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Delli Aspetti de Paesi
Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio
Old and New Media for the Image of the Landscape

TOMO PRIMO
Costruzione, descrizione, identità storica
Construction, Description, Historical Identity

a cura di
Annunziata Berrino e Alfredo Buccaro

CIRICE
e-book edito da
CIRICE - Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della Città Europea
Università degli Studi di Napoli Federico II
80134 - Napoli, via Monteoliveto 3
www.iconografiacittaeuropea.unina.it - cirice@unina.it

Collana
Storia e iconografia dell’architettura, delle città e dei siti europei, 1
Direttore
Alfredo BUCCARO

Comitato scientifico internazionale


Aldo AVETA Brigitte MARIN
Gemma BELLI Bianca Gioia MARINO
Annunziata BERRINO Juan Manuel MONTERROSO MONTERO
Gilles BERTRAND Roberto PARISI
Alfredo BUCCARO Maria Ines PASCARIELLO
Francesca CAPANO Valentina RUSSO
Alessandro CASTAGNARO Daniela STROFFOLINO
Salvatore DI LIELLO Carlo TOSCO
Antonella DI LUGGO Carlo Maria TRAVAGLINI
Leonardo DI MAURO Carlo VECCE
Michael JAKOB Massimo VISONE
Paolo MACRY Ornella ZERLENGA
Andrea MAGLIO Guido ZUCCONI
Fabio MANGONE

Delli Aspetti de Paesi


Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio / Old and New Media for the Image of the Landscape
Tomo I - Costruzione, descrizione, identità storica / Construction, Description, Historical Identity
a cura di Annunziata BERRINO e Alfredo BUCCARO

© 2016 by CIRICE
ISBN 978-88-99930-00-4

Si ringraziano
Università degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento di Architettura, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e
Ambientale, Dipartimento di Studi Umanistici, Scuola di Specializzazione per i Beni Architettonici e del Paesaggio,
Institut Universitaire de France, Seconda Università degli Studi di Napoli, Università degli Studi del Molise, Consiglio
Nazionale delle Ricerche - Ist. Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo, Ist. Tecnologie della Costruzione,
Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli, Associazione Italiana Ingegneri
e Architetti Italiani, Associazione eikonocity, Unione Italiana Disegno.
Si ringraziano inoltre Marco de Napoli e Nunzia Iannone.

Contributi e saggi pubblicati in questo volume sono stati valutati preventivamente secondo il criterio internazionale
della Double-blind Peer Review. I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi
mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. L’editore è a disposizione degli
aventi diritto per eventuali riproduzioni tratte da fonti non identificate.
Indice

TOMO PRIMO
Costruzione, descrizione, identità storica
Construction, Description, Historical Identity

a cura di
Annunziata Berrino e Alfredo Buccaro

Introduzione
Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione
History and Media of Landascape Iconography: some reflections
Alfredo Buccaro

Parte I / Part 1
La costruzione storica dell’immagine del paesaggio urbano e rurale tra architettura, città e natura
The historical construction of the image of urban and rural landscapes among architecture, city and nature

Il paesaggio come memoria di viaggio. Gli architetti scandinavi e il mito del paesaggio italiano nel primo Novecento
The landscape as a travel memory. Scandinavian architects and the myth of the Italian landscape in the early
twentieth century
Fabio Mangone

Città e paesaggi dell’Antico


Cities and landscapes of the Ancient theme

Paesaggi dell’Antico in età medievale e moderna: l’exemplum flegreo


Antique landscapes in the Middle and Modern Age: the phlegraean exemplum
Salvatore Di Liello

Segni di Roma antica per le scelte di regime a Napoli. Le scoperte archeologiche alla Mostra d’Oltremare
Signs of ancient Rome for the regime choices in Naples. The archaeological discoveries in the Mostra d’Oltremare
Francesca Capano

Contributi / Papers

Cuma, polis insulare


Cuma, insular polis
Lilia Pagano

Attualità dell’antico: una stanza archeologica per lo stretto di Messina


The actuality of the ancient: an archeological room for the strait of Messina
Giovanna Falzone
Lettura del sistema storico-ambientale della campagna romana: la struttura della forma fisica e il simbolismo
interpretativo
Reading historical and environmental systems of the Roman countryside: the structure of the physical shape and
the interpretive symbolism
Maria Grazia Cianci, Sara Colaceci

Il rudere e la città contemporanea. Comprensione, tutela e valorizzazione delle aree archeologiche urbane: il caso
romano
The ruin and the contemporary city: understanding, protection and promotion of urban archaeological sites - the
case of Rome
Anna Rutiloni

Archeologia e paesaggio nella Villa del Casale di Piazza Armerina. La costruzione di un’identità territoriale
Archaeology and landscape in the Roman Villa at Casale, near Piazza Armerina, Sicily: the construction of a
territorial identity
Maria Rosaria Vitale, Fausto Carmelo Nigrelli, Giulia Di Dio Balsamo

La formazione dei villaggi rurali in Libia (1933-1940). Aspetti architettonici e urbanistici dei centri urbani fra
preesistenze classiche ed orientamenti moderni
The formation of rural villages in Libya (1933-1940): architectural and planning aspects of urban centers, from
classic pre-existence to modern guidelines
Marco de Napoli

Una storia nascosta: il paesaggio di Iasos


A hidden history: the landscape of Iasos
Lucia Cianciulli, Paola Orlando, Raffaella Pierobon Benoit

Siracusa nelle descrizioni dei viaggiatori tra il XVIII e il XIX secolo


th th
Syracuse in the descriptions of 18 and 19 century travellers
Giancarlo Germanà Bozza

I porti del Mediterraneo nel diario di viaggio di Konrad Grünenberg (1487)


Mediterranean ports in Konrad Grünenberg’s travel’s diary (1487)
Danila Jacazzi

Da Akrágas a Girgenti. Architettura e paesaggio nelle descrizioni e nell’iconografia della “città dei templi” fra
Settecento e Ottocento
From Akrágas to Girgenti: architecture and landscape in descriptions and drawings of the “città dei templi” in the
th th
18 and 19 centuries
Maria Sofia Di Fede

Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas
Vetus adversus novum: classical antiquity as an essential element in the iconography of Galician cities
Ana E. Goy Diz

La tomba di Terone ad Agrigento nei disegni degli allievi dell’École des Beaux-Arts
The tomb of Theron in Agrigento in the drawings of the students of the École des Beaux-Arts
Giuseppe Antista, Vincenza Garofalo

Il racconto di Pompei nel ‘Monitore’


The Pompeii story in the ‘Monitore’
Giovanna Formisano

La percezione dell’architettura antica di Roma nell’opera italiana di Jean-Baptiste-Camille Corot


The experience of ancient Roman architecture in Jean-Baptiste Camille Corot’s Italian works
Anna Ciotta

La collezione dei disegni romani di James Gibbs: spazialità e temporalità dell’antico nelle rappresentazioni di alcuni
artisti del Settecento
th
James Gibbs’ Roman drawing collection: spatiality and temporality of antiquity in illustrations by 18 century artists
Barbara Tetti
Roma nel diario di viaggio di Alessandro Galilei
Rome in the travel diary of Alessandro Galilei
Rosa Maria Giusto

José de Hermosilla y Sandoval (1715-1776). Lo studio dell’antico e la costruzione della Madrid borbonica al tempo
di Carlo III: il progetto del paseo del Prado
José de Hermosilla y Sandoval (1715-1776): the study of the ancient and the development of Bourbon Madrid in
the time of Charles III - the design of the Paseo del Prado
Andrea Giovannini

Vedute e piante come fonte per lo studio della topografia della città antica: il caso di Velletri
Views and plans as a source for the study of urban ancient topography: the case of Velletri
Cristiano Mengarelli

Il tema dell’antico nell’opera di Alessandro Baratta e la ritrovata Cavalcata del 1632


The theme of the ancient in the work of Alessandro Baratta, and the discovery of the Cavalcata of 1632
Paola Carla Verde

Ritratti di fabbriche. Il paesaggio della produzione nell'iconografia urbana dell’Europa moderna e


contemporanea
Factory Portraits. Production landscapes and urban iconography in modern and contemporary Europe

Iconografia e paesaggi del lavoro. Riflessioni e prospettive di ricerca


Iconography and landscapes of the Work. Reflections and research perspectives
Roberto Parisi

Fonti di ricerca per la storia del paesaggio in Italia alle soglie dell’età contemporanea
Research sources for the Landscape history in the early Contemporary Italy
Massimo Visone

Contributi / Papers

Fonti iconografiche per il Real Sito di San Leucio


Iconographic sources for the Royal Site of San Leucio
Riccardo Serraglio

La terra dei mulini: riscoperta della macina nell’Alta Padovana


The land of watermills: rediscovery of the mill in Alta Padovana
Ivan Buonanno

Le cartiere del Liri


The paper-mills of the Liri
Stefano Manlio Mancini

La trasformazione del paesaggio da rurale a minerario: il caso del comune di Narcao nella Sardegna sud-
occidentale
The transformation from rural to mining landscape: the case of the Municipality of Narcao in south-western Sardinia
Annalisa Carta

Rappresentare il sottosuolo: il fondo fotografico della miniera di Monteponi


Representing the subsurface: the photographic archive of the Monteponi mine site
Eleonora Todde

Pescara tra Ottocento e Novecento: da paesaggio agrario a paesaggio antropizzato


Pescara from the 1800’s to 1900’s: from agricultural to man-made landscape
Adele Fiadino
La costruzione del paesaggio delle strade ferrate: uno strumento di conoscenza del Piemonte negli anni pre e
postunitari
th
The construction of the railway landscape: an instrument for knowledge of Piedmont in the second half of the 19
century
Beatrice Maria Fracchia

L’arte della fabbrica tra idealità e pragmatismo nell’opera grafica di Guido Balsamo Stella
The art of the factory: between idealism and pragmatism in the graphic work of Guido Balsamo Stella
Francesca Castanò

Un grande collage: fotografie del paesaggio urbano milanese e della cultura politecnica nei primi decenni del XX
secolo
A great mosaic: photos of Milan’s urban landscape and technical culture in the early decades of the twentieth
century
Maria Antonietta Breda

La collina di Posillipo tra il 1950 e il 1965 nel fondo Lavori Pubblici Calcoli di cemento armato dell’Archivio di Stato
di Napoli
The hill of Posillipo between 1950 and 1965, in the font of “Public Works reinforced concrete calculations” of the
State Archives of Naples
Alessandra Veropalumbo

La rappresentazione come scenario di progetto. Il caso di Li Han


Representation for new scenarios: the work of Li Han
Paola Galante

“Animals”. La trasformazione di spazi post-industriali


“Animals”: the transformation of post-industrial spaces
Massimo Triches, Stefano Tornieri

Sources for the study of the iconography of the Cathedral of Santiago de Compostela: an international project
Miguel Taín Guzmán

Santiago de Compostela beyond its shrine: the images of its monasteries and convents in the Spanish illustrated
th
press of the 19 century
Paula Pita-Galán

Il racconto del paesaggio europeo nella fotografia del Novecento


th
A depiction of European landscape through the 20 century photography

Fotografia e paesaggio: un campo d’indagine


Photography and Landscape: a field of investigation
Andrea Maglio

Il racconto del paesaggio europeo nella fotografia del Novecento: temi e luoghi
The description of the European Landscape in the Twentieth century Photography: topics and places
Gemma Belli

Contributi / Papers

Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa, instrumentos para la construcción de la identidad de una
comunidad de emigrantes
Printed in memory. Photography, landscape and press, instruments for the construction of the identity of an
emigrant comunity
Juan Manuel Monterroso Montero

Incanto del mare in tempesta e di rocce curiose: reminiscenze del sublime nel paesaggio naturalistico europeo
nelle cartoline di inizio Novecento
The fascination of stormy seas and curious rocks: the revival of the “sublime” in European natural landscapes, in
th
postcards of the early 20 century
Ewa Kawamura
Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico. Fuentes para la consolidación de
una imagen
Functions and urban iconography: Baiona from historic villa to tourist destination – sources for the consolidation of
an image
Begoña Fernández Rodríguez

Gli occhi dell’architetto. Il viaggio al Nord tra primo e secondo dopoguerra


Architects’ eyes. Travel to North between First and Second post World War periods
Saverio Sturm

La fotografia di paesaggio tra Germania e Italia dal 1925 al 1945 nell’opera di Albert Renger-Patzsch e Roberto
Pane
The landscape photography between Germany and Italy from 1925 to 1945 in the work of Alber Renger-Patzsch
and Roberto Pane
Florian Castiglione

Dall’“albero della Cuccagna” all’“albero della Vita”: un’icona e le sue rappresentazioni nel paesaggio delle città
storiche. L’effimero e il permanente nel panorama delle grandi esposizioni universali tra XIX e XXI secolo
From “Tree of Abundance” to “Tree of Life”: an icon and its representations in the landscape of historical cities - the
th st
ephemeral and the permanent in the panorama of the great universal exhibitions between 19 and 21 centuries
Nunzia Iannone

Iconografia urbana e fotografia tridimensionale: l’archivio di Pier Luigi Pretti (1868-1934)


Urban iconography and three-dimensional photography: the Pier Luigi Pretti archive (1868-1934)
Gaia Salvatori

La conquista della realtà: fotografia e urbanistica in Italia tra ricostruzione e crisi energetiche (1945-1979)
The conquest of reality: photography and urban planning in Italy between post-war reconstruction and energy crises
(1945-1979)
Gerardo Doti

Fotografia, urbanistica e (re-)invenzione del paesaggio “ordinario” nell’Italia del secondo dopoguerra
Photography, City Planning, and the (Re-)Invention of “Ordinary” Landscapes in Post-War Italy
Antonello Frongia

La costruzione del paesaggio umbro


The construction of the Umbrian landscape
Fabio Bianconi

La rappresentazione fotografica delle tradizioni costruttive della Murgia dei trulli


The photographic representation of the building traditions of the Murgia dei trulli
Angelo Maggi

La trasformazione del panorama urbano di Chieti alla fine del XIX secolo: il palazzo Mezzanotte
The transformation of the urban landscape of Chieti in the late nineteenth century: the Mezzanotte palace
Claudio Mazzanti

Il mutamento nell’obiettivo
Changing of perspective
Alessia Maiolatesi

Paolo Monti e l’architettura contemporanea: “Scatti d’autore in Campania”


Paolo Monti and contemporary architecture: “signature shoots in Campania”
Barbara Bertoli

Un altro sguardo: Federico Patellani (1911-1977) e la Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare
Another view: Federico Patellani (1911-1977) and the Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare
Gemma Belli

Lo sviluppo urbanistico della città di Napoli attraverso le immagini del Secondo dopoguerra
The urban development of the city in the post-war images of Naples
Sandra Sangermano
Da utopia a inferno. Scampia attraverso la fotografia contemporanea
From utopia to hell: Scampia, through contemporary photography
Chiara Ingrosso

Napoli nel Novecento, retrospettiva sul corso Vittorio Emanuele


Naples: a retrospective view of Corso Vittorio Emanuele
Marco Carusone

Architettura del paesaggio: la Villa Comunale di Napoli tra mutamenti e conservazione


Landscape architecture: the Villa Comunale in Naples - between change and conservation
Roberto Vigliotti

Il contributo dell’archivio De Rienzo per l’analisi dell’evoluzione del paesaggio beneventano


The contribution of the De Rienzo archive to analysis of the evolution of the Benevento landscape
Carlo De Cristofaro

Il paesaggio nella cinematografia documentaria, amatoriale e d’autore


The landscape in the documentary, amateur and art cinematography

Architettura e Paesaggio. Nuovi strumenti di lettura per la storiografia: la cinematografia


The landscape in amateur and author documentary
Alessandro Castagnaro

Contributi / Papers

Spazio urbano e cinematografia. Quando lo sfondo scenografico diventa soggetto protagonista


Urban space and cinematography: when scenography becomes protagonist
Francesco Zecchino

Il paesaggio rurale dal ventennio fascista al secondo dopoguerra. Cortometraggi, pellicole e cine-ambulanti
The rural landscape from the Fascist period to the second post-war: Short films,
films and itinerant cinemas
Maria Rossana Caniglia

L'armonia perduta di Napoli città di mare nel racconto cinematografico tra le due Guerre Mondiali
The “lost harmony” of Naples as a seaside town in the cinematographic narrative between the world wars
Massimo Clemente

La propaganda del regime a Trento


The propaganda of regime in Trento
Marco Della Rocca

Dal cinema all’architettura: il paesaggio urbano e rurale nel cinema e nel documentario italiano del dopoguerra
From movies to architecture: urban and rural landscape in Italian post-war feature films and documentaries
Andrea Maglio

Paesaggi urbani e rurali nel cinema di Francesco Rosi


Urban and rural landscapes in the cinema of Francesco Rosi
Andrea Pane

Gela antica e nuova. Parole e immagini per un paesaggio industriale


“Gela antica e nuova”: words and pictures for an industrial landscape
Paola Barbera

Nuovi orizzonti. Costruzione e rappresentazione del paesaggio costruito nella Iugoslavia del secondo dopoguerra
Zagreb and its horizons: construction and representation of urban landscape
between the 1950s and 1970s
Ines Tolic
Dal «critofilm» all’«ambiente»: il cinema di Carlo Ludovico Ragghianti e Roberto Pane come strumento di lettura e
tutela dell’architettura e del paesaggio
From «critofilm» to «environment»: Carlo Ludovico Ragghianti and Roberto Pane’s cinema as a mean of
interpreting and protecting architecture and landscape
Giovanna Russo Krauss

L’iconografia del paesaggio agrario: uno strumento di conoscenza


e tutela del territorio attraverso i secoli
The iconography of the agricultural landscape: an instrument to know and preserve the territory throughout the
centuries

Dal paesaggio agrario all’agricoltura paesaggistica: uno strumento di conoscenza e tutela del territorio attraverso i
secoli
From the agricultural landscape to the architecture landscape: a knowledge tool and protection of the territory over
the centuries
Daniela Stroffolino

Contributi / Papers

Il paesaggio agrario secondo Emilio Sereni


The agricultural landscape according to Emilio Sereni
Gabriella Bonini

Le “Illustrazioni di storia agraria” della Biblioteca Archivio Emilio Sereni di Gattatico: l’immagine come espressione
storica del paesaggio
“Illustrations of agrarian history", in the Emilio Sereni Library Archives: the image as historical expression of
landscape
Margherita Parrilli

L’immagine del paesaggio agrario italiano nelle mostre d’arte e architettura vernacolari del primo Novecento:
modelli narrativi a confronto per il racconto di una nuova modernità
Italian agricultural landscape image in early 1900s vernacular art and architecture exhibitions: different narrative
models to communicate a new idea of modernity
Ilaria Pontillo

La Sicilia rurale del Ventennio: un racconto in bianco e nero


Rural Sicily of the Fascist period: a story in black and white
Enza Emanuela Esposito, Marilena Di Prima

La riforma fondiaria e le modificazioni territoriali attraverso le fonti visive: il caso Metapontino


Land Reform and territorial changes as seen through audiovisual sources: the case of Metapontino, Italy
Eleonora Cesareo

La bassa valle del Tronto tra XIX e XX secolo: le trasformazioni al contesto rurale nei documenti d’archivio e nelle
fotografie del Consorzio di Bonifica
th th
The lower Tronto river valley in the 19 and 20 centuries: rural environmental transformations as depicted in
archival documents and the photography of Consorzio di Bonifica
Enrica Petrucci, Francesco Di Lorenzo

Il canale Cavour e le risaie: iconografia del paesaggio risicolo piemontese in trasformazione


The Cavour canal and paddies: the iconography of the Piedmont rice landscape during its transformation
Marta Banino, Francesca Matrone

L’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e il paesaggio agrario


The Order of Saint John of Jerusalem and the agricultural landscape
Valentina Burgassi

La memoria del paesaggio attraverso uno strumento di misura e stima: i cabrei dell’Ordine Mauriziano
The memory of an agrarian landscape through a specific survey document: the “cabrei” of the Ordine Mauriziano
Chiara Devoti, Cristina Scalon
La Nouvelle Maison Rustique: un manuale di agronomia riccamente illustrato
“La Nouvelle Maison Rustique”: a richly illustrated manual of agronomy
Marianna Castaldo

“Un magnifico parco tutto coltivo, della massima e più squisita fruttificazione”. Efficienza produttiva e qualità
estetica nella costruzione del paesaggio lombardo all’inizio dell’Ottocento: il caso di Velate in Lombardia
“A magnificent park all cultivated, of the highest and most exquisite fruiting." Farm production efficiency and
aesthetic value in landscape design at the beginning of Nineteenth century: the case study of Velate in Lombardia
Marica Forni

Il paesaggio agrario del Vallo di Diano in età moderna


The rural landscape of the Diano Valley, seen in the modern era
Rosa Carafa

Il paesaggio agrario di Montella attraverso l’iconografia del XVIII secolo


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The agricultural landscape of Montella in 18 century iconography
Fiorentino Alaia, Sabina Porfido, Efisio Spiga

La sostenibilità del paesaggio agrario tra immagine e recupero


The agricultural landscape: sustainability between image and revival
Marina Fumo, Gigliola Ausiello, Roberto Castelluccio, Mariangela Buanne

APURLEC. Un paesaggio agricolo pre-incaico modellato per il controllo della distribuzione idrica nella Costa Nord
del Perù
APURLEC: A pre-Inca agricultural landscape in the Peruvian North Coast, modelled for management of water
distribution
Maria Ilaria Pannaccione Apa, Maria Rosaria Santovito, Giulia Pica, Carlos Wester La Torre, Marco Antonio
Fernandez Manayalle, Francesco Longo, Claudia Facchinetti, Roberto Formaro, Ilaria Catapano, Gianfranco
Fornaro, Riccardo Lanari, Francesco Soldovieri

Parte II / Part 2
Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio
Describing, narrating and communicating the landscape

Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio in età moderna


Describing, narrating and communicating the landscape in the modern Age

Contributi / Papers

Alla ricerca del medioevo lombardo: il viaggio-studio di Walter Leopold in Sicilia orientale
In search of the Lombard Medieval: the study trip of Walter Leopold in eastern Sicily
Francesca Passalacqua

“Voi che legette non vedete cosa alcuna”: il paesaggio nel diario di viaggio di Giovanni da San Foca (1536)
“You, dear reader, can see nothing”: landscape in the travel diary of Giovanni da San Foca (1536)
Elena Svalduz

L’iter neapolitanum di Hieronymus Turler. Un viaggio tra mito e modernità


The iter neapolitanum of Hieronymus Turler. A journey between myth and modernity
Silvia Gaiga

Rappresentazione del paesaggio in Gherardo Cibo, tra intuizioni leonardesche e fiamminghe e riproducibilità
scientifica
Landscape representation in Gherardo Cibo: from the intitution of Leonardo and the Flemish, to scientific
reproducibility
Micaela Mander

Da Norcia a Cassino: viaggio e permanenza di san Benedetto negli affreschi napoletani dello Zingaro
From Norcia to Cassino: the journey and stopping points of St. Benedict, in the Neapolitan Frescoes of Lo Zingaro
Giuliana Ricciardi
La geografia antropica delle tre province pugliesi nelle Descrizioni del Regno di Napoli (dal XVI al XVIII secolo)
Antrhopogeography of the three apulian provinces by the Descrizioni of the Reign of Naples (16th-18th century)
Oronzo Brunetti

La rappresentazione delle città come espressione di comunità civica e l’importanza di un territorio costiero. Catania
e Cadice attraverso il “Civitates Orbis Terrarum”
The representation of cities as an expression of a civic community, and the importance of coastal settlements:
Catania and Cadiz through the “Civitates Orbis Terrarum”
Marina Camino Carrasco

“Plan et veue de Mazzara”. Un modello descrittivo per la rappresentazione del paesaggio tra misura e percezione
“Plan et veue de Mazzara”: a descriptive model for the representation of landscape, between measurement and
perception
Giuseppe Scuderi

Iconografie dei viaggi cognitivi nei (para)testi del Settecento


The iconography of cognitive journeys in the (para)texts of the 1700s
Persida Lazarević Di Giacomo

Chinese Cultural Landscapes Diaspora in Modern Era in Europe: a Brief History


Yapeng Ou

Quei diavolacci di Appennini… Dal Giogo al passo della Futa tra impervi paesaggi
e luoghi malfamati
Those hellish Apennines...: from Giogo to the Futa Pass - between a rock and a hard landscape
Fabiana Susini

La descrizione di una provincia del Regno di Napoli, la Calabria Ultra, in una relazione di fine settecento
The description of Calabria Ultra, a province of the Kingdom of Naples, in a report of late eighteenth century
Ciro Romano

Conoscere, descrivere e studiare il paesaggio napoletano: il viaggio come esperienza cognitiva nei taccuini
dell’architetto Rodolfo Vantini
Know, describe and study the Neapolitan landscape: journey as cognitive experience through Rodolfo Vantini
notebooks
Elisa Sala

La ricezione di Firenze in Romola di George Eliot


The perception of Florence in “Romola” by George Eliot
Miriam Sette

Il viaggio di Ghiannis Ritsos in Italia tra antichità e modernità, tra bellezza e sensualità
Yannis Ritsos’ journey to Italy: between ancient and modern, beauty and sensuality
Amanda Skamagka

Il giardino sulla lava


The “garden on lava”
Eugenio Magnano di San Lio

Tra sublime e pittoresco: Vesuvio, icona del golfo di Napoli


From sublime to picturesque: Vesuvius, icon of Naples
Alessandra Cirafici, Manuela Piscitelli
Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio in età contemporanea
Describing, narrating and communicating the landscape in the contemporary Age

Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio in età contemporanea


Describing, narrating and communicating the landscape in the contemporary Age
Annunziata Berrino

Contributi / Papers

Giuseppe Simelli e la sua dissertazione sull’utilità di una scuola di disegno nelle città secondarie (1813)
Giuseppe Simelli and his dissertation on the usefulness of a school of drawing in the secondary towns (1813)
Simonetta Ciranna

La cartografia creativa come rappresentazione e narrazione della memoria e dei cambiamenti del territorio e del
paesaggio contemporaneo
Creative cartography as representation and narration of memory, of territorial changes and contemporary
landscape
Marco Muscogiuri

Il fondo iconografico della Biblioteca comunale di Trento tra passato e futuro


The iconographic collection of the Public Library of Trento from the past to the future
Milena Bassoli

Città e paesaggi nuovi del Regno delle Due Sicilie nelle pagine del «Poliorama pittoresco»(1836-1860)
Cities and new landscapes of the Kingdom of the Two Sicilies from the pages of Poliorama pittoresco (1836-1860)
Giuseppe Pignatelli

La narrazione dei paesaggi nell’Italia post-unitaria: Sonzogno divulgatore


Narration of the post-unitary Italian landscape: Sonzogno popularizer
Martino Pavignano, Ursula Zich

Paesaggi e viaggi organizzati in Sicilia nelle riviste del Touring club italiano dal 1894 al secondo dopoguerra
Landscapes and organized excursions in the pages of the Touring Club Italiano Magazine, from 1894 to the post-
war period
Isabella Frescura

Dispositivi narrativi e caratteri metastorici: per una riflessione sul paesaggio della nazione nel Regno d'Italia
Narration and meta-history: a reflection on the landscape of “nation” in the Kingdom of Italy
Giovanni Lombardi

Le strade alpine e la narrazione del paesaggio: i valichi dello Spluga e dello Stelvio in Lombardia nella prima metà
dell’Ottocento
Narration and meta-history: a reflection on the landscape of “nation” in the Kingdom of Italy
Ornella Selvafolta

Ricognizioni topografico-militari dell’arco alpino negli anni della Grande Guerra


Recovery of landscape: military reconnaissance surveying in the Alps, during the Great War
Sara Isgrò

Mosca negli anni ‘30: da autonarrazione a soggetto narrato


Moscow in the Thirties: from self-representation to narrativity
Giulia Baselica

Ragionamenti e metodi per le ricostruzioni di Varsavia dopo il secondo conflitto mondiale


Rationales and methods for the two reconstructions of post-war Warsaw
Piotr Podemski
Le politiche di sviluppo del secondo Novecento nel Mezzogiorno: programmazione economica e pianificazione
territoriale in Molise
Thematic maps for landscapes “in creation”: the narration of a future Molise in the mid-twentieth century
Maddalena Chimisso

La réclame enologica e l’immagine del paesaggio italiano tra Ottocento e Novecento


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The wine label and the image of Italian landscape from the 19 to 20 centuries
Manuel Vaquero Piñeiro

Sguardi su Capri. Moda e rappresentazioni di un’icona dell’immaginario contemporaneo


Capri in the gaze of the viewer: fashion and the representation of an icon of contemporary imaginary
Alessandra Cirafici, Ornella Cirillo

Il branding vesuviano: antropologia di un'estetica pop


The “Vesuvius logo”: anthropology of a pop aesthetic
Giovanni Gugg

Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento


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The “first viewing”: Galician landscape narrated by British travellers of the 19 century
María Rivo Vázquez

Vittore Grubicy de Dragon e il paesaggio della Lombardia tra pittura, fotografia e impegno sociale
Vittore Grubicy de Dragon and the Lombard landscape - painting, photography and social commitment
Gianpaolo Angelini

Il paesaggio delle periferie di Milano nei romanzi italiani del secondo dopoguerra
Landscape images of the outskirts of Milan in Italian novels set during World War II
Augusto Ciuffetti

Torino. Borgo Po: le architetture, il fiume e la collina


Turin: Borgo Po - the architecture, the river and the hill
Annalisa Dameri, Alice Pozzati

Comunicare il paesaggio attraverso le carte internazionali. Dalla Word Heritage Convention Unesco alla
Convenzione di Faro
Communicating the landscape through international charters: from UNESCO Word Heritage Convention to the Faro
Convention
Cecilia Sodano

Il paesaggio culturale della laguna sipontina al Museo archeologico della Daunia


The cultural landscape of sipontina lagoon to the National Archeological Museum
Anita Guarnieri, Marisa Corrente

Representing the Invisible. Scenarios of the Underground Spaces


Stefano Tornieri

Dov'è la Soft City ora?


Where is the Soft City now?
Niccolò Suraci

L’interazione digitale tra l’uomo e la sua città


The digital interaction between man and his city
Guglielmo Sandri Giachino
TOMO SECONDO
Rappresentazione, memoria, conservazione
Representation, Memory, Preservation

a cura di
Francesca Capano, Maria Ines Pascariello e Massimo Visone

Brevi riflessioni sul paesaggio. Memoria, rappresentazione, conservazione


Short thoughts on Landscape. Memory, representation, preservation
Francesca Capano, Maria Ines Pascariello, Massimo Visone

Parte I / Part 1
Rappresentazione e comunicazione del paesaggio tra tradizione e innovazione
The representation and the communication of the landscape between tradition and innovation

Rappresentazione e comunicazione del paesaggio tra tradizione e innovazione


The representation and the communication of the landscape between tradition and innovation
Antonella Di Luggo, Ornella Zerlenga, Maria Ines Pascariello

Punti di vista geometrici e culturali per il rilievo e la rappresentazione del paesaggio urbano
Geometrical and cultural viewpoints for the urban landscape survey and representation

Contributi / Papers

Overlook
Overlook
Renata Guadalupi, Luigi Maisto

“Il teatro dal finestrino”. Letture percettive della città diffusa dal treno
“Theatre from the window”: perceptive readings of urban sprawl from the train
Fabio Colonnese

Forma, rappresentazione e luogo. Il racconto dell'immaginario urbano di Perugia fra figurazione e tendenziosità narrativa
Form, representation and place: the story of the urban imaginary of Perugia between figuration and narrative bias
Marco Filippucci

Modelli rappresentativi di città in “Il Regno di Napoli in Prospettiva” di Gio. Battista Pacichelli
Representative models of cities in the Gio. Battista Pacichelli’s “Il Regno di Napoli in Prospettiva”
Vincenzo Cirillo

Visioni di paesaggi fortificati: il Piemonte nella scena europea


Visions of fortified landscapes: Piedmont in the European scene
Anna Marotta
Disegnare la città in “veduta”. Il manoscritto illustrato di Conrat Grünemberg
Draw the city into “view”. Konrad Grünemberg’s illustrated manuscript
Ornella Zerlenga

Il territorio e la città: uno studio sulle trasformazioni della geomorfologia dello spazio urbano
Territory and city: transformations in the geomorphology of the urban space
Laura Carlevaris, Vittorio Di Stefano, Giovanni Intra Sidola

Gli HGIS catastali strumenti di rappresentazione aumentata del paesaggio urbano. Il caso di Parma fra XVIII e XX
secolo
th th
Cadastral HGIS tools for augmented representation of the urban landscape: 18 to 20 century Parma
Andrea Zerbi

Castrum, quod Casinum dicitur, in excelsi montis latera situm est


Michela Cigola, Arturo Gallozzi, Rodolfo Maria Strollo

Il rilievo integrato per la rappresentazione dei caratteri del paesaggio urbano. Il caso di Navelli e Civitaretenga (AQ)
Integrated survey for the representation of urban landscape features: the case of Navelli and Civitaretenga (Aquila)
Chiara Vernizzi

L'immagine della memoria: la rappresentazione di un frammento di paesaggio urbano sommerso


Image and memory: representation of a fragment of “submerged” urban landscape
Rita Valenti, Emanuela Paternò

Il rilievo meccatronico per i centri storici minori


Mechatronic survey and recording for small historic towns
Assunta Pelliccio, Erika Ottaviano, Pierluigi Rea

Rilevamento architettonico e urbano per documentare l’identità di un centro storico


Urban and Architectural surveying for documentation of the identity of a historic town
Pasquale Tunzi

Rilievo, modellazione e recupero dei borghi abbandonati


Survey, modelling and recovery of abandoned villages
Raffaele Catuogno, Daniela Palomba, Rosaria Palomba

Qualità visuali della città barocca salentina


Visual qualities of the baroque town in Salento
Gabriele Rossi

La rifondazione novecentesca della chiesa di San Giorgio a Bitonto. Una storia urbana
th
The 20 century rebuilding of the Church of San Giorgio in Bitonto: an urban history
Valentina Castagnolo, Maria Franchini

Il portale-campanile del monastero benedettino di Conversano. Un esempio di quinta scenica urbana


The campanile-portal of the Benedictine Monastery of Conversano: an example of urban scenography
Paolo Perfido

Rappresentazione e modellazione del territorio naturale e artefatto: piattaforme tecnologiche per la lettura e la
comunicazione dei sistemi complessi
Representing and shaping natural and artificial landscapes: technological platforms for the interpretation and
the communication of complex systems

Contributi / Papers

Sistemi innovativi per la rappresentazione delle trasformazioni del costruito storico: la facciata del Duomo di Napoli
Innovative systems for representation of transformation in the built heritage: the Cathedral of Naples façade
Antonella di Luggo, Gabriella Di Dato
Frontiere del rilievo urbano: i 3D city models, strumenti di rappresentazione e analisi della città
Frontiers of urban survey: “3D city models”, tools for urban analysis and representation
Donatella Bontempi

Un catalogo semantico per la conoscenza e la ricostruzione del paesaggio incompiuto. Il caso di San Leucio
A semantic catalogue for knowledge and reconstruction of an unfinished landscape: a case study of San Leucio
Massimiliano Campi, Valeria Cera, Elisa Mariarosaria Farella, Domenico Iovane

Acquisire e comunicare attraverso la fotografia


Acquiring and communicating information through photography
Margherita Pulcrano, Simona Scandurra

Da Canova a McCurry. La costruzione ideologica del paesaggio umbro


From Canova to McCurry: the ideological construction of the Umbrian landscape
Paolo Belardi

Le rappresentazioni del paesaggio tra immagini storiche e letture contemporanee


Representations of the landscape: historical pictures and contemporary readings
Caterina Palestini

Osservare, misurare e tradurre la complessità del territorio


To observe, measure and translate the complexity of the territory
Fatima Melis

Multimedialità e multimodalità nella rappresentazione del paesaggio


Multimediality and multimodality in landscape representation
Stefano Chiarenza

“Alpinescapes”: a Landscape Communication Experience


Rossella Salerno, Daniele Villa

Metodi e linguaggi grafici per leggere, sistematizzare e comunicare sistemi complessi. Esperienze di lettura di
complessi rurali
Graphic methods and languages for the reading, organization and communication of complex systems: experiences
in rural complexes
Ivana Passamani

Architetture rurali sparse in Valsugana: una geografia umana tra tradizione e innovazione
Rural buildings in the Valsugana: a human geography between tradition and innovation
Giovanna A. Massari, Cristina Pellegatta, Fabio Luce

Trasformazioni del paesaggio dell’Alta Val Tanaro e gestione dati su piattaforma GIS
Landscapes transformations of Upper Val Tanaro and data processing using a GIS platform
Valentina Quitadamo

Dal rilievo alla divulgazione: metodologie integrate per la fruizione virtuale del territorio
From survey to dissemination: integrated methodologies for the virtual use of the territory
Mariangela Liuzzo, Sebastiano Giuliano

La città ricostruita: lo spazio virtuale a servizio della lettura dei tessuti urbani non più esistenti
The city “reconstructed”: virtual space in the reading of vanished urban fabric
Daniele Calisi, Maria Grazia Cianci, Francesca Geremia

Le fonti della storia e le nuove tecnologie: il Catasto Rabbini nell’ era delle ICT
Historic sources and the new technologies: the "Catasto Rabbini" in the digital era
Marilena Di Prima
Parte II / Part 2
Temporalità dei paesaggi tra memoria e immagine
Temporality of landscapes between memory and image

“Paesi” in mutamento. Interpretare le dinamiche di trasformazione per conservare il paesaggio


“Paesi” in transformation. Interpreting changing dynamics to preserve the landscape

“Paesi” in mutamento. Interpretare le dinamiche di trasformazione per conservare il paesaggio


“Paesi” in transformation. Interpreting changing dynamics to preserve the landscape
Valentina Russo

Contributi / Papers

Restaurare il Paesaggio storico. Fonti, Memoria e Identità come strumento di ri-significazione nei contesti in via di
abbandono. Alcuni casi in Campania
Restoring the historic landscape: sources, memory and identity as a tool of re-signification for abandoned contexts -
cases in Campania
Renata Picone

Le miniere di zolfo in Irpinia. Riflessioni sulle trasformazioni di un paesaggio


The sulphur mines of Irpinia: considerations on landscape transformation
Serena Borea

Il territorio del Casalese e le sue trasformazioni


The Casale Monferrato territory and its transformations
Manuela Mattone

Un viaggio tra immagini e realtà: il paesaggio ferroviario della Torino-Ceres


A journey of images and reality: the Torino-Ceres rail line and landscape
Michela Benente, Cristina Boido

Catastrofe come lento mutamento. Il terremoto del 1805 e le dinamiche di trasformazione del paesaggio e
dell’architettura molisana
Catastrophe as slow transformation: the 1805 earthquake and the dynamics of transformation in the landscape and
architecture of Molise
Lia Romano

L’Alba senza tramonto. Alba Fucens, un “palinsesto” storico-architettonico e paesaggistico


Dawn without sunset: ancient, medieval and modern Alba Fucens − an architectural-historical and landscape
palimpsest
Patrizia Montuori

Prima che si perda la memoria: viaggio iconografico in Irpinia tra dissesti e terremoti
Before memory is gone: an iconographic journey among the landslides and earthquakes of Irpinia, Italy
Sabina Porfido, Efisio Spiga

Beirut, paesaggi in trasformazione tra globalizzazione e identità storica


Beirut, changing landscapes between globalization and historical identity
Alessandra Terenzi

Inter-pretare per condividere la conoscenza


“Interpretation” for the sharing of knowledge
Nicola Flora, Francesca Iarrusso

L'eruzione del 1669 dell’Etna e la trasformazione del paesaggio: lo sguardo dei disegnatori
The 1669 Mount Etna eruption and landscape transformation: the view of the draughtsmen
Tiziana Abate, Stefano Branca

La strada della ricostruzione a Catania: tra immagine e rilievo il sistema dei conventi in via dei Crociferi
Catania and the road to reconstruction: from the “image” to the survey recording of the monastery system in Via dei
Crociferi
Giuseppe Di Gregorio
La strada di Capodimonte. Percorsi interpretativi nell’iconografia della città
Via di Capodimonte: interpretive paths in the iconography of the city
Valeria Pagnini

Paesaggi del pellegrinaggio a Montevergine: la percezione del territorio dalle mulattiere alla strada rotabile
Landscapes of the pilgrimages to Montevergine: perceptions of territory, from mule paths to carriage road
Consuelo Isabel Astrella

Il territorio del litorale romano tra storia e interventi di tutela. Dati conoscitivi e dinamiche di trasformazione
The Rome coastal area: history and interventions for protection – knowledge foundations and dynamics of
transformation
Maria Grazia Turco

Il ‘sistema’ del verde nel litorale romano: strumento di recupero e strategie di valorizzazione per un territorio in
‘mutamento’
The green “system” of the Rome coastal zone: instrument of revitalization and enhancement for a territory in
evolution
Sonia Gallico, Maria Piera Sette

Il paesaggio frammentario della banlieue di Parigi: formazione, riconoscimento e valorizzazione


The fragmented landscape of the Paris banlieue: formation, recognition and enhancement
Franca Malservisi

Brianza, ‘paese’ in mutamento tra ‘luci’ e ‘derivate ombre’


Brianza: a 'countryside in transition between 'lights' and 'derived shadows'
Maria Antonietta Crippa

Costruzioni di ville e organizzazione del paesaggio. Su un disegno settecentesco per la sistemazione di Villa
Morosini a Fiesso Umbertiano
th
Construction of villas and organisation of landscape: an 18 century plan for the systemisation of Villa Morosini in
Fiesso Umbertiano
Stefano Zaggia

Il paesaggio amiternino, dai verdi pascoli ottocenteschi alla caotica espansione urbana
The landscape of Amiternum, the green pastures of the 1800s to chaotic urban sprawl
Francesca Geminiani

Le trasformazioni del paesaggio murgiano. I caratteri del tessuto rurale attraverso il tempo, tra conservazione e
nuove forme di valorizzazione nel rapporto città-contado
The landscape transformations in the Murgia. The shape of the rural areas through time, between conservation and
new forms of enhancement between city and countryside
Giacomo Martines

Innovazione, permanenza e distruzione del patrimonio rurale vesuviano: il contesto pompeiano


Innovation, continuity and destruction of rural Vesuvian heritage: the Pompeian context
Marina D’Aprile

Il paesaggio archeologico tra memoria e immagine: il caso di Baia


Memory and image of archaeological landscapes: the case of Baia
Luigi Veronese

From Apollonia ad Rhyndacum to Gölyazı: Some Iconographic and Material Sources for the Analysis and
Conservation of the Urban Stratigraphy
Güven Gümgüm, Luigi Oliva
Iconografia del vissuto e dell’imperfezione. Media e interpretazione dei paesaggi storici per la conservazione del
patrimonio e la comunicazione della memoria
Iconography of experience and imperfections. Media and interpretation of the historical landscapes for the
heritage conservation and the memory communication

Iconografia del vissuto e dell’imperfezione. Media e interpretazione dei paesaggi storici per la conservazione del
patrimonio e la comunicazione della memoria
Iconography of experience and imperfections. Media and interpretation of the historical landscapes for the heritage
conservation and the memory communication
Bianca Gioia Marino

Contributi / Papers

L’immagine di Castel del Monte negli archivi dell’Istituto Luce


The image of Castel del Monte in the archives of Istituto LUCE
Raffaele Amore

Aspetti del paesaggio nel golfo di Napoli: architettura ed immagine alla Gaiola
Landscape aspects of Gulf of Naples: Gaiola’s architecture and image
Matteo Borriello

Dal ‘Real Passeggio’ di Chiaia al waterfront contemporaneo. Memorie e immagini per un recupero dell’identità
urbana del sito di Mergellina
From the 'Real Passeggio' of Chiaia to the contemporary waterfront. Memories and images for a recovery of urban
identity of the Mergellina site
Viviana Del Naja

Piazza Pitti a Firenze. Esordi settecenteschi e definizione del rondò meridionale nell’iconografia e nella
realizzazione delle varianti
Piazza Pitti in Florence. The eighteenth century beginnings and completion of the southern ‘rondò’ in the
iconography and in the construction variants
Pietro Matracchi, Gabriele Nannetti, Elena Scotto

Infrastrutture nel territorio capuano: origine e stratificazione storica del Ponte Annibale sul Volturno
Infrastructure in the territory of Capua: origin and historical stratification of the Hannibal Bridge over the Volturno
River
Alessio Mazza

Da cittadella a spazio pubblico urbano: l’area di Castelnuovo, tra memoria, dibattiti e progetti, 1860-1939
From citadel to public urban space: the area of Castelnuovo, among memory, debates and projects, 1860-1939
Andrea Pane, Damiana Treccozzi

Identità in ‘differita’. Immagini del paesaggio storico d’Abruzzo tra sedimentazione e trasformazione
‘Deferred’ identities. Images of the historical landscape of Abruzzo between sedimentation and transformation
Stefania Pollone

Un “brano di città” tra antico e contemporaneo. Immagini a Napoli: da largo delle Corregge a via Medina
A “piece of city” between old and contemporary age. Images in Naples: then largo Corregge and now via Medina
Pasquale Rossi

Trasformazioni e/o conservazione di un’immagine storica? Il caso del borgo di Castelnuovo di Porto
Transformations and/or preservation of historic image? The case of Castelnuovo di Porto
Sabrina Coppola

Documentare l’assenza: la distruzione del quartiere dei Pantani a Roma


Documenting absence: the destruction of the Pantani district in Rome
Maria Grazia Ercolino

La Belgique illustrée: artisti in movimento per la memoria di un patrimonio storico - paesaggistico in trasformazione
La Belgique illustrée: artists moving to the memory of a transforming historical heritage and landscape
Maria Chiara Rapalo
Ex ruinis perceptione. L’iconografia della trasformazione per una lettura del patrimonio archeologico finalizzata alla
sua conservazione e valorizzazione
Ex ruinis perceptione. The iconography of transformation, for a reading of archaeological heritage aimed to its
conservation and valorization
Emanuele Romeo

Tra ricerca e divulgazione: le antichità della Valle d’Aosta nelle pubblicazioni tra XIX e XX secolo
th th
Research and divulgation: the antiquities of Valle d'Aosta in publications of the 19 and 20 centuries
Riccardo Rudiero

L’area del Granatello nelle fonti iconografiche tra trasformazione e degrado del paesaggio storico
The Granatello area in iconographic sources: transformation and decay in historic landscapes
Giuseppina Pugliano

“Un paesaggio distopico”. Rappresentazione, comunicazione e conservazione della memoria in dissolvenza del
paesaggio di guerra
“A Dystopian War-scape”. Representation, Communication and Preservation of the Fading Memory of War
Landscape
Maria Rosaria Vitale

Art Nouveau restitué: il mezzo filmico come strumento di conservazione di un patrimonio a rischio
Art Nouveau restitué: the filmic means as conservation tool of an heritage at risk
Francesca Giusti

I luoghi dell'Antico: l'immagine dei fondaci napoletani tra scoperte archeologiche e testimonianze fotografiche
Places of the Antique: images of the Neapolitan fondacos - archaeological discoveries and evidence
Maria Luce Aroldo

Procida nelle fonti iconografiche tra trasformazione e degrado del paesaggio storico
Procida in iconographic sources: transformation and degradation of the historical landscape
Claudia Aveta

Un inedito paesaggio storico-culturale: le edicole votive tra tradizione, reinvenzione e rifunzionalizzazione


territoriale
An unusual historical and cultural landscape: the little shrines among tradition, reinvention and territorial
refunctionalization
Domenica Borriello

‘Paesaggi sotto la Cupola’. Il globo di neve come espressione dell’esperienza turistica


“Landscapes under glass”: the snow globe as expression of tourism experience
Fabio Colonnese

La posizione delle immagini. Restauration fidèle fotografia cinema nell’opera architettonica di Le Corbusier
About images position. Restauration fidèle photography cinema in Le Corbusier works
Susanna Caccia Gherardini

Percezione e conservazione dei paesaggi urbani: riflessioni sul contributo della fotografia
Perception and conservation of urban landscape: reflection about contribution of the photography
Marida Salvatori

L’efficacia di nuove tecnologie nella valorizzazione del paesaggio della Brianza


The new technologies ability for landscape’s enhancement of the Brianza
Ferdinando Zanzottera

Raccontare una valle alpina: la riscoperta di un paesaggio identitario attraverso vecchi e nuovi media
Telling about an alpine valley: the rediscovery of a landscape identity through old and new media
Francesca Perlo, Caterina Lucarini

La novella di Andreuccio tra erudizione, critica d’arte e cinema


The story of Andreuccio amidst erudition, art critic and cinema
Rossano De Laurentiis
Le pellicole del Neorealismo come fonte documentaria per la conoscenza e valorizzazione dei contesti urbani e
paesaggistici: il caso di Roma
Neorealism films as source for the knowledge and enhancement of urban landscape: the case of Rome
Emanuele Morezzi

Deriving cultural heritage values: the use of social media


L’uso dei social media per l’individuazione dei valori del patrimonio culturale
Manal Ginzarly, Jacques Teller

“Che i ricordi abbiano inizio” (Kodak anni ottanta)


“Let the memories begin” (Kodak, 1980s)
Silvia Gron, Giulia La Delfa

L’inventario dei beni storico-artistici e naturali di Angerio Filangieri. Un recupero della memoria attraverso la
piattaforma WEB Topotheque
Angerio Filangieri’s inventory of historical, artistic and natural heritage. The retrieval of memory through the
Topotheque Web platform
Antonello Migliozzi, Maria Rosaria Falcone

Isolated buildings in representation and design of the sublime Alpine landscapes


Riccardo Giacomelli

Wandering through the time of the city. Real and virtual Milanese itineraries
Girovagando per il tempo della città. Itinerari milanesi reali e virtuali
Maria Pompeiana Iarossi, Sara Conte, Matilde Rossini

«Cos’è rimasto?»: la rovina come espressione del paesaggio calabrese. Film e documentari dagli anni cinquanta a
oggi
«What is left?»: the ruin as expression of the Calabrian landscape. Films and documentaries from the 50’s to today
Nino Sulfaro
Delli Aspetti de Paesi

Vecchi e nuovi Media per l‟Immagine del Paesaggio / Old and New Media for the Image of the Landscape - I

Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione


History and Media of Landscape Iconography:some reflections
ALFREDO BUCCARO
Università degli Studi di Napoli Federico II
CIRICE - Centro Interdipartimentale di Ricerca sull‟Iconografia della Città Europea

Abstract
Starting from the notion of landscape in modern and contemporary history, the current
work discusses issues concerning the evolution of its meaning, up to that most recently
acquired, with particular reference to historic urban contexts.
The lessons to be drawn from Leonardo's first studies on the perception of natural and
cultural landscape, the travel guides and notebooks of the 16th and 17th centuries, up to
the works of artists and travelers in the 18th and 19th centuries and the more recent
photographic or cinematographic repertoire, concern the important role that the historic
image of landscape now takes on as a tool in understanding the identity of a territory; an
image now largely severed from simple perceptual and holographic content and
increasingly linked to human, historical and social factors – summed up as “cultural”
factors - to be read and translated into that image.
In effect, the issue becomes to recognize the shared cultural values of a site or a
community through the “perceptible” characters of the landscape, meaning through the
instruments of its history and iconography. In this sense, the experience of CIRICE 2016
Conference will mark a new step to purpose a more conscious recognition of these shared
values, through study of the media adopted in the description of the historic landscape, as
well as a further step in actions for protection, transmission and enhancement of such
memories of places.

Parole chiave
paesaggio storico, rappresentazione storica del paesaggio, iconografia urbana, tutela del paesaggio storico
historic landscape, historic image of landscape, urban iconography, protection of historic landscape

Introduzione
Partendo dalla nozione di paesaggio nella storia moderna e contemporanea, nel testo si
affrontano le problematiche concernenti l‟evoluzione del suo significato fino al dibattito
sulle diverse accezioni recentemente acquisite, con particolare riferimento ai contesti
storici urbani.
La lezione che si trae dai primi studi di Leonardo sulla percezione del paesaggio naturale
e antropizzato, dalle guide e taccuini di viaggio del Cinque e Seicento, fino alla produzione
di artisti e viaggiatori tra Sette e Ottocento e al più recente repertorio fotografico o
cinematografico, mostra l‟importante ruolo da attribuirsi oggi all‟immagine storica del
paesaggio quale strumento per l‟individuazione dell‟identità di un territorio, ormai in buona
parte scevra da meri contenuti percettivi e oleografici, e sempre più legata ai fattori umani,
storici e sociali, in una parola „culturali‟, che nell‟immagine vanno letti e tradotti.
Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

Si tratta in effetti di riconoscere nei caratteri „percettibili‟ di un paesaggio, attraverso gli


strumenti della storia della città e dell‟iconografia storica, i valori culturali condivisi di un
sito o di un insediamento: in tal senso l‟esperienza del Convegno CIRICE 2016 potrà
segnare un nuovo passo non solo ai fini di un più consapevole riconoscimento di tali valori
attraverso lo studio dei media adottati nella descrizione del paesaggio storico, ma verso
un‟azione di tutela volta alla trasmissione e valorizzazione della memoria di quei luoghi.

1. Dalla lezione di Leonardo ai contributi del Novecento


Nel contesto dei nostri studi sull‟iconografia del paesaggio e sui suoi media nella storia, ci
pare opportuno ripercorrere in sintesi le origini del termine all‟alba dell‟età moderna
[Buccaro 2015], con particolare attenzione alla prevalente connotazione estetica che esso
assume sin da principio in Italia, assente nei più „fisici‟ sinonimi stranieri.
In primis è il termine paese a diffondersi nella penisola, traendo all‟inizio il significato
etimologico dall‟aggettivo pagense, ossia del pagus, cioè quanto attiene a un luogo fatto di
natura e di case, insomma a un territorio antropizzato. Dunque il paesaggio, derivato dal
francese paysage ritrovabile a partire dalla metà del „500, si riferirebbe – anche in
considerazione del suffisso -aggio e della radice indoeuropea – all‟uso pacifico e
„consensuale‟ del pagense da parte della comunità [Devoto 1969]. Ma proprio nella
Francia di Francesco I era presente chi avrebbe gettato le basi per quella nozione di
paesaggio destinata a diffondersi nell‟Europa moderna, dai contenuti prevalentemente
percettivi e iconografici.
Leonardo, infatti, già sul volgere del Quattrocento parla di «paesi» con riferimento alla
percezione visiva e conseguente rappresentazione degli ambienti naturali e antropizzati:
«Delli Aspetti de Paesi», «Modo di formar paesi», «Li paesi fatti nella figuration del
Verno», «Ritrar siti e paesi» [Buccaro 2011], sono diversi modi di indicare le tecniche della
nuova pittura „di paesaggio‟ da parte di chi la inaugurò nel 1473 con la famosa veduta di
Valdarno presa da Monte Albano verso il padule di Fucecchio e conservata agli Uffizi: in
essa il genio toscano esaltò i caratteri legati alla visione del territorio attraverso il filtro dei
fattori naturali della vegetazione, della luce, dell‟atmosfera, della lontananza, ma anche dei
segni della presenza dell‟uomo e del costruito. Come nota Pedretti la veduta, da noi non a
caso adottata quale copertina del presente volume, si può considerare il primo paesaggio
nella storia dell‟arte italiana [Libro di Pittura 1995, 15]: la rappresentazione si avvale di una
resa „impressionistica‟ di probabile derivazione fiamminga, molto simile a quella ritrovabile
nella coeva veduta di Firenze detta „della catena‟ di Francesco Rosselli (1472). Si sa, del
resto, che Leonardo raccomandava la pratica della ripresa dal vero, da eseguirsi anche
con l‟uso del prospettografo, concepito come una vera e propria macchina fotografica.
Alcuni significativi precetti del Trattato della Pittura, tratti dai testi originali di Leonardo
[Trattato della Pittura 1651] e rinvenibili anche in un apografo da me fatto recentemente
acquisire dall‟Ateneo Federiciano1, riguardano fenomeni di percezione del paesaggio
urbano in relazione alla posizione e distanza dell‟osservatore e le conseguenti scelte in
materia di rappresentazione. A volte in questi scritti l‟artista-scienziato giunge davvero a
„dipingere con la penna‟, rivelando tutte le proprie doti in materia di estetica del paesaggio:

«Li Paesi fatti nella figuration del Verno, non debbon dimostrar le sue montagne azzurre, come
far si vede alle Montagne dell‟Estate […]. Infra le Montagne vedute in lunga distanza quella si
2
dimostrerà di color più azzurro, la qual sia di color più oscuro […].»
Delli Aspetti de Paesi

Vecchi e nuovi Media per l‟Immagine del Paesaggio / Old and New Media for the Image of the Landscape - I

Fig. 1: Leonardo, Veduta di Valdarno da Monte Albano verso il padule di Fucecchio (1473). Firenze, Uffizi.
Gabinetto Disegni e Stampe, n. 1 (8 Pr)

Proprio trattando «Delli Aspetti de Paesi», il nostro osservatore dimostra la massima


acutezza e quella capacità unica di notare a occhio nudo ciò che, ancora oggi, è in molti
casi visibile solo con l‟aiuto di sofisticati strumenti3. Risultano pure preziosi alcuni precetti
del Libro di Pittura – composto sui testi vinciani dall‟allievo Melzi [Libro di Pittura 1995] –,
del Codice Arundel e dell‟Atlantico in materia di percezione del costruito e del paesaggio
urbano:

«Dell‟altezze delli edifici visti nelle nebbie. Quella parte del vicino edificio si mostra più confuso,
il quale è più remoto da terra; e questo nasce perché più nebbia è infra l‟occhio e la cima
dell‟edificio, che non è dall‟occhio alla sua basa. La torre parallela veduta in lunga distanzia
infra la nebbia si dimostrerà tanto più sottile, quanto ella fia più vicina alla sua basa. Questo
nasce per la passata [proposizione], che dice: La nebbia si dimostra tanto più bianca e più
a
spessa, quanto ella è più vicina alla terra, e per la 2 di questo, che dice: La cosa oscura parrà
di tanta minor figura quanto ella fia veduta in campo più di potente bianchezza. Adunque,
essendo più bianca la nebbia da piedi e da capo, gli è necessario che la oscurità di tale torre si
dimostri più stretta da piedi che da capo» [Libro di Pittura 1995, 326].
«Della veduta d‟una Città in aria grossa. L‟occhio, che sotto di se vede la città in aria grossa,
vede le sommità degli edifizi più oscuri, e più noti, che il loro nascimento, e vede le dette
Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

sommità in campo chiaro, perche vede nell‟aria bassa, e grossa […]» [Libro di Pittura 1995,
322].
«Li edifici veduti in lunga distanzia di sera o mattina in nebbia o aria grossa, solo si dimostra la
chiarezza delle lor parti aluminate dal sole, che si trova inverso l‟orizzonte, e le parti delli detti
edifici che non son vedute dal sole restano quasi del colore di mediocre oscurità di nebbia»
[Libro di Pittura 1995, 326].
«Quella parte del vicino edificio si mostra più confuso, il quale è più remoto da terra; e questo
nasce perché più nebbia è infra l‟occhio e la cima dell‟edificio, che non è dall‟occhio alla sua
basa. La torre parallela veduta in lunga distanza infra la nebbia si dimostrerà tanto più sottile,
quanto ella sia più vicina alla sua basa».
«Bello spettacolo fa il sole quando è in ponente, il quale alumina tutti li alti edifici delle città e
castella, e gli alti alberi delle campagne, e li tinge del suo colore; e tutt‟il resto da lì in giù rimane
di poco rilievo, perché, essendo solamente aluminato dall‟aria, essi hanno poca differenzia dalle
loro ombre ai loro lumi, e per questo non ispiccano troppo […]» [Libro di Pittura 1995, 333].
«Quando il sole è all‟oriente, e l‟occhio sta sopra il mezzo di una città, esso occhio vederà la
parte meridionale d‟essa città aver li tecti mezzi ombrosi e mezzi luminosi, e così la
settentrionale; e la orientale fia tutta ombrosa, e la occidentale fia tutta luminosa» [Libro di
1 2
Pittura 1995, 451; Valerio 2005 , 119-121; Valerio 2005 , 11-41].
«Li edifizi inver ponente, sol si dimostra la lor parte luminosa, poi che „l sol si scopre; e „l resto le
nebbie lo occultano. […] Quanto più l‟aria sarà grossa, li edifizi delle città e li alberi delle
4
campagne parranno più rari, perché sol si mostreranno e più eminenti e grossi» .
«Perché le torri e campanili in lunga distanzia, essendo di grossezza parallela, paian piramidali,
di piramide sottosopra. Questo nasce perché l‟aria che più s‟abbassa, essendo grossa e
nebbiosa, più occupa; e quell‟obbietto che più è occupato, più cela la notizia de‟ sua stremi;
5
onde la notizia dell‟obbietto resta inverso la sua linia centrale» .

Fig. 2: Ignoto sec. XVI, Codice apografo del Trattato della Pittura di Leonardo, f. 31v. Napoli, Biblioteca Area
Umanistica Università di Napoli Federico II.

Dalle parole di Leonardo si comprende quanto gli «Aspetti de Paesi» fossero nient‟altro
che le immagini dei siti, risultanti dal processo con cui, partendo dalla visione, si passa alla
rappresentazione dei contesti urbani e naturali: il concetto di paesaggio come insieme di
Delli Aspetti de Paesi

Vecchi e nuovi Media per l‟Immagine del Paesaggio / Old and New Media for the Image of the Landscape - I

quanto si percepisce e, poi, si rappresenta di un sito si rafforzerà nel corso del XVI e del
XVII secolo, diffondendosi in Europa specie in ragione dell‟uso politico dell‟iconografia e
della cartografia urbana e territoriale. Basti pensare a come, ad esempio, il „ritratto di città‟
[de Seta 2011] diventi in breve tempo strumento della propaganda da parte di casate e
regnanti, fondata sulla diffusione dell‟immagine dei propri domini.
La rappresentazione moderna del paesaggio evolve così insieme con i propri media, sia in
forma grafica sia descrittiva, specie a corredo dei testi di apodemica, la nuova scienza del
viaggio d‟istruzione in Italia di marca tedesca e fiamminga: la visita dei luoghi mitici
dell‟area flegrea, del golfo di Napoli e di altri siti costieri mediterranei rappresenta ormai un
punto fermo [Gaiga 2014, 14-29]. Viene allora da ripensare proprio al comune suffisso -
aggio che si ritrova, tra gli altri termini, anche nel viaggio con allusione all‟insieme delle
esperienze legate alla „via‟, all‟itinerario. Vedute, ritratti di luoghi e città prolifereranno negli
atlanti e nelle guide fino e oltre la nascita del Grand Tour [de Seta 1995].
Una decisa svolta sarà segnata sul principio dell‟Ottocento da Goethe, che amplierà il
significato di paesaggio considerandolo quale «dato culturale organizzato in funzione di un
sapere preesistente» [Vitta 2005, 205-206]: dunque, a partire dal grande studioso tedesco
e attraverso l‟esperienza del Viaggio in Italia, all‟originario carattere prevalentemente
percettivo e pittorico del paesaggio mediterraneo si aggiungerà quello di „metadato‟ dalle
più profonde e ampie implicazioni culturali e antropologiche. In tal senso, specie con il
diffondersi delle scienze sociali alla fine del XIX secolo, insieme con la nascita di nuove
tecniche di rappresentazione, all‟immagine pittorica o grafica colta dal viaggiatore e
dall‟artista, evocatrice ancora nell‟Europa neoclassica di memorie e di emozioni, si
aggiunge l‟aspirazione a rappresentare il dato reale, garanzia di conoscenza della natura e
delle città: con la fotografia risulterà acquisita l‟accezione „scientifica‟ che il paesaggio
affianca a quella tradizionale, artistica e letteraria. Humboldt, pioniere della geografia
moderna, esprimerà al meglio il contenuto „doppio‟ di quel concetto, atto ad indicare da un
lato la cosa reale, dall‟altro l‟immagine della cosa stessa [Farinelli 1990, 11].
Ma per un riscatto dei più ampi contenuti culturali su quelli meramente visivi il cammino
sarà lungo, tanto più all‟interno della solida tradizione oleografica di marca mediterranea.
Quella, ad esempio, che ancora nel 1939 ispirerà Giuseppe Bottai nella redazione del
testo della legge n. 1497 sulla tutela delle bellezze paesistiche in Italia, intese alla maniera
crociana come „bei panorami‟ o „quadri‟. Non prima del 1961, quindi, con Lucio Gambi,
verranno richiamati ufficialmente gli aspetti „non visivi‟ del paesaggio, ossia quelli socio-
economici, politici, storici; ma se, nell‟epoca dei grandi cambiamenti e delle trasformazioni
territoriali conseguenti al secondo conflitto mondiale, sul piano teorico il Bel Paese, con i
tanti chilometri di coste e di paesaggi esaltati e immortalati da secoli, negherà ai nuovi
interventi la possibilità di semplici „cosmesi formali‟ con lo scopo di cogliere i caratteri
profondi dell‟identità del territorio, in realtà per alcuni decenni consentirà che vengano
perpetrati sul proprio suolo autentici scempi.
Sul principio degli anni ‟80 giungono le meditate definizioni di Rosario Assunto [Assunto
1980, 49-51], riferite a un territorio inteso in senso quantitativo e spaziale, indipendente
dalla vita sociale, e ad un ambiente dal doppio significato bio-ecologico e storico-culturale,
che includa il territorio aggiungendovi i fattori umani: il paesaggio dunque, quale forma
percepibile che l‟ambiente conferisce alla „materia‟ territorio, comprenderebbe entrambi.
Proprio questo valore di „insieme‟ del paesaggio, percepito e poi rappresentato, va
riconosciuto attraverso il repertorio iconografico storico ai fini della tutela dell‟immagine e
dell‟identità urbana e ambientale, scongiurandosi in tal modo quanto denunciato dal Turri:
Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

se immaginiamo il paesaggio contemporaneo come un teatro, in cui gli individui sono attori
ma anche spettatori che guardano gli effetti del loro agire rispecchiandosi in esso [Turri
2010, 13], la sua crisi va attribuita al fatto che l‟uomo ha progressivamente indebolito il
proprio ruolo di spettatore, non preoccupandosi di fermarsi a esaminare le conseguenze
delle proprie azioni [Il paesaggio nell’era della globalizzazione, 2010]. Appare allora assai
stimolante, sotto il profilo del possibile ruolo dell‟iconografia nella programmazione degli
interventi sulla città storica, una lettura del paesaggio come «riferente visivo fondamentale
ai fini della costruzione territoriale» [Turri 2004, 15].
Quale testimonianza migliore, dunque, dell‟immagine storica nella „decostruzione‟
dell‟identità del paesaggio urbano, e quale migliore strumento nella progettazione del suo
recupero?

2. Il dibattito e le problematiche attuali in materia di paesaggio storico urbano


A seguito del VI Convegno Internazionale di Iconografia Urbana CIRICE 2014 su “Città
mediterranee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e
Novecento” e del particolare fermento di idee innescatosi in altre recenti occasioni di
dibattito in materia di storia urbana – ci riferiamo, in particolare, ai Congressi EAUH Praga
2012 e Lisbona 2014, ad AISU Catania 2013 e Padova 2015, e ai Convegni su “Cultural
Heritage” di Roma 2014 e 2015 – risulta oggi evidente l‟interesse per la città storica e per i
temi inerenti la sua identità, struttura e rappresentazione: ciò ci ha indotto a una recente
riflessione [Buccaro 2015] sull‟esito di tali esperienze nell‟ambito specifico dell‟iconografia
del paesaggio storico urbano.
A fronte della maturazione, negli ultimi anni, di una sempre maggiore coscienza della
tutela del bene paesaggio nelle sue più ampie accezioni – si vedano la Convenzione
Europea del Paesaggio (2000), il Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) e i suoi
successivi aggiornamenti – e, in particolare, dell‟attenta definizione contenuta nella
Raccomandazione Unesco del 2011, poco è stato scritto sui metodi d‟indagine concernenti
i caratteri identitari del paesaggio storico e, segnatamente, sul ruolo dell‟iconografia
urbana. Ma prima di affrontare questo tema sarà opportuna ancora qualche
considerazione sugli elementi che concorrono al paesaggio storico urbano, tenendo conto
di quanto recentemente espresso da studiosi come Tosco e Jakob [Tosco 2007; Tosco
2009; Jakob 2009], entrambi al nostro fianco anche in occasione del presente Convegno.
Innanzitutto, se in generale risulta condivisibile l‟estensione della nozione di paesaggio a
norma delle citate risoluzioni assunte in ambito italiano ed europeo, va sempre
scongiurato l‟insito pericolo di un «onnipaesaggio», paventato proprio da Jakob [Jakob
2009, 34]: infatti un‟azione di tutela indifferenziata (si veda il proliferare delle „aree
protette‟, di cui alla citata Convenzione) può compromettere, sul piano etico ed economico,
quella rivolta al bene culturale autentico. Ciò vale, quindi, anche per i contesti insediativi
storici per i quali si richieda, in tutto o in parte, l‟applicazione del valore di „paesaggio
storico urbano‟.
Dobbiamo purtroppo constatare come sinora, sull‟onda di posizioni teoriche basate ancora
su un‟accezione prevalentemente percettiva e sincronica [Ritter 1994, 58], non si sia dato
adeguato peso, nell‟individuazione di quel valore, all‟indagine sulla storia urbana e
sull‟iconografia storica: da storici della città e della sua rappresentazione, sottolineiamo
l‟esigenza di affiancare sempre agli aspetti meramente percettivi quelli diacronici e culturali
[Tosco 2007, 22] che, già ben evidenziati nella Raccomandazione, risultano intangibili se
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non perseguiti attraverso un attento lavoro storiografico. Peraltro quest‟ultimo appare


imprescindibile anche nell‟intento di escludere dal paesaggio storico urbano le parti
„avulse‟ del territorio insediativo, prive cioè, per dirla ancora con Turri [Turri 2004, 99], del
ruolo di iconemi della memoria stratificata e collettiva, ossia non storicizzate né
storicizzabili per evidente incompatibilità materiale, ambientale e sociale con l‟identità e
riconoscibilità condivisa, propria dei topoi urbani. Non si tratta, in effetti, di passare da una
nozione estesa ad una ristretta, ma di riconoscere, con gli strumenti della storia della città
e dell‟iconografia storica, nei caratteri „percettibili‟ di un paesaggio urbano i riflessi dei
valori culturali condivisi, ossia la traduzione in segni estetici delle culture che vi si sono
avvicendate, distinguendone i simboli acquisiti da quanto è estraneo e tale resterà
irrimediabilmente.
Riteniamo che tale posizione si possa rafforzare se applicata al paesaggio mediterraneo,
la cui identità, lungi dal derivare dalla pura contemplazione „emozionale‟ trasmessa da un
certo vedutismo artistico, va riconosciuta nei segni della natura e della storia. Nelle città
del Mediterraneo, per il loro particolare carattere paesaggistico, anche più che in altri
contesti si verificano i casi opposti di armonia o di contrasto tra i caratteri naturali e
l‟azione antropica a seconda che quest‟ultima venga attuata con segni compatibili o
suscettibili di „rigetto‟ da parte dell‟ambiente.
Ai fini, quindi, della ricerca delle forme distintive del paesaggio, svolgeremo un‟operazione
scientifica rigorosa partendo, induttivamente, dallo studio delle testimonianze storico-
documentarie, grafiche, materiali e persino orali [Muratori 1959; Tosco 2007, 96-97]. Ma
per scrivere una vera storia del paesaggio e non una semplice analisi storico-territoriale
occorrerà trarre da quei dati la „percezione culturale‟ dei luoghi [Estetica e paesaggio
2009, 8; Baldeschi 2011, 100]. Se infatti il paesaggio è «risultato artificiale, non naturale di
una cultura che ridefinisce perpetuamente la sua relazione con la natura» [Jakob 2009,
27], quello urbano, da sempre teatro della comunità che costruisce i propri spazi,
offrendocene poi l‟immagine, sarà il risultato di una complessità sedimentata, di una
creazione e trasformazione collettiva di lunga durata, progetto della comunità stessa
[Bonesio 2002, 11]. Tra i tanti strumenti utili a decifrare questo complesso palinsesto,
quello iconografico ci consente di riconoscere la memoria „percepita‟, sia dal punto di vista
dei riferimenti materiali e visivi dei luoghi, sia dell‟immagine complessiva di quella
comunità, condivisa e tramandata nel tempo.

3. Contributi e finalità del Convegno CIRICE 2016


Sulla scia del descritto dibattito, proviamo ora a tratteggiare le linee principali di ricerca e
gli obiettivi dell‟attuale edizione del Convegno. La rassegna ha voluto tentare, come si
diceva, una sorta di „de-costruzione‟ dell‟immagine storica del paesaggio urbano e rurale,
da condursi attraverso lo studio dei media che, nel corso della storia fino allo scenario
attuale, l‟hanno generata, nonché mediante l‟analisi degli elementi che concorrono alla sua
formazione, a partire dalla scala del territorio fino a quella del costruito.
Proprio in relazione all‟attuale definizione di „paesaggio storico‟ e agli aspetti culturali e
diacronici da aggiungere a quelli percettivi della sua fruizione, siamo dunque partiti dai
„paesaggi dell‟Antico‟ che, alimentati dall‟Umanesimo archeologico, dal XVI secolo in poi
vedono un‟ampia diffusione attraverso la letteratura di viaggio nordeuropea e la
conseguente produzione di atlanti e di guide: in molti casi si assiste alla costruzione di
Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

nuovi modelli culturali, atti addirittura a riscrivere l‟immagine dei luoghi al di fuori della
realtà, onde favorire la formazione del mito.
Giunti alle soglie dell‟età contemporanea assistiamo, a seguito della diffusione dei nuovi
processi produttivi fondati sulla meccanizzazione e grazie all‟introduzione delle riforme
amministrative culminate nel periodo napoleonico, non solo all‟adozione di nuovi strumenti
di rilievo e rappresentazione, ma alla trasformazione degli stereotipi narrativi del
paesaggio urbano e rurale, dettata nel secondo Ottocento dal consolidarsi del modello
industriale e borghese. In tale contesto è preminente il ruolo della fotografia quale mezzo
iconografico innovativo, in principio certamente legato alla tradizione delle vedute
pittoriche, ma poi sempre più autonomo nel „taglio‟ dell‟immagine, nello scorcio e nel
dettaglio dei luoghi, specie nella sua funzione a corredo di testi turistici o divulgativi, ma
anche per finalità già decisamente artistiche. Tra primo e secondo dopoguerra, poi,
l‟ingresso della cinematografia documentaria e d‟autore aggiungerà un altro prezioso
strumento di indagine sulla città e sul suo territorio: che sia essa animata dalla
propaganda di regime, da scopi artistici o di documentazione, le immagini che possono
trarsene, anche come semplici sfondi della narrazione, risultano in molti casi di enorme
interesse nell‟analisi dell‟evoluzione urbana e dei contesti ambientali. In proposito è
appena il caso di sottolineare l‟importanza della rappresentazione storica del territorio
agrario quale mezzo utile alla generale definizione dei paesaggi culturali, dal momento che
l‟agricoltura ha per secoli connotato i territori antropizzati, conformandoli e dando vita a
immagini dei generi più vari, preziose sia per le indagini conoscitive delle morfologie e
delle biodiversità, sia per gli aspetti architettonici delle presenze rurali.
Anche la semplice narrazione o descrizione testuale dei paesaggi è da tenersi in attenta
considerazione, in quanto strumento per la conoscenza del territorio spesso ancor più
significativo di quello grafico, in quanto derivante dall‟elaborazione e trasposizione del
paesaggio in forma letteraria. Basti pensare, come abbiamo già sottolineato, a quanto
prodotto dalla pratica del viaggio in età moderna e contemporanea nella mitteleuropa
cinque-seicentesca, fino alla produzione di testi, guide, taccuini, diari legata alla pratica del
Grand Tour e a quella del turismo tra Otto e Novecento.
Abbiamo inoltre voluto indagare specificamente le tecniche di rappresentazione del
paesaggio, non solo quelle del passato, ma anche il ricco repertorio di metodi e strumenti
che gli attuali programmi informatici mettono a disposizione dello storico della città e
dell‟architettura. Oltre, quindi, allo studio delle pratiche grafiche tradizionali, finalizzate, nel
corso dei secoli, alla raffigurazione e al rilievo urbano e territoriale, particolare interesse
suscitano oggi quelle digitali, ossia le piattaforme tecnologiche più avanzate per la lettura
e la comunicazione dei sistemi storico-territoriali complessi: si tratta di metodologie che
sempre più si impongono ai fini della conoscenza dei tessuti storici, della catalogazione e
modellazione dei loro contesti e delle singole parti, ma soprattutto nella programmazione
del loro recupero.

Conclusioni
Lo studio dell‟immagine storica del paesaggio non può fermarsi alla mera speculazione
critica o all‟analisi dell‟evoluzione delle tecniche ma, più che mai nello scenario attuale,
deve essere volto verso indifferibili azioni finalizzate alla conservazione e alla
valorizzazione del patrimonio storico-paesaggistico, evidenziando tutte le potenzialità dei
media, vecchi e nuovi, utili a tali azioni: sarà così possibile riconoscere le cause delle
secolari trasformazioni dei paesaggi urbani e rurali, per poi porre in atto i codici di pratica
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indispensabili alla loro tutela. In tal senso si è voluto tenere in attenta considerazione la
necessità di una „trasmissione della memoria‟ fondata sulla rappresentazione del „vissuto‟
e della „temporalità‟ dei paesaggi, quali caratteri intrinseci del palinsesto della loro fisicità e
pregnanza socio-culturale.

Bibliografia
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di architettura e urbanistica», a. XVI (ago.-dic.), 49-51.
BALDESCHI P. (2011). Il Paesaggio e il territorio. Firenze: Le Lettere.
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BUCCARO A. (2015). L’immagine storica del paesaggio della città mediterranea e il ruolo dell’iconografia
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Università di Catania, tutor prof. N. Famoso).
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cura di C. Pedretti, trascriz. critica di C. Vecce. Firenze: Giunti.
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Trattato della pittura di Lionardo da Vinci novamente dato in luce con la vita dell’istesso autore scritta da
Raffaele Du Fresne (1651). Parigi: G. Langlois.
TURRI E. (2004). Il paesaggio e il silenzio, Venezia, Marsilio.
TURRI E. (2010). Il Paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato. Venezia: Marsilio
Editore.
Estetica e paesaggio (2009). A cura di P. D‟Angelo. Milano: Il Mulino.
1
VALERIO V. (2005 ), Leonardo, Leopardi e i loro «orizzonti», in Leonardo, genio e visione in terra
marchigiana, catalogo della mostra (Ancona 2005), a cura di C. Pedretti. Foligno: Cartei e Bianchi Editori,
119-121.
2
VALERIO V. (2005 ). L’Orizzonte e l’Infinito in Leonardo, in Ikhnos. Analisi grafica e storia della
rappresentazione. Lombardi: Siracusa, 11-40.
VITTA M. (2005). Il paesaggio. Una storia fra natura e architettura, Torino: Einaudi.

Note
1
Napoli, Biblioteca Area Umanistica dell‟Università di Napoli Federico II.
2
Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritti e Rari, XII.D.79, Codice Corazza, foll. 4-5.
3
Ivi, fol. 27.
4
London, British Library, Codice Arundel 263, fol. 169r.
5
Milano, Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, fol. 130v-b.
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Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino


turístico. Fuentes para la consolidación de una imagen
Functions and urban iconography: Baiona from historic villa to tourist
destination – sources for the consolidation of an image
BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ
Universidade de Santiago de Compostela

Abstract
Baiona, a village in the south of the province of Pontevedra, Spain, is recorded in
substantial series of photographs dating to the late 19th century and especially the first half
of the 20th century. This makes it an exemplary illustration of the transformations
experienced by a community in the case of new activities deriving from the role of a
seaside resort, involving both politics and personalities of Madrid high society, and
constituting an engine of development and leitmotif of the population. Still today, Baiona
maintains a primary role as a seaside tourism destination.
The graphic evidence consists primarily of photographs and postcards from the late 19 th
and early 20th centuries. These materials range from the works of Ruth Matilda Anderson,
on behalf of the Hispanic Society of America in the 1920s, to commercial postcards and
scenes produced by local photographers (notably the Pacheco Archives). The objective of
the study is to examine the use of this material in reflecting both the cultural identity of the
city and the and transformation of its image.

Parole chiave
Baiona, tarjetas postales, fotografías, Ruth M. Anderson, turismo
Baiona, postcards, photographies, Ruth M Anderson, tourism

Introducción
Baiona, pequeño enclave costero del sur de la provincia de Pontevedra, posee unas
características diferenciadas del resto de los emplazamientos de sus inmediaciones. Así
esta villa, de importante pasado histórico, se ha transformado desde finales del siglo XIX
en un importante destino turístico [Santiago & Nogueira 1902; Ramos 1925; Fernández
Rodríguez 2014], cuyo éxito se basa en las características naturales del lugar y “en las
teorías higienistas decimonónicas que redescubren el mundo natural como fuente de
placer” [Novo Malvarez 2001, 75].
Es esta condición de importante estación balnearia [Santiago & Nogueira 1902, 278], de
lugar escogido por los veraneantes para pasar las largas temporadas estivales, la que
genera un elevado número de fuentes gráficas de este emplazamiento, entre las que
destacan no solo los mapas o planos, en parte relacionados con su estratégica posición
geográfica como enclave militar, sino también las vistas generales, fotografías y tarjetas
postales [Imaxes 2003; Baiona 2004; Fernández de la Cigoña 1999; Fernández de la
Cigoña 2004] que, aunque tradicionalmente valoradas como de menor importancia, se
convierten en fuentes significativas para el análisis de este conjunto y de su riqueza
patrimonial.
Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico

BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ

La diversidad de estas fuentes es la que propicia que se produzca una importante


significación de las imágenes conservadas, fotografías entre las que destaca, aunque no
de manera exclusiva, debido a la presencia que alcanza tanto en el plano de lo local como
en el de lo turístico, la Fortaleza de Monterreal, no solo para los residentes en la población
sino para aquellos que acuden a ella por vez primera, ya que estaba considerado como
“de lo que más puede interesar al viajero en Bayona” [Mondariz 1912, 111].
Son estos principios básicos lo que convierten a estas fuentes gráficas, tanto las
realizadas y conservadas como imágenes fotográficas como a las inmortalizadas y
reproducidas en series de tarjetas postales, en una fuente inestimable para el análisis de
esta población en los años finales del siglo XIX y primera mitad del siglo XX.
Es su carácter como destino turístico el que lleva a que de esta población se edite un
importante número de tarjetas postales, que tienen su punto de partida en las imágenes
tomadas por los diferentes fotógrafos. En concreto, para esta villa se conservan
veinticinco series cartófilas diferentes [Fernández de la Ciguña 2008: 23-35], y entre todas
ocupará un papel destacado la conocida como Serie General de Hauser y Menet
[Carrasco 1992, 227-228], por su carácter pionero y por las múltiples repeticiones de las
que fue objeto. En esta serie cartófila aparecen, a partir de 1904, diecinueve postales que
tienen como protagonista a esta población costera gallega (Figura 1).
Junto con esta serie, y con las derivadas de ella, también dentro del material fotográfico
conservado que tiene como temática central a Baiona hay que tener en cuenta la
actividad desarrollada por los llamados fotógrafos viajeros que, aunque no tan numeroso
como el materializado en otras zonas de la península, también recogen de forma
sistemática la riqueza patrimonial y el progreso de las infraestructuras de las tierras
gallegas [Cabo Villaverde 1998; Fontanella 1997].
Entre todos estos profesionales que realizaron este tipo de actividad en Galicia, y más en
concreto que fotografió instantáneas de nuestra población conviene mencionar la labor de
Ruth Matilda Anderson, fotógrafa que trabajo desde la segunda década del siglo XX para
la Hispanic Society of America, institución fundada en 1904 por el hispanista Archer Milton
Huntington como “biblioteca, museo e institución docente gratuita” [Almarcha & Lenaghan
2012: 314, Lenaghan 2009], actividad que cambia radicalmente su vida y de la que hoy se
desprende un legado, difícilmente olvidable.

1. Ruth Matilda Anderson y su actividad en Baiona


La llegada de esta fotógrafa americana acompañada de su padre al puerto de Vigo se
produce el 17 de agosto de 1924, acontecimiento que, tal y como se recoge en la prensa
de la época, convulsiona la vida social de la pequeña ciudad gallega, al indicar «Hemos
tenido el gusto de saludar en esta Redacción a mister Alfred Theodore Anderson, de
Nueva York y á su encantadora hija, los que vinieron a Galicia con objeto de admirar sus
bellezas» [Estevez 2004: 146].
Esta visita será el primer contacto de la artista con las tierras a las que realizará dos viajes
y en las que, siguiendo los postulados marcados por el fundador de la Hispanic Society,
centró su actividad en la búsqueda de «la España verdadera (…) en aquellas zonas
apartadas (…), en las tierras peladas que antaño estuvieron cubiertas por grandes
bosques y ahora están habitadas por una población dispersa y cargada de tradiciones»
[Almarcha & Lenaghan 2012, 315], reproduciendo, acorde a los criterios marcados por la
institución, temas que hasta entonces, resultaban prácticamente inéditos en Galicia y en
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Fig. 1: Postal de Baiona de la serie general de Hauser y Menet (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).

una buena parte de España. Anderson, partiendo de los postulados establecidos por la
institución americana para la que trabajaba, desarrollará una amplia labor documental
durante el tiempo que permanecerá en las diferentes pobleciones, con especial atención
al análisis de las costumbres locales y no únicamente a los monumentos como era
tradicional. Así, para el caso concreto de Baiona, la artista realiza tres estancias en las
que visita la antigua ciudad de realengo gallega.
A pesar de estas tres visitas, en la última solo está de paso y realiza un breve encuentro
con los conocidos de la población, en el que se le informa de la visita del monarca Alfonso
XIII a la villa, quien acude a la población, previa invitación del alcalde, el 27 de septiembre
de 1927, acontecimiento que, al igual que otras ilustres visitan alteran la tranquilidad de la
población, tal y como se atestigua por la prensa de la época [Notas, 1934] (Figura 2).
Por ello lo relevante de su viaje, para el caso que nos ocupa, son los dos primeras
recorridos que la americana realiza por la población. Su primera estancia, que dura
solamente un día, se produce en su primer viaje, realizado entre 1924-25, periplo en el
que estuvo acompañada por su padre Alfred T. Anderson, también fotógrafo, que actuaba
como su asistente. La segunda de sus estancias, ya no la realiza en compañía de su
progenitor, sino que viajaba asistida por otra fotógrafa también de la Hispanic Society of
America, Frances Spalding, estancia que se produce en el transcurso del segundo de los
viejas, el materializado entre los meses de noviembre de 1925 y mayo de 1926 [Lenaghan
2009, 25].

2. El legado de su primera visita


Es durante estas estancias y tras superar innumerables dificultades técnicas, tal y como
se recoge en los diarios de su padre, quien comenta como en ocasiones tuvieron que
improvisar a la hora de efectuar los revelados «Después me las arreglé para hacer unas
perchas o unos colgadores con lo que tenía a mano. Compre tres docenas de pinzas (…),
Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico

BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ

Fig. 2: Fotografías de arco de triunfo construido en Baiona con motivo de la visita del monarca Alfonso XIII y
de su mujer la reina Victoria Eugenia (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).

las recorté un poco (…), doble un trozo de alambre para (…) que pudiesen agarrar una
película por cada extremo y así poderlas bajar al revelador» [Lenaghan 2009, 25], cuando
Anderson realiza una amplia labor documental en Galicia, actividad que se complementa
con un importante soporte gráfico, obtenido bien por su propio trabajo como fotógrafa o
bien al adquirir, algunas de las instantáneas con la que documenta su actividad a otros
colegas, también fotógrafos en España.
Con la adquisición de este material que no era propio, entre los que destacan las obras de
Domo Ferrer, al que le adquirió 517 imágenes, Saez Mon y Novas, de quien compró 245 o
del propio Arxiu Max de Barcelona [Lenaghan 2009, 25], generaba un sistema de trabajo
que le permitiría centrarse con mayor profundidad y productividad en la actividad del
trabajo de campo, ya que esta amplia documentación preparatoria le permitía concetrar
sus energías en aquellos aspectos que resultaban de su interés tanto a la artista como a
la institución que representaba. Todas las fotografías reunidas por la artista, tanto las
propias como las adquiridas a otros colegas, fueron remitidas a la Hispanic Society.
Su labor y actividad como fotógrafa a lo largo de su recorrido por las tierras gallegas es la
base que utilizará, acompañadas de sus comentarios personales para su obra Gallegan
provinces of Spain: Pontevedra and La Coruña, publicada en la ciudad de Nueva York en
1939. Se trata de una obra donde Anderson efectúa una crónica de su recorrido por
Galicia que, en realidad, presenta un valor que va más allá de una mera publicación, para
convertirse en un compendio «un resumen de la Historia y la cultura de Galicia».
En esta obra hay un apartado expresamente dedicado a Baiona, ciudad a la que visitan,
como se indicó, en tres ocasiones, aunque desde el punto de vista que aquí nos interesan
destacan las dos primeras. En la primera de sus estancias, la artista comienza con una
descripción de la ciudad: -(…) came presently into a Little town, ranks of Windows panes
sparkling back at a small cove, sheltered from the Atlantic by a rocky península which lay
like an arm thrust from the cove´s Sandy beach. The bright little town was Bayona, and the
dark, defensive peninsula, her Monterreal- [Anderson, 1939], descripción que no deja de
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Figg. 3-4: J Vista de Baiona y Cangas con las Islas Cies (Pereda & Marias 2002); Vista general de Baiona y
de Monte Real, Postal Eugenio Kraf Vigo; Public (Baiona nas ondas do tempo 2004).

evocar las tantas veces difundidas y consolidadas vistas de la ciudad, tanto las realizadas
en época moderna, como es la Vista de Baiona, Cangas con las Islas Cies del cartógrafo
luso Pedro Teixeira [Pereda & Marías, 20002, 333] (Figura 3), como las que se conservan
gracias a las postales antiguas, en las que se manifiesta de forma nítida el paisaje cultural
de su emplazamiento, como es la que se refleja en la Vista general de la serie de Eugenio
Krapt de Vigo [Fernández de la Cigoña 2008: 25] (Figura 4), que sin duda Anderson debió
de conocer.
La siguiente de las alusiones que la artista americana realiza sobre la población guarda
relación con las calles, en concreto, como única alusión hace referencia a la que entonces
se consideraba la «más principal de Bayona» [Cuestión 1897: 73-75], la calle Elduayen,
(Figura 5) completando la información indicando: «We walked along the Street of
Elduayen, bordering de wáter front, then turned into the upper part of the town. Through
empty white lanes» [Anderson 1939: 35], siendo este aspecto de callejones estrechos y
cerrados por paredes blancas de las construcciones terrenas marineras, uno de los
motivos ampliamente difundidos en las fotografías de la población a principios del siglo XX
(Figura 6), tal y como lo prueban las numerosas ilustraciones que se conservaron
[Fernández de la Cigoña 2008, 130 y 133].
Una vez analizadas las calles, la artista alude a uno de los monumentos principales de
esta villa, que guarda relación con la fuerte vocación marinera de esta población, que a
pesar de la importancia que adquiere como referente turístico, jamás ha perdido: la
Colegiata de Santa María, en la que se alude a su valor dentro del conjunto, en
comparación con los otros monumentos que explican la razón de ser de la población y su
valor estilístico, lo que nos da idea de su valor histórico «standing on a terrace above a
park of tall poplar tres and looking out aver red roof to the black pines of Monterreal. After
a little while doors opened in the great Romanesque portal» [Anderson 1939, 35-36].
La siguiente de las alusiones que la artista americana realiza sobre la población guarda
relación con las calles, en concreto, como única alusión hacer referencia a la que
entonces se consideraba la «más principal de Bayona» [Cuestión 1897: 73-75], la calle
Elduayen, completando la información indicando: «We walked along the Street of
Elduayen, bordering de wáter front, then turned into the upper part of the town. Through
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BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ

Fig. 5: Tarjeta postal con el Paseo de Elduayen (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).
Fig. 6: Tarjeta postal de una calle antigua. (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).

empty white lanes» [Anderson 1939, 35], siendo este aspecto de callejones estrechos y
cerrados por paredes blancas de las construcciones terrenas marineras, uno de los
motivos ampliamente difundidos en las fotografías de la población a principios del siglo
XX, tal y como lo prueban las numerosas ilustraciones que se conservaron [Fernández de
la Cigoña 2008, 130 y 133].
Una vez analizadas las calles, la artista alude a uno de los monumentos principales de
esta villa, que guarda relación con la fuerte vocación marinera de esta población, que a
pesar de la importancia que adquiere como referente turístico, jamás ha perdido: la
Colegiata de Santa María, en la que se alude a su valor dentro del conjunto, en
comparación con los otros monumentos que explican la razón de ser de la población y su
valor estilístico, lo que nos da idea de su valor histórico «standing on a terrace above a
park of tall poplar tres and looking out aver red roof to the black pines of Monterreal. After
a little while doors opened in the great Romanesque portal» [Anderson 1939, 35-36].
Es la importancia de este espacio que había aglutinado a la población que se dedicaba a
las tareas relacionadas con el mundo del mar, y que había servido de excusa para que los
habitantes no efectuasen el traslado a la nueva Monterreal, tal y como ordenaban los
RR.CC para mejorar la seguridad de la población del enclave costero, lo que lleva
probablemente a la inclusión de este hito en el texto de la artista americana.
Esta, al igual que sucedía con el ejemplo anterior, no reproduce ninguna imagen de este
relevante monumento, aunque si debió de conocer alguna de sus ilustraciones antes de
su visita a la población. Ya que estas fotografías circulaban en formato de tarjetas
postales, tal y como lo atestiguan las conservadas en el Archivo de la Deputación de
Pontevedra, en la que se aprecia el templo en la plataforma a la que alude la artista, o la
recogida en la obra de Fernández de la Cigoña [Fernández de la Cigoña 2008, 291-292] o
la fototipia de Hauser y Menet que reproducen Santiago y Nogueira. [Santiago & Nogueira
1902, s/p], aunque se cree que no conocería, por el contrario los grabados antiguos
conservados, como es el conservado en el Libro de grabados del Ayuntamiento de A
Coruña, ya que no hace alusión en su texto al pórtico de entrada que desapareció en la
primera mitad del siglo XX y que cobijaba la antigua puerta románica.
Su importancia no solo hace referencia al estilo artístico en el que se construye, sino que
también su categoría como templo aparece recogida por personajes de la época como el
obispo D. Pedro Beltrán, quien consideraba a este templo como «la más principal iglesia
que hay en el dicho nuestro obispado después de la nuestra iglesia catedral», aunque la
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artista americana no incluya en su trabajo ninguna de las fotografías de la antigua


colegiata si lo hará de la celebración de la festividad de la Virgen de la Anunciada, en el
que jugarán un papel fundamental.
Otra de las imágenes que ilustran las páginas que la artista dedica a esta villa establece
relación, al igual que el propio templo, con la tradición marinera de la población. Así, en el
texto se indica: «A dozen or twenty men, dressed in White shirts, red sashes, and White
sandals and led by one in White with a red baldric, stepped into the procession carrying
wooden swords. In the deep street below the church, the first paso was drawn aside, and
a space cleared in front of Anunciada. There, amid a silence of expert and critical
attention, the sword bearers went into a dance. Gracefully they formed lines, single and
double, wove in and out, clashed swords and crossed them above their heads to make a
bridge under which they could file erect, or held them horizontal and ran bending through
the low tunnel». Este baile, (Figura 7) que presenta una importante antigüedad, ya que
siguiendo a Herminio Ramos se conoce el dato de que el gremio de mareantes lo
realizaba ya en el siglo XVI [Ramos 1925, 10-13], y que originariamente nacía, al igual
que sucedió en otras regiones costeras del sur de la provincia de Pontevedra, vinculado a
la festividad del Corpus Christie [González 2004].

3. El retorno a lo conocido: su segunda estancia


La segunda de sus visitas a la villa, se produce tan solo un año después de producida la
primera, en este caso la realiza acompañada por su compañera de estudios en la
Clarence White Scholl, Frances Spalding [Estévez 2004, 155], y a diferencia de lo que
había sucedido en la primera de las estancias, en la que no pernocta en la población, en
esta si duermen en el hotel más importante de la población, el Hotel La Palma, del que la
artista opina: «Este nuevo tipo de edificios empuja en ofensiva contra los más antiguos,
de formas más naturales con balcones salientes, a veces apoyados en firmes columnas».
En este segundo viaje la artista centra en primer lugar su atención sobre las actividades
marineras y el legado de estos hombres a la cultura inmaterial existente en la población.
Así, entre otras alusiones, hace referencia tanto a la salida de las redes del agua como a
su secado o reparación por las mujeres «Over the grassy neck a dozen men were walking
beside a two-wheeled cart which strained four men to pull. We followed to the west beach
where two of them began to draw from the cart a dripping coil of net. A great black tail,
they laid it down, one hundred, two hundred, four hundred yards long, while others pulled
and spread it to a sheer, fibrous skeleton, wide upon the sand. The meshes were small
and equal from side to side; many corks bordered one edge, and weights, the other. Don
Jose daid it was a seine for catching sardines and anchovies. When it was completely
spread, a lengthwise rent was apparent in the middle, and five women came to mend it.
We left them siting under wide straw hats, plying wooden needles full of brown thread»
[Anderson 1939, 43].
Estas explicaciones se acompañan de ilustraciones realizadas por la propia autora en las
que se aprecian diferentes trabajos marineros, siendo uno de los más difundidos, el de las
mujeres reparando las redes en el Paseo de La Palma, en la zona del istmo, que la artista
no incorpora en su trabajo publicado (Figura 8).
Junto con estos aspectos también incluyó descripciones instantáneas de los principales
recursos patrimoniales de la población, como es el Castillo de Monterreal, haciendo
alusión a aquellos elementos que considera más destacados, como son la Puerta Real
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BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ

Fig. 7: Danza de las espadas. Baiona (Fernández De La Cigoña Y Fraga, S. 2008).


Fig. 8: Mujeres cosiendo redes. Paseo de la Palma. Fotografía de Ruth Matilda Anderson.

Fig.9: Puerta real de la fortaleza de Monterreal (Fernández De La Cigoña Y Fraga, S. 2008).


Fig. 10: Colegiata de Santa María (Fernández De La Cigoña Y Fraga, S. 2008).

que da acceso a la fortaleza (Figura 10): « Higher on the road we came to a crenelated
Wall and pointed archway set with coats of arms; the Wall was frocked with ivy, and
clumps of ferns flourished in the chinks» [Anderson 1939: 45], descripción que aunque
tampoco ilustra Anderson, que prefiere recurrir a las almenas que recorren en recinto en
lugar de a la puerta de acceso al mismo, si evoca la imagen que en tarjetas postales se
propagaba de este enclave fortificado [Fernández de la Cigoña 2008, 146].
Igualmente dentro del espacio fortificado también hace alusión, tras narrarnos la historia
de la fortificación, desde su creación hasta la época contemporánea, a la vivienda que se
encuentra en su interior y que la artista al igual que en otras ocasiones describe, de igual
manera que a los principales elementos patrimoniales identitarios que se encuentran en
su interior, como son la Torre del Príncipe de la que ya, al contrario de lo que sucede en
otros recursos, junto con reseñar su valor, incorpora también su imagen, lo que no es de
extrañar, ya que se trata de uno de los elementos patrimoniales que goza de una mayor
difusión en grabados, fotografías y tarjetas postales de época, y a través de los que se
puede rastrear su evolución en el tiempo desde el estado ruinoso, que presentan las
imágenes más antiguas [La ilustración 1879, 12] hasta las reproducidas en las tarjetas
postales de la serie Universo [Fernández de la Cigoña 2008, 142].
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Del mismo modo, dentro del espacio de la fortificación, continua con una referencia a la
Torre del Reloj de la que apunta: «the square Clock Tower, black with ivy against the blue
hills behind Bayona» [Anderson 1939, 45] o la de la Tenaza «we came to the castle
dungeon, a thick-walled trough running down to the hexagonal chamber at the very edge
of wáter» [Anderson 1939, 45].
En este segundo viaje, y una vez terminada la visita a la fortaleza de Monterreal, en el que
los acompañantes, especialmente Herminio Ramos, les proporcionan una valiosa
información histórica, visitan nuevamente el templo de la Colegiata, centrando su interés
ya no en las festividades que se celebran en su interior, como había sucedido en la
primera estancia, sino en los valores del propio templo (Figura 10), y en especial, de
aquellos signos gremiales que aluden a la participación de los gremios en el templo
baiones, así indica «After lunch our infatigable friends took us to the Collegiate Church, a
wide nave and two aísles with clustered columns and pointed arches carrying a vaulted
ceiling. Of main interest to us were the siymbols incised on the soffits of the principal
arches. Don Herminio halped us make them out: a carpenter square, dividers, pickaxes,
cleavers, scissors, fishhooks, sailboats, shoe soles, a glove, plain circles, eight-rayed
circles, circles with patriarchal cross attached, crosses botonees, chalices, running
animals, and houses or taverns with one tree» [Anderson 1939, 45-46], importancia que
remarca con la ilustración que acompaña la descripción de los elementos presentes en el
texto.
Esta segunda estancia en la población se cerraría con una visita a la Casa Consistorial en
el que la artista centra su atención, no en la arquitectura del establecimiento, sino en los
bienes muebles que en el se custodiaban, como son: «on a cupboard dated 1679, where
the town archives were kept, and also on a aldermanic bench of the same periodo, we saw
carved Bayona´s coat of arms. In the escutcheon on the bench, a sixteenh-century ship
was quartered with one of the most engaging oxen of taht or any other century»,
[Anderson 1939, 35-36] bienes a los que la artista proporciona una importante
significación, al acompañar igual que ya sucede en otras ocasiones, la breve descripción
de fotografías de los bienes.

Conclusiones
Las estancias y el trabajo realizado por la artista norteamericana en Baiona (Pontevedra,
Galicia), constituye un importante testimonio de la población en la primera mitad del siglo
XX, no solo por el estado de sus bienes patrimoniales o de la plasmación de sus diversas
costumbres y tradiciones.
Su importancia va más allá, y al igual que sucedía en otros casos, la imagen que proyecta
su trabajo cuenta con unos antecedentes relacionados con otras ilustraciones de la
población que bien se hallaban difundidas por el trabajos de los fotógrafos locales, o bien
por medio de su empleo para su reproducción como tarjetas postales.
Su trabajo constituye la base de lo que serán las fotografías que después de la estancia
de la artista, y de la publicación de su obra, expliquen las ilustraciones de esta población
gallega, así como el interés por aquellas tradiciones y valores inmateriales, que tienden a
recrear la imagen de Baiona, como una villa marinera, en la que la importancia de su
pasado junto con el protagonismo de los hombres de mar, se convirtieron en principales
polos de atracción y conllevaron su transformación en importante destino turístico.
Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico

BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ

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Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la


iconografía de las ciudades gallegas
Vetus adversus novum: classical antiquity as an essential element in the
iconography of Galician cities
ANA E. GOY DIZ
Universidad de Santiago de Compostela

Abstract
The process of Romanization of the ancient region of Gallaecia under the Roman Empire
produced profound and lasting effects, resulting in part from the conservation of two
unique examples of Roman engineering: the Torre de Hércules Lighthouse at Coruña and
the “Muralla”, or Roman walls of Lugo, both of which are included in the UNESCO List of
World Heritage sites.
The aim of this communication is to analyze how these ancient sites have developed as
defining elements, on which the images of the two related cities have been founded.
The first evidence of this effect dates to the 16 th century, however it was above all in the
19th century, when both towns became their respective provincial capital and their
importance in the organization of the State was recognized, that their modern image was
formed. Each city was represented by the corresponding magnificent work of Roman
engineering, which would in turn come to be seen as the symbol of each city.
Both graphic illustrations (engravings and historic photographs) and literary sources show
the great importance assumed by the Torre de Hércules and the Muralla de Lugo in the
urban iconography of these cities in north-western Spain.

Parole chiave
Muralla de Lugo, Torre de Hércules, Galicia, Iconografía urbana
Roman Walls of Lugo, Tower of Hercules, Galicia, Urban iconography

Introducción
Todas las ciudades, por muy diferente que sean en su origen, desarrollo e historia
funcionan como verdaderos palimpsesto, que ocultan bajo una superficie homogénea las
huellas de su pasado. Cada etapa deja su impronta y adentrarnos en esa historia es
interpretar un perfil arqueológico en el que, como estractos se reflejan los principales
acontecimientos vividos. Partiendo de esta realidad, haremos una aproximación a dos
ciudades que se localizan en el noroeste de España: Lugo y A Coruña que han
conformado su imagen a partir de dos singulares monumentos que se han convertido en
metonimias urbanas que simbolizan perfectamente a la ciudad.
Quizás primeramente sea necesario señalar que en tiempos del emperador Augusto,
después del final de las Guerras Cántabras (29-19 a.c) este territorio que formaba parte
de la Hispania Ulterior Lusitania fue pacificado y profundamente romanizado dentro del
programa de expansión del Imperio por el oeste. Prueba de ello es que el propio
emperador Octavio Augusto ordenó a su legado Paulo Fabio Maximo, entre el año 15 y 13
a.C., la fundación de la ciudad de Lucus Augusti (Lugo) que se convirtió en una de las
Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas

ANA E. GOY DIZ

más importantes del noroeste hispano y que llegó a ser capital del conventus lucensis.
Por los mismos años, surgió la ciudad de Brigantium (A Coruña) en torno a una magnífica
ensenada natural en la que se ubicó un puerto, en el que recababan las flotas romanas,
que procedentes del Mediterráneo, abastecían las provincias de Germania y Britania
durante la época de la conquista.
De ese pasado romano, nos han quedado importantes testimonios, pero hoy queremos
centrar nuestra mirada en dos bienes patrimoniales de especial interés: la muralla de
Lugo, que fue construida en tiempos del emperador Aureliano, alrededor del 270 d. C.,
durante la crisis del imperio del siglo III, y el faro de Brigantium, más conocido como Torre
de Hércules, que fue erigido en tiempos de Augusto [Rodríguez Colmenero; Ferrer Sierro
2014, 243]. El hecho de que estas dos magníficas obras de ingeniería civil romana se
hayan convertido en los iconos de cada una de estas ciudades nos parece un hecho
relevante para analizar en este foro dedicado a la iconografía urbana, pero este proceso
se produjo a partir del siglo del siglo XVII, y sobre todo en el XVIII y XIX cuando ambos
monumentos fueron reinterpretados y difundidos, pero sin perder esa integridad y
autenticidad original, que UNESCO reconoció en el año 2000 en la Muralla Romana de
Lugo y en el 2009 en la Torre de Hércules, accediendo a su inscripción en la lista de
Patrimonio Mundial.

1. Lucus Augusti, la ciudad más antigua de la Gallaecia


Lugo es una ciudad-yacimiento, que se localiza sobre un promontorio natural en la
divisioria de los ríos Miño y Rato. Su origen estuvo en un campamento militar que
utilizaron las tropas del general romano Caius Antistus Vetus, durante las Guerras
Cántabras, para reponerse de la contienda y recuperar a los heridos con las aguas
medicinales de los manantiales termales del Miño.
Durante los tres primeros siglos de su historia, la ciudad experimentó un importante
crecimiento que se materializó en la consolidación de la estructura viaria, en el trazado de
la red de abastecimiento y de saneamiento de aguas con el acueducto y las cloacas, así
como la definición de los espacios públicos y privados, así como la construcción de las
principales edificaciones. La importancia adquirida durante esta época determinó que
durante la crisis del Imperio del siglo III se ordenase su fortificación, lo que supuso que la
fisonomía urbana cambiara debido a la construcción de una muralla que por razones
estratégicas se adaptó a la topografía del terreno, dejando fuera del perímetro amurallado
parte de los barrios existentes que fueron sacriticados al no poder asegurar su protección.
Así se levantó un muro con un perímetro de 2.266 metros reforzado por 86 torres
coronadas con los cuerpos de guardia de dos o tres pisos, que rodeaban una superficie
aproximada de 34,4 hectáreas y a la que se accedí a través de cinco puertas: porta Miñá,
porta Falsa, porta de San Pedro, porta Nova y porta de Santiago [Rodríguez Colmenero
2007, 46].
En los comienzos del siglo V se inicia la decadencia de la ciudad con la llegada de los
pueblos bárbaros, primeros los suevos y más tarde los visigodos la ocuparon y la
anexionaron a sus reinos. Para entonces, Lucus había quedado prácticamente desierta,
con sus edificios expoliados por los propios habitantes que en su huida al campo, se
habían llevado todo aquello que pudiera ser saqueado por los invasores. A comienzos del
VIII, los árabes ocuparon la península Ibérica y la ciudad quedó bajo el dominio
musulmán, pero fue por poco tiempo, porque el rey cristiano Alfonso I reconquistó el
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territorio y, con ayuda del obispo Odoario, repobló la zona, iniciándose una nueva etapa
en la historia de la ciudad.

2. El anillo urbano que configuró la ciudad. La muralla


Lugo es una ciudad que ha crecido condicionada por ese anillo de piedra que es su
muralla y su configuración obedece al trazado de la misma. En el plano más antiguo que
conservamos, que data de 18121, podemos identificar todavía las huellas del Burgo Vello,
que fue el germen de la ciudad medieval y se localizó en el sector suroccidental del
recinto amurallado, en el entorno de la catedral y que se caracterizó por un entramado de
calles estrechas y laberínticas. También se identifican los restos del Burgo Novo en las
inmediaciones de la porta San Pedro, que fue un nuevo barrio de comerciantes y
artesanos que se asentaron en esta zona en el paso del siglo XI al XII y que presentó
desde sus inicios por su marcado carácter mercantil. A estos dos asentamientos podemos
añadir la aparición a finales del XIII de los conventos mendicantes, franciscanos y los
dominicos que fundaron sus casas dentro del recinto intramuros, porque en esos
momentos, los límites de Lugo no venían marcados por las murallas romanas, que
delimitaban un área que la ciudad medieval nunca llegó a ocupar, sino por una zona
mucho más reducida, alrededor del Burgo Vello, en los límites del cual se erigió el
convento de San Francisco y junto a él, el de Santo Domingo, mientras que el de Santa
María A Nova se localizó en un solar próximo a la rúa de San Pedro. En torno a estos
conventos se observan unas zonas de expansión que se fueron consolidando en las
centurias siguientes, como la rúa Nova o los ejes trasversales que comunicaban ésta con
el barrio del Milreu (hoy plaza de la Soledad), el Carballal, o la vía que unía el Burgo Vello
y el Burgo Novo, a través de la plaza Mayor.
En el plano también quedan las huellas de los aires reformadores que llegaron a esta urbe
promovidos por miembros del clero y de la hidalguía, los cuales impulsaron proyectos
orientados a cambiar la fisonomía urbana. Esto se tradujo en la mejora del sistema viario,
en la supresión de callejones y ruelas así, como en la pavimentación de las calles,
también se reparó el acueducto romano, que permitió a finales del XVI asegurar el
abastecimiento de las fuentes públicas [Álvarez Asorey 2003, 50], o la ordenación de
nuevas plazas, como la plaza Mayor que se fue gestando sobre el solar que antaño había
ocupado el anfiteatro romano, y que a partir de 1576 estuvo presidido por la Casa
Consistorial, que en 1738 fue totalmente reformada. Además se acometieron nuevas
edificiaciones destinadas a la formación del clero, como el seminario de San Lorenzo,
impulsado por el obispo Vellosillo (1567-87) aunque concluido por Otaduy y Avendaño
(1591-1611). En esa misma línea, el prelado López Gallo (1612-1624) fundó el hospital de
San Bartolomé, que absorvió a todos los pequeños hospitales que estaban diseminados
intramuros [Regueiro Burgo, 2016, 37].
También puden identificarse los espacios que ocuparon las nuevas órdenes religiosas que
se instalaron en los siglos XVI y XVII con el apoyo de la hidalguía que costeó su
construcción. Este fue el caso del convento de las Agustinas, situado al fondo de la plaza
Mayor [Fernandez Gasalla 2004, I, 946], la capilla de la Soledad [Goy Diz 2016, 78] y la
de San Roque [Vila Jato 1989, 63]. También el Cabildo catedralicio emprendió
importantes proyectos, como la supresión de los inmuebles que estaban adosados a la
basílica y la modernización de sus principales dependencias como la sacristía, la sala
Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas

ANA E. GOY DIZ

capitular, el claustro o la capilla de la Virgen de los Ojos Grandes, patrona de la ciudad


[Fernández Gasalla 2003, 261-271].
Fue a mediados del siglo XVIII, cuando se modificó el aspecto de la plaza de Santa María
por la construcción del palacio episcopal, en tiempos del prelado Gil Taboada (1735-35) y
del nuevo acueducto bajo la prelatura de Izquierdo Tavira (1748-62) que aparece
representado en el plano [Álvarez Asoret 2003, 49]. Así mismo se observa como se
produjo la expansión de la urbe por espacios intramuros todavía vacíos como el Carballal
en el que se erigió el Cuartel de Inhábiles de San Fernando [Regueiro Burgo 2009, 98].
En 1833, Lugo fue designada capital provincial lo cual favoreció la inslación de los
edificios administrativos del Estado. A ello debemos sumar la promulgación de las leyes
desamortizadoras de los gobiernos liberales que impulsaron la exclaustración de las
comunidades religiosas, y la confiscación de sus bienes, lo cual llevó al derribo del
convento de las Agustinas Recoletas y a la transformación del resto de los conventos, en
edificios estatales en los que se ubicaron oficinas públicas y servicios asistenciales. Estos
cambios empiezan a percibirse en el plano de Pedro de Menchaca 2 y sobre todo en el
Francisco Coello de 18633, donde nos encontramos con la reorganización de la plaza
Mayor, a partir de la demolición del convento agustino, y de la plaza de Santo Domingo
por la desaparición de la capilla de la Virgen del Rosario que permitió unificar en un solo
espacio el Campo de Santo Domingo. Otro cambio importante fue la construcción del
baluarte conocido como Reducto María Cristina durante las guerras carlistas (1837) que
se erigió sobre los restos del antiguo medieval y la cárcel. También se perciben cambios
en la zona de San Marcos, al abrirse una nueva calle y demolerse la capilla antes de
iniciarse las obras del hospital de Isabel II que terminó destinandose a palacio de la
Diputación [Regueiro Burgo 2012, 22] . En esta época se abrieron nuevas vías como la
calle de la Reina, el Progreso, en sustitución del carril das Campás.
La segunda mitad del XIX es un momento de expansión extramuros y eso afectó a la
propia muralla, cuyo perímetro se rasgó para dar cabida a cinco nuevas puertas. La de
San Fernando (1854) para comunicar la ciudad con la carretera de A Coruña, la de la
Estación (1876) que favorecía el acceso a la estación del ferrocarril, la de Obispo
Izquierdo (1888) que permitía la comunicación con la nueva cárcel, la de Obispo Aguirre
(1894) que facilitaba el paso al Seminario y la del Obispo Odoario (1921) que permitía un
acceso directo al nuevo hospital de Santa María, aunque para ello hubo que dinamitar un
cubo de la muralla. De esa época, conservamos un grabado de las torres de A
Mosqueira4 en el que se aprecian todavía parte de los cuerpos de guardia que
originalmente coronaban la fortificación y que aparecen también reproducidos en el plano
del pazo de Tor, lo cual nos ha permitido confirmar cual podría ser el aspecto original de
las murallas romanas.
Desde mediados del siglo XVI, el Ayuntamiento había ido aforando a particulares los
tramos entre torres de dicha muralla para construir sus talleres y viviendas y esas
edificiaciones se habían ido consolidando y ampliando hasta ocupar todo el espacio
disponible, ocultando la muralla. Durante la segunda mitad del XX se impulsó una
iniciativas que cambió la imagen de la ciudad. En 1971 se inició el proyecto Muralla
Limpia que consistió en demoler todas esas edificaciones que se habían adosado a la
muralla por la parte exterior y reconstruir aquellas torres que habían sido desmontadas, lo
cual permitió la recuperación de este destacado bien patrimonial. A partir de este
momento, la población lucense empezó a ser consciente de la riqueza patrimonial que le
había dejado su pasado y las posibilidades de su explotación. En cierta manera, la
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inclusión de la muralla romana de Lugo en la lista del Patrimonio Mundial, en el año 2000,
fue el reconocimiento a este legado cultural.

3. A Coruña, la ciudad del Faro


El icono de A Coruña es la Torre de Hércules y lo ha sido al menos desde el siglo XVI,
cuando se formuló la imagen de la ciudad buscando en el mito un noble pasado que
rememorar, porque lo que hoy conocemos como Torre de Hércules, es en realidad el
farum Brigantium, es decir, los restos del faro que en tiempos del emperador Octavio
Augusto, los romanos erigieron para orientar la navegación de las flotas que, procedentes
del Mediterráneo, recorrían el Atlántico para el abastecimiento de Britania y Germania. La
razón por la que eligieron este emplazamiento fue estratégica, la costa gallega es
especialmente peligrosa en esta zona, porque el mar es muy batido y la climatología
adversa, no en vano estamos en el Finis terrae para los romanos, o en las proximidades
de la Costa da Morte, sin embargo, el golfo Ártabro, en el que desembocan las rías de
Ferrol, Ares y el Burgo conforma una gran ensenada natural que permite el abrigo de las
escuadras y el abastecimiento de las naves, antes de reemprender la singladura. Sin
duda por esta razón se construyó el faro sobre una pequeña península, de escarpados
acantilados de más de 57 m. de altura.
Este faro, que sigue funcionando en la actualidad, conserva de época romana el núcleo
interno de la construcción original, que es un paralelepípedo de 14 m. de lado y una altura
total de 34 m. que se divide en tres alturas y que presenta cada planta compartimentada
en cuatro cámaras iguales de 2,70 m de lado, donde todavía se pueden admirar los tipos
de paramentos originales romanos como el opus quadratum que de emplearon en los
vanos, el opus vittatum de los muros o el opus caementicium de las bóvedas. En el siglo
XVIII se restauró, se forraron sus frentes con nuevas fachadas y se construyó una nueva
linterna que permitió modernizar el faro para que éste pudiera continuar funcionando y sin
grandes cambios, así llegó a nosotros.

4. La historia del faro


Durante años se consideró que la referencia documental más antigua de la que se tenía
noticia era la que nos había dejado Paulo Orosio (385-420) en su Historiarum adversus
Paganos en la que se refería a la Torre en estos términos:

Secundus angulus circium intendit ubi Brigantia Gallaeciae civitas sita altissimum farum, inter
pauca memorandi operis, ad specula(m) Britanniae erigit (El segundo ángulo de la península
[Ibérica] se halla orientado hacia el cierzo, habiendo sido la ciudad galaica de Brigancia, allí
situada, la que erigió en aquel lugar un altísimo faro, digno como pocos de ser admirado, cual
atalaya frente a Britania).

Sin embargo un reciente estudio [Rodríguez Colmenero; Ferrer Sierra 2014, 258-264]
plantea la hipótesis de que la primera mención esté contenida en un fragmento de la
Geografiká de Ptolomeo (100-170), de difícil interpretación, en la que se dice: «Lapatia
kórou ákron to kai trileukón» que ha sido traducido como «cabo de Lapatia donde está el
joven guerrero y las tres luces» en referencia al propio faro y a la escultura del dios Marte
que se dispuso al pie del mismo sobre una inscripción en capitales romanas, que todavía
se conserva con el siguiente texto «MARTI/AUG(USTO) “SACR[UM]/
Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas

ANA E. GOY DIZ

C(AIUS)SEVIUS/LUPUS/ARCHITECTUS/AEMIENSIS/LUSITANUS EX VO(TO)» (Consagrado a


Marte Augusto. Caio Sevio Lupo, arquitecto de Aeminium Lusitano, en cumplimiento de una
promesa).
A lo largo de la Alta Edad Media continúan las referencias al farum Bregantium o
Precantium, al Pharum Gallaeciae o al Castelum, tanto en fuentes cristianas [Goy Diz,
2008, 179-182] como islámicas [Bernal Casasola 2009, 85-106], es más, ya desde el siglo
IX, el farum Brecantium es además un término que funciona como un topónimo que
designa a los territorios eclesiásticos de la margen izquierda de la ría del Burgo [Baliñas
Pérez 1992, 344].
Será a partir del siglo XI cuando comience la formulación del mito a través del cual se
intente justificar el origen del faro. Este rico patrimonio inmaterial dejó una huella
importante en la formulación iconográfica de la Torre [González Garcia, 1997-1998]. De
las leyendas conocidas hay tres especialmente interesantes, la de Breogán, la Hércules y
una tercera, el relato de Trecenzonio que podemos considerarla una mezcla de las dos
anteriores [Diaz Diaz 1985, 99-115]. De ellas, la que más nos interesa en este estudio es
la de Hércules, que vincula el origen del faro al combate a muerte que éste mantuvo con
el gigante Gerión a orillas del Atlántico, al cual dio muerte y enterró junto al océano y para
conmemorar su victoria, construyó una torre sobre su tumba [Diodoro Sículo IV, 18, 2-3].
El mito pasó al mundo latino a través de Virgilio, Tito Livio, Propercio y Ovidio y la
tradición fue heredada por Isidoro de Sevilla [San Isidro, XII, 15,2] de la cual la tomó el rey
Alfonso X el Sabio y la incluyó en su Estoria de Espanna (1270). A partir de él, distintos
autores como don Juan Manuel [1344, 9-10], Florián Ocampo [1544, 40-41], el licenciado
Molina [1550, 29], Castellá Ferrer [1610, 421] o Jerónimo del Hoyo [1612, 228-229]
defendieron la veracidad del mito de Hércules mientras que otros entre ellos Pedro de
Texeira [Pereda; Marías 2002, 328] o el Padre Flórez [1752, 13] se opusieron a él.

Varios escritores mal empleados, quisieron engrandecerla por su origen, recurriendo a…Hércules
o a Hispan a quien hacen autor de un espejo encantado (que otros atribuyen a Hércules) y todos
carecen de fundamento…Los que dicen del espejo encantado que Hércules allí puso, fue tan gran
desvarío que no puede ser mayor dejando aparte la burla…porque es averiguado que aquella
torre no se hizo sino para que de noche pusieran en ella fuego porque los mareantes vista la
lumbre reconocieran tener allí puerto…

Esta discusión quedó zanjada a partir de la publicación de la obra de José Cornide


Saavedra [1792, 18-21] en la que discierne con nitidez entre el mito y la realidad histórica
de manera que la leyenda de Hércules no volvió a ser tomada como una fuente de
investigación.

5. Mito y realidad en la iconografía de la Torre de Hércules


El peso que el relato mitológico ha tenido en la denominación del faro y en la iconografía
del mismo ha sido determinante a partir de la Edad Moderna.
Hasta hace un par de años se consideraba que la imagen más antigua de la Torre estaba
en el Mapamundi del Beato del Burgo de Osma (1085) y en el Mapa de Hereford (1280),
pero recientes investigaciones han demostrado que se trata de la representación del faro
romano de la Campa de Torres de Gijón [Rodríguez Colmenero; Ferrer Sierra 2014, 256],
por lo que la Torre de Hércules fue reproducida por primera vez 1448 como el escudo de
armas de la ciudad5. Una imagen idealizada de un faro cilíndrico con una única puerta de
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acceso y coronada la construcción por una rotonda cupulada y donde no aparecen las
huellas de la rampa exterior que permitía el acceso al farol.
A mediados del siglo XVI se introducen algunos cambios en el escudo de la ciudad que
encontramos en una ejecutoria del emperador Carlos V del año 1552 6. En ella, aunque se
mantiene la idea de una torre de sección circular con remate en cúpula, de la que cuelga
un farol y con una rampa exterior a la que se abren los vanos dispuestos aleatoriamente,
se introduce un elemento nuevo, que es la cabeza coronada de Gerión bajo los cimientos
de la Torre, lo que supone la incorporación del mito a la formulación del icono. Esta
imagen con pequeñas matizaciones, será la empleada en los escudos de la ciudad
durante el siglo XVI y la primera parte del XVII. En algunos casos la cabeza será
sustituida por una calavera y encontraremos diferencias en la forma de representar los
restos de la rampa helicoidal. A mayores, se incorporó un nuevo elemento heráldico, las
conchas de vieiras que orlan el campo, en alusión a la peregrinación jacobea o como
símbolo de las provincias del antiguo Reino de Galicia.
Paralelamente al proceso de identificación de la imagen de la ciudad con el faro, se
producen cambios en la denominación del mismo. En 1550, el licenciado Molina [1550,
13] se refiere a él como la Torre del Faro, pero unos años más tarde Jerónimo del Hoyo
[1607 421-422], recoge ya el cambio de nombre de esa «antiquísima torre que
vulgarmente llaman la Torre de Hércules y por otro nombre el Castillo Viejo y algunos le
llaman la Torre de Faro y otros de Augusto Cesar». A partir de principios del XVII esta
nueva denominación se impondrá al resto, que paulatinamente caerán en el olvido.
Por su parte, la imagen sumaria del faro la seguiremos encontramos en la cartografía de
la época, como en el plano de Descripción del Real Presidio (1645) 7 o en el Atlas del rey
Planta en el que además de una magnífica de vista de pájaro de la ciudad y de los
alrededores nos deja una precisa descripción de la topografía del terreno y de la propia
Torre, con comentarios críticos sobre su estado [Pereda; Marías 2002, 328]:

…sobre el mar en un alto esta una torre que llaman Torre de Ércules. De forma quadrada tiene de
alto más de bente estados y a todos los quatro lado sus ventanas. La fábrica y antigüedad desde
torre muestra ser obra de los romanos por ser de cantería çeca y argamaça… Dízese della
munchas fábulas y encantos. Y lo siento es que fue echa para guía de los navegantes que de
noche, navegando por aquel mar, quisiesen venir al puerto… An desecho desta torre toda la
escalera que tenía por fuera, que yba asta lo alto dando vueltas, para aprovecharse de la piedra,
cosa bien mal mirada deviendo antes procurar la conservaçion de una antigüedad tan grande que
servir de adorno, ennobleçido a aquella ciudad.

Sin embargo, avanzada la centuria veremos como las imágenes se van haciendo más
precisas. Ese es el caso de la vista paisajista que se conserva en el Archivo de la
Catedral de Santiago8 en la que por primera vez se vincula la inscripción latina a la Torre,
a la cual se emplaza en un entorno idealizado. En el dibujo se muestra con mucho detalle
el estado del faro antes de la reforma de 1685, que impulsó el Duque de Uceda y que
supuso la modificación de la rotonda romana y la construcción de dos torrecillas en las
que colocar los faroles que permitirían la navegación de las naves [Goy Diz 2008, 107-
114]. El aspecto renovado del faro lo encontramos tanto en un segundo dibujo que
custodia el archivo catedralicio9, como en el que se conserva en la Biblioteca Nacional de
Madrid10.
En 1726 el rey Fernando VI decidió convertir al cercano puerto de Ferrol en base de la
armada española y la Torre de Hércules adquirió indirectamente una extraordinaria
Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas

ANA E. GOY DIZ

importancia porque el faro pasó a ser un elemento fundamental para la aproximación de


las flotas al puerto de Ferrol. A partir de ese momento, el ministerio de la Guerra impulsó
varios proyectos de reforma integral del faro entre los que destacan los de Boysin (1733) y
Ricaud (1772), pero ninguno de ellos se materializó y hubo que esperar a 1792 cuando
Eustaquio Giannini, en colaboración con el arqueólogo José Cornide plantearon una
reconstrucción del faro que permitió asegurar su conservación hasta la actualidad. A
mayores, Cornide redactó lo que podríamos considerar una memoria histórica del
monumento e ilustró con siete grabados el aspecto que éste pudo tener en las diferentes
etapas de su historia, lo que constituye una planimetría de análisis de extraordinario
interés.
El proyecto de Giannini fue considerado por el gobierno español un modelo de buena
praxis ingenieril y por ello fue dado a conocer internacionalmente en la Exposición
Universal de París de 1892, para la que se construyó una maqueta explicativa. A partir de
ese momento, la Torre de Hércules es presentada como un ejemplo de modernidad y de
innovación y se convierte en el elemento identificador de la ciudad. El puerto o la
ensenada de Riazor, conocido como el “mar de Orzán” que son las dos vistas más
características de A Coruña fueron perdiendo fuerza frente a la Torre que pasa a ser la
imagen de los carteles, de los colegios profesionales, de las asociaciones culturales, de
los productos que se fabrican en la ciudad. En definitiva la ciudad es la Torre y la Torre es
la mejor metonimia de la ciudad.

Conclusiones
Lugo y A Coruña pueden ser dos magníficos ejemplos en los que una imagen identifica a
una ciudad y se convierte en su icono por encima de cualquier otra realidad, en ese
palimpsesto que los investigadores debemos descifrar.

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http://hdl.handle.net/10347/9274 (Repositorio Minerva USC) (consultado 15/0572016).

Notas
1
Centro Geográfico del Ejército. Planos. Plano de la ciudad de Lugo, 1812.
2
Archivo Museo Provincial de Lugo. Plano de Lugo de Pedro de Menchaca y Saturnino Castillo.
3
Archivo del Reino de Galicia. Colección Cartográfica Martínez Barbeito. 000154 MB.
4
Biblioteca Nacional España. Semanario pintoresco español, 6/10/1850, n. 40, p. 1.
5
Archivo Municipal de A Coruña, 22/10/1448, C.210.
6
Archivo Municipal de A Coruña. 1.0.1. Autoridad Real. P.N. 45. Ejecutoria Real de Carlos V por la que se
une al Corregimiento de A Coruña el juzgado de Bergantiños.
7
Archivo General de Simancas. MPD, XI-99 G.A., leg. 1485.
8
Archivo de la Catedral de Santiago. MPD, n. 75.
9
Archivo de la Catedral de Santiago. MPD, n. 76.
10
Biblioteca Nacional, Madrid. Sección Bellas Artes. Dibujos. Cat. B./2185.
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Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa, instrumentos para la


construcción de la identidad de una comunidad de emigrantes
Printed in memory. Photography, landscape and press, instruments for the
construction of the identity of an emigrant comunity
JUAN M. MONTERROSO-MONTERO
Universidade de Santiago de Compostela

Abstract
Galicia has been, since the mid-19th century, a community forced to migrate to other
territories, notably Latin America. Argentina will be one of the most recurrent destinations
throughout the twentieth century.
This migration enabled the emergence of magazines such as El Almanaque Gallego
which, during the first quarter of the 20th century, contributed through their articles, but
also of their photographic reproductions, to the creation of an awareness specific identity
within the Galician community settled in Buenos Aires.
This study aims, through the analysis of that publication, decipher the iconographic values
that the landscape, both urban and rural, possessed for those emigrants who watched
their land from a distance.
Aspects such as: the nostalgia, the exaltation of the homeland, progress, the
achievements of the present and the glories of the past or the idealized beauty of the
country, will be some of the elements to be studied.

Parole chiave
Memoria, patrimonio, identidad, fotografia, paisaje
Memory, heritage, identity, photography, landscape

Introducción
Los conceptos de memoria e identidad están íntimamente ligados a disciplinas científicas
como la historia o la historia del arte[Colmeiro 2005, 14-27]. De hecho éstas no dejan de
ser la construcción de un relato con vocación universal y objetiva, aunque ni una de la otra
se lleguen a materializar de un modo enteramente satisfactorio dentro del relato
construido por el historiador [Bermejo Barrera 1999, 12]. Esta valoración positiva del relato
histórico por encima del dato objetivo, resistente a toda interpretación, permite vislumbrar
un factor común a estos tres conceptos -memoria, identidad e historia-: el sujeto o la
comunidad que actúa como agente activo en su construcción [Vilar 2004, 83-96].
Dicho de otro modo, tanto la memoria como la identidad o la historia, precisan de un
intérprete que, a un tiempo, puede actuar como emisor y receptor; como parte del proceso
generador de valores de memoria o identitarios y como pieza fundamental de la relectura
de los mismos.
Si aceptamos que la identidad de una comunidad viene determinada por el proceso de
reconocimiento de esos valores comunes que, desde un pasado más o menos remoto,
son asociados como parte del proceso histórico-temporal del grupo, parece razonable
Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa

JUAN MANUEL MONTERROSO-MONTERO

pensar que la memoria, ya la expliquemos como memoria colectiva [Bloch 1999, 223-
232], ya la entendamos como memoria compartida, precisa de una serie compleja de
instrumentos a través de la que poder referenciarlos: costumbres, hábitos, tradiciones
orales, textos escritos o imágenes [Braunstein, 2008, 68-78].
Desde este punto de vista la propuesta metodológica que se plantea en este trabajo
busca llamar la atención sobre el valor instrumental que la fotografía de prensa posee a la
hora de poder fijar en esa memoria compartida de un colectivo, como la comunidad de
emigrantes gallega en Argentina, los valores de un hogar y una patria distantes [Aznar,
2005].
No se trata de una propuesta novedosa, puesto que a la imagen impresa se le ha
reconocido desde hace mucho tiempo un valor testimonial como documento visual que
servía para ilustrar, ratificar o afirmar aquello que las palabras recogidas en los
documentos históricos materializaban como hechos y datos [Freund 1993, 95-98]. Sin
embargo, ese reconocimiento testimonial, que con el paso del tiempo se ha ido ampliando
a una aceptación de su valor documental, todavía no se ha consolidado como un factor
programático semejante al que podrían tener los editoriales o los artículos de esos
mismos periódicos y revistas donde se encuadran. Las citas textuales extraídas de la
prensa son una constante dentro de los estudios históricos, a través de ellas se puede
articular el pensamiento o el ideario de cualquier colectivo [Palacio 2006, 76-78]. Es
mucho menos frecuente descubrir como las imágenes, sobre todo si en apariencia no
tienen otra pretensión más que la ilustración del texto o, lo que resultaría más frustrante,
de la publicación en su conjunto, también pueden establecer vínculos programáticos por
sí mismas con esos valores identitarios y de memoria. Se convierten, de este modo, en un
nuevo y eficaz vehículo para las mismas ideas que recogen las palabras [Freund 1993,
191-199].
En el caso que a nosotros nos ocupará, del que daremos una explicación más amplia en
los próximos apartados de este estudio, se pone en evidencia que las ideas recogidas en
las páginas del Almanaque Gallego, en alguno de los editoriales y poemas de su director
Manuel Castro López, tiene su correlato en las imágenes que durante tres décadas
ilustran esas mismas páginas.
Fechado en el 30 de septiembre de 1900, en el volumen IV de esta publicación, se puede
leer un poema de Castro López que explica perfectamente ese sentimiento de apego a la
madre patria, a la tierra, que hoy identificamos como parte esencial de la Galicia
emigrante:

¡Un malhadado augurio / fue aquel infantil sueño, / del ingente castigo / de la ambición que él
envolvía pérfido! / Otras tierras conozco, / y las que no, presiento: / mas, de tí separado, / sólo
ocupa mi mente tu recuerdo, / sólo por ti suspiro, / ¡sólo por ti me muero! [Castro López 1901, 365]

Ahora bien, estos versos no deben engañarnos ya que, si la "morriña" y la melancolía son
parte consustancial de nuestra identidad desde el romanticismo decimonónico, también
fueron, en las mismas páginas del anuario, argumento para aspirar a que nuestra "patria
chica" saliera de su letargo para ocupar un lugar digno, semejante al que ocupaba en los
corazones de aquellos que se encontraban desplazados, lejos de ella:

La patria no hace á los hombres, pero sí los hombre á la patria. Olvidemos un tiempo, los gallegos
que escribimos, las rías, los pinares, los prados, los montes de nuestra tierra. Dejemos que otros
canten sus primores, y dediquemos tan sólo nuestra ciencia y nuestro ingenio, á contarnos, con
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impertinencia si es preciso, los defectos que tenemos, para que de la impertinencia nazca la
preocupación, de la preocupación el estudio, y del estudio la perfección que eleva y dignifica á los
pueblos. Menos "morriña", menos palique de gaita y más atención a los campos, á las fábricas, y
á los talleres.
Sueño con una liga en las cuatro provincias de mi tierra que, con perseverancia, durante un siglo,
ó dos, ó tres, tienda á herir de muerte la letra jota. Esa letra es nuestra enemiga.
El día que los gallegos no supieran pronunciar la jota, lucirían su natural ingenio sin grotescos
aditamentos.
La jota (baile) es la alegría de mi patria grande: la jota (letra) es la desgracia de mi patria chica
[Basa 1902, 562].

Estos dos textos, representativos igual que otros muchos del pensamiento galleguista,
con un regionalismo tamizado y tolerante, expresan los límites en los que la fotografía
debería ilustrar las páginas del Almanaque Gallego: amor a la tierra, a su paisaje, fe en el
progreso y orgullo de su historia. Esos podrían ser los tres ejes que nos ocuparán a partir
de ahora.

2. Manuel Castro López y el Almanaque Gallego


No es ahora el momento de hacer una semblanza de Manuel Castro López editor del
Almanaque Gallego entre 1898 y 1927, cuestión en la que otros autores han profundizado
a pesar de la dificultad para poder establecer un perfil biográfico amplio y detallado de
este intelectual y emigrante, nacido en Lugo en 1860, que en abril de 1892 decide
embarcar para América [Barreiro Fernández 2008, 11-34].
Para nuestros intereses baste con señalar que Manuel Castro López tenía profundas
convicciones republicanas y anticlericales, tal como demuestra su labor periodística en La
República de Madrid, El Resumen, también de la capital; o en medios como El Motín, Las
Dominicales del Librepensamiento, Boletín Federal, El Telegrama, o Galicia, todos ellos
radicados en A Coruña. Evidentemente su carácter anticlerical obedece a esa vocación
republicana pero, en igual medida, a su condición de "orador" y Venerable Maestro de la
logia masónica lucense Moreto, en cuya fundación participó y done se le conocía como
"Castelo".
Sin renunciar a sus convicciones, su llegada a América le permitió revisar su ideología y
desarrollar un pensamiento pragmático en el que, sin abandonar un regionalismo
militante, lo transformó -en palabras de Barreiro Fernández- en un "imaxinario colectivo
capaz de xerar nos galegos valores e sentimentos de pertenza, de autoafirmación, capaz
de suerar os complexos de inferioridade, de autoestima". Este aspecto pone de manifiesto
cual es la última intención de Castro López con la publicación de su anuario, tal como
queda recogido en la presentación del mismo en 1898:

Emprendemos la publicación de este Almanaque, el primero gallego en América, con un fin noble
y determinante del progreso: el de ampliar la obra a cuya realización viene aspirando El Eco de
Galicia de dar a conocer en las repúblicas del Plata a la pequeña patria, y en la pequeña patria el
saber, el ingenio y la honrosa acción de sus hijos, residentes en estos países. El Almanaque
aventajará a la revista el ser de un tanto más fácil conservación, siempre alcanza mayor vidad que
el periódico, el folleto o el libro. Y una y otra, salvando la inmensidad del océano, llevarán a la
madre de las madres, a la Patria, la expresión de nuestros anhelos [Castro López 1898, 41].
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Esta declaración programática permite varias lecturas que se deben conocer para tener
una visión completa del alcance del mismo:
En primer lugar, la referencia a El Eco de Galicia, que de un modo directo se toma como
modelo y acicate del entusiasmo galleguista de Castro López, obedece a que éste se
había hecho cargo del mismo por delegación de José María Cao Luaces. En su primer
número, fechado el 7 de febrero de 1892, su fundador declara:

Del amor puro y sacrosanto de la Patria ha surgido el pensamiento de fundar este semanario. El
Eco de Galicia tan modesto en su factura de hoja impresa como grande en sus aspiraciones y
noble en el deseo de los bienes que persigue [...] Galicia [...] he aquí la palabra que brota de
nuestros labios resumiendo los ideales más puros y deliciosos del alma. Galicia es nuestro lema y
teniendo por divisa el sacrosanto nombre fuente de todas nuestras energías. ¡Vive Dios que no
trepidamos en desplegar la bandera! [...] No debemos renegar jamás del nombre glorioso que
simboliza el pabellón ibero, pero si estamos dispuesto a sostener que si hubo algún pueblo en la
tierra con derecho a ser regionalista, a romper la centralización política y administrativa del
Estado, ese pueblo ha sido el gallego [...]. Es tiempo ya de que cesen de una vez para siempre las
estúpidas preocupaciones de cierta clase de pueblo que aún no llegó, en su pendantesca
ignorancia, a conocer lo que valen los hijos de la antigua Suevia, lo que vale Galicia debido a su
propio, a su solo esfuerzo... [Cao Luaces 1892].

En segundo lugar, la referencia a Galicia como pequeña patria es una constante en el


anuario; se repetirá en multitud de artículos y proyectará un sentimiento afectivo que
permite llegar a hablar de "matria", más que de patria, tal como explica Ambrosio Giz
Gómez:

La Patria es también nuestra madre, porque en ella, la que nos llevó en su seno, nos dió á luz;
porque, antes que nuestra misma madre, nos besó la brisa de su suelo; porque ese suelo
proporcionole la sávia con que nos había de dar vida; porque sin patria no hay madre... [...]
Galicia, madre bella y amante, llora la ingratitud de muchos de sus hijos [...] Si algún día pudiera
contarme en el número de esos que se hacen dignos de mi Galicia, me consideraría dichoso y
recompensado con creces de los dolores que su ausencia me produce [Giz Gómez 1898, 119].

En tercer lugar, bajo esa relación matriarcal de Galicia con sus hijos desplazados a orillas
del Plata, desperdigados por la emigración en tierras americanas, existe la profunda
convicción de que el camino para construir una "patria grande" a partir de esa "patria
chica" -acepciones que tendrán diferentes significados en manos de distintos autores-
pasa por la fe en el Progreso, tal como lo explica Francisco Rodríguez del Busto en el
anuario:

¡Despierta, virgen! Pon el martillo en el brazo musculoso de tus hijos; abandona la ingénita
modestia y la dulce melancolía que te consumen; haz respetar tus derechos y no te intimides ante
los fuertes, que los fuertes también tienen miedo; abre tus puertas al comercio universal; horada
tus montañas y penetra en tu seno; aplasta el cacicazgo que, cual planta parasitaria, chupa tu
sangre; responde con altivez á las imposiciones de los que no tienen derecho á mandarte y menos
a consumir tu vida; desata la lengua de tus oradores, levanta una tribuna en cada plaza para que
hablen tus economistas y tus demócratas y enseñen á las gentes la vida del siglo y digan á los
usureros que encierran el oro en el fondo de sus cofres, cuando hay miseria por falta de trabajo,
que es cobardía y es delito de lesa humanidad vivir para sí mismos... [Fernández del Busto 1900,
277].
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Por último, en cuarto lugar, no se puede olvidar ese sentido de dulce melancolía -
"morriña"- que impregna las palabras y la mirada de todos estos intelectuales, tal como
pone de manifiesto Ángel Anido, como expresión de la ausencia y la distancia:

Allí quedaba la patria; aquel pedazo de tierra que tantos recuerdos evoca y que tantas ansias
ocasiona al vernos alejados de ella y más cuando se hizo acreedora al cariño y á la veneración de
sus hijos.
Y al hablar de la patria, salta á la mente, como primer pensamiento, el recuerdo de la región. Por
más que pretendamos ocultarlo ó disimularlo ésta es la realidad. Reconocemos la conveniencia de
declararnos hijos de una patria grande, especialmente cuando nos hallamos entre extraños, pero
el corazón nos vende; el primer impulso es la patria pequeña [Anido 1898, 53].

Este ideario se materializó en una publicación que bajo la apariencia de un formato


anárquico, tanto en la organización de las secciones y los artículos como en la ubicación
de las imágenes, consiguió cohesionar a toda la comunidad gallega en Argentina, tal
como demuestra el creciente número de propaganda y publicidad que incluía al principio y
al final de cada número. Según Barreiro Fernández son varios los motivos de ese éxito
que, en nuestro caso, reduciremos a dos:
1.- Mantener un ideario político e ideológico sin llegar a la confrontación gracias a la
renuncia al expresar el regionalismo como una formulación política y optar por solución
práctica y útil en la que se buscaba la descentralización, al tiempo que se apostaba por
Galicia en su cultura, su tradición, en definitiva, su identidad.
2.- La pluralidad ideológica que se podía leer en sus páginas como reflejo de las
diferentes formas de sentir Galicia, también se pone de manifiesto en la forma en la que
se integran dibujos, grabados y fotografías en sus páginas. De nuevo de forma anárquica,
sin un aparente sentido programático pero, a su vez, con una claridad conceptual y
práctica semejante a su línea editorial [Barreiro Fernández 2008, 31].
En el número dos del Almanaque se puede leer la correspondencia cruzada entre
Gonzalo Segovia y Castro López, para entender perfectamente ese carácter dúctil y
pragmático del anuario:

Vea V. cómo nos entendemos; amemos la región con toda nuestra alma, procuremos su
engrandecimiento, no la hagamos perder un átomo de su esplendor, dediquémosle nuestra
constancia y coloquémosla sobre pedestal muy alto; pero todo lo que elevar pueda á la región,
sea para majestad de la patria. Venga la patria pequeña, como usted dice, á robustecer la patria
grande (Buenos Aires 8 de diciembre de 1897) [Segovia 1899, 143].

"Es verdad que V. se llama unitario; pero esto no importa. El regionalismo, lo afirman sus
apóstoles, no tiende á la desmembración de la Patria; [...] El regionalismo da á las naciones el
vigor, la robustez, la vida de que carecen las que están corroídas por la aniquiladora centralización
que de Francia han llevado á España, deslumbrados por la novedad, españoles olvidados de las
saludables tradiciones y de la inapreciable historia de su patria. El regionalismo, como V. me
enseña, es lo que otro de mis ilustres amigos ha definido: la variedad en la unidad, y en el todo la
armonía". (9 de diciembre de 1897) [Castro López 1899, 145].

En el almanaque para el año 1904, el número 7, se puede ver un óleo del pintor Vicente
Díaz González ilustrativo de este planteamiento donde "patria grande" y "patria chica" se
comienzan a identificar dentro de un todo armónico. En la imagen, titulada América,
España, Galicia, González Díaz planea un cuadro alegórico con la representación de tres
Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa

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matronas que, identificadas a través de diferentes atributos perfectamente reconocibles,


se asocian con cada el continente, el país y la región. Si América mantiene todavía
connotaciones propias de la iconografía de C. Ripa, en el caso de España, sólo sus
sandalias, la espada que luce a la cintura y la corona de laurel, junto con la túnica talar de
corte clasicista nos permiten reconocerla como tal. Su posición central y los brazos
tendidos hacia las cinturas de sus dos acompañantes se traducen en ese nexo de unión
que existía entre Galicia y América. Evidentemente hay un reconocimiento de la
españolidad como matriz de la civilización sudamericana que, por estas fechas, estaba
perfectamente asumido. Ahora bien, lo más interesante para nosotros es la alegoría de
Galicia que, además por el traje tradicional gallego se le reconoce por una rueda dentada,
símbolo que sólo puede interpretarse en clave de progreso y empeño industrial.

Fig. 1. Vicente González Díaz. América, España, Galicia. (Almanaque Gallego para el año 1905. Año VII.
(Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008:
841).

3. Paisaje, progreso e historia


Con todas las premisas expuestas se puede plantear un uso tipológico de la imagen
fotográfica durante las tres décadas en las que se publicó el Almanaque Gallego. Dado
que no existe una pauta editorial ni criterios de diseño asociados a los contenidos
recogidos por escrito, sólo resta atender al género y contenido de la imagen para intentar
explicar y justificar la lógica de su utilización. Únicamente en casos puntuales se puede
rastrear una relación clara entre el texto y la imagen. Por ese motivo creemos que éstas
se deben interpretar desde los siguientes parámetros. En primer lugar, como mero paisaje
ilustrativo de la Galicia que cualquier emigrante podría recordar.
Esta sencilla clasificación, en apariencia obvia y evidente, encierra una mayor complejidad
cuando detallamos y sistematizamos las imágenes que nos ofrece el Almanaque Gallego.
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En el primer caso la utilización de la palabra "paisaje" nos traiciona. Si entendemos éste


en términos de género artístico podríamos descubrir multitud de ejemplos en las páginas
del anuario pero no son estos los casos que ahora nos interesan. Por otra parte sería fácil
caer en otra visión simplificadora al entender paisaje en términos básicos de geografía
física: ríos, valles, montes, etc. En el momento en que la pregunta la formulamos desde la
perspectiva de una comunidad emigrante, contagiada por la "saudade" o "morriña" cambia
radicalmente el valor de la imagen fotográfica [Landeira 1970, 55]. Ese paisaje gallego al
que nos referimos es un paisaje femenino, tal como lo describió Unamuno, poco dado a lo
sentimental [Landeira 1970, 16]; se trata de un paisaje con una poderosa carga poética
que se asienta en la lírica del siglo XIX, siendo su mejor ejemplo Rosalía de Castro, y un
referente obligado Eduardo Pondal y su obra O queixume dos pinos de 1886. Ambos
aspectos nutren el imaginario del paisaje gallego que, tal como señala Otero Pedrayo, se
caracteriza por ser un paisaje "prolijamente humanizado" [Otero Pedrayo 1954, 134-138].
En él la orografía es tan relevante como la historia y la vegetación es consustancial al
poblamiento. Esto explica que una de las cuestiones básica para comprender la estructura
del poblamiento gallego, tanto en lo rural como en lo incipientemente urbano, sea
reconocer que sus elementos fundamentales son la aldea como célula inicial de
poblamiento -lugares, casales, barrios-, la parroquia, la villa y, por supuesto, la tendencia
a la dispersión y nuclearización. Desde esta perspectiva hablar de fotografías de paisaje
es hablar de formas de habitación, de la transformación del medio, de la integración de la
naturaleza y el individuo [Sánchez Pardo 2008, 119-132].

Fig. 2: Vista general de Viana del Bollo, Orense. 1906 (Almanaque Gallego para el año 1907. Año IX.
(Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008:
1435).
Fig. 3: Ciudad de Tuy. (Almanaque Gallego para el año 1898. Año I. (Almanaque Gallego por Manuel Castro
López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 117).

Por ese motivo un gran número de imágenes son vistas de ciudades, villas y aldeas, en
las que el núcleo urbano se integra dentro del paisaje, ya sea de montaña, una ría, la
orilla de un río o un valle.
Estas imágenes tienen el poder evocador del recuerdo, son activadores de la memoria de
los lectores del anuario que, en primera instancia, pueden contemplar su "patria grande" -
en este caso Galicia- y su "patria chica", aquellos lugares de donde procedía.
Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa

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Estas fotografías, a modo de vistas, nos permiten reconocer la organización urbana de


cada una de esas aldeas, villas y pueblos, pero también nos dan una valiosa información
sobre su adaptación al medio.
El mejor modo de explicar el valor de estas imágenes lo descubrimos en las palabras
escritas por Giz Gómez en el volumen I de 1898:

Me reprochas que vena á estos lugares y que abandone á los amigos; pero es porque aquí,
mirando esas aguas, á las que no veo fin, me parece más llevadera la vida; creo que aún soy
niño, que juego en aquellas campiñas llenas de flores, que recorro aquellos valles llenos de
misterioso encanto; me parece respirar el salutífero aroma de los pinos, percibir el murmullo del
arroyuelo, el gorgeo de los pájaros, el bramído de las olas, el canto del campesino que regresa á
su hogar con la conciencia tranquila, aunque fatigado el cuerpo [Giz Gómez 1900, 289].

Fig. 4: Malpica. La Coruña. (Almanaque Gallego para el año 1901. Año IV. (Almanaque Gallego por Manuel
Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 1620).
Fig. 5: Castaño secular de Bembibre. Viana del Bollo. Orense. (Almanaque Gallego para el año 1910. Año
XII. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega,
2008: 2035).
Fig. 6: Ciudad de Tuy. (Almanaque Gallego para el año 1898. Año I. (Almanaque Gallego por Manuel Castro
López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 117).

La segunda categoría de imágenes son aquellas en que se ponen en evidencia los


cambios y transformaciones que tuvieron lugar en Galicia tras la partida de muchos de los
residentes en América a finales del siglo XIX. El progreso se convierte en una bandera
necesaria para el regionalismo que, si bien hundía sus raíces en las señas de identidad
históricas, en la tradición y en las costumbres, también entendía que los cambios políticos
sólo se podrían producir si iban asociados a profundos cambios económicos, sociales y
culturales. La reforma y transformación de Galicia se concebía como un proceso complejo
y múltiple, cuyo recorrido debía discurrir a través de la senda del perfeccionamiento
continuo. Desde la perspectiva de las comunidades gallegas argentinas, en especial de
las élites intelectuales el regionalismo liberal estaba vinculado con la idea de impulsar
Galicia lejos de su "postración histórica" a través del progreso y, en especial, gracias al
esfuerzo de las colectividades de emigrantes. El camino para poder llevar a cabo este
ideario reformista pasaba por una formación moral, material y cultural del ciudadano
gallego emigrado, apoyada en la idea de la superación de las diferencias de clases que lo
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había forzado a la emigración, dirigida contra el caciquismo y el funcionamiento de las


instituciones públicas españolas [Núñez Seixa 2014, 414].
Desde este punto de vista es fácil comprender que abunden las imágenes que podrían ser
síntoma de ese progreso y perfeccionamiento continuo. Por una parte estarían aquellas
asociadas con el icono del progreso: el tren. Son numerosas las fotografías de puentes
metálicos y viaductos que ilustrarían el imparable avance del progreso. En menor número
se pueden ver imágenes de actividades fabriles, siendo mayoritariamente las asociadas
con la actividad pesquera. Ahora bien, esas "imágenes síntoma" no se comprenderían sin
tener presente que esa mejora se consigue a través de la educación, de ahí que algunas
fotos hagan referencia a centros de enseñanza y exposiciones locales y provinciales
donde arte e industria convivían, o simplemente a espacios urbanos de convivencia como
plazas, cantones, paseos o alamedas. El progreso también se asociaba con la
transformación urbana y social de la villas y ciudades gallegas [Monterroso Montero 1996,
103-134].

Fig. 7. Viaducto de Redondela á Pontevedra. (Almanaque Gallego para el año 1900. Año III. (Almanaque
Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 303).
Fig. 8: Fábrica Azucarera. Padrón. (Almanaque Gallego para el año 1905. Año VIII. (Almanaque Gallego por
Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 1121).

Por último, el tercer apartado atiende a aquellas imágenes que recogen en sus
monumentos parte de su historia y, con ella, aquellos elementos que, desde un punto de
vista patrimonial, se podrían reconocer como singulares de cada una de las provincias
gallegas.
Es este el capítulo más amplio y, con toda seguridad el que menos explicación precisa. El
pensamiento regionalista compuso un conjunto de encendidas referencias a la historia, la
tradición y la cultura, como elementos singulares y diferenciadores de Galicia. En este
sentido las artes desempeñaban un papel fundamental al concebirse como una constante
eterna, expresión de la libertad, independencia e individualidad de un pueblo; también se
interpretaban como evidencia de que el distanciamiento de Galicia, decadente y atrasada,
frente a otros pueblos culturalmente más avanzados era un proceso que se podía invertir.
En este caso la selección de hitos monumentales es muy variada y, si bien es cierto que
aquellas glorias más significativas y reconocibles, vinculadas con los grandes estilos
históricos dominantes -románico y barroco- son las más numerosas, la selección gráfica
Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa

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sorprende por la variedad de elementos seleccionados. Esta se debe explicar por el


creciente interés que el arte adquiere en el siglo XIX como testimonio histórico.

Conclusión
Como se ha podido comprobar, en el caso de el Almanaque Gallego, lo mismo que en
otros muchos semanarios y periódicos vinculados con la emigración gallega, la fotografía
desempeñó un papel fundamental. Incluso en casos como el presente, donde podría
pensarse en un carácter anecdótico, complementario y servil del texto, se puede constatar
que se asume a la perfección el ideario regionalista de sus editores. Al igual que el texto,
la imagen se convertía en soporte de unas ideas que siempre tenían presente a Galicia;
que, apoyándose en su valor rememorativo y emotivo, permitían a las élites intelectuales
emigradas transmitir a sus compatriotas el orgullo de ser gallegos.

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento


Galician landscape narrated by the British travellers of the 19th century
MARÍA RIVO VÁZQUEZ
Universidade de Santiago de Compostela

Abstract
After being systematically excluded from the Grand Tour, in the 19th century Spain
became an appealing destination for European travellers. Most of the foreigners were
looking for the riveting orientalism of Southern Spain, but the scarcely known regions from
the North achieved to hold the attention of a few as well.
The goal of this paper is to find, compare and analyse significant examples of descriptions
of Galician landscape written by British travellers during the 19th century. A task that will
be carried out by using studies on travel literature in Spain such as those of Lucile and
Bartolomé Bennassar, Arturo Farinelli, Raymond Foulché-Delbosc, José García Mercadal
and Carlos García Romeral; as well as digital libraries such as ‘Europeana’ and ‘Archive’.

Parole chiave
Viaggiatori britannici, Galizia, Paesaggio, Ottocento, Letteratura odeporica
British travellers, Galicia, Landscape, 19th century, Travel literature

Introduzione
Gli itinerari tradizionali del Grand Tour, viaggio formativo in Europa dei giovani britannici
aristocratici, a partire dalla fine del Seicento, non avevano mai interessato la Spagna.
Infatti le scarse aspettative riguardo i suoi paesaggi e il suo patrimonio e, soprattutto, le
pessime condizione di viaggio non avevano attirato i giovani viaggiatori stranieri dalla
Penisola Iberica. Tuttavia nell’Ottocento, grazie al contatto che alcuni avevano avuto con il
territorio peninsulare durante la Guerra d’Indipendenza, grazie al Romanticismo e alle
migliorie apportate alle vie di comunicazione, la situazione iniziò a cambiare. Il sud, con il
suo passato arabo dal sapore esotico, cominciò ad attrarre, mentre il nord-ovest, dove le
difficoltà di viaggio erano maggiori e il paesaggio più simile a quello del resto d’Europa,
restò probabilmente la parte meno esplorata [Muñoz Rojas 1981, 13-14]. Ciononostante, a
poco a poco gli stranieri iniziarono ad addentrarsi anche in questi territori, in alcuni casi
lasciando testimonianze scritte della propria esperienza e con interessanti descrizioni dei
paesaggi osservati; testi per la maggior parte lasciati da inglesi e francesi, le nazionalità
più presenti tra i viaggiatori [Serrano 1993, 47-79].
Affinché ci sia paesaggio si devono dare due condizioni: territorio e sguardo. Senza la
realtà materiale di un territorio non si può parlare di paesaggio, ma è lo sguardo, la sua
percezione, che gli conferisce unità e indipendenza conferendogli valore in se stesso. Si
tratta, in ultima analisi, di un’idea estetica, di un costrutto mentale con diverse evoluzioni in
ogni cultura e per il cui studio ci si basa su testimonianze molto diverse [López Silvestre
2004, 13-14] tra le quali quella della letteratura di viaggio risulta particolarmente
significativa. Infatti, come nota Peter Burke, la letteratura odeporica rispecchia pregiudizi
che precedono il viaggio basati su luoghi comuni, formule e convenzioni che la rendono
Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

MARÍA RIVO VÁZQUEZ

una «delle fonti più eloquenti della storia culturale» [Burke 2000, 127], uno specchio che
trascende l’immagine del visitato – il territorio – per restituirci l’immagine del visitante – lo
sguardo.
In Galizia, la regione più nordoccidentale della Penisola Iberica, l’idea del paesaggio
impiegò tempo a suscitare lo stesso interesse che a partire dall’inizio dell’Età Moderna si
era imposto nel resto d’Europa [López Silvestre 2004, 15-16]. Tuttavia in Gran Bretagna
l’evoluzione del giardino e la teorizzazione intorno ai concetti di sublime, bello e pittoresco
nel corso del Settecento segnarono profondamente la forma di guardare al territorio a
partire da quel momento [Darby 2000, 53; Maderuelo 2004, 7-43].
Il fine di questo lavoro è studiare le descrizioni del paesaggio della Galizia nella letteratura
di viaggio inglese dell’Ottocento. A questo scopo dopo aver consultato gli studi di Lucile e
Bartolomé Bennassar [1998], Arturo Farinelli [1920], Raymond Foulché-Delbosc [1896],
José García Mercadal [1999] e Carlos García Romeral [1999], così come le biblioteche
digitali Europeana e Archive, sono stati selezionati i testi dei seguenti viaggiatori: John
Milford [1816], Josiah Conder [1826], Henry John George Herbert [1836], Thomas Roscoe
[1838], George Borrow [1843], Samuel Widdrington [1844], Richard Ford [1845], George
Street [1865], Charles Wood [1883], e John Lomas [1884].

1. Il paesaggio bello
In generale si può dire cha la nostra idea di bellezza, ereditata dai greci, si basa su ordine,
proporzione e armonia. Ma l’evoluzione del concetto ha generato numerose teorie e tipi di
bellezza: la bellezza romantica è molto diversa da quella classica, la bellezza in senso
stretto. Partendo da una concezione intellettuale e razionale, basata sull’imitazione di una
natura idealizzata, durante l’Illuminismo si iniziò a ricercare una bellezza basata anche
sull’immaginazione e i sensi e che potesse suscitare emozioni. Così, a partire dal
Settecento le categorie estetiche del sublime e del pittoresco hanno completato e
addirittura rivaleggiato con quella del bello, una situazione alla quale ha contribuito
notevolmente l’opera dell’inglese Joseph Addison, che a principio del secolo stabilì tre tipi
di «piaceri dell’immaginazione» [Maderuelo 2004, 7-20; Marchán Fiz 2007, 22-29;
Tatarkiewicz 1987, 120-122, 172-174, 185-191, 219-230].
La bellezza, che autori come Edmund Burke definirono allora come una qualità delle
piccole cose, lisce, morbide dai cambiamenti graduali e forme precise ma delicate e
ondeggianti, consentì di classificare il paesaggio bucolico e umanizzato che fino a quel
momento non era inseribile in nessuna delle due categorie. [Hussey 2013, 89-128; Milani
2007, 140-144]. Non a caso un tratto frequente nei paesaggi che i viaggiatori analizzati
sembrano inserire nella categoria del bello sono proprio le coltivazioni. Lungo il tragitto tra
Santiago e Vigo, Milford osserva che è «interspersed with vineyards and groves of lemon
and orange trees, forming a landscape beautifully romantic» [MILFORD 1816, 69], mentre
Pontevedra si presenta «pleasantly situated upon a hill, from whence there is a fine view
of the sea on one side, and of the hills covered with luxuriant vineyards on the other. There
is a handsome bridge here» [MILFORD 1816, 68]. Dal canto suo, Henry Herbert descrive i
dintorni di Vigo e A Coruña come «a pleasant and inclosed country» [HERBERT 1836, 124].
E Roscoe afferma che il territorio intorno a Santiago «presenting the appearance of a
small peninsula, formed by the rivers Tambre and Ulla, is rich and fertile, the whole plain
and environs being watered by these streams, which give beauty and freshness to every
object» [ROSCOE, 95-96].
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Secondo Widdrington, Betanzos si trova in mezzo a «an enormous vineyard, unbroken by


any other cultivation» [WIDDRINGTON 1844, 160], e da lì il cammino verso A Coruña è
«one of the very best and most pleasing in Spain. The country is highly diversified, and
richly cultivated, producing all sorts of crops in abundance. The views exhibit mountain
and water in the greatest perfection, being finely broken and designed» [WIDDRINGTON
1844, 161]. Padrón gli sembra «a large straggling village in a beautiful valley, watered by
the Ulla, one of the prettiest rivers I ever saw» [WIDDRINGTON 1844, 205]. Poco dopo aver
lasciato Pontevedra, dove aveva elogiato la vista dall’Alameda, descrive il seguente
panorama: «distant views of the ria of Vigo and the hills beyond it, that cannot be excelled;
there is little in Europe so beautiful or that would better repay a landscape painter for
giving a little time to the novel subjects that might be picked out from this lovely region»
[WIDDRINGTON 1844, 219]. Per Ford «La Coruña is delighful, as the rich country is well
cultivated, and the views, which sweep over mountain and water, superb» [FORD 1845,
651]. Allo stesso modo, vicino Pontevedra la campagna è «rich and fertile», e la città «with
its long bridge, rises on a slope overhanging its beautiful ria and the estuary of the Lerez»
[FORD 1845, 681]. Successivamente la via verso Redondela «is one continued garden, with
charming views of the ria of Vigo», e questo «exquisite scenery continues to Redondela,
which is divided by its river, and connected by a bridge. It stands on the charming lake-like
ria of Vigo, which now opens to the S. W., and is one of the finest bays in this indented
coast» [FORD 1845, 681-682]. La piccola località di Portomarín «is a pretty place, divided by
the river, with a good bridge»; nella vallata di Lemos «The country is rich and pastoral»
[FORD 1845, 686]; e Ribadeo «is a sweetly situated town on its beautiful ria or bay,
abounding in fruit, vegetables, and excellent fish. The Castillo commands the lovely bay,
which is spread out like an indented lake» [FORD 1845, 688].
Secondo Street,

La Coruña is charmingly situated, facing a grand landlocked bay, but on the inner side of a narrow
ridge, a short walk across which leads to the open sea, which is here very magnificent. The views
of the coast (…) are of unusual beauty, and it is rarely indeed that one sees a more attractive
country [STREET 1865, 136].

E, per concludere, i commenti di Wood sulla Ría de Arousa sembrano coincidere


perfettamente con l’ideale di bellezza auspicato da Burke:

we suddenly faced the blue waters of the bay. The land stretched round in a circle of wavy hills and
undulations. (…) The air was light and ethereal; the sky a blue we dream of in England, but never
see. Existence was a pleasure, in such a spot almost a rapture [WOOD 1883, 70].
The whole country undulated and divided into fertile plains, valleys and hills, here barren and
rocky, there clothed with soft and soothing verdure [WOOD 1883, 52].

In ogni caso, termini quali «beautiful», «pretty», «charming», «pleasant», «rich», «fertile»,
«lovely», «delighful», «pastoral», «sweetly», «soft» e «soothing» risaltano la presenza
dell’ideale romantico di bellezza in tutti i passi citati.

2. Il paesaggio sublime
Il concetto di sublime si originò nell’Antica Roma nell’ambito della retorica, ma solo nel
Seicento entrò nel dibattito delle idee estetiche e a partire dal Settecento conquistò

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

MARÍA RIVO VÁZQUEZ

importanza in Gran Bretagna, grazie in particolare all’influente trattato di Edmund Burke


che lo contrappose a quello di bello. Sebbene le caratteristiche del sublime cambino da un
autore all’altro, le più diffuse sono la grandiosità, l’elevazione, l’immensità, l’infinità,
l’oscurità, il vuoto, la capacità di spaventare, divertire o affascinare, e tutte quelle proprie
delle cose attraenti ma opprimenti e spaventose [Burke 1990; Hussey 2013, 89-128; Milani
2007, 128-135; Tatarkiewicz 1987, 203-206].
Milford è uno degli autori che sembrano più inclini a descrivere il paesaggio contemplato
nel suo viaggio in Galizia con la categoria del sublime. È così che narra, ad esempio, la
sua prima vista di A Coruña, «a striking view»:

The noble range of Galician mountains, which like dark clouds bound the eastern horizon; the
black barren perspective of the surrounding shores, receding in misty distance, washed by the
rolling floods of the Bay of Biscay, and the dreary uncultivated appearance of the neighbouring
heights; (…) gave me no favourable idea of my destined winter’s residence [MILFORD 1816, 3].

Ma la poetica del sublime si rivela ancora più potente nel suo racconto di un’escursione
nel territorio della piccola località di Xubia, vicino Ferrol:

we had arrived in the midst of the mountains, whose extensive woods and bold scenery grave
fresh delight to our diversion; when night suddenly overtook us; the clouds lowered, and the
approaching storm obliged us to take shelter in a small cabin at the foot of a stupendous precipice,
over whose craggy summit roared an impetuous cataract [MILFORD 1816, 44-45].

Sebbene senza raggiungere lo stesso livello di intensità, anche Conder osserva come
nella baia tra Ferrol e A Coruña «the sea is almost always tempestuous» [CONDER 1826,
206]. La costa era probabilmente uno dei luoghi più suscettibili di essere visti come
sublimi. È quanto accade nella descrizione che Borrow fa della Ría de Vigo:

it is defended by steep and sublime hills, save on the part of the west, where is the outlet to the
Atlantic; but in the midst of this outlet, up towers a huge rocky wall, or island (…). The waters are
dark, still, and deep [BORROW 1843, 215-216].

E in modo ancora più evidente nel racconto del suo viaggio a Fisterra, dal cui capo, dice,
«On all sides there was grandeur and sublimity» [BORROW 1843, 257], osservando una
fine del mondo «beyond which there was a wild sea, or abyss, or chaos», proprio come lo
aveva immaginato. Con le parole dello stesso Borrow:

I now saw far before me an immense ocean, and below me a long and irregular line of lofty and
precipitous coast. (…) There is an air of stern and savage grandeur in every thing around, which
strongly captivates the imagination [BORROW 1843, 249-250].

Nel caso di Widdrington, Mondoñedo è una delle zone che lo condusse a evocare con più
intensità il sublime:

the situation of that place is extremely good, being towards the head of an Alpine valley, with fine
character in the landscape, and the remains of the ancient forest still standing in scanty fragments
[WIDDRINGTON 1844, 154].
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From the summit of the town there is a long and dreary cuesta or hill of nearly a league (…). All
this upper region is wild and almost uncultivated, excepting in scanty patches [WIDDRINGTON
1844, 155].

Ciononostante, arrivando a Betanzos si trattenne «near the summit of the pass, from
which is a most extensive and magnificent view over the north of Galicia, and the ocean
beyond it» [WIDDRINGTON 1844, 160].
Stando a Ford la posizione e le caratteristiche di Ferrol soddisfacevano i requisiti del
sublime, fatto che senza dubbio contribuì al semiabbandono in cui doveva versare
l’arsenale durante la sua visita: «the glorious situation of this harbour scooped out by
nature is very striking, while art has defended the narrow entrance by the two (…). (…) the
immense bay is almost without a sail, the basins and magazines empty» [FORD 1845, 657-
658].
Anche il suo arrivo a Santiago ebbe qualcosa di sublime: dopo nove ore di viaggio «over a
desolate country», Ford riporta come

the dark granite towers of Santiago first catch the wayworn traveller’s eye, and the deep-mouthed
tolling bells salute his ear. It is indeed a grand and impressive sight. To the r. Rises the barren
rocky Monte Dalmatico, while the green slope to the l. is crowned with the convent Belvis, and
beyond stretch undulating hills and distant mountains [FORD 1845, 660].

Sebbene pare fosse entrato in città da un altro versante, egli concordava con Wood,
secondo il quale «The approach to the town is striking» [WOOD 1883, 54]. Lomas, dal
canto suo, dovette provare una sensazione simile a A Coruña; infatti nel suo testo osserva
che «the place is gloriously situated upon its vast, landlocked bay, and sloping hills»
[LOMAS 1884, 406].

3. Il paesaggio pittoresco
Originatosi come conseguenza di una serie di idee nate nell’ambito dell’empirismo inglese,
l’affermazione del concetto di pittoresco in campo estetico alla fine del Settecento si deve
soprattutto ai testi degli ingleso Uvedal Price, Richard Payne Knight, Humphry Repton e
William Gilpin, sebbene ebbero un ruolo importante anche la pittura di artisti come Nicolas
Poussin e Claudio de Lorena e lo sviluppo del giardino paesaggistico nel corso del secolo.
Si tratta pertanto di un’idea centrale nella cultura britannica, quanto meno a partire dalla
metà del Settecento, che, di fatto, è intimamente legata «al gotico, al medievale e al
rurale, riassumendo, al britannico» per dirlo con le parole di Javier Maderuelo [Hussey
2013; Maderuelo 2004, 7-43].
Il pittoresco, strettamente vincolato al paesaggio, si basa su valori plastici quali il
cromatismo, le consistenze e i giochi di luce e ombra. Queste qualità formali
caratterizzano le rovine, capanne, montagne impervie, rocce frastagliate, alberi nodosi,
animali selvaggi o dal pelo irsuto e in generale tutti quegli elementi della natura
caratterizzati da irregolarità, cambiamenti bruschi, rugosità, ruvidezza o deformità [Hussey
2013; Maderuelo 2004, 7-43; Milani 2007, 121-128]. Elementi che, sebbene costituiscano
un insieme gradevole, difettano dell’armonia, della levigatezza e della morbidezza del
bello e dell’eroismo e della capacità di provocare turbamento o timore che resta propria
del sublime.

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

MARÍA RIVO VÁZQUEZ

Nella sua descrizione dell’entrata in Galicia da O Cebreiro, Conder sembra soffermarsi


con particolare compiacimento su ciò che potremmo considerare la componente pittoresca
del paesaggio:

From Villa Franca to Castro is one continued ascent up Monte del Cebrero (…), through one of the
wildest, most delightful, and most defensible countries in the world. The road is a royal one, cut
with great labour and expense in the side of the mountain, and following all its windings. For some
part of the way, it overhangs the river Valcarce, a rapid mountain stream (…). Oaks, alders,
poplars, hazels, and chestnuts grow in the bottom and far up the side of the hills; the apple, pear,
cherry, and mulberry are wild in this country; the wild olive is also found here; and here are the first
vineyards which the traveller sees on his way from Coruña into the heart of Spain. The mountains
are cultivated in some parts even to their summits, and trenches are cut along their sides for the
purpose of irrigating them [CONDER 1826, 200].

Sebbene in modo più conciso, anche l’uso di determinati aggettivi svela la presenza
dell’estetica del pittoresco dietro molti dei commenti di Henry Herbert. Del porto di Vigo, in
primo luogo, dice che «rather resembles a great lake, surrounded by high hills, than an
inlet of the sea; for its entrance is guarded by rocky islands which break the force of the
waves» [HERBERT 1836, 123]; e della via tra Santiago e A Coruña osserva che «Little
towns and villas studded the country» [ HERBERT 1836, 131].
A giudicare dalle descrizioni di Roscoe, Widdrington e Street, oltre quella già citata di
Conder, quella che è l’odierna provincia di Lugo corrispondeva in modo particolare all’idea
di pittoresco dei britannici. Per Roscoe la via dalla città di Lugo a Santiago si svolgeva tra
«beautiful avenues of trees, over steep hills, several woods of chestnuts trees, and
through a few wild passes in the mountains», al di là dei quali «there are the same
productions, the same sort of fields, and numerous flocks and herds» [ROSCOE 1838, 95].
Widdrington racconta come viaggiò «through broken corn lands and other cultivated
ground, interspersed with trees» fino a dei «wild and open heaths with hills of gradual
elevation, reminding me very much of some part of the country on the borders of
Scotland» per poi, dopo aver evidenziato la ricchezza forestale della zona, commentare
come «The roads or rather paths were very numerous, each scattered hamlet or single
house having its own line» [WIDDRINGTON 1844, 158-159]. Infine Street descrive il suo
viaggio da Lugo a Santiago come «pleasant so far as the country is concerned», per
quanto «is somewhat like that of the Yorkshire moors, diversified here and there by
beautiful valleys, the sides of which are generally clothed with chestnut, but sometimes
with walnut, oak, and stone-pines. The heaths were in full flower, (…) and here and there
were patches of gorse» [STREET 1865, 140]. Paesaggi, in conclusione, caratterizzati dalla
varietà e dalla irregolarità.
Ford, uno dei viaggiatori più prolissi, descrive a sua volta il paesaggio osservato nel suo
viaggio da Lugo a Santiago con un tono evidentemente pittoresco:

After crossing the Miño by a noble bridge, ascend the chestnut-clad heights, and look back on the
grand view of Lugo, with its cathedral and long lines of turreted walls. Hence over swamps, moors,
rivers, and detestable roads, to Sobrado, situated on the fine trout-stream the Tambre. The village
clusters round a Bernardine convent, once lord of all around. (…) everything is in contrast with the
lowly village [FORD 1845, 659-660].
Delli Aspetti de Paesi

Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio / Old and new Media for the Image of the Landscape - I

Una volta a Santiago, la città appare «damp, cold, and gloomy-looking», ma con belle
vedute da vari punti elevati grazie alla sua ubicazione, che è «very picturesque» essendo
un «uneven, irregular site» [FORD 1845, 668 e 678]. E analogamente potremmo ascrivere
alla categoria del pittoresco la sua descrizione di Corcubión – «a poor fishing town placed
on a slope on a charming Ria; the port (…) was once defended by two now dismantled
forts» [FORD, 679] –; e Tui – «regularly built and walled round, but now it is decayed and
decaying; yet the climate is delicious» [FORD, 684].
Per quanto riguarda Wood bisognerebbe citare le sue prime impressioni della Ría de
Arousa:

A long reach of undulating land on each side, alternately barren and cultivated, rocky and fertile.
Green slopes rose above the long white stretches of sand upon the shore, in vivid contrast, and
rocks grey and desolate took their place. Here a cluster of houses (…) gave some idea of life to the
scene: (…) the scenery is sufficiently diversified, the undulations are numerous and varied. Far-off
hills tower in the background [WOOD 1883, 44-45].

Tuttavia una delle manifestazioni più evidenti dell’influenza della categoria del pittoresco
nella percezione britannica del paesaggio galiziano è di fatto l’uso del termine
«picturesque» e delle sue derivazioni. Ford è stato il primo ad impiegarlo, tra gli autori
analizzati in questo saggio. E allo stesso modo Street definisce «picturesque» il paesaggio
pieno di «mountain-like ranges» che scorge a ovest dalla compostellana Plaza del
Obradoiro [STREET 1865, 148]; Wood descrive come «excessively picturesque» [WOOD
1883, 44] la sua prima impressione della Ría de Arousa e «not unpicturesque» la vicina
località di Carril [WOOD 1883, 50.]; e secondo Lomas Ourense è «most picturesquely
placed upon the Miño river» [LOMAS 1884, 405].

Conclusioni
Come detto in apertura, il paesaggio è il territorio passato attraverso il filtro di uno sguardo
che inoltre, se è collettivo, può ripercuotersi nella costituzione del luogo fino a convertirlo
in un bene culturale e in un documento storico [Martínez de Pisón 2009, 39-40]. Ma, dato
che si esprime con parole o immagini, questa costruzione mentale subisce inevitabilmente
una trasformazione che a sua volta è passibile di tante letture tanti quanti sono i suoi
destinatari. E in questo gioco infinito di percezione-ricreazione le parole sono
particolarmente imprecise ed astratte e per tanto interpretabili dall’immaginazione del
destinatario a partire dai parametri della propria mentalità ed esperienza [Marí 2008].
Nonostante ciò, riteniamo possibile concludere che i britannici che hanno visitato la Galizia
nell’Ottocento lessero il paesaggio tenendo in considerazione le categorie estetiche che la
loro cultura aveva costituito a questo scopo nel secolo precedente: il bello, il sublime e il
pittoresco. E anche se ciascuna si è rivelata adatta a diverse zone, nei testi studiati il
territorio galiziano viene identificato essenzialmente con il bello e il pittoresco, mentre il
paesaggio sublime risulta molto più raro. Forse, oltre che per evidenti ragioni geografiche,
anche per quella intima relazione tra i suoi abitanti e la sua natura che tanti autori hanno
evidenziato [Cabada 2015, 41-50] e che nemmeno ai britannici era passata inosservata.
Inoltre, alcune similitudini con il proprio paese, che alcuni paragoni hanno messo in
evidenza, hanno favorito il loro atteggiamento ricettivo. Il paesaggio natale, come diceva lo

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

MARÍA RIVO VÁZQUEZ

scrittore galiziano Vicente Risco, funge da punto di riferimento per valutare tutti gli altri
[Cabada 2015, 45].
Secondo Georg Simmel, il sentimento del paesaggio «solo può vivere nel riflesso del
sentimento dello spettatore», le sue caratteristiche sono quelle del soggetto che lo
contempla, del soggetto che lo costruisce a immagine e somiglianza sua e del suo mondo
[Marí 2008, 152; Milani 2007, 51-55]. Ma non vi è dubbio che diverse realtà risvegliano
idee e sentimenti diversi [Berque 2009, 17]. E in questo senso persino uno stesso territorio
presenta variabili quali la vegetazione, il clima, le condizioni metereologiche, il momento
della giornata o dell’anno e, naturalmente quelle che sono frutto della mano dell’uomo. Il
paesaggio, inteso come sguardo e territorio, non è mai imparziale.

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http://www.europeana.eu/portal/ (consultato 3 maggio 2016)
https://archive.org/index.php (consultato 3 maggio 2016)

Note
Riferimenti dell’autore: Contratto predottorale “FPU”, Ministero dell’Istruzione di Spagna. Gruppo di ricerca
“Iacobus. Proyectos y estudios sobre patrimonio cultural” (GI-1907). “Programa de Consolidación e
estructuración de ͒Unidades de investigación Competitivas” (GRC2013-036) e «Programa ͒de
Consolidación e estructuración. Redes» (R2014/024), Xunta de Galicia.

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