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Aspetti della cultura del restauro nel secondo Settecento nell’opera di Luigi
Vanvitelli

Chapter · April 2008

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Gianluigi de Martino
University of Naples Federico II
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1 Verso una storia del restauro
Dall’età classica al primo Ottocento
a cura di Stella Casiello

a cura di Stella Casiello


STELLA CASIELLO è professore ordinario di Restauro L’obiettivo che inizialmente si voleva raggiungere con questo volume Il presente volume “Verso una storia del restauro.
all’Università di Napoli Federico II, dove insegna Teorie Dall’età classica al primo Ottocento” a cura di Stella
e storia del restauro e Laboratorio di Restauro presso la era quello di fornire agli studenti dei corsi di laurea in Architettura e in
Casiello inaugura la nuova collana “Testi e ricerche
Facoltà di Architettura e Restauro architettonico presso Ingegneria edile-architettura uno strumento didattico relativo alla storia del
la Facoltà di Ingegneria. Coordina il dottorato di ricerca di storia del restauro” della casa editrice Alinea di
restauro prima delle codificazioni ottocentesche. Uno strumento che fosse, Firenze.
in Conservazione dei beni architettonici ed è direttore
della Scuola di Specializzazione in Beni architettonici al contempo, agevole nella lettura e rigoroso sul piano filologico e critico, L’iniziativa, promossa dalla stessa curatrice e da
e del paesaggio della medesima Università. È autrice di corredato da un buon apparato di immagini, idoneo alla comprensione Giuseppe Cruciani Fabozzi, intende venire incontro
numerosi volumi sul restauro architettonico, tra i quali
La cultura del restauro. Teorie e fondatori (1996, 20053), delle articolate vicende che hanno segnato, nei secoli, le diverse fabbriche all’esigenza, sempre più diffusa, di riprendere in
Falsi restauri (1999), Le cupole in Campania (2005), San descritte nel testo, assunte come esempi emblematici dell’evoluzione del esame, nelle sue enunciazioni di principio e nei suoi
Giovanni a Mare. Storia e restauri (2005). corollari di “metodo”, l’impalcato concettuale sotteso
complesso rapporto tra l’uomo e il proprio passato.
alle vicende della disciplina negli ultimi due secoli,
FRANCESCO DELIZIA è docente a contratto di Restauro L’approfondimento dei singoli saggi e l’originalità di alcuni contributi ci con l’intento di fare chiarezza su una materia oramai
urbano presso la Facoltà di Architettura dell’Università di induce tuttavia a considerare il libro degno di interesse anche oltre la semplice soggetta a una crescente deriva semantica, alimentata
Catania.
finalità didattica. A partire dall’antichità classica, gli autori dei diversi saggi dai continui tentativi di “aggiornarne” le finalità e i
GIANLUIGI DE MARTINO è ricercatore di Restauro presso si sono proposti di individuare, nelle diverse epoche, l’atteggiamento degli criteri operativi.
la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli artisti e degli architetti nei confronti delle preesistenze, cogliendo quelle che Assieme alla pubblicazione di saggi monografici e
Federico II. contributi collettanei provenienti da progetti di ricerca
possono considerarsi talvolta anticipazioni dell’approccio metodologico
attivati presso varie sedi universitarie, la collana si
ANDREA PANE è docente a contratto di Teorie e storia del attuale della disciplina, nei suoi risvolti teorici ed applicativi.
restauro presso la Facoltà di Architettura dell’Università propone di offrire agli studiosi ed agli allievi dei
di Napoli Federico II. Nel suo complesso, dunque, il volume si propone quale originale lettura corsi di “Teorie e storia del restauro” una raccolta
interpretativa della prassi del restauro architettonico nell’arco temporale ragionata di testi difficilmente reperibili, per lo più

Verso una storia del restauro


RENATA PICONE è professore associato di Restauro presso compreso tra l’età classica e gli inizi del XIX secolo. apparsi in riviste specializzate, di alcuni fra gli Autori
la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli
che possiamo a ragione considerare fra i protagonisti

Dall’età classica al primo Ottocento


Federico II.
della Scuola Italiana del Restauro.
EMANUELE ROMEO è professore associato di Restauro presso
la II Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.

VALENTINA RUSSO è ricercatore di Restauro presso la Facoltà


di Architettura dell’Università di Napoli Federico II.

EMANUELA VASSALLO ZIRPOLI è dottore di ricerca in


Conservazione dei beni architettonici.
saggi di Stella Casiello, Francesco Delizia,
Gianluigi de Martino, Andrea Pane, Renata Picone,
Emanuele Romeo, Valentina Russo, Emanuela Vassallo Zirpoli

€ 38,00

cover casiello 1.indd 1 29-05-2008 9:51:13


TESTI E RICERCHE DI STORIA DEL RESTAURO / 1
collana diretta da Stella Casiello e Giuseppe Cruciani Fabozzi

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© copyright ALINEA EDITRICE s.r.l. - Firenze 2008
50144 Firenze, via Pierluigi da Palestrina, 17 / 19 rosso
Tel. +39 55 / 333428 - Fax +39 55 / 331013

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nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo
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se non diversamente indicate

IMMAGINE DI COPERTINA:
Canaletto, L’Arco di Costantino e il Colosseo
(particolare), Malibu, The J. Paul Getty Museum.

finito di stampare nell’aprile 2008


d.t.p.: “Alinea editrice srl” - Firenze
stampa: Genesi Gruppo Editoriale - Città di Castello (Perugia)

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Verso una storia del restauro
Dall’età classica al primo Ottocento
a cura di Stella Casiello

saggi di Stella Casiello, Francesco Delizia, Gianluigi de Martino,


Andrea Pane, Renata Picone, Emanuele Romeo, Valentina Russo,
Emanuela Vassallo Zirpoli

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SOMMARIO

7 Introduzione
Stella Casiello

13 Interventi sulle fabbriche antiche dall’età classica alla tarda età imperiale
Emanuele Romeo

31 Reimpiego, riuso, memoria dell’antico nel medioevo


Renata Picone

61 L’antico e le preesistenze tra Umanesimo e Rinascimento. Teorie, personalità


ed interventi su architetture e città
Andrea Pane

139 Architettura nelle preesistenze tra Controriforma e Barocco. “Istruzioni”,


progetti e cantieri nei contesti di Napoli e Roma
Valentina Russo

207 Dal riuso alla conoscenza dell’antico: archeologia e restauro nel XVIII secolo
Francesco Delizia

237 Aspetti della cultura del restauro nel secondo Settecento nell’opera di Luigi
Vanvitelli
Gianluigi de Martino

267 Conservazione e restauro nei primi decenni dell’Ottocento a Roma


Stella Casiello

311 Trasformazioni dell’architettura e della città durante il decennio francese a


Napoli
Stella Casiello

333 Trasformazioni e restauri di un’architettura stratificata. Il caso della cattedrale


di Napoli
Emanuela Vassallo Zirpoli

363 Indice dei nomi

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ASPETTI DELLA CULTURA DEL RESTAURO
NEL SECONDO SETTECENTO NELL’OPERA
DI LUIGI VANVITELLI

Gianluigi de Martino

L’atteggiamento del Vanvitelli di fronte al tema dell’intervento su di una


preesistenza figurativa, è improntato ad una estrema libertà creativa e fan-
tastica, sicché la sua posizione culturale riguardo al problema del restauro
risulta assolutamente aderente e integrata nella visione che, dello stesso,
viene comunemente proposta dalla cultura barocca e tardo-barocca 1.

È quanto sostiene Corrado Bozzoni nella relazione da lui tenuta al congresso del
1973 su Vanvitelli, uno dei più importanti momenti di riflessione sulla complessa
figura di architetto “europeo”, un’occasione per sondare le sue capacità progettuali
ex novo non disgiunte da quelle di “restauratore” di architetture esistenti per le quali
sempre seppe coniugare soluzioni tecniche efficaci a scelte linguistiche originali.
In questo contributo, pertanto, tratteremo alcuni casi che possano mettere in luce
tali caratteristiche. Ci si occuperà dell’attività di Vanvitelli “consolidatore”, riassu-
mendo l’intervento da lui eseguito per la cupola di S. Pietro a Roma, in attuazione
della soluzione proposta da Giovanni Poleni. Si cercherà, inoltre, di valutarne l’at-
teggiamento verso una fabbrica pluristratificata quale gli si presentò la basilica di S.
Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, dove già era intervenuto Michelangelo per
trasformare gli spazi termali romani in basilica cristiana, come trattato in altra parte
del volume 2.
I lavori della chiesa erano ancora in corso quando, nel 1751, Luigi Vanvitelli si
trasferisce da Roma a Napoli, dove, come è noto, determinerà, contemporaneamente
a Ferdinando Fuga, un nuovo indirizzo per l’architettura.
Di formazione romana, Vanvitelli diventa l’architetto di re Carlo di Borbone per
il quale costruirà la Reggia di Caserta, e al tempo stesso realizzerà opere per la no-
biltà della corte napoletana e per il clero.
Le sue capacità tecniche, insieme alle esperienze di cantiere, lo vedranno impe-
gnato in importanti interventi di restauro in cui le soluzioni per il consolidamento
diventeranno pretesto per interessanti elaborazioni architettoniche. Viene attratto,
inoltre, dai resti antichi, non in quanto testimonianze da conservare, quanto piuttosto
perché può utilizzare i materiali di spoglio pregiati che può ricavare da essi. Più volte
si reca a Pozzuoli per esaminare e prelevare colonne o marmi dai ruderi da reimpie-
gare in S. Marcellino a Napoli o nella cappella palatina della reggia di Caserta. Come
è stato giustamente osservato, a volte, però, da uomo sensibile e di buon gusto, rima-
ne colpito dal fascino dell’antico. Recatosi infatti con il re a Benevento così scrive al

1
Cfr. Corrado BOZZONI, La posizione culturale di Vanvitelli «restauratore» di S. Maria degli An-
geli e di S. Agostino in Roma: procedimenti apporti figurativi e risultati, in Luigi Vanvitelli e il ’700
europeo. Congresso internazionale di studi. Atti. Napoli-Caserta, 5-10 novembre 1973, Istituto di storia
dell’architettura, Universita di Napoli, stampa 1979 (Arte Tipografica), p. 285.
2
Cfr. il saggio di Andrea Pane su questo stesso volume.

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fratello Urbano col quale intrattiene un rapporto epistolare di grande valore non solo
documentario ma anche emotivo
Si vedono tre o quattro ponti antichi dei Romani sopra i quali si passa,
e dentro Benevento si vede un arco fatto a Trajano, il quale è oltremodo
bellissimo, pieno di bassorilievi di ottima anzi eccellente scoltura. La bar-
barie dei tempi vi ha fatto fabbricare la porta della citta moderna, onde con
i muri sono dimidiati gli bassorilievi interi dell’arco, che fa pietà vederli
così maltrattati 3

Ancora, per approfondire le sue capacità di “ingegnere-restauratore” – come lo de-


finisce Roberto Di Stefano – si farà riferimento al restauro del Palazzo Reale di Napoli.
Infine verrà illustrato il suo intervento nella chiesa dell’Annunziata, sempre a
Napoli, dove egli si trova ad affrontare problemi di diversa natura tra i quali: la ri-
costruzione di gran parte dell’edificio di Ferdinando Manlio andato distrutto in un
incendio; la compatibilità del nuovo organismo con le parti residue; la stabilità delle
nuove strutture per l’erigenda cupola nonché il trattamento di resti archeologici ve-
nuti in luce nella fase di scavo delle fondazioni e che, essendo considerati elementi
di disturbo, saranno demoliti, sia pure dopo un attento rilievo.

È stato più volte ribadito quanto un accenno alla biografia di Vanvitelli sia impor-
tante per comprendere alcuni aspetti salienti anche del carattere artistico di questo
complesso personaggio. La critica negli anni ha spesso contrapposto il punto di vi-
sta di sostenitori e detrattori – come del resto spesso accade per grandi personalità
– con uno schierarsi talvolta eccessivo dell’una e dell’altra parte. Ovviamente più
ci si è allontanati cronologicamente dal periodo in cui egli operò, maggiore è stata
l’obiettività e la serenità di giudizio, ma soprattutto si è cominciato a fare luce filo-
logicamente su quegli aspetti che della biografia influenzarono il suo atteggiamento
nei confronti dell’architettura.
Luigi Vanvitelli nacque il 12 maggio del 1700 a Napoli da Anna Laurentini e
dal pittore olandese Gaspar van Wittel. Oltre al cognome italianizzato, l’ascendenza
paterna ha un profondo riflesso in tutta l’opera di Luigi fin dalle prime esperienze ar-
tistiche, tendenti a ricalcare le orme del padre. La prima scelta del giovane Vanvitelli
è quindi per la pittura e il disegno, arti nelle quali dimostra un innato talento seppure
inizialmente viziato da “accademismi” più che da ingenuità, che tendono a limitarne
l’estro. Costanza Lorenzetti lo descrive come anticipatore di una figura di “pittore ot-
tocentista” che «da quando […] era forse compagno di vagabondaggio del padre […]
nei suoi frequenti viaggi nello Stato Papale e nel Regno Napoletano ritornava con le
cartelle piene di rapidi schizzi, disegni presi dal vero sotto la viva impressione delle
bellezze naturali e delle vedute di città, paesi, ville» 4. Da queste prime brevi note
sulle attitudini del giovane Vanvitelli possiamo già cogliere una matrice di quella
padronanza del disegno che conserverà anche da architetto, non solo come normale
attività progettuale, ma anche come particolare compiacimento nella fase preparato-
ria e di controllo degli effetti prospettici che molte delle sue architetture offrono.
Le inclinazioni pittoriche e di vedutista sono quasi subito affiancate anche dalla
passione per la scenografia, per la decorazione e quindi anche per l’architettura. Nella
Roma dei primi decenni del ’700 la situazione politica dell’Europa 5 aveva generato
una stasi per quanto riguarda le grandi opere di architettura; gli architetti rivolsero
allora maggiore attenzione alle incisioni e alle illustrazioni di opere a stampa, alla
progettazione per scenografie e architetture effimere, a soluzioni architettoniche “mi-

3
Lettera datata 28 agosto 1753, riportata nella raccolta a cura di Franco STRAZZULLO, Le lettere di
Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, Congedo, Galatina 1976, alla p.
4
Cfr. Costanza LORENZETTI, Gaspare Vanvitelli, Fratelli Treves, Milano 1934, cit. in Francesco
FICHERA, Luigi Vanvitelli, Reale Accademia d’Italia, Roma 1937, pp. 152-153.
5
In particolare la guerra di successione in Spagna (1705-1714).

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 239

nori” di adattamento e ammodernamento di edifici per le famiglie nobili, al restauro


di complessi religiosi di maggiore o minore importanza, nonché alle attività di acca-
demia; ed è proprio in seno ad una delle più prestigiose, l’accademia di S. Luca, che
Vanvitelli appena ventenne sottopose alcuni suoi elaborati di architettura all’astro di
prima grandezza dell’epoca: Filippo Juvarra. Questi ebbe parole di sincero incorag-
giamento all’attività del giovane, probabilmente influenzandone definitivamente le
scelte professionali. Appena ventiseienne è infatti già coadiutore di A. Valeri presso
la Fabbrica di S. Pietro, incarico che rivestirà sotto le dipendenze di Barigioni con
mansioni prima rivolte alle decorazioni e, salendo lentamente le gerarchie, come
revisore, fino a prendere il posto di architetto soprastante circa dieci anni dopo.
Sempre in questo periodo affronta il concorso per la facciata di S. Giovanni in
Laterano nonché quello per la fontana di Trevi; concorsi ai quali partecipa assieme
all’élite dell’architettura dell’epoca: oltre a Fuga, Cannevari, Teodoli 6, partecipano
anche Galilei e Salvi (col quale peraltro Vanvitelli coltiverà una costante e sincera
amicizia); ed è proprio con questi ultimi due che dividerà il successo per questi con-
corsi. Gli esiti, seguiti da Papa Clemente XII, portano all’attribuzione della facciata
di S. Giovanni a Galilei, e della fontana di Trevi a Salvi; a lui che si era distinto par-
ticolarmente in entrambe le competizioni, fu affidato l’incarico di sistemazione del
porto di Ancona con la costruzione del nuovo lazzaretto.

L’intervento sulla cupola di S. Pietro


È stato recentemente osservato 7 che, nelle diverse fasi storiche in cui si è rivolta
l’attenzione a problemi statici della cupola di S. Pietro, ci si è avvalsi di schemi di
calcolo all’avanguardia per le epoche di intervento; col progredire delle tecnologie e
dei saperi relativi all’arte del costruire, quindi, gli studi sono sempre stati suscettibili
di miglioramento e ancora oggi sarebbero da aggiornare alla luce dell’avvento di
notevoli strumenti di rilevamento e di calcolo. Tuttavia l’aspetto impressionante del-
la fabbrica e segnatamente della struttura della cupola, conserva intatti gli elementi
di fascino proprio perché la sua genesi è da ricondurre a un momento della storia
dell’architettura in cui l’intuito e il ‘colpo di genio’ rimarcavano la differenza tra il
modello definito dalla consuetudine costruttiva e l’estrapolazione di caratteri seriali
per la determinazione di nuovi eccezionali oggetti di architettura. Le vicende della
fabbrica di S. Pietro la pongono decisamente come paradigma di tanti passaggi del
genere quanti sono stati gli architetti che ad essa hanno lavorato 8. Prima di accenna-
re brevemente alla storia della costruzione della basilica vaticana e della cupola che
la sovrasta, ma soprattutto dell’intervento di Vanvitelli per il suo restauro, ritengo
interessante riportare alcune considerazioni fatte da A. Cavallari Murat a proposito
dell’interdisciplinarietà che dovrebbe applicarsi ogni qual volta si procede ad un
restauro.

6
I nomi dei partecipanti, ci vengono riportati da Francesco MILIZIA, cfr. Memorie degli architetti
antichi e moderni quarta edizione accresciuta e corretta dallo stesso autore Francesco Milizia, a spese
Remondini di Venezia, Bassano 1785, cit. in F. FICHERA, op. cit, p. 25., che ebbe modo di vedere i mo-
delli e gli elaborati presso l’accademia di San Luca.
7
Cfr. Giorgio MACCHI, Le annotazioni statiche preliminari al restauro della cupola vaticana di
Beltrami e Jorini, in L’ architettura della Basilica di San Pietro. Storia e costruzione. Atti del Convegno
di studi. Roma, Castel S. Angelo, 7-10 novembre 1995 a cura di Gianfranco SPAGNESI, Bonsignori, Roma
1997, p. 394.
8
A tale proposito sembra opportuno citare una considerazionedi Rafael Moneo, di senso ampio
sull’architettura, ma perfettamente rispondente alla storia della basilica: «L’opera di architettura tra-
scende l’architetto, va oltre l’istante in cui si compie la sua costruzione e dunque può essere contem-
plata sotto le luci mutevoli della storia senza che la sua identità si perda con il trascorrere del tempo. I
principi disciplinari stabiliti dall’architetto nel costruire l’opera si conservano nel corso della storia, e se
risultano sufficientemente solidi, l’edificio può subire trasformazioni, cambiamenti e alterazioni senza
cessare di essere nella sostanza ciò che era, cioè rispettando quelle che erano le sue origini.» cfr. Rafael
MONEO, La solitudine degli edifici e altri scritti, Umberto Allemandi & C., Torino - London 1999, pp.
131-132.

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Riportando l’ampio dibattito sollecitato dal papa Lambertini quando decise di


porre rimedio ai dissesti che presentava la cupola, Cavallari sottolinea come l’auto-
rità pontificia affrontò in maniera esemplare il metodo da seguire per intervenire su
un’opera di tale importanza e dimensione.
Si aprì – scrive Cavallari Murat – una vasta inchiesta conoscitiva tra fisici e
artisti, tutti scelti in ambito mondiale, onde usufruire della più ampia espe-
rienza, tanto in tema di verifiche logiche nella meccanica delle costruzioni,
quanto nell’argomento estetico e critico delle possibili operazioni conser-
vative d’un carattere stilistico consolidatosi durante la evoluzione storica
dell’edificio. […] Si può oggi affermare con certezza che, in quell’occa-
sione, il Papato abbia avviato per la prima volta problematiche che solo
a distanza di due secoli costituiscono le attuali rette impostazioni di due
discipline universitarie, la tecnica delle costruzioni e l’arte del restauro 9.

Ancora più interessante appare una considerazione di Giovanni Poleni che, come
è noto, pubblicherà a Padova nel 1748 le Memorie Istoriche della Gran Cupola del
Tempio Vaticano e de’ danni di essa, e de’ ristoramenti loro, a proposito del rapporto
tra progettista (che per il restauro della cupola era lui stesso) e direttore dei lavori,
Luigi Vanvitelli. 1
Dall’esperienza di tale collaborazione scaturisce una riflessione generale di ca-
rattere metodologico: «conciossiachè la perfezione delle opere non è legata alla sola
esecuzione di tutte le parti spettanti alle prime idee; ma dipende anche da ripieghi
valevoli a ben supplire, se gli accidenti rendano una qualche parte impossibile da
eseguirsi» 10.
Già a distanza di pochi decenni dalla ultimazione dei lavori della cupola 11 si ma-
9
Cfr. Augusto CAVALLARI MURAT, Collaborazione Poleni-Vanvitelli per la cupola vaticana (1743-
1748), in Luigi Vanvitelli e il ’700 europeo, cit., pp. 172-173.
10
Ibidem.
11
Si riporta di seguito una sintesi delle principali fasi costruttive della fabbrica di S. Pietro e, se-
gnatamente, della realizzazione della cupola michelangiolesca, tratte dal regesto storico nel volume di
Roberto DI STEFANO La cupola di S. Pietro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1980, pp. 1-22.
Nel 1506 per volere di Giulio II viene demolita la basilica paleocristiana e si da inizio alla nuova
chiesa: All’epoca è architetto della fabbrica Donato Bramante il quale realizza due progetti, entrambi
con cupola, il primo a pianta centrale e il secondo a pianta basilicale.
A partire dal 1513 si registra la presenza di Raffaello Sanzio, impegnato in lavori alle fondazioni
insieme a Giuliano da Sangallo. Quest’ultimo dal 1528 fino al 1540, anno della sua morte, è architetto
principale della fabbrica.
Con breve pontificio del 1° settembre 1535, viene nominato supremo architetto, pittore e scultore
del Palazzo Vaticano Michelangelo che inizierà i lavori come architetto in San Pietro nel 1548. Il mo-
dello della fabbrica viene approvato nel 1549 dal papa Paolo III che conferisce a Michelangelo i pieni
poteri per la costruzione, poteri che verranno confermati alla morte di Paolo III da Giulio III nel 1552.
A febbraio di quest’anno è ultimato il tamburo e nel 1558 ha inizio la costruzione del modello
ligneo della cupola michelangiolesca. Alla morte di Michelangelo, nel 1564 sono nominati architetti
della fabbrica Pirro Logorio che viene affiancato da Jacopo Barozzi da Vignola.
È comunque a partire dal 1574 fino al 1602 che si trovano nell’archivio della fabbrica documenti
attestanti pagamenti a Jacopo della Porta. Sartà infatti proprio quest’ultimo che, a partire dal 1588, darà
inizio alla costruzione della cupola.
Poiché prima che avessero inizio i lavori era stato già deciso di allungare il braccio della basilica
Della Porta, per potere rendere visibile la cupola dallo spazio antistante, la rialzò, aumentando l’altezza
della parete muraria verticale, al di sopra dell’attico di circa 5,80 metri e al tempo stesso approfondì il
distacco tra le due calotte.
Della Porta, fin dal 1578 aveva dato incarico di restaurare il modello in legno della cupola, ma è solo
dopo l’elezione a papa di Sisto V nel maggio 1585 che vengono programmati i lavori da intraprendere.
In quell’anno fu nominato architetto vaticano anche Domenico Fontana che contribuì ad orga-
nizzare il piano di lavoro che consistette innanzitutto nel completare le opere di finitura del tamburo
realizzato da Michelangelo e nel costruire l’anello cilindrico al di sopra di esso, necessario per rialzare
la cupola. Nel gennaio 1589 ha inizio la costruzione dei sedici costoloni, tutti contemporaneamente,
cui è affidata la funzione strutturale, e della muratura fra di essi (cfr. Cavallari Murat che interpreta la
struttura in maniera totalmente diversa). Nella fase di realizzazione delle opere murarie vengono anche
poste in opera due catene di ferro.
A metà maggio del 1590 viene completata la costruzione della cupola. «La più grande cupola che fos-
se stata mai realizzata era stata eseguita in soli diciassette mesi – e cioè da gennaio 1589 a maggio 1590
– grazie all’intuizione di Michelangelo ed alla capacità organizzativa e tecnica di Giacomo Della Porta».

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 241

Fig. 1. Luigi Vanvitelli, Cupola di San Pietro, 1743, (Roma, Istituto Nazionale per la Grafica
FC 128993. Da Carlo BAGGIO e Enrico DA GAI, Tra diffidenza e innovazione: la meccanica
in architettura, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecento a cura di Giovanna CURCIO e
Elisabeth KIEVEN, , Electa, Milano 2000).

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242 Gianluigi de Martino

nifestarono alcune lesioni, segni di fenomeni di dissesti in atto. Pertanto già nel XVII
secolo, ma ancora nel XVIII la preoccupazione dei pontefici determinerà la richiesta
di numerosi pareri ad architetti, matematici e ingegneri del tempo.
In questa sede interessa in particolare il ruolo che svolge Vanvitelli nella com-
plessa vicenda del restauro della cupola, ruolo certamente non secondario rispetto
al progettista Poleni che puntualmente riporterà nelle sue Memorie istoriche, in ma-
niera semplificata, i disegni approntati da Vanvitelli che sarà il materiale esecutore
– diremmo oggi il direttore dei lavori – dell’opera, essendo stato scelto dal Pontefice
a dirigere i restauri.
Quindi, scrive Di Stefano, se pure non è esatto assegnare a lui la paterni-
tà del progetto di restauro è tuttavia giusto riconoscere, in quest’opera la
piena testimonianza delle sue capacità, oltre che di artista anche di restau-
ratore e di tecnico. Sarebbe sufficiente, per tale valutazione, il suo metodo
di porre in trazione i cerchioni metallici; metodo diffusamente esposto dal
Poleni 12.

Nel marzo 1743, per volere di Benedetto XIV giunse a Roma Giovanni Poleni.
Nel dargli l’incarico il Pontefice gli consegnò tutte le perizie in suo possesso e gli
espresse quanto desiderava che facesse. In pratica avrebbe dovuto scrivere la sto-
ria del movimento che aveva subito la cupola e, avvalendosi dei libri e manoscritti
esistenti, esaminare e annotare i vecchi dissesti e gli interventi di restauro effettuati
in passato. Avrebbe poi dovuto analizzare e sintetizzare i pareri che per i dissesti in
atto erano stati forniti dai vari tecnici, e infine elaborare il progetto dei restauri che si
dovevano compiere e seguire l’andamento dei lavori, avvalendosi anche dei rapporti
che da Roma gli sarebbero stati inviati da Luigi Vanvitelli, materiale esecutore del
progetto. Quest’ultimo, che aveva scritto un parere anonimo, dopo avere constatato
la stima di Poleni nei suoi confronti, gliene parlò, accettando le osservazioni che gli
vennero fatte.
Il “breve parere di N. N.” del 20 settembre 1742 prevedeva la costruzione di
quattro grossi speroni di sostegno posti sui piloni; sui contrafforti si sarebbero dovu-
te collocare mensole rovesce con statue, modificando sostanzialmente la soluzione
architettonica di Michelangelo.
La disinvolta sicurezza con la quale lo stesso Vanvitelli propone – seppure celato
dallo pseudonimo – un intervento tanto invasivo si manifesta curiosamente nono-
stante la tensione alla quale era sottoposto l’architetto da un certo ambiente ‘filo-fio-
rentino’ che a Roma trovò in monsignor Giovanni Bottari il maggiore esponente. Il
solo mettere mano all’opera di Michelangelo fu occasione sufficiente per organizzare
una virulenta campagna contro Vanvitelli, il quale, nel celebre documento autografo
in cui riassume le tappe fondamentali della sua carriera 13 riferisce:
Feci la Ristaurazione della Gran Cupola di S. Pietro in Vaticano, ponendovi
molti cerchioni per impedirne la Rovina; quantunque con impegno pro-
mosso dallo D. Giov. Bottari Fiorentino si procurasse movere tutto l’impe-
gno di alcuni degni Personaggi suoi Nazionali, per negare la esistenza dei
patimenti, colla massima ridicola che Michel’angelo Bonaroti non poteva
avere sbagliato 14.
12
Cfr. R. DI STEFANO La cupola di S. Pietro, cit., p. 89.
13
Cfr. Archivio Storico Napoletano, Autografo di L. V., pubblicato da Camillo Minieri Riccio, anno
V, pp. 196 a 198, cit. da F. FICHERA, op. cit, pp. 71.
14
In effetti la schietta prosa che caratterizza le lettere col fratello Urbano, lo porta a dire, anni
dopo, in occasione di nuovi leggeri dissesti della cupola, «Ciò significa che lentamente la cupola si
dilata, e più presto di quello che io pensava. Converrà venire a riunire i contraforti distaccati dallo
stesso tamburo, altrimenti si ponerà la cosa in stato irremediabile (che Dio non voglia mai), e sarebbe
tutto ciò per opera di quei maledetti Fiorentini scioli buffoni, che adorano le cacate di Michel’Angelo
e vogliono, a dispetto della verità, che quest’uomo non potea dare in minchionarie, come pur troppo
à fatto nella costruzione della Gran Cupola di S. Pietro.» Cfr F. STRAZZULLO, op. cit., lettera datata 24
settembre 1763.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 243

Il progetto finale, l’apposizione di cerchiature metalliche, è consistito quindi nella


realizzazione di opere di carattere più ‘collaudato’ e, sostanzialmente, alleggerite dei
particolari che più avrebbero stravolto le caratteristiche architettoniche della fabbri-
ca michelangiolesca.
Nella proposta progettuale di Poleni è stata notata l’assenza di elementi di genio
o di valore particolarmente innovativo 15; si tratta semplicemente di una attenta di-
samina di tutte le proposte già formulate per arrivare ad una sintesi che sia anche di
mediazione in un territorio comunque fondato su pure ipotesi. Le osservazioni sul
primo parere - quello dei tre matematici Ruggero Giuseppe Boscovich, Tommaso Le
Seur e Francesco Jacquier, che valutava uno sbilanciamento tra forze ribaltanti e sta-
bilizzanti - conducono a conclusioni di non compatibilità dello schema statico pro-
posto dai tre studiosi e dei cinematismi innescati con l’analisi del quadro fessurativo
nonché con la constatazione che il fatto stesso che la struttura fosse ancora in piedi
2 dimostrasse la sostanziale infondatezza del modello proposto. Proprio sul rilievo
accurato delle lesioni in tutte le sezioni interessate da esse, Vanvitelli diede prova di
una grande perizia sia analitica che grafica. Queste doti gli vengono riconosciute dal
Poleni a tal punto da tradursi nell’illustrazione delle Memorie istoriche con tavole
3 incise semplificando gli stessi disegni di Vanvitelli.
Come si può notare da tali disegni i provvedimenti erano improcrastinabili, ma
un senso di comprensibile allarmismo che circonda la fabbrica, spinge inizialmente
verso proposte sovradimensionate.
Le iniziali indicazioni di Vanvitelli sono state riassunte da Roberto Di Stefano nei
seguenti punti:

a) «l’uso di tre nuovi cerchioni e forse anche quattro» tutti «ricoperti ed


incassati»;
b) di restaurare i contrafforti e porre su di essi un rinforzo di travertino «il
quale piantandosi sulla cima di essi e innalzandosi in forma di mensole
e in quella maniera che sarà giudicata più opportuna, per tutta l’altezza
dell’Attico, terminasse poi ad internarsi, e fare un sostegno, o sia rin-
fianco obbliquo ad ognuno de’ Costoloni superiori»;
c) di rinforzare i contrafforti, riducendo in corrispondenza di essi, la luce
del vano di passaggio nel sottostante corridoio, onde creare dei contro-
pilastri e un sottarco «con sesto acuto»;
d) inoltre, suggerisce di ringrossare lo spessore dei contrafforti e di colle-
garli al tamburo mediante altri due cerchioni, ed un sistema di catene
trasversali in ferro 16. Della sistemazione di tale ancoraggio abbiamo
5, 6 una rappresentazione sia nel modello, sia nel disegno di sezione;
e) al disopra dei contrafforti così sistemati, poi, Vanvitelli vorrebbe ag-
giungere «l’adornamento nobilissimo delle Statue, e Mensole»;
f) infine, oltre a riempire «alcune delle Scale a lumaca, meno servibile»
egli consiglia «di costruire un sorte di simile muro sopra il piano supe-
riore di ognuno de’ quattro Piloni del Tempio; il quale, occupando con la
sua base tutto il sito non ingombrato presentemente dal piantato circola-
re della Cupola, s’innalzasse poi fino alla cima del maschio, che sostiene
il piedistallo, a formargli quattro sostegni, e, quasi a dire, speroni, non

15
È stata notata inoltre la apparente discordanza tra la straordinaria bibliografia riportata nel testo
di Poleni e l’approccio ‘empirico’ dei provvedimenti cui approda. cfr. Carlo BAGGIO e Enrico DA GAI,
Tra diffidenza e innovazione: la meccanica in architettura, in Storia dell’architettura italiana. Il Sette-
cento a cura di Giovanna CURCIO e Elisabeth KIEVEN, Electa, Milano 2000, p. 79.
16
Cfr. Giovanni POLENI, Memorie istoriche della gran cupola del Tempio Vaticano, e de’ danni di
essa, e de’ ristoramenti loro, diuise in libri cinque. Alla santita’ di nostro Signore Papa Bendetto XIV,
nella stamperia del Seminario, Padova 1748, col. 338.

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244 Gianluigi de Martino

Fig. 2. Giovanni Poleni. Il modello funicolare im-


piegato per la verifica dei carichi nella cupola (da
Giovanni POLENI, Memorie istoriche della gran cu-
pola del Tempio Vaticano, e de’ danni di essa, e de’
ristoramenti loro, diuise in libri cinque, nella stam-
peria del Seminario, Padova, 1748, tav. E, fig. XIV,
p. 42 riportato in Carlo BAGGIO e Enrico DA GAI, Tra
diffidenza e innovazione: la meccanica in architet-
tura, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecen-
to a cura di Giovanna CURCIO e Elisabeth KIEVEN,
Electa, Milano 2000).
Fig. 3. Il confronto tra i disegni di Vanvitelli per la
rappersentazione del quadro lesionativo sui contraf-
forti del tamburo e le incisioni nell’opra di Poleni
(da Roberto DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere
e restauratore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifi-
che italiane, Napoli 1973).

Fig. 4. L’ingegnoso sistema escogitato da Vanvitelli


per serrare i cerchioni metallici con due cunei con-
trastanti, riportato da Poleni nelle sue Memorie isto-
riche (da R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere
e restauratore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifi-
che italiane, Napoli 1973).

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 245

Fig. 5. Particolare del «tirante a tre occhi» per il consoli-


damento dei contrafforti da incatenare al tamburo (da R. DI
STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in Luigi
Vanvitelli, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1973).

Fig. 6. Il modello ligneo della proposta di Vanvitelli con i ti-


ranti per i contafforti e le mensole rovesce sopra di essi (da R.
DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in Luigi
Vanvitelli, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1973).

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246 Gianluigi de Martino

dispregievoli e di una stabilità considerabile» 17.

La particolarità delle proposte di restauro sta sicuramente nell’avere esposto pro-


grammaticamente il rispetto per la fabbrica di S. Pietro della quale dice di non volere
alterare «l’esteriore bellezza», per poi smentirsi con un insieme di interventi molto
invasivi. Sugli stessi, raggiunta una maggiore confidenza con Poleni, accetterà le cri-
tiche dello studioso che terrà in considerazione come già detto solo l’adozione delle
cerchiature in ferro, arrivando a progettare la posa in opera di cinque elementi. Nel
1743 il primo di tali cerchioni era già stato posto in opera, con il sistema ideato da
Vanvitelli dei due paletti a cuneo contrastanti in corrispondenza degli anelli di giun-
zione, sistema particolarmente apprezzato da Poleni che ne riporta anche una descri-
zione ed una illustrazione nelle sue Memorie istoriche. Nel 1744 anche il secondo
cerchione è stato serrato ed incassato e si sono predisposti gli altri tre; aspettando 4
però di serrarli «col caldo di giugno» con la massima dilatazione del ferro. Nel 1747
viene rinvenuta durante i lavori di sarcitura delle lesioni, una delle due cerchiature
della fine del XVI secolo sfibrata e spezzata; l’occasione del ritrovamento fa ipotiz-
zare a Vanvitelli che anche la seconda delle due catene esistenti sia rotta per cui pro-
pone di realizzarne altre due, ma anche in questo caso è Poleni a ridurre l’intervento
alla sola sostituzione dell’elemento deteriorato.
Vanvitelli rimarrà sempre convinto che il tipo di provvedimenti adottati sia in-
sufficiente e, nel continuare a seguire le vicende della fabbrica anche dopo essersi
trasferito a Napoli, quando, nel 1763, si registrano nuovi movimenti della cupola con
nuove lesioni, ritrova occasione per lamentarsi col fratello di quanto anche Poleni
fosse stato troppo approssimativo e per scagliarsi contro tutti quelli che in ambien-
te romano, ne avevano osteggiato l’opera, additandola come profanazione dell’arte
michelangiolesca.

L’intervento sulla chiesa di S. Maria degli Angeli


All’insegna della stessa aspra contrapposizione la critica ha interpretato l’azione
progettuale di Vanvitelli, valutandone i pregi e i difetti a seconda che il parere espres-
so provenisse da un sostenitore o da un detrattore dell’uno o dell’altro architetto.
La questione critica storicamente si è attestata sulle contrapposte posizioni di chi
vede nelle tracce materiali e documentarie dell’opera di Michelangelo le uniche frasi
architettonicamente valide della basilica, contraltare della posizione di chi ha visto
nelle soluzioni vanvitelliane finalmente una coerente impronta risolutiva di tutti i
rimaneggiamenti della fabbrica. La percezione dell’orientamento navata-transetto,
viene determinata soprattutto dalla chiusura degli ingressi verso la strada Pia e verso
la campagna, che lascia quindi aperto solo l’accesso dalla rotonda, che Vanvitelli
sfrutta utilizzando un altro piccolo ambiente termale realizzandovi un vestibolo de-
cisamente moderno; l’accesso da questo all’invaso vero e proprio è scandito da un
passaggio in cui le aggiunte e trasformazioni di Vanvitelli si leggono in continuità 7
con l’architettura esistente tanto da fare scrivere a Roberto Pane, riferendosi al trat-
to tra vestibolo e corpo longitudinale della chiesa realizzato mediante un’apertura
architravata con mensole e conchiglie «la soluzione vanvitelliana [è] a tal punto
determinata dalle predisposte membrature michelangiolesche da apparire come il
loro necessario compimento» 18. È stato altresì notato che le proporzioni forse ecces-
sivamente generose, come pure improntate ad un gigantismo ancora non risolutivo le 8, 9
colonne realizzate in muratura a simulare quelle in granito rosso tardoantiche, siano 12
la manifestazione di una volontà di mediazione dell’architetto, il cui atteggiamento

17
Cfr. R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scien-
tifiche italiane, Napoli 1973, pp. 217-218.
18
Cfr. Roberto PANE, L’attività di Luigi Vanvitelli fuori del Regno delle Due Sicilie, in Luigi Van-
vitelli, cit., p. 74.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 247

volge sempre alla soluzione composta dei contrasti.


Nel caso di S. Maria degli Angeli, però questa volontà si traduce in una serie di
soluzioni che sintetizziamo, attingendo alla esaustiva lettura critica fatta da Corrado
Bozzoni 19.
Innanzitutto bisogna tener presente l’atteggiamento sempre accondiscendente
tenuto da Vanvitelli nei confronti della sua committenza, segnatamente quella dei
Certosini, cui l’architetto tiene in modo particolare, come testimoniato anche dalla
sua volontà di trovare sempre transazioni con i superiori dell’ordine in occasione di
controversie sulle provvigioni.
Quando riceve l’incarico per la chiesa di S. Maria degli Angeli (citata indifferen-
temente nell’epistolario anche come ‘Certosa’) inizialmente affianca Clemente Or-
landi, al quale peraltro va ascritta una delle soluzioni che più ha indebolito l’impian-
to spaziale della basilica 20: la chiusura degli ambienti che si aprivano sulla grande
aula di quella che oggi appare come una croce greca. La volontà vanvitelliana di
segnare come asse privilegiato quello che unisce il vestibolo circolare con la zona
presbiteriale «non riesce a contrapporsi alla dilatazione trasversale troppo violenta
del tepidario con le sue grandi crociere e le ampie cappelle aperte alle estremità» 21,
tanto da determinare nel visitatore «una spiacevole sensazione di sbandamento» 22.
L’ambiguità dei segni spaziali fa addirittura intendere un orientamento ruotato di 90°
come asse principale della basilica, effetto che sarebbe stato sicuramente attenuato
dalla presenza degli spazi di quelle che probabilmente dovevano essere delle piscine
del complesso termale. I certosini però, anche in vista dei profitti derivati dall’uso
degli stessi come fienili, furono irremovibili nella decisione di sottrarre questi spazi
alla basilica; le condizioni dell’impianto termale, come trattato archeologicamente
da Michelangelo nel primo vero programma di riconfigurazione della fabbrica, sono
definitivamente alterate nel momento in cui Vanvitelli interviene. È Bruno Zevi che,
riportando anche quanto emerso dagli studi di Herbert Siebenhüner 23 ci rammenta
che
Invano si cerca una traccia della sua mano [di Michelangelo (n. d. a.)] nei
partiti e nelle sagome attuali. Scomparsi i portali […], riconosciuta inam-
missibile l’attribuzione a Michelangiolo delle decorazioni in stucco della
rotonda d’ingresso, rimessa in discussione anche la paternità delle finestre
a volute, […] forzato l’asse vestibolo-altare e rimanipolato tutto lo spazio
con gli invadenti rivestimenti vanvitelliani, […] il verdetto sembra peren-
torio: non c’è più nulla di Michelangiolo. 24

Già a partire proprio dai contemporanei le critiche all’intervento in S. Maria degli


Angeli non erano mancate, anzi è proprio in occasione di un lusinghiero commento
da parte del Papa Benedetto XIV verso l’opera di Vanvitelli nella Certosa in con-
fronto a Fuga per Santa Maria Maggiore 25, che l’ambiente filo-fiorentino di Roma
scatena la campagna demonizzatrice verso l’opera dell’architetto.
Un giudizio obiettivo può maturare dalla considerazione che dell’opera di Miche-
langelo non è rimasto praticamente nulla di apprezzabile, se non le scelte di impianto

19
Cfr. C. BOZZONI, op. cit., pp. 285-292.
20
Cfr. Lidia CANGEMI, L’intervento nella chiesa di santa maria degli angeli a roma, in Luigi Van-
vitelli. 1700-2000 a cura di Alfonso GAMBARDELLA, edizioni Saccone s.p.a., San Nicola la Strada 2005,
p. 92.
21
Cfr. C. BOZZONI, op. cit., p. 285.
22
Ibidem.
23
Cfr. Herbert SIEBENHÜNER, S. Maria degli Angeli in Rom, in «Muncher Jahrbuch der bildenden
Kunst», Dritte Folge Band 6, Prestel, Munchen 1955.
24
Cfr. Bruno ZEVI, Pretesti di critica architettonica, Einaudi, Torino 1983, p. 83.
25
«Il Fuga con molto dispendio aveva di una grande basilica fatto un fienile, e i Certosini con poco
danaro avevano di un fienile fatto una Basilica grandiosa». Commento riportato da Francesco Milizia,
e citato da F. FICHERA, op. cit., p. 67.

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248 Gianluigi de Martino

Fig. 7. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Il vesti-


bolo circolare di accesso alla chiesa.

Fig. 8. Luigi
Vanvitelli. Studio
per il restauro di
S. Maria degli
Angeli. Nel di-
segno è stato ri-
conosciuto (Mat-
thiae, 1965) lo
studio per il pas-
saggio tra il ve-
stibolo circolare
e la navata della
chiesa (da L’eser-
cizio del disegno.
I Vanvitelli, a cura
di Claudio MARI-
NELLI, Leonardo
de Luca Edito-
re s.r.l., Roma
1991)

Fig. 9. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Particolare delle mensole e del motivo con la conchiglia per
l’architrave del vestibolo.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 249

generale 26, mentre sicuramente è ascrivibile a Vanvitelli la gran parte dell’aspetto


della chiesa così come ci si presenta attualmente.
Indubbiamente gli sforzi di rendere spazialmente concluso l’episodio di restauro
della basilica non si sono potuti avvalere ne’ dell’impianto sostanzialmente quadrato
valorizzato da Michelangelo, ne’ della possibilità di operare grandi manipolazioni
delle strutture. La già citata invenzione delle otto colonne in muratura da inserire
lungo l’asse longitudinale per imprimere a questo la giusta dimensione processio-
11 nale di una navata, nonché l’adozione della trabeazione e del cornicione fortemente
aggettante che vuole fornire un elemento di mediazione tra quelli esistenti e quelli di
nuova realizzazione, riescono solo parzialmente nell’intento unificatore del progetto.
13 I segni si moltiplicano non riuscendo a discretizzare la complessità degli spazi etero-
genei tanto da governarli, come pure Vanvitelli riesce altrove e con una naturalezza
quasi inconsapevole della sua maestria.
L’aspetto maestoso presente ancora oggi nella chiesa di S. Maria degli Angeli
è quindi forse da attribuire più alla sopravvivenza dell’organismo realizzato sotto
Diocleziano che non alle successive riconfigurazioni, aspetto forse non involontaria-
14, 16 mente lasciato trasparire anche da Vanvitelli.

Il palazzo Reale di Napoli


Nel luglio del 1753 Luigi Vanvitelli, già impegnato nelle prime fasi della realiz-
zazione della reggia di Caserta, riceve da Carlo di Borbone, del quale ha evidente-
17 mente conquistato la fiducia, un delicato e prestigioso incarico.
Il sovrano chiede all’architetto, attraverso il Principe di Francavilla, di visitare «il
Palazzo [Reale] di Napoli il quale patisce infinitamente» 27 ed inoltre di «ritrovare
il modo per l’abitazione delli Reali Infanti, mentre questa non vi è ed il Re o dovrà
totalmente abandonare questo Palazzo di Napoli, ovvero converrà ritrovare ripiego
a questa necessità» 28.
Pochi giorni dopo Vanvitelli esegue un accurato sopralluogo presso il Palazzo,
riscontrando che «dalla parte della piazza [...] s’infrangono le pietre delli pilastri
del portico che lo sostiene» 29. L’architetto che ritiene di non potere «nulla fare di
proposito senza che abbia prima la pianta generale», si rende peraltro conto da subito
della complessità della situazione prevedendo che «si dovrà parimente risarcire varie
cose, le quali stanno in grado pericoloso» 30.
La ristaurazione del palazzo, insieme con le trasformazioni necessarie a realiz-
zare gli appartamenti principeschi, sono compiti per i quali il Vanvitelli si ritiene
«troppo onorato» della fiducia accordatagli 31 e che desidera portare a compimento
con rapidità ed efficacia, viste le aspettative e l’interessamento diretto del sovrano.
È per questo tra l’altro che nomina, su invito stesso del re, un suo sostituto di fidu-
cia, il genero Francesco Sabatini, in modo che l’intervento sul palazzo possa essere
accuratamente seguito durante tutte le fasi nelle quali egli si trova a sovrintendere la
fabbrica casertana 32.
Il progetto per la restaurazione della facciata, che dovrà essere eseguito «ad eco-
nomia, come quello di Caserta» 33, viene presentato ai sovrani nel mese di settem-

26
A tale proposito si veda il saggio di A. Pane su questo stesso volume.
27
La notizia è riportata, come la gran parte di quelle relative al restauro del palazzo reale napole-
tano, in una delle lettere di Luigi Vanvitelli al fratello (datata 14 luglio 1753), cfr. F. STRAZZULLO, op.
cit., p. 239.
28
Ivi, p. 240.
29
Cfr. Lettera del 16 luglio 1753, ivi, p. 245.
30
Cfr. Lettera del 31 luglio 1753, ivi, p. 246.
31
Cfr. Lettera del 7 agosto 1753, ibid.
32
Ibid.
33
Cfr. Lettera del 18 settembre 1753, ivi, p. 264.

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250 Gianluigi de Martino

Fig. 10. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Vista del transetto con le ampie volte a crociera.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 251

Fig. 11. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. La navata verso l’abside.

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252 Gianluigi de Martino

Fig. 12. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Particolare di una delle colonne addossate
fatte realizzare in muratura ad imitazione del granito di quelle esistenti.

Fig. 13. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Il cornicione fortemente aggettante usato
da Vanvitelli come elemento unificatore delle colonne da lui fatte realizzare con quelle an-
tiche.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 253

18 bre, ottenendo la loro approvazione. Prima di procedere alla sua realizzazione, che
prevede la tamponatura alternata di otto delle campate dello schema elaborato origi-
20 nariamente da Domenico Fontana 34, Vanvitelli fa eseguire opportunamente alcuni
sondaggi, per verificare lo stato delle fondazioni.
Il palazzo risulta in effetti «fondato sopra terreno molle, onde converrà rifondarlo
tutto, e sarà un’opera di qualche riguardo - dice Vanvitelli- per la massima difficoltà
di farlo» 35; ulteriori indagini rivelano inoltre che proprio in corrispondenza dell’ap-
partamento reale «il terreno [è] tanto fragile che con la punta della scarpa si solleva
e vi immerge» 36.
Vanvitelli, col consueto pragmatismo, si preoccupa sia che «questo affare è di-
venuto molto serio» 37, sia del fatto che «sarà similmente dispendioso ancora» 38
inducendolo a domandarsi quale sarà il «quid ad me?» 39. L’architetto sceglie quindi
accuratamente le maestranze che eseguiranno i lavori, e fa realizzare in corrispon-
denza della facciata sulla piazza profonde sottofondazioni «a circa trenta palmi sotto
li fondamenti antichi per ritrovare il sodo del Palazzo di Napoli, il quale in buon
linguaggio sta in aria» 40.
L’intervento risulta efficace e Vanvitelli, che visita spesso il cantiere napoletano
pur risiedendo stabilmente a Caserta, ne è decisamente soddisfatto 41, tenendo co-
stantemente al corrente la corte, molto interessata al procedere delle operazioni e
desiderosa di ristabilirsi al più presto nella reggia napoletana 42. A meno di un anno
dall’inizio del restauro le lavorazioni sulla facciata sono già in fase di ultimazione
e rimane soltanto da «incollare la volta del Portico interiore, che farà da ottimo ac-
compagnamento» 43.
A ben vedere il consolidamento e le operazioni riguardanti le strutture appaiono,
anche per lo spazio dedicatogli nella corrispondenza, come gli elementi preponde-
ranti nella descrizione, e forse quelli ritenuti più significativi, di tutta la vicenda
da parte del Vanvitelli, tanto da meritare ulteriori cenni ancora nel 1755, quando il
Nostro riferisce al fratello di interventi di consolidamento resisi necessari su alcune
colonne della facciata 44.
Gli intenti e gli esiti formali dell’intervento vengono, invece, esposti in maniera
molto più sintetica in un paio di occasioni.
Nell’aprile del 1754, quando le otto tamponature che ospitano nicchie riquadrate
in piperno sono già in fase avanzata di realizzazione, Vanvitelli accenna significa-
tivamente al fatto che l’opera in esecuzione «riesce assai bene tanto che pare fatta
dal suo primo autore» 45; ed ancora scrive che «il risarcimento del Palazzo viene
benissimo e l’avere introdotta la nicchia dentro agli archi, che alternativamente si
chiudono, la quale si unisce senza caricatura col rimanente dell’architettura, fa a
meraviglia bene anzi gli accresce un ornamento molto decoroso» 46.
34
Si ricordi che analoga soluzione di tamponatura alternata delle campate aperte, Vanvitelli la pro-
pone anche per risolvere problemi di dissesto per il palazzo Orsini di Gravina, progetto al quale venne
preferita l’apposizione di catene metalliche, per contenere le spinte evidentemente esercitate dalle volte
del cortile interno.
35
Cfr. Lettera del 26 ottobre 1753, ivi, p. 274.
36
Cfr. Lettera del 26gennaio 1754, ivi, p. 306.
37
Ibid.
38
Ibid.
39
Ibid.
40
Cfr. Lettera del 1 febbraio 1754, ivi, p. 309.
41
Si vedano in particolare le lettere del mese di marzo 1754, ivi, pp. 309-313.
42
Nella lettera del 19 marzo Vanvitelli riferisce che Carlo di Borbone, pur di rientrare al più presto
nel palazzo, non si cura della presenza del cantiere e dei disagi derivanti da tale situazione, ivi, p. 317.
43
Cfr. Lettera dell’11 giugno 1754, ivi, p. 329.
44
Cfr. Lettere del 9 maggio e dell’8 novembre 1755, ivi, rispettivamente alle pp. 424 e 485.
45
Cfr. Lettera del 2 aprile 1754, ivi, p. 324.
46
Cfr. Lettera del 6 aprile 1754, ibid.

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254 Gianluigi de Martino

Fig. 14. Roma. Basilica di S. Maria degli Angeli. Fig. 15. Bruno Zevi. Gli schemi delle differenti situa-
Una delle crociere della volta del tepidarium. zioni della basilica di S. Maria degli Angeli con le fasi
di Michelangelo (in basso) e Vanvitelli (in alto) (da
Bruno ZEVI, Pretesti di critica architettonica, Einaudi,
Torino 1983).

Fig. 16. Roma. Esterno del complesso di S. Maria degli Angeli, con le strutture ancora leg-
gibili delle terme di Diocleziano.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 255

Fig. 17. Napoli. Palazzo Reale. Il prospetto sul quale interviene Vanvitelli. (da R. DI STEFA-
NO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifiche italia-
ne, Napoli 1973).

Fig. 18. Luigi Vanvitelli. Prospetto per il conso- Fig. 19. Napoli. Palazzo Reale. Una delle nuove
lidamento del Palazzo Reale di Napoli, (da da R. campate murate su progetto di Vanvitelli con l’al-
DI STEFANO, Luigi Vanvitelli ingegnere e restaura- leggerimento della nicchia, nella quale in seguito
tore, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifiche ita- vengono posizionate statue di proporzioni ecces-
liane, Napoli 1973). sive.

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256 Gianluigi de Martino

Ad un esame appena accurato, il paramento “nuovo” risulta avere caratteristiche


morfologiche e cromatiche abbastanza differenti da quello di Fontana: i laterizi im-
piegati ancorché affini come materiale, appaiono diseguali sia per dimensioni che
per colore, e di conseguenza anche i giunti di malta tra i corsi, oltre che di compo-
sizione apparentemente diversa, sono prodotti da regole di un’arte nata in secoli di-
stanti tra loro. Ciò che però risulta degno di nota è l’intento programmatico da parte 21
dell’architetto di conformarsi quanto più possibile all’opera esistente; atteggiamento
ancor più stupefacente proprio perché proviene dalla stessa persona che si è servita
strumentalmente di ogni occasione di ‘restauro’, per proporre la ‘sua’ architettura,
spesso anche in critico contrasto con le mode imperanti e già rivolta a quel rigorismo
che cominciava a pervadere l’arte e segnatamente l’architettura italiana.
Non meraviglia quindi che nella celebre descrizione che Vanvitelli propone dei
momenti salienti della sua carriera compresi tra il 1726 e il 1765 egli descriva il
restauro della facciata del palazzo Reale in questi termini: «In Napoli ho Restaurato
la facciata del palazzo reale la quale era cadente, con archi chiusi e nicchie, che sem-
brano fatte sin dal principio della Edificazione» 47. 19

La ricostruzione della chiesa dell’ Annunziata


Interessa ora soffermarsi su un intervento di Vanvitelli che non puo definirsi pro-
priamente di restauro, ma piuttosto quale rifacimento quasi totale di una chiesa del
XVI secolo realizzata dall’architetto Manlio che era stata gravemente danneggiata
da un incendio: la chiesa dell’Annunziata, la maggiore del Settecento napoletano.
Scrive Roberto Pane nel secondo volume del Centro antico di Napoli: «Una
moderna valutazione critica dell’opera vanvitelliana non dovrà tacere degli accor-
gimenti adottati dall’autore per inserire i superstiti ambienti accessori della chiesa
cinquecentesca nel nuovo organismo». Pertanto la brillante soluzione progettuale
dell’architetto che tiene conto delle preesistenze nella realizzazione di un nuovo
spazio, rientra a pieno titolo nella problematica della conservazione e dell’incontro
antico nuovo.
«Mentre la continuità delle grandi colonne marmoree – scrive ancora Pane – at-
tribuisce senso unitario alla prospettiva interna, si hanno in realtà due spazi: il
primo, con archi e cappelle ai due lati, come si vede in tante chiese napoletane del
cinquecento e, in forma costante, in quelle dell’età della Controriforma, sebbene
in assai più modesti rapporti; il secondo spazio accoglie insieme la cupola e il
presbiterio» 48.
Consultando la cartografia storica della città di Napoli, e più precisamente nella
mappa del duca di Noja, al n. 186 è indicato «Chiesa, Conservatorio, Ospedale e Ban-
co di S. M. dell’Annunciata in dove si raccolgono gli esposti...» e, nella didascalia di
Carletti, da collocarsi quindi tra il 1760 e il 1775, data di pubblicazione della mappa,
si legge: la chiesa «da un incendio consumata è stata ai dì nostri riedificata».
Nel 1775, in realtà, era già stata ricostruita la chiesa, ma ad essa mancavano però
la cupola e la facciata. Nel 1773, infatti, alla morte di Luigi Vanvitelli, subentrò
nell’opera il figlio Carlo, che si preoccupò di completare l’edificio sacro seguendo
esattamente i disegni del padre e avvalendosi molto probabilmente delle maestranze
che già stavano lavorando sulla chiesa. C’è da aggiungere che tutti e due i figli di
Luigi – Carlo e Pietro – avevano seguito tutto il cantiere fin dall’inizio e, secondo
quanto risulta dalle lettere di Vanvitelli al fratello Urbano, sostituivano il padre in
cantiere ogniqualvolta questi si assentava per ragioni di salute 49.

47
Cfr. Archivio Storico Napoletano, Autografo di L. V., cit.
48
Cfr. Il centro antico di Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1971, p. 428.
49
Cfr. tra le altre la lettera del 19 luglio 1760 n. 766, da F. STRAZZULLO, op. cit., II, p. 553, nella qua-
le scrive che, essendo malato, «furono ambedue i figli con Collecini a piantare un pilone con zoccoli,
colonne e basi della chiesa della Santissima Nunziata, e tutto è riuscito assai bene».

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 257

Fig. 20. Veduta della Reggia di Napoli (dal BARRIONUEVO, Panegyricus, Napoli, 1616, in Alfonso MIOLA, La
facciata della Reggia di Napoli, in «Napoli Nobilissima», fasc. 1° e 2°, gennaio-febbraio 1892).

Fig. 21. Napoli. Palazzo Reale. Particolare del prospetto. Confronto tra un paramento murario esistente prima
dell’intervento e quello realizzato da Vanvitelli.

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258 Gianluigi de Martino

Riassumiamo qui le principali vicende della storia del “restauro” della chiesa
dell’Annunziata condotto da Vanvitelli e sul quale molto è stato scritto da autore-
voli storici dell’architettura (Pane, Venditti) cercando di soffermarci maggiormente
sui problemi costruttivi affrontati nel corso dell’opera e documentati sia nel ricco
epistolario dell’architetto, sia in un contratto (Istrumento) stipulato tra i Governatori
della Casa Santa dell’Annunziata e il ‘Capomastro fabricatore’ Giuseppe de Simone
in data 7 febbraio 1760 50.
Il 24 gennaio 1757, dunque, la chiesa edificata da Ferdinando Manlio tra il 1513
ed il 1540 in sostituzione di una fabbrica angioina, si incendiò. «A giudicare dai resti
del fianco che affaccia sul cortile della casa dell’Annunziata, la ricostruzione del-
l’omonima chiesa, compiuta nella prima metà del Cinquecento, è da indicare come
uno dei più vasti programmi che si realizzano a Napoli, a partire dal primo ventennio
del Cinquecento» 51 scrive Roberto Pane e ancora riguardo ai resti cinquecenteschi:
«Sul basamento, alto circa quattro metri, si riconoscono i resti di lesene scanalate e
baccellate, con una fascia di contorno che inquadrava i fondali» 52. A rendere ancora
più interessanti le osservazioni possibili sulla stratificazione della fabbrica, è proprio
una lettera di Vanvitelli al fratello Urbano del giorno 5 agosto 1758. In questa so-
stiene di aver ritrovato nello scavo i resti della fabbrica della regina Giovanna II che
«rifabricò la detta Chiesa da fondamenti, la quale precedentemente nel 1300 fu eretta
dalla Pia Regina Sancia, moglie del Gran Re Roberto» 53.
Il danno provocato dall’ultimo incendio fu notevole in quanto comportò la distru-
zione della copertura della chiesa e di parte delle opere in muratura. Rimasero integri
la sacrestia, la cappella Carafa e quella del tesoro oltre all’ospedale e al conservato-
rio dove venivano lasciati nella ‘ruota’ degli esposti i figli illegittimi o abbandonati
da famiglie indigenti. Si trattava ovviamente di una istituzione di grande valore,
sotto la tutela del re, pertanto i Governatori della Santa Casa, dopo avere comunicato
al sovrano i danni subiti dal complesso, convocarono i migliori architetti del tempo
per sanare i danni della chiesa distrutta.
Si trattava, oltre a Luigi Vanvitelli, di Ferdinando Fuga, Mario Gioffredo, Giu-
seppe Pollio, Nicola Tagliacozzi Canale, Carlo Bibiena, Giuseppe Astarita e Co-
stantino Manni «architetto del loco». Nella riunione Vanvitelli – secondo quanto
lui stesso scrive al fratello il 15 marzo 1757 54 - occupa il posto d’onore a destra
del duca di Marsico Lagnì e, a conclusione dell’incontro, esprime il proprio parere
«che fu di farvi la volta sopra, previa le mura di speroni da doversi adattare per
rinforzo, che la Chiesa benché di cattiva simetria, non ostante senza venire alla
demolizione di nessuna parte, si puoteva manierare a cosa ragionevole» 55; ritie-
ne che sarebbe troppo dispendioso restaurare tutti gli arredi e gli oggetti mobili
che erano stati danneggiati dal fuoco, mentre suggerisce di concentrarsi sulla sola
chiesa «mentre con memorie ed iscrizioni si puoteva compensare nella rinovazione
della medesima...»
Gli autorevoli architetti presenti alla riunione, dopo avere esaminato il problema
del restauro della chiesa, si divisero in due gruppi con opinioni differenti: Astarita,
Pollio e Gioffredo erano del parere di rifare il tetto con una finta volta «di canne o di
cerchia», Manni, Canale, Fuga e lo stesso Vanvitelli invece suggerirono una ‘lamia’

50
Cfr. Archivio di Stato di Napoli, Opere Pie-Casa dello Spirito Santo, Fascio 48, foll. 465-471 v.
51
Cfr. R. PANE, Il rinascimento nell’Italia meridionale, Edizioni di Comunità, Milano 1977, II, pp.
255-256.
52
Ibidem.
53
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit., II, p. 257, nota 585.
54
Ivi, n. 450 (15 marzo 1757), pp. 40, 41.
55
La coincidenza tra le figure di architetto e di ‘restauratore’ in questo caso è lampante, con Van-
vitelli che si preoccupa di assicurare le strutture rimaste senza copertura e di rinforzarle in previsione
di qualsiasi altro intervento. Su questo aspetto della personalità dell’architetto cfr. R. DI STEFANO, Luigi
Vanvitelli, cit, pp. 171-246.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 259

(volta in muratura), soluzione che fu gradita al sovrano 56. Del primo progetto di
Vanvitelli resta un solo disegno sul quale dovette esprimersi una nuova commissio-
ne. Astarita, che faceva parte anche di questa, ritornò sulla necessità di fare una volta
finta in quanto, per realizzare il disegno presentato da Vanvitelli si sarebbe dovuta
sostituire buona parte della murature, attuando così un vero e proprio rifacimento 57.
Tra il marzo e l’agosto del 1757, Vanvitelli si reca a prendere misure nel tempio
incendiato e, avendo nel frattempo il re richiesto alla Deputazione di assegnare l’in-
carico solo a Vanvitelli, prepara il disegno per l’Annunziata per la quale «non ristau-
razione, ma volendo gettare a basso tutto vogliono fare rinovazione» 58.
Il ‘deputato Nobile della Nunziata’ notifica dunque a Vanvitelli che si vuole una
chiesa totalmente nuova. Questi dimostra il suo compiacimento e si preoccuperà «di
fare un disegno alquanto bizzarro» 59.
Ma nell’ottobre 1757 – sempre secondo quanto scrive al fratello – evidentemente
sussistono ancora delle incertezze in quanto non si era ancora stabilito «o se debbesi
restaurare o rinnovare. Il Re ordinò che si restaurasse e non si rinnovasse, perché
non vi erano i fondi da intraprendere spesa» 60. L’architetto intende dunque per ‘re-
stauro’ il completamento dell’edificio e per ‘rinnovazione’ il suo rifacimento dalle
fondamenta.
Vanvitelli era più propenso al rifacimento, appoggiato in questo dai Governatori
che contemporaneamente cercavano di dimostrare al re che si sarebbero potuti pro-
curare i fondi necessari. Finalmente il 7 aprile 1758 Vanvitelli ottenne l’incarico con
il mandato più ampio in quanto il sovrano diede ordine che «si riedificasse la chiesa,
ponendo in opera il disegno di miglior gusto dell’antico» 61.
Nell’agosto dello stesso anno viene ultimato il disegno che verrà mostrato al re
22 e molto apprezzato anche dalla regina. L’architetto stesso è particolarmente soddi-
sfatto dal suo progetto, tanto che scrive: «Credo che nell’angustia del sito io abbia
ritrovato tutto quel grande che puoteasi ritrovare» 62, facendo riferimento alle pro-
porzioni monumentali della fabbrica che è riuscito ad ottenere nonostante le ridotte
dimensioni delle aree su cui la chiesa si affacciava già all’epoca, nonché ai vincoli
imposti dal complesso cinquecentesco.
Verso la fine del 1758 si cominciò a demolire ciò che rimaneva della chiesa vec-
chia e, nel 1760, finita la demolizione, ebbero inizio le opere di fondazione del nuo-
vo tempio, la realizzazione delle quali comportò non pochi problemi, a causa della
presenza di acqua per una profondità di circa 26 palmi. Per fondare i piloni che a
chiesa ultimata sorreggeranno la cupola, si è dovuto non solo estrarre l’acqua «me-
diante le trombe delle navi», ma anche, «palizzare con pali di quercia il pilone della
Cupola» 63.

56
Sull’argomento cfr. l’interessante saggio di F. LICENZIATI, Disegni e manoscritti inediti del
Vanvitelli per la chiesa dell’Annunziata in Napoli, in La Facoltà di Architettura di Napoli, Napoli
MCMXXIX-MCMLIX, ivi 1959, pp. 381-387, che riporta in nota riferimenti dei documenti consultati.
Tale testo è stato poi ripreso da Arnaldo VENDITTI, L’opera napoletana di Luigi Vanvitelli, in Luigi
Vanvitelli, cit., pp. 99 - 167.
57
Ivi, p. 382.
58
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit. II, n. 485 (9 agosto 1757), p. 99.
59
Ivi, n. 489 (23 agosto 1757), p. 106.
60
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit. II, n. 507 (Caserta 28 ottobre 1757) pp. 128- 130.
61
Cfr. A. VENDITTI, L’opera napoletana, cit., p. 148, riproposto in A. VENDITTI, Il sincretismo nella
poetica vanvitelliana: Luigi Vanvitelli e la chiesa della SS. Annunziata in Napoli, in Luigi Vanvitelli e
la sua cerchia, a cura di Cesare DE SETA, Electa, Napoli 2000, p. 84.
62
Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit. II, n. 584 (2 agosto 1758), pp. 254- 256.
63
Per dare idea della cronologia degli eventi e anche della cura e della tensione che segnano questa
parte della direzione dei lavori, riportiamo qui gli estratti da alcune lettere del ricco epistolario vanvi-
telliano.
«16 febbraro 1760. Si sono poste le mani alla fabrica della Nunziata a sbarazzare e profondare uno dei piloni
della Cupola, a corum Epistule, ove poneranno la prima pietra il giorno 9 di Marzo» Cfr. F. STRAZZULLO,
op.cit., II, n. 717, pp. 472-474.
«31 maggio 1760. Sono stato alla Nunziata, ove quantunque siasi scavato molto il terreno sotto acqua, non

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260 Gianluigi de Martino

Come è noto Vanvitelli, per consentire le celebrazioni liturgiche durante i lavori


di costruzione della nuova chiesa edificò una rotonda sottostante, che sarebbe risul-
tata in asse con la cupola, una volta ultimati i lavori per il tempio superiore.
Un contratto con il “Capo Mastro fabricatore” Giuseppe de Simone viene stipu-
lato dai Governatori della SS. Casa dell’Annunziata il 7 febbraio 1760, per la co-
struzione della nuova chiesa 64. Da tale documento si evincono non solo i materiali 26
da utilizzare per la costruzione, ma anche alcune delle cosiddette ‘regole dell’arte’
nonché i costi attribuiti alle diverse lavorazioni. Ad esempio si doveva «misturare
la calce con un terzo di pozzolana de foco, ò sia della Torre, un terzo di pozzolana
del Paese, ed un’altra terza parte, mettà di taglime e mettà d’arena». Le costruzioni
fuori terra «dal pian de zoccoli de fondamenti, sino all’altezza dell’intero edificio»
(90 palmi) sono di sole pietre, di soli mattoni sono i pilastri, le colonne, gli archi. È
prevista anche la muratura mista di pietre e mattoni «cioè una pietra e tre mattoni
cantoni, ò pure una pietra e due mattoni grossi di pietra» 65, così pure il magistero
dello scuci e cuci. La ‘lamia’ della nave maggiore, il coro, la tribuna e la cupola ver-
ranno realizzati con pietre pomici che, secondo quanto verrà ordinato dall’architetto,
saranno di Ischia o di Pollena.
Per quanto riguarda i materiali da costruzione, come già osservato, Vanvitelli
dimostra una grande esperienza e conoscenza tecnica nello scegliere quelli più
idonei sia per una diversa funzione resistente, sia per la lavorabilità. Spesso si reca
nelle cave o in località specifiche per individuare i materiali lapidei che potranno
servirgli anche per i rivestimenti 66. Per l’Annunziata usa il marmo di Carrara,
la ‘breccia di Serravezza’ e il bardiglio 67. Ma ciò che impegna l’architetto è la 24
scelta delle colonne di marmo che «ritardaranno l’avanzamento della Chiesa, la
quale per altro viene nobilissima e fuori d’ogni consuetudine in Napoli; il progetto
presente è di fare li quattro piloni, la crociera e la tribuna, che contiene tutto 28
colonne» 68. 25
Il costo di quella parte della fabbrica, tralasciando la parte della navata, contras-
segnata nel disegno con la lettera A, ammonta a dodicimila ducati. Naturalmente vi 23
sono diverse offerte economiche per la fornitura e posa in opera delle colonne, «le
quali sono di diametro quasi palmi 4 1/2 di misure Romane, e palmi 36 1/2 di altezza;
non sono piccole machinette, in 3 pezzi, per il prezzo di ducati quattrocento monete
di Napoli, scannellate, allustrate a specchio» e per le quali lo scalpellino deve fare un
prezzo comprensivo anche della sua assistenza alla posa in opera e del «piombo fra

ostante tutto, è molle e fangoso. Sicché conviene palizzare questo pilone; degli altri lo vedremo in appresso»
Ivi, n. 750, pp. 425- 426.
«3 giugno 1760. Conviene palizzare con pali di quercia il pilone della Cupola della Chiesa della Nunziata,
ove avendo scavato il terreno per 12 palmi sotto acqua, ci vogliono altri 14 palmi per ritrovare il sodo, e per-
ciò conviene palificare con della quercia». Questo inconveniente ritarderà i lavori ma occorre fare così «se si
vorrà la fabrica forte e durevole». Ivi, n. 751, pp. 526- 527.
«Napoli 17 giugno 1760. Questa mattina, per grazia di Dio, si è incominciato a fabbricare il primo pilone
della Chiesa della Nunziata, ove mediante cinque bravissime trombe dei Vascelli da Guerra ò potuto vincere
la copiosa acqua, di modo che si fabbrica all’asciutto e con sollecitudine». Ivi, p. 534, nota 755.
«N. 21 giugno 1760. Si è fondato un pilone alla Nunziata e sollevato sopra terra con felicità, mediante le
trombe delle Navi, che ànno scaricato le abbondantissime acque sorgenti, dopo le quali ò ritrovato il terreno
sodo, sopra cui si è fondato». Ivi, n. 756, pp. 535-536.
64
Archivio di Stato di Napoli, doc. cit.
65
Per la descrizione di questa muratura listata nella chiesa dell’Annunziata, cfr. Luigi GUERRIERO,
Apparecchi murari in laterizio dell’età moderna, in Murature tradizionali napoletane: cronologia dei
paramenti tra il XVI e il XIX secolo, a cura di Giuseppe FIENGO e L. GUERRIERO, Arte Tipografica, Napoli
1999, p. 326, nota 126.
66
Cfr. R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli, cit., pp. 171- 172.
67
«N. 15 sett. 1760. Si tira avanti la Chiesa della Nunziata, si comincian a piantare li zoccoli di
bardiglio sopra di un pilone». Cfr. F. STRAZZULLO, op.cit., II, n. 789, pp. 591-592.
«N. 23 dic. 1760. Si va tirando avanti la Nunziata, nella quale già si sono inalzati due piloni, vi si
sono poste le basi di marmo di Carrara, alle quali gli ho posto un sottozoccolo di breccia di Serravezza
e poi il zoccolo alto di bardiglio, che fa uno spicco grandissimo insieme col piantato», Ivi, n. 824, pp.
643-645.
68
Ivi, n. 837 (14 febbraio 1761), p. 662.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 261

Fig. 23. Luigi Vanvitelli. Schizzo della pianta della


chiesa dell’Annunziata nella lettera 837 (da Fran-
co STRAZZULLO, Le lettere di Luigi Vanvitelli della
Biblioteca Palatina di Caserta, Congedo, Galatina
1976).
Fig. 24. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. Partico-
lare dello zoccolo e della base di una colonna. In
evidenza la scelta accurata dei materiali lapidei da
parte di Vanvitelli.

Fig. 22. Luigi Vanvitelli. Pianta autografa della


chiesa dell’Annunziata (coll. Busiri Vici, da Arnal-
do VENDITTI, L’opera napoletana di Luigi Vanvitel-
li, in Luigi Vanvitelli, Edizioni scientifiche italiane,
Napoli 1973).

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262 Gianluigi de Martino

un pezzo e l’altro» 69. Nascono, a proposito delle offerte una serie di questioni, tanto
che Vanvitelli pensa che «converrà fare le colonne di fabrica» 70.
A partire da luglio però, cominceranno ad arrivare le colonne di marmo di Carra-
ra. Alla fine di agosto del 1761, sotto un pilone della cupola, nello scavo, Vanvitelli
si imbatte in un antico colombaio con celle sepolcrali e ancora scrive al fratello che
«questo ritrovamento puotrà dare qualche moto a questi pedanteschi antiquarii, di
cui ne abbonda la piazza» 71. Dimostra quindi una scarsa sensibilità nei confronti
dei reperti archeologici, che invece fino ai primi decenni dell’Ottocento attirerà i
viaggiatori stranieri che giungevano in Italia. Basti citare ad esempi Gregoire Orloff,
senatore dell’impero di Russia, che a Caserta viene attratto maggiormente dai resti
antichi conservati in un deposito che dalla magnificenza dei palazzi; così scrive:«È
così che a Caserta cercai e trovai il deposito dei monumenti che furono così larga-
mente impiegati nel palazzo. La vista di questo grande magazzino che non viene
mostrato agli stranieri mi interessò molto di più e mi lascerà molti più ricordi dei
miracolosi palazzi, dei suoi numerosi parchi e giardini, delle sue numerose fittizie
cascate» 72.
Nel settembre 1761 si comincia quindi a tirare su la prima colonna di marmo,
costituita da tre pezzi scanalati, avvalendosi di un ‘Castello’ che ostacola anche la
realizzazione della copertura del ‘succorpo’. Per eseguire il tiro Vanvitelli fa anche
venire da Caserta degli operai impegnati negli altri cantieri, «non essendo capaci
questi Napoletani di farlo» 73. 27
«Nella chiesa superiore, pur adeguandosi allo sviluppo longitudinale dell’area,
che imponeva una pianta basilicale fortemente allungata, Vanvitelli tende a conferire
il massimo valore all’elemento centrale della cupola: ciò allo scopo di eliminare,
non tanto la veduta a grande distanza dell’altare e dell’abside [...] quanto invece un
eccessivo numero di cappelle lungo la navata unica» 74. Ed è proprio la cupola, che
svolge all’interno, con le fasce binate e i lacunari stellati, un disegno di grande ori-
ginalità, e che domina il profilo cittadino dall’esterno sull’alto tamburo con aperture
alternate di diverse dimensioni, uno degli elementi caratterizzanti il monumento. 28
A partire dal 1766, cominciarono le polemiche e le discussioni con gli ammini-
stratori della Santa Casa dell’Annunziata che proponevano, per motivi di economia,
di modificare il progetto di Vanvitelli, sostituendo alla cupola un catino. L’architetto,
come del resto era da aspettarsi, non aderì alla proposta e anzi nel 1769 rinunciò
all’incarico, che fu affidato a Mario Gioffredo 75. Ma nel 1771 fu richiamato proprio
per la costruzione della cupola. Vanvitelli accettò l’incarico dimostrando con una re-
lazione tecnico - economica 76 che la differenza di spesa tra la costruzione della cu-
pola e del catino era tale da non giustificare uno stravolgimento del progetto iniziale,
essendo la cupola parte integrante dell’opera ed elemento che conferiva all’insieme
il miglior risultato architettonico.
Alla sua morte, nel 1773, la cupola non era stata ancora iniziata e l’anno seguente
ne fu intrapresa la costruzione sotto la direzione del figlio Carlo che la completò,
insieme alla facciata, nel 1782 77. 29
69
Ivi, n. 840 (24 febbraio 1761), p. 670.
70
Ivi, n. 850 (28 marzo 1761), p. 683.
71
Ivi, n. 891, n. 892 e n. 896, p. 662 (Lettere del 25 e 26 agosto e dell’8 settembre 1761).
72
Cfr. Gregoire ORLOFF, Mémoires historiques, politiques et literaires sur le Royaume de Naples.
Ouvrage orné de deux cartes geographiques. Par Gregoire Orloff ; publié avec des notes et additions
par Amaury Duval, Chausseriau et Hecart, Parigi 1819 - 1821, pp. 370- 371.
73
Cfr. F. STRAZZULLO op.cit., II, n. 900, p. 752 (Lettera del 22 settembre 1761). Per la descrizione
della macchina per sollevare le colonne, cfr. R. DI STEFANO, Luigi Vanvitelli, cit., p. 172 (con disegno).
74
Cfr. A. VENDITTI, Il sincretismo, cit., p. 85.
75
Cfr. F. LICENZIATI, Disegni, cit., p. 387 e nota 10.
76
Ibidem, nota 11.
77
Per un breve accenno a quest’opera di Carlo Vanvitelli cfr. A. VENDITTI, Carlo Vanvitelli da col-
laboratore ad epigono dell’arte paterna, in Luigi Vanvitelli e il 700 europeo, II, cit., p. 153.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 263

Fig. 25. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. L’interno della chiesa verso l’abside.

Fig. 26. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. Il succorpo progettato da


Vanvitelli per continuare ad officiare durante i lavori di costruzione
della chiesa.

Fig. 27. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. Le colonne scanalate e


baccellate realizzate in tre rocchi di marmo di Carrara.

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264 Gianluigi de Martino

Fig. 28. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. L’esterno della cupola (da Franco STRAZZULLO, Le
lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, Congedo, Galatina 1976).

Fig. 29. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. L’interno della cupola.

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Aspetti della cultura del restauro nel secondo settecento nell’opera di Luigi Vanvitelli 265

Fig. 30. Napoli. Chiesa dell’Annunziata. La navata della chiesa verso l’ingresso.

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1 Verso una storia del restauro
Dall’età classica al primo Ottocento
a cura di Stella Casiello
STELLA CASIELLO è professore ordinario di Restauro L’obiettivo che inizialmente si voleva raggiungere con questo volume Il presente volume “Verso una storia del restauro.

a cura di Stella Casiello


all’Università di Napoli Federico II, dove insegna Teorie Dall’età classica al primo Ottocento” a cura di Stella
e storia del restauro e Laboratorio di Restauro presso la era quello di fornire agli studenti dei corsi di laurea in Architettura e in
Casiello inaugura la nuova collana “Testi e ricerche
Facoltà di Architettura e Restauro architettonico presso Ingegneria edile-architettura uno strumento didattico relativo alla storia del
la Facoltà di Ingegneria. Coordina il dottorato di ricerca di storia del restauro” della casa editrice Alinea di
restauro prima delle codificazioni ottocentesche. Uno strumento che fosse, Firenze.
in Conservazione dei beni architettonici ed è direttore
della Scuola di Specializzazione in Beni architettonici al contempo, agevole nella lettura e rigoroso sul piano filologico e critico, L’iniziativa, promossa dalla stessa curatrice e da
e del paesaggio della medesima Università. È autrice di corredato da un buon apparato di immagini, idoneo alla comprensione Giuseppe Cruciani Fabozzi, intende venire incontro
numerosi volumi sul restauro architettonico, tra i quali
La cultura del restauro. Teorie e fondatori (1996, 20053), delle articolate vicende che hanno segnato, nei secoli, le diverse fabbriche all’esigenza, sempre più diffusa, di riprendere in
Falsi restauri (1999), Le cupole in Campania (2005), San descritte nel testo, assunte come esempi emblematici dell’evoluzione del esame, nelle sue enunciazioni di principio e nei suoi
Giovanni a Mare. Storia e restauri (2005). corollari di “metodo”, l’impalcato concettuale sotteso
complesso rapporto tra l’uomo e il proprio passato.
alle vicende della disciplina negli ultimi due secoli,
FRANCESCO DELIZIA è docente a contratto di Restauro L’approfondimento dei singoli saggi e l’originalità di alcuni contributi ci con l’intento di fare chiarezza su una materia oramai
urbano presso la Facoltà di Architettura dell’Università di induce tuttavia a considerare il libro degno di interesse anche oltre la semplice soggetta a una crescente deriva semantica, alimentata
Catania.
finalità didattica. A partire dall’antichità classica, gli autori dei diversi saggi dai continui tentativi di “aggiornarne” le finalità e i
GIANLUIGI DE MARTINO è ricercatore di Restauro presso si sono proposti di individuare, nelle diverse epoche, l’atteggiamento degli criteri operativi.
la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli artisti e degli architetti nei confronti delle preesistenze, cogliendo quelle che Assieme alla pubblicazione di saggi monografici e
Federico II. contributi collettanei provenienti da progetti di ricerca
possono considerarsi talvolta anticipazioni dell’approccio metodologico
attivati presso varie sedi universitarie, la collana si
ANDREA PANE è docente a contratto di Teorie e storia del attuale della disciplina, nei suoi risvolti teorici ed applicativi. propone di offrire agli studiosi ed agli allievi dei
restauro presso la Facoltà di Architettura dell’Università
di Napoli Federico II. Nel suo complesso, dunque, il volume si propone quale originale lettura corsi di “Teorie e storia del restauro” una raccolta
interpretativa della prassi del restauro architettonico nell’arco temporale ragionata di testi difficilmente reperibili, per lo più

Verso una storia del restauro


RENATA PICONE è professore associato di Restauro presso compreso tra l’età classica e gli inizi del XIX secolo. apparsi in riviste specializzate, di alcuni fra gli Autori
la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli
che possiamo a ragione considerare fra i protagonisti

Dall’età classica al primo Ottocento


Federico II.
della Scuola Italiana del Restauro.
EMANUELE ROMEO è professore associato di Restauro presso
la II Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.

VALENTINA RUSSO è ricercatore di Restauro presso la Facoltà


di Architettura dell’Università di Napoli Federico II.

EMANUELA VASSALLO ZIRPOLI è dottore di ricerca in


Conservazione dei beni architettonici.
saggi di Stella Casiello, Francesco Delizia,
Gianluigi de Martino, Andrea Pane, Renata Picone,
Emanuele Romeo, Valentina Russo, Emanuela Vassallo Zirpoli

€ 38,00

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