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Aspetti della cultura del restauro nel secondo Settecento nell’opera di Luigi
Vanvitelli
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Gianluigi de Martino
University of Naples Federico II
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€ 38,00
ISBN 978-88-6055-276-1
e-mail: ordini@alinea.it
http:/www.alinea.it
IMMAGINE DI COPERTINA:
Canaletto, L’Arco di Costantino e il Colosseo
(particolare), Malibu, The J. Paul Getty Museum.
7 Introduzione
Stella Casiello
13 Interventi sulle fabbriche antiche dall’età classica alla tarda età imperiale
Emanuele Romeo
207 Dal riuso alla conoscenza dell’antico: archeologia e restauro nel XVIII secolo
Francesco Delizia
237 Aspetti della cultura del restauro nel secondo Settecento nell’opera di Luigi
Vanvitelli
Gianluigi de Martino
Gianluigi de Martino
È quanto sostiene Corrado Bozzoni nella relazione da lui tenuta al congresso del
1973 su Vanvitelli, uno dei più importanti momenti di riflessione sulla complessa
figura di architetto “europeo”, un’occasione per sondare le sue capacità progettuali
ex novo non disgiunte da quelle di “restauratore” di architetture esistenti per le quali
sempre seppe coniugare soluzioni tecniche efficaci a scelte linguistiche originali.
In questo contributo, pertanto, tratteremo alcuni casi che possano mettere in luce
tali caratteristiche. Ci si occuperà dell’attività di Vanvitelli “consolidatore”, riassu-
mendo l’intervento da lui eseguito per la cupola di S. Pietro a Roma, in attuazione
della soluzione proposta da Giovanni Poleni. Si cercherà, inoltre, di valutarne l’at-
teggiamento verso una fabbrica pluristratificata quale gli si presentò la basilica di S.
Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, dove già era intervenuto Michelangelo per
trasformare gli spazi termali romani in basilica cristiana, come trattato in altra parte
del volume 2.
I lavori della chiesa erano ancora in corso quando, nel 1751, Luigi Vanvitelli si
trasferisce da Roma a Napoli, dove, come è noto, determinerà, contemporaneamente
a Ferdinando Fuga, un nuovo indirizzo per l’architettura.
Di formazione romana, Vanvitelli diventa l’architetto di re Carlo di Borbone per
il quale costruirà la Reggia di Caserta, e al tempo stesso realizzerà opere per la no-
biltà della corte napoletana e per il clero.
Le sue capacità tecniche, insieme alle esperienze di cantiere, lo vedranno impe-
gnato in importanti interventi di restauro in cui le soluzioni per il consolidamento
diventeranno pretesto per interessanti elaborazioni architettoniche. Viene attratto,
inoltre, dai resti antichi, non in quanto testimonianze da conservare, quanto piuttosto
perché può utilizzare i materiali di spoglio pregiati che può ricavare da essi. Più volte
si reca a Pozzuoli per esaminare e prelevare colonne o marmi dai ruderi da reimpie-
gare in S. Marcellino a Napoli o nella cappella palatina della reggia di Caserta. Come
è stato giustamente osservato, a volte, però, da uomo sensibile e di buon gusto, rima-
ne colpito dal fascino dell’antico. Recatosi infatti con il re a Benevento così scrive al
1
Cfr. Corrado BOZZONI, La posizione culturale di Vanvitelli «restauratore» di S. Maria degli An-
geli e di S. Agostino in Roma: procedimenti apporti figurativi e risultati, in Luigi Vanvitelli e il ’700
europeo. Congresso internazionale di studi. Atti. Napoli-Caserta, 5-10 novembre 1973, Istituto di storia
dell’architettura, Universita di Napoli, stampa 1979 (Arte Tipografica), p. 285.
2
Cfr. il saggio di Andrea Pane su questo stesso volume.
fratello Urbano col quale intrattiene un rapporto epistolare di grande valore non solo
documentario ma anche emotivo
Si vedono tre o quattro ponti antichi dei Romani sopra i quali si passa,
e dentro Benevento si vede un arco fatto a Trajano, il quale è oltremodo
bellissimo, pieno di bassorilievi di ottima anzi eccellente scoltura. La bar-
barie dei tempi vi ha fatto fabbricare la porta della citta moderna, onde con
i muri sono dimidiati gli bassorilievi interi dell’arco, che fa pietà vederli
così maltrattati 3
È stato più volte ribadito quanto un accenno alla biografia di Vanvitelli sia impor-
tante per comprendere alcuni aspetti salienti anche del carattere artistico di questo
complesso personaggio. La critica negli anni ha spesso contrapposto il punto di vi-
sta di sostenitori e detrattori – come del resto spesso accade per grandi personalità
– con uno schierarsi talvolta eccessivo dell’una e dell’altra parte. Ovviamente più
ci si è allontanati cronologicamente dal periodo in cui egli operò, maggiore è stata
l’obiettività e la serenità di giudizio, ma soprattutto si è cominciato a fare luce filo-
logicamente su quegli aspetti che della biografia influenzarono il suo atteggiamento
nei confronti dell’architettura.
Luigi Vanvitelli nacque il 12 maggio del 1700 a Napoli da Anna Laurentini e
dal pittore olandese Gaspar van Wittel. Oltre al cognome italianizzato, l’ascendenza
paterna ha un profondo riflesso in tutta l’opera di Luigi fin dalle prime esperienze ar-
tistiche, tendenti a ricalcare le orme del padre. La prima scelta del giovane Vanvitelli
è quindi per la pittura e il disegno, arti nelle quali dimostra un innato talento seppure
inizialmente viziato da “accademismi” più che da ingenuità, che tendono a limitarne
l’estro. Costanza Lorenzetti lo descrive come anticipatore di una figura di “pittore ot-
tocentista” che «da quando […] era forse compagno di vagabondaggio del padre […]
nei suoi frequenti viaggi nello Stato Papale e nel Regno Napoletano ritornava con le
cartelle piene di rapidi schizzi, disegni presi dal vero sotto la viva impressione delle
bellezze naturali e delle vedute di città, paesi, ville» 4. Da queste prime brevi note
sulle attitudini del giovane Vanvitelli possiamo già cogliere una matrice di quella
padronanza del disegno che conserverà anche da architetto, non solo come normale
attività progettuale, ma anche come particolare compiacimento nella fase preparato-
ria e di controllo degli effetti prospettici che molte delle sue architetture offrono.
Le inclinazioni pittoriche e di vedutista sono quasi subito affiancate anche dalla
passione per la scenografia, per la decorazione e quindi anche per l’architettura. Nella
Roma dei primi decenni del ’700 la situazione politica dell’Europa 5 aveva generato
una stasi per quanto riguarda le grandi opere di architettura; gli architetti rivolsero
allora maggiore attenzione alle incisioni e alle illustrazioni di opere a stampa, alla
progettazione per scenografie e architetture effimere, a soluzioni architettoniche “mi-
3
Lettera datata 28 agosto 1753, riportata nella raccolta a cura di Franco STRAZZULLO, Le lettere di
Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, Congedo, Galatina 1976, alla p.
4
Cfr. Costanza LORENZETTI, Gaspare Vanvitelli, Fratelli Treves, Milano 1934, cit. in Francesco
FICHERA, Luigi Vanvitelli, Reale Accademia d’Italia, Roma 1937, pp. 152-153.
5
In particolare la guerra di successione in Spagna (1705-1714).
6
I nomi dei partecipanti, ci vengono riportati da Francesco MILIZIA, cfr. Memorie degli architetti
antichi e moderni quarta edizione accresciuta e corretta dallo stesso autore Francesco Milizia, a spese
Remondini di Venezia, Bassano 1785, cit. in F. FICHERA, op. cit, p. 25., che ebbe modo di vedere i mo-
delli e gli elaborati presso l’accademia di San Luca.
7
Cfr. Giorgio MACCHI, Le annotazioni statiche preliminari al restauro della cupola vaticana di
Beltrami e Jorini, in L’ architettura della Basilica di San Pietro. Storia e costruzione. Atti del Convegno
di studi. Roma, Castel S. Angelo, 7-10 novembre 1995 a cura di Gianfranco SPAGNESI, Bonsignori, Roma
1997, p. 394.
8
A tale proposito sembra opportuno citare una considerazionedi Rafael Moneo, di senso ampio
sull’architettura, ma perfettamente rispondente alla storia della basilica: «L’opera di architettura tra-
scende l’architetto, va oltre l’istante in cui si compie la sua costruzione e dunque può essere contem-
plata sotto le luci mutevoli della storia senza che la sua identità si perda con il trascorrere del tempo. I
principi disciplinari stabiliti dall’architetto nel costruire l’opera si conservano nel corso della storia, e se
risultano sufficientemente solidi, l’edificio può subire trasformazioni, cambiamenti e alterazioni senza
cessare di essere nella sostanza ciò che era, cioè rispettando quelle che erano le sue origini.» cfr. Rafael
MONEO, La solitudine degli edifici e altri scritti, Umberto Allemandi & C., Torino - London 1999, pp.
131-132.
Ancora più interessante appare una considerazione di Giovanni Poleni che, come
è noto, pubblicherà a Padova nel 1748 le Memorie Istoriche della Gran Cupola del
Tempio Vaticano e de’ danni di essa, e de’ ristoramenti loro, a proposito del rapporto
tra progettista (che per il restauro della cupola era lui stesso) e direttore dei lavori,
Luigi Vanvitelli. 1
Dall’esperienza di tale collaborazione scaturisce una riflessione generale di ca-
rattere metodologico: «conciossiachè la perfezione delle opere non è legata alla sola
esecuzione di tutte le parti spettanti alle prime idee; ma dipende anche da ripieghi
valevoli a ben supplire, se gli accidenti rendano una qualche parte impossibile da
eseguirsi» 10.
Già a distanza di pochi decenni dalla ultimazione dei lavori della cupola 11 si ma-
9
Cfr. Augusto CAVALLARI MURAT, Collaborazione Poleni-Vanvitelli per la cupola vaticana (1743-
1748), in Luigi Vanvitelli e il ’700 europeo, cit., pp. 172-173.
10
Ibidem.
11
Si riporta di seguito una sintesi delle principali fasi costruttive della fabbrica di S. Pietro e, se-
gnatamente, della realizzazione della cupola michelangiolesca, tratte dal regesto storico nel volume di
Roberto DI STEFANO La cupola di S. Pietro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1980, pp. 1-22.
Nel 1506 per volere di Giulio II viene demolita la basilica paleocristiana e si da inizio alla nuova
chiesa: All’epoca è architetto della fabbrica Donato Bramante il quale realizza due progetti, entrambi
con cupola, il primo a pianta centrale e il secondo a pianta basilicale.
A partire dal 1513 si registra la presenza di Raffaello Sanzio, impegnato in lavori alle fondazioni
insieme a Giuliano da Sangallo. Quest’ultimo dal 1528 fino al 1540, anno della sua morte, è architetto
principale della fabbrica.
Con breve pontificio del 1° settembre 1535, viene nominato supremo architetto, pittore e scultore
del Palazzo Vaticano Michelangelo che inizierà i lavori come architetto in San Pietro nel 1548. Il mo-
dello della fabbrica viene approvato nel 1549 dal papa Paolo III che conferisce a Michelangelo i pieni
poteri per la costruzione, poteri che verranno confermati alla morte di Paolo III da Giulio III nel 1552.
A febbraio di quest’anno è ultimato il tamburo e nel 1558 ha inizio la costruzione del modello
ligneo della cupola michelangiolesca. Alla morte di Michelangelo, nel 1564 sono nominati architetti
della fabbrica Pirro Logorio che viene affiancato da Jacopo Barozzi da Vignola.
È comunque a partire dal 1574 fino al 1602 che si trovano nell’archivio della fabbrica documenti
attestanti pagamenti a Jacopo della Porta. Sartà infatti proprio quest’ultimo che, a partire dal 1588, darà
inizio alla costruzione della cupola.
Poiché prima che avessero inizio i lavori era stato già deciso di allungare il braccio della basilica
Della Porta, per potere rendere visibile la cupola dallo spazio antistante, la rialzò, aumentando l’altezza
della parete muraria verticale, al di sopra dell’attico di circa 5,80 metri e al tempo stesso approfondì il
distacco tra le due calotte.
Della Porta, fin dal 1578 aveva dato incarico di restaurare il modello in legno della cupola, ma è solo
dopo l’elezione a papa di Sisto V nel maggio 1585 che vengono programmati i lavori da intraprendere.
In quell’anno fu nominato architetto vaticano anche Domenico Fontana che contribuì ad orga-
nizzare il piano di lavoro che consistette innanzitutto nel completare le opere di finitura del tamburo
realizzato da Michelangelo e nel costruire l’anello cilindrico al di sopra di esso, necessario per rialzare
la cupola. Nel gennaio 1589 ha inizio la costruzione dei sedici costoloni, tutti contemporaneamente,
cui è affidata la funzione strutturale, e della muratura fra di essi (cfr. Cavallari Murat che interpreta la
struttura in maniera totalmente diversa). Nella fase di realizzazione delle opere murarie vengono anche
poste in opera due catene di ferro.
A metà maggio del 1590 viene completata la costruzione della cupola. «La più grande cupola che fos-
se stata mai realizzata era stata eseguita in soli diciassette mesi – e cioè da gennaio 1589 a maggio 1590
– grazie all’intuizione di Michelangelo ed alla capacità organizzativa e tecnica di Giacomo Della Porta».
Fig. 1. Luigi Vanvitelli, Cupola di San Pietro, 1743, (Roma, Istituto Nazionale per la Grafica
FC 128993. Da Carlo BAGGIO e Enrico DA GAI, Tra diffidenza e innovazione: la meccanica
in architettura, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecento a cura di Giovanna CURCIO e
Elisabeth KIEVEN, , Electa, Milano 2000).
nifestarono alcune lesioni, segni di fenomeni di dissesti in atto. Pertanto già nel XVII
secolo, ma ancora nel XVIII la preoccupazione dei pontefici determinerà la richiesta
di numerosi pareri ad architetti, matematici e ingegneri del tempo.
In questa sede interessa in particolare il ruolo che svolge Vanvitelli nella com-
plessa vicenda del restauro della cupola, ruolo certamente non secondario rispetto
al progettista Poleni che puntualmente riporterà nelle sue Memorie istoriche, in ma-
niera semplificata, i disegni approntati da Vanvitelli che sarà il materiale esecutore
– diremmo oggi il direttore dei lavori – dell’opera, essendo stato scelto dal Pontefice
a dirigere i restauri.
Quindi, scrive Di Stefano, se pure non è esatto assegnare a lui la paterni-
tà del progetto di restauro è tuttavia giusto riconoscere, in quest’opera la
piena testimonianza delle sue capacità, oltre che di artista anche di restau-
ratore e di tecnico. Sarebbe sufficiente, per tale valutazione, il suo metodo
di porre in trazione i cerchioni metallici; metodo diffusamente esposto dal
Poleni 12.
Nel marzo 1743, per volere di Benedetto XIV giunse a Roma Giovanni Poleni.
Nel dargli l’incarico il Pontefice gli consegnò tutte le perizie in suo possesso e gli
espresse quanto desiderava che facesse. In pratica avrebbe dovuto scrivere la sto-
ria del movimento che aveva subito la cupola e, avvalendosi dei libri e manoscritti
esistenti, esaminare e annotare i vecchi dissesti e gli interventi di restauro effettuati
in passato. Avrebbe poi dovuto analizzare e sintetizzare i pareri che per i dissesti in
atto erano stati forniti dai vari tecnici, e infine elaborare il progetto dei restauri che si
dovevano compiere e seguire l’andamento dei lavori, avvalendosi anche dei rapporti
che da Roma gli sarebbero stati inviati da Luigi Vanvitelli, materiale esecutore del
progetto. Quest’ultimo, che aveva scritto un parere anonimo, dopo avere constatato
la stima di Poleni nei suoi confronti, gliene parlò, accettando le osservazioni che gli
vennero fatte.
Il “breve parere di N. N.” del 20 settembre 1742 prevedeva la costruzione di
quattro grossi speroni di sostegno posti sui piloni; sui contrafforti si sarebbero dovu-
te collocare mensole rovesce con statue, modificando sostanzialmente la soluzione
architettonica di Michelangelo.
La disinvolta sicurezza con la quale lo stesso Vanvitelli propone – seppure celato
dallo pseudonimo – un intervento tanto invasivo si manifesta curiosamente nono-
stante la tensione alla quale era sottoposto l’architetto da un certo ambiente ‘filo-fio-
rentino’ che a Roma trovò in monsignor Giovanni Bottari il maggiore esponente. Il
solo mettere mano all’opera di Michelangelo fu occasione sufficiente per organizzare
una virulenta campagna contro Vanvitelli, il quale, nel celebre documento autografo
in cui riassume le tappe fondamentali della sua carriera 13 riferisce:
Feci la Ristaurazione della Gran Cupola di S. Pietro in Vaticano, ponendovi
molti cerchioni per impedirne la Rovina; quantunque con impegno pro-
mosso dallo D. Giov. Bottari Fiorentino si procurasse movere tutto l’impe-
gno di alcuni degni Personaggi suoi Nazionali, per negare la esistenza dei
patimenti, colla massima ridicola che Michel’angelo Bonaroti non poteva
avere sbagliato 14.
12
Cfr. R. DI STEFANO La cupola di S. Pietro, cit., p. 89.
13
Cfr. Archivio Storico Napoletano, Autografo di L. V., pubblicato da Camillo Minieri Riccio, anno
V, pp. 196 a 198, cit. da F. FICHERA, op. cit, pp. 71.
14
In effetti la schietta prosa che caratterizza le lettere col fratello Urbano, lo porta a dire, anni
dopo, in occasione di nuovi leggeri dissesti della cupola, «Ciò significa che lentamente la cupola si
dilata, e più presto di quello che io pensava. Converrà venire a riunire i contraforti distaccati dallo
stesso tamburo, altrimenti si ponerà la cosa in stato irremediabile (che Dio non voglia mai), e sarebbe
tutto ciò per opera di quei maledetti Fiorentini scioli buffoni, che adorano le cacate di Michel’Angelo
e vogliono, a dispetto della verità, che quest’uomo non potea dare in minchionarie, come pur troppo
à fatto nella costruzione della Gran Cupola di S. Pietro.» Cfr F. STRAZZULLO, op. cit., lettera datata 24
settembre 1763.
15
È stata notata inoltre la apparente discordanza tra la straordinaria bibliografia riportata nel testo
di Poleni e l’approccio ‘empirico’ dei provvedimenti cui approda. cfr. Carlo BAGGIO e Enrico DA GAI,
Tra diffidenza e innovazione: la meccanica in architettura, in Storia dell’architettura italiana. Il Sette-
cento a cura di Giovanna CURCIO e Elisabeth KIEVEN, Electa, Milano 2000, p. 79.
16
Cfr. Giovanni POLENI, Memorie istoriche della gran cupola del Tempio Vaticano, e de’ danni di
essa, e de’ ristoramenti loro, diuise in libri cinque. Alla santita’ di nostro Signore Papa Bendetto XIV,
nella stamperia del Seminario, Padova 1748, col. 338.
17
Cfr. R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scien-
tifiche italiane, Napoli 1973, pp. 217-218.
18
Cfr. Roberto PANE, L’attività di Luigi Vanvitelli fuori del Regno delle Due Sicilie, in Luigi Van-
vitelli, cit., p. 74.
19
Cfr. C. BOZZONI, op. cit., pp. 285-292.
20
Cfr. Lidia CANGEMI, L’intervento nella chiesa di santa maria degli angeli a roma, in Luigi Van-
vitelli. 1700-2000 a cura di Alfonso GAMBARDELLA, edizioni Saccone s.p.a., San Nicola la Strada 2005,
p. 92.
21
Cfr. C. BOZZONI, op. cit., p. 285.
22
Ibidem.
23
Cfr. Herbert SIEBENHÜNER, S. Maria degli Angeli in Rom, in «Muncher Jahrbuch der bildenden
Kunst», Dritte Folge Band 6, Prestel, Munchen 1955.
24
Cfr. Bruno ZEVI, Pretesti di critica architettonica, Einaudi, Torino 1983, p. 83.
25
«Il Fuga con molto dispendio aveva di una grande basilica fatto un fienile, e i Certosini con poco
danaro avevano di un fienile fatto una Basilica grandiosa». Commento riportato da Francesco Milizia,
e citato da F. FICHERA, op. cit., p. 67.
Fig. 8. Luigi
Vanvitelli. Studio
per il restauro di
S. Maria degli
Angeli. Nel di-
segno è stato ri-
conosciuto (Mat-
thiae, 1965) lo
studio per il pas-
saggio tra il ve-
stibolo circolare
e la navata della
chiesa (da L’eser-
cizio del disegno.
I Vanvitelli, a cura
di Claudio MARI-
NELLI, Leonardo
de Luca Edito-
re s.r.l., Roma
1991)
Fig. 9. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Particolare delle mensole e del motivo con la conchiglia per
l’architrave del vestibolo.
26
A tale proposito si veda il saggio di A. Pane su questo stesso volume.
27
La notizia è riportata, come la gran parte di quelle relative al restauro del palazzo reale napole-
tano, in una delle lettere di Luigi Vanvitelli al fratello (datata 14 luglio 1753), cfr. F. STRAZZULLO, op.
cit., p. 239.
28
Ivi, p. 240.
29
Cfr. Lettera del 16 luglio 1753, ivi, p. 245.
30
Cfr. Lettera del 31 luglio 1753, ivi, p. 246.
31
Cfr. Lettera del 7 agosto 1753, ibid.
32
Ibid.
33
Cfr. Lettera del 18 settembre 1753, ivi, p. 264.
Fig. 10. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Vista del transetto con le ampie volte a crociera.
Fig. 11. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. La navata verso l’abside.
Fig. 12. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Particolare di una delle colonne addossate
fatte realizzare in muratura ad imitazione del granito di quelle esistenti.
Fig. 13. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Il cornicione fortemente aggettante usato
da Vanvitelli come elemento unificatore delle colonne da lui fatte realizzare con quelle an-
tiche.
18 bre, ottenendo la loro approvazione. Prima di procedere alla sua realizzazione, che
prevede la tamponatura alternata di otto delle campate dello schema elaborato origi-
20 nariamente da Domenico Fontana 34, Vanvitelli fa eseguire opportunamente alcuni
sondaggi, per verificare lo stato delle fondazioni.
Il palazzo risulta in effetti «fondato sopra terreno molle, onde converrà rifondarlo
tutto, e sarà un’opera di qualche riguardo - dice Vanvitelli- per la massima difficoltà
di farlo» 35; ulteriori indagini rivelano inoltre che proprio in corrispondenza dell’ap-
partamento reale «il terreno [è] tanto fragile che con la punta della scarpa si solleva
e vi immerge» 36.
Vanvitelli, col consueto pragmatismo, si preoccupa sia che «questo affare è di-
venuto molto serio» 37, sia del fatto che «sarà similmente dispendioso ancora» 38
inducendolo a domandarsi quale sarà il «quid ad me?» 39. L’architetto sceglie quindi
accuratamente le maestranze che eseguiranno i lavori, e fa realizzare in corrispon-
denza della facciata sulla piazza profonde sottofondazioni «a circa trenta palmi sotto
li fondamenti antichi per ritrovare il sodo del Palazzo di Napoli, il quale in buon
linguaggio sta in aria» 40.
L’intervento risulta efficace e Vanvitelli, che visita spesso il cantiere napoletano
pur risiedendo stabilmente a Caserta, ne è decisamente soddisfatto 41, tenendo co-
stantemente al corrente la corte, molto interessata al procedere delle operazioni e
desiderosa di ristabilirsi al più presto nella reggia napoletana 42. A meno di un anno
dall’inizio del restauro le lavorazioni sulla facciata sono già in fase di ultimazione
e rimane soltanto da «incollare la volta del Portico interiore, che farà da ottimo ac-
compagnamento» 43.
A ben vedere il consolidamento e le operazioni riguardanti le strutture appaiono,
anche per lo spazio dedicatogli nella corrispondenza, come gli elementi preponde-
ranti nella descrizione, e forse quelli ritenuti più significativi, di tutta la vicenda
da parte del Vanvitelli, tanto da meritare ulteriori cenni ancora nel 1755, quando il
Nostro riferisce al fratello di interventi di consolidamento resisi necessari su alcune
colonne della facciata 44.
Gli intenti e gli esiti formali dell’intervento vengono, invece, esposti in maniera
molto più sintetica in un paio di occasioni.
Nell’aprile del 1754, quando le otto tamponature che ospitano nicchie riquadrate
in piperno sono già in fase avanzata di realizzazione, Vanvitelli accenna significa-
tivamente al fatto che l’opera in esecuzione «riesce assai bene tanto che pare fatta
dal suo primo autore» 45; ed ancora scrive che «il risarcimento del Palazzo viene
benissimo e l’avere introdotta la nicchia dentro agli archi, che alternativamente si
chiudono, la quale si unisce senza caricatura col rimanente dell’architettura, fa a
meraviglia bene anzi gli accresce un ornamento molto decoroso» 46.
34
Si ricordi che analoga soluzione di tamponatura alternata delle campate aperte, Vanvitelli la pro-
pone anche per risolvere problemi di dissesto per il palazzo Orsini di Gravina, progetto al quale venne
preferita l’apposizione di catene metalliche, per contenere le spinte evidentemente esercitate dalle volte
del cortile interno.
35
Cfr. Lettera del 26 ottobre 1753, ivi, p. 274.
36
Cfr. Lettera del 26gennaio 1754, ivi, p. 306.
37
Ibid.
38
Ibid.
39
Ibid.
40
Cfr. Lettera del 1 febbraio 1754, ivi, p. 309.
41
Si vedano in particolare le lettere del mese di marzo 1754, ivi, pp. 309-313.
42
Nella lettera del 19 marzo Vanvitelli riferisce che Carlo di Borbone, pur di rientrare al più presto
nel palazzo, non si cura della presenza del cantiere e dei disagi derivanti da tale situazione, ivi, p. 317.
43
Cfr. Lettera dell’11 giugno 1754, ivi, p. 329.
44
Cfr. Lettere del 9 maggio e dell’8 novembre 1755, ivi, rispettivamente alle pp. 424 e 485.
45
Cfr. Lettera del 2 aprile 1754, ivi, p. 324.
46
Cfr. Lettera del 6 aprile 1754, ibid.
Fig. 14. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Fig. 15. Bruno Zevi. Gli schemi delle differenti situa-
Una delle crociere della volta del tepidarium. zioni della basilica di S. Maria degli Angeli con le fasi
di Michelangelo (in basso) e Vanvitelli (in alto) (da
Bruno ZEVI, Pretesti di critica architettonica, Einaudi,
Torino 1983).
Fig. 16. Roma. Esterno del complesso di S. Maria degli Angeli, con le strutture ancora leg-
gibili delle terme di Diocleziano.
Fig. 17. Napoli. Palazzo Reale. Il prospetto sul quale interviene Vanvitelli. (da R. DI STEFA-
NO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifiche italia-
ne, Napoli 1973).
Fig. 18. Luigi Vanvitelli. Prospetto per il conso- Fig. 19. Napoli. Palazzo Reale. Una delle nuove
lidamento del Palazzo Reale di Napoli, (da da R. campate murate su progetto di Vanvitelli con l’al-
DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restaura- leggerimento della nicchia, nella quale in seguito
tore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifiche ita- vengono posizionate statue di proporzioni ecces-
liane, Napoli 1973). sive.
47
Cfr. Archivio Storico Napoletano, Autografo di L. V., cit.
48
Cfr. Il centro antico di Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1971, p. 428.
49
Cfr. tra le altre la lettera del 19 luglio 1760 n. 766, da F. STRAZZULLO, op. cit., II, p. 553, nella qua-
le scrive che, essendo malato, «furono ambedue i figli con Collecini a piantare un pilone con zoccoli,
colonne e basi della chiesa della Santissima Nunziata, e tutto è riuscito assai bene».
Fig. 20. Veduta della Reggia di Napoli (dal BARRIONUEVO, Panegyricus, Napoli, 1616, in Alfonso MIOLA, La
facciata della Reggia di Napoli, in «Napoli Nobilissima», fasc. 1° e 2°, gennaio-febbraio 1892).
Fig. 21. Napoli. Palazzo Reale. Particolare del prospetto. Confronto tra un paramento murario esistente prima
dell’intervento e quello realizzato da Vanvitelli.
Riassumiamo qui le principali vicende della storia del “restauro” della chiesa
dell’Annunziata condotto da Vanvitelli e sul quale molto è stato scritto da autore-
voli storici dell’architettura (Pane, Venditti) cercando di soffermarci maggiormente
sui problemi costruttivi affrontati nel corso dell’opera e documentati sia nel ricco
epistolario dell’architetto, sia in un contratto (Istrumento) stipulato tra i Governatori
della Casa Santa dell’Annunziata e il ‘Capomastro fabricatore’ Giuseppe de Simone
in data 7 febbraio 1760 50.
Il 24 gennaio 1757, dunque, la chiesa edificata da Ferdinando Manlio tra il 1513
ed il 1540 in sostituzione di una fabbrica angioina, si incendiò. «A giudicare dai resti
del fianco che affaccia sul cortile della casa dell’Annunziata, la ricostruzione del-
l’omonima chiesa, compiuta nella prima metà del Cinquecento, è da indicare come
uno dei più vasti programmi che si realizzano a Napoli, a partire dal primo ventennio
del Cinquecento» 51 scrive Roberto Pane e ancora riguardo ai resti cinquecenteschi:
«Sul basamento, alto circa quattro metri, si riconoscono i resti di lesene scanalate e
baccellate, con una fascia di contorno che inquadrava i fondali» 52. A rendere ancora
più interessanti le osservazioni possibili sulla stratificazione della fabbrica, è proprio
una lettera di Vanvitelli al fratello Urbano del giorno 5 agosto 1758. In questa so-
stiene di aver ritrovato nello scavo i resti della fabbrica della regina Giovanna II che
«rifabricò la detta Chiesa da fondamenti, la quale precedentemente nel 1300 fu eretta
dalla Pia Regina Sancia, moglie del Gran Re Roberto» 53.
Il danno provocato dall’ultimo incendio fu notevole in quanto comportò la distru-
zione della copertura della chiesa e di parte delle opere in muratura. Rimasero integri
la sacrestia, la cappella Carafa e quella del tesoro oltre all’ospedale e al conservato-
rio dove venivano lasciati nella ‘ruota’ degli esposti i figli illegittimi o abbandonati
da famiglie indigenti. Si trattava ovviamente di una istituzione di grande valore,
sotto la tutela del re, pertanto i Governatori della Santa Casa, dopo avere comunicato
al sovrano i danni subiti dal complesso, convocarono i migliori architetti del tempo
per sanare i danni della chiesa distrutta.
Si trattava, oltre a Luigi Vanvitelli, di Ferdinando Fuga, Mario Gioffredo, Giu-
seppe Pollio, Nicola Tagliacozzi Canale, Carlo Bibiena, Giuseppe Astarita e Co-
stantino Manni «architetto del loco». Nella riunione Vanvitelli – secondo quanto
lui stesso scrive al fratello il 15 marzo 1757 54 - occupa il posto d’onore a destra
del duca di Marsico Lagnì e, a conclusione dell’incontro, esprime il proprio parere
«che fu di farvi la volta sopra, previa le mura di speroni da doversi adattare per
rinforzo, che la Chiesa benché di cattiva simetria, non ostante senza venire alla
demolizione di nessuna parte, si puoteva manierare a cosa ragionevole» 55; ritie-
ne che sarebbe troppo dispendioso restaurare tutti gli arredi e gli oggetti mobili
che erano stati danneggiati dal fuoco, mentre suggerisce di concentrarsi sulla sola
chiesa «mentre con memorie ed iscrizioni si puoteva compensare nella rinovazione
della medesima...»
Gli autorevoli architetti presenti alla riunione, dopo avere esaminato il problema
del restauro della chiesa, si divisero in due gruppi con opinioni differenti: Astarita,
Pollio e Gioffredo erano del parere di rifare il tetto con una finta volta «di canne o di
cerchia», Manni, Canale, Fuga e lo stesso Vanvitelli invece suggerirono una ‘lamia’
50
Cfr. Archivio di Stato di Napoli, Opere Pie-Casa dello Spirito Santo, Fascio 48, foll. 465-471 v.
51
Cfr. R. PANE, Il rinascimento nell’Italia meridionale, Edizioni di Comunità, Milano 1977, II, pp.
255-256.
52
Ibidem.
53
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit., II, p. 257, nota 585.
54
Ivi, n. 450 (15 marzo 1757), pp. 40, 41.
55
La coincidenza tra le figure di architetto e di ‘restauratore’ in questo caso è lampante, con Van-
vitelli che si preoccupa di assicurare le strutture rimaste senza copertura e di rinforzarle in previsione
di qualsiasi altro intervento. Su questo aspetto della personalità dell’architetto cfr. R. DI STEFANO, Luigi
Vanvitelli, cit, pp. 171-246.
(volta in muratura), soluzione che fu gradita al sovrano 56. Del primo progetto di
Vanvitelli resta un solo disegno sul quale dovette esprimersi una nuova commissio-
ne. Astarita, che faceva parte anche di questa, ritornò sulla necessità di fare una volta
finta in quanto, per realizzare il disegno presentato da Vanvitelli si sarebbe dovuta
sostituire buona parte della murature, attuando così un vero e proprio rifacimento 57.
Tra il marzo e l’agosto del 1757, Vanvitelli si reca a prendere misure nel tempio
incendiato e, avendo nel frattempo il re richiesto alla Deputazione di assegnare l’in-
carico solo a Vanvitelli, prepara il disegno per l’Annunziata per la quale «non ristau-
razione, ma volendo gettare a basso tutto vogliono fare rinovazione» 58.
Il ‘deputato Nobile della Nunziata’ notifica dunque a Vanvitelli che si vuole una
chiesa totalmente nuova. Questi dimostra il suo compiacimento e si preoccuperà «di
fare un disegno alquanto bizzarro» 59.
Ma nell’ottobre 1757 – sempre secondo quanto scrive al fratello – evidentemente
sussistono ancora delle incertezze in quanto non si era ancora stabilito «o se debbesi
restaurare o rinnovare. Il Re ordinò che si restaurasse e non si rinnovasse, perché
non vi erano i fondi da intraprendere spesa» 60. L’architetto intende dunque per ‘re-
stauro’ il completamento dell’edificio e per ‘rinnovazione’ il suo rifacimento dalle
fondamenta.
Vanvitelli era più propenso al rifacimento, appoggiato in questo dai Governatori
che contemporaneamente cercavano di dimostrare al re che si sarebbero potuti pro-
curare i fondi necessari. Finalmente il 7 aprile 1758 Vanvitelli ottenne l’incarico con
il mandato più ampio in quanto il sovrano diede ordine che «si riedificasse la chiesa,
ponendo in opera il disegno di miglior gusto dell’antico» 61.
Nell’agosto dello stesso anno viene ultimato il disegno che verrà mostrato al re
22 e molto apprezzato anche dalla regina. L’architetto stesso è particolarmente soddi-
sfatto dal suo progetto, tanto che scrive: «Credo che nell’angustia del sito io abbia
ritrovato tutto quel grande che puoteasi ritrovare» 62, facendo riferimento alle pro-
porzioni monumentali della fabbrica che è riuscito ad ottenere nonostante le ridotte
dimensioni delle aree su cui la chiesa si affacciava già all’epoca, nonché ai vincoli
imposti dal complesso cinquecentesco.
Verso la fine del 1758 si cominciò a demolire ciò che rimaneva della chiesa vec-
chia e, nel 1760, finita la demolizione, ebbero inizio le opere di fondazione del nuo-
vo tempio, la realizzazione delle quali comportò non pochi problemi, a causa della
presenza di acqua per una profondità di circa 26 palmi. Per fondare i piloni che a
chiesa ultimata sorreggeranno la cupola, si è dovuto non solo estrarre l’acqua «me-
diante le trombe delle navi», ma anche, «palizzare con pali di quercia il pilone della
Cupola» 63.
56
Sull’argomento cfr. l’interessante saggio di F. LICENZIATI, Disegni e manoscritti inediti del
Vanvitelli per la chiesa dell’Annunziata in Napoli, in La Facoltà di Architettura di Napoli, Napoli
MCMXXIX-MCMLIX, ivi 1959, pp. 381-387, che riporta in nota riferimenti dei documenti consultati.
Tale testo è stato poi ripreso da Arnaldo VENDITTI, L’opera napoletana di Luigi Vanvitelli, in Luigi
Vanvitelli, cit., pp. 99 - 167.
57
Ivi, p. 382.
58
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit. II, n. 485 (9 agosto 1757), p. 99.
59
Ivi, n. 489 (23 agosto 1757), p. 106.
60
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit. II, n. 507 (Caserta 28 ottobre 1757) pp. 128- 130.
61
Cfr. A. VENDITTI, L’opera napoletana, cit., p. 148, riproposto in A. VENDITTI, Il sincretismo nella
poetica vanvitelliana: Luigi Vanvitelli e la chiesa della SS. Annunziata in Napoli, in Luigi Vanvitelli e
la sua cerchia, a cura di Cesare DE SETA, Electa, Napoli 2000, p. 84.
62
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit. II, n. 584 (2 agosto 1758), pp. 254- 256.
63
Per dare idea della cronologia degli eventi e anche della cura e della tensione che segnano questa
parte della direzione dei lavori, riportiamo qui gli estratti da alcune lettere del ricco epistolario vanvi-
telliano.
«16 febbraro 1760. Si sono poste le mani alla fabrica della Nunziata a sbarazzare e profondare uno dei piloni
della Cupola, a corum Epistule, ove poneranno la prima pietra il giorno 9 di Marzo» Cfr. F. STRAZZULLO,
op.cit., II, n. 717, pp. 472-474.
«31 maggio 1760. Sono stato alla Nunziata, ove quantunque siasi scavato molto il terreno sotto acqua, non
ostante tutto, è molle e fangoso. Sicché conviene palizzare questo pilone; degli altri lo vedremo in appresso»
Ivi, n. 750, pp. 425- 426.
«3 giugno 1760. Conviene palizzare con pali di quercia il pilone della Cupola della Chiesa della Nunziata,
ove avendo scavato il terreno per 12 palmi sotto acqua, ci vogliono altri 14 palmi per ritrovare il sodo, e per-
ciò conviene palificare con della quercia». Questo inconveniente ritarderà i lavori ma occorre fare così «se si
vorrà la fabrica forte e durevole». Ivi, n. 751, pp. 526- 527.
«Napoli 17 giugno 1760. Questa mattina, per grazia di Dio, si è incominciato a fabbricare il primo pilone
della Chiesa della Nunziata, ove mediante cinque bravissime trombe dei Vascelli da Guerra ò potuto vincere
la copiosa acqua, di modo che si fabbrica all’asciutto e con sollecitudine». Ivi, p. 534, nota 755.
«N. 21 giugno 1760. Si è fondato un pilone alla Nunziata e sollevato sopra terra con felicità, mediante le
trombe delle Navi, che ànno scaricato le abbondantissime acque sorgenti, dopo le quali ò ritrovato il terreno
sodo, sopra cui si è fondato». Ivi, n. 756, pp. 535-536.
64
Archivio di Stato di Napoli, doc. cit.
65
Per la descrizione di questa muratura listata nella chiesa dell’Annunziata, cfr. Luigi GUERRIERO,
Apparecchi murari in laterizio dell’età moderna, in Murature tradizionali napoletane: cronologia dei
paramenti tra il XVI e il XIX secolo, a cura di Giuseppe FIENGO e L. GUERRIERO, Arte Tipografica, Napoli
1999, p. 326, nota 126.
66
Cfr. R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli, cit., pp. 171- 172.
67
«N. 15 sett. 1760. Si tira avanti la Chiesa della Nunziata, si comincian a piantare li zoccoli di
bardiglio sopra di un pilone». Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit., II, n. 789, pp. 591-592.
«N. 23 dic. 1760. Si va tirando avanti la Nunziata, nella quale già si sono inalzati due piloni, vi si
sono poste le basi di marmo di Carrara, alle quali gli ho posto un sottozoccolo di breccia di Serravezza
e poi il zoccolo alto di bardiglio, che fa uno spicco grandissimo insieme col piantato», Ivi, n. 824, pp.
643-645.
68
Ivi, n. 837 (14 febbraio 1761), p. 662.
un pezzo e l’altro» 69. Nascono, a proposito delle offerte una serie di questioni, tanto
che Vanvitelli pensa che «converrà fare le colonne di fabrica» 70.
A partire da luglio però, cominceranno ad arrivare le colonne di marmo di Carra-
ra. Alla fine di agosto del 1761, sotto un pilone della cupola, nello scavo, Vanvitelli
si imbatte in un antico colombaio con celle sepolcrali e ancora scrive al fratello che
«questo ritrovamento puotrà dare qualche moto a questi pedanteschi antiquarii, di
cui ne abbonda la piazza» 71. Dimostra quindi una scarsa sensibilità nei confronti
dei reperti archeologici, che invece fino ai primi decenni dell’Ottocento attirerà i
viaggiatori stranieri che giungevano in Italia. Basti citare ad esempi Gregoire Orloff,
senatore dell’impero di Russia, che a Caserta viene attratto maggiormente dai resti
antichi conservati in un deposito che dalla magnificenza dei palazzi; così scrive:«È
così che a Caserta cercai e trovai il deposito dei monumenti che furono così larga-
mente impiegati nel palazzo. La vista di questo grande magazzino che non viene
mostrato agli stranieri mi interessò molto di più e mi lascerà molti più ricordi dei
miracolosi palazzi, dei suoi numerosi parchi e giardini, delle sue numerose fittizie
cascate» 72.
Nel settembre 1761 si comincia quindi a tirare su la prima colonna di marmo,
costituita da tre pezzi scanalati, avvalendosi di un ‘Castello’ che ostacola anche la
realizzazione della copertura del ‘succorpo’. Per eseguire il tiro Vanvitelli fa anche
venire da Caserta degli operai impegnati negli altri cantieri, «non essendo capaci
questi Napoletani di farlo» 73. 27
«Nella chiesa superiore, pur adeguandosi allo sviluppo longitudinale dell’area,
che imponeva una pianta basilicale fortemente allungata, Vanvitelli tende a conferire
il massimo valore all’elemento centrale della cupola: ciò allo scopo di eliminare,
non tanto la veduta a grande distanza dell’altare e dell’abside [...] quanto invece un
eccessivo numero di cappelle lungo la navata unica» 74. Ed è proprio la cupola, che
svolge all’interno, con le fasce binate e i lacunari stellati, un disegno di grande ori-
ginalità, e che domina il profilo cittadino dall’esterno sull’alto tamburo con aperture
alternate di diverse dimensioni, uno degli elementi caratterizzanti il monumento. 28
A partire dal 1766, cominciarono le polemiche e le discussioni con gli ammini-
stratori della Santa Casa dell’Annunziata che proponevano, per motivi di economia,
di modificare il progetto di Vanvitelli, sostituendo alla cupola un catino. L’architetto,
come del resto era da aspettarsi, non aderì alla proposta e anzi nel 1769 rinunciò
all’incarico, che fu affidato a Mario Gioffredo 75. Ma nel 1771 fu richiamato proprio
per la costruzione della cupola. Vanvitelli accettò l’incarico dimostrando con una re-
lazione tecnico - economica 76 che la differenza di spesa tra la costruzione della cu-
pola e del catino era tale da non giustificare uno stravolgimento del progetto iniziale,
essendo la cupola parte integrante dell’opera ed elemento che conferiva all’insieme
il miglior risultato architettonico.
Alla sua morte, nel 1773, la cupola non era stata ancora iniziata e l’anno seguente
ne fu intrapresa la costruzione sotto la direzione del figlio Carlo che la completò,
insieme alla facciata, nel 1782 77. 29
69
Ivi, n. 840 (24 febbraio 1761), p. 670.
70
Ivi, n. 850 (28 marzo 1761), p. 683.
71
Ivi, n. 891, n. 892 e n. 896, p. 662 (Lettere del 25 e 26 agosto e dell’8 settembre 1761).
72
Cfr. Gregoire ORLOFF, Mémoires historiques, politiques et literaires sur le Royaume de Naples.
Ouvrage orné de deux cartes geographiques. Par Gregoire Orloff ; publié avec des notes et additions
par Amaury Duval, Chausseriau et Hecart, Parigi 1819 - 1821, pp. 370- 371.
73
Cfr. F. STRAZZULLO op.cit., II, n. 900, p. 752 (Lettera del 22 settembre 1761). Per la descrizione
della macchina per sollevare le colonne, cfr. R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli, cit., p. 172 (con disegno).
74
Cfr. A. VENDITTI, Il sincretismo, cit., p. 85.
75
Cfr. F. LICENZIATI, Disegni, cit., p. 387 e nota 10.
76
Ibidem, nota 11.
77
Per un breve accenno a quest’opera di Carlo Vanvitelli cfr. A. VENDITTI, Carlo Vanvitelli da col-
laboratore ad epigono dell’arte paterna, in Luigi Vanvitelli e il 700 europeo, II, cit., p. 153.
Fig. 25. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. L’interno della chiesa verso l’abside.
Fig. 28. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. L’esterno della cupola (da Franco STRAZZULLO, Le
lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, Congedo, Galatina 1976).
Fig. 30. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. La navata della chiesa verso l’ingresso.
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