mitica»40, «un’aprossimazione»41 e al contempo ipotizzabile:
per metodo attraverso la filologia e per principio - come abbiamo intravisto -
attraverso la proposta di una gerarchia delle versioni “legittime” che privilegia la
prima proiezione pubblica e la volontà e la configurazione autoriale42.
In questa direzione, l’assunzione del metodo filologico impedirà la ricostruzio-
ne di forme e racconti per immagini in movimento e suoni mai occorse storica-
mente:

In questi ultimi anni il problema e le sue possibili soluzioni sono stati


oggetto di una sempre maggiore attenzione, anche grazie a una serie di
casi esemplari per complessità. L’orientamento attuale riconosce la

22
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

sostanziale “incompenetrabilità” delle versioni diverse, al fine di preserva-


re una “unità” formale del film, che verrebbe stravolta dall’accostamento
di immagini, inquadrature, didascalie, che mai sono convissute sullo
s c h e r m o 43

Durante gli anni Novanta, inoltre, si sviluppa l’idea e si avverte che la


nozione di “originale” sia utilizzata per imporre una gerarchia di versioni e di edi-
zioni, con la conseguenza che l’applicazione del concetto di originale consente di
mettere sotto controllo la risorsa culturale ed economica costituita dal patrimonio
filmico. A questo proposito e più recentemente, Hediger scrive:

[…] the notion of the original is one of the crucial structuring principles of
any artistic heritage, separating what is important from what is not, what
deserves to become part of the canon from what does not […] In this
market of reconstruction and collector’s edition, the notion of the original
plays a decisive role in shaping the accessibility and driving the circulation
of old films44

Sarà attraverso una determinata apertura della prassi e del discorso teorico
intorno al restauro filmico agli apporti del restauro d’arte e della filologia lettera-
ria e attraverso la problematizzazione ulteriore della nozione di testo e di quella
di originale che i presupposti e le problematiche individuate si risolveranno, cre-
diamo temporaneamente e parzialmente, maturando in un tentativo di fondazio-
ne di un assetto teorico e metodologico generale.
A partire dagli anni Novanta, avremo così da una parte l’assunzione del meto-
do filologico, con l’ipotesi e la ricostruzione di archetipi e di versioni all’interno
dell’approccio analitico-comparativo; con l’analisi delle varianti e l’individuazione
di guasti, errori, difetti. Dall’altra avremo la raffinazione del processo di restauro
- tanto in termini di prassi metodologica basata sulla conoscenza storica e tecni-
ca, sulla decostruzione/duplicazione/ricostruzione e sull’esame critico dei mate-
riali, quanto in termini di assunzione di riferimenti teorici provenienti da alcuni
“maestri” del restauro e della conservazione moderna (Brandi soprattutto, e in
seconda battuta Riegl). Tali apporti condurranno, durante lo scorso decennio, a
raccogliere le sollecitazioni precedenti e a costituire alcuni percorsi di fondazione
di una teoria e di un metodo del restauro cinematografico.

Verso una teoria del restauro cinematografico

Se gli anni Settanta e Ottanta hanno rappresentato il dominio della prassi del
restauro e della prima problematizzazione dell’oggetto, il decennio successivo
sembra rappresentare il tentativo di passaggio a un approccio metodologico al
restauro.
A partire dagli inizi degli anni Novanta e fino quasi ai giorni nostri non pochi
saggi, interventi, monografie collettive hanno proposto e redatto principi istitu-

23
S i m o n e V e n t u r i n i

zionali, contributi teorici e metodologici con l’obiettivo di definire il restauro cine-


matografico, nonché di fondare degli approcci teorici, metodologici e una prassi
riconoscibile e condivisibile.
In questo contesto vorremmo fare emergere un tentativo particolare - compiu-
to dalla “scuola bolognese”, principalmente rappresentata da Michele Canosa,
Gianluca Farinelli e Nicola Mazzanti - di fondazione scientifica - più che discipli-
nare, teorica e metodologica - del restauro cinematografico.
I contributi di teorici del restauro d’arte (Brandi in primis) e della filologia del
testo letterario costituiscono la base di questo approccio e si intrecciano all’in-
troiezione della letteratura esistente, a ulteriori problematizzazioni e aperture,
nonché a sintesi originali (e soprattutto praticabili).
La “scuola”, ripercorre e attualizza in chiave operativa un modello storica-
mente non risolto e non pacifico nelle sue conseguenze applicative: l’università
(come luogo di ricerca teorica), il laboratorio di restauro (come luogo di riflessione
e applicazione del metodo, della conoscenza del mestiere e della fabbrica tecnolo-
gica d’epoca e d’approdo), la cineteca (il luogo della conservazione, della preserva-
zione e dell’accesso/mostrazione). Le fasi espositive del lavoro di ricerca e di
riflessione della scuola bolognese sono principalmente tre.
La prima è costituita dall’incontro internazionale tenutosi nel novembre del
1990 a Bologna (intitolato appunto Verso una teoria del restauro cinematografico) ,
articolato in sezioni dedicate al concetto di “originale”; alla “ricostruzione del testo”;
ai rapporti tra “filologia e attualizzazione” ovvero alla visione del testo in chiave
evenemenziale e performativa; al problema del “frammento e della lacuna”45.
Un secondo momento è rappresentato dal numero monografico Te s t o,
Filologia, Restauro di Cinema & Cinema, del 1992, curato da Michele Canosa46.
La terza e ultima fase è costituita dagli ampi e definitivi contributi (che raccolgo-
no le riflessioni sviluppate durante gli anni Novanta) presenti nella Storia del
Cinema Mondiale curata da Gian Piero Brunetta47 e dagli articoli raccolti nella
rivista Cinegrafie, edita dalla Cineteca di Bologna.
L’approccio bolognese, fondato sulla convergenza tra teoria del restauro d’arte
e metodo filologico applicato alla materia e al testo del film, ha il forte pregio di
aver saputo comprendere al proprio interno e di decostruire - spesso in maniera
se non risolutiva decisamente feconda - molte delle questioni fino a quel punto
oggetto di discussione (originalità e riproducibilità, versioni e varianti, materia e
testo, lacune e frammenti, confini e definizioni della conservazione, preservazio-
ne, restauro, ricostruzione, etc.) assumendo una serie di coppie dialettiche, di
doppiezze e polarità come grimaldello interpretativo in chiave metodologica48.
Contestualmente e contemporaneamente, l’approccio ricevette fin dal primo
palesarsi delle critiche che possono essere riassunte dalla replica, pressoché
immediata e diretta, di Giorgio Cremonini.
Con Verso un ideologia del restauro, Cremonini intuiva che il decennio appena
trascorso sarebbe stato il decennio dell’esplosione performativa e del riconosci-
mento scientifico del restauro cinematografico.
Al di là delle critiche meno pertinenti (la non legittimità degli archivi a pro-
durre ricerca scientifica), Cremonini individuava alcuni nodi problematici,

24
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

soprattutto legati all’assunzione del “testo filmico” come veicolo e oggetto dell’ap-
plicazione del metodo e alla legittimità di un’attività teoretica finalizzata alla
costituzione di una teoria del restauro:

Un altro problema, ancora più radicale, riguarda l’applicabilità d’una


nozione come quella di originale ad un prodotto che non è semplicemente
un testo, ma è uno spettacolo […] Parlare di testo cinematografico è legitti-
mo solo a patto che lo si consideri come una visione parziale, una settoria-
lizzazione di comodo, un approccio specifico ad un problema che è assai più
ampiamente storico […] Parlare di una teoria del restauro, quindi, non ha
senso, a meno che il dibattito non sia preceduto da una riflessione teorica
complessa che investa una teoria della storia, una teoria del cinema, e, se
vogliamo, una teoria della storia del cinema. Senza queste premesse, qua-
lunque discorso sul restauro è destinato a risolversi in una ideologia come
falsa coscienza del problema, in quanto separa l’oggetto dal suo contesto
culturale49

L’articolo di Cremonini appare emblematico perché tocca alcuni punti proble-


matici solo in parte affrontati e valutati durante il decennio appena passato e che
occupano non pochi interventi tra gli anni Ottanta e Novanta.
Le riflessioni e le azioni di fondazione in atto negli anni Novanta, ripercorre-
vano e riassumevano infatti al loro interno questioni già dibattute durante il
decennio precedente. Farassino, ad esempio, aveva sollecitato il nodo del testo
spettacolare fin dal 1982:

Poiché se è vero che sia il film che il codice manoscritto sono fatti entrambi
per essere copiati, non bisogna dimenticare una differenza di fondo: nel
cinema la copia, per quanto si distinguano in essa elementi testuali e ele-
menti di supporto non è in sé consultabile o leggibile ma diventa a sua
volta supporto, anzi uno dei supporti, per quell’altro testo che è la proiezio-
ne cinematografica50

Farassino includeva così, all’interno della questione dell’identificazione teori-


ca degli “originali” un po’ tutto: il pubblico, la sala, il proiezionista. E concludeva
allargando la tassonomia delle corruzioni alle «alterazioni mediologiche», «socio-
spettatoriali», «industriali», nell’ottica che

Il film come testo-per-il-pubblico, o più semplicemente come testo di massa,


[sia] così soggetto ad altre corruzioni meno facilmente interpretabili ed
emendabili da una filologia tradizionale51

Cremonini faceva riferimento a un predominio della teoria attraverso la sto-


ria, alludeva a un privilegio accordato alle componenti e alle istanze storiche e
culturali del restauro rispetto alla ricostruzione filologica del film. Da parte sua
Farassino apriva già il restauro all’evento, all’attualizzazione e alla ricezione

25
S i m o n e V e n t u r i n i

performativa, singolare, costantemente ritestualizzante e in definitiva non ripro-


ducibile52. In questo senso l’ideale esplicazione di questo nodo problematico è
espresso in un altro testo di Farassino, di cui citiamo qui di seguito un brano, e
redatto prima delle più note e relativamente più recenti posizioni di Paolo
Cherchi Usai, il quale non esitava a definire “riduzionista” l’approccio filologico53.
Scrive Farassino:

Il cinema è il medium della continua ritestualizzazione, ogni proiezione di


un film stabilisce, anche solo per piccolissime varianti, un nuovo testo per
la proiezione successiva. Se è ovvio e giusto rifiutare le copie gravemente
lacunose è tuttavia antistorico - in un’arte che prevede costitutivamente
la replica e la riproducibilità - considerare “corruzioni”, con una connota-
zione pesantemente negativa, quelle che sono le normali modalità di esi-
stenza e di circolazione di un film. Il quale non sarà mai veramente iden-
tico a quello che è stato in un’unica e mitica prima proiezione di cui hanno
fruito al massimo poche centinaia di spettatori. Se tutto ciò è vero in ogni
caso, lo sarà ancor di più quando le varianti successive non saranno dovu-
te a mere ragioni meccaniche o a circostanze casuali ma a scelte precise,
magari non “dell’autore” […] ma non per questo prive di legittimazione
s t o r i c a 54

Le varianti assunte da Canosa, all’interno della tipologia proposta dell’autore


e relativa al cinema muto, accolgono e riorganizzano le varianti proposte da
Vincent Pinel per il “testo filmico” del periodo muto e le varianti “testuali” di
Farassino, escludendo le proposte di quest’ultimo sulle “alterazioni” co-testuali55.
D’altra parte, le possibili critiche trovano proprio in Canosa una risoluzione di
questa problematica, attraverso l’assunzione dei principi e delle direttive proprie
di una filologia dell’autentico 56 e di una filologia dinamica, consapevole dei
momenti, degli atti e dei fenomeni diacronici di cristallizzazione testuale e spo-
sando idealmente l’idea del testo spettacolare:

Il film si manifesta sullo schermo come “attualizzazione” della pellicola. La


condizione richiesta (proiezione) affinché le immagini in movimento avven-
gano, costituisce il film, nella sua manifestazione attualizzata, entro l’ordi-
ne dell’esecuzione e dell’evento. La rappresentazione cinematografica si
apparenta, almeno in parte, alle forme espressive quali la musica e il tea-
tro. Rispetto a una esecuzione musicale e a uno spettacolo scenico, la
performance cinematografica è più rigida e programmata, dato che è sotto-
messa a un apparato meccanico e dipende da un veicolo testuale relativa-
mente stabile (la pellicola). Il dato performativo cresce nel cinema muto e
tanto più nel cinema delle origini […] A questo punto il testo da ricostruire
non è più il film ma lo spettacolo nel suo insieme57

Resta, per inciso, che l’identificazione preliminare della materia dell’opera


d’arte con l’«immagine pellicolare» - di diretta discendenza dalle azioni originali

26
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

di scoperta dell’“oggetto” da conservare e di stretta derivazione dal restauro d’ar-


te brandiano - marginalizza il contesto nel metodo del restauro58:

È chiaro, non si dà rappresentazione cinematografica se non sullo schermo


e - istituzionalmente - di fronte a un pubblico. L’immagine schermica dal-
l’immagine pellicolare ampiamente dipende, ma con questa non si confon-
de. Restano differenti (né consustanziali, né omomorfe). In breve, è il
“dispositivo” cinematografico stesso che prevede una doppia dislocazione
del film (pellicola, schermo), la scissione materia/immagine59

Analogamente, lo stesso processo di duplicazione (di produzione di duplicati)


realizza una prima scissione tra materia e immagine. Inoltre, possiamo forse ipo-
tizzare che nella duplicazione - nell’articolazione interna alla materia, tra strut-
tura (supporto) e aspetto (emulsione) del film, ovvero nell’equivalente similare,
tecnologico e metodologico, del “trasporto” nelle arti figurative classiche - si rea-
lizza una traduzione, in una nuova configurazione materiale e audiovisiva, sia
dell’aspetto che della struttura. Nel “trasporto” pittorico, la struttura viene “sacri-
ficata”60 ai fini di conservare l’aspetto originale. Nel film, entrambe le articolazio-
ni della materia sono sublimate, come nella proiezione cinematografica, in un
duplicato: una proiezione sul futuro (come metafora a più livelli di senso di tra-
smissione verso “generazioni” presenti e successive)61.
A essere sacrificata è la materia per intero. In sostanza ciò che verrà poi scis-
so - durante la proiezione - è già di per sé un oggetto altro e singolare indipenden-
temente dall’identificazione della configurazione testuale presa come riferimento
storicamente certo e attendibile per la ricostruzione.
È per questa ragione che la Bergeon - pur soffermandosi eccessivamente sul-
l’etica del restauro opposta alle virtualizzazioni tecnologiche potenziali e in
un’ottica parzialmente idealistica - ritiene marginale la considerazione del prin-
cipio di reversibilità del restauro applicato al film. In ultima l’analisi, l’atto e il
processo di duplicazione palesa in prima istanza «l’inevitabile selettività del
restauro», da qui in chiave semiotica la duplicazione filmica come dimensione
della “replicazione”.
Alla ridefinizione dei confini dell’oggetto si sono dedicati anche Mazzanti e
Farinelli, allargando - sulla base di un assunto brandiano e senza limitare tale por-
tata al “cinema delle origini” - alla sala cinematografica, al contesto di riproduzione
e di proiezione, la coestensività tra immagine e materia, includendo così nel proces-
so e nel metodo di restauro il contesto d’epoca e di approdo del testo filmico62.
Al contempo Mazzanti individuava e stabiliva i limiti e la dimensione della
disciplina, del metodo e della prassi: «iniziamo dall’ovvio: il restauro del cinema
si occupa di film […] Dunque, il restauro del cinema si occuperà della materia,
cioè degli oggetti/film, con il fine manifesto di restituire il film/testo, il
film/opera»63.
Spingendo a fondo, la soglia teorica pare in realtà essere più ambigua, più che
restituire testi, il restauro filmico sembra c r e a r e testi. Come avvertiva
Edmondson, lo spettatore dovrà essere consapevole di fruire una ricostruzione e

27
S i m o n e V e n t u r i n i

non l’originale. Lo spettatore, cinematografico o meno, specializzato o meno, assi-


ste alla visione primaria, a ciò che non è mai stato visto prima, nemmeno dal
pubblico dell’epoca. Non il “falso storico”, ma ovviamente una nuova e inedita
esperienza che ha tanto rapporti e discendenze nel presente quanto nel passato a
cui si rivolge.
In ultima istanza, l’ambiguità dell’identità dell’edizione restaurata si scontra
con i limiti pratici della ricostruzione, come ricorda Païni abbiamo a che fare con

prima di tutto, un materiale, e non tanto l’essenziale, forse, in termini


“archeologici”, cioè le condizioni spettatoriali della sua rappresentazione
originale. È un illusione supporre che sia possibile ricostruire il vissuto ini-
ziale di quella relazione immaginaria in cui consiste, prima di tutto, l’arte
cinematografica […] Il “sito” iniziale del film - architettonico, culturale,
economico, tecnico - risulta irrimediabilmente distrutto […] Una parte non
trascurabile dell’orizzonte di significato del film non è più ricostruibile […]
Per questo il restaurato è necessariamente sottoposto a critica64

Il discorso complessivo della “scuola bolognese” appare come un atto di fonda-


zione teorica e come una proposta di metodo intorno al restauro. Discorso che ha
tra i pregi maggiori l’attenzione critica verso il concetto di duplicazione/riproduzio-
ne e di offrire il quadro generale di un processo metodologico - al cui interno un
dato fondamentale è costituito dalla suddivisione e dall’incrocio analitico e inter-
pretativo tra materiali filmici ed extrafilmici - e di una prassi tecnica adeguata al
materiale da trattare. Un metodo che «abbia alla base quel rigoroso esame critico
dei materiali […] al quale con una precisa documentazione degli interventi e delle
fasi, segua un restauro tecnico sui materiali - di cui la duplicazione è un aspetto - e
si affianchi in parallelo a un restauro editoriale o ricostruzione, che andrà a con-
cludere idealmente e a fondere le istanze dei due processi […]»65.

Oltre il film

Proseguendo nella ricognizione degli interventi emersi durante gli anni


Novanta, si nota come all’allargamento al contesto di riproduzione e all’eviden-
ziazione della fragilità della nozione del testo filmico in sé e della materialità da
restaurare identificata nella pellicola si sono dedicati non pochi studiosi.
Sul versante dell’allargamento, sull’estensione topologica e processuale della
concezione brandiana di materia come struttura offre il suo contributo anche uno
studioso d’arte come Filippo Trevisani:

[…] Ma nell’opera cinematografica il concetto di materia come struttura


può essere allargato sino a comprendere non solo tutte le tipologie di pelli-
cole, ma, almeno per me, la macchina da presa, quelle di proiezione, ecc., il
set, la scelta degli attori, ecc., sino a comprendere in quest’ambito persino
lo spettatore, nell’accezione di spettatore integrato66

28
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

È interessante notare che anche Trevisani lega l’estensione della materia e


del testo a una prospettiva storica e in parte extra-filologica, proponendo così di
trattare l’opera cinematografica come rudere, quindi impossibile da restaurare
come opera d’arte ma conservabile e trattabile come documento storico, in modo
da aggirare la condizione di “unicità”, non ritenuta dall’autore propria del film. A
sua volta Antonio Costa ha osservato che

nella trascrizione ciò che non passa è il contesto pragmatico, è la concreta


situazione enunciazionale […] In questo caso la corretta ricezione (attuale)
del testo non è un problema di restauro, ma un problema di ricontestualiz-
zazione. In altri termini, c’è un punto in cui finisce il lavoro del laboratorio
di restauro e inizia quello del “laboratorio” dello storico

Ancora si afferma la dimensione storica e pragmatica, si tratterebbe allora di

riattivare sul piano dell’immaginario qualcosa che è andato perduto. Il


lavoro di restauro, di filologia delle copie, ecc., ci garantisce la ripetibilità
di quelle componenti del testo filmico che sono ripetibili, non le altre. Ma
poiché il testo filmico inteso come testo spettacolo non è una somma di ele-
menti, ma un insieme organico, non si dà pratica filologica se non è accom-
pagnata da pratica storica in questa accezione. È quindi necessario avere
una concezione dinamica, processuale del rapporto tra lavoro filologico e
lavoro storico67

Se Costa sembra escludere però la dimensione pragmatica dalle problemati-


che del restauro, Gillian Anderson invece afferma che:

As yet there is not a general acceptance of the notion that a full restoration
is not obtained until the image is restored, the music is restored, and the
final product is screened in front of an audience. It is the screening of a
restored image and musical accompaniment for a public that constitutes the
true restoration of this form [corsivo mio, nda]68

Qui Gillian Anderson tocca una delle difficoltà fondamentali. Il processo di


restituzione e di recupero è mediato - nel percorso di preservazione, restauro,
mostrazione - da tutta la filiera produttiva e ri-produttiva. L’edizione restaurata,
presentata in un teatro, con l’accompagnamento orchestrale, mostra la sua natu-
ra di evento audiovisivo: un’occorrenza spettacolare e performativa, un atto tem-
poraneo, inedito e dislocato rispetto all’intenzione della rappresentazione di
un’autenticità perduta e di un’originalità inesistente.
L’accompagnamento musicale, sottostimato e solo parzialmente indagato, rivela
le difficoltà strutturali del restauro filmico: la routine di laboratorio, la sala e il
dispositivo di proiezione prescelto, il processo metodologico e tecnologico si inscrivo-
no nel testo “restaurato”. Parafrasando Godard: “il cinema restaurato è il cinema
restaurato”. Rimanda a se stesso (come contesto “familiare”, istituzionale e storico).

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S i m o n e V e n t u r i n i

Occorre certamente relativizzare tale affermazione provocatoria: spesso incon-


triamo nel cinema una performatività eccezionale e irrepetibile che connota la
situazione enunciazionale originaria, ciò avviene anche restando all’interno di
una concezione in parte ancora “ristretta” ed “essenzialmente” dipendente dalla
materia (il Kinemacolor, ad esempio, che oscilla tra la particolarità materiale
della pellicola e l’eccezionalità della tecnica di riproduzione)69. Se allarghiamo
all’esecuzione delle partiture la differenziazione e la proliferazione di occorrenze
storiche si amplia enormemente (partitura originale per orchestra, esecuzione al
pianoforte, varianti destitutive e sostitutive apportate alle musiche, etc.). Il sono-
ro nel muto apparterebbe allora alla situazione enunciazionale e quindi divente-
rebbe pressoché irripetibile nella sua totalità.
Tuttavia, Gillian Anderson ha fatto notare che nessuno si sognerebbe di cam-
biare un imbibizione, anche se solo ipotizzata nella sua ricostruzione. Con l’ac-
compagnamento musicale questo accade. Crediamo che questo possa significare
due cose: la prima rimanda all’attenzione secondaria rivolta alla componente
auditiva nel cinema; la seconda è che non essendo materialmente parte dell’og-
getto film l’accompagnamento musicale fuoriesca dalle intenzioni del restauro.
Ciò rivela implicitamente una caratteristica della disciplina: la concentrazione
preponderante sull’oggetto film, la pellicola, e la marginalizzazione del contesto
riproduttivo: sala, dispositivo tecnologico, spettatore.
Da qui l’estrema pertinenza e validità delle annotazioni di Leonardo
Quaresima «sulla nozione di testo nel cinema delle origini», che evidenziano

caratteristiche già saldo patrimonio del cinema degli inizi: la tendenza del
film ad esistere anche “fuori dallo schermo”, la situazione che vedeva le
immagini cinematografiche come parte di uno spettacolo più complesso […]
non si può analizzare il cinema “delle origini” utilizzando le stesse categorie
del cinema contemporaneo […] In ogni caso è necessario partire da una pre-
cisa consapevolezza: il testo “film delle origini” non coincide affatto con l’og -
getto pellicolare. È fatto di questo - più tutto l’insieme di apparati di spettaco -
larizzazione in questo stesso si trovava inserito e raccordato [corsivi suoi].
Ogni storia del cinema che non tenga conto di tale passaggio non solo è desti-
nata a cogliere una porzione del suo oggetto, ma anche a darne una immagi-
ne fortemente deformata. Una filologia del cinema che ignori questo dato è
destinata, a sua volta, a mancare per larga parte il proprio bersaglio70

L’intervento di Cremonini assunto come “prova” di un contrasto latente e che


denunciava un soffocamento/scambio dell’oggetto da parte del metodo rivela la
sua pertinenza indiziaria.
Negli anni Novanta, a fianco del tentativo di passaggio dalla prassi del
restauro al metodo del restauro, ciò che pare emergere implicitamente - attraver-
so la riflessione teorica, la considerazione della componente storica e culturale,
nonché mediante lo studio del cinema delle origini come situazione radicalmente
differente rispetto al presente mediatico - è che il metodo derivato dalla filologia
letteraria e dal restauro d’arte brandiano risulti forte nel restauro filmico e debo-

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

le nel porsi quale sia il fine del restauro cinematografico: se il restauro è da una
parte ricostruzione e recupero delle qualità perdute (l’esigenza di recupero), dal-
l’altra è funzionale a una attualizzazione e una ritestualizzazione inevitabile e a
una messa in valorizzazione per il presente. Come ha notato la Bergeon, la con-
servazione è necessaria, il restauro è contingente71.
Il metodo si scopre così - riflettendo sull’instabilità, sulla permeabilità origi-
naria dei confini del testo filmico e sull’impermanenza dell’immagine72, - variabi-
le dipendente e in funzione del fine e del valore (in senso riegliano) che si può
attribuire all’edizione restaurata e al patrimonio cinematografico.
Possiamo allora immaginare che il restauro coinvolga necessariamente la sti-
pulazione di un accordo73 con il presente nel momento in cui interroghiamo il
passato, ovvero di ridefinire teoricamente l’oggetto del restauro e di ricercare i
modi di relazione e di accordo tra il “palinsesto” del passato che vorremmo “resti-
tuire” e il presente che lo dovrà accogliere.
In un prezioso e in parte sottovalutato scritto di Giorgio Bertellini - che ha,
crediamo, “colpito” Patalas74 - troviamo scritto:

If a history of early cinema does not confine itself to a mere computing of


(new) titles, credits and period reviews, but rather attempts wider and
more ambitious cultural restorations, then fundamental questionings
needs to be formulated. What is the text-object of a restoration? Is it a past
object? Which kind of language shall we use to utter the past? […] What
does it mean to write a text that converses with the past, and what sort of
conversation could that be? […] it seems important to suspect that the
mere technical act of restoring a past work of art may be as precise and
detailed in method as it is obscure in its ultimate aims […] Trough that
multiple assemblage of textualities that is the palimpsest, the concept of
restoration (both in its strict semiotic sense, that is referred a single text,
and in is wider cultural expansions) could maintain its heuristic in cinema
studies only trough a genealogical perspective […] As a result, the historio-
graphic acceptance of the genealogical perspective essentially transform
the restoration endeavour from a semiotic recovery into a more ambitious
cultural rendering […] Since a silent film - like any film - can be conside-
red a palimpsest of plurivocal textualities […] then a mere searching or
invention of ‘perfect’ prototypes may end up assessing a philological essen-
tialism […] such semiotic autocracy is mystifying and antispeculative. It
assumes, in fact, that the present has the capacity to read trough the opa-
city of the past, and that such reading out has to be consensual75

Non dissimilmente, Hediger propone di considerare non un singolo testo origi-


nale da recuperare ma di intendere l’originale, all’interno dei meccanismi di pro-
duzione e diffusione del film, come un «set of practices»76.
Durante gli anni Novanta è stata forse la teorizzazione interna alla riflessione
sulla musealizzazione del cinema, sulla preservazione e la conservazione a com-
prendere meglio, nella prassi, tale difetto di attenzione ed è forse qui uno dei

31
S i m o n e V e n t u r i n i

punti che fanno sì che la teoria del restauro si trovi oggi in difficoltà a interpreta-
re i mutamenti in atto.
Di qui l’utilità e l’esigenza, oltre a una ripresa più ampia dei possibili apporti
del restauro tradizionale (architettonico, archeologico, d’arte), di prendere in con-
siderazione e di fare convergere maggiormente nel restauro i metodi, i modelli e
le teorie avanzate della storiografia cinematografica e gli ambiti teorici riconduci-
bili allo studio della ricezione del testo, dell’intermedialita e dei processi di rime-
diazione, nonché in ultima analisi di verificare le possibilità di aprire il restauro
filmico al restauro “culturale”, dove le “edizioni critiche” potrebbero costituire
l’ambito applicativo in grado di fondere proficuamente l’approccio filologico con il
dialogo storico-culturale tra passato e presente. Avvicinare ovvero la materia,
l’oggetto e l’identità del restauro al valore d’uso attuale delle edizioni restaurate.
Si avverte quindi, durante gli anni Ottanta e Novanta, a fianco delle spinte
fondative, una corrente contigua, frammentaria e mai giunta a una teorizzazione
complessiva. Una serie di approcci che interrogano e propongono la concezione di
un testo spettacolare, che investigano i fenomeni di “ritestualizzazione” e di pro-
duzione di “nuove realtà percettive”, che mostrano più attenzione all’evento e alla
performance, aprendo così e implicitamente alla riflessione sulla dimensione
pragmatica, comunicativa e di ricezione del testo restaurato e sulla sua colloca-
zione, funzione e valorizzazione nel presente77.
Tuttavia, se il restauro è - come abbiamo già anticipato e come vedremo poi
nelle sue definizioni - un processo, una modalità e un metodo di recupero di
caratteristiche perdute, appare ovvio, fisiologico e costrittivo che sia stata ricer-
cata e si ricerchi tuttora soprattutto quella compiutezza e coerenza del senso
all’interno della dimensione testuale e materiale rappresentata dal film.
Osservando ancora le teorizzazioni più recenti si avverte come ambiti apparen-
temente lontani tra loro si apparentino, evidenziando questa tensione verso la
compiutezza e verso un senso univoco (o molteplice: le versioni) da ricostruire e
“restituire” al presente a partire da ciò che per più ragioni l’ha perduto nel tempo.
Dall’altra parte allora ecco che i fautori del testo spettacolare, dell’evento e
della performance solo parzialmente riproducibile incarnano una volontà e un
pensiero in parte contrastante e al contempo complementare.
Una dinamica e un opposizione tra atteggiamento conservazionistico e restau-
rativo forse - come nel restauro architettonico, nella dialettica tra preservazione
dell’esistente e ricostruzione dell’unità potenziale - e, forse, come ha indicato Païni

restaurare un film, in fondo, non significa mettere fine a quella continuità


su cui si fonda, in modo apparentemente contraddittorio, la sua artisticità,
cioè la duplicazione. Piuttosto che ritornare a uno stato originale, a un fan-
tomatico stato pre-usura, piuttosto che intervenire su un materiale su cui
si dovrebbero nascondere i segni lasciati dal tempo, restaurare un film
significa accrescerne l’allontanamento dall’originale, sempre che esista un
materiale che possa avvalersi di questo statuto. […] Conservare significa
quindi demoltiplicare il degrado […] e privilegiare ciò che il tempo traman-
da come versione “dominante” dell’opera»78

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

La versione dominante, l’originale: restaurare. La demoltiplicazione del degra -


d o quindi - che trova echi nella “scomparsa delle singolarità” descritta da
Mazzanti79 - opposta alla rivelazione del palinsesto.
Se osserviamo un oggetto di riflessione come i “frammenti” ci accorgiamo di
queste due direttrici che lavorano in contrapposizione tra loro.
Il rudere, la rovina, è per Dominique Païni ricollegabile - nel suo trattamento,
oltre e a fianco del fascino del «non finito» e del valore dell’antico riegliano - alle
pratiche aperte, contaminanti, citazionistiche e di ri-uso costitutive della moder-
nità cinematografica. Ecco allora i legami tra found-footage e cinema under-
ground o sperimentale - si veda come esempio La verifica incerta (Gianfranco
Baruchello - Alberto Grifi, 1965)80.
Il non compiuto si lega così al desiderio di (ri)trovare una configurazione
materica e testuale che elevi ogni sua parte a metonimia realizzata e lo liberi dal
fascino romantico dell’ideale perduto e non più riconoscibile se non attraverso
l’immaginazione (quel rudere che per Brandi è la soglia al di sotto del quale non
si può ricostruire l’unità potenziale dell’opera d’arte)81. Il frammento si oppone
alla ricerca della compiutezza che è all’origine della visione semiotica e filologica
del restauro.
Da qui la sensazione - scientificamente imperdonabile in quanto tale - che ciò
che non può essere ricostruito - il “sito”, ciò che sta al di fuori del film-
oggetto/opera - sfugga alle premesse del restauro, alla materia come luogo del
restauro, e non possa essere compreso, se non come strumento e materiale “docu-
mentario”, nella fondazione teorica e metodologica.
La collezione di Bits & Pieces del Nederlands Filmmusuem di Amsterdam e le
teorizzazioni connesse di Peter Delpeut e Eric De Kuyper82 attivano sì il senso
della fascinazione e del valore dell’antico ma poi chiudono - paradossalmente -
attraverso le proiezioni e i programmi di sala i frammenti all’interno di un testo
spettacolare compiuto e coerente.
Da qui si può intuire un’apertura e una connessione con la pratica delle
ricreazioni83 che costituiscono la soglia, a questo livello di indagine e riflessione
teorica, tra riuso e interpretazione libera e indagine interpretativa ai fini di una
ricostruzione scientifica del film. Del resto, la stessa pratica filologica - che
sostanzia il concetto di ricostruzione (come vedremo nelle sue definizioni) - tradu-
ce operativamente il metodo scientifico nel montaggio di parte dei testimoni sele-
zionati e individuati come collegabili a una data versione, a un archetipo verso
cui risalire. Ecco, uno spazio comune alla logica “moderna” del riuso, del fram-
mento, della ricreazione al cui interno, per paradosso teorico, viene a situarsi la
ricostruzione filologica del testo filmico.

Dal restauro all’accesso

All’inizio del nuovo millennio, la fase di fondazione e di ricerca di un metodo


nel restauro cinematografico sembra rallentare la propria spinta propulsiva.
Questo avviene nonostante le periodiche sollecitazioni, che esortano ad esempio a

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S i m o n e V e n t u r i n i

«provare allora a definire il restauro come un’attività unica che aspiri a dotarsi di
un metodo» e a «esercitare quella “critica del restauro” senza la quale non avremo
mai un metodo e una teoria degni di questo nome»84.
Gli indizi e le ragioni potrebbero essere molte, proviamo a inquadrarne alcune
a partire da un breve articolo di Paolo Cherchi Usai, intitolato Il restauro inutile,
apparso nel 1998. Cherchi Usai, osservatore attento e studioso di primissimo
piano, non solo nel campo della preservazione, riassumeva fin dal sottotitolo del-
l’articolo il passaggio da un periodo frenetico di «corsa al capolavoro “perduto e
ritrovato”» a un periodo in cui mutavano sensibilmente gli indirizzi di politica
culturale e di significato del concetto di “restauro”. Nell’articolo il «restauro inuti-
le» si concretizza in una pericolosa «sindrome del rifacimento» di cui l’autore
cerca di riassumere alcuni motivi.
Cherchi Usai, partendo da un concetto di preservazione (che ribadirà anche in
seguito) come ambito comprensivo delle pratiche di conservazione, duplicazione,
ricostruzione e fruizione (dal termine inglese preservation con i significati e le
pratiche che gli si attribuiscono in questo contesto culturale e linguistico) osserva
come il termine restauro sia al contrario e in quel momento sempre più attribuito
a operazioni di “ristampa” di un film (la preservazione classica tradita nella sua
accezione più larga, che abbraccia la fortuna critica e il mercato delle edizioni
restaurate e sfrutta le tecniche e le prassi di routine di laboratori più o meno spe-
cializzati nel campo del restauro). Cherchi Usai coglieva, a mio parere, almeno
tre punti fondamentali del mutamento in atto che vorrei evidenziare:

2) Le compagnie di produzione - quelle che fino a vent’anni fa non avrebbe-


ro battuto ciglio all’idea di disfarsi dei negativi perché ritenevano di non
poterne ricavare altri quattrini - hanno cambiato idea, e pensano che i vec-
chi film possono procurare buoni redditi con uno sforzo modesto […] 4) Non
ci sono più capolavori perduti, pronti per essere riscoperti. Per meglio dire,
ce ne sono ancora, ma sono diventati un bene prelibato e conteso [È] passa-
ta l’età d’oro delle rivelazioni a getto continuo […] 6) Restaurare un film in
cattive condizioni costa tempo e denaro […] Il restauro “facile” dà risultati
immediati, e con il minimo sforzo85

Con sempre maggiore attenzione e costanza le case editrici e produttive, le


compagnie e i canali satellitari richiedono film “restaurati” ovvero in grado di
garantire, a livello tecnologico ed estetico, quell’accordo con il presente audiovisi-
vo in grado di aprire la strada dei passaggi televisivi (soprattutto su satellite), e
di costituire la base delle home editions e da collezione in DVD.
Le case di produzione/distribuzione cinematografica e televisiva - e più parti-
colarmente i detentori dei diritti di sfruttamento commerciale che in ultima
istanza possiedono i diritti sui materiali filmici conservati - hanno da molto
tempo scoperto l’opportunità di ottenere ricavi dalla “riedizione” dei film di loro
proprietà e hanno negli ultimi vent’anni intensificato notevolmente gli sforzi per
raggiungere questo scopo.
La concezione del restauro e del restauratore come atto e agente della rico-

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

struzione alternativamente archeologica, filologica o d’autore si diluisce e si com-


promette, senza voler dare alcun giudizio morale, a contatto con le pratiche di
rifacimento e di riedizione.
La questione dei diritti, cui un recente convegno parigino ha dedicato esclusi-
va attenzione86, si ricollega al secondo punto evidenziato nell’articolo di Cherchi
Usai. I capolavori perduti coincidono, almeno fino a quel momento, con i capola-
vori del periodo muto. Periodo storico connotato in parte significativa dall’assen-
za o dalla marginalizzazione della questione dei diritti di proprietà e di sfrutta-
mento dei materiali. L’apparente esaurirsi delle opere filmiche da restaurare e da
rivelare al pubblico specializzato e allo spettatore comune coincide con lo slitta-
mento d’atttenzione verso il recupero del cinema sonoro e della presentazione -
sollecitata da ulteriori ritrovamenti, dalla riconsiderazione critica delle preceden-
ti esperienze e dalle differenti tecnologie a disposizione - di nuove versioni
restaurate di film già e pochi anni prima precedentemente restaurati87.
Uno dei possibili riflessi sulla teoria dello slittamento dell’attenzione del
restauro verso il cinema sonoro - o comunque di un incremento quantitativo dei
casi trattati - potrebbe coincidere con la sensazione, errata, di una maggiore
uniformità e stabilità dei testi e quindi di un cinema meno soggetto all’indagine
filologica e alla considerazione storico-critica.
Cherchi Usai temeva giustamente che la concentrazione delle risorse econo-
miche verso pochi restauri negasse alla moltitudine di opere e materiali rara-
mente reperibili e accessibili, nonché in stato critico a livello di preservazione, la
possibilità di sopravvivere e mostrarsi. Oggi l’assetto culturale imposto dall’a c -
cesso88 sembra dominare il presente offrendo una soluzione allo stallo in atto fino
a qualche anno fa e al contempo operando ambiguamente. «Sul ruolo esercitato in
questo processo dalle nuove tecnologie» Cherchi Usai scrive:

il vero problema […] potremmo articolarlo in due questioni di metodo. La


prima è la degenerazione di un ideale democratico spacciato come diritto
all’accesso. In generale, il consumatore d’immagini è convinto che il cinema
visibile su video non abbia bisogno di restauro […] Poiché il ragionamento
non fa una grinza e le pellicole si rovinano a forza di mostrarle, farle vede-
re in forma elettronica sembra una soluzione economica ed egualitaria […]
L’altra questione dolente è data dalla sindrome di obsolescenza accelerata
d e l l ’hardware che dovrebbe ospitare l’immagine in movimento nella sua
incarnazione elettronica. Non esiste al momento alcuna soluzione, se non
l’assurda prospettiva di un’incessante trasferimento dei dati da un suppor-
to all’altro. Discutere sull’adozione definitiva del sistema digitale in quanto
fine (l’immagine fotografica conservata sotto altre spoglie) o come mezzo
(cioè in quanto matrice di un’immagine da riportare su pellicola quando
necessario) significa eludere l’insanabile conflitto fra l’inevitabilità del pro-
gresso tecnologico e il ritmo al quale uno standard di riproduzione dell’im-
magine incorpora e poi annulla il precedente. La duplicazione ad libitum di
un’intera collezione è un lusso che le cineteche non si potranno mai per-
mettere89

35
S i m o n e V e n t u r i n i

Negli ultimi anni, dai programmi europei ai piani di sviluppo dei conglomera-
ti privati detentori del patrimonio cinematografico, degli archivi del film e dei
laboratori di restauro, la tendenza più avanzata è quella di premiare e perseguire
la creazione di banche dati, l’interconnessione delle risorse, la conversione
hardware e software al digitale e la messa a disposizione di utenti e clienti diffe-
renziati il materiale filmico e non filmico.
L’accesso ai materiali e la commercializzazione del patrimonio filmico è al con-
tempo - nella sua ambiguità - anche una risposta alla concentrazione dei finan-
ziamenti verso singoli e spettacolari progetti di restauro e un modo per indirizza-
re la politica culturale verso una maggiore e rinnovata attenzione alla preserva-
zione dei materiali e verso una fruizione (anche attraverso il restauro) diversifi-
cata qualitativamente (nel senso dei supporti, dei media e dei contesti di ricezio-
ne) e più ampia quantitativamente sia in termini di utenti finali che in termini di
film reperibili presso archivi o sul mercato.
Si parla e si scrive allora di democratizzazione (o di estremizzazione neo-liberi-
sta e secolarizzazione) dell’accesso al patrimonio filmico e di una prospettiva
attuale e futura per gli archivi del film che oscilla tra la marginalizzazione (il pre-
dominio dell’accesso digitale e degli utenti “liberi”) e l’intensificazione dell’impor-
tanza del loro ruolo (selezione, programmazione, orientamento dell’utenza)90.
Più in generale, attraverso i sistemi, le tecnologie e i processi digitali - spesso
e superficialmente liquidati fino a poco tempo fa per il costo elevato e per la scar-
sa garanzia qualitativa e preservativa - uno degli obiettivi sembra essere quello
di realizzare annualmente un piano di preservazione/restauro e accesso ai mate-
riali che parta dalla considerazione pragmatica dell’enorme consistenza dei mate-
riali presenti negli archivi cinematografici91. Un possibile scenario vedrebbe la
triade utenti, accesso e contenuti orientare le politiche di preservazione e restau-
ro a discapito del ruolo degli archivi92.
Dopo l’epoca dei grandi restauri, «delle rivelazioni a getto continuo»93 e delle
riedizioni (tuttora in corso) ecco l’epoca dell’accesso, in grado di garantire teorica-
mente una preservazione e la fruizione dei materiali che sia maggioritaria come
quota percentuale (in virtù dell’enorme quantità di titoli e film conservati) e un
restauro tout court dei materiali, tanto corretto in termini di metodo e prassi
quanto minoritario nella quota percentuale.
Più in generale, da questa prospettiva si comprende come negli ultimi anni,
dopo l’epoca dei grandi restauri e della prassi del restauro, dopo il periodo di fon-
dazione metodologica del restauro cinematografico, l’accesso abbia imposto una
maggiore attenzione alle pratiche e allo studio della preservazione e della digita-
lizzazione (chiave tecnologica primaria dell’accesso), a fronte di una marginaliz-
zazione della riflessione teorica e metodologica sul restauro come lo avevamo
inteso e conosciuto fino alla fine degli anni Novanta.

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

Fabbriche, regimi

Un ulteriore considerazione di ordine teorico, utile credo a successive riflessio-


ni, riguarda cosa possa differenziare i nuovi processi di preservazione e restauro
digitale delle immagini in movimento dai processi analogici tradizionali.
Le tecniche e i processi laboratoriali di restauro analogico (di ri-produzione di
traghettamento e approdo al presente della versione restaurata ipotizzata)
seguono una prassi di “fabbrica” (per adattare un termine in uso nel restauro
architettonico) che risulta, anche nel metodo, complementare ai processi e ai
modi di produzione d’epoca. Ovvero la fabbrica produttiva “originale” trova nel
processo di restauro analogico un corrispettivo preciso che la continua idealmen-
te. I meccanismi e le strategie tecniche di recupero delle immagini in movimento
seguono, adattandole e traducendole al presente, modi e processi tecnologici che
in questo caso appartengono al medesimo ambito concettuale, tecnologico e stori-
co del materiale su cui si opera.
Anche a livello di “scuole” laboratoriali si avverte nel regime analogico la vici-
nanza tra processo di produzione d’epoca e processo tecnico di restauro e di rico-
struzione. Come insegna il restauro architettonico, nel “monumento” siamo in
grado di rilevare i segni della “fabbrica” che lo ha prodotto e delle successive e
“naturali” azioni di manutenzione. Allo stesso modo siamo in grado di “leggere” e
interpretare i segni della fabbricazione e della storia materiale del film.
Non dissimilmente troviamo segni analoghi che “marchiano” e rendono ricono-
scibile (come i segni delle manutenzioni dei monumenti nel tempo) la provenien-
za di una copia di proiezione di una versione restaurata: la scelta “etica” e di
“principio” che ha guidato la ricostruzione; la presenza più o meno consistente e
da interpretare di guasti residui e di difetti persistenti; i valori di contrasto e di
resa del colore; la resa particolare che contraddistingue una o l’altra tecnica di
restituzione delle colorazioni del muto, il trattamento della componente sonora
quando presente; sono tutti indizi che permettono di riconoscere, con un buon
grado di approssimazione, il laboratorio di restauro, l’équipe tecnico-scientifica
che ha progettato e/o eseguito il “lavoro” e il metodo che lo ha orientato. Vi sono
segni che lasciano a intendere il metodo utilizzato e soprattutto la prassi, la “rou-
tine” e le pratiche standardizzate adottate.
A partire da qui, la considerazione che il restauro digitale permette di annul-
lare e sospendere la dimensione storica della temporalità, eliminando gli indizi
materiali del valore dell’antico, del valore storico, delle patine, dei difetti. Ci
accorgiamo che l’approccio digitale - forse per scarsa conoscenza delle nuove “fab-
briche” del restauro - rende più difficile la percezione del “marchio” laboratoriale.
Se osserviamo, per sottrazione estrema, il restauro da questo punto di vista
possiamo assumere preliminarmente come valida la definizione-constatazione
che “il restauro del film sia essenzialmente duplicazione”94. Incrociamo l’assio-
ma-sintesi con la catena tecnologica sottostante agli ambiti produttivi d’epoca e
ai modi di restauro d’approdo e ci accorgeremo che il film nel restauro analogi-
co segue una processualità che a livello grafico, come in molti dei diagrammi
proposti a lato delle descrizioni dei processi produttivi e dei processi di preser-

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S i m o n e V e n t u r i n i

vazione e restauro, corrisponde a un’immagine di consequenzialità e ramifica-


zione. In conclusione, il restauro analogico, nelle sue componenti processuali,
opera all’interno di un assetto generale che potremmo definire come il regime
della duplicazione.
Allo stesso modo se osserviamo una rappresentazione grafica del work-flow di pro-
cessamento digitale finalizzato alla preservazione e al restauro di un film ci accorgia-
mo che questa linearità tende a confondersi e ad appannarsi, e in sua vece emerge un
“luogo” che opera in modo da trattare, pure ammettendo l’assunzione di coordinate
teoriche e metodologiche consolidate, il film in vista della sua accessibilità.
Il regime della preservazione e del restauro digitale implica l’assunzione del
film in un contesto di intermediazione le cui “configurazioni testuali” sono finaliz-
zate a differenti contesti mediali e a differenti veicoli materiali della loro ricezione.
Paul Read e Mark Paul Meyer, curatori di un celebre manuale dedicato al
restauro cinematografico, danno questa definizione del restauro stesso: «the pro-
cess of compensating for degradation by returning an image to close to its origi-
nal content»95. Poco tempo dopo, in un altro scritto, Paul Read aggiunge:

«[…] we could define Digital Restoration by adding “by transfer to a digital


format in order to manipulate and modify that image before recording back
to a display medium»96

Non più o non solo dal film al film, ma il processo di restauro digitale ha come
propria finalità (che ne condiziona il metodo) il trasferimento dell’immagine su
un media di visualizzazione.
Ecco allora l’uso che faccio qui del termine intermediazione con un valore sim-
bolico mutuato dall’elemento materiale, tecnico e concettuale di cui più spesso si
parla: l’intermediato digitale.
L’intermediazione è allora il luogo di una nuova “fabbrica”, derivata dall’indu-
stria cinematografica e audiovisiva contemporanea e che mantiene molto più
labilmente dei rapporti di similarità con la fabbrica originaria e con i cicli di
manutenzione e corruzione che hanno trasmesso la tradizione esistente.
L’intermediazione si costituisce allora come un luogo “concettuale” differente
dalla catena della duplicazione (linearità cinematografica versus reticolato inter-
mediale) e che risponde a un diverso assetto: il regime dell’intermediazione.
Credo ci si dovrà confrontare, attraverso la riflessione teorica, con questi e
altri aspetti della preservazione e del restauro contemporaneo, considerato che la
rimediazione e la migrazione sono prassi e concetti entrati recentemente nel pro-
cesso di restauro filmico. A differenza ad esempio del restauro audio dove ciò
avviene da tempo.
Da qui una serie di domande: Che cosa ne è del restauro oggi? Occorre ripen-
sare la necessità o meno del restauro filmico? Che cosa intendiamo con restauro
del film? Occorre definirlo nuovamente, allargandone o delimitandone l’operati-
vità teorica e pratica? Quali sono gli apporti che i cinema studies possono dare al
restauro cinematografico?

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

Definire il restauro

Dalla letteratura esistente sul restauro cinematografico - di cui abbiamo cer-


cato di problematizzare sommariamente una storia - emergono con evidenza i
tentativi di definizione delle pratiche e dei concetti tecnico-scientifici che sottin-
tendono al processo di restituzione materiale e testuale.
I termini/concetti chiave - conservazione, duplicazione/riproduzione, preserva -
zione, restauro, ricostruzione, ricreazione - diventano ambiti concettuali stretta-
mente interrelati tra loro. Se dovessimo poi indagarli e articolarli ulteriormente
incontreremo altri termini e concetti: conservazione passiva, conservazione attiva,
restauro conservativo, restauro di ripristino, restauro integrativo, r e s t a u r o
tecnico, restauro editoriale.
Più in generale gli sforzi fondativi complessivi e particolari di una teoria del
restauro cinematografico si sono scontrati finora con l’«impossibilità di abbraccia-
re un territorio sfuggente, colmo di singolarità, continuamente straripante in una
moltitudine di implicazioni disciplinari diverse, quando non contraddittorie»97.
Da qui allora l’esigenza di ripercorrere i termini e i luoghi concettuali del
restauro filmico e un occasione per ripercorrerne le sue definizioni, nella convin-
zione che denominare e descrivere serva e sia servito per “possedere” la “strari-
pante moltitudine di singolarità e implicazioni” che investono l’oggetto.
Definire il restauro cinematografico significa allora interrogarsi su quale sia
l’oggetto del restauro, sul perché del restauro. Significa innanzitutto chiedersi
“Che cos’è il restauro”. Un recente testo, ideato da Paolo Torsello, ha portato nove
studiosi di restauro “tradizionale”, architettonico, a confrontarsi proprio sulla
questione.
Torsello, nell’introduzione, chiosa la descrizione dell’ambiente del restauro
architettonico - un «contradditorio scenario» - rilevando due esigenze:

La prima è apparentemente di natura lessicale. Il linguaggio dei restaurato-


ri, infatti ha un doppio volto. Per un verso, deriva da altri contesti linguistici
[...] per un altro produce significati, adattando le parole ai contenuti speciali-
stici della disciplina […] La seconda esigenza […] mette in causa i contenuti
stessi di questa materia. “Restauro”, in altri termini, è parola che delimita i
confini di una disciplina? Oppure è un modo di pensare l’architetttura, di
coinvolgere i saperi e gli interessi che questa riesce a scatenare?98

La derivazione di concetti e termini produce quindi significati metodologici e


teorici. Le teorie e i metodi del restauro filmico, supposto che così possano essere
qualificate e qualificati, si sono consolidati a partire, e finora su, alcuni e partico-
lari ambiti disciplinari. Da una parte l’applicazione di concetti e modelli prove-
nienti dal restauro d’arte e dalla filologia del testo; dall’altra le acquisizioni pro-
prie di alcuni settori degli studi di cinema: l’analisi del film, lo studio delle tecno-
logie e dei processi tecnici e, paradossalmente in misura minore, i modelli avan-
zati di storiografia.
Se queste ultime sono state considerate, in prima istanza, come «competenze»

39
S i m o n e V e n t u r i n i

e «sapere richiesto» al restauratore99, parallelamente queste conoscenze hanno


interagito con la teoria stessa del restauro cinematografico. Una questione da
porsi sarebbe quindi se il carattere di contributo indiretto offerto dai cinema stu -
dies può consapevolmente e puntualmente costituirsi in un ambito di riflessione
sul restauro e quali aree di confluenza, a livello di problematiche teoriche, può
creare lavorando assieme agli stimoli teorici tradizionalmente presi in esame e
fatti derivare nella discipina. Da qui allora la pertinenza della seconda esigenza
rilevata da Torsello per il restauro architettonico: il restauro cinematografico è
una disciplina o un modo di pensare il cinema?
Allo stesso modo facciamo nostre le parole di Torsello sulle motivazioni che
portano a chiedersi “Che cos’è il restauro?”:

L’intento non è fondativo o rifondativo. Né si tratta di pervenire a una


qualche riconciliazione, oppure a una sintesi tra le differenze. Il vero obiet-
tivo […] è quello di poter dire, finalmente, “Il Re è nudo”, di mostrare senza
pudori lo stato dell’arte, con tutte le aporie che esso cova e che, si badi
bene, appartengono a tutta la cultura architettonica100

“Definire il restauro”, significa allora decostruire le acquisizioni teoriche, al


fine di indagarne i limiti, i confini, le reciproche interrelazioni e le potenzialità,
allo scopo di leggere al loro interno il modus operandi che guida la riflessione
sulla materia.
Significa infine circoscrivere, fissare e delimitare - in nome comunque di una
reversibilità e di una mutabilità del pensiero che non è solo del processo di
restauro - e, soprattutto, riconoscere l’ambito operativo in cui si inscrive il restau-
ro cinematografico. Esigenza che è stata ed è avvertita da sempre - generando
scuole di pensiero e azioni materiali spesso in conflitto tra loro - negli ambiti teo-
rici del restauro d’arte, architettonico, archeologico.
A fronte di questo enorme e impegnativo sforzo, ci limitiamo qui, con discre-
zione, a illustrare e interpretare le definizioni del restauro al fine di illuminare
zone nascoste e verificare ulteriori interrelazioni.
Lasceremo da parte la conservazione, assumendola, con tutte le riserve del
caso, come un “grado zero”, come un sistema tecnico e pragmatico, senza discono-
scerne l’influenza - nelle sue premesse e nelle sue conseguenze - sulle pratiche di
manutenzione/restauro del film. Le condizioni di conservazione, passate e presen-
ti, modificano e segnano il materiale d’archivio, incidono sullo stato della mate-
ria, senza contare che molti degli elementi originali “conservati” sono passati per
un processo di preservazione e di restauro tecnico, inevitabilmente invasivo. Allo
stesso modo lasceremo da parte il concetto e la prassi della ricreazione101.
Partiamo allora dalla preservazione, prendendo in considerazione due inter-
venti che fin dal principio denunciano come proprio obiettivo quello di costruire
un «glossario» e un «dizionario» del restauro.
Il primo, di Nicola Mazzanti, che ha dato della preservazione la seguente defi-
nizione:

40
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

[…] intervento di “conservazione attiva” volto a garantire la trasmissione


ai posteri del contenuto del reperto. Nella sua accezione corrente, la pre-
servazione indica il mero intervento di duplicazione, effettuato senza
apportare modifiche (per esempio editoriali) al materiale di partenza102

Anche in virtù delle considerazioni precedentemente esposte sulla non neu-


tralità della conservazione, Mazzanti considera la preservazione come una com-
ponente - «attiva» - della conservazione103.
Ecco allora, nel tentativo di avvicinare autori spesso non totalmente concilia-
bili, la definizione di “preservazione” che Paolo Cherchi Usai dà nel suo «diziona-
rio del culturale del restauro»:

[…] il complesso delle procedure, dei criteri, delle tecniche e delle pratiche
necessarie a mantenere l’integrità, a ripristinare il contenuto e ad organiz-
zare l’esperienza intellettuale di un’immagine in movimento in modo per-
manente […] Duplicazione, restauro, conservazione, ricostruzione (quando
necessaria), accesso, ed esibizione nelle condizioni più appropriate sono
tutti elementi costitutivi dell’attività di preservazione delle immagini in
movimento104

Si tratta di una definizione costitutiva di un ambito generale, dettata dall’im-


possibilità - e forse da un’inutilità che diventa fuorviante - di stabilire confini
netti tra i concetti. Diversamente da prima - e seguendo le implicazioni concet-
tuali e la dimensione del termine inglese preservation - qui è la preservazione a
costituirsi come il tutto di cui altri processi e ambiti fanno parte.
Di particolare interesse è far risaltare alcuni obiettivi dichiarati nella defini-
zione proposta da Cherchi Usai ma finora, almeno per mia opinione, sottovaluta-
ti. L’autore riporta innanzitutto la necessità di «mantenere l’integrità» delle
immagini in movimento. Il termine e il concetto di manutenzione, può essere
messo in correlazione con la pratica e la teoria di certi settori della teoria del
restauro architettonico, in particolare con il metodo e la teoria di Paolo Marconi,
capace di differenziare il «piccolo restauro» dal «grande restauro», riservando al
primo un carattere invero articolato e non affatto ovvio di «manutenzione» dei
monumenti105, operatività metodologica da non confondere con il ripristino fun-
zionale dei manufatti.
Il secondo aspetto riguarda il «ripristino dei contenuti», che si può leggere
tanto in termini di “restauro tecnico” mazzantiano quanto in termini di restauro
tout court (vedremo appena più avanti le definizioni di restauro). In questo
duplice senso il secondo degli obiettivi proposti nella definizione di Cherchi Usai
apre al ripristino e all’integrazione della condizione - supponiamo originaria -
delle immagini in movimento. Il terzo aspetto infine allude all’«organizzazione
dell’esperienza intellettuale» che potremmo tradurre non solo con il cosiddetto
“restauro editoriale”, ma - forzando l’emersione di connotazioni non necessaria-
mente presenti nella riflessione di Cherchi Usai - con l’estensione del restauro
alla dimensione pragmatica dell’evento e della fruizione del testo filmico in sala

41
S i m o n e V e n t u r i n i

cinematografica e in un contesto, per così dire, “museale”.


Riassumendo, la definizione proposta da Cherchi Usai permette di aprire ad
ambiti concettuali e terminologici quali il restauro come manutenzione, il
restauro di ripristino o d’integrazione e infine al restauro come evento e atto
comunicativo. Se osserviamo bene, questa tripartizione non si discosta del tutto
dalla processualità proposta da Mazzanti e da Farinelli, ovvero con il fare meto-
dologico costituito dall’esame critico dei materiali (la conoscenza della materia,
della tecnica e della tradizione come premessa della manutenzione), dal restau-
ro tecnico (la manutenzione), al restauro editoriale che riconosce al proprio
interno (come metodo) la dimensione pragmatica e di ricezione della “versione”
restaurata.
Come emerge implicitamente dalle definizioni e dalla prassi dei laboratori e
degli archivi, la preservazione non prevede necessariamente che i duplicati pro-
dotti siano finalizzati alla produzione di copie di accesso. Tuttavia, sempre tanto
nella prassi quanto nella teoria, tale divisione è in realtà meno netta di quanto si
creda. La Commission Supérieure Technique de l’Image et du Son del Centre
National de la Cinématographie106 ha definito la «sauvegarde» come azione il cui
obiettivo è garantire la sopravvivenza a lungo termine - di qualcosa di non meglio
specificato - su un non meglio specificato “supporto di sicurezza”. Cosa stiamo
trasportando al sicuro?
La preservazione, agendo sulla materia in termini di esame critico del mate-
riale (nel migliore dei casi), restauro tecnico (riparazione o ripristino funzionale
della pellicola) e duplicazione produce un’azione sul materiale: estrapolazione di
fotogrammi rovinati; modifica della disposizione nelle scatole dei rulli; riconsoli-
damento e produzione di nuove giunte; applicazione di nastro; selezione/sacrificio
in duplicazione di caratteristiche originarie in base al procedimento adottato;
migrazione del film su un’altra materialità strutturale e aspettuale. Azioni che
vanno necessariamente a fare i conti con i principi di selezione, reversibilità e
manipolazione del materiale originale (reperto).
L’esclusione dai fini della preservazione (in una logica prettamente ed esclusi-
vamente archivistica) della “mostrazione” della copia in pubblico attraverso i suoi
duplicati di proiezione, porta con sé un equivoco teorico e pratico. Ciò che è tra-
smesso (la duplicazione a fini di preservazione in senso stretto) ma conservato
celato (non tradotto in un prodotto fruibile dallo spettatore) non rientra nel fare e
nel pensiero metodologico del restauro.
Quindi, come già avanzavano Canosa e Mazzanti, la preservazione e gli altri
ambiti “attivi” e “operativi” sul materiale originale (restauro, ricostruzione)
appartengono al medesimo ambito metodologico. Soprattutto occorre sottolineare
come non sia «chiaro come sia possibile differenziare la preservazione dal restau-
ro […] In sostanza, la preservazione non pare avere caratteristiche diverse dal
restauro e sarà quindi sottoposta alle stesse regole, alla stessa prassi, allo stesso
metodo»107.
Si dovrà allora tenere a mente nel corso di un tentativo di navigazione nelle
“definizioni del restauro” che la preservazione presuppone prima di tutto una pro-
cessualità metodologica che agisce sulla materialità originale conservata. Con

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

tutta probabilità ogni attività sull’originale volta al cambiamento dello stato della
materia conservata (riparazione, pulizia, duplicazione, edizione, ricostruzione,
etc.) dovrà essere presa in considerazione come una delle dimensioni del restauro.
Possiamo allora proporre una prima e provvisoria interpretazione: la preservazio-
ne è da intendersi come forma e articolazione primaria del restauro.
Per quanto riguarda invece le nozioni di restauro e ricostruzione, Mazzanti da
una parte e Cherchi Usai dall’altra propongono le seguenti definizioni:

Livello superiore rispetto alla preservazione[…] il termine descrive un


intervento che utilizza tecniche di duplicazione più raffinate e complesse
per recuperare caratteristiche (di colore, ad esempio, o di contrasto, o
necessarie a eliminare danni e difetti molto accentuati) che sono compro-
messe nei materiali a disposizione. In alcuni casi presuppone un lavoro
“editoriale”, di montaggio e ricostruzione108
[Mazzanti: Restauro]

È il sistema di procedure tecniche ed intellettuali rivolte a compensare la


perdita o il degrado delle immagini in movimento, allo scopo di riportarle a
uno stato il più possibile vicino alle loro ipotetiche qualità iniziali109
[Cherchi Usai: Restauro]

[…] operazione di restituzione dell’impianto e del tessuto narrativo, soprat-


tutto a livello di montaggio. Presuppone l’esistenza di materiali diversi da
collazionare, oppure materiali privi di didascalie, o di versioni modificate
nel montaggio110
[Mazzanti: Ricostruzione]

[…] è l’operazione di montaggio mediante la quale si produce una copia il


cui aspetto esteriore è il più possibile aderente a una data versione consi-
derata come punto di riferimento teorico111
[Cherchi Usai: Ricostruzione]

Attraverso il restauro si tratta allora di recuperare caratteristiche, compensa-


re perdite e degrado, tale componente è forse la «caratteristica essenziale della
disciplina», come abbiamo già avuto modo di scrivere112.
La forza di opposizione al degrado e alla perdita delle immagini in movimen-
to, può essere allora messa in confronto, come è stata descritta nel paragrafo pre-
cedente, alla senzazione di perdita da cui nasce l’istituzionalizzazione della con-
servazione prima e della teoria e della prassi del restauro poi. Il recupero della
qualità implica la ricostruzione di un’unità potenziale, di uno stato materico, di
una condizione originaria ipotetica.
Se il restauro è un «livello superiore» e «un sistema», la ricostruzione coincide
con un operatività che agisce attraverso il montaggio.
È curioso rilevare come il pensiero e il metodo filologico, comunque presenti
anche nell’ambito del restauro, nel senso descritto più sopra, appaiono in entram-

43
S i m o n e V e n t u r i n i

be le definizioni limitati a un operare, rispetto alle caratteristiche sistemiche e


complessive attribuite al restauro.
In questo direzione Cherchi Usai appare decisamente critico nei confronti del
metodo filologico, come abbiamo già avuto modo di rilevare, e nella chiosa alla
sua definizione di ricostruzione scrive:

Data la superficiale somiglianza con la redazione dell’apparato critico di un


manoscritto o di un testo stampato, la pratica legata a questo metodo è tal-
volta presentata come “filologia”, secondo un approccio riduzionista di
equiparazione fra immagine in movimento e letteratura113

Di conseguenza appare più cauto esplicitando il «riferimento teorico» costitui-


to da una versione, e «le ipotetiche qualità iniziali» delle immagini in movimento.
Le definizioni di restauro e ricostruzione di Cherchi Usai e Mazzanti, fatte
salve le lievi differenze, appaiono sostanzialmente simili a quelle proposte ad
esempio da Edmondson114.
Individuando la preservazione come “articolazione primaria del restauro”,
potremmo allora proporre una articolazione secondaria del restauro, sulla scia
delle considerazioni di Marco Dezzi Berardeschi:

E allora oggi siamo portati a ritenere il restauro come risultato di due


operazioni di ottimizzazione: quella di realizzare la massima permanenza
di materia al contesto come valore prioritario da garantire (col progetto di
conservazione) e quella d’intercalarvi un calcolato apporto del nuovo di
qualità come auspicabile plusvalore (nel segno della cultura del progetto
contemporaneo). Ridefiniamo quindi il restauro come la sommatoria di
due ordini di operazioni: Restauro = progetto di conservazione dell’esisten -
te (come valore complessivo) + progetto del nuovo (come valore aggiun -
t o ) . 115

Nel cinema, il primo ordine rimane per lo più nascosto, omesso e celato alla
re-visione estetica e culturale: in qualità di processo e non di prodotto, in termini
di occultamento delle copie sopravvissute116, in virtù della traduzione nella dupli-
cazione delle caratteristiche iniziali, siano esse irrimediabilmente da sacrificare
(come le superfici di sacrificio nel restauro architettonico) o siano state riportate
a uno stato precedente alla corruzione identificata.
Il restauro filmico a un secondo ordine operativo diviene quindi non restitu-
zione del passato, ma progettazione del nuovo. Se l’articolazione primaria del
restauro coincide con la preservazione, l’articolazione secondaria deriva, allo
stato attuale della letteratura, dalla convergenza tra restauro tout court e rico-
struzione filologica117.
Il restauro quindi e complessivamente come manutenzione, come recupero di
qualità perdute e come ricostruzione-riduzione della tradizione e della genealogia
alle singolarità ‘testuali’, filologicamente e storicamente accertabili ai fini di una
loro riproposta inedita nella contemporaneità.

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I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

Se il restauro inteso a un primo livello si adopera a preservare, a trasmettere


al futuro a far permanere l’“impermanenza”, a «prolungare l’esistenza di ciò che
sussiste» allora questa processualità è da attuarsi e si esaurisce attraverso la
conservazione ottimale degli originali e attraverso la conservazione attiva, ovvero
la produzione di componenti oggettuali (duplicati, e intermediati digitali) in
grado di assicurarne la trasmissibilità.
Il restauro filmico, inteso come secondo livello, coincide con un aggiunta di
valore tale da configurarsi come creazione del nuovo, che non guarda al futuro
ma al presente. Sarà poi il tempo a stratificare e a “riscoprire”, attraverso la criti-
ca del restauro e la sua storicizzazione, le differenti edizioni restaurate dei “clas-
sici” del cinema e a portare a riflettere sulla loro differente configurazione e corri-
spondenza al milieu culturale che le ha prodotte, nonché sulle loro differenti
interrelazioni e influenze nei confronti della storiografia del cinema.
Nella sua seconda articolazione il restauro filmico riduce quindi la comples-
sità, fissando il codice ipotizzato e al contempo procedendo al rinnovamento del-
l’esistente.
Il restauro del film coincide, una volta decostruita la letteratura, con un’ipote-
si e un processo di lavoro - storico, tecnico, filologico e interpretativo - che si
manifesta attraverso la riduzione del palinsesto e la traduzione dell’ipotesi
immaginaria in una ri-scrittura materiale accordata a un contesto culturale e
tecnologico rinnovato e temporaneo.

Note
1 Cfr. con Paolo Cherchi Usai, L’ultimo spettatore. Sulla distruzione del cinema, Il Castoro, Milano 1999
[tit. or. Decay Cinema (IV): History and Aesthetics of Moving Image] e con Raymond Borde, L e s
Cinémathèques, L’Age d’Homme, Paris 1983, pp. 15-27, vedi anche la parziale traduzione italiana: R.
Borde, Storia delle distruzioni, in Michele Canosa (a cura di), La tradizione del film. Testo, filologia,
restauro, “Cinema & Cinema”, n. 63, pp. 93-103.
2 Per un primo orientamento sul tema della “scoperta” del film come oggetto di conservazione vedi
Penelope Houston, Keepers of the Frame. The Film Archives, BFI, London 1994; Paolo Cherchi Usai, La
cineteca di Babele, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, vol. V, Teorie,
Strumenti, Memorie, Einaudi, Torino 2001, in particolare pp. 995-1003; R. Borde, Les Cinémathèques,
cit..; Anthony Slide, Nitrate Won’t Wait: Film Preservation in the United States, Mc Farland & Co.,
Jefferson, North Carolina and London 2000 (1a ed.: 1992). Cfr. inoltre con Gian Luca Farinelli e Nicola
Mazzanti, Verso una teoria del restauro cinematografico, “Cineteca”, nn. 8-9, novembre-dicembre 1990, e
con Rosa Carluccio, Dai primi cineclub alla biblioteca dell’immagine, in Paolo Cherchi Usai (a cura di)
Dedicato ai film da salvare, sezione monografica di “Segnocinema”, n. 20, novembre 1985, in particolare
pp.19-20.
3 R. Carluccio, Dai primi cineclub alla biblioteca dell’immagine, cit., p. 19.
4 Cfr con Roland Cosandey, Un film è un film, in “Segnocinema”, n. 20, 1985, pp. 30-36.
5 Non a caso Cosandey scrive di questo periodo - volto a salvaguardare le pietre miliari della Settima
Arte, come di un periodo “elettivo” più che “selettivo”, cui parallelamente si afferma la prima storiografia
del cinema, anch’essa generalista, elettiva, mnemonica e al contempo in gran parte separata dalla con-
servazione. La politica della preservazione e di programmazione del film d’archivio prima e di restauro
poi, come vedremo più avanti, non è immune dagli stessi procedimenti di selezione elettiva del materiale
e delle opere da preservare, restaurare e mostrare contribuendo a orientare parte della storiografia cine-
matografica. R. Cosandey, Un film è un film, cit. Va aggiunto che l’attività delle cineteche può essere

45
S i m o n e V e n t u r i n i

inquadrata come “direttiva” nei confronti degli storici del cinema, al contempo e d’altra parte Cherchi
Usai ha ricordato come spesso gli storici del cinema si sono rivolti alle cineteche per consultare una parte
minima ed “eletta” dei film conservati. Cfr. Paolo Cherchi Usai, La cineteca di Babele, op. cit. Nelle sue
conseguenze ultime, le scelte di “politica culturale” del restauro, vedi infine Alessandro Conti, Manuale
di restauro, Einaudi, Torino 2001, p. 8: «Il restauro […] gioca un ruolo determinante anche nell’individua-
zione della serie di modelli […] con i quali si costituisce nella realtà il grande museo ideale».
6 Sulla teoria dei valori vedi Alois Riegl, Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi,
edizione italiana di riferimento in Sandro Scarrocchia (a cura di), Alois Riegl: teoria e prassi della conser -
vazione dei monumenti, Gedit, Bologna 2003 (1° ed, CLUEB, Bologna 1995), pp. 171-236 (della prima edi-
zione) e Max Dvořák, Culto dei moderni e sviluppo artistico, in Sandro Scarrocchia (a cura di), op. cit., pp.
359-373.
7 «Possiamo oggi descrivere le principali tappe del restauro cinematografico: dagli anni trenta agli anni
settanta, la duplicazione delle copie per la loro proiezione prolunga l’esistenza di quanto sussiste […]
negli anni settanta, i primi grandi restauri “scientifici” vengono intrapresi “individualmente”[…] il perio-
do seguente, cioè il nostro, dovrebbe da un lato privilegiare l’approfondimento e la diffusione della cono-
scenza di ogni collezione, dall’altro permettere di scoprire le conseguenze critiche del restauro del film»
Dominique Païni, Restaurare, conservare, mostrare, in “Cinegrafie”, n. 10, 1997, pp. 23-24, qui pp. 108-
109.
8 R. Borde, op. cit.
9 Per una definizione di preservazione vedi il paragrafo del presente saggio Definire il restauro.
10 Enno Patalas, On Wild Film Restoration, or Running a Minor Cinematheque, “Journal of Film
Preservation, n. 56, 1998, pp. 28-39. La traduzione francese, parziale, dell’articolo di Patalas è: La restau -
ration sauvage: la gestion d’une cinémathèque parallèle, “CinémAction”, numero monografico “Les
Archives du cinéma et de la télévision”, n. 97, 2000.
11 R. Cosandey, op. cit, p. 34.
12 Walter Frodl, Concetti, valori di monumento e il loro influsso sul restauro, in Sandro Scarrocchia (a cura
di), Alois Riegl: teoria e prassi della conservazione dei monumenti, cit., p. 412 (della prima edizione): «Il
valore d’uso di un monumento dipende […] in grande misura da come esso corrisponde, tecnicamente e
nella sua potenzialità, alle esigenze moderne, cioè da come “funziona”».
13 B. Paolo Torsello, La materia del restauro. Tecniche e teorie analitiche, Marsilio, Venezia 1988, p. 22.
Torsello e Marco Dezzi Berardeschi rappresentano nel restauro architettonico la scuola “conservazionista”,
“opposta” alla scuola di restauro, ben raffigurata dalle teorizzazioni e dalla prassi di Paolo Marconi. «[Il
restauro] presuppone di ri-mettere in piena efficienza, come se fosse praticamente nuovo, il suo oggetto, e
dunque, sempre e comunque, una decisa trasformazione/mutazione, materiale e morfologica, un ritorno
all’indietro (ri-pristino), della cosa su cui si mettono le mani e che nel suo attuale status riteniamo che non
ci soddisfi», Marco Dezzi Berardeschi, intervento in B. Paolo Torsello (a cura di), Che cos’è il restauro,
Marsilio, Venezia 2005, p. 37.
14 «È infatti attorno agli anni ’60 che, ad una prassi di pura (ma indispensabile e preziosa) duplicazione
del materiale su supporto nitrato (il materiale di base per la pellicola cinematografica, in uso fino al
1950), è andata via via sostituendosi un’attività di effettivo restauro, di intervento cioè volto a ricostruire
copie più possibile “corrette” e “complete” di un testo cinematografico», G.L. Farinelli e N. Mazzanti,
Verso una teoria del restauro cinematografico, cit., p. 4.
15 Eileen Bowser, A Corner in Wheat, “Cahiers de la Cinémathèque”, n. 17, 1975.
16 G. P. Brunetta, intervento al convegno “il film come bene culturale”, in Il film come bene culturale, Atti
del convegno (Venezia 25/29 marzo 1981), La Biennale/ERI, Venezia/Roma 1982, p. 81, ora G. P.
Brunetta, Note per una filologia del cinema (1982), in Id., Avventure nei mari del cinema, Bulzoni, Roma
2001. Dieci anni dopo, Michele Canosa scrive a proposito dell’autenticità e unicità che il film acquista nel
corso del tempo: «Perché accada deve prodursi una distanza, uno scarto e un gesto di riconoscimento - che
sono esattamente le condizioni del restauro», Michele Canosa, Immagini e materia. Questioni di restauro
cinematografico, in Id. (a cura di), La Tradizione del film. Testo, filologia, restauro, cit., p. 30, qui p. 78.
La prima fase, la conservazione, costituiva appunto una premessa parziale ma non le condizioni del
restauro.

46
I l R e s t a u r o C i n e m a t o g r a f i c o

17 «In the second half of the last century, and particularly in the last fifteen years, major media compa-
nies have embarked on a large-scale operation of exploiting their own archival holdings, an activity that
the press, using a metaphor rich in historical references, aptly describes as the “mining of the archives
for coin” […] This process of “mining” the past, of turning the past into a resource, has become one of the
major sources of revenue for the large media conglomerates that dominate the global media economy»:
Vinzenz Hediger, The Original Is always Lost. Film History, Copyright Industries and the Problem of
Reconstruction, in Malte Hagener, Marijke De Valck (a cura di), Cinephilia. Movies, Love, and Memory,
University of Amsterdam Press, Amsterdam 2005, p. 135.
18 La configurazione della relazione tra archivi, tecnologie/media e cinefilia proviene da Vinzenz Hediger,
Politique des archives: European Cinema and the Invention of Tradition in the Digital Age, in Yearbook of
the Amsterdam School for Cultural Analysis for 2005, ASCA, Amsterdam, pp. 93-126. In questa direzione
le fasi di emergenza, riconoscimento e affermazione del restauro cinematografico che ho descritto possono
essere integrate e incrociate in modo proficuo con quelle proposte da Hediger.
19 Antonio Costa, Presentazione in M. Canosa (a cura di), op. cit., p. 19.
20 vedi Paolo Bertetto, Lo eidético, la hermeneutica y la restauración del filme, “Archivos de la Filmoteca”,
n. 10, ottobre-dicembre 1991, qui, in particolare, pp. 106-107.
21 vedi Ségolène Bergeon, La restauration des films, “CinémAction”, vol. 97, 2000, qui, in particolare, p.
116.
22 Dominique Païni, Un Moderne Art des Ruines, “Cinémathèque”, n. 9, 1996 (trad. Ingl. : A Modern Art
of Ruins, “Journal of Film Preservation”, n. 54, 1997). Cfr. anche con Philippe Roger, Le temps des restau -
rations, “CinémAction”, n. 97, 2000.
23 Cfr. con A. Costa, intervento al convegno “il film come bene culturale”, in Il film come bene culturale,
cit., p. 73.
24 I film “orfani” sono i film privi di un detentore dei diritti, di un proprietario, tale definizione può essere
estesa anche ai film conservati ma privi di cure e attenzioni per ragioni economiche, di sottovalutazione
del valore estetico, storico, etc.
25 R. Cosandey, op. cit., p. 35.
26 Se il trasferimento/duplicazione della materia e del contenuto su un altro supporto può essere definita
come “migrazione”, per rimediazione intendiamo quanto segue: «La rappresentazione di un medium
all’interno di un altro viene da noi chiamata rimediazione […] A un estremo […] il medium elettronico
non si contrappone alla pittura, alla fotografia, alla stampa: piuttosto il computer diventa un nuovo modo
di ottenere accesso a questi materiali d’archivio, come se il contenuto dei vecchi media si potesse sempli-
cemente trasferire su di uno nuovo. Dal momento che la versione elettronica giustifica se stessa garan-
tendo l’accesso ai vecchi media, essa vuole essere trasparente. Il medium digitale vuole cancellare se stes-
so, in modo tale che lo spettatore possa stabilire lo stesso legame con il contenuto veicolato come se si
stesse confrontando con il medium originale», Jay David Bolter - Richard Grusin, Remediation, Guerini,
Milano 2002, p. 73.
27 Sul versante dell’indagine scientifica del colore nel cinema muto si veda Monica Dall’Asta - Guglielmo
Pescatore - Leonardo Quaresima (a cura di), Il colore nel cinema muto, Mano, Bologna 1995 e con Daan
Hertogs - Nico De Klerk (a cura di), ‘Disorderly Order’ Colours in Silent Film, The 1995 Amsterdam
Workshop, Stichting Nederlands Filmmuseum, Amsterdam 1996. Anche Païni ha giustamente correlato
tale pratica e riflessione - critica, come quella di attenzione al ‘sito’ del film - alle spinte e alle riflessioni
sul colore nel restauro d’arte e architettonico, vedi D. Païni, Restaurer, conserver, montrer, in La persistan -
ce des images, Cinémathèque française, Musée du cinéma, Paris 1996 (ed. ital.: Dominique Païni,
Restaurare, conservare, mostrare, “Cinegrafie”, n. 10, 1997), qui pp. 108-114.
28 La questione, compresa la ri-denominazione del restauratore-artista in “restauratore-autore” sarà
dibattuta e ricorrerà anche nel decennio successivo, cfr. con M. Canosa, Per una teoria del restauro cine -
matografico, in G. P. Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, cit., p. 1074, e con P. Cherchi
Usai, op. cit., p. 1034. Nella seconda metà degli anni Novanta, il Gamma Group (composto da esponenti
di archivi e laboratori europei) cercò di trovare, attraverso la ricerca scientifica in senso stretto sulla
materia e sui processi tecnologici di superare questa empasse. Cfr. con Bruno Despas - François Helt, La
restauration numérique des films cinématographiques, CST, Paris 1997, p. 44: «Une récente publication

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du groupe GAMMA expose le propositions de Mark-Paul Meyer du Nederland Filmmuseum qui tente de
définir une analyse plus souple et plus lare de la déontologie mieux adaptée aux évolutions technologi-
ques, et de trouver une troisième voie entre le restaurateur ‘archéologue’ et le restaurateur ‘auteur’». Il
proposito di sorpassare e di evolvere rispetto a questa opposizione, fluida in realtà, trova riscontri anche
nelle proposta di un atteggiamento ingegneristico-immaginativo contenuta in Ségolène Bergeon,
Politique de restauration du patrimoine: urgences et contingence, in “Journal of Film Preservation”, nn.
58-59, 1999.
29 Paolo Bertetto, Lo eidético, la hermeneutica y la restauración del filme, cit., qui p. 106.
30 Vedi David Shepard, Silent Film in the Digital Age, in Martin Loiperdinger (a cura di), Celluloid Goes
Digital: Historical-Critical Editions of Films on DVD and the Internet, cit. e Vinzenz Hediger, The
Original Is always Lost. Film History, Copyright Industries and the Problem of Reconstruction, cit., p.
140.
31 G. P. Brunetta, intervento al convegno “il film come bene culturale”, in Il film come bene culturale, cit.,
p. 82, ora G. P. Brunetta, Note per una filologia del cinema (1982), cit.
32 Ségolène Bergeon, Politique de restauration du patrimoine: urgences et contingence, cit., pp. 9-10: «On
ne pourra jamais nier que toute intervention humaine sur un bien préexistant est une interprétation[…]
on peut meme dire que le restaurateur est le responsables des formes de notre musée imaginaire […]
Quel que soit le mode choisi […] toute intervention appartient à une certaine époque et en trahit incon-
sciemment les modes […] sont des interventions qui sont marquées du sceau et des idées qui leur sont
contemporaines». Cfr. Anche con Alessandro Conti, Manuale di restauro, Einaudi, Torino 1996 e 2001, p.
8: «Il restauro […] gioca un ruolo determinante anche nell’individuazione della serie di modelli […] con i
quali si costiuisce nella realtà il grande museo ideale»; e con Ray Edmondson, Etica e principi del restau -
ro, “Cinegrafie”, n. 4, 1991, qui p. 61: « […] ogni ricostruzione riflette le convenzioni culturali e il parame-
tro di giudizio artistico del suo tempo, e del suo tempo utilizza materiali e strumenti di ricerca […]
Probabilmente non esisterà mai una “ricostruzione definitiva”»
33 Ray Edmondson, Etica e Principi del restauro, cit., qui, p. 59.
34 Ibidem, qui p. 60.
35 Ibidem.
36 Ibidem.
37 Vedi a questo proposito Roland Cosandey, L’édition des films restaurés, “CinémAction”, n. 97, 2000 e il
saggio di Michele Canosa, Gianluca Farinelli, Nicola Mazzanti, Nero su bianco. Note sul restauro cinema -
tografico: la documentazione, “Cinegrafie”, n. 10, 1997. Quest’ultimo non a caso citato da Cosandey nel
suo studio.
38 Eileen Bowser, Alcuni principi di restauro del film, “Griffithiana”, nn. 38-39, 1990, qui p. 55.
39 S. Bergeon, La restauration des films, cit., qui p. 117. C’è da sottolineare che la Bergeon non tiene
conto del fatto che la duplicazione prevede necessariamente una “manipolazione” delle copie “originali”,
dei reperti. Pratica invasiva (riparazioni, pulizia, etc.) che deve necessariamente tenere conto dei principi
di reversibilità. Cfr. con il paragrafo Definire il restauro del presente saggio.
40 Vedi Alberto Farassino, ‘Der letzte Mann’ e il restauro dei film muti, “Immagine”, n. 3, 1985.
41 Cfr. con l’intervista di Roland Cosandey a Enno Patalas: «ci si deve rendere conto del fatto che parlare
di originale o di prima versione (urfassung) è, nella maggior parte dei casi, un’approssimazione», R.
Cosandey, Conservare, restaurare, mostrare. Intervista a Enno Patalas, in P. Cherchi Usai (a cura di)
Film da salvare: guida al restauro e alla conservazione, numero monografico di “Comunicazioni di
Massa”, n. 3, 1985.
42 Cfr. con R. Cosandey, Un film è un film, cit. e Vincent Pinel, Il restauro del film. Prospettive e problemi
in P. Cherchi Usai (a cura di) Film da salvare: guida al restauro e alla conservazione, cit. Eileen Bowser
dichiara di privilegiare la “opening night”, la prima proiezione pubblica, intervista citata in A. Slide,
Nitrate Won’t Wait: Film Preservation in the United States, cit., p. 112. Sarà proprio la Bowser nel 1990 a
sintetizzare e descrivere le scelte del restauro: E. Bowser., Alcuni principi del restauro del film, cit.
Sintetizzando e astraendo, tre appaiono le questioni fondamentali che soggiacciono a tali classificazioni
procedurali: Il restauro come reintegrazione e come proposta “attrattiva” e “accordata” con il presente; il

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recupero di uno degli stati “originali”; il rispetto dei segni del tempo e delle alterazioni. Cfr. con Henry
Zerner, La teoria critica dei valori di Riegl, in Sandro Scarrocchia (a cura di), Alois Riegl, teoria e prassi
della conservazione dei monumenti, cit., pp. 433-435 (della prima edizione), e con P. Cherchi Usai, El film
que hubiera podido ser; o el análisis de las lagunas considerado como una ciencia exacta, “Archivos de la
Filmoteca”, n. 10, 1991, qui pp. 125-132.
43 Nicola Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, in Luisa Comencini
- Matteo Pavesi (a cura di), Restauro, conservazione e distruzione dei film, Il Castoro, Milano 2001, p. 20,
qui pp. 94-95.
44Vinzenz Hediger, The Original Is always Lost. Film History, Copyright Industries and the Problem of
Reconstruction, cit., p. 136 e p. 143. In questa direzione vanno segnalate per inciso le diffide legali perve-
nute ad archivi, anche in Italia, alla diffusione di copie diverse da quella “restaurata” e non riconosciute
dagli aventi diritti.
45 Le relazioni del convegno troveranno uno sbocco editoriale nel volume del 1994 curato da Gian Luca
Farinelli e Nicola Mazzanti: G.L. Farinelli - N. Mazzanti (a cura di), Il cinema ritrovato. Teoria e metodo -
logia del restauro cinematografico, Grafis, Bologna 1994.
46 M. Canosa (a cura di), La tradizione del film. Testo, Filologia, Restauro, cit.
47 G.L. Farinelli - N. Mazzanti, Il restauro: metodo e tecnica e M. Canosa, Per una teoria del restauro
cinematografico in G. P. Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, cit.
48 Cfr. per le analoghe tensioni nel restauro architettonico con Roberto Masiero, Nel definire il restauro,
in B. Paolo Torsello (a cura di), Che cos’è il restauro?, Marsilio, Venezia 2005, in particolare pp. 158-159:
«Penso anche che coloro che operano e pensano al restauro dovrebbero riflettere il più possibile usando
tutti gli strumenti a disposizione sui paradossi, sulle contraddizioni, sulle aporie che fanno del restauro
un’impossibile disciplina […] in esso sono continuamente in gioco (nei modi della teoria come in quelli
della prassi) storia e arte, storia e valori, storia e progetto. Forse potremmo fare un ultimo esperimento:
chiederci come il restauro, che in fondo non sappiamo bene cosa sia, è determinato o determina le seguen-
ti antinomie: materia/forma,forma/contenuto, natura/artificio, natura/cultura, natura/storia, nuovo/anti-
co, tradizione/progresso, creazione/ripetizione, autenticità/inautenticità, vero/falso, comprensione/pre-
comprensione, produzione/ riproduzione, libertà/necessità».
49 Giorgio Cremonini, Verso una ideologia del restauro, “Cineforum”, n. 3, marzo 1991.
50 Alberto Farassino, intervento al convegno “il film come bene culturale”, in Il film come bene culturale,
cit., s. p. (la trascrizione dell’intervento di Farassino venne aggiunta agli atti solo dopo l’edizione del
testo. Lo stesso Brunetta nel suo intervento al convegno veneziano sollecitava l’allargamento della conce-
zione del testo), qui p. 67.
51 Ibidem, p. 68.
52 Ibidem: «Ogni proiezione di un film è così un diverso attestarsi di questo film, così come ogni replica di
uno spettacolo teatrale e a differenza di quanto accade in letteratura». Tale approccio è da mettere in
relazione con le “performance” coincidenti con le presentazioni e le anteprime dei restauri del muto:
potremmo allora parlare di occorrenza testuale delle “Giornate del Cinema Muto”, occorrenza del
“Cinema Ritrovato”, etc.
53 A proposito delle posizioni di Cherchi Usai vedi P. Cherchi Usai, L’ultimo spettatore. Sulla distruzione
del cinema, cit., p. 60: «il proposito di riportare l’immagine in movimento a un ipotetico stato primordiale
ha come conseguenza la creazione di nuove realtà percettive. Ogni intervento in questa direzione aumen-
ta il divario fra lo stato attuale dell’immagine e la sua presunta condizione in quanto Immagine Modello.
A rigore di termini, il risultato di tale azione riparatrice è identico al danno cui essa intende porre rime-
dio; d’altra parte contrastarla o rinunciarvi del tutto significa illudersi di congelare l’immagine in un dato
istante della sua esistenza, e fingere che essa non abbia (più) una storia, esattamente come accade nel
tentativo di invertirne il corso». Il libro costituisce, come scrive lo stesso Cherchi Usai con molta coerenza
con le sue tesi, «il quinto progetto di una struttura in divenire». Al suo interno la riflessione appena cita-
ta sul restauro, in qualche modo apparentabile con le posizioni di Farassino. Per l’accusa di ristrettezza
dell’approccio filologico vedi P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, in Gian Piero Brunetta (a cura di),
op. cit., p. 1039 e P. Cherchi Usai, El film que hubiera podido ser; o el análisis de las lagunas considerado
como una ciencia exacta, cit., qui pp. 125-132.

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54 A. Farassino, ‘Der letzte Mann’ e il restauro dei film muti, cit.


55 V. Pinel, Il restauro del film. Prospettive e problemi, cit.
56 Si veda ad esempio Michele Cordaro, Il concetto di originale nella cultura del restauro storico e artisti -
co, in G.L. Farinelli - N. Mazzanti (a cura di), Il cinema ritrovato. Teoria e metodologia del restauro cine -
matografico, cit., p. 14: «il problema dell’originalità deve a mio giudizio essere rivisto sulla base della
ricerca e del riconoscimento dell’autenticità […] la filologia deve estendersi dalla filologia dell’originale
alla filologia dell’autentico»,
57 M. Canosa, Immagini e materia. Questioni di restauro cinematografico, cit., pp. 45-46, qui p. 86.
58«si restaura solo la materia dell’opera d’arte»: Cesare Brandi, Teoria del restauro, Einaudi, Torino
2000 (1° ed. Einaudi, 1977), p. 7.
59 M. Canosa, Immagini e materia, cit., p. 31, qui p. 79.
60 Cfr. con le “superfici di sacrificio” nel restauro architettonico: Paolo Marconi, Dal piccolo al grande
restauro. Colore, struttura, architettra, Marsilio, Venezia 1988.
61 «[…] nella pratica cinetecaria il “materiale” (la copia) è solo il punto di avvio di un percorso che ha
come traguardo l’utopia di una versione “originale”, sottratta alla dittatura del tempo»: P. Cherchi Usai,
La cineteca di Babele, cit., p. 1034.
62 G. L. Farinelli - N. Mazzanti, Il restauro: metodo e tecnica, cit.
63 N. Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, cit., p.15, qui p. 90.
64 D. Païni, Restaurare, conservare, mostrare, cit., qui p. 110.
65 N. Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, cit., p. 22, qui p. 97.
66 FilippoTrevisani, Immagini animate come pittura cinetica nel film, in Mario Bernardo (a cura di), Atti
del convegno per la Cultura della conservazione e del restauro dell’immagine animata, Anica, Roma 1992,
p. 44.
67 AntonioCosta, O for Original, in G. L. Farinelli - N. Mazzanti (a cura di), Il cinema ritrovato. Teoria e
metodologia del restauro cinematografico, cit., p. 35, qui p. XX.
68 Gillian Anderson, Preserving our Film Heritage or Making Mongrels? The Presentation of Early (Not
Silent) Films, in “Journal of Film Preservation”, n. 57, p. 23.
69 Cfr. con Livio Gervasio, Il Kinemacolor, tra ricerca, archiviazione e restauro, Tesi di laurea, a.a. 2002-
2003, Università degli Studi di Udine.
70 Leonardo Quaresima, Effetto diorama. Sulla nozione di testo nel cinema delle origini. Una nota, in M.
Canosa (a cura di), op. cit., pp. 40-41, qui pp. 133-137. Le considerazioni di Quaresima si accompagnano a
quelle analoghe rinvenibili in Jesús González Requena, Nell’asse del reale: carnevale, fotografia, cinema -
tografo, sempre in M.Canosa (a cura di), op. cit. Considerazioni citate e assunte da Canosa nella sua
apertura al testo-spettacolo.
71 «La doctrine d’Aloïs Riegl est plus souple et permet, par exemple, des solutions diversifiées de restau-
ration de la photographie selon que celle-ci est considérée comme un art ou comme un document, et per-
met aussi d’envisager les divers aspects de la «restauration» de spectacles plastiques tels que le cinéma
[…] La véritable “reconnaissance de l’œuvre d’art”, au sens de Cesare Brandi, dans la variété de ses
acceptions, est possible et permet d’échafauder un projet cohérent de nettoyage et de réintégration, en
fonction des choix de la proportion des diverses valeurs, au sens d’Alois Riegl, du patrimoine en jeu,
valeurs esthétique, historique, d’ancienneté et d’usage»: Ségolène Bergeon, Politique de restauration du
patrimoine: urgences et contingence, cit., pp. 3 e 8.
72 Cfr. con P. Cherchi Usai, L’ultimo spettatore. Sulla distruzione del cinema, cit.
73 Cfr. con nota 12.
74 Vedi Enno Patalas, On Wild Film Restoration, or Running a Minor Cinematheque, cit.
75 Giorgio Bertellini, Restoration, Genealogy and Palimpsests. On some historiographical questions, in
“Film History”, n. 3, 1995, pp. 277-290, in particolare pp. 277-281.

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76Vinzenz Hediger, The Original Is always Lost. Film History, Copyright Industries and the Problem of
Reconstruction, cit., p. 147.
77 Peraltro bisogna ricordare che molto di quello che abbiamo cercato, in maniera sintetica, di problema-
tizzare ulteriormente attraverso la ricognizione storica, era già presente agli organizzatori e curatori del-
l’incontro bolognese del 1990.
78 D. Païni, Restaurare, conservare, mostrare, cit., p. 27, qui p. 113.
79 N. Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, cit.
80 D. Païni, La Résurgenge du fragment, in Cinémathèque, n. 10, 1996 (trad. Ingl.: A Modern Art of
Ruins, in ”Journal of Film Preservation”, n. 54, 1997), ora in Id., Le Cinéma, un art moderne, Cahiers du
Cinéma, Paris, 1997, pp. 141-147.
81Ibidem, p. 143: «L’art du film est à la fois un art et un loisir commercialisé, ayant intégré, plus diffici-
lement que les autres arts, l’incomplet et les effets d’inachèvement».
82 Peter Delpeut, Bits and Pieces. Che fare di un film quando non abbiamo che frammenti, ”Cinegrafie”,
n. 3, 1991. Eric de Kuyper, Il lavoro sul frammento, in G.L. Farinelli - N. Mazzanti (a cura di), op. cit.
83 Vedi il paragrafo Definire il restauro del presente saggio.
84 N. Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, cit., p. 22, qui p. 97.
85 P. Cherchi Usai, Il restauro inutile, “Segnocinema”, n. 91, 1998, articolo successivamente integrato e
rivisto in P. Cherchi Usai, L’ultimo spettatore. Sulla distruzione del cinema, cit.
86 Droit des œuvres et métiers du patrimoine cinématographique et audiovisuel en Europe, (29 novembre -
1 dicembre 2005, Bibliothèque nationale de France/Bibliothèque du film).
87 Cfr. con P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, in G.P. Brunetta (a cura di), op. cit.
88 «In our context, ‘access’, represents the link between collection and user»: Nancy Goldman, Access to
Documentation Collcections, in “Papers from Technical Symposium on Documentation”, FIAF-
Documentation Commission, Bruxelles, 1992, p. 58. L’accesso è da lungo tempo uno dei principi-guida
degli archivi del film, qui interessa articolarlo in funzione di una serie di considerazioni teoriche partico-
lari e limitate che inevitabilmente allontanano parzialmente il termine dal suo significato storico e istitu-
zionale.
89 P. Cherchi Usai, L’ultimo spettatore. Sulla distruzione del cinema, cit., pp. 79-81.
90 Vedi V. Hediger, Politique des archives: European Cinema and the Invention of Tradition in the Digital
Age, cit.
91 In questa direzione va segnalata l’incidenza e l’importanza del progetto “FIRST” (Film Conservation
and Restoration Strategies). Coordinato dall’ACE e dalla Cinémathèque Royale di Bruxelles e conclusosi
nel 2004, si poneva il seguente obiettivo iniziale: «the objective of the FIRST project is to bring together
different stakeholders in order to improbe knowledge of archive film, its transfer, restoration, preserva-
tion, cataloguing and distribution in the digital domain. And, vice-versa, to improve knowledge on the
possibilities already offered in the Digital domain, along with its limitations, and its possible, future
developments», First, State of the Art Reports.
92 N. Mazzanti, Access going Digital. Some technical Issues, paper presentato al 61° Congresso FIAF
(Ljubljana, 5-10 giugno 2005), all’interno dei workshop della Commissione tecnica della FIAF.
93 P. Cherchi Usai, Il restauro inutile, cit.
94 Vedi Paul Read - Mark-Paul Meyer (a cura di), Restoration of Motion Picture Film,
Butterworth/Heinemann, Oxford 2000.
95 Ibidem.
96 Paul Read, Digital Image Restoration - Black Art or White Magic? in Dan Nissen, Lisbeth Richter
Larsen, Jesper Stub Johnsen (a cura di), Preserve then Show, DFI, Copenhagen 2002, p. 159. Di P. Read
vedi anche il paper presentato paper presentato al 61° Congresso FIAF (Ljubljana, 5-10 giugno 2005),
all’interno dei workshop della Commissione tecnica della FIAF: Scanning the film and making the access
version. From restorations for the cinema to affordable access to the content.

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97 B. Paolo Torsello, La materia del restauro. Tecniche e teorie analitiche, Marsilio, Venezia 1988, p. 15.
98 B. Paolo Torsello (a cura di), Che cos’è il restauro?, Marsilio, Venezia 2005, p. 14.
99 Michele Canosa, Per una teoria del restauro cinematografico, in Gian Piero Brunetta (a cura di), cit., p. 1075.
100 B. Paolo Torsello (a cura di), Che cos’è il restauro?, cit., pp. 14-15.
101 Ci limitiamo a riportare la definizione che ne dà Cherchi Usai: «è l’attività che ha come traguardo la
presentazione di un resoconto visivo immaginario […] di come un’immagine in movimento potrebbe appa-
rire se alcune o tutte le sue parti fossero sopravvissute»: P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, in Gian
Piero Brunetta (a cura di), op. cit., p. 1039 e a portare come esempio la ricreazione del film perduto
London After Midnight (Tod Browning, 1927) realizzata, con materiale non filmico, da Rick Schmidlin.
102 N. Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, cit. Cfr. con G. L.
Farinelli - N. Mazzanti, Il restauro: metodo e tecnica in G. P. Brunetta (a cura di), op. cit., p. 1121: «[…]
intervento di “conservazione attiva” volto a garantire la trasmissione al futuro del contenuto dell’oggetto
conservato. In pratica il film viene duplicato su un nuovo supporto. Nella sua accezione corrente, la pre-
servazione indica il mero intervento di duplicazione, senza apportare modifiche (per esempio editoriali) al
materiale originale». Indicativi sono la sostituzione di “reperto” con “oggetto” - legato a uno svincolamen-
to dal restauro tradizionale (quello archeologico) e all’esplicitazione della dialettica film-oggetto/film-
opera - e la sostituzione di “materiale di partenza” con “materiale originale”, segno implicito di una ricer-
ca di un equilibrio maggiore tra il processo di restauro (di cui l’originale diventa il punto di avvio del
metodo e di cui il film “restaurato” coincide con l’approdo finale della migrazione e della traduzione meto-
dologica) e l’oggetto del restauro (la materia dell’oggetto originale). R. Edmondson, in Etica e principi del
r e s t a u r o, cit., dà la seguente definizione di conservazione che comprende anche la preservazione così
come la intende Mazzanti: «designa i procedimenti necessari ad assicurare la sopravvivenza nel miglior
stato possibile, delle immagini e dei suoni che costituiscono un film (questo implica i modi corretti di
deposito e di gestione delle pellicole, e possibilmente la stampa e la riparazione delle copie)».
103Farinelli e Mazzanti definiscono la conservazione come “conservazione passiva”, vedi G. L. Farinelli -
N. Mazzanti, Il restauro: metodo e tecnica, op. cit.
104 P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, cit., p. 1037.
105 Paolo Marconi, Dal piccolo al grande restauro. Colore, struttura, architettra, cit. Cfr. anche con M.
Canosa, Per una teoria del restauro cinematografico, cit., p. 1074: «un intervento tecnico non è solo condi-
zione del restauro, ne è già una fase».
106 Bruno Despas - François Helt, La restauration numérique des films cinématographiques, cit.
107 N. Mazzanti, Note a piè pagina. Per un glossario del restauro cinematografico, cit., p. 21, qui p. 96.
108 Ibidem.
109 P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, op. cit., p. 1038.
110 N. Mazzanti, op. cit., p. 21, qui p. 96.
111 P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, cit., p. 1039.
112 B. Paolo Torsello, La materia del restauro. Tecniche e teorie analitiche, cit., p. 22.
113 P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, cit., p. 1039.
114 Cfr. con R. Edmondson, Etica e principi del restauro, cit. Più confuse, ma non dissimili e sintomo
comunque di una certa reciproca permeabilità, le definizioni proposte da Pinel: V. Pinel, Il restauro del
film. Prospettive e problemi, in P. Cherchi Usai (a cura di), op. cit. Vedi anche le definizioni “FIAF” conte-
nute in Henning Schou (a cura di), Préservation des films et du son, FIAF, Bruxelles 1990.
115 Intervento di Marco Dezzi Berardeschi, in B. Paolo Torsello (a cura di), op. cit., p. 39
116 Cfr. S. Bergeon, La restauration des films, cit., qui pp. 115-121.
117 All’interno e attraverso queste due articolazioni si situano le modalità singolari, costituite, nel proces-
so e nelle occorrenze restaurate, dalle scelte preliminari identificabili nell’esame critico dei materiali
della materia e nella finalità fruitiva. Cfr. con P. Cherchi Usai, El film que hubiera podido ser; o el análi -
sis de las lagunas considerado como una ciencia exacta, qui pp. 125-132.

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