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Filippo Camerota
Filippo Camerota
La prospettiva del Rinascimento
Arte, architettura, scienza

La prospettiva del Rinascimento. Arte, architettura, scienza


Filippo Camerota (1960) ha dedicato la sua carriera nella medesima collana
di studioso alla storia delle “intersezioni” tra arte e scienza,
con particolare riguardo alla storia della prospettiva 1 Adolf Loos e il suo Angelo 11 Empire State Building
rinascimentale. Laureato in architettura presso l’Università Massimo Cacciari 21 mesi per costruire il grattacielo
di Firenze ha insegnato Disegno e Storia dell’architettura più alto del mondo
presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia 2 Il restauro dell’architettura a cura di Carol Willis
prima di ricoprire l’attuale carica di vice direttore vicario contemporanea
dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze. Carlo Scarpa, aula Manlio Capitolo 12 L’antico, la tradizione, il moderno
Renata Codello Da Arnolfo a Peruzzi, saggi
sull’architettura del Rinascimento
3 Delirious New York Arnaldo Bruschi
Rem Koolhaas
13 Architettura della Seconda Età
4 Il Giardino Zen della Macchina
François Berthier Reyner Banham

5 Architettura è 14 Il tempo e l’architetto


Louis I. Kahn, gli scritti Frank Lloyd Wright
Maria Bonaiti e il Guggenheim Museum
Francesco Dal Co
6 Architettura© della tabula rasa©
Due conversazioni con Rem 15 Oswald Mathias Ungers: una scuola
Koolhaas, ecc. a cura di Annalisa Trentin
François Chaslin
16 Inquietudine teorica
7 Pensare architettura e strategia progettuale nell’opera
Peter Zumthor di otto architetti contemporanei
Rafael Moneo
8 Architettura e nulla
Oggetti singolari 17 Le Corbusier e la Spagna
Jean Nouvel / Jean Baudrillard con la riproduzione dei carnets
Barcelone e C10 di Le Corbusier
9 Architettura e disegno Juan José Lahuerta
La rappresentazione da Vitruvio
a Gehry 18 Lettere a Auguste Perret
James S. Ackerman Le Corbusier

10 Architettura e arte dei gesuiti


Irma B. Jaffe, Rudolf Wittkower,
James S. Ackerman, Howard Hibbard,
Francis Haskell, René Taylor,
Per Bjurström, Thomas Culley

Architetti e architetture / 19 in copertina


ISBN 88-370-2119-4 D. Bramante, Santa Maria presso San Satiro,
Milano, finto coro, 1479-82
(foto Giovanni Chiaramonte)

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Architetti e architetture / 19
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A Luise Filippo Camerota

Coordinamento editoriale Questo libro nasce da una traccia elaborata La prospettiva del Rinascimento
Giovanna Crespi in occasione della mostra «Nel segno di
Masaccio. L’invenzione della prospettiva» Arte, architettura, scienza
Redazione (Firenze, Uffizi, 2001-02) curata da chi
Carla Volpi scrive per l’Istituto e Museo di Storia della
Scienza di Firenze.
Progetto grafico La mia gratitudine va, quindi, in primo luogo
Tassinari/Vetta a Paolo Galluzzi, promotore di quell’iniziativa
e prezioso interlocutore scientifico, oltre
Impaginazione che direttore dell’Istituto che ormai da anni
Elisa Seghezzi rappresenta il mio principale luogo di studio
e di lavoro. Un ringraziamento particolare
Coordinamento tecnico va anche a Martin Kemp per il proficuo
Mario Farè scambio di opinioni sulle “questioni di
prospettiva” e per la prefazione che in questa
Controllo qualità
Giancarlo Berti
occasione ha amichevolmente accettato
di scrivere. Il mio profondo riconoscimento
premessa di
va anche agli altri amici e colleghi che nel Martin Kemp
Grafica di copertina tempo hanno contribuito in vari modi alla
Tassinari/Vetta discussione critica dei temi prospettici: Mario
Carpo, Angelo Cattaneo, Alessandro Cecchi,
Ricerca iconografica Francesco Paolo Di Teodoro, Sven Dupré,
Stefania Preti Colonna Giovanni Fara, J.V. Field, Margaret Haines,
Daniela Lamberini, Jeanne Peiffer, Pietro
Roccasecca, Rocco Sinisgalli, Kim Veltman.
Sono inoltre riconoscente a tutto il personale
dell’IMSS, e in particolare a Franca Principe
e Sabina Bernacchini (Archivio fotografico)
per la paziente opera di reperimento delle
fonti iconografiche, a Alessandra Lenzi
(Direttrice della Biblioteca) e Stefano Casati
(Direttore della Biblioteca Digitale) per
la preziosa collaborazione nel reperimento
delle fonti librarie, e a Monica Tassi, Silvia
Paoli, Fabio Corica e Andrea Braghiroli
(Laboratorio Multimediale) per le elaborazioni
grafiche dell’apparato iconografico. Ricordo
con piacere anche l’amichevole partecipazione
di Gianni e Stella Miglietta, appassionati artisti
delle tecniche prospettiche.

www.electaweb.it

© 2006 by Mondadori Electa spa, Milano


Tutti i diritti riservati Electa
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L’occhio e la mano
Martin Kemp

«E misura l’occhio queste quantità Cosa portò all’invenzione della prospettiva lineare? La risposta a questa domanda
con i razzi visivi quasi come con un paio di seste»
L.B. Alberti, De pictura, lib. I, cap. 6, p. 16 apparentemente semplice è stata spesso offuscata dal troppo senno di poi. In effetti
è difficile guardare all’invenzione di Brunelleschi senza lasciarsi imbrigliare dalle sue
successive relazioni con la scienza ottica, con la geometria proiettiva, con la cartografia,
con l’astronomia e con le nuove nozioni di spazio infinito diffuse nel XVII secolo. Il solo
modo legittimo di rispondere alla domanda, tuttavia, è guardare sobriamente alla
situazione del primo Quattrocento, analizzando non solo il corpus delle conoscenze
del tempo ma anche le competenze tecniche dei primi sperimentatori e l’incidenza
che le conoscenze teoriche ebbero nell’ambito concettuale in cui tali artefici operavano.
In tale ambito possiamo individuare almeno quattro componenti significative: 1)
la conquista dell’illusionismo spaziale che andrebbe vista come un fine auspicabile in
rapporto alla funzione delle immagini dipinte; 2) la definizione di procedimenti pittorici
sistematici per il raggiungimento di una tale forma di illusione; 3) la geometria dei
raggi luminosi che definiva le regole proporzionali in base alle quali si poteva misurare
la diminuzione apparente degli oggetti nella loro estensione spaziale; 4) le regole
proporzionali stesse che potevano essere usate per ottenere rappresentazioni otticamente
corrette. Giotto e i suoi successori avevano da tempo gettato le premesse delle
prime due componenti. Il contributo di Brunelleschi consistette in ciò che possiamo
chiamare la “visione dell’architetto”, ossia l’osservazione di come le costanti proporzionali
delle cose viste a diverse distanze potevano essere usate per trascrivere l’apparenza
delle forme su una superficie piana. Egli osservò che se una colonna è vista da vicino,
e appare grande, oppure da lontano, e appare piccola, i rapporti tra le parti costitutive
– base, capitello e cornice – rimangono costanti sia tra loro sia in relazione a qualsiasi
altra cosa collocata alla medesima distanza dall’osservatore. La geniale intuizione
consistette nell’avvedersi che queste costanti non solo erano sempre rispettate, ma i
rapporti tra le diverse apparenze della colonna rispondevano a una legge geometrica
fondata sul semplice principio dei triangoli simili. Fu su questi fondamenti che Brunelleschi
decise di trascrivere la forma apparente del battistero e del palazzo dei Signori sulla
superficie piana delle sue tavolette sperimentali.
La sua intuizione, a mio parere, non sembra venire dall’ottica medievale, che si
occupava piuttosto delle complesse strutture ottiche dell’occhio e degli intricati fenomeni
esterni quali la rifrazione e la riflessione, né dalla cartografia tolemaica, che era
indirizzata alla produzione di mappe prive di illusione, ma da quella disciplina pratica
che usava i triangoli simili come suo fondamento, e cioè il rilevamento architettonico
e topografico. Il cantiere del duomo era depositario di raffinate tecniche di misurazione

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Introduzione
Filippo Camerota
che Brunelleschi sembra aver messo in atto fin da giovane, quando rilevò con Donatello
gli antichi monumenti romani. Fondamentalmente, il rilevamento topografico consiste
nel registrare la dislocazione proporzionale di oggetti lontani su un piano che interseca
la piramide visiva, ossia quell’insieme tridimensionale di triangoli simili formato dai
raggi visivi. Un’intersezione a metà strada tra l’oggetto da misurare e il vertice della
piramide visiva riduce la dimensione apparente dell’oggetto della metà, mentre una
posta più vicina al vertice di un’ulteriore metà riduce l’oggetto (e tutte le altre cose
che si trovano alla stessa distanza) di un quarto, e così via.
I procedimenti pratici tramandati per la misura e il rilevamento topografico affiorano
costantemente nel contesto degli episodi esaminati da Filippo Camerota. La presenza
di artefici attivi come architetti è ricorrente. Ghiberti fu collaboratore di Brunelleschi
nella celebre impresa della costruzione della cupola del duomo (anche se il biografo Una tradizione storiografica ormai consolidata attribuisce alla prospettiva moderna
di Brunelleschi non sembra dargli il giusto rilievo), e gli interessi architettonici di una data di nascita piuttosto precisa, l’inizio del Quattrocento, e un padre spirituale,
Alberti sono chiaramente antecedenti al suo effettivo impegno come architetto. La se non proprio un inventore, identificato nella figura di Filippo Brunelleschi. Questa
pratica più che l’astrazione era la norma. Piero si rivolge costantemente a un tradizione si tramanda fin dal Rinascimento, prima attraverso il resoconto biografico
apprendista, operando attraverso tutta una serie di esempi pratici. Le istruzioni di di Antonio di Tuccio Manetti che descrive dettagliatamente la celebre “esperienza”
Dürer sono date in forma vernacolare in un libro sulla misurazione con la riga e il dell’architetto fiorentino, poi attraverso la Vita vasariana che colloca la supposta
compasso. Gli architetti continuano a dominare la letteratura prospettica nel XVI “invenzione” all’interno del grande disegno storiografico sull’origine e progresso delle
secolo anche attraverso sofisticate applicazioni scenografiche in cui l’illusionismo arti1. In tempi più recenti, l’autorità di un grande storico dell’arte come Erwin Panofsky
pittorico si traduceva nello spazio fittizio del teatro. È solo con l’età di Commandino, ha fortemente contribuito a rafforzare questa convinzione sul piano della critica
Benedetti e Guidobaldo che l’astrazione matematica acquista un ruolo preminente storiografica, dando origine a un dibattito che tuttora è ben lungi dal concludersi2.
nella scienza prospettica. Ed è interessante rilevare come questa svolta coincida con Sebbene apparentemente inopinabile – date le autorevoli fonti storico-critiche e l’evidente
l’insistenza platonizzante di Michelangelo sul fatto che l’artista dovrebbe avere le svolta verificatasi nel campo delle arti figurative all’inizio del XV secolo – la questione
seste negli occhi invece che in mano. dell’origine della prospettiva continua a tormentare la mente degli studiosi, riproponendosi
Vista sotto questo aspetto, come una tecnica scientifica dell’uomo pratico, forgiata puntualmente a ogni riflessione critica sull’argomento. Come per l’altra grande creazione
da un’alleanza tra l’occhio e la mano, la prospettiva si inserisce perfettamente nella di Brunelleschi, la cupola di Santa Maria del Fiore, la questione si presenta sotto un
contesto della “Rivoluzione scientifica”. La grande innovazione di Galileo e della sua duplice aspetto: si trattò di un’invenzione o di un’ingegnosa messa a punto di conoscenze
generazione fu di riformare il libro della conoscenza dei «matematici» e «speculatori» acquisite? E in questo secondo caso, quali erano queste conoscenze?
(termini di Leonardo) secondo i dati della «esperienza». Questa «esperienza» abbracciava L’idea di una netta cesura tra Medioevo e Rinascimento, sostenuta nel celebre saggio
sia ciò che noi consideriamo veri e propri esperimenti, sia l’universo pratico delle di Erwin Panofsky (Die Perspektive als “symbolische Form”, 1924), continua a trovare
tecniche. Non era più legittimo dire a quale distanza poteva essere lanciata una consensi nella critica più recente che in qualche caso (Damish 1987) ripropone decisamente
palla di cannone secondo le leggi presunte della fisica se qualsiasi artigliere poteva l’immagine di Brunelleschi come “eroe della modernità” e “inventore” del nuovo
dimostrare una cosa diversa. In definitiva, era necessario un nuovo approccio sperimentale metodo di rappresentazione destinato ad avere straordinari sviluppi nel campo delle
e una nuova scienza matematica. La matematica della prospettiva era semplice e arti e delle scienze matematiche. A partire dalla fine degli anni cinquanta, tuttavia, la
tradizionale, ma il disegno prospettico era una forma sperimentale di tipo esemplare critica ha ripetutamente scandagliato altre linee di ricerca. Pur continuando a riconoscere
che serviva, in effetti, a dimostrare in modo pratico la validità di una teoria ottico- la centralità del ruolo di Brunelleschi, si è fatta strada l’ipotesi di una prospettiva antica
geometrica che gli scienziati potevano estendere in molti campi di applicazione già compiutamente definita secondo i principi riscoperti nel Rinascimento (Gioseffi
matematica innovativa. 1957; White 1957), quella di un’influenza diretta delle fonti ottiche medievali (Parronchi
La prospettiva era soprattutto un’arte dell’occhio e della mano prima che i matematici, 1958; Federici Vescovini 1980a), quella di un interesse favorito dalla riscoperta della
impossessandosene, la facessero apparire come qualcosa di diverso. Come architetto e Geografia di Tolomeo (Edgerton 1975; Veltman 1980), quella di una elaborazione dei
vero maestro nella ricostruzione degli strumenti prospettici utilizzati dai virtuosi della metodi di misurazione (Beltrame 1973; Kemp 1978), fino ad arrivare alla recente
prospettiva, Filippo Camerota è eccezionalmente adatto a raccontare questa complessa proposta di Dominique Raynaud (1998) che anticipa l’invenzione della prospettiva al
storia, con tutte le sue intersezioni di elementi pratici e teorici. E lo fa da una prospettiva XIII secolo, quando i filosofi di Oxford ne avrebbero gettato le basi scientifiche e Giotto
che è quanto più vicina si possa immaginare a quella dei suoi principali protagonisti. ne avrebbe messo in atto le prime applicazioni pittoriche.

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Raynaud sviluppa dottamente l’ipotesi già avanzata da Parronchi, riducendo però


l’influsso delle fonti ottiche medievali a due soli autori: Ruggero Bacone e John Peckham3.
Il legame tra ottica e prospettiva sarebbe suggellato dalla similarità del nome attribuito
alle due discipline, la scienza della visione (perspectiva naturalis) e la tecnica di
rappresentazione (perspectiva artificialis o pingendi). Lo stesso Manetti definì in modo
appropriato «quello ch’e i dipintori oggi dicono prospettiva» come «una parte di quella
scienza» che si occupa dello studio della visione. E proprio la permanenza del nome,
prospettiva e non metrica, porterebbe a escludere, secondo Raynaud, l’ipotesi sostenuta
da Kemp di un legame con i metodi di misurazione: «Si donc Brunelleschi avait procédé
à un transfert de l’art métrique vers la peinture, il resterait à expiquer pourquoi on
appelle ce mode de représentation du nom de Perspectiva? Nous aurions pu tout aussi
bien nous accoutumer à l’étiquette Metrica»4. In risposta a questa domanda e a sostegno
dell’ipotesi di una derivazione dalle tecniche di misurazione – a mio giudizio la più
convincente – tenteremo di chiarire come l’arte di misurare le grandezze inaccessibili,
diffusa fin dall’antichità e perfezionata nel Medioevo, rappresenti il più probabile
anello di congiunzione tra la perspectiva dei filosofi e la prospectiva dei pittori. Quest’arte
di misurare «a occhio» o «per perspectiva», si fondava sull’applicazione dei principi
ottici e veniva insegnata tra i metodi della geometria pratica nelle cosiddette botteghe
dell’abbaco, scuole private per la formazione matematica delle categorie mercantili,
artigianali e artistiche. La perspectiva, ovvero l’ottica geometrica di tradizione euclidea,
offriva a quest’arte un supporto teorico di primaria importanza attraverso la
comparazione delle proprietà degli angoli ottici con quelle dei triangoli simili su cui si
basava il calcolo della misura incognita. Ed è proprio in questa tradizione che possiamo
trovare in nuce quel principio di intersezione della piramide visiva che rappresenta il
fondamento assoluto di quella «particella de prospectiva» che Piero della Francesca
avrebbe chiamato «prospectiva pingendi»5.
Oltre a esaminare le relazioni tra studi ottici (perspectiva naturalis), tecniche di
misurazione (perspectiva pratica) e metodi di rappresentazione (prospectiva pingendi),
il libro indaga un aspetto generalmente marginale negli studi storici sulla prospettiva
rinascimentale, quello delle applicazioni architettoniche che la storiografia moderna
identifica, parafrasando Piero della Francesca, come «prospectiva aedificandi»
(Heydernreich 1963).

1
Manetti 1976, p. 52. Per la descrizione di Vasari, cfr. Vasari 1973, vol. II, p. 32.
2
Panofsky [1927] 1977, pp. 258-330.
3
Cfr. Parronchi 1957; anche in Id. 1964, pp. 468-532.
4
Raynaud 1998, p. 134. Cfr. anche Kemp 1978.
5
Piero della Francesca 1942, lib. III, proemio, p. 129.

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Perspectiva naturalis
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La «perspectiva» dei filosofi proprio il discusso assioma sul rapporto tra angolo ottico e grandezza apparente5. A
supporto delle sue teorie il filosofo parmense utilizzò uno dei testi fondativi dell’ottica
medievale, il De aspectibus di Alhazen, che proprio a Firenze fu per la prima volta
tradotto in volgare verso la fine del XIV secolo, segno di un interesse che ormai si
coltivava anche al di fuori dei circoli colti universitari.

L’Ottica di Euclide
Il termine perspectiva adottato nel Medioevo latino per indicare la scienza della visione
traduceva il termine greco optiké con la sua triplice suddivisione in “ottica”, la parte
che studiava il fenomeno della visione diretta, “catottrica”, quella che studiava le
proprietà dei raggi riflessi dai corpi lucidi – come gli specchi o la superficie dell’acqua
Nella classificazione umanistica delle arti, la perspectiva, come scienza della visione, – e “diottrica”, quella che studiava le proprietà dei raggi rifratti dai corpi densi, come
era una disciplina filosofica collocata in posizione subalterna rispetto alle cosiddette il vetro, l’aria o l’acqua. Oggetto di studio di questa scienza erano i raggi visivi e luminosi
arti del quadrivio: aritmetica, geometria, musica e astronomia1. Il suo fine era studiare nel loro propagarsi rettilineo stabilito dall’assioma fondamentale dell’ottica euclidea6.
il fenomeno della visione come fatto fisico, dal punto di vista geometrico e gnoseologico. Nel mondo antico la teoria della visione era dibattuta da due principali scuole di
Il Medioevo ne assimilò i principi attraverso la mediazione della cultura islamica che, pensiero: quella atomistica democritea che riteneva il formarsi della visione dovuto
come in altri campi delle scienze, rappresentava il principale veicolo di trasmissione all’imprimersi sull’occhio di immagini emanate dai corpi, e quella matematica pitagorica
della cultura greca nel mondo occidentale. Tra la fine del Trecento e l’inizio del che sosteneva al contrario l’emissione di un fuoco sotto forma di raggi che dall’occhio
Quattrocento a Firenze si parlava di perspectiva ad altissimi livelli. Si parlava di perspectiva andavano a colpire la superficie degli oggetti. L’ipotesi atomistica sosteneva che l’anima
come scienza della visione, grazie alla presenza nello Studio fiorentino di uno dei riusciva a vedere il mondo esterno attraverso dei simulacri (èidola) che si staccavano
più autorevoli filosofi perspectivi del tempo, Biagio Pelacani da Parma; si parlava di dai corpi riflettendosi sulla superficie umida dell’occhio; e poiché l’occhio è acqua,
perspectiva come disciplina geometrica per misurare con la vista, grazie ai maestri precisava Democrito, il vedere era considerato l’immagine riflessa dell’oggetto. Anche
abbachisti che facevano da ponte tra le speculazioni filosofiche e le applicazioni pratiche Empedocle riteneva che i corpi emanassero un flusso continuo di immagini o particelle
della scienza ottica; e si parlava di perspectiva come tecnica di rappresentazione, grazie materiali che preservavano la forma e il colore degli oggetti, ma supponeva che un
alle sperimentazioni pittoriche della grande scuola giottesca. simile effluvio, una sorta di fuoco, uscisse analogamente dall’occhio e che la visione si
Le quaestiones perspectivae furono certamente tra gli argomenti di conversazione formasse dall’incontro di questi due flussi nello spazio intermedio7. Questa ipotesi
di quella singolare compagnia di luminari che nel 1389 usava riunirsi nella villa “il trovava un autorevole sostenitore in Platone che nel Timeo (45b-c, 67e-68b) e nel
Paradiso” di Antonio degli Alberti intorno alla figura venerabile di Biagio Pelacani2. Il Teeteto (156d-e) definiva il flusso esterno come un «chiarore» che produce il colore,
filosofo parmense era stato chiamato a insegnare filosofia naturale a Firenze nel 1388 ossia la luce, e il flusso interno come un generico «fuoco visuale». L’ipotesi era invece
e proprio in quegli anni iniziava o meditava la stesura delle sue Quaestiones perspectivae, rifiutata da Aristotele che nel De sensu et sensibili ne segnalava l’inconciliabilità con
un’opera di grande diffusione di cui si conoscono numerose copie manoscritte redatte il fatto che al buio non possiamo vedere (2, 437b). Per Aristotele non vi sarebbe
dopo la sua morte (1416) fino al 14693. La forza del pensiero di Pelacani in tema stata nessuna emissione di raggi, né dall’occhio né dagli oggetti, ma solo una
prospettico stava nell’interpretazione fisico-matematica del fenomeno visivo che il modificazione del medio interposto tra l’occhio e l’oggetto, ossia del diafano che al
filosofo poneva alla base del processo conoscitivo. Lo studio della luce, e quindi della buio è in potenza e alla luce è in atto (2, 438a; De anima, B 418a 26 sgg.)8.
visione, che nella tradizione latina del XIII e XIV secolo era stato svolto nell’ambito Nonostante l’autorità di Aristotele, fu proprio il concetto dell’emissione dei raggi
della metafisica aristotelica, diventava ora un problema essenzialmente matematico. a determinare gli sviluppi dell’ottica e delle sue applicazioni scientifiche, sia nell’ipotesi
A questa interpretazione del fenomeno visivo si era giunti progressivamente nel corso intromissiva degli atomisti, sia in quella estromissiva della scuola pitagorica. Come
del XIV secolo, sia attraverso originali riflessioni teoriche, sia attraverso un’attenta riporta Alessandro di Afrodisia nel commento al De sensu (58, 7), i matematici della
rilettura dell’ottica euclidea4. La «perspectiva» di Euclide rappresentava la più antica scuola pitagorica «sostenevano che noi vediamo per mezzo di raggi i quali escono
e schietta formulazione matematica del fenomeno visivo, ma la spiegazione delle dagli occhi e si stendono fino agli oggetti veduti (dicevano infatti che si forma un cono
apparenze prescindeva da qualsiasi implicazione psicologica nella percezione delle di raggi che ha come vertice gli occhi, e come base l’oggetto veduto)». Questa idea
grandezze che per Euclide variavano essenzialmente al mutare dell’angolo ottico. La si sarebbe concretizzata nella formulazione geometrica di Euclide cui si deve
componente gnoseologica introdotta dagli studi ottici medievali imponeva una revisione l’elaborazione di un modello della visione rimasto sostanzialmente inalterato fino
dei principi euclidei che Pelacani seppe proporre con grande chiarezza, riformulando all’età moderna. Immaginando l’estensione dei raggi visivi (aktis) per linea retta sotto

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1 Euclide, Ottica, prop. XVIII G occhio, GHA raggio visivo
(misurazione di un’altezza riflesso); prop. XX (stima della
attraverso la misura profondità di un pozzo: AD XVIII XIX

dell’ombra: AB obelisco, profondità del pozzo, EZ


forma di un cono che ha il vertice nell’occhio (opsis) e la base nell’oggetto, Euclide ZE asta, AD raggio solare, asta, E occhio, EBD raggio
attribuiva alla natura immateriale dei raggi visivi e luminosi una forma misurabile che BD ombra); prop. XIX visivo); prop. XXI (stima della
(misurazione di un’altezza distanza tra due luoghi:
permetteva di studiare le relazioni tra grandezze apparenti e dimensioni reali, gettando per mezzo di uno specchio AB distanza incognita, DE
così le basi di una nuova scienza matematica, ossia l’ottica geometrica. orizzontale: AB obelisco, asta, G occhio, GA e GB
Nell’Ottica Euclide spiegava il fenomeno delle apparenze attraverso le relazioni GQ asta, DZ specchio, raggi visivi) (dis. dell’autore).

geometriche che intercorrono tra la dimensione degli oggetti, la loro posizione


nello spazio e la grandezza apparente con cui vengono percepiti dall’occhio: le grandezze XX XXI
vicine si vedono più distintamente di quelle lontane (teor. II); di una serie di intervalli
uguali che si allontanano dall’occhio, quello più lontano appare minore (teorr. IV-VII);
le figure quadrate viste in lontananza appaiono rotonde (teor. IX); le parti più lontane
che sono inferiori all’occhio sembrano alzarsi (teor. X), quelle più alte sembrano
abbassarsi (teor. XI), mentre quelle poste a destra sembrano piegare verso sinistra, e consentiva sempre di costruire due triangoli simili che, grazie alla proporzionalità
quelle a sinistra verso destra (teor. XII); un cerchio posto all’altezza dell’occhio appare dei lati corrispondenti, permettevano di misurare la grandezza dell’oggetto inaccessibile,
come una linea retta (teor. XXII); di una sfera, di un cono o di una colonna se ne come lo stesso Euclide spiegava nel sesto libro degli Elementi.
vede sempre meno della metà (teorr. XXIII-XXXII); e la ruota di un carro vista di scorcio Il teorema dedicato all’uso dello specchio per misurare l’altezza di una torre corrisponde
appare ovale (teor. XL)9. Sul fenomeno delle apparenze si era soffermato anche Platone al terzo postulato della Catottrica, dove Euclide esaminava le proprietà dei raggi riflessi
nella sua condanna della pittura illusionistica, segnalando come «l’identica grandezza, dai corpi lucidi: «se lo specchio sta su un piano sopra il quale si innalza perpendicolarmente
secondo che si vede da vicino e da lontano, non ci appare eguale […] E gli identici una torre, la distanza tra l’osservatore e lo specchio ha con la distanza tra lo specchio
oggetti a seconda che si contemplano dentro o fuori dell’acqua, appaiono piegati o e la torre lo stesso rapporto che esiste tra l’altezza dell’osservatore e quella della torre»13.
diritti, e cavi o prominenti. Questo perché nella vista si produce un disorientamento Anche in quest’opera Euclide affermava la propagazione rettilinea dei raggi visivi e
cromatico […] Ora, facendo leva su questa condizione della nostra natura, la pittura luminosi (primi due postulati) come condizione necessaria per spiegare il fenomeno
a chiaroscuro [skiagraphia] non tralascia alcuna stregoneria»10. Le stregonerie condannate delle apparenze sugli specchi, a cominciare dalla legge della riflessione secondo cui il
da Platone erano quelle, ad esempio, di Apollodoro di Atene, chiamato per la sua raggio visivo si spezza formando angoli uguali con la superficie dello specchio, sia esso
abilità illusionisica “skiagràphos”, il quale aveva dato un forte impulso all’interesse piano, concavo o convesso (prop. I). Negli specchi piani orizzontali, spiegava Euclide, le
degli artisti per la rappresentazione delle apparenze. altezze appaiono al contrario (prop. VII) e l’occhio le vede sulla perpendicolare tirata
Le grandezze apparenti erano valutate da Euclide in base all’ampiezza degli angoli dall’oggetto (prop. XVI), alla stessa distanza che esiste tra questo e lo specchio (prop.
formati dai raggi visivi (postulati V-VII), ma la consapevolezza del rapporto inversamente IXX). Negli specchi poliedrici un oggetto si riflette all’infinito (prop. XIV) dando luogo
proporzionale tra angoli e distanze gli permetteva di giudicare con certezza la dimensione a effetti che più tardi Erone sfruttò per applicazioni teatrali (Catottrica, XIV). Gli specchi
reale degli oggetti (teor. VIII). Su queste basi l’ottica era efficacemente applicata come piegati a S spezzano il volto di chi guarda (teor. XXX) e producono effetti «mostruosi»14
strumento di misurazione tanto dagli astronomi, che basavano le proprie conoscenze mentre quelli convessi mostrano un’immagine più piccola (prop. XXI). Negli specchi
sull’osservazione diretta degli astri, quanto dai topografi esercitati a misurare con la concavi l’occhio posto al centro vede solo se stesso (prop. XXIV), e per mezzo di essi «se
vista altezze e distanze inaccessibili. Lo stesso Platone sottolineava l’importanza opposti al sole, si accende il fuoco» (prop. XXXI). Nella catottrica si riflette l’immaginario
della misurazione come correttivo delle apparenze: «Ebbene, contro questi inganni magico e scientifico del mondo antico che favorì l’uso degli specchi nella pratica divinatoria
non si sono rivelati ausilii ingegnosissimi la misurazione, la numerazione e la pesatura, e l’invenzione di stupefacenti macchine catottriche, come gli specchi ustori di Archimede
sì che in noi non governa ciò che appare maggiore o minore o più numeroso o più o i leggendari specchi telescopici del faro di Alessandria e del Colosso di Rodi15.
pesante, ma ciò che calcola e misura e pesa?»11. Tra i teoremi di Euclide ve ne sono Nel settimo postulato della Catottrica, Euclide menzionò anche un caso di rifrazione
quattro specificamente dedicati alla misurazione indiretta delle distanze, utilizzando ma la diottrica ebbe sviluppi solo successivi. Secondo Aristotele la visione avveniva per
la direzione del raggio luminoso o, «quando non c’è il sole», quella del raggio visivo. rifrazione dei raggi nell’occhio (De sensu, 2, 438a) ma – benché fossero noti gli effetti
Nel primo caso (prop. XVIII) Euclide riprese una celebre invenzione di Talete di Mileto della deviazione dei raggi nell’attraversamento dei corpi densi, come l’acqua che fa
(VII-VI secolo a.C.) che in Egitto aveva misurato l’altezza di una piramide confrontando vedere spezzata l’immagine dei remi16 o come il cristallo che opportunamente lavorato
la lunghezza della sua ombra con quella gettata da un bastone di misura nota (fig. si trasforma in una lente ustoria – non sembra che la scienza antica abbia saputo fornire
1)12. Nel secondo caso (propp. IXX-XXI) l’altezza di una torre, la profondità di un pozzo una spiegazione geometrica di questo fenomeno17. Nella Introduzione ai fenomeni di
o la distanza tra due luoghi lontani venivano misurate intersecando il raggio visivo Gemino, la diottrica è presentata come una disciplina dotata di meno teoria rispetto
con un’asta o con uno specchio; il raggio visivo o luminoso, intersecato o riflesso, alle altre branche dell’ottica, pur nella consapevolezza che essa dipendeva dalle leggi

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della geometria18. Presupposto essenziale, al di là delle questioni filosofiche sulla di Euclide, Proclo descrisse la classificazione di Gemino come alternativa alla divisione
fisiologia dello sguardo, era che i raggi uscissero dall’occhio e procedessero per linea pitagorica delle scienze matematiche (astronomia, aritmetica, geometria e musica).
retta, colpendo ciò che si vede non appena l’occhio si apriva. Gemino divideva la matematica in scienze dell’intelligibile, cui appartenevano l’aritmetica
e la geometria, e scienze del sensibile che comprendevano meccanica, astronomia,
Lucrezio, Cicerone e Gemino ottica, geodesia, canonica e logistica: «A loro volta l’ottica e la canonica sono progenie
Nel mondo romano del I secolo a.C. le due principali teorie della visione erano sostenute della geometria e dell’aritmetica, la prima facendo uso delle linee visive e degli angoli
dai maggiori divulgatori della filosofia greca: Lucrezio e Cicerone. Nel De rerum natura, formati da queste; e si suddivide in ottica propriamente detta, la quale spiega la causa
Lucrezio sosteneva la dottrina atomistica attribuendo alle immagini percepite dall’occhio delle false apparenze per via della lontananza delle cose vedute; per esempio della
il nome di membrane, o scorze; le immagini si sarebbero cioè staccate dai corpi convergenza delle parallele o della osservazione di oggetti quadrangolari veduti come
conservandone la forma, come la spoglia che la cicala depone d’estate, o la pelle che il circolari; e in catottrica, che tratta in generale delle svariate riflessioni della luce, ed
serpente lascia sui cespugli19. Anche le immagini riflesse nell’acqua e negli specchi erano è connessa con la conoscenza della rappresentazione degli oggetti, e con quella che
per Lucrezio una dimostrazione evidente dell’emissione «di simulacri, che colpiscono chiamiamo scenografia, la quale insegna come si possa far apparire le immagini non
gli occhi e producono in noi la sensazione della vista», simulacri che vagano nell’aria sproporzionate e deformate a causa delle distanze e delle altezze delle figure»25.
come gli odori, i suoni, il freddo o il calore20. La velocità di queste emanazioni era Le conoscenze ottiche del mondo antico furono assimilate nel Medioevo latino
paragonata a quella della luce emessa dal sole (lumen), costituita «da minutissimi atomi attraverso la mediazione della scienza islamica che fornì un’interpretazione originale
che sono come pressati e non esitano a superare gli spazi aerei spinti dall’urto degli e critica dell’ottica euclidea. Attraverso i traduttori arabi il Medioevo latino conobbe i
atomi seguenti»21. La luce abbagliante che brucia gli occhi (splendor) era un’ulteriore testi fondativi del pensiero scientifico moderno, come gli Elementi di Euclide, l’Almagesto
riprova del fatto che l’occhio riceve anziché emettere un fuoco, ma Lucrezio non spiegava, e l’Ottica di Tolomeo26. L’Ottica di Euclide sopravvisse sia nella versione greca, spesso
come nessuno degli atomisti, la difficile questione di come avvenisse la riduzione confusa con la Recensione di Teone di Alessandria (IV secolo), sia nella versione araba
dimensionale che permetteva ai simulacri di entrare nella stretta apertura della pupilla. che guidò le successive traduzioni latine. Di fondamentale importanza per la ripresa
Su questo punto sembra far leva Cicerone nel sostenere, al contrario, la validità degli studi ottici a partire dal IX secolo fu anche l’acquisizione di nuove conoscenze
dell’ipotesi matematica dei raggi uscenti dall’occhio. Scrivendo all’amico Attico nel 60 anatomiche favorita dagli sviluppi della medicina araba. E la felice combinazione tra le
a.C., Cicerone spiegava le ragioni ottiche che avevano guidato l’architetto Vettio Ciro conoscenze oculistiche, le dottrine gnoseologiche, in particolare di Avicenna e Averroè,
nel progettare le finestre di una delle sue ville: «Ciro sosteneva che la vista dei parchi e le più avanzate cognizioni di ottica geometrica, produssero la messa a punto di una
non risulta tanto piacevole quando le finestre sono ampie. E difatti: sia A il punto di teoria della visione, quella di Alhazen, che restò un costante punto di riferimento per
vista [opsis], BC l’oggetto, AITA i raggi visivi [aktines], il resto lo vedi da te. In effetti, tutto il Medioevo.
se noi vedessimo per impatto di immagini, certo le immagini avrebbero il loro bel
daffare in queste strette aperture; ma invece, quella effusione di raggi luminosi che Il De aspectibus di Alhazen
t’ho detto funziona che è una meraviglia»22. Nelle Dispute accademiche Cicerone prese Fino alla nascita dell’ottica moderna, Alhazen è stato famoso per la sua dottrina della
le distanze da chi sosteneva «che qualunque cosa ci appaia è tale quale appare», visione come fenomeno di rifrazione dei raggi luminosi all’interno dell’occhio. Le
lasciando agli epicurei la spiegazione di alcuni problemi inconciliabili con la teoria dei conoscenze anatomiche dell’organo visivo risalgono agli studi oculistici del IX e X secolo
simulacri, come l’apparenza del “remo spezzato” o l’aspetto cangiante del collo della con cui gli arabi riformularono le antiche teorie sulla sensazione, quella aristotelica
colomba. Cicerone riteneva che le cose appaiono diversamente da come sono e che la che indicava nel cuore il principio della sensazione e del movimento, e quella galenica
percezione degli oggetti dipende essenzialmente dal giudizio dell’occhio23. che individuava tale principio nel cervello27. Gli occhi per Galeno erano strumenti
Le considerazioni di Cicerone e la spiegazione ottica delle apparenze secondo sensibili, come le narici, la lingua e le orecchie, e consentivano l’afflusso dello spirito
l’architetto Ciro trovavano un preciso riferimento teorico nella classificazione delle animale al cervello attraverso i rami nervosi. Al fine di curare le malattie degli occhi,
scienze di Gemino, certamente nota ai matematici e filosofi della Roma i medici arabi dedicarono particolare attenzione al sistema nervoso individuato da
tardorepubblicana24. Allievo di Posidonio, come Cicerone e Pompeo, Gemino incluse Galeno e approfondirono ulteriormente lo studio anatomico dell’organo visivo fino a
tra le sezioni dell’ottica geometrica anche la cosiddetta «skenographia», una disciplina descriverne dettagliatamente tutte le parti componenti. I loro scritti erano diffusi
che esprimeva esattamente il concetto ciceroniano per cui ciò che vediamo può essere prevalentemente con il titolo De oculis e facevano capo a due massime autorità: Hunain
opportunamente costruito in funzione del giudizio dello sguardo, favorendo quindi ibn Ishaq (IX secolo) e il suo seguace Isa ibn Alì (X-XI secolo)28. Dai loro scritti si apprendeva
l’applicazione delle leggi della visione all’architettura e alle arti figurative. La diffusione che l’occhio era composto di sette tuniche (la sclerotica, la secondina, la retina, l’aranea,
del testo di Gemino, su cui torneremo più avanti, si registra fino al V secolo d.C. nell’opera l’uvea, la cornea e la congiuntiva) e tre umori (il vitreo, l’albugineo e il cristallino). La
di Erone, Eliodoro di Larissa, Damiano e Proclo. Nel Commento al I Libro degli Elementi sensazione, tuttavia, era spiegata ancora secondo la teoria galenica degli «spiriti»: dal

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2 3 Alhazen, De aspectibus,
sec. X, lib. I, prop. XIII,
schema dell’occhio;
lib. II, prop. XXXVI, schema
nutrimento sciolto nel fegato si sarebbe formato uno spirito naturale che, salito al della piramide visiva
cuore, sarebbe diventato spirito vitale per trasformarsi ancora in spirito animale una (Alhazen, Opticae Thesaurus
Alhazeni..., a cura di F. Risner,
volta giunto al cervello; attraverso il nervo ottico, lo spirito animale avrebbe raggiunto Basileae 1572, pp. 6, 50).
la retina e il cristallino trasformandosi in virtù visiva; uscendo dalla pupilla, infine, si
sarebbe propagato nell’aria circostante, abbracciando ogni cosa e tornando a imprimere
l’immagine nel cristallino, per poi condurla al cervello. L’antica teoria dell’estramissione
dei raggi trovava in questi scritti un rinnovato vigore che sembrava ben adattarsi
alla geometrizzazione euclidea, ma il problema delle funzioni da attribuire alle singole
parti dell’organo era tutt’altro che risolto.
Nel Kitâb al-Manâzir (Libro di ottica), o De aspectibus nella traduzione latina,
Alhazen (965-1039) dedicò l’intero primo libro alla descrizione dell’occhio29. La struttura
anatomica era descritta in modo analogo ai medici arabi ma la parte più importante piramide visiva per calcolare la distanza delle cose. Il meccanismo della visione, tuttavia,
dell’occhio non era individuata nella retina, come sosteneva Isa ibn Alì, bensì nell’umore era complicato dal fatto che la piramide visiva era doppia, come già aveva spiegato
glaciale (vitreo e cristallino) dove l’immagine veniva impressa dalla luce esterna (fig. Galeno, e alla visione binoculare Alhazen dedicò l’intero terzo libro del suo trattato,
2). Non erano quindi gli «spiriti» a viaggiare ma la luce che si propagava in linea retta risolvendo anche attraverso specifici esperimenti ottici il problema cruciale della fusione
e agiva sull’organo della vista, come sosteneva anche Alkindi30. I raggi luminosi, tuttavia, delle due immagini36.
non attraversavano l’occhio semplicemente ma venivano deviati dalla maggiore densità L’opera di Alhazen fu tradotta in latino forse da Gherardo da Cremona nel XII
dell’umore vitreo. Questa, per Alhazen, era la ragione per cui non vediamo le immagini secolo. La sua diffusione fu immediata e determinante per la ripresa degli studi
capovolte. Se infatti i raggi avessero proceduto in modo rettilineo all’interno dell’occhio, ottici tra il XIII e il XIV secolo: Vitellione (Witelo) ne scrisse una parafrasi per Guglielmo
una volta attraversato il foro della pupilla si sarebbe avuto un fenomeno di di Morbecca, a sua volta traduttore della Catottrica di Erone; un anonimo veneto la
capovolgimento analogo a quello della camera oscura31. Per Alhazen questo non tradusse in volgare già alla fine del XIV secolo; e nel 1572 conobbe gli onori della
succedeva perché i raggi venivano deviati prima di raggiungere il punto di inversione stampa, unitamente alla Perspectiva di Vitellione, nell’edizione latina curata da Federico
al centro della vista. Solo uno di essi procedeva senza alcuna deviazione, ed era quello Risner37. L’ipotesi della formazione delle immagini nel cristallino per intromissione della
centrale che Alhazen considerava il raggio più importante, quello che portava l’immagine luce e deviazione dei raggi stimolò una serie di studi che nel XIII secolo sancirono nel
distinta32. La visione si sarebbe realizzata quindi dietro il cristallino, al centro della vista, mondo latino la nascita della perspectiva come scienza filosofica.
per un fenomeno di rifrazione33. Si trattava di un’interpretazione originale del fenomeno
della visione che superava l’idea dell’immagine riflessa sulla tunica aranea, sostenuta I «philosophi perspectivi»
da Avicenna e dalla tradizione medica, e poneva in primo piano lo studio della diottrica, Lo svolgimento degli studi prospettici nel Medioevo avvenne principalmente su due
ovvero della sezione dell’ottica allora meno conosciuta. fronti, quello della scienza astronomica, quando la perspectiva studiava gli oggetti del
Alhazen dedicò quattro dei suoi sette libri ai problemi catottrici e diottrici. Secondo mondo celeste, e quello della scienza fisica, quando studiava gli oggetti del mondo
i principi dell’ottica geometrica, i raggi visivi e luminosi avrebbero formato una piramide terrestre. Un interesse metafisico per la luce, che tuttavia non fu decisivo per gli sviluppi
con il vertice al centro della visione. La distribuzione piramidale dei raggi avrebbe scientifici della perspectiva, si manifestò sul piano del dibattito filosofico-religioso,
inoltre consentito due tipi di visione tra loro sempre interconnessi: quella identificata soprattutto nell’ambito delle correnti di pensiero neoplatoniche. In questo contesto
con il nome di aspectus generata da tutti i raggi della piramide, e quella identificata la luce era identificata con Dio stesso, come nel Liber de causis dello pseudo-Avicenna
con il nome di intuitio, più distinta e certa, generata solo dal raggio visivo centrale (XII secolo), o interpretata come una metafora della creazione e della natura di Dio,
(fig. 3)34. Mentre la visione per aspectus trasmetteva le immagini al senso comune tanto come nel De luce di Bartolomeo da Bologna (XIII secolo)38. Un fondamentale tentativo
più confuse quanto più i raggi si avvicinavano alla zona periferica della piramide visiva, di conciliare le esigenze della fede con quelle della scienza della natura fu compiuto
la visione per intuitio trasmetteva sempre un’immagine distinta in quanto il raggio dal vescovo di Lincoln, Roberto Grossatesta (Robert Grosseteste, 1168-1253), che vedeva
centrale era l’unico che non veniva mai deviato. Data la mobilità dell’occhio, il raggio nella luce la prima forma sostanziale degli esseri creati. La luce era cioè il tramite tra
centrale poteva colpire ogni punto della superficie dell’oggetto dando sempre la Dio e il creato, e la spiegazione causale del suo comportamento rappresentava pertanto
certezza della sua vera forma35. La visione «per intuizione» era al tempo stesso un atto il preciso campo di indagine dei perspectivi, così come si legge nel De iride e nel
sensibile e razionale che permetteva di comprendere le proprietà qualitative (il colore) commento agli Analitica posteriora di Aristotele. Sebbene il problema di fondo avesse
e quantitative (la forma e la grandezza) di tutte le cose. Questa comprensione razionale una forte valenza spirituale, lo strumento di indagine era indicato nelle leggi dell’ottica
passava attraverso un ragionamento matematico che utilizzava il raggio centrale della geometrica e dunque la disciplina doveva rientrare nell’ambito del sapere scientifico.

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4 R. Bacon, Opus majus, 6 Alhazen, Opticae
sec. XIII, pars V, dist. III, Thesaurus Alhazeni...,
cap. III, schema dell’occhio a cura di F. Risner,
(Rogerii Bacconis Perspectiva, Basileae 1572, frontespizio,
Frankfurt 1614, p. 27). le tre sezioni dell’ottica.

5 J. Peckham, Perspectiva
communis, ms., sec. XIII,
pars I, prop. XXXI, fig. 49,
schema dell’occhio.
Firenze, Biblioteca
Nazionale Centrale, II.III.24.

Testimonianza eloquente di questo interesse per la perspectiva sono ben sei scritti a Oxford e Parigi, tra il 1269 e il 1275, il futuro arcivescovo di Canterbury (1279) aveva
dedicati da Grossatesta ai temi ottici: oltre al citato De iride seu de iride et speculo, il composto un Tractatus de perspectiva destinato specificamente alle scuole francescane.
De luce seu de inchoatione formarum, il De lineis angulis et figuris seu de fractionibus Il nuovo trattato presentava la disciplina secondo la triplice suddivisione dell’ottica
et reflexionibus radiorum, il De colore, il De motu corporalis et luce e il De calore solis39. classica: tre libri dedicati rispettivamente ai raggi diretti, a quelli riflessi e a quelli rifratti
Come cancelliere dell’università di Oxford e protettore dei Frati Minori, Grossatesta (fig. 5). La chiarezza espositiva del trattato di Peckham è una qualità che contraddistingue
ebbe un’influenza decisiva sugli studi filosofico-scientifici condotti sia nel celebre anche la Perspectiva di Vitellione (ca. 1230-79), analogamente composta alla corte papale
studium oxoniensis, sia nelle scuole francescane. Ruggero Bacone (Roger Bacon, 1214- di Viterbo tra il 1272 il 1277. Vitellione era domenicano ma le sue idee prospettiche si
94) ne costituisce la riprova più immediata e significativa. Francescano, attivo nelle avvicinavano notevolmente a quelle francescane. La problematica della luce come forma
università di Oxford e Parigi, Bacone sviluppò i temi ottici come parte essenziale della sostanziale della materia, e la teoria dei raggi rettilinei che trasportano le immagini
sua «scientia experimentalis». La duplice componente spirituale e materiale della nell’occhio, derivavano da Grossatesta e Bacone, autori che il perspectivo polacco studiò
conoscenza si esprimeva per Bacone attraverso due tipi di esperienza: un’esperienza attentamente per comporre la sua fortunata parafrasi del De aspectibus di Alhazen43.
esterna, o sensibile, che portava alla conoscenza della natura, e un’esperienza interna, I dieci libri del suo trattato, come quello di Alhazen, sono in buona parte dedicati ai
o spirituale, che portava alla conoscenza della verità. L’esperienza esterna si fondava problemi catottrici e diottrici. Le proprietà degli specchi concavi, convessi, cilindrici,
sulla vista, e dunque la perspectiva si configurava come la scienza della natura che conici e irregolari sono descritte nei libri dal quinto al decimo, mentre le proprietà dei
Bacone esaminò nella quinta parte dell’Opus majus40. La vista era per Bacone il senso corpi densi, capaci di deviare i raggi, costituiscono l’argomento dell’ultimo libro (fig. 6).
privilegiato, quello attraverso cui l’anima percepiva il mondo esterno ricevendo Per la loro difficoltà, i problemi diottrici costituivano l’aspetto più intrigante
l’immagine, o «specie», delle cose. L’immagine era interpretata come il risultato di una della perspectiva medievale. Nicola Oresme (?-1382), attivo all’università di Parigi nella
modificazione della materia generata da un agente esterno, come la luce o il colore, seconda metà del XIV secolo, ne fece il suo principale campo d’indagine nel tentativo
che agiva secondo le leggi dell’ottica geometrica, per propagazione diretta, riflessa o di definire i fondamenti prospettici dell’astronomia. Nel De visione stellarum, Oresme
rifratta, portando la «specie» nel cristallino e da qui al cervello (fig. 4). La dottrina della si preoccupò di stabilire il rapporto tra l’immagine degli astri e il luogo in cui essi
«moltiplicazione delle specie» rappresentava il fondamento del pensiero baconiano realmente si trovano, spiegando che la percezione era falsata dagli strati atmosferici
e su di essa era costruita l’intera impalcatura teorica della scienza della visione41. Le che formano intorno alla terra una calotta di densità variabile dall’orizzonte fino allo
regole della visione si fondavano su alcune condizioni fondamentali, e cioè l’azione zenit. Analogamente a quanto Alhazen aveva stabilito accadere ai raggi luminosi
delle specie, della luce e del colore, l’azione della figura, la sensibilità nervosa dei nervi all’interno dell’occhio, i raggi provenienti dalle stelle avrebbero subito, secondo Oresme,
ottici e del senso comune, e una serie di principi che determinavano l’apparizione delle una deviazione tanto maggiore quanto maggiore era la loro obliquità rispetto allo
specie (luce, colore, distanza, opposizione dell’oggetto all’occhio, grandezza, densità, zenit. Analogamente al raggio centrale della piramide visiva, quindi, solo il raggio
rarità del medio, tempo e salute della vista). coincidente con la verticale al luogo di osservazione non subiva alcuna deviazione;
Allo studium di Oxford e all’ordine francescano apparteneva anche John Peckham in tal caso l’immagine della stella che si fosse trovata allo zenit coincideva con il luogo
(1230-92), il grande divulgatore della perspectiva naturalis ampiamente citato ancora realmente occupato nello spazio celeste. Un secondo fattore determinante per
per tutto il Cinquecento, quando la sua Perspectiva communis fu diffusa a stampa in l’apparenza delle stelle era individuato nella variabilità delle condizioni atmosferiche
edizione latina e nella traduzione italiana di Giovanni Paolo Gallucci42. Questo celebre che talvolta potevano perfino correggere l’inganno ottico, annullando la deviazione
trattato fu composto a Viterbo tra il 1277 e il 1279, quando Peckham ricopriva la carica imposta dall’angolo di rifrazione44. Gli studi di Oresme esprimono una tendenza piuttosto
di lettore di palazzo Apostolico. Precedentemente, durante gli anni di insegnamento diffusa nello Studio parigino della seconda metà del Trecento: quella di considerare

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la perspectiva come una scienza fisico-geometrica, sempre meno legata alle questioni venne ad assumere precisamente due significati: «sentire con la vista» quando è solo
spirituali e orientata invece verso la spiegazione razionale dei fenomeni naturali. un’apparenza sensibile, e «discernere con la vista», quando è un atto razionale in cui
l’intelletto distingue le grandezze e le distanze nella loro apparenza48.
L’interpretazione matematica della natura Questi temi furono al centro del pensiero prospettico di Biagio Pelacani che raccolse
Le sei Quaestiones super perspectivam di Domenico da Chivasso, anch’egli attivo a magistralmente l’eredità di Alhazen. L’anima percepisce le forme corporee delle cose
Parigi nella seconda metà del Trecento, sono uno dei documenti più rappresentativi attraverso i sensi ma le comprende attraverso la ragione, ossia il ragionamento matematico
del nuovo indirizzo matematico degli studi prospettici45. Sebbene fondata su un ampio che misura le grandezze e le distanze. Nelle Quaestiones perspectivae, così come nei
utilizzo delle fonti medievali, l’opera di Chivasso si presenta sostanzialmente come un commenti al De anima e alle Meteora, Pelacani sosteneva che la visione non percepiva
commento al De aspectibus di Alhazen. Nella prima Quaestio, Chivasso affrontò uno le forme sostanziali o la luce pura, come voleva la tradizione neoplatonica, ma le forme
dei problemi che caratterizzavano in quegli anni il dibattito sulla prospettiva, definendo corporee, che potevano essere superficiali o solide49. Le prime venivano percepite come
la perspectiva come la scienza che studia la linea visuale. La definizione contrastava “grandezze” attraverso la misurazione delle due dimensioni, lunghezza e larghezza.
con la nozione aristotelica di “scienza”, poiché tale si poteva definire, nella tradizione Le seconde come “profondità”, attraverso la misura delle distanze tra l’occhio e i punti
scolastica, solo ciò che trattava delle proprietà reali delle cose. La linea visuale, essendo dell’oggetto. La proposizione euclidea che stabiliva il variare delle grandezze al variare
immaginaria, non poteva rientrare in questa categoria ma Chivasso risolse il problema dell’angolo ottico era considerata utile solo nella percezione delle figure superficiali.
chiamando in causa l’oggetto di studio dei matematici, ossia gli enti geometrici di Per comprendere le forme nella loro corporeità era necessario conoscere anche la terza
punto e linea. Pur essendo del tutto immaginari, questi enti conducevano i matematici dimensione, ossia la profondità o distanza, misurata dall’asse centrale della piramide
a conclusioni assolutamente certe e quindi la perspectiva poteva essere considerata visiva. Ne derivava che la grandezza delle cose non era direttamente proporzionale
una scienza certa solo se fondata su regole matematiche. Raccogliendo un’opinione all’ampiezza dell’angolo ottico ma dipendeva dalla capacità distintiva dell’anima. La
già sostenuta da Ruggero Bacone, Chivasso collocò perciò la perspectiva tra le arti del conoscenza avveniva quindi attraverso una complessa elaborazione delle informazioni
quadrivio, dopo l’aritmetica e la geometria e prima dell’astronomia e della musica46. visive che presupponeva la conoscenza della quantità dell’angolo ottico, la conoscenza
L’adozione della matematica come modello scientifico della natura avvenne in della distanza e la capacità di calcolo della ragione che misurava le forme per
un momento in cui l’aritmetica e la geometria, come vedremo più avanti, erano al comparazione in base a precisi rapporti proporzionali. Il trattato sulle proporzioni e
centro degli interessi della nuova società mercantile. Gli Elementi di Euclide erano le Quaestiones de latitudine formarum proponevano ulteriori approfondimenti che
l’opera più diffusa e commentata del Medioevo latino, e nel XIV secolo anche l’Ottica, procurarono al Pelacani la fama di «universal filosofo e matematico» con cui lo ricordò
nota come Perspectiva o De visu, diventò oggetto di raffinate riflessioni matematiche. Giovanni di Gherardo da Prato nel Paradiso degli Alberti50.
La classificazione aristotelica che collocava l’ottica tra la matematica e la fisica ma più La teoria ottica di Biagio Pelacani contribuì probabilmente a risvegliare l’interesse
legata a questa seconda scienza sarebbe stata riconsiderata dai filosofi di indirizzo per il De aspectibus di Alhazen che, dopo la traduzione latina di Gherardo da Cremona
nominalista che consideravano gli enti geometrici della visione come proprietà del e la parafrasi di Vitellione, fu tradotto in volgare alla fine del XIV secolo per un pubblico
tutto immaginarie e quindi appartenenti alla matematica47. Uno dei problemi più che si suppone ben più ampio e diversificato di quello dotto universitario51. Proprio
discussi riguardava la nozione di punto che nel suo duplice significato ottico e geometrico questo volgarizzamento fu utilizzato, ad esempio, da Lorenzo Ghiberti per la stesura
entrava in conflitto con una delle premesse dell’ottica euclidea, quella per cui tutto del suo Commentario III52. La traduzione di testi scientifici in volgare aveva interessato
ciò che si vede si vede sotto un angolo visuale. Se per punto si intendeva un ente fino a quel momento soprattutto i testi di aritmetica e geometria che venivano utilizzati
immaginario concepito come termine di una linea e quindi privo di estensione, allora correntemente per l’insegnamento nelle scuole dell’abbaco. Tradotti o compendiati
il problema non si poneva perché il punto non era visibile. Se però il punto era qualcosa in volgare erano, ad esempio, gli Elementa di Euclide o il Liber abaci di Leonardo
di fisico, un oggetto tanto lontano da apparire nella sua minima grandezza, allora Fibonacci. Sappiamo però che nelle scuole dell’abbaco si coltivavano anche interessi
esso si doveva vedere e veniva a cadere la premessa euclidea; oppure, se questa restava prospettici e un abbachista in particolare, l’agostiniano Grazia de’ Castellani, ci è noto
valida, l’oggetto visibile più piccolo immaginabile in natura non era mai un punto. La per aver composto un trattato De visu di cui resta solo un estratto dedicato alle
questione si estendeva necessariamente al problema dell’angolo che riguardava da misurazioni con la vista53. Come ricorda Giovanni di Gherardo da Prato, il Castellani
un lato la definizione dell’angolo minimo (l’angolo della contingenza), dall’altro partecipò alle dotte riunioni nel “Paradiso” degli Alberti, e certamente ebbe modo di
l’assioma euclideo che stabiliva il rapporto tra angolo visuale e grandezza apparente. discutere con Pelacani i problemi della visione “certificata” esposti da Alhazen54. È
L’interpretazione psicologico-percettiva di Alhazen che aggiungeva alla conoscenza probabile che il volgarizzamento del De aspectibus sia da mettere in relazione proprio
dell’angolo la conoscenza della distanza come condizione necessaria per giudicare la agli interessi coltivati dai maestri abbachisti che nelle loro scuole sperimentavano sul
grandezza dell’oggetto, venne progressivamente consolidata fino a sancire piano pratico il principio della visione “certificata”, sviluppando quegli antichi metodi
definitivamente il campo d’azione della visione come atto sensibile e razionale. Il vedere di misurazione con la vista che lo stesso Euclide aveva esposto tra i teoremi dell’Ottica.

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7 Schema di misurazione
dell’altezza di una torre:
AB (torre) = BC (distanza)
• tg a (dis. dell’autore).
La «perspectiva» degli abbachisti

L’arte di saper vedere secondo ragione, ossia di misurare con la vista, trovò un supporto essere conosciuta moltiplicando la distanza dell’osservatore per la tangente dell’angolo
concettuale tra quei filosofi perspectivi che più si erano avvicinati nel XIV secolo a una ottico (fig. 7)62.
interpretazione matematica della visione e che consideravano il vedere come capacità Le funzioni goniometriche, tuttavia, sono grandezze lineari che di fatto riconducono
di misurare lo spazio tra le cose. Al vedere, come abbiamo detto, essi attribuivano il problema alla proporzione euclidea tra i lati di due triangoli simili. La tangente
un duplice significato che sarà fatto proprio anche dai teorici rinascimentali della dell’angolo ottico è infatti proporzionale all’altezza della torre, così come la distanza
prospettiva pittorica: «sentire con la vista», ossia percepire, e «discernere con la vista», dell’osservatore è proporzionale al raggio del cerchio goniometrico. Perciò, onde evitare
ossia misurare55. Nelle università europee del XIV secolo la perspectiva era generalmente una continua consultazione delle tavole trigonometriche, nella pratica delle misurazioni
classificata come un caso di geometria pratica, secondo una tradizione che risaliva alla il metodo comunemente applicato era quello dei triangoli simili. Lo stesso Alhazen,
cultura islamica del IX secolo56. Nel De Scientiis di Al-Farabi (870-950), ad esempio, la nel suo trattato sulle misurazioni, risolse il problema dell’altezza di una torre inaccessibile
perspectiva (ottica) era presentata come la scienza che consentiva di «conoscere la attraverso la similitudine dei triangoli, intersecando i raggi visivi con una canna di
misura di ciò che è lontano, per esempio, l’altezza di alberi e mura, la larghezza di valli bambù, secondo un metodo derivato dagli scritti indiani di Aryabhatta (V secolo) e
e fiumi, l’altezza delle montagne […] nonché le distanze dei corpi celesti e la loro Brahmagupta (VI secolo)63. In questo senso, la teoria della visione “certificata” di Alhazen
misura»57. Questi concetti penetrarono nel Medioevo latino attraverso il De divisione assumeva un significato tangibile che non si concludeva nella sfera del dibattito filosofico
philosophiae di Domenico Gundisalvi (Gundissalinus) e lo Speculum Doctrinale di a cui fu sottoposta tra il XII e il XIV secolo, ma si esprimeva in termini pratici proprio
Vincent de Beauvais58. attraverso gli studi astronomici e trigonometrici. Lo spazio era perciò concepito come
La posizione subalterna della perspectiva, tuttavia, cominciò a essere riconsiderata un vuoto che misurava la distanza degli oggetti, e la forma apparente come una
già nel corso del Trecento. Domenico da Chivasso ne propose la collocazione tra le grandezza inversamente proporzionale a tale distanza. Si tratta di concetti fondamentali
arti del quadrivio come una scienza fisica e matematica, in base a considerazioni per la nascita della prospettiva lineare che, come vedremo, fonderà le regole della
già avanzate da Ruggero Bacone e raccolte successivamente da Marsilio Ficino, Michele rappresentazione proprio sulla misura della distanza.
Savonarola e Luca Pacioli59. L’arte del misurare con la vista trovava quindi un preciso Benché le connessioni tra il pensiero filosofico e l’attività dei primi prospettici offrano
riferimento teorico tanto nella geometria quanto nella perspectiva e proprio a importanti spunti di riflessione sulle origini della prospettiva rinascimentale64, il divario
Domenico da Chivasso si deve uno dei più influenti trattati di geometria pratica nel tra l’attività puramente speculativa dei filosofi e gli interessi pratici degli artisti necessita
XIV secolo60. L’attenzione al fenomeno visivo come strumento di misura, che sottende di un elemento di connessione che a mio parere può essere individuato nell’attività
il concetto di “discernere con la vista”, raggiunse il punto più alto nel pensiero di dei maestri abbachisti, la cui disciplina si colloca proprio a metà strada tra la speculazione
Biagio Pelacani che, come abbiamo visto, sostenne con vigore il principio della visione filosofica e la pratica dell’arte. Questi maestri erano profondi conoscitori delle arti del
“certificata” elaborato da Alhazen nel X secolo61. Nella revisione dell’assioma euclideo quadrivio e delle loro applicazioni, eredi della matematica pratica islamica e greco-
che regolava il rapporto tra le grandezze apparenti in base all’ampiezza dell’angolo alessandrina, e titolari delle cosiddette “botteghe dell’abbaco”, scuole primarie in cui
ottico, Alhazen e Pelacani contribuirono a precisare il valore della distanza come si provvedeva all’istruzione matematica dei futuri mercanti, artigiani, artisti e architetti.
fattore determinante per la comprensione delle forme. La distanza tra l’occhio e Tra le materie di loro competenza, come vedremo, vi era anche la perspectiva dei
l’oggetto altro non era che l’asse centrale della piramide visiva. In termini trigonometrici, filosofi, ovviamente destinata alla pratica del misurare con la vista. Indipendentemente
la conoscenza di questi due fattori, angolo e distanza, consentiva di misurare le dalle questioni dei filosofi, la visione “certificata” di Alhazen era già implicitamente
dimensioni dell’oggetto. L’altezza di una torre ad esempio – che è un cateto del assimilata e applicata proprio dai maestri abbachisti fin dall’inizio del XIII secolo, quando
triangolo rettangolo formato dalla sezione longitudinale del cono ottico – poteva si cominciarono a diffondere in Occidente i metodi derivati dalla trigonometria araba.

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8
8 Messahalla,
De composizione et utilitate
astrolabii, ms., sec. XIV,
c. 189, proiezione piana
Il rapporto tra l’angolo ottico e la distanza dell’oggetto, in base al quale si perveniva della sfera celeste. Firenze,
alla comprensione della grandezza, era precisamente quello su cui si fondavano le Biblioteca Nazionale
Centrale, II.III.24.
regole della trigonometria poste alla base dei metodi di misurazione indiretta65.

La matematica araba
La trigonometria piana e sferica era una delle maggiori conquiste della matematica
araba. Sviluppata nell’ambito degli studi astronomici e cartografici, questa disciplina
era chiamata anche a risolvere quell’importante problema religioso che era la
determinazione della qibla di una località, ossia la direzione verso la Mecca che indicava
l’orientamento della nicchia delle preghiere in qualsiasi moschea del mondo islamico,
dall’India alla Spagna. La qibla è una funzione trigonometrica della latitudine locale,
della latitudine della Mecca e della differenza di longitudine tra i due luoghi, e come della vera forma dell’oggetto era data solo dal raggio centrale della piramide visiva
tale rientrava nel campo degli studi trigonometrici che Muhammad ben Musa al- che misurava la distanza dell’oggetto stesso: «visio per axem pyramidis opticae certissima
Kuwaritzmi introdusse tra i matematici arabi del IX secolo sulla scorta delle fonti greche est»69. Per conoscere la vera misura della base inaccessibile era necessario intersecare
e indiane. Le funzioni trigonometriche erano anche al centro degli interessi di Alhazen il triangolo con una linea parallela alla base che, generando un triangolo più piccolo,
che scrisse opere sulla determinazione della qibla, sulla trigonometria, sulla geometria ma simile, risultava proporzionale alla grandezza incognita. Otticamente le basi dei
delle misurazioni con la vista, sul calcolo per via geometrica della distanza tra due città, due triangoli apparivano uguali, secondo la Supposizione settima di Euclide: «Quelle
e che nel Kitab al-Manazir (Libro di ottica) si preoccupò di fondare una teoria ottica cose che sotto eguale angolo si veggono ci appariscono eguali». La ragione tuttavia,
66
compatibile con gli interessi astronomici e trigonometrici della scienza islamica . la «virtus distintiva» di Alhazen, consentiva di distinguere la differenza tra le due
La comprensione del rapporto inversamente proporzionale tra l’angolo ottico e la grandezze grazie al calcolo delle distanze.
distanza dell’oggetto era senza alcun dubbio la base su cui gli astronomi arabi elaborarono Il metodo più antico per misurare un’altezza inaccessibile, ad esempio quella di
la tecnica di rappresentazione piana della sfera celeste. Il planisfero di Messahalla una torre, consisteva nel misurare la lunghezza della sua ombra sul terreno, secondo
(VIII secolo), per esempio, era costruito per perspectiva e i suoi circoli rappresentavano una pratica tradizionalmente attribuita a Talete di Mileto70. Se il raggio del sole era
proporzionalmente i circoli della sfera celeste, così come li avrebbe visti l’occhio di uno inclinato a 45° la lunghezza dell’ombra era sicuramente uguale all’altezza dell’oggetto.
spettatore («oculis videntis») idealmente collocato al polo sud (fig. 8)67. Su questo principio Se l’inclinazione del raggio aveva un’altra angolazione si ricorreva invece alle proprietà
ottico si fondava la costruzione dell’astrolabio, lo strumento di misurazione per eccellenza dei triangoli simili, imponendo l’uguaglianza di rapporto tra l’ombra gettata da un’asta
con cui gli arabi affrontarono i loro studi di trigonometria piana e sferica. L’enorme di misura nota e quella gettata dalla torre rispetto alle loro rispettive altezze71. In
successo dell’astrolabio – diffuso in Europa già alla fine del X secolo – si deve in gran mancanza del sole il raggio poteva essere simulato dall’alidada dell’astrolabio (fig. 10)
parte, almeno per i misuratori, alla praticità del quadrato delle ombre inciso sul dorso – orientandola verso la sommità della torre – poiché secondo la Supposizione prima
dello strumento che consentiva di semplificare i calcoli trigonometrici attraverso la dell’Ottica di Euclide si presupponeva «che i raggi ch’escano dall’occhio, sieno portati
traduzione delle grandezze angolari in misure lineari. Il quadrato delle ombre è così per retta linea». In questo caso la proporzione tra l’ombra segnata dall’alidada e l’intero
chiamato perché simula il rapporto tra lo gnomone e la sua ombra che è una funzione lato del quadrato delle ombre doveva essere uguale alla proporzione tra la distanza
trigonometrica, ossia la tangente o la cotangente di un angolo. L’umbra recta e l’umbra dell’osservatore (ombra fittizia) e l’altezza della torre. Per evitare qualsiasi calcolo
versa che compongono il quadrato delle ombre simulano precisamente l’ombra orizzontale proporzionale si poteva semplicemente traguardare la sommità della torre con l’alidada
e l’ombra verticale di uno gnomone (fig. 9). Il rapporto tra lo gnomone e la sua ombra inclinata a 45°; in tal caso, come si legge nel trattato di astronomia di Al-Biruni (1029),
si legge sul quadrante come rapporto tra i cateti di un triangolo rettangolo, riducendo la lunghezza dell’ombra fittizia equivaleva precisamente all’altezza della torre72.
l’operazione di calcolo a un caso di proporzionalità tra triangoli simili. Più sottili erano i casi di misurazione delle altezze quando risultava inaccessibile la
Nei casi di misurazione con la vista i triangoli simili sono costruiti con i raggi visivi distanza dalla base dell’oggetto; è il caso tipico dell’altezza di un monte, o di una torre
in base alla Supposizione seconda dell’Ottica di Euclide: «La figura compresa da’ raggi lambita da un fiume. Anche qui la letteratura indiana (Aryabhatta) si rivelò una preziosa
visuali, è un Cono, la cui punta è nell’occhio, e la basa è nella estremità della cosa fonte degli arabi, e precise indicazioni sulle procedure di calcolo con l’astrolabio o
veduta»68. Di questo cono, dovendo ridurre il problema a un caso di geometria piana, con due pertiche erano descritte da Messahalla, Al-Biruni e Alhazen. Erano necessari
veniva considerata la sezione lungo l’asse che generava un triangolo di cui era due punti di stazione allineati con l’oggetto rimirato, e la distanza tra le due stazioni
fondamentale conoscere l’altezza, data dal raggio visivo perpendicolare. Questo risultava essere una parte nota dell’altezza incognita (fig. 11). A questo risultato si
problema richiama la visione «per intuizione» di Alhazen, secondo la quale la certezza perveniva in modo ancora più sottile servendosi di uno specchio orizzontale che,

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9 10
9 A. Santucci, Trattato 10 J. Stoeffler, Elucidatio
di diversi instrumenti fabricae ususque astrolabii,
matematici…, ms., 1593, c. 6, Magonza 1535, p. 73,
schema del quadrato delle misurazione con l’astrolabio.
ombre. Firenze, Biblioteca
Marucelliana, Ms. C 82.

riflettendo la sommità della torre, formava il triangolo simile per riflessione del raggio Nelle questioni geometriche la «regola del tre» serviva a determinare semplici problemi
visivo; se ne trova la descrizione nell’opera indiana di Bhaskara Acharya (n. 1114) ma di triangolazione, problemi di geometria solida e problemi “di bottega” come la
la tradizione occidentale ne ricavava i principi dal XX teorema dell’Ottica e dal I della divisione di un ciborio triangolare in tre zone di uguale superficie da far dipingere a
Catottrica di Euclide73. tre diversi maestri79. Questi problemi, che entrarono a far parte delle sezioni di geometria
La diffusione della scienza araba in Occidente avvenne soprattutto attraverso la pratica nei successivi trattati d’abbaco, anticipavano il contenuto della Practica geometriae
Spagna islamica tra il X e il XIII secolo. La corretta interpretazione dei testi era affidata scritta da Fibonacci nel 1220. In quest’opera la «regola del tre» assumeva connotati
alla collaborazione di studiosi cristiani, arabi ed ebrei, tra i quali Gerbert d’Aurillac euclidei: la proporzione tra quattro numeri diventava proporzione tra quattro linee
(futuro papa Sivestro II), Adelardo di Bath (a cui si deve la traduzione dall’arabo degli e perfino rapporto aureo. La linea divisa in media ed estrema ragione, ossia la sezione
Elementi di Euclide), Roberto di Chester, Gherardo da Cremona, Platone Tiburtino e il aurea, equivaleva all’equazione algebrica che esprimeva la proporzione tra quattro
matematico ebreo Abraham ben Hiyya, detto Savasorda74. I metodi della trigonometria numeri (il prodotto dei medi uguale al prodotto degli estremi), e spiegava, sulla scorta
risultano assimilati in Catalogna già alla fine del IX secolo, come dimostra la Geometria di Euclide, il rapporto tra la corda e il lato del pentagono, quello tra i lati del pentagono,
incerti auctoris, un tempo attribuita a Gerbert d’Aurillac, che raccoglie anche casi di dell’esagono e del decagono inscritti nello stesso cerchio, e le proprietà dei corpi regolari
misurazione delle superfici e dei volumi derivati dalla tradizione gromatica. I metodi inscritti nella sfera80.
di estrazione araba raccolti in questo trattato riguardano la misura delle altezze, delle La Distinctio septima, che rappresenta il fondamento delle successive trattazioni
distanze e delle profondità con l’uso di svariati strumenti, quali l’astrolabio, lo specchio, sul misurare con la vista, proponeva l’applicazione della «regola del tre» alla stima
una squadra, una canna, un triangolo di legno, secondo una serie di esempi che delle distanze, delle altezze e delle profondità inaccessibili81. In realtà Fibonacci si
costituiscono la base dei successivi trattatisti occidentali di questa disciplina75. Nel 1277 soffermò solo sulla misura delle altezze che erano l’incognita di una equazione, o
le maggiori conquiste dell’astronomia furono rese accessibili anche in castigliano, grazie proporzione, composta da tre termini noti ricavati costruendo con i raggi visivi due
ai Libros del saber de astronomia fatti comporre da Alfonso di Castiglia e tradotti in triangoli simili, il maggiore dei quali avente per base la grandezza cercata. Questa
italiano nel 1341 da Guerruccio di Cione Federighi76. connessione tra ottica, teoria delle proporzioni e geometria piana affondava le radici
Un importante centro di studi e diffusione della cultura islamica era anche la scuola nell’opera euclidea, tanto negli Elementi, dove il sesto libro era dedicato alle proprietà
di palazzo fondata a Palermo da Federico II, luogo di importanti dispute matematiche delle figure simili, quanto nell’Ottica, dove si trovavano quattro teoremi sull’arte di
dove il pisano Leonardo Fibonacci si distingueva tra i più abili risolutori dei quesiti misurare con la vista con l’ausilio di aste, specchi e altri strumenti.
proposti77. A lui spetta il merito di aver dato inizio alla tradizione dell’abbaco, divulgando Il primo problema del misuratore stava nel determinare un triangolo misurabile
le conquiste della matematica araba fuori dai circoli chiusi dei monasteri. Il suo Liber proporzionale a quello formato dai raggi visivi e dall’altezza inaccessibile; cosa che
abaci del 1202 introdusse nell’Occidente cristiano il nuovo sistema numerico indo- avveniva intersecando il triangolo visivo con un termine di riferimento. Questa operazione
arabico e i relativi metodi di calcolo. Fibonacci apprese i metodi di calcolo degli era compiuta da Fibonacci in vari modi: interponendo una verga tra sé e l’oggetto,
algoritmisti direttamente nelle scuole arabe, divulgando il sistema posizionale, il calcolo usando una canna distesa a terra per formare con l’altezza dell’occhio un triangolo
algebrico e tutta una serie di regole applicate all’attività mercantile. Tra queste si rettangolo con l’ipotenusa inclinata a 45° (metodo già presente nei codici gromatici)82,
distingueva soprattutto la cosiddetta «regola del tre» che consentiva di trovare da tre adottando un generico triangolo di legno la cui altezza era proporzionale alla misura
quantità note (da cui il nome) una quarta quantità incognita, imponendo l’uguaglianza cercata, o utilizzando il quadrato delle ombre. Una sola operazione abbandonava questo
tra il prodotto dei medi e il prodotto degli estremi, e rappresentava una delle più metodo per ricavare l’altezza inaccessibile attraverso l’applicazione del teorema di
fortunate questioni di proporzione tra i numeri78. Pitagora: la misura incognita che risultava essere il cateto di un triangolo rettangolo

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11 J. Stoeffler, Elucidatio 12 P. Apiano, Introductio
fabricae ususque astrolabii, geographica, Ingolstadt 1533,
11 Magonza 1535, p. 74, frontespizio, il bacolo nell’uso
misurazione di un’altezza astronomico e terrestre.
da due stazioni allineate.

equivaleva alla radice della differenza dei quadrati costruiti sull’altro cateto e sull’ipotenusa. come matematico, costruttore di strumenti astronomici e certamente come il più grande
Questi ultimi due lati erano ottenuti scagliando con le frecce due corde alla sommità e astronomo dei suoi tempi; e di quanto egli stesso ne fosse consapevole lo dimostra il
alla base della torre, secondo un’antica prassi di cui la Geometria incerti auctoris suo testamento che imponeva di tenere «tutti i suoi Libri di Astrologia» chiusi in una
rivela l’evidente origine militare. Cristoforo di Gherardo Dini, volgarizzando la Practica cassa nella chiesa di Santa Trinita «fin tanto che non fosse in Firenze qualche Astrologo
geometriae nel 144283, integrò i metodi di Fibonacci con i casi più sottili rintracciabili bravo Fiorentino approvato per tale almeno per quattro maestri»88.
nella Geometria incerti auctoris (fine del IX secolo), nella Practica geometriae di Domenico Costui sarebbe stato il suo discepolo e successore alla scuola di Santa Trinita, Antonio
da Chivasso (1346) e nel De visu di Grazia de’ Castellani (fine del XIV secolo). de’ Mazzinghi che «non solamente in arismetricha et geometria, ma in astrologia,
musicha anchora, in edificare, in prospettiva, in tutte arte di gran intelletto fu dotto
La tradizione dell’abbaco et fece molti archimi»89. Secondo Benedetto da Firenze e l’anonimo maestro fiorentino
In risposta al linguaggio comune della società mercantile, l’opera di Fibonacci cominciò del Codice Palatino 573, Antonio de’ Mazzinghi fu il più grande matematico dopo
a essere volgarizzata già alla fine del XIII secolo, seppur in versioni e adattamenti ridotti. Fibonacci ed è citato nientemeno che accanto a Euclide e Boezio. A lui si attribuivano,
Il primo trattato d’abbaco di cui si ha notizia dopo quello di Fibonacci è un Livero oltre ai più famosi Fioretti, «molti volumj di geometria e d’arismetrica» che probabilmente
del abbecho scritto intorno al 1290, data in cui i maestri fiorentini già si distinguevano andarono ad accrescere la biblioteca della scuola di Santa Trinita, già arricchita dai
per lo studio e l’insegnamento della nuova disciplina anche in altre città italiane84. Del numerosi scritti di Paolo dell’Abbaco. La scomparsa prematura di Antonio de’ Mazzinghi,
1327 è il Libro di ragioni del fiorentino Paolo Gherardi che rivela interessanti rapporti che «d’età di circa 30 annj morj», segna l’inizio del precoce insegnamento del suo
con gli ambienti matematici francesi, e di poco successive (1329) sono le Regoluzze allievo Giovanni di Bartolo che «incominciò a insegnare circa 1390 […] benché di 19
di Paolo dell’Abbaco, destinate ad avere notevole risonanza tra i futuri maestri annj fusse». Giovanni dell’Abbaco – così chiamato dal momento che divenne maestro
abbachisti85. a Santa Trinita – fu anche lettore di astronomia nello Studio fiorentino, come già i suoi
La storia dell’abbaco è scritta dagli abbachisti stessi che raccogliendo le «ragioni» predecessori, ed ebbe tra i suoi allievi l’astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli, svolgendo
dei loro più autorevoli predecessori tracciarono un profilo estremamente lineare della altresì un ruolo di primo piano come esperto di matematica nei calcoli che
loro disciplina. Nella Prathica d’arismetrica di Benedetto da Firenze ad esempio, composta accompagnarono la celebre impresa brunelleschiana della costruzione della cupola di
tra il 1450 e il 1460, troviamo notizie importantissime sulle due più famose scuole Santa Maria del Fiore90.
d’abbaco fiorentine del XIV secolo, quella «dirimpetto a Santa Trinita» e quella sul Alla fine del Trecento si distinse tra i maestri abbachisti anche il teologo agostiniano
Lungarno. Benedetto da Firenze ricorda Maestro Biagio, morto intorno al 1340, Paolo Grazia de’ Castellani, frate di Santo Spirito e lettore di teologia nello Studio fiorentino.
dell’Abbaco, morto circa vent’anni dopo, Antonio de’ Mazzinghi, Giovanni di Bartolo Giovanni di Gherardo da Prato lo ricorda tra i membri di quella singolare compagnia
e altri maestri fiorentini ai suoi tempi molto rinomati86. Dalle Croniche di Giovanni di luminari che nel 1389 si riuniva nella villa “il Paradiso” di Antonio degli Alberti
Villani (XI, 94) sappiamo che nel 1343 vi erano a Firenze ben sei scuole d’abbaco. Quella intorno alla figura venerabile di Biagio Pelacani da Parma91. Benedetto da Firenze
di Santa Trinita, fondata dal pratese Paolo Dagomari, detto dell’Abbaco, ebbe sotto documenta le sue dimostrazioni dei problemi contenuti nel Liber algorismi di Giovanni
questo maestro più di seimila allievi, tra i quali Jacopo di Dante Alighieri a cui Maestro da Siviglia, mentre un anonimo maestro fiorentino testimonia che «molte chose scrisse
Paolo dedicò vari sonetti87. Paolo dell’Abbaco era anche poeta ma è noto soprattutto et, maxime, del misurare a occhio et delle parti della prospettiva», trascrivendo quattordici

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13
13 Domenico da Chivasso, 14 Schema dello strumento
Practica geometriae, ms., di Grazia de’ Castellani,
1346, c. 127r, tavoletta sec. XIV (dis. dell’autore).
topografica. Firenze,
Biblioteca Medicea
Laurenziana, San Marco 215.

14
f c
f
c

3 3 g 3

4
d
e d e a
b

problemi «del modo di misurare coll’occhio, cioè chon strumenti» che maestro Grazia in base al senso della vista che nei trattati si spiegava la differenza tra geometria teorica
«nel suo trattato De visu chiaro dimostra»92. Quest’opera – che l’anonimo fiorentino e geometria pratica. Mentre la prima consentiva di intuire la forma e la grandezza
dice conservata nella biblioteca del convento di Santo Spirito ma che oggi risulta degli oggetti sulla base del puro ragionamento mentale («mentis speculatione»), la
perduta93 – è di grande interesse per il tema che stiamo trattando perché rappresenta seconda permetteva di misurare la grandezza incognita di qualsiasi oggetto per mezzo
un importante anello di congiunzione tra la sfera pratica degli abbachisti e quella della vista («experimento sensibili»); a seconda che l’oggetto da misurare fosse la linea,
speculativa dei filosofi. La vicinanza con Biagio Pelacani e la formazione stessa del la superficie o il corpo, la geometria si divideva in «altimetria, planimetria et
teologo agostiniano lascerebbero supporre la collocazione del De visu nella tradizione stereometria»95. Questa distinzione fu ulteriormente precisata in quella summa del
di quegli studi filosofici sulla visione che dal De aspectibus di Alhazen giungono, sapere filosofico e scientifico medievale che era la Margarita philosophica di Gregor
attraverso Ruggero Bacone, Vitellione e Giovanni Peckham, fino alle Questiones Reisch (1512), dove nel contesto di un trattato di architettura e prospettiva, certamente
perspectivae del filosofo parmense. Tuttavia, l’unica parte superstite dell’opera è una sensibile anche agli sviluppi teorici del Rinascimento, si spiegava: «tre sono le specie
sezione di perspectiva pratica, ossia di quell’arte di misurare con la vista che era di della misura artificiale, la quale si chiama Scenographia pratica, cioè Altimetria,
competenza dei maestri abbachisti. Planimetria, et Polimetria». Qui scenographia equivaleva a perspectiva; si trattava di
Il trattato di Grazia de’ Castellani verrebbe cioè a rispecchiare in modo esemplare una delle tre specie della dispositio vitruviana che, in un singolare connubio con la
il ruolo della perspectiva definito nelle classificazioni medievali, ovvero quello di una cultura scientifica medievale, era definita come la «misura delle linee radiali dell’occhio,
scienza fisica e matematica che studia l’applicazione dei principi geometrici ai raggi overo dell’ombra, con la quale si comprendono [misurano] le altezze, le lunghezze, le
visivi e luminosi. La conoscenza dei principi ottici guidava anche l’invenzione degli larghezze, et profundita di tutte le cose»96.
strumenti di misurazione, come nel caso del cosiddetto «bacolo» o «bastone di Giacobbe» La definizione di Reisch attribuiva un nome appropriato a quella parte della geometria
descritto dall’astronomo ebreo Levi ben Gerson nella prima metà del XIV secolo (fig. pratica che sempre più consapevolmente si era andata configurando come
12). Lo strumento fu messo a punto per effettuare soprattutto misurazioni astronomiche, un’applicazione dei principi dell’ottica geometrica. Nella Practica geometriae di Domenico
ed è infatti descritto nel libro sull’Astronomia (Sefer Tekunah) che Levi inserì nella sua da Chivasso si parla chiaramente di un’operazione condotta sui raggi visivi. Tra i numerosi
opera magna di filosofia religiosa, Le guerre del Signore (Milhamot Adonai). Il bacolo strumenti descritti in quest’opera ve n’è uno che sembra anticipare la cinquecentesca
era semplicemente un bastone di sei spanne lungo il quale scorreva un’asticella trasversale tavoletta pretoriana (fig. 13). Lo strumento serviva a misurare la distanza tra due luoghi
corrispondente a una spanna che rappresentava la base dei triangoli simili formati dai attraverso la rappresentazione della loro posizione topografica. L’operazione richiedeva
raggi visivi. La costruzione di questo semplice strumento era però accompagnata da l’applicazione di un principio geometrico fondamentale che consisteva nell’intersezione
un sofisticato ragionamento ottico destinato a determinare il centro della visione della piramide visiva con un piano immaginario: «poni l’occhio su un lato della tavola
all’interno dell’occhio, ovvero il punto verso cui concorrono i raggi visivi, che rappresenta […] e segna dove il raggio visuale interseca l’altro lato»97. Una copia della Practica di
l’inizio della scala di misura tracciata sullo strumento; la prima spanna del bacolo è Chivasso si trovava a Firenze nella Libreria di San Marco ed era certamente nota ai
infatti ridotta della misura (1/20) corrispondente alla distanza che separa il mirino dal maestri abbachisti98. Grazia de’ Castellani riprese chiaramente il metodo della tavoletta
centro della visione «dentro la testa dell’osservatore»94. servendosene per misurare anche le altezze, tracciando il triangolo visivo e la sua
L’occhio era di fatto lo strumento per eccellenza di cui si servivano i misuratori, ed era intersezione su un piano verticale. Le operazioni del Castellani si distinguevano

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15 16 G. Fontana, Della
prospettiva, ms., sec. XV,
c. 12r, lo specchio concavo;
c. 22v, esperimento delle
15 16 torri. Firenze, Biblioteca 17
Riccardiana, Ricc. 2110.

17 18 A. Mantegna,
San Sebastiano, 1457-58,
intero e particolare. Vienna,
Kunsthistorisches Museum,
inv. 301.

soprattutto per l’uso di un nuovo strumento che fissava le variabili dell’operazione


prospettica, ossia l’altezza dell’occhio (tre braccia) e la sua distanza dal piano di
intersezione (quattro braccia). La distanza di un punto – nel caso specifico la porta
dell’Annunziata vista dall’angolo di via dei Servi – si misurava agevolmente dividendo
12 per il valore dell’intersezione (fig. 14)99.
Questo modo di misurare attraverso il taglio della piramide visiva dava un senso
tangibile al concetto di “discernere con la vista” maturato nel dibattito filosofico sulla
perspectiva. Le questioni filosofiche in quanto tali erano certamente al di sopra ed
estranee all’indirizzo pratico della matematica dell’abbaco, ma l’oggetto che ne
stimolava la discussione, cioè il fenomeno della visione, era invece pertinente alle
problematiche di questa disciplina. In una raccolta di scritti medievali compilata verso
la fine del XV secolo, Flores arismetrice, i metodi della geometria pratica sono descritti
in due trattati dal titolo Tractatus de arte visorandi e De duplici arte visoriae100. Sappiamo
18
che Antonio de’ Mazzinghi era anche esperto di perspectiva e che il De visu di Grazia
de’ Castellani ci è stato tramandato, sebbene in un breve estratto, proprio da un maestro
abbachista. La definizione di misura per «experimento sensibili» trova inoltre un’ulteriore
precisazione in un trattato di aritmetica composto intorno al 1410 dove, introducendo
una sezione sulla composizione del quadrante, l’autore definisce la geometria pratica
come quella disciplina per mezzo della quale «noi mesureremo per p[erspecti]va a
occhio la quantitade dubia duna cossa»101.
Alla fine del XIV secolo l’arte di misurare con la vista aveva favorito l’introduzione
di due principi geometrici fondamentali per gli imminenti sviluppi della perspectiva
artificialis: la visione monoculare che identificava l’occhio come il vertice dei triangoli
formati dai raggi visivi, e l’intersezione della piramide visiva che permetteva di misurare
la grandezza apparente dell’oggetto. Questi principi andavano a rafforzare quel
concetto della visione “certificata” di Alhazen che proprio in questo periodo veniva
ulteriormente diffuso attraverso il volgarizzamento del De aspectibus. E non è da
escludere che questo volgarizzamento possa collocarsi proprio nel contesto degli studi
abbachistici102. I maestri d’abbaco insegnavano in volgare e i testi di cui si servivano
erano generalmente volgarizzamenti di opere latine, come le varie versioni degli scritti

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di Fibonacci e la traduzione italiana (1341) dei Libros del saber de astronomia di Alfonso La «perspectiva» dei pittori
di Castiglia, di cui sappiamo che Paolo dell’Abbaco corresse le tavole103. Certamente fu
proprio questo volgarizzamento a fornire la traccia del Commentario III di Lorenzo
Ghiberti, ed è probabile che lo scultore fiorentino non sia stato l’unico artista ad avvalersi
di quell’importante veicolo di diffusione della scienza ottica medievale.
Un altro tentativo di portare le conoscenze ottiche dagli studia universitari alle
botteghe dei pittori si può individuare nel manoscritto Della prospettiva, già attribuito
all’Alberti e a Paolo dal Pozzo Toscanelli ma forse opera del padovano Giovanni
Fontana104. L’autore si rivolge a un giovane apprendista («Polixeo carissimo»), dichiarando
la propria difficoltà a esporre in volgare principi e concetti che per secoli erano stati
tramandati attraverso la lingua latina: «conciosiacosa che la materia assunta habbi
necessità di certe dimostrationi di Geometria, le quali male si possono esplicare in L’interesse degli artisti per le “questioni di prospettiva” è un fenomeno che si manifesta
volgare»105. Il trattato spiegava i principi della visione diretta, riflessa e rifratta, in modo ampio e diffuso a partire dai primi decenni del Quattrocento; tuttavia la
«seguendo el stile de Perspectivi passati». Non spiegava quindi i principi della diffusione dei principi ottici nelle botteghe dei pittori si verifica probabilmente già
rappresentazione ma solo quelli delle diverse apparenze generate soprattutto nel corso del XIV secolo quando si consolida l’interesse naturalistico inaugurato dalla
dagli specchi (fig. 15). Frequenti sono i richiami al «Maestro delli specchi», cioè ad pittura di Giotto. Dopo il periodo iconoclasta e l’astrazione mistica bizantina, il
Alhazen, da cui è ripreso l’esperimento che dimostrava l’impossibilità di distinguere pensiero teologico degli ordini mendicanti favorì una svolta figurativa che maturò
le grandezze senza la comprensione della distanza (fig. 16)106. Tra gli esempi pratici proprio con gli sviluppi della prospettiva rinascimentale. L’attenzione al fenomeno
«per li quali la materia ti sarà più chiara», si trova anche quello della torre riflessa da visivo che si registra negli studi filosofici e matematici del XIII e XIV secolo ebbe un
uno specchio orizzontale, quasi sempre rintracciabile tra i metodi di misurazione chiaro corrispettivo nell’interesse manifestato dai pittori per i valori ottici della forma
descritti nei trattati di geometria pratica. Per garantire una perfetta comprensione e del colore. Le proporzioni, il trattamento del chiaroscuro e la rappresentazione
dell’immagine, lo specchio «debba essere solido, netto puro, senza macula di polvere dello spazio tridimensionale raggiunsero livelli di straordinaria modernità di cui
[…], pulito, terso, senza asperità et uniforme […] Può essere specchio d’ogni metallo testimonia, ad esempio, la fama attribuita a Stefano fiorentino, uno dei discepoli di
lucido et solido, cioè d’ottone, di rame, ariento, oro di ferro, et principalmente d’acciaio, Giotto, detto «scimmia della natura» per l’abilità con cui seppe rappresentare le
el quale è ottima materia a fare specchi […] al presente la moltitudine delli specchi apparenze naturali111. Secondo Ghiberti, Stefano «fu egregissimo dottore» e le sue
si fanno di vetro per apposizione del piombo o di altra cosa opaca» 107. Specchi opere si distinguevano per essere «fatte con grandissima dottrina», tanto da essere
piani, concavi, convessi, sferici, cilindrici, piramidali e irregolari erano oggetto di ricordato, ancora due secoli dopo dal Vasari, proprio per le sue abilità prospettiche112.
sintetiche ma precise considerazioni sull’apparenza delle forme, e le loro proprietà L’unica testimonianza letteraria di queste esperienze è il Libro dell’arte di Cennino
spiegavano alcuni singolari fenomeni atmosferici già descritti da Biagio Pelacani, Cennini, composto prevalentemente a Padova alla fine del XIV secolo ma espressione
come l’apparizione nel cielo di città, persone o interi eserciti: questo «perché il nugolo diretta della grande scuola giottesca. L’innovazione apportata dal maestro è
alcuna volta […] fassi specchio delle cose che sono in terra»108. A questi fenomeni sinteticamente espressa in quest’opera con una celebre frase dal carattere lapidario:
prestò attenzione, ad esempio, Andrea Mantegna che dipinse nel cielo di un San «Giotto rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno»113. Secondo
Sebastiano l’immagine riflessa di un cavaliere (figg. 17-18)109. Ma tutti i fenomeni la critica, la svolta è preannunciata già nelle Storie di Isacco che introducono l’opera
ottici, che siano generati dagli specchi o dai corpi densi trasparenti, rispondono alla di Giotto nella basilica di San Francesco ad Assisi114. Il ciclo decorativo intrapreso da
stessa legge geometrica della «piramide radiosa»: «Ma nota, Polixeo carissimo, che Cimabue sotto l’egida del primo pontefice francescano, Niccolò IV (1288-92), subì
la cosa ch’è si vede per piramide. Onde tu de’ sapere che la piramide è in forma di un cambiamento stilistico quando il maestro concluse la direzione del cantiere
triangolo. Quando la cosa si vede, da ciascun punto della cosa procede uno razo consegnandolo nelle mani del cosiddetto Maestro d’Isacco che alcuni studiosi tendono
terminando nell’occhio di colui che vede […] per la qual cosa è di necessitade che si a identificare con il giovane Giotto115.
formi un triangolo, et questo triangolo ha due estremità e la basis, la qual non è altro L’impianto decorativo stabilito da Cimabue nel transetto della basilica superiore
al presente che la cosa veduta. Et tutto questo triangolo dalla cosa veduta fino all’occhio fu ripreso da Giotto lungo tutta la navata, ma qualcosa era cambiato. Le figure
si chiama piramide radiosa»110. Questo trattato ci è noto attraverso un solo testimone avevano acquistato una plasticità sconosciuta ai pittori delle generazioni precedenti,
manoscritto appartenuto a Benedetto Varchi che se ne servì ampiamente per lo spazio si era fatto tridimensionale e la posizione dell’osservatore aveva assunto
commentare il I canto del Paradiso in una celebre lezione all’Accademia fiorentina un ruolo determinante per la composizione architettonica delle scene. Le Storie di
del Disegno. san Francesco si presentano come singoli atti teatrali inquadrati da una finta cornice

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architettonica dal carattere fortemente illusionistico, con colonne tortili corinzie L’impatto visivo di questa cornice architettonica è di grande effetto. Lo schema
sormontate da una trabeazione a modiglioni (fig. 22). “prospettico” adottato nella costruzione dei modiglioni è però convenzionale: a
Nell’analoga cornice di Cimabue i modiglioni sono disegnati secondo uno schema eccezione dei modiglioni centrali, effettivamente convergenti in un unico punto, tutti
assonometrico che resta uguale per tutte le pareti del transetto, generando un gli altri sono allineati su due fasci di rette parallele che si incontrano simmetricamente
paradossale effetto divergente al centro dell’abside. Lo schema tendeva a dare l’idea sull’asse centrale della composizione. L’espediente si rendeva probabilmente necessario
della tridimensionalità della cornice senza però ricercare un rapporto diretto con per controllare le deformazioni marginali, un problema che, come vedremo, preoccuperà
l’occhio dell’osservatore. Nell’inquadratura delle sue Storie, Giotto adotta invece anche i teorici della prospettiva rinascimentale. Nella raffigurazione degli edifici Giotto
uno schema convergente, stabilendo un fuoco prospettico sull’asse centrale di ogni si servì soprattutto della proiezione parallela, utilizzata fin dall’antichità e mai
campata 116. L’intenzione di assecondare l’occhio dell’osservatore si manifesta sostanzialmente abbandonata. In alcune scene però, soprattutto nella rappresentazione
chiaramente in almeno due particolari. Il primo lo notiamo nella rappresentazione degli interni, l’artista sperimentò lo schema prospettico convergente in un unico punto,
delle basi delle colonne che, trovandosi più in alto dell’occhio, convergono verso il verificandone le potenzialità ma anche le difficoltà compositive. Ne L’approvazione
basso, a differenza delle Storie che, pur trovandosi alla stessa altezza, mostrano in della regola, ad esempio, la scena si svolge in una stanza prospetticamente ben
tutta evidenza il pavimento delle singole scene. Mentre le Storie sono concepite rappresentata. Tuttavia, solo le mensole di sostegno dei tre archetti di fondo convergono
come quadri appesi alle pareti, la cornice architettonica è concepita come un elemento verso un punto centrale, mentre le linee delle due pareti in scorcio convergono
appartenente all’architettura reale e quindi illusionisticamente rappresentato come verso due punti situati simmetricamente più in basso sui bordi del quadro (fig. 19).
se fosse realmente costruito. Il secondo particolare arriva perfino a sfiorare il trompe- Nella Predica a Onorio III le bellissime volte a crociera dell’ambiente che ospita la scena
l’oeil, là dove Giotto si pone il problema di annullare visivamente un elemento sono perfettamente costruite con il controllo prospettico di un unico punto, mentre
architettonico di disturbo. Nella prima campata, quella più lunga verso l’ingresso, il motivo ornamentale degli arazzi sulle pareti laterali e il pavimento seguono altri
una colonnetta pensile del cleristorio invade parzialmente la scena sottostante allineamenti (fig. 22). Analoga è la costruzione della scena de L’apparizione a Gregorio
interrompendo la continuità della finta trabeazione (figg. 20-21). L’artista opera IX dove però il soffitto a cassettoni sembra costruito con maggior rigore: due punti
come se la colonnetta non ci fosse, continuando la decorazione sul fusto ma con laterali fuori dal quadro, verso cui convergono con buona approssimazione le diagonali
l’accortezza di inclinare verso il basso le linee orizzontali per annullare l’effetto dei cassettoni, sono situati simmetricamente alla stessa altezza del punto di convergenza
contrario che si sarebbe avuto se le avesse tracciate a livello. In questo modo l’occhio delle linee recedenti in profondità che in questo caso è decentrato rispetto alla
dell’osservatore percepisce la continuità della cornice ignorando la presenza della composizione del quadro (fig. 23). La linea che unisce i tre punti passa per l’occhio di
colonnetta. san Francesco, quasi a precorrere la definizione dell’orizzonte prospettico. Questo

19 20 21
19 Giotto, L’approvazione
della regola, 1297-99.
Assisi, basilica superiore.

20 21 Giotto, colonnetta
pensile con correzione ottica.
Assisi, basilica superiore.

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25 26
22 Giotto, Predica 25 Giotto, finto coro,
a Onorio III, 1297-1300. 1303-05. Padova,
Assisi, basilica superiore. cappella degli Scrovegni.

23 Giotto, L’apparizione 26 T. Gaddi, Presentazione


a Gregorio IX, 1300. della Vergine, ca. 1328.
Assisi, basilica superiore. Firenze, Santa Croce,
cappella Baroncelli.
24 Maestro della Disputa,
Disputa di Gesù nel Tempio,
sec. XIV. Assisi, basilica
inferiore.

22 23

schema risulta applicato ancora nella basilica inferiore da un discepolo dell’artista che
se ne servì per il controllo prospettico di un ben più complesso soffitto a cassettoni
(Disputa di Gesù nel Tempio). Qui lo schema sembra aver raggiunto l’assolutezza di
una regola: tre punti allineati sulla stessa retta, uno centrale e due laterali sui bordi
del quadro, generano tre fasci di rette convergenti dalla cui intersezione deriva il
tracciamento delle rette parallele al quadro (fig. 24)117.
Queste sperimentazioni produssero risultati straordinari, sia a Padova – dove i
finti “coretti” della cappella degli Scrovegni (1306) preannunciavano il gusto per
l’architettura dipinta successivamente esaltato dal quadraturismo rinascimentale
(fig. 25) – sia a Firenze, dove le cappelle Bardi, Peruzzi e Baroncelli a Santa Croce
divennero il punto di riferimento di generazioni di pittori per tutto il Rinascimento.
24 A Padova, Giotto utilizzò i due punti laterali anche per costruire delle timide vedute
d’angolo, un problema prospettico che Taddeo Gaddi avrebbe affrontato con notevole
successo nella cappella Baroncelli, perfezionando una tipologia compositiva
particolarmente amata dai pittori del Trecento (fig. 26). La rappresentazione prospettica
costituì evidentemente un problema di grande interesse nel XIV secolo. Anche se in
nessun caso si arrivò a elaborare un sistema geometrico coerente per il controllo
dell’intera composizione pittorica, la ricerca era chiaramente orientata verso la
risoluzione di questo problema.

La pittura francescana
La svolta figurativa inaugurata da Giotto fu certamente favorita dalla peculiarità
della committenza. Ad Assisi, come a Rimini, a Padova e a Firenze, Giotto lavorò per
i francescani, l’ordine mendicante che più di ogni altro seppe imporsi nel mondo
cristiano per la sua autorità sul piano spirituale, teologico e scientifico. Secondo
Vasari, gli affreschi di Assisi gli furono commissionati da Giovanni da Morrovalle,
nominato generale dell’ordine nel 1296 e verosimilmente autore del programma
iconografico della navata118. Si trattava del primo ciclo pittorico specificamente
francescano ed è presumibile che agli occhi della committenza le Storie del santo
necessitassero di un linguaggio figurativo appropriato. Il carattere ultraterreno,

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simbolico e aristocratico dei modi bizantini, più adatto al lusso delle abbazie che alla Cimabue avrebbero quindi potuto trovare terreno fertile proprio nella possibile
semplicità delle chiese conventuali, potrebbe esser sembrato inadatto a visualizzare frequentazione del grande perspectivus121.
il messaggio terreno e tangibile della predicazione di san Francesco. La contemplazione Alla partenza di Peckham, nominato arcivescovo di Canterbury nel 1279, la cattedra
del divino come trascendenza degli eventi mondani andava riconsiderata radicalmente; di teologia fu affidata al suo discepolo Matteo d’Aquasparta che nelle Quaestiones
il divino andava contemplato volgendo lo sguardo alla sua creazione, cioè all’uomo disputatae de anima separata (1277-79) attaccò, per la prima volta pubblicamente,
e alla natura. Il modo migliore per esprimere il dialogo di Francesco con la natura, la dottrina della «multiplicatio specierum». Acquasparta fu nominato generale
come espressione del dialogo con Dio, era quello di raffigurare obiettivamente le dell’ordine francescano di Assisi nel 1287 e in quella occasione la sua ricca raccolta
forme del creato. Non è da escludere che il programma iconografico di Morrovalle libraria fu donata alla biblioteca del convento. Nello stesso anno, il nuovo padre
contenesse alcune specifiche sulle esigenze espressive dell’iconografia francescana, generale nominò alla cattedra di teologia del convento fiorentino di Santa Croce il
e il naturalismo di Giotto potrebbe esserne stato l’immediata risposta. suo discepolo Pietro di Giovanni Olivi che portò ulteriormente avanti la condanna
La rappresentazione della natura come specchio del creato poneva certamente della dottrina sulla visione. Nelle Quaestiones in secundum librum Sententiarum
problemi di tipo gnoseologico relativi alla percezione delle forme, della luce e del l’attacco è diretto principalmente ad Alhazen, visto come una sorta di Anticristo, e
colore. Se non proprio nelle menti dei pittori, questi temi potevano facilmente conseguentemente ai suoi seguaci: il francescano oxoniense Ruggero Bacone e il
albergare nelle menti dei dotti francescani che più si erano impegnati nel dibattito fisico polacco Vitellione. Di Alhazen e delle proprietà ottiche degli specchi si parlava
filosofico sulla metafisica della luce. All’ordine francescano appartenevano alcuni con interesse anche nell’altro grande convento francescano di Padova, dove Giotto
tra i maggiori studiosi di perspectiva del XIII secolo: Roberto Grossatesta, ad esempio, ebbe modo di sfoggiare alcuni dei suoi più riusciti saggi di perspectiva pittorica122.
ma soprattutto Ruggero Bacone e John Peckham, le cui opere erano note attraverso Un segno dell’interesse esercitato dai temi ottici al di fuori delle biblioteche
numerose copie manoscritte esistenti nelle maggiori biblioteche del tempo. L’Opus conventuali e degli studia universitari è certamente rappresentato dai numerosi versi
majus di Bacone fu inventariato nella biblioteca di Bonifacio VIII nel 1295; la Perspectiva di argomento ottico composti da Jean de Meun nella seconda parte del Roman de
communis di Peckham fu inventariata nella biblioteca pontificale di Assisi nel la Rose (1268-82), uno dei testi letterari più diffusi del XIII secolo123. Ma la produzione
1339; entrambe le opere, insieme al De luce di Grossatesta e ad altri trattati di stessa di specchi e lenti era al tempo stesso conseguenza e causa di tali interessi.
perspectiva, si trovavano nella biblioteca fiorentina dell’ordine a Santa Croce119. L’invenzione degli occhiali si colloca precisamente in questo periodo (1285-89) e già
L’Opus majus fu dedicato e inviato a Clemente IV nel 1267 e a portarlo a Viterbo negli anni sessanta nella basilica inferiore di Assisi le volte furono decorate con un
fu John Peckham. In quest’opera, la discussione sulla perspectiva era preceduta da cielo stellato in cui ogni stella portava incastonato uno specchio convesso che,
una riflessione sui rapporti tra arte e scienze matematiche (Mathematicae in divinis riflettendo la luce delle candele, produceva uno scintillio paragonabile a quello di
utilitas) dove Bacone auspicava la possibilità che la pittura potesse trovare la perfezione una chiara notte di novilunio. Anche Giotto ebbe modo di sperimentare l’applicazione
negli Elementi di Euclide e negli scritti ottici120. pittorica degli specchi convessi, sia nel contesto astrologico del perduto planetario
Queste opere erano state al centro del dibattito filosofico che nel 1277 portò alla del palazzo della Ragione a Padova, sia nel contesto teologico della cappella degli
condanna dell’averroismo, e quindi del potenziale dissidio tra la verità rivelata e la Scrovegni dove il simbolo divino, lo specchio appunto, appare incastonato nell’aureola
verità razionale. Principale oggetto di discussione era la dottrina della «moltiplicazione del Cristo giudice. Essendo lo strumento più diffuso tra i filosofi perspectivi, nulla
delle specie» sostenuta dai maggiori studiosi di ottica come modello fisico della esclude che lo specchio sia diventato in questo periodo un valido strumento di lavoro
visione e della propagazione della luce. Attribuire il processo conoscitivo alla percezione anche dei pittori. Il pubblico spettacolo di cui ci informa Filippo Villani, che vide
delle «specie» produceva preoccupanti conseguenze gnoseologiche ed epistemologiche protagonisti Giotto e l’amico Dante Alighieri, consisteva proprio in una dimostrazione
che i francescani stessi si premurarono di arginare per impedire un pericoloso contrasto catottrica. Secondo Villani, l’artista «dipinse eziandio a pubblico spettacolo nella
tra fede e ragione. Il più influente perspectivus francescano, John Peckham, era stato città sua con aiuto di specchi sé medesimo e il contemporaneo suo Dante Alighieri
lettore di teologia nel Sacro Palazzo di Viterbo nel 1276-77. Qui portò presumibilmente poeta nella cappella del palagio del potestà nel muro»124. Il ritratto a cui Villani si
a termine la sua fondamentale Perspectiva communis, opera diffusissima e ampiamente riferisce servì probabilmente da modello per quello oggi visibile nella cappella della
citata ancora per tutto il Rinascimento. Nello stesso luogo e quasi negli stessi anni, Maddalena del Bargello, che mostra il poeta nel suo inconfondibile profilo. L’uso
tra il 1272 e il 1277, Vitellione compose la sua parafrasi del De aspectibus di Alhazen, dello specchio per l’esecuzione di autoritratti è documentato fin dall’antichità e
altra opera fondamentale ma meno ben vista nelle scuole francescane per la sua rimase probabilmente una consuetudine nelle botteghe degli artisti125. Villani sembra
parentela con il grande “saraceno” stigmatizzato più tardi dalla veemente condanna riferirsi però all’uso di più specchi, cosa che farebbe supporre anche l’autoritratto di
di Pietro di Giovanni Olivi. Vitellione godeva della protezione di Ottobono Fieschi, Giotto dipinto di profilo; lo spettacolo consistette presumibilmente nella presentazione
il potente cardinale che nel 1272 aveva chiamato a Roma Cimabue come testimone del semplice apparato catottrico che consentì al pittore di vedere se stesso di profilo.
di un arbitrato ecclesiastico, e gli interessi “prospettici” di un artista colto quale era Le implicazioni ottiche potevano essere di grande suggestione se si pensa al parallelo

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27 28
27 Alhazen, De aspectibus,
sec. X, lib. III, prop. V, schema
della visione binoculare
(Alhazen, Opticae Thesaurus
Alhazeni..., a cura di F. Risner,
Basileae 1572, p. 78).

28 Roma, Palatino,
casa di Augusto, sala
delle maschere, sec. I a.C.

tra l’occhio e lo specchio fatto da Dante sulla scorta dei trattati di ottica: «E ne la potuto stimolare le ricerche dei pittori, forse in parte incoraggiate anche dai dotti
pupilla de l’occhio […] [la visione] si compie perché quell’acqua è terminata quasi francescani impegnati nel dibattito sulla visione. Lo schema bifocale adottato
come specchio che è vetro terminato con piombo»126. nella costruzione dei soffitti a cassettoni potrebbe essere derivato da una elaborazione
Il meccanismo ottico che spiegava quel fenomeno di riflessione è illustrato nel grafica degli schemi usati nei trattati per illustrare il fenomeno della visione binoculare
XV canto del Purgatorio dallo stesso Dante, che traduce poeticamente le proposizioni (fig. 27)131, e un potenziale intermediario tra Giotto e i filosofi perspectivi avrebbe
catottriche euclidee: «Come quando da l’acqua o da specchio / salta lo raggio a potuto essere proprio l’amico Dante Alighieri, delle cui conoscenze ottiche rendono
l’opposita parte, / salendo su per lo modo parecchio / a quel che scende, e tanto si chiara testimonianza il Convivio e la Commedia132.
diparte / dal cader de la pietra in igual tratta, / sì come mostra esperienza e arte, / Un segno della penetrazione dei principi elementari dell’ottica euclidea nelle
così mi parve da luce rifratta / quivi dinanzi a me esser percosso, / per ch’a fuggir la botteghe dei pittori potrebbe essere ravvisato nell’unica “regola” fornita dal Cennini
mia vista fu ratta»127. Il termine arte è puntualmente spiegato dai commentatori per il disegno architettonico. Secondo una prassi certamente molto diffusa, il disegno
come prospectiva, cioè ottica; così si esprime ad esempio Cristoforo Landino: «Arte, prospettico era guidato da semplici accorgimenti ottici che Cennini sintetizza in
idest la Prospettiva: che di questo assegna la ragione. La prospettiva è parte di relazione al disegno degli edifici. Tenendo implicitamente conto della posizione
philosophia e parte di geometria»128. E se la filosofia spiega col ragionamento il dell’occhio dell’osservatore nel mezzo del dipinto, Cennini stabilisce che, data una
fenomeno naturale («esperienza»), la geometria spiega col ragionamento la legge facciata in scorcio, il cornicione «vuol pendere […] in giù» mentre il basamento «vuole
elementare della riflessione catottrica che vuole l’angolo di incidenza del raggio alzare in su» e la fascia di mezzo «vuol essere ben pari e ugualiva»133. Benché frutto
visivo uguale all’angolo di riflessione: «E sì come secondo raggio suole / uscir del di una consuetudine praticata nelle botteghe, anche senza la «grandissima dottrina»
primo e risalire in suso, / pur come pelegrin che tornar vuole, / così de l’atto suo, per attribuita a Stefano fiorentino, questa “regola” potrebbe tradire un’assimilazione
li occhi infuso / ne l’imagine mia, il mio si fece, / e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso» dei principi ottici euclidei. Più precisamente, potrebbe trattarsi di una versione
(Paradiso, I, 49-54). È ancora da notare che l’immagine nello specchio riproduce semplificata dei teoremi X, XI e XII dell’Ottica di Euclide, dove leggiamo: «Le parti
simmetricamente quella reale, come si legge nel XXVIII canto del Paradiso: «Come più lontane delle superficie piane, che sono inferiori all’occhio, appariscono più alte»
in lo specchio fiamma di doppiero / vede colui che se n’alluma retro, / prima che (teor. X), «Le parti più lontane delle superficie piane, che sono superiori all’occhio,
l’abbia in vista o in pensiero, / e sé rivolge, per veder se ‘l vetro / li dice il vero, e vede appariscono più basse» (teor. XI), «Le parti destre di quelle grandezze, che si stendono
ch’el s’accorda / con esso come nota con suo metro»129. in lungo innanzi all’occhio, appariscono piegarsi verso la sinistra, et le parti sinistre,
I trattati di perspectiva non contemplavano il problema della rappresentazione, verso la destra» (teor. XII)134.
ma i temi ottici potevano offrire spunti di notevole interesse per chi invece quel Questi principi si potevano agevolmente osservare sulla superficie degli specchi.
problema se lo poneva quotidianamente. Le condizioni di visibilità che esaltano la Lo specchio forniva un’immagine pittorica della realtà, nel senso che mostrava il
plasticità dei corpi descritte nel De aspectibus di Alhazen130, ad esempio, avrebbero modo in cui gli oggetti reali apparivano su una superficie bidimensionale. Lo studio

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29
29 Vitruvio, De architectura,
VII, praef., 11, la costruzione
delle scene secondo
Democrito e Anassagora.
delle apparenze speculari offriva perciò la via più diretta alla rappresentazione delle Ferrara, Biblioteca Ariostea,
cose così come l’occhio le vede; la successiva esperienza brunelleschiana e i richiami Classe II, n. 176.
di Leonardo all’uso dello specchio come «maestro de’ pittori» ne sono una chiara
dimostrazione. Alla fine del Duecento, tuttavia, esistevano anche dei modelli pittorici
che riproducevano la realtà in un modo paragonabile a quello che si vede nello
specchio. Gli affreschi romani del cosiddetto “secondo stile”, oggi noti attraverso i
ritrovamenti di Pompei, erano visibili tra le rovine di Roma in numero certamente
maggiore rispetto a ciò che oggi conosciamo. I pochi esempi attualmente visibili
nelle domus di età imperiale (casa di Augusto e casa di Livia) mostrano uno stile
decorativo di tipo prospettico dai risultati spesso straordinari (fig. 28). In queste
pitture “latine” poteva ritrovarsi il linguaggio classico che avrebbe permesso a Giotto
di superare la maniera “greca”, mentre nella perspectiva dei filosofi potevano trovarsi
i principi basilari che avrebbero permesso di ritrovarne le regole grammaticali e
sintattiche. La finta cornice architettonica delle Storie di Assisi ha un’impostazione
classica romana che ricorda analoghi schemi decorativi del “secondo stile”, così come
tipica di quei dipinti è la costruzione a “lisca di pesce” adottata per il controllo delle
deformazioni marginali.

La pittura “latina”
Tra gli schemi decorativi in cui si usa classificare la pittura romana, il cosiddetto Come vedremo meglio più avanti, il concetto fu ripreso da Vitruvio per spiegare uno
“secondo stile”, o “stile architettonico”, è quello che ha attirato maggiormente dei metodi del disegno architettonico, la scaenographia appunto, che gli esegeti
l’attenzione degli studiosi per i suoi presunti rapporti con le scienze matematiche, rinascimentali tradussero quasi unanimemente col termine prospettiva. Secondo
in particolare con l’ottica geometrica. La sua impostazione decisamente prospettica Vitruvio, le regole di questa tecnica di rappresentazione furono definite nel V secolo
ha stimolato fin dalle prime scoperte appassionate discussioni critiche sull’esistenza a.C. da due dei teorici più impegnati nel dibattito sulla natura della visione, Democrito
o meno della prospettiva lineare nel mondo antico, una questione probabilmente e Anassagora, che avrebbero tratto spunto da una memoria scritta dal pittore Agatarco
destinata a restare aperta dato l’incolmabile vuoto di fonti letterarie e figurative di Samo su una scena dipinta per una tragedia di Eschilo139. Di Agatarco sappiamo
che ci separa dall’età classica135. Nessuna fonte tecnico-scientifica offre elementi che decorò le sale del palazzo di Alcibiade; non sappiamo se con finte architetture,
sufficienti per sostenere che il “secondo stile” sia l’espressione artistica di precise ma il fatto che abbia scritto un opuscolo sulla rappresentazione scenica lascia supporre
cognizioni proiettive maturate tra i matematici del tempo. Non solo mancano testi che la sua abilità di pittore risiedesse proprio nella capacità di creare effetti di grande
fondamentali, come gli scritti scenografici di Agatarco, Democrito e Anassagora illusionismo prospettico140.
segnalati da Vitruvio136, ma la maggior parte delle fonti scientifiche ci è pervenuta Democrito era il “filosofo della natura” capostipite della scuola atomistica che
solo attraverso testi di seconda mano o traduzioni arabe. Il termine prospettiva, sosteneva la teoria dei simulacri e autore, secondo Diogene Laerzio, di molti trattati
quindi, va usato in questo caso con i dovuti distinguo rispetto a ciò che esso è venuto sulle arti e sulle tecniche, nonché di un opuscolo sul disegno con raggi (Aktinographia)
a significare dopo i moderni sviluppi della geometria proiettiva. Tuttavia, non sembrano che potrebbe essere quello menzionato da Vitruvio141. Anassagora, come sappiamo
esservi dubbi che almeno nel periodo ellenistico gli artisti abbiano consapevolmente da Vitruvio, era chiamato dagli ateniesi il “filosofo della scena” (VIII, praef., 1),
affidato i valori dell’arte alle certezze della scienza. Il caso di Panfilo – ricordato da circostanza che conferma il suo apporto alla definizione dell’ambiente teatrale in
Plinio come «il primo pittore ad essere erudito in tutte le scienze, soprattutto età periclea. Secondo la sintetica esposizione di Vitruvio (fig. 29), negli opuscoli di
l’aritmetica e la geometria, senza le quali diceva che l’arte non poteva essere perfetta»137 Democrito e Anassagora si spiegava come «una volta fissato un luogo determinato
– può essere citato come esempio emblematico, ma è soprattutto il concetto di come centro le linee del disegno devono corrispondere, secondo una proporzione
skenographia a esprimere questo rapporto tra techne e episteme nel mondo greco- naturale, allo sguardo dello spettatore e all’estensione dei raggi, in modo che a
romano. Come abbiamo visto, il concetto fu diffuso da Gemino nel I secolo a.C. partire da un oggetto indistinto, immagini distinte riproducano l’apparenza visiva
attraverso una classificazione delle scienze matematiche che contemplava la degli edifici nelle decorazioni sceniche e che gli oggetti che pure sono raffigurati su
skenographia come una parte dell’ottica destinata al controllo delle proporzioni superfici piane e verticali diano l’impressione in parte di allontanarsi sullo sfondo,
in architettura e nelle arti figurative138. in parte di sporgere in avanti» (VII, praef., 11). Questo passo è spesso ritenuto

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30 Schema ipotetico
di “prospettiva euclidea”
(dis. dell’autore).
30
31 Villa di Fannio Sinistore
a Boscoreale, particolare
di “scena tragica”, sec. I a.C.
New York, Metropolitan
Museum of Art.

complementare di quello sulla scaenographia in I, 1, 2. Il circini centrum, che là stava concetto fondamentale, anche se il principio dell’intersezione è implicito nei quattro
a indicare un punto tracciato sul foglio, qui indicherebbe la corrispondente posizione teoremi dell’Ottica euclidea dedicati alla misurazione delle distanze. Lo specchio o
del punto di vista dell’osservatore (certo loco centro constituto) che determinava, la pertica interposti tra l’occhio e l’oggetto per intercettare la direzione dei raggi
secondo le leggi della natura (ratione naturali), la corrispondenza delle linee del visivi non sono altro che i luoghi dei punti-immagine dell’oggetto da misurare145.
disegno con lo sguardo dello spettatore (aciem oculorum), in modo che sulla superficie Euclide ovviamente non si esprimeva in questi termini perché il suo oggetto di studio
indefinita del fondale (incerta re) immagini precise (certae imagines) riproducano non era la rappresentazione. La connessione tra i metodi di misurazione e la
l’aspetto apparente degli edifici142. rappresentazione prospettica sarà definita solo dai teorici del Rinascimento ma è
Sul significato di circini centrum, tuttavia, gli studiosi non sono concordi, ritenendo evidente che la geometria euclidea offriva strumenti sufficienti a consentire la
alcuni che esso indichi sul quadro il punto di fuga delle linee recedenti in profondità, definizione di un metodo per la rappresentazione prospettica; di tali strumenti si
e sostenendo altri che rappresenti invece nei grafici di costruzione il punto di vista servirono appunto Leon Battista Alberti e Piero della Francesca nel XV secolo146.
dell’osservatore al centro del campo visivo sferico. La misura per angoli dell’ottica Volendo escludere, per obiettività storica, qualsiasi consapevolezza del concetto di
euclidea presuppone di fatto un campo visivo sferico corrispondente non solo alla intersezione del cono ottico, la misura per angoli dei raggi visivi che abbracciano
struttura dell’occhio ma anche a quella del cosmo inteso come limite fisico l’oggetto, così come la proponeva Euclide, porterebbe a un risultato altrettanto esatto.
dell’estensione dei raggi visivi; nei Fenomeni Euclide definì l’orizzonte come «il piano Quando Vitruvio insegna a costruire l’analemma, spiega come i punti della sfera celeste
incidente dai nostri occhi nel cosmo e che ha per limite ciò che si vede sulla terra; debbano essere trasferiti sul quadrante solare attraverso “raggi proiettanti”, i raggi
[questo] è un cerchio [al cui centro è situato l’occhio dell’osservatore]; infatti se una solari che partono dal centro della sfera, dove si trova la punta dello gnomone, e vanno
sfera viene tagliata da un piano l’intersezione è un cerchio»143. a terminare sul piano della rappresentazione147. Analogamente si può immaginare la
I trattati di Democrito e Anassagora contemplavano certamente la rappresentazione costruzione scenografica per mezzo di raggi che partono dal centro di un cerchio
geometrica del fenomeno ottico di convergenza delle parallele, fenomeno discusso goniometrico, così come i raggi visivi partono dal centro dell’occhio, e vanno a terminare
nell’Ottica di Euclide, descritto da Lucrezio in un celebre passo del De rerum natura, sul piano della rappresentazione che è la tangente al cerchio (fig. 30). In questo modo
e chiaramente visualizzato nei dipinti romani del “secondo stile”144. Perché si possa il triangolo formato dai raggi visivi, che ha per base l’oggetto, e quello formato sul
parlare di prospettiva è necessario però saper determinare geometricamente su quadro, che ha per base la tangente al cerchio, sono simili; di conseguenza l’immagine
questo fascio di rette la digradazione delle misure in profondità, cosa che secondo è proporzionale all’oggetto reale148.
le regole della prospettiva lineare avviene intersecando i raggi visivi con un piano Una conseguenza evidente di questo modo di procedere attraverso la misura
corrispondente al quadro del pittore. Nessuna fonte antica fa riferimento a questo degli angoli ottici è che le linee orientate verso il fondo convergono al centro del

46 47
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32 Paolo Uccello (attr.),


I padri della prospettiva,
sec. XV. Parigi, Musée
du Louvre, inv. 267/1272. 32

cerchio goniometrico. Questa considerazione poteva avere un risvolto pratico di verso un più ardito illusionismo prospettico: «in seguito cominciarono a imitare anche
notevole importanza per un pittore che, servendosi di un chiodo e di una corda, le forme degli edifici, le sporgenze in rilievo delle colonne e dei frontoni, a raffigurare
poteva facilmente controllare l’ingrandimento del disegno sulla parete da dipingere. nei luoghi aperti quali le esedre, in ragione dell’ampiezza delle pareti, fondi scenici
È altrettanto evidente che, non considerando la distanza tra l’occhio e il quadro di genere tragico, comico o satirico» (VII, 5, 2)152. A dispetto dell’angustia dei luoghi,
(avendo escluso il concetto di intersezione), il problema che poteva presentarsi, imponenti scene tragiche occupano anche le pareti delle maggiori ville pompeiane.
soprattutto nelle dimensioni anguste degli ambienti privati, era quello delle sgradevoli La fortuna di questo genere decorativo era favorita dalla diffusione di una moda
aberrazioni marginali che potevano essere annullate solo correggendo l’inclinazione ellenizzante che portava i ricchi proprietari a replicare negli ambienti privati i luoghi
delle linee convergenti al centro del cerchio, come facevano del resto anche gli esperti simbolo della grande cultura greca: il gymnasium (con le copie di celebri sculture
quadraturisti del Cinquecento. A questo si dovrebbe attribuire l’uso ricorrente di più greche), il lyceum (con i ritratti di poeti e filosofi), la pinacotheca (con i finti quadri
punti “di fuga” sull’asse centrale che andrebbe considerato come una sorta di degli antichi maestri dipinti sulle pareti), e le sale corinzie dei palazzi reali d’Oriente,
correzione ottica, prevista dalle leggi della skenographia, da cui deriverebbe la evocate dalle prospettive architettoniche153. I motivi ornamentali si ritengono introdotti
schematizzazione a lisca di pesce riscontrabile nelle composizioni prospettiche meno da artisti di provenienza greca e microasiatica, e sarebbero copie o rielaborazioni di
raffinate149. opere appartenenti al repertorio teatrale e alla decorazione effimera delle feste
È presumibile che nella pratica pittorica si procedesse solo al controllo geometrico ellenistiche, circostanza che lascia supporre una cospicua diffusione di “bozzetti
della corrispondenza simmetrica delle linee convergenti verso il fondo e che si lasciasse scenici” tra i pictores parietarii154.
all’abilità del pittore (vedi la fama di Asclepiodoro) lo stabilire la distanza tra le cose. Tali bozzetti erano forse anche il veicolo di trasmissione della regola prospettica
Indipendentemente dalla natura del metodo costruttivo, che non possiamo menzionata da Vitruvio che, indipendentemente dalle sue caratteristiche, rappresenta
obiettivamente ricostruire dalle scarne parole di Vitruvio, è chiaro che esistevano le un chiaro esempio del cosciente avvicinamento nell’antichità a un tipo di
premesse per una teoria della rappresentazione scenica che poi si sarebbe estesa alla rappresentazione corrispondente alle leggi naturali della visione. La ripetizione di
decorazione pittorica degli ambienti privati. Le pitture romane del cosiddetto “secondo singoli elementi in impianti prospettici diversi lascia intravedere un uso disinvolto
stile” presentano molto spesso una composizione analoga all’impianto scenico del dei cartoni, svincolato dalla necessità di un controllo rigoroso, e quindi causa delle
teatro greco150. numerose incongruenze riscontrabili quasi sempre nei dipinti. Gli esempi a noi
Nel teatro ellenistico, a partire dal II secolo a.C., le prospettive architettoniche noti indurrebbero a concludere che la prospettiva degli antichi si fondasse più
venivano collocate entro grandi aperture intervallate da pilastri, dette tyromata, che sulla straordinaria capacità degli artisti di copiare dal vero che su una effettiva
formavano una sorta di diaframma tra lo spazio reale in cui si muovevano gli consapevolezza teorica del problema. Dobbiamo però considerare che, analogamente
attori e lo spazio illusorio della decorazione scenica. Secondo una diffusa opinione ai finti capolavori ellenistici dipinti nelle finte pinacoteche, queste scenografie
le pitture parietali della villa di Fannio Sinistore a Boscoreale (50 a.C.) riprodurrebbero architettoniche potrebbero essere copie un po’ maldestre di grandi capolavori
proprio il tipo di scenografie presenti nei tyromata del teatro ellenistico (fig. 31)151. prospettici155. È possibile, in altre parole, che i dipinti a noi noti siano un prodotto di
E da questo preciso modello, presumibilmente noto attraverso gli affreschi romani, seconda mano, dovuto a squadre di raffinati ma non troppo istruiti decoratori che
potrebbe derivare la finta cornice architettonica di Assisi. riproducevano o rielaboravano modelli inventati nel II secolo a.C. da artisti di più
L’evoluzione di questo genere decorativo è segnalata ancora da Vitruvio che elevata cultura matematica – conoscitori come Panfilo di tutte le scienze, comprese
ricorda come i pittori avessero iniziato dapprima con l’imitare i rivestimenti marmorei le regole della prospettiva – ma si tratta di un’ipotesi che i documenti figurativi e
(secondo il genere che oggi si definisce “primo stile” pompeiano) per poi indirizzarsi letterari a nostra disposizione oggi non consentono di verificare.

48 49
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I discepoli della natura 1


Cfr. in proposito Federici antiche, cfr. De Rosa 2000, I, pp.
Il ruolo di Giotto come “patriarca” della pittura moderna, esemplarmente scolpito Vescovini 1969, pp. 969-974. 58 sgg.
2
Cfr. Gherardi 1976. L’autore fu 14
Cfr. Plinio, Naturalis Historia,
nelle parole del Cennini, è ampiamente riconosciuto anche dai maestri del allievo di Biagio Pelacani. XXXIII, 45, 9.
Quattrocento. Una singolare serie di ritratti, oggi al Louvre, mostra Giotto come 3
Cfr. Federici Vescovini 1965a, p. 15
Ibid., XXXIV, 7. Sugli aspetti
241, nota 4. Una copia fu redatta magici e leggendari degli specchi,
capostipite di una “famiglia” di artisti in cui si succedono Paolo Uccello, Donatello, a Firenze nel 1428 (Firenze, cfr. Baltruŝaitis 1979.
Antonio Manetti e Filippo Brunelleschi (fig. 32)156. L’attribuzione e la data del dipinto Biblioteca Medicea Laurenziana, 16
Platone, Repubblica, X, 602c;
sono tutt’altro che certe – i nomi che identificano i personaggi si ritengono aggiunti Pluteo, 29, 18). Aristotele, Problemata, 11, 23,
4
Ibid., pp. 223-237. 901b.
nel XVI secolo – ma l’opera rappresenta un importantissimo documento iconografico 5
Euclide 1895. In questo volume è 17
Le proprietà ustorie del cristallo
del Rinascimento. Il tema è quello degli Uomini illustri ma la scelta dei personaggi pubblicata anche la Recensione di sono menzionate ne Le nuvole di
Teone (Opticorum Recensio Aristofane, commedia
è tanto singolare da farceli identificare come i “padri della prospettiva”. Nella prima Theonis) e la Catoptrica, cum rappresentata in Atene nel 423
edizione delle Vite, Giorgio Vasari attribuì il dipinto a Masaccio, dicendolo posseduto Scholiis Antiquis. Per una a.C. Cfr. Ronchi 1983, p. 38.
da Giuliano da Sangallo. Nella seconda edizione lo attribuì invece a Paolo Uccello traduzione italiana, cfr. Euclide 18
Cfr. anche Aristotele, Fisica, II
1996, p. 101, postulato IV: «E che (B), 2, 194a, 6-13. Vitruvio dirà che
e identificò i personaggi come incarnazioni delle arti: «Giotto pittore, per il lume e le cose viste sotto angoli più «in comune con i geometri [gli
principio dell’arte; Filippo di ser Brunelleschi, il secondo, per l’architettura; Donatello grandi appaiono più grandi, astronomi] hanno la discussione
quelle [viste] sotto [angoli] più sulla capacità visiva (in greco,
per la scultura; e se stesso per la prospettiva e animali; e per la matematica Giovanni piccoli più piccole, e uguali quelle lógos optikós)»; cfr. Vitruvio 1997,
Manetti, suo amico, col quale conferiva assai e ragionava delle cose di Euclide»157. viste sotto angoli uguali». I, 1, 16.
Vasari fornisce un ordine di successione diverso rispetto alla tavola del Louvre ma i
6
Ibid., p. 101, postulati I e II. Nella 19
Tito Lucrezio Caro, De rerum
sua Recensione Teone spiega che natura, IV, 46-89.
personaggi sono gli stessi, a eccezione del matematico che, forse per una svista, le conclusioni di Euclide sulla 20
Ibid., IV, 216-229.
identifica con Giovanni Manetti. Come si legge sulla tavola, il personaggio ritratto propagazione rettilinea dei raggi 21
Ibid., IV, 185-190.
luminosi derivano da alcune 22
Cicerone, Lettere ad Attico, II, 3,
è Antonio di Tuccio Manetti, matematico, astronomo e architetto, autore di scritti
semplici esperienze, come 2.
sull’astronomia, di un Dialogo circa il sito, la forma e la misura dell’inferno di Dante l’osservazione della luce lasciata 23
Id., Dispute accademiche, II, 7,
e, soprattutto, della Vita di Brunelleschi, dove narra di quella celebre esperienza filtrare in una stanza buia da uno 19.
spiraglio della finestra, la misura 24
Le argomentazioni di Gemino
prospettica che ha fatto del grande fiorentino l’inventore della prospettiva artificialis158. dell’ombra di un oggetto in sugli inganni della vista si
Un’altra importante testimonianza del ruolo di fondatore attribuito a Giotto la relazione alla distanza dalla fonte inseriscono nella ripresa degli
luminosa, e l’uso di due tavolette studi naturalistici favorita da
troviamo in una nota di Leonardo, ma con una sorprendete precisazione: Giotto
fessurate allineate con una Posidonio e diffusa in ambiente
fu il padre di una prima rinascita che preparò il terreno per la seconda, quella oggi fiamma in modo da lasciar passare romano attraverso l’opera di
nota come Rinascimento, capeggiata da Masaccio. Secondo Leonardo, «dopo i Romani un solo raggio luminoso. Cicerone e Lucrezio. Cfr. Schrijvers
7
Cfr. Teofrasto, De sensu, 2, 7. 1989, pp. 13-21; Gros 1983, pp.
[…] venne Giotti fiorentino, il quale […] dopo molto studio, avanzò non che i maestri 8
Sulle teorie della visione nel 425-452.
della sua età, ma tutti quelli di molti secoli passati. Dopo questo l’arte ricadde, perché mondo antico, cfr.: Lindberg 1976, 25
Proclo 1873, Prologus I, p. 40.
tutti imitavano le fatte pitture, e così di secolo in secolo andò declinando, insino a pp. 1-17; Ronchi 1983; Wilde 1990. 26
Cfr. Smith 1999.
9
Euclide 1895, 1996. 27
Aristotele, De anima (II, V), 416b
tanto che Tommaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostrò con opera perfetta 10
Cfr. Platone, Repubblica, X, 602c. 32 - 417a; De animalium
come quegli che pigliavano per altore altro che la natura, maestra de’ maestri, 11
Ibid., X, 602c. generatione (II, VI), 743b 25.
12
Diogene Laerzio 1998, lib. I, cap. Galeno 1494, IX, 4. Cfr. Federici
s’affaticavano invano […] Odi somma stoltizia di quelli i quali biasimano coloro che I, § 27: «Ieronimo attesta pure che Vescovini 1965a, pp. 98-102.
‘nparano da la natura lasciando stare li altori, discepoli d’essa natura»159. Il messaggio egli [Talete] misurò le piramidi 28
Cfr. Federici Vescovini 1965a, pp.
è chiarissimo: l’imitazione dei maestri porta alla decadenza, mentre lo studio della dalla loro ombra, osservandole 102-112.
quando la nostra ombra è della 29
Il De aspectibus fu tradotto
natura è la linfa vitale della creazione artistica. Giotto fu “discepolo della natura” stessa grandezza del nostro dall’arabo forse da Gherardo da
ma non i suoi seguaci che adottarono il suo linguaggio senza spingere oltre le ricerche corpo». Cremona nel XII secolo.
13
Euclide 1895, Catoptrica, L’attribuzione di questa
del maestro. Fu necessario un altro “discepolo della natura” per riprendere il discorso postulato III. L’autenticità di traduzione è sostenuta da
interrotto ed è certo che gli affreschi del Carmine e la Trinità di Santa Maria Novella questo lavoro è stata spesso Narducci 1871, pp. 1-48. Per
dovettero esercitare sui maestri del Quattrocento lo stesso impatto emotivo che le dibattuta, ritenendolo una un’edizione critica con traduzione
compilazione di Teone di inglese, cfr. Alhazen 1989 e 2001.
Storie di Assisi ebbero sui pittori del secolo precedente. Alessandria basata su elementi 30
Su Alkindi cfr. Federici Vescovini
euclidei. Cfr. anche Erone 1899- 1965a, pp. 33-52.
1914, Catoptrica (De Speculis), vol. 31
Il fenomeno della camera oscura
II, 1900, pp. 301-365. Sugli sviluppi è descritto da Alhazen nel trattato
della geometria e dell’ottica Sulla forma dell’eclisse; cfr.

50 51
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Alhazen 1989, vol. II, pp. xlix-li. arismetrica et geometria ordine distanza dalle cose e la cui Busard 1965. Cfr. anche Curtze nelle misurazioni con la vista); Al- pp. 6-7. Nel 1343 Giovanni Villani
32
Alhazen 1572, lib. II, cap. 8: doctrinae ista praecedunt, sed lunghezza viene calcolata dalla 1895, pp. 107-110; e Bond 1923, Biruni 1976; Hill 1993, pp. 198-202. registra la presenza a Firenze di
«visio per axem pyramidis opticae astrologia et musica ipsa ragione sulla base di un complesso pp. 319-320. 73
Per Aryabhatta (V secolo) cfr. sei scuole d’abbaco frequentate
certissima est». secuntur». ragionamento matematico. 3) 61
Cfr. Federici Vescovini 1965a, p. Kaye 1908. Messahalla (Gunther da circa 1200 scolari (Villani 1979,
33
L’ipotesi era stata avanzata già 47
Cfr. Federici Vescovini 1965a, pp. Comprensione a) per l’attività 124. 1929, V) dedica la seconda parte XI, p. 94). In queste scuole
da Aristotele nel De sensu et 217-223. distintiva o di controllo della 62
Per Euclide (1895 e 1996), cfr. le del suo trattato all’uso venivano educati alla matematica
sensibili (2, 438a): «Democrito, a 48
La definizione si trova in un ragione (virtus distinctiva) […] e b) supposizioni V, VI e VII e il dell’astrolabio nelle misurazioni e alla geometria pratica i futuri
sua volta, quando dice che commento al De visu di Euclide per l’attività della memoria». Il teorema V. celesti e terrestri (§ 42-47). Sul mercanti, artigiani, artisti,
l’occhio è acqua ha ragione […] il conservato presso la Biblioteca concetto è ripreso in Barbaro 63
Per il trattato sulle misurazioni metodo di Al-Biruni, cfr. Hill 1993, architetti, e chiunque fosse
fenomeno di cui parliamo è un Nazionale Centrale di Firenze in 1569, parte I, cap. II, dove l’autore di Alhazen, cfr. Said 1970, pp. 201-202. Per il trattato sulle indirizzato a svolgere una
caso di rifrazione»; per la un codice dal titolo Perspectiva (lo distingue tra il «semplice vedere» problema n. 5. Per i problemi di misurazioni di Alhazen, cfr. Said professione che richiedeva una
traduzione, cfr. Aristotele 1983, p. stesso contenente il trattato di come «operazione di natura» e misurazione nei trattati dei 1970, p. 250. Cfr. anche Bhaskara conoscenza matematica di base.
200. Domenico da Chivasso cit. a nota «lo avvertito, et considerato matematici indiani, cfr. Acharya, Litavati (Dvivedi 1912), e Cfr. Van Egmond 1980b; Rose 1975;
34
Alhazen 1572, lib. II, cap. 65, p. 46), San Marco, Conv. Sopp. J.X.19, vedere» come «officio di Colebrooke 1817, pp. 106-111, Euclide 1895, Optica, teorr. XVIII- Finiello Zervas 1975; Franci-Toti
67 («Visio per aspectum fit per cc. 3r-29r: «Videre est visu sentire, ragione». 317-318; Kaye 1908, pp. 128-129; XXI, e Catoptrica, supp. III (Danti Rigatelli 1989.
quemlibet piramidis opticae videre est visu discernere» (c. 4v); 56
Cfr. Weisheipl 1964, p. 171: Dvivedi 1912. 1573, pp. 34-37, 77-78). 85
Cfr. Gherardi 1987. Il Libro di
radium, per obtutum vero fit per cfr. Federici Vescovini 1965a, pp. «Perspectiva (or Optica) was a part 64
Cfr. Federici Vescovini 1980a; 74
Sull’opera di questi traduttori e ragioni, conservato presso la
solum axem»). 223-237. of practical geometry wich dealt Federici Vescovini 1980b, II, pp. sulla diffusione dei testi arabi Biblioteca Nazionale Centrale di
35
Ibid., lib. II, cap. 65, p. 67: «Visio 49
Per Biagio Pelacani cfr. Federici with the application of 349-388, e Federici Vescovini 1983. nell’Occidente cristiano cfr. Firenze (Cod. Magl. XI.87), insieme
certificata […] non potest esse nisi Vescovini 1960, pp. 178-182; Id. geometrical principles to light Cfr. anche Parronchi 1964, pp. Vagnetti 1972, p. 180; Tabarroni a un Liber habaci (Cod. Magl.
per intuitionem et per motum axis 1961, pp. 163-243; Id. 1965, pp. rays». Cfr. anche Federici Vescovini 226-295, 468-532; e Raynaud 1998. 1983; Hill 1993, pp. 220-226. XI.88) dello stesso autore. Per
radialis super omnes diametros rei 240-267; Id. 1977, pp. 333-348; Id. 1969, pp. 969-974. 65
Nel caso di un triangolo 75
L’opera di Gerbert d’Aurillac è Paolo dell’Abbaco cfr. infra, note
visae». 1983, pp. 75 sgg., 141 sgg., 195 57
Cfr. Nasr 1977, pp. 51-53; qualsiasi vale il teorema dei seni o pubblicata in Bubnov 1963. 87-88.
36
Galeno 1494, X, 12. Cfr. Raynaud sgg. Veltman 1986, p. 48. di Levi ben Gerson (1288-1344) Gerbert tradisce una più diretta 86
Benedetto da Firenze offre
1992, pp. 3-23; Raynaud 2001. 50
Cfr. Gherardi 1976, III, 9, p. 148. 58
Beauvais 1965, II, cap. XLIII. Nel secondo il quale in qualunque derivazione dalla tradizione anche notizie sugli autori più
37
Il volgarizzamento del De 51
Per il volgarizzamento del De XV secolo, la relazione della triangolo i lati sono proporzionali gromatica, per la quale si rimanda antichi come Euclide, Boezio, Al-
aspectibus è in Biblioteca aspectibus, cfr. supra, nota 37. perspectiva con i metodi di ai seni degli angoli opposti. a Bubnov 1963 (app. VII, pp. 516- Kuwaritzmi, Giovanni da Siviglia,
Apostolica Vaticana, Cod. Vat. 52
Sulle fonti ottiche del misurazione è ancora segnalata in Questo teorema consente di 551); Toneatto 1994; Thulin 1911; Giordano Nemorario, Giovanni
4595; cfr. Federici Vescovini 1965b, Commentario III di Lorenzo Maffei 1506, 1, XXXV, De optice et trovare la distanza di un oggetto Lachmann 1967; Botzmann 1970, Campano e Fibonacci. Cfr. Arrighi
pp. 17-49. Per l’edizione di F. Ghiberti, e in particolare sul catoptrice: «Usu huius disciplinae inaccessibile quale vertice di un Martines 1976a e 1976b. 1965.
Risner, cfr. Alhazen 1572. rapporto con il volgarizzamento nimirum in plerisque rebus elucet. triangolo di cui sono noti la base e 76
Il Libro del sapere di astronomia, 87
Paolo Dagomari detto
38
Cfr. Federici Vescovini 1965a, pp. del De aspectibus, cfr. Federici In metiendis aedificiis. In i due angoli adiacenti. volgarizzato da Guerruccio di dell’Abbaco (Prato, ca. 1281 -
19-32. Vescovini 1980b, II, pp. 349-387. architecturae picturaeque 66
Sulle problematiche della Cione Federighi nel 1341, è Firenze 1374) è ricordato da
39
Ibid., pp. 7-17. Cfr. anche Vedi infra, pp. 84-86. ratione…», cit. in Klein 1961, pp. scienza islamica cfr. Nasr 1977; Hill conservato presso la Biblioteca Filippo Villani come il maggior
Raynaud 1998, pp. 240-241. 53
Vedi infra, nota 92. 211-230; Klein 1975, pp. 211-212. 1984; Hill 1993; Kline 1991; Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 8174 astronomo dei suoi tempi, revisore
40
Federici Vescovini 1965a, pp. 53- 54
Cfr. Gherardi 1976, III, 9, p. 148: 59
Su Domenico da Chivasso, cfr. Lindberg 1992. Su Alhazen cfr. (cfr. Narducci 1871). delle tavole astronomiche di
76; Raynaud 1998, pp. 241-242; «Eraci ancora il preclaro e famoso Federici Vescovini 1965a, p. 210: Narducci 1871, pp. 1-48; 77
Per le opere di Leonardo Pisano Alfonso di Castiglia e autore di
Vagnetti 1979, pp. 184-186. Cfr. teologo e matematico maestro Quaestiones super perspectivam, Wiedemann 1881, pp. 219-225; (nato a Pisa intorno al 1170 ma lunari con previsioni astrologiche
soprattutto l’analisi di Lindberg Grazia, non meno d’ingegno Quaestio I, foll. 44r-v: «Est Sarton 1938; Nazif Bey 1942; educato in Algeria) cfr. Fibonacci (Villani 1979, p. 419). Cfr. Van
1996. divino che umano...». Nel IV libro sciendum quod quinque sut Ronchi 1953; Federici Vescovini 1857-62. Egmond 1977, pp. 3-21 e Van
41
La Perspectiva sarà diffusa anche (6, 7, 10, p. 194) maestro Grazia scientiae mathematicae, scilicet 1965a; Federici Vescovini 1965b; 78
Fibonacci 1857-62, vol. I, lib. XV, Egmond 1980b.
indipendentemente dall’Opus propone un argomento di arismetrica, geometria, musica, Lindberg 1967; Vagnetti 1979. cap. I, pp. 395-397. La «regola del 88
Il testamento (19 febbraio 1366)
majus con il titolo De discussione filosofica. astrologia et perspectiva». Sulla 67
De compositione et utilitate tre» consente di trovare una è menzionato in Dagomari 1964.
multiplicatione specierum. 55
Vedi supra, nota 48; cfr. Federici classificazione di Ruggero Bacone, Astrolabii, in Gunther 1929, V (De quantità incognita x date tre Tra i suoi scritti si segnalano il
42
Peckham 1970. Per le edizioni Vescovini 1965a, p. 229. Analogo cfr. Bacon 1996, p. XXII; e Bacon proieccione spere in planum, I, quantità note a,b,c (a:b=c:x, da cui Trattato d’Aritmetica e le
cinquecentesche, cfr. Pekcham concetto è espresso nello stesso 2000, parte IV, dist. II, cap. I. Nel 17). Cfr. anche Tolomeo 1992. x=bc/a). Cfr. Van Egmond 1980b, p. Regoluzze (Dagomari 1966). Altri
1542 e 1593. Cfr. anche Vagnetti codice da Domenico da Chivasso, XV secolo, questa classificazione Sulla storia dell’astrolabio cfr. 392. scritti sono individuati in
1979, pp. 189-190. Quaestiones super perspectivam sarà sostenuta ancora da M. Ficino Neugebauer 1949; Neugebauer 79
Fibonacci 1857-62, vol. I, lib. XV, Thorndike 1934, III, pp. 205-212.
43
Cfr. Federici Vescovini 1965a, pp. (cc. 44r-55v), Quaestio VI; cfr. nel De divisione philosophiae (cfr. 1975. cap. II, p. 397. L’anonimo del Codice
132-135; Lindberg 1971, pp. 63-83. Federici Vescovini 1964, pp. 232- Kristeller 1956, pp. 56, 95), da M. 68
Danti 1573. Cfr. anche Euclide 80
Ibid., vol. II, p. 158. Cfr. Euclide Ottoboniano Latino 3307 della
Cfr. anche Vagnetti 1979, pp. 186- 246. La fonte di questo concetto si Savonarola nei Commentariolus 1895 e 1996. 1970, II, 14; XIII. Biblioteca Apostolica Vaticana, c.
188; De Rosa 2000, pp. 136-154. può rintracciare nella teoria ottica de ludibus Patavii, 1445 (cfr. 69
Alhazen 1572, lib. II, cap. 8. 81
Fibonacci 1857-62, vol. II, p. 202. 349, ci informa che la biblioteca di
44
Cfr. Federici Vescovini 1965a, pp. di Alhazen che mette in evidenza Muratori 1738, XXIV, pp. 1170 e 70
Plinio, Naturalis Historia, XXXVI, 82
Cfr. Bubnov 1963, VII. Paolo dell’Abbaco comprendeva
195-204. tre tipi di comprensione degli 1181), da G. Savonarola 82. 83
Fibonacci 1966. circa ottocento volumi (Arrighi
45
Ibid., pp. 204-211. Cfr. anche oggetti veduti, così sintetizzati in (Savonarola 1542, 9, 17); e da L. 71
Sull’opera dei matematici 84
Il Livero del abbecho (c. 1290) è 1968).
Federici Vescovini 1964, pp. 232- Federici Vescovini 1965a, p. 125: Pacioli (Pacioli 1509, III, c. 3r; vedi indiani cfr. Kaye 1908; Kline 1991, conservato presso la Biblioteca 89
Il corsivo è di chi scrive. Le
246. «1) comprensione semplice per la infra, p. 104). Su Ficino e i due pp. 214-221. I principi di Riccardiana di Firenze, Ricc. 2404. notizie su Antonio de’ Mazzinghi
46
Domenico da Chivasso, vista (per aspectus): per tutti i Savonarola cfr. Klein 1975, pp. proporzionalità tra triangoli simili Nello Statuto del Comune di (ca. 1353 - ca. 1383) sono fornite
Quaestiones super perspectivam, punti della piramide visiva che 211-212. sono trattati da Euclide nel sesto Verona del 1284 si trova la prima da Benedetto da Firenze (Arrighi
Quaestio I, cc. 44r-v, in Federici colpiscono l’occhio e che 60
Una copia del trattato di libro degli Elementi. Cfr. Euclide menzione di una scuola d’abbaco 1965, c. 451r) che lo ricorda come
Vescovini 1964: «Est sciendum costituiscono la superficie della Domenico da Chivasso, Practica 1970. condotta in quella città da un autore di molte opere di
quod quinque sunt scientiae cosa. 2) Comprensione certa per geometriae (1346), è conservata a 72
Sull’opera di Abu al-Rayham maestro Lotto di Firenze. Il primo aritmetica e geometria, tra le
mathematicae, scilicet arismetrica, l’intuizione (intuitio, obtutus) cioè Firenze, Biblioteca Medicea Muhammad b. Ahmad al-Biruni maestro noto a Firenze è Neri quali si distingue per importanza
geometria, musica, astrologia et secondo l’asse della piramide Laurenziana, San Marco 215, cc. (973-1048), cfr. Al-Biruni 1934 (pp. Chiari, nominato in un documento il Trattato di fioretti dedicato alle
perspectiva […] quondam visiva che misura la nostra 124v-144r. L’opera è pubblicata in 207-210 sull’uso dell’astrolabio del 1304; cfr. Van Egmond 1980b, proporzioni tra i numeri

52 53
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(Mazzinghi 1967). centro della visione si trova al cap. (nota 92). L’esempio della poste l’una dietro l’altra. Per 126
Alighieri 1995, III, IX, 6; cfr. p. 200) Aristotele attribuisce a
90
Cfr. Arrighi 1965, c. 431v. VI e dal VII all’XI l’autore spiega la lunghezza di piazza l’esperimento di Alhazen, vedi anche Raynaud 1998, p. 190. Sofocle l’introduzione dello
L’attività di Giovanni di Bartolo costruzione e l’uso dello dell’Annunziata è riproposto più infra, pp. 64-65. 127
Alighieri 1970, Purgatorio, spettacolo scenico. Quest’ultimo è
come consulente nei lavori della strumento. tardi da P.M. Calandri (Calandri 107
Ibid., c. 5v. canto XV, vv. 16-24. Cfr. Parronchi chiamato «opsis», termine con cui
cupola di Santa Maria del Fiore è 95
Cfr., a questo proposito, 1974, c. 205v) insieme alla misura 108
Ibid., c. 2r. 1963, p. 24; Parronchi 1960; il filosofo designa altrove il raggio
documentata nel 1417, «per Geometrie due sunt partes dell’altezza di palazzo Vecchio (c. 109
Cfr. Baltruŝaitis 1979, fig. 44. quest’ultimo anche in Parronchi visivo e che nell’Ottica di Euclide
disegni fatti, e sua faticha pe’ fatti principales (XIII secolo), Venezia, 206r). 110
Toscanelli 1991, c. 2r. 1964, pp. 3-90. indica l’occhio.
della Chupola grande», e nel Biblioteca Nazionale Marciana, 100
Anonimo, Flores arismetrice 111
Cfr. Landino 1481, p. 5v: 128
Cfr. Landino 1529, Purgatorio, 140
Plutarco, Per. 13, ricorda la
1425, per «disegni e modi per lui Fondo antico 332 (IX, 6), cc. 236v- (1501), New York, Columbia «Stephano da tutti è nominato canto XV; cfr. Parronchi 1964, p. rapidità di esecuzione di
dimostrati nella Chupola 339v: «Geometrie due sunt partes University, Butler Library, Plimpton scimia della natura tanto espresse 25. Agatarco, e in Alc. 16 conferma la
maggiore» (Guasti 1857, pp. 23, principales theorica et pratica. Collection 188: cc. 163-195v, qualunque chosa volle». 129
Alighieri 1970, Paradiso, canto storia secondo cui Alcibiade
46, 60; Arrighi 1980). Sul Theorica est quando sola mentis Tractatus de arte visorandi; cc. 112
Ghiberti 1998, p. 85. Vasari XXVIII, vv. 4-9; cfr. Parronchi 1964, avrebbe sequestrato il pittore per
Toscanelli, allievo di Giovanni di speculatione quantitatem 199-210, De duplici arte visoriae 1973, vol. I, p. 448: «tirò in p. 44. alcuni mesi allo scopo di farsi
Bartolo, cfr. Uzielli 1894. proportiones adinvicem intuerum. (senza figure). prospettiva un edifizio 130
Alhazen 1572, lib. II, cap. 31. decorare la casa. Cfr. Six 1920, pp.
91
Gherardi 1976, III, 9, p. 148, e IV, Practica est quando per aliquam 101
Il codice anonimo dal titolo perfettamente, di maniera allora 131
Raynaud 1998, pp. 54-62, 157- 80-89; Rouveret 1989, pp. 106-115;
6, 7, p. 10, dove maestro Grazia notarum quantitatum notitiam Aritmetica (ca. 1410) è conservato poco nota». 161. Panichi 1997, pp. 53-57.
propone un argomento di quantitatis minus note sensitive nella Biblioteca Nazionale 113
Cennini 1991, cap. I, p. 18. 132
Sulle conoscenze ottiche di 141
Di «Democrito physico»,
discussione filosofica. Come risulta comparamus». La definizione è Marciana di Venezia, It. IV. 497 114
Cfr. Bellosi 2000. Dante, cfr. gli scritti di A. Vitruvio dimostra di conoscere
dagli Statuti della Università e già nel Quadrans vetus di (5263); cfr. Van Egmond 1980b, p. 115
Per questa identificazione, cfr. Parronchi citati supra, nota 127. bene il pensiero e le opere. Il
Studio fiorentino, Grazia de’ Robertus Anglicus; Venezia, 392. Alle cc. 16r-19v si trova La Simi Varanelli 1989 e Bellosi 2000. 133
Cennini 1991, cap. LXXXVII, p. filosofo di Abdera è ricordato in II,
Castellani morì nel 1401 (Arrighi Biblioteca Nazionale Marciana, composition del quadrante che L’ipotesi, tuttavia, non è sempre 88. 2, 1 per la sua teoria atomistica; in
1983, p. 115). Marc. VIII, 77 (XI, 79), cc. 14v-17v inizia con queste parole: «Le parte condivisa; cfr. Romanini 1987. 134
Cfr. Danti 1573; cfr. anche VII, praef., 2, insieme ad
92
Il trattato De visu di Grazia de’ (anche, Firenze, Biblioteca de la geometria si è doe zioè la 116
Per un’analisi di questo motivo Euclide 1895 e 1996. Le Anassagora, per i suoi scritti sulle
Castellani ci è noto oggi solo Medicea Laurenziana, Plut. XVIII, teorica e la praticha […] La decorativo, cfr. Edgerton 1991, pp. preposizioni si ritrovano anche in scene e sulla natura; in IX, praef.,
attraverso un estratto relativo ai sin. cod. 3 e 6, cc. 59r-59v). Su praticha è quella che noi 47-87. Vitellione, Perspectivae libri X, in 2 e 14 , dove dichiara la sua
metodi di misurazione con la vista, questi due codici, cfr. Hahn 1982. mesureremo per p[erspecti]va a 117
Su questo e gli altri metodi Alhazen 1572, lib. IV, capp. 36-38. ammirazione per gli scritti del
trascritto da un anonimo Per una più ampia discussione di occhio la quantitade dubia duna costruttivi in uso nel Trecento, cfr. 135
La questione è sollevata per la filosofo; in IX, 5, 4 e IX, 6, 3 come
fiorentino del XV secolo nel questi temi nella trattatistica cossa». L’abbreviazione “pva” a Raynaud 1998, cap. 2. prima volta nell’ambito della fonte delle sue conoscenze
Codice Ottoboniano Latino 3307, medievale, cfr. Victor 1979. mio parere sta per “perspectiva” e 118
Cfr. Vasari 1973, vol. I, p. 377. querelle sei-settecentesca sulla astronomiche. Sui trattati di
Libro di praticha d’arismetrica, 96
Reisch 1512, Appendix… ha lo stesso significato delle 119
Cfr. i dati pubblicati in Raynaud superiorità degli antichi e dei Democrito, cfr. Diogene Laerzio
della Biblioteca Apostolica Architecture et Perspective espressioni “misurare a occhio” o 1998, cap. 7. moderni (cfr. Winckelmann 1973, 1998, IX, 47-48.
Vaticana (c. 172r). Nell’ultimo Rudimenta: «Scenographia est per “esperienza sensibile”, 120
Cfr. Bacon 2000, parte IV, p. 45). Dopo l’articolato studio di 142
Sulle teorie scenografiche di
capoverso della «quarta linearum radialium oculi vel solitamente riscontrabili nei Mathematicae in divinis utilitas, G. Hauck (1875), la questione è Democrito e Anassagora, cfr.
distinzione che tratta del modo di umbre dimensio. Unde altitudines, trattati. Cfr. Victor 1979; Hahn pp. 195 sgg.; Bacon 1914, T. III, vol. ripresa nel fondamentale saggio Rouveret 1989, pp. 100-106.
misurare chol’ochio, cioè chon longitudines, latitudines et 1982. I, pp. 210-211. Cfr. Simi Varanelli di E. Panofsky (1927), che resta 143
Euclide 1916.
strumenti» (cc. 407v-412v) si profunditates querumcunque 102
Per il volgarizzamento, cfr. 1989, p. 125. tuttora il principale punto di 144
Euclide 1895 e 1996, teor. VI
legge: «Se ‘l tempo ci fussi, arej rerum deprehenduntur. Cui iungit Federici Vescovini 1965b (vedi 121
Sui rapporti tra pittura e riferimento di ogni discussione («Segmenti paralleli visti da
posto molti altrj modi a misurare perspectiva positiva, quae supra, nota 37). perspectiva, cfr. Simi Varanelli critica sull’argomento. Seguono, lontano appaiono non paralleli»)
choll’ochio, e’ quali Maestro designatrix est et magistralis 103
Per questa traduzione vedi 1989; Cecchini 1998a, pp. 56-74; tra i molti titoli, gli studi di Beyen e XII («Tra i [segmenti] che si
Gratia theologo e matematico imitatio omnium quae fixo oculo supra, nota 76. Sulle correzioni di Cecchini 1998b, pp. 167-185; Wirth 1938, 1960; Beyen 1939, pp. 47-72; estendono davanti [all’occhio],
perfetto, nel suo trattato De visu, comprehendi possunt. Ea differt a Paolo dell’Abbaco cfr. Villani 1979, 1998, pp. 113-128; De Rosa 2000, Richter 1939, pp. 73 sgg.; White quelli a destra sembrano deviare
chiaro dimostra». Cfr. Arrighi Scenographia quemadmodum p. 419. pp. 154-194. 1956; e Gioseffi 1957. Per ulteriori verso sinistra, quelli a sinistra
1967c; Arrighi 1968. distant qualitas et quantitas. 104
Il manoscritto anonimo Della 122
Cfr. Marangon 1977, pp. 66-67, riferimenti bibliografici, cfr. verso destra»). Tito Lucrezio Caro,
93
Dall’anonimo del Codice Perspectiva versatur circa quale prospettiva, oggi conservato 104-110. Vagnetti 1979, pp. 129-142. Cfr. De rerum natura, IV, 424-429; per
Ottoboniano sappiamo che il De quoniam in pingendo presso la Biblioteca Riccardiana di 123
Lorris-Meun 1993, vv. 18.038- inoltre i più recenti contributi di la versione italiana, cfr. Lucrezio
visu era conservato nella similitudinem cura situm ut ratio Firenze, Ricc. 2110, fu attribuito a 18.047. Tybout 1989, pp. 55-68; Rouveret 1999, pp. 361-263: «Inoltre un
Biblioteca di Santo Spirito: proportionem habeatur […] Leon Battista Alberti da A. 124
Villani 1979, p. 450. Cfr. anche, 1989; e Valerio 1998. portico, sebbene sia eretto con
«Maestro Gratia teologho Mensurationes artificiales quae Bonucci che lo pubblicò in Alberti F. Villani, De origine civitatis 136
Vitruvio 1997, II, VII, praef., 2, tracciato uniforme / e poggi su
perfetto e frate dell’Ordine di Scenographia practica dictur, tres 1843, IV. L’attribuzione a Paolo dal Florentiae et eiusdem famosis pp. 1016-1017. Sull’argomento, una fila ininterrotta di colonne
Santo Aghostino […] molte chose sunt species. Altimetria, Pozzo Toscanelli si deve a A. civibus (1381-82): «pinxit insuper vedi supra, pp. 45-46. uguali, / tuttavia se lo guardiamo
scrisse et, maxime, del misurare a Planimetria et Polimetria». Parronchi (Parronchi 1964, pp. speculorum suffragio semet ipsum 137
Plinio Secondo 1988, lib. XXXV, da un estremo in tutta la sua
occhio et delle parti della 97
Sul trattato di Domenico da 583-641) curatore dell’edizione sibique contemporaneum suum 76-77. lunghezza, / a poco a poco si
prospettiva, chome in detto Chivasso (1346), vedi supra, nota facsimile edita dal Polifilo Dantem in tabula altaris capelle 138
Il testo di Gemino (prima metà stringe nella sommità d’un cono
chonvento appare». Tuttavia, 60. L’uso della tavoletta (§ 10-11) (Toscanelli 1991). L’attribuzione è palatii Potestatis», dove si nomina del I secolo a.C.) è pubblicato per sottile, / unendo il tetto al suolo e
l’opera non si trova elencata è descritto con queste parole: contestata da E. Battisti che, una pala d’altare invece che un la prima volta in latino come ogni sua parte sinistra alla parte /
nell’inventario della biblioteca del «Deinde accipe unam tabulam basandosi su un confronto affresco. L’attribuzione opera di Erone in Dasypodius corrispondente a destra, fino a
24 ottobre 1451 conservato alla planam […] postea pone oculum testuale con altri manoscritti del dell’affresco del Bargello è dubbia 1579. La prima edizione critica contrarsi nell’oscura punta d’un
Biblioteca Medicea Laurenziana, in medio unius lateris tabule et medico padovano Giovanni ma il ritratto di Dante di profilo moderna è curata da R. Schoene cono».
Ashb. 1897, cc. 10-15; cfr. vide a et sit oculus in puncto o. Et Fontana, attribuisce a potrebbe derivare da quello di in Damiano 1897: Auszüge aus 145
Questa relazione si ricava, ad
Gutierrez 1962, pp. 5-88. nota ubi radius visualis intersecat quest’ultimo il manoscritto della Giotto. Geminos. Come opera di Erone è esempio, dal teorema VIII
94
I primi venti capitoli del trattato latus oppositum». Riccardiana (Battisti-Battisti 1984, 125
Cfr. Plinio Secondo 1988, lib. ancora in Erone 1899-1914, vol. IV, dell’Ottica (Euclide 1996):
di astronomia, dove si trova la 98
Firenze, Biblioteca Nazionale p. 24). XXXV, 147-148 (pp. 467-469), dove Heronis Definitiones. Cfr. Gemino «Grandezze uguali e parallele
descrizione del bastone di Centrale, San Marco, Conv. Sopp. 105
Toscanelli 1991, c. 1r. è menzionata la pittrice Iaia di 1957; e Gemino 1975. poste a distanze diverse
Giacobbe, sono pubblicati in J.X.19. 106
Ibid., c. 22v; qui l’esperimento Cizico che a Napoli dipinse un 139
Vedi supra, nota 136. Nella dall’occhio non vengono viste in
Goldstein 1985. La discussione sul 99
Grazia de’ Castellani, op. cit. prevede l’osservazione di due torri autoritratto allo specchio. Poetica (IV, 1449a; Aristotele 1992, modo proporzionale alle

54 55
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distanze». Nel dimostrare che il Fannio Sinistore (oggi al


rapporto tra l’ampiezza degli Metropolitan Museum di New
angoli non è uguale al rapporto York) inquadrano le scene
tra le distanze, Euclide stacca un architettoniche,
segmento sulla grandezza più corrisponderebbero ai pilastri che
vicina che dice proporzionale, cioè separavano i tyromata. Le scene,
otticamente corrispondente, alla inoltre, rappresenterebbero nello
grandezza più lontana (perché stesso luogo i generi tragico,
compreso entro lo stesso angolo comico e satirico, mentre le
ottico), e spiega che «GD maschere starebbero a richiamare,
[grandezza più vicina] è uguale ad come in altri casi, l’ambiente
AB [grandezza più lontana] ed AB teatrale. Cfr. Beyen 1957, e De
sta a DZ [segmento staccato dal Bernardi Ferrero 1974, pp. 97-102.
raggio visivo su GD] così come EB 152
Nelle decorazioni di “primo
[distanza dall’occhio di AB] sta a stile” si imitava un tipo di
DE [distanza dall’occhio di GD]». rivestimento bugnato che gli
146
Cfr. Alberti (1980, I, 13) e Piero architetti a loro volta usavano per
della Francesca (1974, I, 12). Il dare alla facciata una
rapporto con i metodi di «gradevolezza molto pittorica alla
misurazione è evidente in Pacioli vista»; cfr. Vitruvio 1997, IV, 4, 4.
1494 (Trattato geometrico, VIII, II, 153
Sul fenomeno di questa moda
pp. 296r-v), nonché in Reisch 1512 ellenizzante, cfr. Zanker 1989, pp.
(Tractatus de compositione 29-35; Zanker 1993, pp. 152-158;
instrumentorum) che definisce la Rouveret 1989, pp. 206-219.
pratica del misurare con la vista 154
Rouveret 1989, pp. 206-219,
come «scenographia practica». ritiene che l’innovazione della
147
Vitruvio 1997, IX, 1, 1; IX, 7, 7. pittura romana debba essere vista
148
Questa ipotesi è avanzata solo proprio nell’aver applicato alla
contestualmente alla decorazione domestica motivi
considerazione che gli strumenti ornamentali che nel mondo
della geometria e dell’ottica ellenistico del II secolo a.C.
euclidea avrebbero potuto esistevano solo nell’ambito
consentire di ottenere una effimero del teatro e delle feste.
rappresentazione prospettica Su questa ipotesi, cfr. anche
identica a quella prodotta Bianchi Bandinelli 1984, p. 40.
attraverso il concetto di 155
Secondo Bianchi Bandinelli
intersezione della piramide visiva. 1984, p. 39, la produzione
Non vi sono elementi per pittorica pompeiana, «non
identificarla come il metodo rappresenta altro che un ultimo
descritto da Vitruvio o utilizzato prodotto, banalizzato, della
dagli antichi. veramente altissima civiltà
149
E. Panofsky (1927) riteneva che pittorica greca».
questo tipo di convergenza 156
Il dipinto (42 × 210 cm) si trova
simmetrica a lisca di pesce dovesse al Museo del Louvre, inv.
essere attribuito a un tipo di 267/1272. Cfr. Yacob 2001.
costruzione prospettica che 157
Vasari 1973, vol. II, pp. 215-216.
prevedeva l’intersezione della 158
Sull’opera di Antonio di Tuccio
piramide visiva con una superficie Manetti, cfr. Milanesi 1887. Vedi
curva, il cui successivo infra, p. 221, nota 9.
srotolamento sul quadro del 159
Cfr. Leonardo da Vinci 1973-80,
pittore causava l’effetto indicato. fol. 387r. Il passo è citato in
Per una diversa interpretazione, Galluzzi 1989, pp. 29-30; e in
legata alla pratica delle scene, cfr. Camerota 2001a, p. XIII.
Beyen 1938 e 1960.
150
Vitruvio 1997, V, 6, 8; G. Polluce,
Onomasticon, IV, 121-132, in De
Bernardi Ferrero 1974, pp. 172-
173. Cfr. anche Beyen 1957, pp.
147-153; Neppi Modona 1961;
Little 1971; Rouveret 1984, pp.
151-165; Vitruvio 1997, note di A.
Corso ai capp. 6-8 del libro V.
151
Secondo questa lettura le
colonne architravate che nel
triclinio d’estate della villa di

56
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Prospectiva pingendi
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L’invenzione della regola 33 Masaccio, la Trinità,


1425-27. Firenze, Santa
Maria Novella.

Brunelleschi «prespettivo»

33
Raccogliendo un’opinione forse piuttosto condivisa ai suoi tempi, Giorgio Vasari scrisse
che, tra le altre cose, Masaccio avrebbe dovuto essere ricordato quasi come l’inventore
della prospettiva: «fece molto meglio gli scorti, e per ogni sorte di veduta, che niun
altro che insino allora fusse stato […] il che è stato di grande utile agli artefici, e ne
merita esser commendato, come se ne fusse stato inventore; perché invero le cose
fatte innanzi a lui si possono chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali…»1. Negli
affreschi del Carmine seppe «mettere tanto bene in sul piano di quella piazza, a cinque
e sei per fila, l’ordinanza di quelle genti, che vanno diminuendo con proporzione e
giudizio, secondo la veduta dell’occhio, che è proprio una meraviglia». Nella Trinità
di Santa Maria Novella, poi, «quello che vi è di bellissimo, oltre alle figure, è una volta
a mezza botte, tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono
e scortano così bene, che pare che sia bucato quel muro»2.
Quel muro che «pare che sia bucato» era la novità introdotta da Masaccio (fig.
33). Il dipinto non solo riproduceva la realtà secondo l’apparenza visiva, ma si sostituiva
alla realtà stessa, replicando in scala reale ciò che l’osservatore avrebbe visto se in
quel luogo vi fosse stata una vera cappella. Si trattava del primo esempio di
quell’illusionismo pittorico che ai tempi del Vasari costituiva il vanto dei più virtuosi
quadraturisti, essendo destinato a raggiungere forme sempre più spettacolari nei due
secoli successivi. Quando Masaccio dipinse la Trinità, verso il 1427, le ricerche prospettiche
degli artisti avevano raggiunto un punto di svolta rispetto ai metodi approssimativi
utilizzati dai pittori del Trecento. I contemporanei bassorilievi di Donatello per il fonte
battesimale del battistero di Siena (1424-25), e le formelle che Lorenzo Ghiberti
cominciava a modellare per la terza porta del battistero fiorentino (1425-52),
presentavano infatti la stessa coerenza prospettica. Come negli affreschi di Masaccio,
ogni elemento della rappresentazione era chiaramente governato da un unico punto,
il rapporto tra figure e architettura era ben proporzionato, e la digradazione delle
distanze in profondità appariva perfettamente misurata. L’impressione evidente è
che a questa data gli artisti avevano ormai stabilito alcune regole fondamentali per
il controllo dell’intera composizione prospettica. Dapprima tacitamente, poi sempre
più esplicitamente, le fonti attribuirono la messa a punto di queste regole a Filippo
Brunelleschi che avrebbe trasmesso i principi della prospettiva agli artisti della sua
cerchia: «particolarmente la insegnò a Masaccio – scrive Vasari – pittore allor giovane,
molto suo amico; il quale gli fece onore in quello che gli mostrò, come appare negli

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edifizj dell’opere sue. Né restò ancora di mostrare a quelli che lavoravano le tarsie, di tutto quello che di ciò s’è fatto da quel tempo in qua», Manetti non diede alcuna
che è un’arte di commettere legni di colori»3. indicazione sulle motivazioni che spinsero Brunelleschi a perfezionare la tecnica di
L’architetto fiorentino è ricordato per la prima volta come esperto di prospettiva rappresentazione, né sulle proprietà geometriche del metodo adottato. Fu invece
nel 1413, in una lettera del poeta volgare Ser Domenico da Prato che lo definì estremamente preciso nel descrivere le caratteristiche delle due tavolette con cui «in
«prespettivo, ingegnoso uomo»4. Siamo ancora lontani dalla celebre impresa della que’ tempi e’ mise in atto, lui proprio, quello ch’e dipintori oggi dicono prospettiva».
cupola di Santa Maria del Fiore, e Brunelleschi non era ancora il grande architetto Da buon matematico, astronomo e studioso di Dante, Manetti spiega che la prospettiva
che conosciamo. Era invece uno dei più rinomati scultori del tempo, insieme a Ghiberti «è una parte di quella scienza [la perspectiva, cioè l’ottica], che è in effetto porre bene
– con cui fu in competizione per la seconda porta del battistero fiorentino nel 1401 e con ragione le diminuzioni ed accrescimenti che appaiono agli occhi degli uomini
– e all’amico Donatello con cui condivise lo studio dell’antichità classica. Era anche un delle cose da lungi e da presso […] di quella misura che s’apartiene a quella distanza
abile dialettico, frequentatore di circoli letterari, studioso di Dante e stimatissimo che le si mostrano di lungi»9. Precedentemente, il legame tra ottica e prospettiva era
poeta volgare. L’aggettivo «ingegnoso» con cui lo designò Domenico da Prato potrebbe stato espresso anche da Lorenzo Ghiberti («prospettiva appartenente all’arte della
riferirsi alle sue conoscenze tecniche, ma anche alle sue abilità dialettiche che furono pictura») e da Piero della Francesca («particella de prospectiva apartinente alla
successivamente sottolineate con lo stesso aggettivo anche dal biografo Antonio di pictura»)10. Le regole di quest’arte, secondo il biografo, scaturirono dal solo ingegno
Tuccio Manetti, che lo definì «ingegnoso eziandio ne’ ragionamenti»5. Niccolò Niccoli di Brunelleschi, dato che «chi lo potesse insegnare a lui era morto di centinaia d’anni;
lo aveva chiamato sarcasticamente «filosofo senza libri»6, e il suo nome figurava tra e iscritto non si trova, e se si trova, non è inteso; ma la sua industria e sottigliezza, o
coloro che più si distinguevano per le cosiddette rime “alla burchia”, tra i quali ella la ritrovò, o ella ne fu inventrice». I trattati medievali di perspectiva si occupavano
Domenico da Prato, il Burchiello e, più tardi, Leon Battista Alberti. A lui furono infatti di problemi relativi alla visione; nessuno degli scritti “scenografici” citati da
attribuite, ad esempio, ben 161 ottave del Geta e Birria, una delle novelle popolari Vitruvio era sopravvissuto, e nessun nuovo testo era stato dedicato a quello che da
più diffuse nella Firenze del Quattrocento alla cui stesura collaborarono a più riprese circa un secolo si presentava come un problema dei pittori11. Gli accenni al disegno
anche Domenico da Prato, con 25 ottave, e Giovanni Gherardi da Prato, con 18 ottave. prospettico ravvisabili nel Libro dell’arte del Cennini erano talmente minimi da non
Quest’ultimo, che più tardi compose alcuni sferzanti sonetti in tenzone con Brunelleschi, offrire alcuna informazione significativa al riguardo.
fu anche coinvolto nella burla che Filippo mise in atto nel 1409 ai danni di un legnaiolo Di pura invenzione parla anche il Filarete (ca. 1461) che visse l’entusiasmo della
cui fu fatto credere di essere un altro7. La burla divenne presto una popolarissima scoperta in un luogo privilegiato quale era la bottega del Ghiberti: «E veramente
novella (la Novella del Grasso) in cui si metteva a nudo il filo sottilissimo che separa credo che in questo modo Pippo di ser Brunellesco inventò la prospettiva, la quale
la realtà dall’illusione, tema sviluppato nel Geta e Birria, ripreso da Giovanni Gherardi precedentemente non si era mai usata […] Benché gli antichi fossero acuti e sottili,
nel secondo libro de Il Paradiso degli Alberti e, in altro modo, indagato da Brunelleschi essi non conobbero la prospettiva. Usarono certamente buona discrezione nel dipingere,
attraverso i suoi studi prospettici. ma non rappresentavano le cose nel quadro con questi metodi e ragioni da noi
L’attributo di «prespettivo» utilizzato da Domenico da Prato lascia intendere ritrovati»12.
che a quella data le due famose tavolette prospettiche di cui narra il Manetti erano
già state eseguite8. Il biografo le descrisse come opere eseguite «ne’ tempi della sua Le due tavolette
giovinezza», ossia intorno al 1401, quando Brunelleschi partecipò al famoso concorso La prima tavoletta descritta da Manetti era un pannello di circa mezzo braccio per
per la seconda porta del battistero. La critica ha spesso diffidato di una datazione lato (ca. 29 cm) sul quale era dipinto il battistero di San Giovanni così come appariva
tanto precoce, considerando che i primi capolavori prospettici compaiono solo molto a un osservatore che si trovava poco all’interno («qualche braccia tre») della porta
più tardi, intorno al 1425, e richiamando l’attenzione sulle possibili motivazioni centrale di Santa Maria del Fiore (fig. 34). Il dipinto includeva anche una porzione
celebrative del biografo. Manetti scrisse la Vita in età avanzata, forse a seguito della degli edifici circostanti, quali l’arco de’ Pecori e il Canto alla Paglia. In luogo del cielo
polemica scoppiata in occasione dei lavori per la facciata di Santo Spirito (1481), ed vi era dell’argento brunito che rifletteva «e’ cieli naturali […] e così e nugoli, che si
è plausibile ritenere – ma è vero per tutte le biografie – che la realtà dei fatti sia stata veggono in quello ariento essere menati dal vento, quand’e’ trae»13. L’effetto
opportunamente “ricostruita”. La testimonianza di Domenico da Prato, tuttavia, offre illusionistico era ulteriormente aumentato dal fatto che la tavoletta doveva essere
un termine ante quem non sospetto che sostanzialmente conferma il resoconto del guardata riflessa in uno specchio. La destra e la sinistra erano quindi invertite, e in
Manetti, indicando lo svolgimento degli studi prospettici nella prima decade del un punto preciso il dipinto era forato, per guardarvi attraverso. La ragione di questa
Quattrocento. Se poi l’attributo di «prespettivo» rimase così fortemente legato al particolarità è spiegata da Manetti in modo esemplare: poiché «il dipintore bisogna
nome di Brunelleschi, è segno che tali studi ebbero un impatto effettivamente che presuponga un luogo solo, donde s’ha a vedere la sua dipintura […] egli aveva
memorabile, almeno nella cerchia umanistica più sensibile ai temi ottici. fatto un buco nella tavoletta […] in quello luogo dove percoteva l’occhio», ossia là
Nonostante la centralità attribuita all’invenzione della prospettiva, «che è la importanza dove l’asse centrale della piramide visiva cadeva perpendicolarmente sul quadro14. Il

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34 35
34 Ricostruzione della prima
tavoletta di Brunelleschi
(a cura dell’autore).
Firenze, Istituto e Museo
di Storia della Scienza.

35 Schema ottico-
geometrico della tavoletta:
O occhio; ab dipinto;
a’b’ specchio; AB immagine
reale (dis. dell’autore).

foro era svasato (piccolo sul lato dipinto e più grande sul retro) in modo che una pittorica, come la distanza del punto di vista dal quadro cui Manetti fa riferimento
persona potesse guardarvi attraverso stando dietro la tavoletta. In questo modo il in entrambi i casi. Nella prima tavoletta la distanza si trovava per osservazione riflessa,
dipinto poteva essere visto solo riflesso su uno specchio che raddrizzava l’immagine mentre nella seconda per osservazione diretta. La distanza dello specchio nella prima
facendola apparire uguale alla veduta reale: «e quella dilazione dello specchio dall’altra tavoletta poteva essere determinata solo spostando lo specchio lateralmente e
mano veniva a essere la distanza velcirca, di braccia piccoline, quanto a braccia verificando la coincidenza delle linee orizzontali del dipinto con quelle del vero edificio.
vere, dal luogo ove mostrava essere stato a ritrarlo per insino al tempio di San Questo era possibile con il battistero perché è un edificio simmetrico. Nel caso di
Giovanni»15. La distanza dello specchio dal dipinto, e quindi dall’occhio, era cioè piazza della Signoria lo specchio non avrebbe potuto essere usato per mancanza di
proporzionale alla distanza del battistero dal punto di osservazione (fig. 35); lo specchio simmetria, non perché la tavoletta era troppo grande. In quel secondo caso, il confronto
e il battistero formavano infatti le basi di due triangoli simili aventi il vertice in comune con la realtà poteva essere effettuato solo sovrapponendo visivamente l’immagine
nel foro della tavoletta. reale e quella dipinta. La differenza tra le due tavolette, dunque, è che mentre nella
La seconda tavoletta era di più semplice concezione ma serviva a capire le ragioni prima era dato il punto di vista e l’osservatore doveva trovare la distanza del quadro,
del primo meccanismo. In questa Brunelleschi dipinse la veduta di piazza della Signoria, ossia dello specchio, nella seconda era dato il quadro e l’osservatore doveva trovare
così come appariva a un osservatore che si fosse trovato all’angolo di via dei Calzaiuoli la distanza del punto di vista.
(fig. 36). Il dipinto includeva palazzo Vecchio, la loggia dei Lanzi, presumibilmente Da queste dimostrazioni si poteva dedurre non solo che la pittura altro non era
il palazzo della Mercanzia e, secondo Vasari, anche il Tetto de’ Pisani16. Rispetto alla che un’intersezione della piramide visiva (come poi dirà Alberti) ma anche che la
veduta del battistero che implicava un angolo visivo di circa 54°, questa seconda rappresentazione delle cose come l’occhio le vede era possibile, così come la misura
tavoletta sembrava sottendere un angolo molto ampio che si avvicinava ai 70° e della loro grandezza (lo avevano detto Alhazen e Pelacani), solo conoscendo la distanza
presupponeva certamente una rotazione dell’occhio. Anche questa tavoletta aveva tra l’occhio e l’intersezione. Come poi scriverà Alberti, «sappi che cosa niuna dipinta
una particolarità: era sagomata lungo il profilo superiore degli edifici in modo che mai parrà pari alle vere dove non sia certa distanza a vederle. Ma di questo diremone
la si potesse guardare stagliata contro il cielo (fig. 37). Qui non c’era il foro a guidare sue ragioni – e qui c’è il ricordo delle tavolette di Brunelleschi – se mai scriveremo di
lo sguardo dell’osservatore. Brunelleschi lasciò la veduta «alla discrezione di chi quelle dimostrazioni quali, fatte da noi, gli amici, veggendole e meravigliandosi,
guarda», cosa che consisteva certamente nel porre l’occhio là dove il profilo della chiamavano miracoli»18. Questi «miracoli della pittura», eseguiti durante il primo
tavoletta si sovrapponeva otticamente al profilo degli edifici. Manetti si chiede perché periodo romano tra il 1428 e il 1434, erano dipinti «contenuti in una piccola scatola,
in quel caso Brunelleschi non adottò il meccanismo del buco e dello specchio e [che] si potevano vedere attraverso un minuscolo foro»19. Alcuni studiosi hanno voluto
conclude che la ragione era dovuta alle eccessive dimensioni del dipinto che vedere in queste opere un’applicazione della camera oscura20 ma si trattava
obbligavano l’osservatore a guardarlo da una distanza tale da non poter tenere in probabilmente di scatole prospettiche ispirate alla tavoletta brunelleschiana del
mano lo specchio, né la pesante tavola dipinta17. L’ingenuità di questa spiegazione battistero, come lascia supporre l’osservazione attraverso un foro.
contrasta con la precisione e la cognizione di causa dimostrate dal biografo in tutto
il resto della descrizione, ma la questione è ben posta: perché le due tavolette erano La regola di Filippo
diverse? Se dunque le tavolette erano una sorta di dimostrazione del principio della visione
È evidente che non si trattava di semplici dipinti. Le due tavolette erano concepite “certificata” sostenuto da Alhazen e Biagio Pelacani, è presumibile che proprio sulla
come apparati ottici costruiti per dimostrare qualcosa circa la rappresentazione «per determinazione della distanza di osservazione si fondasse la «regola» inventata da
perspectiva». Questo qualcosa poteva essere un principio fondamentale della prospettiva Brunelleschi. Di questa regola, tuttavia, non sappiamo assolutamente nulla di certo.

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36 B. Bellotto, Veduta
di Piazza della Signoria,
ca. 1740 (a sinistra è visibile
«la faccia della chiesa di
San Romolo», oggi scomparsa,
che Manetti menziona come
riferimento della posizione
da cui Brunelleschi avrebbe
ritratto la piazza). Budapest,
Szépmüvészeti Museum.

37 Ricostruzione
della seconda tavoletta
di Brunelleschi (a cura
dell’autore). Firenze, Istituto
e Museo di Storia della Scienza.

Come già detto, Manetti non si pronuncia in proposito. Qualcosa sembra affiorare dell’edificio reale, l’immagine riflessa e la veduta reale sarebbero apparse come una
invece dalle parole del Filarete che, se non vide le tavolette di Brunelleschi, ne sentì cosa sola. Che vi fosse o no una relazione diretta con l’esperimento di Alhazen, le due
certamente parlare nella bottega del Ghiberti. «Se vuoi considerare meglio l’effetto tavolette potrebbero essere scaturite da una discussione sui problemi prospettici cui
delle travi disegnate in prospettiva – spiegava il Filarete nel suo ideale dialogo con Brunelleschi potrebbe aver preso parte nei circoli umanistici da lui frequentati. Un
Galeazzo Maria Sforza – prendi uno specchio e guardale attraverso di esso […] In questo possibile interlocutore di Brunelleschi si potrebbe immaginare in quel Giovanni Gherardi,
modo credo che Pippo di ser Brunellesco abbia scoperto la regola per disegnare in allievo di Biagio Pelacani, che più tardi si sarebbe servito proprio delle leggi della
prospettiva […] Se vuoi copiare qualcosa in modo facile e veloce metti uno specchio perspectiva per screditare l’operato di Filippo nella costruzione della cupola del duomo26.
davanti a quella cosa; vedrai bene come variano le forme, e le cose più lontane ti La collocazione delle due tavolette in un contesto umanistico spiegherebbe, tra l’altro,
sembreranno più piccole». La «regola» di Filippo sarebbe derivata cioè dalle leggi della la non immediata diffusione del metodo nelle botteghe degli artisti.
catottrica. Lo specchio era un antico strumento dei pittori utilizzato soprattutto per Tra i possibili interlocutori di un immaginario dibattito sui temi ottici potevano
eseguire autoritratti. Ne parla già Plinio il Vecchio, ricordando un autoritratto della esservi anche i maestri abbachisti che, come abbiamo visto, includevano tra le loro
pittrice Iaia di Cizico21; ne parla Filippo Villani ricordando il doppio ritratto di Giotto e discipline anche lo studio della perspectiva. Negli anni della giovinezza di Brunelleschi
Dante Alighieri22; ne parla Alberti, evocando il mito di Narciso come origine della pittura vi erano almeno due maestri ricordati dalle fonti come esperti di ottica: Antonio de’
e invocando lo specchio come «buono giudice» del disegno (secondo Vasari, Alberti Mazzinghi, morto nel 1390, e Grazia de’ Castellani, morto nel 1401. Quest’ultimo
dipinse anche un «ritratto di se medesimo fatto alla spera», cioè per mezzo di uno era stato un valido interlocutore di Biagio Pelacani nelle riunioni del “Paradiso” degli
specchio)23; e ne parla Leonardo che considerava lo specchio come il «maestro de’ Alberti e aveva dimostrato con chiarezza in che modo il principio della visione certificata
pittori»24. potesse essere applicato alla misurazione delle grandezze inaccessibili. La perspectiva
La deduzione del Filarete derivava certamente dalla particolarità della tavoletta pratica di questi maestri si fondava su un’operazione determinante per la comprensione
del battistero ma forse anche dal fatto che gli specchi erano tradizionalmente considerati delle grandezze, ossia il taglio della piramide visiva. Lo strumento descritto dal Castellani
gli “strumenti di lavoro” degli studiosi di perspectiva. La fama di “prespettivo” attribuita per misurare «tutto il lastricho de’ Servj» (fig. 14) o «l’alteza del giglio che è in sul lione
a Brunelleschi potrebbe tradire anche una competenza teorica non secondaria acquisita di sopra alla torre della loggia de’ Tornaquinci» mostrava questa operazione in modo
attraverso lo studio delle fonti ottiche medievali una delle quali, data la scarsa conoscenza esemplare: l’occhio («un solo ochio») doveva guardare attraverso un «bucho» e notare
del latino di cui riferisce il biografo, potrebbe essere stata il citato volgarizzamento dove la «linea visuale, o vogliamo dire razo» batteva su un’asta posta a intersecare
del De aspectibus di Alhazen. Qui era descritto un esperimento dal sapore vagamente la piramide visiva, «e quello punto notato, la tua proposta è asoluta»27. La conoscenza
brunelleschiano: un osservatore era invitato a guardare l’interno di una stanza attraverso di quel punto di intersezione del raggio visivo era fondamentale per poter conoscere
un foro25. Questo era abbastanza alto da terra da impedirgli di vedere il pavimento, una distanza da confrontare proporzionalmente con quella cercata poiché, come si
permettendogli di vedere solo due pareti di diversa altezza, poste una dietro l’altra. poteva leggere nel De aspectibus di Alhazen, «non comprende el viso la quantità della
Non potendo vedere il pavimento, l’osservatore non era in grado di giudicare la distanza rimozione de la cosa visa […] se no per comperatione di quella mesura a quella mesura
tra le due pareti che gli apparivano di conseguenza come una sola superficie. già compresa dal viso»28.
L’esperimento aveva lo scopo di dimostrare in modo tangibile il principio della visione Un analogo schema di intersezione dei raggi visivi si poteva vedere anche nella
certificata e un artista del Quattrocento ritenne opportuno raffigurarlo a margine del Perspectiva di Vitellione (fig. 39). Lo scopo di quello schema era dimostrare il principio
manoscritto (fig. 38). Se pensiamo in questi termini alla tavoletta del battistero, euclideo per cui gli oggetti più lontani si vedono più alti, ma la linea adottata dal fisico
immaginando lo specchio spostato lateralmente in modo da lasciar vedere una porzione polacco per intersecare i raggi visivi equivaleva di fatto alla verga dei misuratori e,

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38 Alhazen, De li aspetti,
ms., sec. XIV, c. 30v,
esperimento della stanza
con pareti forate. Città
del Vaticano, Biblioteca come la finta cappella della Trinità di Masaccio che la critica tende generalmente a
Apostolica Vaticana, ritenere disegnata con il fondamentale apporto di Brunelleschi33.
Cod. Vat. 4595.

39 Vitellione, Perspectiva, La Trinità di Masaccio


sec. XIII, IV, 37, dimostrazione L’affresco della Trinità può essere considerato il primo vero lavoro d’impegno prospettico
dell’apparenza di oggetti
inferiori all’occhio in senso moderno. Le grandi dimensioni, il rapporto con la scala reale e soprattutto
(Alhazen, Opticae Thesaurus con l’occhio dell’osservatore ne fanno una sorta di manifesto della pittura prospettica
Alhazeni..., a cura di F. Risner,
Basileae 1572, p. 135).
rinascimentale. Masaccio lo dipinse verso il 1427 su incarico di un capomastro attivo
nei cantieri brunelleschiani, tale Berto di Bartolomeo, nominato nei documenti
dell’Opera di Santa Maria del Fiore fra gli otto «maestri di murare» incaricati della
costruzione della cupola34. La peculiarità della committenza rafforza ulteriormente
nella futura interpretazione albertiana, al quadro dei pittori 29. Delle tecniche di l’ipotesi di una collaborazione tra Brunelleschi e Masaccio, motivata del resto dalle
misurazione «per perspectiva» Brunelleschi fece largo uso durante le sue campagne scelte stilistiche del disegno architettonico che riecheggiano piuttosto chiaramente i
di rilevamento condotte a Roma con Donatello. Secondo Manetti, i due rilevarono caratteri del linguaggio brunelleschiano: impostazione classica; colonne ioniche a
«grossamente in disegno quasi tutti gli edifici di Roma […] e così, dove e’ potevano fusto liscio, presenti nella cappella Barbardori in Santa Felicita; paraste corinzie a
congetturare l’altezze, così da basa a basa per altezza, come da’ fondamenti, e riseghe sei scanalature, costruite nello Spedale degli Innocenti; timpani con tondi concavi
e tetti degli edificj, e’ ponevano in su striscie di pergamene che si lievano per riquadrare buccellati, adottati nella cappella Barbadori; architrave a tre fasce di uguale altezza,
le carte, con numero d’abbaco e caratte[re], che Filippo intendeva per se medesimo…»30. presente nello Spedale degli Innocenti. Alcuni elementi ornamentali sembrano derivare
Su strisce di pergamena che supponiamo fissate all’asta di misurazione venivano tracciate dal repertorio decorativo ligneo, come le piccole piramidi a punta di diamante nel
le intersezioni dei raggi visivi con i relativi riferimenti («numero d’abbaco e carattere») sottarco e lo pseudomeandro del fregio, mentre altri elementi architettonici rivelano
che consentivano in un secondo tempo la restituzione grafica dell’edificio in pianta il fascino delle grandi architetture romane35. La volta cassettonata, ad esempio,
e in prospetto. La doppia notazione, con numeri e lettere, farebbe pensare a un sistema originariamente ornata di rosoni dipinti a tempera nei lacunari, rimanda ai fornici
di coordinate e quindi all’adozione di uno strumento formato, presumibilmente, da degli archi trionfali di Tito e Settimio Severo, certamente noti a Brunelleschi e forse
due aste ortogonali a T rovescia. Con un simile metodo di misurazione Brunelleschi allo stesso Masaccio36. Una seconda motivazione per la supposta collaborazione di
potrebbe aver facilmente costruito le sue tavolette prospettiche che, data la perfetta Brunelleschi, che potrebbe includere anche gli affreschi del Carmine, starebbe nel
coincidenza tra immagine dipinta e immagine reale, presupponevano necessariamente salto straordinariamente grande compiuto da Masaccio nel giro di pochissimi anni.
un controllo diretto dal vero. Rispetto ai modi ancora tardogotici del Trittico di san Giovenale (1422), la Trinità
L’invenzione di Brunelleschi, tuttavia, non stava nell’esecuzione delle due tavolette appare come un’opera folgorante, frutto di una competenza prospettica lungamente
ma nella regola che da quella esperienza egli sembra aver tratto, una regola necessaria esercitata. Secondo Vasari la scomparsa prematura di Masaccio nel 1428 fu commentata
non tanto a copiare dal vero, quanto a disegnare oggetti e spazi immaginari. Secondo da Brunelleschi con le seguenti parole: «Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima
Vasari – il primo che si pronuncia esplicitamente a questo proposito – la regola consisteva perdita; e gli dolse infinitamente, essendosi affaticato gran pezzo in mostrargli molti
nel «levarla [la prospettiva] con la pianta e profilo e per via della intersegazione» 31. termini di prospettiva e d’architettura»37.
Brunelleschi avrebbe cioè inventato quella che i codificatori del Cinquecento chiamarono La Trinità è perciò l’esempio pittorico più significativo dal quale poter trarre
“prima regola di prospettiva”, ossia il procedimento per cui, data la pianta e il prospetto informazioni circa il metodo prospettico brunelleschiano. A un primo sguardo, e
di un qualsiasi oggetto e tracciata la piramide visiva in entrambe le proiezioni, era certamente col senno di poi, l’architettura dipinta sembrerebbe costruita proprio con
possibile determinare con estrema precisione l’immagine prospettica procedendo al il metodo indicato da Vasari, il solo procedimento che, secondo Piero della Francesca,
taglio dei raggi visivi con un piano corrispondente al quadro del pittore. Trattandosi poteva garantire un perfetto controllo dell’intera rappresentazione, dall’impianto
di un procedimento tipico del disegno architettonico, la critica moderna ha generale ai singoli elementi. L’analisi dettagliata del dipinto, delle linee battute e
sostanzialmente abbracciato questa tesi, adottando per il metodo brunelleschiano la dei segni incisi sull’intonaco, tuttavia, porta ad altre conclusioni, o almeno non consente
definizione di «costruzione legittima»32. È da escludere, tuttavia, che questo sia stato di dimostrare quello che molti studiosi hanno dato per scontato. L’unico dato certo
il «modo» in cui Brunelleschi disegnò le sue celebri vedute. Il disegno preliminare che si può ricavare è l’altezza del punto di osservazione, corrispondente a circa tre
dei vari edifici in pianta e prospetto avrebbe richiesto un’opera di rilevamento topografico braccia, ossia 172 cm (fig. 40)38. Le linee recedenti in profondità convergono infatti
di notevole impegno, e certamente non proporzionata allo scopo. È invece possibile, tutte verso un unico punto di fuga posto a quell’altezza, subito sopra la mensa d’altare.
anche se opinabile, che la regola sia stata messa in atto per costruire vedute immaginarie, Riguardo alla distanza di osservazione che, secondo le regole della prospettiva, dovrebbe

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permetterci di ricostruire la finta architettura in pianta e alzato, le incertezze sono per le intersezioni di queste linee passa la curva del cerchio in prospettiva. Oltre a
invece molte. I risultati ottenuti dalle ripetute analisi condotte sulla base di accurate offrirci uno degli espedienti adottati dai pittori per risolvere in modo pratico problemi
misurazioni variano da 210,5 cm (Polzer 1971) a 894,2 cm (Battisti/Degl’Innocenti 1976)39. di rappresentazione altrimenti lunghi e tediosi, il particolare ci mette a disposizione
Una tale differenza di risultati porterebbe a escludere l’applicazione di una regola un quadrato, o almeno un quarto di esso, che con buona approssimazione consente
rigorosa e a concludere che l’affresco non fu costruito secondo i principi della «costruzione di determinare la distanza di osservazione a circa 660 cm dal dipinto. L’approssimazione
legittima». I risultati, tuttavia, dipendono dal metodo di analisi che pur dovendo essere è dovuta in parte alle dimensioni ridotte di questo quadrato, e in parte al fatto che le
univoco non lo è per ragioni contingenti. Non essendo visibile il pavimento della finta divisioni sul lato in scorcio sembrano tracciate a intervalli uguali anziché ridotti
cappella, gli unici elementi che possono condurre alla determinazione del punto di prospetticamente, cosa che rende inattendibile l’esatta inclinazione della diagonale.
distanza si trovano nella parte alta del dipinto. Come è noto, sarebbe sufficiente La nostra attenzione dovrebbe allora rivolgersi alla volta a lacunari, ma anche qui le
individuare un quadrato in scorcio la cui diagonale prolungata fino alla linea d’orizzonte incertezze non sono minori.
(linea passante per il punto di fuga centrale) indica esattamente la distanza di Per analogia con i modelli architettonici cui la volta certamente si ispira, i lacunari
osservazione (distanza dal punto di fuga centrale). Questo però è reso impossibile dalla che la compongono dovrebbero essere senza dubbio quadrati e tutti uguali tra loro.
presenza di svariate incongruenze prospettiche. Appare subito evidente invece che quelli immediatamente sopra il piano d’imposta
Una figura quadrata immediatamente individuabile è l’abaco dei capitelli ionici di sono più alti degli altri, forse anche qui per una scelta compositiva. La digradazione
cui si può facilmente ricostruire la parte interrotta dalla lesena corinzia. Le analisi delle nervature trasversali, inoltre, non risulta uniforme; le prime due sono state
condotte da J.V. Field, Thomas Settle e Roberto Lunardi, tuttavia, hanno dimostrato leggermente rialzate per nascondere dietro l’arco frontale l’intera prima fascia di
che il lato in scorcio degli abachi è stato volutamente allungato per ragioni cassettoni. Qualsiasi tentativo di determinare il punto di distanza sulla base del disegno
presumibilmente compositive e, dunque, la diagonale eventualmente individuata in della volta si rivela perciò inutile. Ma, d’altra parte, è anche metodicamente sbagliato
questo caso conduce a risultati inattendibili, come appunto quelli ottenuti da Kern comportarsi davanti a un dipinto come ci si comporterebbe davanti a una fotografia.
(1913) e Jannson (1967). Un particolare interessante può essere individuato alla base Chiunque abbia una qualche esperienza di disegno prospettico sa bene che una
del capitello ionico dove, per costruire correttamente il profilo ellittico del sommoscapo prospettiva correttamente eseguita non è necessariamente bella. Gli aggiustamenti
del fusto, Masaccio si è servito del metodo cosiddetto delle tangenti (fig. 41). Ha sono spesso necessari per migliorare il risultato dell’insieme e, di fatto, non esiste un
cioè disegnato il quadrato circoscritto – ben visibile a luce radente perché inciso dipinto che non presenti incongruenze proiettive, anche nei casi in cui la regola sembra
nell’intonaco – dividendo il lato frontale e quello in scorcio nello stesso numero di parti applicata nel modo più rigoroso, come nelle grandi composizioni quadraturistiche del
e unendo i punti di divisione con una serie di linee raffiguranti le tangenti al cerchio; Cinquecento e del Seicento. La prospettiva ha infatti una dimensione teorica, quella
illustrata nei trattati, e una dimensione pratica, quella messa in atto dai pittori, che
è sempre subordinata alle necessità compositive. Come scriverà pochi anni dopo l’Alberti,
40
40 Masaccio, la Trinità, «non credo io al pittore si richiegga infinita fatica ma bene s’aspetti pittura quale sia
schema prospettico rilevata e simigliata a chi ella si ritrae»40.
(dis. dell’autore).
Per risolvere la questione possiamo solo procedere presumendo che Masaccio abbia
voluto rappresentare una volta a cassettoni quadrati. In tal caso possiamo facilmente
disegnare la sezione longitudinale della volta dopo aver determinato sull’arco frontale
la larghezza dei cassettoni e quella delle nervature. Su questo disegno possiamo anche
tracciare la linea d’orizzonte, e la linea che unisce l’ultima nervatura con la sua posizione
prospettica sul piano del dipinto; questa linea incontrerà la linea d’orizzonte a una
distanza di 667 cm, approssimativamente la stessa ottenuta con il quadrato delle
tangenti. A un risultato simile conduce anche l’analisi di J.V. Field (685 cm) che segnala
come questa distanza corrisponda alla larghezza della navata laterale. La misura
corrisponde però anche all’altezza dell’affresco (667 cm) e quindi tra distanza di
osservazione e dimensioni del quadro risulterebbe esserci quello stesso rapporto di
1:1, che genera un angolo visivo di 54°, già sperimentato da Brunelleschi nella tavoletta
del battistero. Dobbiamo concludere che se le analisi geometriche dell’affresco non
possono provare l’applicazione della cosiddetta «costruzione legittima», esse non
possono neanche escluderla.

68 69
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41
41 Masaccio, la Trinità, 42 43 A. Manetti Ciaccheri,
particolare di un capitello con finti armadi, tarsia lignea,
linee incise per la costruzione 1436, pannello intero
del cerchio in prospettiva e particolare con candeliere.
(metodo delle tangenti). Firenze, Santa Maria del Fiore,
sacrestia delle Messe.

42 43
1436: i capolavori prospettici di Santa Maria del Fiore
In quegli anni il magistero di Brunelleschi si manifestò anche attraverso il rinnovamento
del repertorio ornamentale degli intarsiatori. Abbiamo già ricordato le parole del
Vasari a riguardo («Né restò ancora di mostrare a quelli che lavoravano le tarsie»). E
la riprova sarebbero le prime tarsie prospettiche eseguite nella sacrestia delle
Messe di Santa Maria del Fiore da un gruppo di legnaioli tra cui Giovanni di Ser
Giovanni detto “lo Scheggia”, fratello minore di Masaccio, e Antonio Manetti Ciaccheri,
uno dei più assidui collaboratori di Brunelleschi41. I pannelli di Manetti sono
indubbiamente di qualità superiore riguardo al disegno prospettico (fig. 42). Omonimo
del futuro biografo di Brunelleschi, Manetti intraprese l’opera nel 1436 introducendo
un motivo decorativo ripetutamente adottato fino alla fine del secolo: finti armadi
con sportelli a graticcio semiaperti che lasciano intravedere gli oggetti contenuti
all’interno. Esempi magistrali di questo tipo di decorazione li troviamo, ad esempio,
nelle residenze dei Montefeltro, a Urbino e Gubbio (1475-76 e 1479-82)42. La precisione
del disegno in questo caso era determinante per la riuscita dell’effetto desiderato. A
differenza dei pittori, gli intarsiatori non potevano concedersi pentimenti in corso
d’opera, né tanto meno errori. I numerosi tasselli che componevano il «mosaico di
legname», come lo definiva Vasari, dovevano essere sagomati sulla base di disegni
perfettamente definiti in ogni particolare. Seguendo le commessure dei legni nei
pannelli di Manetti, ritroviamo facilmente le linee guida del disegno prospettico.
Tutte le linee di fuga, qualunque sia l’angolazione della finta apertura dei pannelli,
convergono sulla stessa linea d’orizzonte (fig. 43). Questa è posta all’altezza di tre
braccia da terra (175 cm), rapportandosi perfettamente all’occhio dell’osservatore,
come nella Trinità di Masaccio. Il punto di fuga centrale è individuabile grazie allo
scorcio della mensola di supporto del candeliere, il cui piatto esagonale consente di
trovare la diagonale che indica sull’orizzonte il punto di distanza, e quindi la posizione
dell’osservatore al centro della stanza. Il candeliere ripropone una peculiarità
riscontrabile anche nell’affresco di Masaccio (nell’altare con sepolcro), vale a dire
l’illusoria sporgenza in avanti dell’oggetto, al di qua del piano della rappresentazione.
All’affresco di Masaccio, o al comune repertorio ornamentale dei legnaioli, rimandano
anche le piccole piramidi a punta di diamante (sottarco della Trinità) qui poste a
decorare la fascia alla base degli sportelli.
La perizia prospettica degli intarsiatori era ampiamente riconosciuta, tanto che nel

70 71
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44 45 46
44 Paolo Uccello,
Monumento equestre
a Giovanni Acuto, 1436.
Firenze, Santa Maria del Fiore.

45 Paolo Uccello, Battaglia


di San Romano, ca. 1456.
Firenze, Galleria degli Uffizi,
P 1135.

46 Paolo Uccello, sinopia


della Natività, 1436-47.
Firenze, Galleria degli Uffizi,
depositi (già in San Martino
alla Scala).

corso del Quattrocento si finì per identificarli come «maestri di prospettiva»43. La per il risultato finale, ormai deturpato dal pessimo stato di conservazione, quanto per
peculiarità della loro arte è già implicitamente trasmessa dalle parole con cui Donatello, il disegno preparatorio che i restauri hanno portato alla luce. Si tratta della Natività
secondo Vasari, avrebbe criticato l’ossessione di Paolo Uccello per la prospettiva: «Eh! di San Martino alla Scala, affresco rimosso dalla sua ubicazione originaria con uno
Paulo, questa tua prospettiva ti fa lasciare il certo per l’incerto: queste sono cose che strappo della pellicola pittorica che ha svelato uno dei più importanti documenti
non servono se non a questi che fanno le tarsie; perciocchè empiono i fregi di brucioli, materiali per la storia della prospettiva rinascimentale (fig. 46)46. La sottostante sinopia
di chiocciole tonde e quadre, e d’altre cose simili»44. Proprio nel 1436, mentre Manetti rivela infatti solo il tracciato della griglia prospettica: nessuna figura, né elementi
lavorava ai suoi pannelli intarsiati, Paolo Uccello (Paolo di Dono) eseguiva nella stessa architettonici che evidentemente l’artista trasferiva direttamente sull’intonaco fresco
cattedrale il Monumento equestre a Giovanni Acuto (fig. 44). Si trattava di una nuova dopo avervi inciso le linee prospettiche con un sottile stilo metallico. Le lance spezzate
sfida prospettica. Il gruppo equestre doveva apparire come una grande statua sostenuta della Battaglia di San Romano rivelano i segni di questa griglia che certamente guidava
da un robusto basamento aggettante dal muro. Quel particolare segnalato nella Trinità ogni composizione dell’artista.
di Masaccio (l’altare con sepolcro) e nelle tarsie del Manetti (il candeliere) qui diventava Lo schema prospettico della Natività è di grandissimo interesse perché è il primo
la peculiarità dell’intera composizione prospettica. Tutto è in aggetto al di qua della documento figurativo che mostra il modo di procedere degli artisti in questi anni di
parete. Le linee di fuga del basamento scendono repentinamente verso l’orizzonte sperimentazione. Divisa la linea di terra in parti uguali e stabilita l’altezza dell’orizzonte,
dell’osservatore, anche qui a circa tre braccia da terra (175 cm). Il forte scorcio dal basso l’artista fissava su quest’ultima tre punti, uno centrale e due laterali. Tracciava poi una
mette in evidenza, ancora una volta, il motivo delle piramidi a punta di diamante poste serie di linee da ciascuna delle divisioni sulla linea di terra a ognuno di questi punti,
a decorare il soffitto del basamento. Solo il gruppo equestre non risponde alla regola costruendo tre fasci di linee convergenti. Dalle intersezioni di tutte queste linee
dello scorcio dal basso; per ragioni di visibilità è infatti rappresentato di profilo, in risultavano determinate, in perfetta digradazione prospettica, le rette orizzontali
veduta frontale, stante irrealisticamente sul bordo anteriore del basamento. parallele alla linea di terra. Dovendola spiegare con il senno di poi, diremmo che questa
Diversamente, le gambe del cavallo sarebbero risultate in parte nascoste dall’aggetto è una perfetta costruzione “con punto di distanza”. Paolo Uccello però potrebbe aver
del basamento, l’addome avrebbe dominato il campo pittorico e il soggetto del dipinto semplicemente perfezionato un procedimento già seguito dai pittori della scuola
– il capitano di ventura inglese John Hawkwood che nel secolo precedente aveva servito giottesca per disegnare i soffitti a cassettoni, senza necessariamente identificare
con onore la città di Firenze – sarebbe apparso totalmente in secondo piano. quei tre punti con l’occhio dell’osservatore. È ragionevole credere, tuttavia, che dietro
Un’idea di come poteva apparire il cavallo se l’artista l’avesse dipinto nel rispetto quello schema vi sia una precisa consapevolezza delle ragioni ottiche del disegno,
delle regole prospettiche possiamo farcela guardando i forti scorci che dominano la certamente acquisite a contatto diretto con Ghiberti nella cui bottega il pittore si
Battaglia di San Romano, un ciclo pittorico databile a questi stessi anni (fig. 45)45. Anche era andato formando fin dall’età di dieci anni. Lo schema potrebbe quindi riflettere
qui possiamo notare la dimensione irreale della prospettiva di Paolo Uccello. Il quello utilizzato dal Ghiberti nelle formelle della porta del Paradiso del battistero
furore della battaglia è congelato da uno sguardo che ne misura ogni minimo dettaglio. fiorentino e non è da escludere che rifletta perfino il metodo brunelleschiano adottato
Cavalli, cavalieri, lance, scudi, mazzocchi a scacchiera e spiraliformi, sono come da Masaccio. Un’altra possibilità, non meno plausibile delle precedenti, è che lo schema
irretiti da una griglia geometrica che ne determina la forma e la posizione, trasformando sia un’interpretazione del metodo che Leon Battista Alberti andava descrivendo nel
il fatto cruento in un armonico concerto di linee e volumi. A terra, come a formare De pictura proprio mentre Manetti e Paolo Uccello progettavano i loro capolavori
uno spartito musicale, sono ordinatamente disposte le lance spezzate, “casualmente” prospettici in Santa Maria del Fiore. Scritto in latino nel 1435, il De pictura fu tradotto
cadute sulle linee di fuga che governano l’intera composizione. Il disegno delle in volgare dallo stesso Alberti l’anno successivo, introducendolo con una eloquente
lance spezzate a terra rimanda a un altro lavoro di Paolo Uccello, famoso non tanto lettera dedicatoria all’«ingegno meraviglioso» di Filippo Brunelleschi.

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I concetti teorici: Leon Battista Alberti diurna e l’altra notturna»50. Sui dettagli costruttivi di queste opere possiamo solo fare
supposizioni, ma è chiaro che si trattava di scatole ottiche concepite per dimostrare
i meravigliosi effetti della geometria prospettica, una volta stabilita la giusta distanza
di osservazione: «Ma di questo diremo sue ragioni, se mai scriveremo di quelle
dimostrazioni quali, fatte da noi, gli amici, veggendole e meravigliandosi, chiamavano
miracoli»51. Alberti non scrisse mai quelle «ragioni» ma si cimentò nella definizione
dei principi teorici generali della nuova arte prospettica.
L’occasione fu data dal nuovo incontro con gli artisti fiorentini. Tornato a Firenze
nel 1434 al seguito di Eugenio IV, Alberti vi rimase fino al 1443, con assenze più o
meno prolungate. La cupola di Brunelleschi volgeva ormai al termine, «erta sopra
e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani»52. Agli occhi di Alberti,
Il 17 luglio del 1436, Alberti finiva di redigere in volgare il suo trattato De pictura, l’opera di Brunelleschi rivaleggiava con quella degli antichi, non solo la cupola («quale
anteponendovi un prologo in cui tesseva le lodi dei grandi artisti fiorentini, primo fra artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse
tutti Filippo Brunelleschi al quale l’opuscolo era esplicitamente dedicato: «Ma poi che appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto») ma anche la prospettiva, dimenticata
io da lungo esilio in quale siamo noi Alberti invecchiati, qui fui in questa sopra l’altre e ritrovata senza precettori: «ma quinci tanto più el nostro nome più debba essere
ornatissima patria ridutto, compresi in molti ma prima in te, Filippo, e in quel nostro maggiore, se noi sanza precettori, senza essemplo alcuno, troviamo arti e scienze non
amicissimo Donato scultore e in quegli altri Nencio [Ghiberti] e Luca [della Robbia] e udite e mai vedute»53. La dedicatoria a Brunelleschi è un eloquente riconoscimento
Masaccio, essere in ogni lodata cosa ingegno da non posporli a qual si sia stato antiquo della sua autorità in materia prospettica: «se in tempo t’accade ozio, mi piacerà rivegga
e famoso in queste arti» (fig. 47)47. Alberti giunse a Firenze per la prima volta forse questa mia operetta de pictura quale a tuo nome feci in lingua toscana […] Piacciati
nel 1428, quando decadde il bando d’esilio con cui la sua famiglia era stata allontanata adunque leggermi con diligenza, e se cosa vi ti par da emendarla, correggimi».
da Firenze in seguito al tumulto dei Ciompi nel 1378. Il clima era certamente di grande L’opuscolo conteneva tre libri: «el primo tutto matematico, dalle radici entro dalla
fervore. Brunelleschi dirigeva i suoi grandi cantieri edilizi – la cupola del duomo, natura fa sorgere questa leggiadra e nobilissima arte. El secondo libro pone l’arte
giunta a circa metà della sua altezza, lo Spedale degli Innocenti, la basilica di San in mano allo artefice […] El terzo istituisce l’artefice quale e come possa e debba
Lorenzo con la bellissima sacrestia – Ghiberti lavorava alle formelle della porta del acquistare perfetta arte e notizia di tutta la pittura»54. Con queste premesse inizia
Paradiso, Donatello a quelle per il battistero senese e Masaccio, in procinto di partire la svolta della pittura moderna, ormai non più solo disciplina artistica ma anche scienza
per Roma (dove sarebbe morto quello stesso anno), aveva da poco ultimato i suoi matematica.
celebri capolavori nella cappella Brancacci e in Santa Maria Novella. L’attività di Alberti Nel primo libro Alberti affrontò una difficoltà lamentata anche da Giovanni Fontana,
in questo periodo è oscurata da una totale mancanza di notizie che si protrae fino al e cioè parlare di problemi geometrici in un linguaggio diverso dal collaudato latino:
1432 quando lo troviamo a Roma come abbreviatore apostolico e segretario del «molto priego si consideri me non come matematico ma come pittore scrivere di
patriarca di Grado, Biagio Molin48. È probabile che qui abbia incontrato nuovamente queste cose»55. Adottando il linguaggio dei pittori, Alberti riuscì a fare in modo che
Brunelleschi e Ghiberti ed è certo che, tra i molti interessi che andava coltivando, la i concetti astratti di punto, linea e superficie acquistassero la consistenza di oggetti
pittura e la prospettiva occupavano già un posto di primo piano. Agli amici eruditi della rappresentazione. Il punto era perciò considerato un segno, tanto piccolo da
di quel periodo romano – tra i quali certamente gli umanisti della Curia, Leonardo essere indivisibile, come volevano i geometri, ma pure abbastanza grande da poter
Bruni, Poggio Bracciolini e Flavio Biondo – Alberti aveva più volte mostrato quelli che essere visto, perché «solo studia il pittore fingere quello [che] si vede»56. Più punti
nel De pictura chiamò «dimostrazioni» o «miracoli» della pittura, vale a dire spettacoli accostati fanno una linea e «più linee, quasi come nella tela più fili accostati, fanno
ottici dal sapore spiccatamente brunelleschiano49. superficie». La descrizione delle superfici, ossia delle figure geometriche, ha il carattere
Durante il soggiorno fiorentino di qualche anno prima aveva probabilmente inconfondibile delle pagine di apertura dei trattati di geometria pratica, fatta eccezione
sperimentato gli effetti ottici delle tavolette di Brunelleschi, producendo a sua per lo stile letterario: le superfici sono circoscritte da un «orlo» e caratterizzate da un
volta due singolari dipinti che troviamo compiutamente descritti nella cosiddetta Vita «dorso» che può essere piano, concavo o convesso; l’uno e l’altro danno il nome alle
anonima. Si trattava di «opere mai viste in precedenza e incredibili agli occhi degli varie superfici ma «mutato l’andare dell’orlo la superficie muta e faccia e nome, e
spettatori. Questi dipinti, contenuti in una piccola scatola, si potevano vedere attraverso quello si dicea triangolo ora si dirà quadrangolo o di più canti57 […] Adunque l’orlo
un minuscolo foro, e mostravano altissime montagne e vasti paesaggi marini intorno e dorso danno suoi nomi alle superficie»58. Nel tentativo di chiarire ulteriormente i
a grandi insenature, e terre lontanissime, così lontane da non poterle distinguere con termini del linguaggio geometrico e introdurre il pittore alla geometria elementare,
chiarezza. Queste cose le chiamava “dimostrazioni” […] ed erano di due tipi, una Alberti compose un libello complementare al De pictura cui diede il titolo pedagogico

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47
47 L.B. Alberti, De pictura,
ms., 1436, c. 120r,
dedicatoria a F. Brunelleschi.
Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, II.IV.38. «gagliardissimo e vivacissimo» che cadeva perpendicolarmente al centro della superficie
rendendo ragione dell’apparenza dell’oggetto: «mutato la distanza e mutato il porre
del razzo centrico, subito la superficie parrà alterata. Adunque la distanza e la posizione
del centrico razzo molto vale alla certezza del vedere»65. Il principio della visione
certificata elaborato da Alhazen e Biagio Pelacani raggiunse così direttamente le
botteghe dei pittori.

Il quadro come «finestra» e «intersegazione»


Spiegato il modello geometrico della visione secondo la scienza dei perspectivi, Alberti
introdusse il principio fondamentale della pittura prospettica, vale a dire il taglio della
piramide visiva per mezzo di un piano corrispondente al quadro del pittore. Sulla
superficie di questo piano «si representino le forme delle cose vedute, non altrimenti
che se essa fusse di vetro traslucente tale che la piramide visiva indi trapassasse […]
Sarà adunque pittura non altro che intersegazione della piramide visiva, sicondo data
di Elementa picturae. Come chi imparava a leggere cominciava dagli «elementi», ossia distanza, posto il centro e costituiti i lumi, in una certa superficie con linee e colori
dalla forma delle lettere, così il pittore doveva iniziare dalle figure geometriche, e il artificiose representata»66. La dimostrazione di questo nuovo concetto pittorico passava
titolo del libello non poteva non rammentare anche la ben nota opera euclidea. Lo inevitabilmente attraverso «la sentenza de’ matematici» – che aveva il suo fondamento
scopo era quello di creare una sorta di geometria del pittore necessaria alla negli Elementi di Euclide – secondo la quale una retta che taglia due lati di un triangolo,
comprensione di quei «dirozzamenti» che nel De pictura «saranno intesi facile dal essendo parallela al terzo lato, forma un nuovo triangolo i cui lati sono proporzionali
geometra. Ma chi sia ignorante in geometria, né intenderà quelle né alcuna altra a quelli del primo. Su questo principio si basavano i metodi di misurazione delle
ragione di dipingere»59. distanze tramandati dalla tradizione abbachistica67. Nei trattati di Domenico da Chivasso
Dove il discorso si discosta dai trattati di geometria è nella definizione dei casi in e Grazia de’ Castellani la distanza tra due torri in lontananza si misurava proprio
cui le superfici, pur senza cambiare nome, «possono parere alterate […] quali pigliano rappresentando su una tavoletta il triangolo visivo e la sua intersezione con una retta
variazione per mutazione del luogo o de’ lumi […] [negli Elementa picturae le superfici parallela alla base68. Il principio dei triangoli simili è spiegato con una certa accuratezza
alterate dallo scorcio prospettico prendono il nome di «aree comminute»] Questo nel De pictura, nei limiti naturalmente del carattere del trattato, onde rendere
s’appartiene alla forza del vedere, imperò che mutato il sito le cose parranno o maggiori manifesto «che ogni intersegazione della piramide visiva, qual sia alla veduta superficie
o d’altro orlo o d’altro colore, quali tutte cose misuriamo col vedere»60. La misurazione equidistante, sarà a quella guardata superficie proporzionale»69. Nel suo ragionamento
delle grandezze avveniva per mezzo dei raggi visivi che Alberti distinse in estremi, Alberti fa capire che il metodo di rappresentazione prospettica poteva essere dimostrato
mediani e centrico. Formulando una felice espressione particolarmente appropriata anche per via aritmetica ma «sarebbe cosa lunga, difficile e oscura in queste
al linguaggio pittorico, Alberti spiegava che i raggi estremi misuravano l’orlo delle intersegazione di triangoli e di piramide seguire ogni cosa con la regola de’ matematici.
superfici «quasi come con un paio di seste»61. La straordinaria abilità di alcuni artisti Seguiremo dicendo pure come pittore»70.
nel disegno dal vero offriva un riscontro tangibile di questa metafora. Di Domenico Nel linguaggio dei pittori, quindi, l’intersezione diventava una «finestra aperta
Ghirlandaio, ad esempio, si diceva «che ritraendo anticaglie di Roma, archi, terme, per donde io miri quello che quivi sarà dipinto»71. Alberti iniziava così a descrivere il
colonne, colisei, aguglie, anfitetari e acquidotti, era sì giusto nel disegno, che lo faceva suo «modo optimo», ossia la regola che avrebbe permesso al pittore di «sapere
a occhio, senza regolo o seste o misure; e, misurandole dappoi fatte che l’aveva, erano intersegare» con arte e scienza (fig. 48). Alberti stabiliva per prima cosa un’unità di
giustissime, come se e’ le avesse misurate: e ritraendo a occhio il Coliseo, vi fece una misura proporzionale al braccio fiorentino, ossia alla terza parte dell’altezza di un
figura ritta appiè, che misurando quella, tutto l’edificio si misurava»62. Più tardi uomo che convenzionalmente misurava «quasi braccia tre», e con questo modulo
Michelangelo avrebbe sostenuto che per giudicare bene le cose «bisognava avere di “un braccio” divideva la base del dipinto in parti uguali. Poi fissava il «punto
le seste negli occhi»63. Per Alberti il paragone con le seste derivava dal fatto che «al centrico», ossia il punto che occupava quel luogo «ove il razzo centrico ferisce». Questo
vedere si fa triangolo, la basa del quale sia la veduta quantità e i lati sono questi razzi, punto non era necessariamente centrale (“centrico” indicava la sua appartenenza al
i quali dai punti della quantità si estendono sino all’occhio. Ed è certissimo niuna raggio centrale della piramide visiva) ma era certamente all’altezza di tre braccia dalla
quantità poterse sanza triangolo vedere»64. I raggi mediani misuravano invece il dorso base del dipinto (linea di terra). Si ricorderà che Masaccio, Manetti e Paolo Uccello
delle superfici, occupando tutto l’interno della piramide circoscritta dai raggi estremi. avevano correttamente posto il “punto centrico” all’altezza di tre braccia da terra.
Il «razzo centrico» infine, detto anche «prencipe de’ razzi», era quell’unico raggio Successivamente tracciava delle linee dal «punto centrico» alle divisioni della linea di

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48 Il «modo optimo»
(dis. dell’autore).

49 A. Dürer, Underweysung 49
der Messung, Nürnberg 1538,
lib. IV, il velo di L.B. Alberti.

terra in modo da ottenere la fuga prospettica delle rette perpendicolari al quadro. Alberti chiamava «composizione», ossia il giusto posizionamento delle cose nel dipinto.
Quanto alle «quantità traverse», ossia alla corretta digradazione delle rette parallele Le altre due parti della sua triplice divisione dell’arte pittorica, la «circoscrizione» e
alla linea di terra, Alberti lascia intendere che i pittori si servivano di vari procedimenti la «recezione de’ lumi», erano meno matematiche ma non meno fondamentali. La
empirici. Uno di questi consisteva nell’applicazione della proporzione «superbipartiente» «circoscrizione» era il disegno dell’«orlo delle superficie», ossia del profilo delle figure,
che consisteva nel tracciare a caso una parallela alla linea di terra e nel dividere lo degli oggetti e degli edifici che si collocavano sul pavimento scorciato. Per il disegno
spazio tra le due linee in tre parti uguali; due di queste parti indicavano l’intervallo delle figure e degli oggetti di piccole dimensioni, Alberti raccomandava l’uso di
per il tracciamento della parallela successiva; suddiviso a sua volta il nuovo intervallo uno strumento «quale io fra i miei amici soglio appellare intersegatione»74. Si trattava
in tre parti uguali e misuratene due, si tracciava un’altra parallela, e così via fino alla di un velo trasparente, presumibilmente montato su un telaio, posto «tra l’occhio e
profondità desiderata. Benché le linee «seguano a ragione», tuttavia, tale ragione la cosa veduta» (fig. 49). Alcuni fili più grossi, orizzontali e verticali, ne dividevano la
non corrispondeva alle leggi prospettiche. superficie in «paralleli», ossia in maglie quadrate. Seguendo l’andamento dell’«orlo»
Il metodo di Alberti è la prima regola prospettica che conosciamo con certezza, entro i singoli «paralleli», il pittore era in grado di riprodurre le sembianze dell’oggetto
anche se non senza dubbi interpretativi. La mancanza di disegni esplicativi rende non sul proprio foglio da disegno, o anche sulla superficie del muro «divisa in simili paralleli».
sempre intelligibili i passaggi delle costruzioni geometriche, soprattutto nel caso Alberti non suggeriva di fissare l’occhio con un mirino; proponeva invece di controllarne
seguente. Su un foglio a parte o comunque fuori dal quadro («prendo uno picciolo la posizione con «certi termini» sul velo (forse palline di cera) posti in corrispondenza
spazio») Alberti disegnava una linea orizzontale che divideva in parti uguali, simili di due o più punti significativi dell’oggetto. L’uso dello strumento, forse visto con
alle divisioni della linea di terra del dipinto. All’estremità della linea, tracciava poi un disprezzo dai pittori più esperti, era consigliato sia per imparare a disegnare sia per
punto all’altezza di tre “braccia” («quanto nel quadrangolo posi el punto centrico accelerare le fasi del lavoro. Al di là della funzione pratica, tuttavia, lo strumento si
alto dalla linea che giace nel quadrangolo») e da questo punto tirava una serie di presentava come una rappresentazione materiale del concetto geometrico di
linee fino a ciascuna divisione della linea orizzontale. Stabilita la «distanza dall’occhio «intersegatione».
alla pittura», lì tracciava una linea verticale che intersecava tutte le altre linee. In altre Per le «superficie maggiori», ossia per gli edifici, Alberti tornava a lavorare sul
parole, Alberti costruisce la piramide visiva di profilo, intersecandola con un piano quadro. Il pavimento scorciato formava un piano modulare che aveva come unità
corrispondente al quadro del pittore. I punti di intersezione indicavano la posizione di misura l’altezza dell’uomo, «modo e misura di tutte le cose», e come sottomodulo
delle linee parallele alla linea di terra che insieme a quelle convergenti al «punto il lato di un «parallelo», ossia il braccio fiorentino nella sua riduzione proporzionale75.
centrico» formavano i «paralleli» del pavimento, ossia le piastrelle quadrate in scorcio Seguendo il reticolo dei «paralleli» Alberti iniziava a disegnare la pianta degli edifici
prospettico72. La correttezza del disegno era dimostrata se una diagonale attraversava («comincio dai fondamenti») «descrivendo loro latitudine e longitudine in quelli
più quadrati senza spezzarsi73. Solo a questo punto Alberti tracciava la «linea centrica», paralleli», secondo l’equazione tante braccia tanti «paralleli». Per effetto della
ovvero l’orizzonte, («una diritta linea dalle inferiori equidistante […] passando super digradazione prospettica, i «paralleli» più lontani risultavano più vicini all’orizzonte,
‘l centrico punto») che segnava il limite oltre il quale poteva emergere solo ciò che e dunque l’altezza dell’uomo risultava progressivamente diminuita (fig. 50): «Veggiamo
superava l’altezza di tre braccia. ne’ temp[l]i i capi degli uomini quasi tutti ad una quantità, ma i piedi de’ più lontani
Il disegno del pavimento prospettico apparteneva a quella parte della pittura che quasi corrispondere ad i ginocchi de’ più presso»76. Quest’uomo diminuito rappresentava

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50 Pisanello, Studio
di prospettiva, sec. XV.
Parigi, Musée du Louvre,
50 51 Départment des Arts 52
graphiques, inv. 2520.

51 Confronto tra il metodo


descritto nei Ludi rerum
mathematicarum per misurare
l’altezza di una torre e quello
descritto nel De pictura
per disegnare in prospettiva
l’altezza apparente degli
oggetti (dis. dell’autore).

52 Masaccio, Resurrezione
del figlio di Teofilo e san
Pietro in cattedra, 1425-27,
particolare dell’autoritratto
del pittore con Masolino (?),
Brunelleschi e Alberti (?).
Firenze, Santa Maria del
Carmine, cappella Brancacci.

in ogni punto del piano scorciato il modulo che misurava l’altezza degli edifici: «tu in prospettiva: disegnava cioè un cerchio all’interno di un reticolo ortogonale e,
adunque volendo el parete tuo essere braccia dodici, tre volte tanto andrai su in alto seguendo l’andamento della circonferenza nei vari «paralleli», ne trascriveva la forma
[oltre l’orizzonte] quanto sia dalla centrica linea persino a quel luogo del pavimento»77. all’interno del reticolo prospettico. Un altro procedimento consisteva nel proiettare
Qui Alberti sembra adottare un procedimento da misuratore di cui renderà conto nei l’ombra di un disco, facendo però attenzione a collocare «il corpo quale facesse ombra
successivi Ludi rerum mathematicarum (fig. 51). Per misurare l’altezza di una torre, […] con sua ragione in suo luogo»80. Più veloce e preciso sarebbe stato il metodo delle
si legge nei Ludi, il misuratore doveva piantare «uno dardo in terra» in modo che tangenti utilizzato da Masaccio, ma forse questo rimase tra i segreti del mestiere del
fungesse da intersezione dei raggi visivi. Rivolto lo sguardo alla sommità della torre, grande pittore valdarnese.
«lì dove il vedere vostro batte nel dardo, fatevi porre un poco di cera per segno». Un L’ultima parte della pittura era il «ricevere de’ lumi» che dava corpo alle superfici.
secondo segno veniva posto in corrispondenza della posizione apparente della base, Da questa dipendevano il colore e il rilievo: «io, coi dotti e non dotti, loderò quelli
e un terzo segno in corrispondenza di un punto intermedio di cui era nota l’altezza visi quali come scolpiti parranno uscire fuori della tavola»81. Qui la geometria lasciava
da terra: «Dico che quante volte entra la parte del dardo» sotto il segno intermedio il posto all’osservazione diretta della natura («questo assai da te comprenderai dalla
«in quell’altra» posta sopra, «tante volte quella parte bassa della torre nota a voi natura») mediata talvolta, per giudicare gli errori, dall’uso dello specchio: «E saratti
entra in quella di sopra ignota prima a voi»78. a ciò conoscere buono giudice lo specchio, né so come le cose ben dipinte molto
Il «modo optimo» albertiano presupponeva una matrice spaziale cubica in modo abbino nello specchio grazia: cosa meravigliosa come ogni vizio della pittura si
che, conosciuta una parte, si poteva conoscere il tutto «per comparazione»79. Le manifesti difforme nello specchio. Adunque le cose prese dalla natura si emendino
architetture di Brunelleschi offrivano in quegli anni un’efficace visualizzazione di collo specchio»82. Le tre parti della pittura esprimevano l’ideale di un pittore «dotto
questo concetto spaziale ed è probabile che i procedimenti di Alberti riflettano in […] in tutte l’arti liberali» che soprattutto «sappi geometria»83 e sappia «perficere
parte quanto si andava sperimentando nelle botteghe fiorentine. Dalle pagine del l’arte […] con diligenza, assiduitate e studio»84. Alberti era consapevole delle difficoltà
De pictura non emergono elementi che indichino l’esistenza di un procedimento più insite nel suo discorso, sia «per la novità della matera» sia per il linguaggio poco
laborioso come quello solitamente attribuito a Brunelleschi. La costruzione in pianta «ornato» che fu costretto ad adottare per «essere inteso» dai pittori. E per questo
e alzato, la cosiddetta «costruzione legittima», sarà descritta per la prima volta da sforzo chiese garbatamente di essere omaggiato: «solo questo domando in premio
Piero della Francesca e potrebbe essere un’elaborazione successiva alle ricerche delle mie fatiche, che nelle sue istorie [i pittori] dipingano il mio viso, acciò dimostrino
fiorentine guidate da Brunelleschi. Alberti, Paolo Uccello e Filarete – per basarci sui sé essere grati e me essere stato studioso dell’arte»85. Nei suoi pensieri c’era forse
documenti noti – operavano quasi esclusivamente sul quadro, senza costruzioni la bella serie di ritratti che Masaccio dipinse nelle storie del Carmine (fig. 52),
ausiliarie, se non quella necessaria al disegno della griglia modulare «comminuta». omaggiando l’amico Brunelleschi, se stesso e il maestro Masolino. Nonostante
Anche per il disegno dei cerchi, che Piero della Francesca spiegherà attraverso la l’incertezza delle date, alcuni studiosi ritengono che nel gruppo vi sia ritratto anche
costruzione in pianta e alzato, Alberti adottava il procedimento dei «paralleli» diminuiti l’Alberti.

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53
53 A. Averlino detto
il Filarete, Trattato
di architettura, ca. 1461, lib.
XXIII, costruzione prospettica
Le premesse ottiche: Lorenzo Ghiberti di un pavimento a scacchiera.
Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, Magl. II.I.140.

La lezione di Alberti fu presto recepita e trasmessa proprio dai pittori. Antonio Averlino, ancora facevano molte volte vedere el di sotto e ‘l di sopra della cosa a un tratto»90.
detto il Filarete, ne offre l’esempio più significativo. I libri ventiduesimo e ventitreesimo La costruzione prospettica del Filarete era analoga a quella adottata da Paolo Uccello
del suo Trattato di architettura sono una sintesi rispettivamente degli Elementa picturae nella Natività di San Martino alla Scala (fig. 46). In entrambi i casi vediamo un punto
e del De pictura86. Vi si trovano i termini albertiani («scorza», «lembo», «costure», centrale e una distanza pari alla distanza del «punto centrico» dal bordo del quadro. I
«discrimen»), la descrizione delle aree «comminute e proporzionali e centriche», il due artisti venivano entrambi dalla bottega di Lorenzo Ghiberti che nelle formelle della
modo di disegnare correttamente un’area «comminuta», ossia «per via di scorcio», porta del Paradiso sembra aver adottato lo stesso procedimento. Il pavimento delle Storie
la distinzione dei raggi visivi in «intrinsichi», «distrinsichi» e «centrico», e la loro funzione di Isacco e Giacobbe risulta costruito con l’ausilio di tre punti, uno centrale e due laterali
di «misurare coll’occhio quello che vedi». Come Alberti, Filarete immaginava «astare posti sui bordi della formella (fig. 54)91. Rispetto allo schema di Paolo Uccello, dove le
a una certa finestra, e per quella vedere tutte quelle cose» che si abbracciano coi raggi parallele passano solo all’intersezione delle diagonali con le ortogonali al quadro, lo
visivi. L’altezza dell’uomo («tre braccia») era la «misura» fondamentale e la sua terza schema di Ghiberti mostra anche le parallele passanti per le intersezioni delle sole diagonali.
parte, il braccio, era il modulo che divideva la linea di terra in parti uguali. La sua Il numero delle piastrelle risulta perciò raddoppiato, ed è come se il pavimento sia stato
costruzione si differenziava da quella albertiana solo nella determinazione delle parallele costruito con un punto di vista situato a una distanza doppia, pari al lato della formella.
al quadro (fig. 53). Filarete operava sullo stesso foglio, utilizzando il bordo del quadro Nei bassorilievi senesi di Donatello notiamo lo stesso accorgimento che potremmo
come piano di sezione dei raggi visivi. Da lì cominciava a misurare la distanza dell’occhio immaginare come un collaudato sistema per usare un’adeguata distanza di osservazione
dove poneva «uno segno, alto da terra tre di queste braccia». Con un filo o una riga senza uscire dai limiti del quadro (fig. 55). Ricordiamo che anche la tavoletta brunelleschiana
univa poi il punto dell’occhio con le divisioni «nella linea della tua finestra» e segnava del battistero risultava costruita con una distanza di osservazione pari alla larghezza del
sul bordo del quadro le intersezioni che determinavano la posizione delle parallele. dipinto e forse questo rapporto di 1:1 fu assunto come una sorta di regola.
Disegnava infine le linee convergenti al punto «centrico» in modo da completare il Ghiberti era uno scultore raffinato che aspirava a impersonare il ruolo dell’artista
disegno del pavimento diviso in «parelli, cioè quadretti d’uno braccio l’uno»87. Avendo “dotto” auspicato dall’Alberti. I Commentarii, che compose in età avanzata, tra il 1448
stabilito una distanza uguale all’intervallo tra il punto di fuga e il bordo del quadro, e il 1454, trasmettono proprio questo messaggio, rivelando il desiderio dell’autore di
Filarete sottolineava graficamente la specularità tra punto di distanza e punto di fuga. presentarsi al tempo stesso come artista, storico, critico e teorico delle arti. L’opera è stata
Il punto centrico era infatti considerato «a similitudine del tuo occhio, e queste linee suddivisa dalla critica in tre sezioni, o “commentari”, dedicate rispettivamente all’arte
[le ortogonali] sono i razzi del tuo occhio, cioè i razzi visivi antedetti» riflessi nella antica, all’arte moderna e alle “scienze” dell’arte, vale a dire la perspectiva, l’anatomia
pittura88. Il quadro poteva essere indifferentemente considerato una finestra o uno e le proporzioni92. La perspectiva di cui si tratta, tuttavia, è quella dei filosofi medievali,
specchio e l’esperienza brunelleschiana, citata per ben due volte, ne costituiva un’efficace ossia la scienza della visione in senso stretto, e non la tecnica di rappresentazione sviluppata
riprova. Per chiarire ulteriormente il concetto di intersezione, sia essa un piano trasparente dagli artisti. Ma l’opera rimase incompiuta. Sappiamo che Ghiberti intendeva scrivere
o una superficie riflettente, Filarete suggeriva un modo di misurare la diminuzione anche di architettura, con particolare riferimento alla cupola di Santa Maria del Fiore
prospettica tipico dei misuratori: «Togli una riga, e mettitela dinanzi, e guarda dove nella cui costruzione «fummo concorrenti, Filippo et io, anni diciotto a uno medesimo
taglia la riga la estrima parte della tavola, cioè da capo e da piè; e tanto quanto in salario, tanto noi conducemmo detta tribuna. Faremo uno trattato d’architettura e
quella riga ti si dimostra essere tagliata da questa tavola, tanto in disegno si può tratteremo d’essa materia»93. Possiamo quindi presumere che lo svolgimento del pensiero
fare larga»89. Secondo Filarete il metodo descritto era una conquista moderna. Gli teorico sulla perspectiva sarebbe approdato anche a quella «Teorica del disegno» che
antichi non lo conobbero e i maestri del Trecento, se l’avessero conosciuto, «sarebbono Ghiberti nomina tra le arti liberali del pittore in apertura del Commentario I. L’esordio
stati molto migliori»; essi infatti dipingevano «quasi maggiori le figure che le case; e di questo primo commentario è una lunga parafrasi del De architectura di Vitruvio dove

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54 55 56
54 L. Ghiberti, Storie
di Isacco e Giacobbe e Storie
di Giuseppe, post 1425.
Firenze, battistero di San
Giovanni, porta del Paradiso.

55 Donatello, Il banchetto
di Erode, 1423-27.
Siena, battistero.

56 L. Ghiberti,
I Commentarii, ms., ca. 1450,
c. 49, schema geometrico
della visione. Firenze,
Biblioteca Nazionale Centrale,
II.I.333, già Magl. XVII.33.

Ghiberti sostituì la figura dell’architetto con quelle dello scultore e del pittore: «Conviene lunga esposizione della fisiologia dell’occhio e della geometria della visione secondo i
che llo scultore, etiamdio el pictore, sia ammaestrato in tutte queste arti liberali: Grammatica, precetti dei perspectivi medievali. Le sue fonti, spesso esplicitamente citate, erano Vitruvio,
Geometria, Phylosophia, Medicina, Astrologia, Prospectiva, Istorico, Notomia, Teorica Alhazen, Avicenna, Averroè, Bacone, Peckham e Vitellione. L’intero Commentario III si
disegno, Arismetrica. L’iscultura e pictura è scientia di più discipline e di varii ammaestramenti presenta come una compilazione di testi tanto che già Giorgio Vasari ebbe a segnalarlo
ornata […] Bisogna sia di grande ingegnio […] perito nella scrittura, e ammaestrato di come un libro «fatto da altri»98. Alcuni passi furono trascritti in latino, mentre la maggior
geometria […] docto in prospectiva, et ancora sia perfectissimo disegnatore […] il disegno parte furono tradotti in volgare. È stato dimostrato che, per il De aspectibus di Alhazen,
è il fondamento e teorica di queste due arti. Conviene sia molto perito in detta teorica»94. Ghiberti si servì del volgarizzamento redatto alla fine del XIV secolo99. In altri casi si servì
Queste qualità Ghiberti le riconosceva ad esempio in Ambrogio Lorenzetti che «fu presumibilmente di un traduttore. Dal numero delle citazioni si direbbe che l’Opus majus
perfectissimo maestro, huomo di grande ingegno. Fu nobilissimo disegnatore, fu molto di Ruggero Bacone sia stato il libro maggiormente tenuto in considerazione. Ghiberti lo
perito nella teorica di detta arte»95. Di se stesso scrisse di essersi impegnato fin da giovane tenne costantemente aperto sul proprio leggio fin dall’inizio del Commentario III. Da
nello studio della natura, «come le spetie venghino all’occhio e quanto la virtù visiva à quell’opera trasse l’intera descrizione dell’occhio secondo le dottrine di Avicenna, Alhazen
opera e come [le linee] visuali vanno et in che modo la teorica dell’arte statuaria e della e Costantino Africano, la teoria della «moltiplicazione delle specie», le leggi sulla riflessione
pittura si dovesse condurre»96. Queste conoscenze guidarono la sua mano soprattutto negli specchi (fig. 56). Dalla Perspectiva communis di John Peckham estrasse lunghi passi
nel modellare le formelle della terza porta del battistero dove, spiega, «cercai d’imitare sulla «piramide radiosa» e sul comportamento dei raggi visivi. Mentre da Alhazen prese
la natura quanto a me fosse possibile […] Furono istorie dieci tutte in casamenti, colla il concetto della visione “certificata”, l’esperimento delle pareti forate, quello della visione
ragione che l’occhio gli misura e veri in modo tale, stando remoti, da essi appariscono binoculare, e le leggi della rifrazione100.
rilevati. Anno pochissimo rilievo et in su e piani si veggono le figure che sono propinque Lo sforzo compiuto da Ghiberti è lodevole e significativo. La raccolta di excerpta delle
apparire maggiori e lle remote minori, come adimostra il vero. E ò seguito tutta questa auctoritates in materia prospettica aveva lo scopo di fornire un compendio della scienza
opera con dette misure», ossia con le misure dell’occhio97. ottica da porre al servizio degli artisti. I passi furono scelti con senso critico in base a un
disegno complessivo che richiese certamente uno studio preliminare e una comprensione
Il Commentario III profonda degli argomenti esposti. È probabile che Ghiberti abbia voluto fornire agli
Le Storie di Giuseppe e le Storie di Isacco e Giacobbe sono databili al 1435. L’architettura artisti ciò che Alberti «per brevità» decise di omettere, cioè le implicazioni ottiche e le
prospettica è dominante rispetto alle altre formelle e potrebbe tradire il fascino della dimostrazioni geometriche del metodo di rappresentazione. Anche Filarete aveva scelto
presenza di Alberti che proprio in quell’anno redigeva la versione latina del De pictura. di omettere le eventuali spiegazioni ottiche, con la motivazione che «sono cose filosofiche,
Il fatto che molti capolavori prospettici coincidano in termini cronologici con la stesura non troppo al nostro proposito» necessarie, «sì che lasceremole a’ filosofi dire»101. Per
del De pictura può far pensare a un rinnovato entusiasmo per il metodo di Ghiberti, invece, spiegando «come le spetie venghino all’occhio», sarebbe risultata più
rappresentazione. Nella formella per il battistero senese modellata nel 1427 (San Giovanni chiara la ragione per cui il «punto centrico» doveva essere considerato, come scrisse
al cospetto di Erode), Ghiberti era ancora legato ai modi approssimativi, sebbene efficaci, Filarete, «a similitudine del tuo occhio» e le linee convergenti come «i razzi visivi»102.
della tradizione trecentesca. Nelle Storie di Isacco e Giacobbe, invece, l’impostazione è Anche la sezione “anatomica” rientrerebbe in questa logica. Prima di stabilire che
chiaramente albertiana: il pavimento è una griglia modulare che ordina la posizione il braccio era il modulo che misurava tutte le cose, secondo la regola albertiana, Ghiberti
delle figure e degli edifici, e l’altezza delle figure in primo piano è uguale alla lunghezza potrebbe aver sentito l’esigenza di spiegare l’origine del sistema proporzionale. Tornò
di tre riquadri del pavimento. Nell’esporre le «ragioni dell’occhio», tuttavia, Ghiberti non quindi ad aprire il trattato di Vitruvio per intraprendere una dettagliata descrizione delle
seguì la strada albertiana. Pur ripromettendosi di «scrivere poco», l’autore affrontò una proporzioni del corpo umano. Alcuni passi in latino li estrasse dagli scritti anatomici di

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Avicenna e Averroè, ma per il resto l’autorità era Vitruvio, anche nel caso della breve Le regole del disegno: Piero della Francesca
digressione, o forse anticipazione, sulla pittura prospettica che presumibilmente doveva
essere l’argomento conclusivo del Commentario III o il tema unico di un successivo volume:
«Adunque, tali entramenti d’essi, le quali ragioni al proposito mio ò pensato prepara[r]ti,
di poi, come incominciai a trapassare. Imperò per [primo] Aghatarco in Atene, [Aeschylus]
ammaestrante, fece tragedie alla scena, [d’] esse commentario lasciò. Però Monisti e
Democrito et Anaxagora di quello medesimo scrissono […] ove Aghatarco aveva
fermo l’ochio, in detta opera rendevano le linee, come rende naturalmente la virtù visiva
[…] mostrando di quanto valore è detta arte e di quanta maraviglia essa inganna la
natura humana, chi con diligentia cerca l’arte della pittura farà le medesime che furono
picte per Aghatarco e Monisti e Democrito et Anaxagora phylo[sopho] delle symetrie»103.
Diversamente da Alberti che vantava la novità della disciplina prospettica («da niuno Testimone dei fermenti umanistici e delle novità artistiche fiorentine degli anni trenta
che io sappia descritta materia»), Ghiberti riconobbe in Agatarco, Democrito e Anassagora e quaranta, Piero della Francesca fu anche il primo protagonista non fiorentino della
le perdute auctoritates di quell’arte che gli artisti fiorentini avevano entusiasticamente storia prospettica rinascimentale; la sua presenza a Firenze si registra proprio nell’anno
riscoperto. Nel Commentario I si dice che in tale arte eccelse Apelle, il quale «misurava del concilio, quando lavorò con Domenico Veneziano ai perduti affreschi del coro di
l’opere sue come la natura, allato alla virtù visiva» e vinse Protogene in una gara di Sant’Egidio in Santa Maria Nuova110. Piero fu il primo a scrivere veramente per gli artisti.
«prospettiva appartenente all’arte della pictura»104. L’ammirazione del Ghiberti per i Il trattato De prospectiva pingendi, scritto in età matura (prima del 1482), è un vero
maestri dell’arte greca, la cui opera gli era nota attraverso Plinio e i capolavori ammirati manuale del disegno prospettico. Mentre Alberti si era preoccupato di gettare i
a Roma, è forse espressione di un sentimento umanistico che in quegli anni stava portando fondamenti teorici della nuova disciplina pittorica – concedendo solo pochi paragrafi
verso l’ideale identificazione di Firenze come una nuova Atene. Vi furono almeno due alla pratica del disegno – e Ghiberti aveva voluto riassumerne le premesse ottiche,
importanti occasioni che sancirono l’incontro con la cultura greca. La prima risale agli volgarizzando gli scritti dei filosofi perspectivi, Piero si concentrò decisamente sulle
anni della giovinezza di Ghiberti, quando si inaugurò l’insegnamento del greco nello regole del disegno. A differenza di Alberti che compose un testo privo di illustrazioni,
Studio fiorentino (1397). L’occasione ebbe uno straordinario “effetto collaterale” nella nella convinzione umanistica di poter spiegare tutto attraverso la scrittura, Piero corredò
riscoperta della Geografia di Claudio Tolomeo, un testo che in Occidente si credeva ampiamente il trattato di numerosi disegni, estremamente precisi, puliti e di straordinaria
perduto e che era invece sopravvissuto attraverso un codice greco portato a Firenze finezza (fig. 57). Il segno sottilissimo assume connotati euclidei («la linea dicono [i
proprio in quella occasione dal dotto bizantino chiamato a ricoprire la nuova cattedra geumetri] avere lunghezza senza latitudine») ma richiama anche la mitica abilità di
universitaria, Emanuele Crisolora105. Lo studio di quel testo dette un impulso significativo Apelle, ricordata anche da Ghiberti e Filarete, che secondo Plinio era in grado di tracciare
alla ripresa delle ricerche geografiche e cartografiche. Nel Commentario II, Ghiberti linee tanto sottili da non poterne immaginare di più esili111.
ricorda una «cosmogrofia» dipinta da Ambrogio Lorenzetti nel palazzo Comunale di Il soggiorno fiorentino fu certamente di grande stimolo per gli interessi prospettici
Siena, precisando che siccome «non c’era allora notitia della Cosmogrofia di Tolomeo, di Piero. Il suo compagno era un abile disegnatore e colorista che dominava alla perfezione
non è da meraviglare se lla sua non è perfetta»106. La seconda occasione fu il concilio del i problemi del linguaggio prospettico. La Pala di santa Lucia de’ Magnoli, dipinta verso
1439 che aveva portato a Firenze molti dotti bizantini al seguito dell’imperatore d’Oriente il 1444, ne rivela le doti di virtuoso del disegno (fig. 58); il pavimento a esagoni stellati
Giovanni VIII Palelologo. Tra questi vi erano Giorgio Gemisto Pletone e il cardinal Bessarione è un vero tour de force, magnificamente riuscito, che presuppone un procedimento
che, rimasti a Firenze dopo la fine del concilio, contribuirono a fondare e dirigere costruttivo diverso da quello dei «paralleli» albertiani112. Piero ebbe modo di studiare
l’Accademia Platonica. Ghiberti asseriva orgogliosamente di essere stato educato secondo da vicino i capolavori prospettici dei maestri fiorentini ma soprattutto ebbe modo di
«la legge delli Atheniensi» che usavano ammaestrare i propri figli, fin da tenera età, studiare il De pictura e forse di incontrare lo stesso Alberti. Il trattato di Piero, tuttavia,
all’arte e alle lettere107. Secondo Ghiberti, furono molti «gl’antichi et egregii statuarii ha un taglio originale che riflette la cultura delle botteghe più che l’insegnamento
et pictori» che «fecerono comentarii et infiniti vilumi di libri, i quali dieron grandissimo albertiano. Dal De pictura sembra derivare solo la triplice divisione dell’arte pittorica in
lume a quelli che vennero poi, ridusseron l’arte con quella misura che porge la natura»108. «disegno, commensurare et colorare» che corrisponde a ciò che Alberti aveva chiamato,
I suoi Commentarii erano concepiti come uno di questi libri: «E così le occulte nominationi rispettivamente, «circoscrizione», «composizione», e «ricezione de’ lumi»113. Il resto è
e le misure dell’arte, accioché si dia alla memoria, brievemente esporrò»109. E la logica frutto di una lunga pratica che il pittore altotiberino codificò attraverso regole e
conclusione doveva essere proprio quella «prospettiva appartenente all’arte della pictura» dimostrazioni legittimate da ponderati richiami all’Ottica e agli Elementi di Euclide.
di cui la critica ha sempre lamentato l’incomprensibile assenza, attribuendo a Ghiberti Secondo un’opinione generalmente condivisa dagli studiosi, il trattato fu composto
la presunzione di volersi tacitamente schierare tra i phylosophi perspectivi. per Federico da Montefeltro verso il 1475. L’occasione non è chiara ma il fatto che

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57 Piero della Francesca, 59 B. e G. da Maiano,
De prospectiva pingendi, Annunciazione, tarsia lignea,
ms., ca. 1475, lib. III, teor. VII, 1463-65. Firenze, Santa
c. 51r, proiezione ortogonale Maria del Fiore, sacrestia
di un capitello composito. delle Messe.
Parma, Biblioteca Palatina,
Cod. Parmense 1576. 60 B. e G. da Maiano,
finti armadi, tarsia lignea,
58 D. Veneziano, Pala 1474-76. Urbino, palazzo
di santa Lucia de’ Magnoli, Ducale, studiolo di Federico
ca. 1444. Firenze, Galleria da Montefeltro.
degli Uffizi, inv. 1890, n. 884.

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proprio in quegli anni, tra il 1474 e il 1476, a Firenze si eseguivano i pannelli intarsiati
del celebre studiolo di Urbino, lascia spazio a qualche considerazione. Tra i capolavori
fiorentini ammirati da Piero nel 1439 vi erano certamente anche le tarsie prospettiche
della sacrestia delle Messe di Santa Maria del Fiore, la cui decorazione fu completata
tra il 1463 e il 1465 dalla bottega di Giuliano e Benedetto da Maiano (fig. 59)114. Secondo
un elenco redatto da Benedetto Dei, la bottega dei Da Maiano era una delle «84 botteghe
di lignaiolo di tarsia» allora attive a Firenze115, certamente la migliore se proprio a questi
artisti il duca di Urbino decise di commissionare la decorazione lignea del proprio studiolo
(fig. 60). Il fatto che gli intarsiatori venissero comunemente chiamati «maestri di
prospettiva» denotava una specializzazione che faceva della tarsia un’arte non più
soltanto meccanica. Non è da escludere quindi che la curiosità umanistica di Federico
da Montefeltro si sia rivolta anche ai “segreti” di quell’arte che faceva del suo studiolo
uno dei massimi capolavori del Rinascimento. Piero della Francesca era attivo alla corte
di Urbino ormai da tempo, conosceva bene gli ambienti artistici fiorentini, era un
eccellente prospettico di cui la famosa Flagellazione (ca. 1460) rendeva chiara
testimonianza (fig. 61), era un competente geometra e matematico, possedeva insomma
60
i requisiti necessari per esaudire un tale desiderio. E non a caso il De prospectiva pingendi
– forse la copia latina redatta da Matteo dal Borgo con le iniziali miniate – andò ad
arricchire la preziosa libreria del duca di Urbino116. Più tardi Piero avrebbe presentato
al duca Guidobaldo, figlio di Federico, un’altra opera in latino, il Libellus de quinque
corporibus regularibus, chiedendo espressamente che venisse conservata nella libreria
ducale accanto al trattato di prospettiva117.

Il primo «modo»
Il trattato è scritto in un linguaggio secco e sintetico che entra nel merito del problema
fin dall’incipit del primo libro: «La pictura contiene in sé tre parti principali […] De le
quali tre parti intendo tracta[re] solo de la commensuratione, quale diciamo prospectiva».
Quest’ultima si divideva a sua volta in cinque parti: l’occhio, l’oggetto, la distanza tra
l’occhio e l’oggetto, i raggi visivi e l’intersezione, ovvero «uno termine nel quale l’occhio
descrive co’ suoi raggi le cose proporzionalmente et posse in quello giudicare la loro
mesura»118. La funzione dell’intersezione spiega il termine commensuratione come
sinonimo di prospectiva: «se non ci fusse termine non se poria intendere quanto le cose
degradassero, sì che non se poriano dimonstrare». Dei cinque termini, quattro

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61 Piero della Francesca,
La flagellazione di Cristo,
1455-60. Urbino, palazzo
Ducale, Galleria Nazionale
delle Marche. pari alla metà del lato del quadro, e il bordo del quadro preso come linea di intersezione.
Il passo successivo per suddividere il piano scorciato in piccoli riquadri segue però un
procedimento nuovo, forse ispirato dagli accenni albertiani alla trasformazione di
un’area «concentrica» in area «comminuta» di cui si legge negli Elementa picturae.
Piero divideva la linea di terra in parti uguali e univa le divisioni al punto di fuga
centrale, tracciando le linee solo entro i limiti del piano scorciato (I, XIV). Per disegnare
le rette parallele alla linea di terra secondo la «proporzione degradata», ricorreva a
un disegno in proiezione ortogonale che collocava subito sotto la linea di terra (I, XV).
Disegnava cioè la pianta «in propia forma» del piano da scorciare (fig. 65), la suddivideva
in tanti riquadri quante erano le divisioni sulla linea di terra, e tracciava una diagonale.
Poi tracciava una diagonale anche dentro il piano scorciato e, dove questa linea
appartenevano alla tradizione ottica euclidea e medievale, mentre l’ultimo derivava intersecava le rette convergenti al punto di fuga, tracciava le rette parallele: «se la
dalle tecniche dei misuratori. L’invenzione rinascimentale stava sostanzialmente nell’aver diagonale del quadrato in propria forma devide le parti in proportione, così dirò che
elaborato il concetto geometrico di intersezione, ricavandolo dalla misura delle grandezze devida la superficie quadrata degradata in proporzione degradata». Piero era
e applicandolo alla loro rappresentazione. «Questa scienza», spiega Piero quasi con perfettamente consapevole del fatto che, pur cambiando forma nella riduzione
le stesse parole di Ghiberti, è una «particella de prospectiva apartinente alla pictura»119. prospettica, le figure non perdevano le loro proprietà geometriche. Come si dimostra
Come già Alberti, Piero fu costretto a modificare le definizioni euclidee di punto, nelle successive proposizioni, il procedimento poteva essere utilizzato per disegnare
linea e superficie, adeguandole alle necessità del pittore che si occupava solo di ciò che qualsiasi figura (fig. 66). Tracciato un pentagono nel piano in vera forma, ad esempio
si vede. Il punto dunque era «una cosa tanto piccolina quanto è possibile ad ochio (I, XX), e tracciata la diagonale anche nel piano scorciato, un qualsiasi vertice del
comprendere», un segno piccolissimo ma sempre abbastanza grande da poter essere pentagono veniva proiettato sul piano scorciato attraverso una serie di passaggi: lo si
compreso entro un dato angolo120. Quasi subito compare la spiegazione del principio proiettava verticalmente sulla linea di terra e da lì si tracciava una linea convergente
di intersezione, illustrata da un grafico che richiama chiaramente un antico metodo per al punto di fuga (il vertice doveva trovarsi su quella linea); lo si proiettava poi
misurare l’altezza di una torre (fig. 62). Una linea verticale posta tra l’occhio e l’oggetto orizzontalmente fino alla diagonale e da lì alla linea di terra da dove si tracciava una
indica l’intersezione dei raggi visivi «che deviderà sé e quelle due [linee dei raggi] in seconda linea in fuga; dove quest’ultima incontrava la diagonale in prospettiva si
una medesima proporzione»121. Lo schema rimanda alla teoria dei triangoli simili illustrata tracciava una retta orizzontale che all’intersezione con la prima linea in fuga indicava
nella «21a del xesto de Euclide», secondo la quale «sopra a la recta linea data in più la posizione del vertice sul piano scorciato. Benché laborioso, il procedimento consentiva
parti devisa, se un’altra linea equidistante a quella se mena et da le divisioni de la prima di controllare alla perfezione il disegno degli edifici che nelle composizioni prospettiche
se tira le linee che terminino ad un puncto, devidaranno la equidistante in una proportione era di fondamentale importanza (I, XXVIII-XXIX).
che è la linea data»122. Lo schema è ripreso subito dopo per insegnare a costruire la Fino a qui Piero non disegna né nomina la linea d’orizzonte della quale in effetti
prospettiva sul quadro-intersezione (fig. 63): «Da l’ochio dato nel termine posto il piano non aveva bisogno. Nella proposizione XXIII, invece, questa linea e la distanza dell’occhio
asignato degradare» (I, XII). Il «termine posto», stabilita «la distantia da l’ochio al muro diventano elementi fondamentali per risolvere il disegno di una lunga strada del tipo
o taula», era il quadro dove le cose si rappresentavano secondo le leggi proporzionali rappresentato nella parte destra della Flagellazione. Piero propone di suddividere lo
illustrate nella «10a de Euclide de aspectuum diversitate», cioè nella decima proposizione spazio in figure quadrate che abbiano per lato la larghezza della strada stessa (fig. 67).
dell’Ottica123. Questo grafico è ripetuto in quello successivo (fig. 64) che mostra tre disegni A partire dal punto di fuga A, traccia quindi «la linea equidistante .BC., ossia la linea
in una stessa rappresentazione (I, XIII): la piramide visiva vista di profilo (ABC), la stessa dell’orizzonte, de la quantità che o posto il termine a l’ochio dato, e qui fermarò il punto
vista in pianta (ADC), e il quadro visto frontalmente (BCDF). La sovrapposizione dei tre .O.», vale a dire il punto di distanza. Tracciata da O una linea all’estremità opposta
disegni rendeva immediata la comprensione della relazione tra le parti: l’occhio A in del piano scorciato sulla linea di terra, questa interseca il lato BA a una quota
pianta (decentrato) e in profilo corrisponde al punto di fuga A sul quadro; l’altezza del corrispondente al lato del quadrato. Questo avviene «perché la linea se parte dall’occhio
punto più lontano del piano da scorciare sull’intersezione di profilo (BE) corrisponde .O.». È inesatto solo quando dice che il punto «.C. se rapresenta a l’occhio levato più
sul quadro all’altezza della linea orizzontale (DE); la lunghezza apparente del lato che .B. la quantità de .BL., commo per la .12a. fu provato». Nel teorema XII l’altezza
più lontano del piano da scorciare (CD), presa sull’intersezione in pianta (EH), corrisponde apparente del punto più lontano rispetto a quello più vicino è presa giustamente sulla
sul quadro alla lunghezza della linea DE; e, infine, il piano quadrato in vera forma (BCDF) linea d’intersezione; ma nel teorema XXIII il lato in scorcio non è la linea di intersezione
corrisponde sul quadro al piano scorciato BCDE124. Fin qui sembrerebbe di riconoscere e, benché la costruzione sia giusta, la quantità BL non equivale alla quantità BE del
un procedimento analogo a quello del Filarete, che mostrava una distanza di osservazione teorema XII; si potrebbe forse ravvisare in questa “confusione” tra raggio visivo e

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diagonale convergente al punto di distanza l’origine dei successivi errori perpetuati da La «forza de le linee» si coglie in modo stupefacente nelle tavole che seguono, dove
Albrecht Dürer e Sebastiano Serlio125. Piero dimostra la costruzione prospettica di corpi complessi, come il mazzocchio o
Sebbene applicata a un caso particolare, questa è la prima descrizione della costruzione «torculo», il capitello corinzio, la testa umana, la volta emisferica a cassettoni e due
con punto di distanza. La scelta della distanza di osservazione era decisiva per il buon esempi di illusionismo ottico che anticipano gli sviluppi dell’anamorfosi. La complessità
risultato dell’opera. Una distanza troppo ravvicinata provocava forti aberrazioni marginali di questi corpi induce Piero ad adottare un «altro modo nelle loro degradazioni», un
mentre una troppo lontana appiattiva l’effetto di profondità. La distanza ideale per «modo» più facile da seguire e meno laborioso del «modo primo» dove «la gran
Piero era quella che comprendeva un angolo ottico di 60°, e quindi un rapporto, moltitudine di linee» che in quello sono necessarie abbaglierebbe e «l’ochio et l’intellecto».
approssimativamente, di 7:6 tra distanza e larghezza del quadro126. Anche per le altezze In questo secondo «modo» è necessario «sapere ponere in propria forma» gli oggetti
l’artista seguiva un procedimento diverso da quello albertiano, utilizzando un piano da rappresentare, ossia saperli rappresentare preventivamente in pianta e in alzato.
digradato verticale, a margine di quello orizzontale, dove le altezze diminuivano a Disegnato l’oggetto in doppia proiezione ortogonale (III, I), Piero stabilisce la posizione
partire da una misura reale presa sul bordo del quadro. Le altezze venivano quindi dell’occhio e quella del quadro tanto in pianta che in alzato (fig. 68). Poi suggerisce una
trasferite sulle verticali tracciate dai punti della pianta127. serie di strumenti per facilitare la misura delle intersezioni: un chiodo da piantare in
luogo dell’occhio, «uno filo di seta sutilissimo, siria bono uno pelo di coda di cavallo»
Il secondo «modo» per simulare i raggi visivi che vanno a toccare i punti dell’oggetto, una riga di legno per
Il terzo libro si apre con una pagina ricca di contenuti concettuali. «Molti dipintori misurare le larghezze, e una «riga de carta» per misurare le altezze129. Le righe sono
biasimano la prospectiva, perché non intendano la forza de le linee et degli angoli, che poste in luogo dell’intersezione, rispettivamente, in pianta e in alzato, in modo da
da essa se producano: con li quali commensuratamene ogni contorno e lineamento si misurare le due coordinate che definiscono la posizione di ogni punto dell’oggetto sul
descrive. Perhò a me pare de dovere mostrare quanto questa scientia sia necessaria alla quadro del pittore. Le larghezze e le altezze vengono quindi riportate, rispettivamente,
pictura. Dico che la prospectiva sona nel nome suo commo dire cose vedute da lungi, alla base e sui bordi del quadro in modo che, tracciando dalle prime linee verticali e
rappresentate socto certi dati termini con proportione, secondo la quantità de le distantie dalle seconde linee orizzontali, si ottengano i punti che descrivono la forma «degradata»
loro, senza de la quale non se po alcuna cosa degradare giustamente. Et perché la dell’oggetto. Questo secondo «modo» di Piero corrisponde al procedimento comunemente
pictura non è se non dimostrationi de superificie et de corpi degradati o accresciuti nel noto come “costruzione legittima”, e solitamente identificato, sulla scorta di Vasari,
termine […] però dico essere necessaria la prospectiva, la quale discerne tutte le quantità come la regola inventata da Brunelleschi.
proporzionalmente commo vera scientia […] Et benché a molti senza prospectiva sia L’adozione di questo procedimento portava come conseguenza alla razionalizzazione
dato laude, è data da quelli che non ano notitia de la virtù de l’arte con falso giudizio»128. del disegno in proiezione ortogonale. Questo tipo di rappresentazione era comunemente

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62 63 64 65
Piero della Francesca,
De prospectiva pingendi, ms.,
ca. 1475, lib. I, teor. V, c. 3r,
il principio dell’intersezione;
lib. I, teor. XII, c. 6r, metodo
dell’intersezione; lib. I,
teor. XIII, c. 6v, costruzione
prospettica di un piano
quadrato; lib. I, teor. XV,
c. 7r, suddivisione di un piano
digradato. Parma, Biblioteca
Palatina, Cod. Parmense 1576.
63

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66 67 68 69
66 67 68 69
Piero della Francesca,
De prospectiva pingendi, ms.,
ca. 1475, lib. I, teor. XX, c. 9v,
costruzione di un pentagono
con il metodo della diagonale;
lib. I, teor. XXIII, c. 10v,
digradazione prospettica di
più quadrati con il punto di
distanza; lib. III, teor. I, c. 32v,
costruzione prospettica con
il metodo dell’intersezione
della piramide visiva in pianta
e alzato; lib. III, teor. VIII,
c. 59v, costruzione prospettica
di una testa umana.
Parma, Biblioteca Palatina,
Cod. Parmense 1576.

utilizzato dagli architetti ma senza necessariamente stabilire una relazione di scala dimostrare sopra de alcuna taula o spazzo, o socto a sularo, alcuno corpo o sopra o
tra le due proiezioni. La necessità di misurare le intersezioni imponeva invece il rispetto sotto a quelli posto […] che ad certo termine paressero commo veri» (fig. 71). Gli esempi
metodico di questo principio: nelle due proiezioni l’oggetto doveva avere «quella descritti sono una «palla» appoggiata su un tavolo (III, X), un «renfrescatoio col piedestallo
medesima grandezza et tutte le parti corrispondenti»130. Il disegno in proiezione ortogonale il quale paresse elevato sopra la dicta taula» (III, XI), e un «anello che pendesse» da
della testa umana vista frontalmente, di profilo, dall’alto e dal basso (III, VIII) è una delle un soffitto (III, XII). Il metodo consisteva nel disegnare l’oggetto in vera forma nelle due
tavole più belle e significative del trattato (fig. 69). Al fine di misurarne la stereometria, proiezioni ortogonali, e nel proiettare i punti che lo descrivono sul piano del dipinto.
la testa doveva essere geometrizzata come un globo terrestre, con meridiani e paralleli In questo caso l’intersezione della piramide visiva si trovava oltre l’oggetto e l’immagine
che ne scandissero puntualmente la superficie. Il disegno così preparato era poi sottoposto che ne risultava era come un’ombra dell’oggetto stesso, tanto più allungata quanto
al lungo processo di «commensuratione» dei punti di intersezione tra gli otto paralleli più lontano era il punto di proiezione. È molto probabile che la proiezione naturale
passanti per la fronte, gli occhi, il naso, le orecchie, la bocca e il mento, e i sedici meridiani delle ombre di corpi esposti al sole o alla luce di una candela abbia guidato l’elaborazione
distribuiti uniformemente attorno alla testa. Ben trentaquattro facciate manoscritte geometrica di questo procedimento che forse era già implicito in uno dei metodi indicati
illustrano punto per punto i numerosi passaggi necessari all’esecuzione del disegno, dall’Alberti per disegnare correttamente la deformazione prospettica di un cerchio:
quasi visualizzando i movimenti della mano in una sequenza interminabile di gesti: «Forse sarebbe più breve corlo all’ombra? Certo sì, dove il corpo quale facesse ombra
«togli la riga», «poni il piè del sexto», «piglia la quantità», «mena il filo», «puncta», fusse in mezzo posto con sua ragione in suo luogo»132.
«scrivi», «segna». Analogo procedimento era necessario per disegnare basi e capitelli,
o la cupola emisferica, oggetti similmente suddivisi in vari paralleli e sedici meridiani. Gli scritti matematici
Vasari ebbe modo di ammirare anche «un vaso in modo tirato a quadri e facce, che si Dal trattato di Piero emergono quindi due regole fondamentali: una più breve,
vede dinanzi, di dietro e dagli lati, il fondo e la bocca: il che è certo cosa stupenda, consistente nell’uso della diagonale per trasformare l’oggetto in vera forma in oggetto
avendo in quello sottilmente tirato ogni minuzia e fatto scortare il girare di tutti quei «degradato», l’altra più laboriosa ma metodicamente più coerente consistente
circoli con molta grazia», una descrizione che ricorda il famoso Calice degli Uffizi la cui nell’intersezione della piramide visiva in pianta e in alzato. Il rigore e la prolissità di
attribuzione, tuttavia, è piuttosto controversa (fig. 70)131. Piero derivavano dal suo essere al tempo stesso artista e matematico. Il suo linguaggio
Gli ultimi due capitoli del trattato introducono un tema nuovo, ossia la deformazione e il suo modo di esporre gli argomenti appartenevano a una cultura matematica che
misurata di un oggetto fatta allo scopo di ingannare l’occhio con una rappresentazione dovette assimilare fin da ragazzo. Come allora si usava ormai diffusamente, la sua
fortemente illusionistica. Nel corso dei due secoli successivi, questa tecnica ebbe sviluppi prima educazione scolastica avvenne in una scuola dell’abbaco133. E le discipline
significativi nel campo del quadraturismo e dell’anamorfosi, ma qui ci interessa non matematiche dovevano essergli particolarmente congeniali se un ricco mercante di
tanto come anticipazione di un genere, quanto come testimonianza di una tecnica Borgo Sansepolcro (un «tale che i preghi suoi me sono commandamenti») pensò di
presumibilmente già in uso fin dagli anni trenta. Piero proponeva infatti di realizzare commissionargli, mentre era già un artista affermato, un libro su «alcune cose de abaco
quell’effetto di emergenza dell’oggetto dalla superficie pittorica che abbiamo già necessarie a’ mercatanti». Il Trattato d’abaco precedette di alcuni anni il De prospectiva
segnalato nell’altare della Trinità di Masaccio, nel candeliere delle tarsie di Antonio pingendi, anticipando i contenuti del Libellus de quinque corporibus regularibus,
Manetti e nel Monumento equestre a Giovanni Acuto: «Acade alle volte de voler l’ultima composizione del “trittico matematico” di Piero della Francesca134. L’opera si

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70 Anonimo, Studio per
un calice, sec. XV. Firenze,
Gabinetto Disegni e Stampe
degli Uffizi, 1758A.

71 Piero della Francesca,


De prospectiva pingendi,
ms., ca. 1475, lib. III,
teor. XI, c. 83v, costruzione
“anamorfica” di un vaso.
Parma, Biblioteca Palatina,
Cod. Parmense 1576.

72 Piero della Francesca,


Libellus de quinque corporibus
regularibus, 1482-92, c. 40v,
icosaedro inscritto in un cubo.
Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana,
Cod. Vat. Urb. Lat. 632.

inseriva nella tradizione inaugurata dal Liber abaci di Leonardo Fibonacci ma si temi del trattato prospettico, come il pozzo, la palla o il calice, erano frequenti nei
distingueva per l’originalità dei contenuti. Non era solo un trattato pratico per la trattati degli altri abbachisti, dove talvolta, in questo periodo storico, la rappresentazione
risoluzione di problemi specifici all’attività mercantile – come le frazioni, la «regola prospettica tendeva a sovrapporsi alla più tradizionale costruzione assonometrica138.
del tre», il baratto, i problemi «di compagnie», la doppia «falsa posizione» – ma era Nel De prospectiva pingendi, Piero trasferì i problemi proporzionali della geometria
anche un lavoro di riflessione teorica di più alte ambizioni. Vi si trovavano risolte euclidea nella pratica della rappresentazione pittorica. Lo schema geometrico della
equazioni di primo e secondo grado, con un tentativo di soluzione per quelle di terzo proposizione XII del primo libro è analogo a quello adottato dagli abbachisti per la
grado che anticipava di vari decenni la conquista algebrica solitamente attribuita a misurazione delle distanze, e la dimostrazione della digradazione prospettica del piano
Niccolò Tartaglia e Girolamo Cardano135. Vi si trovavano discussi alcuni importanti situato oltre l’intersezione è data ovviamente dall’applicazione della «regola del tre»,
problemi geometrici euclidei, come la sezione aurea, necessaria per la costruzione del secondo una nota proposizione ottica euclidea: «per la 10a de Euclide de aspectuum
pentagono, dell’esagono e del decagono, o la costruzione e misura dei corpi regolari diversitate» (fig. 63)139. L’occhio è posto a un’altezza di tre braccia, secondo una
iscritti nella sfera che Piero sviluppò nel successivo Libellus. consuetudine che normalmente si fa risalire al De pictura albertiano ma che è già
L’Abaco fu scritto su commissione («non commo presuntuoso ma per ubbidire»), presente, come abbiamo visto, nel De visu di Grazia de’ Castellani140. L’intersezione, che
mentre il trattato di prospettiva fu redatto di propria iniziativa («commo zelante de la Piero chiamava «termine» – cioè termine dei raggi visivi che lì vengono tagliati – è il
gloria dell’arte e di questa età, commo presuntuoso ho preso ardire scrivere questa luogo geometrico in cui l’occhio «descrive co’ suoi raggi le cose proportionalmente et
particella de prospectiva apartinente alla pictura»), e così il Libellus che doveva posse in quello giudicare la loro mesura» (proemio). La piramide visiva, come per i
accompagnare l’opera prospettica, come testo complementare, sugli scaffali della nobile misuratori, è convenientemente un triangolo sul quale, stabilita un’adeguata distanza,
libreria dei Montefeltro136. Il Libellus fu dedicato al duca Guidobaldo, figlio e successore le grandezze subivano una digradazione apparente, proporzionale alla loro dimensione
di Federico, e fu dunque composto dopo il 1482. La dedicatoria è una parafrasi della reale. Questa «proporzione degradata», rispetto a quella “reale”, «non è dupla commo
prefazione al terzo libro di Vitruvio che Piero aveva già in parte utilizzato in apertura è .2. et .4. et .8., et non è sesquialtera commo .4. .6. .9., né sexquitertia, commo .9. .12.
del terzo libro del trattato di prospettiva, almeno per quanto concerne l’elenco dei .16., né tripla, né quadrupla […] ma è secondo la distantia da l’ochio al termine dove
pittori greci che in entrambe le opere doveva legittimare il forte legame tra pittura e se mecte le cose degradate et la distantia dal termine a la cosa veduta» (I, LXXIII),
matematica sostenuto da Piero attraverso i suoi scritti137. Nel Libellus, Piero riprende il «ma se mutaremo la distantia da l’ochio al termine, se mutarà proporzione». Per questo
tema dei corpi regolari già trattato nella parte geometrica dell’Abaco sviluppandolo in Piero usava il termine commensuratio quale sinonimo di prospectiva, attribuendo alla
quattro parti dedicate, rispettivamente, ai poligoni, ai cinque poliedri inscritti nella scelta consapevole della distanza un ruolo fondamentale nella comprensione della
sfera, ai poliedri inscritti in altri poliedri (fig. 72), e ai poliedri irregolari. Il solido a 72 scienza prospettica: «Per levare via l’erore ad alcuni, che non sono molti periti in questa
basi che apre la quarta parte è una figura particolarmente amata per le sue valenze scienza, quali dicono che molte volte nel devidere loro il piano degradato a bracci, li
architettoniche, come matrice geometrica di una cupola emisferica, e richiama uno vene magiore lo scurto che non fa quello che non è scurto; e questo adiviene per non
degli ultimi esercizi del De prospectiva pingendi. Alcuni soggetti, come la volta a crociera, intendere la distantia che vole essere da l’occhio al termine dove se pongono le cose,
la colonna, l’abside o la cupola, sono presenti sia nel trattato di prospettiva, dove se ne né quanto l’occhio può in sé ampliare l’angolo con li suoi raggi; sì che stanno in dubitatione
richiedeva la rappresentazione, sia nel Libellus, dove se ne richiedeva la misura. Altri la prospectiva non essere vera scientia, giudicando il falso per ignoranza»141.

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Pittura e matematica: l’insegnamento di Luca Pacioli un’enciclopedia del sapere abbachistico che riassume la tradizione medievale facendo
da ponte con gli sviluppi rinascimentali che avrebbero portato alla risoluzione delle
equazioni di terzo grado146. Ma è anche l’opera che più da vicino ci informa circa i
rapporti tra le arti e la cultura matematica rendendo ragione dell’interesse degli artisti
e degli architetti verso le discipline dell’abbaco. Pacioli spiegava che la matematica è
il fondamento di tutte le cose «ché niuna se troverà che sotto numero, peso e mesura
non sia costituita»147. Essa è «necessaria alla Strologia […] al architectura anchora.
Vitruvio in suo volume e Leon Batista degli amberti fiorentino in sua perfetta opera
de architectura, molto demostrano essersi accomodata […e] la perpectiva se ben si
guarda, senza dubio nulla sarebbe se queste [le discipline matematiche] non le si
accomodasse, come a pieno dimostra el Monarcha ali tempi nostri de la pictura Maestro
La frequenza con cui i disegni di Piero appaiono nelle tarsie del Quattrocento, quasi Pietro de li franceschi…»148. Pacioli ricorda molti artisti del suo tempo, pittori, scultori
citati alla lettera, e l’amicizia che legava il pittore altotiberino ai famosi intarsiatori e intarsiatori «li quali sempre con libella e circino loro opere proportionando a perfection
Lorenzo e Cristoforo da Lendinara, lasciano supporre una discreta diffusione dei suoi mirabile conducano» e non manca di sottolineare il fondamentale ruolo della matematica
manoscritti nelle botteghe degli artisti. L’Abaco e il Libellus ci sono noti attraverso nel perfezionamento dell’arte militare. Il trattato di architettura che Pacioli inserì
testimoni unici, ma del trattato di prospettiva conosciamo ben sette codici manoscritti, nel De divina proportione e dedicò ai suoi allievi architetti e lapicidi è una logica
tre volgari e quattro latini, spesso con annotazioni e disegni autografi142. La diffusione estensione della Summa149. Le sezioni geometriche dei trattati d’abbaco servivano
dei due scritti matematici si deve però in larga parte al riadattamento di Luca Pacioli piuttosto alle attività artigianali che non alla pratica della mercatura e vi si potevano
che li pubblicò come opera propria, rispettivamente, nella Summa de arithmetica (1494) distinguere almeno tre tipi di problemi fondamentali: 1) il calcolo delle superfici e dei
e nel De divina proporzione (1509). Nella tradizione abbachistica non è insolito trovare volumi, applicabile in architettura alla stima delle quantità dei materiali, del costo
un utilizzo delle fonti che oggi tenderemmo a definire spregiudicato, e il Pacioli dell’opera e del peso delle strutture; 2) lo studio delle proporzioni numeriche e
probabilmente si servì degli scritti di Piero senza avere alcun sospetto della pesante geometriche, applicabile alla composizione degli edifici; 3) i metodi per misurare
accusa di plagio che gli sarebbe stata rivolta qualche decennio dopo da Giorgio Vasari. con la vista, fondamentali nel rilevamento architettonico e topografico, nell’arte militare
Ricordando Piero come «maestro raro nelle difficoltà dei corpi regolari, e nell’aritmetica e nella rappresentazione misurata della realtà, ossia nella prospettiva.
e geometria», Vasari denunciò il comportamento «empio e maligno» di Luca Pacioli I casi di misurazione connessi all’attività degli scalpellini, degli architetti e degli
che «cercò d’annullare il nome di Piero suo precettore, e usurpar quell’onore che a ingegneri militari perpetuavano dalla tradizione gromatica l’attività dei mensores
colui solo si doveva per se stesso, pubblicando sotto suo nome proprio, cioè di Fra Luca aedificiorum. I problemi di geometria piana erano applicati alla misura dei terreni, alla
dal Borgo, tutte le fatiche di quel buon vecchio»143. Secondo Vasari, alla morte di Piero pavimentazione di una sala, al lastricato di una piazza, al rivestimento di un muro,
gli scritti del maestro entrarono in possesso del suo discepolo che «gli fece stampare al disegno di un arco, al dimensionamento di un tetto con i suoi correnti e il manto di
come suoi». Il Trattato d’abaco, in effetti, lo troviamo nell’ultimo capitolo della Summa copertura, al computo delle superfici di facciata destinate alla decorazione pittorica,
col titolo Particularis tractatus circa corpora regularia et ordinaria e una dedica a fino al calcolo dei perimetri interni ed esterni di torri, fortezze e città. I problemi di
Guidobaldo da Montefeltro. Il Libellus invece è nel De divina proporzione, col titolo stereometria erano invece applicati alla lavorazione delle pietre e delle colonne, al
Libellus in tres partiales tractatus divisus quinque corporum regularium et dependentium. calcolo del loro peso, al dimensionamento dei muri, alla stima dei mattoni necessari
Il riadattamento del Pacioli è un volgarizzamento del Libellus latino di Piero che a sua per costruirli, alla costruzione delle cupole e delle volte, alla stima del costo di un intero
volta è una traduzione, forse di Matteo dal Borgo, del testo originale in volgare non edificio, alla costruzione di pozzi e cisterne, fino alla misura del panno necessario a
pervenutoci. coprire un padiglione; Luca Pacioli calcolò perfino il volume del monumento equestre
Nel De divina proporzione Pacioli annunciò anche di voler pubblicare il trattato di Leonardo a Francesco Sforza150.
prospettico di Piero: «prometto darve piena notitia de perspectiva mediante li documenti I problemi proporzionali occupavano un posto di primo piano nella cultura
del nostro conterraneo e contemporale di tal facoltà ali tempi nostri monarcha Maestro matematica dell’abbaco e si rivelavano di fondamentale importanza per l’architettura
Petro de franceschi de la qual già feci degnissimo compendio, e per noi ben apreso»144. e le arti figurative. Nel Libro di ragioni di Paolo Gherardi (1327) troviamo una soluzione
Di questo compendio non resta nulla, se non gli esercizi che chiudono il Tractatus aritmetica del noto problema della duplicazione del quadrato che nel Menone di
geometriae della Summa de arithmetica, un componimento che risulta essere la copia Platone, nel testo di Vitruvio (IX, I) e nella letteratura architettonica gotica trovava
(a proposito di riutilizzo delle fonti) delle prime 241 carte del Tractato di praticha di solo una soluzione geometrica151. Nel trattato di Vitruvio (IX, I) è discussa anche la
geometria attribuito a Benedetto da Firenze145. La Summa può essere considerata duplicazione del cubo secondo le formule di Archita, Eratostene, Platone e Nicomede

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73 P.M. Calandri, Trattato 75 F. di Giorgio Martini,
d’abaco, sec. XV, c. 206v, Trattati di architettura,
misura dell’altezza di palazzo ca. 1480, cc. 29v-30r,
Vecchio. Firenze, Biblioteca misurazione di una distanza.
a b Medicea Laurenziana, Firenze, Biblioteca Medicea
Cod. Ashb. 359. Laurenziana, Cod. Ashb. 361.

74 L. Pacioli, Summa de
c arithmetica, Venezia 1494,
cc. 296r-v, quattro operazioni
di prospettiva.

che si basavano sulla determinazione dei medi proporzionali152. Nella cultura architettonica proporzionali erano trattati dagli abbachisti in riferimento ai problemi algebrici e
del Rinascimento, questi temi erano sviluppati da Leon Battista Alberti che in un geometrici con un linguaggio piuttosto semplificato rispetto a quello dotto dei filosofi
fondamentale capitolo del De re aedificatoria (1485) discuteva i rapporti tra le aree e degli umanisti: «noi alle schuole non usiamo tali vocaboli [sesquialtera o sesquitertia],
e i medi proporzionali come strumenti progettuali fondati sulla tradizione pitagorica ma diciamogli chon dimostrationi di tutti, chome dicendo 8 è a 12 gli 2/3…»157. I Fioretti
delle proporzioni armoniche. Egli riteneva che «quei numeri che hanno il potere di di Antonio de’ Mazzinghi erano dedicati quasi interamente alle proporzioni tra i
dare ai suoni la concinnitas, la quale riesce tanto gradevole all’orecchio, sono gli stessi numeri. La «vera amicitia che è infra i numeri» (Alberti la chiamava «parentela») –
che possono riempire di mirabile gioia gli occhi e l’animo nostro». Quei numeri si definizione con la quale gli abbachisti semplificarono il concetto classico di proporzione
chiamavano «consonanze» ed esprimevano rapporti interi fondamentali (1:2, 2:3, 3:4 – era alla base della «regola del cataino» o «doppia falsa posizione», della «regola
ecc.) in base ai quali si distinguevano le aree per la composizione degli edifici. Oltre ai della cosa», ovvero dell’algebra, con un’incognita (cosa) trovata in forma di equazione,
rapporti armonici Alberti considerava anche le proporzioni irrazionali (1:√2, 1:√3) e e dell’insostituibile «regola del tre» che conteneva in sé anche il concetto di
quelle che «i filosofi […] chiamano medi», cioè «dati due numeri estremi, si trovi un proporzionalità, ossia di rapporto tra due proporzioni.
termine medio il quale sia con gli altri due in una determinata relazione, ossia – se è L’introduzione del principio della rappresentazione prospettica tra i metodi di
lecito dir così – legato da vincolo di parentela». Usando i medi proporzionali «gli misurazione con la vista era un’assoluta novità nella tradizione dell’abbaco, ed era
architetti hanno escogitato un gran numero di soluzioni eccellenti, sia per quanto del tutto pertinente, tant’è che il passaggio dalla misurazione delle distanze alla loro
riguarda l’intero edificio, sia per le singole parti di esso»153. rappresentazione si rivelava fluido e naturale. Negli scritti di Grazia de’ Castellani o di
Il concetto di bellezza come proporzione, cioè «accordo e armonia delle parti in Pier Maria Calandri («Pongho che volessi misurare il palagio de’ Signori et, sendo im
relazione a un tutto»154, era già presente nell’opera ottica di Alhazen («la proportionalità Porzantamaria in sul chanto di Vaccherecca…») (fig. 73), i casi di misurazione ricordano
158
solamente fa pulcritudine»)155 ed era sancito, nella cultura artistica e matematica del da vicino gli esperimenti prospettici brunelleschiani . Lo strumento di Grazia de’
Rinascimento, proprio dal De divina proportione di Luca Pacioli (1509). Nella Summa Castellani era noto anche a Luca Pacioli, a giudicare dall’altezza di tre braccia e dalla
de arithmetica, Pacioli menzionava come una delle sue fonti principali il Trattato sulle distanza di quattro braccia stabilita tra le due «virgole» (verghe) con le quali nella
proporzioni di Biagio Pelacani e classificava i rapporti proporzionali in aritmetici e Summa de arithmetica il frate determinava la distanza di un punto. Questo problema
geometrici, distinguendo ancora questi ultimi in razionali e irrazionali, ed elencando era descritto – seguendo la struttura della Practica di Fibonacci – nella Distinctio septima
le arti e discipline che su tali rapporti fondavano i loro principi, dalla prospettiva alla del Tractatus geometriae159. Nella Distinctio octava, tuttavia, pur seguendo lo schema
musica, all’astronomia, alla cosmografia e all’architettura, includendo perfino la legge di Fibonacci che prevedeva la soluzione di «alcune sotilità» geometriche derivate dai
e la medicina (proemio). Tra le proporzioni geometriche irrazionali si distingueva casi precedenti, Pacioli si distinse per l’introduzione della prospettiva, aprendo la sua
soprattutto la sezione aurea che Pacioli paragonava all’incommensurabilità di Dio. breve trattazione con un caso analogo al problema della misurazione di una distanza
Questa proporzione non aveva soluzione numerica e consentiva di dividere un segmento con due verghe (fig. 74a): «Egli è una tavola longa braccia .12. larga braccia .2. piana
in media ed estrema ragione, in modo cioè, aveva scritto Piero della Francesca nel in terra e io sto da lei braccia .10. e da l’occhio mio a terra cioè la mia statura è braccia
Trattato d’abaco, «che la menore parte montiplicata in tucta la linea faccia tanto quanto .2. Dimando quanto longa me se representa dita tavola. Sapi che questa domanda è
la maggiore parte montiplicata in sé medesima»156. Come già sottolineato da Fibonacci de perspectiva ma perché questa scientia è subalternata a geometria e aritmetica si la
sulla scorta di Euclide, questa proporzione esprimeva il rapporto tra il pentagono, solveremo…».
l’esagono, il decagono e i corpi regolari inscritti nella sfera che Piero descrisse nel La soluzione di Pacioli è un’applicazione del principio dei triangoli simili che si
Trattato d’abaco e nel Libellus de quinque corporibus regularibus. I problemi ripropone anche nei problemi successivi per spiegare il rapporto dimensionale apparente

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76 77
76 77 F. di Giorgio Martini,
Trattati di architettura,
ca. 1480, c. 32v,
costruzioni prospettiche.
Firenze, Biblioteca Medicea
Laurenziana, Cod. Ashb. 361.

di due uomini situati a distanze diverse: «dimando qual di loro me se mostrarà magiore anche una squadra con linda mobile per misurare la profondità di un pozzo166, due
el primo o vero [el] secundo e quanto» (fig. 74b); o ancora per determinare l’altezza procedimenti per calcolare la larghezza di un fiume – problema connesso alla costruzione
e la distanza di una finestra che funge da intersezione della piramide visiva, sapendo dei ponti e rintracciabile nella tradizione gromatica (varatio fluminis)167 – e vari problemi
«che in l’arte pictoria si metta comunemente lomo longo braccia .3.» (fig. 74c). L’ultimo di misurazione delle altezze per mezzo di una verga, secondo una serie di esempi
problema è risolto con l’estrazione delle radici dai quadrati costruiti sui cateti di comuni a tutti i trattati di geometria pratica, fino ai più recenti Ludi matematici di
vari triangoli rettangoli tracciati tra l’osservatore e una fila di persone: «Dimando Leon Battista Alberti (ca. 1452)168. Nei casi contemplati, il triangolo visivo era intersecato
quanto me se representa ciascuna de ditte persone e quanto disgrada luna e quanto dalla verga in vari modi, compreso l’uso dello specchio orizzontale descritto da Euclide
laltra» (fig. 74d)160. nel teorema XIX dell’Ottica169.
La perspectiva pratica dei misuratori, come abbiamo visto, corrispondeva alla visione
Francesco di Giorgio Martini “certificata” di Alhazen che in base ai metodi della trigonometria richiedeva la conoscenza
Questa “parentela” tra metodi di misurazione e prospettiva lineare fu sottolineata dell’angolo ottico e della distanza dell’oggetto (la misura di un’altezza inaccessibile
anche da Francesco di Giorgio Martini che, operando alla corte urbinate negli stessi essendo data dal prodotto della distanza per la tangente dell’angolo ottico). La pratica
anni in cui Piero presentava i suoi manoscritti ai Montefeltro, ebbe certamente modo dei calcoli di proporzionalità tra i triangoli simili consentiva, tuttavia, di escludere l’uso
di condividere quel particolare spirito euclideo che aleggiava nelle sale del palazzo e delle funzioni trigonometriche, traducendo il rapporto tra la tangente e il raggio del
nello studiolo ducale. Come nel caso di Pacioli, le riflessioni prospettiche di Francesco cerchio goniometrico in rapporto tra intersezione della piramide visiva e distanza
di Giorgio chiudono il trattato di Praticha di gieometria che l’ingegnere senese incluse dell’occhio dall’intersezione, rapporto che si sarebbe poi rivelato fondamentale proprio
tra i suoi scritti di architettura e ingegneria militare. Anche qui si riscontra un uso per la rappresentazione prospettica. Uno dei metodi esposti da Francesco di Giorgio
“spregiudicato” delle fonti. Il trattato di geometria è la copia di un codice anonimo, per misurare la distanza di un punto era svolto in forma grafica tracciando sul terreno
composto da un «misuratore» fiorentino nel 1460161. Questo codice è uno dei più una perpendicolare alla direzione dell’asse visivo – che si poteva leggere come il
completi trattati di geometria pratica del XV secolo, e raccoglie quasi tutti i casi di ribaltamento dell’altezza del punto di vista – e una seconda perpendicolare, a una
misurazione con la vista tramandati dalla tradizione medievale. Francesco di Giorgio distanza determinata, che si poteva leggere come il ribaltamento dell’intersezione del
ne integrò gli argomenti con passi scelti dalla Practica geometriae di Leonardo Fibonacci, raggio visivo (fig. 75)170. Questo metodo serviva ad aumentare l’altezza del punto di
volgarizzata nel 1442 da Cristoforo di Gherardo Dini, e vi aggiunse la brevissima sezione vista quando l’oggetto era molto lontano ma in sostanza corrispondeva all’uso delle
prospettica che costituisce il suo unico ma importantissimo contributo originale162. due verghe con cui Francesco di Giorgio misurava l’altezza di una torre e con cui, alla
Il contenuto dell’opera è sintetizzato con una formula tipica dei trattati di geometria fine del trattato, dimostrò il principio della rappresentazione prospettica: due verghe
pratica: «Hè da sapere che lla praticha di gieometria he del mixurare si divide in e una corda – che materializzavano l’osservatore, l’intersezione e il raggio visivo – prima
partj tre: altrimetria, planimetria, stereometria»163. I problemi di misurazione iniziavano usate per misurare le distanze, e poi messe a disposizione del pittore per «havere
con l’uso del quadrante, la variante dell’astrolabio elaborata nel Medioevo, per mezzo perfettamente la diminuzione di ciascun piano» (fig. 76): «Poniamo sia uno piano in
del quale «per li savj astrolagj e filoxafj si seppe la circhunferentia della terra […] [e] nel quale partiraj le braccia ho altre mixure sopra le quali disegniaraj le linie e dalla
quanto da la superficia al cientro d’essa sia», ovvero, secondo l’evocativa espressione fronte d’esso piano dirizaraj due astj distantj l’una dall’altra quello spatio vuoj giudicare
dell’anonimo fiorentino, «quanto è di qui allo inferno»164. Il «quadrato geometrico», la chosa, leghando all’alteza dell’occhio tuo all’ultima aste un filo tirato all’ultima linia
l’altra variante dell’astrolabio, fu descritto da Francesco di Giorgio sulla base del citato e a la sechonda et terza e insino a la più pressimale, sempre segniando dove en sull’aste
volgarizzamento della Practica di Fibonacci165, opera da cui l’architetto senese derivò batte. E cchosj porrai havere perfettamente la diminutione di ciaschun piano»171.

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78 79
78 Leonardo da Vinci,
ottaedro stellato vacuo
(L. Pacioli, De divina
proportione, ms., 1498,
tav. XX. Milano, Biblioteca
Ambrosiana).

79 Leonardo da Vinci,
Cod. Atlantico, fol. 191r-a,
mazzocchio spiraliforme.
Milano, Biblioteca
Ambrosiana.

Questo modo empirico di misurare la digradazione degli intervalli era preceduto da il lungo periodo di permanenza del Pacioli nella città lagunare. Il frate si era trasferito
una delle più chiare e sintetiche descrizioni del metodo di rappresentazione oggi a Venezia giovanissimo, nel 1445, dedicandosi all’istruzione dei figli di un ricco mercante
detto con punto di distanza. Era tra l’altro la prima volta che tale metodo veniva ebreo. Aveva viaggiato moltissimo, fino a Roma, Napoli e Zara, sempre insegnando
descritto, anche se in forma di enunciato senza dimostrazione: «Prespettiva è membro e componendo vari opuscoli didattici poi confluiti nella sua opera maggiore. Nel 1496
di gieometria e sotto due vincholj si chontiene, cioè cientro e chontracientro. Cientro fu chiamato da Ludovico il Moro a insegnare pubblicamente la matematica alla corte
è ponto e ttermine di tutte le linie e dell’occhio [è il punto di fuga]. Contracientro è sforzesca, e in segno di gratitudine Pacioli compose il De divina proportione, dedicandolo
l’occhio che righuarda el ponto [è il punto di distanza, ovvero il ribaltamento sulla al duca nel 1498. Il 9 febbraio di quell’anno il frate fu coinvolto in un «laudabile e
linea d’orizzonte del punto di vista dell’osservatore] e da esso hocchio si partan le scientifico duello» alla corte del Moro cui parteciparono «egregii oratori et de la
traverse linie riseghando quelle del cientro per le qualj si vede le diminutionj e medicina et astronomia supremi […] l’admirato e venerato Nicolò Cusano […]
perdimento di ciaschun piano» (fig. 77)172. Questo era il vero metodo dei pittori, perspicacissimi architetti e ingegneri e di cose nuove assidui inventori […] Leonardo
eseguibile interamente sul quadro (si pensi alla sinopia di Paolo Uccello, fig. 46), da Venci compatriota nostro fiorentino […] Iacomo Andrea da Ferrara, de l’opere de
mentre il metodo dell’intersezione sembrava appartenere, per Francesco di Giorgio, Vitruvio acuratissimo sectatore» e molti altri dotti personaggi173. Tra gli architetti
alla cultura architettonica dei misuratori, ma «tutto el fondamento d’essa arte ne le «perspicacissimi» doveva esservi anche Bramante di cui Pacioli ricorda l’opera in Santa
due partj si consiste». Due regole equivalenti – quella con punto di distanza e quella Maria presso San Satiro e in Santa Maria delle Grazie come applicazioni del corpo a
dell’intersezione – che a partire da Piero costituirono il fondamento dei successivi settandue basi che insieme a quello a ventisei basi accompagnava la serie dei cinque
trattati di prospettiva. poliedri e dei loro derivati tronchi ed elevati174. L’incontro con Leonardo segnò l’inizio
di una lunga amicizia che subito si espresse attraverso la collaborazione del grande
Pacioli e Leonardo artista alla composizione del De divina proportione. Leonardo disegnò ben cinquantanove
L’inserimento della prospettiva tra i metodi della geometria pratica trovava una precisa corpi regolari e irregolari, elevati, vacui e «abscisi», tutti in prospettiva, che andarono
motivazione nella collocazione di questa disciplina tra le arti del quadrivio: «al proposito a corredare il testo dell’amico matematico (fig. 78). La notizia è data dallo stesso Pacioli
nostro – scriveva il Pacioli – per scientie e discipline mathematici se intendano Arithmetica, nel De Viribus Quantitatis, una raccolta di giochi matematici composta per un ignoto
Geometria, Astrologia, Musica, Prospectiva, Architettura e Cosmographia e qualuncaltra principe, dove si ricordano «le supraeme et legiadrissime figure de tutti li platonici
da queste depende. Non di meno comunamente per li savi le quattro prime se prendano, et matematici corpi regulare et dipendenti, che in prospectivo disegno non è possibile
cioè Arithmetica, Geometria, Astronomia e Musica, e le altre siano dette subalternate al mondo fare meglio, quando bene Apelle, Mirone, Policreto e gli altri fra noi tornassero,
cioè da queste quattro dependenti […] Ma el nostro iudicio benché imbecille et basso facte et formate per quella ineffabile sinistra mano a tutte le discipline acomodatissima
sia o tre o cinque ne constregni, cioè Arithmetica, Geometria e Astronomia escludendo del principe oggi fra mortali pro prima fiorentino, Lionardo nostro da Venci, in quel
la musica da dicte per tante ragioni quante loro da le .5. La prospectiva e per tante foelici tempo che insiemi a medesimi stypendii nella mirabilissima cità di Milano ci
ragioni quella agiongendo ale dicte quattro per quante quelli ale dicte nostre .3. la trovammo»175.
musica». Questa celebrazione della prospettiva come arte di «summa vaghezza e L’invasione francese che nel 1499 pose fine al governo del Moro obbligò Leonardo
intellectual conforto» si trova nella dedicatoria a Ludovico il Moro del De divina e Pacioli a lasciare Milano. Dopo alcune tappe a Mantova e Venezia, i due si fermarono
proportione, il trattato sulla sezione aurea e sui poliedri regolari divenuto emblema per qualche anno a Firenze. Pur risiedendo a Firenze, Pacioli insegnò a Bologna e a
del neoplatonismo matematico. Pisa continuando, nel frattempo, ad ampliare il De divina proportione con l’aggiunta
La pubblicazione della Summa per i tipi veneziani di Paganino de’ Paganini chiudeva di una seconda parte sull’architettura e sul disegno delle lettere dell’alfabeto, e

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una terza parte dedicata a Pier Soderini che era il volgarizzamento del Libellus di
Piero. In questa forma completa, l’opera fu stampata a Venezia nel 1509. La «irrazionale
sinfonia» della sezione aurea pervade tutta la prima parte, ossia il trattato dedicato
al Moro, dove l’aggettivo divina attribuito a questa proporzione è motivato dal fatto
di essere una e trina, ossia unica nel suo genere e composta di tre termini: una qualsiasi
quantità poteva essere divisa in due parti disuguali in modo che la minore stava
alla maggiore come questa alla quantità intera. La sezione aurea era anche indefinibile,
perché irrazionale, e governava la costruzione dei cinque corpi regolari inscritti nella
sfera che secondo Platone esprimevano l’ordine del cosmo: la Quintessenza (il
«duodecedron», o dodecaedro), il fuoco (il «tetracedron», ovvero il tetraedro), l’aria
(l’«octocedron», ovvero l’ottaedro), l’acqua (l’«icocedron», o icosaedro), la terra
(l’«esacedron», ovvero il cubo).
I disegni di Leonardo furono conservati dal Pacioli che per primo ne apprezzò
l’assoluta perfezione: «qual ancora apresso di noi tenemo meravigliosi a ognuno che
li mirano»176. L’esecuzione di quei disegni richiese probabilmente uno sforzo
considerevole da parte di Leonardo che prima dell’incontro col frate matematico non
sembra aver avuto troppa confidenza con i problemi aritmetici e geometrici. I suoi
noti appunti matematici sono tutti successivi e forti certamente della preziosa consulenza
del Pacioli che con molta probabilità dovette istruirlo nella geometria euclidea. Nel
Codice Atlantico (fol. 120rd) troviamo l’annotazione «Impara da maestro Luca la
multiplicazion delle radici», e in altri codici leonardeschi troviamo “lezioni” euclidee,
nonché appunti e riassunti di problemi proporzionali tratti dalla Summa del Pacioli177.
Leonardo possedeva un incunabolo degli Elementi nella traduzione di Giovanni
Campano che forse studiò con l’aiuto del Pacioli, soprattutto in quella parte del decimo
libro che riguardava i corpi regolari. Possedeva anche un volgarizzamento dei primi
tre libri di Euclide, forse redatto da Luca Pacioli che proprio in quegli anni lavorava
alla sua edizione degli Elementi stampata a Venezia nel 1509178. L’incontro con Pacioli
fu certamente significativo e ricco di sviluppi per l’attività teorica di Leonardo i cui
scritti tecnico-scientifici furono ricordati dal frate con ammirazione e rispetto: «E non
de queste satio, a l’opera inextimabile del moto locale de le percussioni e pesi e de
le forze tutte, cioè pesi accidentali, avendo già con tutta diligentia al degno libro de
Pictura e movimenti umani posto fine»179. Il Libro di Pittura, oggi noto attraverso una
raccolta postuma di frammenti sparsi ordinata da Francesco Melzi verso il 1550, era
il luogo in cui Leonardo tesseva le sue raffinate riflessioni sull’arte della pittura e
sui suoi fondamenti matematici. Nel capitolo di apertura dal titolo Se la pittura è
scienzia o no, affiora tutta l’importanza dell’incontro con Pacioli: «Nessuna umana
inventigatione si può dimandare vera scientia, se essa non passa per le matematiche
dimonstrationi. E se tu dirai che le scienzie, che principiano e finiscano nella mente,
abbiano verità, questo non si concede, ma si nega per molte ragioni; e prima, che
in tali discorsi mentali non accade esperienzia, sanza la quale nulla dà di sé certezza»180.
In un foglio del Codice Atlantico databile a circa il 1490, l’artista disegnò un complicato
mazzocchio spiraliforme corredandolo di una nota che riassume sinteticamente
l’approccio sperimentale della sua «scienzia»: «Corpo nato della prospettiva di Lionardo
da Vinci discepolo della sperientia» (fig. 79)181.

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«Se la pittura è scienzia o no»: Leonardo da Vinci

Il «libro de Pictura» ricordato da Luca Pacioli era forse una prima stesura del trattato
poi redatto da Francesco Melzi. I tentativi di Leonardo di dare un ordine didascalico
ai suoi ragionamenti sulla prospettiva furono probabilmente molti ma, come in altri
campi delle arti e delle scienze, sempre irrisolti. I suoi interessi prospettici, coltivati
certamente già durante l’apprendistato fiorentino, si acuirono durante i primi anni
del soggiorno milanese quando cominciò a studiare gli autori di ottica medievali,
soprattutto Peckham e Vitellione182. Probabilmente Leonardo progettò un trattato
di prospettiva già negli anni ottanta e certamente a esso lavorò a più riprese fino agli
ultimi anni francesi, intrecciandone i contenuti con quelli del Libro di Pittura. Sembra
anche che durante il soggiorno francese, sul declinare dei suoi anni, Leonardo abbia
messo mano a un più ponderoso trattato sulle tre arti maggiori, pittura, scultura e
architettura. A darne notizia è Benvenuto Cellini che nel 1542 ne acquistò in Francia
una copia manoscritta, «un libro scritto a penna, copiato da uno del gran Lionardo da
Vinci […] in fra l’altre mirabil cose che erano in su esso, trovai un discorso della
prospettiva, il più bello che mai fusse trovato da altro uomo al mondo, perché le regole
della prospettiva mostrano solamente lo scortare della longitudine, e non quelle della
latitudine e altitudine. Il detto Lionardo aveva trovato le regole, e le dava a intendere
con tanta bella facilità et ordine, che ogni uomo che le vedeva ne era capacissimo»183.
La perdita di questo manoscritto non consente di verificare la descrizione del Cellini
ma è probabile che le regole per lo scorcio della «latitutide» e «altitudine» siano state
quelle poi trascritte da Carlo Urbino da Crema nel cosiddetto Codice Huygens, il
documento più rappresentativo degli studi leonardeschi sullo scorcio, le proporzioni
della figura umana e la cosiddetta “prospettiva curvilinea” (fig. 80)184. Anche il Libro
di Pittura discende in linea diretta dagli insegnamenti di Leonardo. La compilazione
di Francesco Melzi iniziò forse già in Francia prima del 1519, anno della morte del
maestro, ma fu in gran parte redatta verso la metà del secolo con l’evidente proposito
di darla alle stampe. Questo obiettivo fu raggiunto solo nel 1651 con il Trattato
della pittura edito a Parigi da Raphael Du Fresne, Cassiano Dal Pozzo e Nicholas Poussin,
ma in una forma ridotta che non mette totalmente in luce le straordinarie riflessioni
prospettiche del grande artista185.
Per valutare complessivamente il contributo di Leonardo alla codificazione del
pensiero prospettico sarebbe necessario collazionare tutte le note, i passi, gli appunti,
i pensieri e i motti distribuiti nei vari manoscritti dell’artista, e precisamente nei codici

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80
80 Leonardo da Vinci,
Madrid II, c. 15v, studi
di prospettiva curvilinea.
Madrid, Biblioteca Nacional.
della stessa grandezza ma posti a distanze diverse, la loro lontananza poteva essere
espressa dalla sovrapposizione degli strati atmosferici, dipingendo «il primo edificio
del suo colore; il più lontano fallo meno profilato e più azzurro […] e quello che tu
vuoi che sia cinque volte più luntano, fallo cinque volte più azzurro»191. Altrove Leonardo
spiegava che «l’azzurro dell’aria nasce dalla grossezza del corpo de l’aria aluminata,
interposta infra le tenebre superiori e la terra […] e tanto sarà più bello azzurro quanto
dirietro ad essa sarà maggiore tenebre […] e vedesi ne’ monti che hanno più ombra
essere più bello azzurro nelle longhe distanzie»192.
Leonardo era il primo a contemplare l’uso di una prospettiva non geometrica, fatta
di colore, chiaroscuro, sfumati, e lontananze espresse attraverso la digradazione dei
toni piuttosto che attraverso quella delle linee, una «prospettiva aerea» che rispondeva
Atlantico, Arundel, Forster (II-1, II-2, III), nel codice A dell’Institut de France, e nei codici perfettamente alle peculiari caratteristiche dei suoi dipinti. Ma questa è solo una delle
di Madrid A e B186. La compilazione di Francesco Melzi, tuttavia, offre una silloge originali riflessioni rintracciabili nei suoi frammenti prospettici che spaziano dalla
piuttosto chiara delle problematiche prospettiche correlate alla pittura e fin dal sesto prospettiva «liniale» a quella «aerea», dalle proporzioni apparenti alle misure
paragrafo della prima parte troviamo una precisa dichiarazione delle novità introdotte prospettiche, dall’uso degli strumenti alle costruzioni geometriche, dalla pratica della
da Leonardo: «La scienzia della pittura s’astende in tutti li colori delle superficie e pittura alla fisiologia della visione.
figure de’ corpi da quelle vestiti, et a le loro propinquità e remozioni con li debiti gradi Anche lo studio delle ombre era al centro delle preoccupazioni teoriche di Leonardo
de diminuzione secondo li gradi delle distanzie. E questa scienzia è madre della che ne classificò le forme distinguendole in «ombre primitive» – quelle più scure, interne
prospettiva, cioè linee visuali, la qual prospettiva si divide in tre parti, e di queste la al fascio ombroso – «ombre derivative» – quelle rischiarate dalla luce secondaria di
prima contiene solamente li lineamenti de’ corpi; la seconda della diminuzione de’ fonti luminose minori, uguali o maggiori del corpo illuminato – «ombre congionte»,
colori nelle diverse distanzie; la terza, della perdita della congionzione de’ corpi in quelle appartenenti al corpo illuminato (ossia le ombre proprie), e «ombre separate»,
varie distanzie»187. quelle proiettate su altre superfici (ossia le ombre portate). Secondo Leonardo, «di
molta maggiore investigazione e speculazione sono l’ombre nella pittura che li suoi
La linea, il colore e le ombre lineamenti: e la prova di questo s’insegna che li lineamenti si possono lucidare con veli,
Questa triplice divisione è tipicamente leonardesca: accanto alla prospettiva «liniale» o vetri piani interposti tra l’occhio e la cosa che si debbe lucidare; ma l’ombre non sono
che controllava il disegno dei lineamenti attraverso le regole della geometria, il pittore comprese da tale regola, per la insensibilità delli loro termini, li quali il più delle volte
doveva considerare anche una prospettiva «de’ colori» per il controllo delle gradazioni sono confusi, come si dimostra nel libro de ombra e lume», ossia nella parte quinta
cromatiche nella profondità dello spazio prospettico, e una prospettiva cosiddetta del Libro di Pittura193.
«aerea» per la resa delle distanze attraverso la sovrapposizione degli strati atmosferici. Per il disegno dei lineamenti Leonardo propose una soluzione meccanica già
La «prospettiva liniale» era quella magistralmente illustrata da Piero della Francesca anticipata da Leon Battista Alberti. Il «velo» menzionato nel passo appena citato è
e ormai diffusissima nelle botteghe dei pittori. Leonardo mostrava di conoscerne proprio la «intersezione» dell’Alberti che Leonardo descrisse dettagliatamente come
perfettamente le regole e soprattutto i principi: «Tutte le cose mandano all’ochio la ausilio «a imparare a far bene uno posare», cioè per disegnare correttamente la posa
lor similitudine per piramidi le quali quanto saranno tagliate più vicine all’ochio tanto di una figura: «ferma un quadro over telaio, drento riquadrato con fila, infra l’ochio
minore si dimostrerà la similitudine della sua cagione […] L’ochio f e l’ochio t sono la tuo e lo nudo che ritrai, e quei medesimi quadri farai su la carta dove voi ritrarre detto
medesima cosa: ma l’occhio f denota la distantia, cioè quanto tu stai lontano a vedere nudo sottilmente; di poi poni una pallotta di cera in una parte della rete, che ti serva
la cosa e l’ochio t ti dimostra la dirittura cioè se tu sei nel mezzo o da lato»188 (fig. per una mira»194. L’altro strumento menzionato, il «vetro piano», è indicato come un
81). La «prospettiva de’ colori» era invece una novità, almeno sul piano della codificazione «modo de ritrarre un sito corretto». In questo caso il telaio sosteneva una semplice
teorica: «D’un medesimo colore posto in varie distanzie et altezze, tal sia la proporcione lastra di vetro «grande come un mezzo foglio reale, e quello ferma bene dinanzi alli
de suoi rischiaramenti, qual sarà quella delle distanzie che ciascun d’essi colori ha da occhi toi, cioè tra l’occhio e la cosa che voi ritrarre; di poi ti poni lontano co’ l’occhio
l’ochio che li vede»189. Ma questa proporzione non era costante, poiché variava al variare al detto vetro dui terzi di braccio, e ferma la testa con uno strumento, in modo che
dell’altezza e della «grossezza» dell’aria interposta tra l’occhio e l’oggetto. La valutazione non possi mover ponto la testa. Di poi serra o copriti un occhio, e col pennello o col
dei «perdimenti» del colore dipendeva quindi anche dalla «prospettiva aerea […] lapis amatite segna in sul vetro ciò che di là appare, e poi lucida con carta tal vetro,
imperò che per la varietà dell’aria si può conoscere le diverse distanzie di vari edifici e spolverizzalo sopra bona carta, e dipingela, se ‘l ti piace, usando bene di poi la
terminati ne’ lor nascimenti da una sola linea»190. Dati alcuni edifici apparentemente prospettiva aerea»195. Di questo strumento esiste un disegno nel Codice Atlantico che

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81 Leonardo da Vinci,
Ms. A, fol. 36b, costruzione
con punto di distanza.
Parigi, Institut de France.
81

82 Leonardo da Vinci,
Cod. Atlantico, fol. 1r,
il vetro. Milano, Biblioteca
Ambrosiana.

83 Leonardo da Vinci,
dodecaedro tronco stellato
solido (L. Pacioli, De divina
proportione, ms., 1498,
tav. XXXIII. Milano,
Biblioteca Ambrosiana).

mostra un pittore nell’atto di usarlo per ritrarre una sfera armillare (fig. 82)196. Lo nell’Ottica di Euclide, e fu ripreso più volte nei trattati medievali di geometria pratica203.
strumento poteva essere quindi efficacemente applicato al disegno di oggetti complessi, Brunelleschi, di cui è nota l’attività di misuratore, riuscì ad applicare razionalmente
ed è stato più volte suggerito che proprio in quel modo Leonardo abbia superato le le proprietà dello specchio alla rappresentazione pittorica. Il suo modello catottrico
difficoltà di rappresentazione dei poliedri destinati a illustrare il De divina proporzione messo a punto per la tavoletta del battistero fiorentino era una sottile dimostrazione
di Luca Pacioli197. dei principi euclidei: quando l’immagine nello specchio appariva uguale alle dimensioni
Alcune imprecisioni riscontrabili nei disegni che illustrano l’opera del Pacioli, come apparenti del battistero (e ciò avveniva solo a una determinata distanza dello specchio
la convergenza inesatta di alcune coppie di rette parallele, lascerebbero credere che dalla tavoletta), la distanza dello specchio era proporzionale alla distanza del battistero.
i poliedri siano stati ritratti dal vero, usando modelli tridimensionali di cui l’artista L’immagine nello specchio e l’edificio reale si trovavano cioè dentro la stessa piramide
trascrisse anche le eventuali imperfezioni di manifattura (fig. 83)198. Diversamente il visiva, tanto che lo specchio poteva essere considerato come un piano trasparente
procedimento da seguire sarebbe stato il secondo «modo» di Piero della Francesca attraverso il quale lo spettatore guardava il vero battistero.
che, basandosi sul trasporto dei punti e non sull’uso dei punti di fuga, poteva facilmente
produrre lo stesso tipo di imprecisioni. L’interesse per gli strumenti, ma soprattutto La fisiologia dello sguardo
per il «vetro», va messo in relazione anche alla loro straordinaria qualità rappresentativa Dal punto di vista geometrico il concetto era semplice: l’occhio poteva essere considerato
del concetto teorico. Il vetro era la migliore rappresentazione possibile del concetto un punto dal quale far partire tante linee, i raggi visivi, che andavano a toccare le varie
albertiano della pittura come «intersezione della piramide visiva», ovvero come «una parti dell’oggetto. I raggi potevano passare attraverso il vetro senza subire alterazioni,
finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto»199, e Leonardo sembra oppure spezzarsi sulla superficie dello specchio, proseguendo il loro percorso nella
volerlo rimarcare attraverso una sua tipica definizione della prospettiva: «Prospettiva direzione opposta a quella di partenza. Questa semplificazione geometrica del fenomeno
non è altro che vedere uno sito dirieto a uno vetro piano e ben trasparente sulla visivo funzionava perfettamente per le applicazioni dell’ottica alle osservazioni
superfizie del quale sia segnato tutte le cose che sono da esso vetro indirieto, le quali, astronomiche, alla misurazione delle distanze e alla rappresentazione pittorica. Dal
si possono condurre per piramide al punto dell’occhio, e esse piramide si tagliano su punto di vista fisiologico, invece, la questione era più complessa e costituiva uno dei
detto vetro»200. punti nodali dell’ottica medievale che Leonardo studiò con molta attenzione. La
Leonardo, tuttavia, richiamò l’attenzione dei pittori anche su un terzo strumento, questione implicava non solo lo studio anatomico dell’occhio ma anche l’interpretazione
lo specchio, che a differenza dei due precedenti avrebbe permesso di studiare le delle specifiche funzioni delle sue parti, soprattutto del cristallino che ancora per
apparenze delle ombre e del colore: «lo specchio di piana superfizie contiene in sé la Leonardo aveva la funzione di raddrizzare le immagini capovolte dall’intersezione dei
vera pittura in essa superficie […] e voi, pittori, trovate nella superficie delli specchi raggi al centro della pupilla: «La popilla dell’occhio, che per minimo spiraculo rotondo
piani il vostro maestro, il quale v’insegna il chiaro e l’oscuro e lo scorto di qualunque riceve le spezie de’ corpi posti dopo esso spiraculo, sempre le riceve sottosopra, e sempre
obietto…»201. Lo specchio si identificava con il dipinto assai meglio della finestra ed la virtù visiva le vede diritte, come sono […] La spera vitrea è messa nel mezzo dell’occhio
era considerato senza ambiguità il maestro dei pittori202. Le leggi della catottrica erano per dirizzare le spezie che si intersecano dentro allo spiracolo della pupilla, acciò la
piuttosto semplici da seguire: i raggi incidenti e quelli riflessi formavano angoli uguali destra ritorni destra e la sinistra ritorni sinistra, nella intersegatione seconda, che si fa
sulla superficie dello specchio e l’immagine dell’oggetto si trovava sul prolungamento nel centro d’essa spera vitrea»204.
del raggio visivo, a una distanza dallo specchio uguale a quella dell’oggetto reale. Sulla Leonardo partiva da un presupposto sbagliato, ossia che l’immagine sulla retina
base di queste certezze, i misuratori fecero uso dello specchio fin dall’antichità; il modo dovesse necessariamente apparire dritta; Keplero e Christof Sheiner scoprirono un
di stimare l’altezza di una torre per mezzo di uno specchio, ad esempio, era spiegato secolo più tardi che essa era invece capovolta. La sua convinzione, tuttavia, trovava

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conferma in una prova sperimentale svolta per mezzo di un modello dell’occhio fatto come degli infiniti raggi che vengono all’occhio solo quelli più prossimi all’asse ottico,
di vetro (fig. 84). Leonardo costruì una sfera di vetro di circa 45 cm di diametro, che Leonardo chiamava «linea centrale», fornivano una visione nitida. Nonostante
asportandone una parte per potervi inserire il viso. Sul fondo collocò un pannello opaco le difficoltà che deve aver avuto nel risolvere il problema della rifrazione dei raggi
di circa 20 cm, con un foro nel mezzo che simulava la pupilla. Al centro, sospesa con all’interno dell’occhio, Leonardo stava indagando nella direzione giusta, soprattutto
dei fili, collocò un’altra sfera di vetro di circa 10 cm di diametro che simulava il cristallino. quando arrivò a paragonare l’occhio alla camera oscura: «La esperienza, che mostra
Poi riempì tutta la sfera di acqua tiepida e vi immerse il viso fino a collocare l’occhio li obbietti mandino le loro spezie ovver similitudini intersegate nello omore albugino,
in prossimità della sfera centrale dove l’immagine appariva diritta205. si dimostra quando per alcuno picolo spiraculo rotondo penetreranno le spezie delli
L’espediente di riempire d’acqua l’intercapedine tra due contenitori di vetro al fine obbietti alluminati in abitazione forte oscura. Allora tu riceverai tali spezie in una carta
di creare l’effetto di una lente naturale si trovava precedentemente descritto nella bianca posta dentro a tale abitazione alquanto vicina a esso spiraculo. E vedrai tutti li
Perspettiva di Giovanni Fontana206. L’autore spiegava come, collocando una candela predetti obbietti in essa carta colle loro proprie figure e colori; ma saran minori e fieno
all’interno di un vaso di vetro il quale a sua volta era contenuto in un vaso di vetro più sottosopra, per causa della intersegazione. Li quali simulacri, se nasceranno dal loco
grande, tanto che tra i due vi fosse un’intercapedine piena di acqua limpida, l’intensità alluminato dal sole, parran proprio dipinti in essa carta, la qual vole essere sottilissima
della luce risultava notevolmente aumentata. In un altro trattato dello stesso autore, e veduta da rivescio […] E così fa dentro alla pupilla» (fig. 87)212.
il Bellicorum instrumentorum liber, troviamo una lanterna magica ante litteram, Il fenomeno è descritto da Leonardo come un’esperienza ben nota, anche se in un
presumibilmente realizzata in quello stesso modo: l’immagine di un demonio dipinta foglio del Codice Atlantico lo troviamo menzionato con parole di entusiasmo che
sulla superficie del vetro esterno era proiettata sul muro dal fascio luminoso (fig. 85)207. rivelano la meraviglia di una scoperta: «O mirabile necessità […] O magna azione […]
Con questo espediente si poteva costruire il cosiddetto «castello delle ombre», dove Qui le figure, qui li colori, qui tutte le spezie de le parte dell’universo son ridotte in un
apparivano numerose immagini capaci di spaventare i nemici208. Il vetro o presumibilmente punto […] già perdute forme infuse in tanto minimo spazio, possono rinascere e
una lente emisferica era ancora usata per intensificare il fascio luminoso di una «lampada ricomporsi»213. Il fenomeno della camera oscura era noto soprattutto negli ambienti
il cui uso in Inghilterra è proibito a causa delle malefatte che ne fanno i ladroni»209. E scientifici: gli astronomi se ne servivano fin dal Medioevo per osservare le eclissi e gli
un simile proiettore fu disegnato da Leonardo nel Codice Atlantico dove si vede scrittori di ottica lo utilizzarono per dimostrare la propagazione rettilinea dei raggi
chiaramente l’uso della lente emisferica per intensificare la luce (fig. 86)210. luminosi, o la moltiplicazione delle specie214. Alcuni studiosi hanno tentato di dimostrarne
Una «mezza palla di vetro» piena d’acqua, o meglio una lente di cristallo piano- l’applicazione artistica fin dall’inizio del Quattrocento, indicandone il primo esempio
convessa, fu utilizzata da Leonardo per dimostrare l’ampiezza del campo visivo che in quei «miracoli della pittura» che Leon Battista Alberti menziona nel De pictura215.
supera i 180°, «in modo quasi ti vederai dirieto alle spalli»211. L’esperimento dimostrava A maggior ragione si potrebbe ritenere che già Brunelleschi ne abbia fatto uso; la

84 85 86
84 Leonardo da Vinci,
Ms. D, fol. 3v, occhio di vetro.
Parigi, Institut de France.

85 G. Fontana, Bellicorum
instrumentorum liber,
ms., sec. XV, c. 70r, lanterna
magica. Monaco, Bayerische
Staadtsbibliothek, Icon 246.

86 Leonardo da Vinci,
Cod. Atlantico, fol. 34,
lampada con lente
piano-convessa. Milano,
Biblioteca Ambrosiana.

112 113
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89
87 88 Leonardo da Vinci,
Ms. D, fol. 8r, l’occhio
come camera oscura;
Ms. F, fol. 25r, lente concava.
rappresentazione del battistero con la destra e la sinistra invertite è esattamente quella Parigi, Institut de France.
che si otterrebbe da una tale proiezione, ma l’ipotesi non può andare oltre una semplice
89 C. Urbino, Tavola
supposizione. I primi chiari riferimenti all’uso della camera oscura per fini pittorici – cavata dal Quinto Libro
che tuttavia non implicano un effettivo utilizzo da parte dei pittori – si trovano nella della “Prospettiva delle
Pratica della perspettiva di Daniele Barbaro (1569) e nella Magia Naturalis di Giovanni Regole del Disegno” di Carlo
Urbini pittore, incisione,
Battista Della Porta (1589)216. sec. XVI. Verona, Museo di
All’inizio del Cinquecento Leonardo era seriamente impegnato nella produzione Castelvecchio, 2556 3B 779.
di lenti concave e convesse. Queste ultime (convergenti) erano in uso come lenti da 90 A. da Sangallo il Giovane,
occhiali fin dal XIII secolo, mentre quelle concave (divergenti) comparvero solo più Studio di prospettiva
tardi. Forse già note nelle Fiandre all’inizio del Quattrocento, come suggerirebbe il curvilinea, 1526-27.
Firenze, Gabinetto Disegni
ritratto del canonico Van der Paele di Jan van Eyck (1436), le lenti concave erano e Stampe degli Uffizi, 830Av.
certamente prodotte a Firenze intorno alla metà del secolo217. Sulle proprietà di queste
91 Leonardo da Vinci,
Leonardo ragiona nel Codice Atlantico dove propone la fabbricazione di un vaso di Cod. Atlantico, fol. 98r,
vetro biconcavo da riempire d’acqua, e poi ancora nel Codice F dell’Institute de France, studi di anamorfosi. Milano,
90

in una famosa pagina che alla fine degli anni trenta del secolo scorso fece erroneamente Biblioteca Ambrosiana.
anticipare la costruzione del cannocchiale di ben un secolo; con un «occhiale di cristallo
grosso da’ lati […] e sottile in mezo – scriveva Leonardo – […] la lettera comune in
istanpa parrà lettera di scatole da spetiali» (fig. 88)218. La lente concava permetteva
di vedere nitidamente le cose lontane, e certamente Leonardo pensò di potenziarne
l’effetto, tanto da ritenere che si potesse «fare che l’occhio non vederà le cose remote
molto diminuite come fa la prospettiva naturale»219, e perfino fare «occhiali da vedere
la luna grande»220. Come spiegherà Francesco Maurolico nei Diaphaneon (1553-54),
proprio in relazione all’anatomia dell’occhio e in particolare alla forma del cristallino
che determina la vista corta o lunga, «i raggi visuali trasmessi per un corpo trasparente
convesso da entrambe le parti, vanno prima a concentrasi: così passando attraverso
ad uno concavo da entrambe le parti più si allargano»221. A causa di questa diversa
deviazione dei raggi visivi, scriverà Della Porta, «le lenti concave fanno vedere chiarissime
le cose lontane; le lenti convesse quelle vicine; onde potrai usufruire di esse per comodità
della vista. Con la lente concava vedi lontano le cose piccole, ma nitide, con quella
91

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92
92 H. Holbein,
Gli Ambasciatori, 1533.
Londra, National Gallery, 93
cod. 1314.

93 Leonardo da Vinci,
Cod. Atlantico, fol. 103br,
costruzione prospettica.
Milano, Biblioteca
Ambrosiana.

convessa più grandi le cose vicine, ma confuse; se saprai comporre giustamente le une restava fisso nella sua giusta posizione, ma «rimovendosi alquanto l’ochio d’essa
e le altre, vedrai ingrandite e chiare e le cose lontane e le cose vicine»222. Sebbene Della prespectiva risguardatore, ongni cosa figurata apparisce monstruosa»227. La mostruosità
Porta avesse in mente dei correttivi per la vista, quella appena citata era la formula delle immagini ottenute con la prospettiva «accidentale» era dello stesso tipo descritto
che avrebbe portato più tardi all’invenzione del cannocchiale. da Piero della Francesca nelle ultime pagine del suo trattato e, se prodotta ad arte,
consentiva di ottenere particolari effetti prospettici oggi noti con il nome di anamorfosi.
Prospettiva naturale, prospettiva accidentale Secondo una testimonianza di Francesco Melzi riferita da Giovanni Paolo Lomazzo,
L’attenzione prestata alla diversa deviazione dei raggi sugli specchi e nelle lenti concave Leonardo avrebbe disegnato prospettive «inverse» di questo tipo per il re di Francia,
e convesse spiega anche le riflessioni sul campo visivo sferico che accompagnano gli in particolare dei cavalli e un combattimento allegorico tra un drago e un leone228.
studi leonardeschi sulla prospettiva curvilinea e sulle aberrazioni marginali. Questi L’unica testimonianza grafica superstite di questi particolari studi prospettici di Leonardo
studi sono raccolti nel già citato Codice Huygens e in una bella incisione, forse dello la troviamo nel Codice Atlantico, in due studi anamorfici per un occhio e una testa
stesso Carlo Urbino, tratta «dal quinto libro della Prospettiva delle Regole del Disegno» (fig. 91)229. Esempi magistrali di questo tipo di rappresentazione sono presenti a distanza
(fig. 89)223. Lo scorcio delle figure era ottenuto intersecando la piramide visiva con un di pochi anni sia nella cerchia di Albrecht Dürer, dove si producevano i cosiddetti “quadri
piano curvo che non si identificava più con il quadro del pittore ma con una naturale con segreto” (Vexierbild), sia nel singolare doppio ritratto degli Ambasciatori di Hans
estensione del globo oculare. È probabile che qui Leonardo abbia meditato non solo Holbein dove la posizione dell’occhio e la distanza di osservazione erano la chiave di
sulla visione naturale ma anche sull’antica pratica delle correzioni ottiche che otteneva lettura dell’immagine nascosta (fig. 92)230.
il controllo delle proporzioni attraverso le misure prese sull’arco di circonferenza con Sulla distanza di osservazione Leonardo spese non poche riflessioni e, come
centro nell’occhio. Un segno di queste riflessioni si registra anche in un disegno di Piero, entrò nel merito dei rapporti proporzionali generati dal taglio della piramide
Antonio da Sangallo il Giovane dove sono messe a confronto due rappresentazioni visiva a diverse distanze dall’occhio. Mentre Piero aveva studiato i rapporti proporzionali
ottenute, rispettivamente, su un piano curvo e su uno rettilineo (fig. 90)224. Al confronto tra le successive intersezioni, Leonardo si preoccupò di definire i rapporti tra l’oggetto
tra piano curvo e piano rettilineo Leonardo rimandava anche la spiegazione delle reale e la sua riduzione prospettica: «Se ti porrai la pariete vicina all’ochio uno braccio,
aberrazioni marginali, evidenziando come, mentre sul piano curvo la diminuzione la prima cosa che sia lontana dal tuo ochio 4 braccia diminuirà j 3/4 della sua altezza
delle grandezze seguiva la legge della “prospettiva comune” – e quindi gli oggetti più in detta pariete; E se sia lontana dall’ochio 8 braccia, diminuirà j 7/8 e se sia lontana
lontani apparivano più piccoli – su quello rettilineo essa seguiva la legge della “prospettiva 16 braccia diminuirà j 15/16 di sua altezza»231. Se il pittore poteva rilevare in questa
accidentale”, ossia, in particolari condizioni di visibilità, gli oggetti più lontani potevano osservazione l’ordine armonico-proporzionale che governava la sua composizione, il
risultare più grandi225. Questo accadeva quando l’angolo visivo superava i 90°, come geometra vi ricavava una semplice regola per calcolare speditamente l’altezza di
già aveva sottolineato Piero della Francesca. una torre anche senza applicare la “regola del tre”, che era comunque implicita, perché
In una nota del Codice Arundel, Della prespectiva naturale mista colla prespectiva «li ecciessi della diminutione che fanno le cose equali per essere con varie distantie
accidentale, Leonardo spiegò che ciò avveniva perché il «muro» su cui si disegnano le dallo ochio remote; ànno infra loro le medesime proportioni, quali son quelle delli
forme «ha distanzia ineguale dall’ochio in ogni parte della sua lunghezza»226. L’occhio, spazi che infra l’ochio e le cose s’interpongono»232.
tuttavia, continuava a vedere le forme secondo la loro diminuzione «naturale» finché Il concetto espresso da Piero della Francesca che faceva della prospettiva uno strumento

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I codificatori del Cinquecento

di misura («non posendo giudicare da sè lo intellecto la loro mesura, cioè quanto sia Jean Pélerin
più propinqua e quanto sia più remota, però dico essere necessaria la prospectiva»)
è sviluppato da Leonardo con più diretti riferimenti ai metodi di misurazione con la
vista: «prospettiva agiugnie dove manca il giuditio nelle cose che diminuiscono; l’ochio
non potrà mai essere vero judice a determinare con verità quanto una quantità
(sia) vicina a un altra simile […] se non per mezzo della pariete, maestra e guida della
prospettiva»233. La dimostrazione di come le grandezze diminuiscono sulle varie
intersezioni della piramide visiva è data da Leonardo con un esempio familiare ai
misuratori: «diciamo che mn sia una torre e che ef sia una verga», avvicinando la
verga all’occhio si ottengono intersezioni sempre più piccole ma proporzionali alla
grandezza della torre, e i rapporti tra tali intersezioni consentono di misurare le
grandezze inaccessibili234. Dalla citata testimonianza di Benvenuto Cellini sappiamo che il trattato di Leo-
Il metodo sperimentale portò Leonardo a indagare tanto le tecniche di misurazione nardo da lui acquistato in Francia nel 1542 fu utilizzato da uno dei più autore-
quanto quelle di rappresentazione come oggetto dello stesso fenomeno visivo. Tra i voli trattatisti del Cinquecento, Sebastiano Serlio che, proprio a Parigi, tre anni
suoi appunti convivono talvolta sullo stesso foglio riflessioni sulla misura indiretta di un dopo, avrebbe dato alle stampe il suo Secondo Libro d’architettura, dedicato
oggetto e costruzioni di prospettiva lineare. Vi troviamo considerazioni sulla natura alla prospettiva lineare. «Il detto Bastiano – scriveva Cellini – promesse cinque
delle aree dei triangoli “visivi”, sulla potenza dei numeri generati dal taglio della piramide libri al mondo sopra gli ordini di architettura, et ancora sopra le regole della
visiva, sul ribaltamento del triangolo visivo per trovare a terra l’altezza di una torre prospettiva […] avendo lui volontà di trar fuora questi libri di prospettiva, mi
(analogo concettualmente a quello che consente di trovare sul quadro il punto di richiese che io gli mostrassi quel mirabil discorso del gran Lionardo da Vinci, il
distanza), sull’uso della verga per misurare una distanza e sull’identificazione di quella quale io fui contento; et il detto ne messe in luce un poco, tanto quanto il suo
verga con la «pariete, maestra e guida della prospettiva», come si legge in forma quasi ingegno potette capire»237.
lapidaria in un appunto che accompagna uno schema prospettico nel Codice Atlantico Il trattato Di prospettiva fu stampato da Serlio nel 1545 unitamente al Primo
(103br): «Quella linia dov’è segnata in testa a, si chiama l’occhio. Quella dov’è segnato Libro. Di Geometria, con la traduzione francese di Jean Martin, ed era il terzo
b, si chiama parete, cioè dove si tagliano tutte le linie che vengano all’occhio», e al importante contributo prospettico prodotto dalle stamperie francesi dopo il De
centro del disegno l’annotazione «Da misurare ogni distanza o altezza che tu vuoi» artificiali perspectiva del Viator (Jean Pélerin), stampato a Toul nel 1505, e l’edi-
(fig. 93)235. La convivenza tra principi teorici e esperienze pratiche era il fondamento del zione latina dell’Underweysung der Messung di Albrecht Dürer (1525), stampata
concetto di «scienza» applicato alla pittura che Leonardo espresse in una celebre sentenza a Parigi nel 1532, nel 1534 e nel 1535. Con la diffusione della stampa, la prospetti-
spesso parafrasata dagli autori successivi: «Quelli che s’innamorano di pratica sanza va divenne anche un genere editoriale in cui si coniugavano perfettamente il rigo-
scienza, sono come il nocchiere che entra in naviglio sanza timone o bussola, che mai re scientifico e la ricercatezza estetica. Accanto a testi e diagrammi geometrici si
ha certezza dove si vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teorica trovavano tavole xilografiche e incisioni in rame spesso di grande bellezza che in
della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene»236. qualche caso erano il vero pilastro dell’opera.
Il gusto da “libro d’arte” si avverte già nell’opera del Viator, ampiamente cor-
redata di belle tavole xilografiche che nella loro chiarezza espositiva compensano
la brevità dei testi, mostrando e dimostrando anche ciò che verbalmente è sotta-
ciuto238. Nelle tavole, ad esempio, si avverte una predilezione per la prospettiva
d’angolo che in Italia era diffusa soprattutto tra i pittori del Trecento (fig. 94). E il
metodo costruttivo (fig. 95), affidato all’uso di tre punti allineati sull’orizzonte
(«ligne orizontale») – uno centrale («point principal […] appelle fix, ou subject») e
due laterali «equidistans du subject» («appellez tiers points») – sembra tradire una
consuetudine di lunga data che già abbiamo avuto modo di attribuire ai pittori
della scuola giottesca ma che troviamo documentata con certezza solo nella sino-
pia della Natività di Paolo Uccello. Il termine tiers point deriva dalla tradizione
architettonica medievale, dove stava a indicare i due punti allineati sul piano d’im-
posta per il disegno degli archi acuti239. Il prestito terminologico potrebbe indicare

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J. Pélerin detto “Viator”,
De artificiali perspectiva,
Toul 1505, prospettiva 98 99

angolare «diffusa»;
costruzione con «tiers
poinct»; prospettiva
angolare «doppia»;
prospettiva angolare
«cornuta».

95 97 98 99 J. Pélerin detto
“Viator”, De artificiali
perspectiva, Toul 1505,
costruzione ausiliaria
per piani fortemente
scorciati; interno
colonnato.

la perpetuazione di una prassi di bottega basata sulla semplice esperienza pratica, posto, trasferendone successivamente la posizione sul pavimento scorciato della
volta a determinare la diminuzione dei piani in prospettiva attraverso l’intersezio- rappresentazione finale.
ne delle linee procedenti dai tre punti allineati. Dal testo del Viator, tuttavia, tra- Il successo dell’opera del Viator è testimoniato dalle varie edizioni che si sus-
spare una chiara consapevolezza del rapporto tra la posizione dei tre punti e quel- seguirono a distanza di pochi anni: un’edizione pirata inserita da Gregor Reisch
la dell’occhio dell’osservatore. Nei trattati successivi il «tiers point» sarà meglio nella Margarita Philosophica del 1508 con il titolo Introductio Architecturae et
definito come «punto di distanza». Perspectivae (ristampata anche nelle edizioni di Strasburgo, 1512, 1515, e di Basi-
Adottando un paragone già usato dal Filarete, il Viator invitava il lettore a lea, 1535, 1583); una seconda edizione a Toul nel 1509 con testo latino e francese
procedere come nella costruzione degli edifici: «Quant on veult edifier on com- a fronte (nell’edizione precedente il testo francese chiudeva il trattato, slegato
mence aux fondemens»240. dalle illustrazioni); un’altra edizione pirata in lingua tedesca, stampata a Norim-
I fondamenti stavano nella comprensione, seppur generale, dei principi geo- berga nel 1509 col titolo Under Kunst Perspectiva (ristampata nel 1540); una ter-
metrici della visione, ossia della piramide visiva, e della loro rappresentazione za edizione a Toul nel 1521 e una a Parigi nel 1562243. La seconda edizione di Toul
sul quadro. Nel porre i tre punti sull’orizzonte, il pittore tracciava la rappresen- era arricchita di nuove tavole, una delle quali raffigurava l’interno di una sala a
tazione dei tre «diametri della piramide» o «triangoli visuali» che abbracciava- colonne (fig. 99) che è stata segnalata come una versione corretta dell’ambiente
no l’oggetto frontalmente, da destra e da sinistra, ma questi tre triangoli non rappresentato da Albrecht Dürer nella Presentazione di Cristo al tempio, una
erano altro che la rappresentazione della stessa piramide vista frontalmente e xilografia del 1504-05 (fig. 100)244. Il Viator mostrava come la griglia ortogonale
di lato. I «tiers points» infatti dovevano essere collocati «selon le siege du fin- delle travi doveva essere governata dalla diagonale convergente a uno dei «tiers
gent et presente ou distant veue»241, cioè secondo la distanza dell’occhio dell’os- points», cosa che non si verifica nell’incisione di Dürer dove le diagonali degli
servatore. Lo scorcio era dunque definito dalla posizione dell’occhio che deter- spazi quadrati delimitati dalle travi risultavano convergenti verso punti diversi.
minava la forma delle figure così come la calamita determinava la direzione del- Quella di Dürer, tuttavia, fu una precisa scelta compositiva. I tre quadrati più lon-
l’ago magnetico: «Ainsi que lacuille dun horologe (dit quadrant) se pierre day- tani sono infatti governati da due punti laterali simmetricamente situati sull’o-
mant est circonduit»242. Il legame tra occhio e rappresentazione non poteva rizzonte rispetto a quello centrale. I quadrati più vicini sono governati da due
essere espresso in modo più chiaro. La «difference des sieges et veues» quindi punti diversi, ma anch’essi simmetricamente posti sull’orizzonte rispetto al «pun-
determinava le diverse forme della «perspective positive» che poteva essere to principale». È chiaro che, pur avendo scelto di trattare alcuni di questi “qua-
frontale o angolare, e quest’ultima a sua volta poteva essere «double» (angolo drati” (quelli più lontani o quelli più vicini) come rettangoli, il pittore tedesco
rientrante al centro) (fig. 96), «diffuse» (spigolo sporgente al centro) o «cornue» seguì la regola fondamentale che vuole le rette parallele (in questo caso le dia-
(vista dall’alto) (fig. 97). La bella serie di vedute allegate al testo mostra esempi gonali) convergenti verso lo stesso punto. Nel 1505, del resto, Dürer si appresta-
di interni ed esterni metodicamente disegnati con una costruzione ausiliaria del va a intensificare i suoi studi prospettici, pianificando quel famoso trattato che
pavimento visto da un punto di vista più alto (fig. 98). Questo raffinato espe- avrebbe segnato la prima tappa fondamentale della codificazione prospettica
diente consentiva di collocare con maggior precisione ogni elemento al suo rinascimentale.

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100 A. Dürer, Presentazione


di Cristo al tempio, xilografia,
1504-05. Collezione privata.

Albrecht Dürer

100
Gli studi prospettici di Dürer sono legati all’incontro con la cultura artistica italiana
avvenuto in due diverse occasioni, nel 1494 e nel 1505. Alla prima data risale il pri-
mo viaggio in Italia dell’artista, forse compiuto su invito dell’amico umanista Willi-
bald Pirckheimer allora studente a Pavia245. Dürer soggiornò soprattutto a Venezia,
dove forse eseguì le copie dalle incisioni mitologiche di Andrea Mantegna e Anto-
nio Pollaiolo che portano la data di quell’anno. Non sappiamo se ebbe modo di
incontrare Luca Pacioli, mentre forse fu già allora vicino alla cerchia di artisti e
matematici gravitanti intorno alla figura del mercante tedesco Antonio Kolb, il
committente della celebre veduta di Venezia oggi attribuita a Jacopo de’ Barbari
ma fino al XIX secolo ritenuta opera di Dürer (fig. 101)246. L’incontro col De’ Barba-
ri avvenne certamente a Norimberga nel 1500 tramite il mercante Kolb. Fu il pitto-
re veneziano a stimolare in Dürer l’interesse per le proporzioni della figura umana
mostrandogli «le figure dell’uomo e della donna, che aveva realizzato in accordo
al canone delle proporzioni»247. Per approfondire lo studio di questo argomento –
dato che «Jacopo, come vidi chiaramente, non mi avrebbe spiegato i principi cui
era giunto» – Dürer ricorse alla lettura di «Fitrufium» che «scrive alcune cose sopra
la figura umana»248.
È presumibile che fu proprio il desiderio di approfondire gli studi geometrici a
condurre il pittore tedesco nuovamente a Venezia nel 1505. Lì scoprì molti maestri
più bravi di «Maister Jakob [de’ Barbari]», riscoprendo con entusiasmo soprattutto
il lavoro di Giovanni Bellini che, benché molto vecchio, era «ancora il migliore in
pittura»249. Il polittico della Festa del Rosario, commissionatogli dai suoi connazio-
nali per la chiesa della nazione tedesca, San Bartolomeo, fu un incarico importan-
te che mise Dürer ben in vista nel panorama artistico veneziano. Bellini ebbe modo
di lodare pubblicamente il suo lavoro ed è probabile che l’interesse per la prospet-
tiva sia stato ulteriormente alimentato proprio dall’amicizia del vecchio pittore.
Bellini era un eccellente prospettico e possedeva certamente quel trattato di pro-
spettiva che Giovanni Fontana aveva scritto per il padre Jacopo, trattato che forse
Dürer ebbe modo di vedere250. Dal 1504, inoltre, circolava il De Sculptura di Pom-
ponio Gaurico che trattava con toni umanistici problemi come le proporzioni uma-
ne e la composizione prospettica. Le regole della prospettiva vi erano spiegate in
modo piuttosto criptico ma forse sufficientemente chiaro per chi operava nelle
botteghe e poteva riconoscervi i passaggi fondamentali251. È probabile che a Vene-

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102 103 104


101
101 J. de’ Barbari,
Venetie MD, xilografia, 1500.
Venezia, Museo Correr,
inv. Cl. XLIV, n. 56.

102 103 104 A. Dürer,


Dresdner Skizzenbuch,
ms., 1407-15, fol. 184r-v,
il metodo di Piero della
Francesca; foll. 91r-v, 93,
proiezione ortogonale
di una testa; fol. 177v,
il vetro. Dresda, Sächsische
Landesbibliothek, Ms. R-147.

zia già circolasse anche il De artificiali perspectiva del Viator, un’opera certamente euclidea che Dürer cominciò a studiare metodicamente fin dal suo ritorno a Vene-
più chiara e familiare, ma non sufficientemente esaustiva per i numerosi problemi zia. Pochi mesi dopo acquistò infatti una copia degli Elementi di Euclide nella tra-
quotidianamente affrontati dai pittori nello svolgimento della loro arte, e sicura- duzione latina di Bartolomeo Zamberti, un’edizione fresca di stampa che aveva il
mente non sufficientemente scientifica. pregio di contenere anche gli scritti di ottica e catottrica. L’artista annotò sul fron-
Il desiderio di saperne di più portò Dürer fino a Bologna, dove un maestro che tespizio «Questo libro ho comprato a Venezia per un ducato nell’anno 1507. Albre-
la critica non ha ancora individuato con certezza lo avrebbe introdotto ai segreti cht Dürer»257. Nel febbraio di quell’anno il pittore fece ritorno a Norimberga, dan-
della prospettiva. Di questo viaggio il pittore informò l’amico Pirckheimer in una do inizio a un lungo periodo di studi geometrico-proporzionali destinati alla com-
lettera del 13 ottobre 1506, nella quale gli annunciava di volersi recare «a Bologna pilazione di un ponderoso trattato sulla pittura dal titolo Lehrbuch der Malerei
per amore dell’arte della segreta prospettiva che qualcuno è disposto a insegnar- (Libro di pittura) o Speis der Malerknaben (Nutrimento degli apprendisti pittori)
mi. Mi fermerò lì per circa otto giorni e poi ritornerò a Venezia» 252. Sul “maestro diviso in sei parti: le proporzioni del corpo umano, le proporzioni del cavallo, i
bolognese” sono state avanzate varie ipotesi che vedono tra i possibili candidati gesti e movimenti, la prospettiva lineare, la teoria delle ombre e quella dei colo-
Donato Bramante, allora a Bologna al seguito di Giulio II, il matematico Scipione ri258. Da questo progetto derivarono le due pubblicazioni separate sulla geometria
del Ferro, titolare della cattedra di matematica dello Studio bolognese, il poco noto e prospettiva (Underweysung der Messung, 1525) e sulle proporzioni del corpo
Agostino delle Prospettive e soprattutto Luca Pacioli che, pur risiedendo a Firenze, umano (Vier Bücher von Menschlicher Proportion, 1528). Il progetto di Dürer era
si recava spesso a insegnare a Bologna ed era legato in amicizia con Galeazzo da ambizioso non solo per i paesi di lingua tedesca – dove le semplici istruzioni della
San Severino che a Norimberga era stato ospite di Pirckheimer253. A favore di un Geometria deutsch di Mathaus Roriczer, stampata verso il 1500, rappresentavano
incontro con Luca Pacioli vi sarebbe anche la conoscenza non superficiale da parte lo standard delle regole di bottega – ma anche per la teoria dell’arte fino ad allora
di Dürer degli studi prospettici di Piero e Leonardo. Alcuni fogli del “Taccuino di prodotta in Italia. Solo il Libro di Pittura di Leonardo, in fase di compilazione in
Dresda”, che gli studiosi fanno risalire al periodo del viaggio a Bologna, mostrano quegli stessi anni, offriva un adeguato termine di paragone.
Dürer impegnato nello studio del «primo modo» di Piero della Francesca, ossia la Un disegno datato 1507 mostra le proporzioni di una figura femminile gover-
costruzione delle figure per mezzo della diagonale (fig. 102)254. A Piero rimandano nate da un triangolo proporzionale digradato prospetticamente, poi illustrato nel-
anche gli studi stereometrici della testa umana e la sua rappresentazione in tripla l’Underweysung259. Dopo il 1509 vediamo il pittore alle prese con i «tiers poincts»
proiezione ortogonale che il pittore tedesco eseguì tra il 1507 e il 1512 (fig. 103)255. del Viator, magistralmente utilizzati nell’incisione del San Gerolamo nello studio
Agli studi di Leonardo vanno invece riferiti i disegni delle proporzioni del corpo del 1514 (fig. 105). Del 1512 è un disegno della testa in tripla proiezione ortogona-
umano secondo lo schema del cosiddetto “uomo vitruviano”, le tipologie fisiogno- le secondo lo schema illustrato nei Vier Bücher260. E del 1514 e 1515 sono i disegni
miche, i disegni anatomici, i cosiddetti “nodi” (intrecci decorativi elaborati da Leo- del «vetro» poi riprodotti alla fine del quarto libro dell’Underweysung (fig. 106)261.
nardo nel periodo milanese su un’invenzione di Bramante) e, per quanto concerne Gli studi geometrici di Dürer erano condotti in stretto rapporto con l’attività dei
la prospettiva, il progetto di uno strumento prospettico che Dürer chiamava «glaß» matematici e astronomi norimberghesi. Dalla sua bottega uscirono le splendide
del tutto analogo al «vetro» del maestro toscano (fig. 104)256. incisioni degli emisferi celesti australe e boreale (fig. 107), eseguite per l’astrono-
mo Konrad Heinfogel nel 1515 su disegni in parte di mano di Dürer del 1503262.
Gli studi geometrici Conosceva bene inoltre la ricca biblioteca di Regiomontano, acquisita e ammini-
A giudicare dagli appunti di quel periodo, gli «otto giorni» bolognesi furono mol- strata dall’amico Pirckheimer dopo la morte del grande astronomo e geografo; nel
to proficui e dovettero porre il pittore di fronte alle difficoltà della geometria 1523 Dürer avrebbe acquistato da quella biblioteca alcuni libri «tanto utili ai pitto-

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105 A. Dürer, San Gerolamo


nello studio, xilografia, 1514.
Dresda, Staatliche
Kupferstichkabinett.
ri e apprezzati da Willibald Pirckheimer»263. Oltre alle carte del cielo, nel 1515 Dürer
eseguì anche uno splendido globo terrestre in veduta prospettica per l’astronomo 106 A. Dürer, Underweysung
der Messung, Nürnberg
Johann Stabius (fig. 108). Si tratta di un disegno magistrale per la cui realizzazione 1525, lib. IV, il vetro.
fu certamente necessaria la paziente e snervante opera di intersezione illustrata
da Piero della Francesca della costruzione prospettica della testa umana264. 107 A. Dürer, Emisfero
boreale, xilografia, 1515. 107
È stato proposto che il pittore tedesco si sia abilmente servito del «vetro» per Firenze, Gabinetto Disegni
ritrarre dal vero un globo terrestre del tipo che proprio a Norimberga Martin e Stampe degli Uffizi,
5069 St. sc.
Behaim aveva per la prima volta costruito nel 1492265. Gli studi sul «vetro» sono
infatti contemporanei all’esecuzione di questo disegno. Data la distanza del punto 108 A. Dürer, Globo
di vista, circa 176 cm dal quadro, Dürer avrebbe però dovuto usare il «vetro» con terrestre, xilografia, 1515.
Londra, British Library.
l’ausilio di uno speciale mirino inventato da un certo Jacob Keser che appare illu-
strato nel “Taccuino di Dresda” (fig. 109), descritto in un altro “Taccuino” ora al
British Museum e debitamente riprodotto nella seconda edizione dell’Underwey-
sung266. È probabile che Dürer abbia seguito sia il procedimento meccanico sia
quello geometrico. Una costruzione per il disegno prospettico del globo terrestre
è infatti riconoscibile nel “Taccuino di Dresda”, dove il globo appare disegnato in
pianta con i tre circoli equatoriale, tropicale e polare (fig. 110)267. L’equatore è divi-
so per metà in 36 parti di 5° ciascuna, come nel disegno per Stabius, e sul quarto
sinistro sono tracciate le linee prospettiche per proiettare le divisioni dell’equatore
sul quadro. Il quadro non si trova davanti al globo, dove le intersezioni sarebbero
risultate troppo minute, ma all’interno di esso, in corrispondenza del punto di tan-
genza del raggio visivo più esterno con la sfera. Data l’estensione piramidale dei
raggi visivi, l’occhio non coglie tutta la metà del globo ma solo una parte di esso
che in questo caso abbraccia 30 divisioni (ossia 150°), esattamente come nel globo
per Stabius. La convergenza dei raggi visivi indica un rapporto di 1:2 tra il diame-
tro apparente del globo e la distanza di osservazione, rapporto che nel disegno
finito risulta invece essere di quasi 1:3.
108
Al di là del metodo adottato, l’esecuzione del disegno è un saggio di bravura che

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109 110 111


109 110 A. Dürer, Dresdner
Skizzenbuch, ms., 1407-15,
fol. 178r, il vetro di J. Keser;
fol. 99r, disegno preparatorio
per il globo terrestre. Dresda,
Sächsische Landesbibliothek,
Ms. R-147.

111 A. Dürer,
rappresentazione del globo
terrestre secondo il terzo
metodo tolemaico
(C. Tolomeo, Claudii
Ptolomaei Geographicae…,
Argentorati 1525, VII, 6-7).

non teme rivali, certamente apprezzato da Pietro Apiano che ne pubblicò una ver- allo svolgimento della sua attività pittorica, sono testimoniati dai tre trattati che
sione semplificata nella sua Cosmographia del 1529268. Le numerose ellissi che for- videro la luce tra il 1525 e il 1528, anno della morte dell’artista: l’Underweysung
mano la rete di meridiani e paralleli dovettero impegnare il pittore anche sul pia- der Messung (Norimberga 1525), tradotto e pubblicato in latino da Johachim
no strettamente esecutivo, e non è da escludere che a questo problema sia legato Camerarius nel 1532 col titolo Institutiones geometricae, e poi ripubblicato in
il progetto di un compasso per ellissi presente nel “Taccuino di Dresda”269. Al dise- tedesco, in edizione ampliata, nel 1538; i Vier Bücher von Menschlicher Propor-
gno delle curve Dürer dedicò molta attenzione e tra i suoi appunti, così come tion (Norimberga 1528), pubblicati postumi dall’amico di sempre, Willibald
nell’Underweysung, troviamo svariati compassi di nuova invenzione che legano Pirckheimer (anche quest’opera fu pubblicata in latino dal Camerarius nel 1532); e
ancora una volta le sue ricerche a quelle di Leonardo: sono presenti un compasso il trattato sulle fortificazioni, Etliche Underricht von Befestigung der Stett, Schloss
per epicicloidi, che Leonardo disegnò nel Codice Arundel per agevolare il disegno und Flecken (Norimberga 1527), che rende conto della competenza tecnica di
degli ingranaggi per orologi planetari e macchine molatrici270; un compasso per Dürer in un campo insospettato come quello dell’architettura militare (anche que-
spirali destinato certamente al disegno delle volute ioniche e simili dettagli deco- sto pubblicato in latino dal Camerarius nel 1535). Dal punto di vista della rappre-
rativi271; e un compasso di riduzione che Leonardo disegnò in diverse varianti nel sentazione quest’ultima opera si distingue per l’uso metodico delle proiezioni
Codice Atlantico272. A Leonardo e al suo disegno del pittore che ritrae con il «vetro» ortogonali secondo il sistema pianta-alzato-sezione che poi diventerà una regola
una sfera armillare sembra rimandare anche l’altra prodezza cartografica che fondamentale del disegno di architettura (fig. 112). Questo metodo di rappresen-
Dürer eseguì per l’amico Pirckheimer, vale a dire la rappresentazione della terra tazione è dominante anche nel trattato sulle proporzioni del corpo umano dove,
nella sfera armillare secondo il terzo metodo cartografico di Tolomeo (fig. 111). diversamente, sarebbe stato impossibile controllare i gesti e le pose delle figure o
Questo disegno fu incluso da Pirckheimer nella sua edizione della Geographia alterarne le proporzioni in rapporto alle condizioni di osservazione (frontale o dal
stampata a Norimberga nel 1525, copiato da Pietro Apiano nella Cosmographia basso) e al piano pittorico (una nicchia o una volta). In quest’ultimo caso Dürer
del 1529 e ripreso ancora nella traduzione italiana del Mattiolo (1548)273. Ad asso- fece esplicito riferimento alle deformazioni prodotte dagli specchi concavi e con-
ciare questa rappresentazione all’uso del vetro fu uno dei maggiori cosmografi del vessi, e intersecò la piramide visiva, che toccava i punti di una figura ben propor-
Cinquecento, Reiner Gemma Frisius, che nel tentativo di chiarire le ragioni proiet- zionata, con un piano di sezione concavo o convesso, a seconda se voleva allun-
tive del planisfero tolemaico ricorse proprio allo strumento di Dürer: «Questo arti- garne o accorciarne le proporzioni (fig. 113) 275. Le intersezioni sul piano curvo
ficio [ottico] ce lo mostrano quotidianamente i pittori, e ne scrive bellissimi esempi venivano trasferite su una verticale che rappresentava il vero piano pittorico (in
l’illustre pittore e matematico Albertus Durerus. Egli insegna in che modo si possa questo caso non coincidente con il piano di sezione); mentre però le misure verti-
descrivere in piano qualunque oggetto osservato attraverso una superficie piana cali venivano alterate, quelle trasversali restavano invariate dando luogo alla sen-
come una finestra […] Così noi possiamo descrivere sulla superficie del vetro una sibile forma affusolata o ingrossata delle figure. In modo appropriato, questa
sfera armillare con i suoi circoli […] Una simile ragione è seguita da Tolomeo nel figura prospettico-proporzionale è chiamata «pervertente». «Variante» è invece il
primo libro della Geografia […] e nel settimo […] dove Tolomeo insegna a defor- termine che distingue il triangolo proporzionale adottato anche per operazioni di
mare in piano la superficie della terra abitabile»274. “stereotomia” del corpo umano, sezionato a blocchi, analizzato e ricostituito
I risultati del lavoro infaticabile di Dürer, condotto nel corso degli anni accanto come pura entità geometrica276. Analogo valore hanno le griglie deformate, al

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112 113
112 A. Dürer, Etliche 114 A. Dürer, Underweysung
Underricht…, Nürnberg der Messung, Nürnberg 114 115
1527, p. C iv, proiezione 1525, lib. I, fig. 38, curva
ortogonale di una fortezza. per la copertura delle torri.

113 A. Dürer, Vier Bücher 115 N. Kratzer, De Horologis,


von Menschlicher Proportion, ms., ca. 1517, c. 7v, orologio
Nürnberg 1528, lib. III, solare poliedrico. Oxford,
c. S, controllo geometrico Corpus Christi College,
delle proporzioni umane. Ms. CCC 152.

116 117 118 A. Dürer,


Underweysung der Messung,
Nürnberg 1525, lib. III, fig.
25, orologio solare poliedrico;
lib. III, fig. 28, correzione
ottica per le iscrizioni; lib. III,
fig. 34, sviluppo della sfera.

limite dell’anamorfosi, per allungare, allargare e obliquare la conformazione del- dimostrazione di come si costruisse la voluta ionica. Dürer espose ben sei diversi
la testa umana in relazione alle diverse caratteristiche fisiche ed espressive degli metodi per ottenere la curva più elegante con la corretta diminuzione del listello
individui. Le caricature di Leonardo trovano in questo caso un preciso corrispetti- verso l’occhio della voluta. E proseguì con una serie di istruzioni sulla divisione del-
vo geometrico. la linea, sul disegno di un «uovo», sulla determinazione del centro di un arco e del-
la tangente al cerchio, sulla costruzione di una curva per la copertura delle torri
Gli «Ammaestramenti sulla misurazione» (fig. 114), sul disegno dell’ovale derivato dal cerchio e sulle sezioni coniche. Ela-
Come i Vier Bücher, anche l’Underweysung era dedicato «al mio caro maestro e borò anche tre speciali compassi appositamente inventati per il disegno di una
amico, Willibald Pirckheimer», a cui l’artista dichiarava il suo proposito di voler «linea a conchiglia» (Muschellinie), una «linea di ragno» (Spinnenlinie) e una
educare i giovani pittori tedeschi ai principi dell’arte della pittura. In Germania gli «linea serpentina» (Schlangenlinie). La seconda curva è l’epicicloide per la costru-
artisti erano cresciuti «come alberi non potati», essendosi perduti i segreti dell’ar- zione della quale, come già ricordato, anche Leonardo aveva inventato un com-
te che «nel corso dei due secoli passati furono finalmente riscoperti dagli Italia- passo speciale279.
ni»277. Il libro era indirizzato «non solo ai pittori, ma anche agli orafi, agli scultori, Il secondo libro è dedicato alla costruzione dei poligoni regolari e di figure
ai tagliapietre, ai carpentieri e a tutti coloro che usano le misure». I quattro libri diverse di area equivalente, mentre il terzo, sui corpi, si apre con una lunga digres-
che compongono questi «Ammaestramenti sulla misurazione col compasso e con sione architettonica sulla costruzione delle colonne secondo gli insegnamenti di
la riga, nelle linee, nei piani e nei corpi interi, composti da Albrecht Dürer per tut- «quell’antico romano Vitruvio» che scrisse sulla «stabilità, utilità e ornamento
ti gli amanti dell’arte» illustrano i problemi geometrici relativi alle linee, ai poligo- degli edifici»280. La trattazione non è solo funzionale alla rappresentazione pittori-
ni, ai solidi generici e ai cinque corpi regolari euclidei; l’ultimo libro si chiude con ca; essendo indirizzato anche a costruttori e tagliapietre, il libro insegna a dise-
la trattazione della prospettiva. gnare correttamente, in funzione della costruzione, basi, capitelli, fusti con entasi
Come già Alberti e gli scrittori quattrocenteschi di prospettiva lineare, Dürer si o elicoidali, piedistalli e altri particolari decorativi in cui le proporzioni classiche si
trovò ad affrontare le difficoltà del volgare nell’esposizione di una materia che fondono con il disegno goticheggiante ancora in voga nei paesi germanici. «Ai
tradizionalmente si insegnava in latino e aveva in quella lingua nomi ben definiti tagliapietre, pittori e carpentieri è anche utile sapere come si disegna un orologio
per ogni singolo elemento. Conciliando i suggerimenti degli amici umanisti con il solare su una torre»281, tema per il quale Dürer sembra ricavare le necessarie infor-
linguaggio delle botteghe, gli elementi euclidei divennero oggetti reali come i mazioni dal De Horologis di Nicolaus Kratzer (fig. 115), un manoscritto inedito
«denti di cinghiale» (Eberzähne) che esprimevano un angolo formato da due archi, composto intorno al 1517 da cui derivano chiaramente i relativi disegni dell’Un-
la «linea a chiocciola» (Schneckenlinie) che indicava la spirale, la «linea a forchet- derweysung (fig. 116)282. Si può notare come la proiezione delle linee orarie dal
ta» (Gabellinie) che indicava l’iperbole, o la «linea ardente» (Brennlinie) che indi- cerchio massimo dell’equatore al piano dell’orologio segua la stessa logica geome-
cava la parabola «perché se si costruisce uno specchio secondo questa linea [Bren- trica precedentemente adottata per controllare la costruzione della spirale, per
spiegel], esso è in grado di accendere il fuoco»278. Alla spirale Dürer dedicò svariate disegnare l’entasi delle colonne e, successivamente, per aumentare la dimensione
pagine nel tentativo forse di risolvere uno di quei problemi oscuri che scandivano delle lettere nelle iscrizioni da collocare a grande altezza (fig. 117). Era l’occasione
la sua appassionata lettura di Vitruvio il quale nel De architectura aveva omesso la per introdurre un nuovo tema italiano, quello delle «litterae antiquae» per la cui

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costruzione Dürer si rifece ampiamente al De divina proporzione di Luca Pacioli, uscenti dall’occhio. La distanza del piano trasparente dall’occhio determinava la
elaborando un metodo personale solo per la costruzione delle lettere gotiche, la dimensione del disegno.
cui serie chiude l’esposizione del terzo libro. Il procedimento adottato corrisponde al «secondo modo» di Piero della Fran-
Proseguendo la descrizione dei corpi nel quarto libro, Dürer si occupò di quelli cesca (fig. 119). Dürer disegna il cubo in pianta e in alzato, stabilendo anche la
che «Euclide chiama corpora regularia, descrivendone cinque tipi, poiché solo cin- posizione della fonte luminosa che consentiva di rappresentarne l’ombra propria
que sono quelli che si possono mettere in una sfera in modo che tutti i loro spigoli e portata nelle due proiezioni. Poi stabilisce la distanza dell’occhio rappresentan-
tocchino la superficie di quella»283. Di ogni poliedro, compresa la sfera, Dürer fornì done la posizione in entrambe le proiezioni: l’occhio in alzato «misura l’altezza, la
la rappresentazione in pianta e alzato e lo sviluppo delle facce che lo compongo- profondità o la distanza» dell’oggetto, mentre quello disegnato in pianta, «sulla
no. Per la sfera fornì sostanzialmente lo schema costruttivo di un globo terrestre, verticale» del primo, «misura la larghezza»286. Disegnati i raggi visivi e posizionato
con la divisione in fusi correntemente adottata dai cartografi (fig. 118). Segue la il piano trasparente, «che è rappresentato nel disegno da una linea verticale», il
serie dei corpi irregolari, di cui abbiamo il solo sviluppo, e un altro problema che pittore vi proietta ortogonalmente la posizione dell’occhio, tracciando su di esso
«nessuno ha ancora spiegato in lingua tedesca», il cosiddetto problema Delio, altri due «occhi», ossia la posizione del punto di fuga centrale nelle due proiezio-
ossia la duplicazione del cubo. Il dilemma posto agli Ateniesi dall’oracolo di Apollo ni ortogonali: «Questi quattro occhi, tuttavia, rappresentano un solo occhio»287,
era stato risolto da Platone con la determinazione dei medi proporzionali successi- cioè sono proiezioni piane di un punto nello spazio. Il disegno prospettico è ese-
vamente spiegati da Euclide «nel suo sesto libro all’ottava proposizione». Con quel guito su un altro foglio, disegnando dapprima due linee ortogonali all’intersezio-
«segreto» si potevano «fondere archibugi e campane, ingrandendoli e duplican- ne delle quali è posto l’occhio «che qui prende il posto dei quattro occhi tracciati
doli pur mantenendo inalterate le loro proporzioni e il loro peso»284. nel precedente disegno» (fig. 120). Per facilitare il trasporto dei punti di interse-
«Avendo dimostrato come costruire vari tipi di solidi, desidero ora insegnarvi zione, Dürer suggerisce di usare due compassi, uno per la pianta e l’altro per l’al-
come rappresentarli in pittura e, a questo scopo, sceglierò il più semplice di essi, zato. Di un qualsiasi punto di intersezione viene presa la distanza dall’occhio
ossia il cubo, che servirà di esempio per tutti gli altri.» Così comincia l’ultima sezio- (quello sul piano trasparente) nelle due proiezioni e riportata sulle rispettive orto-
ne del quarto libro dedicata alla prospettiva lineare, dove «parlerò anche della gonali del disegno prospettico, puntando i compassi nell’occhio. Puntando nuova-
luce e dell’ombra». E il primo passo consisteva nel disegnare il cubo in proiezione mente i compassi sui punti ottenuti e incrociando le misure, si ottiene la posizione
ortogonale, secondo «il procedimento dei tagliapietre»285. Alle tecniche di rappre- prospettica del punto in questione: «poi unisci tutti i punti con linee rette e vedrai
sentazione dei tagliapietre, Dürer fece riferimento anche nella dedicatoria dei Vier il risultato».
Bücher a Pirckheimer («chiunque voglia affrontare lo studio delle proporzioni «Questo – spiega Dürer – è il modo corretto di rappresentare un oggetto in pit-
dovrà avere ben assimilato il modo di misurare e aver compreso come tutte le cose tura», tuttavia, «descriverò un secondo e più breve modo [ein anderen und nehe-
devono essere estratte dalla loro pianta e alzato, secondo il metodo quotidiana- ren weg]» per ottenere lo stesso risultato in maniera altrettanto corretta. Questo
mente praticato dai lapicidi»), lasciando intendere che ciò che lui codificava in metodo era simile a quello descritto dall’Alberti. Dürer tracciava una linea oriz-
modo esemplare, per la prima volta in un libro a stampa, derivava dalla lunga tra- zontale (la linea di terra) e vi segnava sopra l’estensione del quadrato visto di pro-
dizione di bottega dei cantieri edilizi. Per rappresentare un oggetto era necessario filo (fig. 121). Poi stabiliva la posizione dell’occhio sul quadro («ein nahes aug») e
determinare il «punto dell’occhio», posizionare l’oggetto, disporre la luce «senza tracciava da quel punto delle linee fino ai punti del quadrato sulla linea di terra,
la quale nulla si può vedere» e immaginare un piano trasparente («ebne durchsi- ottenendo così la rappresentazione prospettica dei lati in scorcio. Per stabilire dove
chtige»), posto tra l’occhio e l’oggetto, che taglia («abschneydung») tutte le linee si trovava il quarto lato in profondità, disegnava un «secondo occhio» («ein ander
aug») a una determinata distanza, ossia l’occhio visto di profilo, e stabiliva la posi-
zione del quadro tra l’occhio e l’oggetto, rappresentandolo con una linea vertica-
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le. Tracciato il raggio visivo che unisce il «secondo occhio» al punto più lontano del
piano quadrato, là dove il raggio intersecava il quadro di profilo, era tracciata una
retta orizzontale che, intersecando le prime due convergenti al punto di fuga,
determinava il disegno del quarto lato. Per collocare il cubo su questo piano qua-
drato, Dürer sembra far ricorso al «primo modo» di Piero, il metodo della diago-
nale, anche se non si può asserire con certezza. Il cubo infatti si trova esattamente
sulla diagonale del piano quadrato, costituendo un caso particolare che semplifica
notevolmente la procedura. Il metodo di Piero fu aggiunto da Pirckheimer nell’e-
dizione ampliata del 1538288.

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Per completare l’opera, Dürer insegna a disegnare l’ombra del cubo, ridisegnando non, più semplicemente, una generica fonte luminosa. Il termine usato nel testo è
l’intera rappresentazione e commettendo un errore grafico che ha sollevato non sempre e soltanto liecht. È pur vero che Daniele Barbaro, nel copiare questa tavo-
poche perplessità da parte della critica (fig. 122c). In questo disegno la diagonale la per il suo trattato di prospettiva, disegnò la fonte luminosa inconfondibilmente
del piano quadrato coincide con il raggio visivo proveniente dal «secondo occhio», come un Sole, raffigurandolo, secondo l’iconografia tradizionale, come un volto
dando a intendere che il disegno sia stato costruito con il metodo del punto di umano incoronato di raggi290.
distanza. In realtà non è così. Data la vicinanza del punto di fuga al quadro di pro- Il trattato si chiude con la descrizione di due strumenti prospettici che lasciaro-
filo, la diagonale e il raggio visivo risultano essere quasi coincidenti, ma è evidente no un segno profondo nella letteratura tecnico-scientifica del XVI e XVII secolo: il
da quanto descritto in precedenza che non lo sono. È probabile che in questo nuo- «vetro» (fig. 106), già progettato compiutamente nel 1515, e lo «sportello», così
vo disegno Dürer abbia voluto semplificare i tracciati per non creare confusione in chiamato dai teorici rinascimentali per la sua particolare conformazione (fig. 123).
un punto già carico di linee, dando per scontato che il lettore avesse capito il pro- Del primo abbiamo già detto a proposito dell’analogo strumento di Leonardo. Il
cedimento. E lo stesso problema di rappresentazione ha sollevato altrettante per- secondo merita invece maggiore attenzione, poiché si tratta della prima e più sod-
plessità circa una presunta confusione da parte di Dürer sulla tecnica di proiezione disfacente espressione meccanica del principio di intersezione dei raggi visivi. Qui
delle ombre che qui troviamo per la prima volta compiutamente affrontata 289. il pittore non doveva restare immobile davanti all’oggetto poiché il suo occhio era
Nella prima tavola, l’artista disegna l’ombra del cubo in pianta e prospetto, ingegnosamente sostituito da un chiodo piantato nel muro. Il raggio visivo era
localizzando con precisione la sorgente di luce puntiforme. Nella seconda tavola il rappresentato da un filo che si estendeva dal chiodo all’oggetto. Il quadro era rap-
cubo e la sua ombra sono disegnati in prospettiva con il primo metodo. Nella ter- presentato da un telaio che portava incernierato uno sportello con il foglio da
za tavola la sorgente luminosa è rappresentata nella sua posizione elevata e nella disegno. E l’intersezione del raggio visivo era misurata da due fili tesi ortogonal-
sua proiezione sul piano orizzontale. Le linee che da quei due punti toccano gli mente all’interno del telaio. «Ora spiegherò – scrive Dürer – come si possa disegna-
spigoli del cubo in prospettiva, e si prolungano fino al piano orizzontale interse- re qualsiasi oggetto che non sia troppo lontano dalla vista, con l’aiuto di tre fili» 291.
candosi a vicenda, circoscrivono l’ombra del cubo. Nella quarta e ultima tavola, Un assistente tendeva il filo visivo fino a un punto dell’oggetto. Il maestro sistema-
troviamo il disegno finito, senza linee di costruzione e con un tocco pittorico nella va i fili ortogonali in modo da farli incrociare in corrispondenza del primo filo. L’as-
sfumatura dell’ombra portata e nella rappresentazione della sorgente luminosa sistente rilasciava il filo visivo e chiudeva lo sportello. Il maestro tracciava sul foglio
in forma di Sole. Se da un lato in quest’ultima tavola si può ravvisare la sensibilità il punto di intersezione dei due fili ortogonali. L’operazione andava ripetuta per
di Dürer verso il fenomeno della diffrazione che produce uno schiarimento del- tutti i punti significativi dell’oggetto fino alla sua completa rappresentazione. È
l’ombra nelle parti più vicine alla luce, dall’altro si manifesta, come la critica ha probabile che anche questa celebre invenzione derivasse dalle conoscenze carto-
puntualmente sottolineato, un’evidente incompatibilità tra questo disegno e le grafiche di Dürer. Un simile telaio con i bordi graduati e due fili ortogonali è illu-
tavole precedenti dove la sorgente luminosa è chiaramente puntiforme e a distan- strato nella Cosmographia di Pietro Apiano come strumento per il disegno di map-
za finita. In quella posizione, infatti, il Sole avrebbe prodotto un’ombra più lunga pe corografiche; i fili servivano a identificare la posizione di un luogo in base alle
poiché, trovandosi a distanza infinita, la sua proiezione orizzontale si sarebbe sue coordinate geografiche292.
dovuta trovare sulla linea dell’orizzonte. Questa “svista” ha fatto sospettare l’esi- Nell’edizione ampliata del 1538 questa sezione finale fu arricchita di due nuovi
stenza di un problema di fondo circa la comprensione della differenza tra sorgen- strumenti trovati da Pirckheimer tra gli appunti di Dürer: la «rete» e una nuova
te di luce puntiforme e sorgente a distanza infinita, ma si dovrebbe dimostrare versione del «vetro». Il primo non era altro che il «velo» di Alberti cui Dürer
che in questa tavola Dürer abbia voluto effettivamente rappresentare il Sole e aggiunse un mirino per fissare in modo inconfutabile il punto di vista (fig. 49). La

119 120 121


119 120 121 A. Dürer,
Underweysung der Messung,
Nürnberg 1525, lib. IV,
fig. 56, il metodo
dell’intersezione; lib. IV, fig.
57, il metodo completo; lib.
IV, fig. 59, la «via più breve».

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122
122 123 A. Dürer,
Underweysung der Messung,
Nürnberg 1525, lib. IV, figg. 52,
56, 58, 61, proiezione delle
ombre; lib. IV, lo «sportello»,
xilografia, 1525.

124 A. Dürer, Underweysung


der Messung, Nürnberg 1538,
lib. IV, il vetro di J. Keser.
123 124
125 W. Jamnitzer, Perspectiva
corporum regularium, Nürnberg
1567, p. LIIr, composizione
di poliedri.

126 J. Amman, Ritratto


di W. Jamnitzer con il
suo strumento prospettico,
xilografia. Monaco, Staatliche
Graphische Sammlung,
inv. 16995 D.

griglia tracciata sul foglio da disegno diventava in questo caso un tracciato pro- ni prospettiche. Questi libri, generalmente conosciuti come Kunstbüchlein, erano
porzionale per ingrandire i disegni alla scala del dipinto, risolvendo il problema scritti prevalentemente in tedesco e il testo era spesso una breve spiegazione
dei cartoni per affreschi di grandi dimensioni. Il cartone poteva essere composto di didascalica delle numerose tavole illustrative294. Prima dell’edizione latina dell’Un-
vari fogli, ognuno corrispondente a una maglia della rete, da collocare separata- derweysung comparvero il Visierbuch di Ulrich Kern (Strasburgo 1531) e la Per-
mente sulla parete da dipingere. Il secondo consisteva in un particolare visore spectiva di Hieronimus Rodler, probabile pseudonimo di Johann II di Baviera (Sim-
inventato da un certo Jacob Keser, personaggio che Dürer raccomandava alle gra- mern auf dem Hausbruch 1531). Successivamente uscirono la Geometria di Augu-
zie divine per questa sua utilissima invenzione (fig. 124). Il visore in effetti consen- stin Hirschvogel (Norimberga 1543), la Newen Perspectiva di Walter Ryff (Norim-
tiva di disegnare sul vetro pur collocando il punto di vista a qualsiasi distanza. berga 1547), la Perspectiva di Heinrich Lautensack (Francoforte 1564), la
Come nello «sportello», l’occhio era rappresentato da un chiodo piantato nel Perspectiva literaria e la Perspectiva di Hans Lencker il Vecchio (Norimberga 1567
muro. Lì era legato un filo che terminava con il dispositivo di Keser che consisteva e 1571), la Geometria et Perspectiva di Lorenz Stoer (Augusta 1567), la Perspectiva
in un listello alle cui estremità si trovavano un mirino e un oculare attraverso cui il corporum regularium di Wentzel Jamnitzer (Norimberga 1568), la Praxis Perspec-
pittore rimirava i vari punti dell’oggetto. Una volta stabilita la distanza di osserva- tivae di Lucas Brunn (Lipsia 1595) e la Geometria und Perspectiva di Paul von Hel-
zione, il mirino doveva essere regolato in modo da trovarsi sulla stessa linea che fenfeld Pfintzing (Norimberga 1599).
univa il chiodo all’oculare. L’occhio del pittore veniva così a interporsi tra il chiodo, Di questa serie di manuali, la Perspectiva dell’orafo norimberghese Wentzel
che era il vero punto di vista, e il punto rimirato che poteva in questo modo essere Jamnitzer rappresenta il risultato più raffinato. Il testo, di appena tre pagine,
facilmente disegnato sul vetro. Lo strumento così concepito superava i limiti del introduce una serie di splendide incisioni in rame che illustrano complesse compo-
«vetro» precedente che obbligava a una distanza dal quadro ravvicinata, ma supe- sizioni di corpi regolari e irregolari perfettamente disegnate in prospettiva (fig.
rava anche i limiti dello sportello che, data la flessibilità del filo, poteva essere usa- 125). Gran parte delle incisioni si devono a Jost Amman, uno dei pionieri del libro
to solo per ritrarre gli oggetti vicini. In un’incisione di Jost Amman, lo strumento di illustrato tedesco, che siglò con le proprie iniziali undici di queste tavole. Ad
Keser è illustrato mentre viene usato da un pittore-topografo per ritrarre una città Amman si deve anche un ritratto di Jamnitzer destinato forse a illustrare un secon-
dall’alto di una collina293. do volume, mai composto, in cui l’autore intendeva esporre i principi teorici della
prospettiva (fig. 126)295. Nel ritratto Jamnitzer è raffigurato mentre usa uno stru-
I Kunstbüchlein mento prospettico presumibilmente di sua invenzione. Era un apparecchio ben
Il successo editoriale dell’Underweysung – due edizioni in tedesco e ben quattro diverso da quelli proposti da Dürer, e operava in un modo del tutto inedito e inno-
in latino nell’arco di trenta anni – produsse l’effetto voluto dall’autore. Artisti, vativo, consentendo di ritrarre un oggetto di cui il pittore possedeva soltanto la
tecnici e matematici dell’area tedesca prestarono l’attenzione dovuta alle regole rappresentazione in pianta e prospetto. Si può supporre che l’autore ne abbia fat-
della rappresentazione producendo a loro volta piccoli manuali di uso pratico e, to uso per evitare di costruire i difficili modelli tridimensionali dei poliedri rappre-
talvolta, bellissimi libri d’arte concepiti come raccolte di straordinarie composizio- sentati nelle sue incisioni, ma anche con lo strumento in questione i suoi disegni

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Sebastiano Serlio

restavano dei veri tour de force. Dallo «sportello» di Dürer derivava certamente Un autore che potrebbe aver intrecciato i suoi studi sulla prospettiva con quelli di Dürer
l’idea del filo visivo ma tutto il resto era di nuova concezione. Il filo scorreva in un è Sebastiano Serlio (ca. 1475 - ca. 1554), bolognese di nascita e attivo come pittore
occhiello alla sommità di uno stativo che fungeva da punto di vista. Una sua estre- nella città emiliana quando Dürer vi si recò nell’autunno del 1506. Della prima attività
mità era legata a un cursore scorrevole su un’asta verticale fissata a una base con di Serlio sappiamo troppo poco per poter dire se i due artisti, quasi coetanei, ebbero
impugnatura. Alla base dell’asta si trovava un indice che il pittore posizionava su modo di incontrarsi, ma il fatto non è da escludersi299. Serlio lasciò Bologna solo
un punto qualsiasi della pianta dell’oggetto. Il cursore veniva fermato all’altezza dopo la caduta dei Bentivoglio, forse già alla fine del 1506, e si recò a Pesaro dove
indicata per quel punto nel prospetto appoggiato allo stipite della finestra. Sul collaborò con un grande prospettico della cerchia di Bramante, Girolamo Genga, cui
davanzale è visibile il compasso che serviva a misurare le altezze per regolare il si deve la prima scenografia prospettica tridimensionale di cui si abbia notizia, messa
cursore. Il filo terminava quindi nel punto in cui si sarebbe trovato quello spigolo in scena a Urbino nel 1513 per la Calandria del Bibiena300. Prima del 1520 tornò a
del poliedro nel caso in cui il pittore avesse ritratto l’oggetto reale. Il pittore uti- Bologna, dove frequentò una cerchia di umanisti vicini ai Bentivoglio, tra i quali il suo
lizzava poi una seconda asta verticale, scorrevole orizzontalmente in una guida futuro erede universale, Giulio Camillo Delmino. Dal 1525 fu sicuramente a Roma dove
ricavata nel tavolo da lavoro, per fissare con un altro cursore il punto di interse- lavorò con Baldassarre Peruzzi i cui insegnamenti, secondo Vasari, furono determinanti
zione del filo visivo con l’immaginario piano di sezione descritto dall’asta. A que- per la carriera artistica e letteraria di Serlio301. Dal Peruzzi avrebbe ricevuto gli
sto punto il pittore rimuoveva la prima asta con il filo, faceva ruotare il foglio con ammaestramenti necessari alla stesura dei Sette Libri sull’architettura, come lo stesso
il disegno della pianta intorno al chiodino che lo teneva fissato al tavolo nell’an- Serlio ebbe a dichiarare nei suoi avvisi ai lettori302. Il sodalizio tra i due si concluse con
golo inferiore destro – così da scoprire il sottostante foglio per il disegno prospet- il sacco di Roma, quando Serlio si trasferì a Venezia dove operò fino al 1541, stabilendosi
tico – e ribaltava in avanti la seconda asta, incernierata alla base, per tracciare sul successivamente in Francia alla corte di Francesco I.
foglio la posizione del cursore. È probabile che questa operazione, oggi deducibi- I due libri di Geometria e Prospettiva furono composti a Fontainebleau, dove Serlio
le dalla lettura del disegno, dovesse essere dettagliatamente descritta nel testo fu incaricato della direzione dei lavori del castello. A lui si deve forse il progetto
del secondo volume. Una descrizione di questo strumento, insieme allo «sportel- della grotta dei Pini, poi costruita dal Primaticcio, che introduceva l’opera rustica
lo» di Dürer e alle varianti di Lencker e Hans Hayden (1590), è riportata da Paul illustrata nel Terzo Libro sulle antichità di Roma (1540). Un particolare saliente per i
Pfintzing, la cui piccola raccolta di strumenti è sintomatica di un interesse per la temi prospettici è lo scorcio artificiale dei due archi d’ingresso, dove i conci sono
perspectiva mechanica che ebbe importanti testimonianze anche nell’Italia del sapientemente lavorati in funzione della finta digradazione prospettica (fig. 127).
secondo Cinquecento296. L’effetto è però ambiguo. I due archi sono prospettici ma al tempo stesso stereotomici,
La fortuna di Dürer come teorico delle arti in Italia precedette la pubblicazione ossia aderenti a quei modelli di architettura sbieca o obliqua di cui i francesi erano già
dei suoi trattati. Sappiamo che Raffaello gli inviò dei disegni essendo a conoscenza maestri indiscussi. Tra la direzione di Serlio e quella di Primaticcio nei lavori di
dei suoi studi sulle proporzioni del corpo umano297. Antonio da Sangallo il Vecchio Fontainebleau si colloca la presenza, dal 1548, di Philibert de l’Orme, il primo e più
iniziò a tradurre dal tedesco il trattato sulle fortificazioni prima che Camerarius ne influente teorico dell’arte del taglio delle pietre303. Tra gli italiani attivi alla corte di
pubblicasse la versione latina, mentre Cosimo Bartoli, il noto poligrafo editore Francesco I vi era anche Benvenuto Cellini che, come già ricordato, acquistò una copia
degli scritti albertiani, tradusse per intero la versione latina dell’Underweysung manoscritta del trattato di Leonardo nel 1542 mettendola a disposizione di Serlio304.
per due amici architetti298. La mancata pubblicazione della traduzione italiana di «Ne la solitudine di Fontanableo», Serlio trovò lo stimolo necessario per scrivere due
Bartoli lasciò alla versione latina di Camerarius il compito di divulgare le conquiste libri che in Italia, a suo dire, «sarebbono stati poco grati alla maggior parte degli
prospettiche di Dürer nell’Italia del Cinquecento. uomini»305. La stesura dei suoi libri sull’architettura era cominciata a Venezia nel

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127 F. Primaticcio,
la grotta dei Pini nel
castello di Fontainebleau.

128 129 130 S. Serlio, Il


Secondo Libro. Di Perspettiva,
Paris 1545, lib. I, p. 9,
trasformazione proporzionale
delle figure; lib. I, p. 14,
disegno di un arco ellittico;
lib. I, p. 18v, disegno
di una pianta ovale.

1537 ma, in modo inconsueto, a partire dal quarto, sugli ordini architettonici, e propinque, volendo che le lontane rappresentino tutte ad una grandezza, sarà necessario
proseguendo con il terzo, sulle antichità romane306. Si trattava di argomenti per i quali servirsi dell’arte»309. L’arte consisteva nell’applicazione di un procedimento prospettico
l’autore riteneva di poter riscuotere subito il dovuto successo. In Italia non si era ancora esemplarmente illustrato da Dürer, per cui stabilita «quella più comoda distanza a
dato alle stampe alcun trattato di prospettiva e Serlio sembra aver temuto un esordio riguardare la cosa […] esso ochio sia lo centro, et tirata la quarta parte d’uno circolo»,
infelice. In Francia invece circolavano ormai varie edizioni dei trattati di Viator e Dürer, le divisioni uguali di quella circonferenza venivano proiettate sul muro per ottenere
per non dire del segno che aveva lasciato Leonardo, e questo fu certamente un motivo la variazione delle misure necessaria a far sì che le statue e gli ornamenti «a questa
incoraggiante per intraprendere la fatica di una trattazione geometrica destinata agli distantia pareranno di una istessa grandezza»310. L’apprezzamento per l’opera di Dürer
architetti. è esplicitamente dichiarato in una riflessione secondaria sulla nascita delle idee: «Bella
cosa è veramente il studiare col compasso sopra le linee rette, et curve, per che si trova
Il Secondo Libro tal fiata delle cose che l’uomo non hebbe per aventura mai in pensiero, come è
La necessità delle cognizioni geometriche in architettura era ormai uno dei luoghi intervenuto a me questa notte, che cercando una regola da fare la forma del vuovo
comuni e fondativi della tradizione vitruviana. Serlio ne ribadì l’importanza e distinse naturale, con più brevità di quella di Alberto Durero, huomo veramente di grande
sulla base di questa conoscenza i veri architetti dai «molti consumatori di pietre e di et sottile ingegno, ho ritrovato il modo di formare un vaso antico»311. Come già sostenuto
calcine, imo de marmi, che al di d’hoggi tengono il nome di Architetti, li quali non da Piero della Francesca quasi con le stesse parole, il segreto dell’arte stava nella «forza
sanno pur render conto che cosa sia punto, linea, superficie»307. Gli elementi basilari delle linee» che solo la conoscenza della geometria era in grado di manifestare.
della geometria euclidea aprono quindi il Primo Libro. Di Geometria (stampato a Parigi Mantenendo saldo il legame con la pratica dell’architettura, Serlio giustificava
nel 1545 insieme al Secondo Libro. Di Perspettiva, con la traduzione francese di Jean l’inserimento della prospettiva nel contesto dei suoi Sette Libri, spiegando «che
Martin) secondo una formula ormai lungamente collaudata nei trattati di geometria perspectiva è quella cosa che Vitruvio domanda scenographia, cioè la fronte et li lati
pratica. I problemi classici della geometria – come la duplicazione del cerchio e del di uno edificio»312. L’identificazione di quella discussa specie della dispositio vitruviana,
quadrato secondo la formula vitruviana rintracciabile anche nel Taccuino di Villard de la «scaenographia», con la prospettiva dei pittori era uno dei problemi filologici che
Honnecourt308, la duplicazione dei triangoli, il calcolo delle aree e la costruzione di occupavano la mente dei traduttori e commentatori del De architectura. Serlio si
linee proporzionali – sono strettamente finalizzati alla pratica architettonica, traducendosi allineava con quella che per lui era forse la lettura più familiare, la traduzione di
in modo del tutto lineare nella distribuzione degli spazi in siti irregolari, nella Raffaello e Fabio Calvo, dove si poteva leggere che la «scienografia è la veduta in
trasformazione proporzionale degli elementi architettonici (fig. 128), nel controllo prospectiva, over la dimostrazione dell’ordine interno dello edificio che se ha da
ottico delle parti più elevate, nel restauro di elementi architettonici incompleti, nel fare acordato col defora»313. L’autorità di Vitruvio legittimava dunque la scelta di Serlio
disegno degli archi ellittici (fig. 129), nel disegno delle piante (quadrate, rettangolari che poteva intrecciare le competenze dell’architetto e del prospettico fino a renderle
o ovali) (fig. 130), nel disegno degli ornamenti e in quello di porte e finestre. sostanzialmente inscindibili: «il perspettivo non farà cosa alcuna senza l’Architetura,
Lo schema per il controllo ottico delle proporzioni potrebbe derivare tanto da Dürer ne l’Architetto senza perspettiva»314. La riprova si poteva vedere nell’opera eccelsa degli
quanto dalla pratica di bottega corroborata dalla lettura di Vitruvio (fig. 131). Le parole «architetti del nostro secolo nel quale la buona Architettura ha cominciato a fiorire.
di Serlio ricalcavano piuttosto da vicino i passi vitruviani del terzo e quarto libro del Bramante suscitatore della bene accompagnata Architettura, non fu egli prima pittore
De architectura. «Tutte le cose che si allontanano dalla veduta nostra – scrive Serlio – et molto intendente nella perspettiva prima ch’el si desse ad essa arte? Il divino Raffaello
tanto più diminuiscono che l’aere spacioso consuma la vista nostra, et perho quella da Urbino non era universalissimo pittore, et molto instrutto nella perspettiva prima
cosa che sarà più lontana, quantunque ella sia della medesima grandezza che son le che operasse nell’Architettura? Il consummatissimo Baldessar Peruzzi senese […] a

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S. Serlio, Il Secondo Libro. 132 134
Di Perspettiva, Paris 1545,
lib. I, p. 9v, controllo
ottico delle proporzioni;
lib. II, p. 26v, il metodo
dell’intersezione; lib. II,
p. 27r, il metodo con punto
di distanza; lib. II, p. 34,
tracciamento delle piante
in prospettiva.
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nullo altro fu secondo. Lo intendente Girolamo Genga […] nella perspettiva espertissimo, ritrova nella terza costruzione, dove proponeva di suddividere il pavimento in tante
come ne han fatto fede le belle scene da lui fatte per compiacere al suo padrone mattonelle quadrate. Anche qui le sue istruzioni erano tanto chiare quanto sbagliate:
Francesco Maria Duca di Urbino […] Iulio Romano […] Et io, quale i mi sia, essercitai «di poi si metterà la distantia quanto lontana si vorrà […] ma essa è tanto lontana dal
prima la pittura et la perspettiva, per mezzo delle quali a gli studii de l’Architettura angolo A.», cioè dall’estremità sinistra del bordo anteriore del pavimento319.
mi diedi»315. Questi errori, seppure inaccettabili sul piano geometrico e concettuale, non
Dopo questo preambolo, Serlio esordì con un clamoroso errore che offriva il fianco impedirono a Serlio di farsi valere nella pratica pittorica e scenografica. Il secondo
alle successive critiche del Lomazzo316. Secondo lui gli elementi basilari della prospettiva metodo era sbagliato solo nella valutazione della distanza, ma all’atto pratico funzionava.
erano tre: la linea di terra, da dove si prendevano tutte le misure, la linea dell’orizzonte, Così come funzionavano i procedimenti abbreviati suggeriti successivamente per
dove si trovava l’occhio, e la distanza317. Ma proprio sulla distanza Serlio sembrava avere disegnare sul pavimento in scorcio figure geometriche e piante di edifici (fig. 134).
alcune gravi lacune. Per disegnare un pavimento quadrato iniziava a tracciare la linea Una volta disegnato il perimetro del pavimento in scorcio, Serlio adottava un
di terra, riportandovi sopra la lunghezza del lato del quadrato e tracciando la linea procedimento simile al metodo della diagonale di Piero della Francesca, oppure
verticale che rappresentava il quadro di profilo (fig. 132). Poi disegnava la linea suddivideva il pavimento in tanti moduli quadrati che misuravano l’estensione
d’orizzonte, stabiliva la distanza dell’occhio e tracciava una linea dall’estremità più planimetrica degli edifici, secondo un procedimento ampiamente adottato nella pratica
lontana del quadrato all’occhio per determinare sul quadro il punto di intersezione. scenografica. Gli stessi moduli misuravano le altezze che venivano prese sul quadro o,
Da questo punto tracciava una linea orizzontale che, intersecando quelle convergenti come Piero, su un piano verticale in scorcio. Ma «ci sono altre vie: come quella del
al punto di fuga, determinava il disegno del quadrato in prospettiva. Fin qui era tutto telaro o del portello (che vogliamo dire) la qual è dimostrata da Alberto durero» – cioè
molto corretto. Quando però decise di illustrare come «far più quadri l’un doppo l’uso del «vetro» e dello «sportello» – e «quella della propria forma, via veramente
l’altro» commise un passo falso. Invece di riportare la lunghezza del lato sulla linea di buonissima et sicura: ma molto difficile a mostrarla altrimenti che alla presentia de
terra e da lì tirare una linea fino all’occhio, tracciò una linea a partire dall’angolo più l’huomo», ossia il metodo dell’intersezione in pianta e alzato320.
lontano del quadrato in scorcio, confondendo il metodo dell’intersezione con il metodo
con punto di distanza che si apprestava a descrivere subito dopo, non senza commettere Il Trattato sopra le Scene
un altro errore. Il secondo modo era ritenuto «il più breve». Disegnava il lato del La parte finale del Secondo Libro introduce un tema nuovo e di grande attualità, quello
quadrato sulla linea di terra e i due lati in scorcio convergenti verso il punto di fuga della scenografia teatrale che Serlio conosceva bene per averne fatto esperienza prima
centrale. Poi stabiliva la posizione dell’occhio e tirava una linea dall’estremità sinistra con Genga, poi con Peruzzi e infine da solo, a Vicenza, dove costruì un intero teatro
del lato anteriore del quadrato fino all’occhio (fig. 133). Dove questa intersecava il in legno di cui offriva in queste pagine una sommaria descrizione. Il teatro fu costruito
lato destro in scorcio, lì tracciava la retta orizzontale che rappresentava il quarto lato. nel cortile di Ca’ da Porto secondo il modello dei teatri antichi, con una cavea
Il procedimento sarebbe stato corretto se Serlio avesse stabilito la distanza dell’occhio semicircolare, l’orchestra e il palcoscenico rialzato (fig. 135)321. La cavea, tutta in legno,
a partire dal punto di fuga centrale, mentre invece scrive: «et quanto si vorrà star presentava una precisa suddivisione dei posti degli spettatori. Le personalità più eminenti
lontano a mirar l’opra, tanto si alontana dal angolo G.» che è l’angolo anteriore destro sedevano in prima fila, seguiti sulle prime gradinate dalle donne più nobili e da quelle
del quadrato, cioè lo stesso considerato nella costruzione precedente318. L’errore si meno nobili. Una «strada» di servizio separava questo primo gruppo dal secondo anello

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S. Serlio, Il Secondo Libro.
Di Perspettiva, Paris 1545,
lib. II, p. 66v, il teatro ligneo
di Ca’ da Porto; lib. II, p. 67,
scena comica; lib. II, p. 69,
scena tragica; lib. II, p. 70v,
scena satirica.

di gradinate, dove si trovavano gli uomini più nobili. Un’altra «strada» e un altro anello la Comica, per rappresentar commedie, la Tragica per le tragedie, e la Satyrica per le
con gli uomini meno nobili. Infine, «la plebe»322. Il palcoscenico aveva una parte anteriore Satyre»326. Ognuna di esse aveva caratteri e tipologie architettoniche ben definite. La
praticabile, dove si muovevano gli attori, e una parte posteriore inclinata, chiusa da scena comica doveva avere edifici «di personagi privati, come saria di citadini, avocati,
un fondale, dove era costruita la scena prospettica «materiale et di rilievo». Il Trattato mercanti, parasiti et altre simili persone. Ma sopra il tutto che non vi manchi la casa
sopra le Scene si apre con una delle più evocative descrizioni dell’opera serliana: della Ruffiana ne sia senza hostaria, et un tempio vi è molto necessario» (fig. 136).
«Fra l’altre cose fatte per mano degli uomini che si possono mirare con gran contentezza Nella scena tragica invece (fig. 137), gli edifici «vogliono essere di grandi personagi:
d’occhio et satisfationi d’animo è (a parer mio) il discoprirsi lo apparato di una per cio che gli accidenti amorosi, et casi inopinati, morte violenti et crudeli (per quanto
scena, dove si vede in piccol spacio fatto da l’arte della Perspettiva: superbi palazzi, si legge nelle tragedie antiche, et anco nelle moderne) sonno sempre intervenute
amplissimi tempii, diversi casamenti, et da presso, et di lontano, spaciose piazze ornate dentro le case de signori, duchi, o gran principi, imo di Re». La scena satirica, infine
di varii edifici; drittissime et longhe strade incrociate da altre vie, archi trionfali, altissime (fig. 138), dovendo rappresentare i luoghi in cui agiscono «tutti coloro che
colonne, piramide, obelischi, et mille altre cose belle, ornate d’infiniti lumi, grandi, licenziosamente vivono […] huomini viciosi et mal’ viventi […] per cio che Vitruvio
mezzani, et piccoli secondo che l’arte lo comporta […] le quali tutte cose dan tanto di trattando delle Scene, vuole che questa sia ornata di arbori, sassi, colli, montagne,
contentezza a l’occhio et a l’animo, che cosa materiale, fatta dal’arte non si potria herbe, fiori et fontane, vuole ancora che vi siano alcune capanne alla rustica»327. Serlio
imaginare più bella»323. Il teatro costruito a Vicenza aveva una scena di questo tipo, ricorda le splendide scene costruite a Urbino da Girolamo Genga che rappresentò alberi
con il palcoscenico praticabile orizzontale ben solido per sostenere il peso di «Carrette, e fiori con drappi di seta, «et queste cose quanto saranno di maggior spesa, tanto più
Elefanti et diverse moresche», e un «piano pendente» per la scena prospettica324. lodevoli saranno, perche (nel vero) son proprie di generosi, magnanimi, et richi signori,
Per la costruzione della scena, Serlio insegnava prima a determinare «l’orizzonte», nemici della brutta Avaricia».
ossia il punto di fuga principale che restava determinato dall’intersezione del La perfetta riuscita dell’opera era affidata anche ad alcuni accorgimenti tecnici,
prolungamento della linea di pendenza del pavimento con l’orizzontale procedente come disporre gli edifici più bassi in primo piano, costruire alcune parti «di basso
dall’occhio dello spettatore. Questo punto consentiva di disegnare tutti i riquadri rilievo», utilizzare sagome di legno o di cartone dipinte per rappresentare comignoli
del pavimento, «diminuiti secondo la sua distantia», in modo da potervi collocare i o statue sopra i cornicioni ma, soprattutto, saper disporre bene l’illuminazione che
«telari» che rappresentavano le facciate degli edifici. Per le facciate «in maestà», ossia spesso era l’elemento determinante. Serlio indicava due tipi di illuminazione: da dietro
frontali, così come per il fondale, il punto di fuga si trovava all’intersezione di ciascun le facciate in scorcio, per le aperture di finestre e porte, e frontalmente per illuminare
piano, o del suo prolungamento, con l’orizzontale tirata dall’occhio. Per le facciate in tutta la scena. Il primo tipo prevedeva dei telai con «bozze» di vetro piene di acqua
scorcio, invece, il punto di fuga da utilizzare era quello determinato inizialmente che, colorata, il secondo delle torce o candelabri posizionati tra un «vaso pieno di acqua»
trovandosi però oltre il fondale, era di fatto irraggiungibile; la soluzione in questo e «un bacile da barbiere ben lucido et nuovo, la reflessione del quale farà certi splendori,
caso era quella di studiarne la digradazione su piccoli ma dettagliati modelli: «io ho come di raggi di sole»328. Quello appena descritto era un vero e proprio proiettore
sempre fatto un modello piccolo di cartoni et legnami, ben misurato et trasportato formato da uno specchio concavo e una lente convessa, qualcosa su cui precedentemente
poi in grande»325. avevano meditato anche Leonardo e Giovanni Fontana329. Secondo il Fontana, lampade
Le scene erano classificate secondo le tre tipologie classiche descritte da Vitruvio, «cioè di questo tipo erano utilizzate dai ladri per muoversi più comodamente durante la

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notte. Benché Serlio non fosse probabilmente a conoscenza delle implicazioni ottiche Daniele Barbaro
del sistema di illuminazione utilizzato dagli scenografi, egli ci presenta la scena teatrale
come il luogo prospettico per eccellenza, quello in cui si mettevano in atto, sfruttandole
ad arte, tutte le leggi della perspectiva classica, dall’estensione rettilinea dei raggi visivi
e luminosi alla loro propagazione riflessa o rifratta330.
Il trattato di Serlio si sarebbe rivelato subito un’opera di grande diffusione che andava
a soddisfare le esigenze di un pubblico ormai ampio e differenziato, inaugurando un
genere letterario destinato a crescere in modo esponenziale fin dagli anni immediatamente
successivi. La sua fortuna era dovuta alla facile accessibilità da parte di chi operava nel
campo delle arti. Dei precedenti trattati, infatti, solo quello di Dürer offriva preziose
istruzioni pratiche, ma era stampato in tedesco e in latino e, dunque, restava inaccessibile
a chi non avesse cognizione di almeno una di quelle lingue. Il De pictura di Alberti era Il Secondo Libro di Serlio poneva per la prima volta il problema dell’identificazione
stato pubblicato in latino nel 1540 e in volgare nel 1547, ma essendo privo di figure era della prospettiva con la «scaenographia» vitruviana. Nel Quattrocento la “scienza”
piuttosto difficile da seguire. Il trattato di Piero era inedito. Le istruzioni di Francesco di dei pittori era comunemente considerata una filiazione dell’ottica medievale, ovvero
Giorgio e Filarete, oltre che inedite, erano anche troppo concise. L’unica altra opera di una «particella di perspectiva», di cui si tendeva però a sottolineare l’assoluta
una certa diffusione era il De artificiali perspectiva di Jean Pélerin Viator del 1505, indipendenza dalle fonti classiche, sebbene se ne riconoscessero le radici euclidee, e
composto però «con molta maggior copia di figure, che di parole», come avrebbe scritto se ne presumesse, pur con molte riserve, la conoscenza da parte dei pittori antichi333.
più tardi Egnazio Danti331. Un segno della fortuna che il Secondo Libro riscosse La ripresa degli studi vitruviani e la necessità di far luce sui punti meno chiari del De
particolarmente in Francia, grazie alla traduzione francese di Jean Martin, può essere architectura, tuttavia, obbligò i commentatori a confrontarsi con un passo che già
individuato nel Livre de Perspective dato alle stampe nel 1560 da Jean Cousin il Vecchio. nell’VIII secolo aveva sollevato la curiosità di Eginardo, l’architetto di Carlo Magno334.
A parte la derivazione evidente di alcune tavole dall’opera di Serlio, l’intera impostazione Nel descrivere i metodi della rappresentazione architettonica all’inizio del primo libro,
del trattato, con i suoi grafici chiari e ordinati, sembra improntata al modello serliano332. Vitruvio aveva proposto tre «idee» di cui solo le prime due erano univocamente
Di fronte a una tale produzione restava comunque viva la necessità di un’opera che interpretabili, ossia la «ichnographia» o pianta dell’edificio e la «orthographia» o
compendiasse al tempo stesso i principi teorici e le operazioni pratiche. E la risposta prospetto. La «scaenographia», invece, era una definizione problematica che ancora
venne proprio da quell’ambiente veneziano che Serlio aveva creduto disinteressato a oggi continua a essere un punto di discussione tra gli esegeti vitruviani: «Scaenographia
quei particolari problemi. Ma venne, stavolta, non da un artista, bensì da uno dei più – scrive Vitruvio – est frontis et laterum abscedentium adumbratio ad circinique
influenti umanisti del tempo, il patriarca di Aquileia, Daniele Barbaro. centrum omnium linearum responsus»335. I primi commentatori avevano sostanzialmente
accettato l’idea che Vitruvio avesse voluto descrivere la rappresentazione prospettica
dell’edificio; così per Raffaello e Fabio Calvo la «scienografia è la veduta in prospectiva»,
137 138 e per Cesariano era una rappresentazione fondata sulla «ratione del Optica»336. La
prima voce contraria fu quella di Daniele Barbaro che, pur riconoscendo l’equivalenza
tra «scaenographia» e «perspettiva», non riteneva che questa disciplina fosse da
includere tra le «species» vitruviane ma piuttosto tra i metodi di rappresentazione
specificamente teatrali.

La «scaenographia» vitruviana
Barbaro iniziò a lavorare ai suoi commentari al De architectura nel 1547, in concomitanza
con la pubblicazione a Venezia della lettera con cui Claudio Tolomei annunciava il
programma dell’Accademia Vitruviana, fondata a Roma nel 1542 con il preciso compito
di far luce sui passi incerti del trattato di Vitruvio. I commentari erano un trattato
nel trattato, «una summa del sapere tecnico-scientifico antico e moderno»337 che richiese
approfondite ricerche archeologiche, tecniche e matematiche, nonché un lavoro
iconografico di grande impegno magistralmente svolto da Andrea Palladio. I dieci libri
dell’architettura di M. Vitruvio furono pubblicati nel 1556 e, in doppia edizione ampliata

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italiana e latina, nel 1567. In corrispondenza del passo in questione troviamo la seguente aveva saputo esporre in modo adeguato la materia prospettica: «poche cose ci ha
traduzione: «Le idee della dispositione sono queste la pianta, lo in piè, il profilo […] lasciato Alberto Durero, benche ingegnose, et sottili. Più grossamente si è portato il
Il profilo è adombratione della fronte, et de i lati che si scostano, et una rispondenza Serlio; ma l’uno et l’altro (dirò così) si sono fermati sopra il limitare della porta». Su
di tutte le linee al centro della sesta»338. Circa la «terza idea», Barbaro tentò di risolvere Piero della Francesca, chiamato erroneamente «Pietro da Borgo S. Stefano», esprime
il problema esegetico mettendo in discussione l’autenticità del termine scaenographia, un giudizio particolarmente negativo, definendolo autore di «alcune pratiche leggieri
forse introdotto nelle trascrizioni medievali in luogo di sciografia – termine derivato poste senza ordine, et fondamento, et esplicate rozzamente […] che per gli idioti ci
dal greco skiagraphia (rappresentazione dell’ombra) – cui meglio si legherebbe il potriano servire»343. È un giudizio difficile da spiegare che appare contraddetto dall’uso
sostantivo adumbratio adottato da Vitruvio: «La terza idea è il profilo, detto sciografia, massiccio di «precetti et regole», nonché di illustrazioni, tratte chiaramente dal De
dal quale grande utilità si prende, perche per la descrittione del profilo si rende conto prospectiva pingendi (fig. 139)344. Il solo giudizio positivo è riservato a uno dei più
delle grossezze de i muri, de gli sporti, delle ritrattioni d’ogni membro, et in questo eminenti matematici del periodo, Federico Commandino che «nella sfera piana di
l’Architetto come Medico dimostra tutte le parti interiori, et esteriori delle opere Tolomeo ha posto alcune dotte dimostrationi, come egli è solito sempre di fare,
[…] Questa utilità del profilo mi muove ad interpretare sciografia, et non scenografia, pertinenti alla Perspettiva, come principij di quella, non inutili per eccitare gli animi
perché se bene la scenografia, che è descrittione delle scene, et prospettiva, è necessaria de gli studiosi»345.
nelle cose de i teatri, come si vedrà nel quinto libro; non però pare, che sia secondo le Federico Commandino si era abilmente servito della prospettiva dei pittori per
idee della disposizione, delle quali si parla […] Io per me, quando avessi ad intendere spiegare il procedimento geometrico adottato da Tolomeo nella rappresentazione
in questo luogo la prospettiva, vorrei che fussero quattro le idee della disposizione, stereografica della volta celeste. Il commento di Commandino al Planisphaerium
per ponervi il profilo; tanto egli mi pare necessario […] perché tutte le linee vengono dell’astronomo alessandrino, unitamente a quello sull’omonima opera di Giordano
all’occhio senza impedimento et si conoscono gli sporti, et le ritrattioni, et le grossezze Nemorario, era stato pubblicato a Venezia nel 1558 col proposito di dimostrarne
come sono, et non come appareno con linee, et anguli proporzionati, come si fa nella «scenograficamente» i principi proiettivi. La proiezione piana della sfera celeste, ovvero
prospettiva: se bene pare, che la diffinitione della sciografia adottata da Vitruvio dell’emisfero boreale, avveniva da un centro di proiezione collocato al polo Sud, su
accenni la diffinitione della prospettiva»339. un piano di proiezione coincidente con il piano equatoriale. Questa proiezione
Nel quinto libro, cui Barbaro rimandava il lettore, al capitolo VIII si tratta Di tre geometrica era necessaria alla costruzione dell’astrolabio e in alcuni trattati medievali
sorti di Scene – quelle codificate da Serlio – per le quali «è necessaria la intelligenza, sulla composizione dello strumento il punto di proiezione polare era chiamato per
et la pratica della prospettiva, perché tutte quelle cose ricercano il punto della vista maggior chiarezza «oculus videns»346. L’immagine della sfera celeste proiettata sul
nostra regolatore di quanto si vede in quelle facciate […] Questa necessità mi ha piano equatoriale veniva cioè paragonata a ciò che un osservatore avrebbe visto se
mosso a voler giovare, quanto per me si può, anche in questa parte agli studiosi, et si fosse trovato al polo Sud con lo sguardo rivolto verso il polo opposto. Seguendo
però io ho scritto di prospettiva con vie, et modi ragionevoli drizzati alla pratica questa tradizione, ma forte altresì delle conquiste prospettiche rinascimentali, Federico
che è detta scenografia, et ho gettato i fondamenti di questa cognizione, et le regole Commandino ritenne di poter chiarire ulteriormente il principio proiettivo dichiarando
di questa pratica»340. Il trattato di prospettiva fu dunque composto come che il problema «riguarda quella parte dell’ottica che gli antichi chiamarono
approfondimento di un tema vitruviano, analogamente a quanto l’autore aveva scenografia»347. La terza parte del suo commentario si presenta dunque come un libello
tentato di fare con la gnomonica, pur non riuscendo mai a completare il suo De di prospettiva dove l’autore illustrava due diversi procedimenti per scorciare un piano
Horologijs describendis libellus341. quadrato, corrispondenti al metodo dell’intersezione in pianta e alzato (il «secondo
modo» di Piero della Francesca) e alla costruzione con punto di distanza. La lezione
Le regole della prospettiva fu presto recepita proprio da Daniele Barbaro che nei commentari al nono libro di
La pratica della perspettiva uscì un anno dopo la seconda edizione del De architectura. Vitruvio se ne servì per spiegare la costruzione dell’analemma nel disegno degli orologi
Il legame con il tema vitruviano è sancito fin dalle prime parole del proemio: «Tra solari: «l’Analemma adunque si piglia dalla sfera posta in piano con ragione di
molte belle, et illustri parti della Perspettiva [cioè l’Ottica], una ven’hà, la quale da prospettiva» (fig. 140)348.
Greci è detta Scenografia. Di questa ne i miei commentari sopra Vitruvio mi ricordo Per il trattato di prospettiva Barbaro si avvalse della collaborazione del matematico
d’haver promesso di trattare». Il richiamo a Vitruvio continua con la citazione degli Giovanni Zamberti che dovette preparare i disegni illustrativi e una prima descrizione
scritti di Agatarco, Democrito e Anassagora, di cui si legge nella prefazione al settimo delle regole349. I fondamenti della prospettiva erano indicati in tre termini, «occhio,
libro del De architectura, nei quali si spiegava «in che modo da uno certo, et determinato raggi et distanza». L’occhio era l’oggetto di studio di quella che i greci chiamavano
punto, si debbiano stendere i raggi del vedere, che rispondino alle linee naturali, «Optica» e i latini «Prospetto», ossia la scienza della visione che non indaga «uno
accioche di cosa incerta certe imagini de gli edifici nelle pitture delle Scene corrispondenti semplice vedere, ma uno avvertito, et considerato vedere […] et però il semplice
al vero si vedino»342. Secondo Barbaro nessuno degli autori che lo avevano preceduto aspetto è operazione di natura, et il Prospetto è officio di ragione»350. Questa distinzione

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139 D. Barbaro, La pratica 140 D. Barbaro, I dieci
della perspettiva, Venezia libri dell’architettura
1569, parte I, p. 31, di M. Vitruvio, Venezia 1567,
costruzione prospettica lib. IX, cap. IX, p. 431,
di un piano quadrato. l’analemma vitruviano.

rendeva superflua l’antica questione fisiologica sulla intromissione o estromissione delle facce che li compongono, già illustrato da Dürer (fig. 142) – il loro «dritto», ossia
dei raggi visivi, poiché sul piano geometrico le regole restavano valide «in qualunque la loro rappresentazione prospettica, e la loro «adombrazione», limitata però all’ombra
modo la cosa si stia». I raggi erano in ogni caso linee rette che si estendevano dall’occhio propria. Quando giunse alla descrizione dei corpi più difficili, come i mazzocchi a punte
all’oggetto in forma piramidale e la loro ampiezza angolare determinava la distanza di diamante, sentì il bisogno di introdurre «alcuni modi facili, e sbrigati di fare le piante,
di osservazione. Richiamandosi ai «perspectivi» latini, ma soprattutto a Euclide, Barbaro et i corpi», il primo dei quali era il «secondo modo» di Piero con l’uso della «setola di
spiegava che tra le varie aperture angolari, la corretta visione poteva avvenire solo coda di cavallo» e delle due righe di carta per riportare i punti di intersezione dalle
sotto un angolo «stretto», cioè inferiore ai 90°. Essendo «il nero dell’occhio che due proiezioni ortogonali (fig. 143). Il secondo modo differiva solo nel procedimento
dicemmo essere uvea nominata» inferiore alla quarta parte del globo oculare, e di trasporto dei punti di intersezione che avveniva per mezzo di due compassi, secondo
trovandosi il vertice della piramide al centro dell’occhio, la massima apertura angolare la soluzione suggerita da Dürer355.
ammissibile era quella data dal triangolo che ha per base l’apertura della pupilla351. Le regole esposte nelle prime tre parti del trattato erano funzionali alla costruzione
Considerando inoltre che l’apertura dell’angolo ottico determinava l’apparenza degli delle scene che costituiva il soggetto della quarta parte e anche l’obiettivo principale
oggetti, si poteva ricavare «la regula, et la forma del quadrante di Alberto Durero, del Barbaro: «io spero, che la difficoltà delle cose passate, ci farà parere facile la
col quale egli proportiona le lettere, overo figure, che sono nell’altezza di qualche Scenographia, per l’uso della quale ho detto tutto quello, che si contiene nelle tre
colonna o parete», regola che si poteva vedere applicata «nello Angelo dorato sopra parti precedenti»356. Lo scopo dell’opera era quindi quello di fornire gli strumenti per
la torre di S. Marco in Vinetia»352. fare ciò di cui parlava Vitruvio nel quinto libro, e qui Barbaro sentì la necessità di
Le istruzioni sul disegno prospettico iniziavano con la costruzione delle piante, replicare la sua «opinione sopra quella parola, che pone Vitruvio nel primo libro al
«perché senza la Ichnographia, cioè disegno basso e piano delle cose, non si può cap. II, dove egli parla delle idee della disposizione». Ribadiva quindi che molti «hanno
descrivere alcuna figura, essendo che ogni cosa elevata nasce dalla pianta come l’albero interpretato quella parola Sciographia per la Perspettiva, la quale è come una
nasce dalla radice»353. Precetti e regole derivavano chiaramente dal De prospectiva adombratione. Molti anche hanno letto Scenographia, in luogo di Sciographia, et
pingendi. Le piante erano disegnate all’interno di un «quadro perfetto» che era la hanno inteso lo istesso, cioè la descrittione delle Scene»357. La sua opinione era che le
figura da digradare «nel posto termine secondo l’occhio et la distanza» (fig. 141). Il specie della disposizione dovevano essere necessariamente dello stesso genere, cioè
quadro è chiamato «termine», secondo la definizione di Piero della Francesca, e dai tutte proiezioni ortogonali («di modo, che quello, che nasce, et quello, che cresce è
teoremi XII-XV di «Pietro pittore» derivavano le dimostrazioni sul modo di ottenere il una istessa cosa»), e se Vitruvio non avesse compreso tra di esse anche «il profilo, egli
«quadro digradato» da suddividere in riquadri più piccoli con il metodo della diagonale. haverebbe mancato grandemente, sì perché avrebbe lasciato una specie necessaria,
Da Piero derivava anche il modo di «accrescere o scemare il piano digradato», così sì perché ne avrebbe posta una, che non partecipa della natura del suo genere»358 (la
come la costruzione con punto di distanza, e la dimostrazione della distanza ottimale prospettiva non è infatti una proiezione ortogonale). Qualunque fosse stata l’intenzione
dal quadro che Barbaro illustrò con le parole stesse della sua fonte: «Pietro dal borgo di Vitruvio riguardo alla terza idea della disposizione, concludeva Barbaro, «è necessario,
S. Sepulchro, il quale hà lasciato alcune cose di Perspettiva, dal quale ho preso alcune che si habbia Perspettiva, per fare le scene». Ma prima di saper costruire il palco, lo
delle sopraposte descrittioni, dice queste formali parole»354. Le piante erano quindi scenografo doveva saper disegnare le parti degli edifici, cioè gli ordini architettonici,
disegnate all’interno del pavimento scorciato secondo i due modi di Piero, quello della le cornici, le scale, le volte e le tipologie dei templi che Barbaro descrisse e illustrò
diagonale e quello dell’intersezione in pianta e alzato. dettagliatamente con perfetti disegni in doppia e tripla proiezione ortogonale (fig.
Anche per gli alzati Barbaro seguì parzialmente Piero della Francesca, e descrisse 144)359. Circa la costruzione prospettica a rilievo che richiedeva il perfetto accordo tra
tutta la serie dei corpi regolari e irregolari secondo la loro «spiegatura» – cioè lo sviluppo ciò che era rappresentato sui vari piani delle quinte, del palco e del fondale, Barbaro

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D. Barbaro, La pratica della
perspettiva, Venezia 1569,
parte II, cap. IX, p. 38, disegno
prospettico con l’ausilio del
«quadrato perfetto»; parte III,
cap. XVII, p. 94, sviluppo di
un piccolo rombicosidodecaedro;
parte III, cap. XXXVI,
pp. 118-119, il «secondo modo»
di Piero della Francesca;
parte IV, cap. XV, p. 154, tempio
in tripla proiezione ortogonale.

descrisse un metodo pratico elaborato dall’architetto mantovano Pompeo Pedemonte. lo splendido doppio ritratto degli Ambasciatori con l’immagine nascosta di un teschio
Piantato un chiodo sul fondale all’altezza del punto di osservazione prescelto, vi si visibile solo da un punto di vista laterale e radente (fig. 92)363. Daniele Barbaro era stato
legava una corda da «muratori» che serviva da guida per il tracciamento delle ambasciatore in Inghilterra dal 1548 al 1551 e, tra gli artisti più vicini a Holbein, morto
linee. Diviso il fronte del palco in tante parti uguali, era sufficiente tirare la corda fino nel 1543, aveva forse potuto vedere altri esempi di quella particolare tecnica di
a ciascuno di quei punti e traguardarla dal punto di vista prescelto in modo che prospettiva. Sembra del resto che la ricerca di effetti ottici in grado di stupire l’osservatore
essa «faccia ombra» o «come dicono i matematici che fanno gli horalogi, la linea della fosse perseguita da molti artisti: alcuni «ingegnandosi di scrivere lettere nelle tavole,
contingenza»360. Quest’ombra, o linea della contingenza, era una linea spezzata che non si possono leggere se non con i specchi, et quasi di riverbero, altri con riflessi
disegnata parte sul palco inclinato e parte sul fondale che tuttavia appariva all’occhio di lumi hanno dissegnato horaloggi, altri usando il mezzo dell’acqua per la rifrattione
come una linea perfettamente rettilinea. Seguendo Vitruvio, ma ricavando l’iconografia de i raggi hanno fatto prove meravigliose»364. I metodi adottati per la deformazione
da Serlio, Barbaro descrisse brevemente i caratteri delle tre scene classiche, contribuendo delle immagini erano parte geometrici e parte meccanici. Piero aveva suggerito
ad affermarne le tipologie nella cultura teatrale del Cinquecento. un’applicazione inversa del suo «secondo modo» mentre un disegno attribuibile a un
Barbaro, come Serlio, descrisse una tipologia scenica moderna con edifici maestro norimberghese, del 1530 circa, mostra chiaramente una griglia deformata
simmetricamente disposti lungo una strada centrale terminante con archi trionfali o con un punto di distanza molto ravvicinato, ossia lo schema poi codificato nel XVII
edifici monumentali. La scena antica aveva caratteri piuttosto diversi, riscontrabili secolo365. Barbaro propose un procedimento meccanico che consisteva nel disegnare
anche attraverso le indagini archeologiche. Vi era un edificio scenico fisso con tre grandi l’immagine proporzionata su un foglio da traforare «come se ne volesti fare uno
porte e due ali laterali in cui si trovavano i cosiddetti periacti, pilastri triangolari girevoli spolvero», nel collocare questo foglio all’estremità di una tavola ortogonalmente, e
che consentivano tre veloci cambi di scena. Nell’interpretazione di Barbaro i «periacti» nel proiettare i punti sulla tavola con la luce del sole o per mezzo di una «lucerna». Le
si trovavano dietro ogni porta dell’edificio, visualizzando altrettante strade con edifici immagini venivano «allungate e strette», e apparivano «senza regula e forma alcuna,
in scorcio (fig. 145)361. La ricostruzione di Andrea Palladio pubblicata ne I dieci libri ma se starai al punto, dal quale sono venuti i raggi del sole, le teste ti pareranno
dell’architettura avrebbe successivamente trovato una vera e propria messa in scena formate, come sono sopra la carta». Suggeriva inoltre di fare in modo che nella veduta
nel teatro Olimpico di Vicenza che Palladio progettò nel 1580 come restituzione frontale le linee deformate fossero mascherate da altre rappresentazioni, come «paesi,
filologica del teatro all’antica362. acque, montagne, sassi», fingendo una rappresentazione paesaggistica del tipo visibile
appunto nelle incisioni di Schön.
L’anamorfosi, il planisfero e la proiezione delle ombre Altra «bella, et ingeniosa, et utile invenzione» era la proiezione della sfera in piano
Dalla quinta alla nona parte, Barbaro tratta di alcuni temi prospettici particolari, come «si come insegna Tolomeo nel suo Trattato a questo dedicato» (fig. 147)366. La lezione
l’anamorfosi, il planisfero, la proiezione delle ombre, le proporzioni del corpo umano di Commandino è qui accolta pienamente: «Imaginiamo, che l’occhio sia in uno dei
e gli strumenti di prospettiva. L’anamorfosi è presentata come una «bella, et secreta poli della Sphera» che naturalmente è il polo antartico, poiché «i contemplatori del
parte di Perspettiva» le cui regole si potevano ricavare dagli stessi principi prospettici cielo» guardano il polo Nord e l’emisfero boreale. Per effettuare la proiezione sul piano
«che io hò posti nella prima parte». Abbiamo visto come Piero e Leonardo si cimentarono la sfera era disegnata come se fosse appoggiata su un tavolo, ossia con il polo Sud in
con questo particolare aspetto dell’illusione ottica, e come prima della metà del secolo alto, secondo la consuetudine antica. Nella proiezione i circoli paralleli – artico, tropicali
circolassero varie incisioni e dipinti “con segreto”. Alcune splendide xilografie dette e equatoriale – risultavano essere cerchi concentrici progressivamente più grandi dal
appunto “immagini con segreto” (Vexierbild) furono stampate verso il 1530 da Erhard circolo polare artico al tropico del Capricorno. Nella realtà del modello tridimensionale,
Schön (fig. 146), un pittore della cerchia di Dürer, e nel 1533 Hans Holbein aveva firmato i tropici erano uguali e più piccoli dell’equatore, mentre nella proiezione il tropico del

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145 D. Barbaro,
I dieci libri dell’architettura
di M. Vitruvio, Venezia 1567,
lib. V, cap. VI, p. 249,
particolare della frons scenae
con i periacti dietro le porte.

146 E. Schön, Vexierbild,


xilografia, ca. 1535,
ritratti anamorfici di Carlo V,
Ferdinando I, Paolo III
e Francesco I.

147 D. Barbaro, La pratica


della perspettiva, Venezia
1569, parte VI, cap. I,
p. 163, il planisfero.

Capricorno risultava notevolmente più grande sia del tropico del Cancro, sia dell’equatore. preziosa nei Vier Bücher di Albrecht Dürer, presumibilmente letti attraverso l’edizione
Questo avveniva, spiega Barbaro e prima di lui Commandino, perché «essendo il tropico latina del 1532. Usando «lo instrumento del Durero detto trasferente», Barbaro descrisse
del Capricorno più vicino all’occhio egli si vede sotto anguli maggiori de gli altri circoli, la tripla proiezione ortogonale della testa umana di cui certamente conosceva anche
et conseguentemente ci pare maggiore». Nello stesso modo si proiettavano i circoli gli splendidi disegni di Piero della Francesca (fig. 149)370. La seconda xilografia è infatti
obliqui, ossia l’eclittica e i circoli paralleli all’orizzonte dell’osservatore, «detti una copia maldestra dal De prospectiva pingendi con la variante della quadrupla
Almicantarath dagli Arabi». Dato che l’obliquità dell’orizzonte variava in relazione proiezione ortogonale in cui compare anche la testa vista da dietro. Nell’ultimo capitolo
alla latitudine in cui si trovava l’osservatore, la proiezione degli almucantarat e degli sul «modo di ponere le teste, che guardino in su, overo in giu», i disegni di Piero e
azimut (i meridiani passanti per lo zenith dell’osservatore) rappresentava la parte Dürer sono composti in un’unica tavola.
variabile del planisfero. Gli astrolabi avevano spesso svariate lastre planisferiche
intercambiabili, una per ogni latitudine, che li rendevano utilizzabili in un’area geografica Gli strumenti del disegno
estesa possibilmente dal Nord Africa all’Europa settentrionale. Il disegno del planisfero Il trattato si chiude con la descrizione di alcuni strumenti per il disegno. Il primo era
come proiezione prospettica era un’interpretazione tipicamente rinascimentale. Tolomeo un’invenzione dello stesso Barbaro che serviva a disegnare gli orologi solari su qualsiasi
aveva descritto un procedimento geometrico in cui il punto di proiezione non era mai superficie (fig. 150). L’autore lo chiamò «Horario universale»; derivava da un modello
paragonato all’occhio di un osservatore, ma i teorici rinascimentali ritennero di poter di orologio meccanico in forma di globo celeste e terrestre che cominciò a essere
considerare implicito quel paragone. costruito proprio verso la metà del Cinquecento. Un esemplare di questo tipo di orologi,
Alle leggi della proiezione risponde anche la formazione delle ombre che nella databile a quel periodo, è oggi conservato presso il Museo Correr371. Si tratta di un
settima parte del trattato Barbaro illustrò brevemente, distinguendo la «prima luce», globo terrestre di ottone, finemente inciso, che racchiude il meccanismo di orologeria
quella emessa direttamente dalla fonte luminosa, dalla «seconda luce», quella riflessa ed è a sua volta contenuto all’interno di un globo celeste traforato con il disegno delle
dai corpi lucidi o rifratta dai corpi trasparenti367. Per imitare le ombre prodotte dai due costellazioni derivato dalle due celebri mappe celesti di Dürer. Intorno a esso si trova
tipi di illuminazione il pittore doveva rivolgersi più «alla osservanza della natura, che un’altra sfera formata dai due colori e dalla fascia delle linee orarie compresa tra i due
alle leggi dell’arte», ma Barbaro descrisse comunque la regola geometrica ricavandola tropici. Quest’ultima parte corrisponde allo strumento elaborato dal Barbaro per il
interamente da Dürer, senza accorgersi di riprodurre erroneamente la fonte luminosa disegno degli orologi solari attraverso la proiezione delle linee orarie per mezzo di fili
puntiforme in forma di Sole (fig. 148). Anche il trattamento del colore contribuiva alla di seta oppure dell’ombra. Lo strumento era una sorta di appendice a quanto Barbaro
resa prospettica della rappresentazione pittorica, ma in tutto questo «ci vuole giudicio, aveva già scritto sugli orologi solari «nel nono libro di Vitruvio, secondo la intentione
ragione, et esperienza. Et io intendo che Leonardo Aretino [sic! da Vinci] ne fece già di Tolomeo, et la esposizione del Commandino»372.
uno trattato»368. Siamo negli anni immediatamente successivi alla compilazione di Il secondo strumento era lo «sportello» di Dürer che Barbaro affermava di aver
Francesco Melzi che dedicò la quinta parte del Libro di Pittura proprio ai problemi usato personalmente per disegnare «in Perspettiva molte cose di una camera del
delle ombre e del colore. Questo capitolo di Barbaro, tuttavia, ha ancora una volta Reverendissimo Cardinale Turnone con suo gran piacere»373. Questa esperienza si svolse
relazione col testo vitruviano e si lega precisamente al termine adumbratio che compare presumibilmente a Roma, presso il cardinale Francesco de Tournon. Durante uno dei
nella definizione di «scaenographia»: molti «hanno interpretato quella parola Sciographia suoi viaggi a Roma, Barbaro fece sosta a Siena dove incontrò l’ingegnere urbinate
per la Perspettiva, la quale è come una adombratione»369. Baldassarre Lanci allora incaricato da Cosimo de’ Medici di sovrintendere alle fortificazioni
Ancora a Vitruvio rimanda la breve descrizione delle proporzioni del corpo umano della città appena annessa ai domini fiorentini. Lanci gli mostrò uno strumento da lui
che però qui è funzionale alla rappresentazione pittorica e trova la sua fonte più inventato per disegnare in prospettiva che è il terzo della serie raccolta da Barbaro nel

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148 149 150 D. Barbaro,
La pratica della perspettiva,
Venezia 1569, parte VII,
cap. II, p. 178, proiezione
delle ombre; parte VIII,
cap. II, pp. 181-182,
proiezione ortogonale
di una testa; parte IX,
strumento per disegnare
orologi solari.

suo trattato374. Di questo strumento possediamo l’esemplare costruito per Cosimo col proposito di spiegare la formazione delle immagini all’interno dell’occhio. Ma
de’ Medici nel 1557, oggi conservato al Museo di Storia della Scienza di Firenze (fig. di recente Giovanni Battista Della Porta ne aveva fatto uno dei temi della sua Magia
151)375. Si tratta di un complesso strumento topografico che avremo modo di studiare Naturalis (1558), suggerendone successivamente (1589) l’uso anche nella pratica
meglio più avanti ma di cui si può anticipare la funzione prospettica che prevedeva pittorica: «Se non siete capaci di eseguire il ritratto di una persona o di qualsiasi altra
l’esecuzione del disegno su una tavoletta curva. Lo strumento era infatti formato da cosa […] è questa un’arte che giova imparare. Quando il sole batte sulla finestra,
«una tavola ritonda di ottone» sulla cui circonferenza, per poco più di un quarto di disponete vicino al foro le persone che intendete ritrarre in modo tale che siano
essa, si innalzava una tavoletta con il foglio da disegno. Al centro del disco di ottone illuminate, avendo cura che il sole non cada direttamente sul foro. Dirimpetto a esso
si trovava il sistema di traguardo e tracciamento dei punti che nella descrizione del collocate un foglio bianco o una tavola, e sistemate le persone sotto la luce
Barbaro è leggermente diverso da quello poi costruito dal Lanci. È probabile che Lanci allontanandole o avvicinandole fino a che il sole non ne proietti una rappresentazione
abbia mostrato al patriarca d’Aquileia una versione non ancora definitiva del suo perfetta sulla tavola: e chi è abile nel dipingere apporrà i colori là dove li vedrà nella
strumento di cui possiamo rintracciare la forma in un disegno di Giacomo Contarini tavola, e descriverà le espressioni dei volti; cosicché quando l’immagine scomparirà,
(fig. 152)376. La versione illustrata dal senatore veneziano, erede della cultura umanistica il dipinto resterà sulla tavola, e sulla superficie si vedrà come un’immagine allo
di Daniele Barbaro, differisce solo per la tavoletta piana innalzata su un supporto specchio»378. La nitidezza dell’immagine si otteneva collocando una lente convessa
quadrato ma è perfettamente corrispondente alla descrizione di Barbaro per quanto nel foro di apertura della camera oscura, un accorgimento ottico precedentemente
riguarda il sistema di traguardo e tracciamento. Barbaro spiega che al centro della descritto solo da Girolamo Cardano nel De subtilitate (1550) e puntualmente ripreso
tavola orizzontale era imperniato un «pirone» girevole alto due dita (poco più tre in questo capitolo di Daniele Barbaro: «Se vuoi vedere come la natura pone le cose
centimetri), e che questo era «partito nel mezzo», cioè fessurato, per accogliere un digradate […] farai uno bucco nello scuro d’una finestra […] tanto grande quanto
altro «pirone» alto un piede e incernierato al primo per mezzo di un «pironzino», cioè è il vetro d’un occhiale. Et piglia un’occhiale da vecchio, cioè che habbia alquanto
un piccolo perno. All’estremità superiore del «pirone» era saldata «come la lettera T» di corpo nel mezzo, et non sia concavo, come gli occhiali da giovani, che hanno la
una canna di mezzo piede che serviva a traguardare i punti dell’oggetto. Nel mezzo vista curta, et incassa quel vetro nel bucco»379. Per aumentare la nitidezza dell’immagine
del «pirone», all’altezza della sommità della tavoletta col foglio da disegno, vi era ed eliminare le aberrazioni marginali, Barbaro suggeriva di diaframmare la lente: «et
un’altra canna nella quale scorreva un «sottile ferruccio» che tracciava sul foglio il se vorrai coprire il vetro tanto, che vi lasci una poca di circonferenza nel mezzo, che
punto traguardato. Le due canne erano fisse e parallele e si muovevano solo grazie sia chiara e scoperta, ne vederai anchora più vivo effetto».
alla rotazione orizzontale e verticale consentita dal doppio perno alla base della T. Gli ultimi due strumenti servivano a riprodurre i disegni in scala maggiore o minore.
«Questo strumento – scrive Barbaro – quanto all’invenzione è bello, ma quanto all’uso Il primo era un’invenzione di Giovanni Battista Vimercato tratta dal Dialogo della
ha bisogno di essere meglio formato, et fatto maggiore, et con più avvertimenti, i descrittione teorica et pratica degli horologi solari edito a Venezia nel 1565 (fig. 154)380.
quali lascio all’inventore, che mi disse di volerlo rifformare». La modifica apportata Lo strumento consisteva semplicemente nell’uso di due gnomoni la cui altezza reciproca
successivamente dal Lanci sarebbe stata quella di trasferire il punto di rotazione verticale era proporzionale al rapporto di riduzione che si voleva ottenere. I due gnomoni
al centro della canna inferiore, considerando quel punto come il vertice della piramide venivano infissi su una tavola, uno al centro del disegno da riprodurre, l’altro sul foglio
visiva che nella versione precedente era inaccettabilmente mancante. bianco che doveva ospitare la copia del disegno. La tavola doveva essere poi esposta
Il successivo strumento era una raffinata camera oscura377. Questo «modo naturale al sole e inclinata fin tanto che l’ombra del primo gnomone toccasse un punto del
di mettere in prospettiva» era solitamente usato dagli astronomi per osservare le disegno; quando ciò avveniva, l’ombra dell’altro gnomone ne indicava la posizione
eclissi, almeno fin dal Medioevo (fig. 153). Leonardo ne aveva descritto il fenomeno corrispondente sul secondo foglio. Vimercato ne aveva suggerito l’uso per riprodurre

156 157
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153 154
151 Il distanziometro di B.
Lanci, riproduzione facsimile
(a cura dell’autore) completo
di tavoletta per il disegno
prospettico. Firenze, Istituto e
Museo di Storia della Scienza.

152 G. Contarini, Figure


d’istromenti matematici e loro
uso, ms., ca. 1590, cc. 39-40,
strumento prospettico.
Oxford, Bodleian Library,
Ms. Canon Ital. 145.

153 R. Gemma Frisius,


De radio astronomico [1545],
Anversa 1584, p. 312,
camera oscura per
l’osservazione delle eclissi.

154 G.B. Vimercato, Dialogo


della descrittione teorica et
pratica degli horologi solari,
Venezia 1565, parte II, cap. II,
p. 97, uso dello gnomone per
la riproduzione dei disegni. gli orologi solari ma, spiegava Barbaro, con quel procedimento si poteva riprodurre
anche «una fortezza, una figura humana, et qualunque altra sorte di cosa». Dalla
pratica cartografica derivava invece l’ultimo strumento della serie, anch’esso destinato
alla riproduzione dei disegni381. In questo caso si trattava di due semicerchi graduati,
al centro dei quali erano imperniate due righe, anch’esse graduate e di lunghezza
proporzionale al rapporto di riduzione. Un semicerchio con la sua riga andava messo
sul disegno da riprodurre in modo da misurare la posizione di un punto qualsiasi
151 152
ruotando la riga fino a toccarlo: le coordinate del punto erano l’angolo e la distanza
dal centro dello strumento. Il secondo semicerchio doveva essere predisposto allo stesso
modo per ritrovare le coordinate del punto nella scala di riduzione. Un sistema
simile era stato elaborato verso la metà del Quattrocento nella scuola cartografica
viennese di Klosterneuburg per costruire una mappa a partire da un globo terrestre382,
ma l’uso dello strumento goniometrico nel rilevamento topografico e nel disegno delle
mappe era ormai diffuso tra i cartografi di tutta Europa. «Lascio ad altri – conclude
Barbaro – di ponere molte altre maniere di compassi, di righe, e di instrumenti da
formare diverse linee proporzionate, overo ovali, et quelle altre, che sono tagli de i
coni, dette parabole, ellipse, et hyperbole».
Speciali compassi erano stati inventati e pubblicati da Dürer. Un compasso per fare
gli «ovati» circolava ormai da tempo come «compasso di Leonardo»383. E nel 1567 il
matematico Fabrizio Mordente aveva dedicato a Daniele Barbaro un foglio a stampa
con la descrizione di un nuovo compasso proporzionale destinato ad avere importanti
sviluppi negli anni immediatamente successivi384. L’invenzione di Mordente faceva da
ponte con le contemporanee ricerche dei matematici urbinati, e cioè Federico
Commandino e Guidobaldo del Monte, che proprio in quegli anni elaborarono nuovi
compassi di riduzione e di proporzione per la riproduzione dei disegni, il disegno delle
fortezze, la costruzione dei poligoni e il calcolo proporzionale385. La prospettiva dei
pittori era ormai parte integrante di uno sviluppo compatto delle scienze matematiche
che trovavano nella rappresentazione geometrica uno degli strumenti di indagine più
significativi.

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Giacomo Barozzi da Vignola e Egnazio Danti testi e chiare tavole illustrative. Nella forma in cui lo conosciamo, il trattato è invece
un denso volume arricchito dai lunghi commentari illustrati di Egnazio Danti che, come
Barbaro nei confronti di Vitruvio, scrisse un trattato nel trattato391.
Quella di Egnazio Danti è una figura di grande rilievo per i rapporti tra le arti
figurative e le scienze matematiche. Membro di una nobile famiglia di artisti e matematici
perugini, Carlo Pellegrino prese il nome di Egnazio quando entrò nell’ordine
domenicano392. Crebbe in un clima familiare particolarmente vivace sul piano culturale.
Al nonno Piervincenzo, orafo e architetto, si deve una traduzione della Sfera di
Sacrobosco, poi pubblicata dallo stesso Egnazio nel 1571 (al nonno si deve anche il
cognome assunto dai discendenti, già Rinaldi, derivato dal soprannome, “Dante”, che
i contemporanei gli attribuirono per le sue qualità letterarie); il padre Giulio, anch’egli
Tra i suoi viaggi di studio, Daniele Barbaro ne fece uno appositamente a Caprarola per orafo e architetto, è ricordato da Egnazio nel commento al Trattato del radio latino
visitare il nuovo palazzo dei Farnese in forma di fortezza. Ad accompagnarlo c’era (Orsini 1583) come esperto topografo; il fratello Vincenzo era il noto scultore, autore
l’architetto che lo aveva ideato, Giacomo Barozzi da Vignola, che gli illustrò del Primo libro del trattato delle perfette proporzioni (Firenze 1567); e la zia Teodora
dettagliatamente le celebrate invenzioni architettoniche, i giardini e le sale decorate è ricordata come pittrice e studiosa di Euclide. Fu lei a educare Egnazio alle scienze
con finte prospettive «che ingannano la vista di chiunque le mira», come «il meraviglioso matematiche. All’età di appena ventisei anni, nel 1562, Danti fu chiamato da Cosimo
sfondato della camera tonda» (fig. 155). A ricordare questa visita è Egnazio Danti nella I de’ Medici a ricoprire la nuova carica di cosmografo graducale, svolgendo un ruolo
biografia dell’architetto emiliano scritta per l’edizione commentata de Le due regole fondamentale nel rilevamento cartografico del nuovo stato mediceo. Dopo la morte
della prospettiva pratica di M. Iacomo Barozzi da Vignola. L’opera fu stampata postuma di Cosimo (1574) si trasferì a Bologna, e poi a Roma dove fu cosmografo di Gregorio
nel 1583, dieci anni dopo la morte del Vignola, ma l’architetto vi lavorava da lungo XIII, partecipando attivamente alla riforma del calendario giuliano e realizzando il suo
tempo. Una prima redazione sembra risalire all’epoca dell’inizio dei lavori a Caprarola, capolavoro cartografico nella celebre Galleria delle carte geografiche in Vaticano.
nel 1559386, ma la fama del Vignola come prospettico aveva già trovato un autorevole Danti ricevette il manoscritto del Vignola nel 1580, dandolo alle stampe tre anni
riconoscimento l’anno precedente nelle parole con cui Federico Commadino dedicava dopo in coincidenza con la sua nomina all’Accademia di San Luca. La scelta di Giacinto
al cardinale Ranuccio Farnese i suoi commentari al Planisfero di Tolomeo: «A questo Barozzi, nell’individuare l’editore dell’opera paterna, non era stata arbitraria. Danti
titolo hai nella massima considerazione il bolognese Giacomo Barozzi, che mettesti conosceva una versione autografa del trattato fin dagli anni sessanta, avendola vista
a capo della costruzione delle tue splendide dimore, e che, essendo un architetto presso il collezionista fiorentino Niccolò Gaddi. Nel 1571, quando assunse l’incarico di
eccellente ed assai competente, conosce così bene la prospettiva che in questa parte lettore di matematica nello Studio fiorentino, Danti utilizzò proprio le regole del Vignola
di scienza non cede, senza dubbio, il campo a nessuno del nostro tempo». Il trattato per le sue lezioni di prospettiva e, per sua stessa ammissione, operò tanto «che l’autore
era certamente finito verso il 1570, quando il figlio Giacinto lo trascrisse interamente s’indusse finalmente a parteciparle al mondo per mezzo delle stampe»393. La scomparsa
sotto la guida del padre. Fu la sua trascrizione che Giacinto affidò alle cure del grande del Vignola, che nel frattempo aveva iniziato a far incidere i disegni, interruppe però
cosmografo perugino su suggerimento dell’architetto pontificio Ottaviano Mascherino387. il progetto che Danti ebbe modo di portare a compimento solo dieci anni dopo sulla
E Danti ne fece uno dei trattati più importanti del Cinquecento. nuova versione del trattato affidatagli da Giacinto. Nel 1573, inoltre, il cosmografo
Gli studi prospettici del Vignola risalgono agli anni della sua giovinezza, quando a mediceo aveva pubblicato la prima traduzione italiana dell’Ottica di Euclide, il testo
Bologna eseguì i disegni per le tarsie di San Domenico su incarico di Francesco Guicciardini fondativo degli studi prospettici medievali e rinascimentali, dedicandolo alla neonata
(fig. 156)388. L’interesse per l’architettura portò l’artista a Roma fin dal 1536, e lì iniziò Accademia del Disegno di Perugia (1570) di cui furono membri lo stesso Egnazio e il
il lungo lavoro di misurazione e studio dei monumenti antichi che sfociò nella fratello Vincenzo394. La Prospettiva di Euclide era stata tradotta a uso degli studenti che
fortunatissima pubblicazione della Regola delli cinque ordini d’architettura (1562), a Firenze frequentavano le sue lezioni di matematica, ed era corredata di commentari
opera magistrale per concisione, chiarezza e composizione delle tavole389. Nel 1537 ben distinti dal testo euclideo, secondo la formula tipografica poi adottata anche per
Vignola si recò in Francia, alla corte di Francesco I, dove operò come architetto e preparò l’edizione del trattato del Vignola. L’opera fu stampata con l’augurio che «la professione
«cartoni di Prospettiva» per gli affreschi dipinti dal Primaticcio nella reggia di del disegno fondata sopra le Matematiche, sia per ritornar di nuovo, come già fu». Nel
Fontainebleau390. Tornato a Bologna e quindi nuovamente a Roma, divenne il grande proemio in lode della prospettiva, indirizzato agli accademici perugini, Danti lamentava
architetto dei Farnese che oggi conosciamo. Il trattato di prospettiva presenta la stessa un forte calo di interesse per questa disciplina negli studi universitari, segnalando che
concisione e assolutezza del trattato sugli ordini architettonici. Se fosse stato pubblicato tutto ciò che ne restava si doveva alle ammirevoli ricerche pratiche degli artisti: «non
nella forma in cui l’autore lo aveva lasciato, sarebbe stato un opuscolo fatto di brevi posso se non meravigliarmi grandemente come possa essere, che appresso le persone

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155 156
155 G. Barozzi da Vignola,
palazzo Farnese, Caprarola
(Viterbo), la «camera tonda».

156 Fra D. Zambelli


(su disegno del Vignola),
Mosè salvato dalle acque,
tarsia lignea, 1534.
New York, Metropolitan
Museum of Art, Rogers Fund,
inv. 12.130.2.

scienziate, et dotte questa scientia della prospettiva sia havuta in così poca stima […] discipline matematiche, la funzione del disegno come strumento di misura doveva
et che non bisogni più andare ad impararla nelle scuole dei Filosofi essendo da essi apparire perfettamente chiara. A quella data, del resto, la prospettiva era ormai un
sbandita, ma quel poco che ci resta, resta tutto in un poco di pratica appreso a gli artefici tema di grande diffusione, sia pratica sia teorica. Le regole di Piero della Francesca,
meccanici»395. Il monito del Danti ebbe forse qualche effetto anche sui programmi benché inedite, erano ben conosciute, «e chi vuol conoscere l’eccellenza loro – scriveva
didattici dell’Accademia fiorentina del Disegno che proprio in quegli anni cominciò a Danti – vegga che Daniel Barbaro ne ha trascritto una gran parte nel suo libro della
consolidare l’insegnamento della matematica, dove il lettore incaricato era tenuto «a Prospettiva»401. Danti ricordava anche le regole di Serlio, «che da Baldassarre da Siena
leggere gl’Elementi d’Euclide e poco appresso congiuntamente o alternativamente una [Peruzzi] l’haveva imparate», quelle di «Iacomo Andreotti dal Cerchio [Androuet du
lezione di prospettiva o di Meccaniche o d’altra geometria pratica»396. Cerçeau], et Giovan Cusin Franzesi [Jean Cousin]», quelle di Pietro Cataneo che «ha
L’importanza della prospettiva per le arti e le scienze matematiche era già stata posto il modo medesimo di Pietro dal Borgo», quelle «ordinarie in compendio da
autorevolmente sottolineata da Daniele Barbaro nel suo commento a Vitruvio397. Danti Leonbattista Alberti, da Lionardo da Vinci, da Alberto Duro, Giovacchino Fortio [Joachim
indicò le discipline di cui la prospettiva si poneva a fondamento, a cominciare dalla Fortius], et Giovan Lencker [Hans Lencker], et Venceslao Giannizzero Norinbergense
«Geografia, poiché ella sola ci mostra il modo di ridurre in piano, in forma o ovata, ò [Wentzel Jamnitzer]», quelle del «Viatore [Jean Pélerin]» e quelle del Commandino402.
circulare, et in diverse altre maniere proportionevolmente il sito di tutta la terra insieme, Tra tutte, le «due regole» del Vignola gli sembravano le più chiare e risolutive, bisognevoli
et delle provincie particulari et ci fa havere perfetta cognitione delle distanze de’ luoghi solo di qualche «esplicatione» – in realtà lunghe digressioni e precisazioni – e di
[…] Et non minore aiuto dà alla Astronomia essendo cagione, che sappiamo al certo un’introduzione geometrica.
la grandezza delle stelle, et la positura de’ Cieli, […] anzi quanto sia utile a infinite arti Se Vignola aveva ritenuto sufficiente spiegare preliminarmente che nell’ambito del
meccaniche, et particularmente alla Architettura, et a tutte le tre arti del disegno»398. campo di indagine della «prospettiva» come scienza della visione la scienza dei «Pittori
Nelle intenzioni del Danti, alla Prospettiva di Euclide doveva seguire un trattato di et disegnatori» si occupava solo della rappresentazione «per forza di linee», Danti
prospettiva pratica «per soddisfatione degli artefici», ma il progetto fu interrotto dalla ritenne opportuno sviluppare un’argomentazione più articolata, svolgendola in
notizia che il barone Bernardino Martirano stava per pubblicare uno scritto definizioni, supposizioni e teoremi. Quella che i greci chiamavano «Scenografia» era
sull’argomento399. Di questo scritto non si hanno altre notizie, mentre possiamo ritenere un disciplina matematica che manteneva i principi della scienza fisica da cui derivava,
che l’occasione di editare il trattato del Vignola sia stata colta dal Danti come una cioè l’ottica403. Punto, linea e superficie andavano pertanto considerati, in senso
possibilità per riprendere il suo vecchio progetto. aristotelico, come oggetti visibili piuttosto che come entità astratte. Le «linee radiali»
Dedicando Le due regole al capitano Giacomo Boncompagni che qualche anno che portavano i «simulacri delle cose» in forma piramidale al centro del cristallino –
prima gli aveva commissionato il rilievo dello Stato pontificio, Danti aggiunse una secondo un’interpretazione dell’organo visivo che Danti attribuiva al fratello Vincenzo
disciplina alle svariate applicazioni della prospettiva, ricordando come «oltre a tanti (fig. 157)404 – avevano il loro corrispettivo grafico nelle «linee parallele prospettive»
comodi, che ella apporta all’arte Militare, reca ancora giovamento notabile che nel disegno prospettico convergono sull’orizzonte. Tenendo conto dei termini usati
all’espugnatione, et difesa delle fortezze, potendosi con gli strumenti di quest’Arte dal Vignola, Danti formulò le proprie definizioni relative al disegno prospettico: la
levare in disegno qual si voglia sito senza accostarvisi, et haverne non solamente la «linea piana» che «da altri è detta linea della terra» è quella che giace alla base del
pianta, ma l’alzato con ogni sua particolarità; et le misure delle sue parti proportionate quadro; la «linea orizzontale» è quella che corre parallelamente alla linea di terra e
alla distanza, che è tra l’occhio nostro, e la cosa che habbiamo messa in disegno»400. sta al livello dell’occhio; sull’orizzonte si trovano il «punto principale» che è posto
L’applicazione topografica della prospettiva non è ulteriormente menzionata ma al «dirimpetto dell’occhio», il «punto della distanza» che indica la distanza dell’osservatore,
destinatario della dedicatoria, come a chiunque altro avesse dimestichezza con le e i «punti particolari» che sono punti di convergenza di rette non ortogonali né a 45°

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157 158 E. Danti, anatomia


dell’occhio; dimostrazione
157 158
geometrica della costruzione
con punti di distanza
(G. Barozzi da Vignola,
Le due regole della
prospettiva pratica di M.
Iacomo Barozzi da Vignola,
Roma 1583, I, pp. 3, 17).

rispetto al quadro; le «linee parallele principali» sono quelle convergenti al «punto l’intersezione della piramide visiva in pianta e in alzato, ovvero il secondo «modo»
principale»; le «linee diagonali» sono quelle convergenti al «punto della distanza», di Piero della Francesca, mentre la seconda era la costruzione con punto di distanza
detto anche «diagonale»; le linee «parallele secondarie» sono quelle convergenti ai che ai tempi del Vignola circolava in varie forme non ancora del tutto definite. Il
«punti particolari»405. procedimento del Vignola, impeccabile, semplice e veloce, conduceva l’opera del pittore
Nelle supposizioni Danti entrò nel merito delle teorie della visione tramandate dagli fino alla risoluzione di ogni singolo dettaglio «senza mescolarvi punto di pratica». In
antichi e dai filosofi medievali, riproponendo sostanzialmente le supposizioni dell’ottica questa forma, che non obbligava i pittori a cercare scorciatoie per alleviare le proprie
euclidea che lui stesso aveva tradotto e pubblicato dieci anni prima. Nei teoremi fatiche, Danti la riconobbe come una regola «del tutto inventata» dal Vignola410.
prese in esame le proprietà geometriche dei triangoli e delle figure piane, rimandando Prima di procedere alla spiegazione della regola, Vignola si era soffermato sul
il lettore che fosse stato interessato alla «spiegatura» dei corpi agli scritti di Luca Pacioli, problema della visione binoculare che evidentemente costituiva un argomento di
Albrecht Dürer, Daniele Barbaro e Simon Stevin406. I teoremi avevano lo scopo di legittimare discussione anche nelle botteghe degli artisti circa la legittimità di utilizzare «un sol
geometricamente i procedimenti che molti pittori conoscevano solo per pratica. Così, punto» per la rappresentazione prospettica, quando la visione si compie per mezzo
ad esempio, si dimostrava che se un triangolo è posto tra due linee parallele in modo di due occhi. L’apparente incompatibilità tra rappresentazione monoculare e visione
che la base coincida con la linea inferiore (linea di terra) e il vertice con la linea superiore binoculare si annullava per Vignola in considerazione del fatto che gli occhi funzionano
(orizzonte), e da due punti collocati simmetricamente rispetto al vertice sulla linea solo come organi ricettivi attraverso i quali i simulacri delle cose transitano per andare
superiore (punti di distanza) si tracciano due rette fino agli angoli opposti della base, «a terminare in un sol punto nel senso commune», là dove i nervi ottici, unendosi,
queste intersecano i lati del triangolo in due punti per i quali passa una linea parallela danno luogo alla formazione dell’immagine411. La questione fisiologica, tuttavia, non
alla base e all’orizzonte (fig. 158). Il risultato è la costruzione prospettica di un quadrato poteva influire più di tanto sul modello geometrico della visione che restava valido
con due punti di distanza407. Tra i teoremi figura anche una dimostrazione pratica sulla e applicabile così come Euclide lo aveva definito diciotto secoli prima. All’estensione
digradazione prospettica delle parallele elaborata a Bologna da Tommaso Laureti, piramidale dei raggi visivi andava aggiunto un solo elemento geometrico che
«pittore et Prospettivo eccellentissimo», che per mezzo di un telaio («uno sportello di rappresentava il fondamento della «prima regola», ossia «una settione di linee»
legno»), un traguardo e alcuni fili dimostrava la convergenza delle parallele ortogonali fatta per mezzo di un piano, una «parete», sul quale restavano impresse le immagini
al quadro e la diminuzione degli intervalli (fig. 159)408. delle cose «finte di là dalla parete» (fig. 160)412. Per spiegare questo concetto, Danti
si servì di un modello meccanico esemplare, «lo sportello di Alberto Duro, nel quale
La prima regola vedremo in atto distintamente questa proposta meravigliosa, perché il filo, che al
Dopo questa densa introduzione ottico-geometrica, il lettore poteva accedere finalmente suo punto immobile, il quale rappresenta l’occhio, è tirato dai punti del corpo, che
alla prima regola del Vignola. Il testo dell’architetto emiliano, evidenziato da un sia da disegnare, ci rappresenta tutte le linee radiali, che dalla cosa vista vanno
carattere più grande, iniziava subito con una questione lungamente dibattuta da artisti all’occhio, et li due fili incrociati nello sportello ci rappresentano il piano, che sega
e teorici sulla legittimità o meno delle svariate «regole» utilizzate nelle botteghe. le linee radiali» (fig. 161a)413.
Contro la comune opinione che «una sola regola sia vera» e le altre false, Vignola Qui troviamo una delle tipiche digressioni del Danti che si soffermò a considerare i
sosteneva che i vari procedimenti conosciuti e applicati fin dal Quattrocento avevano limiti dello «sportello» e a proporne svariati perfezionamenti. Mentre sul piano della
tutti un comune fondamento prospettico e dipendevano da «due principali regole», rappresentazione meccanica dei principi prospettici lo «sportello» era quanto di più
una «più nota, et più facile a conoscersi, ma più lunga, et più noiosa», l’altra «più perfetto fosse stato fino ad allora inventato, sul piano operativo aveva un limite
difficile a conoscere, ma più facile ad eseguire»409. La prima era quella che prevedeva riconosciuto dallo stesso Dürer: il «filo radiale» restava ben teso solo nelle brevi distanze,

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impedendo di utilizzare lo strumento per ritrarre oggetti lontani. Una soluzione fu che, scorrendo su una guida orizzontale, poteva raggiungere il «filo radiale» in ogni
proposta dallo stesso Danti che suggerì di applicare allo sportello il sistema di traguardo sua posizione. Le intersezioni venivano trascritte grazie all’analoga scala graduata del
normalmente utilizzato negli strumenti astronomici, a lui più familiari (fig. 161e): «se braccio orizzontale che scorreva sul foglio da disegno.
bene con questo sportello di Alberto non si possono disegnare se non le cose picciole, Tra i disegni del Vignola che Danti visionò in previsione della stampa, vi era anche
che ci sono vicine, io nondimeno ne ho fatto un’altro con i traguardi con il quale sarà il progetto di uno nuovo strumento prospettico, qui presentato come «sesto sportello»
possibile disegnare in Prospettiva ogni cosa per lontana che sia»414. I traguardi erano (fig. 162)418. Attraverso il movimento di un’asta graduata e di un cursore, il pittore misurava
quelli di una «diottra» incernierata su uno stativo. Una volta fissata la diottra nella le coordinate dei punti che riportava su un foglio quadrettato in modo simile al velo
direzione di un punto da disegnare, per i fori di traguardo veniva tirato un filo che albertiano. L’ultimo strumento della serie – quello «che Daniel Barbaro dice aver visto
attraversava il telaio per «incrociare li due fili diagonali». Come esperto di strumenti di in Siena à Baldassarre Lanci da Urbino» – si distingueva nettamente da tutti gli altri per
misurazione, Danti subiva il fascino delle nuove invenzioni e non seppe resistere alla avere un piano di sezione curvo, cosa che Danti considerava un’anomalia del tutto
tentazione di raccogliere in questa lunga digressione ben altri cinque «sportelli» elaborati inaccettabile tanto da richiedere una dimostrazione della sua falsa operazione (fig. 163).
da vari artefici di sua conoscenza. Il primo gli fu mostrato da un suo concittadino, l’abate Danti doveva certamente conoscere lo splendido esemplare in ottone costruito da
di Lerino don Girolamo da Perugia, che aveva proposto di incernierare lo sportello alla Baldassarre Lanci per Cosimo I nel 1557, ma lo strumento che illustrò nell’opera del
base e intersecare i raggi visivi per mezzo di due asticelle di legno incrociate, sul modello Vignola era una versione semplificata piuttosto vicina alla descrizione di Daniele
di alcuni strumenti topografici come l’olometro di Abel Foullon (fig. 161b)415. Un altro Barbaro. La sola differenza stava nella posizione della canna inferiore con lo stilo
«sportello» gli era stato mostrato da Orazio Trigrini de’ Marij (fig. 161c), che conosciamo per segnare i punti che qui si trovava a metà della tavoletta curva, invece che alla
come consulente per l’iconografia di un soffitto astrologico a Caprarola416. Questo sommità. Dobbiamo presumere che questa sia una delle modifiche apportate dal Lanci
consisteva nel montare il telaio e la tavoletta da disegno l’uno a fianco all’altra. Una dopo la visita del Barbaro per adeguare il suo strumento topografico alle esigenze dei
riga orizzontale graduata, scorrevole su entrambi i piani, e un filo legato a un angolo pittori. Ed è probabile che in questa versione semplificata, data la rapidità con cui si
del telaio permettevano di misurare le intersezioni sul piano del telaio, che fungeva da potevano eseguire i disegni, lo strumento abbia trovato una calorosa accoglienza nelle
finestra, e riportarle sul foglio da disegno. Dello sportello di Dürer in realtà restava ben botteghe fiorentine. Danti dice infatti che lo strumento «da molti è usato, et tenuto
poco, e ancora meno se ne potevano ritrovare le tracce nella «squadra» che Danti aveva in conto»419. La falsità dell’operazione prospettica di questo strumento stava, per Danti,
elaborato circa dieci anni prima a Firenze (fig. 161d)417. In questo semplice ma efficacissimo nell’uso della sezione curvilinea. L’immagine che ne risultava era accettabile fin tanto
strumento le intersezioni venivano misurate sul braccio verticale graduato della squadra che restava su quella sezione, «ma come la carta si spicca» dalla tavoletta per essere

159 161
159 160 161 E. Danti,
lo strumento di T. Laureti;
il principio dell’intersezione
secondo il Vignola; strumenti
prospettici (G. Barozzi
da Vignola, Le due regole
della prospettiva pratica
di M. Iacomo Barozzi
da Vignola, Roma 1583,
I, pp. 39, 55, 56-59).

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162 163 164 E. Danti,
strumento prospettico del
Vignola; il distanziometro
di B. Lanci; dimostrazione
dell’errore di B. Lanci
(G. Barozzi da Vignola, Le
due regole della prospettiva
pratica di M. Iacomo Barozzi
da Vignola, Roma 1583,
I, pp. 60, 61, 62).

stesa in piano, «si altera e confonde ogni cosa» (fig. 164). L’immagine perdeva cioè della «prima regola» del Vignola, Danti passò in rassegna alcune regole allora diffuse
la sua fondamentale prerogativa di essere una sezione della piramide visiva: «come la nelle botteghe, mettendone in risalto limiti e difetti. La prima era proprio «quella di
carta si riduce a dirittura in piano [le grandezze] saranno fuori del sito loro, et non ci Baldassarre da Siena, scritta prima da maestro Pietro dal Borgo à san Sepolcro, et poi
mostreranno il vero nella settione della piramide visuale». Per dimostrare il concetto, da Sebastiano Serlio, il quale essendo stato allievo di Baldassarre da Siena, prese da
Danti si servì dello stesso schema geometrico utilizzato da Leonardo per spiegare la lui tutte le cose buone de’ suoi libri dell’Architettura» (fig. 166)425. Danti conobbe questa
differenza tra visione naturale e rappresentazione prospettica. Un dubbio a questo regola anche attraverso il padre «che di Baldassarre fu singolare amico» e, dunque, la
proposito era stato sottoposto al Danti da Girolamo da Perugia anche riguardo allo sua esposizione deriva da una conoscenza diretta. Così come la descriveva il Danti, la
sportello di Dürer che avrebbe mostrato le cose diversamente da come l’occhio le vede. «regola» era una costruzione con punto di distanza426. La sua applicazione si limitava
«Al qual dubbio si risponde con brevità» rendendo chiare le relazioni reciproche tra però alla «digradazione delle piante». Danti si limitò a darne un semplice esempio
visione e rappresentazione420. rimandando il lettore al testo di Serlio, mettendolo però al corrente dell’errore «occorso
Ma l’invenzione del Lanci non era del tutto da scartare: «chi volesse ridurre questo nelle stampe […], dove nel digradare le piante [Serlio] piglia l’intersegatione tanto
strumento giusto, facciasi la tavola della basa dello strumento quadra, et in cambio nella linea diagonale, come anco nella perpendicolare senza mutare la distanza»427.
del pezzo di cerchio […] si pigli una tavoletta piana»421. In questa forma lo strumento Danti passò poi a illustrare la digradazione di una figura «fuor di linea», i cui lati
si trova documentato in un disegno appartenuto a Giacomo Contarini che potrebbe non erano paralleli o ortogonali al quadro (fig. 167). Si tratta ancora della regola del
derivare da un’opera perduta di Vincenzo Scamozzi (fig. 152) 422. Sulla tavoletta Peruzzi che in questo caso assumeva però dei connotati molto simili alla «seconda
dell’esemplare noto al senatore veneziano è disegnata una veduta delle rovine romane regola» del Vignola428. I punti della figura disegnata in pianta sotto la linea di terra
che richiama le incisioni dei Discorsi sopra le antichità di Roma di Scamozzi (1583). Nella erano proiettati ortogonalmente e a 45° sulla linea di terra; da qui venivano tirate
dedicatoria di quest’opera a Giacomo Contarini, l’editore Girolamo Porro elogiava delle linee, rispettivamente, al «punto principale» e al «punto della distanza»; le
l’opera di Scamozzi come architetto e studioso «d’architettura, et di prospettiva, sue intersezioni tra le linee di quei due fasci di rette indicavano i punti corrispondenti della
principali professioni», specificando come sulla «prospettiva, egli ha composto molti figura digradata. Il prolungamento dei lati della figura digradata indicava inoltre
libri con ornamenti di molti disegni i quali sono stati da V.S. Clariss. con gran piacere, sull’orizzonte i cosiddetti «punti particolari», ossia i punti di fuga di quelle rette
et sodisfattione veduti». Potremmo supporre che i libri oggi perduti di Scamozzi, noti particolari da usare come ausilio e verifica nella costruzione prospettica429. Le due regole
al Contarini, contenessero anche alcuni strumenti prospettici: non solo quello appena successive sono casi esemplari del tipo di operazioni che si elaboravano nelle botteghe
ricordato, ma anche una versione della «squadra» del Danti che troviamo documentata degli artisti allo scopo di ottenere risultati soddisfacenti senza troppo dispendio di
sia tra i disegni del Contarini, sia in un anonimo manoscritto sulla prospettiva posseduto tempo e energie. Danti le descrisse per denunciarne la falsità ma anche per accentuare
da Gian Vincenzo Pinelli423. il modo «artificioso et bello» di Peruzzi e Vignola430.
Gli strumenti, e in particolare lo «sportello» di Dürer, dimostravano materialmente
il principio operativo della prima regola del Vignola, nella quale – posto l’occhio, il La seconda regola
quadro e l’oggetto secondo i cinque termini indicati dall’autore – si procedeva Nell’introdurre la «seconda regola», Vignola descrisse le quattro tipologie di rette da
intersecando i raggi visivi nelle due proiezioni ortogonali (fig. 165). Vignola dimostrava prendere in considerazione: le «linee piane», ossia la linea di terra e le sue parallele;
che quel procedimento portava allo stesso risultato ottenibile con una delle regole le «linee erette», ossia le ortogonali alla linea di terra; le «linee diagonali», quelle
allora più diffuse nelle botteghe dei pittori, la cosiddetta «regola ordinaria di Baldassarre orientate a 45°; e le «linee poste à caso», ossia secondo qualsiasi altra direzione. Le
da Siena», la quale differiva solo nella misura delle larghezze424. Per dimostrare l’eccellenza prime «vanno ad unirsi in un punto su la linea orizzontale, dove va a ferire la vista del

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165 166 167 E. Danti,
165 166 la prima regola del Vignola;
la regola di B. Peruzzi; regola
per il disegno delle figure
oblique (G. Barozzi da
Vignola, Le due regole
della prospettiva pratica
di M. Iacomo Barozzi
da Vignola, Roma 1583,
I, pp. 65, 82, 84).

riguardante», le diagonali «vanno a fare il suo punto su l’orizzonte discosto dal punto imperniate rispettivamente nel punto principale e in quello di distanza; Danti aggiunse
principale quel tanto che si haverà a star discosto dalla parete», mentre le linee «poste che nel disegnare direttamente sulla parete da dipingere si potevano utilizzare due fili
à caso» (Danti le chiamò «linee erette secondarie») andavano a convergere verso punti legati ai rispettivi chiodi infissi in corrispondenza dei due punti di fuga437. Il trasporto
posti sull’orizzonte «secondo la sua positura» (Danti li chiamò «punti particolari»)431. delle tracce dei punti dalla pianta alla linea di terra era affidato invece a due strisce di
La minima distanza di osservazione ammessa dal Vignola era una volta e mezzo la carta – una per i punti «eretti», l’altra per i punti «diagonali» – che Vignola chiamava
larghezza del quadro. Questa stabiliva la posizione dei punti di distanza che potevano «sagme», derivando il termine, spiega Danti, dal modo in cui gli architetti bolognesi
essere due, simmetricamente posti sull’orizzonte a destra e a sinistra del punto principale, chiamavano le modanature degli ornamenti architettonici. L’espediente aveva certamente
o quattro, quando se ne volevano utilizzare altri due posti sulla verticale passante per origine da quello suggerito da Piero della Francesca per trasportare i punti di intersezione
il punto principale. Questo secondo caso si prestava particolarmente bene a disegnare nel «secondo modo»438.
velocemente la prospettiva di un cubo432.
Nel disegnare una qualsiasi figura, era necessario costruirne la pianta, proiettare Quadraturismo, scenografia, anamorfosi
i suoi punti sulla linea di terra con linee «erette» e «diagonali», unire le tracce ottenute L’uso delle «sagme» si poteva apprezzare particolarmente nel disegno degli ordini
con i rispettivi punti di fuga «principale» e di «distanza», e individuare le intersezioni architettonici dove i punti da misurare potevano essere innumerevoli. Gli ultimi capitoli
delle singole coppie di linee corrispondenti a ciascun punto della figura (fig. 168)433. del trattato erano dedicati proprio a quel problema che era, in definitiva, il vero oggetto
La somiglianza con il metodo del Peruzzi era per Danti indice di perfezione: «se vorremo della rappresentazione prospettica. I pittori impegnati nella decorazione parietale o
conoscere quanto questa regola sia buona et vera […] potremo ancora vedere che nella progettazione delle scene teatrali non potevano esimersi dall’apprendere il rigoroso
opera conforme alla regola ordinaria di Baldassarre»434. Il procedimento, in realtà, non procedimento prospettico che avrebbe garantito la perfetta riuscita del loro lavoro.
era del tutto nuovo. Lo si poteva individuare nel primo metodo illustrato da Federico Innanzi tutto, i pittori dovevano imparare a pensare da architetti. Il disegno delle
Commandino nei commentari al planisfero tolemaico, ed era stato descritto proprio architetture e degli ordini architettonici doveva essere concepito «nel modo che ci
negli stessi termini da Jean Cousin nel 1560 con un rigore che rendeva sistematico l’uso havesse a servire d’Architettura»439. Gli elementi architettonici dovevano cioè essere
dei «tiers poincts» nello stesso modo in cui Vignola rendeva sistematico l’uso dei «punti progettati e disegnati in tripla proiezione ortogonale – pianta, prospetto frontale e
di distanza»435. È probabile che anche Vignola conoscesse il Livre de Perspective del prospetto laterale – in modo da poter fare le «sagme» necessarie. Danti avrebbe voluto
pittore francese da cui si potevano estrarre termini come «poinct principale», «ligne concludere l’esposizione della seconda regola con una serie di tavole sui corpi regolari
terre», «ligne horizontalle», o «poinct accidental» (fig. 169). Quest’ultimo era il punto disegnati in prospettiva, sul modello di quelle pubblicate da «Vuinceslao Iannizzero
di fuga di una retta orientata secondo un angolo qualsiasi, non ortogonale né a 45° Orefice et cittadino Norinbergense», ma per accelerare i tempi di pubblicazione decise
rispetto al quadro, un «punto particolare» di cui Vignola non mancò di segnalare di omettere questa appendice, limitandosi alla descrizione di una scala elicoidale a
l’utilità nel disegno delle figure oblique. doppia rampa «simile al pozzo di Orvieto», o ad altri esempi che a lui sembravano degni
Vignola faceva notare che nelle figure oblique in prospettiva i lati tra loro paralleli nota: «come ha fatto il Buonarroti nelle quattro scale che fece nella fabbrica di san
convergevano verso particolari punti di fuga per mezzo dei quali era possibile costruire Pietro […] è celebre quella che il Re Francesco fece in un suo palazzo a Sciamburg, dove
gli alzati più velocemente. Questi punti non erano indispensabili ma facilitavano la sono quattro scale insieme una sopra l’altra, tutte aperte […] se n’è fatta una tonda et
costruzione; Danti li chiamava anche «punti coadiutori del punto principale», precisando scempia, molto bella et alta, nella fabbrica di S. Pietro che va da alto a basso, con li
che potevano essere tanti quante erano le rette orientate in prospettiva436. Per evitare scalini di travertino, da Iacopo della Porta […] s’è fatta in forma ovata per salire da
il tracciamento di troppe linee di costruzione, Vignola propose l’utilizzo di due righe Belvedere alla Galleria fatta fare da N.S. Papa Gregorio xiij. nel Vaticano da Ottaviano

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168 E. Danti, la seconda 172 173 174 175
regola del Vignola E. Danti, metodo pratico
(G. Barozzi da Vignola, Le per la costruzione delle scene;
due regole della prospettiva schema dei periacti;
pratica di M. Iacomo Barozzi schema di un quadro a listelli
da Vignola, Roma 1583, triangolari; scatola con
II, p. 111). anamorfosi (G. Barozzi
da Vignola, Le due regole
169 J. Cousin, Livre de della prospettiva pratica di
Perspective, Paris 1560, M. Iacomo Barozzi da Vignola,
p. 42r, costruzione Roma 1583, II, pp. 91, 95, 96).
con punto di distanza.

170 B. Peruzzi, la Farnesina,


Roma, sala delle prospettive.

171 E. Danti, quadratura


architettonica di T. Laureti
per una volta di palazzo 170

Mascherini […] alla cui somiglianza ne fa al presente un’altra nel palazzo che per S. Vizzani a Bologna (G. Barozzi
da Vignola, Le due regole
Santità fabbrica a Monte cavallo, la quale è aperta et ovata, ma si regge in su le colonne, della prospettiva pratica di M.
simile à quella fatta da Bramante in Belvedere […] e si può fare ancora che giri attorno Iacomo Barozzi da Vignola,
a una colonna, et sia aperta di fuori, delle quali n’ho visto un disegno molto ben Roma 1583, II, p. 88).
fatto da Pietro da Borgo, si come in tutte le sue cose era diligentissimo et accuratissimo
disegnatore»440.
Sulle applicazioni prospettiche del disegno architettonico Danti si era soffermato
alla fine della «prima regola», descrivendo il «modo di fare le prospettive nei palchi, et
nelle volte» e il «modo che si tiene nel disegnare le Prospettive delle Scene»441. Il primo
caso era stato esemplarmente risolto da Vignola nella decorazione della «camera tonda»
di palazzo Farnese a Caprarola, dove il soffitto troppo basso rispetto all’ampiezza della
stanza era stato illusionisticamente innalzato a una quota superiore, «et inganna talmente
l’occhio, che chiunque vi entra, gli par d’entrare in una stanza molto più alta di quella
che ella veramente è»442. Il segreto stava nel porre il punto di distanza a una distanza
maggiore rispetto a quella effettivamente esistente tra il soffitto e l’osservatore. Danti
avvertiva il pittore che non sempre l’osservatore riusciva a cogliere l’intera superficie
del soffitto con una sola occhiata, e allora era buona norma spezzare la prospettiva in
«più quadri, et farci diverse Prospettive, con i loro punti particolari». Eccezionali esempi 171
si potevano vedere nelle volte dipinte da Tommaso Laureti a Bologna, in palazzo Vizzani,
e a Roma, nella sala di Costantino in Vaticano443. Analoghe considerazioni riguardavano
le pareti di grandi dimensioni che lo stesso Danti ebbe modo di decorare: «si come io
ho fatto nel dipingere per comandamento di sua Santità le facciate delle due sale de
gli Svizzeri, et delli santissimi Apostoli […] si come anco riesce molto eccellentemente
la sala che nel palazzo de’ Mattei ha dipinta così fattamente Giovanni Alberti dal Borgo
[…] et quella di Baldassarre da Siena fatta nel palazzo de Ghigi» (fig. 170)444.
La «più difficile operatione, che possa fare il Prospettivo» era per Danti la decorazione
delle volte poiché, non solo il quadro era una superficie curva, ma il più delle volte era
una superficie curva irregolare. Il progetto geometrico in questo caso doveva essere
accompagnato da una buona pratica che consisteva nell’utilizzo di un filo a piombo
legato al punto principale. Traguardando il filo o proiettandone l’ombra dal punto di
osservazione, il pittore poteva controllare la curvatura delle linee che all’occhio avrebbero
dovuto apparire dritte: «atteso che per amor della concavità della volta è stato bisogno
fare linee stravaganti, acciò all’occhio apparischino giuste». Un’opera esemplare era

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per Danti la quadratura della sala Bologna in Vaticano, dipinte da Lorenzo Sabatini una pratica «bella et secreta», e che Danti sembra aver conosciuto, ancora una volta,
su disegno di Ottaviano Mascherino, dove la composizione architettonica ricordava attraverso le sperimentazioni di Tommaso Laureti (fig. 175). Al pittore siciliano è infatti
il disegno di Laureti per i perduti affreschi di palazzo Vizzani a Bologna – documentati attribuito il procedimento geometrico per la deformazione di una testa attraverso
nel trattato da un’incisione datata 1562 (fig. 171) – e tra le colonne apparivano mirabili l’allungamento della «graticola» che ne conteneva i lineamenti, e «quanto sarà più
figure di astronomi in scorcio dal basso445. lunga, tanto s’accosterà più l’occhio al profilo della tavola per mirarla, et in faccia
Nella costruzione delle scene il problema stava nel dominare e coordinare lo scorcio apparirà più stravagante cosa»449. Il dipinto andava collocato sul fondo di una cassetta
prospettico sui vari piani delle quinte e del fondale446. Anche qui l’abilità pratica si rivelava che aveva sul lato una «finestrella» per osservare l’immagine nascosta. Un «Cristo
determinante, facendo di corde, traguardi e proiezione delle ombre gli strumenti del in profilo, dove i capelli parevano onde di mare e poi, arrivato al foro […] dimostravasi
mestiere dello scenografo (fig. 172). Per controllare lo scorcio sulle facciate oblique, Danti una faccia bellissima di Cristo» era stato dipinto da Gaudenzio Ferrari con una tecnica
suggeriva di utilizzare tre corde: una tirata dal chiodo che fissava un punto principale sul assai più rigorosa. A darne notizia è Giovanni Paolo Lomazzo nel suo Trattato della
fondale fino all’angolo anteriore del finto edificio; l’altra tirata dal punto di vista all’angolo pittura, dove si spiega come «fare la prospettiva inversa che paia vera, essendo veduta
posteriore del finto edificio, tenendola tangente alla prima; la terza tirata lungo il piano per un solo forame» sulla parete di un portico450. Il procedimento descritto era analogo
obliquo tra i punti indicati dalle due corde precedenti. Ogni facciata frontale dei vari a quello che nel secolo successivo fu compiutamente illustrato dai teorici francesi
edifici delle quinte aveva inoltre un proprio punto principale allineato tra l’occhio e il dell’anamorfosi: l’immagine da deformare era disegnata entro un reticolo e fissata
fondale. Per trovarlo erano necessarie due corde: una tirata dall’occhio al punto principale ortogonalmente al muro; il punto di vista era posto a grande distanza ed era indicato
sul fondale, l’altra tirata trasversalmente tra una facciata e l’altra, tenendola tangente da un chiodo a cui era legato un lungo filo che il pittore utilizzava per proiettare il
alla prima. La loro intersezione indicava la posizione del punto principale della facciata reticolo sulla parete; l’immagine veniva quindi trascritta all’interno del reticolo
in questione. Danti si mostrava inoltre particolarmente interessato al meccanismo dei deformato.
periacti per le scene girevoli, allora sempre più diffuse (fig. 173): «Così fattamente ho Questi casi estremi della rappresentazione prospettica acuivano l’ingegno e
inteso che già in Castro per il Duca Pierluigi Farnese fu fatta una scena, che si mutò due permettevano di gestire con maggiore consapevolezza quelle piccole ma decisive
volte, da Aristotile da san Gallo. Et poi in una simile veddi io recitare una Commedia in deformazioni che garantivano la perfetta riuscita di una decorazione murale o di una
Firenze nel palazzo Ducale, nella venuta dell’Arciduca Carlo d’Austria, l’anno 1569, dove scena teatrale. Ed è nell’ambito di queste difficoltà dell’artificio prospettico che trovarono
la scena, che fu fatta da Baldassarre Lanci da Urbino, si tramutò due volte…»447. terreno fertile anche le idee matematiche. L’individuazione di quei «punti particolari»
La necessità di dominare la deformazione delle immagini nel disegno delle volte o «coadiutori del punto principale», ad esempio, derivata dalla necessità o volontà di
e nelle scene teatrali portò il Danti a riflettere su alcune curiose espressioni dell’arte rappresentare figure liberamente orientate, era il seme di una riflessione geometrica
prospettica, specificamente elaborate per divertire e stupire l’osservatore. Alcuni che pochi anni dopo avrebbe portato Guidobaldo del Monte alla definizione teorica
dipinti potevano essere eseguiti su quadri composti da listelli triangolati in modo che dei «punti di concorso», ovvero i punti di fuga delle rette comunque orientate. La
l’oggetto rappresentato si potesse vedere solo riflesso in uno specchio (fig. 174). Le pratica artistica e il rigore matematico erano due facce della stessa medaglia che in
prime pitture di questo tipo «che in Italia si siano viste, sono un ritratto del Re Francesco, questo periodo storico appariva ormai perfettamente coniata. Vignola non aveva
et uno del Re Enrico suo figliuolo, che dal Cardinale Don Carlo Caraffa fu portato di certamente previsto che qualcuno si prendesse la briga di commentare i suoi testi – né
Francia, et donato al Card. Innocentio di Monte, nelle cui mani da me fu visto, et fino tanto meno che a farlo sarebbe stato un commentatore di Euclide – ma il fatto che ciò
à hoggi in Roma si conserva dal Signor Gostanzo della Porta»448. Tra queste applicazioni sia accaduto è sintomatico di quanto la scienza della rappresentazione costituisse ormai
prospettiche rientravano anche i dipinti anamorfici che Barbaro aveva descritto come un punto di riferimento comune ad artisti e matematici.

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Il contributo dei matematici Le regole della «scenografia» gli erano note però attraverso gli scritti dei pittori
rinascimentali: «Ai nostri giorni, presso pittori e architetti tutt’altro che spregevoli, si
tramanda un certo modo di operare che a me è stato di grandissimo aiuto nel seguire
il pensiero di questo piccolo libro»457. Il «piccolo commentario conciso e chiaro» che
l’autore decise di allegare all’edizione del Ptolemaei Planisphaerium era un coraggioso
tentativo di estirpare «il dubbio che affligge gli studiosi». Partendo dalla considerazione
che Tolomeo insegni a «disegnare sul piano tutti i cerchi della sfera celeste […] senza
alcuna dimostrazione»458, Commandino esaminò i procedimenti proiettivi che a suo
parere avrebbero potuto offrire le necessarie delucidazioni. E questi erano essenzialmente
due, rispettivamente corrispondenti ai due «modi» di Piero della Francesca che
sicuramente conosceva attraverso il celebre manoscritto esistente nella biblioteca
Federico Commandino ducale di Urbino.
Tra le fonti più autorevoli in materia di prospettiva citate dall’umanista Daniele Barbaro Adottando un linguaggio grafico tipico dei matematici, Commandino usava
e dal cosmografo Egnazio Danti, spicca il nome del matematico Federico Commandino sovrapporre nello stesso disegno le tre proiezioni ortogonali necessarie a compiere il
che, in realtà, non scrisse un trattato di prospettiva pittorica ma si preoccupò di spiegare processo di intersezione dei raggi visivi. Abbiamo visto come anche Piero della Francesca
con il linguaggio ai suoi tempi più comprensibile alcuni problemi proiettivi della avesse operato in questo modo, tanto che i disegni del Commandino sembrano essere
proiezione stereografica di Tolomeo. Commandino era uno dei matematici più eminenti una diretta filiazione del XII teorema del De prospectiva pingendi. Nel primo modo,
del secolo, fondatore della cosiddetta “scuola matematica di Urbino”, cameriere segreto Commandino spiegava come disegnare un rettangolo utilizzando il punto principale
di Clemente VII e, successivamente, familiare di Ranuccio Farnese, il dedicatario del per la fuga delle ortogonali al quadro, e il punto di distanza per la digradazione delle
Commentarius a Tolomeo451. Il nome di Commandino è legato alla rinascita della parallele (fig. 176). Nel secondo modo insegnava a disegnare un quadrato intersecando
matematica antica che caratterizzò gli studi matematici della seconda metà del secolo452. la piramide visiva in pianta e in alzato, escludendo in questo caso l’uso del punto
La permanenza a Roma e la frequentazione dell’università di Padova lo portarono a principale (fig. 177). Poi dimostrava come in relazione alla posizione reciproca dell’occhio,
contatto con gli importanti codici greci e latini custoditi sia nella ricca biblioteca Vaticana della sezione e dell’oggetto, la prospettiva di un cerchio poteva risultare un cerchio,
sia nell’altrettanto celebre biblioteca veneziana del cardinale Bessarione. Alcuni di un’ellisse, una parabola o un’iperbole, richiamando ovviamente le necessarie proposizioni
quei codici furono oggetto delle sue importanti ricerche453. Nel 1558 uscì la sua traduzione delle coniche di Apollonio459. Il primo caso – quando la prospettiva di un cerchio è un
latina, dal greco, dell’opera di Archimede (Archimedis opera nonnulla); nel 1562 il cerchio – aveva lo scopo di spiegare la ragione per cui, nella proiezione stereometrica,
Liber de analemmate di Tolomeo, accompagnato dal suo Liber de horologiorum anche il circolo obliquo dell’eclittica risultava essere un cerchio e, quindi, dimostrare
descriptione; nel 1565 il Liber de centro gravitatis solidorum ispirato all’analoga opera che la forma del planisfero era proprio l’immagine della sfera celeste che appariva
di Archimede; nel 1566 gli Apollonii conicorum libri quattuor una cum Pappi Alex. all’occhio di un osservatore virtualmente collocato al polo Sud. Gli altri casi – eccetto
lemmatibus et commentariis Eutocii Ascal., l’opera principe sulle sezioni coniche; nel l’ellisse la cui genesi come trasformazione prospettica di un cerchio era nota a tutti i
1570 il De superficierum divisionibus liber di Maometto Bagdedinus, il cui manoscritto pittori – avrebbero trovato un adeguato sviluppo nel successivo Liber de analemmate
gli era stato consegnato pochi anni prima dal matematico inglese John Dee; nel dove la trasformazione proiettiva del cerchio dava luogo alle caratteristiche sezioni
1572 la traduzione dal greco degli Euclidis elementorum libri XV con relativo commento coniche che visualizzavano la proiezione dei circoli celesti negli orologi solari (fig. 178)460.
e, nello stesso anno, l’Aristarchi de magnitudinibus et distantiis solis et lunae liber.
Il Commentarius a Tolomeo fu l’opera di esordio del Commandino. A spronarlo Giovanni Battista Benedetti
nella lettura e spiegazione dell’antico testo astronomico era stato il gesuita Baldassarre Uno dei matematici con cui Commandino ebbe modo di confrontarsi sui problemi delle
Torres, manifestandogli una difficoltà evidentemente diffusa tra gli studiosi nel sezioni coniche era Giovanni Battista Benedetti che conobbe a Venezia durante uno
comprendere le intenzioni dell’astronomo alessandrino in mancanza di un codice greco dei soggiorni al seguito del cardinale Farnese. Anche Benedetti fu per un certo periodo
che rispecchiasse più da vicino il suo linguaggio. L’opera era infatti nota solo attraverso al servizio dei Farnese, ma fu alla corte sabauda che produsse le sue opere più significative:
la versione latina di un testo arabo eseguita nel 1144454. Posto davanti al problema, tra queste il De gnomonum umbrarumque solarium usu liber (1574), dove discuteva
Commandino ritenne di poter offrire una chiave di lettura individuandola in «quella i problemi delle sezioni coniche e presentava un interessante strumento per eseguirne
parte dell’ottica che gli antichi chiamarono scenografia»455. Nel definire questa sezione il corretto disegno (fig. 179), e il Diversarum speculationum mathematicarum et
dell’ottica Comandino seguì l’antico testo di Gemino che poteva conoscere anche phisicarum liber (1585), che conteneva una sezione dedicata alla prospettiva pittorica461.
attraverso le versioni attribuite a Erone, a Damiano, a Eliodoro di Larissa o a Proclo456. In questa sezione, dal titolo De rationibus operationum perspectivae, l’autore esordiva

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176 177 F. Commandino,
Ptolemaei Planisphaerium,
Venezia 1558, p. 2v,
il primo modo
e il secondo modo.

178 F. Commandino,
Claudii Ptolemaei Liber de
analemmate, Roma 1562,
p. 80, deformazione ellittica
di un cerchio.

179 G.B. Benedetti,


De gnomonum umbrarumque
solarium usu liber, Venezia
1574, p. 117, strumento
per sezioni coniche.

con la messa a punto di un problema che per molti artefici, Serlio per primo, restava intrecciava con gli studi prospettici. La complessità fisiologica che l’organo visivo era
ancora da chiarire: quello del luogo in cui si doveva misurare l’intersezione. Molti pittori venuta progressivamente ad assumere e l’analisi dei fenomeni di riflessione e rifrazione
evidentemente usavano misurare la posizione delle parallele al quadro sulla linea dei raggi visivi e luminosi stimolavano certamente la curiosità degli artisti, ma rendevano
convergente al punto principale, pur prendendo la distanza dal margine del quadro; anche chiaro che il modello geometrico su cui si basava la loro tecnica di rappresentazione
così infatti aveva spiegato Serlio, commettendo un errore già segnalato da Egnazio era limitato alla descrizione lineare delle forme e solo parzialmente riusciva a estendersi
Danti462. Benedetti dimostrò, ricorrendo a un efficace schema tridimensionale, che nel campo della percezione visiva delle ombre, del colore, dei riflessi, e di quant’altro
l’intersezione si prendeva sulla verticale coincidente con il margine del quadro che il aveva attratto la curiosità dei perspectivi fin dal Medioevo. L’occhio dell’artista riusciva
pittore doveva intendere come rappresentazione del quadro di profilo (fig. 180). Lo a imitare gli effetti della visione ma non a misurarli in tutte le loro manifestazioni. I
schema tridimensionale, da lui chiamato figura «corporea», era una rappresentazione tentativi di misurare le digradazioni delle ombre e del colore nell’infinita varietà delle
parallela del tipo usualmente utilizzato nei trattati di geometria per illustrare la loro sfumature rimasero appunto tentativi, pregevoli ma senza soluzione geometrica.
corporeità dei poliedri. In questa figura si visualizzava ciò che bisognava disegnare La misura della dimensione lineare delle forme, invece, era sottoposta a continue
sulla figura «superficialis», ovvero sul quadro, anche nel caso in cui quest’ultimo avesse correzioni, aggiustamenti, precisazioni teoriche che alla fine del secolo impegnarono
assunto una posizione obliqua (fig. 181). proprio un allievo del Commadino, Guidobaldo del Monte, nel tentativo di superare o
Il rigore dei suoi ragionamenti lo portò a elaborare anche una nuova ipotesi sulla almeno di far «collimare» i «modesti risultati» raggiunti dai precedenti trattatisti466.
fisiologia della visione. Nella raccolta di lettere sui temi ottici allegata in appendice al
Diversarum speculationum… liber, se ne distingue una dal titolo De visu, dove l’autore Guidobaldo del Monte
ragionava sulla percezione dei colori. Seguendo un modello della visione già anticipato Guidobaldo iniziò a studiare sotto la guida di Commandino dopo un periodo trascorso
nel De aspectibus di Alhazen, e più recentemente elaborato nella Magia Naturalis di all’università di Padova dove ebbe modo di conoscere alcuni dei maggiori esponenti
Giovanni Battista Della Porta (1558), Benedetti riprese l’idea che l’occhio funzionava della cultura umanistico-scientifica facente capo a Daniele Barbaro. Personaggi di spicco
come una camera oscura dove la pupilla fungeva da foro di entrata della luce e il di quell’ambiente erano il senatore Giacomo Contarini, collezionista, committente e
cristallino da lente463. Mentre però Della Porta sosteneva che la visione si formava al provveditore dell’Arsenale; il matematico Francesco Barozzi che avrebbe dovuto curare
centro dell’occhio – dove l’immagine appariva dritta dopo essere stata riflessa e l’edizione postuma del commento di Commandino alle Collezioni matematiche di
raddrizzata dalla retina che avrebbe avuto la funzione di uno specchio concavo – Pappo Alessandrino, opera poi edita da Guidobaldo del Monte; il matematico Giuseppe
Benedetti riteneva che l’immagine si formava sulla retina, proprio come sul muro di Moleto, titolare della cattedra di matematica nello studio patavino; e il bibliofilo Gian
una camera oscura464. La sola differenza rispetto al fenomeno della camera oscura era Vincenzo Pinelli la cui casa padovana era uno dei punti di riferimento dei matematici
che l’immagine sulla retina doveva risultare dritta. Benedetti non descrisse il percorso di tutta Europa. Tornato a Urbino verso il 1570, Guidobaldo fu impegnato con
dei raggi luminosi, ma dai disegni sembra di capire che, mentre nella camera oscura Commandino nell’elaborazione dei primi compassi di proporzione, raffinati strumenti
ammetteva un’inversione, nell’occhio supponeva una rifrazione tale da impedire il principalmente destinati alla divisione delle linee e al disegno dei poligoni467. In quello
capovolgimento dell’immagine. All’inizio del secolo successivo, Keplero avrebbe stesso periodo costruì anche uno dei primi orologi solari a rifrazione che servì poi da
dimostrato invece che l’immagine si proiettava capovolta anche sulla retina, esattamente modello per la vasca che Francesco Maria II della Rovere fece installare nel giardino
come sul muro di una camera oscura, e in questa forma la nuova struttura dell’occhio pensile del palazzo ducale, e conobbe il matematico Fabrizio Mordente, inventore
sarebbe stata accolta nel trattato di Prospettiva pratica di Ludovico Cigoli465. di un particolare compasso delle cui operazioni Guidobaldo riferì in una missiva a
Gli studi ottici del Cinquecento seguivano una strada parallela che solo parzialmente si Giacomo Contarini468. A questo decennio risalgono alcuni dei lavori che lo resero celebre:

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180 181 G.B. Benedetti,
Diversarum speculationum
mathematicarum et
phisicarum liber, Torino 1585,
p. 122, figura «corporea»
e figura «superficialis».

182 183 G. del Monte,


Perspectivae libri sex,
Pesaro 1600, frontespizio;
p. 63, modo di trovare
i punti di concorso.

il Mechanicorum liber (Pesaro 1577) che sarebbe stato tradotto in italiano pochi anni A differenza di Commandino e Benedetti, Guidobaldo intendeva trattare della
dopo da Filippo Pigafetta, e il Planisphaeriorum universalium theorica (Pesaro 1979) prospettiva come disciplina artistica. Pur scrivendo in latino e adottando una formula
dove, oltre ad affrontare il problema della rappresentazione parallela prevista per didascalica tipica dei trattati di geometria, l’incipit non lascia dubbi sulla destinazione
l’astrolabio universale, propose un nuovo strumento per il disegno delle ellissi da lui dell’opera: «Ritengo che nessuno possa mettere in dubbio che l’architettura e la pittura,
stesso utilizzato per le bellissime rappresentazioni prospettiche della sfera celeste che considerando i loro mirabili prodotti, siano da anteporsi a tutte le altre arti […] La
corredano il testo di questo trattato. nobiltà propria di ciascuna di queste arti e la loro preminenza devono attribuirsi alle
Nel 1588 Ferdinando I de’ Medici lo chiamò a sovrintendere alle fortificazioni del discipline matematiche e soprattutto alla prospettiva»472. Delle tre parti in cui solitamente
dominio mediceo, e in quell’anno iniziò la sua corrispondenza con il giovane Galileo si usava suddividere la pittura, «il disegno, le ombre, i colori», Guidobaldo riteneva
che poi sostenne per l’insegnamento all’università di Pisa, nel 1589, e nello Studio di che «soltanto alle prime due, che non scaturiscono se non dalla prospettiva, ci si
Padova, nel 1592469. Proprio attraverso la corrispondenza con Galileo conosciamo la data appoggia come a pilastri fondamentali dell’arte»473. In architettura, spiegava l’autore,
di inizio della compilazione del trattato di prospettiva che coincide con l’assegnazione «si hanno […] tre specie di rappresentazione: l’Icnografia che è la rappresentazione
dell’incarico a Galileo presso l’università patavina. Nel gennaio del 1593, rispondendo di una figura su un piano, l’Ortografia che è la rappresentazione verticale della facciata
a una lettera in cui Galileo chiedeva notizie del trattato di prospettiva, Guidobaldo di una costruzione, la Sciografia o Scenografia che è la rappresentazione delle facciate
informava l’amico di aver appena ripreso il lavoro interrotto dai troppi impegni: «La con l’insieme delle linee che concorrono in un punto»474. La duplice lettura della terza
mia Prospettiva mezzo dorme e mezzo vegghia, che, a dir il vero, io ho tante le specie vitruviana tradisce la lezione di Daniele Barbaro, ma l’interpretazione di quella
occupazioni, che non mi lasciano respirare; e per queste cose bisognerebbe esser libero forma di rappresentazione è data senza perplessità: «sto parlando di quella parte della
da ogni fastidio: pur la voglio finire, et hora sono atorno per accomodargli il principio, prospettiva che dai Greci è chiamata Scenografia»475.
trattando dove si ha da metter l’occhio acciò le cose si possino veder secondo che Nei Perspectivae libri sex Guidobaldo svolge una serie di applicazioni consequenziali
vogliamo; ma non ho ancora trovato ogni cosa: e prima di ogn’altra cosa ci vorrò poi il che, dai principi generali, procedono attraverso il disegno delle linee, delle figure piane,
suo giuditio»470. Nel settembre dello stesso anno il lavoro era ormai in una fase avanzata; dei volumi e delle ombre, per approdare alla costruzione delle scene teatrali che
il matematico stava completando i disegni delle tavole, sottoponendo il testo a continue testimoniano di un interesse mai sopito in ambito urbinate fin dalle prime
revisioni. Guidobaldo comunicò nuovamente il desiderio di mostrarlo a Galileo, sperimentazioni bramantesche. Le varie applicazioni sono legate da un filo rosso che
augurandosi di poterlo dare alle stampe entro l’anno successivo, possibilmente prima appare iconicamente visualizzato nel frontespizio, dove è illustrata un’impresa con un
del trattato sulla vite che andava componendo nello stesso momento: «Mi saria stato prisma pentagonale disegnato in prospettiva con quattro punti di fuga allineati
carissimo che V.S. fusse passata di qua, chè, oltre al contento, gl’haverei mostrato sull’orizzonte (fig. 182)476. La definizione teorica di questi punti, che Guidobaldo chiamò
volentieri alcune cose della mia Prospettiva, la quale in questo verno spero di finirla, et «punti di concorso», rappresenta la grande novità dei Perspectivae libri sex. Sviluppando
ho già dissegnato i due terzi delle figure, e vo risecando e levando via più cose che un concetto già espresso in nuce nel trattato del Vignola – dove Egnazio Danti aveva
posso, perché in vero mi riesce lunga: e circa il darla fuori, mi sarà necessario d’aspettare spiegato la funzione dei cosiddetti «punti particolari» o «coadiutori» – Guidobaldo
che le figure si finischino d’intagliare, che Francesco mio servitore non ci po’ troppo spiegò che, dato un fascio di rette parallele comunque orientate sul «piano soggetto»,
attendere, sì che non credo che possino esser finite di qui a un anno. Io desidero di «il punto sulla sezione, nel quale dall’occhio si conduce l’equidistante alle linee parallele,
levarmela dinanzi, che non la posso più vedere; anzi sono di animo di mandar fuora è un punto di concorso»477. E «poiché, altresì, in infiniti modi possono trovarsi in un
prima la Prospettiva, e poi la Coclea»471. Il trattato, però, uscì solo nel 1600 col titolo piano soggetto le linee parallele, in diverse maniere assegnate, nella medesima sezione,
Perspectivae libri sex. dunque, anche infiniti possono essere i punti di concorso aventi una medesima altezza

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184 185 G. del Monte,
Perspectivae libri sex, Pesaro
1600, p. 111, restituzione
prospettica; p. 294,
costruzione delle scene.

sul piano soggetto»478. In altre parole, il punto di fuga di una retta si trova sul quadro Nel sesto libro, De scaenis, Guidobaldo individua nella scena teatrale il luogo di
tracciando dall’occhio una retta parallela alla retta data. Il «punto principale» e quello attuazione delle leggi prospettiche, «poiché l’apparato scenico sembra rivendicare
«di distanza», utilizzati nella seconda regola del Vignola, non erano altro che due in parte l’analisi da noi intrapresa (dal momento che la conformazione delle scene
«punti di concorso» di rette orizzontali, rispettivamente ortogonali e a 45° rispetto al suole essere espressa tramite numerosi oggetti riprodotti in sezioni diverse dinanzi
quadro. Ma le rette potevano avere altre direzioni ed essere perfino inclinate verso all’occhio) […] Di qui si può vedere quanto sia utile e vantaggioso per la prospettiva
l’alto o verso il basso; i «punti di concorso», quindi, potevano anche stare sopra o sotto la vera conoscenza dei punti di concorso, la quale potrà certamente garantire anche
l’orizzonte. Il metodo di rappresentazione non richiedeva più la determinazione del la massima comodità ai pittori»481. Le istruzioni di Guidobaldo seguivano un percorso
punto principale e del punto di distanza ma solo quella dei punti di fuga corrispondenti rigoroso che il lettore poteva seguire solo se aveva compreso le precedenti proposizioni
alle direzioni obiettive delle rette da rappresentare (fig. 183). sulla rappresentazione su piani obliqui. Tali erano infatti le quinte e il palcoscenico
Guidobaldo mise a confronto il suo metodo con quelli precedenti e dimostrò come che nel progetto scenografico dovevano raccordarsi con i piani frontali del fondale
una stessa figura poteva essere disegnata con tutti quei metodi – con i «punti di e del proscenio senza soluzione di continuità. Le illustrazioni che accompagnano il
concorso», con la seconda regola del Vignola, con il metodo della diagonale di Piero testo non sono immediatamente comprensibili (fig. 185). Pur ricorrendo talvolta a
della Francesca, o con qualsiasi altro procedimento (ne descrive ben ventitré) – portando schemi tridimensionali del tipo utilizzato da Benedetti, le figure del trattato sono
sempre al medesimo risultato, purché restasse invariata la posizione reciproca dell’occhio, rigorosamente matematiche, vale a dire che presentano i tre piani di proiezione
del quadro e dell’oggetto. L’autore dimostrava anche che con il medesimo procedimento, solitamente utilizzati per il disegno prospettico – la pianta, il profilo e il quadro – tutti
applicato inversamente, era possibile risalire dalla rappresentazione prospettica alla ribaltati e sovrapposti sulla stessa superficie. Il testo latino e l’esposizione compassata,
vera forma dell’oggetto (fig. 184)479. Guidobaldo non menzionò minimamente lo scopo senza quelle annotazioni di contesto che arricchivano, ad esempio, i commentari del
di questa applicazione ma, come avremo modo di vedere, si trattava di una delle Danti, rendevano il trattato poco accessibile soprattutto a coloro che dovevano esserne
tecniche utilizzate dai topografi militari per rilevare a distanza la pianta di una fortezza i principali destinatari. L’esigenza di tradurlo in un linguaggio più familiare, non solo
dopo averla ritratta in prospettiva con un qualsiasi strumento di quelli in uso tra i letterario ma anche figurato, si manifestò probabilmente fin da subito e fu certamente
pittori. una delle ragioni che spinsero pochi anni dopo Ludovico Cigoli a intraprendere la
Nel terzo libro, Guidobaldo esamina alcuni casi di rappresentazione su sezioni compilazione del suo inedito ma ben noto trattato di Prospettiva pratica. In quest’opera
inclinate, poligonali, cilindriche, sinuose, sferiche, mistilinee, e coniche. Nel quarto troviamo le «due regole» del Vignola riviste alla luce dei «punti di concorso» di
insegna la tecnica della proiezione ortogonale e dimostra svariati casi di rappresentazione Guidobaldo, in un’esposizione chiara e ampiamente illustrata che conduce il lettore
dei solidi, recuperando anche una nota proposizione dal Commentarius di Comandino attraverso le strade impervie della teoria ottica e della geometria, per poi svelargli i
al planisfero tolemaico: «dato un cerchio nel piano soggetto […] trovare l’altezza meravigliosi segreti della pratica di bottega, dal disegno sulle volte alle anamorfosi,
dell’occhio in modo tale che la figura in sezione, riproducente il cerchio dato, sia un dall’uso degli strumenti alla scenografia teatrale. È un trattato ponderoso che, sebbene
cerchio»480. Seguono alcuni esempi sul disegno degli edifici e, nel quinto libro, sulla inedito, ebbe una sua fortuna e ci interessa in questa sede in quanto rappresenta
proiezione delle ombre portate, ovvero sulla seconda parte della triplice divisione della l’espressione più significativa delle conoscenze tecniche e teoriche di un artista alle
pittura segnalata in apertura del trattato. soglie della rivoluzione scientifica.

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Tra arte e scienza: Ludovico Cigoli quadrimestrale dell’Accademia del Disegno, e nel 1603 fu eletto membro dell’Accademia
della Crusca.
Benché già molto rinomato nell’ambiente fiorentino, la sua consacrazione artistica
avvenne con il primo viaggio a Roma, nel 1604, quando vinse con un Ecce homo il
cosiddetto “concorso Massimi” ed eseguì, dietro raccomandazione di Ferdinando I,
la pala di San Pietro apostolo che risana lo storpio per la basilica di San Pietro. In
questi anni si intensificò anche la sua attività architettonica. Già autore di uno dei
progetti per la facciata di Santa Maria del Fiore (1596), fu invitato a presentare progetti
per la facciata di San Pietro (1604-07), per palazzo Rinuccini a Firenze (1605), per la
cappella Guicciardini in Santa Felicita (1606) e, sempre a Firenze, per la loggetta
Tornaquinci. A Roma diresse i restauri di palazzo Firenze, di villa Medici a Trinità dei
Il 22 dicembre 1612, Federico Cesi scriveva a Galileo: «Il Signor Cigoli s’è portato Monti e di palazzo Madama (1610). Eseguì grotte e fontane per il giardino del palazzo
divinamente nella cupola della cappella di Sua Santità a Santa Maria Maggiore, e come del cardinale Scipione Borghese al Quirinale, nonché gli affreschi della loggetta con
buon amico e leale ha, sotto l’immagine della Beata Vergine, dipinta la Luna nel modo la Favola di Cupìdo e Psiche oggi al Museo di Roma (1611). Fu grazie a un’istanza del
che da V.S. è stata scoperta, colla divisione merlata e le sue isolette»482. Per la prima cardinale Borghese che prima di morire ottenne il titolo onorifico di Cavaliere Milite
volta nella storia dell’iconografia mariana, la Vergine Assunta posava i piedi su una dell’Ordine di Malta di cui si legge nel frontespizio del suo trattato di prospettiva.
Luna diversa da quella tradizionalmente figurata in forma falcata (fig. 186). Il globo Per Paolo V, infine, affrescò la cupola della cappella Paolina in Santa Maria Maggiore,
lunare, visibile anche nella sua parte ombrosa, risultava cosparso di macchie e crateri lasciandoci la prima raffigurazione scientifica della Luna osservata con il cannocchiale
che il Cigoli aveva personalmente osservato con un proprio cannocchiale dopo la celebre galileiano (1613).
scoperta dell’amico Galileo (fig. 187)483. L’amicizia con lo scienziato si era consolidata Gli ultimi anni romani furono contrassegnati da un’intensa corrispondenza con
proprio negli anni delle prime scoperte astronomiche che Cigoli seguiva Galileo che aveva per oggetto proprio le osservazioni telescopiche compiute dal Cigoli,
appassionatamente da Roma a stretto contatto con gli scienziati, soprattutto Lincei, molto spesso, dalla lanterna della cappella Paolina: «Vidi bene con il suo ochiale nel
che sostenevano le ricerche e le sconvolgenti deduzioni galileiane. Galileo considerava dintorno della luna due merlature assai evidenti; et questo fu l’altra notte, quando
il Cigoli come una delle massime autorità del suo tempo in materia pittorica, ed ebbe ella era quasi piena» (3 febbraio 1612); «Non credo aver scritto a V.S. come io ò un
modo di avvalersi della sua preziosa collaborazione nell’osservazione delle macchie ochiale, et è assai buono, tanto che veggo da S.M. Maggiore l’orivolo di S. Pietro, la
solari484. Alcune delle più ispirate riflessioni galileiane sulle arti figurative sono contenute lancetta dell’orivolo, ma i numeri de l’ore non così distinte et intelligibile come vedevo
proprio nello scambio epistolare con l’artista che a sua volta considerava lo scienziato con il suo […] Del vedere de’ paesi come Fraschati, che ci è a 10 miglia o 12, si vede
come il proprio maestro in tema di prospettiva485. non solo le porte e le finestre, ma in sulla porta di Fraschati gli uomini, ma confusi;
Pittore, scenografo e architetto, Ludovico Cigoli (1559-1613) ebbe la sua formazione et Tigoli, che ci è da 16 a diciotto miglia, le porte e le finestre scolpite, attale che mi
giovanile nelle botteghe di Alessandro Allori e Bernardo Buontalenti dove ricevette par sia buono» (23 marzo 1612)489. Seguirono dettagliate osservazioni delle macchie
una solida educazione tecnico-scientifica oltre che artistica486. Con Allori approfondì solari metodicamente disegnate giorno dopo giorno con il sistema della camera oscura,
soprattutto gli studi anatomici che lo portarono molti anni dopo a modellare uno dei e puntualmente spedite a Galileo: «Mi ero scordato di dire che le macchie sono cavate
più celebri “scorticati” del Cinquecento487. Nella bottega di Buontalenti ricevette invece dall’ochiale così dentro la stanza: però credo tutte venghino da rovescio» (14 luglio
i primi insegnamenti di geometria e prospettiva, frequentando le lezioni private che 1612); «solo ci è una cosa, che mentre si fanno, il sole scorre tanto veloce, che con tutto
il matematico Ostilio Ricci, maestro anche di Galileo, teneva in casa del poliedrico che con la mano si seguiti a tirare il foglio, non si fa così giusto. Pure vedrò se si
ingegnere mediceo488. Con Buontalenti svolse anche le prime esperienze scenografiche: potrà accomodare un regolo unito all’ochiale, che si possino fare più giuste» (28 luglio
dapprima, giovanissimo, nell’addobbo per le esequie di Cosimo I (1574), poi, ormai 1612). Alla fine dell’anno Federico Cesi comunicò a Galileo lo splendido risultato
trentenne, nei festeggiamenti per le nozze di Ferdinando I e Maria Cristina di Lorena iconografico delle osservazioni del Cigoli.
(1589). La sua competenza in campo scenografico gli procurò importanti commissioni,
per le esequie di Filippo II di Spagna nella basilica di San Lorenzo e in Santa Maria La terza regola
Novella (1598), per le rappresentazioni teatrali allestite in occasione delle nozze di A quegli anni risale anche la stesura definitiva del trattato di Prospettiva pratica, opera
Maria de’ Medici e Enrico IV di Francia (1600), per i festeggiamenti delle nozze di forse iniziata durante i primi anni del soggiorno romano ma presumibilmente compiuta
Cosimo de’ Medici e Maria Maddalena d’Asburgo (1608), e per le esequie di Ferdinando negli ultimi anni di vita. È un trattato che per alterne vicende non conobbe mai gli
I in San Giovanni dei Fiorentini a Roma (1609). A partire dal 1582 fu più volte console onori della stampa: l’autore lo lasciò quasi finito nel 1613; il nipote, Giovanni Battista

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186 L. Cigoli, Assunta, 1613.


Roma, Santa Maria Maggiore,
cappella Paolina.

187 G. Galilei, Opere, Cardi, vi aggiunse la Vita dell’autore, lo revisionò, e lo dedicò al granduca Ferdinando
Astronomia, ms., sec. XVII, II in previsione della stampa (1628); quest’ultimo ne richiese l’imprimatur alle autorità
Sei fasi lunari (1609). Firenze,
Biblioteca Nazionale Centrale,
ecclesiastiche (1629); Leopoldo de’ Medici ne ordinò perfino una copia manoscritta,
Ms. Gal. 48, c. 28r. richiedendone una revisione scientifica a Vincenzo Viviani (1676), il discepolo di Galileo
allora matematico del granduca; ma per ragioni non ancora chiarite l’opera restò
inedita nella libreria granducale fino al 1815, quando fu consegnata al Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi dove tuttora si conserva490. Il trattato segue una
logica estremamente chiara che inizia con la descrizione dell’occhio come strumento
della visione, prosegue con la dimostrazione delle regole come espressione geometrica
del fenomeno ottico, e termina con l’uso degli strumenti come traduzione meccanica
186 187
del processo geometrico di rappresentazione prospettica. Quest’ultima parte è il vero
“nocciolo” dell’opera a cui gli altri argomenti sono subordinati; vi allude con chiarezza
l’impresa sul frontespizio che illustra un pittore nell’atto di usare il principale strumento
prospettico inventato dal Cigoli. In questa parte consisteva ciò che l’autore chiamava
«terza regola», ossia un metodo meccanico a cui era affidato il compito di confermare
la validità del principio teorico anche nei casi in cui le regole geometriche si dimostravano
inadeguate.
Lo strumento prospettico era un’invenzione originale del Cigoli che lo mise a punto
per la rappresentazione delle cose lontane, operazione in cui puntualmente si registrava
l’insufficienza delle regole e l’approssimazione dei pittori, costretti spesso a procedere
«a occhio et a caso»491. Come insegnava proprio l’esperienza galileiana delle macchie
solari, l’esattezza scientifica della rappresentazione era un irrinunciabile presupposto
per lo studio della natura, e l’attendibilità degli strumenti era una necessaria legittimazione
del metodo sperimentale dell’osservazione diretta. Quello del Cigoli era uno sforzo teso
a legittimare la pratica di bottega, razionalizzandone le procedure sulla base delle leggi
geometriche. Come abbiamo visto, Egnazio Danti aveva apertamente denunciato la
diffusione di «regole false» elaborate per facilitare l’opera del pittore senza tener conto
della geometria ottica492. Nel definire la sua «terza regola», Cigoli tenne certamente
conto di questo autorevole commento, tanto che i suoi espedienti pratici rispettavano
scrupolosamente i principi fondamentali della prospettiva lineare ed erano ammessi
proprio in virtù di questo necessario requisito. Rispetto al Danti, tuttavia, la situazione
era capovolta: Cigoli propose i suoi strumenti come superamento della regola,
interpretando a suo modo il pensiero di Albrecht Dürer, il primo trattatista che aveva
seriamente prestato attenzione alla rappresentazione meccanica493; Danti illustrava invece
gli strumenti come dimostrazione meccanica del principio teorico per spiegare «in che
cosa consiste il fondamento della Prospettiva, et che cosa ella sia»494.
Il trattato è composto di due libri, divisi rispettivamente in tre e in sei parti. Nel
primo sono trattati gli argomenti preliminari allo studio della prospettiva: alcune
nozioni sulle origini della pittura e sugli effetti naturali della visione, con la definizione
dei fondamenti geometrico-naturali dell’arte pittorica, quali punto, linea, superficie,
colore e luce (prima parte); una minuziosa descrizione dell’anatomia dell’occhio che
spiega la formazione delle immagini e la funzione dei raggi visivi (seconda parte); e il
metodo della proiezione ortogonale in pianta e prospetto come condizione necessaria
alla rappresentazione piana della realtà tridimensionale (terza parte). Nella descrizione

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188 189 190 191
L. Cigoli, Prospettiva
pratica, ms., 1613, c. 14v, 190 191
schema dell’occhio come
camera oscura; c. 33r,
prima regola; c. 24r,
proiezioni; c. 42v, seconda
regola. Firenze, Gabinetto
Disegni e Stampe degli
Uffizi, 2660A.

dell’occhio, Cigoli adottò l’esposizione di Egnazio Danti aggiornando la funzione delle ombre, mentre la sesta, che chiude il trattato, illustra la costruzione e l’uso di
dell’organo visivo alla luce degli studi di Keplero, dove il fenomeno della visione veniva alcuni strumenti prospettici inventati dall’autore.
paragonato alla formazione delle immagini in una camera oscura: «che ciò segua cosi
ne habbiamo vivissimo esempio da quella sorte di pittura che naturalm[en]te vien fatta La scena teatrale
in una stanza oscura, nella quale entri il lume per un piccol foro» (fig. 188)495. Qui i Le due strade già indicate da Guidobaldo nel libro De scaenis, quella geometrica e
raggi luminosi «formano un’altra Piramide con la punta opposta rettam[en]te alla quella pratica, rappresentano proprio le due parti in cui si divide il trattato Delle scene
prima, alla base della quale, in una certa distanza posta una superficie bianca come in del Cigoli, collocato tra la seconda e la terza regola. Dopo l’adozione dei punti di
.XV. ove verrà spiritalm[en]te impressa la colorata immagine dell’oggetto: il qual’esempio, concorso e delle proiezioni su piani inclinati, anche la costruzione delle scene –
applicandolo alla fabbrica dell’occhio, et al suo modo di operare, lo troverremo molto conseguenza pratica delle premesse teoriche – diventò un argomento da tradurre in
simile […]; a ricevere le immagini nell’occhio è la retina la quale similmente essendo termini «pittoreschi»500. A differenza di Guidobaldo che trattava l’argomento
bianca, ha del verisimile che resti in vece della bianca superficie .VX. nella quale nel prevalentemente come un teorema geometrico, Cigoli prestava tutta la sua attenzione
medesimo modo l’immagini esterne venghino riportate»496. alle necessità degli attori e degli spettatori. L’impianto scenico era ancora quello di
Nel secondo libro si dimostra come le figure disegnate in pianta e prospetto potevano derivazione serliana – una strada centrale con edifici in rilievo sui lati del palco e la
essere disegnate in prospettiva con l’ausilio di tre regole. La prima di queste (prima rappresentazione prospettica sul fondale – ma tra le righe affiora decisamente anche
parte) era la «prima regola» del Vignola (fig. 189) alla quale Cigoli fece precedere la profonda conoscenza tecnica maturata dal Cigoli a contatto diretto con le più recenti
un lungo capitolo dedicato alla costruzione Delle piante e proffili (libro I, parte III), innovazioni in campo teatrale: le scene girevoli di Baldassarre Lanci, le macchine
mettendo in luce come questo metodo di rappresentazione, proprio degli architetti, artificiose di Bernardo Buontalenti, e i vari artifici messi in atto personalmente in
dovesse ormai appartenere anche al bagaglio tecnico dei pittori (fig. 190)497. La seconda occasione delle feste medicee501. La descrizione degli effetti scenici rievoca anche il
regola (seconda parte) era la costruzione con punto di distanza, ovvero la «seconda commento di Egnazio Danti alle scene del Vignola, ma le scrupolose indicazioni
regola» del Vignola (fig. 191). Dal Vignola derivano gran parte degli esempi illustrati progettuali portano il lettore su un piano operativo del tutto nuovo502. Il metodo
per disegnare in prospettiva poligoni, cerchi, croci ed elementi architettonici. Da questa costruttivo della scena pittorica è preceduto da considerazioni di carattere architettonico,
fonte deriva anche l’uso delle «sagme», il metodo per disegnare un cubo con quattro a partire dalla collocazione del palco in uno dei lati corti della sala, come nel teatro
punti di distanza, il modo di costruire la prospettiva sulle volte, alcune tecniche per le “all’antica” di Vincenzo Scamozzi a Sabbioneta. Alle comodità degli attori sono dedicate
scene teatrali, la costruzione dei dipinti «a gradoni», la tecnica dell’anamorfosi, nonché le raccomandazioni circa la collocazione dei camerini, il passaggio dietro il fondale per
la descrizione dei cinque ordini di architettura498. Tra le fonti del Cigoli vi era certamente gli spostamenti fuori scena, e l’apertura di porte, finestre e strade praticabili
anche il trattato di Daniele Barbaro (1568), da cui deriva il modo di costruire i poliedri compatibilmente con le limitazioni fisiche dello spazio prospettico. La perfetta visibilità
con il loro sviluppo, e quello di Guidobaldo del Monte (1600), da cui ricava la definizione dell’azione scenica era invece il requisito che guidava la distribuzione dei posti degli
dei «punti di concorso» e la loro applicazione nella scenografia teatrale (terza parte)499. spettatori e la loro distanza dal palcoscenico. Gli unici dati dimensionali riguardano la
La quarta parte contiene alcuni Avvertimenti al Pittore nell’uso della Prospettiva dove pendenza del palco, oscillante tra 1:8 e 1:9, e la distanza dal proscenio del «più nobile
si esaminano vari esempi di costruzioni prospettiche diverse da quella centrale: vedute spettatore», che è pari alla larghezza anteriore del palco. A questa sezione scenografica
dall’alto e dal basso, ottenute spostando opportunamente l’occhio o la sezione, vedute vanno ricondotti gli esempi esposti alla fine della seconda regola per lo scorcio prospettico
di oggetti situati a diverse distanze, e rappresentazioni di oggetti intersecati dal piano dei cinque ordini di architettura, nonché la descrizione delle loro misure aggiunta alla
di sezione o posti tra l’occhio e la sezione. La quinta parte è dedicata alla proiezione fine del trattato sulla base della Regola del Vignola503.

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Il primo passo nella progettazione del palco era la collocazione del punto di vista dell’operazione pittorica che poteva essere garantito dall’uso metodico degli strumenti
ottimale in asse con l’impianto scenico. Il punto di fuga teorico era dato dall’intersezione prospettici.
della perpendicolare al fronte scenico tracciata dall’occhio, con le due rette convergenti
che delimitavano il palco lateralmente (fig. 192). L’uso del punto di distanza o della Gli strumenti prospettici
prima regola consentiva quindi di suddividere il palco in un reticolo scorciato che Secondo il Cigoli, il superamento della regola mediante l’uso degli strumenti era stato
guidava la collocazione dei piani verticali: quelli «in maestà», paralleli al fronte del anche un obiettivo di Albrecht Dürer505. Le invenzioni del pittore tedesco, descritte
palco, quelli «in sfuggita», teoricamente perpendicolari ai primi, e quelli «obliqui», nelle due versioni dell’Underweysung der Messung (1525 e 1538), rappresentavano la
orientati in qualsiasi altra direzione. L’utilità del principio dei «punti di concorso» si massima espressione meccanica del principio teorico di intersezione della piramide
rivelava soprattutto nel riportare il reticolo scorciato sui piani verticali per favorire visiva. È presumibile che Cigoli conoscesse anche la seconda edizione del trattato di
il disegno di porte, finestre e altri particolari decorativi. Il tracciamento del reticolo Dürer, poiché la soluzione da lui proposta per risolvere l’inconveniente della distanza
scorciato sul palco e sui piani verticali era ottenuto anche per via “pratica”, utilizzando obbligata dal vetro, benché diversa nel disegno del dispositivo di mira, corrisponde
una corda legata al punto di fuga centrale, come Daniele Barbaro e Guidobaldo del esattamente a quella di Keser (cc. 96r-v). Cigoli menzionò ovviamente anche lo «sportello»
Monte, e uno speciale strumento per orientare la corda verso i punti di concorso, di Dürer, così come le varianti illustrate dal Danti, compresa la «cava superficie» di
spesso situati fuori dallo spazio reale. L’uso di questo strumento anticipa la tesi che Baldassarre Lanci, ma poi propose un’invenzione originale che si distingueva per le
Cigoli sostiene nella parte conclusiva del trattato dedicata interamente alle invenzioni molteplici applicazioni pratiche e dimostrative (fig. 193)506. Memore certamente delle
tecniche. Le regole geometriche – secondo l’autore – benché «atte ad illuminare i «squadre» del Danti e del Buontalenti507 – quest’ultima forse usata da Ostilio Ricci per
principianti» (c. 84r), erano inadatte a risolvere gli aspetti più importanti della le sue lezioni di prospettiva (fig. 194) – lo strumento del Cigoli si distingueva soprattutto
rappresentazione pittorica, come le vedute urbane, i paesaggi, o le molteplici posizioni per il ribaltamento del piano di sezione. Composto di quattro sottili asticelle e azionato
della figura umana. La loro dipendenza dalle proiezioni in pianta e alzato ne limitava per mezzo di due fili, lo strumento consentiva di ritrarre punto per punto qualsiasi
l’applicazione ai casi indicati nei trattati, dove l’oggetto era vicino all’osservatore e oggetto a qualsiasi distanza. Secondo una testimonianza di Andrea Commodi, il Cigoli
generalmente di semplice conformazione geometrica. Naturalmente il concetto teorico se ne servì per disegnare la cupola di San Pietro da Trinità dei Monti508.
era potenzialmente applicabile anche ai casi complessi come la figura umana – vedi Il proposito del Cigoli era anche quello di ottenere una completa autonomia
le splendide tavole di Piero della Francesca – o le vedute urbane, ma l’operazione operativa. Con un semplice accessorio, chiamato «treppiedetto», lo strumento consentiva
richiedeva uno sforzo che già Alberti riteneva sproporzionato alle esigenze del pittore504. di disegnare un oggetto anche in assenza della sua reale presenza (c. 89v). Conoscendo
Tuttavia, questa difficoltà non autorizzava ad abbandonare il rigore scientifico le dimensioni e la struttura geometrica dell’oggetto, era sufficiente disegnarne la

192 193
192 Ricostruzione
della regola scenografica
di L. Cigoli (dis. dell’autore).

193 L. Cigoli, Prospettiva


pratica, ms., 1613, c. 91r,
primo strumento prospettico.
Firenze, Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi, 2660A.

190 191
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194 195 196 197


194 G. Parigi, Strumenti
e macchine, ms., ca. 1600,
c. 58, strumento prospettico
di B. Buontalenti. Parigi,
Bibliothéque Nationale,
It. 468.

195 L. Cigoli, Prospettiva


pratica, ms., 1613,
c. 89v, il treppiedetto.
Firenze, Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi, 2660A.

pianta e ritrarre con lo strumento i suoi punti chiave, le cui altezze erano indicate da chiamava “prospettiva soldatesca”, ovvero un’assonometria militare. La necessità di
un nodo sul filo scorrevole del «treppiedetto» (fig. 195). Questo espediente ricorda rappresentare un oggetto con la pianta in vera forma era propria dei cartografi
lo strumento di Wentzel Jamnitzer che forse suggerì al Cigoli anche la rotazione militari per i quali il Cigoli aveva già elaborato la «mazza» illustrata a c. 96r. Con
orizzontale del piano di sezione509. Le premesse teoriche delle proiezioni su piani questa operazione si poteva infatti rilevare da lontano la pianta di una fortezza o
inclinati rimandano ancora a Guidobaldo del Monte – si pensi alle quinte oblique di un intero territorio.
nelle scene – ma Cigoli ne estese l’uso nel disegno degli scorci, dal basso o dall’alto, La conseguenza più affascinante dell’inclinazione del piano di sezione fu senz’altro
e addirittura nella proiezione delle immagini sulle superfici concave delle volte (cc. la costruzione delle anamorfosi. Ritraendo presumibilmente un reticolo ortogonale
90r-92r). In quest’ultimo caso l’inclinazione dell’asta di sezione avrebbe consentito di sulla sezione inclinata, Cigoli ebbe modo di dimostrare l’errore commesso da Egnazio
controllare le deformazioni marginali, un problema che l’artista dovette affrontare Danti nel proporre la deformazione anamorfica di un’immagine per mezzo di un
personalmente durante i lavori alla cappella Paolina510. Per proiettare i disegni sulle reticolo ortogonale allungato (fig. 196)513; il reticolo, spiegava il Cigoli, doveva essere
volte o semplicemente su una parete da affrescare, lo strumento doveva essere usato composto «di linee parallele disegnate in prospettiva» (c. 92v). Lo strumento tuttavia
in modo inverso: il pittore posizionava il «segnatore» sul disegno e indicava all’aiutante rendeva superflua la costruzione del reticolo perché l’immagine poteva essere deformata
dove tracciare il punto corrispondente sulla parete, sostituendo efficacemente il direttamente, punto per punto, con maggior precisione. Questa operazione poteva
tradizionale reticolo dell’Alberti (c. 92r)511. essere eseguita sia ritraendo l’oggetto con la sezione inclinata (c. 90r), sia proiettando
La proiezione sulle volte suggerì al Cigoli il modo di ottenere quelle immagini un disegno su un piano obliquo (c. 92v). Cigoli, tuttavia, non approfondì il problema,
«mostruose» che apparivano sugli specchi concavi e convessi (c. 92r); il disegno era forse in parte influenzato dal giudizio riduttivo che dell’anamorfosi aveva dato in
proiettato su una superficie curva dove si trovava il foglio da disegno che una volta un paragone letterario il suo amico Galileo514. Tuttavia, fu proprio questo aspetto
steso in piano rivelava un’immagine sensibilmente deformata. Più utile alla pratica che circa trent’anni dopo la morte del Cigoli rese famoso il suo strumento in tutta
scenografica si sarebbe dimostrato invece il modo di proiettare le immagini su superfici Europa grazie alla descrizione che ne diede Jean François Niceron in un fondamentale
sfaccettate. Danti descrisse questa tecnica come una curiosità pittorica mentre il capitolo del Thaumaturgus opticus (1646), il più importante trattato sull’anamorfosi
Cigoli ne indicò l’utilità nei cambiamenti di scena durante gli spettacoli teatrali (cc. del XVII secolo (fig. 197)515.
93r-v)512. Due o tre diverse scene sarebbero apparse alternativamente allo spettatore Niceron conobbe l’invenzione del Cigoli tra il 1643 e il 1646 a Parigi, in casa del
semplicemente cambiando l’orientamento del supporto pittorico. Altre applicazioni poliedrico consigliere del re di Francia, Luis Hesselin, a cui lo strumento era stato
erano certamente frutto di una tendenza al virtuosismo ma offrivano al tempo stesso mandato in dono «dall’Italia»516. I pezzi smontati erano custoditi in una speciale cassetta
la possibilità di studiare meccanicamente tutte le proprietà dei raggi visivi e luminosi. che fungeva anche da piano di lavoro e Niceron fu chiamato a studiarne il
Con opportuni accorgimenti, suggeriva il Cigoli, si potevano ottenere effetti di funzionamento (la pubblicazione de La Perspective curieuse nel 1638 ne aveva
rifrazione, riflessione e duplicazione della piramide visiva, come accadeva per gli fatto una delle massime autorità in campo prospettico). L’unica notizia che
oggetti immersi nell’acqua, visti negli specchi, o proiettati in camera oscura (cc. 95r- accompagnava quel dono era il nome dell’autore, di cui il frate riconobbe facilmente
v). Tra le varie applicazioni dello strumento si nota anche il modo di operare con «la il monogramma all’estremità centrale dello strumento. Niceron, tuttavia, non conosceva
sezione parallela all’orizonte»; un piccolo disegno illustra un pittore nell’atto di il manoscritto del Cigoli e la prova è fornita proprio da questo particolare che egli
ritrarre qualcosa dall’alto, come se si trovasse su una torre e su una collina. Di questa considerava accessorio, un semplice dettaglio decorativo. Infatti egli pose il foglio da
operazione non si dice altro ma è evidente che, ritraendo un oggetto su un piano disegno tra le due aste parallele, considerando l’asta orizzontale della squadra come
di sezione orizzontale, il risultato non è una prospettiva bensì quella che allora si il ribaltamento della sezione in piano. Cigoli invece metteva il foglio da disegno fuori

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dallo strumento in modo da poter variare liberamente la distanza del punto di vista pallina fino a raggiungere il muro dove indicava la proiezione del punto. La flessione
dal piano di sezione. A questo scopo l’estremità del gambo orizzontale della L del del filo veniva corretta per mezzo di un traguardo ottico che garantiva l’allineamento
suo monogramma aveva un solco che serviva a garantire il parallelismo del filo legato del punto di vista, della pallina e del punto tracciato sul muro.
al «segnatore». Tornando a Parigi nel 1643, Niceron fece tappa a Firenze dove ebbe modo di
Niceron ne sperimentò subito l’applicazione al disegno anamorfico rendendosi incontrare il principe Leopoldo de’ Medici518. In quell’epoca il manoscritto del Cigoli
ben conto delle diverse operazioni che lo strumento era in grado di compiere, e non non era ancora in possesso di Leopoldo ma era già nella libreria granducale. È probabile
esitò a chiamarlo Scenographum Catholicum sive Instrumentum universale ad obeundas che Niceron non ebbe modo di consultarlo, come sembrerebbe dalla descrizione dello
ex artis praescripto. Il fascino dello strumento stava nella sua novità e nel fatto che strumento nel Thaumaturgus opticus, tuttavia potrebbe averne avuto notizia dato che
si prestava perfettamente a compiere quella doppia operazione, ritratto e la prospettiva era al centro dei suoi colloqui con Leopoldo. Al cardinale, Niceron
deformazione, che portava alla costruzione di un’immagine anamorfica. Questa fece presumibilmente dono del suo trattato, La Perspective curieuse, che più tardi
doppia operazione Niceron l’aveva sperimentata a Roma, nel convento dei Minimi Vincenzo Viviani, forse su richiesta di Leopoldo, iniziò a tradurre in italiano519. In quella
di Trinità dei Monti, servendosi di una variante dello sportello di Dürer elaborata stessa occasione Niceron donò a Ferdinando II un singolare “gioco ottico” che mostrava
dal confratello Emmanuel Maignan. Nel chiostro del convento Maignan aveva dipinto il ritratto del granduca attraverso una lente poliedrica520. Il dipinto e il prezioso libro
una delle prime meridiane catottriche e un’anamorfosi di grandi dimensioni del padre Minimo entrarono a far parte della collezione scientifica dei Medici ed è
raffigurante il fondatore dell’ordine san Francesco di Paola (fig. 198). Il santo in forse in questo contesto di scambi e doni che si colloca l’invio dello strumento del Cigoli
preghiera si poteva vedere solo da un’estremità della galleria, guardando il dipinto al consigliere Hesselin. Sappiamo che a Firenze circolavano vari esemplari dello strumento
in scorcio; quando ci si avvicinava verso la posizione frontale, la figura svaniva, – Giovanni Coccapani ne possedeva uno che usava durante le sue lezioni all’Accademia
trasformandosi lentamente in un vasto paesaggio con scene di fatti connessi alla del Disegno, e altri erano posseduti da Vincenzo Dandini e Giovanni Battista Nelli521
vita del santo. Questa “miracolosa” apparizione fu replicata da Niceron su un’altra – ma la fortuna europea dello strumento si deve senza dubbio alla pubblicazione di
parete della galleria, dove egli dipinse con lo stesso procedimento un’anamorfosi di Niceron da cui derivarono la variante settecentesca di Johann G. Doppelmayr e quelle
san Giovanni in Pathmos. Il procedimento fu descritto sia da Maignan nella Perspectiva ottocentesche di Sir Francis Ronalds e Adrien Gavard522. L’attenzione rivolta agli strumenti
horaria del 1648, sia da Niceron nel Thaumaturgus opticus (fig. 199)517 e consisteva prospettici nel corso del Cinquecento è sintomatica di una più ampia tendenza culturale
nella proiezione obliqua di un disegno dato sullo sportello. Lo sportello veniva che si manifesta soprattutto tra i cartografi, gli astronomi, i matematici e i collezionisti.
collocato all’estremità della galleria, là dove si prevedeva che l’immagine sarebbe Una sorta di furor mechanicus impregna tutta la letteratura tecnico-scientifica del
apparsa nelle sue giuste proporzioni; una pallina scorrevole su un filo a piombo periodo. E non di rado le nuove invenzioni strumentali destinate a perfezionare le
veniva posizionata su un qualsiasi punto del disegno; lo sportello veniva quindi aperto operazioni di rilevamento topografico e astronomico includevano il disegno prospettico
per lasciar passare un lunghissimo filo che dal punto di vista andava a toccare la come uno dei più moderni ed efficaci metodi di misurazione con la vista.

198 199
196 L. Cigoli, Prospettiva 199 J.F. Niceron,
pratica, ms., 1613, c. 91v, Thaumaturgus opticus,
costruzione dell’anamorfosi. Paris 1646, p. 170,
Firenze, Gabinetto Disegni lo strumento di E. Maignan.
e Stampe degli Uffizi, 2660A.

197 J.F. Niceron,


Thaumaturgus opticus,
Paris 1646, p. 202,
lo strumento di L. Cigoli.

198 E. Maignan,
San Francesco di Paola, 1642.
Roma, Trinità dei Monti.

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200 201

L’occhio e le seste

La prospettiva dei cartografi

Negli scritti di Egnazio Danti la prospettiva era esplicitamente indicata come una disciplina (fig. 201)528. Il terzo metodo era dichiaratamente un tentativo di ottenere una
utile non solo «alla Architettura, et a tutte le tre arti del disegno», ma anche alla «rappresentazione grafica [katagraphein] il più possibile vicina all’apparenza visiva
cartografia terrestre e celeste, un aspetto che nel XVI e XVII secolo acquistò un rilievo [optikè diatypôsis]» di un modello tridimensionale formato da un globo terrestre
particolarmente importante523. Facendo riferimento alla cartografia, Danti aveva circondato da una sfera armillare (fig. 202)529. Tolomeo ne trattò in una sezione separata,
certamente in mente il terzo metodo cartografico di Tolomeo che, come abbiamo già nei capitoli VI e VII del settimo libro, come a voler sottolineare la differenza tra i primi
segnalato, la critica ha messo più volte in relazione all’invenzione della prospettiva524. due metodi, “matematici”, e questa versione “pittorica” dell’ecumene (fig. 203).
Sebbene questa relazione si manifesti solo successivamente, la riscoperta del celebre L’astronomo immaginò un osservatore ideale il cui occhio (opsis) si trovava sul piano
componimento geografico di Tolomeo (Geographiké Uphégesis), portato a Firenze nel passante per il coluro dei solstizi all’altezza del parallelo passante per Syene (Assuan) e
1397 dal dotto bizantino Emanuele Crisolora, fu certamente un evento umanistico di a una distanza tale da consentire la visibilità dell’intero ecumene tra l’armilla equatoriale
straordinaria portata culturale525. La diffusione del testo determinò la ripresa degli studi e il tropico del Cancro. Poste queste condizioni, i punti di intersezione tra il coluro dei
geografici e cartografici e proprio a uno dei più eminenti cartografi del Quattrocento, solstizi e i circoli paralleli della sfera venivano trasferiti sul piano della rappresentazione
il Regiomontano, si deve la prima interpretazione prospettica del terzo metodo: «È (passante per il coluro degli equinozi) per mezzo di linee tirate dall’occhio. Tolomeo
stato dimostrato che la comprensione migliore di un oggetto si ha quando l’occhio non usò il termine aktis (raggio), ma di questo si trattava. I punti situati verso l’occhio
guarda direttamente verso il centro dell’oggetto, ossia, se posso far ricorso al linguaggio dello spettatore erano «gettati» (ekballomenai) sul piano della rappresentazione come
dei pittori, quando il raggio centrico colpisce il centro della superficie rivolta verso sarebbe avvenuto se se ne fosse proiettata l’ombra con una candela, mentre quelli
l’occhio; infatti, il raggio centrico è in modo tale circondato dai raggi laterali equidistanti situati al di là del piano erano trasferiti per intersezione (tomàs) del raggio visivo.
che esso è come l’asse della piramide radiosa» 526. Sulla scorta di questa e altre Per aumentare l’efficacia della rappresentazione, Tolomeo fece ricorso alle tecniche
interpretazioni, Danti non esitò a definire prospettica anche la proiezione del planisfero della skiagraphia. I circoli appartenenti ai piani passanti per l’occhio erano rappresentati
tolemaico, spiegando la costruzione dell’astrolabio «per via di prospettiva», secondo il come linee rette530. Quelli delle altre armille che visti in scorcio apparivano ovali531 erano
metodo di «Tolomeo, et Giordano, i Planisferii de’ quali sono non mediocremente raccordati alle estremità con linee curve che sporgevano oltre il limite del coluro
illustrati da i Commentari del Commandino, dal Barbaro succintamente ridotti nella equinoziale perché di una sfera se ne vede sempre meno della metà532. Lo spessore delle
sesta parte della sua prospettiva, e di nuovo quello di Tolomeo ridotto nella nostra armille doveva variare in funzione della distanza dall’occhio, mentre l’uso sapiente del
lingua è stato molto ingegnosamente dichiarato dal Sig. Ercole Bottrigara»527. colore e del chiaroscuro avrebbe contribuito ad aumentare l’effetto realistico533. In questa
A differenza della sfera celeste, che poteva essere considerata un globo visto parte della rappresentazione Tolomeo non necessitava dei dati geometrici, e quindi
dall’interno, la Terra era un oggetto visto dall’esterno. La necessità di rappresentare sul invitava il cartografo a non adottare il raccordo cuspidato dei circoli in scorcio, solitamente
piano la sua superficie sferica aveva portato Tolomeo a elaborare tre diversi metodi usato dai geometri e dagli astronomi per visualizzare il diametro e l’intersezione con il
geometrici che garantissero la misurabilità delle distanze, l’accuratezza dei profili costieri meridiano534. Diversamente si comportò nel disegno dell’ecumene che, dovendo servire
e, possibilmente, la riconoscibilità della superficie sferica del globo terracqueo. Il primo a scopi cartografici, era concepito, analogamente ai due metodi precedenti, come una
metodo era certamente il più semplice ma anche il più astratto, presentandosi come lo rappresentazione bidimensionale che manteneva inalterate le misure dei gradi di
svolgimento di un cono che avvolgeva il globo terrestre (fig. 200). Il secondo metodo longitudine e latitudine. Questa “incongruenza” prospettica corrispondeva a una scelta
non era una vera proiezione ma una costruzione geometrica che tendeva a offrire un precisa, funzionale allo scopo della rappresentazione che nel caso dell’ecumene doveva
risultato più vicino alla reale apparenza di una sfera, generando una strana forma essere innanzitutto una figura misurabile.
che per la sua peculiarità fu identificata nel Rinascimento con il nome di «mantellino» La rappresentazione dell’ecumene era e restava per Tolomeo un problema matematico,

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ben diverso dalla rappresentazione delle singole regioni che il cosmografo alessandrino l’artista intraprese soprattutto per la regione nord-occidentale dove si collocava l’ambizioso
considerava invece un problema pittorico: «la corografia deve dipingere la verosimiglianza, progetto di deviazione del corso dell’Arno, meditato per rendere il fiume navigabile
e non limitarsi a dare l’esatta posizione e la forma […]; la corografia è opera del pittore fino a Firenze e togliere ai pisani l’accesso al mare per via d’acqua (fig. 204)538.
[…] e non del matematico»535. Questa distinzione non fu senza conseguenze nella Nell’ambito della corografia rientrava anche la rappresentazione delle città, sia
ricezione dell’opera di Tolomeo che nel corso del Rinascimento fu sottoposta a continui in proiezione planimetrica, sia in veduta prospettica. Il requisito di “verosimiglianza”
aggiornamenti corografici, grazie al perfezionamento dei metodi di misurazione e delle auspicato da Tolomeo faceva sì che, spesso, la proiezione planimetrica zenitale e
forme di rappresentazione. quella prospettica venissero rappresentate in uno stesso disegno corografico539. Appare,
quindi, consequenziale il fatto che le ricerche prospettiche siano andate intrecciandosi
La «chorographia» in modo sempre più significativo con il perfezionamento delle tecniche topografiche
Fin dall’inizio del XV secolo, Firenze vantava una tradizione cartografica tra le più fiorenti fino a fare della prospettiva un vero e proprio strumento di misurazione. Gli sviluppi
d’Europa: qui operavano personaggi come Paolo dal Pozzo Toscanelli, cui si devono di questa connessione sono in assoluta continuità con la perspectiva pratica dei maestri
le intuizioni che portarono Colombo alla scoperta del Nuovo Mondo, o come Francesco abbachisti che all’inizio del Quattrocento si arricchiva di una nuova operazione
Rosselli dalla cui bottega uscirono alcune delle carte più belle e innovative del topografica mai descritta nei trattati medievali di geometria pratica, ovvero la misura
Quattrocento536. Le traduzioni latine della Geografia di Tolomeo rappresentavano un contemporanea degli angoli di posizione e delle distanze dei luoghi. Una prima
preciso contesto per la redazione di molte nuove carte regionali, come la Tuscia novela descrizione di questa operazione si trova nei Ludi rerum mathematicarum di Leon
di Piero del Massaio, ma fu negli ambienti militari che si ottennero i migliori prodotti Battista Alberti. L’umanista fiorentino se ne servì per «ritrovare certo acquedutto
corografici, come la Chorographia Tusciae disegnata nel 1536 dall’ingegnere militare antiquo» e per «commensurare il sito d’un paese, o la pittura d’una terra, come feci
senese Girolamo Bellarmato, forse sulla base di una carta redatta dal “pittore” Francesco quando ritrassi Roma» (fig. 205)540. Il ritratto albertiano della città dei papi lo conosciamo
di Giorgio Martini per i negoziati di pace tra la Repubblica di Siena e papa Sisto IV537. solo in forma tolemaica, cioè attraverso le coordinate dei luoghi che Alberti elencò
Ragioni militari furono anche alla base dei celebri studi cartografici condotti da Leonardo nella Descriptio Urbis Romae, offrendo per la prima volta anche il metodo di restituzione
da Vinci sulla valle dell’Arno nel 1503, frutto di originali e dettagliate misurazioni che delle misure per il disegno della pianta541.

202 204
200 M. Waldseemüller,
Claudii Ptholemei […]
Geographia opus novissima,
Strasbourg 1513, il primo
metodo cartografico
di Tolomeo.

201 G. Reisch, Margarita


philosophica, Fribourg 1503,
il secondo metodo
cartografico di Tolomeo.

202 C. Tolomeo, Geografia…


con le espositioni et
introduttioni universali di
203 Girolamo Ruscelli, Venezia
1598, p. 351, terzo metodo
cartografico di Tolomeo.

203 Schema “prospettico”


del terzo metodo tolemaico
(dis. dell’autore).

204 Leonardo da Vinci,


Madrid II, foll. 22v-23r,
Mappa della valle dell’Arno.
Madrid, Biblioteca Nacional.

198 199
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205 L.B. Alberti, Ludi


rerum mathematicarum,
205 206 triangolazione topografica 207

(C. Bartoli, Opuscoli morali


di Leon Battista Alberti,
Venezia 1568, p. 248).

206 Leonardo da Vinci,


Cod. Atlantico, fol. 622,
schema di rilevamento
territoriale con cerchio
goniometrico. Milano,
Biblioteca Ambrosiana.

207 G. Vasari e G. Stradano,


Veduta di Firenze durante
l’assedio del 1530, 1558-62.
Firenze, palazzo Vecchio,
sala di Clemente VII.

La diffusione del metodo determinò anche l’invenzione di nuovi strumenti, generalmente collezioni dei principi. A cominciare dalla Nova Scientia di Nicolò Tartaglia (1537), la
derivati dal dorso dell’astrolabio. Non a caso per il suo strumento topografico Alberti geometria dei triangoli diventò la struttura portante della nuova scienza balistica,
adottò il nome di «orizzonte», richiamando l’analogo cerchio goniometrico che circoscrive affidando agli strumenti anche il ruolo fondamentale di puntare con precisione le
le sfere armillari e delimita, negli astrolabi, la proiezione planisferica locale della artiglierie. La squadra dei bombardieri era forse il più semplice e il più diffuso dei nuovi
volta celeste. Un cerchio «tondo e piano come un Astrolabio» era anche lo strumento strumenti militari ma già il Tartaglia proponeva altri specifici strumenti, come il quadrato
usato da Raffaello per redigere una pianta di Roma antica, sebbene con un metodo orizzontale con una doppia linda a forma di croce e, naturalmente, la bussola, ossia il
diverso da quello albertiano, di cui si legge dettagliatamente il progetto nella celebre cerchio goniometrico con ago magnetico e rosa dei venti, per «mettere over tuore
lettera a Leone X542. Le caratteristiche del cerchio di Raffaello (stesse dimensioni e stessa rettamente in disegno […] li siti, paesi, et similmente le piante delle città […] la cui
divisione goniometrica) si riscontrano anche nella rosa dei venti che circoscrive la scientia da Ptolomeo è detta Chorografia»548.
celeberrima pianta di Imola disegnata da Leonardo543. Da uno schizzo del Codice Atlantico Anche l’importante trattato di Cosimo Bartoli, Del modo di misurare le distantie,
(fig. 206) sappiamo della familiarità dell’artista con il metodo albertiano, e possiamo si inserisce in un contesto militare. L’opera fu composta e dedicata a Cosimo de’ Medici
presumere che quello fu il procedimento adottato per i celebri rilievi cartografici proprio nel periodo in cui questi avviava la sua politica espansionistica per costruire il
della valle dell’Arno, della Valdichiana e della costa Toscana544. All’inizio del Cinquecento futuro stato granducale. Con l’annessione del territorio senese nel 1557, la
il metodo albertiano aveva raggiunto una forma ormai matura: il cerchio goniometrico rappresentazione corografica divenne un fattore di primaria importanza. Al fine di
era diventato una bussola con traguardo ottico e divisione in otto settori di 45° organizzare la difesa dei nuovi domini, soprattutto lungo la costa tirrenica minacciata
corrispondenti alle direzioni dei venti, e la misura dei luoghi avveniva attraverso una dalle incursioni saracene, Cosimo istituì nel 1562 l’ordine militare dei Cavalieri di Santo
serie di triangolazioni compiute da due o più punti di stazione. In questa forma e con Stefano e la carica di “Cosmografo del Serenissimo Granduca” che affidò al matematico
uno strumento di questo tipo il metodo fu applicato da Antonio da Sangallo il Giovane Egnazio Danti con il compito di cartografare tutti i possedimenti medicei. Il granduca
verso il 1527 per la redazione di una mappa di Firenze di cui agli Uffizi si conservano i e il suo cosmografo stabilirono i criteri di rilevamento territoriale e intrapresero l’ambizioso
preziosi appunti di rilievo545. Questa mappa fu forse utilizzata da Benvenuto della Volpaia progetto, di memoria leonardesca, che prevedeva il collegamento fluviale tra il Tirreno
e Niccolò Tribolo per la costruzione di un modello della città commissionato da Clemente e l’Adriatico con un canale navigabile attraverso l’Arno e il Casentino che avrebbe fatto
VII in occasione dell’assedio del 1530546. E proprio in questi anni il metodo raggiungeva di Firenze uno dei più importanti centri commerciali della penisola549.
la sua definitiva codificazione nell’opera di Reiner Gemma Frisius, e nella successiva In questo contesto cominciò a formarsi anche la prestigiosa collezione scientifica dei
divulgazione di Juan de Rojas e Cosimo Bartoli547. Medici che includeva soprattutto strumenti astronomici e topografici. Tra gli strumenti
appositamente costruiti per Cosimo, vi era anche il già ricordato distanziometro di
La topografia militare Baldassarre Lanci, una delle testimonianze più significative di quella straordinaria
La misura delle distanze e il disegno del territorio rappresentarono un problema prioritario convergenza di competenze prospettiche e cartografiche che sono oggetto di questo
soprattutto per la pianificazione delle azioni militari. L’attendibilità delle carte era spesso capitolo. Baldassarre Lanci fu al servizio di Cosimo dal 1557, quando il duca lo invitò a
un fattore determinante per la riuscita delle imprese belliche, ed è a questo problema congedarsi dall’ormai decennale attività di ingegnere militare della Repubblica di Lucca
che furono dedicati i numerosi trattati e strumenti topografici che arricchivano le per dirigere i lavori di fortificazione della città di Siena. Appena assunto il nuovo incarico,

200 201
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208 209
208 G. Parigi, Lo sportello
di Dürer, 1600. Firenze, Uffizi,
Stanzino delle matematiche.

il Lanci rese omaggio a Cosimo con la costruzione di due splendidi strumenti topografici 209 P. Accolti, Lo inganno
firmati e datati: una bussola per artiglieri, con eclimetro e compasso sferico, e il degli occhi, Firenze 1625,
p. 86, schema di restituzione
distanziometro che proponeva un nuovo metodo di rilevamento topografico basato prospettica della pianta
sui principi della prospettiva lineare (fig. 151)550. Di origine urbinate, allievo di Girolamo di una fortezza.
Genga, il Lanci eccelleva proprio in quelle discipline che rendevano celebri gli artefici
della sua città natale, vale a dire l’architettura militare, la costruzione degli strumenti
scientifici, e la prospettiva (Egnazio Danti lo ricordò per la spettacolarità delle sue
invenzioni scenografiche551).
Come strumento topografico, il distanziometro presentava forti analogie con il
cosiddetto «olometro», lo strumento che il meccanico francese Abel Foullon aveva
descritto in un fortunato trattato edito a Parigi appena due anni prima e successivamente
ristampato in edizione italiana (1564) e latina (1577)552. Il Lanci potrebbe aver conosciuto curva, fissata sul bordo del disco di base, e di un dispositivo di mira orientabile in senso
l’edizione francese del 1555, ma è probabile che già allora Cosimo possedesse l’esemplare orizzontale e verticale, come un teodolite. L’oggetto da disegnare si osservava attraverso
dell’olometro poi descritto da Antonio Santucci nel trattato sugli strumenti della il tubicino fissato nella parte superiore del dispositivo; più in basso, e parallelamente
Guardaroba553. È anche probabile che il granduca tenesse in grande considerazione a esso, si trova un altro tubicino nel quale scorreva uno stilo metallico che andava a
quello strumento, tanto che un altro ingegnere militare al suo servizio, Bernardo Puccini, segnare i punti osservati sulla tavoletta (fig. 151). La tavoletta oggi è mancante ma dalla
ne avrebbe successivamente elaborato una variante col nome di «gnomone»554. Una descrizione di Daniele Barbaro sappiamo che era alta quanto il tubicino con lo stilo
scena figurata incisa sul distanziometro mostra due topografi al lavoro nell’atto di metallico, e possiamo dedurre che lo strumento permetteva di disegnare solo ciò che
misurare altezze e distanze secondo l’ormai diffusissimo metodo della triangolazione stava sotto l’orizzonte, vale a dire solo vedute dall’alto558. In altre parole, lo strumento
che Cosimo Bartoli andava descrivendo in quegli anni secondo le specifiche di Gemma era concepito per eseguire proprio quelle vedute di città che Giorgio Vasari e Giovanni
Frisius. Bartoli illustrò il procedimento mostrando le fasi di un rilevamento topografico Stradano avrebbero dipinto nei celebri affreschi di palazzo Vecchio. Stando alla successiva
di Firenze da lui stesso eseguito in omaggio ai desideri del suo principe. Il tema era menzione di Egnazio Danti, lo strumento ebbe anche una certa diffusione tra i pittori
infatti attualissimo. Pochi anni prima, nel 1556, all’indomani della vittoria su Siena, del tempo. Il cosmografo mediceo ebbe giustamente a criticare l’utilizzo della sezione
Cosimo de’ Medici aveva incaricato Giorgio Vasari di eseguire una nuova pianta della curva a uso pittorico ma è probabile che la sola operazione prevista dal Lanci fosse
città555. Questa pianta oggi risulta perduta, ma i rilievi eseguiti in quella occasione quella di eseguire vedute panoramiche di città a volo d’uccello, funzione per la quale
servirono per realizzare la celebre veduta dell’Assedio di Firenze in palazzo Vecchio (fig. lo strumento era ancora menzionato nel XIX secolo559. Dato il contesto politico che aveva
207). Lo afferma Vasari stesso nei Ragionamenti, ricordando di avere eseguito la veduta ispirato l’invenzione è molto probabile che l’operazione prospettica del distanziometro
servendosi di una pianta topografica, di misurazioni con la bussola e di «occhiate dal servisse a rilevare la pianta di una fortezza da un solo punto di stazione.
naturale». Le difficoltà poste dal punto di osservazione – i colli d’Oltrarno impedivano
la visibilità delle zone immediatamente sottostanti – furono superate con un particolare Una «nuova maniera di levar piante»
uso della bussola topografica: «per aiutar con l’arte dove ancora mi mancava la natura Il tema sembra essere stato particolarmente caro agli ingegneri della corte medicea.
– racconta l’artista nel suo ideale colloquio con il principe Francesco de’ Medici – presi Bernardo Puccini, ad esempio, nell’elaborare il suo «gnomone», la versione dell’olometro
la bussola e la fermai sul tetto di quella casa, e traguardai con una linea per il dritto a sopra ricordata, non mancò di prevedere un’operazione prospettica che mettesse in
tramontana, che di quivi avevo cominciato a disegnare, i monti, e le case, e i luoghi più grado il topografo di eseguire speditamente la veduta di una fortezza560. In questa
vicini, e la facevo battere di mano in mano nella sommità di que’ luoghi per la maggior operazione si esercitò perfino la granduchessa Cristina di Lorena cui si deve il disegno
veduta; e mi aiutò assai che avendo levato la pianta d’intorno a Firenze un miglio, di una fortezza, oggi agli Uffizi, eseguito con uno strumento prospettico di Bernardo
accompagnandola con la veduta delle case per quella linea di tramontana, ho ridotto Buontalenti561. E nello “Stanzino delle matematiche”, che custodiva la collezione medicea
quel che tiene venti miglia di paese in sei braccia di luogo misurato»556. Vasari aveva di strumenti scientifici, troviamo una sintomatica raffigurazione dello «sportello» di
misurato le distanze angolari tra i singoli luoghi usando la bussola come uno strumento Dürer come strumento militare (fig. 208), funzione puntualmente descritta da un altro
prospettico; mettendo cioè in pratica quanto suggerito da Juan de Rojas e Cosimo Bartoli ingegnere mediceo, Pietro Accolti, nel suo trattato di prospettiva pratica Lo inganno
che indicavano quello strumento come «cosa utilissima alli Architettori, et a coloro che degli occhi (1625): «Da un proposto disegno perspettivo, levato mediante il sudetto
si dilettano di mettere in pittura alcuna prospettiva»557. Instrumento [lo sportello], investigare, et rappresentare la sua Geometrica Pianta, et la
Proprio il disegno prospettico rappresentava la funzione più innovativa del quantità di ciascuna sua parte»562. Il proposto disegno era la veduta di una fortezza,
distanziometro del Lanci. Per questa funzione lo strumento era munito di una tavoletta attraverso la quale «non sarà difficile rappresentare sotto gl’occhi altrui, qual sia la reale

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legittima precisa forma, et figura del sudetto Forte, et appresso ancora, quanta sia la di ottone, vi si tracciavano le proiezioni orizzontali dei punti di intersezione (fig. 210);
cortina, di muraglia, che si distende tra ciascuno baloardo, et quanto ogni suo Angolo». per ogni punto si tracciava una tangente al cerchio che rappresentava il ribaltamento
Considerando la posizione del punto di vista, il topografo poteva tracciare sul disegno dell’intersezione sul piano orizzontale, e su questa retta si riportava l’altezza del punto;
prospettico il punto di fuga principale e il punto di distanza (fig. 209); per ogni punto dal centro del cerchio si tracciava una parallela alla tangente che rappresentava il
del disegno faceva quindi passare due rette tirate dai punti di fuga alla linea di terra; ribaltamento del punto di vista, e su questa parallela si riportava l’altezza dell’occhio;
dalle tracce sulla linea di terra disegnava poi una retta verticale (per ogni retta che nella per ogni punto da restituire si univa quindi il centro del cerchio con la traccia del punto
prospettiva convergeva al punto principale) e una retta inclinata a 45° (per ognuna di sulla circonferenza, e il punto di vista con la posizione del punto sulla tangente;
quelle convergenti al punto di distanza); all’intersezione di queste nuove coppie di rette l’intersezione delle due rette prolungate dava la posizione esatta del punto sul piano
si trovano i punti che descrivevano la pianta in vera forma. Per ricavare la scala di orizzontale. In sostanza, ogni punto tracciato sull’intersezione curva poteva essere
rappresentazione e misurare tutte le parti della fortezza, l’edificio veniva ritratto una proiettato sul piano orizzontale avendo come origine della proiezione l’occhio fittizio
seconda volta da un punto più arretrato, mantenendo però inalterata la distanza tra dell’osservatore al centro del tubicino con lo stilo metallico. Si tratta di un procedimento
l’occhio e lo sportello; la scala era data dal rapporto proporzionale tra la riduzione di prospettiva inversa che aveva radici nelle tecniche stesse dei misuratori. Lo descrive,
dell’immagine e la distanza tra le due stazioni. ad esempio, Leon Battista Alberti nei Ludi rerum mathematicarum: per conoscere la
Questo procedimento poteva essere applicato con qualsiasi altro strumento prospettico, larghezza di un fiume, bastava segnare su una verga la posizione prospettica della
ma non con il prospettografo del Lanci dove l’immagine, come segnalava il Danti, non sponda opposta e, successivamente, portata la verga in un campo, proiettare a terra il
poteva essere stesa in piano senza subire alterazioni. Con il distanziometro, tuttavia, la punto segnato564.
restituzione della pianta poteva essere ottenuta in un modo indicato da Guidobaldo La prospettiva era dunque un mezzo per ottenere quanto di più prezioso un uomo
del Monte che prevedeva, per una sezione curvilinea, il ribaltamento dei piani passanti d’arme potesse sperare di avere durante l’assedio di una fortezza, vale a dire le misure
per l’occhio e per i punti dell’immagine563. Disegnata una circonferenza uguale al disco necessarie al puntamento delle artiglierie e allo studio delle strategie di attacco. Secondo
Pietro Accolti, la prospettiva ha «tanta conferenza con la Geometria, che possiamo
mediante la ragione di quella, investigare le operazioni, et effetti proprij di questa […]
210 Materia, et dottrina non vulgare, et pratica, che forse non sia discara ad ogni Ingegniero
210 Schema di di Guerra»565. I tecnici militari guardavano con attenzione alle potenzialità della prospettiva
restituzione prospettica
con il distanziometro e non a caso un particolare pugnale di misurazione come il «proteo militare» di Bartolomeo
di B. Lanci (dis. dell’autore). Romano prevedeva tra le sue innumerevoli metamorfosi anche la funzione prospettica.
Con esso «si formano tutte le figure di Geometria, e diversi Istrumenti di Prospettiva,
Pittura, Scoltura, et Architettura» (fig. 211)566. Il manico era un orologio solare e il suo
pomo una sfera armillare. Le lame si aprivano in modo inaspettato consentendo di
risolvere qualsiasi problema di geometria piana, dalla costruzione dei poligoni, alla
duplicazione delle aree e dei volumi per mezzo dei medi proporzionali. Il pugnale si
trasformava in quadrante, quadrato geometrico, radio latino, griglia per la redazione
di carte geografiche e nautiche, strumento proporzionale per i cinque ordini architettonici
e per le lettere dell’alfabeto, pantografo da scalpellino per riportare i punti di una statua,
strumento per le correzioni ottiche in architettura e strumento di prospettiva.
Le connessioni sempre più strette tra discipline geometriche, prospettiva e strumenti
di misurazione erano il risultato di un’esigenza che già verso la metà del Cinquecento
appariva irrinunciabile. Stando alle parole di uno dei più influenti trattatisti di fortificazioni
del XVI secolo, Jacopo Lanteri, la conoscenza della prospettiva era un presupposto
fondamentale, ignorando il quale «un’ingegnero, ò un architetto à punto sia simile ad
uno che habbi appannati gli occhi»567. Analogo concetto avrebbe espresso all’inizio del
secolo successivo Ludovico Cigoli in un contesto ben più delicato che annunciava un
rinnovato ruolo della prospettiva negli studi astronomici: «un matematico, sia grande
quanto si vuole, trovandosi senza disegno, è non solo un mezzo matematico, ma anche
un uomo senza occhi»568. Il matematico in questione era nientemeno che Cristoforo

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211 B. Romano, Proteo 212 G. Galilei, Veduta della
militare, Roma 1595, p. 58, laguna veneziana eseguita
il «proteo militare». con il cannocchiale, 1609.
Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, Ms. Gal. 48, c. 54v.

Clavio al quale il Cigoli rimproverava il fatto di aver ironizzato sui risultati delle osservazioni l’uso militare della lente, da lui chiamata «perspective glass», auspicandone il prevedibile
telescopiche di Galileo senza preoccuparsi di interpretare i segni visibili nel cielo attraverso perfezionamento574. Nella Pantometria del 1571, Leonard e Thomas Digges menzionarono
le lenti del cannocchiale. il «vetro prospettico» tra i nuovi strumenti a uso topografico, rimandando il lettore a
un intero trattato, tuttavia mai scritto, sulla composizione e l’uso di questo strumento
Il «vetro prospettico» ottico. Dal breve passo della Pantometria possiamo ricavare che lo strumento era
La diffusione delle lenti in campo astronomico fu preceduta da importanti applicazioni composto di uno specchio concavo, e talvolta anche di una lente per intensificare le
in campo topografico che prepararono il terreno agli sviluppi dell’ottica moderna, non immagini: «meravigliose sono le operazioni che si possono fare con gli specchi concavi
senza conseguenze per la pratica della rappresentazione prospettica. L’uso della lente e convessi, di forma circolare e parabolica, usando talvolta per la moltiplicazione dei
come supporto tecnico alle misurazioni topografiche, anche in combinazione con lo raggi l’aiuto di vetri trasparenti [lenti]. Con questi tipi di vetri […] io posso non solo
specchio concavo, cominciò a diffondersi nella seconda metà del Cinquecento. Alcune disegnare le proporzioni di un’intera regione, ma rappresentare davanti ai vostri occhi
deboli testimonianze si registrano in ambiente veneto, dove forse la produzione vetraria la vivace immagine di ogni città e villaggio…»575.
favorì riflessioni pratiche, oltre che teoriche, sugli effetti della riflessione e rifrazione Nel 1578 il matematico William Bourne descrisse lo strumento più dettagliatamente
dei raggi luminosi. Oltre a Daniele Barbaro che, come abbiamo visto, applicò una lente in un manoscritto dal titolo Inventions and devices. Very necessary for all generalles
convessa al foro della camera oscura, un’interessante testimonianza si trova in un and captaines, or leaders of men, as well by sea as by land. Il «perspective glass», spiegava
manoscritto di Ettore Ausonio569. Nel documento, che illustra le proprietà dello specchio l’autore, era una lente biconvessa del diametro di un piede o più, montata sul foro di
concavo, si trova forse la prima menzione dell’uso di questo strumento in una camera apertura di una camera oscura; a una determinata distanza, poco oltre il punto di
oscura: «Se l’huomo si serrerà in una camera all’oscuro – scrive Ausonio – e farà che inversione dell’immagine, veniva posto uno specchio concavo, anch’esso di grande
da un solo bucolino entri il lume del sole e sopra di questo bucolino vi accomodi una diametro, che proiettava sulla carta l’immagine ingrandita della veduta esterna576. In
carta bianca, accomodando lo specchio con certa misura dinanzi lo bucolino egli uno scritto successivo, A treatise on the properties and qualities of glasses (ca. 1585),
rappresenterà nella carta una vaga, e polita pittura minutissima che ponerà in modo Bourne rese conto anche delle caratteristiche tecniche della lente e dello specchio: «…un
di perspettiva tutto quello, che di fuori si potria vedere, e se vi saranno uomini, ovvero vetro per prospettive […] – ossia una lente biconvessa – deve essere rotondo, deve avere
animali che si muovono, nella pittura le immagini si muoveranno con grandissima nostra un piede di diametro; e deve essere pulito e trasparente come il vetro di Venezia. E più
delettatione»570. Come specificava Giovanni Battista Della Porta, lo specchio serviva a è grande, meglio è: e deve anche essere di un certo spessore, e quindi deve essere molato
«vedere le cose ingrandite e più nitide»571. con uno strumento adatto […] rendendolo ai bordi molto sottile, e in mezzo più
Negli stessi anni la combinazione di lenti e specchi concavi per proiettare le immagini spesso…»577; il «looking glasse», ossia lo specchio concavo, doveva essere di vetro,
in camera oscura si registra negli ambienti matematici inglesi, dove prese corpo l’idea «concavo, con un foglio [d’argento] dalla parte convessa», una soluzione di gran lunga
di un sistema telescopico a riflessione ante litteram. Da alcuni scritti di John Dee, Thomas preferibile ai più comuni specchi di metallo «che sono comunemente chiamati specchi
Digges e William Bourne, emerge la prima applicazione dello strumento al disegno d’acciaio»578. Citando l’autorità di John Dee e Thomas Digges, Bourne concludeva: «sono
cartografico572. L’attenzione al potere telescopico delle lenti era stata rivolta, in Inghilterra, certo che il vetro molato, fatto di materia finissima, e di una certa larghezza, e posto
fin dal XIII secolo. Ruggero Bacone, ad esempio, esaltava fortemente le proprietà della in modo tale che i raggi che lo attraversano vengano ricevuti in uno specchio concavo
lente convessa, spiegando come «…da un’incredibile distanza possiamo leggere le di grandi dimensioni, mostrerà le cose di una grandezza meravigliosa, in un modo
lettere e i numeri più piccoli, granelli di polvere e sabbia […] un bambino può apparire incredibile agli occhi della gente comune»579.
un gigante, e un uomo una montagna […] un piccolo esercito può apparire molto Nel 1588 il cartografo Thomas Harriot pubblicava il suo rapporto sulle nuove terre
grande, e situato a grande distanza può apparire vicino, e viceversa»573. Nella prefazione della Virginia da lui misurate e disegnate, citando tra gli strumenti a sua disposizione
alla traduzione inglese degli Elementi di Euclide, edita nel 1570, John Dee menzionò anche lenti e specchi concavi («perspective glasse» e «burning glasses»), forse usati per

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213 M. Stoeltzle (?),
telescopio topografico, 1615.
Osservatorio di Pulkowo,
San Pietroburgo, Accademia
delle Scienze, Archivio
dell’ex URSS.

214 C. Scheiner, Rosa


Ursina, Bracciano 1630,
p. 107, l’occhio e la lente.

i suoi rilievi cartografici580. Molti anni dopo, come è noto, il perfezionamento delle lenti Coccapani che spesero lunghe giornate a documentare lo spostamento e la grandezza
auspicato da Bourne e la combinazione di lenti concave e convesse in forma di delle macchie facendo ricorso, come lo stesso Galileo, all’ormai ben nota tecnica della
cannocchiale indussero Harriot a puntare lo strumento verso la Luna per disegnare la camera oscura585.
prima, seppur sommaria, mappa topografica del nostro satellite581. Poco dopo l’esperienza Il metodo fu subito applicato anche al vedutismo cartografico. Tra gli scritti di Keplero
fu replicata con maggior successo da Galileo, e da Keplero, che asserì di aver proiettato si trova il disegno di un cannocchiale montato su uno stativo e munito di due accessori
l’immagine della Luna su uno schermo posto a ben 12 piedi (ca. 4 m) di distanza da una per il disegno topografico (fig. 213): un globo oscurante per proteggere l’obiettivo dalla
lente di grandi dimensioni582. Il potere di ingrandimento, tuttavia, era abbastanza luce diretta del Sole, e una tavoletta per ricevere l’immagine dell’oggetto osservato. Il
modesto. I cannocchiali olandesi che cominciarono ad arrivare il Italia nel 1609 avevano disegno è allegato a una lettera che Melchior Stoeltzle scrisse a Keplero nel 1615586. Si
un potere di ingrandimento di appena tre volte; il primo cannocchiale di Galileo presentato tratta della prima illustrazione nota del cannocchiale adattato alla camera oscura.
al Senato veneziano nell’estate di quell’anno aveva un ingrandimento di nove volte; L’immagine proiettata sulla tavoletta, però, non è rovesciata, come accadeva con il
contemporaneamente, in Inghilterra, Thomas Harriott utilizzò un cannocchiale che cannocchiale galileiano. Questo telescopio ha infatti una particolarità ben evidenziata
ingrandiva sei volte. Solo nel novembre del 1609, Galileo riuscì a costruire un cannocchiale sia nella lettera sia nelle note che accompagnano il disegno: la presenza di una terza
da venti ingrandimenti che gli permise di vedere ben oltre la distanza della Luna. Le lente scorrevole all’interno del tubo, che aveva la funzione di raddrizzare l’immagine.
spettacolari visioni annunciate da Bacone, Della Porta, Bourne e altri erano forse più Il problema dello scambio epistolare tra Stoeltzle e Keplero stava proprio lì, ossia nel
nelle intenzioni che nei fatti. controllare la curvatura della terza lente e il meccanismo di scorrimento per la messa a
L’invenzione del cannocchiale prese forma nel contesto della tradizione prospettica fuoco. Come si legge nella lettera, con tre lenti «non risulta però così facile mettere a
rinascimentale. Era uno strumento che attirò subito l’attenzione per le sue applicazioni fuoco, come avverrebbe con due lenti»587.
militari e cartografiche, manifestando una funzione pittorica che restò intatta anche Keplero elaborò lo strumento in una forma più tardi documentata in una lettera
quando divenne il più potente strumento di osservazione astronomica. Alcuni schizzi del dell’ambasciatore inglese Sir Henry Wotton a Francis Bacon. Wotton aveva visitato lo
periodo veneziano mostrano Galileo alle prese con la rappresentazione del paesaggio studio di Keplero a Linz nel 1620 e aveva visto personalmente quell’occhio artificiale
(fig. 212)583, ed è noto come lo scienziato riuscì a catturare l’interesse dei senatori della formato da «un lungo tubo prospettico, con una lente convessa montata nel detto
Repubblica mostrando dal campanile di San Giorgio Maggiore i vascelli in navigazione buco, e una concava all’altra estremità […] attraverso il quale passano le radiazioni
al largo della costa adriatica584. Quando poi Galileo puntò lo strumento verso il cielo, visibili di tutti gli oggetti esterni, cadendo su un foglio di carta sistemato per riceverle
scoprì che il modo migliore per descrivere e misurare il nuovo mondo celeste era […] Questo lo descrivo a sua signoria perché penso se ne possa fare un buon uso per la
quello di disegnare ciò che si vedeva attraverso le lenti, usando il cannocchiale come un corografia…»588. Lo strumento di Keplero era montato all’interno di una tenda nera e
pittore avrebbe usato il vetro, il «velo» o la camera oscura. Non a caso gli accessori di cui poteva girare sullo stativo in modo da “fotografare” varie vedute che, una volta montate
fu arricchito lo strumento nel corso del XVII secolo erano proprio accessori per il disegno insieme, avrebbero fornito il vero ritratto di un intero territorio. Un’immagine di questo
– una tavoletta da camera oscura, una griglia di «fili sottilissimi» e perfino un pantografo telescopio fu pubblicata da Christoph Scheiner nella Rosa Ursina dove compare anche
– che l’astronomo-pittore utilizzava meticolosamente per disegnare delle vere e proprie una straordinaria tavola comparativa tra l’occhio e la camera oscura con e senza lenti
corografie celesti. Le qualità pittoriche dello strumento sono testimoniate dall’entusiasmo (fig. 214)589. Sono questi i passi fondamentali che trasformarono il fenomeno naturale
con cui alcuni pittori di chiara fama accompagnarono le ricerche dello scienziato sulle della camera oscura nella consapevole costruzione di un “occhio artificiale” variamente
macchie solari: Ludovico Cigoli, soprattutto, ma anche Domenico Passignano e Sigismondo adattato alle diverse esigenze degli astronomi, dei cartografi e dei pittori.

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215 216 G. Galilei, Sidereus
Nuncius, Padova 1610, c. 15,
fase lunare; c. 13v, schema
di topografia lunare.
Oltre l’orizzonte terrestre: l’occhio di Galileo

Il perfezionamento del cannocchiale è l’evento tecnico-scientifico che per tutto il XVII che rischiara la parte ombrosa della Luna594. Il chiaroscuro, la forma e il colore, in una
secolo scandì alcune tappe fondamentali dell’ottica moderna, riflettendosi in modo parola il disegno, ovvero la capacità di osservare e trascrivere il mondo delle apparenze,
significativo anche sugli sviluppi della teoria prospettica. Gli studi ottici dei Minimi doveva diventare per Galileo uno strumento fondamentale negli studi astronomici.
francesi, ad esempio, da cui derivano alcune straordinarie anamorfosi diottriche, non In altre parole, i concetti di misura e rappresentazione maturati nel contesto degli
furono affatto estranei alle vicende che accesero il dibattito scientifico tra fautori e studi prospettici rinascimentali dovevano diventare parte essenziale della nuova
detrattori delle scoperte galileiane. Nelle dispute scientifiche che accompagnarono «astronomia visuale»595.
le prime scoperte astronomiche di Galileo il disegno ebbe un ruolo decisivo, tanto da Le competenze pittoriche di Galileo si manifestano soprattutto attraverso le
distinguersi come uno degli “strumenti” fondamentali dell’astronomia telescopica. considerazioni sul fenomeno del lume secondario, il cosiddetto “candore della Luna”,
Le argomentazioni portate da Galileo a sostegno delle proprie tesi si fondavano su che presumibilmente avremmo trovato discusso nel trattato De visu et coloribus se
un’attenta descrizione grafica dei fenomeni osservati attraverso il telescopio. Per lo scienziato lo avesse mai composto596. Qualsiasi pittore ben addestrato sapeva che
Galileo non c’era argomento che non potesse essere chiarito attraverso il disegno, l’ombra non era mai una zona uniforme di colore più scuro, ma era sempre rischiarata
tanto che perfino nella spiegazione delle maree egli riteneva che «co ‘l disegnarne dalla luce riflessa dai corpi vicini. Nella sua genialità, Leonardo aveva già esteso questa
un poco di figura si potesse guadagnar qualche lume […] pure ci aiuteremo con la conoscenza del colore e del chiaroscuro all’apparenza della Luna anticipando le
prospettiva e con gli scorci»590. Galileo disegnava con un occhio addestrato dalla forte conclusioni di Galileo, ossia che il candore della Luna era prodotto dalla luce riflessa
passione per la pittura che aveva dominato i suoi interessi giovanili e i suoi disegni dalla Terra597. Sebbene per Leonardo il potere riflettente era da attribuire alle
rivelano senza dubbio un talento artistico innato (fig. 187). acque che secondo lui ricoprivano anche il globo lunare, il suo ragionamento era
Con la diffusione del cannocchiale la figura dell’astronomo veniva a indossare analogo a quello di Galileo: la superficie lunare, come quella della Terra, doveva essere
anche le vesti del pittore. Affermando che il cannocchiale si fondava sulle «più recondite fortemente irregolare. Le onde per Leonardo, o le innumerevoli sfaccettature della
speculazioni di prospettiva», Galileo intendeva certamente riferirsi alle leggi della superficie scabra per Galileo, si comportavano come infiniti specchi.
diottrica591, ma nei suoi scritti il termine prospettiva era liberamente usato per indicare La dimostrazione che la Luna avesse una superficie simile a quella terrestre era
sia la teoria della visione, sia la scienza della rappresentazione. Lo strumento ottico, data per Galileo dal profilo frastagliato del terminatore (fig. 215). Le isolette ombrose
quindi, era al tempo stesso uno strumento prospettico per osservare le navi nemiche, che fiancheggiano il terminatore dalla parte luminosa, e i punti luminosi che lo
per rilevare i campi di battaglia e per «disegnare le facce della luna […] senza errore fiancheggiano dalla parte in ombra, erano prove evidenti della presenza di valli e
di un minimo capello»592. Le sue osservazioni astronomiche iniziarono proprio con il montagne la cui altezza si poteva misurare non meno esattamente che sulla Terra.
disegno delle facce della Luna, usando cioè il cannocchiale come un cartografo avrebbe Nel Sidereus Nuncius, Galileo propose la prima operazione di topografia celeste (fig.
usato uno strumento prospettico593. Le lenti consentivano di esplorare un territorio 216). Stabilì che per l’enorme distanza del Sole dalla Luna i raggi illuminanti potevano
altrimenti inaccessibile che la mano di Galileo tradusse in straordinari disegni, e il essere considerati tra loro paralleli e che pertanto la circonferenza abbracciata da
pennello dell’amico Ludovico Cigoli introdusse per la prima volta nell’iconografia questi raggi coincideva con il circolo massimo della Luna. Misurata la distanza dal
religiosa (fig. 186). La Luna del Cigoli è un eccellente ritratto telescopico che mostra centro di un punto luminoso visibile nella parte ombrosa, Galileo dimostrò che quel
chiaramente i principali problemi prospettici discussi da Galileo nel Sidereus Nuncius: punto era la cima di una montagna la cui altezza (DA) era misurabile semplicemente
il profilo frastagliato dell’ombra che rivela la scabrosità della superficie lunare; la applicando il teorema di Pitagora a un triangolo che aveva per cateti il raggio della
figura ellittica del terminatore, ben disegnata anche da Galileo ma generalmente Luna (CE) e la distanza (CD) del punto dall’asse centrale (DA = √CE2+CD2 – AE)598. Galileo
ridotta a un arco di cerchio nell’iconografia della Luna falcata; e il lume secondario accompagnò questi ragionamenti con schizzi di studio che scendevano nel dettaglio

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dei singoli crateri, traducendo i piatti contrasti tra luce e ombra in raffinate prospettive Cigoli aveva insegnato a trovare il punto di fuga dei raggi paralleli del Sole, mentre
a volo d’uccello599. Pietro Accolti proponeva di servirsi di un disegno, che lui chiamava «ombrifero», cioè
La precisione dei disegni di Galileo era il prodotto di acute osservazioni ottiche generatore di ombre, in base al quale ricavare le ombre in prospettiva. Il disegno
che lo scienziato espose esemplarmente in una lunga lettera del 1611 a Christopher ombrifero presentava l’oggetto visto dall’occhio del Sole (fig. 218)607. Data la distanza
Grienberger600. Nell’interpretare i segni luminosi mostrati dalle lenti, Galileo spiegava del Sole dalla Terra i lati in scorcio di un cubo traforato non concorrono in nessun
che i rilievi montuosi non erano visibili sulla circonferenza della Luna perché si punto ma risultano tra loro paralleli e, siccome il Sole è al tempo stesso occhio vedente
mostravano in scorcio, impedendo di vedere il profilo anfrattuoso del terminatore601. e fonte luminosa, l’oggetto appare totalmente illuminato, non si vedono cioè le
La presenza dei rilievi lungo la circonferenza era visibile però quando la Luna era sue parti in ombra608. Considerando però i punti in cui le parti anteriori si sovrappongono
appena una falce, poco prima e poco dopo il novilunio. In quel momento si notavano a quelle posteriori, Accolti era in grado di determinare, nel disegno prospettico che
sulla circonferenza alcuni punti luminosi staccati dalle punte della falce che Galileo mostrava l’oggetto da un’altra angolazione, i punti che delimitavano le zone d’ombra
interpretò come le cime dei monti viste di profilo602. (fig. 219). Per vedere le ombre, e dunque il rilievo, proprio come nell’esempio di
La presenza dei rilievi si manifestava solo a luce radente603. Lungo la circonferenza Galileo, l’occhio doveva spostarsi in un’altra posizione609.
l’occhio non poteva vedere la loro effettiva altezza perché l’angolo ottico era troppo I due cubi disegnati da Accolti erano entrambi in prospettiva ma uno dei due
piccolo e ulteriormente ridotto dalla sovrapposizione prospettica dei rilievi stessi e presupponeva l’occhio dell’osservatore collocato nel Sole, cioè all’infinito; di conseguenza
dall’effetto di livellamento prodotto dall’irraggiamento luminoso lungo la circonferenza. il punto di fuga era all’infinito e le linee in scorcio apparivano parallele. Questo
In quella posizione i raggi visivi vedevano solo la parte luminosa dei rilievi, come se tipo di rappresentazione che oggi chiamiamo assonometria, era noto negli ambienti
l’occhio dell’osservatore si fosse trovato nel Sole. Da quel punto di vista, spiegava militari come “prospettiva soldatesca” o “militare”, ed era usato soprattutto nel
Galileo, esso non avrebbe visto altro che le zone illuminate e tutto gli sarebbe apparso disegno delle fortezze e delle mappe topografiche 610. Oltre a essere di più facile
piatto (fig. 217)604. Per vedere l’ombra, e dunque il rilievo, l’occhio doveva spostarsi costruzione, questa rappresentazione aveva il pregio di mostrare contemporaneamente
fino a raggiungere una certa distanza angolare dalla fonte luminosa. La presenza dei la pianta e il prospetto in vera forma o, comunque, nelle loro reali dimensioni.
rilievi si manifestava cioè esclusivamente attraverso il contrasto tra luce e ombra. Il Data la distanza dei pianeti dalla Terra, dovremmo considerare le “corografie celesti”
problema fu esposto da Galileo anche sul piano artistico in una lettera a Ludovico come rappresentazioni di questo tipo, ossia vedute prospettiche in proiezione
Cigoli, dove lo scienziato spiegava che il rilievo veniva percepito non come oggetto ortografica.
della vista in senso assoluto ma grazie alla presenza del chiaroscuro605.
Del ragionamento di Galileo si può rintracciare il riflesso in un interessante problema La proiezione ortografica
di proiezione delle ombre discusso da Pietro Accolti ne Lo inganno degli occhi. Da Il problema della proiezione ortografica era particolarmente discusso negli ambienti
Albrecht Dürer a Guidobaldo del Monte, i trattatisti avevano sempre rappresentato matematici proprio in relazione alla rappresentazione della sfera celeste. Secondo
le ombre in prospettiva considerando il caso di una sorgente luminosa puntiforme606. Federico Commandino (commento al Planisfero di Tolomeo), la proiezione della sfera

217 218 219


217 G. Galilei, Opere,
Bologna 1656, II, p. 108,
dimostrazione degli effetti
di illuminazione del Sole.

218 219 P. Accolti,


Lo inganno degli occhi,
Firenze 1625, p. 140, disegno
«ombrifero»; p. 141, disegno
prospettico.

212 213
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celeste sul piano era un’operazione di prospettiva lineare611, e tale poteva essere Al di là dei dubbi di Guidobaldo del Monte, tuttavia, la proiezione ortografica era
considerata per Gemma Frisius (De astrolabo catholico) anche la proiezione del generalmente considerata una proiezione prospettica con punto di vista collocato
planisfero universale, perché l’occhio era situato in uno degli equinozi e i circoli all’infinito; se ne servirono ad esempio Dürer e Jean Cousin per disegnare lo scorcio
venivano proiettati sul coluro dei solstizi, secondo un procedimento che Aguilonius della figura umana617. E se così non fosse stato, Galileo non avrebbe potuto sostenere
avrebbe chiamato «proiezione stereografica»612. le sue dimostrazioni sulle macchie solari. Diversamente da Christoph Scheiner che
Nella seconda metà del secolo era stato diffuso un nuovo planisfero universale aveva tentato di dimostrare la natura delle macchie come satelliti vaganti intorno al
che presupponeva l’allontanamento dell’occhio all’infinito; il suo inventore, Juan de Sole servendosi della geometria prospettica dei pittori (fig. 223)618, Galileo fece ricorso
Rojas, sosteneva, senza dimostrarlo, che anche questo procedimento derivava dalla alla proiezione ortografica per dimostrare che le macchie stavano sulla superficie del
prospettiva (fig. 220). Gemma Frisius condivideva tale opinione, precisando che si Sole e che al centro apparivano tonde perché erano viste, come dicevano i pittori, «in
doveva accettare la possibilità di collocare mentalmente l’occhio all’infinito613. Solo maestà», cioè frontalmente, mentre vicino alla circonferenza apparivano più strette
in questo modo si poteva giustificare la rappresentazione dei paralleli e dell’eclittica perché erano viste in scorcio (fig. 224)619. Era lo stesso ragionamento con cui spiegava
come linee rette. Per Guidobaldo del Monte (Planisphaeriorum universalium theorica, la ragione per cui vicino alla circonferenza della Luna non si vedono i rilievi, e vicino
1579), invece, le cose non stavano proprio così: collocare l’occhio a distanza infinita all’orizzonte il Sole o la Luna appaiono ovali, spiegazione che non richiede «maggior
significava, a suo parere, «collocarlo in nessun luogo», cosa che «ripugna alla stessa profondità di dottrina che l’intender per quale ragione un cerchio veduto in maestà
prospettiva»614. ci paia rotondo, ma guardato in iscorcio ci apparisca ovato»620.
Guidobaldo notava inoltre che Juan de Rojas considerava erroneamente i meridiani
come archi di cerchio, e che Gemma Frisius, pur riconoscendo che si trattava di un Il cannocchiale come strumento prospettico
altro genere di curve, non ne conosceva la natura geometrica, tanto che proponeva Nella controversia sulla macchie solari, i ragionamenti sulle apparenze si basavano su
di disegnarli per punti. Guidobaldo chiarì che si trattava di ellissi (fig. 221), e che si una documentazione grafica estremamente dettagliata della posizione delle macchie
potevano disegnare sia geometricamente, per mezzo dei fuochi, sia meccanicamente, giorno dopo giorno. Come è noto Galileo si avvalse della preziosa collaborazione di
per mezzo di un nuovo strumento da lui appositamente inventato615. La trasformazione alcuni pittori, come il Cigoli, Domenico Passignano e Sigismondo Coccapani621. In questo
in ellisse di un cerchio inclinato rispetto al piano di proiezione era già stata dimostrata caso non era solo l’abilità dei rilevatori a garantire la qualità della rappresentazione,
da Federico Commandino nel Liber de analemmate (1562) e se ne poteva avere una ma anche il metodo di rilevamento che consisteva nel proiettare col cannocchiale
dimostrazione meccanica attraverso l’uso di uno strumento prospettico pubblicato l’immagine del Sole in una camera oscura. La proiezione del Sole su un foglio bianco
da Hans Lencker nella Perspectiva del 1571 (fig. 222)616. non era soltanto un ottimo metodo per poter trascrivere con precisione la posizione,

220 221 222


220 J. de Rojas,
Commentariorum in
astrolabium, Paris 1550,
p. 278, planisfero universale.

221 G. del Monte,


Planisphaeriorum universalium
theoricae, Pesaro 1579, p. 8v,
rappresentazione della sfera
celeste.

222 H. Lencker, Perspectiva,


Nürnberg 1571, c. XXIIr,
strumento per proiezioni
ortografiche.

214 215
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223 224 225


223 C. Scheiner, Tres epistolae 225 C. Scheiner, Rosa Ursina,
de maculis solaribus scriptae Bracciano 1630, p. 150,
ad Marcum Velserum, «machina helioscopica».
Augustae Vindelicorum 1612,
p. 21, dimostrazione
prospettica dell’apparenza
delle macchie solari.

224 G. Galilei, Istoria


e dimostrazioni intorno
alle macchie solari e loro
accidenti, Roma 1613,
p. 127, dimostrazione
prospettica dell’apparenza
delle macchie solari.

la grandezza, il colore e lo spostamento delle macchie, ma forniva anche la prova che righello graduato a una determinata distanza, la porzione osservata con un occhio
quanto mostrato dal cannocchiale non fosse frutto di un inganno dell’occhio. L’immagine attraverso il telescopio veniva accostata visivamente all’intero righello visto
formata dalle lenti nell’occhio dell’osservatore corrispondeva infatti a quella dipinta contemporaneamente con l’altro occhio626. Con i due occhi aperti, uno dei quali
dal Sole stesso sul foglio contrapposto al cannocchiale. Sulla base della distinzione sull’oculare del telescopio, l’immagine ingrandita e quella “naturale” apparivano
fatta da Keplero nei Paralipomena a Vitellione (1604), l’osservatore esaminava in l’una accanto all’altra, consentendo di verificare che un’oncia del righello ingrandito
questo caso non più delle immagini sospese («imagines rerum»), incorporee e sottoposte corrispondeva, ad esempio, a venti once di quello “naturale”: il rapporto di
alle complicazioni psicologiche della percezione visiva, ma immagini tangibili («picturae») ingrandimento era perciò di 1:20. Galileo non ne parlò, ma il metodo poteva essere
proiettate su uno schermo e, dunque, oggettivamente misurabili622. efficacemente utilizzato anche per disegnare il ritratto della Luna. Posta una tavoletta
A differenza della rappresentazione delle macchie solari, nessun documento spiega con un foglio da disegno vicino al telescopio, l’astronomo avrebbe potuto osservare
il modo in cui venivano effettuati i ritratti della Luna. Il campo visivo del cannocchiale contemporaneamente il globo lunare e il foglio da disegno; con una leggera rotazione
galileiano abbracciava solo una porzione del globo lunare623. Il disegno quindi veniva dell’occhio “telescopico” l’immagine ingrandita poteva essere magicamente spostata
eseguito per singole porzioni poi ricomposte e, presumibilmente, le singole porzioni sul foglio da disegno e quindi semplicemente ricalcata. Analogamente al metodo
venivano eseguite trascrivendo a occhio l’immagine veduta. Potremmo dire che tra utilizzato per la trascrizione delle macchie solari, un cerchio preventivamente tracciato
il disegno della Luna e quello delle macchie solari passava la stessa differenza che sul foglio da disegno avrebbe permesso volta per volta di ricollocare l’immagine
esisteva in pittura tra l’uso di uno strumento prospettico come il velo di Leon Battista sempre nella stessa posizione; la tensione dei muscoli oculari consentiva infatti di
Alberti, dove il risultato era affidato soprattutto all’abilità del pittore nel trascrivere tenere l’immagine ferma solo per pochi secondi627.
i lineamenti della figura, e l’uso dello sportello di Dürer, dove il risultato era garantito Un primo tentativo di adattare il cannocchiale alle esigenze della rappresentazione
da una totale e oggettiva operazione meccanica624. Per questo, forse, i vari ritratti grafica si deve a Ludovico Cigoli che si era proposto di costruire un regolo per agevolare
della Luna erano tutti diversi l’uno dall’altro mentre i disegni delle macchie solari il tracciamento delle macchie solari mentre il Sole si spostava sul foglio da disegno628.
eseguiti dal Cigoli, dal Passignano o dall’Antonini erano tutti uguali, e si adattavano Christoph Scheiner aveva risolto il problema costruendo una speciale «machina
«a capello» con quelli di Galileo. helioscopica» (fig. 225)629, mentre Athanasisus Kircher dava notizia di un telescopio
Benché non esistano documenti sul metodo di rappresentazione della Luna, la modificato per il disegno dei paesaggi, secondo un metodo elaborato a Roma da un
possibilità di misurare e disegnare la corretta posizione dei crateri, pervenendo a una certo padre Fulgenzio dei Minimi di Trinità dei Monti 630. Tra il 1640 e il 1650, un
vera corografia lunare, esisteva ed era individuabile negli scritti stessi di Galileo. Il discepolo poco noto di Galileo, Cosimo Noferi, compose una serie di trattati rimasti
micrometro ideato per misurare i satelliti di Giove, ad esempio, forniva un’ideale manoscritti nel fondo galileiano della Biblioteca Nazionale di Firenze, uno dei quali
griglia proporzionale analoga al velo albertiano che avrebbe consentito di trascrivere prevedeva la discussione dei problemi prospettici in cinque libri631. Di quest’opera
la porzione del globo lunare inquadrata dal telescopio e giustapporla con precisione restano solo i primi due libri dedicati alle regole della prospettiva e all’anamorfosi.
alle altre porzioni625. L’uso di questo strumento richiedeva una certa destrezza e Gli altri tre, secondo quanto si legge nel proemio, avrebbero dovuto trattare degli
suggerisce un metodo di trascrizione diretta dell’immagine non dissimile dal strumenti prospettici, degli orologi solari e del telescopio. Quest’ultimo, che supponiamo
funzionamento della futura camera lucida. L’astronomo doveva infatti tenere entrambi dedicato alla rappresentazione dei corpi celesti oltre che all’ottica delle lenti, era
gli occhi aperti e sovrapporre l’immagine dei satelliti vista con un occhio attraverso ovviamente di grande attualità. Nel 1637, la notizia degli splendidi ritratti della Luna
le lenti a quella del micrometro vista con l’altro occhio. Il metodo è descritto nel eseguiti da Claude Mellan su richiesta di Pierre Gassendi e Nicholas Fabri de Peiresc
Sidereus Nuncius anche per calcolare il potere di ingrandimento delle lenti: posto un (fig. 226) sembra aver acceso un singolare interesse verso la rappresentazione del

216 217
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227
226 C. Mellan, Tre fasi
lunari dalle osservazioni
telescopiche di Pierre
226 Gassendi, 1634-35. Vienna,
Graphische Sammlung
Albertina, HB 152/2,
cc. 91-93, nn. 337-339.

227 C. d’Orleàns,
La Dioptrique oculaire, Paris
1671, p. 37, cannocchiale
con pantografo.

228 G. Troili, Paradossi…,


Bologna 1683, fig. II,
Pratica del parallelogrammo
da disegnare del
P. Christoforo Scheiner.

229 E. Maignan,
Perspectiva horaria,
Roma 1648, frontespizio.

globo lunare. Benedetto Castelli ne parlò in alcune lettere a Galileo, dove menzionava dei corpi celesti: non solo la Luna con i suoi crateri e la sua librazione, ma anche il
di aver preso a servizio un giovane pittore francese per questo specifico scopo 632. Sole con le sue macchie, Venere con le sue fasi, Giove con i suoi satelliti, e Saturno
Questo giovane artista, che aveva lavorato proprio per Peiresc, fu poi inviato a Firenze con i suoi anelli636.
dove il granduca Ferdinando II aveva incaricato alcuni pittori di eseguire dei ritratti Considerando il ruolo svolto dagli studi prospettici nel dibattito sull’astronomia
della Luna con un nuovo e più potente cannocchiale galileiano. Filippo Baldinucci telescopica, non sorprende notare un interesse più che marginale per la prospettiva
fornisce il nome di uno degli artisti, Baccio del Bianco, ma sfortunatamente nessuno da parte degli scienziati della cerchia galileiana. Evangelista Torricelli cominciò a
di questi “ritratti” sembra essere sopravvissuto633. scriverne un trattato in forma dialogica nel 1644, il Dialogo di Alessio e Conte, dove i
L’interesse era diffuso in tutta Europa: nel 1647 uscì la Selenographia di Johannes personaggi immaginari discutevano i problemi della prospettiva stimolati da un
Hevelius, un intero trattato dedicato alla rappresentazione della Luna; nel 1665 Sir libro posseduto da Alessio. Di questo libro ci è noto solo il titolo, Prospettiva pratica,
Christopher Wren applicò al telescopio un micrometro che avrebbe permesso di e il fatto che il suo autore lo dedicò «alli Giovani Studiosi del Disegno»637. Queste
misurare e disegnare la Luna «with more Accuratness, than we can our own Globe»634. indicazioni farebbero pensare al trattato di Pietro Accolti, Lo inganno degli occhi.
Pochi anni dopo, nel 1671, padre Cherubin d’Orleàns avrebbe pubblicato La Dioptrique Prospettiva pratica, ma lo stesso titolo contraddistingue anche il trattato di Ludovico
oculaire che finalmente proponeva un vero telescopio adattato alla rappresentazione Cigoli che, benché inedito, era ben noto agli studiosi della cerchia galileiana. Il manoscritto
di tutti i corpi celesti (fig. 227). Si trattava sostanzialmente di un telescopio combinato era stato donato dagli eredi del Cigoli al granduca Ferdinando II, il quale a sua volta
con un pantografo, dove ogni punto indicato da un indice sul piano focale veniva lo aveva affidato al cardinale Leopoldo de’ Medici, forse in occasione della fondazione
trascritto automaticamente sul foglio da disegno secondo una prestabilita scala di dell’Accademia del Cimento. In previsione della stampa Leopoldo chiese a Vincenzo
riduzione. Viviani, allora matematico del granduca, di eseguire una revisione del manoscritto e
Il pantografo era stato inventato da Christoph Scheiner nel 1603, e dal 1631, farne fare una copia conforme all’originale che oggi si trova conservata tra i manoscritti
con la pubblicazione del Pantografice sue ars delineandi, era diventato uno dei più Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze638. Questa circostanza non fu l’unico
diffusi strumenti prospettici, fondamentale soprattutto per la riproduzione dei disegni incontro di Viviani con la prospettiva. È possibile che Leopoldo gli abbia addirittura
(fig. 228). Cherubin d’Orleàns sottolineava che prima di allora il disegno della Luna commissionato un nuovo libro sull’argomento, come farebbero pensare alcuni fogli
era stato eseguito per lo più a occhio, anche se in qualche caso con ottimi risultati. autografi della Biblioteca Nazionale che documentano la stesura di un trattato mai
Un altro modo di operare sarebbe stato quello di usare la griglia dei pittori, ossia il completato639. Tra le sue carte troviamo anche l’inizio della traduzione italiana di
micrometro di Wren, che tuttavia la lente tendeva a deformare635. Il terzo modo, che due importanti opere del periodo: la Perspectiva horaria di Emmanuel Maignan (fig.
evidentemente riteneva il migliore, consisteva nell’uso del pantografo per mezzo del 229), e la Perspective curieuse di Jean François Niceron, pietre miliari degli studi sulla
quale, adattandolo al telescopio, si potevano eseguire rilevamenti topografici, mappe gnomonica, sull’anamorfosi e sull’ottica delle lenti che evidentemente gli Accademici
corografiche, disegni prospettici e, soprattutto, corrette e oggettive rappresentazioni del Cimento ritenevano di dover divulgare anche al di fuori dei circoli scientifici640.

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1
G. Vasari, Le Vite de’ più ma la sua industria e sottigliezza, tua pittura […] lo specchio si de’
eccellenti pittori scultori ed o ella la ritrovò, o ella ne fu pigliare per suo maestro […] la tua
architettori, Firenze 1550 e 1568, inventrice». pittura parrà ancora lei una cosa
in Vasari 1973, vol. II, p. 288. 9
Cfr. nota precedente. Antonio naturale vista in uno grande
2
Ibid., p. 291. Manetti (6 luglio 1423 - 26 maggio specchio». Cfr. Richter 1970, § 529.
3
Ibid., p. 333. 1497) era esperto geometra, Anche in Leonardo da Vinci 1995,
4
Cfr. Tanturli 1980, pp. 125-144; astronomo e cosmografo. Sue II, § 408; cfr. anche ibid., § 410.
cfr. la Pistola di ser Domenico da opere principali sono: Delle stelle 25
Cfr. Federici Vescovini 1965b, pp.
Prato notajo mandata a fisse e de’ pianeti, la Teoria de’ 17-49; Cfr anche Federici Vescovini
Alessandro di Michele di Ghino pianeti, e il Dialogo circa il sito, la 1980b, II, pp. 349-387 (il passo in
Rondinelli insino d’Agosto forma e la misura dell’Inferno di questione, a c. 30v del
MCCCCXIII, pubblicata a p. 125: Dante. Cfr. Milanesi 1887. manoscritto, è trascritto alle pp.
«…non è da meravigliarsi, né se 10
Vedi supra, pp. 86 e 90. 373-375); anche in Federici
tu, accompagnato da magnanima 11
Nella prefazione al settimo libro Vescovini 1983, pp. 103-140 (il
volontà nel vostro Fiore ti rallegri, del De architectura, Vitruvio cita passo è a pp. 126-127). Cfr.,
trovandoti alcuna volta col gli scritti scenografici del pittore inoltre, Saccaro Battisti 1980, p.
prespettivo, ingegnoso uomo Agatarco di Samo e dei «filosofi 398.
Filippo di ser Brunelesco, della scena», Democrito e 26
Cfr. il disegno della cupola
raguardevole di vertudi e di Anassagora; cfr. Vitruvio 1997, II, redatto da Giovanni di Gherardo
fama…». Il documento fu già VII, praef., 2, pp. 1016-1017. da Prato nel 1426, oggi conservato
pubblicato da A. Wasselofsky in Sull’argomento, vedi supra, pp. 44- all’Archivio di Stato di Firenze, inv.
Gherardi 1867, I, parte II, pp. 330- 45. Mostra 158. Una delle critiche
337, appendice n. 20. 12
Filarete 1972, lib. XXIII, pp. 653, mosse all’operato di Brunelleschi
5
Manetti 1976, p. 78. 656. riguardava la scelta di affidare
6
Cfr. Papanti 1874, n. 67; cit. in 13
Manetti 1976, pp. 57-58. l’illuminazione interna della
Tanturli 1980, p. 135, nota 3. 14
Ibid., pp. 58-59. grande cupola solo agli otto oculi
7
La Novella del Grasso, in Manetti 15
Ibid., p. 59. del tamburo e alla lanterna.
Niceron aveva avuto modo di incontrare Leopoldo de’ Medici a Firenze durante un
1976, pp. 3-44, fu diffusa in 16
Ibid., pp. 59-60. Cfr. anche G. Secondo Giovanni Gherardi,
viaggio di ritorno da Roma a Parigi, nel 1643641. I due avevano discusso di prospettiva svariate versioni, menzionate in Vasari, Le Vite…, cit. (nota 1), p. queste aperture non erano
e in quella occasione Niceron aveva donato al cardinale Leopoldo una copia della sua Tanturli 1980. 332. sufficienti a garantire
8
Manetti 1976, pp. 55-56: «Così 17
Manetti 1976, p. 60. un’illuminazione adeguata, «come
Perspective curieuse, insieme all’anamorfosi diottrica con il ritratto “segreto” di ancora in que’ tempi e’ misse 18
L.B. Alberti, De pictura, [si] potrà trovare nel trattato de
Ferdinando II oggi conservata al Museo di Storia della Scienza di Firenze642. Tornato innanzi ed in atto, lui propio, manoscritto datato 17 luglio 1436, speculis et in p[er]spectivis». Per
quello ch’e dipintori oggi dicono Firenze, Biblioteca Nazionale una lettura di questo documento,
a Parigi, Niceron inviò a Leopoldo un altro importante trattato di prospettiva, la
prospettiva, perché ella è una Centrale, II.IV.38, cc. 120-136; in cfr. Scolari 1994. Sulle vicende
Perspective pratique di Jean Dubreuil643, ed è probabile che nel contesto di questi parte di quella scienza, che è in Alberti 1973a, lib. III, pp. 7-107; cfr. costruttive della cupola, cfr.
scambi vada collocato anche lo strumento prospettico di Ludovico Cigoli spedito da effetto porre bene e con ragione anche Alberti 1980, lib. I, cap. 19, Ippolito-Peroni 1997; Di Pasquale
le diminuzioni ed acrescimenti che p. 38. 2002.
Firenze – non sappiamo da chi ma forse da Leopoldo – al consigliere del re di Francia, appaiono agli occhi degli uomini 19
Cfr. Fubini-Menci Gallorini 1972, 27
Cfr. Arrighi, 1967c. Vedi supra, p.
Luis Hesselin. L’interesse per gli strumenti e per l’anamorfosi in relazione all’ottica delle cose di lungi e da presso: p. 73. L’autobiografia, redatta in 54, nota 99.
delle lenti è testimoniato anche dal citato manoscritto di Cosimo Noferi che rappresenta casamenti, piani e montagne e latino, è pubblicata per la prima 28
Vedi supra, nota 25.
paesi d’ogni ragione, ed in ogni volta in Muratori 1738, XXV; la 29
Vitellione, in Alhazen 1572, lib.
forse la testimonianza più esplicita di come l’invenzione del cannocchiale abbia luogo le figure e l’altre cose di prima traduzione italiana è in IV, cap. 37.
contribuito a consolidare i legami tra ottica e prospettiva lineare. Tali legami costituivano quella misura che s’apartiene a Alberti 1843, I, pp. LXXXIX-CXVIII, 30
Manetti 1976, pp. 67-68.
quella distanza che le si mostrano in part. pp. CIII-CV. 31
Vasari 1973, vol. II, p. 332:
ormai oggetto di sottili disquisizioni anche al di fuori della cerchia galileiana, come di lungi; e da lui è nato la regola, 20
Cfr. Pastore-Rosen 1984, pp. 259- «Attese molto alla prospettiva,
nella disputa tra Schickhardt e Keplero sull’apparenza curvilinea del percorso rettilineo che è la importanza di tutto quello 269. allora molto in male uso per molte
delle meteore644. Ora che l’occhio aveva superato l’orizzonte terrestre e la conoscenza che di ciò s’è fatto da quel tempo 21
Plinio Secondo 1988, lib. XXXV, falsità che vi si facevano; nella
in qua. Ed è più forte, che non si 147-148 (pp. 467-469). quale perse molto tempo, per fino
del cosmo era affidata all’interpretazione delle apparenze visive, l’ottica era tornata sa se que’ dipintori antichi di 22
Villani 1979, p. 450; vedi supra, che egli trovò da sé un modo che
al centro degli studi matematici, la diottrica aveva occupato le menti di scienziati centinaia d’anni indietro, che si p. 42. ella potesse venir giusta e
crede che fussono buoni maestri, 23
Alberti 1973a e 1980, lib. II, cap. perfetta, che fu il levarla con la
come Keplero e Cartesio, e la prospettiva dei pittori era stata chiamata a educare lo al tempo de’ buoni scultori, se lo 26, p. 46. Cfr. anche Vasari 1973, pianta e profilo per via della
sguardo e ad affinare la mente di chi avesse voluto leggere quel «gran libro» sapevano e se lo feciono con vol. II, p. 547. intersegatione».
dell’universo che Galileo considerava continuamente «aperto davanti ai nostri occhi». ragione; ma se pure lo feciono con 24
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A, 32
Il termine è usato per la prima
regola, che sanza cagione non 104r: «Quando voi vedere, se la volta da Pietro Accolti (1625, XVI,
dico io scienza poco di sopra, tua pittura tutta insieme à p. 19): «Gio: Batista Benedetti nel
come fece poi lui, chi lo potesse conformità colla cosa ritratta di suo trattato delle ragioni delle
insegnare a lui era morto di naturale, abbi uno specchio e favi operazioni di prospettiva al
centinaia d’anni; e iscritto non si dentro specchiare la cosa viva, e Capitolo primo, et secondo,
truova, e se si truova, non è inteso; paragona la cosa spechiata colla intende dimostrare delle due

220 221
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suddette operazioni, questa sola bucato quel muro». umanista e architetto, cfr. Gadol estensori di alcuni codici (quello di la pianta zenitale dell’intera città di spazio molto ristretto, riducendo
poter esser legittima». Nella forma 37
Ibid., p. 300. 1969; Rykwert-Engel 1994; Borsi Lucca) abbiano provveduto a Roma. Cfr. Alberti 1973c, pp. 163- proporzionalmente solo le divisioni
adottata dalla critica d’arte, 38
Un accurato rilievo fu compiuto 1996; Grayson 1998; Furlan 2000; questa mancanza (anche per il De 169. Il procedimento per disegnare sulla linea di terra. Questo avrebbe
l’espressione è usata da H. Ludwig nel 1989 da un gruppo di lavoro Grafton 2002. pictura); una ricostruzione delle la pianta urbana dai dati del agevolato il disegno soprattutto
(1882). L’autorità di uno studioso formato da J.V. Field, T. Settle e R. 49
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 19, operazioni descritte da Alberti è rilevamento (distanze e coordinate durante la preparazione di un
come Erwin Panofsky contribuì Lunardi; cfr. Field-Settle-Lunardi p. 38. proposta in Gambuti 1972. polari) è descritto dall’Alberti nella affresco.
successivamente a consolidare 1989. Cfr. Field 1997, pp. 43-61. 50
Vedi supra, nota 19. 60
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 5, celebre Descriptio Urbis Romae; cfr. 73
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 20,
l’idea che «attorno al 1420» 39
Per i diversi risultati ottenuti 51
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 19, p. 14. Vagnetti 1968. Cfr. anche Carpo pp. 38-40: «E a questo modo mi
Brunelleschi abbia inventato la nella valutazione della distanza di p. 38. 61
Ibid., lib. I, cap. 6, p. 16: «E misura 1998; Alberti 2000. truovo descritto tutti e’ paraleli,
«costruzione legittima» e che osservazione, cfr. Kern 1913, pp. 52
Ibid., prologo. l’occhio queste quantità con i razzi 69
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 15, cioè le braccia quadrate del
Alberti ne sia stato il codificatore; 36-58 (524 cm); Sanpaolesi 1962, 53
Ibid. visivi quasi come con un paio di p. 32. pavimento nella dipintura, quali
cfr. Panofsky 1927, pp. 258-330 pp. 41-53 (572 cm); Janson 1967, 54
Ibid. seste». 70
Ibid., lib. I, cap. 16, p. 32. quanto sieno dirittamente descritti
(1977, p. 62). Alcuni studiosi pp. 83-88 (700 cm); Polzer 1971 55
Ibid., lib. I, cap. 1, p. 10. Cfr. Dal 62
Vasari 1973, vol. III, pp. 271-272. 71
Ibid., lib. I, cap. 19, p. 36. a me ne sarà indizio se una
hanno recentemente denunciato (210,5 cm); Battisti 1976, pp. 106- Pozzo Toscanelli 1991, c. 1r. Vedi 63
Lettera di G. Vasari a M. Bassi, 72
Ibid., lib. I, cap. 20, p. 38: «Trovai medesima ritta linea continoverà
l’anacronismo del termine, 107 (analisi di G. Degl’Innocenti, supra, p. 54, nota 104 e infra, nota Firenze 1570, in Bassi 1572, p. 47: adunque io questo modo optimo diamitro di più quadrangoli
ritenendolo una convenzione 894,2 cm); Myers 1978, pp. 26-38, 250. «Onde diceva il gran Michelangelo così in tutte le cose seguendo descritti alla pittura». Il fatto che
storiografica non sufficientemente 77-114 (729,5 cm); Hertlein 1979 56
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 2, che bisognava aver le seste negli quanto dissi, ponendo il punto Alberti menzioni questa prova di
supportata dalle prove (552 cm); Angeli-Zini 1980 (531 p. 10. occhi e non in mano, cioè il centrico, traendo indi linee alle correttezza indica che la
documentarie. A di là del fatto che cm); Pacciani 1980 (analisi di G. 57
Ibid., lib. I, cap. 3, p. 12. giudicio». Cfr. anche Barocchi 1979a, divisioni della giacente linea del costruzione fatta nel «picciolo
l’aggettivo legittima non può Degl’Innocenti, 614 cm); Field- 58
Ibid., lib. I, cap. 5, p. 14. VII, L’imitazione. Bellezza e grazia. quadrangolo. Ma nelle quantità spazio» era effettivamente una
essere limitato alla sola Settle-Lunardi 1989 (689,25 cm); 59
In chiusura del libro I (cap. 23), Proporzioni. Misure. Giudizio, p. transverse, come l’una seguiti l’altra costruzione separata dalla prima, o
costruzione “brunelleschiana” – Huber 1990, p. 64 (333 cm); Kemp Alberti dichiara il carattere più 1824. Sulla lettera e sull’opera del così conosco. Prendo uno picciolo almeno non sovrapposta nel modo
essendo legittima anche la 1990, pp. 17-21 (540 cm); Kuhn concettuale che strettamente Bassi, vedi infra, pp. 271-284. spazio nel quale scrivo una dritta tipico della costruzione con punto
costruzione con punti di distanza 1990 (642 cm); Aiken 1995 (219,9 geometrico del suo trattato: «Qui 64
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 6, linea, e questa divido in simile parte di distanza. Se le due costruzioni
o quella con «punti di concorso» cm); Hoffmann 1996 (452 cm). solo raccontai i primi dirozzamenti p. 18. in quale divisi la linea che giace nel fossero state sovrapposte, in modo
(vedi infra, pp. 179-183) – non vi Quest’ultimo lavoro è discusso in dell’arte, e per questo così li chiamo 65
Ibid., lib. I, cap. 8, pp. 20-22. quadrangolo. Poi pongo di sopra da far coincidere l’intersezione di
sono sufficienti elementi per Raynaud 2003, pp. 331-344. dirozzamenti, quali ad i pittori non 66
Ibid., lib. I, cap. 12, p. 28. uno punto alto da questa linea profilo con l’asse centrale, i raggi
stabilire quali fossero le 40
Alberti 1973a e 1980, lib. II, capp. eruditi dieno i primi fondamenti a 67
Ibid., lib. I, cap. 13: «E a quelle quanto dal quadrangolo posi el visivi avrebbero automaticamente
caratteristiche della «regola» di 31-32. ben dipignere». Per i pittori più cose quali dicemmo de’ razzi punto centrico alto dalla linea che tracciato le diagonali della
Brunelleschi. Cfr. Roccasecca 1993, 41
Su queste tarsie, cfr. Haines eruditi, Alberti compose nel 1436 intrinseci, estrinseci e centrici, e a giace nel quadrangolo, e da questo scacchiera, rendendo superfluo il
pp. 245-262; Field 1997, p. 30; e 1983; Ferretti 1982, pp. 459-585. anche gli Elementa picturae che nei quelle dicemmo della piramide, punto tiro linee a ciascuna divisione controllo di si cui parla. Il problema
Raynaud 1998, pp. 12-16. 42
Sulle tarsie di Urbino, cfr. Chastel codici latini spesso precede il De aggiugni la sentenza de’ segnata in quella prima linea. Poi del rapporto tra costruzione
33
La proposta di una 1964, pp. 367-380; Chastel 1979, pictura. Parronchi (1967) ritiene che matematici, onde si pruova che, se costituisco quanto io voglio albertiana e costruzione con punto
collaborazione di Brunelleschi al pp. 245-264; Rotondi 1974, pp. i due trattati debbano essere una dritta linea taglia due lati d’un distanza dall’occhio alla pittura, e di distanza è discusso in Staigmüller
disegno dell’architettura e 255-265; Cheles 1982; Ferretti considerati un’unica opera. Il codice triangolo, e sia questa linea, ivi segno, qualunque truovi linea». 1891; Kern 1914-15; Panofsky 1927,
dell’impianto prospettico della 1982; De Maddalena-Cheles 1983, della Biblioteca Governativa di qualora fa triangolo, equidistante La posizione degli studiosi sulla pp. 101-107; Gioseffi 1957, pp. 84-
Trinità è avanzata in Kern 1937, pp. 97-120; sulle tarsie di Gubbio, Lucca, 1448, contiene anche un alla linea del primo e maggiore cosiddetta costruzione legittima 95; Parronchi 1962, pp. 296-312.
pp. 181-184; e sostenuta ancora in cfr. Raggio 1999. frammento che sviluppa i concetti triangolo, certo sarà questo minore albertiana è tutt’altro che univoca: Una limpida costruzione con punto
Sampaolesi 1951, pp. 50-51. 43
«Maestri di prospettiva» sono di punto e linea: De punctis et lineis triangolo a quello maggiore cfr. Panofsky 1927, pp. 62-63; di distanza, che tuttavia non
L’ipotesi ha trovato un ampio chiamati i legnaioli intarsiatori apud pictores. Il contorno proporzionale. Tanto dicono i Krautheimer 1956, pp. 245-248; corrisponde al testo albertiano, è
consenso da parte della critica ed ricordati da Benedetto Dei nelle dell’oggetto che nel De pictura matematici»; cfr. anche lib. I, cap. Spencer 1956, p. 111; White 1957, disegnata per illustrare il De pictura
è stata ulteriormente consolidata sue Memorie (ca. 1470), Firenze, prende il nome di «orlo», negli 14. La spiegazione dell’Alberti pp. 121-126; Klein 1961, p. 219; e nel codice latino della Biblioteca
dalla recente identificazione del Biblioteca Medicea Laurenziana, Elementa è chiamato «lembo […] corrisponde al VI, 2 degli Elementi Parronchi 1962, pp. 58-72 (anche in Governativa di Lucca (n. 1448)
committente di Masaccio proposta Ashb. 644, c. 41v. Il documento, cuius terminatio sit discrimen» che di Euclide: «Se in un triangolo si Parronchi 1964, pp. 296-312). datato 1518.
in Cecchi 2002. tratto da un altro esemplare è lo spigolo di un poliedro, mentre conduce una retta parallela a uno L’interpretazione filologicamente 74
Alberti 1973a e 1980, lib. II, cap.
34
Cfr. Cecchi 2002. La conservato presso la Biblioteca il «punto» è l’apice «qualis in dei lati, essa divide più accurata è fornita in Grayson 31, pp. 52-54: «Qui adunque si dia
documentazione fornita da A. Riccardiana di Firenze, Ricc. 1853, adamante est cuspis». Il «dorso», proporzionalmente i [due altri] lati 1964, dove l’autore individua in due principale opera, a quale, se bene
Cecchi rende quasi certa è pubblicato in Romby 1976, p. 73. ossia la superficie dell’oggetto, del triangolo; e se due lati di un codici latini (Reg. Lat. 1549 della vorremo tenerla, nulla si può
l’identificazione del committente 44
Vasari 1973, vol. II, pp. 205-206. negli Elementa è chiamato «area», triangolo sono divisi Biblioteca Apostoloca Vaticana, e trovare, quanto io estimo, più
ritratto con la moglie ai piedi della 45
Sulle celebri battaglie, cfr. e questa è distinta in «concentrica», proporzionalmente, la retta che Cod. 146 della Biblioteca Classense accomodata cosa altra che quel
Trinità. Dal Catasto del 1427, Berto Roccasecca 1997; Caglioti 2001. vista in prospetto o in pianta (cioè congiunge i punti di divisione sarà di Ravenna; ma, aggiungiamo, velo, quale io tra i miei amici soglio
di Bartolomeo risulta residente nel L’inventario dei beni di palazzo nella sua propria forma parallela al rimanente lato del anche nel Cod. 1448 della Biblioteca appellare intersegazione».
«popolo Sancta Maria Novella» (p. Medici documenta la presenza geometrica), e «comminuta», vista triangolo». Cfr. Euclide 1970. Governativa di Lucca) cinque parole 75
Ibid., lib. I, cap. 18, p. 34.
70). I documenti che ne registrano della Battaglia di San Romano di scorcio. L’unico manoscritto in 68
D. da Chivasso, Practica fondamentali mancanti in tutti gli 76
Ibid., lib. I, cap. 20, p. 40.
la presenza sul cantiere della nella «Chamera terrena» fin dal volgare è a Verona, Biblioteca geometriae, ms., Firenze, Biblioteca altri codici, compresi quelli in 77
Ibid, lib. II, cap. 33, p. 58.
cupola sono citati a p. 47. 1492; cfr. Spallanzani-Gaeta Capitolare, 245-CCLXXIII; cfr. Medicea Laurenziana, San Marco volgare; una volta tracciata la linea 78
Cfr. il primo problema dei Ludi
35
Cfr. Di Teodoro 2001a, pp. 47-51. Bertelà 1992, p. 11. Mancini 1890, Alberti 1973b. In 215, cc. 124v-144r, in Busard 1965, di terra della costruzione ausiliaria rerum mathematicarum, cit. (nota
36
I rosoni nei lacunari sono 46
L’affresco e la sinopia sono ora sostanza, Alberti accosta alle lib. I, cap. 10; vedi supra, p. 52, nota (separata da quella principale), il 68).
menzionati dal Vasari (1973, vol. II, custoditi nei depositi della Galleria definizioni della geometria euclidea 60. G. de’ Castellani, De visu, ms., punto di vista è collocato «ad 79
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. 18,
p. 291): «Ma quello che vi è di degli Uffizi. Cfr. Gioseffi 1958. Cfr. quelle più concrete del pittore, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. alterum linee caput p. 34.
bellissimo, oltre alle figure, è una anche la scheda di P. Roccasecca, in definite in base all’apparenza ottica Ottoboniano Latino 3307, in Arrighi perpendicolarem», cioè sopra una 80
Ibid, lib. II, cap. 34, p. 60.
volta a mezza botte, tirata in Camerota 2001a, p. 93. degli elementi geometrici (punto, 1967c, 9°. Il metodo è applicato delle estremità della linea. Più 81
Ibid., lib. II, cap. 46, p. 82.
prospettiva, e spartita in quadri 47
Alberti 1973a e 1980, lib. I, linea, superficie e corpo). Il testo dallo stesso Alberti nei Ludi rerum recentemente Roccasecca (1993) ha 82
Ibid., lib. II, cap. 46, p. 82.
pieni di rosoni, che diminuiscono e prologo, pp. 13-14. dell’Alberti è anche in questo caso mathematicarum per misurare la proposto che la costruzione 83
Ibid., lib. III, cap. 53, p. 92.
scortano così bene, che pare sia 48
Sulla vita e l’opera del grande privo di illustrazioni, sebbene gli distanza tra due città e per rilevare ausiliaria si poteva svolgere in uno 84
Ibid., lib. III, cap. 55, p. 94.

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85
Ibid, lib. III, cap. 63, p. 106. Palla Strozzi. Il codice greco della Urbino ne dà testimonianza lo 128
Piero della Francesca 1942, lib. III, richiesta di conservarla nella libreria versione volgare (per alcuni
86
Filarete 1972, libri XXII-XXIII, pp. Geographiké Uphégesis (Guida alla stesso Piero nella dedica del proemio, pp. 128-129. del duca insieme al trattato De originale) del Libellus di Piero della
639-665. Per un confronto tra i passi cartografia) di Tolomeo, il più successivo Libellus de quinque 129
Ibid., lib. III, prop. I, pp. 130-131. prospectiva pingendi (vedi supra, Francesca (cfr. Ulivi 1994, pp. 58-69).
del Filarete e gli Elementa picturae, antico conosciuto, è oggi corporibus regularibus (vedi infra, 130
Ibid., lib. III, prop. VIII, p. 173. nota 116). Cfr. anche Sorci 2001. 150
Sulla tradizione della geometria
cfr. Gambuti 1972, pp. 131-172; conservato presso la Biblioteca nota 136) a Guidobaldo da 131
Cfr. Vasari 1973, vol. II, p. 491. 137
Piero della Francesca 1995, pratica, vedi supra, pp. 22-24.
Gambuti 1973a, pp. 133-143. Apostolica Vaticana, Urb. Gr. 82; cfr. Montefeltro: «et libellum ipsum L’attribuzione del disegno del dedicatoria a Guidobaldo da 151
La costruzione di un quadrato
87
Filarete 1972, lib. XXIII, p. 652. Tolomeo 1932. All’inizio del inter innumera amplissimæ tuæ Gabinetto Disegni e Stampe degli Montefeltro. che abbia l’area doppia di un altro
88
Ibid., lib. XXIII, p. 652. Sulla Quattrocento, a Firenze ne fu paternæque bibliothecæ volumina, Uffizi, 1758A, è stata più volte 138
Alcuni esempi si possono vedere quadrato dato è ottenuta per via
costruzione del Filarete, cfr. redatta una copia che oggi si trova pænes [sic] aliud nostrum de riconsiderata. Secondo una recente nell’opera abbachistica dei fratelli geometrica adottando la diagonale
Parronchi 1965, pp. 155-167; alla Biblioteca Medicea Prospectiva opusculum, qud [sic] analisi, il disegno sarebbe solo in Pier Maria e Filippo Calandri del quadrato piccolo come lato del
Wakayama 1973, pp. 161-171. Laurenziana, Conv. Sopp. 626. superioribus annis edidimus, pro parte originale: le due parti (Calandri 1974; Calandri 1969). quadrato più grande. Il metodo era
89
Filarete 1972, lib. XXIII, p. 656. L’opera fu tradotta in latino tra il pedissequo et aliorum servilo, vel in estreme (il piede e i due mazzocchi 139
Piero della Francesca 1942, lib. I, molto diffuso nella pratica
90
Ibid., lib. XXIII, p. 657. 1406 e il 1409 da Jacopo Angeli da angulo collocare». L’informazione è superiori) sarebbero stati aggiunti prop. XII. agrimensoria e architettonica: cfr.
91
Cfr. Kemp 1994, p. 35. Scarperia, uno degli allievi del data anche in Pacioli 1509, Pars successivamente (Roccasecca 2000, 140
Cfr. Arrighi 1967c, 1°. Gherardi 1987, p. 73; Honnecourt
92
La divisione in “commentari” si Crisolora, durante il suo soggiorno prima, XIX, c. 33r: «E per lo libro de 2001). 141
Piero della Francesca 1942, lib. I, 1972, fol. 20, (e 1988, tav. 39);
deve a J. Schlosser, nella prima romano come segretario apostolico prospectiva compose quale se trova 132
Vedi supra, nota 80. prop. XXX, pp. 96-97. Roriczer 1486; e Bechmann 1993.
edizione completa del manoscritto presso la Santa Sede. Cfr. Gentile in la dignissima bibliotheca delo 133
Cfr. Vasari 1973, vol. II, p. 490: 142
Oltre all’esemplare autografo in 152
La soluzione di questo problema,
oggi conservato presso la Biblioteca 1991; Gentile 1992a, pp. 291-308. Illustrissimo Duca de urbino «Attese Pietro nella sua giovinezza volgare della Biblioteca Palatina di noto anche come problema di Delo,
Nazionale Centrale di Firenze, 106
Ghiberti 1998, comm. II, cap. III.1, nostro». Secondo Pacioli (1494, fol. alle matematiche, ed ancora che di Parma, Cod. Parmense 1576 (Piero sarà brillantemente semplificata da
Fondo Principale II.I.333; cfr. p. 89. Sull’importanza della 68v), Matteo da Borgo ne redasse anni quindici fusse indiritto a essere della Francesca 1899, 1942) si Leonardo da Vinci (Cod. Atlantico
Ghiberti 1912. Una nuova edizione Geografia di Tolomeo per la nascita una versione latina corredata con pittore, non si ritrasse però mai da conoscono altri due codici in 218vb; cfr. Marinoni 1970-72, p.
fu proposta da O. Morisani nel 1947 della prospettiva lineare cfr. disegni dallo stesso Piero. La quelle». volgare (Milano, Biblioteca 193).
(Ghiberti 1947). Per una nuova Edgerton 1974, 1975 (pp. 91-183), e versione latina si conserva oggi 134
Piero della Francesca rappresenta Ambrosiana, Cod. D 200 inf., sec. 153
Alberti 1966, lib. IX, cap. V. Sulla
edizione critica, cfr. Ghiberti 1998. 1987. presso la Biblioteca Ambrosiana di certamente il caso più significativo XVI, senza disegni; Reggio Emilia, teoria delle proporzioni in
93
Ghiberti 1998, comm. II, cap. VI.1, 107
Ghiberti 1998, comm. II, cap. IV.1, Milano, Cod. C. 307 inf. Sul dell’incontro tra cultura Biblioteca Municipale A. Panizzi, architettura con particolare
p. 97. p. 92: «E così maxime et infinite problema delle diverse versioni, cfr. matematica e pratica dell’arte nel Cod. Reggiano A 41/2 (già A 44), riferimento a Leon Battista Alberti,
94
Ibid., comm. I, cap. II.4, p. 47. gratie fo eo alli parenti, che Grayson 1996, e Piero della Quattrocento. Il Trattato d’abaco sec. XV, con disegni e note cfr. Wittkower 1964.
95
Ibid., comm. II, cap. III.1, p. 88. provanti la legge delli Atheniensi Francesca 1942, lib. I, p. 47. (Firenze, Biblioteca Medicea autografe) e quattro in latino 154
Alberti 1966, lib. IX, cap. V, p.
96
Ibid., comm. II, cap. V.3, p. 92. me curarono amaestrare me 117
Vedi supra, nota 116. Laurenziana, Ashb. 280; cfr. Piero (Milano, Biblioteca Ambrosiana, 816.
97
Ibid., comm. II, cap. VI.1, p. 95. nell’arte, et essa la quale non può 118
Piero della Francesca 1942, lib. I, della Francesca 1970) fu compilato Cod. C 307 inf., sec. XV, con disegni 155
Alhazen, De li aspecti, Biblioteca
98
Vasari 1973, vol. II, p. 247. esser provata sanza disciplina di proemio, p. 63. Sul contenuto in volgare intorno al 1480 per un e note autografe; Bordeaux, Cod. Apostolica Vaticana, Cod. Vat. 4595,
99
Cfr. Federici Vescovini 1980b. lettera e fiducia di tutte le dell’opera, cfr. anche Field 2003. amico mercante e ne fu redatta una 616, sec. XV, con disegni e note 50va; cfr. Federici Vescovini 1965b.
100
Per un confronto con le fonti doctrine». Cfr. Plinio Secondo 1988, 119
Piero della Francesca 1942, lib. III, copia circa dieci anni più tardi autografe; Londra, British Library, 156
Piero della Francesca 1970, c. 90v.
citate, cfr. Raynaud 1998, pp. 178- lib. XXXV, 77 (p. 377): «Per la sua proemio, p. 129. Per Ghiberti vedi (Firenze, Biblioteca Nazionale Cod. Add. 10366, sec. XV; Parigi, La definizione è data nel contesto
184. autorità [del pittore Panfilo] ne supra, p. 86. Centrale, Conv. Sopp. A.6.2606; cfr. Bibliothèque Nationale, Cod. Lat. della discussione dei teoremi VIII,
101
Filarete 1972, lib. XXII, p. 649. conseguì che prima a Sicione, poi in 120
Ibid., lib. I, proemio, p. 65. Van Egmond 1980a). Su questo 9337, sec. XVI). Cfr. Di Teodoro IX, X del libro XIII degli Elementi di
102
Ibid., lib. XXIII, p. 652. tutta la Grecia, i ragazzi nati liberi 121
Ibid., lib. I, prop. V, p. 68. trattato, cfr. Jayawardene 1976 e 2001c. Euclide; teoremi che stabiliscono il
103
Ghiberti 1998, comm. III, cap. prima di tutto imparassero la 122
Ibid., lib. I, prop. VIII, p. 70. Cfr Giusti 1991. 143
Vasari 1973, vol. II, p. 488. rapporto tra i lati del pentagono,
XXXVIII.1, p. 305. Ai tre antichi graphiké, cioè la pittura su legno, e Euclide 1970, lib. VI, prop. XXI: 135
Per un approfondimento 144
Pacioli 1509, Pars prima, c. 23r, dell’esagono e del decagono
scrittori fa riferimento anche in tale arte fosse accolta al primo «Poligoni simili ad uno stesso dell’opera matematica di Piero, si dedicatoria del trattato di inscritti nello stesso cerchio, in base
comm. I, cap. VII.1, pp. 64-65: stadio delle arti liberali». poligono sono simili anche tra vedano i saggi di Maccagni, Giusti, architettura. alla linea divisa in «media ed
«Agatharco in Atene da Aschylo 108
Ghiberti 1998, comm. I, cap. IX.2, loro». Field, Daly Davis, Andersen, 145
Benedetto da Firenze (attr.), estrema ragione». In un segmento
amaestratamente fece tragedia e pp. 81-82. 123
Euclide 1895 e 1996, teor. X: «Tra Damisch, Smedley, e Veltman, in Tractato di praticha di geometria ABC, dove AB è minore di BC, il
lasciò d’essa comentarii. Perciò, 109
Ibid., comm. III, cap. I.1, p. 99. i piani che giacciono sotto l’occhio Dalai Emiliani-Curzi 1996. Cfr. anche (1460), Firenze, Biblioteca rapporto è AB:BC = BC:AC, da cui
monisti, Democrito e Anasagora di 110
Cfr. Muratori 1738, XIX, col. 982 quelli [più] lontani appaiono più in Daly Davis 1977. Nazionale Centrale, Cod. Palat. 577. BC2 = AbxAC.
quella medesima scrissono, in che (Istorie di Firenze dall’anno 1406 alto». 136
La terza parte del Trattato Cfr. Picutti 1989; Ulivi 1994. 157
Firenze, Biblioteca Nazionale
modo bisogna, a gli occhi per fino al 1438). Cfr. Gill 1967, p. 217. 124
Su questo disegno, cfr. anche d’abaco anticipa il Libellus de 146
Cfr. Giusti-Maccagni 1994. Centrale, Cod. Palat. 573; cfr.
distendimento de’ razi insino in 111
Cfr. Plinio Secondo 1988, lib. Elkins 1987. quinque corporibus regolaribus 147
Pacioli 1494, dedicatoria Allo Arrighi 1967a. A c. 24 è spiegata la
certo luogo dal centro ordinato, le XXXV, 81-83 (p. 381). Il paragone 125
Cfr., rispettivamente, supra, pp. (Biblioteca Apostolica Vaticana, Illustrissimo Principe Guido Baldo Reghola delle 4 quantità, overo
linie rispondere per ragione con Apelle è sottolineato in Di 134 e 142-143. Urb. Lat. 632; cfr. Piero della Duca de Urbino. numeri proportionali, vulghalmente
naturale delle cose pitte nella Teodoro 2001b, pp. 113-116. 126
Piero della Francesca 1942, lib. I, Francesca 1916) composto in 148
Ibid. detta reghola delle 3 chose. Sulla
scena, certe ymagini et edificii le 112
Cfr. la ricostruzione proposta in prop. XXX, p. 99. volgare tra il 1482 e il 1492, e 149
Pacioli 1509, Pars prima, c. 23r. Il teoria delle proporzioni nella
spetie renederebono nelle piane Kemp 1994, pp. 46-47. Cfr. anche 127
Gli esempi si possono vedere in tradotto in latino da Matteo da trattato comprende il Compendio matematica dell’abbaco, cfr.
fronti altre cose, et altri Wohl 1980, fig. 15; Battisti 1971, pp. tutto il secondo libro che è dedicato Borgo, conterraneo di Piero. In della divina proportione (composto Bartolozzi-Franci 1990.
proponimenti essere si veggono». 106-107. al disegno dei corpi. Le tavole quest’opera Piero sviluppa il nel 1498, è dedicato alla divisione di 158
Le illustrazioni dei problemi
Cfr. anche Vitruvio 1997, VII, praef., 113
Piero della Francesca 1942, lib. I, illustrano il disegno prospettico di contenuto dei libri XIII, XIV e XV un segmento «in media ed estrema riferiti a palazzo Vecchio e a piazza
2. Sull’argomento, vedi supra, pp. p. 63: «La pictura contiene in sé tre un cubo (I), di alcuni poliedri di degli Elementi di Euclide (gli ultimi ragione», cioè alla sezione aurea, dell’Annunziata sono mancanti nel
44-45. parti principali, quali diciamo essere forma ottagonale (II), pentagonale due sono solo attribuiti) da lui secondo le proposizioni del libro codice miniato (Calandri 1974),
104
Ghiberti 1998, comm. I, cap. disegno, commensuratio et (III) ed esagonale (IV), di una conosciuti attraverso la versione di XIII di Euclide); il Tractato de mentre si trovano nel Codice Ashb.
VIII.11, p. 74. La notizia è tratta da colorare». Per Alberti, vedi supra, colonna (V), di un pozzo esagonale Giovanni Campano che veniva l’architectura e l’Alphabeto 359 della Biblioteca Medicea
Plinio Secondo 1988, lib. XXXV, 82- nota 74. (VI), di un piedistallo (VII), di una pubblicata a Venezia proprio nel dignissimo antico (in cui tratta degli Laurenziana di Firenze (cc. 205v-
83 (p. 381). 114
Cfr. Haines 1983. colonna inclinata (VIII), di un 1482. Per l’edizione critica, cfr. Piero ordini architettonici e della 206r) che rappresenta una prima
105
Emanuele Crisolora, umanista e 115
Vedi supra, nota 43. edificio (IX), di un tempio della Francesca 1995. L’opera fu costruzione delle lettere stesura di quello miniato.
diplomatico di Giovanni II 116
Della presenza del De prospectiva ottagonale (X) e di una volta a dedicata a Guidobaldo da dell’alfabeto); e il Libellus in tres 159
Cfr. Ulivi 1994, pp. 55-57.
Paleologo, fu chiamato a Firenze da pingendi nella libreria ducale di crociera (XI). Montefeltro con la specifica partiales tractatus divisus che è la 160
Pacioli 1494, Trattato geometrico,

224 225
prospettive 160-240 9-10-2012 10:01 Pagina 226

Distinctio octava, Capitulum mathematicis, pp. 516-551, 6, 37: 168


Simi 1993, pp. 261-265, cc. 78r- incontrò a Pavia l’editore del 23. Vedi supra, p. 54, nota 104. Maltese 1980.
secundum. Pacioli espone i «Mensuram genera sunt tria: 79r; Martini 1967, cc. 29r-29v; celebre trattato, Fazio Cardan; cfr. 207
G. Fontana, Bellicorum 224
Firenze, Gabinetto Disegni e
problemi di prospettiva con il rectum, planum, solidum»). Si può Fibonacci 1966, pp. 93-94; Alberti Veltman 1986, p. 56. instrumentorum liber, Monaco di Stampe degli Uffizi, 830Av. Cfr.
linguaggio e la formulazione tipica dedurre che questa classificazione 1973c, pp. 33-41. 183
Cellini 1776, p. 158; anche in Baviera, Bayerische Camerota 2001a, p. 176.
dei maestri abbachisti: «Egli è […] elaborata in geometria per la 169
Euclide 1895 e 1996, teor. IXX, p. Cellini 1857, pp. 225-226; e in Cellini Staatsbibliothek, Cod. Icon. 2112, 225
Richter 1970, § 107, pp. 62-63.
Dimando…»: cc. 296r sgg. Il testo misura dei corpi sia anche alla base 116: «Sapere quanto è grande 1971, pp. 813-821, in part. pp. 819- foll. 1r-70r; cfr. Battisti-Saccaro 226
Richter 1970, § 109, pp. 64-65.
integrale dei cinque esercizi della triplice definizione del un’altezza data quando non c’è il 820. Il passo è ripubblicato in Battisti 1984, fol. 70r, p. 140. 227
Ibid., p. 65.
prospettici è pubblicato in Veltman disegno architettonico data da sole». Leonardo da Vinci 1995, pp. 27-28. 208
Ibid., fol. 67v, p. 138. 228
Lomazzo 1584, cap. XX, Modo di
1986, pp. 426-432. I primi due Vitruvio (I, II) sotto la categoria 170
Martini 1967, cc. 29v-30r. La 184
Panofsky 1940. 209
Ibid., fol. 49v, p. 129. fare la prospettiva inversa che paia
problemi del Pacioli li ritroviamo della «dispositio»: ichnographia descrizione termina con la proposta 185
Leonardo da Vinci 1651. 210
Leonardo da Vinci 1973-80, fol. vera, essendo veduta per un solo
nel secolo successivo tra gli appunti (planimetria), orthographia di usare questo metodo per 186
Questa operazione è stata 34 (già 9vb). forame, pp. 335-336: «Con la
di geometria pratica di Bartolomeo (altimetria) e scaenographia misurare la distanza tra due città. Il compiuta in Veltman 1986. 211
Ibid., fol. 599r (già 222ra). medesima via riferì Francesco Melzo
Ammannati (Fossi 1970, pp. 279- (stereometria). Va però precisato metodo è anche descritto nel codice 187
Leonardo da Vinci 1995, I, parte 212
Leonardo da Vinci 1990, Ms. D, che Leonardo fece un drago che
281). che mentre le prime due specie L.IV.18; cfr. Simi 1993, pp. 266-267, prima, § 6, pp. 133-134. Cfr. anche fol. 8r. Richter 1970, I, § 71, pp. 44- combatteva con un leone, cosa
161
La Praticha di gieometria di rappresentano l’oggetto e le sue cc. 79r-v. Farago 2003. 45. molto mirabile a vedere, e
Francesco di Giorgio Martini fa misure, la scaenographia – intesa 171
Martini 1967, c. 32v. Cfr. Kemp 188
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A, c. 213
Leonardo da Vinci 1973-80, fol. parimenti i cavalli che fece per
parte dei Trattati di architettura, come disegno prospettico – 1991b. 36b. 949v (già 545vb); in Richter 1970, I, donare a Francesco Valesio re di
ingegneria e arte militare che rappresenta solo l’oggetto, non 172
Ibid., c. 32v. La costruzione con 189
Leonardo da Vinci 1995, I, parte § 22, p. 19. Francia, la qual arte fu molto intesa
l’architetto senese compose tra il consentendo di misurare punto di distanza, in cui si seconda, § 199, p. 226. 214
See Lindberg 1968; Goldstein da Girolamo Ficino nell’esprimere i
1482 e il 1486. La prima versione direttamente le sue dimensioni. Più manifesta più chiaramente il 190
Ibid., I, parte seconda, § 262, pp. 1997. cavalli» (cfr. Lomazzo 1973-74, II, p.
sembrerebbe essere quella del appropriata sarebbe rapporto di specularità tra il punto 249-250; Richter 1970, § 295, p. 159. 215
Vedi supra, nota 20. 291). Cfr anche Baltruŝaitis 1978, pp.
Codice Saluzziano 148 della l’interpretazione di scaenographia di fuga («cientro») e il punto di 191
Leonardo da Vinci 1995, I, parte 216
Barbaro 1569, parte IX, cap. V; 42-43).
Biblioteca Reale di Torino di cui come disegno assonometrico (ma distanza («contracientro»), è seconda, § 262, pp. 249-250. Della Porta 1589, lib. XVII. 229
Leonardo da Vinci 1973-80, fol.
esiste una variante con postille di non sembra essere questa la spiegata con molta chiarezza in un 192
Ibid., I, parte seconda, § 243, p. Recentemente David Hockney ha 98r (già 35v-a). Cfr. Bossoli 1938, pp.
Leonardo da Vinci presso la spiegazione di Vitruvio), anche passo di Leonardo (Leonardo da 241. sostenuto la tesi, assai controversa, 61-66; cfr. Pedretti 2001b.
Biblioteca Medicea Laurenziana di perché frequenti sono le Vinci 1990, Ms. A, c. 36b; cfr. Richter 193
Ibid., II, § 413, p. 304. che lo strumento sia stato 230
Per le raffinate incisioni
Firenze, Ashb. 361 (Martini 1967). rappresentazioni assonometriche di 1970, p. 55) giustamente segnalato Sull’argomento, cfr. De Rosa 1997. sistematicamente utilizzato dai dell’allievo di Dürer, Erhard Schön,
Una seconda versione del trattato città, di edifici o di semplici corpi in Parronchi 1965, p. 164, in 194
Cfr. Richter 1970, § 523. pittori fin dal XV secolo; cfr. Hockey cfr. Baltruŝaitis 1978, pp. 23-27. Per
(Architettura civile e militare) è geometrici tanto nei codici relazione al testo di Francesco di 195
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A, 2001. gli Ambasciatori di Holbein, cfr.
conservata presso la Biblioteca gromatici, quanto nei trattati di Giorgio: «L’ochio f e l’ochio t sono 104r, in Richter 1970, § 523; anche 217
Cfr Ilardi 1976. Nella Madonna ibid., pp. 101-122; e, soprattutto,
Nazionale Centrale di Firenze, Cod. geometria pratica del Medioevo e una medesima cosa, ma l’ochio f in Leonardo da Vinci 1995, I, § 90. Van der Paele di Van Eyck (1436), il l’approfondita analisi in Foister-
Magl. II.I.141, e si ritiene ultimata del Rinascimento. denota la distanza, cioè quanto tu 196
Leonardo da Vinci 1973-80, fol. canonico inginocchiato al cospetto Roy-Wyld 1997. Cfr. anche D’Acunto
nel 1492 (Kruft 1988). Il trattato di 164
Cfr. Simi 1993, pp. 258-259, c. stai lontano [dal quadro] a vedere 1r. della Vergine tiene in mano una 2002, pp. 3-87.
geometria (Martini 1970) è 77v.; Martini 1967, c. 28v. la cosa, e l’ochio t dimostra la 197
Di questa opinione è, ad lente da lettura che rimpicciolisce 231
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A,
interamente dedicato ai metodi di 165
Martini 1967, c. 31r; Fibonacci dirittura, cioè se tu se’ nel mezo o esempio, Kemp 1994, pp. 191-192. leggermente le lettere del libro su 8b, in Richter 1970, § 100, p. 60.
misurazione con la vista e risulta 1966, p. 94. La derivazione da da lato o da canto della cosa che 198
Tali imperfezioni si notano ad cui è appoggiata; da qui la 232
Leonardo da Vinci 1973-80, foll.
essere una copia del codice questa fonte è evidente dal ttu riguardi; e ricordoti che sempre esempio nella rappresentazione deduzione che il pittore abbia 359 (già 130rb), 1108 (già 398rb), in
anonimo L.IV.18 della Biblioteca semplice confronto dei testi; la l’ochio f e ll’ochio t sieno situati a dell’esaedro tronco vacuo, tav. ritratto dal vero una lente concava. Richter 1970, § 104, p. 61.
degli Intronati di Siena (Simi 1993). particolarità di questo quadrato una medesima alteza l’uno che LXXXXVI del manoscritto 218
Leonardo da Vinci 1990, Ms. F, 233
Leonardo da Vinci 1990, Ms. C,
162
Cfr. Fibonacci 1966. geometrico è di essere privo di l’altro…». dell’Ambrosiana (vedi supra, nota fol. 25r. Sull’ipotesi, controversa, 27b (3A); cfr. Richter 1970, § 53, p.
163
Martini 1967, c. 27v. (le citazioni linda ma fornito di un cursore che 173
Pacioli 1509, c. 1r, epistola a 173) dove i lati in scorcio dei due che il foglio di Leonardo contenga 33.
saranno riferite al Cod. Ashb. 361). interseca il raggio visivo. Ludovico il Moro. quadrati orizzontali che delimitano istruzioni per la costruzione di un 234
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A,
Altri testi completamente dedicati 166
Simi 1993, pp. 273-274, cc. 81v- 174
Ibid., Pars prima, cap. LIV, c. 16. il poliedro in alto e in basso – figure cannocchiale, cfr. Argentieri 1939; 37b, in Richter 1970, § 57, pp. 36-
alla geometria pratica nel XV secolo 82r; Martini 1967, cc. 30v-31r. 175
Ibid., Tractatus tertius, c. 22r. facili da costruire mediante le Argentieri 1978, pp. 43-74, in part. 37. Cfr. anche il foglio 36b (Richter,
sono: il Ms. 205.I della Biblioteca Fibonacci 1966, p. 95: lo strumento Anche in Pacioli 1496-1508, regole geometriche – non pp. 54-59. L’ipotesi è negata da altri § 55, p. 34): «Tutte le cose mandano
Universitaria di Bologna (1430); il descritto dal Dini è semplicemente dedicatoria; cfr. Pedretti 1953, pp. convergono verso lo stesso punto di studiosi. La descrizione di Leonardo all’ochio la lor similitudine per
Palat. 577 della Biblioteca una squadra, priva della linda 176-193. Cfr. anche A. Marinoni, in fuga. sembra piuttosto riferirsi a una piramidi le quali quanto sarano
Nazionale Centrale di Firenze, ca. mobile che guida il raggio visivo, Pacioli 1982, p. 16. 199
Alberti 1973a e 1980, lib. I, cap. lente concava montata in una tagliate più vicine all’ochio tanto
1460 (Arrighi 1967d); il Plimpton 194 ma la funzione è la stessa. 176
Pacioli 1496-1508. 19, p. 36. cornice con impugnatura. minore si dimostrerà la similitudine
della Columbia University (Trivolo 167
Per la misura della larghezza di 177
Cfr. A. Marinoni, in Pacioli 1982. 200
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A, 219
Leonardo da Vinci 1990, Ms. E, della sua cagione». Il fol. 119r (già
1985); il Moreni 130 della Biblioteca un fiume, Martini 1967, c. 31r, e 178
Euclide 1509. Sui libri posseduti fol. 1b, in Richter 1970, I, § 83, p. 53 fol. 15v. 42r) del Codice Atlantico (Leonardo
Riccardiana di Firenze, ca. 1464 Fibonacci 1966, p. 95, usano una da Leonardo, cfr. A. Marinoni, in (Ms. A, 16). 220
Leonardo da Vinci 1973-80, fol. da Vinci 1973-80) riporta un classico
(Simi 1990). La definizione delle sorta di squadra, analoga a quella Pacioli 1982. 201
Leonardo da Vinci 1995, II, parte 190r-a. esempio di misurazione effettuato
parti della geometria in planimetria già descritta nella Geometria incerti 179
Pacioli 1509, dedicatoria. terza, § 410, p. 303. 221
Maurolico 1613, p. 73. Cfr. da due punti di stazione in base al
(misura delle lunghezze), altimetria auctoris (Bubnov 1963, Appendix IV, 180
Leonardo da Vinci 1995, I, parte 202
Leonardo da Vinci 1990, Ms. A, Lindberg 1984, pp. 131-148. rapporto tra le diverse intersezioni
(misura delle altezze) e p. 24), che può essere fatta risalire prima, 1, p. 131. 104r, in Richter 1970, § 529; anche 222
Della Porta 1589, lib. XVII, cap. X. della piramide visiva (cfr. Leonardo
stereometria (misura di lunghezze, alla tradizione araba. Villard de 181
Leonardo da Vinci 1973-80, foll. in Leonardo da Vinci 1995, II, parte 223
L’incisione, Tavola cavata dal da Vinci 1974, Madrid I, 110v). Sullo
altezze e profondità) è quasi Honnecourt (Honnecourt 1972 e 191r-a (nuova num. 520r-v). Cfr. terza, § 408; ibid., anche § 410. Cfr. Quinto Libro della “Prospettiva stesso foglio si trovano altri due
sempre data in apertura dei trattati 1988, fol. 20r) usa una sorta di Pedretti 2001a, pp. 174-175. supra, nota 24. delle Regole del Disegno” di Carlo esempi di misurazione di un’altezza
di geometria pratica. Questa quadrato con due linde mobili 182
Un passo copiato dalla 203
Vedi supra, nota 169. Urbini pittore, si trova al Museo di inaccessibile mediante intersezione
definizione si trova anche nei codici presente anche nella tradizione Perspectiva communis di J. Peckham 204
Leonardo da Vinci 1990, Ms. D, Castelvecchio di Verona, 2556 3B della piramide visiva con un’asta o
gromatici; ad esempio in gromatica. Cfr., ad esempio, la compare in un foglio del Codice foll. 2v-3v. Cfr. Argentieri 1978. 779. Cfr. Marinelli 1981, pp. 214- un piano verticale; quest’ultimo nel
Epaphrodito e Vitruvio Rufo (cfr. fluminis varatio di Marco Iunio Atlantico databile al 1490 205
Leonardo da Vinci 1990, Ms. D, 220; Marinelli 1985; Cremante 2001. disegno si configura come una
Bubnov 1963, Appendix VII, De Nipso in Lachmann 1967, p. 285, (Leonardo da Vinci 1973-80, fol. fol. 3v. Sulla prospettiva curvilinea, cfr. finestra prospettica. Gli studi di
corporis gromaticorum libellis tav. 28. 203ra), anno in cui Leonardo 206
Cfr. Dal Pozzo Toscanelli 1991, c. Maltese 1962; Pedretti 1963; Leonardo sulla piramide visiva sono

226 227
prospettive 160-240 9-10-2012 10:01 Pagina 228

esaminati in Kemp 1977, pp. 128- introduzione al trattato sulle 257


Il libro si trova alla Herzoglichen disegnare per farlo apparire più quatuorue modos docet Fara 1999, pp. 65-67). Sulla
149; per i rapporti della sua teoria proporzioni, è tradotto in italiano Bibliothek di Wolfenbüttel. grande non riuscirei a raggiungerlo deformandi visam terrae habitabilis traduzione del Bartoli, cfr. Fara
ottica con i metodi di misurazione in Fara 1999, p. 14. Cfr. anche 258
Due indici autografi di questo […] Per questo scopo Jacob Keyser superficiem in plano…». 2001-02, 2002 e 2006.
con la vista, cfr. Veltman 1986, pp. Panofsky 1983, pp. 314-368 (Dürer progetto si trovano a Londra presso ha inventato il seguente dispositivo: 275
Dürer 1528, lib. III, c. S; cfr. Dürer 299
Sulla vita e l’opera di Serlio, cfr.
87-99. teorico dell’arte), in part. pp. 338- la British Library, Codd. Add. 5229 e egli prende un filo di seta sottile, 1591, lib. III, pp. 95 sgg. Thoenes 1989; Frommel 1998.
235
Nel Codice Atlantico (Leonardo 339. 5230. Cfr. Panofsky 1983, pp. 314- lungo quanto è necessario, e ne 276
Dürer 1528, lib. III, cc. A iv 300
Cfr. Serlio 1545, Il Secondo
da Vinci 1973-80) si trovano svariati 248
Cfr. Vitruvio 1997, vol. I, III, 1, 2. 368. attacca un capo al punto di vista (Vergleicher), O ii (Verferer), O iii Libro…, p. 69r: «Questo già videro
fogli che portano schizzi e appunti 249
Lettera a Pirckheimer del 7 259
Dürer 1972, fol. 151r (p. 32); e “o”. Questo punto gli è utile come (Weler), Q iv (Zwiling), R iv (Berger), gli occhi miei in alcune Scene,
dedicati alla prospettiva e ai metodi febbraio 1506, in Conway 1889, pp. Dürer 1525 e 1538. Il disegno in se al suo posto vi fosse il suo occhio S i-iv (Felscher); cfr. Dürer 1591, lib. ordinate dall’intendente Architetto
di misurazione con la vista: 103br 48-49. Cfr. anche Fara 1997. questione si trova nell’edizione del destro […] Poi attacca a questo filo I, pp. 2-3 (equatore); lib. III, pp. 70- Girolamo Genga, ad instantia del
(36vb), 119r (42rc), 339r (122vb), 250
Il Libellus ad Jacopum Bellinum è 1538, lib. I, 51. Oltre alla riedizione uno strumento che ha un pezzo 71 (variante), 73 (diligente), 85-86 suo padrone Francesco Maria Duca
361r, 400v (148vb), 672v (248va), menzionato dallo stesso Giovanni del trattato in lingua tedesca tra gli verticale appuntito [un mirino] (gemelle), 90-91 (indice), 92 d’Urbino». Per l’esperienza
(265rb). Laboriosi calcoli Fontana nel suo De omnibus rebus scritti editi in Rupprich 1956-69, e nella parte anteriore, e un foro di (pervertente). scenografica di Girolamo Genga,
proporzionali eseguiti sulle naturalibus, dove ne trascrive anche all’edizione facsimile a cura di A. mira in quella posteriore». 277
Dürer 1525, lettera dedicatoria a cfr. infra, pp. 252-253.
intersezioni della piramide visiva si un frammento. L’opera è andata Jaeggli, Zurigo 1966, il trattato è 267
Dürer 1972, fol. 99r (p. 304). W. Pirckheimer. 301
Vasari 1973, vol. IV, pp. 606-607:
trovano nel Codice Arundel perduta ma il contenuto è stato disponibile in traduzione inglese 268
Cfr. Apianus 1529, cap. XVI. 278
Ibid., lib. I, figg. 2-38. «Rimase erede di molte cose di
(Leonardo da Vinci 1998), 279-280. sommariamente ricostruito da E. (Dürer 1977) e in francese (Dürer 269
Dürer 1972, fol. 171v (p. 287). 279
Ibid., lib. I, figg. 39-42. Per il Baldassarre, Sebastiano Serlio,
Il ribaltamento del triangolo visivo Battisti attraverso le varie 1995). Una versione italiana di 270
Ibid., fol. 171r (p. 291). Dürer compasso di Leonardo, cfr. nota bolognese; il quale fece il terzo
è proposto nel Codice Forster I indicazioni rintracciabili in altri Cosimo Bartoli, tradotta nel 1537 1525, fig. 40. Per Leonardo, cfr. 270. libro dell’architettura ed il quarto
(Leonardo da Vinci 1992), 48v e sarà manoscritti del Fontana. Battisti dal testo latino di Joachim Leonardo da Vinci 1998, fol. 160v, e 280
Ibid., lib. III, c. G iiir. dell’antichità di Roma misurate; ed
ripreso in Dürer 1525 (lib. III, p. 106) suggerisce anche che una Camerarius (Dürer 1532a), è stata Camerota 2001, p. 186. Ingranaggi 281
Ibid., lib. III, figg. 20-27. in questi le già dette fatiche di
che lo applica per mezzo di uno traduzione in volgare del Libellus recentemente ritrovata da G.M. epicicloidali sono disegnati ne I 282
N. Kratzer, De Horologis, ms., ca. Baldassarre furono parte messe in
strumento analogo a quello possa essere individuata nel Fara nella Biblioteca dell’Accademia codici di Madrid… (Leonardo da 1517, Oxford, Corpus Christi margine, e parte furono di molto
descritto da Leonardo al fol. 361r manoscritto Della prospettiva (Dal delle Scienze di San Pietroburgo, Vinci 1974), Madrid I, fol. 24r. College, Ms. CCC 152; cfr. Foister- aiuto all’autore». Cfr. Bell Dinsmoor
del Codice Atlantico. L’uso della Pozzo Toscanelli 1991) già attribuito Sobr. Muzeja Prijenisej Skogo Kraia 271
Dürer 1525, figg. 41-42. Roy-Wyld 1997, pp. 35-39. 1942.
verga è illustrato nel Ms. B, 56r da A. Parronchi a Paolo dal Pozzo 69. I libri III e IV sono stati pubblicati 272
Dürer 1972, fol. 171v (p. 287). Per 283
Dürer 1525, lib. IV, fig. 29. 302
Cfr. Serlio 2001, lib. IV, p. 5: «Di
dell’Istitute de France, mentre Toscanelli; cfr. Battisti-Saccaro in Fara 2002, pp. 171-347; e in Fara Leonardo, cfr. Leonardo da Vinci 284
Ibid., lib. IV, figg. 44-51. tutto quello, che voi troverete in
l’appunto da cui è tratta la Battisti 1984, pp. 18-24. 2001-02, pp. 163-257. La versione 1973-80, fol. 425v (già 157rb) senza 285
Ibid., lib. IV, fig. 52. Sulle tecniche questo libro, che vi piaccia, non
citazione è nel Codice Atlantico, fol. 251
Gaurico 1999. La prospettiva (De completa è in Fara 2006. scritte; fol. 672r (già 248ra), «Sesto di disegno dei tagliapietra, vedi darete già laude a me, ma si bene
103br. perspectiva) è trattata al capitolo IV, 260
Dürer 1972, fol. 91r (p. 220); Cfr. de proporzionalità in proffilo. Sesto infra, pp. 304-309. al precettor mio Baldassar Petruccio
236
Cfr. Leonardo da Vinci 1990, Ms. pp. 202-221; cfr. Divenuto 1999, pp. anche Dürer 1528, di cui J. di proporzionalità in faccia; e il suo 286
Ibid., lib. IV, fig. 56. da Siena: il quale non fu solamente
G, fol. 8a, in Richter 1970, I, § 19, p. 49-64. Sull’interpretazione non Camerarius pubblicò la versione polo è mobile. Questo vale nelle 287
Ibid., lib. IV, fig. 56. dottissimo in quest’arte et per
18; anche in Leonardo da Vinci proprio agevole della costruzione latina nel 1532 «in aedibus viduae proporzionalità inrazionali»; fol. 288
Dürer 1538, lib. IV, fig. 62a. Cfr. Theorica, et per pratica, ma fu
1995, I, p. 184 (c. 39v, § 80). prospettica di Gaurico, cfr. Panofsky Durerianae» (Dürer 1532a). Da 1032r (già 369va); fol. 1046r (già Dürer 1977, p. 428. ancor cortese, et liberale assai,
237
Cellini 1971, pp. 819-820; 1927, pp. 103-106; Gioseffi 1957, questa deriva la traduzione italiana 375ra), «Sesti delle proporzioni fatti 289
Cfr. Da Costa Kauffmann 1975; Id. insegnandola a chi se n’è dilettato,
Leonardo da Vinci 1995, pp. 27-28. pp. 89-95; Kemp 1994, pp. 51-52. di G.P. Gallucci (Dürer 1591). di poli e giunture a uso di 1993. et massimamente a me, che questo,
238
Viator 1505; Ivins 1975. 252
Cfr. Rupprich 1956-69, I, p. 59. Cfr. 261
Dürer 1525, lib. IV. tanaglie». 290
Barbaro 1569, parte VII, cap. II, p. quanto si sia, che io so, tutto
239
Cfr., ad esempio, Honnecourt anche Dalai Emiliani 1985; Madoi 262
Cfr. Strieder 1992, pp. 56-59. 273
Apianus 1529; in questo caso la 178. riconosco dalla sua benignità, et col
1988, fol. 20r: «Par chu fait on one 1985. 263
Ibid., p. 57. xilografia è molto meno raffinata 291
Dürer 1525, lib. IV, fig. 63. suo essempio intendo usarla anch’io
clef del tiirc, et justice one scere» 253
Cfr. Stechow 1922, p. 251; cfr. 264
La xilografia è nota attraverso ma il modello di riferimento è 292
Cfr. Apianus 1529, cap. XVIII, De con quelli, che non si sdegneranno
(«In questo modo si fa una chiave di anche Kemp 1994, pp. 66-67; e Fara due stampe del 1781 e 1847 certamente quello del Dürer. Cfr. usu tabularum Ptolemaei. apprenderla da me».
tiirc [terzo punto] e si verifica una 1999, pp. 29-40 (Galeazzo da ricavate dai legni originali oggi anche Tolomeo 1548, c. 201v. 293
L’incisione è segnalata in Veltman 303
Sull’argomento, vedi infra, pp.
squadra»). Sanseverino, Luca Pacioli e l’Italia). conservati presso la Biblioteca 274
Gemma Frisius 1556, I: «Hoc 1979, p. 341. 304-309.
240
Viator 1505, cap. I. 254
Cfr. Dürer 1972: per il metodo di Albertina di Vienna. Cfr. Rodney W. artificium nobis quotidie pictores 294
Cfr. Vagnetti 1979, pp. 292-295; 304
Cellini 1971, pp. 813-821, in part.
241
Ibid., cap. VIII. Piero, cfr. foll. 184r-v (pp. 276-278). Shirley, The Mapping of the World. exhibent, et scribit de ea re Vagnetti 1980; Dürer 1995. pp. 819-820; Leonardo da Vinci
242
Ibid., cap. VII. 255
Ibid., foll. 91r-v, 93r (pp. 218-220, Early Printed World Maps 1472- pulcherrima exempla Albertus 295
Cfr. Bedini 1968; Friess 1993, pp. 1995, pp. 27-28: «Il detto Bastiano
243
A queste si aggiunge un’edizione 226). 1700, The Holland Press, London Durerus nobilis et pictor et 87-92; Kemp 1994, p. 193. [Serlio] promessi cinque libri al
secentesca illustrata e curata da M. 256
Ibid.; oltre ai numerosi fogli 1987, pp. 44-45. Mathematicus. Docet enim 296
Lencker 1571, p. XXIIr; Hayden mondo sopra gli ordini
Jousse (1635). dedicati allo studio delle 265
Cfr. Harnest 1992, pp. 348-360. quomodo in plana superficie quam 1599, p. 9. dell’architettura, et ancora sopra le
244
Al proposito, cfr. Kemp 1994, pp. proporzioni del corpo umano in Per il globo di M. Behaim, cfr. fenestrae applicat, quaecunque 297
Cfr. Vasari 1973, vol. IV, p. 354. regole della prospettiva […] E sì
66-67. tutto il taccuino, cfr., per il Dekker-Van der Krogt 1993, p. 26. obiecta ab oculo obvertuntur ita in Cfr. anche Fara 1999, p. 84. come io dico di sopra, mentre che
245
Cfr. Rupprich 1930, pp. 20-24, 68- cosiddetto “uomo vitruviano”, i 266
Dürer 1972, foll. 178r, 179r (pp. planum describantur […] Nam et 298
La traduzione del Sangallo era io servivo quel re Francesco,
69. foll. 104v, 112v, 113r (pp. 54, 170, 310, 312); Ms. Sloane 5229/130, cit. nos per vitrum aspicientes posseduta dal collezionista essendovi il sopradetto Bastiano
246
Sull’opera del pittore tedesco, cfr. 172); per le tipologie fisiognomiche, (nota 256); Dürer 1525 e 1538, lib. Sphaeram orbicularem cum suis fiorentino Niccolò Gaddi, come Serlio, avendo lui volontà di trar
Panofsky 1983. Sull’attribuzione a foll. 94r-v (pp. 234-236); per i IV. Nel manoscritto londinese lo circulus, in vitri superficie poterimus risulta da una lettera di R.A. Martini fuori questi libri di prospettiva, mi
Dürer della veduta di Venezia, cfr. disegni anatomici, foll. 130v, 133v strumento è descritto in questi describere, sequentes intuitus aciem a G. Bottari del 15 dicembre 1715: richiese che io gli mostrassi quel
Lazari 1859, tav. 29; il disegno del (pp. 260, 262); per il «vetro», datato termini: «…Se la cosa che voglio per omnia sphaerae loca «frammento d’un libro di mirabil discorso del gran Lionardo
Lazari riproduce a grandi linee la 1514, fol. 177v (p. 292). Il vetro, con disegnare è posta lontano dal mio decurrentem, manu omnia fortificazione in carattere e idioma da Vinci, il quale io fui contento; et
celebre veduta con la seguente la data 1515 e la scritta «glass», è occhio, dovrei tenere il vetro su cui notantes diligenter. Similes rationes tedesco colle figure intagliate in il detto ne messe in luce quel poco,
didascalia: «Legni incisi da Alberto anche nell’altro taccuino del pittore tracciarla così vicino da poterlo sequutus est Ptolomaeus in fine legno da Alberto Duro stampato a tanto quanto il suo ingegno
Durero della Pianta di Venezia, e tedesco, oggi conservato a Londra raggiungere con la mano. In tal primi Geographiae cap. Nuremberg l’anno 1527 del Mese di potette capire».
Stampa». Cfr. Tonini 1999, pp. 84- presso il British Museum, Sloane caso l’oggetto da rappresentare vigesimoquarto, cuius inscriptio talis Ottobre; colla traduzione 305
Serlio 1545, Il Primo libro…, p. IIr-
91. 5229/131r. I cosiddetti “nodi” li apparirebbe molto piccolo sulla est […] Similiter in septimo clarius manoscritta (credo) di Antonio da v, lettera dedicatoria e avviso ai
247
Cfr. Rupprich 1956-69, vol. I. p. conosciamo attraverso alcune lastra di vetro. Se invece ponessi il rem proponit eandem his verbis […] Sangallo, perché vi è il suo nome da lettori. Cfr. Nan Roselfeld 2003.
102. Il passo, forse concepito come splendide incisioni. vetro più vicino all’oggetto da In his locis Ptolomeus tres principio» (cfr. Ravioli 1863, p. 12; 306
Serlio 1545, Il Primo libro…, p. IIv:

228 229
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«Sincerissimi lettori, non vi sommità, quella che tocchi la «Questa pendentia [del riferimento al centro del cerchio». 350
Ibid., parte I, cap. II, p. 6. Questa particolarmente studiato da
meravigliate che nel dar fuori sommità sarà più lunga. Così più la palcoscenico] io l’ho trovata Panofsky d’altra parte sottolinea distinzione tra i due modi di vedere Leonardo, le cui riflessioni
questi miei libri d’Architettura io linea che si prolunga verso la parte commode con la esperientia, che il termine usato da Vitruvio si trova già nella letteratura ottica occupano l’intera quinta parte della
cominciasse dal quarto, et dipoi superiore sembra lunga, più ne perche in Vicentia (città molto ricca corrisponde a una sezione medievale; vedi supra, p. 52, nota compilazione di F. Melzi; cfr.
donassi in luce il terzo. Certamente rende l’immagine arretrata. Se e pomposissima fra l’altre d’Italia) dell’ottica che nell’antichità 48. Leonardo da Vinci 1995, II, pp. 361-
non è stato senza arte questo mio però, come sopra è stato scritto, è io feci uno Theatro, et una scena di studiava l’applicazione delle leggi 351
Ibid., parte I, cap. V, p. 8. 467.
procedere cosi. Per cio che se dal inclinata nella fronte, allora tali legname, per aventura, anzi senza della visione all’architettura e alle 352
Ibid., parte I, cap. V, p. 9; cap. IX, 368
Barbaro 1569, parte VII, cap. II, p.
principio io havesi dato al publico membrature sembreranno essere dubio, la magiore che a nostri arti figurative, e dunque il suo p. 23. 177.
questo primo libretto di Geometria, all’apparenza perpendicolari e tempi si sia fatta, dove per li significato va considerato non solo 353
Ibid., parte II, cap. II, p. 27. 369
Ibid., parte IV, cap. I, p. 129.
lo quale (nel vero) è piccolo secondo la regola». meravigliosi intermedii che vi nel contesto dei metodi di 354
Ibid., parte II, cap. VIII, p. 36. Cfr. 370
Ibid., parte VIII, cap. II, pp. 181-
volume, et anche non sonno molto 310
Serlio 1545, Il Primo libro…, pp. accadevano, come Carrette, rappresentazione. Sull’argomento Piero della Francesca 1942, lib. I, 182. Cfr. Dürer 1528, lib. I, c. F iir
piacevoli le sue figure, et circa alle 9v-10. Cfr. Dürer 1525, lib. III, figg. Elefanti, et diverse moresche, io vedi infra, pp. 255-256. teor. XXIV. («der Ubertrag»).
cose non vi è quel’ diletto a 9, 10, 27. volsi che davanti la scena pendente, 336
Cfr. Vitruvio 1975, pp. 78-79; e 355
Barbaro 1569, parte III, capp. 371
Venezia, Museo Correr, Cl. XXIX,
studiarle, che è nelle cose di 311
Serlio 1545, Il Primo libro…, p. vi fosse un suolo piano». Vitruvio 1521, c. 14v; vedi infra, pp. XXXVI-XXXVII, pp. 117-120. Cfr. 31; cfr. Camerota 2001a, p. 251.
Architettura, ma bene sono 15v. Cfr. Dürer 1525, lib. I, fig. 22. 322
Ibid., p. 63r. 256-258. Piero della Francesca 1942, lib. III, 372
Barbaro 1569, parte IX, cap. I, pp.
necessarie, et cosi anchora le cose di 312
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, p. 323
Ibid., p. 64v. 337
Cfr. M. Tafuri, in Vitruvio 1987, p. teor. I; e Dürer 1525, lib. IV (vedi 187-188. Cfr. anche Vitruvio 1567,
Perspettiva sonno molto faticose, et 25r. Cfr. Vitruvio 1997, I, 2, 2: 324
Vedi supra, nota 321. XIII. supra, p. 129). IX, 8-9, pp. 398-437.
fa ben mestiero di saper prima le «Species dispositionis, quae graece 325
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, p. 338
Vitruvio 1567, I, pp. 29-30. 356
Barbaro 1569, parte IV, cap. I, p. 373
Barbaro 1569, parte IX, cap. III, Lo
cose che se hanno a fare et poi dicuntur ideai, sunt hae, 65v. 339
Ibid., p. 30. 129. instrumento di Alberto Durero da
tirarle in Perspettiva. Questi dua ichnographia orthographia 326
Ibid., p. 67r. Cfr. Vitruvio 1997, V, 340
Ibid., p. 257. Un riferimento al 357
Ibid., parte IV, cap. I, p. 130. Tra pigliare in Perspettiva: «Alberto
volumetti (per aventura) sarebbono scaenographia […] Item 2, 9. trattato di prospettiva si trova coloro che hanno letto sciographia, Durero ingegniosamente ritrovò
stati poco grati alla maggior parte scaenographia est frontis et 327
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, anche in IX, 8, pp. 398-399: «Hora cfr., a esempio, Serlio 2001, lib. IV, p. uno instrumento da porre le cose in
degli huomini». laterum abscedentium adumbratio pp. 67r-70r. per più facile intelligenza dirò cosa 5, dove, nella prefazione ai lettori, Perspettiva, il quale io ho
307
Ibid., p. IIIv: paradossalmente, ad circinique centrum omnium 328
Ibid., pp. 71r-v, Di lumi artificiali [a proposito dell’analemma], che descrive il contenuto di tutti i suoi adoperato, et riesce molto bene
Giovanni Paolo Lomazzo (1584, cap. linearum responsus [Gli aspetti della delle scene. bene considerata, et appresa darà libri: «Nel terzo si vedrà la […] Et io con questo instrumento
XLVI) considerò Serlio tra quegli disposizione, quelli che in greco si 329
Vedi supra, note 206-207. un lume mirabile al presente Ichnographia, cio è la pianta: la pigliai in Perspettiva molte cose di
architetti mediocri che il bolognese definiscono idéai, sono i seguenti: 330
A questa data gli studi ottici più discorso, et gioverà in molte altre Orthographia, che è il diritto; la una camera del Reverendissimo
chiamava «consumatori di pietre, et icnografia, ortografia, scenografia avanzati erano quelli di Francesco cose degne; et specialmente nella Sciographia, che viene a dir lo Cardinale Turnone con suo gran
di calcine», avendo egli «fatto più […] Per scenografia poi si intende Maurolico (1613) ma il caso della prospettiva, si come nel nostro Scortio de la maggior parte degli piacere…».
mazzacani architetti, che non aveva lo schizzo della facciata e dei lati riflessione dei raggi in uno specchio trattato della scenographia havemo edificij, che sono in Roma, in Italia, 374
Ibid., parte IX, cap. IV, Fabrica
egli peli in barba»; cfr. Lomazzo che si allontanano sullo sfondo, con concavo era uno di quelli chiaramente esplicato». et fuori, diligentemente misurati, et d’un altro instrumento di
1973-74, vol. II, p. 355. la convergenza di tutte le linee contemplati nella letteratura ottica 341
D. Barbaro, De Horologijs postovi in scritto il loco dove sono e Baldessara Lanci: «Baldessara Lanci
308
Serlio 1545, Il Primo libro…, p. 3. verso il centro della circonferenza]». medievale. Cfr. Lindberg 1984; describendis libellus, ms., Venezia, ‘l nome loro». ingenioso ingegneri essendo io in
Cfr. Vitruvio 1997, IX, praef., 4; e Sui problemi esegetici relativi a Dupré 2002, Appendix I, pp. 323- Biblioteca Nazionale Marciana, Cod. 358
Barbaro 1569, parte IV, cap. I, p. Siena, mi mostrò uno instrumento
Honnecourt 1972 e 1988, fol. 20 questo passo, vedi supra, pp. 144- 324. Lat. VIII, 42 (3097). 130. ritrovato da lui da porre in
(tav. 39); «Par chu assiet om les IIIJ. 145, e infra, pp. 263-266. 331
Vignola 1583, pref.: «Habbiamo 342
Barbaro 1569, proemio. Gli scritti 359
Ibid., parte IV, cap. XV, p. 154. Perspettiva…».
coens d’on cloestre sens plonc et 313
Cfr. Vitruvio 1975, pp. 78-79. in oltre un altro libro di Prospettiva di Agatarco, Democrito e 360
Ibid., parte IV, cap. XVI, p. 155. 375
Firenze, Istituto e Museo di Storia
sens livel [In questo modo si 314
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, p. intitolato Viatore, con molta Anassagora sono menzionati da 361
Vitruvio 1567, V, 2, 8. Sulla della Scienza, inv. 152, 3165; cfr.
determinano i quattro angoli di un 25v. maggior copia di figure, che di Vitruvio (1997), VII, praef., 2. presenza dei periacti nel teatro Camerota 2003.
chiostro senza filo a piombo né 315
Ibid., p. 25v. parole». 343
Barbaro 1569, proemio, p. 3. antico, in particolare a Ercolano, cfr. 376
G. Contarini, Figure d’istromenti
livella]». 316
Vedi supra, nota 307. 332
Sull’opera di Cousin, cfr. Ivins 344
Il manoscritto di Piero era forse Winckelmann 1764, lettera a H. matematici e loro uso, ms., Oxford,
309
Serlio 1545, Il Primo libro…, p. 9v. 317
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, p. 1929. noto a Barbaro anche attraverso la Füssly. Un rilievo del teatro di Bodleian Library, Ms. Canon Ital.
Cfr. Vitruvio 1997, III, 5, 9: «Poiché 25r: «la qual perspettiva consiste in 333
Cfr. le brevi considerazioni di copia posseduta da Gian Vincenzo Ercolano con la posizione dei 145, cc. 39-40, in Camerota 2000a,
più in alto sale lo sguardo tre linee principali. La prima è la Alberti, Filarete e Manetti ricordate, Pinelli, oggi conservata alla periacti («triangoli versatili») si pp. 256-258.
dell’occhio, meno facilmente fende linea piana, dalla quale nascono rispettivamente, alle pp. 59, 73, e Biblioteca Ambrosiana di Milano, trova in Piranesi 1783, tav. III. 377
Barbaro 1569, parte IX, cap. V,
la densità dell’aria. Pertanto tutte le cose. La seconda linea è 80. Cod. D 195 inf.; cfr. Rivolta 1933. 362
Nella ricostruzione del teatro Modi naturali di mettere in
disperso per l’estensione quella che va al punto, altri lo 334
Nell’VIII secolo, Eginardo discute 345
Barbaro 1569, proemio, p. 3. Sul antico proposta nel commento a Perspettiva: «…farai uno bucco
dell’altezza e proteso nello sforzo dicono il vedere, altri orizonte, ma il termine scenographia in una commento di Commandino al Vitruvio (Vitruvio 1567, V, 6, pp. nello scuro d’una finestra della
trasmette ai sensi un’incerta l’orizonte è il suo propri nome, lettera a suo figlio Vussino, Planisphaerium di Tolomeo 249, 253-254), D. Barbaro e A. stanza di dove vuoi vedere, tanto
dimensione dei moduli. E pertanto imperho che l’orizonte è per tutto suggerendogli di cercarne il (Tolomeo 1558) cfr. infra, pp. 173- Palladio collocano i periacti in grande quanto è il vetro d’un
si deve sempre aggiungere al dove termina la veduta nostra. La significato in Virgilio; cfr. Schlosser 174. corrispondenza delle tre porte della occhiale. Et piglia un’occhiale da
calcolo teorico una quantità terza linea è quella della distantia, 1892, pp. 6-7. 346
Cfr., a esempio, Messahalla, De frons scenae. La soluzione vecchio, cioè che habbia alquanto
supplementare nelle membrature la quale è sempre al livello de 335
Cfr. Vitruvio 1997, I, 2, 2; vedi compositione et utilitate Astrolabii, architettonica raffigurata alle pp. di corpo nel mezzo, et non sia
ottenute col sistema proporzionale, l’orizonte, ma più appresso o più supra, nota 312. Sulle traduzioni e in Gunther 1929, V (Chaucer and 253-254 è simile a quella che più concavo, come gli occhiali da
affinché serbino il rapporto delle lontano secondo che accadera, interpretazioni rinascimentali, cfr. Messahalla on the astrolabe). Vedi tardi Palladio avrebbe costruito a giovani, che hanno la vista curta. Et
grandezze, vuoi se delle opere si come al suo loco ne parlaremo». Di Teodoro 2002, pp. 38-43. La supra, p. 53, nota 67. Vicenza. Per questa realizzazione, incassa questo vetro nel bucco
trovano in sedi molto alte vuoi 318
Ibid., p. 27r. critica moderna tende 347
Tolomeo 1558, dedicatoria. cfr. infra, pp. 289-292. assaggiato serra poi tutte le
anche se le stesse presentano 319
Ibid., p. 27v. Questi errori saranno generalmente a seguire 348
Vitruvio 1567, IX, 9, p. 431. 363
Vedi supra, nota 230. finestre, et le porte della stanza, sì
dimensioni colossali»; III, 5, 13: segnalati da Egnazio Danti nel suo l’interpretazione più diffusa fin dal 349
Barbaro 1569, proemio, p. 3: «Il 364
Barbaro 1569, parte V, cap. I, p. che non vi sia luce alcuna, se non
«…per il fatto che quando stiamo commento a Le due regole… del Rinascimento, così tradotta da caso mi portò dinanzi un Giovanni 159. quella, che viene dal vetro, piglia
innanzi alle loro fronti [dei templi Vignola (1583); vedi supra, p. 169. Panofsky 1927, nota 19: «La Zamberto [traduttore e 365
Cfr. Baltruŝaitis 1978, p. 44. poi uno foglio di carta, et ponlo
dove gli elementi alti sono inclinati 320
Ibid., p. 62v. scenografia è la resa illusionistica commentatore di Euclide] cittadino 366
Barbaro 1569, parte VI, cap. I, p. incontra il vetro tanto discosto, che
di 1/12], se due linee fossero 321
Ibid., p. 63r: «et lo Theatro, et la (così si può tradurre adumbratio…) Vinitiano, il quale io ho usato per 163. tu veda minutamente sopra ‘l foglio
protese dall’occhio e una toccasse la Scena ch’io feci in Vicenza, furono della facciata e delle pareti laterali guida nella pratica della 367
Ibid., parte VII, cap. I, p. 175. tutto quello che è fuori di casa, il
parte inferiore dell’opera, l’altra la circa a questo modo»; p. 64v: e la corrispondenza delle linee in Perspettiva». Questo tema era stato che si fa in una determinata

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distanza più distintamente […] Frommel-Thoenes 2002, pp. 333- Cfr. Frangenberg 1988. Cod. P 103 sup.: c. 60v, «Et però si similmente Greche, come la secchia cfr. Camerota 2001a, p. 160. Per i
Vedendo adunque nella carta i 366. 405
Vignola 1583, I, deff. V-XI. ben mi arcordo, sono nove modi di dell’acqua, che da essi è chiamata periacti, cfr. p. 91.
lineamenti delle cose, tu puoi con 390
Cfr. E. Danti, Vita di M. Iacomo 406
Ibid., I, probl. XI, prop. XL, traher dal naturale et metter in Calcedro. Ma questa voce S•gma, 448
Vignola 1583, appendice del
uno penello segnare sopra la carta Barozzi da Vignola, architetto et annotazione, p. 49. S. Stevin aveva scurzo si in pittura come in tarsia»; Sagma, che appresso de’ Greci vuol Danti alla fine della «Prima regola»,
tutta la Perspettiva, che apparerà in prospettivo eccellentissimo, in appena pubblicato i suoi c. 64v, «Resta mò a far mentione, et principalmente dire Theca, o veste p. 94, Come si faccino quelle
quella…». Vignola 1583. Cfr. anche S. Problematum geometricorum… dimostrar il quinto modo con la dello scudo, non so vedere a che pitture, che dall’occhio non
378
Della Porta 1589, lib. XVII. Frommel, Fontainebleau, in Tuttle- (1583). Cfr. Frangenberg 1998. squadra graduata, et il 6° con la proposito sia presa da gl’Architetti possono esser viste se non reflesse
379
Barbaro 1569, parte IX, cap. V. Adorni-Frommel-Thoenes 2002, pp. 407
Vignola 1583, I, teor. I, prop. I, p. portella, overo telaro di leg.o [lo Bolognesi in vece della modanatura nello specchio. Uno di questi
Cfr. anche Cardano 2004, IV, p. 389. 129-138. 17, «Se qual si voglia triangolo sarà sportello di Dürer]». de’ membri de gl’ornamenti dipinti, eseguito da Ludovico Buti
380
Barbaro 1569, parte IX, cap. V, p. 391
Vignola 1583, lettera dedicatoria posto fra due linee parallele, et da’ 424
Vignola 1583, I, cap. III, pp. 63-64, dell’Architettura, come il modine nel 1593 – raffigurante i ritratti di
193. Cfr. Vimercato 1565, parte II, a Giacomo Boncompagni: «presi due punti della parallela superiore Che cosa siano li cinque termini, e del capitello, o la basa delle Carlo II di Lorena e di sua figlia
cap. II. assunto non pure di farla equidistanti dalla sommità del cap. VI, p. 68. Sulla regola del colonne è da essi chiamata Sagma». Cristina, moglie del granduca
381
Barbaro 1569, parte IX, cap. V, p. pubblicare [l’opera del Vignola], ma triangolo, saranno tirate due linee Peruzzi, cfr. anche l’annotazione Cfr. anche P. della Francesca, De Ferdinando I de’ Medici – è oggi
193. anco di renderla più perfetta, come à gl’ angoli opposti della basa, che quarta, p. 78, e la nota di E. Danti in prospectiva pingendi, cit. (nota all’Istituto e Museo di Storia della
382
Cfr. Bennet-Durand 1952; e Gadol credo haver fatto, mediante le taglino i lati di esso triangolo, la appendice alla «Prima regola» del 116), III, I, pp. 130-131; vedi supra, Scienza di Firenze, inv. 3197; cfr.
1969, p. 238. dichiarationi, et dimostrationi, che linea che per le intersegationi si Vignola, p. 82, Della regola pp. 92-94. Zanieri 2000.
383
B. della Volpaia, Macchine e ho aggiunto alle sopradette tirerà, sarà parallela alla basa». ordinaria di Baldassarre da Siena, et 439
Vignola 1583, II, cap. XIX, p. 134, 449
Vignola 1583, appendice del
strumenti, Venezia, Biblioteca Regole». Cfr. Fiorani 2003, pp. 127- 408
Ibid., I, teor. XXVII, prop. XXXIII, del Serlio. Come si faccia la figura del Danti alla fine della «Prima regola»,
Nazionale Marciana, It. 5363, c.18r; 160. annotazione prima, p. 39. 425
Ibid., I, p. 82. Piedistallo: «Il modo che s’ha a p. 96, Di quelle pitture, che non si
cfr. Camerota 2001b, p. 184. 392
Sulla vita e l’opera di Egnazio 409
Ibid., I, cap. I, annotazione prima, 426
Ibid., I, p. 83. tenere nel fare le Sagme per fare possono vedere che cosa siano, se
384
Mordente 1567 (Firenze, Danti, cfr. Del Badia 1881; Capone p. 52. 427
Ibid., I, p. 83. Su questo errore, uno, o più Piedistalli in Prospettiva, non si mira per il profilo della
Biblioteca Marucelliana, Atlante 1986; Fiore, in DBI, vol. XXXII, pp. 410
Ibid., p. 52: «Il che ha saputo vedi supra, pp. 142-143. devesi fare il Piedistallo nel modo tavola, dove sono dipinte: «Et se
Lafrery, cc. 199v-200r; Oxford, 659-663; Settle 1990; Dubourg molto ben fare il Vignola […] 428
Ibid., I, p. 83. Sull’analogia tra le che ci avesse a servire bene Daniel Barbaro nella quinta
Bodleian Library, Ms. Canon Ital. Glatigny 2002; Fiorani 2005. scegliendoci fra molte regole due regole Danti si pronuncia d’Architettura». parte della sua Prospettiva insegna
145, c. 73); cfr. Camerota 2000a, pp. 393
Vignola 1583, lettera dedicatoria queste due, delle quali la seconda anche nell’annotazione seconda al 440
Ibid., appendice del Danti alla un modo di far simili pitture con le
23-28, 275-277. a Giacomo Boncompagni: «et da lui del tutto inventata, ci è cap. II della «Seconda regola», p. fine della «Seconda regola», pp. carte bucate con l’ago alli raggi del
385
Cfr. Rose 1968; Camerota 2000a, avendo io da poi affaticato assai proposta come più chiara». 101: «L’altra [cosa] è, che ella sia 143-145. sole, et con quelli della lucerna, si
pp. 28-32. intorno alla Prospettiva, in quei 411
Ibid., I, cap. II, annotazione vera, et conforme alla regola 441
Ibid., appendice del Danti alla vedrà non di meno tal modo non
386
La data 1559, di mano del tempi massimamente, che servendo seconda, p. 54. Questa teoria ordinaria di Baldassarre». fine della «Prima regola», pp. 86, havere quel fondamento, che ha il
Vignola, si trova su un foglio della la gloriosa memoria del Gran Duca oftalmologica risale ad Alhazen 429
Ibid., I, p. 83, Della digradatione 90. presente mostratomi dal sopra
Portione del manoscritto originale Cosimo abitai per molti anni nella (1572, lib. I, capp. 5-6). del quadro fuor di linea. 442
Ibid., p. 86. nominato Tommaso Laureti». Cfr.
di Giacomo Barozzi da Vignola città di Firenze, vera patria, et 412
Ibid., I, cap. III, In che consista il 430
Ibid., I, pp. 84-86. 443
Ibid., p. 87. Cfr. Longhi 1902, pp. Barbaro 1569, parte V, cap. II; vedi
della sua Prospettiva, oggi nutrice di queste nobilissime arti fondamento della Prospettiva, et 431
Ibid., II, cap. III, annotazione 10-17; Feinblatt 1992, pp. 5, 7-12; supra, pp. 152-153.
conservato a Roma presso l’Archivio […] mediante la cortesia del che cosa ella sia. terza, p. 103. Frangenberg 1998, p. 215. 450
Lomazzo 1584 e 1973-74, lib. VI,
Storico dell’Accademia di San Luca; Cavaliere Niccolò Gaddi […] feci 413
Ibid., I, cap. III, annotazione 432
Ibid., II, cap. VI, Come si può 444
Vignola 1583, appendice del cap. XX, p. 291, Modo di fare la
cfr. Roccasecca 2002. acquisto delle due presenti prima, p. 56. operare con quattro punti della Danti alla fine della «Prima regola», prospettiva inversa che paia vera,
387
Vignola 1583, lettera di Giacinto Regole…». Sulla collezione di 414
Ibid., p. 57. distantia. p. 87. Cfr. anche ibid., p. 1, dove cita essendo veduta per un solo forame.
Barozzi a Egnazio Danti (4 gennaio Niccolò Gaddi, cfr. Acidini 1980. 415
Ibid., p. 57. L’olometro consisteva 433
Ibid., II, cap. VII. la «loggia de’ Ghigi di verso il 451
Tolomeo 1558.
1580): «Messer Ottaviano 394
Danti 1573. in una tavoletta quadrata con due 434
Ibid., II, cap. VII. giardino, fatta dall’eccellentissimo 452
Sull’argomento, e sull’opera
Mascherini Architetto di N.S. […] mi 395
Ibid., lettera dedicatoria agli righe graduate imperniate alle 435
Cousin 1560. Vedi supra, nota Baldassarre Peruzzi da Siena; nella matematica del Commandino, cfr.
scrive che al desiderio che io ho, che Accademici del Disegno di Perugia. estremità di uno dei lati; cfr. Foullon 332. quale entri chi vuole, che se non sa Rose 1975, pp. 185-221.
camminino in luce quelle fatiche 396
Adorno-Zangheri 1998, p. 12. Cfr. 1564. 436
Vignola 1583, II, cap. IX, esser dipinta, resterà ingannato 453
Nel 1553 si registra il prestito a
fatte da mio padre […] V.S. molto anche Wazbinski 1987, I, pp. 282- 416
Vignola 1583, I, cap. III, annotazione quarta, p. 116: «se dalla falsa credenza, che’l tutto sia Ranuccio Farnese di due codici della
Reverenda per servigio pubblico 289, II, pp. 489-495. annotazione prima, p. 58. Cfr. adopereremo due o più punti di rilievo». Sulla sala delle Biblioteca Nazionale Marciana di
non si sdegnerà di mettervi qualche 397
Vitruvio 1567, I, I, p. 13. Almagià 1956, p. 131. coaiutori del punto principale; Prospettive del Peruzzi, cfr. Schiavo Venezia, il Marc. Gr. Z. 305,
spesa […] che senza pensarvi più 398
Cfr. anche Danti 1577, tav. XXVII, 417
Vignola 1583, I, cap. III, atteso che potremmo far tal figura 1960; Varoli Piazza 1981; Bruschi contenente gli scritti di Archimede
[…] mi risolvo fra poche settimane Della Prospettiva, p. 39. annotazione prima, p. 59. per digradare, che volendovi far su 1987b; Walcher Casotti 1987. con il commento di Eutocio, e il
venire a Roma […] dandogli il libro 399
Danti 1573, lettera «A’ Lettori» 418
Ibid., p. 61: «Questo sesto l’alzato, ci bisognassero tre, 445
Vignola 1583, appendice del Marc. Gr. Z. 518, contenente l’opera
di mio padre do b.m. il quale vedrà allegata a chiusura dei commentari. strumento, del quale n’ho trovato quattro, cinque, et sei, et più punti Danti alla fine della «Prima regola», di Apollonio e Sereno. È probabile
molto differente da quella copia, 400
Vignola 1583, lettera dedicatoria fra i disegni del Vignola uno particolari». pp. 89-90. che Commandino, allora a Venezia
che il Sig. Cavalier Gaddi dette a a Giacomo Boncompagni. Su Le due schizzo, senza scrittura alcuna, l’ho 437
Ibid., II, cap. XI, p. 118, Come si 446
Ibid., p. 90: «il modo di far la con il Farnese, abbia fornito le sue
V.S. avendolo io tutto trascritto di regole…, cfr. Walcher Casotti 1953; voluto por qui, acciò si vegga la disegni di Prospettiva con due Prospettiva nelle scene con due competenze per la lettura dei testi,
mia mano in compagnia di mio Walcher Casotti 1960, I, pp. 109- varietà de gli strumenti, et che tutti righe, senza tirare molte linee, e punti, acciò il finto, et il rilievo visto che sarà proprio lui a tradurli e
padre poco avanti che passasse a 112; Kitao 1962. dipendono dallo sportello». annotazione, p. 120. s’accordino insieme». pubblicarli (Archimede 1558;
miglior vita». 401
Vignola 1583, prefazione. 419
Ibid., p. 61. Per la descrizione di 438
Ibid., II, cap. XII, p. 121, Come si 447
Ibid., p. 92. La commedia di Apollonio 1566).
388
Cfr. R.J. Tuttle, La formazione 402
Ibid., prefazione. D. Barbaro, vedi supra, note 374- faccino le Sagme erette, et Giovanni Battista Cini a cui Danti si 454
La versione è attribuita a
bolognese, in Tuttle-Adorni- 403
Ibid., I, Definizioni…, p. 1: 376. Vedi anche supra, pp. 201-203. diagonali; e annotazione p. 122: riferisce era La Vedova, Ermanno Secondo e Roberto di
Frommel-Thoenes 2002, pp. 114- «questa mobilissima arte della 420
Ibid., p. 62. «Imparò il Vignola li primi principij rappresentata il primo maggio 1569 Chester che la tradussero a Toledo
118. Prospettiva, da’ Greci Scenografia 421
Ibid., p. 62. dell’arte del Disegno in Bologna in occasione della venuta a Firenze nel 1144; cfr. Heiberg 1907.
389
Cfr. C. Thoenes, La pubblicazione chiamata». 422
Vedi supra, nota 376. […] et per ciò non è maraviglia se dell’arciduca Carlo d’Austria. La 455
Tolomeo 1558, dedicatoria al
della “Regola”, La dottrina della 404
Ibid., I, def. IV, Centro dell’occhio 423
Cfr. Prospettiva, o sia trattato usa questa voce di Sagma, usata scena del Lanci è ricordata anche a cardinale Ranuccio Farnese; cfr.
“Regola”, Alcune tavole della è il centro dell’humore Cristallino, matematico sopra i modi di mettere comunemente da gl’artefici p. 74. Il bozzetto scenico firmato Sinisgalli 1993, pp. 55-56.
“Regola”, I precedenti della p. 3: «Et questa è la descrittione varie cose in perdimento, ò sia Bolognesi, così puramente Greca, si «Baldassarre Lanci da Urbino 456
Vedi infra, pp. 262-263.
“Regola”, e La fortuna della dell’occhio, tratta da libri scorcio dichiarato con le figure, come in quella città nel parlar Ingegnere» si trova al Gabinetto 457
Tolomeo 1558, dedicatoria, p. 57.
“Regola”, in Tuttle-Adorni- dell’Annotomia di Vincentio Danti». Milano, Biblioteca Ambrosiana, comune hanno alcune altre voci Disegni e Stampe degli Uffizi, 404P; 458
Ibid., p. 59.

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459
Ibid., pp. 74-80. dignitas, atque praestantia Monte 1984, p. 184. Per 1753 (Ms. 95, n. 558) e del 1769 (Ms. dimostra, e / questa non solo sanza aiuto del velo mai possa».
460
Tolomeo 1562. Cfr. la traduzione mathematicis disciplines, Commandino, vedi supra, nota 452. 98, n. 813), la scultura era gl’estremi, ma le parti di mezzo, 505
Vedi supra, nota 493.
italiana a cura di R. Sinisgalli (1994). potissimum verò perspectivae ferri 481
Del Monte 1600, VI, De scaenis, p. conservata nello “Stanzino delle con ogni maggior’ proprietà, che in 506
Cigoli 1613, cc. 82v-97r.
461
Sulla vita e l’opera di G.B. debet accepta»; Del Monte 1984, p. 283: «quondam Scenarum matematiche”. L’opera, gettata in artifiziosa pittura / si possa 507
Lo strumento di Buontalenti è
Benedetti, cfr. Bordiga 1985; Atti 39. apparatus susceptae bronzo da Giovanni Battista desiderare». Nel 1612 Cigoli si servì documentato da Giulio Parigi nei
1987. 473
Del Monte 1600, p. 2: «duabus contemplationis partem sibi Foggini, e l’originale in cera di del fenomeno della camera oscura, suoi manoscritti di Strumenti e
462
Benedetti 1585, parte II, p. 119, tamen prioribus (quae quidam non vendicare videtur (pluribus mano del Cigoli si trovano oggi al in base alle indicazioni di Galileo, macchine, Parigi, Bibliothéque
«Multi enim eorum, qui huiusmodi nisi ex perspectiva oriuntur) siquidem obiectis in varijs Museo del Bargello di Firenze, per disegnare le macchie solari, Nationale, It. 468 (c. 58: «Inventione
operationis regulas praescribunt, tanquam proprio artis fondamento sectionibus oculo repraesentatis rispettivamente nella sala del puntando il cannocchiale verso il facilissima di Messer Bernardo delle
cum eius effectum veras causas innititur»; Del Monte 1984, p. 39. Scenarum constitutio effigi Sansovino (n. 29), e nei depositi (n. Sole e proiettando il fascio Girandole Ingegnero del Ser.mo
ignorent, varios diversosque errores 474
Del Monte 1600, p. 2: solet)…»; Del Monte 1984, p. 219; 445). luminoso su un foglio da disegno; Granduca di Toscana per tirarci di
committunt». Per l’errore di Serlio, «dispositionis autem (alijs interim p. 309: «Hinc perspici potest, 488
La notizia è in Cigoli 1613, c. 1v cfr. la lettera a Galileo del 14 luglio prospettiva»), It. 1292 (cc. 41, 44).
vedi supra, pp. 138-139. Per la omissis) tres prehibentur species: quanta sit utilitas, quantunque ad (Vita dell’autore): «E perché stimava 1612, in Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 508
Baldinucci 1681-1728, parte V,
segnalazione del Danti, vedi supra, Ichnographia, quae est formae in perspectivam punctorum concursus oltr’a modo il sapere quanto si 361-362. 1702, Notizie su Andrea Commodi,
p. 165. Cfr. Field 1987a, pp. 247-270. plano descriptio: Orthographia, cognito vera conducat», trad. p. aspetta ad un perfetto pittore, 496
Cigoli 1613, cc. 14v-15r. Cfr. p. 260. Secondo il Comodi la sola
463
Cfr. Frangenberg 1987, pp. 271- quae est erecta frontis imago operis 232. Sulle scene di Guidobaldo, cfr. presa occasione per l’amicizia che Kepler 1604, II. Sull’argomento, vedi lanterna misurava un quinto di
282, che pubblica la lettera in facies ostendens: Sciographia, seu Marotti 1974a, pp. 37-42. teneva con Ms Ostilio Ricci anche supra, nota 464. braccio fiorentino (ca. 11 cm).
appendice. Cfr. anche Alhazen Scenographia, quae est frontium 482
Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 449- Mattematico provisionato 497
Sulla codificazione teorica del 509
Per Jamnitzer, cfr. supra, pp. 137-
1572, lib. I, cap. 5; e Della Porta compositio per apparentiam 450. dall’Alt[ezz]e il quale ogni giorno disegno di architettura nel 138.
1589, lib. XVII, capp. 6-7. linearum tanquam in unum 483
Nel Sidereus Nuncius, stampato a dopo che havea data la lezione Rinascimento, cfr. Thoenes 1998, 510
Cfr. Baldinucci 1681-1728, parte
464
A questa stessa conclusione era concurrentium»; Del Monte 1984, Padova nel marzo del 1610, Galileo all’Ecc:mo Sig:r D[on] Giovanni, in pp. 161-175; e Di Teodoro 2002. V, 1702, pp. 15-49, Commendatore
giunto appena due anni prima il p. 39. La definizione è una annunciava le straordinarie casa Ms Bernardo, introducendo 498
Cfr. Vignola 1583: per il disegno Fra Lodovico Cardi cognominato il
medico svizzero F. Platter; cfr. traduzione quasi letterale del testo scoperte telescopiche fatte nei mesi Lodo[vic]o nelli principi di dei poligoni e dei cerchi, pp. 76-78 e Cigoli, Pittore e Architetto, p. 38:
Platter 1583, pp. 186-187. Cfr. anche di Vitruvio (1997), I, 2, 2. immediatamente precedenti. Una Mattem[atic]a e Prospett[iv]a». Su 108-111; per le croci, p. 118; per gli «Ma pur fu vero che, essendo
F. Maurolico, Photismi de lumine et 475
Del Monte 1600, lettera delle scoperte riguardava i crateri Ostilio Ricci, cfr. Vinci 1929; Settle elementi architettonici, pp. 122-143; voluto stare in sulle regole della
umbra ad perspectivam, et dedicatoria: «loquor autem de ea della Luna che Galileo descrisse 1971; Settle 1987. per le «sagme», p. 121; per il prospettiva, senza mai volere
radiorum incidentiam facientes perspectivae parte, quae à Graecis come grandi vallate e catene 489
Il carteggio è pubblicato in Galilei disegno sulle volte, pp. 89-90; per le scendere dal palco, contro a ciò che
[1521], teor. XXII dei Diaphaneon Scenographice nuncupatur»; Del montuose del tutto simili a quelle 1929-39, voll. X-XI; e in Matteoli scene, pp. 90-94; per i dipinti a gli persuasero gli amici, egli si trovò
Libri Tres [1524], III, in Maurolico Monte 1984, p. 35. terrestri. 1959. gradoni, p. 95; per l’anamorfosi, p. ad un fiero caso. Cioè che quelle
1613. 476
Del Monte 1600, frontespizio: il 484
Cfr. la Terza lettera sulle macchie 490
Cigoli 1613. Il manoscritto è 96. Sugli ordini architettonici, cfr. figure che, vedute nel luogo ove
465
Cfr. Kepler 1604, II; cfr. Kitao motto recita «citra dolum fallimur» solari, in Galilei 1929-39, vol. V, pp. inventariato da Ferri 1885, pp. 34, Vignola 1562. furono dipinte, come soleva
1980. Cfr. anche Cigoli 1613, c. 14v; («dalla parte dell’inganno 190 sgg.: «ma se qualcuno, per aver 119. È esaminato da Comolli 1788- 499
Cigoli 1613, cc. 22v-25r, per la attestare il Passignano e con esso
vedi supra, p. 188. erriamo»). forse consumati tutti i suoi studii in 92, III, pp. 218-222; Marotti 1974a, costruzione dei poliedri; c. 40v, per i altri grandi uomini, erano
466
Del Monte 1600, dedicatoria a 477
Ibid., I, teor. prop. XXXII, coroll. I, simil foggia di dipingere [alla pp. 43-50 (solo relativamente al punti di concorso. Cfr. Barbaro veramente la meraviglia dell’arte
Francesco Maria del Monte. Per la p. 44: «Ex his perspicuum est, in maniera di Arcimboldo] volesse poi capitolo sulle scene teatrali); 1569, parte III, pp. 43-114; Del […] osservate dal basso, comparsero
traduzione italiana, cfr. Del Monte sectione punctum, in quod ad oculo universalmente concludere, ogni Vagnetti 1979, pp. 379-380; Monte 1600, I, teorr. XXXIII-XXXVI, nel luogo ove la cupola
1984. Sull’opera di Guidobaldo, cfr. parallelis lineis ducitur aequidistans, altra maniera d’imitare esser Camerota 1985-86; Lorber 1989; pp. 65-68; II, probl. I. incominciava a voltare, con qualche
Rose 1975, pp. 222-242. esse punctum concursum»; Del imperfetta e biasimevole, certo che Kemp 1991a; Lorber 1998; Chappell 500
Cigoli 1613, cc. 60r-75v. La sproporzione di lunghezza fra ‘l
467
Sull’invenzione del compasso di Monte 1984, p. 64. l’ Cigoli e gli altri pittori illustri si 2003. Prima edizione, Cigoli 1992. È sezione sulle scene nel trattato del mezzo in su e ‘l mezzo in giù».
proporzione, cfr. Favaro 1907-08; 478
Del Monte 1600, I, teor. prop. riderebbero di lui»; cfr. Panofsky in stampa l’edizione critica a cura di Cigoli è stata studiata in Marotti 511
Alberti 1973a e 1980, lib. II, cap.
Rose 1968, pp. 53-69; Camerota XXXIII, p. 45: «At verò quondam 1954, pp. 5-8, 32 n. Cfr. anche F. Camerota. 1974a, pp. 43-50. 34, p. 60. Vedi supra, p. 79.
2000a, pp. 29-33. infinitis modis esse possunt in Panofsky 1956, 1978 (pp. 81-102) e 491
Cigoli 1613, c. 83r, A giovani 501
Cfr. Serlio 1545, Il Secondo 512
Per la testimonianza del Danti,
468
G. del Monte, Lettera a Giacomo subiecto plano lineae parallelae 1982. pittori che si dilettano della libro…, Trattato sopra le scene. cfr. Vignola 1583, p. 94. Uno di
Contarini, 6 ottobre 1577, Milano, diversi modè collocate, ergo in 485
Le lettere di Galileo sono del Prospettiva. Sull’attività del Cigoli come questi dipinti, eseguito da Ludovico
Biblioteca Ambrosiana, Cod. J 231 eadem sectione infinita quoque primo ottobre 1611 e del 26 giugno 492
Cfr. supra, p. 169. scenografo cfr. Molinari 1961. Buti nel 1593, è oggi conservato al
inf., cc. 194v-196r; cfr. Favaro 1899- possunt esse puncta concursus 1612; cfr. Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 493
Cigoli 1613, c. 83r: «il che 502
Cigoli 1613, c. 60r. Cfr. Vignola Museo di Storia della Scienza di
1900. Cfr. anche Camerota 2001a, supra subiectum planum 213-214, 340-342. La prima è una considerato forse da Alberto 1583, pp. 90-92. Nel commento di Firenze, inv. 3197; cfr. Zanieri 2000,
pp. 67-71. aequealta»; Del Monte 1984, p. 65. breve risposta a una missiva del Durero nel fine della sua geometria Egnazio Danti si ricordano alcune pp. 665-670. L’opera è documentata
469
Cfr. Favaro 1880; Favaro 1966, 479
Del Monte 1600, II, probl. prop. Cigoli in cui l’artista forniva notizie doppo alle due dimostrate regole di scene «che girano» eseguite da come «Ritratto di omo di Casolari e
capp. I-II. XXXI, pp. 110-111: «Oculo dato, sulle osservazioni delle macchie prospettiva per linee, descrive Aristotele da Sangallo e Baldassarre nello specchio si vede una donna»
470
Galilei 1929-39, vol. X, pp. 53-54. dataque sectionis linea, datoque in solari compiute dal Passignano. La alcuni strumenti, quasi dir volesse, Lanci; vedi supra, nota 447. nell’inventario figurato del 1768
Molti appunti sulla prospettiva si erecta sectione puncto, in subiecto seconda è un autorevole parere quelli esser mezzi più Sull’attività teatrale del Cigoli, cfr. (Catalogo 1768), n. 1059.
trovano in un manoscritto plano punctum, quod appareat in sulla superiorità della pittura che proporzionati, et atti Molinari 1961. 513
Vignola 1583, I, cap. VIII, p. 96.
conservato a Parigi: G. del Monte, asumpto puncto invenire»; Del l’artista aveva chiesto all’amico all’operazione, et alla conseguzione 503
Cigoli 1613, cc. 96v-101v. 514
Cfr. Chiari 1943, p. 197. Nelle
Meditatiunculae Guidi Ubaldi e Monte 1984, p. 110. scienziato a supporto delle proprie del nostro bisogno». Cfr. Dürer Sull’attività architettonica del Cigoli Considerazioni al Tasso, Galileo
Marchionibus Montis Sanctae 480
Del Monte 1600, IV, probl. prop. argomentazioni in un dibattito 1525, lib. IV. cfr. Fasolo 1953; Gambuti 1973b; illustra le differenze tra Tasso e
Mariae de rebus mathematicis, XXVIII, p. 225: «Dato circolo accademico. 494
Vignola 1583, I, cap. III, p. 55. Morolli 1988. Ariosto paragonando la poesia
Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. subiecto plano, datoque puncto 486
Sulla vita e l’opera di Ludovico 495
Cigoli 1613, c. 6v. Cigoli 504
Cfr. Piero della Francesca 1942, allegorica del primo alle
Latino 10246, cc. 60; parzialmente distante, dataque sectione non Cigoli, cfr. Chappell 1975; Chappell, suggerisce che il fenomeno possa lib. III, prop. VIII, pp. 173-202, tavv. anamorfosi; cfr. Panofsky 1954 e
edito in Libri 1838, IV. solum subiecto plano, verùm etiam in DBI, vol. IX, pp. 771-776; Matteoli essere stato perfino all’origine della LXIII-LXXII. Alberti 1973a e 1980, p. 1978.
471
Galilei 1929-39, vol. X, p. 62. lineae à puncto distantiae per 1980; Faranda 1986. pittura: «…il che ha più del 56: «Non credo io dal pittore si 515
Cfr. Niceron 1646, II, pp. 191-204.
472
Del Monte 1600, pp. 1, 2: centrum circoli ductae erecta, oculi 487
Lo “scorticato”, detto anche “la verosimile di quello, che da Plinio / richiegga infinita fatica, ma bene 516
Ne dà notizia lo stesso Niceron
«Architecturam, atque picturam altitudinem invenire, ita ut figura in Notomìa”, fu esposto nella Galleria vien referto, sopra le ombre, e s’aspetti pittura quale molto paia 1646, II, pp. 191-204; cfr. anche,
reliquia omnes anteire artes […] sectione circulum datum degli Uffizi fino al 1871. Come sbattimenti de corpi, poi che rilevata e simigliata a chi ella si Niceron 1652 e 1663, II, pp. 130-135.
Hearum autem utriusque propria repraesentans sit circulus»; Del risulta dagli inventari di Galleria del l’ombra i termini estremi solo ritrae; qual cosa non intendo io 517
Cfr. Maignan 1648, pp. 438-445.

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Niceron 1646. Sulla problematica p. 209, anche per ulteriori XXII: «Se un arco di circonferenza è geometrica» e «ratio perspectivae», descritto in Tartaglia 1556-60, parte time to time». Segue la nota:
del rapporto tra strumenti e informazioni sullo strumento di posto sullo stesso piano in cui è cfr. Nuti 1996, pp. 133-163 (La III, lib. III. Sull’opera di Nicolò «Ignatius Danti, in his edition of
anamorfosi nell’ambito del Adrien Gavard. l’occhio, l’arco di circonferenza pianta prospettica). Tartaglia, cfr. Gabrieli 1986. Per la Vignola’s “Due Regole della
pensiero cartesiano cfr. Rodis-Lewis 523
Cfr. Danti 1577, tav. XXVII, Della appare un segmento rettilineo». 540
Alberti 1973c, p. 163. bussola, Tartaglia 1546, V, pp. 55-56. Prospettiva”, mentions a machine
1956; cfr. anche Camerota 1987, pp. Prospettiva, p. 39. Vignola 1583; cfr. 531
Ibid., teor. XXXVI: «Le ruote dei 541
Valentini-Zucchetti 1953, IV, pp. 549
Cfr. Del Badia 1881, pp. 43-44. Il for finding points, upon a concave
79-111. Walcher Casotti 1953; Walcher carri alle volte appaiono circolari, 209-222, datano la Descriptio al progetto di Leonardo prevedeva un cylindric surface, which was used by
518
Cfr. le lettere scritte da Niceron a Casotti 1960, I, pp. 109-112; Kitao alle volte oblunghe». primo soggiorno romano canale navigabile solo nel tratto Baldassarre Lanzi da Urbino, and
Leopoldo de’ Medici una volta 1962, pp. 173-194. 532
Ibid., teor. XXVII: «Se la distanza dell’Alberti, tra il 1431 e il 1434. Al compreso tra Firenze e il mare, many others, at Sienna. He shews
tornato a Parigi, il 20 e 30 marzo e 524
Cfr. soprattutto Edgerton 1975, tra gli occhi è minore del diametro secondo periodo romano la passando per Prato, Pistoia, that it was erroneous for plane
il 19 giugno di quell’anno: Firenze, pp. 91-105 (Enter Cartography), della sfera, verrà visto meno di un collocano invece Garin 1966 e Serravalle, Fucecchio e Vico Pisano perspective. This apparatus may,
Biblioteca Nazionale Centrale, Ms. 106-123 (Ptolemy’s Third emisfero». Vagnetti 1968. Cfr. anche (cfr. Baratta 1905, pp. 739-760, 893- however, be so modified, as to
Gal. 275, Accademia del Cimento. Cartographic Method). Vedi supra, 533
Cfr. Neugebauer 1959, p. 24, § 14: Winterberg 1883. Secondo 921). become useful in finding
Parte III. Carteggio. Vol. I. Lettere p. 86. «One must also take care that the Winterberg la pianta di Roma 550
Gli strumenti si trovano oggi al panoramic points, and rendered
scientifiche del principe Leopoldo. 525
Il testo greco della Geografia di circles are not merely (represented dell’Alberti era di tipo Museo di Storia della Scienza di tolerably convenient, portable, and
Con la lettera del 20 marzo Niceron Tolomeo fu introdotto a Firenze nel by simple) lines but with an pseudoprospettico o assonometrico, Firenze, inv. 682 (bussola per cheap».
inviava a Leopoldo un «livre Intitulé 1397 dal dotto bizantino Emanuele appropriate width and in different in linea con la tradizione gromatica artiglieri), 152 e 3165 560
Puccini 1570-71, in Lamberini
la Perspective Pratique Crisolora che ne iniziò la traduzione colors and also that the arcs across e medievale, ma la mancanza totale (distanziometro). 1990, cap. XVII.
nouvellement mis en lumiere latina poi finita dall’umanista the earth (be given) in a fainter di riferimenti alle altezze nel testo 551
Cfr. Vignola 1583, I, cap. VIII, p. 561
Lo strumento del Buontalenti è
[probabilmente l’opera di Jean Du Jacopo Angeli e dedicata ad color than those near the eye». dell’umanista fiorentino lascerebbe 92. Il Danti ricorda le scene girevoli documentato in Parigi ca. 1600, c.
Breuil, stampata a Parigi nel 1642], Alessandro V nel 1416. 534
Ibid., p. 24, § 13: «At the design supporre un disegno in proiezione progettate dal Lanci per La Vedova 58, Inventione facilissima di Messer
pour satisfaire la curiosité qu’elle 526
Regiomontanus 1525, fol. Q IIr: of the rings, one has to watch that zenitale. Un illustre precedente del di Giovanni Battista Cini, Bernardo delle Girandole
m’a temoigné avoire de cette «Demonstratum quippe perspectius each goes through the said four resto, sebbene ignoto all’Alberti, rappresentata il 1° maggio 1569 per Ingegnero del Ser.mo Granduca di
science quand elle agree mon est, certissimam omnium rei visae points, in an egg-shaped form and proviene proprio dall’antichità la venuta a Firenze dell’arciduca Toscana per tirare di prospettiva.
ouvrage de la Perspective curieuse», contemplationem fieri, quando not ending sharply where they romana, ed è la cosiddetta Forma Carlo d’Austria. Un bozzetto Altri due disegni si trovano
presumibilmente donata al cardinal visus recte in medium obiecti meet the outermost circle, in order Urbis Romae, ritrovata in scenico per questo allestimento, nell’altro manoscritto parigino del
de’ Medici in occasione del loro intuetur, hoc est, si pictorial uti licet not to give the impression of a frammenti nel 1562, che firmato «Baldassarre Lanci da Parigi, It. 1292. Il disegno di Cristina
incontro. dictione, quando radius centricus, in break, but ir should be given a riproduceva in dettaglio la pianta di Urbino Ingegnere», si conserva di Lorena è al Gabinetto Disegni e
519
La traduzione fu solo iniziata; il medio puncto oblatae superficiei consistent direction even if the tutta la città su lastre marmoree. presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, 2326A: «R:do
documento è a Firenze, Biblioteca figitur; tunc enim aequale radiorum convexities which end the ellipse Cfr. anche Gadol 1969; e Carpo Stampe degli Uffizi, 404P. questo di 5: di Giugno 1595: Come
Nazionale Centrale, Ms. Gal. 246, V. lateralium circunstantia stipatus, fall outside the circle which 1998. Per l’edizione critica, cfr. 552
Foullon 1555 e 1564. questo disegnio di prospetiva è
Viviani. Parte V. Fisica sperimentale. quasi axis est pyramidis radiosae encompasses the figure; this also Alberti 2000. 553
Santucci 1593, cc. 79-89; cfr. fatto di mano propia; della Ser:ma
Vol. 5. Esperienze di diversi., cc. 66- brevissimae»; cit. in Cattaneo 2005. appears to happen with the real 542
Cfr. la Memoria a Leone X, in Bertini 2002. Gran Duchessa di Toschana; operato
70, Il primo libro della Prospettiva Cfr. anche Tolomeo 1598, dove a (rings of a globe)». Raffaello 1956, pp. 51-64 (anche in 554
Puccini 1570-71, in Lamberini con lo strumento di Bernardo
Curiosa contenente i principi della commento Della descrittione del 535
Tolomeo, Geografia, lib. I, cap. I. Ray 1974, pp. 362-370); Di Teodoro 1990, pp. 351-403. Buontalentj; nel palazo del
prospettiva et un metodo mondo in forma sferica, l’editore Cfr. Tolomeo 2000, pp. 57-59. 1994. 555
Cfr. Vasari 1973, vol. VIII, p. 320, mBrogiana».
generale… Viviani iniziò anche a (G. Ruscelli) scrive: «Et perché poi a 536
Per i rapporti tra gli studi 543
Sulla pianta di Imola, cfr. Pedretti lettera di Giorgio Vasari a 562
Accolti 1625, lib. II, cap. XVI.
tradurre la Perspectiva oraria di E. questa descrittione in balla o globo geografici di Toscanelli e i viaggi di 1955 e 1978. Secondo un’ipotesi Bartolomeo Concini, 8 gennaio 563
Vedi supra, nota 479.
Maignan: cfr. Firenze, Biblioteca egli attribuisce alcune Colombo, cfr. Uzielli 1894. Su avanzata in Mancini 1979, I, XI, pp. 1556: «Molto Magnifico Signore 564
Cfr. Alberti 1973c, pp. 38-39.
Nazionale Centrale, Ms. Gal. 326, cc. imperfettioni, se ne passa poscia a Francesco Rosselli, cfr. Crinò 1939. 100-108 e sostenuta in Marinoni mio. Ebbi la lettera di Vostra 565
Accolti 1625, p. 85.
503-546, «dal libro intitolato far l’altra in figura piana, con quelle Cfr. Almagià 1951; Schulz 1990. 1994, Leonardo avrebbe Signoria che mi commette per 566
Romano 1595, lib. I, cap. II.
Perspectiva Horaria sive de ragioni di perspectiva et di 537
Della corografia toscana di Piero completato un disegno abbozzato ordine di sua Eccellenza io lievi una 567
Lanteri 1557, p. 54.
Horographia Gnomonica. Autore matematica, che diffusamente del Massaio si conoscono tre circa trenta anni prima pianta di Fiorenza in prospettiva, e 568
Cfr. Lettera a Galileo in Firenze,
Rev. P.F. Emanuele Maignan. Libro mette, per mostrar che tal versioni redatte per altrettanti dall’ingegnere militare Danesio che subito vi metta mano […] 11 agosto 1611, in Galilei 1929-39,
in folio stampato in Roma 1648. descrittione in piano sia codici della Geografia di Tolomeo: Maineri. imperò fatevi dichiarare se s’ha a vol. XI, pp. 167-169; anche in
Libro 2° intitolato Optice Horaria». ragionevole, et habbia imagine, o la Tuscia novela del 1456 (Parigi, 544
Cfr. Leonardo da Vinci 1973-80, levar la pianta di Fiorenza, o se a Matteoli 1959, pp. 32-33.
520
Il dipinto è oggi al Museo di sembianza dell’altra in globo». Bibliothèque Nationale, Lat. 17542 fol. 622 (già 228vb), dove Leonardo ritrar Fiorenza come ella sta…». 569
Per Daniele Barbaro vedi supra,
Storia della Scienza di Firenze, inv. 527
Danti 1578, parte V, p. 146. Cfr. ex 4802); l’Etruria moderna del riproduce il rilevamento per 556
Cfr. G. Vasari, Ragionamenti di pp. 156-157. Su E. Ausonio, Di una
3196. anche Tolomeo 1558, Barbaro 1568, 1469 (Biblioteca Apostolica coordinate polari da due stazioni Giorgio Vasari… sopra le invenzioni nuova invenzione d’uno specchio,
521
Sull’esemplare posseduto da parte VI, e Tolomeo 1572. Vaticana, Vat. Lat. 5699); e la note per mezzo di un cerchio da lui dipinte in Firenze nel Palazzo ms., Milano, Biblioteca Ambrosiana,
Giovanni Coccapani, cfr. Baldinucci 528
Il termine compare per la prima Descriptio Etruriae nova del 1472 goniometrico diviso in 24°. di Loro Altezze Serenissime…, in Cod. A 71 inf., foll. 20r-21v, cfr.
1681-1728, parte IV, p. 409. Sullo volta in un inventario dei beni di (Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. 545
I disegni sono conservati presso il Vasari 1973, vol. VIII, pp. 9-225: Dupré 2002, Appendix I, pp. 323-
strumento posseduto da V. Dandini, Alessandro di Francesco Rosselli, Urb. 277). Per un maggiore Gabinetto Disegni e Stampe degli Ragionamento quarto, pp. 174-175. 324.
cfr. Targioni Tozzetti 1780, pp. 334- sec. XVI, Firenze, Archivio di Stato, approfondimento sulla cartografia Uffizi sotto la segnatura U 771Ar-v, 557
Cfr. Rojas 1550, lib. IV, cap. XXII, e 570
Ibid.
335, che dice di averlo trovato in Magistrato dei Pupilli avanti il toscana, cfr. Rombai 1993. Su U 772Ar, U 773Ar, U 774Ar. Cfr. Bartoli 1564, lib. I, cap. XXV. 571
Della Porta 1589, lib. XVII.
una collezione appartenente Principato 189, c. 739r: «5 Francesco di Giorgio, cfr. Galluzzi Frommel-Adams 1994, pp. 128-130, 558
Vedi supra, pp. 155-156. 572
Cfr. Van Helden 1977.
all’eredità della famiglia Dandini, mantellini de Tolomeo in tela 1991, p. 31. Cfr. anche, Rombai 307-308. 559
Vedi supra, p. 167. Cfr. Ronalds 573
Cfr. Bacon 1897, II, pp. 165-166;
raccolto in una cassetta con la dipinti»; in Gentile 1992b, pp. 247- 1993, pp. 86 e 91 (quest’ultima per 546
Su questo modello, cfr. Camerota 1828, I, p. 11: «The law of not cit. in Van Helden 1977, p. 28.
scritta «Stromento di Lodovico 250. Ringrazio T. Settle per la la carta del Bellarmato). 2001b, pp. 87-104. making the breadth of the picture 574
Cfr. Van Helden 1977, p. 29.
Cigoli per tirare in prospettiva». Per segnalazione di questo documento. 538
Su Leonardo cartografo, cfr. 547
Cfr. Bennet-Durand 1952; greater than the distance of the eye 575
Digges 1571, lib. I, cap. XXI:
l’esemplare posseduto da G.B. Nelli, 529
Cfr. Neugebauer 1959; Baratta 1911; Baratta 1912. Cfr. Gemma Frisius, in Apianus 1533; from the perspective plane, should «marveylouse are the cocnclusions
cfr. Comolli, 1788-92, pp. 218-222. Neugebauer 1983, pp. 326-333; anche Almagià 1952; Almagià 1953. Rojas 1550; Bartoli 1564. be, of course, born in mind, unless a that may be perfourmed by glasses
522
Doppelmayr 1727: la versione di Neugebauer 1975, II, pp. 889-890, Sul progetto per la navigazione 548
Cfr. Tartaglia 1537, III, VI, p. 22. panoramic view be required; in concave and convex of circolare and
Niceron è illustrata a tav. IX, mentre Visual Appearance of a Terrestrial dell’Arno, cfr. Baratta 1905; Per lo squadro-quadrato which case, the whole instrument parabolicall fourmes, using for
la variante è a tav. VIII. Ronalds Globe. Heydenreich 1974. geometrico, cfr. III, XI. Il vero e should be turned horizontally upon multiplication of beames sometime
1838 (II edizione). Cfr. Kemp 1994, 530
Cfr. Euclide 1895 e 1996, teor. 539
Sulla convivenza di «ratio proprio squadro agrimensorio è the centre of the eye-hole G, from the ayde of glasses transparent […]

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By these kinde of glasses or rather che sembra essere l’unica, o almeno da qualche eminenza benché Sidereus Nuncius, in Galilei 1929-39, scorcio; ma le cuspidi e cime poste sproporzione, che tengono, i brevi
frames of them, placed in due rarissima, riproduzione fotografica lontana, o pure anco nella vol. III, parte I, pp. 71-72. incontro all’estremità delle corna processi loro, con la infinita
angles, ye may not onely set out del disegno. campagna aperta vedere et 599
I disegni (Firenze, Biblioteca non solamente ci mostrano, almeno distanza del luminoso da gli opachi
the proportion of an whole region, 587
Cfr. Kepler 1995: «Alein das es particolarmente distinguere, con Nazionale Centrale, Ms. Gal., P. III, T. per fianco, la loro parte illuminata, […] così intendiamo dover essere il
yea represent before your eye the mitt 2 glesern thutt, wie der herr nostro grandissimo vantaggio, ogni V, c. 68r) sono pubblicati in Galilei ma gli spatii tra esse et il confine suddetto disegno, per
lively ymage of every towne, schreibtt, und wies der herr im abris suo moto e preparamento». Lettera 1929-39, vol. III, parte II, p. 950. della luna ci si rappresentano non rappresentazione di veduta del Sole
village, etc…»; in Van Helden 1977, zu sehen, das im mittel des Rohrs a Belisario Vinta (19 marzo 1610), in 600
Lettera a Christopher in scorcio, ma in proffilo, et terminato con linee, et lati paralleli,
p. 29. innwendig noch ein glas ist, mit R° Galilei 1929-39, vol. X, pp. 297-302: Grienberger del 1° settembre 1611, secondo la loro massima et non occorrenti [sic, concorrenti] a
576
Cfr. Van Helden 1977, p. 30. 3 gezeichttnett, so man mitt dem «…et voglio disegnare le facce della in Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 178- lontananza da esso confine…». Cfr. punto alcuno in Prospettiva».
577
Ibid., p. 33: «to make a glasse for stabel auch innwendig des Rohrs  di un periodo intero con 203: [p. 183]. anche Edgerton 1984; anche in 609
Ibid.: «Hora dico […] le altre
perspective […] – that is a concave herfuer oder zuruckh ziehen mag, grandissima diligenza, et imitarle a 601
Ibid.: «Ma perché in tali luoghi le Edgerton 1990, pp. 223-253. superficie tutte, che in detto
lens – [it] may be rounde, and bear bis man ein rechtte distantia fendt, capello, perché invero è una vista di dette merlature et adombrazioni si 603
Lettera a Grienberger, cit., in ombrifero restano nascoste, et
a foote in diameter; as fyne and wirdt der herr ime allso wissen nach grandissima meraviglia». veggono in scorcio, mediante lo Galilei 1929-39, vol. XI, p. 184: «Et celate, esser quelle, che nel
white Vennys Glasse. An the larger, zu denckhen. Es zeigtts aber gleich 593
Cfr. Whitaker 1978; Bredekamp sfuggimento et adombrazione della che le narrate varietà di ombre et suddetto perspettivo disegno
the better: and allso yt must bee of wol nitt so scharpff alss einfach, die 2000. globosità della luna, appariscono lumi non possino nell’estrema rimangono, et rimaner devono
a good thickness, and then yt must weil es mitt 2 glesern zu gen mus 594
Di questa e altre osservazioni solamente lunghe, ma strette et circonferenza da noi vedersi […] ombrate, et sbattimentate».
bee grounde uppon a toole fitt for [Solo che funziona con due lenti, riferisce lo stesso Cigoli a Galileo: la sottili, come nella presente figura si procede dallo sfuggimento et 610
Il riferimento più significativo si
the purpose […] until that the sides come scrive Sua Signoria, e come prima volta che ebbe modo di scorge: dove le medesime inclinatione della sferica superficie trova in Maggi-Castriotto 1564, lib.
bee very thynn, and the middle Sua Signoria può vedere dalla breve osservare la Luna fu con il inegualità del confine, che nella lunare, sopra la quale i raggi della II, cap. III, p. 40: «nessuno pensi di
thicke». descrizione, al centro del tubo telescopio dell’amico pittore quadratura, per esser vedute in nostra vista niente si elevano ne vedere in questi miei disegni modi
578
Ibid., p. 33: «concave with a internamente esiste un’altra lente, Domenico Passignano (lettera del 3 faccia o maestà, appariscono gl’istessi toccamenti che si fanno o regole di prospettiva, primo
foyle, uppon the hylly syde […] contrassegnata con R°3, in modo febbraio 1612), le volte successive grandissime tanto per lunghezza nell’estrema circonferenza…». perché, non essendo professione di
which [gli specchi di metallo] are che sia possibile tirarla avanti e con un proprio telescopio, quanto per larghezza, trasferite 604
Ibid.: «Dico dunque, che soldato, non lo saprei fare, poi
commonly called steele glasses». indietro all’interno del tubo con acquistato immediatamente dopo vicino all’ultima circonferenza qualunque volta una superficie perché a causa degli scorci si
579
Ibid., p. 33: «yet I am assured that l’impugnatura, finché si può trovare (lettera del 23 marzo 1612): «Non lunare, dove si veggono in scorcio e ineguale e montuosa viene perderebbe troppo delle piante;
the glasse that ys grounde, beynge la giusta distanza; Sua Signoria credo avere scritto a V.S. come io ò quasi in profilo, perdono assai della illuminata dal sole o da altro lume questi disegni invece servono
of very clear stuffe, and of a good saprà come fare. Non risulta però un occhiale, et è assai buono, tanto larghezza, et appariscono lunghe sì, particolare, sì che vi restino le proprio a mostrare le piante, e
largeness, and placed so, that the così facile mettere a fuoco, come che veggo da Santa Maria ma strette et sottili, perché eminenze illustrate et le bassure questa si dirà prospettiva
beam dothe come thorowe, and so avverrebbe con due lenti]». Maggiore l’orivolo di S. Pietro, la pochissimo se gli eleva il raggio tenebrose, il sole, o chi nel sole soldatesca». Per una storia
reseaved into a very large concave 588
Cfr. Pearsall Smith 1907, II, p. 206. lancetta dello orivolo, ma i numeri visuale. Ma trasferendole fusse collocato, assolutamente non sull’argomento, cfr. Scolari 2004, pp.
looking glasse, that yt will shewe 589
Scheiner 1630, lib. II, cap. XXIII, de l’ore non così distinte et finalmente sin all’ultima vedrà alcuna delle parti ombrose, 23-43, 259-283.
the thinge of a marvellous pp. 106, 107; cap. XXVIII, pp. 122, intelligibile come vedevo con il suo circonferenza, sopra la quale la ma solo le illuminate; perché 611
Tolomeo 1558, Planisphaerium
largeness, in manner uncredable to 123. […] La Luna la veggo benissimo, e vista non ha elevazione alcuna, procedendo il tal caso i raggi della Ptolomaei Commentarius, pp. 2-19.
bee believed of the common 590
Galilei 1632, Dialogo quarto, p. nel dintorno, pur di verso la parte quivi in conseguenza totalmente si vista et della illuminatione per le 612
Gemma Frisius 1556, I, p. 4;
people». 451; anche in Galilei 1929-39, vol. luminosa, qualche inegualità: le perdono». medesime linee rette, né potendo Aguilonius 1613, p. 503.
580
Cfr. Harriot 1588, in Van Helden VII, p. 482. stelle di Giove me le mostra 602
Ibid.: «Finalmente la terza essere ombra dove arriva il raggio 613
Rojas 1550, lib. I, cap. XI.
1977, p. 34. 591
Cfr. Lettera del 24 agosto 1609 al benissimo; Saturno non lo conosco, ragione […] [quando la luna è illuminante, adunque niuna delle 614
Del Monte 1579, II, pp. 139-140.
581
Cfr. Bloom 1978; Lohne 1979. doge Leonardo Donato, in Galilei né Venere non l’ò provata». Il appena una falce] vedrannosi parti oscure potrà esser veduta; ma Cfr. Guipaud 1998.
582
Kepler, Dissertatio cum Nuncio 1929-39, vol. X, pp. 250-251. Nel risultato artistico di queste intorno all’una e all’altra estremità bisognerà che per vederle il raggio 615
Del Monte 1579, p. 167.
Sidereo, in Galilei 1929-39, vol. III, 1, Sidereus Nuncius il riferimento alla osservazioni è menzionato da di esse corna, per assai lunghe visuale si elevi sopra detta 616
Cfr. Lencker 1571, fol. XXI.
p. 112. diottrica è assai più diretto: «…fu Federico Cesi in una lettera a distanze, poste nell’ultima superficie più del raggio solare». 617
Cfr., ad esempio, Dürer 1528;
583
I disegni di Galileo si conservano causa che io mi volgessi tutto a Galileo del 22 dicembre 1612: «Il circonferenza una, due e tre cuspidi 605
Lettera al Cigoli del 26 giugno Cousin 1560; Cousin 1571.
presso la Biblioteca Nazionale cercar le ragioni e ad escogitare i signor Cigoli s’è portato illuminate, staccate non solamente 1612, in Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 618
Scheiner 1612, p. 10; in Galilei
Centrale di Firenze, Ms. Gal. 48, fol. mezzi per giungere all’invenzione divinamente nella cupola della dalla punta del corno, ma tra di 340-343: «Conosciamo dunque la 1929-39, vol. V, p. 50.
54v, e Ms. Gal. 50, fol. 61v; cfr. di un simile strumento, che poco cappella di Sua Santità a Santa loro divise e distinte: il quale effetto profondità, non come oggetto 619
Cfr. Galilei 1613, [seconda lettera
Bredekamp 2000. dopo conseguii, basandomi sulla Maria Maggiore, e come buon in modo alcuno non accaderebbe, della vista per sé et assolutamente, a Marcus Welser, 14 agosto 1612],
584
Sulle prime dimostrazioni del dottrina delle rifrazioni»; cfr. Galilei amico e leale ha, sotto l’immagine quando l’esteriore et ultima visibil ma per accidente e rispetto al in Galilei 1929-39, vol. V, pp. 118-
cannocchiale come strumento 1929-39, vol. III, parte I, p. 60. Sui della Beata Vergine, dipinto la Luna circonferenza della luna fusse chiaro et allo scuro […] ma alla 119. Cfr. anche Galilei 1632, Dialogo
militare, cfr. la lettera di Galileo a fondamenti ottici del cannocchiale, nel modo che da V.S. è stata eguale e non montuosa. Ma che tali scultura il chiaro e lo scuro lo dà per primo, pp. 46-47, in Galilei 1929-39,
Benedetto Landucci, 29 agosto, cfr. Ronchi 1968, pp. 267-288; Van scoperta, colla divisione merlata e le cuspidi illustrate si vegghino per sé la natura, ed alla pittura lo dà vol. VII, p. 79: [Salviati] «L’altra
1609, in Galilei 1929-39, vol. X, p. Helden 1984; Dupré 2002. sue isolette», in Galilei 1929-39, vol. grandi intervalli disgiunte l’arte…». Cfr. anche Cigoli 1613, c. osservazione a quelli che non son
253. 592
Lettera al doge Leonardo XI, pp. 449-450. Cfr. anche Steven solamente dall’estremità delle 82r. costituiti nell’infimo grado
585
Cfr. Galilei 1929-1939, vol. XI, Donato, cit.: «potendosi in mare in Ostrow 1996; Booth-Van Helden corna, et non dal confine 606
Su questo argomento, cfr. Da d’ignoranza di prospettiva, dalla
lettere di Ludovico Cigoli a Galileo assai maggior lontananza del 2000; Reeves 1997. dell’ombra incontro alle parti di Costa Kauffman 1975, pp. 258-287. mutazione dell’apparenti figure, e
(pp. 241, 268, 286-288) e di consueto scoprire legni et vele 595
Per l’espressione «astronomia mezzo, cioè incontro al ventre, la 607
Accolti 1625, lib. III, cap. XXVIII: dall’apparente mutazion di velocità
Domenico Passignano a Galileo (pp. dell’inimico, sì che per due hore et visuale», cfr. Winkler-Van Helden ragione sarà manifesta a chi delle «…così restiamo capaci potersi di moto, si conclude
253, 276). Cfr. anche Reeves 1997. più di tempo possiamo prima 1992. diverse vedute in virtù della all’occhio nostro, et in disegno far necessariamente che le macchie son
586
La lettera (Pulkowo, Sterwarte, scoprir lui che egli scuopra noi, et 596
Alla composizione di questo prospettiva sarà capace, et se rappresentazione di quella precisa contigue al corpo solare…». Cfr.,
Kepler-Mss. XI, Bl. 205) è pubblicata distinguendo il numero et la qualità trattato fa riferimento lo stesso considererà che le cuspidi incontro veduta di qualsivoglia dato corpo, inoltre, la lettera di L. Cigoli a
in Kepler 1995, p. 149. Il disegno è de i vasselli, giudicare le sue forze, Galileo in una lettera a Belisario al ventre non solamente ci volgono esposto all’occhio (per così dire) del Galileo del 31 agosto 1612, in
conservato presso l’Accademia delle per allestirsi alla caccia, al Vinta (Padova, 7 maggio 1610). Cfr. la parte di loro aversa al sole, et Sole». Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 386-387:
Scienze di San Pietroburgo, Archivio combattimento o alla fuga; et Galilei 1929-39, vol. X, pp. 348-353. però tenebrosa, ma che gli spatii 608
Ibid.: «Et insegnandoci il «et se bene è andata [una specifica
dell’ex URSS.; cfr. Alpers 1983, p. 50. parimente potendosi in terra 597
Cfr. Leonardo da Vinci 1996, fol. ombrosi, che dalla parte luminosa testimonio del senso visivo […] che macchia seguita dall’inizio alla fine]
Sono grato a Gerald Holton per scoprire dentro alle piazze, 1r, p. 38. le separano e distinguono, si il Sole […] manda l’ombre sue, variando sempre di forma e di sito
avermi messo a disposizione quella alloggiamenti et ripari dell’inimico 598
L’operazione è descritta in perdono, per esser da noi veduti in parallele sul piano, per la immensa con l’altre, non di meno si è

238 239
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mantenuta grandissima sempre, successo a Firenze. Così risponde 639


V. Viviani, Matematica pura
fuori che negli estremi, quasi Galileo nella lettera del 24 ottobre (trattato incompleto di prospettiva
mostrandomisi in iscorcio, e nel successivo: «Ho veduto i disegni pratica), Firenze, Biblioteca
mezzo in faccia…». della faccia lunare, dei quali quelli Nazionale Centrale, Ms. Gal. 173, c.
620
Cfr. Galilei 1623, p. 209, in Galilei fatti con lapis e gesso sono 46.
1929-39, vol. VI, p. 354. ragionevoli, ma vi manca però il 640
V. Viviani, Il primo libro della
621
Cfr. Galilei 1613, [seconda lettera rappresentare una parte che io Perspettiva Curiosa contenente i
a Marcus Welser, 14 agosto 1612], stimo principalissima sopra tutte le principi della prospettiva et un
in Galilei 1929-39, vol. V, p. 140. altre, e questa è quelle tirate metodo generale… (traduzione
Sulla collaborazione degli artisti, lunghissime di monti scoscesi et altri delle prime pagine della Perspective
oltre alle già citate lettere di L. gruppi di scogli dirupati […] Gli altri curieuse di J.F. Niceron), Firenze,
Cigoli, cfr. le lettere di Domenico due disegni stampati sono Biblioteca Nazionale Centrale, Ms.
Passignano del 3 dicembre 1611 e veramente goffi oltre modo, e Gal. 246, cc. 4v, «dal libro intitolato
del 17 febbraio 1612, in Galilei disegnati da chi non abbia veduto Perspectiva Horaria sive de
1929-39, vol. XI, pp. 253, 276-277. mai la faccia della luna […] Il Gran Horographia Gnomonica. Autore
622
Sulla distinzione fatta da Keplero duca ne fa esso ancora disegnare, Rev. P. F. Emanuele Maignan. Libro
tra «imagines rerum» e «picturae», onde non credo che desideri altri in folio stampato in Roma 1648.
cfr. Kitao 1980. disegnatori». Sui disegni Libro 2° intitolato Optice Horaria»
623
Cfr. ad esempio la lettera di D. commissionati da Ferdinando II, cfr. (traduzione e trascrizione di alcuni
Antonini del 21 luglio 1612, in Baldinucci 1847, vol. V, pp. 30-31: passi con relative commenti),
Galilei 1929-39, vol. XI, pp. 363-365: «Circa l’anno 1642 volle lo stesso Firenze, Biblioteca Nazionale
«…col mio occhiale io non posso serenissimo far ritrarre al naturale Centrale, Ms. Gal. 326, cc. 503-546.
veder in una volta più che la quarta coll’aiuto di un grande e perfetto 641
Cfr. le lettere scritte da Niceron a
parte del diametro della luna». occhiale del Galileo, il gran Pianeta Leopoldo de’ Medici una volta
624
Vedi supra, pp. 79 e 135. della luna: e diedene l’incumbenza tornato a Parigi, il 20 e 30 marzo e
625
Sul micrometro cfr. Drake-Kowal ad alcuni spiritosi pittori: e non il 19 giugno di quell’anno: Firenze,
1980, p. 53; Shea 1999, pp. 518-520. dovea l’uno vedere l’operazione Biblioteca Nazionale Centrale, Ms.
626
Cfr. Sidereus Nuncius, in Galilei dell’altro: non so io per qual fine Gal. 275, Accademia del Cimento.
1929-39, vol. III, parte I, p. 61. dell’alto intelletto di quel gran Parte III. Carteggio, vol. I. Lettere
627
A tale riguardo cfr. anche Y. Zik, principe; se non fosse stato in parte scientifiche del padre Leopoldo.
Galileo and the Telescope, in per vedere, come ciascheduno di 642
Firenze, Istituto e Museo di Storia
«Nuncius», XIV, 1999, 1, pp. 31-67. loro in proporzione grande avesse della Scienza, inv. 3197. L’opera è
628
Cfr. la lettera di L. Cigoli a Galileo intese quelle meravigliose macchie, documentata come «Inscritione
del 28 luglio 1612, in Galilei 1929- per maggiore illustrazione e aspice ut insignis spolis Mediceus et
39, vol. XI, pp. 369-370. conferma delle veritadi, scoperte diottrica Ferdinando II Granduca»
629
Per la «macchina elioscopica», cfr. per mezzo di quel nobile nell’inventario figurato del 1768
Scheiner 1631, lib. II, cap. VIII, pp. strumento. Uno di costoro fu Baccio (Catalogo 1768, c. 170r).
76-77. del Bianco, che si portò bene: ed io 643
Cfr. la lettera del 20 marzo con la
630
Kircher 1646, lib. X, parte II mi abbattei alcuna volta in quale Niceron inviava a Leopoldo
(Magia Parastatica), cap. VIII (De compagnia di amici a vedervelo un «livre Intitulé la Perspective
Dioptrica), Parastasi I, p. 732. sopra operare». Baccio del Bianco, Pratique nouvellement mis en
631
Cfr. Noferi ca. 1640, cc. 20-49. discepolo di Galileo, fu architetto e lumiere [probabilmente l’opera di
632
Cfr. la lettera a Galileo del 26 lettore di matematica all’Accademia Jean Du Breuil, stampata a Parigi
settembre 1637, in Galilei 1929-39, del Disegno. nel 1642], pour satisfaire la curiosité
vol. XVII, pp. 185-186: «Il Sig.r Dino 634
Wren 1750, p. 205; cit. in Bennett qu’elle m’a temoigné avoire de
Peri mi scrive di quel pittore [Claude 2002, p. 38. cette science quand elle agree mon
Mellan] francese che dipinge la 635
Orléans 1671, cap. I. ouvrage de la Perspective curieuse»,
luna […] [Annuncia poi di aver 636
Ibid., cap. VI. presumibilmente donata al
preso a servizio un giovane pittore 637
E. Torricelli, Dialogo di Alessio e cardinale de’ Medici in occasione
francese per disegnare la luna] Conte, Firenze, Biblioteca Nazionale del loro incontro.
Questo è il medesimo che ha servito Centrale, Ms. Gal. 134, c. 1: «Quello 644
Cfr. Schickhardt 1624. La disputa
quel Monsù di Peyres francese che è un libro da un tale composto […] è segnalata in Panofsky 1927, pp.
ha fatto intagliare in rame i disegni Intitolato Prospettiva Pratica […] et 40-41, e Kemp 1994, p. 274.
che si diceva che erano tanto vegga che egli lo ha dedicato alli
meravigliosi, i quali però non sono Giovani Studiosi del Disegno…». Il
ancora comparsi in Roma […] testo è pubblicato in Torricelli 1919,
[manda alcuni schizzi del pittore a vol. II (Lezioni accademiche -
Galileo] per mostrarle al Gran Duca. Meccanica - Scritti varii), pp. 311-
Io credo che si potrebbe disporre 320. È datato al 1644.
questo pittore a venire a Firenze 638
La copia, eseguita da Eligio
[…] È giovane, ed ha cominciato a Bizzelli nel 1676 e confrontata con
dipingere solo da cinque anni in l’originale da G.B. Nelli e G.A.
qua». d’Andrea Ricci nel 1752, si trova
633
Il giovane pittore sostenuto dal presso la Biblioteca Nazionale
Castelli non sembra aver avuto Centrale di Firenze, Ms. Gal. 107.

240
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Prospectiva aedificandi
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230 D. Bramante, Santa


Maria presso San Satiro,
Milano, finto coro, 1479-82.

«Architectura ficta»: il ruolo di Bramante

230
Uno dei teorici meno coinvolti nella pratica artistica, il matematico Guidobaldo del
Monte, individuava nella prospettiva l’anello di congiunzione tra le due arti di maggiore
eccellenza, la pittura e l’architettura1. Il punto di vista del matematico pesarese era
ampiamente condiviso dai teorici del tempo e, sebbene non sempre espresso con la
stessa chiarezza, affiorava costantemente nelle pagine dei più influenti trattatisti.
L’abbiamo visto in Dürer, che consigliava ai pittori di apprendere le tecniche di
rappresentazione dei tagliapietra, e in Serlio, per il quale «il perspettivo non farà cosa
alcuna senza l’Architetura, ne l’Architetto senza perspettiva». Barbaro considerava
la prospettiva un tema vitruviano, e Vignola suggeriva di eseguire i disegni preparatori
«nel modo che ci havesse a servire d’Architettura»2. Fin dalle prime sperimentazioni
del Quattrocento, del resto, appariva chiaro che l’oggetto principale della
rappresentazione prospettica era l’architettura. Un buon pittore doveva possibilmente
essere anche un buon architetto o, almeno, conoscere dell’architettura tutto ciò che
riguardava il disegno degli ornamenti, dalle proporzioni alla sintassi degli ordini classici.
Gli sviluppi del quadraturismo e della scenografia imponevano un rigido controllo del
disegno architettonico e non è un caso che in questi campi eccelsero proprio quegli
artisti che applicarono il proprio talento alle due arti maggiori. Figura emblematica
del pittore-architetto fu Donato Bramante che, non a caso, esordì nel campo
dell’architettura attraverso un’opera di grande raffinatezza prospettica: il finto coro
di Santa Maria presso San Satiro a Milano (fig. 230).
Descrivendo il celebre affresco della Scuola d’Atene, dipinto da Raffaello nelle
Stanze di Giulio II, Vasari indicava tra i numerosi personaggi ritratti nelle vesti degli
antichi filosofi «una figura che chinata a terra con un paio di seste in mano, le gira
sopra le tavole; la quale dicono essere Bramante architettore»3. Raffaello aveva ritratto
il conterraneo Bramante nelle vesti di Euclide per simboleggiare la Geometria, una
delle arti del quadrivio da cui dipendevano, secondo Luca Pacioli, discipline come la
prospettiva, l’architettura e la cosmografia, discipline di cui Bramante era uno dei
maestri indiscussi del suo tempo. Di Bramante “cosmografo”, in realtà, non sappiamo
quasi nulla mentre la sua fama di “gran prospettivo” che precedette quella di “ingegnere
e architetto”, è ampiamente documentata e riconosciuta tanto dai contemporanei
quanto dalla critica storiografica. Singolarmente però il suo nome è quasi assente nelle
“storie” della prospettiva rinascimentale. Le riflessioni sulla sua attività prospettica
sono perlopiù funzionali alla discussione critica della sua opera architettonica. Lo stesso

242 243
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231 232 233


231 Maestro delle “Tavole
Barberini” (B. Corradini),
Presentazione al Tempio,
sec. XV. Boston,
Fine Arts Museum.

232 F. di Giorgio Martini


(attr.), Prospettiva
architettonica, sec. XV.
Berlino, Staatliche Museen.

233 Piero della Francesca,


Sacra conversazione,
1472-74. Milano, Pinacoteca
di Brera, inv. 00180376.

Pacioli omise di elencarlo tra gli artisti «in ditta arte famosi» ricordati nella Summa de generalmente faceva da sfondo ma che inevitabilmente si manifestava come il vero
arithmetica4. Eppure Bramante ha un merito incontestabile: quello di aver dimostrato oggetto della rappresentazione.
per primo le potenzialità architettoniche della prospettiva lineare che nei due secoli L’origine di un tale interesse per la prospettiva come anello di congiunzione tra ars
successivi si sarebbero espresse attraverso gli sviluppi della scenotecnica, del pingendi e scientia aedificandi risiede indubbiamente nella formazione urbinate di
quadraturismo, dell’architettura effimera e delle riflessioni teoriche sulle proporzioni Bramante che resta tuttora il principale nodo da sciogliere. Di lui non si ha alcuna
“ottiche” degli edifici. notizia prima del 1477, quando eseguì, già trentatreenne e professionalmente autonomo,
Circa la perizia prospettica di Bramante, i giudizi dei contemporanei erano piuttosto gli affreschi della facciata del palazzo del Podestà a Bergamo. Nessun supporto
unanimi. L’amico e protettore Gaspare Visconti che gli affidò la decorazione della documentario consente di verificare l’affermazione di Sabba da Castiglione relativa a
propria casa (poi Panigarola) lo ricordava come «huomo singolare» dotato di una vasta un apprendistato presso Piero della Francesca e, successivamente, presso Andrea
conoscenza, poeta eccellente e «sviscerato partigiano di Dante» 5. La sua abilità Mantegna, ma la notizia è comunque un’importante testimonianza dei riferimenti
nell’improvvisare versi fu segnalata anche dallo storico Domenico Maccaneo che lo culturali della pittura bramantesca. Senza prova documentaria, ma altrettanto
conobbe proprio in casa del Visconti ed ebbe modo di apprezzare la sua tendenza a significativa, è anche la notizia di Giorgio Vasari che legherebbe la formazione di
dipingere «mathematicos modos», così come si poteva vedere nella cosiddetta «camera Bramante all’opera di «Fra Carnevale da Urbino», al secolo Bartolomeo Corradini, noto
di baroni» in cui si trovavano gli Uomini d’arme oggi alla Pinacoteca di Brera6. Cesare come il maestro delle cosiddette “Tavole Barberini” (fig. 231)12. Il Corradini aveva in
Cesariano, che pure frequentava la casa del Visconti, ricordò Bramante come suo effetti i giusti requisiti per essere identificato come il maestro di Bramante: aveva svolto
precettore, pittore egregio e poeta facondo «benché illetterato», mettendo in luce il suo apprendistato nella bottega di Fra’ Filippo Lippi a contatto diretto con la tradizione
per primo il ruolo fondamentale che la «ratione optica», ossia la prospettiva, giocava prospettica fiorentina, era un eccellente prospettico con spiccati interessi per l’architettura,
nell’impianto “periptero” di Santa Maria presso San Satiro7. Sabba da Castiglione, poi, era certamente vicino a Piero della Francesca, era forse una figura di riferimento per
che forse lo conobbe a Milano, aggiunse alle qualifiche precedenti quella di artisti come Pinturicchio e Melozzo da Forlì, ma, soprattutto, era uno dei celebrati
«cosmografo», dichiarando Bramante discepolo di Mantegna e, come «gran prospettivo», «architecti et ingegneri» attivi alla corte di Federico da Montefeltro13. Il suo nome va
creato di Piero della Francesca8. Nell’ipotesi che l’opuscolo Antiquarie Prospettiche incluso tra quei maestri che contribuirono all’affermazione del gusto prospettico
Romane sia opera di Bramante, la qualifica di “prospettivo” si tradurrebbe infine nello alla corte di Urbino, un gusto per l’architectura ficta dialetticamente contrapposta a
pseudonimo con cui, intorno al 1500, l’artista riteneva di potersi più propriamente quella edificata di cui recano testimonianza opere fondamentali che certamente
identificare: Prospectivo Melanese, depictore9. segnarono le tappe dell’apprendistato di Bramante: le misteriose città ideali oggi a
A cominciare da Sebastiano Serlio, la critica ha spesso sottolineato il fatto che Urbino, Berlino e Baltimora, vere e proprie “icone” di questa visione intellettualistica
Bramante venne all’architettura attraverso la pittura10. Gli esordi lombardi ne sarebbero della pittura che un inventario del 1599 sembra legare esplicitamente al nome di
l’evidente riprova rivelando un graduale passaggio dall’architettura rappresentata a Corradini14 (fig. 232), le già citate “Tavole Barberini”, i pannelli perugini di san Bernardino
quella edificata, due aspetti che si compendiano visibilmente nella prima opera (Galleria Nazionale dell’Umbria), e composizioni di ben più ampio respiro architettonico,
architettonica, Santa Maria presso San Satiro, per poi sfumare verso una più sottile come lo studiolo del duca e la Sacra conversazione di Piero della Francesca (fig. 233).
interpretazione del rapporto tra forma e percezione visiva. Bramante però non fu Ciò che possiamo dedurre dall’opera nota di Bramante è che la sua presenza alla
propriamente un pittore; il suo interesse non era mai rivolto alla istoria, che secondo corte di Urbino, indipendentemente dai rapporti col Corradini, possa essersi protratta
Alberti era «summa opera del pittore»11, quanto piuttosto all’architettura che fino al 1475-76. Ciò giustificherebbe il richiamo a elementi formali e stilistici che lasciano

244 245
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234
234 B. Prevedari
(su disegno di Bramante),
Tempio in rovina, 1481.
Milano, castello Sforzesco,
presupporre la conoscenza di alcuni dei più celebrati capolavori prospettici della corte Civica Raccolta delle
urbinate, quali la Sacra conversazione di Piero (1472-74) e lo studiolo intarsiato del Stampe A. Bertarelli.
duca Federico (1474-76). L’ipotesi avanzata dalla critica che Bramante possa aver 235 Ricostruzione
partecipato alla realizzazione di queste opere in qualità di progettista dell’impianto del “tempio” rappresentato
prospettico-architettonico è però tutta da dimostrare15. Da chiarire è anche l’itinerario nell’incisione Prevedari
(dis. dell’autore).
dei suoi viaggi di studio o di lavoro: Firenze, Mantova, Venezia ma soprattutto Padova,
dove presumibilmente studiò con attenzione i bassorilievi prospettici di Donatello nella
basilica del Santo, i perduti Giganti di Paolo Uccello in casa Vitaliani, e gli affreschi di
Mantegna agli Eremitani, opere di cui si percepisce chiaramente il ricordo nella sua
imminente attività lombarda. I Filosofi della facciata del palazzo del Podestà a Bergamo
rimandano agli Uomini illustri dello studiolo di Urbino, ma la loro composizione sullo
sfondo di un contesto architettonico prospetticamente rappresentato dal basso potrebbe
non essere estranea alla suggestione degli affreschi della cappella Ovetari: non solo
le grandi composizioni di Mantegna ma anche i tondi di Nicolò Pizzolo – aiuto del
Lippi a Firenze e di Donatello a Padova – i cui Padri della Chiesa anticipavano gli amati
“scurti” della cultura prospettica lombarda di cui sarà espressione più tardi anche l’Argo
del castello Sforzesco. Gli eventuali motivi di ispirazione furono però adattati da
Bramante alla scala reale in modo da dotare la facciata di un disegno architettonico
capace di definirla plasticamente attraverso l’articolazione della parete con logge,
nicchie e pilastri. Quanto questo gli sia riuscito è difficile da valutare, dato il pessimo
stato di conservazione degli affreschi, ma il problema posto fu determinante per gli 235

sviluppi della sua arte prospettica: usare la prospettiva come elemento di definizione
architettonica dello spazio.

L’incisione Prevedari
Pochi anni dopo Bramante era a Milano, forse già attivo come architetto in Santa Maria
presso San Satiro fin dal 1479. Il documento che ne segnala la presenza alla corte
sforzesca è di straordinaria importanza: un contratto stilato tra il pittore Matteo Fedeli
e l’incisore Bernardo Prevedari il 24 ottobre 1481, con il quale il secondo si impegnava
a eseguire per il primo, entro due mesi, una stampa «cum hedifitijs et figuris […]
secundum designum in papiro factum per magistrum Bramantem de Urbino» (fig.
234)16. Bramante è chiamato magister, segno di uno stato professionale ormai consolidato
di cui reca testimonianza anche la firma posta ben in vista al centro dell’incisione:
«BRAMANTVS FECIT IN M[EDIO]L[AN]O». La circostanza potrebbe indurci a considerare Bramante
come uno di quei “maestri di prospettiva”, solitamente intarsiatori, che occasionalmente
fornivano i cartoni degli impianti prospettici ai pittori. La collaborazione tra pittori e
legnaioli («magistris eruditis in dicta arte lignaminis et perspectivae») si registra
costantemente nel breve periodo di sviluppo della tarsia rinascimentale: a Firenze con
Giuliano da Maiano e Alessio Baldovinetti, a Urbino con lo stesso Da Maiano e Botticelli,
in Emilia con Piero e i Lendinara, e a Pavia con Pantalone de’ Marchi («magister tarsiarum
et perspective») e Bernardo Zenale17. Non è chiaro però se il Fedeli, a quel tempo
impegnato come decoratore in Santa Maria presso San Satiro, era il committente o un
intermediario incaricato di curare l’esecuzione dell’opera. È invece evidente, considerato
l’accento posto sulla data di consegna, che l’incisione era destinata a un’occasione

246 247
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236 237 238


236 Santa Maria presso
San Satiro, impianto
prospettico del finto coro
e restituzione degli spazi
illusori: in alto a sinistra,
pianta reale; a destra, pianta
fittizia (dis. dell’autore).

237 D. Bramante, Santa


Maria presso San Satiro,
particolare della volta
del finto coro.

238 A. Mantegna, sfondato


prospettico, 1465-74.
Mantova, castello di San
Giorgio, Camera degli Sposi.

importante. Il soggetto è genericamente identificato come Tempio in rovina anche se elementi “ordine più arco” (con le «columnae quadrangulae» albertiane) differenziati
il carattere enigmatico della rappresentazione ha dato luogo a ben più sottili in tre sistemi proporzionati alla gerarchia degli spazi: cupola e bracci, vani angolari e
interpretazioni iconografiche18. L’opera è come uno spaccato della cultura artistica di cappelle (fig. 235). Tale chiarezza compositiva corrisponde al concetto di «commensuratio»
Bramante, quasi un autoritratto intellettuale. L’atmosfera sacrale rimanda infatti formulato da Piero nel De prospectiva pingendi ma trova un appropriato riscontro
alle “Tavole Barberini”, dove analogamente le figure si inseriscono discretamente quasi anche nelle parole con cui Bramantino avrebbe descritto, secondo Lomazzo, il suo
soltanto come “modo e misura” dello spazio architettonico. La Sacra conversazione «primo modo di prospettiva»: «E sappiasi che questa prospettiva, che si fa per ragione,
di Piero è quasi letteralmente citata nell’abside con la botte cassettonata e la conchiglia misura et ordine si esercita con il sesto e la rega e con la regola di detta prospettiva,
rovesciata. Ricordi mantegneschi si possono osservare nei fregi antichizzanti, nei centauri cioè braccia, oncie, minuti, pertiche e miglia. E niuna cosa si fa di cui non si sappia la
e nei medaglioni, così come nella figura dell’orante in primo piano, riferibile a un grandezza appresso o lontano e precisa ogni sua parte»21.
apostolo dell’Assunzione della Vergine degli Uffizi. Il busto inserito nell’occhio della Le “incongruenze” che inevitabilmente capita di incontrare, come in qualsiasi
lunetta sopra l’abside ricorda gli analoghi busti classicheggianti dipinti da Vincenzo restituzione prospettica, sono dovute tanto a errori di trasporto del disegno sulla lastra,
Foppa nella cappella Portinari che certamente rappresentava un importante punto di quanto a precise scelte compositive. È evidente, ad esempio, la volontà di mettere ben
riferimento per la cultura prospettica lombarda. Vi sono poi le citazioni più propriamente in vista l’occhio a “ruota di carro”, imponendo un improbabile slittamento dell’intera
architettoniche, come l’occhio a “ruota di carro” che richiama la cappella Colleoni di lunetta rispetto all’arco sottostante. Le ombre sono forti in alzato e quasi inesistenti
Bergamo (ma anche i sostegni dei finti sedili nello studiolo di Urbino), e i capitelli a terra in modo da non compromettere la leggibilità della profondità prospettica, e
pseudocorinzi riferibili a quelli del ciborio di Sant’Ambrogio. nel vano absidale la volta a botte presenta lo stesso problema “sciografico” del suo
L’impianto prospettico è chiaro e ordinato. Tutte le linee recedenti in profondità modello di ispirazione (la Sacra conversazione): anziché tracciare la curva obliqua
convergono verso un unico punto di fuga coincidente con la B di «BRAMANTVS», così che generata dalla proiezione del profilo dell’arco, l’ombra segue la nervatura rettilinea
il nome dell’autore risulta scritto proprio sopra la linea dell’orizzonte. Quest’ultima dei cassettoni come a non voler disturbare la dominante convergenza delle linee verso
è alta dalla linea di terra tre volte il lato di una lastra della pavimentazione, secondo il punto di fuga centrale22. In questo caso, quindi, perfino il rigore geometrico passa
una consuetudine introdotta da Leon Battista Alberti nel De pictura19. A differenza in secondo piano rispetto a quello che è e resta il problema prioritario di Bramante,
delle «tre braccia» che per Alberti corrispondevano all’altezza di un uomo, i tre moduli vale a dire la visualizzazione cristallina dello spazio architettonico.
di Bramante definiscono un orizzonte appena più alto delle teste dei personaggi. Le
linee parallele al quadro risultano correttamente digradate da un punto di vista la cui Il finto coro di Santa Maria presso San Satiro
distanza dal quadro è in rapporto aureo (1,618) con la larghezza del quadro stesso. La necessità di risolvere l’architettura come rappresentazione di se stessa si manifestò
Come si può ricavare dalla restituzione prospettica già proposta da Arnaldo Bruschi magistralmente nella costruzione del finto coro di Santa Maria presso San Satiro (1479-
nel 1969, alla chiarezza del disegno prospettico corrisponde un altrettanto chiaro 82) dove le premesse urbinati trovarono la loro massima espressione (fig. 236). Qui
impianto architettonico20. Prima di essere disegnato in prospettiva l’edificio fu l’architectura ficta e quella edificata si compenetravano e si risolvevano reciprocamente.
accuratamente progettato, sia nell’impianto generale a croce iscritta (la quincunx Più precisamente, la prospettiva cessava di essere un problema pittorico applicato
bizantina che maturò nel progetto per San Pietro) sia nella connessione sintattica degli all’architettura e diventava a pieno titolo architettura essa stessa: prospectiva aedificandi.

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239 T. Lombardo,
Scuola Grande di San Marco,
Venezia, facciata, 1489-95.

240 Donatello, Il miracolo


della mula, 1446-50. Padova,
basilica di Sant’Antonio,
altare del Santo.

Il coro prospettico non è risolto pittoricamente ma plasticamente, con i materiali stessi con la produzione pittorica: oltre al citato capolavoro di Masaccio, possibili punti di
dell’edificio in cui si andava a collocare; e non è neanche una soluzione scultorea da riferimento erano la Sacra conversazione di Piero e la Camera degli Sposi di Mantegna
bassorilievo dal momento che possiede una sua logica strutturale ed è concepito, a Mantova (fig. 238). L’architettura dell’abside disegnata da Piero, già citata da Bramante
almeno sul piano concettuale, come supporto statico e spaziale della cupola. nell’incisione Prevedari, è quasi letteralmente ripresa nel finto coro; i capitelli sono
Indipendentemente dalle vicende costruttive della chiesa (doppia fase o progetto molto simili, le scure specchiature laterali sono sostituite dal vano ombroso degli archi,
unitario), risulta evidente che il finto coro fu concepito come perno dell’edificio. Intorno la nicchia depressa è sdoppiata sulla parete di fondo, la volta ripropone il cassettonato
a esso si articolò la composizione degli spazi, quelli reali e quelli suggeriti dalla classicheggiante ma ricomposto, come nella Trinità di Masaccio e nell’incisione Prevedari,
rappresentazione. In esso si concludeva la fruizione visiva dello spazio interno. L’illusione con la nervatura centrale. Un elemento che richiama la Camera degli Sposi è invece la
di una sua estensione pari alla lunghezza di uno dei bracci del transetto restaurava decorazione ad anelli tangenti ritrovata sotto gli archi laterali durante gli ultimi restauri;
l’equilibrio “statico” e compositivo di una cupola altrimenti sbilanciata che recuperava è il motivo del parapetto del grande occhio a cielo aperto dipinto da Mantegna sul
in questo modo la sua funzione centralizzante. La sua capacità di catturare lo sguardo soffitto della stanza, un motivo che compare tra l’altro anche alla base della cupola di
dell’osservatore rafforzava inoltre il potere dell’immagine taumaturga, scenograficamente Santa Maria delle Grazie in contrapposizione prospettica con il “cielo terso” della volta.
ospitata in uno spazio che si proponeva come “miracolo” ottico: forse il «mirabili L’architettura del finto coro ha ritmi e proporzioni perfettamente percepibili a
artificio» di cui si legge nell’atto di approvazione della Scuola di Santa Maria di San occhio sulla base di un rapido confronto con l’architettura edificata. In una profondità
Satiro concesso nel 1480 da Bona di Savoia e Galeazzo Maria Sforza23. reale di appena 120 cm, Bramante sviluppa il quarto braccio di un impianto cruciforme
In quest’opera emergeva lo spirito sperimentale di Bramante che si confrontò con che sembra estendersi per circa undici metri, delimitato come gli altri bracci della croce
un problema mai affrontato in precedenza e rimasto sostanzialmente senza seguito, da tre campate aperte su navatelle o chiuse da nicchie depresse. Sulla volta si contano
se si escludono gli apparati effimeri del periodo barocco, ossia risolvere illusionisticamente dieci cassettoni trasversali e sette in profondità. Considerando però che la ghiera
non una parete o una stanza, ma un organismo complesso di grandi dimensioni. Il dell’arco frontale ha una sporgenza uguale a quella degli altri tre che delimitano lo
richiamo alla Trinità di Masaccio è legittimo ma in quel caso la rappresentazione spazio cupolato, si può ritenere che dietro di essa vi sia un intero cassettone nascosto.
“sfondava” una parete e si legava all’architettura esistente senza pretendere di I cassettoni in profondità sarebbero perciò otto, uno per ogni pilastro e due per
ridefinirne gli spazi, se non nell’area circoscritta della sua ubicazione. La tecnica di ogni campata. Anche qui Bramante adottò un orizzonte piuttosto alto, circa 260 cm,
esecuzione, inoltre, non superava i limiti della rappresentazione pittorica, mantenendo ma la scelta fu probabilmente imposta dalla necessità di rendere ben visibile l’immagine
ben distinti i piani concettuali di spazio reale e finzione prospettica. A San Satiro, taumaturga: un orizzonte più basso avrebbe determinato un abbassamento eccessivo
invece, Bramante ricercò l’illusione totale. Sfruttò al massimo lo spessore murario dell’arco di fondo e, di conseguenza, dell’immagine sacra e dell’altare24. Inoltre, la volta
per sviluppare tridimensionalmente l’impianto prospettico e usò gli stessi materiali, avrebbe occupato una superficie troppo ampia rispetto al resto dell’architettura finta
gli stessi colori e gli stessi motivi ornamentali presenti nell’edificio (fig. 237). Niente e la sua maggiore accelerazione prospettica avrebbe generato un legame meno
ombre finte: il chiaroscuro fu ottenuto naturalmente, lasciando cadere la luce dall’alto armonioso con l’architettura reale. Un elemento apparentemente irrisolto e discordante
della cupola sui rilievi del cassettonato, delle cornici e dei finti archi. rispetto al rigore dell’impianto prospettico è la linea di terra che, anziché salire verso
L’impianto rigorosamente centrale con la volta a botte a lacunari e l’esecuzione a il punto di fuga, come imporrebbero le regole, si mantiene orizzontale. Si tratta però
stucco ha indotto la critica a richiamare spesso anche i celebri bassorilievi di Donatello di un falso problema; la fascia inferiore del finto coro era infatti nascosta da una
a Padova, o quelli di Antonio Rossellino e Desiderio da Settignano. Il confronto però balaustra in ferro (sostituita nel 1693 con una marmorea) che rendeva superflua qualsiasi
non regge di fronte all’enorme differenza di scala che rende più plausibile il legame operazione di definizione prospettica della linea di terra25.

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241 T. Lombardo, Storie 242 D. Bramante,
dei miracoli di sant’Antonio, Scena tragica, 1495.
1500-05. Padova, basilica Londra, British Museum.
di Sant’Antonio, cappella
del Santo. 243 Raffaello, bozzetto
scenico per I Suppositi
dell’Ariosto, 1519. Firenze,
Gabinetto Disegni e Stampe
degli Uffizi, 242A, 560A.

Come l’incisione Prevedari, il finto coro ebbe un impatto immediato negli ambienti Pellegrino da Udine a Mantova nel 1508 per la Cassaria di Ariosto. La prima scena fissa
artistici del tempo che ne colsero però più l’aspetto decorativo che le potenzialità a rilievo sembra doversi ancora al Genga che nel 1513 costruì per la Calandria del
architettoniche. A parte le nicchie prospettiche di Giovanni Battagio nell’Incoronata Bibbiena «una città bellissima con le strade, palazzi, chiese, torri, strade vere e ogni
di Lodi (1488), che riprendono quelle analoghe del transetto di Santa Maria, il tentativo cosa di rilievo, ma aiutata ancora da bonissima pittura e prospettiva bene intesa»,
più significativo fu compiuto da Tullio Lombardo a Venezia e a Padova (fig. 239). I come documentò con entusiasmo il Castiglione28. Il finto coro è troppo ben congegnato
rilievi della facciata della Scuola Grande di San Marco (1489-95) hanno certamente per essere estraneo a questo tipo di esperienze che, se non già alla corte di Urbino,
come modello principe lo sfondo prospettico del Miracolo della mula di Donatello a Bramante sperimentò certamente a Milano dove lo sappiamo incaricato nel 1495, per
Padova (fig. 240), ma potrebbero non essere estranei all’influenza dell’opera di volere del duca, di progettare «qualche digna fantasia da mettere in spectaculo»29.
Bramante26. Il tentativo di sfondare la parete è lodevole anche se la tecnica scultorea Al 1495 si fa risalire una nota incisione che illustra chiaramente questa tipologia
del bassorilievo marmoreo e la collocazione all’aperto che ne appiattisce i rilievi riducono scenica con la didascalia «BRAMANTI ARCHITECTI OPVS» (fig. 242). Si tratta della più antica
l’opera a pura decorazione, priva di quelle valenze architettoniche di cui è dotato testimonianza della scena prospettica rinascimentale, la cui influenza si può facilmente
appunto il finto coro. Gli stessi limiti si possono notare nel grande rilievo marmoreo rintracciare tanto nei modelli vitruviani elaborati da Serlio (1545), quanto nella pratica
dell’Incoronazione della Vergine (1502) in San Giovanni Crisostomo che, pur suggerendo teatrale del primo Cinquecento, come suggerisce la similitudine tra l’edificio di sinistra
l’espansione spaziale all’interno di un finto ambiente voltato, non cerca l’integrazione e quello disegnato da Raffaello per I Suppositi dell’Ariosto (1519) (fig. 243)30.
materica con l’edificio che lo ospita. Più riuscito è l’impianto prospettico delle Storie Il periodo a cui risale la notizia dell’attività scenografica di Bramante corrisponde
dei miracoli di sant’Antonio (1500-05) nella cappella del Santo a Padova, a diretto a quello dei lavori al Castello di Vigevano dove l’«architecto nostro», come lo chiamava
contatto con il modello donatelliano (fig. 241). Anche qui, tuttavia, la tecnica scultorea Ludovico il Moro, era responsabile anche della decorazione pittorica delle stanze e,
e la scala leggermente ridotta delle figure e dell’architettura impediscono il necessario forse, della piazza. Non sappiamo se le finte architetture dipinte sulle facciate degli
coinvolgimento ottico dell’osservatore che ha sempre la chiara consapevolezza di edifici che delimitano la celebre piazza-salone siano state direttamente progettate da
trovarsi di fronte a un bassorilievo. La differenza sostanziale tra l’opera di Tullio Bramante ma non c’è dubbio che lui ne sia stato l’ispiratore (fig. 244). Anche qui è
Lombardo e quella di Bramante sta proprio nel fatto che l’una è solo disegnata, mentre l’architettura rappresentata a prevalere come elemento caratterizzante dello spazio
l’altra è costruita. Un’eco lontana, ma proveniente dalla conoscenza diretta che Borromini edificato e chiarissimi sono i riferimenti all’architettura dell’incisione Prevedari: i capitelli
dovette fare del finto coro durante il suo apprendistato milanese, può essere individuata pseudocorinzi con la fascia inferiore a cesto, le imagines clypeatae nelle specchiature
nei progetti del cardinale Bernardino Spada: non solo la galleria prospettica per il degli archi, e le colonne a candelabro. Il motivo dell’arco trionfale che contrassegna
giardino segreto del suo palazzo in piazza Capodiferro, che vedremo più avanti, ma l’interpretazione della piazza come foro antico si propone inoltre come un “fondale”
anche il non realizzato “finto coro’” in San Lorenzo in Lucina ispirato all’apparato non troppo dissimile da quello posto al centro della veduta scenica appena ricordata.
effimero costruito da Girolamo Rainaldi nella chiesa del Gesù27. Tra il finto coro e gli affreschi di Vigevano si colloca la decorazione prospettica della
casa di Gaspare Visconti (poi Panigarola), eseguita da Bramante tra il 1487 e il 1492. I
Scenografia e quadraturismo frammenti superstiti, ora ricomposti alla Pinacoteca di Brera, provengono tutti dalla
Il problema tecnico affrontato da Bramante a San Satiro fu decisivo proprio per gli stessa stanza (salvo forse Eraclito e Democrito) dove, secondo Lomazzo, Bramante
imminenti sviluppi della scenografia teatrale e dell’architettura effimera. Per quanto avrebbe ritratto alcuni nobili della corte sforzesca «armati da baroni» (fig. 245). Il
ne sappiamo le prime scene prospettiche illusionistiche furono quelle realizzate da modello iconografico aveva illustri precedenti certamente noti a Bramante, quali gli
Girolamo Genga a Urbino nel 1506 per l’egloga Tirsi di Baldassarre Castiglione, e da Uomini famosi di Andrea del Castagno, gli Uomini illustri dipinti da Giovanni Boccati

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244 Vigevano, palazzo
Ducale, particolare
delle facciate dipinte,
ca. 1495.

245 Ricostruzione degli


affreschi di casa Panigarola
e restituzione degli spazi
illusori (dis. dell’autore).

246 D. Bramante, Eraclito


e Democrito, 1487-92.
Milano, Pinacoteca di Brera
(già in casa Panigarola).

nel palazzo Ducale di Urbino e i cosiddetti “giganti” di Paolo Uccello il cui ricordo perfetto nel nome della Temperanza e della Giustizia33. Questa lettura conferirebbe
sembra tornare ancora nella perduta decorazione bramantesca della facciata di casa un ruolo allegorico anche alle figure di Eraclito e Democrito (ammesso che fossero in
Fontana. Non estranei alla memoria di Bramante potrebbero essere anche gli Uomini questa stanza) come personificazioni degli estremi atteggiamenti umani nei confronti
d’arme scolpiti verso il 1476 da Pietro Lombardo a Venezia per la tomba Mocenigo della vita, il pianto e il riso che Lomazzo aveva interpretato come «il giuoco di natura»
in San Giovanni e Paolo che ricordano i “baroni” di casa Panigarola sia nei dettagli (fig. 246)34. Tra queste due figure, dove Bramante potrebbe aver ritratto se stesso nei
delle armature sia nella collocazione davanti a profonde nicchie semicircolari31. panni di Democrito e l’amico Leonardo nelle vesti di Eraclito, sta sospeso un globo
La casa del Visconti a Porta Ticinese era un luogo di incontri letterari. Bramante terrestre che risulta essere l’unica testimonianza sopravvissuta del Bramante
sembra esservi vissuto, ospite del ricco mecenate, nel periodo a cui si fanno risalire gli «cosmografo» di cui parlava Sabba da Castiglione. Nella Chorografia di Domenico
affreschi. Una particolare riunione è ricordata in versi da Domenico Maccaneo; Macaneo, Bramante è ricordato come fonte diretta di importanti notizie geografiche
erano presenti, tra gli altri, il giovane Cesariano, e Bramante nelle vesti di «poeta relative al territorio lombardo e non è da escludere che i versi sull’aspirazione a
volgare» e «pittore matematico». Dall’inventario dei beni stilato dopo la morte del dipingere «mathematicos modos» siano stati ispirati anche dalla rappresentazione di
Visconti, nel 1500, sappiamo che accanto alla «camera di baroni», affrescata con la questo globo35.
serie degli Uomini d’arme, si trovava la «camera de la scola», dove forse stavano Eraclito
e Democrito (oggi ricomposti insieme ai “baroni”), e la «camera de li arbori», Bramante cosmografo
presumibilmente decorata con quei raffinati intrecci vegetali (i “gruppi di Bramante”) Il rapporto tra pittura e cosmografia era segnalato già da Tolomeo, là dove distingueva
che Leonardo fece propri nella sala delle Asse e Albrecht Dürer diffuse a stampa col la geografia come disciplina matematica per la rappresentazione dell’intero ecumene
nome di «nodi»32. Gli Uomini d’arme sono dipinti all’interno di nicchie illusionistiche dalla corografia come arte pittorica per la rappresentazione di una singola regione36.
separate da coppie di paraste che ancora una volta tendono decisamente a condizionare La figura del pittore-cosmografo vantava nel Quattrocento nomi di grande levatura,
la percezione dello spazio reale. Come nello studiolo di Urbino, la parte basamentale come Francesco Rosselli, Piero del Massaio, Francesco di Giorgio, Leonardo. Di Bramante
è caratterizzata da sporgenze e rientranze che intendono chiaramente interrompere conosciamo solo questa rappresentazione cartografica ma sappiamo che per Giulio
l’andamento continuo del perimetro della stanza, ampliando illusionisticamente lo II eseguì una carta d’Italia e per il Moro, sembra, una mappa celeste con orologio dei
spazio oltre i limiti del piano murario. Non era ancora il motivo della travata ritmica pianeti37. Dal punto di vista cartografico, il globo terrestre di casa Panigarola è
con cui Bramante risolse il cortile superiore del Belvedere, ma l’alternanza di pieni e particolarmente accurato e perfino aggiornato nella definizione di regioni ancora
vuoti conferiva alla parete una valenza plastica che preludeva alle invenzioni scarsamente rilevate, come la Scandinavia che compare per la prima volta tra le
architettoniche del periodo romano. Le figure stanti, poco più grandi del naturale, «tabulae novae» della Geografia pubblicata a Ulma nel 1482 da Nicholaus Germanus,
assecondano il motivo architettonico occupando in alternanza posizioni avanzate e forse il «Ptolomeo cum le tagole» inventariato nella biblioteca di Gaspare Visconti38.
arretrate, alcune su mensole sporgenti, altre all’interno delle nicchie. La loro dimensione Dal punto di vista proiettivo, tuttavia, il mappamondo di Bramante si distingue
apparente ovviamente varia in rapporto alla posizione: il Giovane dalla mazza, stante nettamente dai contemporanei planisferi tolemaici, sia perché rappresentato in forma
sulla mensola sporgente, ad esempio, è visibilmente più alto dell’Uomo dallo spadone di globo sia perché disegnato in prospettiva (fig. 247). Il primo planisfero conosciuto
che occupa la nicchia centrale. in forma di globo fu stampato a Norimberga proprio in quegli anni39. La sua funzione
Sul piano iconografico, la critica ha in parte rivisto la tesi tramandata da Giovanni cartografica obbligò però il cartografo a mantenere le caratteristiche proprie di una
Paolo Lomazzo che vedeva negli affreschi i ritratti eroici di uomini famosi, avanzando mappa, ossia l’intervallo costante tra i meridiani e la rappresentazione dell’intero
l’ipotesi che il Visconti avesse voluto far rappresentare l’idea platonica dello Stato emisfero orientale, secondo i limiti indicati da Tolomeo, da 0° a 180°. Diversamente,

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il globo di Bramante mostra solo una parte dell’emisfero orientale e precisamente i due si siano incontrati, se non a Milano o a Venezia, forse a Bologna dove nel
quella compresa tra le Isole Fortunate (Canarie), dove Tolomeo faceva passare il primo novembre del 1506 Bramante era al seguito di Giulio II e Dürer si recò per apprendere
meridiano, e l’isola di Taprobana (Sri Lanka), oltre la quale passava il 130° meridiano. da un ignoto maestro «l’arte segreta della prospettiva»43.
Come infatti si deduce già dall’Ottica di Euclide (teor. XXIII), la rappresentazione A distanza di pochi anni, il globo di casa Panigarola sembra riaffiorare (proprio
prospettica di un globo non potrebbe mai mostrare un intero emisfero. Nel globo di nelle mani di Tolomeo) nella Scuola d’Atene di Raffaello. I colori sono gli stessi usati
Bramante mancano del tutto le indicazioni geografiche ma sembra chiaro che il centro da Bramante, verde per le terre emerse e azzurro per gli oceani (fa eccezione la
del cerchio corrisponda alla città di Syene (Assuan), riferimento importante nella campitura rossa del mar Rosso), e si può notare che anche qui il centro del cerchio
cartografia tolemaica perché la sua latitudine coincide con il tropico del Cancro (23°30’). sembra coincidere con la città di Syene. La rappresentazione tuttavia è molto meno
Il globo, dunque, è ruotato verso l’osservatore di 23°30’ in modo da mostrare al meglio accurata, tanto da non consentire di andare oltre una semplice segnalazione. L’ipotesi
la porzione conosciuta dell’emisfero boreale. L’emisfero australe è quasi interamente che i due globi possano derivare dalla stessa matrice è confortata dall’altra, di estrazione
occupato dalla «terra incognita secundum ptholomeum» verso cui sconfina il continente vasariana, che Bramante abbia progettato l’impianto prospettico dell’affresco: «insegnò
africano, circumnavigato proprio in questi anni da Bartolomeo Dias ma non ancora molte cose di architettura a Raffaello da Urbino, e così gli ordinò i casamenti che poi
rappresentato correttamente nelle carte. Il globo disegnato da Bramante potrebbe tirò di prospettiva nella camera del papa, dov’è il monte di Parnaso, nella qual camera
essere la rappresentazione di un oggetto reale, forse un mappamondo posseduto dal Raffaello ritrasse Bramante che misura con certe seste» (fig. 248)44. La fama di
Visconti, magari ritratto dal vero secondo quello che Lomazzo divulgò come il «terzo “prospettivo” che accompagnava Bramante nella sua prima attività romana (vedi i
modo di prospettiva» di Bramantino che prevedeva l’uso della «graticola» albertiana perduti affreschi in San Giovanni in Laterano) fu associata da Vasari a un’architettura
o di un vetro interposto tra il globo e il pittore, secondo una prassi indicata da Leonardo ficta che la critica ha sempre guardato con attenzione per le sue analogie con l’erigenda
nel già ricordato disegno del Codice Atlantico40. fabbrica di San Pietro. Indipendentemente dalla paternità della costruzione prospettica
Non si può escludere, tuttavia, che Bramante abbia costruito il disegno della Scuola d’Atene, i riferimenti bramanteschi sono alquanto evidenti: nell’alternanza
geometricamente servendosi del procedimento puntigliosamente illustrato da Piero di nicchie con figure e coppie di lesene, ad esempio, che rimanda a casa Panigarola;
per disegnare la prospettiva di una testa umana opportunamente divisa, come un nella centralità del braccio voltato a botte cassettonata che richiama San Satiro; nel
globo, in meridiani e paralleli41. Così sembra aver operato, ad esempio, Albrecht Dürer suggerimento della quincunx già presente nell’incisione Prevedari; ma soprattutto
nel 1515 nel disegnare il già menzionato globo terrestre in prospettiva per il cosmografo nell’architettura «chiara, schietta e luminosa» che caratterizza, secondo Michelangelo,
Johann Stabius42. Anche Dürer fece passare il tropico del Cancro per il centro del l’opera romana di «Bramante architettore»45. Il contributo di Bramante alla ricerca
cerchio che delimita il globo, ma scelse come asse centrale il 90° meridiano (centro prospettica rinascimentale si misura, quindi, soprattutto sul piano architettonico, nella
dell’ecumene tolemaico) e, allontanando il punto di vista, comprese una maggiore definizione ampiamente riconosciuta di un comune e tacito principio secondo il quale,
porzione dell’emisfero (circa 150°). Non sappiamo quanto Dürer conoscesse dell’opera se la bellezza è ricercata dallo sguardo, è nei parametri di questo veicolo naturale tra
di Bramante, con cui aveva in comune anche il motivo dei «nodi», ma è possibile che la mente e il mondo esterno che essa deve essere consapevolmente costruita.

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247 Ricostruzione del globo
dipinto tra le figure di Eraclito
e Democrito (dis. dell’autore).

248 Raffaello, La Scuola


d’Atene, 1509-11. Città
del Vaticano, palazzi Vaticani,
stanza della Segnatura.

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249 S. Serlio, Il Secondo
Libro. Di Perspettiva,
Paris 1545, lib. III, p. 44,
il tempietto di San Pietro
La «ratione optica» dell’architettura in Montorio a Roma.

250 C. Cesariano,
De Lucio Vitruvio Pollione
De architectura libri decem…,
Como 1521, lib. I, cap. I,
c. 11, geometria dei raggi
visivi e luminosi.

L’importanza della prospettiva per l’interpretazione di Bramante architetto è


generalmente condivisa dalla critica fin dal XVI secolo. Come è noto, Serlio giustificò
l’eccessivo sviluppo in altezza del tempietto di San Pietro in Montorio riconoscendo
l’intenzione di Bramante di privilegiare il valore ottico delle proporzioni: sebbene
l’edificio superi in altezza il doppio della larghezza, «nondimeno in opera, per le
aperture delle finestre e dei nicchi che vi sono, onde la vista si viene a dilatare, tale
altezza non offende, anzi per le duplicate cornici le quali girano intorno, che rubano
assai all’altezza, il tempio si dimostra assai più basso ai riguardanti, ch’egli non è in
effetto» (fig. 249)46. Il principio geometrico in base al quale fu attuata questa correzione
ottica delle proporzioni fu esemplificato da Serlio nel primo libro del suo trattato,
desumendolo forse dagli scritti di Albrecht Dürer ma più probabilmente dalla tradizione
esegetica che con Cesariano riscopriva il problema delle «temperaturae» vitruviane
alla luce delle nuove conquiste prospettiche del Rinascimento47.
In casa di Gaspare Visconti molto probabilmente si leggeva e si commentava anche 250

Vitruvio. Una copia del De architectura era inventariata nella sua biblioteca e tra i
suoi ospiti, come già ricordato, c’era anche Cesariano che a quel tempo lavorava come
pittore nella bottega di Matteo Fedeli48. Nel suo commentario a Vitruvio, pubblicato
a Como nel 1521, Cesariano si mostrò particolarmente attento ai problemi ottici
dell’architettura, tanto da meditare la stesura di uno specifico trattato sull’argomento:
«spero ne scrivaro uno praecioso et provato opusculo avante che io mora»49. È
presumibile che sia stato proprio Bramante a richiamare l’attenzione di Cesariano sui
passi vitruviani relativi ai principi ottici dell’architettura e, non a caso, il suo intervento
in Santa Maria presso San Satiro è citato come un magistrale esempio
dell’interpretazione moderna del tempio periptero in virtù della «ratione optica»: i
templi possono avere «nicchie capellete in circuito facte di basserilevo, como molti
moderni hano facto per la ratione optica, pare habiano un introrso magno, si como
in la praedicta aede dil Divo Satiro ha Architectato epso Bramante» (IV, VII).

Le «temperaturae»
In apertura del trattato (I, I), Cesariano spiegava che la «ratione optica» invocata da
Vitruvio per il controllo proporzionale degli edifici era una scienza di origine greca
nota tra i latini come ratio perspectivae. I suoi principi geometrici erano gli stessi che
governavano il campo d’indagine di altre discipline, quali la gnomonica, l’astronomia,

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la cosmografia, la topografia, l’idraulica e la prospettiva pittorica. Il concetto fu va considerato soprattutto Bramante, e forse non è casuale che la distanza tra la porta
espresso graficamente attraverso un’immagine in cui i raggi visivi e luminosi erano d’ingresso e il finto coro di Santa Maria presso San Satiro corrisponda proprio a circa
presentati come strumenti essenziali di ogni operazione di misura terrestre o tre volte e mezzo la larghezza del coro stesso.
astronomica: stimare le distanze sideree, misurare il tempo, orientare gli edifici, rilevare Vitruvio raccomandava l’applicazione di correttivi ottici soprattutto all’architettura
i terreni, costruire gli acquedotti, disegnare in prospettiva (fig. 250). L’ottica era «socia templare, dall’ispessimento delle colonne angolari (III, II), all’inclinazione in avanti
de la scientia gnomonica» che Vitruvio considerava parte fondamentale dell’architettura dei fastigi (III, III), alla scelta del numero delle scanalature dei fusti (IV, IV). Ma era il
e Cesariano reputava necessaria per misurare le distanze dei luoghi, le altezze dei secondo capitolo del sesto libro il luogo ottico per eccellenza, là dove Vitruvio, «magno
monti e delle torri, le larghezze dei fiumi e ogni altra «commensuratione». exquisitore de la scientia optica», si riallacciava alle teorie dei «physici» sull’emissione
Commensurazione in architettura equivaleva a proporzione, e proporzione dei raggi visivi, ricordando l’ingannevole aspetto delle «scaene depincte» e l’apparente
significava bellezza, ma siccome era l’occhio a valutare la bellezza («il vedere perseque frattura dei remi immersi nell’acqua, per fornire un supporto teorico alla diffusa
la venustate» [III, II]), la proporzione doveva essere sottoposta al giudizio dello sguardo. opinione che l’occhio ingannevole non mostra le cose come sono in realtà: «Per che
È su questo principio che si innestavano le famose «detractioni» e «adiectioni» da il videre non appare habere li effecti veri, ma sovente volte la mente fu fallita dal
apportare all’ordine proporzionale per assecondare l’occhio fallace dell’osservatore iudicio di quello». E poiché le «cose che sono vere paiano essere false», gli architetti
(fig. 251). devono disegnare «con li acumini de li ingegnii, non solamente con le doctrine»,
Le diverse apparenze degli edifici che determinano le correzioni ottiche erano affinché «la Eurythmia a li consideranti non sia dubio».
spiegate da Cesariano con un grafico che tentava ancora di combinare insieme diversi
effetti (fig. 252). L’obelisco-gnomone è l’oggetto osservato; le linee inclinate sotto La «skenographia»
l’orizzonte, tra una divisione e l’altra, rappresentano la rifrazione delle rispettive Tra i «physici» richiamati nel passo vitruviano vanno inclusi certamente Democrito e
verticali come, ad esempio, dell’obelisco stesso nel caso fosse immerso nell’acqua fino Anassagora, alle cui esperienze teatrali Vitruvio faceva risalire l’origine del disegno
al livello della linea d’orizzonte. I raggi visivi relativi alle diverse distanze dell’ossevatore prospettico (VII, praef., 11). Un ruolo determinante per l’applicazione dei principi
sono anche i raggi proiettanti del sole. Ciò che Cesariano voleva soprattutto dimostrare ottici in architettura va però riconosciuto soprattutto al già ricordato Gemino. Nella
con questo grafico era la distanza ideale dell’osservatore che indicava uguale a tre sua classificazione delle scienze, nota come Introduzione all’astronomia, l’ottica
volte e mezzo l’altezza dell’oggetto, dato che in tal caso i raggi visivi non tagliavano comprendeva una sezione «scenografica» destinata precisamente a risolvere i problemi
il cerchio in cui l’oggetto risultava inscritto ma erano tangenti a esso: «Io con li miei proporzionali dell’architettura e della scultura monumentale. La «skenographia» di
praeceptori la habbiamo experimentata molte volte»50. Tra i precettori di Cesariano Gemino, da cui potrebbe derivare la «scaenographia» di Vitruvio, sembrava contemplare

251 252
251 252 C. Cesariano,
De Lucio Vitruvio Pollione
De architectura libri decem…,
Como 1521, lib. III, cap. III,
c. 60r, correzioni ottiche; lib.
VI, cap. II, c. 95v, geometria
dei raggi visivi diretti e rifratti.

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anche il problema della rappresentazione pittorica ma era soprattutto destinata a modo in cui si devono disegnare (cioè progettare) gli edifici in funzione di come
risolvere i problemi architettonici illustrati da Vitruvio nel terzo e nel sesto libro: «La dovranno apparire».
sezione scenografica dell’ottica studia il modo in cui si devono disegnare gli edifici. La diffusione del testo di Gemino si registra fino al V secolo d.C. nell’opera di Erone,
Poiché infatti le cose non appaiono come sono, [gli architetti] considerano in che Eliodoro di Larissa, Damiano e Proclo, e fu proprio quest’ultimo ad assegnarne la
modo presentare le proporzioni [dell’edificio] non come devono essere ma come paternità al matematico rodio. Nel Commento al I Libro degli Elementi di Euclide,
dovranno apparire. Scopo dell’architetto è rendere l’opera armoniosa al cospetto Proclo descrisse la classificazione di Gemino come alternativa alla divisione pitagorica
della visione e, in misura conveniente, adottare contromisure per ovviare agli inganni delle scienze matematiche, ricordando tra le sezioni dell’ottica «quella che chiamiamo
dell’occhio, non mirando all’armonia e alle proporzioni reali ma a quelle che sono scenografia, la quale insegna come si possa far apparire le immagini non sproporzionate
tali in apparenza. Per questo una colonna cilindrica che l’occhio stimerebbe estenuata, e deformate a causa delle distanze e delle altezze delle figure»54. Nel testo di Proclo
risultando assottigliata nel mezzo per la vista, egli la fa più grossa nel mezzo; e il la skenographia corrisponde a ciò che oggi usiamo definire “correzioni ottiche”. La
cerchio lo disegna, all’occasione, non come cerchio, ma come ellisse, e il quadrato più «rappresentazione degli oggetti» (eikastiké gnosei) è invece indicata nell’ambito della
bislungo e le molte colonne, diverse anche per grandezza, [le disegna] secondo diversi catottrica «che tratta in generale delle svariate riflessioni della luce, ed è connessa
rapporti di numero e di grandezza. Lo scultore di colossi si basa su questi stessi principi con la conoscenza della rappresentazione degli oggetti», lasciandoci supporre che le
per rendere tangibile l’apparente proporzionalità della sua opera, in modo che prospettive architettoniche del “secondo stile” pompeiano possano aver avuto origine
essa risulti armoniosa all’occhio dell’osservatore e non venga stoltamente eseguita dall’imitazione delle immagini riflesse negli specchi.
nelle sue vere proporzioni. Le opere realizzate in grandi dimensioni, infatti, non
appaiono come sono in realtà»51. La «scaenographia»
Il concetto di skenographia espresso da Gemino tra le sezioni dell’ottica (Tì tò Considerata la diffusione del testo di Gemino nel mondo greco-romano del I secolo
skēnographikón) rappresentava una legittimazione scientifica dell’antica pratica di a.C., è presumibile che Vitruvio abbia derivato proprio da questa fonte il neologismo,
controllare otticamente le proporzioni architettoniche e figurative maturata nell’arte non attestato altrove, che descrive i lineamenti del disegno “prospettico” (I, 2, 2).
greca a partire dal V secolo a.C. Poiché le cose non appaiono come sono, spiegava In apertura del primo libro (I, 1, 4) Vitruvio sottolineava la necessità per l’architetto
Gemino, gli architetti dovevano considerare il modo di presentare le proporzioni di possedere la tecnica del disegno («graphidos scientiam») al fine di poter rappresentare
dell’edificio in funzione di come sarebbero dovute apparire. Scopo dell’architetto era al meglio l’opera progettata («operis speciem»). Gli aspetti della disposizione («species
infatti quello di rendere armoniosa l’opera al cospetto della visione (pros opseos), dispositionis»), che i greci chiamavano «idéai» e Cicerone «formae», erano rappresentati
ovviando agli inganni dell’occhio attraverso una serie di correzioni (alexēmata) da tre tipi di grafici che corrispondevano alla pianta («ichnographia»), all’alzato
opportunamente imposte al sistema proporzionale. A questo scopo, egli doveva («orthographia») e al disegno “prospettico” («scaenographia»). Il disegno della pianta
rigonfiare nel mezzo le colonne (entasis) al fine di correggere l’apparente si otteneva «con l’uso successivo del compasso e della squadra secondo una misura
assottigliamento che si sarebbe avuto in una colonna perfettamente cilindrica, doveva ridotta ed è a partire da essa che vengono tracciate le piante sul suolo delle aree di
variare la dimensione del fusto in funzione della collocazione delle colonne, e doveva costruzione»55. Il disegno era funzionale alla costruzione dell’edificio e a tale scopo
disegnare i cerchi come ellissi (oksygōniū kōnū tomēn) e i quadrati più allungati quando la geometria insegnava «l’uso del compasso, grazie al quale in particolare si approntano
si fossero trovati in posizioni elevate. Analogamente doveva comportarsi lo scultore molto speditamente le piante degli edifici all’interno degli spazi loro assegnati e si
quando modellava un colosso o una statua da collocare nelle parti più alte degli edifici tracciano gli angoli retti e i livelli e le linee» (I, 1, 4). Una simile funzionalità costruttiva
perché «non sono tali le opere, quali appaiono collocate a grande altezza»52. L’aneddoto era propria anche dell’alzato, che comprendeva il prospetto e la sezione, e forse anche
raccontato dal poeta bizantino Tzetze nelle Chiliades (VIII, 340-346) a proposito di della scaenographia qualora il significato di questa parola fosse stato più ampio di
Fidia che, in gara con Alcamene, avrebbe corretto le proporzioni di una statua da quello che la tradizione storiografica è solita attribuirgli; se avesse incluso cioè, nel
collocare in cima a una colonna per renderne l’immagine perfetta nella veduta dal suo complesso, tutti i problemi ottici indicati da Gemino.
basso, era un caso specifico di questo aspetto della skenographia che Platone denunciò A questo proposito è utile notare che, oltre al passo citato, il problema della
nel Sofista, analogamente alla pittura illusionistica (Repubblica, X, 602d), come una rappresentazione prospettica era accennato da Vitruvio solo sommariamente nella
inaccettabile concessione alla falsità delle apparenze53. Il passo di Gemino sembra prefazione al settimo libro, mentre ampio spazio era dato alla discussione dei problemi
riferirsi esclusivamente alle arti plastiche, anche se la frase iniziale viene generalmente ottici dell’architettura che non stavano nella rappresentazione quanto piuttosto nella
interpretata come un riferimento alla rappresentazione pittorica: «La parte scenografica presentazione dei rapporti proporzionali. Nei libri terzo e quarto, dedicati all’architettura
dell’ottica studia il modo in cui si devono disegnare [graphein] le immagini [eikonas] templare, Vitruvio discuteva tutta una serie di modifiche da apportare all’ordine
degli edifici». Dato il riferimento all’architettura chiaramente espresso nel seguito proporzionale per assecondare il desiderio di bellezza ricercata dallo sguardo:
del discorso, il senso della frase potrebbe anche essere: «la skenographia studia il l’ingrossamento dei diametri delle colonne angolari e la curvatura dello stilobate

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(praticata da Ictino nel Partenone), la diminuzione dei diametri delle colonne interne immagini fluide dei propri corpi fino al livello superiore dell’acqua e quivi tali immagini
nei templi dipteri (forse derivata da Ermogene), il rigonfiamento dei fusti (documentato mobili sembrano produrre agli occhi l’apparenza di remi spezzati. E vediamo ciò vuoi
da un raro disegno di cantiere nel tempio di Apollo a Didyma), la scanalatura delle per emanazione delle immagini vuoi per emissione di raggi dagli occhi, come ritengono
colonne e l’aumento di altezza con inclinazione in avanti di tutti gli elementi collocati i fisici» (VI, 2, 3). Dal momento che «i discernimenti che sono veritieri sembrano
al di sopra dei capitelli, «poiché più in alto sale lo sguardo dell’occhio, meno facilmente falsi – continuava Vitruvio – […] non ritengo sia il caso di dubitare che si debba dar
fende la densità dell’aria. Pertanto disperso per l’estensione dell’altezza e proteso luogo a detrazioni o aggiunte» del sistema proporzionale (VI, 2, 4).
nello sforzo trasmette ai sensi un’incerta dimensione dei moduli. E pertanto si deve Nel contesto dei metodi del disegno architettonico la scaenographia avrebbe avuto
sempre aggiungere al calcolo teorico una quantità supplementare nelle membrature un valore funzionale se fosse stata un elaborato grafico destinato a progettare le
ottenute col sistema proporzionale, affinché serbino il rapporto delle grandezze, vuoi modificazioni ottiche dell’ordine proporzionale. In questo senso potremmo riscontrarne
se delle opere si trovano in sedi molto alte vuoi anche se le stesse presentano dimensioni un implicito richiamo in un passo del sesto libro, dove Vitruvio concludeva che «si
colossali» (III, 5, 9), come appunto suggeriva Gemino56. deve istituire in primo luogo il sistema razionale dei rapporti modulari, dal quale si
In linea con il pensiero del matematico rodio è anche un passo del sesto libro, dove prenda senza incertezze ogni modifica. Poi sia sviluppato il singolo ambito di lunghezza
Vitruvio invitava l’architetto a «effettuare correzioni» all’impianto proporzionale delle sedi del futuro impianto e una volta che sarà stata istituita la sua dimensione
perché «nulla manchi all’apparenza», dato che «la vista non sembra avere in sé [espressa dalla ichnographia e dalla orthographia], la segua l’istituzione della
rappresentazioni veritiere ma molto spesso la mente è traviata da essa nella proporzione in funzione della convenienza, affinché non risulti dubbia agli osservatori
valutazione». Nella casistica dei «discernimenti fallaci» dell’occhio, Vitruvio comprendeva l’apparenza dell’euritmia [cioè dei rapporti proporzionali tra larghezza, lunghezza e
ora anche le scene dipinte, dove «si vedono sporgenze di colonne, prominenze di altezza controllati dalla scaenographia]» (VI, 2, 5). Dato che «le grandezze viste sotto
mutuli, immagini di statue come avancorpi, pur essendo il quadro senza dubbio del lo stesso angolo appaiono uguali» (Euclide, Ottica, VII), l’architetto doveva fare in
tutto piano. Analogamente nelle navi i remi quando sono diritti dentro l’acqua, modo che questa condizione si verificasse tra gli elementi costruiti e i rapporti che
tuttavia agli occhi sembrano spezzati» (fig. 253). Sorprendentemente egli tentò anche voleva si vedessero; il disegno scenografico poteva essere quindi analogo agli schemi
di dare una spiegazione atomistica del fenomeno di rifrazione: «mentre [i remi] si diffusi dai trattatisti del Rinascimento, dove i rapporti segnati su una circonferenza
muovono nel liquido, tramite la trasparente scarsa densità di natura rimandano assunta come luogo delle misure angolari venivano proiettati dal centro sul piano
verticale dell’edificio57. Se volessimo interpretare la definizione vitruviana in relazione
al passo di Gemino dovremmo concludere perciò che la «scenografia è la resa
253
illusionistica (cioè la correzione ottica) della facciata e dei lati che sfuggono (verso
253 Vitruvio, De architectura,
VI, 2, 3, il fenomeno l’alto e verso il fondo) attraverso la convergenza di tutte le linee (di proiezione) al
della rifrazione. Ferrara, centro del cerchio (delle misure angolari)».
Biblioteca Ariostea,
Classe II, n. 176. L’esegesi vitruviana dal Rinascimento in poi è tuttavia concorde, salvo qualche
eccezione, nell’attribuire al termine in questione il significato di “prospettiva” in senso
pittorico, un tipo di rappresentazione che la cultura greca designava più comunemente
con il peculiare nome di skiagraphia (Platone, Repubblica, X, 602d); adumbratio
potrebbe essere l’equivalente latino di skiagraphia. Secondo Plinio la pittura avrebbe
avuto origine dalla proiezione dell’ombra (skias) e si sarebbe evoluta verso le forme
più raffinate dell’illusionismo prospettico attraverso l’opera di pittori come Cimone
di Cleone, che per primo introdusse l’uso dello scorcio nelle figure (catagrapha),
Apollodoro di Atene, noto come skiagráphos (Esichio, Lexicon), che introdusse l’uso
del chiaroscuro, Panfilo di Sicione che abbiamo già ricordato come il primo pittore
«erudito in tutte le scienze», e Asclepiodoro, eccellente «nelle misure, cioè nello
stabilire la distanza tra gli oggetti»58. A proposito di Apollodoro, Esichio proponeva
che i termini skiagraphia e skenographia fossero di fatto sinonimi, suggerendo una
precisa identificazione della pittura prospettica con la scenografia teatrale. È presumibile,
tuttavia, che i due termini abbiano indicato fin dall’inizio due diversi aspetti della
rappresentazione illusionistica: uno architettonico, essenzialmente lineare, per il
disegno degli edifici nelle scene teatrali e il controllo ottico delle proporzioni

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(skenographia), l’altro pittorico, fondato sull’uso sapiente del colore e del chiaroscuro architectura per saper far li ornamenti ben misurati e con lor proporzione, così
per l’esecuzione di oggetti, figure e paesaggi (skiagraphia)59. Di qui la scelta del termine all’architetto si ricerca saper la prospectiva perché con quella esercitazione meglio
scaenographia da parte di Vitruvio. immagina tutto l’edificio fornito con li suoi ornamenti»62.
La definizione di Gemino fu pubblicata per la prima volta come opera di Erone Sebastiano Serlio era perfino più categorico: «il prospettivo non farà cosa alcuna
nel 1579 da Conradus Dasypodius, ma è probabile che il concetto circolasse fin dal senza l’architettura, né l’Architetto senza la prospettiva, e che sia il vero consideriamo
Quattrocento nei circoli umanistici, forse anche in relazione al testo vitruviano. Il un poco gli Architetti del secolo nostro nel quale la buona Architettura ha cominciato
capitolo sulla prospettiva nel De scultura di Pomponio Gaurico (1504), ad esempio, a fiorire», primo fra tutti «Bramante suscitatore della bene accompagnata
fa sfoggio di una ricercata terminologia chiaramente desunta da fonti greche, come Architettura»63. L’interpretazione ottica delle proporzioni del tempietto di San Pietro
si ricava dalla distinzione tra optiké, anoptiké e katoptiké. Lomazzo citò Gemino in Montorio era perciò giustificata da una precisa consapevolezza del rapporto tra
proprio in relazione ai tre diversi tipi di vedute (frontale, dall’alto e dal basso) segnalati forma e percezione visiva che rispetto alle fonti antiche si esprimeva ora anche
da Gaurico ma, forse sulla scorta di certe letture vitruviane (Barbaro), cambiò il termine attraverso la codificazione di una regola geometrica64. Stabilito il disegno di una
scenografica con sciografica60. A ogni modo, per Lomazzo «la vera arte e la vera facciata ornata «di finestre, ò statue, ò lettere», l’architetto «farà prima elettione
proporzione che gli antichi, i quali furono sapientissimi, servarono in tutte l’opere di quella più comoda distantia a riguardare la cosa, et prima all’altezza dell’occhio,
sue […] è la proporzione visuale […] E quella proporzione che sarà più bella a l’occhio, esso occhio sia lo centro, et tirata la quarta parte d’un circolo», questo “quadrante”
quella si dee seguire, come hanno fatto Raffaello e tutti i valent’uomini»61. con le sue divisioni uguali sarà «modo e misura» delle proporzioni apparenti. In modo
Nella traduzione di Vitruvio redatta da Fabio Calvo in casa di Raffaello, il termine analogo si era espresso Dürer nella sua Geometria, e prima ancora Fra’ Giocondo nel
scaenographia è sinteticamente chiosato con le parole «scienografia è la veduta in Fragmentum de literis dove spiegava che per eseguire le iscrizioni in luoghi elevati
prospectiva», mentre nella lettera a Leone X la prospettiva non era inclusa tra i metodi «cercharemo subsidio da quella parte de geometria che da li nostri artifici è chiamata
della rappresentazione architettonica; al suo posto, insieme alla pianta e al prospetto, perspectiva»65.
Raffaello prevedeva la sezione (come più tardi Daniele Barbaro nel commento a
Vitruvio). Nella lettera, la prospettiva era invece menzionata come la intendeva La voluta ionica
Gemino, o Vitruvio nel sesto libro, ossia come strumento ottico al servizio della La prospettiva offriva un sussidio anche nella risoluzione di altri temi vitruviani, come
progettazione architettonica: «Perché, come al pictore convien la notizia della il disegno della voluta ionica che costituiva uno dei “luoghi oscuri” del De architectura.

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254 255 256 B. Peruzzi,
costruzioni della voluta ionica.
Firenze, Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi, 464A,
465A, 469A.

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257 258 B. Peruzzi,


257 258 costruzioni della voluta ionica.
Firenze, Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi,
619Ar, 631Av.

259 A. Dürer, Underweysung


der Messung, Nürnberg
1525, lib. I, fig. 13,
voluta elevata.

260 B. Peruzzi, costruzione


della voluta ionica. Firenze,
Gabinetto Disegni e Stampe
degli Uffizi, 464Av.

Lo possiamo vedere in un gruppo di disegni di Baldassarre Peruzzi oggi conservati Nel foglio 469A una piramide prospettica, ancor più semplificata, è disegnata
agli Uffizi66. La numerazione originale dei fogli lascia intendere che i disegni erano direttamente sul primo raggio della voluta (fig. 256). Gli intervalli orizzontali sono
parte di una raccolta di metodi geometrici che comprendeva, presumibilmente, quelli ottenuti per mezzo di diagonali parallele e il loro rapporto con i centri del compasso
noti fin dall’antichità, alcune varianti elaborate dallo stesso Peruzzi e metodi di nuova risulta in tutta la sua evidenza. Il primo intervallo veniva ribaltato sul secondo raggio;
invenzione, tra i quali spiccava soprattutto quello fondato sulle leggi della prospettiva. il secondo veniva riportato sul terzo raggio (verticale tracciata dal punto precedente);
La voluta ionica sembra essere interpretata come la rappresentazione prospettica dal il terzo sul quarto raggio (orizzontale tracciata dal punto precedente), e così via. Ne
basso di una linea che sale all’infinito lungo la superficie di un cilindro, oppure, come risultava una “spirale quadrata” inscritta nell’occhio della voluta, ai cui angoli erano
una linea che sale lungo la superficie di un cono, visto dal basso o dall’alto, il cui collocati i centri del compasso per costruire la vera linea spirale. Questa figura
vertice corrisponde al centro, o “occhio” della voluta. generatrice, la “spirale quadrata”, appare con chiarezza nel foglio 619Av (fig. 257),
Il disegno 464A illustra una voluta priva del procedimento costruttivo ma una nota e ancora schizzata tra vari ornamenti architettonici nel foglio 631Av con l’annotazione
di Peruzzi non lascia dubbi circa la sua geometria: «minuita per perspectiva e per 3° «facce 21 per la voluta ionica. centro» (fig. 258).
semicirculo» (fig. 254). A soccorrerci circa il metodo costruttivo di questa diminuzione L’occhio della voluta era quindi un luogo di punti disposti secondo una spirale
prospettica è il foglio 465A, dove sopra la voluta appare ancora l’esplicativa annotazione quadrata, o spezzata, che generavano la spirale continua della voluta ionica. Lo
«per piramida», e sulla seconda metà del foglio è tracciato un semicerchio di raggio sviluppo spaziale di questa figura corrispondeva alla «voluta elevata, sive cochlio»
uguale a quello del primo quarto della voluta con dentro un piano digradato descritta da Dürer nel suo trattato di prospettiva (fig. 259)67; una linea avvolgente
prospetticamente (fig. 255). La digradazione del piano fu ottenuta meccanicamente, intorno a un asse centrale che richiama il modello della scala a chiocciola ma che in
senza ricorrere al punto di distanza: stabilita la larghezza del lato anteriore, coincidente una più letterale illustrazione di Ferdinando Galli Bibiena richiama anche la prodigiosa
con il diametro del semicerchio, e l’altezza, a piacere, del punto di vista, si disegnava spirale borrominiana di Sant’Ivo alla Sapienza68.
un trapezio che aveva per altezza il raggio del semicerchio. Le sue diagonali Il metodo di Peruzzi non sembra essere stato recepito da altri teorici; nemmeno
consentivano di determinare una retta orizzontale intermedia passante per il loro da Serlio che propose solo i sistemi classici69. Dürer illustrò invece due sistemi rintracciabili
punto di intersezione. Tracciata anche la verticale passante per il punto di vista, ne anche tra gli appunti di Peruzzi. Il primo prevedeva la divisione del raggio in 23 parti
risultavano quattro quadranti a loro volta suddivisi dalle diagonali in ulteriori quadranti, uguali, in modo da tracciare altrettante circonferenze concentriche le cui intersezioni
e così via. Si ottenevano così sedici divisioni orizzontali digradate prospetticamente con 12 raggi equamente distanziati offrivano una serie di punti che si avvicinavano
i cui intervalli sull’asse centrale risultano riportati sul primo raggio della voluta. progressivamente al centro della voluta70. Il modo di unire questi punti per ottenere
Nell’occhio della voluta si vedono altri punti collocati agli angoli di più quadrati che la spirale è indicato da Peruzzi nel foglio 464Av (fig. 260). Nel disegno di Peruzzi però
corrispondono ai centri del compasso per la costruzione della spirale; in questo disegno, il raggio non è diviso in parti uguali ma in 45 intervalli digradanti verso l’esterno,
tuttavia, non è ancora chiaro il rapporto tra gli intervalli della digradazione prospettica ottenuti tracciando le orizzontali tra le 90 divisioni uguali segnate sulla
e i centri del compasso. Sul retro di questo foglio vi è un’altra voluta con un maggior semicirconferenza.
numero di spire, e sotto una piramide prospettica più semplice con gli intervalli Il secondo sistema di Dürer prevedeva la divisione del primo raggio della voluta
orizzontali di nuovo riportati sul primo raggio della voluta. in intervalli digradanti verso l’interno (fig. 261)71. Questa era ottenuta proiettando

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(prospetticamente) sul raggio verticale le divisioni uguali segnate su un arco di «Dispareri»: Palladio, Vignola, Vasari e Bertani
circonferenza passante per il centro della voluta. Questo sistema era usato da Dürer
anche per regolare otticamente gli elementi architettonici o le iscrizioni situate in
luoghi elevati, aumentandone progressivamente le proporzioni per farle apparire
uguali alle parti più basse; ma era anche lo schema adottato per costruire la voluta
elevata. Una maggiore variazione degli intervalli poteva essere ottenuta inclinando
la linea verticale (piano di proiezione) o riducendo il raggio dell’arco di cerchio con
le divisioni uguali, secondo un sistema che era già quello dell’anamorfosi72. Sviluppando
ulteriormente questo schema, il pittore tedesco otteneva inoltre una porzione d’arco
a sesto acuto, a centri variabili, che suggeriva per realizzare le coperture di torri e
campanili.
Il problema del rapporto tra forma costruita e apparenza ottica diventò sempre Un documento particolarmente significativo per i rapporti tra prospettiva e architettura
più riconosciuto sia in sede teorica sia nella pratica architettonica. Importanti riflessioni è l’opuscolo dato alle stampe nel 1572 da Martino Bassi con il titolo Dispareri in materia
sull’argomento le troviamo nei Dispareri di Martino Bassi, oggetto del prossimo di Architettura e Prospettiva con pareri di eccellenti et famosi architetti che li risolvono73.
capitolo, nelle considerazioni di Bernardino Baldi sugli «scamilli impares» di Vitruvio, I famosi architetti erano Andrea Palladio, Giacomo Barozzi da Vignola, Giorgio Vasari
nel Trattato sopra gli errori degli architetti di Teofilo Gallaccini, ma soprattutto nella e Giovanni Battista Bertani, ai quali Bassi chiese per lettera un’opinione circa alcuni
formulazione teorica dell’architettura obliqua che accompagnerà la costruzione del problemi da lui sollevati a proposito dei lavori condotti nel duomo di Milano da
celebre colonnato di piazza San Pietro. Pellegrino Tibaldi74. Quest’ultimo, protetto di Carlo Borromeo, era stato chiamato a
dirigere la Fabbrica del Duomo il 7 luglio 1567. In quello stesso anno Martino Bassi,
uno dei tanti tecnici, architetti e ingegneri che si formarono nel grande cantiere
milanese, fu ufficialmente accolto tra gli ingegneri del ducato75. E lui stesso avrebbe
sostituito il Tibaldi nel prestigioso incarico quando questi lasciò l’Italia nel 1587 per
261
261 A. Dürer, Underweysung recarsi in Spagna al servizio di Filippo II76. Verso la fine del 1569, Martino Bassi si mise
der Messung, Nürnberg in luce richiamando l’attenzione dei Deputati della Fabbrica del Duomo su alcuni
1525, lib. I, fig. 19,
costruzione della
lavori decisi da Pellegrino Tibaldi che a suo parere andavano contro le buone regole
voluta ionica. dell’arte.
La controversia si svolse alla presenza di Carlo Borromeo e si concluse ovviamente
a favore del Tibaldi, con la motivazione «che le accuse del signor Martino scritte nel
suo citato memoriale e dette a voce contro il nominato signor Pellegrino, non sono
da prendere in considerazione, come insussistenti e per ragionamento e per prove»77.
Al Tibaldi veniva anzi riconosciuto il merito di aver saputo gestire «con grande scienza
e perizia» gli errori dell’architetto che lo aveva preceduto nei lavori del duomo78. E a
scanso di ulteriori polemiche, i Deputati sentenziarono «che sulle cose predette si
deve imporre un perpetuo silenzio».
Bassi non rispettò l’intimato silenzio e già dalla primavera successiva iniziò la stesura
dei Dispareri, fermamente intenzionato a far valere le proprie ragioni «con le autorità
de gli scrittori e col giudicio degli architetti e perspettivi stimati de’ più eccellenti e
famosi di quest’età»79. L’iniziativa fu incoraggiata dagli echi immediati che la polemica
sembra aver avuto dopo la sentenza del Capitolo – una richiesta esplicita a scrivere
sull’argomento gli fu rivolta da un amico veronese il primo aprile del 157080 – ma fu
anche dettata dalla necessità di arginare le inesattezze che da qualche tempo circolavano
sullo svolgimento dei fatti. Nella lettera dedicatoria dei Dispareri ai «Signori Deputati»
che pochi anni prima avevano giudicato insufficienti le sue argomentazioni, Bassi
spiegava di essersi deciso «a raccontare in iscritto la cosa, com’ella veramente passò»,

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dopo che «per lettere e per avisi di qualche mio amico e signore io sentii che quello loro dimostrazioni: cioè “ponatur oculus” e non mai “ponantur oculi”, e “conum esse
che era seguito si narrava differente assai». figuram, quae habet verticem in oculo” e non “in oculis”, e “ponatur radios ab oculo
I punti in questione erano tre. Il primo riguardava il bassorilievo dell’Annunciazione emissos in rectam lineam ferri” e non “ab oculis”»82. Di due orizzonti, del resto, non
(fig. 262) da collocare sopra la porta settentrionale del duomo, un blocco di marmo avevano mai parlato neanche i teorici moderni, come dimostrava «la pratica del Durero,
di 8 braccia × 4 (ca. 4 × 2 m), che doveva essere posto a un’altezza di 17,5 braccia (ca. del Serlio, e del nobilissimo et intendentissimo Patriarca d’Aquileia»83. Da questi tre
10 m). Il blocco era già stato sbozzato sotto le direttive del precedente architetto, autori, che a quella data rappresentavano i più autorevoli punti di riferimento, si poteva
Vincenzo da Seregno, che aveva previsto un impianto prospettico con un punto di ricavare che i modi di operare nel disegno prospettico erano essenzialmente due: «cioè,
fuga basso e laterale e un punto di distanza collocato a circa 16 braccia (fig. 263). o per via del perfetto di quello s’ha a digradare [ossia con la costruzione della pianta e
Nel portare a compimento l’opera, Tibaldi aveva proposto di rappresentare una stanza del prospetto], o per la linea piana di essa opera che s’intende di fare, tal che, posto
più profonda sulla destra della scena, adottando un secondo punto di fuga, centrale l’orizonte e la distanza al luogo loro, si possa terminare per l’intersecazioni de le linee
e più alto del primo, e una distanza di sole 4 braccia (fig. 264). Questo secondo orizzonte orizzontali, o vero de lo squadro ne la linea de la distanza». Ma in entrambi i modi
avrebbe guidato lo scorcio della parete centrale, del letto a baldacchino e della porzione l’orizzonte e la distanza di riferimento erano sempre e solo unici, «percioché giamai in
prolungata del pavimento. La scelta era giustificata, secondo Tibaldi, dalla necessità una sola opera di perspettiva non ho io udito che si trovasse più d’un orizonte e
di collocare il punto di vista preferenziale a livello dell’occhio dell’angelo, come a voler d’una distanza»84.
mostrare la sua percezione dello spazio e non quella dell’osservatore che, data l’altezza Bassi propose quindi due soluzioni a suo parere più corrette. La prima (fig. 265)
dell’opera, era necessariamente escluso dall’impianto prospettico81. tendeva a conciliare le scelte dei due architetti, collocando un unico punto di vista
Martino Bassi criticò questa scelta appellandosi a Euclide e Vitellione che, quando centrale (C) all’altezza dell’orizzonte voluto dal primo architetto (AC), sulla verticale
parlavano di «cono ottico», si riferivano sempre e solo a un fascio di raggi visivi facenti del punto proposto da Tibaldi (B). La seconda (fig. 266) teneva invece conto del vero
capo a un solo punto di vista: «notate in Euclide e Vitellione ciò che essi dicono nelle orizzonte dell’osservatore che determinava una veduta dal basso molto scorciata,

262 263
262 V. Seregni, P. Tibaldi,
Annunciazione, bassorilievo
marmoreo, ca. 1570. Milano,
Santa Maria in Camposanto.
Titolo
263 264 M. Bassi, Dispareri
firma in materia di Architettura
e Prospettiva, Brescia 1572,
tav. 1, impianto prospettico
di V. Seregni per la
collocazione del bassorilievo
dell’Annunciazione nel
duomo di Milano; tav. 2,
impianto prospettico
di P. Tibaldi.
264

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268
265 266 267
265 266 267 268
M. Bassi, Dispareri in materia
di Architettura e Prospettiva,
Brescia 1572, tav. 3, prima
proposta di M. Bassi per la
collocazione del bassorilievo
dell’Annunciazione
nel duomo di Milano;
tav. 4, seconda proposta
di M. Bassi; tav. 5, il battistero
per il duomo di Milano;
tav. 6, il coro.

certamente più coerente con la reale percezione dello spazio prospettico ma incongrua guardando la questione sul piano squisitamente pratico, apprezzava la scelta del Tibaldi,
rispetto alla frontalità delle figure, come già aveva sperimentato Paolo Uccello più e dello stesso parere era l’ingegnere militare Francesco Paciotto (“il Picchiotto”) che
di un secolo prima; questo aspetto, tuttavia, fu sottaciuto85. A sostegno di queste sembra aver preso parte con altri esperti alla pubblica contesa del 1569, risolvendo
proposte Bassi citò i concetti vitruviani di significato e significante per sottolineare la «con un certo suo modo ardito di dire che vi erano stati de gli altri maestri, i quali non
necessaria convivenza nell’opera dell’architetto di pratica e scienza86. Egli prediligeva avevano guardato a cotali sottigliezze»90. Fautore del Tibaldi era anche Carlo Urbino
però la seconda ipotesi, ricordando come i più grandi prospettici, quali Mantegna, da Crema, autore della celebre raccolta di studi leonardeschi sulla prospettiva curvilinea
Bramante e Peruzzi, non rappresentarono mai il pavimento nelle composizioni situate e i movimenti della figura umana nota come Codice Huygens. Non a caso il suo
più in alto dell’occhio dell’osservatore. Qui sembrava trovare supporto soprattutto commento era stato piuttosto una provocatoria sfida nei confronti del Bassi riguardo
in Serlio che ammetteva una certa elasticità nell’uso del punto di vista a seconda delle alla capacità di quest’ultimo di saper disegnare una «figura ignuda» come quella
necessità dell’opera, «ma non però come certi licentiosi, et di poco giudicio – si poteva presentata a titolo di esempio da Pellegrino Tibaldi91.
leggere nel Secondo Libro – che in alcune facciate di palazzo in un altezza di piedi La convergenza di tanti pareri non sempre dovutamente ponderati, come dovettero
trenta, ò quaranta fingeranno una historia, ò altra cosa con casamenti, la veduta de’ apparire al Bassi quelli del Paciotto e di Carlo Urbino, giustificò la successiva richiesta
quali sarà a tale altezza; ma in questo errore non sono giammai caduti i giudiciosi, di ben più autorevoli giudizi con cui l’architetto milanese pensò di legittimare le proprie
et intendenti huomini, come è stato M. Andrea Mantegna, et alcuni altri ancora, che argomentazioni: «io mi elessi di veder d’avere de gli altri pareri per acquietarmi poi
dove han fatto alcune cose superiori agli occhi nostri, non s’è veduto di quelle alcun totalmente alla lor giustissima sentenza e tenerla per legge irrefrenabile da qui in
piano, perché la buona arte della Prospettiva gli ha tenuto a freno»87. poi»92. La lettera spedita ai quattro autorevoli personaggi, con allegati i disegni relativi
Il secondo punto discusso dal Bassi riguardava la pergola del battistero che Tibaldi ai singoli problemi, esponeva sinteticamente la questione senza specificare né il nome
voleva erigere su quattro colonne, troppo distanti a suo parere per non incorrere nella degli architetti coinvolti, né il luogo specifico in cui tali problemi si presentarono,
rottura dell’architrave (fig. 267). La sua proposta fu di costruirla su pianta ottagonale iniziando semplicemente con un dato generico che non comprometteva né il Tibaldi,
o circolare, in modo da ridurre la misura degli intercolumni. Ma Tibaldi ribadiva che né i Deputati del duomo: «Due architetti, in diversi tempi, hanno ghiribizzato sopra
gli architravi composti da più pezzi opportunamente incatenati avrebbero svolto senza un gran pezzo di marmo, il quale doverà servire ad un tempio di Milano»93.
problemi la loro funzione. Il terzo punto metteva in discussione infine la soluzione del
coro che, data l’altezza della cripta, sporgente di quattro braccia sopra il livello del Andrea Palladio
pavimento, richiedeva, nella proposta di Tibaldi, un piano inclinato atto a consentire La prima risposta giunse da Andrea Palladio che era stato interpellato grazie al comune
la visibilità dell’altare (fig. 268). Secondo Bassi questa soluzione era «piuttosto da amico “Alfonso N.”, il veronese che per primo chiese al Bassi di scrivere una relazione
profane dimostrazioni, et commedie, che da celebrarvi i sacri et divini offici»88. Il piano sulla polemica. Il 3 luglio del 1570, Palladio scrisse da Venezia offrendo il supporto
inclinato del coro, fatto «a foggia de’ piani delle scene», consentiva la veduta frontale che Bassi desiderava.
dell’altare ma ostruiva quella già esistente dalle estremità del transetto. «…E per rispondervi con quell’ordine che voi mi scrivete, dico che non è dubbio
Per dirimere la controversia, il Capitolo nominò alcuni esperti «tanto nella teoria che la prima openione circa il pezzo di marmo del qual si tratta non sia diffettiva,
come nella pratica», tra i quali un matematico, «M[aestro] Barnaba», un ingegnere, ponendo l’orizonte in uno de’ lati del marmo, il quale orizonte per ogni regola di
Jacopo Soldato, e due pittori, Giovan Battista Pioto e Carlo Urbino da Crema. Il primo perspettiva deve esser posto nel mezo; conciosia che per dar maggior grandezza e
condivideva decisamente le osservazioni del Bassi, poiché «quanto a la ragione, la maggior maestà a quelle cose che a gli occhi nostri si rappresentano, devono
perspettiva di M. Pellegrino non poteva stare in modo alcuno»89. Il Soldato invece, rappresentarsi in modo che da gli estremi al punto dell’orizonte siano le linee uguali.

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269
269 A. Palladio, Il Redentore,
Venezia, facciata, 1576-77.

di parti tra loro ben distinte, eppure magistralmente connesse, rappresentava la massima
espressione visiva dell’ordine proporzionale. Infine, la centralità dell’asse visivo avrebbe
conferito un aspetto maestoso all’intero edificio. La perfetta simmetria delle parti
potrebbe però essere vista anche come un sottile espediente ottico per creare un effetto
di specularità tale da trasformare l’architettura in immagine visiva. Questo meccanismo
consentiva cioè di stabilire un rapporto preciso tra lo spazio reale e quello apparente,
e l’effetto “prospettico” della facciata del Redentore sembra sorretto proprio da
una precisa consapevolezza del potere illusionistico della centralità (fig. 269). In questa
facciata l’ordine minore appare dichiaratamente come la riduzione prospettica dell’ordine
maggiore: il portale si proietta sul piano arretrato delle ali laterali, mentre le quattro
colonne maggiori balzano in avanti come un maestoso pronao che richiama
quell’inconfondibile modello di ispirazione, il Pantheon, echeggiato anche dalla
sovrapposizione dell’attico al frontespizio98.

Non può anco esser dubbio appresso di me, che la seconda opinione, la quale vuole Giacomo Barozzi da Vignola
che si facciano due orizonti, non sia da esser lasciata; sì per le ragioni dottissimamente Il secondo parere è quello del Vignola, inviato da Caprarola il 28 agosto dello stesso
dette da voi, sì anco perché, come ho detto, il proprio di tali opere è il porre l’orizonte anno. L’architetto emiliano era stato interpellato attraverso il cardinale Morone, fratello
nel mezo; e così si vede esser osservato da tutti i più eccellenti uomini, da l’autorità di quel conte Sforza Morone – uno dei Deputati incaricati di dirimere la controversia
de’ quali non mi partirei mai nelle mie opere se una viva ragione non mi mostrasse – che alla riunione del Capitolo, nel 1569, aveva preso le difese del Bassi contro la
che il partirsene fosse meglio. Per le cose fin qui dette potete già comprendere che provocazione di Carlo Urbino.
la terza opinione, la qual pone un sol orizonte, mi sodisfarebbe più delle due passate, «…E prima sopra il sasso dell’Annunziazione fatto in perspettiva dico che il primo
se in essa non vi fosse il piano digradato, sopra il quale si pongono le figure; percioché architetto averebbe fatto meglio, avendo messo il punto della veduta in mezo, se già
ripugna alla ragione et alla natura delle cose che, stando in terra, in una altezza di xvii non era necessitato per qualche suo effetto fare in contrario. Del parere del secondo
braccia si possa vedere tal piano. Onde né anco nelle pitture in tanta et in minor altezza architetto, che vuole fare due orizonti, a me par tempo perduto a parlarne, perché
sì vede essere stato fatto; tutto che in esse si possa concedere alquanto più diligenza egli mostra non aver termine alcuno di perspettiva. E per dire quel che mi pare di det-
che nelle opere di marmo, massimamente dove vi vanno figure di tanto rilevo. Per la ta opera, mi piace più il parer di V. S. del quarto disegno, volendo osservare la vera
qual cosa il quarto et ultimo disegno, cioè l’ultima vostra opinione, mi piace infinitamente; regola di perspettiva; cioè metter l’orizonte al luogo suo, o almeno metterlo tanto
conciosia che in lei si servino ì precetti della perspettiva e non vi partiate da quello che basso che non sì veggia il piano e non pigli tale licenza di far veder il piano in tanta
la natura ci insegna, la quale deve essere da noi seguita, se desideriamo di far l’opere altezza; cosa falsissima, come che molti l’abbiano usata. Ma in pittura si può meglio
nostre che stiano bene e siano lodevoli […] Di Venezia il III luglio del MDLXX. Vostro tolerare che in scoltura, e la ragione è che altri si può coprire con dire, fingere cotal
affezionatissimo, Andrea Palladio.»94 pittura esser un quadro dipinto attaccato al muro, come fece l’intendente Baldassar
Alla fine dell’anno sarebbero usciti i celebri Quattro libri dell’architettura che Petruzzì senese nel Tempio della Pace in Roma, il quale finse un telaio di legnarne esser
confermavano l’autorevolezza del Palladio nel dibattito teorico sull’architettura95. attaccato a gangheri di ferro alla muraglia, talché chi non sa che sia dipinto nel muro,
L’architetto vicentino concordava pienamente con le osservazioni del Bassi, mostrando lo giudica un quadro fatto in tela. Per tanto non si può in scoltura far tale effetto. Ma
altresì una chiara preferenza per l’uso del punto di vista centrale «per dar maggior a mio parere, vorrei mettere l’orizonte non tanto basso, come per ragion vorrebbe
grandezza, e maggior maestà a quelle cose che agli occhi nostri si rappresentano»96. stare, ma alquanto più alto, a fine che l’opera non dechinasse tanto, riportandomi alla
Il senso di questa grandezza era dato, secondo Palladio, dalla simmetria delle linee sua discrezione e buon giudicio…»99
convergenti all’orizzonte; una considerazione che si rifletteva perfettamente nella sua Vignola non mostrava la stessa dipendenza di Palladio dalla centralità del punto
predilezione per l’asse centrale in architettura. A sostegno della sua opinione, Palladio di vista. Certamente il punto di fuga centrale era sempre preferibile ma a suo parere
citò i nomi del pittore Giuseppe Salviati e del matematico Silvio Belli, autore quest’ultimo si poteva accettare anche la soluzione del primo architetto, qualora fosse stata suggerita
di un importante trattato sulle proporzioni97. da una particolare circostanza ottica. Tagliava corto invece sulla questione dei due
La predilezione palladiana per la simmetria delle parti è da mettere in relazione orizzonti proposti dal Tibaldi, cosa di cui «a me pare tempo perduto a parlarne». E
proprio al sistema proporzionale. La semplicità delle forme geometriche era il veicolo sicuramente condivideva l’ultima soluzione del Bassi, più idonea alle necessità
di gran lunga più sicuro per comunicare l’armonia delle proporzioni. La giustapposizione dell’architettura, anche se consigliava di tenere l’orizzonte un po’ più alto dell’occhio

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270 B. Peruzzi, Storie del
Vecchio e Nuovo Testamento,
1516. Roma, Santa Maria
della Pace, cappella Ponzetti,
finti quadri con cornici. quella che faceva uso delle proiezioni in pianta e alzato dell’oggetto e quella con
punto di distanza, erano esposte con estrema chiarezza teorica e operativa e rendevano
conto proprio di quanto asserito dal Bassi davanti ai Deputati del duomo.
La fama del Vignola quale esperto di prospettiva era già ampiamente nota prima
della pubblicazione del trattato e proprio all’epoca dei «dispareri» il figlio Giacinto
si accingeva a trascrivere la versione definitiva de Le due regole. Bassi interpellò il
famoso architetto anche come teorico di architettura. Proprio nel 1570 infatti usciva
la seconda di una numerosa serie di edizioni della sua Regola delli cinque ordini di
architettura (1562), un’opera che esponeva con lo stile chiaro e conciso proprio del
Vignola gli inalterabili rapporti proporzionali dei cinque ordini; rapporti che solo ragioni
molto circostanziate avrebbero potuto variare. L’universalità di tali rapporti stava
nell’adozione di un’unità di misura modulare, totalmente libera da quelle variazioni
regionali delle misure antropometriche, come il piede, il braccio o il palmo, su cui si
basavano i canoni proporzionali dei precedenti teorici. Conoscendo il trattato del
Vignola, Bassi era presumibilmente sicuro del suo giudizio negativo circa gli intercolumni
del battistero. Riguardo al pavimento pendente del coro, Vignola lo considerava
sicuramente «cosa mostruosa, et fuori d’ogni ragione», almeno così come glielo aveva
dell’osservatore in modo da non provocare un eccessivo scorcio della veduta dal basso. descritto il Bassi; non escludeva infatti la possibilità di correggere il proprio giudizio
Fece poi una considerazione particolarmente significativa per i rapporti tra architettura valutando sul posto la situazione.
e arti figurative. A suo parere un quadro poteva anche rappresentare il piano del
pavimento pur essendo collocato in alto, perché era un elemento evidentemente Giorgio Vasari
rimovibile, non integrato nella composizione architettonica. Un bassorilievo invece, Il terzo parere, quello del Vasari e dell’anonimo “Accademico” che lo accompagnava,
essendo fisso ed essendo fatto dello stesso materiale dell’architettura, ne era parte era meno assoluto dei primi due. Vasari scrisse da Firenze nel settembre del 1570, forse
integrante e come tale non poteva tollerare licenze del tipo proposto dai due architetti interpellato attraverso quel Fabrizio Ferraro, «gentiluomo del serenissimo Gran
del duomo. Questo era vero però anche per l’affresco che, pur essendo un dipinto, era Duca di Toscana», che nella riunione del 1569 fu uno dei tre Deputati incaricati di
fisso e faceva parte dell’architettura. Ricordò pertanto l’espediente adottato da valutare il memoriale del Bassi.
Baldassarre Peruzzi negli affreschi in Santa Maria della Pace, dove per giustificare la «Ó veduto quanto si chiede per li vostri disegni e scritti et in somma le dico che tutte
rappresentazione del pavimento a una quota ben superiore all’occhio dell’osservatore, le cose dell’arte nostra, che di loro natura hanno disgrazia all’occhio, per lo quale si
il pittore dipinse una cornice illusionistica che faceva sembrare il dipinto come eseguito fanno tutte le cose per compiacerlo, ancora che s’abbia la misura in mano e sia approvata
su una tela rimovibile (fig. 270). Queste incoerenze erano accettate nella misura in cui da’ più periti e fatta con regola e ragione, tutte le volte che sarà offesa la vista sua e
venivano riconosciute. È evidente che altri come Vignola, o anche meno preparati, si che non porti contento, non s’approverà mai che sia fatta per suo servizio e che sia né
sarebbero accorti dell’inganno del Peruzzi, ma proprio per questo avrebbero apprezzato di bontà né di perfezione dotata. Tanto l’approverà meno, quando sarà fuor di regola
la perizia prospettica del pittore. Lo stesso Vignola fece affidamento sull’illusionismo e di misura. Onde diceva il gran Michelangelo che bisognava aver le seste negli occhi e
pittorico per risolvere un problema architettonico: le proporzioni della sala tonda di non in mano, cioè il giudicio; e per questa cagione egli usava tal volta le figure sue di
palazzo Farnese a Caprarola (fig. 155), troppo bassa rispetto alla sua ampiezza, furono xii e di xiii teste, secondo che le faceva raccolte o a seder o ritte e secondo l’attitudine;
corrette dipingendo la continuazione illusionistica delle pareti sul soffitto, fino al punto e così usava alle colonne et altri membri et a componimenti, di andar più sempre dietro
ritenuto necessario. L’evidenza della finzione era sicuramente tale anche per i alla grazia che alla misura. Però a me secondo la misura e la grazia non mi dispiaceva
contemporanei ma i colori e le forme, anche distorte come appaiono da qualsiasi punto dell’Annunziata il primo disegno fatto con un orizonte solo, ove non si esce dì regola.
di vista che non sia quello giusto, facevano percepire diversamente i rapporti Il secondo fatto con due orizonti non s’è approvato giamai; et la veduta no’l comporta.
proporzionali del vano. Egnazio Danti, nel suo commento a Le due regole del Vignola, Il terzo sta meglio, perché racconcia il secondo per l’orizonte solo, ma non l’arrichisce
descrisse la grande efficacia di questo effetto che «inganna talmente l’occhio, che di maniera che passi di molto il primo. Il quarto non mi dispiace per la sua varietà; ma
chiunque vi entra, gli par di entrare in una stanza molto più alta di quel che ella avendosi a far di nuovo quella veduta sì bassa, rovina tanto che a coloro che non
veramente è»100. Il trattato del Vignola, come abbiamo visto, era un felice connubio sono dell’arte darà fastidio alla vista; che se bene può stare, gli toglie di grazia assai.
tra pratica pittorica e teoria geometrica. Le due fondamentali regole prospettiche, Crederei che chi volesse durar fatica a trovar qualche bel casamento, come fece M.

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271 A. Sansovino,
Annunciazione, bassorilievo
marmoreo, ca. 1522. Loreto,
santuario della Santa Casa.

272 G. Vasari, gli Uffizi,


Firenze, 1560-80, veduta
del corridoio vasariano
verso palazzo Vecchio.

273 B. Lanci, bozzetto


scenico per La Vedova, 1569.
Firenze, Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi, 404P.

Andrea Sansovino a Loreto nella facciata dinanzi della capella della Madonna, in quella stanza sopra il portale del duomo era già di per sé priva di attinenza con l’architettura
sua Annunciata, dov’è un casamento di colonne in piedestalli, gittando archi fa un reale; di conseguenza sembra che per Vasari questo bassorilievo dovesse essere
ìsfuggimento di traffori molto bello, ricco e vario: oltre che quell’angelo, che è considerato, come i quadri rimovibili del Vignola, sostanzialmente libero dal vincolo
accompagnato da altri che volano, et a pie con esso et in aria quella nuvola piena di del punto di vista dell’osservatore. Più precisamente, e più in generale, Vasari sosteneva
fanciulli, che fa un veder miracoloso, con quello Spirito Santo; per lo che mi pare che che fosse bene fare ciò che all’occhio si presentava meglio, mostrando quella libertà
quelle due figure sì povere e sole siano duo tocchi d’anguille in un tegame. Però con dai vincoli delle regole che aveva imparato ad apprezzare da Michelangelo. Esprimeva
l’ingegno vostro, si come avete saputo rivelare altrui quello che non vi piaceva, potrete piuttosto qualche riserva sulla composizione che a suo parere era troppo povera e non
ancora far più che non dico e desidererei, poi che è opera di tanta importanza et in così si prestava a una efficace rappresentazione prospettica per mancanza di elementi
celebre tempio come odo. S’io non sapessi il valor vostro quale sia, ancor che io sia idonei, come per esempio «un casamento di colonne in piedistalli» quale fu quello
occupatissìmo nell’opere di Sua Santità, averei anch’io in questo vostro garbuglio sopra disegnato da Andrea Sansovino per l’Annunciazione posta sulla facciata davanti alla
ciò alcuna cosa fatto, ma basta che mi piace il modo di racconciare il secondo col cappella della Madonna di Loreto (fig. 271).
terzo vostro, et il capriccio del quarto non mi dispiace, pur che si fugga il travagliar Rivelatore di questo modo vasariano di leggere il linguaggio prospettico come
l’occhio, il qual, offeso che è, fa che il cuore non da aiuto alla lingua che ragioni di modo un’espressione artistica non vincolabile da pregiudizi teorici è il progetto per la “strada
che si resti contento […] Or udite questo nostro valente Accademico. nuova” degli Uffizi (fig. 272). Vasari non sfruttò facili effetti scenografici ma impostò
Magnifico M. Georgio, Poiché a bocca dissi a V. S. abastanza nel ragionamento che chiaramente il suo progetto per racchiudere uno spazio urbano che era al tempo stesso
avessimo per conto de’ disegni che da Milano vi furono mandati di perspettiva e “corte”, “piazza” e “strada”. Mostrò cioè di aver colto il potenziale architettonico e
d’architettura, non occorre dirle altro, salvo che non mi ramento bene s’io dissi che urbanistico che si celava dietro quelle rappresentazioni prospettiche di città ideali
quello che aveva fatto quel secondo architetto nella perspettiva non poteva stare, ormai da tempo adottate come espressione figurativa della scena tragica vitruviana.
percioché due orizontì non possono convenire in una sol opera di perspettiva; e se Egli stesso, già collaboratore dello scenografo Bastiano da Sangallo, aveva realizzato
stesse a me, la ritirerei come fece il primo, overo la rassetterei come dal terzo è stata con successo una scena teatrale a Venezia102. La “strada” degli Uffizi era però un
disegnata, facendo detta perspettiva più ornata e con maggior forza, con qualche vero spazio urbano e non un semplice fondale scenografico; di conseguenza il suo
bell’ordine di pilastri over colonnate, acciò sfuggissero più da lontano…»101 ruolo di scena tragica o spaccato di città prospettica doveva essere tale da ogni punto
Appellandosi al celebre detto di Michelangelo «che bisognava avere le seste di vista. I punti di vista in realtà erano solo due, corrispondenti e opposti, e da ognuno
negli occhi e non in mano, cioè il giudicio», Vasari escludeva la rigida osservanza delle di essi si poteva apprezzare un particolare aspetto scenografico. Vista da piazza
regole, accettando invece la bontà del giudizio dell’artefice. Infatti non disprezzava della Signoria, la strada degli Uffizi faceva da sfondo prospettico alla “scena tragica”
affatto la scelta del primo architetto, non ritenendo la centralità un obbligo assoluto; con il palazzo dei Signori, la loggia dei Lanzi e i grandi capolavori scultorei di Donatello,
a suo parere la prima soluzione del Bassi non migliorava significativamente quella del Michelangelo, Ammannati, Bandinelli e Giambologna. Vista dal lungarno essa appariva
primo architetto. Escludeva naturalmente la proposta di Tibaldi, ma si mostrava scettico simile alla strada centrale del teatro Olimpico, con gli edifici in scorcio naturale oltre
anche sulla seconda soluzione del Bassi che all’occhio inesperto poteva apparire eccessiva. il grande arco trionfale e, sul fondo, la scena di palazzo Vecchio e lo scorcio della piazza.
La considerazione di Vasari era assolutamente calzante perché uno scorcio dal basso L’aspetto scenografico di questa realizzazione è sottolineato dal progetto scenico di
funzionava solo se rappresentava uno spazio proporzionato all’architettura reale, Baldassarre Lanci per La Vedova di Giovanni Battista Cini, dove la veduta era presa
potenzialmente esistente dietro il piano murario: si pensi alla Trinità di Masaccio e a esattamente lungo l’asse della “strada nuova” degli Uffizi e incorporava una parte
tutti gli altri esempi finora ricordati. Nel caso in questione la rappresentazione di una dell’edificio vasariano (fig. 273)103.

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Suggestioni scenografiche di questo tipo stanno forse anche dietro la scelta (quasi primo, risulta composto quasi dallo stesso numero di balaustri. Le altezze restano
certamente dettata da ragioni di tipo proporzionale) di diminuire progressivamente invariate per evidenti necessità funzionali ma appare chiaro come l’Ammannati,
l’altezza degli archi di passaggio sotto il celebre “corridoio” aereo sul lungarno. E forse affrontando non lievi difficoltà esecutive, abbia voluto accentuare l’impatto prospettico
un qualche ruolo Vasari lo ebbe anche nella singolare interpretazione prospettica dello suggerito dall’impostazione di Michelangelo per allungare il percorso verso la sala di
scalone michelangiolesco della Laurenziana messo in opera da Bartolomeo Ammannati. lettura senza invadere più del necessario lo spazio del vestibolo.
Dopo il fallito tentativo del Tribolo di avere un disegno della scala da Michelangelo Al suo parere, Vasari allegò anche quello di un «valente accademico», forse Vincenzo
per portare a compimento l’opera rimasta interrotta nel 1533, Vasari prima e Ammannati Borghini, che approvava le osservazioni del Bassi sul bassorilievo mentre esprimeva un
poi riuscirono a ottenere nel 1555 e nel 1559, rispettivamente, una descrizione giudizio inatteso sugli intercolumni del battistero, per i quali «intercolunni dico, che
molto precisa e un modello in argilla di un nuovo progetto elaborato dal maestro in è vero che Vitruvio ci dà le regole […] però se si potesse trovar forma di tener sù
base al debole ricordo della sua lontana idea104. Nella lettera che accompagnava il gl’architravi così distanti, et che non rovinassero, non mi spiacerebbe». Era un piccolo
modello spedito all’Ammannati, Michelangelo specificava che «per essere cosa piccola smacco alla rigida impostazione vitruvianista che forse Bassi non si aspettava. L’inattesa
[il modello] non ho potuto fare se non l’invenzione» e che «degli adornamenti, base opinione dell’accademico in fondo era in linea con quella del Vasari che si mostrava
e cimase a que’ zoccoli et cornicie, non bisogna che io ve ne parli, perché siate valente…» apertamente libero da dogmi e regole, al punto da rinunciare ai canoni estetici vitruviani
e «della ertezza e larghezza occupatene il luogo manco che potete col restringere e nel momento in cui la tecnica avesse permesso di costruire soluzioni più ariose.
allargare come a voi parrà»105. All’Ammannati dunque fu lasciata un’ampia libertà
interpretativa, tanto nei dettagli decorativi quanto nell’impostazione dimensionale e Giovanni Battista Bertani
nella scelta del materiale costruttivo. Nella lettera in cui Ammannati comunicava a E proprio un esperto di Vitruvio era il quarto personaggio interpellato dal Bassi, il
Cosimo de’ Medici le intenzioni di Michelangelo, egli sosteneva l’idea della costruzione pittore e architetto mantovano Giovanni Battista Bertani il cui parere fu spedito da
in legno, argomentando che in tal modo la scala «parrebbe agli occhi che manco Mantova il 13 dicembre 1570.
occupasse il luogo che di pietra»106. La decisione del duca di farla realizzare in pietra «…Non nego che le vostre regole di perspettiva non siano ottime e meglio intese
sollevava dunque il problema del rapporto ottico tra la scala e lo spazio circostante, de quelle delli due primi architetti, i quali hanno diversamente operato nel sudetto
improvvisamente diventato troppo piccolo per un’opera di tale imponenza. A questo marmo, ma ben vi dico che, quando io ho operato in figure quasi di tutto tondo, ho
si deve forse attribuire la soluzione scenografica messa in opera dall’Ammannati cercato d’imitare li buoni antichi, la maniera de’ quali tengo sia buona, vera et infallibile,
(fig. 274). Il corrimano della balaustra varia da una larghezza di 13 cm all’inizio della sì de’ piani, quanto del rimanente; come si può vedere nell’Arco di Lucio Settimio
scala a una larghezza di 8,5 cm in prossimità della porta di accesso alla libreria. Le appresso al Campidoglio e nell’Arco di Vespasiano e Tìto; non tacerò del bell’Arco di
cimase dei pilastrini variano da 40 a 34 cm, le volute dei gradini centrali da 30 a 24 cm Traiano appresso al Coliseo, ove sono alcune figure quasi di tutto tondo e buona parte
e i diametri dei balaustri da 15,3 a 10,8 cm. Con i diametri diminuiscono anche gli spiccate dalla parete dell’istesso marmo. Vi è poi nel giardino del signor Corsatalio,
interassi, così che il secondo tratto della balaustra, più corto di circa 70 cm rispetto al posto nell’alta sommità di Monte Cavallo, la statoa di Meleagro col porco di Calidonia
e molte altre figure con dardi, archi e lancie, le quali tutte istorie e favole hanno le lor
274
figure che posano sopra li suoi piani naturali e non sopra i piani in perspettiva. Laonde
274 Rilievo della scala tengo per fermo che detti antichi fuggissero di far li piani in perspettiva, conoscendo
della biblioteca Laurenziana
a Firenze (dis. dell’autore). essi che le figure di rilevo non vi potean posar sopra se non falsamente. Per lo che a
me parimente non piace la bugia accompagnata con la verità, se non in caso di qualche
tugurio o casuppola od altre cose simili, fatte sopra i fondi dell’istorie. Tengo io la
verità esser il rilevo naturale, e la perspettiva esser la bugia e fizzione, come so che
V. S. sa meglio di me.»107
Bertani mostrò di non apprezzare affatto, in generale, l’incoerenza tra forma
prospettica e struttura architettonica. La soluzione migliore a suo parere era quella
adottata dagli antichi che nei bassorilievi evitarono accuratamente la falsità del piano
prospettico, disponendo sempre le figure su piani orizzontali. In questo modo il
bassorilievo e l’architettura avrebbero avuto entrambi la propria funzione, integrandosi
a vicenda ma senza interagire nella rappresentazione di uno spazio inesistente. Una
dolorosa malattia impedì al Bertani di dilungarsi in altre considerazioni e dovette
perfino congedarsi senza rispondere agli altri quesiti posti dal Bassi.

282 283
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L’architetto mantovano era soprintendente delle fabbriche ducali per Francesco Gonzaga La prospettiva «materiale»
e sembra che sia stato perfino il maestro di prospettiva del Veronese108. Il fatto che
Martino Bassi lo abbia interpellato sulla disputa con Pellegrino Tibaldi conferma l’alta
considerazione, menzionata dai biografi, in cui questo architetto era tenuto dai suoi
contemporanei109. La sua reputazione fu accresciuta soprattutto da un’opera, pubblicata
a Mantova nel 1558, che egli dedicò ai punti più controversi del trattato di Vitruvio.
Ne Gli oscuri e difficili passi dell’opera ionica di Vitruvio, Bertani esaminava il problema
degli scamilli impares – abbracciando la diffusa tesi rinascimentale degli scamilli come
aggiunte al dado del piedistallo – e il problema della costruzione della voluta ionica110.
Della sua interpretazione di questi passi lasciò anche un esempio concreto, montando
sulla facciata della propria casa una colonna ionica completa e una sezionata (fig.
275)111. Seguendo le premesse dell’esperienza pittorica, la dimensione ottica dell’architettura
I Dispareri di Martino Bassi mettevano in luce un problema fondamentale del si sviluppò su due fronti: da un lato la volontà di correggere gli inganni della visione
progetto architettonico che era quello del rapporto tra forma costruita e forma per salvaguardare l’ordine proporzionale degli elementi architettonici, come abbiamo
apparente, rivelando come l’aspetto estetico della triade vitruviana, la «venustas», visto nei capitoli precedenti, dall’altro la ricerca dell’inganno per stupire l’osservatore
dipendesse fortemente dal controllo ottico delle proporzioni. La centralità dell’occhio con la creazione di spazi immaginari che travalicavano il limite fisico del costruito. Il
giudice, sempre più esplicitamente manifestata nel corso del Rinascimento, rendeva problema tecnico affrontato da Bramante a San Satiro fu decisivo anche per gli imminenti
gli architetti perfettamente consapevoli del fatto che l’architettura potesse esistere sviluppi della scenografia teatrale e dell’architettura effimera. E certamente i suoi
anche soltanto come rappresentazione di se stessa. Bramante aveva indicato una strada modelli scenografici, elaborati alla corte sforzesca, furono determinanti per le celebrate
che nel corso del Cinquecento e del secolo successivo sarebbe stata percorsa da un invenzioni di Girolamo Genga112. Sebbene note solo dalle descrizioni coeve, le prime
gran numero di architetti, portando a definire i caratteri di una vera e propria dimensione scene prospettiche derivavano chiaramente da un modello comune. L’allestimento
ottica dell’architettura. di Pellegrino da Udine per la Cassaria di Ludovico Ariosto (Mantova, 1508) aveva
caratteri simili alle scene bramantesche di Girolamo Genga. Una testimonianza coeva
lo descrive come una «prospectiva di una terra cum case, chiesie, campanili et zardini,
275
che la persona non se può satiare a guardarla per le diverse cose che ge sono, tute de
275 G.B. Bertani, casa
dell’architetto, Mantova, inzegno e bene intese, quale non credo se guasti, ma che la salvarano per usarla de
particolare del piedistallo l’altre fiate»113.
dell’ordine ionico vitruviano
in facciata.
La scenografia teatrale
Per quanto ne sappiamo, quest’applicazione della prospettiva si sviluppò piuttosto
tardi rispetto ad altri settori artistici. Il teatro del Quattrocento non contemplava
necessariamente la presenza di una scena dipinta che sembra essere stata introdotta
per la prima volta nell’ambito dell’accademia romana di Pomponio Leto. Fu Sulpicio
da Veroli, curatore della prima edizione di Vitruvio stampata a Roma intorno al 1486,
a suggerire il contesto di questa innovazione, attribuendone il merito al cardinale
Raffele Riario, dedicatario dell’opera e sostenitore del rinnovamento del teatro classico114.
Non è chiaro di che tipo di scena si trattasse; probabilmente era semplicemente un
fondale, forse mobile e riutilizzabile in varie occasioni. Non sappiamo se, almeno per
i fondali, già venisse applicato il meccanismo delle scene girevoli predilette nel
Cinquecento, ma come si deduce da un passo albertiano nel De re aedificatoria (1452)
esso era ben noto negli ambienti umanistici. Secondo Alberti, le tre tipologie sceniche
descritte da Vitruvio nel De architectura (V, VIII) cambiavano grazie a «una macchina
[versatili machina], la quale volgendosi sopra un perno, mostrava in uno istante a gli
spettatori una facciata talmente dipinta, che sembrava hora una scena regia da Tragici,

284 285
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276

hora una scena di case ordinarie da Comici, e hora una selva per i Satirici, secondo che
ricercava la qualità della favola che si doveva recitare»115. Da Vitruvio si poteva anche
apprendere che la costruzione delle scene era governata da un insieme di regole
geometriche di cui i perduti scritti di Agatarco, Democrito e Anassagora fornivano le
necessarie istruzioni116.
Come ben individuato dalla critica, il teatro moderno si sviluppò secondo due
varianti117. Nella prima la rappresentazione si svolgeva al centro della sala, dove si
trovavano anche gli spettatori più importanti che erano presentati come parte integrante
dell’azione scenica; un palco era previsto su uno dei lati corti della sala ma solo come
luogo secondario della scena. Questa soluzione fu adottata a Mantova nel 1501 con
i Trionfi del Mantegna; a Venezia nel 1542 in un allestimento del Vasari per la Compagnia
della Calza; a Firenze nel 1565 ancora in un allestimento del Vasari per Cosimo I in
palazzo Vecchio; nel teatro allestito dal Buontalenti agli Uffizi nel 1585; e nei due teatri
di Giovanni Battista Aleotti nella sala Grande di Ferrara del 1610 e 1612. Nella seconda
variante, la rappresentazione si svolgeva sul palco situato in uno dei lati corti della sala
e il pubblico stava su una gradinata tutta orientata verso il palco; i due luoghi erano
separati dalla “piazza della scena” che fungeva da spazio per i movimenti reciproci di
pubblico e attori. Così era il teatro provvisorio di Ferrara per le nozze di Alfonso d’Este
e Lucrezia Borgia del 1501; quello di Girolamo Genga a Urbino del 1513; quello di
Raffaello a Roma del 1519; e quello di Antonio da Sangallo a Firenze del 1530.
Sulla seconda variante si innestò l’imitazione del teatro antico che, prima della
ricostruzione filologica operata da Palladio per Daniele Barbaro, portò sostanzialmente 276 B. Peruzzi, Scena tragica,
ca. 1514. Firenze, Gabinetto
alla sostituzione della gradinata rettilinea con una semicircolare, come fece ad esempio Disegni e Stampe degli Uffizi,
Sebastiano Serlio nel teatro in legno costruito a Vicenza, a Ca’ da Porto, nel 1539118. La 291A.
contrapposizione tra pubblico e attori favorì in particolare l’introduzione delle scene 277 278 B. Peruzzi, progetto
prospettiche che potrebbero corrispondere alle «picturatae scenae» menzionate da scenico per La Bacchide,
Sulpicio da Veroli e forse introdotte anche in ambiente urbinate se non fiorentino. pianta e alzato, 1531.
Firenze, Gabinetto Disegni
Alle prime sperimentazioni di Genga e Pellegrino da Udine fecero immediatamente e Stampe degli Uffizi, 269A.
seguito le invenzioni sceniche di Baldassarre Peruzzi che, secondo Vasari, «apersono
la via a coloro che ne hanno poi fatto a’ tempi nostri»119. Vasari si riferiva a due scene
costruite a Roma nel 1514, dove, nonostante «tanta strettezza di sito», si potevano
vedere «tante strade, tanti palazzi, e tante bizzarrie di tempi, di logge, e d’andari di 277 278

cornici così ben fatte, che parevano non finte, ma verissime, e la piazza non una
cosa dipinta e picciola, ma vera e grandissima» (fig. 276)120. La descrizione corrisponde
ai caratteri dei bozzetti scenici del Peruzzi dove affiora il germe dell’immagine di una
città ideale rimasta iconicamente raffigurata nei disegni del maestro senese e nelle
celebri tavole di Urbino, Berlino e Baltimora121.
Peruzzi dimostrava di avere un totale dominio dello spazio scenico. Il progetto per
La Bacchide, oggi conservato agli Uffizi nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, rivela
uno straordinario controllo della geometria prospettica applicata alla tridimensionalità
del palcoscenico (figg. 277-278)122. La corrispondenza delle quinte in pianta e in prospetto
e l’uso dei punti di distanza, determinati in relazione al punto di vista ideale al centro
della gradinata, indicano un processo progettuale già interamente concluso nel disegno.
Le tipologie degli edifici sono ovviamente studiate in rapporto al tipo di rappresentazione,

286 287
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279 D. Barbaro, I dieci libri


dell’architettura di M.
Vitruvio, Venezia 1567,
lib. V, p. 253, frons scenae.

280 281 A. Palladio, teatro


Olimpico, Vicenza, pianta
e frons scenae (O. Bertotti
Scamozzi, Le fabbriche e i
disegni di Andrea Palladio,
Vicenza 1776-83, lib. I, tav. I).
279 280

secondo i caratteri poi esemplarmente descritti da Serlio nel Secondo Libro. Di Perspettiva
(Parigi 1545)123.
Verso la metà del Cinquecento la scena fissa lasciò il posto alle scene mutevoli
desunte ancora dallo studio del teatro antico: la scaena ductilis fatta di telai scorrevoli,
e la scaena versatilis composta di grandi prismi triangolari girevoli, i cosiddetti periaktoi
del teatro greco, che portavano su ogni faccia un frammento di una diversa scena124.
Nel commento a Le due regole del Vignola, Egnazio Danti attribuì l’invenzione delle
scene girevoli ad Aristotile da Sangallo ma, come rivela il citato passo dell’Alberti, il
meccanismo era già noto anche se effettivamente impiegato solo negli allestimenti
della seconda metà del Cinquecento125. Se ne servirono Vasari, Buontalenti e Baldassarre
281
Lanci, il cui allestimento per La Vedova (1569) con la scena che «mutò due volte» fu
ricordato dal Danti con parole di grande ammirazione126. È probabile che anche Palladio
pensò a una scaena versatilis quando progettò il teatro Olimpico di Vicenza (1580).
La ricostruzione filologica del teatro antico disegnata per il Vitruvio di Daniele Barbaro
oltre vent’anni prima (1556), prevedeva infatti dei grandi periacti dietro le tre
porte della frons scenae (fig. 279). Fatta eccezione per l’impianto ellittico della cavea,
quasi certamente imposto dalla mancanza di spazio, il teatro vicentino corrisponde
perfettamente a quel modello vitruviano (figg. 280-281). La morte del maestro,
tuttavia, sopraggiunse a lavori non ancora ultimati e l’ipotesi di una scena con periacti
resta ancorata alla sola analogia con le xilografie dei Dieci libri127. Si è spesso ipotizzato
che il progetto di Palladio prevedesse almeno per la strada centrale una scena plastica
del tipo poi costruito da Vincenzo Scamozzi, ma i documenti sembrano contraddire
questa ipotesi, assegnando totalmente a quest’ultimo l’ideazione delle strade in
prospettiva solida128.

Palladio e Scamozzi
Nel maggio del 1584 gli accademici Olimpici decisero di affidare a Scamozzi il
completamento dei lavori che prevedeva la costruzione di una scena per l’Edipo tiranno
di Sofocle programmato per la serata inaugurale del 3 marzo 1585129. Il luogo della
tragedia era la città di Tebe, le cui sette porte erano visualizzate dalle sette strade
convergenti verso il palcoscenico, ideale piazza-agorà-palazzo130. La soluzione del
“tridente” convergente verso la porta regia fu determinante per garantire la presenza
di sette strade su cinque fornici (ianua regia, hospitalia e versurae), ma questa Tebe
era anche un’ideale Vicenza imperiale con le sue fabbriche palladiane allineate lungo
la strada regia. Fu certamente l’importanza attribuita a questa immagine simbolica

288 289
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282 283 V. Scamozzi,


progetti scenici per il teatro
Olimpico, 1585. Firenze,
Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi, 198A;
Chatsworth, Devonshire
Collections, Drawings
vol. IX, fol. 71, n. 108.

284 V. Scamozzi, progetto


per il teatro “all’antica”
282 283
di Sabbioneta, 1585.
Firenze, Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi, 191A.

della città a guidare la scelta di costruire le prospettive «di legnami». La soluzione


tecnica tradizionale era quella che utilizzava «telari con tele» ma per le scene «de
importanza», destinate a durare nel tempo, la costruzione in legno era sicuramente
preferibile: «Vedi la Scena dello Scamozzi con sette [strade] nel theatro di Vicenza –
scrisse lo stesso Scamozzi – Telari con tele s’adoprano per fare i casamenti delle Scene:
secondo lo Scamozzi le Scene de importanza loda, che siano fatte di legnami, come
egli ha ordinato la Scena della Accademia di Vicenza, et a Sabioneta»131.
Alcuni disegni del progetto per le prospettive si conservano oggi agli Uffizi e a
Chatsworth (figg. 282-284)132. Sono disegni quasi costruttivi, già definiti nei particolari
284 ornamentali e tipologici, meticolosamente indicati da numerose annotazioni: «archi»,
«cornici», «modano», «casa nobile», «tempio», «casa cittadinesca». Una squadra di
falegnami, stuccatori e decoratori, orchestrata dall’occhio attento dello scenografo,
costruì le superbe strade con «casamenti e palazzi e tempii e altari all’antica di architettura
finissima»133 che una volta illuminate superarono «l’immaginazione e il pensiero umano».
Così descriveva la scena uno degli spettatori dello spettacolo inaugurale, Giacomo
Dolfin, che rimase incantato dal «bellissimo ordine della scena [frons scenae] fatto […]
per disegno del Palladio secondo le regole e forme della architettura antica […] come
poi reuscissero le prospettive di dentro fatte dal Camoscio, non occorre ch’io le dica,
poiché […] non illuminate non sono niente, illuminate paiono ogni cosa; questo solo
dirò, che a quelli che le avevano vedute prima parve di veder un’altra cosa, a quelli
che non l’avevano più vedute parve di veder cosa che superasse l’imaginazione e il
pensiero umano […] L’eccellenza del quale effetto procedeva dalla illuminazione della
parte di dentro della scena, la quale è al contrario del proscenio che era illuminato da
torcie visibili e apparenti […] riceveva il lume da mille e più lumiere invisibili e occulte,
sì che pareva solamente l’aere illuminato senza che si sapesse ove nascesse il lume»134.
L’invenzione illuminotecnica sembra attribuibile allo stesso Scamozzi che si avvalse
tuttavia delle competenze tecniche di un esperto, quale l’ingegnere ferrarese Antonio
Pasi, a cui si dovrebbero attribuire le combinazioni di vetri, lumi a olio e specchi concavi
che garantirono la riuscita dello spettacolo illuminotecnico135.
L’abilità pratica di Scamozzi era naturalmente supportata da un’intensa attività
teorica che lo aveva portato fin dal 1575 a redigere un trattato di prospettiva mai
dato alle stampe e oggi, purtroppo, perduto. Come già ricordato, la prima notizia di
quest’opera ci è data da Girolamo Porro nella dedicatoria a Giacomo Contarini dei
Discorsi sopra le antichità di Roma dello Scamozzi (1582). La notizia della compilazione

290 291
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285
285 F. Borromini, galleria
prospettica di palazzo Spada,
Roma, 1653.

del trattato nel 1575 proviene dallo stesso Scamozzi che vi fece riferimento ne L’idea
dell’architettura universale, là dove spiegava i caratteri del disegno architettonico
secondo la tripartizione vitruviana: «Poi la prospettiva, serve per rappresentare, per
via di linee artificiali tutte le cose, come dice anco Vitruvio, stando in certo determinato
luogo: corrispondono a’ raggi nostri del vedere naturale: in modo tale, che apportano
à gli occhi nostri le specie, e l’immagini vere, de gli edifici, che sono disegnati in iscorcio
nelle scene, et altrove: e certo è mirabile cosa il vedere, che il piano delle tele, ò delle
tavole, con colori siano talmente ben disposte, e lineate dall’arte, che à quelli, che le
mirano paiono che siano di rilievo, e più alto, e più basso; et di questa facoltà sino
nella nostra prima gioventù [a margine “1575”] ne habbiamo scritto sei libri, ne’ quali
è molto numero di disegni, così delle cose superficiali, et in piano, come de’ corpi e
parti di cinque ordini, i quali speriamo in Dio di metterli in luce, doppo questa nostra
lunga, e faticosa opera d’Architettura»136. Dalla menzione che troviamo nel testamento
del 1602, tuttavia, sembra di capire che il testo non era ancora del tutto finito avendo
dato la precedenza alla composizione dei disegni: «fatti tutti […] già da molti anni,
e finiti in buona forma come debbono stare, e manca solo intagliarli», mentre «in
buona parte è fatta la scrittura, et assai facile il resto a persona intendente, e massime
con la veduta d’essi disegni»137.
A Sabbioneta, Scamozzi fu protagonista di un altro capolavoro di architettura
teatrale che confermava il successo e la fortuna del modello vicentino. Qui «facessimo L’architettura illusoria
fare tutto da fondamenti – scriveva Scamozzi – l’Odeo, e Teatridio all’Eccellenza del La scena tragica del Cinquecento era l’immagine di una città idealizzata che trovava
Sig. Duca Vespasiano Gonzaga nella sua città di Sabbioneta […] con l’Orchestra, e espressione, in forma scenografica, anche al di fuori dello spazio teatrale,
gradi per sedere gl’huomini, e più ad alto una loggia per le Donne. Il Proscenio, e le sovrapponendosi alla città reale attraverso sontuosi apparati effimeri che gli stessi
Prospettive di quelli edifitij rappresentano una gran Piazza, con una strada nobilissima architetti-scenografi erano chiamati a progettare in occasione di feste e celebrazioni.
nel mezzo, ed altre poi di quà, e di là, con molti variati edifitij, pur di legnami coloriti, In queste scenografie urbane comparivano gli stessi elementi tipologici che
ad imitazione de’ naturali. Di questo habbiamo fatto il disegno della sua pianta, e caratterizzavano la scena tragica: l’arco trionfale, innanzitutto, e la strada regia che
delle parti di dentro, come di quello di fuori»138. nel caso specifico era un vero asse viario visto attraverso la fittizia porta reale. La
Il 10 maggio del 1588, Scamozzi presentò al duca di Sabbioneta un progetto di volontà di coinvolgere l’osservatore nella messa in scena di spettacoli ottici dall’alto
massima, oggi agli Uffizi, che illustrava in modo abbastanza dettagliato le caratteristiche potere illusionistico si manifestò in modo sempre più deciso con la diffusione del gusto
del teatro (fig. 284): una lunga sala rettangolare con cavea semicircolare e loggiato barocco, quando anche le applicazioni più specificamente scientifiche diventarono
«per le donne», di stampo palladiano, e una scena fissa «di legname» molto simile oggetti di meraviglia. In un periodo solitamente noto per la licenza e la stravaganza
alla strada regia del teatro Olimpico139. La scena fu distrutta nel XVIII secolo ma dal si rafforzava singolarmente anche il ruolo della scienza nelle arti figurative, tanto che
disegno degli Uffizi se ne può facilmente ricostruire l’immagine: gli edifici avevano molte delle meraviglie barocche erano tali proprio perché governate da imprescindibili
caratteristiche veneziane, con le statue e gli obelischi sopra il cornicione, ma la colonna leggi scientifiche. Senza i lumi della scienza, ad esempio, non vi sarebbero state le
traiana che compare in fondo alla strada richiama inequivocabilmente la città di Roma, magie anamorfiche dei Minimi cartesiani, né le spettacolari invenzioni del Museo
mitico modello di ispirazione della Sabbioneta di Vespasiano Gonzaga. Due grandi Kircheriano, né, forse, le funamboliche architetture di Andrea Pozzo. In architettura
archi trionfali dipinti sulle pareti laterali, tra la cavea e il proscenio, inquadrano questo connubio tra scienza e meraviglia si manifestò attraverso gli sviluppi di una
altrettante vedute romane con il Campidoglio e castel Sant’Angelo, mentre l’architettura dimensione ottica sempre più definita sul piano teorico oltre che pratico.
ficta che decora le pareti del loggiato ospita busti e finte statue di grandi imperatori Il gran teatro di queste esperienze era Roma, cuore della cultura barocca e al
romani tra i quali campeggia il duca Gonzaga nelle vesti dell’imperatore Vespasiano. tempo stesso centro scientifico tra i più avanzati d’Europa. Qui l’incontro tra la cultura
Dall’alto del loggiato, circondato dagli ospiti d’onore e dalle gentildonne, il duca di artistica e quella scientifica si manifestò con un caso eclatante, quando nel 1644
Sabbioneta assisteva allo spettacolo, dominando l’intera prospettiva che senza soluzione Francesco Borromini e il padre Minimo Emmanuel Maignan, massimo esperto di
di continuità unificava architettura dipinta e scena plastica in un coinvolgente spazio gnomonica e anamorfosi, collaborarono alla redazione del progetto di villa Pamphilj140.
illusorio. L’edificio in forma di fortezza prevedeva una serie di “ornamenti matematici” che

292 293
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288
286 287 F. Righi, galleria
286 287
prospettica di palazzo Spada,
Roma, pianta e alzato.
Vienna, Graphische
Sammlung Albertina,
Az. Rom 1157, 1156.

288 C. Rainaldi, allestimento


per la festa delle Quarant’ore
nella chiesa del Gesù,
incisione, 1650. Roma,
Biblioteca dell’Istituto
di Archeologia e di Storia
dell’Arte.

comprendevano orologi solari, planetari, prodigi acustici, anamorfosi ottiche e collocata sul fondo verso l’interno della galleria, che ripropone il motivo del prospetto
diottriche, il tutto abilmente orchestrato in modo da fare dell’architettura non un frontale, stringeva ulteriormente l’intercolumnio terminale per dare un senso di
contenitore ma un vero e proprio strumento scientifico. Il progetto non ebbe seguito maggiore profondità senza esasperare la convergenza dei lati. Si trattava di astuzie
ma la sperimentazione sui temi scientifici fu in parte messa in atto da entrambi gli prospettiche attentamente meditate che forse hanno un valore programmatico nel
autori per un comune committente, il cardinale Bernardino Spada, il cui palazzo in contesto dell’opera di Borromini; basti pensare alle obliquazioni dei portali del collegio
piazza Capodiferro divenne sede di curiosi ornamenti matematici, tra i quali la celebre di Propaganda Fide o alle “prospettive” dei monumenti lateranensi. La tecnica di
«loggetta» prospettica del giardino segreto (fig. 285)141. costruzione è di tipo teatrale: un piano inclinato con una pendenza di circa il 7%, e
L’idea di questa «prospettiva materiale» si ispirava a un catafalco costruito da un punto di fuga teorico collocato oltre il fondale. Come è chiaramente indicato
Borromini per la festa delle Quarant’ore nella cappella Paolina142. La prospettiva di nei disegni dell’Albertina, l’intercolumnio terminale si riduce della metà rispetto a
colonne doveva essere visibile dalla sala delle udienze del cardinale Bernardino, e quello frontale (figg. 286-287). Dalla sala delle udienze la «loggetta» sembrava
aveva come sfondo delle finte aiuole in muratura con la veduta di un giardino dipinta estendersi verso i finti giardini per almeno il doppio della sua lunghezza reale (8,90
da Giovanni Battista Magni. I lavori furono affidati a un esperto scenografo, tale m) ma, avvicinandosi, il magnifico colonnato si trasformava progressivamente in un
Giovanni Maria da Bitonto, un padre agostiniano cui Virgilio Spada, fratello di angusto corridoio e le sue forme «grandi solo all’aspetto, raggiunte si fanno piccine».
Bernardino, aveva già commissionato nel 1647 la realizzazione del tabernacolo Le prove tecniche e le modifiche apportate dal Bitonto in corso d’opera rendono
prospettico per l’altare maggiore della chiesa di San Paolo a Bologna. I documenti difficile stabilire l’esatta posizione del punto di vista. Vi sono evidenti incoerenze, del
attribuiscono al Bitonto un notevole potere decisionale. A lui si devono alcune tutto consapevoli, che portano fuori strada qualsiasi tentativo di razionalizzare
fondamentali decisioni esecutive, come l’abbassamento della volta di 3/4 di palmo geometricamente uno spazio modellato attraverso il controllo ottico diretto. Le basi
e il restringimento della stessa di 1/4 di palmo, e la costruzione in altro sito di 34 delle colonne, ad esempio, che secondo le leggi della prospettiva dovrebbero
colonne in «muratura rustica», poi demolite per essere costruite definitivamente nel progressivamente schiacciarsi, sono tutte figure simili della stessa forma ovale, e nel
sito attuale. Bitonto era colui che, disegni alla mano, verificava in scala reale l’effetto disegno dell’Albertina sono perfino tutte circolari. La costruzione in realtà ha una sua
prospettico, correggeva e affinava i dettagli e quindi realizzava l’opera non senza logica che non corrisponde alla forma mentis della “geometria descrittiva” ma a quella
eccedere nelle spese, come ebbe modo di sottolineare lo stesso Bernardino descrivendo più elastica della pratica scenica e quadraturistica144. I grandi esecutori di prospettive
in una lettera la sua «loggetta lavorata di stucchi con numero di colonne che il P. sapevano bene che gli schemi geometrici non si potevano imporre al giudizio dell’occhio
Bitonto Augustiniano ha fatta qui in Casa di contro la stanza dove io soglio dare senza alterazioni. Bernardino desiderava una prospettiva che potesse essere goduta
udienza […] ne la quale il Padre Bitonto m’ha data occasione di spendere più quattrini dalla sala delle udienze e il punto di vista quindi era lì. Bitonto dal canto suo aveva
che non era in prospetto»143. bisogno soltanto delle misure generali, precisamente quelle indicate nei disegni
L’architettura della «loggetta» fu pensata in funzione dell’effetto prospettico. dell’Albertina (larghezza e altezza della prima e dell’ultima arcata); il resto sarebbe
L’architrave spezzato imponeva un ritmo e risolveva l’apparente curvilinearità che si stato definito in cantiere. L’opera, infatti, non venne subito realizzata in sito ma si
sarebbe percepita se fosse stato continuo; gli ambulacri laterali servivano a creare costruirono preventivamente le colonne rustiche altrove; in un luogo in cui sarebbe
una zona d’ombra in grado di esaltare il modellato delle colonne; la doppia colonna stato possibile tendere delle corde fino al punto di fuga teorico (cosa impossibile da

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289
289 A. Gherardi, cappella
Avila in Santa Maria
in Trastevere a Roma, 1680.
(D. de Rossi, Studio
291
d’architettura civile,
Roma 1702).

290 Sviluppo di una


delle facciate delle “strade”
di Santa Maria Assunta
ad Ariccia (dis. dell’autore).

291 G.L. Bernini, primo


prospetto della chiesa
di Santa Maria Assunta
ad Ariccia con gli edifici
laterali a più piani.
Ariccia, palazzo Chigi.

fare nel sito attuale perché tale punto cadeva nella proprietà confinante). Verificata
l’altezza e la posizione delle colonne, tutto il resto sarebbe stato costruito in sito senza
l’ausilio di corde, facendo affidamento sui rapporti proporzionali tra gli elementi
architettonici. Quanto al problema delle basi che mantengono la figura di sezione
costante, non si deve dimenticare che l’opera non è di legno e tela, ma di muratura.
Le colonne hanno cioè una precisa funzione statica e devono mantenere perciò
una sezione sempre proporzionale alla porzione di carico che vanno a sostenere. I
fusti diminuiscono proporzionalmente alle volte e la loro sezione deve necessariamente
seguire la stessa logica; tant’è vero che le ultime due volte sono rese indipendenti
dalla massa muraria superiore che evidentemente le colonne così esili non avrebbero
potuto sostenere. La separazione di queste volte, spesso ritenuta un artificio per
l’illuminazione, risponde più concretamente a una ragione statica.
I lavori furono ultimati nel 1653. Borromini tornò a essere menzionato nel 1655
a proposito di un progetto che il Neppi interpreta come un ampliamento non realizzato
della colonnata; la «degradatione della prospettiva» disegnata da Borromini è descritta
in una lettera di padre Bitonto a Bernardino ma sembra più probabile che si tratti
290
di un’idea che il cardinale intendeva realizzare altrove, forse, come suggerisce la
Heimbürger-Ravalli, nella sua residenza di Tivoli145. Le misure indicate nella lettera –
«una longhezza di palmi 120 [ca. 27 m] […] altri 20 palmi larga [ca. 4,5 m]» – riguardano
una struttura notevolmente più grande della galleria di palazzo Spada. E che Bernardino
avesse in mente di realizzare qualcosa di veramente spettacolare lo rivela una lettera
dell’anno successivo al fratello Virgilio, dove si parla della costruzione di una grande
«prospettiva materiale» nel coro di San Lorenzo in Lucina. Borromini e padre Bitonto
furono inviati per un sopralluogo al fine di verificare la fattibilità del progetto che
poi non fu portato avanti per problemi tecnici e funzionali146. Ma un’idea di cosa
Bernardino avesse in mente si può forse cogliere dall’apparato prospettico di Carlo
Rainaldi per la festa delle Quarant’ore nella chiesa del Gesù (fig. 288).

296 297
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La «loggetta» Spada resta un capolavoro unico nel suo genere, come due secoli prima L’architettura obliqua
lo era stato il finto coro di Bramante in Santa Maria presso San Satiro, presumibilmente
studiato da Borromini durante il suo apprendistato nella città lombarda. La «prospettiva
materiale», tuttavia, entrò decisamente a definire gli spazi architettonici anche
attraverso sottili deformazioni che tendevano a fondersi con il concetto più astratto
di “architettura obliqua”. Mentre da un lato si assisteva alla messa in scena di veri e
propri allestimenti teatrali in muratura – come la berniniana cappella Cornaro in Santa
Maria della Vittoria o la cappella Avila di Antonio Gherardi in Santa Maria in Trastevere
(fig. 289) – dall’altro la prospettiva assumeva il ruolo di un vero e proprio strumento
progettuale. Di «prospettiva materiale», ad esempio, si parla anche nei documenti
dei lavori per la collegiata di Santa Maria Assunta ad Ariccia (1662-65): «color di
travertino a tutti i balaustri della prospettiva […] Bianco alla detta prospettiva…» La codificazione di regole e principi per l’architettura «obliqua» si deve al vescovo
(fig. 290)147. Gian Lorenzo Bernini in questo caso riservò l’artificio prospettico all’esedra cistercense Juan Caramuel de Lobkowitz che vi dedicò un ponderoso trattato in
che abbraccia la chiesa sul modello del coevo progetto per il restauro del Pantheon, castigliano dal titolo Architectura civil recta y obliqua, edito a Vigevano nel 1678. Il
ma l’inganno non è immediatamente percepibile. Le facciate anteriori hanno forme vescovo cistercense cominciò a lavorarvi fin dal 1624, continuando a limare le sfaccettature
e proporzioni del tutto normali; solo percorrendo la strada anulare ci si avvede che di questa ipotesi teorica nel corso della sua vita itinerante, a contatto con i maggiori
le paraste diminuiscono progressivamente di altezza, che le finte aperture delle facciate scienziati e artisti del suo tempo148. Nel contesto della cultura enciclopedica barocca,
curvilinee hanno profili romboidali, che la trabeazione è inclinata, finché, arrivando Caramuel si colloca tra quei personaggi che seppero stimolare al tempo stesso grandi
sul retro della chiesa, le facciate si mostrano chiaramente per quello che sono: vere manifestazioni di stima e altrettanto forti posizioni di dissenso. Dall’elogio di padre
e proprie quinte scenografiche concepite per regolarizzare il disordinato tessuto Feijóo – «se Dio permettesse la scomparsa di tutte le scienze, Caramuel da solo basterebbe
urbano retrostante e assecondare la veduta preferenziale dell’intero complesso dal a restaurarle»149 – si passa alla critica di Guarino Guarini, secondo il quale ciò che il
prospiciente palazzo Chigi (fig. 291). vescovo scrisse in materia di architettura fu «piuttosto uno scherzo a parlar
La deformazione che gli elementi architettonici subivano nello spazio prospettico modestamente, che un giudizioso insegnamento»150.
acquistò in quel periodo un nuovo valore estetico e concettuale che contraddistingueva L’interesse per l’architettura obliqua risale agli anni della formazione nei monasteri
nettamente tali applicazioni dai precedenti cinquecenteschi. L’obliquità degli angoli cistercensi spagnoli dove la trasformazione delle vecchie fabbriche gotiche – messa in
e delle linee diventò oggetto di un’ipotesi teorica che razionalizzava il disegno della atto nel corso del XVII secolo per adeguare gli edifici allo stile “salomonico” dell’Escorial
forma architettonica anche là dove risultava apparentemente compromesso dalle – fu occasione di una conoscenza diretta delle obliquazioni stereotomiche. Caramuel
implacabili leggi dell’ottica e della geometria. L’obliquità stava per diventare oggetto ricorda espressamente gli archi obliqui della cappella del Cristo nel monastero della
di un nuovo valore estetico. Espina, e loda le doti architettoniche del suo maestro Fra’ Angel Manrique da cui
apprese le tecniche stereotomiche e la consuetudine “gotica” di obliquare gli ordini
nell’ornamentazione delle scale, un sapere tecnico-geometrico che, in confronto al
“retto” classicismo vitruviano, dev’essergli apparso come «un Arte Nueva de la qual
nadie ha escrito en el Mundo»151. Dopo il noviziato nei conventi spagnoli, Caramuel
viaggiò per tutta Europa, frequentando i circoli cartesiani, seguendo con attenzione
gli studi scientifici dei Minimi di padre Mersenne, e partecipando con fervore al dibattito
filosofico e teologico152. A Roma conobbe Athanasius Kircher e si inserì attivamente
nel dibattito architettonico che accompagnò la costruzione della città barocca. Al
centro della sua attenzione c’era soprattutto Gian Lorenzo Bernini di cui criticò
aspramente gli interventi in San Pietro, in particolare il grande “peristilio ellittico” che
fu per lui un’occasione mancata di architettura obliqua.

L’ipotesi di Caramuel
Come la critica ha puntualmente messo in rilievo, le idee di Caramuel vanno lette
nel contesto filosofico del probabilismo e del lassismo153. L’ipotesi probabilistica sostenuta

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nella Theologia fundamentalis (1652) portò il cistercense a giustificare lo sperimentalismo capriccio della fantasia, come a lungo è stata interpretata, ma un’autentica espressione
cartesiano e ad accettare la teoria eliocentrica copernicana: a ritenere in sostanza del pensiero matematico154. Caramuel si poneva di fronte all’architettura come davanti
probabile tutto ciò che non poteva essere dimostrato sbagliato. Qualsiasi rifiuto a priori a un problema scientifico. Niente poteva essere dato per scontato o per immutabile;
dettato da schemi predeterminati (il riferimento era alla censura della chiesa) gli tutto doveva essere coerente con il ragionamento logico, anche a rischio di deformare
appariva un ostacolo al progresso della scienza e della conoscenza umana. Questo gli elementi architettonici. L’architettura non doveva essere vista come una mostra
atteggiamento filosofico, che gli procurò l’accusa di lassismo, si rifletteva anche nei di ornamenti ma come l’espressione di un ragionamento geometrico esteso alle tre
suoi rapporti con l’antico. Nessuna regola poteva essere assunta come intoccabile; dimensioni spaziali. Di questo ragionamento si dovevano percepire tutti i passaggi;
l’antichità dogmatizzata aveva per lui un potere inibitorio nei confronti della creatività ogni linea che interveniva nella risoluzione del problema geometrico doveva essere
artistica. Ma più che contro Vitruvio, Caramuel si scagliava contro i vitruvianisti che, tramutata in forma architettonica. Non aveva senso perciò mantenere l’ordine retto
a suo modo di vedere, tendevano a costringere la creatività in un sistema di regole nei piani inclinati delle scale, dove le verticali si incontravano solo con linee oblique.
congelato e sterile. Portando il paragone con le scienze che senza i progressi della L’obliquità era considerata come la trasformazione di uno stato iniziale “retto”. Se
matematica moderna non avrebbero avuto alcuno sviluppo, Caramuel riteneva che il piano si inclinava, quindi, l’ordine non poteva restare invariato ma doveva seguire
l’architettura non potesse rinnovarsi rimanendo ancorata all’antichità. senza pregiudizi la natura geometrica dello spazio. Questa idea di spazio geometrico,
La sua venuta a Roma in seguito all’elezione di Alessandro VII (1654) coincide con materializzato dalle linee architettoniche, aveva una matrice cartesiana esplicitamente
la pubblicazione a Francoforte della Theologia rationalis, l’opera in cui il cistercense espressa nella definizione del «lugar intrinseco», ossia dello spazio definito dalla
presentava una nuova arte retorica chiamata «logica obliqua», ossia l’analisi sintattica presenza di un corpo e come quello esteso nelle tre dimensioni155. Senza corpo non
che indagava forme oblique nei sistemi grammaticali. Si trattava di una filosofia poteva esservi spazio; e l’uno e l’altro erano indissolubilmente legati perché l’uno
dell’obliquo costruita a sostegno e complemento dell’analoga ipotesi architettonica manifestava l’altro. La stereotomia, mettendo in rilievo le linee di intersezione tra i
anticipata nel terzo libro della Mathesis biceps (1670, Mathesis arquitectonica), e volumi geometrici, manifestava la struttura degli invisibili corpi che si incontravano
compiutamente sviluppata nel trattato di architettura “retta e obliqua”. Vista nel nello spazio. E perfino la prospettiva, che controllava la geometria mutevole del
contesto del pensiero scientifico e filosofico di Caramuel, e più in generale di quello rapporto tra osservatore e oggetto, era vista come un fondamentale strumento di
cartesiano, l’architettura obliqua non era affatto una manifestazione bizzarra o un definizione dello spazio architettonico.

292 293 294


292 293 294 J. Caramuel
de Lobkowitz, Architectura
civil recta y obliqua, Vigevano
1678, parte III, lam. XLV,
deformazione obliqua
dell’ordine corinzio; parte IV,
lam. XXIII, pianta ellittica;
parte IV, lam. XXIV, colonnato
ellittico tetrastilo.

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295 296 J. Caramuel
de Lobkowitz, Architectura
civil recta y obliqua, Vigevano
1678, parte IV, lam. XX,
obliquazione dell’ordine
su una scala; parte IV,
lam. IV, frontespizio.

297 A. de Vandelvira,
Libro de traças de cortes
de piedras, ms., 1575,
fol. 7r, arco conico ribassato.
Madrid, Biblioteca Nacional,
Ms. 12.719.

Gli aggettivi retto e obliquo derivavano dal linguaggio astronomico, dove stavano a forma “retta” in “obliqua”. Bastava immaginare l’inclinazione del piano orizzontale
definire la posizione dell’orizzonte rispetto all’equinoziale156. Disegnando l’eclittica di proiezione, come nell’anamorfosi, per ottenere la deformazione di un quadrato in
obliquamente rispetto agli altri circoli della sfera celeste, Dio fu il primo a tracciare un rettangolo o di un cerchio in un’ellisse (fig. 292). Così si poteva ottenere la
linee oblique nell’universo legittimando una visione teologica dell’architettura che deformazione ellittica del fusto di una colonna o la formazione di un arco rampante
Caramuel rivendica come propria dell’ordine cistercense: «en nuestro Orden la Theologia da uno regolare. La trasformazione obliqua della forma retta si imponeva nei casi in
à corrido dada de las manos con la Mathematica; y principalmente con la Architectura»157. cui, in pianta o in alzato, la geometria non era più governata da linee ortogonali. In
Non a caso l’origine dell’architettura obliqua poteva individuarsi proprio nelle finestre una pianta circolare, ad esempio, gli elementi architettonici distribuiti lungo la
del mitico Tempio di Salomone, descritte nella Bibbia e ampiamente commentate da circonferenza si governavano dal centro. Immaginando un peristilio circolare, era
Juan Bautista Villalpando158. Ma la connessione con la teologia era una caratteristica necessario che le basi delle colonne e i rispettivi plinti – solitamente cerchi e quadrati
comune negli ambienti scientifici del XVII secolo; Caramuel ricordava come Marin – si trasformassero in ellissi e trapezi, seguendo la geometria delle linee radiali e delle
Mersenne usasse spiegare l’infinità di Dio, paragonandola all’infinita estensione della circonferenze.
curva concoide che si avvicinava progressivamente alla linea retta senza mai toccarla159. Il problema si complicava quando la pianta era ellittica (fig. 293). In questo caso la
Sul significato dei due aggettivi, Caramuel spiegava con Cicerone che, riferiti geometria delle colonne poste lungo il perimetro ellittico veniva controllata dal centro
all’architettura, «recta» e «obliqua» non significavano lo stesso che «recté» e «obliqué» di un «circolo equante» (altro prestito dal linguaggio astronomico) di diametro pari
(bene e male). L’architettura “retta” era quella che seguiva le leggi delle linee e degli all’asse minore dell’ellisse162. Sulla circonferenza di questo circolo venivano tracciate
angoli retti; l’architettura “obliqua” seguiva invece le leggi delle linee oblique e degli tutte le colonne come in una pianta circolare, con intercolumni e fusti di misura costante.
angoli acuti e ottusi. E quindi si poteva «aedificare recta obliqué» e «aedificare obliqua Da questa posizione originaria le colonne venivano quindi proiettate dal centro sul
recté», ossia «obrar mal, y commetter en la Architectura Recta muchos yerros; y obrar perimetro ellittico, assumendo forme e dimensioni diverse a seconda della loro distanza
bien, y sin ellos exercitar la Obliqua»160. e obliquità. La natura prospettica di questa operazione era testimoniata dal fatto che,
L’esprit de géométrie che guidava il pensiero teorico di Caramuel faceva nonostante la deformazione dei fusti, le colonne apparivano tutte uguali e ben
dell’architettura obliqua il prodotto della concorrenza di tutte le discipline geometriche, proporzionate quando un osservatore si fosse trovato al centro «de la Machina de este
soprattutto la prospettiva e la stereotomia. L’ichnographia, ossia la pianta dell’edificio, Theatro»163.
poteva essere definita come una proiezione prospettica ottenuta sul piano orizzontale Il problema era ulteriormente sviluppato nel caso di un colonnato ellittico tetrastilo,
proiettando l’ombra dell’edificio per mezzo dei raggi paralleli del sole posto allo zenith. chiaro riferimento, come vedremo, al costruendo colonnato di piazza San Pietro (fig.
Nell’interpretazione di Caramuel, «Ichnographia» coincide con «Sciographia» che, a 294). In questo caso il «circolo equante» o, se si vuole, il luogo delle misure esatte, era
suo giudizio, andava intesa non come una rappresentazione pittorica dell’edificio ma la circonferenza esterna, dove si registrava una minima deformazione delle colonne.
come una proiezione parallela che «describa en el plano todos los cortes de las piedras»161. Man mano che le colonne si avvicinavano al centro, le basi venivano sempre più
La «sciographia» era perciò una tecnica stereotomica, seppur limitata per Vitruvio ai compresse dalla convergenza dei raggi geometrico-visivi, mentre le misure in profondità
casi di architettura “retta”. Si trattava cioè di quello che oggi è per noi il disegno e le “strade” tra le file di colonne restavano costanti. Le colonne più interne presentavano
esecutivo, distinto dalla «ichnographia» in quanto pianta generale. La scoperta la massima deformazione, anche se appena percettibile nelle grandi dimensioni
rinascimentale della prospettiva pittorica fu per Caramuel la causa prima dell’errata architettoniche.
interpretazione del termine sciographia come scaenographia. In alzato l’obliquità riguardava soprattutto l’architettura delle scale, dove la forma
La tecnica di proiezione parallela spiegava anche il processo di trasformazione di una romboidale delle pareti imponeva un disegno dell’ordine governato da linee verticali

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e oblique (fig. 295). Questo genere di obliquità, secondo Caramuel, era praticato dagli de Monpeller”, sono di una raffinatezza da geometria descrittiva che rende conto di
antichi solo nel disegno dei dentelli dell’unico elemento obliquo della macchina quanto asserito da Dürer sulle tecniche grafiche dei tagliapetra169. Il disegno dei conci
templare, ossia la falda inclinata o curva del frontespizio (fig. 296)164. Nella decorazione di pietra di questo tipo di volta – piuttosto semplice quando l’arco frontale era a tutto
delle scale, invece, l’obliquità veniva generalmente annullata con il ricorso a cunei di sesto e l’asse del cono ortogonale a esso – si complicava quando l’arco era ribassato
raccordo tra ordine retto e piano inclinato che Caramuel considerava del tutto («pechina carpanel despezada»), o l’asse del cono obliquo («pechina en viaxe»); in
inappropriati. L’eliminazione di questi cunei, con la conseguente inclinazione di basi questi casi la soluzione del problema richiedeva lo sviluppo di ogni singolo concio
e capitelli, era lo scopo dell’architettura obliqua in alzato. Le variazioni proporzionali attraverso la proiezione simultanea di pianta, prospetto e sezione (fig. 297)170.
sarebbero state valutate caso per caso, giudicando le modifiche da apportare per dare Nel caso delle scale a chiocciola era rigorosamente adottato l’ordine obliquo come
all’ordine obliquo la stessa grazia dell’ordine retto. A parte il raro esempio di ordine logica conseguenza della natura geometrica della spirale. Gli archi aperti su uno scalone
obliquo presente nelle rampe del santuario di Palestrina165, l’obliquazione degli ornamenti elicoidale risultavano quindi essere deformazioni ellittiche di un cerchio ottenute con
nelle scale aveva una precisa origine gotica e una inconfondibile matrice sterotomica. un procedimento che non a caso si ritroverà nel trattato di Caramuel (fig. 298)171. Un
Non a caso Caramuel porta ad esempio il capolavoro stereotomico di padre Manrique altro singolare disegno di Valdelvira – una cappella ovale costruita con l’ausilio di un
nel Collegio dell’ordine cistercense di Salamanca, una scala compresa tra quattro muri circolo equante (fig. 299) – rivela inequivocabilmente il trattato inedito dell’architetto
perimetrali senza sostegno centrale chiamata, per la sua difficoltà, «cruz de los spagnolo come una delle principali fonti di Caramuel172. Altra importante fonte spagnola
Architectos». può essere individuata nel Tratado de la architectura di Jean Charles de la Faille, opera
composta nel 1636 a supporto delle lezioni tenute al Collegio Imperiale di Madrid173.
La stereotomia Tra i temi discussi in questo trattato vi erano anche l’architettura obliqua e il taglio
I rapporti con la stereotomia sono evidenti nel caso dell’arco obliquo che Caramuel delle pietre, temi in cui le «bizzarrie dell’ingegno» (Caramuel), condannate come cose
chiama «arco en viaje», secondo una terminologia in uso nei cantieri spagnoli e capricciose dalla critica classicistica, trovavano il loro fondamento nel rigore delle
rintracciabile nel trattato sul taglio delle pietre di Alfonso de Vandelvira (1575)166. scienze matematiche.
Alfonso era figlio di Andrés de Vandelvira (1509-75), ultimo esponente del cosiddetto Volte e archi obliqui rappresentavano una sfida che gli esperti di stereotomia
“Rinascimento granadino” e noto architetto e tagliatore di pietre a cui si deve lo affrontavano con grande entusiasmo. Caramuel fa notare l’assenza di questa tipologia
sfruttamento in grande scala della volta a spicchi (boveda vaìda) quale elemento nell’architettura antica, ma aggiunge che perfino nell’architettura moderna italiana,
strutturale puro del classicismo spagnolo167. Il manoscritto di Alfonso, Libro de traças tedesca e olandese era impossibile trovarne esempi degni di nota. Archi obliqui si
de cortes de piedras, è un raffinato compendio delle tecniche di cantiere che fa eco al trovavano invece in Francia e in Spagna, soprattutto nel già mitico Escorial, monumento
quasi contemporaneo Le premier tome di Philibert de l’Orme (1567), anticipando la alla magnificenza di Filippo II, e in quella cappella del Cristo del monastero della Espina
scientificità pratica del trattato di François Derand (1636), uno dei più diffusi testi che stimolò le sue prime riflessioni sull’architettura obliqua174. Nel caso della cappella
sterotomici del XVII secolo168. Le costruzioni del pennacchio conico, detto “trompa del Cristo, Caramuel precisa che l’architetto costruì l’arco obliquo non tanto per necessità

298 299 300 301


298 299 A. de Vandelvira,
Libro de traças de cortes
de piedras, ms., 1575, fol. 55r,
obliquazione dell’ordine sulle
scale; fol. 75r, cappella ovale.
Madrid, Biblioteca Nacional,
Ms. 12.719.

300 Ph. de l’Orme,


Le premier tome de
l’architecture, Paris 1567,
lib. IV, p. 89, la trompe dello
studiolo del castello di Anet.

301 G. Desargues, Exemple


d’une manière universelle [...]
touchant la pratique
de la perspective, Paris 1636,
costruzione prospettica
con scale di misura.

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«sino solo por su gusto, para con una obra extraordinaria dejar testimonio de su rappresentare una cosa qualunque in prospettiva, e la maniera di figurare, ridurre o
ingenio»175. Una simile considerazione la troviamo nell’opera di De l’Orme, là dove rappresentare sul geometrale, così il geometrale e la prospettiva non sono altro che
l’architetto illustra la costruzione della celebre «trompe d’Anet», disegnata «di forma due specie dello stesso genere che possono essere enunciate e dimostrate insieme, con
così strana per rendere la trompe della volta più difficile e bella a vedersi» (fig. 300)176. le stesse parole…»180. Prospettiva e stereotomia non erano solo legate dai comuni
Di questa sua maestria nel dominare l’obliquità architettonica, De l’Orme si vantò fondamenti di geometria proiettiva ma anche dal fatto che entrambe operavano nella
anche nel descrivere la scala a chiocciola del castello di Fontainebleau, costruita rappresentazione dello spazio geometrico: una rappresentazione pittorica nel caso
«non senza grande artificio e meravigliosa difficoltà». La tecnica del taglio delle pietre della prospettiva, e una rappresentazione architettonica nel caso della stereotomia.
imponeva necessariamente una perfetta corrispondenza tra forma e struttura e non Entrambe costituivano il supporto concettuale e pratico di quella nuova arte che
è un caso se la critica mossa da Caramuel alla scala Regia di Bernini (lo vedremo più Caramuel chiamò «architettura obliqua».
avanti) si riscontra con circa un secolo di anticipo proprio nell’opera di De l’Orme, dove L’opuscolo sulla prospettiva pubblicato da Desargues nel 1636 si distingeva
oggetto di disapprovazione era la scala a chiocciola del Belvedere in Vaticano: «se immediatamente per la sua concisione, appena dodici pagine corredate da una sola
l’architetto che l’ha costruita avesse conosciuto l’arte dei tracciati geometrici di cui sto tavola illustrativa in cui si proponeva un metodo generale per rappresentare qualsiasi
parlando»177, scrive De l’Orme, avrebbe inclinato anche le basi e i capitelli che invece oggetto a qualsiasi distanza senza ricorrere all’uso dei punti di distanza o di qualsiasi
ha disegnato ortogonali, come se avesse dovuto costruire «un portico dritto e altro punto collocato fuori dal quadro (fig. 301). La soluzione era affidata a due
orizzontale»178. scale dimensionali, una per le misure e l’altra per le distanze. La prima serviva a riportare
Il rapporto tra forma e struttura geometrica dello spazio che si manifesta nell’opera le misure reali dell’oggetto ed era segnata sulla linea di terra analogamente a qualsiasi
di De l’Orme corrisponde proprio a quel concetto di architettura come espressione costruzione prospettica. La seconda indicava invece le distanze sul segmento della linea
visuale del pensiero geometrico che trova attuazione nell’opera di Caramuel e nella di terra compreso tra l’estremità sinistra e la traccia del raggio visivo centrale. Questa
letteratura stereotomica del XVII secolo. L’affermazione del concetto si manifesta in scala era costruita tracciando una linea dal punto di vista al bordo del quadro e
particolare nell’opera di Girard Desargues, nei cui scritti sulla prospettiva, sulle sezioni proiettando, parallelamente a essa, tutte le unità di misura della distanza in modo che
coniche e sul taglio delle pietre troviamo la definizione di un metodo generale per sulla linea di terra risultasse una scala proporzionale a quella reale. Quello che sembra
misurare la posizione geometrica di tutti i punti attraverso le loro coordinate spaziali179. un punto di distanza all’intersezione dell’orizzonte con il bordo del quadro è in realtà
Desargues perseguiva una geometrizzazione del mondo fisico tale da far percepire la il punto di concorso di questo fascio di parallele. Così, un punto collocato alla profondità
forma come nient’altro che il prodotto del pensiero logico matematico, tanto che di 17 unità sul bordo del piano scorciato sarebbe stato intercettato da una diagonale
«questa maniera di praticare il disegno per il taglio delle pietre – così esordiva nel condotta dal punto 17 della scala delle distanze a quel punto di concorso. Lo scopo di
trattato di stereotomia – è analoga alla maniera di praticare la prospettiva senza Desargues non era quello di rendere più pratico e spedito il lavoro dell’artista, che in
impiegare alcun punto di distanza, o d’altra natura, fuori dal quadro…», ribadendo questo metodo poco accademico poteva perfino vedere una scoraggiante complicazione,
più avanti, «che non c’è alcuna differenza tra la maniera di figurare, ridurre o quanto quello di definire una geometria posizionale come base comune di tutte le
arti e scienze. Le scale prospettiche erano di fatto scale proporzionali e riguardo a
302 303
quella delle misure era lo stesso Desargues a dire che essa «è per l’artefice uno strumento
302 G. Desargues, simile al compasso di proporzione»181. Questa affermazione è dimostrata nella memoria
Perspective adressée aux
theoriciens, Paris 1648, intitolata Perspective adressée aux theoriciens, pubblicata da Abraham Bosse nel 1648,
costruzione prospettica con dove Desargues descrive il modo di costruire la prospettiva con il compasso di proporzione
l’ausilio del compasso ottico. secondo una prassi illustrata precedentemente da Jacques Alleaume e Jean Luis de
303 G. Desargues, Vaulezard (fig. 302)182.
Brouillon project d’exemple Sulle stesse premesse geometriche si fondano il trattato sulle sezioni coniche (1639)
d’une manière universelle
[…] pour la coupe de pierres
e quello sul taglio delle pietre (1640), sancendo l’affermazione di una «maniera
en l’architecture, Paris 1640, universale» di cui Abraham Bosse, come è noto, si fece strenuo e appassionato sostenitore
definizione dei piani contro gli attacchi degli ambienti accademici. Ne La Pratique du trait del 1643, Bosse
di obliquità.
rendeva esplicita l’intenzione di Desargues di estirpare il diffuso atteggiamento di
stampo medievale che considerava l’arte della stereotomia come un «segreto da
apprendere col cuore». Il riferimento polemico era rivolto a Le Secret de l’Architecture
pubblicato appena l’anno precedente (1642) da Mathurin Jousse che, come il precedente
trattato di Philibert de l’Orme, proponeva una serie di casi particolari risolti con tecniche

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non sempre omogenee. Diversamente, Desargues intendeva far fronte a tutti i possibili costruire un arco regolare, e considerava questo tracciato come una matrice geometrica
casi che si presentavano in architettura, anche quelli mai affrontati in precedenza, ordinatrice paragonabile al «circolo equante» degli impianti ellittici. Successivamente,
attraverso un metodo universale e, come nel caso della prospettiva, proponeva di a seconda dei casi di obliquità (ne dimostra diversi), sovrapponeva a questo tracciato
affrontare il metodo geometrico indipendentemente dal caso particolare cui veniva la posizione più o meno disassata dei profili dell’arco sulle due facce, determinando
applicato. Anche in questo caso Desargues si pronunciò con sorprendente concisione: la forma, in pianta e alzato, di ciascun concio. Al di là dei problemi tecnico-geometrici,
quattro pagine corredate da cinque figure per illustrare un solo caso stereotomico tuttavia, l’arte della stereotomia portava verso un nuovo e condiviso concetto estetico
valido per tutti, quello della volta a botte con muro a scarpa su un passaggio obliquo che considerava la bellezza architettonica non tanto nell’ornamento, quanto nella
e in pendenza (fig. 303). I propositi di Desargues in campo stereotomico ebbero lo purezza delle forme geometriche visualizzate attraverso il perfetto disegno delle linee
stesso esito di quelli enunciati in campo prospettico: furono visti come fuorvianti, o di intersezione tra i solidi. Il capolavoro stereotomico di Jules Arduin Mansart nel
comunque non aderenti alla realtà dei cantieri, dove i procedimenti artigianali seguivano palazzo comunale di Arles può essere considerato un caso emblematico di questa
una loro convenzione perfettamente in linea con le tecniche geometriche esposte tendenza estetizzante del pensiero geometrico, il cui corrispettivo in campo pittorico
negli altri trattati di stereotomia. può essere individuato negli spettacolari sviluppi dell’anamorfosi. La prospettiva
Caramuel non entrò nel merito dei problemi tecnici del taglio delle pietre ma offrì anamorfica e la stereotomia operavano entrambe attraverso un processo di
uno schema generale particolarmente chiaro circa la geometria dei conci negli archi trasformazione obliqua dello spazio geometrico. E fu proprio la volontà di teorizzare
obliqui183. Egli immaginava il corpo murario come un parallelepipedo le cui sei facce, questo processo di trasformazione come fondamento di una nuova arte, soprattutto
come in un cubo, potevano essere ribaltate in piano (fig. 304). Quindi tracciava la nel campo dell’architettura, a spingere Caramuel alla stesura del suo trattato.
divisione regolare dei conci sulla faccia anteriore e su quella posteriore, come per
La “prospettiva architettonica”
304
La trasformazione obliqua degli elementi architettonici era in parte generata anche
304 J. Caramuel de dalle condizioni di visibilità cui l’edificio era sottoposto. Il tema era antico quanto
Lobkowitz, Architectura
civil recta y obliqua,
l’architettura classica – lo si vedeva affiorare nei commenti a Vitruvio e in alcuni trattati
Vigevano 1678, parte IV, di prospettiva e architettura – ma ora riemergeva alla luce delle conquiste della geometria
lam. II, schema stereotomico. proiettiva. Nel capitolo De la perspectiva Caramuel distingue la prospettiva in «Pictoria»,
quella che insegna a disegnare su una superficie piana gli oggetti esistenti, e
«Architectonica», quella che al contrario insegna a costruire le forme preliminarmente
disegnate: «enseña a pintar imagines, y labrar colunas, estatuas, y otras cosas, de
manera que colocadas en tal lugar, y miradas de tal punto, parescan en los ojos puntual,
y exactamente como las representa el dibuxo»184. Secondo Caramuel la tradizione
prospettica rinascimentale era prevalentemente “pittorica” o, meglio, non distingueva
affatto tra le due prospettive. A suo modo di vedere i prospettici rinascimentali, Serlio
per primo, avevano proceduto interpretando erroneamente la scaenographia vitruviana,
«porque la Perspectiva, que el define [Serlio], es la de los Pintores; y estos no pintan
las cosas con las medidas, que en si tienen; sino con las que en nuestros ojos se dibuxan.
Y lo que Vitruvio llama Scenographia, no es Pintura, o Delineacion del edificio, sino
Modelo»185. Questa considerazione indusse pertanto Caramuel a trattare esclusivamente
di prospettiva “architettonica”, come modello spaziale; a concepire cioè un’architettura
che non avesse proporzioni reali ma solo apparenti.
La componente ottica diventava determinante nel disegno di tutti gli elementi
destinati a essere veduti da punti di vista obbligati, in particolare quelli situati in alto,
che dovevano essere opportunamente deformati per fare in modo che otticamente
riacquistassero le proporzioni prestabilite. Così ad esempio le volute dei capitelli ionici
si dovevano disegnare ovali e le altezze dei capitelli corinzi dovevano essere sensibilmente
aumentate, in modo che nella veduta dal basso le une risultassero apparire perfettamente
circolari e le altre rientrassero nelle proporzioni previste dalle regole. Questo perché

308 309
prospettive 241-335 9-10-2012 10:04 Pagina 310

«hay dos generos de medidas; unas quoad se, otras quoad nos, de las quales aquellas In polemica con Bernini
son verdaderas, y estotras solamente apparentes»186. Questa parte dell’architettura Il soggiorno romano di Caramuel (1655-57) coincise con la progettazione e l’inizio dei
obliqua era interamente fondata sulle misure quoad nos e quindi sulla profonda lavori del colonnato di piazza San Pietro (1655-67), l’opera contro cui il cistercense
convinzione che non esistessero forme assolute e omogenee ma che tutto fosse scagliò le sue critiche più infuocate, lasciando trasparire un polemico coinvolgimento
sottoposto al giudizio soggettivo della percezione visiva. Il sistema proporzionale degli personale. Queste critiche sono espresse nel Trattado VI (Architectura obliqua) e nel
ordini architettonici era dunque applicato in relazione a un punto di vista preferenziale Trattado VIII (Architectura pratica), e riguardano anche altri “disastrosi” interventi
che comportava la relativa deformazione dei singoli elementi costitutivi dello spazio nella basilica che vedevano Bernini come il principale responsabile: le nicchie aperte
architettonico. La deformazione si otteneva per mezzo di un reticolo allungato simile nei piloni di sostegno della cupola, il dislivello tra l’antica chiesa e il prolungamento,
allo schema geometrico già proposto da Egnazio Danti nel commento a Le due regole la facciata di Maderno, la torre campanaria poi demolita, e l’emiciclo colonnato con
del Vignola e più volte adottato nel XVII secolo da Samuel Marolois, Mario Bettini e l’annesso prolungamento della scala Regia.
Grégoire Huret (fig. 305)187. Il peristilio ellittico tetrastilo della tavola XXIV (fig. 294) rappresenta la soluzione
Le deformazioni prodotte da questi reticoli allungati non erano delle vere e proprie di Caramuel al problema del colonnato petriano, lasciando supporre come gli anonimi
anamorfosi perché non presupponevano lo sfruttamento della doppia immagine e disegni del cosiddetto “controprogetto” (fig. 306), elaborati all’interno della corte
non annientavano totalmente la figura nella veduta frontale. Si trattava più papale, possano avere avuto proprio lui, Caramuel, quale diretto ispiratore. Il ritratto
propriamente di prospettive rallentate o rettifiche ottiche già proposte nella trattatistica dell’autore delineato dalla critica189, un esperto di prospettiva ma dilettante architetto,
rinascimentale e regolarmente usate da architetti e scultori fin dall’antichità. Caramuel si addice perfettamente alla figura del cistercense che vedeva nella piazza «tantos
cita l’esempio del teatro di Marcello a Roma, dove l’architetto aumentò l’altezza del errores, como piedras» poiché non furono rispettati i principi dell’architettura obliqua
cornicione per farlo apparire dal basso nelle dovute proporzioni, e ricorda l’aneddoto imposti dall’impianto ovale, dalla giuntura ad angolo ottuso con i corridori, e dalla
di Fidia che in gara con Alcamene scolpì una statua deforme da collocare in cima a pendenza del piano davanti alla basilica.
una colonna188. Le sue proposte tuttavia non si limitavano a occasionali rettifiche L’iter progettuale della piazza vide il susseguirsi di varie elaborazioni che vertevano
ottiche ma coinvolgevano tutto lo spazio architettonico imponendo un vero e proprio sulla soluzione di due problemi fondamentali dipendenti l’uno dall’altro: la forma
metodo progettuale fondato esclusivamente sulla definizione del rapporto tra forma dell’invaso e la visibilità della loggia delle Benedizioni. Le proposte più semplici, elaborate
e percezione visiva. Sottoponendo al controllo geometrico la trasformazione costruttiva già sotto Innocenzo X190, che prevedevano una piazza rettangolare o ottagonale,
e percettiva delle forme, Caramuel sosteneva una visione scientifica dell’architettura vennero progressivamente scartate a favore di un impianto circolare, poi deformato
che tendeva a legittimare tutte le forme geometriche estranee alla condizione di in una indecisa soluzione “a campana” modellata sulle linee visuali tracciate dalla
ortogonalità: linee spezzate, inclinate, curve, angoli acuti e ottusi, superfici concave loggia delle Benedizioni (fig. 307), e infine trasformato in ellisse, una forma che non
e convesse. Sosteneva cioè una lettura scientifica e filosofica della geometria propria tutti gli architetti, secondo Caramuel, erano in grado di dominare191. La forma definitiva
dell’architettura barocca. della piazza fu costruita sull’intersezione di due cerchi le cui circonferenze passavano

305
305 J. Caramuel de Lobkowitz,
Architectura civil recta y obliqua, 306 307
Vigevano 1678, parte IV, lam.
XXXI, deformazione delle statue.

306 Anonimo, “controprogetto”


dei portici di piazza San Pietro
a Roma. Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana,
Cod. Vat. Lat. 14620, fol. 11.

307 Anonimo, studio


delle visibilità del portico
dalla loggia delle Benedizioni
con l’ipotesi della configurazione
planimetrica a “campana”.
Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana,
Cod. Chigi PVII9.

310 311
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308 B. Peruzzi, colonnato


ellittico. Firenze, Gabinetto
Disegni e Stampe degli
Uffizi, 4137A.
per i rispettivi centri, secondo uno schema già pubblicato da Serlio. Risolta la forma
309 G.L. Bernini, e con essa il problema della visibilità – la zona d’ombra è ridotta al minimo – sorgeva
deformazione ovale
della sezione del fusto delle
il nuovo problema, sollevato probabilmente da Caramuel, dell’obliquità dell’ordine
colonne. Città del Vaticano, sul perimetro ovale192. Nell’ipotesi di Caramuel le colonne avrebbero dovuto avere una
Biblioteca Apostolica deformazione indotta dalla geometria radiocentrica. Le sezioni dei fusti esterni avrebbero
Vaticana, Cod. Vat. Lat.
13442, fol. 27r. dovuto essere quasi circolari («parasphaericae»), perché un minimo di deformazione
in trapezio la subivano anche i relativi plinti; quelle più interne invece, data la maggiore
310 G.L. Bernini, facciata
di uno dei corridori di piazza
deformazione dei plinti, avrebbero dovuto necessariamente deformarsi in ovali
San Pietro a Roma. Città («parallipses»). Un singolare precedente di questa soluzione lo troviamo tra i disegni
del Vaticano, Biblioteca di Baldassarre Peruzzi (fig. 308)193 ma lo stesso Bernini sembra aver accolto l’idea
Apostolica Vaticana,
Cod. Chigi PVII9, fol. 24r. positivamente, immaginando una deformazione dall’interno verso l’esterno. Come
illustra un disegno conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (fig. 309)194, la
soluzione immaginata da Bernini per eseguire materialmente la deformazione dei
308 fusti consisteva nell’interporre tra due semicerchi un settore rettangolare
progressivamente più largo. Da alcuni recenti rilievi, tuttavia, risulta che Bernini rinunciò
a questa complicazione, facendo eseguire i fusti perfettamente circolari, anche se di
diametro progressivamente maggiore dall’interno verso l’esterno195. Non rinunciò infatti
all’allargamento dei plinti determinato dalle linee convergenti al centro dell’emiciclo.
Le tensioni dell’obliquità si fanno più manifeste agli attacchi con i corridori, là dove
le linee rette si intersecano con quelle curve. Basi, capitelli, trabeazione e lacunari sono
modellati da un rincorrersi di spigoli acuti e angoli ottusi, come a esprimere potentemente
il crescendo dell’obliquità dal centro verso le estremità. La costruzione dei corridori
sembra rivelare ancora la presenza di Caramuel. La pendenza della piazza trapezoidale
è stata infatti perfettamente rispettata con l’adozione dell’ordine obliquo (fig. 310).
Le basi e i capitelli sono opportunamente obliquati al fine di eliminare quei cunei che
tanto infastidivano il cistercense, ma che in questo caso dovettero sembrare incongrui
anche a Bernini. Anche le finestre sono oblique, assumendo l’inevitabile forma
romboidale dovuta al parallelismo con le lesene verticali e con le linee inclinate del

309 310

312 313
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pavimento e della trabeazione. Quanto incisiva sia stata la lezione di Caramuel, supporre che le scelte di Bernini sarebbero state diverse. Uno dei principali problemi
creativamente assimilata e adattata da Bernini alle proprie esigenze, lo si deduce da risolvere nella realizzazione di quest’opera era il sostegno dei grossi muri portanti
dall’appellativo rimasto nelle piante di Carlo Fontana di piazza retta per il settore che poggiavano trasversalmente sul primo tratto della volta a botte. Le colonne libere
trapezio, e piazza obliqua per l’invaso ovale. servivano a ridurre la luce della volta e a ripartire il carico su uno spessore maggiore
L’obliquità del paramento esterno dei corridori fu rispettata anche all’interno ma dei muri perimetrali, spessore dato dalla distanza tra le colonne e le pareti. Questa
solo nel tratto che precede la scala Regia (1663-66) dove invece Bernini adottò l’ordine distanza poteva progressivamente ridursi fino a scomparire grazie al fatto che l’ultimo
retto con i relativi cunei di raccordo che sollevarono le prevedibili critiche di Caramuel tratto della volta, alla fine della seconda rampa, non sostiene che il proprio peso.
(fig. 311). Le critiche iniziavano fin dal ripiano di raccordo con il portico della basilica Sembra difficile supporre che di fronte a un tale problema statico – specialmente dopo
ai piedi della scala Regia, dominato dalla statua di Costantino, «Emperador a caballo», l’imbarazzante demolizione dei campanili per il cedimento delle fondazioni – Bernini
che «es muy bueno, pero non vale nada»196. L’apparente contraddizione del giudizio si potesse avventurare nel problema dell’ordine obliquo, ritenuto forse più idoneo alle
di Caramuel è spiegata dalla sua teoria del quoad nos e quoad se. Bernini, «Phidias de parti decorative. E infatti nella terza rampa, quella che sale verso la sala Regia, costruì
nuestro siglo», si comportò in quel caso come Alcamene, scolpendo un gruppo equestre le specchiature oblique, mentre mantenne rette le lesene per coerenza con il resto.
ammirevole ad altezza d’uomo ma sproporzionato nella sua collocazione sull’alto Nonostante le critiche di Caramuel, la scala Regia era una brillante soluzione al
basamento. raccordo tra l’arioso percorso dei portici e l’angusta salita alla sala Regia. Il raccordo si
Il problema maggiore per Caramuel stava nell’uso dell’ordine retto in un’opera che realizzava passando progressivamente dalle grandi alle piccole dimensioni attraverso
avrebbe potuto rappresentare un capolavoro di architettura obliqua. I plinti delle uno sviluppo a cannocchiale prospettico che conferiva al percorso una degna maestosità.
colonne erano in effetti romboidali, rispettando il parallelismo con i gradini e con le L’inganno prospettico fa di quest’opera forse l’unico caso in cui i principi dell’architettura
pareti oblique, ma i fusti erano rigorosamente circolari e poggiavano su basi obliqua applicata alle scale non erano attuabili. La deformazione dell’ordine dovuta
perfettamente orizzontali. Se però questo particolare poteva essere giustificato dal al piano in salita avrebbe interferito con la lettura prospettica, presentandosi
fatto che in definitiva le basi poggiano sul piano orizzontale dei singoli gradini, del ambiguamente come una controproducente deformazione scenografica.
tutto inscusabile appariva a Caramuel l’orizzontalità dei capitelli, raccordati con Nelle pagine polemiche dell’Architectura obliqua si trova però anche una sommessa
l’architrave inclinato per mezzo di quei cunei da lui tanto aborriti. In contrasto con lode a Bernini per aver realizzato in Sant’Andrea al Quirinale (1658-60) un perfetto
l’ordine retto, rispettato anche per le nicchie laterali, il cassettonato della volta a botte esempio di obliquità sulla figura ellittica: «y en voz tacita alabando a quien las delineo
segue l’obliquità della rampa, e le colonne diminuiscono di misura assecondando la y labro»197. La pianta di Sant’Andrea è un’ellisse tracciata con tre centri di curvatura
convergenza dei muri per esaltare l’effetto prospettico. Le critiche di Caramuel (fig. 312); lungo il suo perimetro si aprono otto cappelle i cui archi d’ingresso sono
giungevano a lavori ormai ultimati; probabilmente vide l’opera nel 1673, quando modellati secondo i principi dell’architettura obliqua. Gli archi sono tridimensionali
potrebbe essersi fermato a Roma durante il viaggio da Otranto a Vigevano, sede del (ossia, non complanari) mentre i piedritti e le cornici seguono rigorosamente il profilo
suo nuovo incarico vescovile. D’altra parte, se anche fosse stato presente, non si può ellittico, formando angoli acuti e ottusi con i lati paralleli ai raggi di costruzione

311 312 313


311 C. Fontana, Il Tempio
Vaticano, Roma 1694,
p. 239, disegno preparatorio
per la scala Regia.
Madrid, Biblioteca Reale,
Grab. 23VIII-M-398, f. 44.

312 G.L. Bernini,


Sant’Andrea al Quirinale,
Roma, pianta. Firenze,
Gabinetto Disegni
e Stampe degli Uffizi.

313 G.L. Bernini,


Santa Maria Assunta,
Ariccia, arco tridimensionale.

314 315
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dell’ellisse. I plinti delle colonne d’ingresso sono trapezoidali, mentre sono romboidali La critica di Guarini
quelli delle colonne interne, e concavi i piani delle lesene addossate al nicchione dietro Il primo attacco critico alla teoria di Caramuel viene dall’unico architetto barocco in
l’altare. L’ellisse quindi non era soltanto la figura dell’impianto generale ma era il grado di dominare con la stessa padronanza tanto la pratica di cantiere quanto la
principio generatore di qualsiasi elemento architettonico. Tra le esperienze oblique di teoria scientifica, e cioè Guarino Guarini198. In questo caso la polemica non si incentrava
Bernini si colloca anche la già ricordata collegiata di Santa Maria Assunta ad Ariccia sull’incompatibilità tra intuizione artistica e logica matematica, ma su una questione
(1662-65) che sviluppa entrambi i temi di piazza San Pietro e Sant’Andrea. La pianta puramente teorico-pratica. Sul piano scientifico il trattato del vescovo spagnolo era
ellittica di Sant’Andrea è qui semplificata in un cerchio lungo il cui perimetro si aprono paragonato al Cursus di Milliet de Chales ma sul piano pratico rivelava un’assoluta
archi tridimensionali di accesso alle rispettive cappelle (fig. 313). Mentre però in mancanza di esperienza costruttiva199. In definitiva, però, l’architettura obliqua di
Sant’Andrea gli archi avevano i piani d’imposta paralleli e il “concio” di chiave a Guarini – come Caramuel religioso, matematico, filosofo e studioso di architettura –
intradosso orizzontale, nell’Assunta di Ariccia i piani d’imposta e l’intradosso in chiave non si discostava significativamente da quella del cistercense. Si trattava piuttosto di
sono convergenti al centro della chiesa. In altre parole gli archi tridimensionali dell’Assunta una correzione del tiro troppo audace, o sconsiderato, di Caramuel. Guarini spogliò
giacciono sulla superficie di un cono che ha il vertice al centro della chiesa. essenzialmente l’architettura obliqua delle sue implicazioni ottiche e la ridusse a puro
Nonostante i contrasti tra il potente Bernini e l’imprudente Caramuel, la teoria fatto geometrico, dettando regole per costruire cornici, volute, capitelli e basi oblique200.
dell’architettura obliqua si inseriva perfettamente nelle tendenze architettoniche della Negli «ornamenti de’ muri delle scale», Guarini non aveva alcuna difficoltà a obliquare
Roma barocca. Era una teoria che conciliava il mundus mathematicus della cultura le cornici – pratica del resto già in uso nell’architettura classica e moderna – perché il
scientifica europea del XVII secolo con le esigenze creative di artisti e architetti, facendo loro sviluppo continuo non creava frizioni tra altezze e larghezze201. Queste due dimensioni
leva su quella disciplina che tradizionalmente forniva un efficace legame tra arte e risultavano invece difficili da proporzionare quando si trattava di obliquare colonne,
scienza, ossia la prospettiva. Lo strombo prospettico, dopo i casi sporadici del lesene o balaustri. In questi casi infatti, se si manteneva la larghezza del fusto uguale
Rinascimento, era diventato di uso comune negli schemi della decorazione architettonica a quella dell’ordine retto, i capitelli risultavano troppo schiacciati; se invece si ricercava
del XVII secolo. Le finestre di palazzo Barberini dimostrano come l’elemento illusionistico un capitello più proporzionato il fusto diventava più stretto, rivelando un imbarazzante
poteva diventare perfino un elemento caratterizzante nella composizione della facciata, contrasto soprattutto a confronto diretto con l’ordine retto che si trovava all’inizio o
fungendo al tempo stesso da finzione scenica e da ornamento architettonico. E alla fine della scala (fig. 314). Peggio ancora quando una lesena veniva costruita mezza
precisamente con questa doppia funzione l’illusione ottica verrà ampiamente sfruttata retta e mezza obliqua, come proponeva Caramuel nel tentativo di risolvere la giuntura
dallo stesso Bernini nel portale dell’ospedale di Santo Spirito, nella cappella del re di tra la trabeazione della scala e quella dei piani. Inoltre, quando si trattava di colonne
Spagna, e nella cappella Altieri. libere, la sezione ellittica del fusto le avrebbe mostrate larghe da una parte e strette

314 315 316


314 315 316 G. Guarini,
Architettura civile, Torino
1737, tratt. III, tav. XV,
trasformazione dell’ordine
all’inizio di una scala;
tratt. III, tav. XVII, ornamento
della scala di palazzo
Carignano a Torino; tratt. II,
tav. V, pianta ovale.

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dall’altra. Guarini dunque non vedeva come la logica obliqua potesse conciliarsi con proporzionale in architettura era soprattutto di natura visiva. Le sue osservazioni
quella proporzionale, né come l’appoggio sul piano inclinato potesse garantire la sull’apparenza ottica dell’architettura non riproponevano semplicemente i precetti
funzione statica. A suo parere, l’obliquazione poteva essere totale solo se si adottavano vitruviani ma erano arricchite dalla più avanzata letteratura prospettica, attraverso
paraste o fasce decorative, ma in presenza dei capitelli le soluzioni potevano essere due: Egnazio Danti, Guidobaldo del Monte, e Aquilonio205: «Per serbare le dovute proporzioni
mitigare la presenza dei cunei con elementi decorativi – soluzione criticata da Caramuel in apparenza [quoad nos per Caramuel] l’Architettura devesi partire dalle regole e
– o adottare archi rampanti in luogo dell’architrave, come nella scala di palazzo dalle vere proporzioni [quoad se]», perché «l’Architettura ha per fine il compiacere
Carignano202 (fig. 315). Quest’ultima soluzione, derivata da un modello gotico, consentiva il senso»206. Subito dopo però precisava, forse con riferimento a Caramuel, che
di appoggiare l’arco sempre orizzontalmente sull’abbaco in modo da evitare la presenza «l’Architettura non dev’essere tanto licenziosa quanto la Prospettiva» ma deve dilettare
del cuneo. Il problema del colonnato ellittico è trattato fuori dal contesto dell’architettura l’occhio compiacendolo con «le vere simmetrie» che non sempre corrispondono ai
obliqua. La prima «Osservazione» di Guarini «milita contro un certo, che ha scritto nella rapporti proporzionali ma talvolta alle leggi della percezione207.
Favella Spagnuola di Architettura; ma che però, per quanto dimostra questa sua opinione, La deformità apparente delle simmetrie proporzionali dipendeva essenzialmente
poco n’intende»203, giudizio che indicava con estrema chiarezza la pungente critica del da due fattori: «la forza della nostra immaginativa» che giudica in modo errato i
teatino. Secondo Guarini, l’assurdità del metodo di Caramuel era di natura proporzionale rapporti proporzionali quando intervengono elementi di disturbo, e «il sito», ovvero
e geometrica. Proporzionale, perché la variazione del diametro del fusto avrebbe richiesto la distanza del punto di vista208. Il primo fattore portava a giudicare male le dimensioni
anche un’inconcepibile variazione dell’altezza e quindi della copertura; geometrica, di un oggetto quando questo ne aveva vicino un altro di diversa grandezza, quando
perché l’ellisse non era generata da un centro ma da due fuochi. Guarini offriva comunque si trovava in un luogo troppo chiuso o troppo aperto, troppo scuro o troppo luminoso,
una correzione dello schema di Caramuel dirigendo al centro dell’ellisse solo l’asse delle e quando la superficie era più o meno levigata, o divisa in più o meno parti.
colonne (fig. 316); i plinti risultavano così deformati in romboidi, con due lati paralleli Particolarmente significativa era la sua considerazione circa lo stato di confusione
all’asse e due sagomati secondo la curva ellittica, ma le basi e i fusti restavano circolari. creato dalla sovrapposizione di oggetti traforati ad altri di diverse proporzioni. Il
Nulla dice a proposito dei capitelli che in realtà avrebbero presentato qualche problema baldacchino di San Pietro, scriveva, «non fa più pomposa, e vaga vista» da quando
con l’abbaco romboidale. Poi descrive «un altro plausibile modo di disporre un Colonnato fu realizzata la retrostante Cattedra con le sue ricche decorazioni; «le colonne pur
in una Ellissi, o Circolo»204, collocando le colonne secondo due ortogonali che sono la interne della gran Piazza, che fece fare Papa Alessandro sembrano confuse, se non si
tangente e la sua normale passanti per i punti in cui si trovavano le colonne, metodo mirano dal Centro»209. In base a questa osservazione la critica ha ritenuto di leggere
che risulta applicato nel progetto per Santa Maria d’Aracoeli a Vicenza (fig. 317). nelle strutture a cupola di Guarini un’attenta meditazione sul valore ottico di una
Nessuno schema per Guarini poteva fondarsi su regole imprescindibili, perché il problema griglia sovrapposta ad altre forme210.

317 318
317 G. Guarini, Dissegni
d’architettura civile ed
ecclesiastica, Torino 1686,
Santa Maria d’Aracoeli
a Vicenza.

318 G. Guarini, Architettura


civile, Torino 1737, tratt. III,
tav. XV, schema ottico.

318 319
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Per la soluzione di tutti i problemi ottici non esistevano regole ma solo il buon giudizio Architettura e “newtonianismo”
dell’architetto che prima doveva fare un progetto con le dovute proporzioni, come
voleva Vitruvio, e poi doveva correggere tutto ciò che poteva essere sottoposto al
giudizio errato della vista. La distanza ideale per osservare l’architettura, e in questo
consisteva il secondo fattore, Guarini la trasse da Egnazio Danti che la voleva pari a due
volte la larghezza dell’oggetto, perché in tal caso si formava un angolo di 60° ammissibile
per un occhio immobile. Da una tale distanza l’architettura appariva «come fosse dipinta
in un quadro di prospettiva»211 e non richiedeva correzioni se non quelle imposte dagli
aggetti delle cornici che nelle parti più alte tendevano a nascondere una porzione degli
elementi soprastanti. Le linee parallele, orizzontali e verticali, in tal caso apparivano
sempre parallele. Se invece la distanza era troppo breve, allora la facciata di un edificio
diventava «come pianura» ed era soggetta agli effetti di convergenza e digradazione La pubblicazione postuma dell’Architettura civile di Guarini, nel 1737, si deve alla
imposti dallo scorcio prospettico, cosa che obbligava a correggere le proporzioni di tutti cura di Bernardo Vittone, generalmente ritenuto responsabile di tutte le sviste e
i membri. E da qui derivavano le correzioni ottiche descritte da Vitruvio e generalmente dei passi meno chiari presenti nel testo. A lui è attribuita ad esempio la maniera
condivise da tutti i trattatisti «de’ quali si ride il Caramuel nella sua Architettura ellittica di descrivere la percezione ottica dell’iperbole nel caso sopra ricordato,
Spagnuola»212: la riduzione variabile del sommoscapo delle colonne; l’altezza delle un problema la cui comprensione sarebbe ulteriormente compromessa da una
cornici; l’inclinazione in avanti di frontespizi e statue; l’allungamento delle volute dei disposizione fuori posto delle lettere di riferimento presenti nel grafico che lo illu-
capitelli ionici; l’aumento in altezza dei capitelli corinzi; e infine la maggior altezza da stra215. Secondo la critica, in casi particolarmente difficili come questo, Vittone si
dare ai templi rotondi, forse con riferimento a San Pietro in Montorio213. sarebbe mosso a stento tra gli appunti di Guarini. La mancanza di un manoscritto
L’aspetto nuovo della teoria “ottica” di Guarini stava nel riconoscimento della autografo purtroppo non consente di fare un confronto ma l’opinione corrente
componente psicologica. Egli riteneva infatti che talvolta le correzioni si potevano su Vittone andrebbe in parte rivista. L’architetto piemontese non era affatto
evitare perché la nostra immaginazione, allo stesso modo in cui viene ingannata, riesce sprovveduto in materia scientifica. Nel citato esempio dell’iperbole le lettere non
a correggere l’inganno dell’occhio. Per spiegare il problema fece riferimento a una sono affatto fuori posto; è solo il ragionamento a risultare involuto per una legit-
sezione conica, un’iperbole, generata dall’incontro di un piano verticale con un cono tima difficoltà di esposizione. Nei suoi trattati Vittone rivela una profonda dime-
le cui generatrici formavano con il piano orizzontale angoli uguali (fig. 318). Se il vertice stichezza sia con la geometria, sia con l’algebra, con la musica, e con la struttura
del cono corrispondeva all’occhio e le sue generatrici ai raggi visivi, ogni raggio visivo anatomica e fisiologica dell’occhio che dimostra di conoscere sulla base delle più
formava un triangolo con la verticale tracciata dall’iperbole e con la sua proiezione recenti scoperte scientifiche.
orizzontale. Ciò significa che, in base alla Supposizione settima dell’Ottica euclidea214, Seppur considerato architetto «di provincia» e «dialettale»216, Vittone era un
le verticali tracciate dall’iperbole avrebbero dovuto apparire tutte uguali, perché degno Accademico di San Luca, capace di integrare la pratica di cantiere con i più
osservate sotto il medesimo angolo; l’iperbole quindi avrebbe dovuto essere percepita sottili effetti percettivi generati dalle variazioni della luce e della forma geometri-
come una linea retta, parallela alla sua traccia orizzontale. Vedendo però la differenza ca e strutturale. Il suo approccio all’architettura non era matematico o filosofico
tra l’iperbole e la sua traccia retta, l’occhio avrebbe corretto tale apparenza giudicando ma puramente sensoriale. L’asserzione di Guarini secondo la quale l’architettura
le linee verticali di diversa lunghezza. doveva prima di tutto soddisfare il senso fu presa alla lettera da Vittone che ela-
Nell’architettura di Guarini era soprattutto la cupola ad attirare la massima attenzione. borò ulteriormente la teoria delle correzioni ottiche del maestro sovrapponendo
Questa struttura, che tradizionalmente raccoglieva e concludeva lo spazio sottostante, singolarmente alla geometria euclidea la natura, talvolta inspiegabile, delle appa-
si presentava con Guarini come il vero spettacolo visivo. La cupola della cappella della renze. Ispirandosi alle recenti scoperte di Isaac Newton, Vittone spiegò con termini
Sacra Sindone e quella della chiesa di San Lorenzo danno un’idea di come avrebbero nuovi l’antica questione vitruviana delle apparenze visive e delle relative correzio-
dovuto o potuto essere tutti i diversi modelli proposti da Guarini nella sua Architettura ni proporzionali. L’effetto ottico diventò così preponderante nella sua architettura
civile. Intrecci, trafori, griglie strutturali che rivelano uno spazio sovrastante pieno di da condurlo a un’inaspettata fusione del controllo classicistico delle proporzioni
luce e talvolta decorato pittoricamente per attirare l’occhio dentro un illusionismo più con lo spettacolo barocco dell’illusionismo. L’apparenza diventò per lui un aspetto
familiare, ma sostanzialmente affine a quello creato dalle sole forme architettoniche. importante quanto la statica e con felici risultati riuscì a trasformare la struttura
A differenza della prospettiva illusionistica, l’architettura doveva dilettare l’occhio senza stereotomica e geometrica dell’architettura di Guarini in uno spettacolo visivo.
ingannarlo, pensando alla «sodezza dell’opera» e al magnifico gioco geometrico delle Nella prefazione al secondo libro delle Istruzioni elementari, edito a Lugano
forme. nel 1760, Vittone specificava il ruolo della prospettiva e della proiezione delle

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319 320
319 B. Vittone, cappella
della Visitazione al Vallinotto,
Carignano (Torino), 1738-39,
la cupola.

320 B. Vittone, San Gaetano,


Nizza, 1740-44, volta
con specchi e prismi.

ombre (l’arte di contrapporre il chiaro allo scuro) come principi ordinatori dell’i- trollabile «col lume però di quei principi sì Fisici, che Matematici»221. È proprio que-
dea architettonica: l’una adeguando le grandezze alle distanze, l’altra dando sto legame diretto con la cultura illuministica che distingue Vittone dall’atteggia-
«agli ornamenti un rilievo tale, che niuna dissonanza dell’armonico concerto nel- mento preconcetto di Guarini che, nonostante le avanzate conoscenze matemati-
l’occhio de’ riguardanti rapporti»217. L’armonico concerto delle forme non era solo che, si mostrava caparbiamente ancorato a vecchi schemi ideologici. Vittone afferrò
una consumata metafora; Vittone dedicò un trattato alla musica e alla natura del in pieno gli sviluppi scientifici del suo secolo e ne percepì perfino le motivazioni
suono traducendo perfino in note sul pentagramma i rapporti proporzionali della che condussero alla scelta neoclassica. Per lui però il “razionalismo” non corrispon-
base attica, così da trovare una corrispondenza sensoriale tra l’armonia del suono deva alla privazione dell’ornamento e all’affermazione dell’austerità delle forme,
e quella della forma218. E che questo aspetto stesse particolarmente a cuore all’ar- ma a un processo logico fatto di conoscenza teorica e sperimentazione pratica, teso
chitetto piemontese lo dimostra il fatto che la correzione ottica diventò una ben a indagare ogni possibile innovazione. Il mundus mathematicus dell’architettura
precisa categoria della leggiadria che «altro non è che una ben ordinata connes- gli impediva di sostenere una questione puramente formale, e l’esperienza baroc-
sione di varie cose tra di loro corrispondenti, adattata alla natura dell’occhio e del ca continuava a vivere rafforzata dai progressi scientifici. La meravigliosa comples-
giudizio»219. Questa categoria – che si affiancava alla varietà, alla congruenza, e sità della natura, rivelata dalle recenti scoperte sulla luce e sui colori prismatici, non
all’ordine – era l’adattamento, ovvero una meditata scelta degli elementi che con- poteva essere contraddetta da un’artificiosa tendenza alla semplicità: «non ha l’in-
correvano alla percezione dell’edificio in funzione di due fondamentali fattori: «il signe Matematico degli ultimi tempi Neutone con occhio tutto sagacità e perspica-
temperamento della luce, e lo stato dell’occhio»220. cia scoperto e fatto osservare al Mondo sette sorta darsi di raggi elementari nel
Vittone dava particolare rilievo all’incidenza e intensità della luce nella perce- Sole? Non ha egli dimostrato farsi d’essi raggi le riflessioni, refrazioni, ed inflessio-
zione degli effetti prospettici. Le ombre tolgono o aggiungono spessore agli ele- ni con ordine immutabile di numeri, con alterne e ben regolate vicissitudini, e a
menti architettonici, e calcolarne esattamente la portata sotto particolari condi- intervalli di spazio con musicale grado divisi?»222.
zioni di illuminazione era un modo di progettare l’apparenza dell’edificio. Le cor- L’importanza di Newton per Vittone stava nell’aver «perfezionato i nostri sen-
nici, quindi, potevano essere più o meno aggettanti a seconda se la luce era raden- si», consentendo un rapporto più diretto, quasi corporeo, con una materia impal-
te, come in una strada, o frontale, come in una piazza. All’interno il controllo era pabile come la luce. La «bramata luce» quindi aveva un ruolo da protagonista nel-
più facile, perché la luce veniva convogliata mediante le aperture esattamente nei le sue architetture; era filtrata, riflessa e addirittura rifratta, come nel caso di San
punti che si volevano far risaltare senza alterare le proporzioni, e le cupole trafo- Gaetano a Nizza dove specchi e prismi di cristallo si inserivano nell’arredo della
rate, con le sorgenti luminose nascoste, offrivano l’esempio più diretto e spetta- chiesa nel tentativo forse di arricchire di inafferrabili colori prismatici la già ricca
colare di queste meditazioni (fig. 319). L’esperienza barocca veniva recuperata in decorazione a stucchi colorati (fig. 320). L’aspetto più sorprendente è che la forma
tutta la sua portata e introdotta di peso in una visione già largamente illuministi- architettonica sembra perfino modellata in modo da esaltare le qualità dei raggi
ca. L’effetto scenografico diventava così un preciso strumento progettuale con- luminosi. Le superfici curve (concave, convesse e sferoidi) manifestano al contem-

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321 F. Galli Bibiena, Direzioni
della prospettiva teorica
corrispondenti a quelle
dell’architettura, Bologna
1732, tav. 41, schema
geometrico per il controllo
ottico delle proporzioni.

322 323 B. Vittone,


Istruzioni elementari, Lugano
1760, tav. 50, schema
geometrico per il controllo
ottico delle proporzioni;
tav. 53, piante ovali.

po una spazialità barocca e un interesse scientifico verso la natura ondulatoria quelle elaborate dalla prospettiva geometrica227. L’angolo visivo di 60°, generato
della luce e del suono, quasi a confermare una visione dell’architettura come da una distanza pari al doppio della larghezza dell’oggetto, era accettato senza
espressione dei principi fisici e matematici dello spazio223. riserve, mentre negava l’immutabilità geometrica della piramide visiva supposta
Di particolare rilevanza era anche la considerazione dello «stato dell’occhio». dai teorici rinascimentali. Quanto più i raggi si allontanavano, tanto più tendeva-
Vittone si mostrava aggiornatissimo circa le più recenti ricerche ottiche («Trattano no ad assumere una forma conica o cilindrica228, e la conseguenza diretta di que-
della luce egregiamente gli scritti dei moderni Filosofi [Newton]») tanto da descri- sto fenomeno era una maggiore accentuazione degli spigoli, degli aggetti, e delle
vere l’occhio «mutabile di figura, e di sito» 224. La mutazione a cui si riferiva era nicchie, determinata in modo da evitare l’appiattimento e la scarsa definizione
quella del cristallino che in funzione della lontananza dell’oggetto cambia forma, dell’immagine.
diventando più o meno convesso, e sito, avvicinandosi alla retina. La conoscenza «Non v’ha cosa, in cui meglio si palesi l’ingegno dell’Architetto – scriveva Vitto-
dell’ottica di Newton derivava forse dall’opera divulgativa di Francesco Algarotti, ne – che nel saper proporzionare le sue Opere in modo, che tali dimostrandosi in
Il newtonianismo per le Dame, che Vittone possedeva nella propria biblioteca. apparenza, quali l’Arte, e Natura gli vogliono, se ne trovi l’occhio pago, e piena-
Così si esprimeva Algarotti a proposito del cristallino: «Alcuni altri dissero che la mente contento»229. Questo modo di controllare le proporzioni non si attuava con
retina stando immobile, l’umor cristallino s’avvicina, e si allontana da essa, o pure la semplice applicazione del metodo di Serlio, seguito supinamente da tutti gli
che l’umor cristallino muta solamente figura, rendendosi più convesso per gli architetti e valido solo sul piano teorico della prospettiva geometrica230. Gli effetti
oggetti vicini, e meno per li lontani, e fuvvi infine chi pretese l’uno, e l’altro farsi ottici per Vittone non erano dominabili con la semplice supposizione dell’angolo
nel medesimo tempo»225. Dopo gli esperimenti sulla rifrazione della luce per mez- formato nell’occhio dal vertice del triangolo composto dai raggi visivi e dall’og-
zo di un prisma, Newton era stato in grado di spiegare proprio attraverso la varia- getto. L’angolo in questione era più complesso perché generato anche dal feno-
bilità della convessità del cristallino la messa a fuoco delle immagini226. meno di rifrazione dei raggi nel cristallino. La regola di Serlio, quindi, non poteva
L’attenzione prestata all’incidenza della luce e alla forma e posizione del cri- essere accettata perché avrebbe comportato una eccessiva deformazione degli
stallino rivela un lodevole tentativo di aggiornare i consumati precetti vitruviani. elementi più alti che l’occhio inevitabilmente avrebbe visto come tale. Essa sareb-
La ratione optica dell’architettura acquistava con Vittone una qualità veramente be risultata valida solo se il punto di vista fosse stato realmente obbligato, come
ottica e non mista di geometria prospettica. Il rapporto geometrico-proporziona- in teatro, e non ve ne fossero stati altri da cui poter godere l’edificio. Questa con-
le tra distanza e diminuzione apparente dell’oggetto, «come pare intendano gli siderazione era già stata avanzata da Ferdinando Galli Bibiena che aveva elabora-
Prospettici», non era ammissibile proprio in virtù della mobilità del cristallino che to una propria regola, probabilmente ben nota a Vittone (fig. 321)231.
cambiando forma e posizione mutava anche l’ampiezza dell’angolo visivo, e con Per Vittone era necessario elaborare una regola facile e spedita in grado di
esso la dimensione apparente dell’oggetto. Egli ammetteva quindi che la perce- compensare la proporzione apparente con quella reale senza giungere a eccessive
zione degli oggetti lontani era determinata in natura da altre regole, diverse da forme di alterazione. Egli proponeva di seguire lo schema serliano degli angoli di

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324 325 B. Vittone,
Istruzioni diverse, Lugano
1766, tav. 78, p. 186,
pianta e sezione della
cappella della Visitazione
al Vallinotto; tav. 83, p. 187,
progetto di chiesa.

326 P. Portoghesi,
la parrocchiale di Grignasco
di B. Vittone (1766), sezione.

uguale ampiezza, ma anziché proiettare l’immagine direttamente sul piano verti- Questo modo di trarre ispirazione dalla scienza per alimentare la vena creativa aiu-
cale, la proiettava su quello normale all’asse visivo che poi ribaltava sul piano ver- ta forse a far luce anche sui rapporti di Vittone con la stereotomia. La critica ha giu-
ticale (fig. 322). In questo modo l’oggetto risultava maggiore delle sue normali stamente ritenuto opportuno parlare di un «modo stereotomico» nell’architettura
dimensioni – senza tuttavia apparire sproporzionato da altri punti di vista – ma di Vittone, inteso come una forma di creazione artistica derivata dalla stereoto-
appariva comunque più piccolo di quello reale posto ad altezza d’occhio, come mia235. Nei suoi trattati Vittone non affrontò questo argomento ma le sue architet-
per la maggiore distanza l’osservatore si sarebbe aspettato. Vittone in realtà face- ture sono chiaramente progettate con una spiccata attenzione alla compenetra-
va affidamento sul fenomeno di rifrazione dei raggi nel cristallino per compensa- zione di volumi geometrici complessi che danno luogo ad archi tridimensionali,
re i difetti senza alterare eccessivamente le misure reali degli oggetti. archi “guariniani”, archi sferici, e a volte composite di grande difficoltà costruttiva.
La preoccupazione di seguire la logica geometrica e ottica senza imporre alte- La complessità guariniana delle sue strutture suggerisce conoscenze geometriche
razioni eccessive alla forma architettonica era anche la ragione che lo poneva in ben più profonde di quanto appaia nelle Istruzioni elementari. Nella biblioteca di
polemica con Caramuel. L’obliquità per Vittone non era una caratteristica positi- Vittone vi era il trattato di stereotomia di Frezier e del resto l’architetto aveva cura-
va ma un difetto da eliminare o, comunque, da ridurre al minimo. A dimostrazio- to il trattato di Guarini con la sua importante sezione stereotomica. La scienza del
ne di come si potesse evitare l’eccessiva deformazione degli elementi architetto- taglio delle pietre, arricchita dai nuovi studi di Giovanni Poleni sulla catenaria236,
nici nei casi di obliquità, propose una serie di costruzioni di colonnati su pianta avrebbe potuto condurre, per pura ipotesi, a un singolare incontro tra il “razionali-
ellittica sfruttando le diverse possibilità offerte dalla natura geometrica dell’ellis- smo” delle bizzarrie barocche e il “razionalismo” lodoliano. Le soluzioni di ele-
se (fig. 323)232. menti architettonici elaborate da Carlo Lodoli, al di là dei valori moralistici che il
La geometria per Vittone era uno strumento per avvicinarsi alla conoscenza teorico veneziano amava attribuire loro, erano timide riflessioni stereotomiche sul-
del fenomeno naturale senza però pretendere di spiegarlo nei termini di un’equa- la natura meccanica e statica delle pietre. Il taglio delle pietre era meditato in fun-
zione matematica. Egli ammetteva la presenza dell’incognito e dell’inspiegabile, zione degli sforzi a cui era sottoposta ogni sezione dell’elemento lapideo; gli archi-
ritenendola quasi l’aspetto più affascinante, proprio perché misterioso, del feno- travi e le soglie erano quindi più alti nel mezzo, e seguivano lo sviluppo di una cur-
meno naturale. L’architettura non faceva che assecondare questo fenomeno va catenaria, mentre i piedritti erano concepiti di più pezzi opportunamente inca-
cogliendone l’aspetto sensoriale. Le ricerche scientifiche di Newton sulla natura strati, in modo da evitare la rottura nel punto mediano237. In sostanza, barocco e
della luce lasciavano intravedere l’immensità di un mondo ancora tutto da esplo- classicismo, o neoclassicismo, avrebbero potuto avere nella stereotomia un singola-
rare, pieno di incognite, che lo stesso Newton aveva abilmente eluso233. E non si re anello di congiunzione. Vittone tuttavia non intraprese la strada della “scienza
può escludere che l’ipotesi di Huyghens sulla propagazione della luce ad archi delle costruzioni” e preferì trarre spunto dalla geometria stereotomica solo per
concentrici abbia fornito a Vittone un ulteriore motivo di predilezione per gli modellare le sue strutture – non in pietra ma in mattoni e stucco – su un invisibile
archi intrecciati guariniani e per la linea curva234. movimento di masse d’aria, onde luminose e impercettibili suoni.

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L’architettura di Vittone sembra fatta proprio di questo impalpabile moto che si 1


Del Monte 1600, proemio; Del Sampaolesi 1949; Krautheimer
propaga dal centro sotto forma di onde che si intrecciano, si sovrappongono, e si Monte 1984, p. 39. 1994.
2
Cfr., rispettivamente, Dürer 1525, 15
Sui rapporti tra Bramante, Piero
dilatano nello spazio. Questo è proprio il carattere del suo piccolo capolavoro, la lib. IV, figg. 52 (anche nella e lo studiolo di Urbino, cfr. Rotondi
cappella della Visitazione al Vallinotto, un impianto centrale coperto «da tre Vol- dedicatoria a Willibald Pirchkeimer 1974; Battisti 1974; Maltese 1974.
in Dürer 1528); Serlio 1545, Il 16
L’incisione, di notevoli
te l’una sovra l’altra esistenti, tutte traforate, ed aperte; così che luogo ha la vista Secondo Libro…, p. 25v. (anche in dimensioni, si conserva in due
di coloro, che si trovano in Chiesa, a spaziare per li vani, che esistono tra esse, e Serlio 2001); Barbaro 1569; Vignola esemplari, rispettivamente presso
godere il tal modo coll’aiuto della luce, che vi s’intromette per mezzo di Finestre 1583, II, cap. XIX, p. 134. la Civica Raccolta delle Stampe A.
3
Vasari 1973, vol. IV, p. 331. Bertarelli di Milano (700 × 518 mm)
internamente non apparenti, la varietà delle Gerarchie, che gradatamente cescen- 4
Pacioli 1494, dedicatoria a e presso il British Museum di
do vi si rappresentano in esse Volte, e sino alla sommità del Cupolino, ove espres- Guidobaldo da Montefeltro. Londra (705 × 513 mm). Cfr. Murray
5
Visconti 1493, p. 19; cit. in 1962, pp. 25-42; Wolff Metternich
sa vedesi la Santissima Triade. Era mio pensiero, che l’aspetto di tali pitture fosse Schofield 1995a, pp. 295-324. 1967-68, pp. 9-97; Alberici 1978 (il
in degradazione prospettica, ma la fretta dell’esecuzione bramata dal suddetto 6
Bramante è ricordato dal contratto, conservato all’Archivio
Signore [il banchiere Antonio Facio committente e proprietario della tenuta] non Macaneo in una poesia dedicata a di Stato di Milano, Fondo Notarile,
Gaspare Visconti, pubblicata in fasc. 2184, è pubblicato alle pp. 52-
permise, che intieramente riuscisse il desiderato effetto dell’opera» (fig. 324) 238. Schofield 1995a, p. 308. 54); Borsi 1997, pp. 101-129.
L’intreccio di archi, volte e strati luminosi era già di per sé uno spettacolo, che la 7
Vitruvio 1521, IV, c. LXX. Nella Notizie sull’incisore si trovano in
citata poesia del Macaneo, che Alberici 1988; Zucker 1999, pp. 91-
pittura accentuava ma non caratterizzava. In altre opere Vittone raggiunse la tratta di una riunione in casa del 96.
purezza di Guarini e affidò, grazie all’esplicita esperienza del Vallinotto, un preci- Visconti, è ricordato anche 17
Cfr. Ferretti 1982, pp. 459-585.
so valore prospettico alle forme architettoniche. Cesariano. 18
Cfr. Mulazzani 1972, pp. 79-90;
8
Castiglione 1549, ric. CXI: Mulazzani 1978, pp. 67-71.
In un progetto di chiesa illustrato nelle Istruzioni diverse l’architetto diede «Bramante delle Penne di San 19
Cfr. Alberti 1973a e 1980, lib. I,
opportunità all’occhio «di vagamente spaziare» per le strutture architettoniche Marino, huomo di grand’ingegno, cap. 19.
cosmografo, poeta volgare e 20
Cfr. Bruschi 1969, pp. 745-750,
(fig. 325), rapito da archi incrociati e cupole traforate, luci filtrate da sorgenti
pittore valente, come discepolo di figg. 94-95.
nascoste, e cornici digradanti prospetticamente che alteravano con garbo il tradi- Mantegna e gran prospettivo come 21
Cfr. Lomazzo 1584, lib. V, cap. 22
zionale procedere per livelli orizzontali. Queste leggere variazioni che asseconda- creato di Piero del Borgo, ma (Lomazzo 1973-74, II, pp. 240-241).
nell’architettura tanto eccellente». L’autore dice di riferire le parole
vano l’occhio con «scherzosa vaghezza» rappresentano l’aspetto vitale dell’archi- 9
Sull’attribuzione a Bramante delle stesse di Bramantino così come si
tettura di Vittone. Il motivo della digradazione prospettica sia nelle piante che Antiquarie Prospettiche Romane, potevano leggere in un perduto
opuscolo in versi conservato in manoscritto del pittore da lui
negli alzati è ricorrente, dal Vallinotto alla chiesa di Montalto Rovero e a quella di
unica copia presso la Biblioteca posseduto. Lomazzo possedeva
San Michele a Villanova di Mondovì, fino ai progetti ideali delle Istruzioni diverse. Casanatense di Roma, cfr. Fienga anche gli scritti inediti sulla
Nella parrocchiale di Grignasco «degna è […] di riflesso la scambievole inclinazio- 1974. prospettiva di Vincenzo Foppa e
10
Cfr. Serlio 1545, Il Secondo Bernardo Zenale. Sulla costruzione
ne dei lati delle Cappelle, e la tendenza, che concordemente i medesimi hanno ad Libro…, p. 25v. prospettica dell’incisione Prevedari,
un rispettivo lor punto esistente al di fuori di esse; motivo, per cui crederei dover 11
Alberti 1973a e 1980, lib. III, cap. cfr. anche Dalai Emiliani 1978; e
in un colle Arcate l’Ordine pure disporre in digradazione prospettica; cosa, che 60. Dal Mas 1979.
12
Cfr. Vasari 1973, vol. IV, p. 147. Su 22
Cfr. Maltese 1974; Di Teodoro
riuscita mi è assai felicemente, né senza appagamento nel suo aspetto delle per- Fra’ Carnevale, cfr. Cleri 1996; Borsi 1996; De Rosa 1997, pp. 129-156.
sone intelligenti, che la videro, secondo mi fu da esse accertato» (fig. 326) 239. Si 1997, pp. 11-72. 23
L’ipotesi che il «mirabili artificio»
13
Cfr. Lomazzo 1584, lib. VI, cap. 45 possa essere un riferimento al finto
direbbe che queste applicazioni prospettiche siano state una conseguenza diretta (Lomazzo 1973-74, II, pp. 355-356) coro è sostenuta in Romanini 1974,
della variabilità della forma in rapporto alla posizione e alla distanza dell’occhio. che ricorda il Corradini tra i maestri p. 52, nota 3; Lise 1975, pp. 11-16;
Non si proponevano come effetto scenografico – quale poteva essere ancora il più rinomati nel disegno degli Marrucci 1987b. Cfr. anche Bruschi
edifici in prospettiva. Cfr. anche 1987; e Borsi 1992.
recupero delle finestre di palazzo Barberini nel cortile del palazzo delle Province Peruzzi 1986, pp. 225-296. 24
Sui problemi costruttivi della
a Torino o il progetto per una scala prospettica vagamente ispirata alla scala Regia 14
Cfr. Sangiorgi 1976, n. 233: «Un prospettiva, cfr. Robbiani 1980;
quadro longo di una prospettiva Jung 1998.
– ma come adattamento alle condizioni di visibilità dell’insieme. In sostanza Vitto- anticha ma bella, di mano di Fra 25
Per i restauri del 1693, cfr.
ne aveva saputo cogliere il valore dei problemi ottici in architettura senza cadere Carnevale». Per le tavole Marrucci 1987b, p. 16.
nel facile esibizionismo, né nell’accademica routine dei precetti vitruviani. raffiguranti vedute prospettiche di 26
Cfr. Stedman Sheard 1984.
città ideali – oggi conservate a 27
Il progetto che appassionò per
Urbino (Galleria Nazionale delle qualche tempo Bernardino Spada è
Marche), a Berlino descritto in una lunga lettera del
(Gemäldegalerie, inv. n. 1615), e a 17 settembre 1656 al fratello
Baltimora (Walters Art Gallery, inv. Virgilio. Sull’argomento, vedi
n. 37.677) – cfr. Krautheimer 1948; supra, pp. 294-297.

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28
Il Castiglione ne parla in una (Lomazzo 1973-74, II, p. 241). La proporzioni del corpo umano. cuiusmodi sunt opera ipsa, talia orthographia scaenographia. tutti comunque concordano che
lettera a Ludovico Canossa «graticola», che Alberti chiama 48
Per la libreria del Visconti, cfr. etiam apparent esse: si in alio Ichnographia est circini nacque dall’uso di tracciare con le
pubblicata in D’Ancona 1891, II, «velo» o «intersecazione» è Martinelli 1989. Sull’attività collocata sunt loco». regulaeque modice continens linee il contorno dell’ombra
pp. 102-104. Sull’evoluzione della raccomandata nel De pictura (cit. a milanese di Cesariano, cfr. 52
Le argomentazioni di Gemino usus, e qua capiuntur formarum in umana»; XXXV, 56, «Costui
scena teatrale nel Rinascimento, nota 11, lib. II, cap. 31, p. 54) per Schofield 1995b. sugli inganni della vista si solis arearum descriptiones. [Cimone di Cleone] trovò i
vedi supra, pp. 285-292. agevolare l’opera di 49
Vitruvio 1521, VI, II. Cfr. anche inseriscono nella ripresa degli Orthographia autem est erecta catagrapha, cioè le figure oblique
29
L’incarico è documentato in una «circoscrizione», ovvero il Vitruvio 1981 e 1996. studi naturalistici favorita da frontis imago modiceque picta ed inoltre il modo di presentare i
lettera del 15 maggio 1495 scritta tracciamento dei lineamenti dei 50
Vitruvio 1521, VI, II. Posidonio e diffusa in ambiente rationibus operis futuri figura. volti in vari atteggiamneti,
da Bartolomeo Calco a Ludovico il corpi naturali, in particolare quelli 51
Il testo greco del passo in romano attraverso l’opera di Item scaenographia est frontis et nell’atto cioè di guardare indietro,
Moro; cfr. Malaguzzi Valeri 1915- che sfuggono a una precisa questione è discusso in Panofsky Cicerone e Lucrezio. Importante è laterum abscedentium adumbratio in alto, in basso; distinse le
17, II (1915), p. 132. definizione geometrica, come gli 1927, pp. 258-330 (Panofsky 1977, anche il rinnovato interesse per lo ad circinique centrum omnium membra con le articolazioni,
30
Dell’incisione sono noti diversi animali, il corpo umano o i pp. 82-83). L’opera di Gemino è scetticismo, nella cui tradizione si linearum responsus». rappresentò le vene ed inoltre,
esemplari tratti da tre diverse paesaggi (vedi supra, p. 79). Il stata pubblicata alternativamente collocano le argomentazioni 56
Questi correttivi che Vitruvio nelle vesti, segnò per primo le
lastre. Alcuni di essi sono privi disegno del Codice Atlantico è in come opera di Erone o di Damiano sull’inganno dei sensi. Cfr. chiama «temperaturae», crespe e le pieghe»; XXXV, 60, su
della didascalia con il nome di Leonardo da Vinci 1973-80, 1r-a. A (cfr. Damiano 1897, pp. 28-30; J.L. Schrijvers 1989; Gros 1983. traducendo il termine greco Apollodoro, maestro di Zeusi;
Bramante; cfr. ad esempio esso corrisponde la descrizione del Heiberg, Heronis Definitiones…, in 53
Platone distingue l’arte della alexēmata usato da Gemino, XXXV, 76-77, «Egli [Panfilo] era
l’esemplare del Gabinetto Disegni Ms. A, 104r (Leonardo da Vinci Erone 1899-1914). Come opera di copia (eikastikè téchne) che rientrano in un concetto della macedone di nascita ma fu il
e Stampe degli Uffizi 9787 st. sc. 1990, in Richter 1970, vol. I, p. 260, Erone, e interpretato in termini riproduce le proporzioni reali del bellezza determinato dalla primo pittore ad essere erudito in
Cfr. Hind 1948, pp. 105-106; § 523); vedi supra, pp. 109-110. prevalentemente pittorici, il passo modello, dall’arte del simulacro simmetria ottica tramandato tutte le scienze, soprattutto
Petrioli Tofani 1994; Zucker 1999, 41
Piero della Francesca 1942, lib. è pubblicato già nel XVI secolo da (phantastikè téchne) che riproduce attraverso l’opera di architetti l’aritmetica e la geometria, senza
pp. 97-101. Sulla scena di III, prop. VIII. C. Dasypodius, Hieronis al contrario le proporzioni come Ictino e Ermogene, i cui le quali diceva che l’arte non
Raffaello, cfr. Frommel 1984; Jung 42
Cfr. Harnest 1992. Alexandrini Nomenclatura apparenti, e che è applicata da rispettivi trattati sul Partenone e poteva essere perfetta. Per la sua
1998. 43
La notizia del viaggio a Bologna, Vocabulorum Geometricorum, in «tutti quelli che prendono a sull’Artemisio di Magnesia Vitruvio autorità ne conseguì che prima a
31
Cfr. Stedman Sheard 1984. come è noto, è data dallo stesso Dasypodius 1579, II, p. 18: modellare o dipingere qualcosa di cita, insieme ad altre fonti Sicione, poi in tutta quanta la
32
Per l’inventario, cfr. Martinelli Dürer all’amico Willibald «Scenographica termia Optricae grande. Se riproducessero la reale architettoniche, in VII, praef., 12. Grecia, i ragazzi nati liberi prima
1989. Cfr. anche Sironi 1978; Pirckheimer in una lettera del 13 generalis pars, investigat, proporzione di queste cose belle, Sul tema, e per ulteriori di tutto imparassero la graphiké,
Schofield 1995a, in particolare nota ottobre 1506. Sull’argomento, vedi quomodo conveniat imagines sai che le parti superiori ci riferimenti bibliografici, cfr. cioè la pittura su legno, e tale arte
56 sull’invenzione bramantesca dei supra, p. 124. aedificationum pingere: et quae apparirebbero troppo piccole e le Vitruvio 1997, note di A. Corso ai fosse accolta al primo stadio delle
“gruppi”. 44
Cfr. Vasari 1973, vol. IV, p. 159. Il non qualia sunt: talia tamen esse parti inferiori troppo grandi, passi III, 3, 11 (sull’ispessimento arti liberali»; XXXV, 80, «La sua
33
Cfr. Lomazzo 1584, lib. VI, cap. Bramante-Euclide di Raffaello appareant. Docet etiam quomodo poiché vediamo le une da vicino e delle colonne angolari), III, 3, 13 semplicità [Apelle] non fu
41 (Lomazzo 1973-74, II, p. 335); e, sembra rievocare il frontespizio aptitudines et rythmos qui in le altre da lontano. Certo […] oggi (sull’aumento dei diametri in inferiore alla sua arte. Era
per la rilettura degli affreschi, delle Antiquarie Prospettiche aedificationibus non sunt: esse gli artefici, dicendo addio alla altezza), III, 4, 5 (sulla curvatura inferiore a Melanzio nella
Mulazzani 1974. Romane, tanto che l’intero gruppo tamen videatur. Architecti enim verità, non le proporzioni dello stilobate), III, 5, 9 disposizione delle figure, ad
34
Lomazzo 1584, lib. VI, cap. 41 con i modelli del cielo e della terra finis est opus extruere: quod ad effettive, ma quelle che sembrano (sull’aumento in altezza degli Asclepiodoro nelle misure, cioè
(Lomazzo 1973-74, II, p. 335). mostrati da Zoroastro e Tolomeo speciem et imaginationem essere belle elaborano nelle loro architravi e dei fastigi), III, 5, 13 nello stabilire la distanza tra gli
35
Cfr. Macaneo 1490; il lungo potrebbe alludere all’iconografia concinnum sit, et sibi conveniens. immagini» (Sofista, 235d, 236a). (sull’inclinazione in avanti degli oggetti». Cfr. anche Atenagora
passo in cui sono riferite le della Perspectiva come si vede Investigare etiam quod ad fieri Cfr. Adorno 1965. La elementi più alti), IV, 4, 2-3 (sulla 1947, 17.3: «l’arte di disegnare a
informazioni avute da Bramante è modellata anche da Antonio potest omnia ea quibus visus “megalographia” sembra aver diminuzione del diametro delle contorni (skiagrafia) fu trovata
pubblicato in Schofield 1995a, pp. Pollaiolo sulla tomba di Sisto IV. decidere possit: et oculos avuto manifestazioni eclatanti colonne interne e sulla da Sauria quando disegnò l’ombra
305-306. Cfr. Shearman-Winner 1993. hominum fallere. Non quidam fino al I secolo d.C.; cfr. Plinio determinazione ottica del numero di un cavallo nel sole, la pittura fu
36
Tolomeo 1932, I, 1. 45
Il giudizio riguarda la verae et essentialis aequalitatis, Secondo 1988, lib. XXXV, 51: «E delle scanalature), IV, 4, 4 (sull’uso inventata da Cratone che dipinse
37
La carta d’Italia eseguita per costruzione di San Pietro e si trova aut concinnitatus rationem: sed non tacerò la follia della nostra delle bugne in funzione di «una in una tavola imbiancata le ombre
Giulio II nel 1507 è menzionata in in una lettera di Michelangelo a tantum coniecturalem, et epoca quanto alla pittura. gradevolezza molto pittorica alla di un uomo e di una donna e da
un documento riportato in Bartolomeo Ferrantino, 1546-47; apparentem, quo ad visum. L’imperatore Nerone aveva vista»: «item circum coagmenta et quella fanciulla [di Corinto] fu
Feliciangeli 1916; cit. in Schofield cfr. Barocchi-Ristori 1979b, IV, pp. Exempli gratia. Cylindrum hac ordinato un ritratto di dimensioni cubilia eminentes expressiones trovata l’arte di modellar figurine
1995a, p. 319, nota 34. Per 250-251. ratione dum pingit: efficit illum ut colossali su una tela di 120 piedi graphicoteran efficient in aspectu in terracotta: ché essendo costei
l’orologio dei pianeti, cfr. 46
Cfr. Serlio 2001, lib. III, p. 44. inspiciatur columna ad medium [35,88 m], cosa impensabile fino a delectationem»). Per i disegni del innamorata di un tale, ne segnò
Malaguzzi Valeri 1915-17, II (1915), 47
Ibid., lib. I, p. 9. La regola angusta, unde et visus latius quel momento». tempio di Apollo a Didyma, cfr. nel muro i contorni dell’ombra
pp. 161-162; cit. in Borsi 1989, p. descritta da Serlio per correggere fenditur: et aliena parte eductum 54
Proclo 1873, Prologus I, p. 40. Haselberger 1980. Sull’argomento, mentre dormiva, poi il padre, che
195. l’aberrazione ottica degli elementi et latum efficit etiam circulum, 55
Vitruvio 1997, I, 1, 4: «Deinde cfr. Gros 1985. era vasaio, piaciutagli la
38
La segnalazione di questa posti in luoghi eminenti si trova cum tamen circulusnon sit: sed graphidos scientiam habere, quo 57
Costruzioni di questo tipo sono somiglianza perfetta della figura,
particolarità geografica del globo già illustrata in Dürer 1525, lib. III, tantum coni segmentum: habens facilius exemplaribus pictis quam illustrate, ad esempio, da Dürer intagliò il contorno e la colmò di
bramantesco è fatta in Bellio 1903. fig. 28, per regolare la dimensione angulum. Sic quoque quadratum velit operis speciem deformare 1525, lib. III, fig. 28, che ne creta: e ancora oggi si conserva a
Nelle edizioni della Geografia di dei caratteri nelle iscrizioni poste facit quadrangulum oblongum: valeat [speciem sta per idea, nel suggerisce l’uso per regolare Corinto questa forma».
Tolomeo stampate a Bologna sulle facciate degli edifici. multas denique; et magnitudine senso greco, come in I, 2, 2]. l’altezza delle lettere nelle 59
Cfr. Rouveret 1989, p. 115.
(1477), Roma (1478) e Firenze Analoghe applicazioni sono differentes columnas efficit: in alijs Geometria autem plura praesidia iscrizioni da porre sulle facciate 60
Cfr. Lomazzo 1584, lib. V, cap. 3
(1482), la Scandinavia è appena proposte da Dürer per proportionibus tam numero, quam praestat architecturae, et primum degli edifici. Choisy 1964, p. 320, (Lomazzo 1973-74, pp. 222-223):
un’isoletta; solo nell’edizione di proporzionare gli elementi magnitudine differentibus. Eadem ex euthygrammis circini tradit menziona un’iscrizione posta su «La prospettiva subalterna,
Ulma appare rappresentata come architettonici in funzione della est ratio delineationis ei qui usum, e quo maxime facilius una delle ante del tempio di descendente e figliuola della
una grande penisola paragonabile loro dimensione (III, fig. 6), per Colossum facit: is enim Colosso dat aedificiorum in areis expediuntur Athena a Priene con caratteri di geometria, conchiudesi essere
a quella del globo di Bramante. costruire l’entasi delle colonne (III, apparentem perfectionis descriptiones normarumque et altezza variabile in funzione della scienza delle linee visibili […] Di lei
Per l’inventario dei libri posseduti fig. 7) e per costruire le colonne symmetriam. Ut ad visum tantum librationum et linearum distanza dall’occhio. parlando, Gemino, nobile et
dal Visconti, cfr. Martinelli 1989. tortili (III, fig. 10). Simile, inoltre, è concinna videatur descriptio, ita directiones»; I, 2, 2: «Species 58
Cfr. Plinio Secondo 1988, lib. antico scrittore delle cose
39
Cfr. Shirley 1987, p. XII, n. 16. il metodo applicato nei Vier tamen ne ipsa essentia symmetriae dispositionis, quae graece dicuntur XXXV, 15, «La questione degli inizi matematiche, la divide in tre
40
Cfr. Lomazzo 1584, lib. V, cap. 24 Bücher… (Dürer 1528) per le sit frustranea, neque; enim ideai, sunt hae, ichnographia della pittura è molto incerta […] spezie: in ottica, cioè prospettiva,

330 331
prospettive 241-335 9-10-2012 10:04 Pagina 332

sciografica e specularia». Duomo di Milano, datata 23 1979a, pp. 1821-1822. 113


Cfr. Davico Bonino 1977, II, pp. Olimpica, b. I, fasc. I, Libro segnato 747 (= Fondo Spada Veralli, F.1.9);
Nell’esposizione di Proclo (cfr. nota novembre 1587. 97
Bassi 1572, pp. 44-45. Il pittore 413-414. Cfr. anche Perrelli 2002, p. A, p. 42); cfr. Mazzoni 1992; cfr. Neppi 1975, doc. 31.
54) le tre parti dell’ottica sono 77
Cfr. Annali 1881, IV, pp. 100 e Giuseppe Porta, allievo di 57. Mazzoni 1998, pp. 109-113; 142
Cfr. Neppi 1975, p. 176.
l’ottica propriamente detta, la sgg. Cfr. anche Mazzoni 1995; Francesco Salviati (da cui prese il 114
Vitruvio 1486, lettera Mazzoni 2003, pp. 71-87. 143
Roma, Archivio di Stato, Fondo
catottrica e la scenografia. Repishti 1997, pp. 178-181. nome), era attivo a Venezia dal dedicatoria: «Tu anche per primo 129
Cfr. Mazzoni 1998, pp. 87 sgg. Spada Veralli, E.2.50; cfr. Neppi
61
Ibid., lib. I, cap. 1 (Lomazzo 78
Ibid. 1539. Silvio Belli (ca. 1510 - ca. hai mostrato al nostro secolo 130
Cfr. A. Ingegneri, Progetto per 1975, p. 281.
1973-74, pp. 219-220). Tra gli 79
Bassi 1572, lettera dedicatoria 1580), vicentino, è tra i fondatori l’aspetto della scena dipinta lo spettacolo inaugurale 144
Sui problemi della restituzione
esempi antichi, Lomazzo «agli illustri e molto magnifici dell’Accademia Olimpica nel 1555 [picturatae scenae faciem] allorché dell’Olimpico, in Gallo 1973, prospettica, cfr. Neppi 1975;
menziona la fascia istoriata della Signori, i Signori Deputati della ed è ricordato dalle fonti come i Pomponiani recitavano nella documento I, p. 9. Sinisgalli 1981.
colonna Traiana e il gruppo Fabrica del Duomo di Milano», pp. matematico e architetto. Nella commedia». 131
L’autoattribuzione di Scamozzi 145
Cfr. Heimbürger Ravalli 1977.
equestre di Montecavallo. 3-6. Cfr. Barocchi 1979a, p. 1801. lettera al Bassi, Palladio lo ricorda 115
Alberti 1485, lib. VIII, cap. VII trova riscontro nella testimonianza 146
Lettera del 17 settembre 1656,
62
Cfr. Vitruvio 1975, p. 78; Di 80
Cfr. la lettera di Alfonso N. come «geometra il più eccellente (Alberti 1966, pp. 738-739). di Pompeo Trissino citata a nota Roma, Archivio di Stato, Archivio
Teodoro 1994. (Verona, primo aprile 1570) di queste nostre parti». La sua 116
Cfr. Vitruvio 1997, VII, praef., 11. 128. Cfr. anche Scamozzi 1615, Spada 565; in Heimbürger Ravalli
63
Cfr. Serlio 1545, Il Secondo pubblicata in apertura dei perizia tecnica è riconosciuta 117
Cfr. Benevolo 1993, p. 691. parte II, lib. l, cap. VIII: «e 1977, p. 130.
Libro…, p. 25v. Dispareri. soprattutto dall’importante 118
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, specialmente nell’inventare, et 147
I documenti dei lavori si trovano
64
Ibid., Il Primo Libro…, pp. 9v-10r. 81
Bassi 1572, p. 29. Cfr. Barocchi incarico avuto nel 1566 dalla p. 63r. Vedi supra, p. 230, nota ordinare le Prospettive, et presso l’Archivio Chigi di Ariccia,
65
Monaco di Baviera, Bayerische 1979a, p. 1815. Il bassorilievo oggi Repubblica di Venezia come 321. illuminare la Scena per l’apparato Castello Gandolfo e Ariccia - Per
Staatsbibliothek, Cod. It. 37c. Cfr. si trova in Santa Maria in “proto delle acque”. Nel 1574, 119
Vasari 1973, vol. IV, p. 600. Tragico […] il tutto è proceduto Fabbriche - 1659 al 1666, cc. 652-
Capponi 1979; Fontana 1988. Camposanto a Milano. anno in cui compie un viaggio a 120
Ibid. dall’ingegno, et industria mia». 656; cfr. Petrucci 1987, p. 47.
66
Firenze, Gabinetto Disegni e 82
Bassi 1572, p. 16. Cfr. Barocchi Roma, è raccomandato da 121
I disegni scenografici attribuiti a 132
Firenze, Gabinetto Disegni e 148
Cfr. Caramuel 1678, trat. VI, cap.
Stampe degli Uffizi, 464Ar-v, 465A, 1979a, p. 1811. Torquato Tasso a Scipione Peruzzi si trovano a Torino, Stampe degli Uffizi, 195Ar-v, 2. Sull’opera di Caramuel, cfr.
469A, 619Av, 631Av, 470Ar. Su 83
Bassi 1572, p. 16. Cfr. Barocchi Gonzaga, e pochi anni dopo Biblioteca Reale, n. 15728, e a 196Ar, 197Ar, 198Ar. Chatsworth, Tadisi 1760; De Bernardi Ferrero
questi disegni (già discussi da chi 1979a, p. 1811. (1578) ricoprirà la carica di Firenze, Gabinetto Disegni e The Duke of Devonshire and the 1965; De Bernardi Ferrero 1966;
scrive in Camerota 1994, pp. 136- 84
Bassi 1572, p. 16. Cfr. Barocchi ingegnere ducale presso Alfonso Stampe degli Uffizi, 268A, 269A, Trustees of the Chatsworth Bertoglio 1966; Oeschlin 1970;
139); cfr. anche Poggi 2001. 1979a, pp. 1810-1811. d’Este a Ferrara. Per le sue opere, 291A. Per le tavole raffiguranti Settlement, Devonshire Guidoni Marino 1973; Bonet
67
Dürer 1525, lib. I, fig. 13. 85
Bassi 1572, p. 17. Cfr. Barocchi cfr. Belli 1565 e 1573. vedute prospettiche di città ideali, Collections, Drawings vol. IX, 108. Correa 1984.
68
Galli Bibiena 1732, p. 42. 1979a, pp. 1814-1815. Per le 98
Sull’opera di Andrea Palladio e, vedi supra, nota 14. Cfr. Barbieri-Beltramini 2003, 149
Feijoo 1730, vol. IV, discurso 14.
69
Serlio 1545, Il Primo Libro…, pp. proposizioni citate, cfr. Euclide 1895 in particolare, sulla facciata del 122
Firenze, Gabinetto Disegni e schede 19 a-f, pp. 254-259. 150
Guarini 1737, trat. II, cap. VII.
37r-v. e 1996. Cfr. inoltre, Alhazen 1572. Redentore, cfr. soprattutto le Stampe degli Uffizi, 268A, 269A. 133
Lettera di F. Pigafetta, in Sulla figura di Caramuel nel
70
Dürer 1525, lib. I, fig. 5. 86
Bassi 1572, p. 33. considerazioni di Ackerman 1972, 123
Serlio 1545, Il Secondo Libro…, Cruciani-Seragnoli 1987, II, La contesto della cultura
71
Ibid., fig. 7. 87
Cfr. Serlio 1545, Il Secondo pp. 62-73. pp. 67r-70r. tragedia del Cinquecento, p. 1035. enciclopedica barocca, cfr. Pastine
72
Un simile sistema geometrico per Libro…, p. 18. 99
Bassi 1572, pp. 45-47. Cfr. 124
Per le evidenze archeologiche 134
Cfr. la relazione di G. Dolfin, in 1975; Ferrante 1982; Pissavino
la riduzione degli intervalli nella 88
Bassi 1572, p. 29. Barocchi 1979a, pp. 1822-1824. sulla presenza dei periacti nel ibid., pp. 1031 sgg. 1990; Sabbino 2002.
deformazione anamorfica è 89
Ibid., p. 21 (cfr. Barocchi 1979a, p. Riguardo alla difesa dalla teatro antico, vedi supra, p. 231, 135
A. Pasi detto il Montagna è 151
L’arco obliquo della cappella del
illustrato in Accolti 1625, p. 48. 1806); p. 13 (cfr. Barocchi 1979a, p. provocazione di C. Urbino, vedi nota 361. menzionato nei documenti Cristo «Arco en viaje se llama en
73
Bassi 1572; Bassi 1771. Anche in 1817). supra, nota 92. 125
Per l’attribuzione ad Aristotile dell’Accademia Olimpica (Vicenza, Castellano y no he visto en
Barocchi 1979a, VII, t. II, pp. 1799- 90
Bassi 1572, p. 21. Cfr. Barocchi 100
Vignola 1583, p. 86. da Sangallo, cfr. Vignola 1583, p. Biblioteca Civica Bertoliana, Flandes, Alemania, o Italia digna
1832. 1979a, p. 1817. Jacopo Soldato è 101
Bassi 1572, pp. 47-49. Cfr. 92. Per la trascrizione del passo, Archivio storico dell’Accademia de referirse. En el Escurial […] hay
74
Pellegrino Pellegrini di Tibaldo fu l’ingegnere milanese a cui G.B. Barocchi 1979a, pp. 1824-1826. vedi supra, p. 174. Olimpica, b. I, fasc. I, Libro segnato algunos muy bien executados»
uno dei maggiori interpreti della Benedetti dedicherà nel 1585 la 102
Conforti 1993, p. 68. 126
Ibid., p. 92. Vedi supra, p. 174. A, pp. 63, 64); cfr. Mazzoni 1998; (Caramuel 1678, trat. VI, art. XIII,
riforma per gli edifici ecclesiastici seconda parte, dedicata alla 103
Il disegno di Baldassarre Lanci è 127
Sul teatro Olimpico, cfr. Puppi Mazzoni 2003, p. 75. p. 21). Più avanti, trat. IX, art. IV, p.
teorizzata da Carlo Borromeo. Fu prospettiva, del suo Diversarum al Gabinetto Disegni e Stampe 1963; Zorzi 1969; Magagnato 1992; 136
Scamozzi 1615, parte I, lib. I, 105, lam. III: «Mucho de lo que
prefetto del duomo di Milano dal speculationum… (Benedetti 1585). degli Uffizi, 404P; cfr. Camerota Deborre 1996; Mazzoni 1998. cap. XIV, p. 47. vees (obliquidad), hallaras puesto
1567 al 1587, quando si trasferì in Francesco Paciotto era un noto 2001a, p. 160. 128
L’attribuzione delle scene al 137
Cfr. Mazzoni 1984; Vendramin en obra en el Escurial». Su
Spagna per lavorare all’Escorial. Fu ingegnere militare di Urbino 104
Sulla vicenda, cfr. Wittkower Palladio, almeno come idea di 2003. Manrique, cfr. ibid., trat. VI, art.
autore di due trattati tuttora entrato al servizio del ducato 1934; anche in Wittkower 1992, progetto, è stata spesso sostenuta 138
Cfr. Temanza 1778, pp. 409-474, XIII, p. 21 (Bonet Correa 1984, X).
inediti: Regole di architettura milanese per volere di Filippo II. pp. 3-126; Portoghesi 1964. sulla base di una fonte in part. p. 434. Per la citazione, cfr. ibid.,
(Parigi, Bibliothèque Nationale) e 91
Bassi 1572, p. 21. Cfr. Barocchi 105
Cfr. Barocchi-Ristori 1979b, V, p. settecentesca, Bartolomeo 139
Firenze, Gabinetto Disegni e dedicatoria A su Altezza Real el
Discorso dell’architettura (Milano, 1979a, pp. 1816-1817. 151. Ziggiotti, che fa riferimento a un Stampe degli Uffizi, 191Ar; cfr. Serenissimo Principe don Juan de
Biblioteca Ambrosiana, Ms. P 246 92
Bassi 1572, p. 36. Cfr. Barocchi 106
Cfr. Gaye 1968, III, pp. 11-12. «modello […] e disegno parimenti Barbieri-Baltramini 2003, scheda Austria.
sup.). A lui si deve anche un 1979a, pp. 1816-1818. 107
Bassi 1572, pp. 49-50. Cfr. delle Prospettive» lasciato 29 a, p. 282. Cfr. Mazzoni-Guaita 152
Sull’opera filosofica di
commentario sul trattato di 93
Bassi 1572, p. 37: «De architetti Barocchi 1979a, pp. 1826-1828. dall’architetto vicentino. Una 1985. Caramuel, cfr. Pissavino 1990.
architettura dell’Alberti (Alberti […] Di questi loro capricci et 108
Cfr. Pellati 1963. fonte sicuramente più attendibile 140
Cfr. Camerota 2000b; Camerota 153
Guidoni Marino 1973.
1988). opinioni fanno indicio i disegni 109
Ibid. perché testimone oculare della 2000c. 154
Ricordiamo, ad esempio, la
75
Cfr. Annali 1881, IV, p. 88, nota che se mandano alligati; postovi i 110
Bertani 1558. realizzazione dell’opera, quale fu 141
Gli strumenti matematici critica negativa in Cicognara 1821,
1: «Martino Bassi nacque a caratteri e le linee evidenti et 111
Pellati 1963. l’accademico Pompeo Trissino, costruiti da Maignan per I, p. 82: «Opera farraginosa […]
Seregno il 1542, et impratichitosi occolte». Cfr. Barocchi 1979a, p. 112
Baldassarre Castiglione le dichiara però incontestabilmente Bernardino Spada (un ove si parla e si presenta il Tempio
dell’architettura nella fabbrica del 1819. descrive in una lettera a Ludovico che le prospettive vennero «fatte cannocchiale, un periscopio, una di Salomone, e altre cose strane
Duomo, nel 1567 fu aggregato 94
Bassi 1572, pp. 42-45. Cfr. Canossa pubblicata in D’Ancona per opera del Signor Vincenzo ventola, forse uno strumento miste alle buone. Può riguardarsi
agl’ingegneri della nostra città ed Barocchi 1979a, pp. 1821-1822. 1891, II, pp. 102-104. Scamocio, compatrioto nostro in pneumatico e altri curiosi artifici come un magazzino indigesto di
ebbe incarico di fabbricare la 95
Palladio 1570; Palladio 1980. La Sull’evoluzione della scena bella et artificiosissima maniera» non sempre identificabili) sono tutte le cognizioni riguardanti
chiesa di S. Vittore». lettera dedicatoria al conte teatrale nel Rinascimento, cfr. (P. Trissino, Commentarij del Acad. descritti nei Conti del falegname l’Architettura».
76
Cfr. Bassi 1771, pp. 75-76: Lettera Giacomo Angaranno è datata Magagnato 1954; Ricci 1971; Olimpica, ms. autografo, Vicenza, Antonio Battaglini dal 24 febbraio 155
Caramuel 1678, trat. IX, art. II, p.
di Martino Bassi di ringraziamento primo novembre 1570. Marotti 1974b; Tafuri 1976; Biblioteca Civica Bertoliana, 1644 e dal 24 luglio 1645, Roma, 66: «De el Espacio o Lugar
quando fu eletto Architetto del 96
Bassi 1572, p. 43. Cfr. Barocchi Benevolo 1993, pp. 689-706. Archivio storico dell’Accademia Archivio di Stato, Archivio Spada Intrinseco […] Digo pues, que el

332 333
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lugar Intrinseco o el espacio es una 362. Sull’opera di Desargues, cfr. 212


Ibid., trat. III, cap. XXII, p. 165.
extension, que tiene longitud, Kemp 1985, pp. 89-132; Field 213
Ibid., trat. III, cap. XXII, oss. V.
latitud, y profundidad». 1987b; Field-Gray 1987; Pérez- 214
Cfr. Euclide 1895 e 1996, supp.
156
Danti 1577. Gomez 1990; Dhombres- VII: «Le cose viste sotto un
157
Caramuel 1678, trat. IX, art. VI, Sakarovitch 1994; Sakarovitch maggior numero di angoli
p. 105. 1998. appaiono con miglior risoluzione».
158
Ibid., trat. VI, art. II, pp. 3-4; 180
Cfr. Poudra 1864, vol. I, pp. 303- 215
Maltese 1970. Su Vittone, cfr.
Villalpando-Prado 1596-1604, XL, 351, in part. p. 305. Atti 1972.
III, XXIII, 199. 181
Ibid., vol. I, pp. 68-69. 216
Cfr. Portoghesi 1966.
159
Caramuel 1678, trat. VI, art. VIII, 182
Ibid., vol. I, p. 460. Cfr. Aleaume 217
Vittone 1760, lib. II, sez. III, I, p.
p. 28. 1643; Vaulezard 1631. 366.
160
Ibid., trat. VI, art. I, p. 2. 183
Caramuel 1678, trat. VI, art. XIII; 218
Ibid., lib. II, sez. III, I, p. 366.
161
Ibid., trat. VI, art. III, p. 5. trat. IX, art. IV, lam. II. 219
Ibid., lib. II, sez. I, IV, p. 241.
162
Nel sistema cosmologico 184
Ibid., trat. VII, art. IV, p. 51. 220
Ibid., lib. II, sez. I, IV, p. 242.
tolemaico, il circolo equante era 185
Ibid., trat. VII, art. IV, p. 50. 221
Ibid., lib. II, sez. I, IV, p. 243.
quello il cui centro distava dal 186
Ibid., trat. VII, art. IV, p. 51. 222
Ibid., lib. II, sez. I, IV, p. 243.
centro dell’eccentrico tanto 187
Cfr. Vignola 1583, p. 96; 223
Cfr. Fagiolo 1972, pp. 116-174.
quanto quest’ultimo distava dal Marolois 1614, p. 280; Bettini 224
Vittone 1760, lib. II, sez. I, IV, p.
centro del sistema, ossia la Terra, 1642, Apiarium V, p. 26; Huret 243.
lungo la stessa retta. Fu introdotto 1672, pl. VI, fig. 40. 225
Algarotti 1737, p. 103; il libro è
per uniformare il moto in 188
Caramuel 1678, trat. VII, art. IV, catalogato al n. 701 dell’inventario
longitudine dell’epiciclo che era pp. 53-55; Caramuel cita per intero redatto in casa di Vittone dopo la
irregolare rispetto alla Terra, ma i versi del poeta bizantino del XII sua morte; cfr. Portoghesi 1966, p.
diveniva regolare rispetto al secolo, Tzetze (Chiliades, VIII, 340- 250. Nella fornitissima biblioteca
centro dell’equante. 346, 353-369). dell’architetto figurano anche
163
Caramuel 1678, trat. VI, art. VII, 189
Cfr. Wittkower 1939-40, pp. 88- Caramuel e Frezier.
p. 11. 106. 226
Newton 1978, p. 313.
164
Ibid., trat. VI, art. X, p. 15. 190
Borsi 1980b; Birindelli 1981. 227
Vittone 1760, lib. II, sez. III, III, p.
165
Per l’ordine obliquo di 191
Caramuel 1678, trat. VI, art. VIII, 398.
Palestrina, cfr. Viscogliosi 2000. p. 12. 228
Questo del resto si poteva
166
Vandelvira 1977. 192
Caramuel 1678, trat. IX, art. IV, dedurre già dall’Ottica di Euclide,
167
Chueca Goitia 1953, p. 254. lam. XXIV, p. 108. in cui si supponeva lo
168
De l’Orme 1567, libb. III-IV. Cfr. 193
Firenze, Gabinetto Disegni e smussamento degli angoli di un
Bonet Correa 1989. Stampe degli Uffizi, 4137Ar. quadrato visto in lontananza. Cfr
169
De l’Orme 1567, fol.10v. Per 194
Biblioteca Apostolica Vaticana, Euclide 1895 e 1996, teor. IX: «Le
Dürer, vedi supra, p. 132. Vat. Lat. 13442, fol. 27; cfr. grandezze rettangole che di
170
De l’Orme 1567, foll. 7r e 10r. Birindelli 1981, p. 192. lontano sono viste, appariscono
171
Valdelvira 1977, fol. 55r; 195
Cfr. Belardi-Bianconi-D’Amelio- rotonde».
Caramuel 1678, lam. XX. Paggi 2003. Gli autori rilevano che 229
Vittone 1760, lib. II, sez. III,
172
Valdelvira 1977, fol. 75r; le sezioni dei fusti si mantengono classe III, par. II, p. 396.
Caramuel 1678, parte IV, lam. circolari pur aumentando 230
Cfr. Serlio 1545, Il Primo Libro…,
XXIII. sensibilmente ma non pp. 9v-10r.
173
Padre “Falla” era noto nel progressivamente di diametro: 231
Galli Bibiena 1732, 96, tav. 41.
mondo scientifico soprattutto per i 1,46 m, 1,50 m, 1,56 m, 1,60 m. 232
Vittone 1760, lib. II, sez. III,
suoi studi sulla meccanica e sul 196
Caramuel 1678, trat. VI, art. IV, classe II, par. II, p. 372.
centro di gravità dei settori p. 53. 233
Kemp 1994, cap. VII.
circolari ed ellittici (De la Faille 197
Ibid., trat. IX, art. IV, p. 108. 234
Cfr. Huyghens 1690, cap. I, p. 15.
1632). Ringrazio D. Rodriguez Ruiz 198
Guarini 1737, trat. IV, 235
Müller 1972.
per la segnalazione di questo Dell’ortografia gettata. Cfr. De 236
Poleni 1748. Interessante a
manoscritto, conservato a Madrid, Bernardi Ferrero 1966, pp. 37-53; questo proposito è anche il
Biblioteca Real, II/3729. Cfr. Oeschlin 1970. trattato composto da un allievo di
Rodriguez Ruiz 2003. 199
Guarini 1737, trat. II, cap. VIII. Vittone sulla resistenza dei
174
Sulla storia della stereotomia, 200
Ibid., trat. III, cap. XXIII. materiali; cfr. Borra 1748.
cfr. Perouse de Monclos 1982; 201
Ibid., trat. III, cap. XXV. 237
Cfr. Kauffmann 1964 (cfr. in
Sakarovitch 1998; Rabasa Diaz 202
Ibid., trat. III, cap. XXV, oss. IV. particolare l’elenco degli
2000; Becchi-Foce 2002. 203
Ibid., trat. II, cap. VIII. argomenti trattati dal Lodoli in
175
Caramuel 1678, trat. VI, art. XIII, 204
Ibid., trat. III, cap. XXIV, oss. II. preparazione del suo trattato);
p. 21. 205
Ibid., trat. III, capp. XXI-XXII. Ryckwert 1980, pp. 288-337.
176
De l’Orme 1567, lib. IV, cap. I. 206
Ibid., trat. I, cap. III, oss. VII. 238
Vittone 1760, lib. II, sez. II, classe
Cfr. Poitié 1996. 207
Ibid., trat. I, cap. III, oss. X. V, par. XXIV, p. 186, tav. 78.
177
De l’Orme 1567, lib. IV, cap. XIX. 208
Ibid., trat. III, cap. XXI. 239
Vittone 1766, lib. II, sez. II, classe
178
Ibid. 209
Ibid., trat. III, cap. XXI, oss. IX. V, par. VI, p. 178, tav. 57.
179
Cfr. Desargues 1636; Desargues 210
Cfr. Maltese 1970.
1639; Desargues 1640; Poudra 211
Guarini 1737, trat. III, cap. XXII,
1864, vol. I, pp. 55-84, 97-242, 305- oss. I.

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Conclusioni

Gli sviluppi della prospettiva dopo il XVII secolo sono contrassegnati da conquiste riografica generale è sempre meno incoraggiato dai numerosissimi studi che
tecniche e teoriche di grande rilevanza. I virtuosismi prospettici di Andrea Pozzo e ormai da anni, quasi quotidianamente, vanno indagando le variegate sfaccettatu-
Ferdinando Galli Bibiena, ad esempio, rappresentano il vertice di una lunga serie re di una disciplina sempre più chiaramente proteiforme. Il metodo di rappresen-
di esperienze nel campo del quadraturismo e della scenografia teatrale che con- tazione che ha rivoluzionato gli sviluppi dell’arte figurativa nel mondo occidenta-
traddistinsero in modo sintomatico la spettacolarità della decorazione barocca. Le le ha anche profondamente influenzato i metodi dell’indagine scientifica, le tec-
realizzazioni di padre Pozzo, in particolare, si distinguono come magistrali esempi niche di misurazione, i progressi della geometria, rivelandosi uno strumento di
di prospectiva aedificandi messi in scena per risolvere visivamente ciò che lo stato straordinaria importanza non solo per i pittori e gli architetti ma anche per i car-
delle cose non consentiva di ottenere materialmente. La finta cupola di Sant’Igna- tografi, i matematici, i filosofi, gli umanisti, i fisiologi. La chiave di lettura che ci è
zio a Roma svolge, infatti, lo stesso ruolo che a San Satiro svolgeva il finto coro di sembrata più adatta a definire un nesso tra tante competenze è quella che pone
Bramante. All’insegna della spettacolarità delle illusioni ottiche si sviluppa anche al centro dei vari interessi il concetto di misura: misura dello spazio pittorico, misu-
la diffusione della camera oscura, sia come strumento cinematografico ante litte- ra delle distanze topografiche, misura delle proporzioni architettoniche, misura
ram (camere oscure portatili e fisse sono descritte da Athanasius Kircher proprio delle distanze sideree. Il rapporto tra misure reali e misure apparenti rappresentò
come strumenti da proiezione di immagini in movimento), sia come strumento per una costante preoccupazione nel campo delle applicazioni prospettiche. Su tale
la riproduzione di una realtà “naturale” filtrata dalle lenti: ovattata e domestica, rapporto si basavano le tecniche di rilevamento ma anche i giochi ottici dell’ana-
come nei celebri interni di Jan Vermeer, oppure limpida e solare, come nelle altret- morfosi. Su tale rapporto si basavano le correzioni ottiche vitruviane, gli spettaco-
tanto celebri vedute di Canaletto. lari impianti scenografici e perfino le nuove formulazioni teoriche dell’architettu-
Sul piano geometrico fu la nascita della geometria proiettiva a guidare gli svi- ra barocca, dalle obliquità di Caramuel al “newtonianismo” di Vittone. Su tale
luppi della prospettiva, a cominciare dalle ricerche fondative di Desargues. I suc- rapporto si basarono certamente le prime esperienze prospettiche brunelleschia-
cessivi sviluppi della geometria descrittiva contribuirono a consolidare l’afferma- ne e l’invenzione di quel “termine”, “finestra” o “intersezione”, che misurava la
zione di un linguaggio geometrico ormai decisamente maturo, in base al quale grandezza apparente degli oggetti veduti, riproducendone la forma e il colore. La
ogni aspetto della figurazione spaziale poteva essere precisamente rappresentato grande invenzione stava proprio lì, in quel taglio della piramide visiva già applica-
senza nulla concedere al caso. L’attività teorica in questo caso si spostò decisamen- to dai topografi fin dall’antichità (Euclide) e ora acutamente sfruttato dai pittori
te in Francia dove operavano artisti, matematici e ingegneri del calibro di Nicolas nella piena consapevolezza che l’occhio «misura queste quantità con i raggi visivi
Poussin, Philippe de la Hire e, successivamente, Gaspard Monge. Non meno pre- quasi come con un paio di seste» (Alberti).
gnanti furono le ricerche psicofisiologiche che culminarono nell’opera di Hermann
von Helmholtz (1856), pilastro fondativo di successive argomentazioni storico-cri-
tiche volte a stabilire le regole di una «prospettiva soggettiva» (Herdman 1853,
Hauck 1875) che all’inizio del secolo scorso avrebbero influenzato la celebre inter-
pretazione panofskiana della prospettiva antica. «Ritengo che nessuno possa mettere in dubbio che l’architettura e la pittura, con-
Il solco lasciato dagli studi prospettici rinascimentali è stato profondo e senza siderando i loro mirabili prodotti, siano da anteporsi a tutte le altre arti […] la
soluzione di continuità, anche se controverso proprio sul piano dell’interpretazio- nobiltà propria di ciascuna di queste arti e la loro preminenza devono attribuirsi
ne storico-critica. Il tentativo di ordinare la grande mole di studi, esperienze figu- alle discipline matematiche e soprattutto alla prospettiva…»
rative, applicazioni scientifiche e riflessioni teoriche all’interno di una formula sto- Guidobaldo del Monte, Perpsectivae libri sex, Pesaro 1600, proemio

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prospettive 336-368 9-10-2012 10:08 Pagina 358

Indice dei nomi 178, 179, 181, 182, 234 detto il, 256, 329 258, 259, 260, 260, 329, 330
Benedetto da Firenze, 28, 29, 53, Bredekamp, Horst, 238 Cesi, Federico, 184, 185, 238
98, 225 Brunelleschi, Filippo, 5-8, 50, 58, Chappel, Miles, 234, 235
Benevolo, Leonardo, 332 60-63, 63, 64, 65, 65, 66, 67, 69, Chastel, André, 222
Bennet-Durand, Dana, 232, 237 70, 73-75, 76, 80, 81, 81, 83, 93, Chaucer, Geoffrey, 231
Bennett, Jim A., 240 111, 113, 222 Cheles, Luciano, 222
Bentivoglio (famiglia), 139 Bruni, Leonardo, 74 Chiari, Alberto, 235
Bernini, Gian Lorenzo, 296, 298, Bruschi, Arnaldo, 233, 329 Chiari, Neri, 53
306, 311, 312, 313, 314, 315, 316 Bubnov, Nicholas, 53, 226 Chivasso, Domenico da, 20, 22, 28,
Bertani, Giovanni Battista, 271, 283, Buonarroti, Michelangelo, 76, 171, 30, 30, 31, 52, 54, 77, 223
284, 284 257, 279-282, 330 Choisy, Auguste, 331
Bertini, Marta, 237 Buontalenti, Bernardo, 184, 189, Chueca Goitia, Fernando, 334
Berto di Bartolomeo, 67, 222 191, 192, 203, 235, 237, 286, 289 Cicerone, Marco Tullio, 14, 51, 263
Bertoglio, Giovanni, 333 Burchiello, Domenico di Giovanni Cigoli, Ludovico Cardi detto il, 178,
Bertotti Scamozzi, Ottavio 289 detto il, 60 182, 184, 185, 186, 187-189, 189,
Bessarione, cardinale, 86, 176 Busard, Hubertus L.L., 53, 223 190, 190, 191, 192, 192, 193, 194,
Bettini, Mario, 310, 334 Buti, Ludovico, 233, 235 195, 205, 208, 210, 212, 215-217,
Beyen, Hendrik Gerard, 55, 56 Caglioti, Francesco, 222 219, 234-236, 238-240
Bhaskara Acharya, 26, 53 Calandri, Filippo, 225 Cimabue, Cenni di Pepo detto, 35,
Accolti, Pietro, 203, 203, 205, 212, Al-Khwarizmi, Mohammad ibn 18, 18, 19, 30, 42, 52, 55, 85, 208, Bianchi Bandinelli, Ranuccio, 56 Calandri, Pier Maria, 54, 100, 101, 36, 41
212, 213, 219, 221, 237, 239, 332 Musa, 24, 53 237 Bianconi, F., 334 225 Cimone di Cleone, 265, 331
Acidini, Cristina, 232 Alkindi, 16, 51 Baldi, Bernardino, 270 Bibbiena (Bernardo Dovizi, Calco, Bartolomeo, 330 Cini, Giovanni Battista, 233, 237,
Ackerman, James, 332 Alleaume, Jacques, 307, 334 Baldinucci, Filippo, 218, 235, 236, cardinale), 253 Calvo, Fabio, 141, 147, 266 281
Acquasparta, Matteo d’, 41 Allori, Alessandro, 184 240 Bibiena, Ferdinando Galli da, 269, Camerarius, Johachim, 129, 138, 228 Clavio, Cristoforo (Christoph
Acuto, Giovanni (John Hawkwood), Almagià, Roberto, 232, 236 Baldovinetti, Alessio, 246 324, 325, 332, 334, 336 Camerota, Filippo, 56, 222, 227, Schlüssel), 206
72, 94 Alpers, Svetlana, 238 Baltruŝaitis, Jurgis, 51, 52, 227, 231 Biondo, Flavio, 74 229, 231-237, 332, 333 Clemente IV, papa, 40
Adams, Nicholas, 237 Amman, Jost, 136, 137 Bandinelli, Baccio, 281 Birindelli, Massimo, 334 Campano, Giovanni, 53, 106, 225 Clemente VII, papa, 176, 200
Adelardo di Bath, 26 Ammannati, Bartolomeo, 226, 281, Baratta, Mario, 236, 237 Bitonto, Giovanni Maria da, 294, Canaletto, Antonio Canal detto il, Cleri, Bonita, 329
Adorni, Bruno, 232 282 Barbaro, Daniele, 52, 135, 146-150, 297 336 Coccapani, Giovanni, 195, 236
Adorno, Francesco, 331 Anassagora, 44, 45, 46, 86, 148, 221, 150, 151, 151, 152, 152, 153-155, Bizzelli, Eligio, 240 Canossa, Ludovico, 330, 332 Coccapani, Sigismondo, 208, 215
Agatarco di Samo, 44, 45, 55, 86, 231, 261, 286 155, 156, 157, 157, 159-164, 167, Bloom, Terrie F., 238 Canozzi, Cristoforo da Lendinara, Colebrooke, Henry Thomas, 53
148, 221, 231, 286 Andersen, Kristy, 225 176, 179, 181, 188, 190, 196, 203, Boccati, Giovanni, 253 98, 246 Colombo, Cristoforo, 198, 232
Agostino delle Prospettive, 124 Angaranno, Giacomo, 332 206, 227, 229, 231, 233, 235, 242, Boezio, Severino, 29, 53 Canozzi, Lorenzo da Lendinara, 98, Commandino, Federico, 6, 149, 154,
Aguilonius, François d’Aguillon Angeli, Jacopo, 224, 236 266, 273, 286, 289, 329 Boncompagni, Giacomo, 162, 232 246 155, 159, 160, 163, 170, 176, 177,
detto, 239, 319 Angeli, R., 222 Barbieri, Franco, 333 Bond, John David, 53 Capone, Giuseppe, 232 179, 179, 182, 196, 213, 214, 231,
Aiken, J.A., 222 Antonini, Daniele, 216, 240 Barocchi, Paola, 223, 330, 332 Bonet Correa, Antonio, 333, 334 Capponi, Filippo, 332 233
Alberici, Clelia, 329 Apelle, 86, 87, 105, 224, 331 Barozzi, Giacinto, 160, 161, 232, 279 Bonifacio VIII, 40 Caraffa, Carlo, cardinale, 174 Commodi, Andrea, 191, 235
Alberti, Antonio degli, 10, 29 Apiano, Pietro (Peter Benewitz), 29, Barozzi, Giacomo, vedi Vignola Bonucci, Anicio, 54 Caramuel de Lobkowitz, Juan, 299, Comolli, Angelo, 235, 236
Alberti, Giovanni, 172 128, 135, 229, 237 Bartoli, Cosimo, 138, 200, 201, 201, Booth, Sara Elizabeth, 238 300, 300, 301, 302, 303, 304-308, Concini, Bartolomeo, 237
Alberti, Leon Battista, 6, 34, 47, 54, Apollodoro di Atene, 12, 265, 331 202, 228, 229, 237 Bordiga, Giovanni, 234 308, 309, 310, 310, 311, 313-320, Conforti, Claudia, 332
60, 63-65, 69, 73-76, 76, 77, 78, Apollonio di Perge, 176, 177, 233 Bartolomeo da Bologna, 17 Borghese, Scipione, 185 326, 333, 334, 337 Contarini, Giacomo, 156, 158, 168,
78, 79-81, 81, 82-85, 87, 90, 99, Archimede, 13, 176, 233 Bassi, Martino, 223, 270-273, 273, Borghini, Vincenzo, 283 Cardan, Fazio, 226 179, 231, 234, 291
100, 103, 109, 113, 130, 133, 135, Archita da Taranto, 99 274, 275, 275, 276, 277, 279, 280, Borgia, Lucrezia, 286 Cardano, Girolamo, 96, 157, 232 Conway, W.M., 228
146, 163, 190, 192, 199, 201, 205, Arcimboldo, Giuseppe, 234 283, 284, 332 Borra, Giovanni Battista, 334 Cardi, Giovanni Battista, 185, 187 Corradini, Bartolomeo (Fra’
216, 221-227, 230, 235, 237, 244, Argentieri, Domenico, 227 Battagio, Giovanni, 252 Borromeo, Carlo, 271, 332 Cardi, Ludovico, vedi Cigoli Carnevale), 245, 245, 329
248, 329, 332, 333, 337 Ariosto, Ludovico, 235, 253, 253 Battaglini, Antonio, 333 Borromini, Francesco Castelli detto, Carlo Magno, imperatore, 147 Corso, Antonio, 56, 331
Al-Biruni, Abu al-Rayham Aristarco, 176 Battisti, Eugenio, 54, 68, 222, 224, 293, 293, 295, 297 Carpo, Mario, 223, 237 Costantino Africano, 85
Muhammad b. Ahmad, 25, 53 Aristofane, 51 227, 228, 329 Borsi, Franco, 222, 329, 334 Castagno, Andrea del, 253 Cousin, Jean, il Vecchio, 146, 163,
Alcamene, 262, 310, 314 Aristotele, 11, 13, 17, 51, 52, 55 Beauvais, Vincent de, 22, 52 Borsi, Stefano, 329 Castellani, Grazia de’, 21, 28-31, 31, 170, 173, 215, 230, 233, 239
Alcibiade, 45, 55 Arrighi, Gino, 53, 54, 221, 223, 225, Becchi, Antonio, 334 Bosse, Abraham, 307 32, 52, 54, 65, 77, 97, 101, 223 Cratone, 331
Aleotti, Giovanni Battista, 286 226 Bechman, Roland, 225 Bossoli, Federico, 227 Castelli, Benedetto, 218, 240 Cremante, Simona, 227
Alessandro di Afrodisia, 11 Aryabhatta, 23, 25, 53 Bedini, Silvio A., 229 Bottari, Giovanni, 229 Castiglione, Baldassarre, 252, 330, Crinò, Salvatore, 236
Alessandro V, papa, 236, 319 Asburgo, Carlo d’, arciduca Behaim, Martin, 126, 228 Botticelli, Sandro, 246 332 Crisolora, Emanuele, 86, 196, 224,
Alessandro VII, papa, 300 d’Austria, 174, 233, 237 Belardi, P., 334 Bottrigari, Ercole, 196 Castiglione, Sabba da, 244, 245, 236
Al-Farabi, Abu Nasr Muhammad, 22 Asburgo, Maria Maddalena d’, 184 Bell Dinsmoor, W., 229 Botzmann, H., 53 255, 329 Curtze, Maximilian, 53
Alfonso X, re di Castiglia (detto il Asclepiodoro, 48, 265, 331 Bellarmato, Girolamo, 198, 236 Bourne, William, 206-208 Castriotto, Jacopo Fusti detto, 239 Curzi, Valter, 225
Savio), 26, 34, 53 Atenagora, 331 Belli, Silvio, 276, 332 Bracciolini, Poggio, 74 Cataneo, Pietro, 163 Cusano, Niccolò, 105
Algarotti, Francesco, 324, 334 Attico, Tito Pomponio, 14, 51 Bellini Jacopo, 123 Brahmagupta, 23 Cattaneo, Angelo, 236 D’Acunto, Giuseppe, 227
Alhazen (Ibn al-Haytham), 11, 15-17, Ausonio, Ettore, 206 Bellini, Giovanni, 123 Bramante, Donato di Pascuccio di Cecchi, Alessandro, 222 D’Amelio, Maria Grazia, 334
17, 18, 19, 19, 20-25, 30, 42, 42, Averlino, Antonio, vedi Filarete Bellio, Vittore, 330 Antonio detto, 105, 124, 139, Cecchini, Francesca, 55 D’Ancona, Alessandro, 330, 332
43, 52, 53, 63, 65, 66, 85, 100, Averroè, 15, 85, 86 Bellosi, Luciano, 55 141, 172, 242, 243, 244-246, 247, Cellini, Benvenuto, 107, 119, 139, Da Costa Kauffman, Thomas, 229,
103, 178, 221, 225, 232, 234, 332 Avicenna, 15-17, 85, 86 Bellotto, Bernardo, 65 248, 248, 249-253, 253, 254, 255, 227-229 239
Alighieri, Dante, 42, 55, 60, 61, 64, Bacone, Francesco (Francis Bacon), Beltrame, Renzo, 7 255, 256-258, 261, 267, 274, 284, Cennini, Cennino, 35, 43, 50, 55, 61 Da Maiano, Benedetto, 88, 89
244 209 Beltramini, Guido, 333 285, 298, 329, 330, 336 Cerçeau, Androuet du, 163 Da Maiano, Giuliano, 88, 89, 246
Alighieri, Jacopo, 28 Bacone, Ruggero (Roger Bacon), 8, Benedetti, Giovanni Battista, 6, 177, Bramantino, Bartolomeo Suardi Cesariano, Cesare, 147, 244, 254, Dagomari, Paolo (detto

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dell’Abbaco), 28, 34, 53, 54 Derand, François, 304 Eutocio Ascalonita, 176, 233 Fubini, Riccardo, 221 Gonzaga, Vespasiano, 292 Jamnitzer, Wentzel, 136, 137, 163,
Dal Mas, L., 329 Desargues, Girard, 305, 306, 306, Eyck, Jan van, 114 Furlan, Francesco, 222 Grafton, Antony, 222 171, 192, 235
Dal Pozzo Toscanelli, Paolo, 29, 34, 307, 334, 336 Facio, Antonio, 328 Füssly, Heinrich, 231 Gray, Jeremy J., 334 Jannson, Horst W., 68, 222
54, 55, 198, 222, 227, 228, 236 Desiderio da Settignano, 250 Faille, Jean Charles de la, 305, 334 Gabrieli, Giovanni Battista, 237 Grayson, Cecil, 222-224 Jayawardene, S. A., 225
Dal Pozzo, Cassiano, 107 Dhombres, Jean, 334 Fara, Giovanni Maria, 228, 229 Gaddi, Niccolò, 161, 229, 232 Gregorio XIII, papa, 161, 171 Johann II di Baviera, 137
Dalai Emiliani, Marisa, 225, 228, 329 Di Pasquale, Salvatore, 221 Farago, Claire J., 227 Gaddi, Taddeo, 38, 39 Grienberger, Christopher, 212, 239 Jousse, Mathurin, 307
Daly Davis, Margaret, 225 Di Teodoro, Francesco Paolo, 222, Faranda, Franco, 234 Gadol, Joan, 222, 232, 237 Gros, Pierre, 51, 331 Jung, Wolfgang, 329, 330
Damiano Larisseo, 15, 55, 176, 263, 224, 225, 230, 235, 237, 329, 332 Farnese, Pierluigi, 174 Gaeta Bertelà, Giovanna, 222 Grossatesta, Roberto (Grosseteste, Kauffmann, Emil, 334
330 Dias, Bartolomeo, 256 Farnese, Ranuccio, 160, 176, 177, Galeno, 15, 17, 51, 52 Robert), 17-19, 40 Kaye, George Rusby, 53
Damish, Hubert, 7, 225 Digges, Leonard, 207, 237 233 Galilei, Galileo, 6, 180, 184, 185, Guaita, Ovidio, 333 Kemp, Martin, 7, 8, 222, 224, 227-229,
Dandini, Vincenzo, 195, 236 Digges, Thomas, 206, 207, 237 Fasolo, Orseolo, 235 186, 187, 193, 207, 208, 210, 211, Guarini, Guarino, 299, 316, 317, 318, 235, 236, 240, 334
Danti, Egnazio, 53, 55, 146, 160-165, Dini, Cristoforo di Gherardo, 28, Favaro, Antonio, 234 211, 212, 212, 213, 215, 216, 216, 318, 320, 321, 327, 328, 333, 334 Keplero, Giovanni (Johannes
165, 166, 166, 167, 168, 168, 102, 226 Fedeli, Matteo, 246, 258 217, 218, 220, 234, 235, 237-240 Guasti, Cesare, 53 Kepler), 111, 178, 188, 208, 209,
169-171, 171, 172, 173, 174-176, Diogene Laerzio, 45, 51 Federici Vescovini, Graziella, 7, 51-54, Gallaccini Teofilo, 270 Guglielmo di Morbecca, 17 216, 220, 234, 235, 238, 240
178, 181, 182, 187-189, 191-193, Divenuto, Francesco, 228 221, 224, 225 Gallo, A., 333 Guicciardini, Francesco, 160 Kern, Guido Joseph, 68, 222, 223
196, 201, 203, 204, 232-236, 278, Dolfin, Giacomo, 291, 333 Federico da Montefeltro, 87, 89, 96, Gallucci, Giovanni Paolo, 18, 228 Guidobaldo da Montefeltro, 88, 96, Kern, Ulrich, 137
289, 310, 319, 320, 334 Domenico da Prato, 60, 221 245, 246 Galluzzi, Paolo, 56, 236 98, 224, 225, 329 Keser, Jacob, 126, 136, 136
Danti, Giulio, 161 Domenico Veneziano, Domenico di Federico II di Svevia, 26 Gambuti, Alessandro, 223, 224, 235 Guidoni Marino, Angela, 333 Kircher, Athanasius, 217, 240, 336
Danti, Piervincenzo (Rinaldi), 161 Bartolomeo detto, 87, 88 Federighi, Guerruccio di Cione, 26, Garin, Eugenio, 237 Guipaud, Christian, 239 Kitao, Thimoty K., 232, 234, 236,
Danti, Vincenzo, 161, 163 Donatello, Donato di Niccolò di 53 Gassendi, Pierre, 217 Gundisalvi, Domenico 240
Danti, Teodora, 161 Betto Bardi detto, 50, 58, 60, 66, Feijo y Montenegro, B.J., 299, 333 Gaurico, Pomponio, 123, 266 (Gundissalinus), 22 Klein, Robert, 52, 53, 223
Dasypodius, Conradus, 55, 266, 330 72, 74, 83, 85, 246, 250, 250, 252, Feinblatt, E., 233 Gavard, Adrien, 195, 236 Gunther, Robert T., 53, 231 Kline, Morris, 53
Davico Bonino, Guido, 333 281 Feliciangeli, Bernardino, 330 Gaye, Giovanni, 332 Gutierrez, David, 54 Kolb, Antonio, 123
De Bernardi Ferrero, Daria, 56, 333, Donato, Leonardo, doge, 238 Ferrari, Gaudenzio, 175 Gemino Rodio, 13, 14, 44, 51, 55, Hahn, L. Nan, 54 Kowal, Charles T., 240
334 Doppelmayr, Johann G., 195, 236 Ferraro, Fabrizio, 279 176, 261-263, 266, 330, 331 Haines, Margaret, 222, 224 Kratzer, Nicolaus, 131, 131, 229
De l’Orme, Philibert, 139, 304, 305, Drake, Stillman, 240 Ferrante, M., 333 Gemma Frisius, Reiner, 128, 158, Harnest, Joseph, 228 Krogt, Peter van der, 228
306, 307, 334 Du Fresne, Raphael, 107 Ferrantino, Bartolomeo, 330 200, 202, 214, 229, 237, 239 Harriot, Thomas, 207, 208, 238 Krautheimer, Richard, 223, 329
De la Hire, Philippe, 336 Dubourg Glatigny, Pascal, 232 Ferretti, Massimo, 222, 329 Genga, Girolamo, 139, 142, 143, Haselberger, Lothar, 331 Kristeller, Paul Oskar, 52
De Maddalena, Aldo, 222 Dubreuil, Jean, 220, 236 Fibonacci, Leonardo detto Pisano, 145, 202, 229, 252, 285, 286 Hauck, Guido, 55, 336 Kruft, Hanno-Walter, 226
De Meun Jean, 42 Dupré, Sven, 230, 237, 238 21, 26, 28, 34, 53, 96, 100-102, Gentile, Sebastiano, 224, 236 Hayden, Hans, 138, 229 Kuhn, Jeanne, 222
De Rosa, Agostino, 51, 52, 55, 329 Dürer, Albrecht, 6, 78, 92, 117, 121, 226 Gerbert d’Aurillac (Silvestro II), 26, Heiberg, Johan Ludvig, 233, 330 Lachmann, K., 53, 226
De Rossi, Domenico, 296 122, 123, 124, 124, 125, 126, 127, Ficino, Girolamo, 227 53 Heimbürger Ravalli, Minna, 297, Laerzio, Diogene, 43, 49
De’ Barbari, Jacopo, 123, 124 128, 128, 129, 130, 130, 131, 131, Ficino, Marsilio, 22, 52 Germanus, Nicholaus, 255 333 Lamberini, Daniela, 237
De’ Marchi, Pantalone, 246 132-135, 135, 136, 136, 139-141, Fidia, 262, 310, 314 Gherardi, Antonio, 296, 298 Heinfogel, Konrad, 125 Lanci, Baldassarre, 155, 156, 158,
Deborre, I., 333 143, 146, 149-152, 154, 155, 159, Field, Judit V., 68, 69, 222, 224, 225, Gherardi, Giovanni (di Gherardo da Helden, Albert van, 237, 238 167, 168, 174, 189, 191, 201, 202,
Dee, John, 176, 206 163-166, 168, 187, 191, 194, 203, 234, 334 Prato), 21, 29, 51, 52, 54, 60, 65, Helfenfeld Pfintzing, Paul von, 137 204, 204, 231, 233, 235, 237, 280,
Degl’Innocenti, Giovanni, 68, 222 212, 215, 216, 227-231, 235, 239, Fienga, D.D., 329 221 Helmholtz, Herman von, 336 281, 289, 332
Dei, Benedetto, 88, 222 242, 254, 256, 258, 267, 269, 269, Fieschi, Ottobono, 41 Gherardi, Paolo, 28, 53, 99, 225 Herdman, William, 336 Landino, Cristoforo, 43, 55
Dekker, Elly, 228 270, 273, 305, 329, 330, 331, 334 Filarete, Antonio Averlino detto il, Gherardo da Cremona, 17, 21, 26, Hertlein, E., 222 Landucci, Benedetto, 238
Del Badia, Jodoco, 232, 237 Dvivedi, M.S., 53 61, 64, 80, 82, 83, 85, 87, 90, 120, 51 Hesselin, Louis (Ludwig), 193, 195, Lanteri, Jacopo, 205, 237
Del Bianco, Baccio, 218, 240 Edgerton, Samuel Y. junior, 7, 55, 146, 221, 224, 230 Ghiberti, Lorenzo, 6, 21, 34, 35, 52, 220 Laureti, Tommaso, 166, 172, 173,
Del Ferro, Scipione, 124 224, 236, 239 Filippo II, re di Spagna, 184, 271, 55, 58, 60, 61, 73, 74, 82-85, 85, Hevelius, Johannes, 218 175, 233
Del Monte, Francesco Maria, 234 Eginardo, 147, 230 305, 332 86, 87, 90, 224 Heydenreich, Ludwig, 8, 236 Lautensack, Heinrich, 137
Del Monte, Guidobaldo Bourbon, 6, Egmond, Warren van, 53, 54, 225 Finiello Zervas, 53 Ghirlandaio, Domenico, 76 Hill, Donald, 53 Lazari, Vincenzo, 228
159, 179-181, 181, 182, 182, 183, Eliodoro di Larissa, 15, 176, 263 Fiorani, Francesca, 232 Giacomo Andrea da Ferrara, 105 Hind, A.M., 330 Lencker, Hans, 137, 138, 163, 214,
188-190, 192, 204, 212, 214, 215, Elkins, James, 224 Fiore, Francesco Paolo, 232 Giambologna, Jean Boulogne detto Hirschvogel, Augustin, 137 215, 229, 239
234, 235, 239, 242, 319, 329, 337 Empedocle, 11 Foce, Federico, 334 il, 281 Hockney, David, 227 Leonardo da Vinci, 44, 50, 56, 64, 99,
Del Monte, Innocenzo, 174 Engel, Anne, 222 Foggini, Giovanni Battista, 235 Gill, Jack C., 224 Hoffman, Volker, 222 104, 104, 105-108, 108, 109-111,
Dell’Abbaco, Giovanni di Bartolo Enrico IV, re di Francia, 174, 184 Fontana, Carlo, 314, 314 Gioseffi, Decio, 7, 55, 222, 223 Holbein, Hans, 116, 117, 152, 227 111, 112, 112, 113, 114, 115, 116,
detto, 28, 29, 54 Epafrodito, 226 Fontana, Giovanni, 33, 33, 34, 54, Giotto di Bondone, 5, 7, 35, 36, 38, Holton, Gerard, 238 116, 117-119, 124, 125, 128, 130,
Dell’Abbaco, Paolo, vedi Dagomari Eraclito, 255, 256 75, 112, 112, 123, 145, 227, 228 39, 42, 44, 50, 55, 64 Honnecourt, Villard de, 140, 225, 131, 135, 139, 140, 145, 152, 156,
Della Porta, Costanzo, 174 Eratostene di Cirene, 99 Foppa, Vincenzo, 248, 329, 332 Giovanni da Siviglia, 29, 53 226, 228, 230 159, 163, 198, 198, 200, 201, 211,
Della Porta, Giacomo, 171 Ermanno Secondo, 233 Fortius, Joachim, 163 Giovanni di Ser Giovanni, vedi Huber, F., 222 221, 225-227, 229, 231, 236, 237,
Della Porta, Giovanni Battista, 114, Ermogene, 264, 331 Foullon, Abel, 166, 202, 232, 237 Scheggia Huret, Grégoire, 310, 334 255, 330
157, 178, 206, 208, 227, 232, 234, Erone di Alessandria, 13, 15, 17, 51, Foyster, S., 227, 229 Giovanni II Paleologo, 224 Huygens, Christian, 326, 334 Leone X, papa, 200, 237, 266
237 55, 176, 263, 266, 330 Fra’ Giocondo, Giovanni Monsignori Giovanni VIII Paleologo, 86 Iaia di Cizico, 55, 64 Levi ben Gerson, 30, 53
Della Robbia, Luca, 74 Eschilo, 45 detto, 267 Girolamo da Perugia, don, 166, 168 Ibn Ali Isa, 15,16 Lindberg, David C., 51-53, 227, 230
Della Rovere, Francesco Maria, duca Esichio, 265 Francesco I di Valois, re di Francia, Giulio II, papa, 124, 242, 255, 257, Ibn Ishaq Hunain, 15 Lippi, Filippo, 245, 246
di Urbino, 142, 229 Este, Alfonso d’, 286, 332 160, 171, 174, 227 330 Ictino, 264, 331 Lise, Giorgio, 329
Della Rovere, Francesco Maria II, Euclide, 10-13, 13, 15, 20, 21, 24-26, Franci, Raffaella, 53, 225 Giulio Romano, Giulio Pippi detto, Ilardi, Vincent, 227 Little, Alan M.G., 56
duca di Urbino, 179 29, 46, 47, 51-53, 55, 77, 87, 100, Frangenberg, Thomas, 232-234 142 Ingegneri, Angelo, 333 Lodoli, Carlo, 327
Della Volpaia, Benvenuto, 200 103, 106, 111, 125, 132, 150, 161, Frezier, Amedée François, 327, 334 Giusti, Enrico, 225 Innocenzo X, 311 Lomazzo, Giovanni Paolo, 117, 142,
Delmino, Giulio Camillo, 139 165, 176, 223-226, 231, 236, 242, Friess, Peter, 229 Goldstein, Bernard R., 54, 227 Ippolito, Lamberto, 221 175, 227, 230, 233, 254, 256, 266,
Democrito, 11, 44, 45, 46, 55, 86, 148, 256, 265, 272, 330, 332, 334, 337 Frommel, Christoph L., 229, 232, Gonzaga, Francesco, 284 Ivins, William M., 230 329, 331
221, 231, 234, 255, 256, 261, 286 Eugenio IV, papa, 75 237, 330 Gonzaga, Scipione, 332 Jaeggli, Alvin, 228 Lombardo, Pietro, 254

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Lombardo, Tullio, 250, 252, 252 Maurolico, Francesco, 114, 227, 230, Oeschlin, Werner, 333, 334 94, 94, 95, 96, 96, 97, 98, 100, 102, Ricci, Ostilio, 184, 191, 235 266, 286, 330
Longhi, A., 233 234 Olivi, Pietro di Giovanni, 41 104, 108, 110, 116, 117, 124, 126, Richter, Gisela M.A., 55 Sarton, George, 53
Lorber, Maurizio, 235 Mazzinghi, Antonio de’, 28, 31, 53, Oresme, Nicola, 19 133, 141, 143, 146, 149, 150, 152, Richter, Jean Paul, 221, 226, 227, Sauria, 331
Lorena, Carlo II di, 233 32, 65, 101 Orleàns, Cherubin d’, 218, 219, 240 152, 155, 163, 165, 169, 171, 172, 330 Savasorda, Abraham ben Hiyya
Lorena, Maria Cristina di, 184 Mazzoni, Stefano, 332, 333 Ostrow, Steven, 238 177, 182, 190, 224, 225, 228, 231, Righi, Francesco, 295 detto, 26
Lorenzetti, Ambrogio, 84, 86 Medici, Cosimo I de’, 155, 161, 184, Pacciani, Riccardo, 222 233, 235, 244, 245, 246, 251, 256, Rinaldi, Piervincenzo, 161 Savoia, Bona di, 250
Lucrezio, Tito Lucrezio Caro, 14, 46, 201, 202, 232, 282, 286 Pacioli, Luca, 22, 52, 56, 98-100, 100, 329, 330 Risner, Federico, 17, 17, 42, 52, 66 Savonarola, Girolamo, 52
51, 55, 331 Medici, Cosimo II, de’, 184 101, 102, 104, 104, 105-107, 110, Pigafetta, Filippo, 180, 333 Ristori, R., 330, 332 Savonarola, Michele, 22, 52
Ludwig, Heinreich, 222 Medici, Ferdinando I de’, 180, 184, 111, 123, 124, 132, 164, 224, 226, Pinelli, Gian Vincenzo, 168, 179, 231 Rivius, Gualterius (Walter Ryff), 137 Scamozzi, Vincenzo, 168, 189, 289,
Lunardi, Roberto, 68, 222 185, 233 242, 244, 329 Pinturicchio, Bernardino Betti detto Rivolta, Adolfo, 231 291, 291, 292, 333
Maccagni, Carlo, 225 Medici, Ferdinando II de’, 187, 195, Paciotto, Francesco, 275, 332 il, 245 Robbiani, Eros, 329 Scheggia, Giovanni di Ser Giovanni
Maccaneo, Domenico, 244, 254, 218-220, 240 Paganini, Paganino de’, 104 Pioto, Giovanni Battista, 274 Roberto di Chester, 26, 233 Mone Cassai detto lo, 70
255, 329 Medici, Francesco I de’, 202 Paggi, G., 334 Piranesi, Francesco, 231 Robertus Anglicus, 54 Scheiner, Christopher, 111, 209, 209,
Maderno, Carlo, 311 Medici, Giovanni de’, 235 Palladio, Andrea, 147, 152, 231, Pirckheimer, Willibald, 123-126, 128, Roccasecca, Pietro, 222, 223, 225, 215, 216, 217, 217, 218, 238-240
Madoi, R., 228 Medici, Leopoldo de’, 187, 195, 219, 271, 275, 276, 276, 277, 286, 289, 129, 133, 135, 228, 229, 329, 330 232 Schiavo, A., 233
Maestro Biagio, 28 220, 236, 240 289, 291, 332, 333 Pisanello, Antonio Pisano detto il, 81 Rodis Lewis, Génevieve, 236 Schickhardt, Wilhelm, 220, 240
Maffei, Raffello (detto il Medici, Maria de’, 184 Panfilo di Sicione, 44, 49, 224, 265, Pissavino, Paolo, 333 Rodler, Hieronimus, 137 Schlosser Magnino, Julius, 224, 230
Volterrano), 52 Melanzio, 331 331 Pitagora, 27 Rodriguez Ruiz, D., 334 Schofield, Richard, 329, 330
Magagnato, Licisco, 332, 333 Mellan, Claude, 217, 219, 240 Panichi, Roberto, 55 Pizzolo, Niccolò, 246 Rojas Sarmiento, Juan de, 200, 202, Schön, Erhard, 152, 155, 227
Maggi, Girolamo, 239 Melozzo da Forlì, 245 Panofsky, Erwin, 7, 8, 55, 56, 222, Platone, 11, 12, 51, 99, 132, 262, 215, 239, 214, 237 Schöne, Richard, 55
Magni, Giovanni Battista, 294 Melzi, Francesco, 106-108, 117, 154, 223, 227, 228, 230, 234, 235, 240, 265, 331 Romanini, Angiola Maria, 55, 329 Schrijvers, Petrus Hermannus, 51,
Maignan, Emmanuel, 194, 194, 227, 231 330 Platone da Tivoli o Tiburtino, 26 Romano, Bartolomeo (Crescenzi), 331
195, 219, 219, 235, 236, 240, 293, Menci Gallorini, Anna, 221 Paolo Uccello, Paolo di Dono detto, Platter, Felix, 234 206, 237 Schulz, Jürgen, 236
333 Mersenne, Marin, 302 48, 50, 72, 73, 73, 77, 80, 83, 119, Pletone, Giorgio Gemisto, 86 Rombai, Leonardo, 236 Scolari, Massimo, 221, 239
Maineri, Danesio, 237 Messahalla, 24, 25, 25, 53, 231 246, 254, 274 Plinio il Vecchio, Gaio Plinio Romby, Carla, 222 Seragnoli, D., 333
Malaguzzi Valeri, Francesco, 330 Meun, Jean de, 42, 55 Paolo V, papa, 185 Secondo, 44, 51, 53, 55, 64, 86, Ronalds, Francis, Sir, 195, 236, 237 Seregno, Vincenzo da, 272, 273
Maltese, Corrado, 227, 329, 334 Milanesi, Gaetano, 56, 221 Papanti, G., 221 87, 221, 224, 265, 331 Ronchi, Vasco, 51, 53, 238 Sereno, 233
Mancini, Fausto, 237 Millet de Chales, Claude François, Pappo di Alessandria, 176, 179 Plutarco, 55 Rondinelli, Alessandro di Michele di Serlio, Sebastiano, 92, 119, 139, 140,
Mancini, Girolamo, 222 317 Parigi, Giulio, 192, 203, 235, 237 Poggi, P.M., 332 Ghino, 221 140, 141, 142, 142, 143, 144, 144,
Manetti, Antonio di Tuccio, 7, 8, 50, Mirone, 105 Parronchi, Alessandro, 7, 8, 53-55, Poleni, Giovanni, 327, 334 Roriczer, Mathaus, 125, 225 145, 146, 149, 152, 163, 169, 178,
56, 60-64, 65, 66, 221, 230 Moleto, Giuseppe, 179 222, 223, 226, 228 Policleto, 105 Rose, Paul Lawrence, 53, 232-234 229, 230, 235, 244, 253, 258, 259,
Manetti Ciaccheri, Antonio, 70, 71, Molin, Biagio, 74 Pasi, Antonio, 291, 333 Pollaiolo, Antonio Benci detto il, Rosen, Edward, 221 267, 269, 273, 274, 286, 289, 309,
72, 73, 77, 94 Molinari, Cesare, 235 Passignano, Domenico Cresi detto 123, 330 Rosenfeld, Nan, 229 325, 329, 330, 332, 333
Manetti, Giovanni, 50 Monge, Gaspard, 336 il, 208, 215, 216, 238, 240 Polluce, Giulio, 56 Rosselli, Alessandro, 236 Settle, Thomas B., 68, 222, 232, 235,
Manrique, Algel, 304, 333 Mordente, Fabrizio, 159, 179, 232 Pastine, Dino, 333 Polzer, Joseph, 68, 222 Rosselli, Francesco, 198, 236, 255 236
Mansart, Jules Arduin, 309 Morisani, Ottavio, 224 Pastore, Nicholas, 221 Pompeo Magno, 14 Rossellino, Antonio, 250 Sforza, Francesco, 99
Mantegna, Andrea, 33, 34, 123, Morolli, Gabriele, 235 Peckham, Johannes, 8, 18, 18, 19, Porro, Girolamo, 168, 291 Rotondi, Pasquale, 222, 329 Sforza, Galeazzo Maria, 64, 250
244-246, 248, 251, 274, 286, 329 Morone, Giovanni, 277 30, 40, 41, 52, 85, 107, 226 Porta, Giuseppe, vedi Salviati, Rouveret, Agnès, 55, 56, 331 Sforza, Ludovico detto il Moro, 105,
Maometto Bagdedino, 176 Morone, Sforza, 277 Pedemonte, Pompeo, 152 Giuseppe Porta Roy, Ashok, 227, 229 226, 253, 255, 330
Marangon, P., 55 Morrovalle, Giovanni da, 39 Pedretti, Carlo, 226, 227, 237 Portoghesi, Paolo, 327, 332, 334 Rupprich, Hans, 228 Shea, William, 240
Marinelli, Sergio, 227 Mulazzani, Germano, 329 Peiresc, Nicholas Fabri de, 217, 218, Posidonio, 14, 51, 331 Ruscelli, Girolamo, 236 Shearman, John, 330
Marinoni, Augusto, 225, 226, 237 Müller, Werner, 334 240 Poudra, Noël Germinal, 334 Rykwert, Joseph, 222, 334 Shirley, Rodney W., 228, 330
Marolois, Samuel, 310, 334 Muratori, Ludovico Antonio, 52, Pelacani, Biagio da Parma detto, 10, Poussin, Nicholas, 107, 336 Sabatini, Lorenzo, 174 Silvestro II, 26
Marotti, Ferruccio, 234, 235, 332 221, 224 21, 22, 29, 34, 51, 52, 63, 65, 100 Pozzo, Andrea, 293, 336 Sabbino, D., 333 Simi, Annalisa, 226
Marrucci, Rosa A., 329 Murray, Peter, 329 Pélerin, Jean, vedi Viator Prado, Jeronimo, 334 Saccaro Battisti, Giuseppina, 221, Simi Varanelli, Emma, 55
Martin, Jean, 119, 140, 146 Myers, M.N., 222 Pellati, F., 332 Prevedari, Bernardo, 246, 247 227, 228 Sinisgalli, Rocco, 233
Martinelli, B., 330 Narducci, Enrico, 51, 53 Pellegrino da Udine, Martino da Primaticcio, Francesco, 139, 140, 160 Said, Hakim Mohammed, 53 Sinistore, Publio Fannio, 47, 48, 56
Martines, Giangiacomo, 53 Nasr, Seyyed Hossein, 52, 53 San Daniele detto, 253, 285, 286 Proclo Licio Diadoco, 15, 51, 176, Sakarovitch, Joël, 334 Sironi, G., 330
Martini, Francesco di Giorgio, 101, Nazif Bey, 53 Pérez Gomez, Alberto, 334 263, 331, 332 Salviati, Francesco, 332 Sisto IV papa, 330
102, 103, 103, 104, 146, 198, 226, Nelli, Giovanni Battista, 195, 236, Peri, Dino, 240 Protogene, 86 Salviati, Giuseppe Porta detto il, 276 Six, Jan, 55
236, 245, 255 240 Peroni, Chiara, 221 Puccini, Bernardo, 202, 203, 237 Sampaolesi, Piero, 222, 329 Smedley, G., 225
Martini, R.A., 229 Nemorario, Giordano, 53, 149, 196 Perouse de Monclos, Jean Marie, Puppi, Lionello, 333 San Severino, Galeazzo da, 124 Smith, A. Mark, 51
Martirano, Bernardino, 162 Neppi Modona, Aldo, 56 334 Rabaza Diaz, E., 334 Sangallo, Antonio Giamberti il Smith, Logan Pearsall, 238
Masaccio, Tommaso di Ser Giovanni Neppi, Lionello, 297, 333 Perrelli, F., 333 Raggio, Olga, 222 Giovane da, 115, 116, 200, 286 Soderini, Pier, 106
di Mone Cassai detto, 50, 58, 59, Nerone, imperatore, 331 Peruzzi, Baldassarre, 139, 141, 143, Rainaldi, Carlo, 295, 297 Sangallo, Antonio Giamberti il Sofocle, 55, 289
67, 68, 70, 70, 72-74, 77, 81, 81, Neugebauer, Otto, 53, 236 163, 168-170, 171, 172, 173, 229, Ravioli, C., 229 Vecchio da, 138, 229 Soldato, Jacopo, 274, 332
222, 251, 280 Newton, Isaac, 321, 323, 326, 334 233, 267, 268, 269, 269, 274, 277, Raynaud, Dominique, 7, 8, 52, 53, Sangallo, Aristotele da, 174, 235, Sorci, Alessandra, 225
Mascherino, Ottaviano, 160, 172, Niccoli, Niccolò, 60 278, 278, 286, 287, 312, 313, 329, 55, 222, 224 289, 333 Spada, Bernardino, 294, 295, 297,
174, 232 Niccolò IV, 35 333 Reeves, Eileen, 328 Sangallo, Bastiano da, 281 329, 333
Masolino da Panicale, Tommaso di Niceron, Jean François, 193, 194, Petrioli Tofani, Annamaria, 330 Regiomontano, Johannes Müller Sangallo, Giuliano da, 50 Spada, Virgilio, 294, 297
Cristoforo Fini detto, 81, 81 194, 195, 195, 219, 235, 236, 240 Petrucci, Francesco, 333 detto il, 125, 196, 236 Sangiorgi, C., 329 Spallanzani, Marco, 222
Massaio, Piero del, 198, 236, 255 Nicomede, 99 Pfintzing, Paul, 138 Reisch, Gregor, 31, 54, 56, 121, 198 Sansovino, Andrea, 280, 280, 281 Spencer, John R., 223
Matteo dal Borgo, 88, 98, 224, 225 Nipso, Marco Junio, 226 Picutti, Ettore, 225 Repishti, Francesco, 332 Santucci, Antonio, 26, 202, 237 Stabius, Johann, 126, 256
Matteoli, Anna, 234, 235, 237 Noferi, Cosimo, 217, 220 Piero della Francesca, 6, 8, 47, 56, 61, Riario, Raffaele, cardinale, 285 Sanzio, Raffaello, 138, 141, 147, Staigmüller, H.C.O., 223
Mattiolo, Pietro Andrea, 128 Nuti, Lucia, 236 67, 80, 87, 88, 88, 90, 90, 91-93, 93, Ricci, G.A. d’Andrea, 240 200, 237, 242, 253, 253, 256, 257, Stechow, W., 228

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Stedman Sheard, W., 329 329, 330 Wittkower, Rudolf, 225, 332, 334 Referenze fotografiche
Stefano Fiorentino, 35, 43 Vaulezard, Jean Luis de, 307, 334 Wohl, H., 224
Stevin, Simon, 164, 232 Veltman, Kim, 7, 52, 225, 226, 228, Wolff Metternich, F., 329
Stoeffler, Joannes, 27, 28 229 Wotton, Henry, 209
Stoeltzle, Melchior, 209, 209 Vendramin, Sandra, 333 Wren, Christopher, 218, 240
Stoer, Lorenz, 137 Vermeer, Jan, 336 Wyld, Martin, 227, 229
Stradano, Giovanni (Jan van der Veronese, Paolo Caliari detto il, 284 Yacob, Annie, 56
Straet), 201, 203 Vettio Ciro, 14 Zambelli, Damiano, 163
Strieder, Peter, 228 Viator, Jean Pélerin detto il, 119-121, Zamberti, Bartolommeo, 125
Strozzi, Palla, 224 121, 124, 125, 140, 146, 163, 228, Zamberti, Giovanni, 149, 231
Sulpicio da Veroli, 285, 286 230 Zangheri, Luigi, 232
Tabarroni, G., 53 Victor, Stephen K., 54 Zanieri, Stefania, 233, 235
Tadisi, Jacopo A., 333 Vignola, Giacomo Barozzi da, 160-163, Zanker, Paul, 56
Tafuri, Manfredo, 231 163, 164, 165, 165, 166, 167, 168, Zenale, Bernardo, 246, 329
Talete di Mileto, 12, 25, 51 168, 169-171, 171, 172, 173, 175, Zeusi, 331
Tanturli, Giuliano, 221 181, 182, 188, 189, 232, 233, 235, Ziggiotti, Bartolomeo, 333
Targioni Tozzetti, Giovanni, 236 237, 242, 271, 277-279, 289, 310, Zik, Yaakov, 240
Tartaglia, Nicolò, 96, 201, 237 329, 332, 334 Zini, R., 222
Tasso, Torquato, 235, 332 Villalpando, Juan Bautista, 302, 334 Zoroastro, 330
Temanza, Tommaso, 333 Villani, Filippo, 42, 53-55, 64 Zorzi, Giangiorgio, 333 Akg Images, Berlino: figg. 28, 105, 123, 139, 141-144, 147-151, 154,
Teofrasto, 51 Villani, Giovanni, 28, 53-55 Zucchetti, Giuseppe, 237 107, 170 157-164, 166-168, 171-181, 186,
Teone di Alessandria, 15, 51 Vimercato, Giovanni Battista, 157, Zucker, M.J., 329, 330 Archivi Alinari, Firenze: figg. 26, 197, 198, 203, 205, 215, 220, 225,
Thoenes, Christoph, 229, 232, 235 158, 232 271, 272 227, 229, 273
Thorndike, Lynn, 53 Vinci, Federico, 235 Archivio Mondadori Electa, Kunsthistorisches Museum,
Thulin, C., 53 Vinta, Belisario, 238 Milano: figg. 44, 101, 230, 262, Vienna: fig. 17
Tibaldi, Pellegrino, 271, 272, 273, Virgilio Marone, Publio, 230 319, 320; 127 (Georges Fessy); 19, The Metropolitan Museum of Art,
274, 275, 277, 280, 284, 332 Viscogliosi, Alessandro, 334 22, 23 (Antonio Quattrone); 237, New York: figg. 31, 156
Tolomei, Claudio, 147 Visconti, Gaspare, 244, 253-256, 244 (Francesco Tanasi); 270 Musée du Louvre, Parigi: fig. 32
Tolomeo, Claudio, 7, 15, 53, 86, 128, 258, 329, 330 (Alessandro Vasari) Museo di Castelvecchio, Verona:
129, 149, 154, 155, 176, 177, 196, Vitellione (Witelo), 17, 19, 21, 30, Archivio Mondadori Electa fig. 89
197, 198, 199, 201, 213, 224, 229, 41, 42, 55, 65, 66, 85, 107, 216, su concessione del Ministero per Museum of Fine Arts, Boston:
231, 233, 236, 239, 255, 257, 330 21, 272 i Beni e le Attività Culturali: figg. fig. 231
Toneatto, Lucio, 53 Vitruvio Pollione, Marco, 44, 45, 8, 45, 56, 58, 60, 61, 70, 187, 233, National Gallery, Londra: fig. 92
Tonini, Camillo, 228 47-49, 51, 55, 56, 83, 85, 99, 123, 234, 238 (Antonio Quattrone), Oxford, Corpus Christi College,
Torres, Baldassarre, 176 130, 131, 140, 141, 144, 145, 147, 243, 246, 282, 284, 288, 308, 312 su concessione del Presidente
Torricelli, Evangelista, 219, 240 148, 149, 151, 154, 161, 162, 221, Archivio Vasari, Roma: fig. 198 e del Consiglio del College:
Toti Rigatelli, Laura, 53 224, 228, 230, 231, 232, 234, 258, Biblioteca Apostolica Vaticana, fig. 115
Tournon, Francesco de’, cardinale, 260, 261, 263, 264, 265, 266, 270, Città del Vaticano: figg. 36, 72, © Photo RMN: fig. 50 (cote clichè
155, 231 283, 284, 286, 292, 300, 302, 309, 306, 307, 309, 310 73-001159)
Tribolo, Niccolò Pericoli detto il, 320, 329, 330, 331, 333 Biblioteca Medicea Laurenziana Sachsische Landesbibliothek,
200, 282 Vitruvio Rufo, 226 su concessione per i Beni Dresda: figg. 102-104, 109, 110
Trigrini de’ Marij, Orazio, 166 Vittone, Bernardo, 321-323, 323, e le Attività Culturali / MicroFoto, © Scala Group, Firenze su
Trissino, Pompeo, 333 324, 324, 325-327, 327, 328, 334, Firenze: figg. 13, 73 concessione del Ministero per
Trivolo, Maria Teresa, 226 337 Biblioteca Palatina, Parma: i Beni e le Attività Culturali:
Troili, Giulio, 219 Viviani, Vincenzo, 187, 195, 219, figg. 57, 62-69, 71 figg. 24, 108 (British Library), 269,
Tuttle, Richard J., 232 236, 240 The Bridgeman Art Library, 275, 276
Tybout, Rolf Albert, 55 Vussino, 230 Londra: figg. 54, 55, 59, 100 Soprintendenza Speciale per il
Tzetze, Johannes, 262, 334 Wakayama, Eiko M.L., 224 © Copyright the Trustees of the Polo Museale Fiorentino,
Ulivi, Elisabetta, 225 Walcher Casotti, Maria, 232, 233, British Museum: fig. 242 Gabinetto Fotografico: figg. 90,
Urbino, Carlo, 107, 115, 116, 227, 236 Filippo Camerota, Firenze: fig. 285 255-258, 260, 277, 278
274, 275, 277, 332 Waldseemüller, Martin, 198 Comune di Padova, cappella Staatliche Graphische Sammlung,
Uzielli, Gustavo, 54, 236 Wasselofsky, A., 221 degli Scrovegni, su concessione Monaco: fig. 126
Vagnetti, Luigi, 52, 53, 55, 223, 229, Wazbinski, Zygmunt, 232 dell’Assessorato ai Musei, Staatliche Kupferstichkabinett,
235, 237 Weisheipl, James A., 52 Politiche Culturali e Spettacolo: Dresda: fig. 105
Valentini, Roberto, 237 Welser, Marcus, 239 fig. 25 Staatliche Museen, Berlino:
Valerio, Vladimiro, 55 Whitaker, Ewen A., 238 Gianni Miglietta, Firenze: figg. 20, fig. 232
Vandelvira, Alfonso de, 303, 304, White, John, 7, 55, 223 21
305, 334 Wiedeman, Eilhard, 53 Graphische Sammlung Albertina,
Vandelvira, Andres de, 304 Wilde, Emil, 51 Vienna: figg. 226, 286, 287
Varchi, Benedetto, 34 Winckelmann, Johann J., 55, 231 Istituto Centrale per il Catalogo e
Vasari, Giorgio, 8, 35, 39, 50, 55, 56, Winkler, M., 238 la Documentazione, Roma:
58, 62, 64, 66, 67, 70, 72, 85, 93, 94, Winner, Matthias, 330 fig. 155
98, 139, 201, 202, 203, 221-223, Winterberg, Carl, 237 Istituto e Museo di Storia della
225, 229, 237, 242, 245, 257, 271, Wirth, J., 55 Scienza, Firenze: figg. 2, 3, 6,
279, 280, 280, 281, 282, 286, 289, Witelo, vedi Vitellione. 9-11, 14, 27, 30, 34, 37, 39, 46, 48,

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sommario

L’occhio e la mano 5
Martin Kemp

Introduzione 7
Filippo Camerota

Perspectiva naturalis
La «perspectiva» dei filosofi 10
La «perspectiva» degli abbachisti 22
La «perspectiva» dei pittori 35

Prospectiva pingendi

L’invenzione della regola


Brunelleschi «prespettivo» 58
I concetti teorici: Leon Battista Alberti 74
Le premesse ottiche: Lorenzo Ghiberti 82
Le regole del disegno: Piero della Francesca 87
Pittura e matematica: l’insegnamento di Luca Pacioli 98
«Se la pittura è scienzia o no»: Leonardo da Vinci 107

I codificatori del Cinquecento


Jean Pélerin 119
Albrecht Dürer 123
Sebastiano Serlio 139
Daniele Barbaro 147
Giacomo Barozzi da Vignola e Egnazio Danti 160
Il contributo dei matematici 176
Tra arte e scienza: Ludovico Cigoli 184

L’occhio e le seste
La prospettiva dei cartografi 196
Oltre l'orizzonte terrestre: l'occhio di Galileo 210

Prospectiva aedificandi

«Architectura ficta»: il ruolo di Bramante 242


La «ratione optica» dell'architettura 258
«Dispareri»: Palladio, Vignola, Vasari e Bertani 271
La prospettiva «materiale» 285
L’architettura obliqua 299
Architettura e “newtonianismo” 321

Conclusioni 336

Bibliografia generale 338

Indice dei nomi 358

Referenze fotografiche 365


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Questo volume è stato stampato per conto di Mondadori Electa S.p.A.


presso lo stabilimento Mondadori Printing S.p.A., Verona,
nell’anno 2006

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