Quaderni
di AION AION - Annali di Archeologia e Storia Antica - Quaderni
Figura versatile, ugualmente vicina a un gran- Series - Series Minor 3 -
Minor
de egittologo, Sergio Donadoni, e all’autore di
-3-
Storicità dell’arte classica, Ranuccio Bianchi
La dimensione
Bandinelli, Ida Baldassarre ha dedicato la sua
opera di studiosa e di docente alle molteplici
1
forme di “comunicazione” dell’antico, dal lin-
del passato
guaggio storico-artistico alla semantica,
LA DIMENSIONE DEL PASSATO SCRITTI DI ARCHEOLOGIA E CULTURA DI IDA BALDASSARRE
all’antropologia e al nesso tra iconografia e
iconologia.
Direttrice di scavi in Cirenaica, in Egitto e in
Nubia, ma anche in aree urbane dell’Italia, a
Roma e a Napoli prostrata dal terremoto, ha
fatto della traversata delle frontiere il suo co- Scritti di archeologia e cultura di
1
stante impegno. E proprio a Napoli, nel 1978,
quando l’Istituto Universitario Orientale si
aprì al confronto tra le sue anime tradizionali
Ida Baldassarre
(l’Oriente e l’Africa) e l’Occidente greco e ro-
mano, fu naturale chiamarla a ricoprire l’inse-
gnamento di Archeologia e Storia dell’Arte
Greca e Romana, incarico che ha impegnato
tutta la sua vita accademica, formando le nuo-
ve leve dell’università e delle soprintendenze.
ISBN 978-88-6719-210-6
Napoli 2020
(due tomi indivisibili)
AION
Annali di Archeologia e Storia Antica
Quaderni
- Series Minor 3 -
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
Immagine di copertina:
Foto dalla finestra della casa di Ida Baldassarre a via dei Vecchiarelli 32 - Roma
La dimensione
del passato
Scritti di archeologia e cultura di
Ida Baldassarre
Tomo 1
Napoli 2020
Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo
Distribuzione
Università degli Studi di Napoli L’Orientale
Dipartimento Asia Africa e Mediterraneo
Piazza San Domenico Maggiore, 12 (Palazzo Corigliano) - 80134 Napoli
Indice
TOMO 1
LO SGUARDO ........................................................................................................................................................................................................ 39
1. La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva .................................................. 41
2. Arte plebea. Una definizione ancora valida? ....................................................................................................... 63
TOMO 2
Bruno d’Agostino
Becatti. La grande novità era costituita dal lavoro d’équipe, svolto in un clima di
cameratismo in cui la direzione scientifica era garantita dalla naturale autorevolez-
za di Ida; nuovo fu anche il metodo di registrazione dei dati. Si sentì infatti l’esigen-
za di garantire l’uniformità e la completezza delle informazioni, procedendo alla
elaborazione di una scheda con campi uniformi predeterminati. Solo alcuni anni
dopo questa scelta venne valorizzata da altre, più compiute esperienze, come quella
dell’Istituto Centrale per il Catalogo, sotto la guida ferma e illuminata di Franca
Badoni Parise. L’adozione di questo sistema innovativo era imposta dalla concezio-
ne, tutt’altro che scontata, dello scavo archeologico come operazione conoscitiva di
tipo contestuale. Per rendersi conto dello scarto rispetto all’approccio tradizionale
dell’archeologia di terreno basta considerare la distanza del nuovo intervento all’I-
sola Sacra dalla povertà dell’approccio che aveva informato lo scavo degli anni ‘30,
a seguito del quale era stata rimessa in luce la necropoli: l’oggetto della ricerca non
è più il monumento funerario, ma il complesso sistema di relazioni che lega i singo-
li elementi del sepolcreto, e questi vengono considerati come componenti del siste-
ma funerario nel suo divenire storico. Ma, più ancora della ricostruzione di un seg-
mento culturale determinato nel tempo e nello spazio, al centro dell’interesse è l’o-
perazione conoscitiva stessa, e questo spiega la capacità straordinaria di coinvolge-
re nel lavoro i membri del gruppo.
Questa concezione dello scavo come processo conoscitivo, e dell’attività dell’ar-
cheologo simile a quella dell’etnologo che opera sul campo, fornisce la chiave per
comprendere la straordinaria apertura a universi distanti fra loro, nello spazio e nel
tempo: quello che interessa è la dimensione del passato, nel suo diverso atteggiarsi
nel concreto storico.
Il primo impegno (1962-1965), anteriore a quello dell’Isola Sacra, era stata la
partecipazione al salvataggio dei monumenti durante la costruzione della Diga di
Assuan, sotto la guida di Sergio Donadoni e di Sergio Bosticco: un intervento in
condizioni estreme, al limite della sopravvivenza. Poco dopo, negli anni dal 1978 al
1982, la partecipazione allo scavo di Antinoe, iniziato da Bosticco nel 1965. Anche
in questo caso una esperienza pionieristica, se si pensa che l’unica sommaria rappre-
sentazione cartografica del sito antico era contenuta nella carta dell’ansa del Nilo
nella Description de l’Égypte di Jomard (1818). Il primo risultato importante fu la
realizzazione di una pianta del sito, compito reso possibile solo dalla straordinaria
capacità del compianto Ezio Mitchell. La ricerca sul terreno nasce dal desiderio di
comprendere il senso particolarissimo di quella città costruita da Adriano sul sito
di un tempio ramesside e su un insediamento protodinastico; l’esigenza dichiarata
è quella di celebrare la memoria di Antinoo, che in prossimità del luogo era caduto
nel 130 d.C. E tuttavia, come Ida tiene a precisare, la città non può considerarsi alla
10 La dimensione del passato
Il rapporto con il territorio si impose nei fatti, dopo il tremendo sisma del 23
novembre del 1980. La collaborazione degli archeologi operanti in Campania ven-
ne sollecitata in primis per Pompei, in una generosa avventura collettiva che vide
impegnato anche l’esercito, con i suoi tecnici topografi. Il compito era quello di
procedere, regio per regio, insula per insula, a rilevare i danni provocati dall’evento.
Un impegno più totalizzante, che richiedeva anche competenza nella gestione
del patrimonio urbano, fu necessario quando si profilò in maniera drammatica la
necessità di arginare una incombente, nuova cementificazione del centro antico di
Napoli. Il problema riguardava in primo luogo la cd. acropoli, trasformata in citta-
della conventuale al tempo della Controriforma, e poi in grande Policlinico univer-
sitario in età umbertina. L’ottica radicata nella gran parte degli urbanisti napoletani
era di stampo ‘monumentalista’. Nessuno metteva in discussione l’idea perversa di
‘isolare’ il teatro antico restituendolo ai fastigi dell’età neroniana; per il resto era
stato predisposto un modernissimo progetto di ricostruzione del Policlinico, dotato
di mirabolanti infrastrutture sotterranee. La battaglia solitaria di un gruppetto di
docenti dell’Orientale, condivisa da Attilio Stazio e autorevolmente appoggiata da
Giovanni Pugliese Carratelli, mirava invece a recuperare il palinsesto, procedendo
- attraverso una oculata selezione - all’armonizzazione tra le diverse fasi della stra-
tificazione urbana.
Ne scaturì un ambizioso progetto che trovò il suo punto di forza nella capacità
visionaria di Roberto Einaudi e venne presentato, in tutta la sua concretezza, in
occasione del venticinquesimo convegno di Studi sulla Magna Grecia, svoltosi a
Taranto nel 1985; uno dei punti di forza del progetto era il recupero, in una prospet-
tiva contestuale, del teatro antico, grande scomparso dalla coscienza locale, con
qualche gloriosa eccezione, come quella dell’Abate Celano (1792). Contro ogni
previsione, e grazie a qualche urbanista illuminato, il punto di vista adottato nel
progetto fu recepito dal piano urbanistico, e - almeno per quel che riguarda il teatro
- trovò una efficace realizzazione, grazie all’impegno della Soprintendenza, nella
persona di Daniela Giampaola. Ida fu al centro del difficile e lungo intervento, ed
ebbe un ruolo importante nella impostazione e nella conduzione dell’impresa.
L’immagine dell’antica Neapolis, città greca, di cultura raffinata, esercita su di lei un
fascino particolare; la sua cultura elitaria si riflette nella ricercata decorazione di-
pinta delle sue tombe monumentali, con la loro esclusiva adozione del masonry
style, che non indulge all’uso di scene figurate, ma si concede qualche virtuosismo
in un alcuni piccoli dettagli. L’ammirazione per questa antica capitale si manifesta
nell’insistito accostamento con le punte più alte della cultura dell’epoca, la Mace-
donia e Alessandria.
12 La dimensione del passato
Fig. 1 - Ida nel suo studio con Gabriella d’Henry (2014), a destra Ida con Luca Cerchiai
in occasione della presentazione del volume Le rotte di Odisseo (Napoli 2012).
Nello scrivere queste poche righe ha preso corpo, quasi senza che me ne rendessi
conto, una figura che non è soltanto quella di una raffinata storica dell’arte classica,
ma quella di una studiosa che è in grado di restituire una voce all’evidenza archeo-
logica, e impone consapevolezza critica alle scelte sul terreno. Risalta l’importanza
del suo ruolo in ambiti come l’archeologia urbana, l’ideologia funeraria, ben al di là
di quanto non possa apparire dalla titolografia accademica, penalizzata da una
scelta ‘socratica’, per la quale l’importanza della parola, dell’insegnamento, ha la
meglio sulla scrittura e la rappresentazione del proprio impegno, un caso - si direb-
be - di affinità elettive, se un grande storico, rigoroso e inclemente, come Ettore
Lepore sentiva il bisogno di dichiarare il suo apprezzamento per la sua relazione
sulla forma urbana di Neapolis in età romana.
Molto altro si dovrebbe dire del magistero di Ida nel campo dell’iconografia,
della storia della pittura, della ‘ideologia funeraria’. Per non essere stucchevole, mi
limiterò a dire che una visita con lei alle vetrine sull’arte della Magna Grecia nel
Museo di Taranto, in occasione di uno dei rari convegni frequentato insieme a lei,
mi ha insegnato - sul rapporto tra la Macedonia, Alessandria e l’Occidente - più di
quanto non avrei potuto apprendere da una lunga visitazione dei testi. E non fu
l’unica volta….
Ida per noi 13
Emanuele Greco
I da Baldassarre è stata una delle, se non la prima, personalità di alto profilo scien-
tifico che ho incontrato a Roma quando vi sono arrivato agli inizi degli anni ’70.
Venivo dalla provincia pugliese Taranto (città natale) e Bari dove avevo studiato
con Mario Napoli e con grecisti come Carlo Ferdinando Russo, Luciano Canfora e
latinisti come Virgilio Paladini e Paolo Fedeli. Ma, ad onta dell’alta levatura di tali
maestri, sempre un provinciale rimanevo, sbarcato nell’Urbe per affrontare la vita
alla fine del primo quarto di secolo della mia esistenza. A Bari, Paolo Moreno, allo-
ra assistente ordinario, ci parlava con toni entusiastici dei Dialoghi di Archeologia,
della rivista e del gruppo che ruotava intorno a Bianchi Bandinelli ed ai suoi allievi.
Il sogno di Paolo, che più tardi si realizzerà, era quello di raggiungere “la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto che sovra li altri com’aquila vola”, Ranuccio
Bianchi Bandinelli ed il suo esclusivo Umkreis. Intanto, avevo conosciuto Bruno
d’Agostino, allora con Gabriella d’Henry, ispettore della Soprintendenza di Saler-
no, che era una specie di sirena ammaliante per i più giovani ed è facile spiegare il
perché: si stava nel mezzo di quella fase postsessantottina che ha segnato il supera-
mento di una società e di una cultura tradizionali che venivano a fatica ad essere
soppiantati dal nuovo. Con tutte le guerre feroci che accompagnarono quella tran-
sizione. Guerre accademiche ben inteso, non ho la pretesa di riferirmi ad altro.
Bruno portò a Dialoghi me ed Angela Pontrandolfo, e lì incontrammo Ida, che,
detto con il senno di poi, era una delle poche persone lucide e veramente autonome,
senza condizionamenti ideologici ma franca e libera, veramente libera nel senso più
pieno della parola, all’interno di quel gruppo dominato da protagonisti e prime-
donne. Al mio impaccio, condito da imbarazzo, manifestato mentre lei mi parlava
ed io la pregavo di tacere per non incorrere nel rimprovero del presidente dell’as-
semblea in occasione del mio ingresso nel ‘gruppo’, ella mi rispose (non lo dimenti-
cherò mai) con il suo squillante accento di Suzara: “ma dài, siamo cittadini, non
sudditi”. Anche Ida veniva da Bari, nella cui università si era laureata, ma, pur es-
sendo nata a Terlizzi in provincia di Bari, l’impronta mantovana aveva agito su di
lei e su Anna sua sorella in modo indelebile durante il soggiorno adolescenziale a
Suzzara. Indimenticabili le domeniche a pranzo con le sorelle Baldassarre e la loro
mamma, la signora Iole, con gli esilaranti racconti nel corso dei quali parlavano in
barese con accento mantovano, le figlie, e veronese, la madre. A Bari Ida aveva de-
dicato la sua prima monografia, che le era valsa anche un premio, un lavoro d’insie-
me che poteva fare solo chi come lei era in grado di spaziare dall’antichità al Medio-
evo; quel libro resta ancora una valida base di partenza per lo studio di quella città.
Poi Ida era passata alla Sapienza ed era stata ‘catturata’ da Ranuccio Bianchi Ban-
14 La dimensione del passato
dinelli. Qui si realizza l’evento che, a mio avviso, la segna sul piano scientifico ed
umano nel modo più marcato: il coinvolgimento nella redazione dell’Enciclopedia
dell’Arte Antica, quel fenomeno di efficienza e monumentalità culturale che ha
dell’incredibile se rapportato alla brevità del tempo, i solo 10 anni occorsi per com-
porre e stampare i primi VII volumi. Mi narrava Ida che, nella sede della redazione,
Bianchi Bandinelli arrivava talvolta con un cartoccio di caldarroste bollenti, l’unico
modo per riscaldarsi le mani e lavorare nelle lunghe e fredde serate invernali senza
termosifoni. Poi, dopo la scomparsa di Bianchi Bandinelli nel 1975, Ida ha conti-
nuato a lungo a collaborare in qualità di redattrice dell’Enciclopedia, come Nicola
Parise al ‘Biografico degli Italiani’ e Luigi Moretti, altro maestro indimenticabile,
alla redazione centrale, solo per citare alcune delle personalità più eminenti di quel
momento che lavoravano anche alla Treccani.
A mio avviso, l’esperienza all’Enciclopedia è fondamentale per capire quello che
Ida è stata per l’archeologia italiana. Non solo, ciò che è evidente, per la mole di
argomenti in cui si imbattevano i redattori, con tutte le ricadute sulla formazione di
rilevanti personalità scientifiche, ma per lo sviluppo di una capacità pedagogica che
ha fatto di lei una delle migliori docenti di archeologia classica dell’Università ita-
liana. Lo dico a ragion veduta, potendo citare decine di testimonianze di suoi ex-
alunni che ancora oggi dicono di lei: “Ah! come insegnava la Baldassarre…impa-
reggiabile.” Insomma, quello che si dice una maestra, aspetto del suo carattere pro-
fessionale che ovviamente non si può disgiungere da quello di una personalità di
elevato profilo morale, ripagato dall’affetto della stragrande maggioranza dei suoi
alunni. Alla Sapienza, Ida fa due incontri fondamentali per la svolta della carriera
che le permette di passare al terreno, allo scavo, attività che travalica la sua forma-
zione di base, quella iniziale di eccellente storica dell’arte. Il primo maestro che la
porta sul terreno è Sergio Donadoni, il grande indimenticabile egittologo, uno dei
più grandi che l’Italia abbia mai avuto. Il campo di azione è Antinoe, nel Medio
Egitto, la città fondata da Adriano intorno al 130 a.C., così denominata dal nome
del giovinetto amato dall’imperatore che nel Nilo era morto annegato. Antinoe è un
immenso campo di rovine e rottami del quale la sola pianta utilizzabile era quella
realizzata durante la spedizione napoleonica in Egitto dall’architetto Edme François
Jomard, curatore della monumentale Description de l’Égypte tra il 1809 ed il 1829.
La pianta di Antinoe era stata pubblicata nel 1818. Nel 1981-82 l’architetto Ezio
Mitchell, indimenticabile collaboratore di Ida in tante imprese, realizza il nuovo
rilievo topografico, a oltre 170 anni dal precedente, ciò che non desta meraviglia a
causa della nota pigrizia degli archeologi nell’accettare l’ineludibile necessità di
disporre di un buon rilievo topografico, piuttosto che la roboante descrizione ver-
bale, accompagnata da schizzi e non da vere piante. Ida, invece, disponendo della
Ida per noi 15
Fig. 2 - Antinoe 1981: da sinistra Renato Grilletto, Irene Bragantini, Ida, Sergio Donadoni, il guardiano della casa
della missione, Myriam Wissa, Sergio Bosticco, il cuoco della missione, Franco Lovera; seduto a terra Ezio
Mitchell.
bella pianta di Mitchell, ci trasmette un saggio di rara precisione che ella intitola
“Alcune riflessioni sull’urbanistica di Antinoe” dal quale non si potrà prescindere
nell’esplorazione della città. Ma, come spesso accade, tutto ciò rimane premessa per
una ricerca futura che alla luce di quanto leggiamo sarà di straordinario interesse
archeologico e storico, perché nel sito si trova un tempio di epoca ramesside con un
abitato, ciò che rende plausibile l’affermazione di Cassio Dione (LXIX, 11, 2) se-
condo il quale quella di Antinoe nel II secolo d.C. fu una rifondazione. La città
presenta uno straordinario impianto con grandi plateiai che si incrociano ad ango-
lo retto e con stenopoi larghi m 5,80 che disegnano isolati larghi m 32, 50; la grande
plateia nord-sud, parallela al Nilo, riconoscibile per m 1800, era fiancheggiata da
portici dorici come una gigantesca via tecta che a sud finiva di fronte al teatro. Stra-
ordinario è anche il rapporto con le fonti papirologiche che forniscono informazio-
ni di inestimabile valore come l’utilizzo delle lettere (grammata) per individuare i
16 La dimensione del passato
quartieri ed i numeri per gli isolati (plintheiai). Nella lettura della pianta diretta-
mente sul terreno, infine, Ida riesce a cogliere con grande acume, al di là delle simi-
litudini formali, la differenza sostanziale tra l’impianto di Antinoe e quelli di Antio-
chia e Apamea, il primo in funzione di un interno, i secondi votati “ad un’attività
che gravita verso l’esterno”. Ma, a parte ciò, non si può non cogliere la volontà
dell’urbanista di Antinoe di realizzare un’imitazione di Alessandria. È un vero pec-
cato che, a parte i saggi di scavo nelle necropoli, negli anni successivi Ida non abbia
potuto affrontare con la sua abilità nell’esplorazione stratigrafica qualcuno dei
grandi temi archeologici, come la sezione delle strade, vero filo di Arianna per la
definizione cronologica delle fasi dell’impianto, o lo scavo di un isolato di abitazio-
ne.
Da Antinoe, questa volta per merito di un eminente archeologo classico, Sandro
Stucchi, Ida si trasferisce in Libia, a Cirene, dove lavorerà a lungo fino alla chiusura
dei confini di quel martoriato Paese. Per valutare da presso la sua produzione cire-
naica partirei dal breve ma denso (com’è sempre stato nel suo stile) saggio di sintesi
sulla città, pubblicato in un volume miscellaneo nel 1999.
Non mi soffermo qui su quel contributo, se non per segnalare il vero e proprio
guizzo di intelligenza che ella ebbe nell’affrontare il problema del rapporto tra la
tomba di Batto e l’agora. Ida rovescia il rapporto tradizionale, non è la tomba ad
essere collocata nell’agora, ma è l’agora a nascere e svilupparsi intorno alla tomba
dell’ecista, il fondatore della monarchia battiade. Partendo dall’ipotesi che la tom-
ba sia ubicata ai margini dei possedimenti reali, quasi in ‘funzione di segnacolo di
confine’, Ida vi vede il modo con cui ai primordi veniva ad essere segnato politica-
mente il territorio; non per caso, sul lato opposto a quello in cui si trovava il tumulo
di Batto, quasi contemporaneamente fu eretto il tempio di Apollo Archegetas. Studi
successivi e sempre ruotanti intorno all’annoso problema del percorso della celebre
Skyrotà, la grande strada acciottolata che scendeva dall’acropoli, hanno precisato
la cronologia dei monumenti più antichi dell’agora, ma, a mio avviso, non al punto
da mettere totalmente in dubbio il concetto di agora come spazio che si sviluppa
attorno alla tomba dell’ecista, il cui culto, come sappiamo, era un nomos in una
polis greca. Ma l’agora di Cirene non è solo un campo di riflessione per lo studio
della topografia della città arcaica, diventa pure il terreno dell’attività di scavo: in
particolare Ida avvia l’esplorazione stratigrafica della cosiddetta «Casa del Propi-
leo», tradizionalmente identificata con un ginnasio della prima età romana. Due
risultati di rilevante interesse vengono da questa esplorazione: in primo luogo,
avendo raggiunto il suolo vergine, Ida recupera negli strati più profondi frammenti
ceramici d’impasto sicuramente databili ad un’epoca precedente la fondazione
dell’apoikia terea. Il suo esame accuratissimo dei frammenti la porta a formulare la
Ida per noi 17
probabile ipotesi che si tratti di testimonianze riferibili alle popolazioni locali che
abitavano il sito prima dell’arrivo degli apoikoi, sulla base dell’assunto che la cera-
mica indigena non può essere contemporanea alla ktisis. Anche se oggi questa pre-
messa non viene data sempre per scontata, Ida consegna alla ricerca futura un testi-
mone di grande interesse, indicando il luogo in cui si potrà indagare il milieu indige-
no libico che forse vide nascere la polis di Batto per poi scomparire.
In secondo luogo, nell’esplorazione della “Casa del Propileo”, Ida rinviene una
serie di frammenti di rocchi di colonna e di pareti su cui sono graffite navi a vele
spiegate e la parola ROMA in greco. Ida pubblica il ritrovamento in un saggio in
memoria di Nicola Bonacasa, diventato direttore della Missione di Cirene dopo la
scomparsa di Stucchi, ricordando con lo studioso scomparso le numerose comuni
‘irrisolte ma partecipate discussioni’, stupenda espressione che dovremmo utilizza-
re tutti e spesso, e che ancora una volta esprime al meglio il carattere della Ida, come
la si chiama con l’articolo davanti al nome, secondo la tradizione della regione in cui
è cresciuta.
Poi arriva il turno di Napoli, della città in cui ha scelto di insegnare pur avendo
avuto la possibilità di continuare a lavorare all’Università di Roma, città nella qua-
le risiede da quando ha lasciato Andria, la residenza della sua famiglia, alla metà
degli anni ’60. Nel grande lavorio intellettuale seguito al terremoto del 1980 (scavi,
restauri, l’irrompere dell’archeologia urbana, il convegno di Villa Pignatelli), con
l’aiuto di un altro importante personaggio con cui ha a lungo collaborato, l’archi-
tetto Roberto Einaudi, Ida affronta lo studio del teatro di Neapolis. Un’impresa che
la esalta: entra nei cortili e nelle case di via dell’Anticaglia, effettua saggi di scavo,
incamera dati, produce l’edizione finale del monumento in un volume che resterà a
lungo una pietra miliare. Ma dedica a Neapolis un altro contributo rilevante quan-
do al XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia a Taranto presenta la sua relazio-
ne dal titolo “Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana”. Comince-
rei con il richiamare un approccio oggi malauguratamente non più di moda, quan-
do Ida afferma che “una città è espressione delle sua funzioni, e il suo sviluppo è in
rapporto con certi tipi di strutture di forze produttive e di rapporti sociali”. Da qui
parte la lettura della storia urbana di Neapolis, una città greca, con un impianto per
strigas della fine dell’età arcaica, come sappiamo bene da tempo ormai, che diventa
città romana attraverso quelle trasformazioni che l’occhio attento dell’archeologa
Ida Baldassarre mette magistralmente in evidenza in quella che un nostro grande
Maestro, Ettore Lepore, definì, ‘bella, lucida relazione’.
18 La dimensione del passato
Fig. 3 - In alto Antinoe (1982): Ida con Irene Bragantini, Dario Silenzi, il cuoco della missione e Rita Tognin;
in basso: Cirene, la pausa del tè sullo scavo (1999-2004): Ida con Ivan D’Angelo, Grazziela Barozzi, Valeria
Valerio; in primo piano Matteo D’Acunto e gli operai dello scavo.
Ida per noi 19
Angela Pontrandolfo
con curiosità a valutare tutte le suggestioni innovative che in quegli anni comincia-
vano a rinnovare l’archeologia classica italiana, sia nelle pratiche sul terreno, attra-
verso l’adozione di sempre più affinati approcci stratigrafici di cui Andrea Carandi-
ni è stato precursore, sia nell’individuare strumenti interpretative idonei a ricostru-
ire una storia antropologica del mondo antico fondata sui documenti archeologici,
approccio maturato nei proficui scambi, in particolare sul rituale funerario, tra il
gruppo campano aggregato a Bruno d’Agostino e gli amici del Centre Gernet.
Il filo rosso che aiuta a ripercorrere l’impostazione metodologica e il continuo
affinamento delle problematiche affrontate nelle sue ricerche è ben percepibile nei
lavori dedicati allo studio della pittura musiva e parietale. Un’accurata e puntuale
base analitica, associata a una profonda conoscenza della bibliografia archeologica
rivisitata criticamente, sono state il tessuto connettivo su cui la Baldassarre ha pro-
posto puntualizzazioni cronologiche e visioni di sintesi che hanno innovato l’inqua-
dramento e il modo di interpretare questi documenti, in particolare per l’età elleni-
stica, tracciando un percorso ancora oggi seguito da quanti si occupano di questi
argomenti.
Nel primo articolo, pubblicato nel 1959, affrontando il tema della rappresenta-
zione dello spazio nella pittura cristiana antica, attraverso un’ampia disamina di
monumenti dimostrava come gli schemi figurativi dell’arte paleocristiana avessero
avuto origine dall’arte tardo-antica e da quella delle catacombe, puntualizzando
che “la rappresentazione dello spazio nelle arti figurative non costituisce un proble-
ma di tecnica”, in quanto legato alla struttura del linguaggio artistico e alle diverse
soluzioni che gli artisti hanno concepito nelle diverse epoche con i mezzi che erano
loro propri.
Tra i contributi legati alla sua lunga attività a Cirene quelli in cui si occupa dei
mosaici hanno apportato elementi che concorrono a delineare la fisionomia cultu-
rale della città in età ellenistica. Nell’articolo del 1969 sulla base di numerosi con-
fronti con elementi datanti, propose per il mosaico dell’Apollonion una nuova da-
tazione entro la seconda metà del III sec. a. C., collocandolo cronologicamente per
peculiarità tecniche e stilistiche tra quelli di Morgantina e Shatbi e quelli di Pergamo
e Delo. La successiva accurata edizione filologica di altri sette pavimenti, inseriti nel
loro contesto topografico e funzionale, puntualizzando la loro distribuzione in un
arco di tempo compreso tra la metà del III e il I sec. a. C., ne ha dimostrato l’unità e
omogeneità per tecnica di esecuzione e per identità del programma decorativo, ha
delineato “l’evoluzione interna di una componente tradizionale tipicamente cire-
naica che si esprime attraverso mezzi tecnici e consuetudini in parte comuni ad altri
centri ellenistici ma anche con autonomie che confermano una tradizione di lavoro
locale e qualificante”, e, soprattutto, recuperando l’ambiente cirenaico alla proble-
Ida per noi 21
matica del mosaico ellenistico, lo ha inserito nella più ampia discussione sull’origi-
ne del mosaico pavimentale a tessellato. Ulteriori riflessioni la porteranno a mettere
in discussione una impostazione che considerava i pavimenti musivi “una classe
omogenea di materiali, organizzati secondo una evoluzione tecnica che va dai mo-
saici a ciottoli a quelli a tessere irregolari, e infine al tessellato, ed una evoluzione
ornamentale che va dal disegnativo al pittorico, tanto da essere generalmente com-
presi anche nelle storie della pittura antica”. Rifiutando una impostazione orienta-
ta a individuare l’ambiente geografico e culturale di primogenitura dell’origine del
mosaico, proponeva un percorso mirato a definire nel tempo e nello spazio le pecu-
liarità culturali e tecniche di ciascun ambito del Mediterraneo in cui i pavimenti
musivi sono documentati, considerando “la decorazione pavimentale come ele-
mento di un sistema decorativo integrato, rivelatore di realtà sociali e di codici di
comportamento, oltre che di particolari saperi tecnici e tradizioni artigianali”.
Con la crescente consapevolezza della positività di un approccio sistemico nel
convegno dei Dialoghi di Archeologia del 1983, dedicato alla lettura e interpreta-
zione delle produzioni pittoriche dal IV sec. a. C. all’Ellenismo, Ida incentrò l’atten-
zione sulla necessità di cominciare a considerare la decorazione di interni della casa
greca come sistema parallelo a quello delle tombe, autonomo e con proprie specifi-
cità nell’ambito del più generale discorso degli apparati decorativi, inserendo così
anche questo problema in una prospettiva sociologica e antropologica. In quel
saggio, denso di concetti, espressi secondo il suo costume in uno stile “tucidideo”
che oggi per ragioni di VQR altri avrebbero trasformato in un libro, attraverso un
completo riesame delle fonti letterarie, della bibliografia archeologica e dei docu-
menti musivi e pittorici sostenne che per costruire un discorso coerente era necessa-
rio assumere il presupposto che dalla fine del V sec. a. C. gli spazi rappresentativi
della casa cominciano ad assumere la funzione di proiettare il ruolo sociale del
gruppo cui appartiene e che “le due serie - mosaici e pitture - si coordinano come
complesso decorativo e servono a sottolineare nella casa l’ambiente di maggior
prestigio, il più aperto al rapporto col “pubblico”, l’andron. Con un’ampia sequen-
za di esempi ha dimostrato come nella fase iniziale l’adozione in questo spazio della
casa di mosaici a ciottoli, caratterizzati da un comune lessico decorativo, fosse me-
diata dagli edifici pubblici, e soprattutto che questi pavimenti erano associati a una
decorazione parietale che imita l’apparato isodomico del muro, una pittura com-
pletamente integrata all’architettura che Bruno alcuni anni prima aveva definito
“masonry style”. L’intensificarsi delle scoperte ha rafforzato la sua intuizione, ri-
spetto alla opinione di Bruno, che non si trattava di una interruzione della storia
della pittura murale, ma di un sistema decorativo funzionale ad esprimere nuovi
22 La dimensione del passato
Fig. 4 - Paestum (1994): Ida con alcuni dei partecipanti al Convegno “Venticinque secoli dopo l’invenzione
della democrazia” 12-14 ottobre (da sinistra Alain Schnapp, Antonino Di Vita. Michel Gras, Francis Croissant,
Ida Baldassarre, Pauline Schmitt - Pantel, Angela Pontrandolfo, Mario Lombardo, Agnes Rouveret, Emanuele
Greco, Gabriella d’Henry, Bruno d’Agostino, Filippo Coarelli, Françoise Bouthier).
valori di una società mutata, autonomo e parallelo a una pittura figurata, ad affre-
sco o da cavalletto, meglio nota dalla tradizione scritta.
Indimenticabile rimane nei miei ricordi il viaggio in Macedonia, compiuto nel
1976 con Ida, Filippo Coarelli, Emanuele Greco, Monica Verzar, Agnes e Alain
Rouveret, scaturito dalla suggestione che dalla seconda metà del IV sec. a. C. una
concezione rivolta alla valorizzazione di alcuni ambienti della casa privata andasse
ricercata nelle manifestazioni monumentali legate alla regalità macedone. Confer-
me a quella ipotesi sono venute negli anni successivi grazie alle numerose scoperte
fatte dagli archeologi greci portando alla luce a Vergina, Pella e Anfipoli consistenti
testimonianze di ambienti con pareti decorate da pitture di tipo strutturale. Inoltre,
le numerose tombe a camera hanno documentato la coesistenza di una pittura figu-
rata riservata alle facciate, e di una a zone o di tipo strutturale, anche con l’inseri-
mento di fregi, sulle pareti interne delle camere: la prima funzionale a trasmettere
con le immagini rappresentazioni concettuali, la seconda ad assimilare l’interno
della tomba a un ambiente importante della casa.
Il rinnovamento apportato dalle scoperte macedoni all’inquadramento della
pittura della prima fase ellenistica ha contribuito a valutare le forme e i modi di ri-
cezione e rielaborazione di quelle conquiste tecniche in diversi ambiti dell’Italia
Ida per noi 23
Fig. 5 - Cirene: in alto santuario di Apollo, Ida con Carla Bagnulo, Irene Bragantini, Matteo D’Acunto,
Nadia Sergio (2009); in basso il rituale della consegna delle foto dell’anno precedente alla famiglia libica
della casa della missione (2001).
Ida per noi 25
Matteo D’Acunto
riodare, al tempo stesso assai elegante e conciso, sia, da questo punto vista, lo spec-
chio del suo modo di essere nel rapporto tra scrittura e oralità: dietro le sue espres-
sioni si svela non solo un’approfondita conoscenza, ma una capacità evocativa di
molteplici suggestioni e prospettive ermeneutiche.
I suoi allievi conservano vivida l’immagine delle infinite ore trascorse a discutere
le tesi di laurea, di dottorato, i contributi da pubblicare. Conservano l’immagine
delle sue puntuali correzioni e suggerimenti a penna, sia di metodo che di merito, dei
suoi inesauribili spunti illuminanti che costellano (in forma “anonima”) i nostri
lavori scientifici. Insomma, conserviamo l’immagine di quel processo di paideia
che, giornaliero e distribuito negli anni, generosamente il vero maestro “dona” ai
suoi allievi. Sullo sfondo, basilare, resta l’aver trasmesso il metodo critico e la co-
stante capacità di rimettere in discussione un’infinità di temi e di problemi.
Ida è sempre stata particolarmente interessata alle molteplici forme di “comuni-
cazione” dell’antico, a partire dal linguaggio storico-artistico (palesando così l’in-
cidenza iniziale di Bianchi Bandinelli), passando alla semantica dell’antropologia e
dell’iconografia-iconologia che certo l’ha intrigata in maniera particolare, fino ad
arrivare alla riflessione sulla cultura materiale e sulla stessa esperienza dello scavo
archeologico. Affascinata da tutti i periodi storici del mondo greco-romano (e di
certo non solo), come i grandi studiosi della sua generazione, ha rivolto la sua atten-
zione dall’arcaismo fino al tardo-antico. Con lo stesso interesse e acribia critica ha
esaminato molteplici temi: la formazione dell’apoikia di Cirene di epoca arcaica;
l’iconografia di carattere funerario sulle lekythoi a fondo bianco di epoca classica;
le manifestazioni pittoriche, musive e architettoniche dell’ellenismo; le problemati-
che di definizione dell’arte romana; il rapporto tra concezione dell’individuo e ri-
tratto, come portato della dimensione storico-politico-culturale dell’uomo, sia nel
mondo greco che in quello romano (tema, quello del ritratto, che amava in maniera
particolare, perché riflette nella comunicazione per immagini la trasformazione
della nozione stessa dell’individuo).
Accompagnata da un’inguaribile sete intellettuale e scientifica, associata alla
necessaria (calviniana) leggerezza, lei ha sempre guardato oltre i propri interessi
attuali, per cercare nuove frontiere interpretative e problematiche. Non posso non
ricordarlo, questo suo atteggiamento del cercare oltre anche nei lavori dei suoi al-
lievi ha portato me ad occuparmi delle prime manifestazioni della scultura monu-
mentale cretese del VII sec. a.C. (assai lontana dai suoi interessi specifici). Lei era
convinta, e certamente aveva ragione, che bastava cambiare la prospettiva da quel-
la tradizionale esclusivamente storico-artistica, per cogliere significati nuovi, anche
in monumenti così studiati, quali quelli scultorei della Creta orientalizzante.
28 La dimensione del passato
Fig. 6 - Ida a Cirene, vicino al santuario di Zeus, con (da sinistra) Rosa Maria Carra, Nicola Bonacasa, Santino
Fabbri e Gastone Buttarini (2009).
Negli anni in cui seguivo i corsi universitari e facevo il dottorato, lei sognava di
tornare a Cirene. Innanzitutto, Cirene era per Ida, come sorta di una pars pro toto,
l’espressione concreta di un modo di essere dell’archeologia all’Orientale, nel rap-
porto di osmosi, senza barriere, tra Oriente e Occidente, così come lo sono le cultu-
re della nostra contemporaneità. Questo per lei era esemplificato dalla figura emi-
nente di un suo compagno e sodale, che sentiva particolarmente vicino per aperture
intellettuali e interessi, Maurizio Taddei.
A Cirene aveva iniziato le sue indagini archeologiche nell’ambito della missione
italiana diretta da Sandro Stucchi, che l’aveva indirizzata a lavorare nella cosiddet-
ta Casa del Propileo ad Ovest dell’agorà: un settore chiave della città antica, com-
preso tra lo spazio politico, le aree abitative e l’acropoli. Cirene l’ha sempre affasci-
nata per quell’inscindibile congiuntura umana e scientifica, che accompagna le ri-
cerche e gli interessi di noi archeologi (chi di noi può dire di essere esente dalla di-
mensione emozionale unica che ci offre l’archeologia?): dalla sua prima sigaretta
(che gli sarebbe stata associata nei decenni a venire, come una sorta di epiteto ome-
rico) alla ricerca delle tracce più antiche della colonizzazione e del rapporto tra i
coloni e i libii. Dal 1999 al 2004 ho avuto la fortuna di partecipare, sotto la sua di-
rezione, agli scavi archeologici nella Casa del Propileo, che erano stati interrotti
Ida per noi 29
bruscamente dalla rivoluzione di Gheddafi del 1969 (quando lei stessa era in Libia,
come amava raccontare). Abbiamo avuto la fortuna di rintracciare insieme alcuni
momenti che hanno segnato la vita di questa grande città dell’Africa antica: dalle
prime abitazioni dei coloni alla costruzione della Casa del Propileo, con il ritrova-
mento delle rappresentazioni sulle colonne del peristilio delle navi, che gettavano
luce sui commerci di Cirene ellenistica e, chissà, forse proprio del silfio. Mi fa piace-
re ricordare quanto ad Ida piacesse il lavoro di scavo, sia nella sua dimensione ma-
nuale che in quella interpretativa. Lei non era interessata ad uno scavo che fosse
meramente descrittivo e analitico né ad un tecnicismo fine a se stesso. Amava, inve-
ce, andare alle grandi domande e alla sostanza delle problematiche interpretative e
storiche. Ida ha - penso - amato il lavoro sul campo, come lo può amare un intellet-
tuale, prima che un archeologo. D’altro canto, le piaceva lavorare sul terreno e ri-
cordo ancora quando scavava lei stessa con la trowel alla ricerca delle tracce inizia-
li della colonia. Così, nell’urbanistica di Cirene le interessava andare oltre il carat-
tere “descrittivo” di una pianta “regolamentata” della città, adattata alla geomor-
fologia, per cercare il rapporto intrinseco tra urbanistica, elementi strutturanti la
città e dinamiche storiche, politiche e sociali: di qui, l’interesse del suo articolo
sull’urbanistica della città di Batto e dei suoi discendenti. È chiaro che, poi, della
Libia ha sempre amato contemporaneamente tutto ciò che faceva da contorno alla
nostra ricerca: i meravigliosi squarci luminosi, corrispondenti all’immagine erodo-
tea della città in cui «il cielo è bucato»; il paese e i suoi costumi; la pausa del tè e poi
il canto del muezzin, che scandivano la nostra giornata di lavoro sullo scavo; il
mondo della missione italiana, con le fresche serate cirenee, trascorse sotto il pergo-
lato e i meravigliosi cieli stellati, a discutere dei problemi scientifici, ma anche delle
questioni politiche e culturali della Libia di Gheddafi e delle cordialissime persone
che ci ospitavano.
Nei suoi racconti c’è sempre stato ampio spazio per i tanti archeologi, colleghi e
amici, che hanno accompagnato il suo cammino di studiosa e di intellettuale. Il suo
è un percorso costellato da innumerevoli incontri, che le è sempre piaciuto narrare
con la sua unica, raffinata ironia. Ognuno di questi racconti brevi ha sempre assun-
to una propria dimensione narrativa compiuta, fatta di personaggi variegati e inte-
ressanti. Ad esempio, ricordo il colorito racconto di quando ai tempi della Grecia
(1961-1963) fece ingelosire la signora Levi, perché Eugenio Montale si era a lungo
soffermato a parlare con lei, ignorando le “autorità” (del resto, Ida così come non
ha mai sentito il senso dell’autorità, aveva di fronte a questa un atteggiamento non
irrispettoso, ma di nonchalance). Così, di frequente, la sua memoria risaliva all’e-
sperienza presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene, dove si era saldata quella
che, assieme agli amici dell’Orientale, è stata certamente una delle sue amicizie
30 La dimensione del passato
“scientifiche” più proficue e sentite, quella con Luigi Beschi (nonostante si trattasse
di due personalità così diverse).
Ha sempre amato il lavoro di gruppo. A detta sua, una delle esperienze più co-
struttive e piacevoli era stata quella del libro Pittura romana, scritto con le sue com-
pagne di lavoro, davvero insieme, a via dei Vecchiarelli… e dove si poteva trovare
un luogo più adatto all’ “ispirazione” e alla riflessione di casa di Ida?
A lla necropoli dell’Isola Sacra Ida Baldassarre ha dedicato, negli anni, ampia
parte del suo insegnamento e della sua attività scientifica, in quel continuo
dialogo tra didattica e ricerca che è sempre stato un elemento fondante del suo lavo-
ro; i contributi dedicati da lei a questo tema, che chiudono il volume, sono frutto di
una selezione, che può essere, come è ovvio, sempre arbitraria, ma ci è sembrato che
permettessero di rintracciare e riallacciare il filo conduttore di un’attività scientifica
e di un itinerario culturale caratterizzato dalla capacità di inoltrarsi in percorsi sem-
pre differenti ed originali, mettendo a confronto saperi diversi. Ciò che caratterizza
infatti tutti questi contributi, accanto alla puntuale lettura dei dati archeologici, è la
straordinaria capacità di cogliere i significati sociali, ideologici e culturali che quei
dati concreti trasmettono, e di ricostruire in questo modo l’identità specifica del
contesto esaminato. Questo aspetto emerge anche chiaramente da due ulteriori la-
vori (nn. 2 e 9) inseriti in altre sezioni del volume, in cui, partendo da mosaici e pit-
ture della necropoli, sono affrontate questioni relative alla nozione di arte plebea e
al linguaggio delle immagini.
La ricerca sulla necropoli dell’Isola Sacra deve parte della sua rilevanza alle no-
vità metodologiche e alla diversità di approcci che Ida fin dall’inizio ha saputo ac-
cogliere al suo interno. Ripercorrerne le tappe significa restituire la complessità di
un percorso che ha potuto fornire nuovi stimoli allo studio dei contesti sepolcrali e
più in generale al tema dell’archeologia funeraria.
Nell’anno accademico 1967-68 presso l’Istituto di Archeologia dell’Università
di Roma La Sapienza Ida Baldassarre diede avvio ad un gruppo di studio sulla ne-
cropoli di Porto nell’Isola Sacra. Questa iniziativa, nata dal desiderio di modificare,
rinnovandola profondamente, la sua attività didattica come assistente alla cattedra
di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana ricoperta da Giovani Becatti, fu
organizzata in forma di seminario e rappresentò una risposta alle richieste studen-
tesche, che la contestazione giovanile muoveva contro un insegnamento accademi-
co ancora autoritario ed elitario. Il seminario fu la sperimentazione di un nuovo
approccio allo studio delle materie curriculari; fu l’inaugurazione di un rapporto
ravvicinato discente-docente; fu la felice congiunzione tra giovani pieni di entusia-
smo e un’assistente disposta a mettersi in gioco.
Nacque così un’esperienza destinata a diventare per molti di quegli studenti una
grande scuola di vita e non soltanto l’opportunità di imparare un metodo di studio
collegiale e di lavorare in un clima irripetibile di confronto assiduo e sempre co-
32 La dimensione del passato
struttivo. Si può dire, senza eccessiva enfasi, che fu un progetto pilota nei modi in cui
fu condotto e per le risultanze cui pervenne.
Una rilettura di quell’esperienza di studio e di lavoro in comune, durata lunghi
anni, è stata recentemente presentata e ad essa facciamo riferimento anche per un
sintetico quadro riassuntivo dei risultati della ricerca (n. 31). Quello che vogliamo
invece rappresentare qui, attraverso il racconto di una fase formativa della nostra
esperienza di studio, è la ‘sconfinata’ disponibilità e il generoso entusiasmo che ha
caratterizzato fino alla fine del suo insegnamento il rapporto di Ida Baldassarre con
gli allievi.
Sotto la guida di un’unica docente il lavoro seminariale prendeva in esame l’in-
quadramento topografico della necropoli, l’archeologia del costruito, gli aspetti
decorativi e quelli ideologici in un contesto archeologico le cui caratteristiche di
conservazione e di coerenza interna si prestavano particolarmente a questa lettura
di insieme.
Punto di partenza fu il riesame sistematico e critico dell’unica documentazione
edita sulla necropoli, il volume di Guido Calza (La necropoli del Porto di Roma
nell’Isola Sacra, Roma 1940), che racchiudeva gli esiti delle campagne di scavo con-
dotte nei primi anni ‘30, in seguito al rinvenimento di circa 200 tombe nella zona
del litorale tra Ostia antica e Porto destinata all’Opera Nazionale Combattenti e
Reduci. Nel lavoro del Calza i molteplici aspetti costitutivi di ogni singolo monu-
mento funerario venivano presentati all’interno di diverse classi tematiche (cui cor-
rispondevano i vari capitoli del volume: architettura, decorazione pittorica, mosai-
ci, sculture, iscrizioni sepolcrali), scindendo l’originaria e specifica unitarietà della
tomba di provenienza.
La ricucitura degli argomenti trattati nei capitoli del volume e la ricomposizione
della fisionomia propria di ogni singolo sepolcro si accompagnò dal 1968 all’atti-
vità di ricognizione e analisi diretta sul campo (fig. 7.1), consentendo di coniugare
nel concreto delle attività condotte insieme, sotto la guida di Ida Baldassarre, modi
diversi di fare archeologia.
In un periodo in cui si andava scoprendo l’esigenza di un censimento e di una
catalogazione dei beni culturali, ed in anticipo sull’inaugurazione nel 1969 dell’Uf-
ficio Centrale del Catalogo, il seminario elaborò un sistema di schedatura fortemen-
te innovativo, con schede relative ad ogni singola tomba alle quali erano allegate
schede per pittura, mosaico, scultura, epigrafi ed altri materiali; ogni singola scheda
“madre” codificava gli elementi costitutivi di ciascuna tomba (tipologia, rito, di-
mensioni, tecniche costruttive, apparati decorativi, iscrizioni, inquadramento cro-
nologico) e consentiva, come nei data base, il confronto tra elementi uguali e/o di-
somogenei; in maniera del tutto nuova sottendeva una modalità di lettura struttu-
Ida per noi 33
1 2
Fig. 7 - 1. Uno dei primi sopralluoghi alla necropoli (1970): Ida (di spalle) dà disposizioni; a sinistra Mirtella
Taloni e Danila Mancioli; a destra Ezio Mitchell; 2. La prima campagna di scavo (1973): Ida davanti alla tomba
10, con Irene Bragantini e Mirtella Taloni (di spalle).
ralista antesignana della logica che apparterrà più tardi alla sistematizzazione in-
formatica. Al medesimo principio si ispirerà in seguito l’Istituto Centrale per il Ca-
talogo attraverso la strutturazione delle schede MA ed RA, che vennero approntate,
sotto la guida di Franca Badoni Parise, con l’intento di definire le metodologie di
catalogazione e coordinare l’attività delle Soprintendenze.
La raccolta analitica dei dati, convogliati nel sistema schedografico, costituiva il
punto di partenza imprescindibile per la ricostruzione e l’interpretazione degli edi-
fici sepolcrali e delle fasi di nascita, sviluppo e trasformazione della necropoli nel
suo complesso.
Da quei campi codificati si passò poi al sistema informatico, ma questo avvenne
alcuni decenni dopo.
Dal 1973 iniziarono gli scavi nella necropoli (fig. 7.2), motivati dalla necessità di
effettuare verifiche puntuali e risolvere singoli problemi rimasti ancora aperti dopo
l’indagine già condotta, soprattutto quello dei livelli pavimentali delle tombe; gra-
datamente questi interventi si trasformarono in un’indagine a tutto campo della
zona del sepolcreto compresa nell’area demaniale, sul lato ovest, quello già indaga-
to e pubblicato dal Calza.
Anche in questa fase del lavoro, Ida Baldassarre con la sua presenza costante, la
sua competenza, la sua disponibilità al confronto, curò ed indirizzò la formazione
di quanti negli anni si avvicendarono sullo scavo, organizzando anche numerosi
incontri e occasioni di discussione, in un clima di grande condivisione. È ancora
34 La dimensione del passato
nella memoria di molti di noi l’arrivo di Ida alla necropoli nel 1974 con Italo Gi-
smondi, una delle personalità di primo piano, insieme a Guido Calza, dell’archeo-
logia ostiense, al quale si deve anche la redazione della prima pianta del sepolcreto.
L’architetto Gismondi, che già qualche anno prima avevamo incontrato alla Sa-
pienza, per iniziativa di Giovanni Becatti, a distanza di molti anni e nonostante
l’età avanzata, ci raccontò episodi e ricordò dettagli delle singole tombe venuti alla
luce nello scavo, di cui era stato partecipe e testimone; fu per noi questa una occa-
sione irripetibile ed emozionante di confronto concreto e diretto con uno dei prota-
gonisti di una ‘grande’ stagione dell’archeologia ostiense.
Scavare nella necropoli dell’Isola Sacra significava lavorare su un sito già inda-
gato, con una quasi inesistente documentazione delle operazioni pregresse: a fron-
te, infatti, di una discreta quantità di fotografie pertinenti a vari momenti dell’im-
presa e alla sistemazione del sepolcreto al termine dei lavori, mancavano del tutto
informazioni sulle modalità con cui erano stati eseguiti gli interventi, oltre che sui
materiali rinvenuti e sui precisi contesti di rinvenimento. Una rilettura e una inter-
pretazione della documentazione di vecchi scavi, avvenuti in contesti ideologici,
culturali e metodologici molto diversi, non sono sempre pienamente realizzabili; la
velocità di esecuzione dello sterro e la mancata registrazione dei rapporti tra terreno
e strutture, che vengono solo liberate dalla terra, tipiche dell’epoca in cui si erano
svolte le indagini archeologiche confluite nel volume di Guido Calza, resero più
complesso un difficile lavoro, che fu sempre indirizzato dalla sicura guida di Ida
Baldassarre.
Vale qui la pena di ricordare che in quegli anni non esisteva ancora negli ordina-
menti universitari l’insegnamento di metodologia e tecnica di scavo e solo sul finire
degli anni ‘60 ed anche nello stesso Istituto di Archeologia si realizzò un primo
scavo - scuola, quello delle Terme del Nuotatore ad Ostia ad opera di Andrea Ca-
randini, riservato agli studenti di Archeologia e Storia dell’arte Greca e Romana e
della Scuola di Specializzazione in Archeologia e a lui e alla sua scuola si deve l’in-
troduzione in maniera sistematica del metodo stratigrafico non ancora diventato di
uso corrente negli scavi italiani.
Lo studio e le indagini di scavo nella necropoli di Porto, come lo scavo delle Ter-
me del Nuotatore, nacquero quindi nell’ambito della attività didattica di Giovanni
Becatti, figura di studioso per molti anni attivo come funzionario della Soprinten-
denza ad Ostia, alla quale ha dedicato molta parte della sua produzione scientifica;
più legato ad interessi di tipo storico-artistico, nell’ambito del suo insegnamento
universitario seppe però accogliere con grande intelligenza ed apertura esperienze
innovative di segno diverso e favorire la nascita di una attività di scavo necessaria
alla formazione degli studenti, di studio della cultura materiale ed anche di didatti-
Ida per noi 35
1 2
Fig. 8 - 1. Ida tra Edoardo Tortorici, Mirtella Taloni, Franca Taglietti e, in primo piano, Rosella De Pace, al varo
della Cycnus, la nave attrezzata per le ricerche subacquee del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina,
diretto da Nino Lamboglia (Savona 1970); 2. Necropoli dell’Isola Sacra, scavo della tomba 34 (1975): Ida
assorta e pensierosa; 3. Necropoli dell’Isola Sacra 1980: Ida davanti alla tomba 47, invasa dalla vegetazione, con
(da sinistra) Klaus Fittschen, Valentin Kockel, Horts Blanck, Paul Zanker, Claudia Sternberg, Gunhild Jenewein
e Sylvia Diebner.
36 La dimensione del passato
ca con lavori seminariali ed esami di gruppo, sebbene tutto ciò fosse assai distante
dai suoi più diretti interessi e dalla sua indole.
Per tutti noi la necessaria formazione al lavoro sul terreno avvenne su iniziativa
di Ida Baldassarre con la partecipazione a partire dal luglio 1970 ai corsi tenuti
presso l’Istituto Internazionale di Studi Liguri da Nino Lamboglia, personalità di
grande rilievo che, nonostante le personali posizioni ideologiche conservatrici, fu
un grande innovatore e precursore dell’archeologia stratigrafica, dello studio della
cultura materiale, come pure dell’archeologia subacquea, che si stava avviando
anche per merito suo a diventare una disciplina scientifica.
Ma Ida non si limitò a “spedirci” da Lamboglia; infatti, ci raggiunse a Bordighe-
ra e trascorse con noi gli ultimi giorni del corso di scavo, partecipando direttamente
a tutte le attività dell’Istituto (fig. 8.1), raccontandoci gli anni della sua formazione
e sempre spronandoci alla discussione su innumerevoli temi e problemi, non solo
scientifici. E in questa occasione, con nostra grande sorpresa e un certo imbarazzo
iniziale (eravamo pur sempre studenti dei primi anni del corso di Laurea), ci propo-
se di darle del tu. Ebbe inizio così lo straordinario e mai interrotto rapporto che da
non pochi decenni ci lega a Ida.
Gli scavi nella necropoli proseguirono, con brevi campagne annuali, ininterrot-
tamente dal 1973 al 1982, fornendo una notevole quantità di nuovi dati sulle sin-
gole tombe (fig. 8.2-3), ma fu solamente il lungo intervento condotto nel 1988/89,
necessario alla posa in opera di una rete di drenaggio delle acque di falda ed esteso
anche al lato est del sepolcreto, che permise di esaminare sistematicamente gli spazi
circostanti gli edifici funerari, di individuare un numero assai consistente di sepol-
ture non monumentali di varia tipologia e di riconoscere tracce di attività antropi-
che connesse al culto funerario e ai riti che si svolgevano presso le tombe in spazi
considerati per lo più liberi dal Calza ed in aree interpretate dallo stesso come cam-
po dei poveri, destinate cioè agli strati meno abbienti della popolazione portuense.
Le caratteristiche del terreno sabbioso che unitamente alla risalita di acqua di
falda, presente già ad un livello assai superficiale, non avevano garantito la conser-
vazione in posto dei vari materiali dispersi sui piani di calpestio, obbligarono talvol-
ta a modificare le procedure di indagine; il terreno sabbioso infatti unitamente alla
presenza di dune e avvallamenti, facilitando fenomeni di spostamento e conseguen-
te mescolanza dei reperti, limitavano l’affidabilità stratigrafica dei contesti.
Nella pratica del lavoro sul campo Ida nel corso degli anni ci mostrò nel concre-
to come le aree di necropoli non sempre si prestino all’uso sistematico delle proce-
dure dello scavo stratigrafico e di necessità richiedano l’utilizzo di strategie flessibi-
li, che permettano di coniugare il rigore stratigrafico con le singole situazioni e la
complessità dei fenomeni indagati; e ancora ci mostrò come modelli teorici elabo-
Ida per noi 37
rati dovessero confrontarsi con gli aspetti operativi della pratica professionale a
diretto contatto con materiali e dati archeologici.
Il riesame di un contesto monumentale diacronicamente osservato nel suo insie-
me, nell’ambito del seminario e nei successivi interventi di scavo, ha consentito di
stabilire le fasi di sviluppo della necropoli e di ricostruire le ragioni e i modi con i
quali si è venuto delineando il fronte compatto delle tombe attraverso la progressi-
va occupazione dello spazio funerario fino alle fasi finali di abbandono dell’area.
Allo stesso tempo ha messo in evidenza la volontà dei committenti di dare maggio-
re visibilità possibile al monumento funerario del proprio gruppo familiare, esal-
tandone la valenza onoraria. Tale aspetto, colto da Ida Baldassarre sin dall’inizio
della ricerca, è diventato la base di quella osservazione antropologica di una necro-
poli romana che ha caratterizzato - con notevole anticipo sui tempi - gli aspetti
fondamentali dell’ideologia funeraria romana in un ambiente sociale ben definito
(nn. 25; 27; 29).
Per tutte noi che vi abbiamo preso parte, la ricerca sulla necropoli dell’Isola Sa-
cra è stata un’esperienza non solo innovativa sul piano scientifico e fondamentale
nel processo di formazione professionale, ma anche umana. Ida ci ha trasmesso
entusiasmo, curiosità e conoscenze; i tanti anni di lavoro in comune ed il quasi quo-
tidiano confronto, le lunghe e a volte accese discussioni, sempre sostenute e guidate
dalla sua sensibilità, dal suo rigore e da qualità didattiche rare, hanno per noi anche
il merito di aver creato una forte e sincera amicizia che si è consolidata nel tempo,
nutrita di incontri e condivisioni anche sul piano personale e familiare; la firma in
comune di queste pagine vuole esprimere in maniera evidente il nostro continuare
ad essere gruppo.
Anche di questo dobbiamo essere grate a Ida che è per noi Maestra ed amica
speciale.
38 La dimensione del passato
- I testi sono stati ripubblicati con le norme redazionali utilizzate da Ida Baldas-
sarre.
- Poiché la nuova impaginazione ha necessariamente comportato una variazio-
ne dei numeri di pagina rispetto al testo originale, si è deciso di inserire in neretto, in
una parentesi quadrata il numero di pagina del contributo originario.
- Per l’apparato illustrativo si è scelto di non reduplicare le immagini presenti in
più di un testo ma di richiamarle utilizzando, in una parentesi quadrata, in neretto,
il numero di riferimento del contributo e il numero di figura in cui l’immagine è
presente per la prima volta.
- Ogni sezione del volume è introdotta da una copertina che reca, sul retro, l’in-
dice dei contributi e delle relative tavole a colori, con le pagine di riferimento.
- Le tavole a colori hanno una numerazione alfabetica; il pieghevole relativo alla
sezione cinque è stato denominato tavola 1.
Lo sguardo
LO SGUARDO
[3] La rappresentazione dello spazio, nelle arti figurative, non costituisce, come
potrebbe sembrare, un problema di tecnica, e quindi qualcosa di marginale all’arte
stessa; essa è invece tanto intimamente legata alla struttura del linguaggio artistico,
che le diverse soluzioni di volta in volta date a questo problema hanno avuto il po-
tere di caratterizzare un’epoca, di darle un volto ed una originalità.
Allo stesso modo, in seno agli orientamenti generali, ogni artista dà dello spazio
quella rappresentazione che la sua sensibilità gli suggerisce, con ciò affermando
non già una sua particolare abilità, ma un suo personale modo di essere artista,
pittore, scultore o architetto.
Nel XV secolo, per esempio, in Toscana la prospettiva costituisce il tema e la
preoccupazione dominante; si scrivono trattati e la si applica ovunque, anche in
architettura; tuttavia lo spazio di Paolo Uccello non si può confondere con quello
pierfrancescano, mentre Botticelli, in alcune sue produzioni, concreta un segno di-
stintivo della sua personalità, proprio nel deformare quei nessi spaziali che altre
volte mostra di saper rendere con esattezza.
Il mondo che ci circonda è un mondo a tre dimensioni, il piano figurativo, in
pittura o nella scultura, è a due dimensioni; l’artista tuttavia può darci l’illusione
perfetta della profondità spaziale: ma lo può a condizione che senta in se stesso la
necessità di farlo, dato che lo spazio, come ogni altra realtà del mondo esterno, ac-
quista valore nell’arte solo se vissuto, vale a dire, interpretato.
[4] L’arte figurativa, infatti, realizza con i mezzi che le sono propri (forme, linee,
colori) una sintesi, un equilibrio tra la realtà che l’uomo trova fuori di sé, il dato
oggettivo, e la realtà che porta in sé, la sua verità interiore e soggettiva.
Per questo anche la rappresentazione spaziale diventa significativa di un nostro
particolare modo di essere nel mondo, dominandolo o sentendolo come impenetra-
bile mistero, amandolo o disprezzandolo: la prospettiva perde ogni attinenza con la
tecnica per divenire elemento di stile ed entrare come fattore intrinseco nell’opera
d’arte 2.
***
Si è creduto opportuno di non corredare questo articolo di illustrazioni perché ci si è riferiti sem-
2
pre a opere notissime e quindi di facile reperimento, e in ogni caso, presenti alla memoria del lettore.
3
A. Prandi, Osservazioni su S. Costanza, in Rendiconti della Pont. Accademia Romana di Archeo-
logia, 1942-43, pagg. 281-304.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 43
come abbiamo visto, in una dimensione che la cornice stessa non può, limitandola,
rendere sensibile. Dei viticci, partendo dai quattro angoli, si intrecciano senza se-
guire alcuno schema geometrico, riempiendo il riquadro intorno ad un ritratto
centrale (Tav. A.3), mentre lungo i lati sono raffigurate scene di vendemmia. Gli
elementi di queste scene, in quanto naturalistici, hanno bisogno di uno spazio in cui
vivere, spazio creato, sotto i carri con i buoi, da una striscia oscura, e, nelle edicolet-
te con i putti allegramente intenti alla pigiatura, da quel tentativo di scorcio dato
dall’obliquità delle linee e dalle ombre (Tavv. A.2, B.2).
Tutto questo, però, nella parte inferiore, mentre nella superiore non vediamo più
nessuna distanza tra il piano di fondo e le figure, le quali così, partendo dal loro
materiale piedestallo, si introducono in una dimensione astratta, in quello stesso
indifferente spazio ornamentale sul quale il motivo dei viticci, forma ornamentale,
liberamente si snoda.
Attraverso il riquadro in cui teste, amorini, ed altri motivi si alternano racchiusi
in medaglioni, divenuti però più piccoli e più esili, quasi per diminuire il loro geo-
metrismo, si giunge a quello dell’ «asaroton» (Tav. B.1, 3). Rami, foglie, uccelli sono
disposti in assoluta libertà, come per simulare appunto un pavimento «non spazza-
to», secondo uno schema non nuovo e non sconosciuto all’arte precedente 4 ma che,
nel trascurare ogni contatto col fondo, nell’abolire ogni accenno ad una composi-
zione spaziale, manifesta appunto la sua novità. Si nota, quindi, in tutta la decora-
zione, una nuova visione spaziale, che, da un lato, dà al fondo bianco un valore di
illimitata profondità, e dall’altro, tende a svalutare la forma geometrica, razional-
mente ordinata, come dimostra particolarmente il fatto che l’ «asaroton», il riqua-
dro più libero, si veniva a trovare nel punto, potremmo dire, di convergenza dell’at-
tenzione, proprio davanti al sarcofago di porfido e accanto alla cupoletta 5.
La luce indiretta poi, rifrangendosi sulle tessere bianche del fondo, pare uscire
dai riquadri stessi, ed è una luce diffusa, uguale, [6] senza una precisa fonte, onde le
figure, gli animali, il carro con i buoi, tutti i motivi naturalistici cioè, che appaiono
evocati da un chiaroscuro che nessuna fonte luminosa crea, ci si rivelano come
astrattamente naturalistici, o meglio, di un realismo pensato, quasi allegorico e rie-
vocativo, mentre lo spazio ornamentale e quello empirico hanno assunto un valore
unitario di spazio illimitato, reso dal colore, che la rotondità della volta dilata all’in-
finito.
4
L’«asaroton» del Laterano è il precedente più famoso, ma in esso le cose sono collegate mediante
l’ombra portata al piano di posa.
5
A. Prandi, op. cit., pag. 295.
44 Sezione 1 - Lo sguardo
***
***
6
Per le illustrazioni: v. A. Giuliano, Arco di Costantino, Milano 1955, figg. 30-35.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 45
riore sviluppo e arricchimento di questi stessi temi nelle opere d’arte paleocristiana.
Sarebbe tuttavia utile, agli effetti di una chiarificazione del problema, stabilire in
che modo si è giunti a tale visione spaziale, cercando nell’arte che ha preceduto
quella paleocristiana, e dalla quale essa è derivata, il preannuncio, o meglio, la pos-
sibilità delle sue innovazioni, dal momento che ogni linguaggio, come tendenza, è
ben più remoto del periodo in cui viene parlato, e, d’altra parte, nelle sue concrete
determinazioni, soggiace a situazioni che lo condizionano.
***
Il problema del tardo - antico come premessa dell’arte cristiana ed insieme come
momento estremo dell’arte romana, di cui eredita, trasformandoli, i motivi, è stato
affrontato diverse volte dagli studiosi in questi ultimi anni 7.
[8] Superata l’antica distinzione tra arte pagana e arte cristiana primitiva, è or-
mai inammissibile anche il giudizio di «decadenza» riferito all’arte tardo antica 8.
Solitarie voci che ritornano su questo concetto di decadenza 9, se pure hanno il me-
rito di mettere in guardia dall’accettare come positivo tutto ciò che l’arte di questo
periodo ci offre, tuttavia, per la tesi preconcetta ed antistorica dalla quale partono,
sono inaccettabili.
È vero, infatti, che alla produzione del periodo tardo antico appartengono molti
«manufatti di mera importanza storica» 10, ma è anche vero che la distinzione non
7
S. Bettini, La pittura cristiana delle origini, Novara 1942. - Id., Mosaici cristiani, Novara 1947. -
Id., L’arte alla fine del mondo antico, Padova 1948. - Id., Studi recenti sull’arte bizantina, in Critica
d’Arte, 1949, pagg. 135-147. - Id., prefazione a: A. Riegl, Industria artistica tardo-romana, Firenze
1953. - Id., Gli studi sull’Arte bizantina, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa 1954, pagg.
13-32. - R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell’arte classica, Firenze 1950. (Il problema è affrontato
specialmente nei capitoli IV, VII, VIII, IX, X). - Id., Inizio e caratteri della tardo-antichità nella scultura
romana, Firenze 1948. - Id., Il problema della scultura romana del III e IV secolo, in Acme, V, 1952,
pagg. 615-633. - Id., La crisi artistica alla fine del mondo antico, in Società, VIII, 3, 1952, pagg. 1-30.
- Id., Il problema della pittura antica, Firenze 1953. - Id., Continuità ellenistica nella pittura di età
medio e tardo-romana, in Riv. Istituto nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, 1953, pagg.77-161.
- Id., La composizione del diluvio nella Genesi di Vienna, in Roem. Mitt., 1955, pagg. 66-67. - Id.,
Hellenistic-byzantine miniatures of the Iliad (Ilias Ambrosiana), Olten 1955. — Id., Organicità e
astrazione, Milano 1956.
Alle bibliografie riportate da S. Bettini e da R. Bianchi Bandinelli nei volumi e negli articoli citati, si
rimanda per la sintesi e la critica degli studi precedenti sull’argomento.
8
Opere fondamentali per il superamento del giudizio di decadenza nei riguardi dell’arte romana,
sono quelle di F. Wickhoff, Die Wiener Genesis, Vienna 1895, e, soprattutto, di A. Riegl, Spaetroemi-
sche Kunstindustrie, Vienna 1927; opere feconde e stimolati, che, se pure ormai superate, hanno avuto
il merito di aprire la via alle moderne interpretazioni.
9
B. Berenson, L’arco di Costantino o della decadenza della forma, Milano - Roma 1952.
10
B. Berenson, op. cit., pag. 16
46 Sezione 1 - Lo sguardo
può essere attuata in base ad un concetto critico che valuta positivamente solo «ciò
che è fatto senza sacrificio della forma» 11.
Sarà tuttavia utile, riassumendo le conclusioni a cui è giunta la critica moderna
sull’argomento, cercare di isolare e di puntualizzare, nel più vasto e complesso pro-
blema del tardo antico, le soluzioni riguardanti il problema spaziale, pur limitando-
si, però, a valersi di esempi tratti soprattutto dalla pittura.
La tesi del Wickhoff 12 che attribuiva all’arte romana la conquista spaziale, così
come quella di certa critica moderna 13, che, interpretando soggettivamente il Riegl,
considera i Romani dotati di una particolare «sensibilità spaziale», sono state di-
mostrate infondate o unilaterali, particolarmente dalle precisazioni di R. Bianchi
Bandinelli nei suoi studi sulla scultura e sulla pittura antica 14.
[9] È chiaro che lo scorcio, il chiaroscuro, la prospettiva, di cui spesso Plinio ci
parla a proposito di artisti greci, avevano già mutato il piano figurativo in spazio;
ma non si esce, fino all’impressionismo ellenistico incluso, da una rappresentazione
tridimensionale dello spazio stesso. Giova infatti notare che, per esempio, Plinio,
parlando di Protogene, afferma che costui si riconosceva inferiore ad Asclepiodo-
ros in fatto di «misure nella prospettiva, cioè nello stabilire le distanze fra un ele-
mento e l’altro» 15. È chiaro che questa visione prospettica assegna ad ogni elemento
il suo posto preciso nella composizione, e poiché misura è anche limite, questo mi-
surare la distanza fra gli elementi significa anche limitarli, circoscriverli, ordinarli,
tenendo lontano dai dati naturalistici tutto ciò che non rientri in schemi misurabi-
li 16.
Su questo principio si basa l’arte classica infatti, la quale per questo, pur non
perdendo mai i contatti con la natura, pare anticipare le ben più tarde cognizioni
sulle correzioni della natura stessa.
I Romani, invece, non faranno mai degli elementi formali un fine dell’arte, bensì
della forma cercheranno di servirsi, nelle loro opere più originali, come mezzo illu-
strativo. Proprio per questo la libertà spaziale dell’arte ellenistica giungerà, in am-
13
S. Bettini, opp. citt.
14
R. Bianchi Bandinelli, opp. citt.
15
Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 80 (ed. Ferri, Roma 1946, pag. 164) «Melanthio dispositione
cedebat, Asclepiodoro de mensuris, hoc est quanto quid a quoque distare deberet».
16
Si veda anche ciò che dice Vitruvio a proposito della «scaenographia (Vitruvius, De Architettura
libri X, ed. Choisy, Paris 1909, V, 7, ma soprattutto, I, 2, 8) e l’interpretazione del passo data da E.
Panofsky, (Die Perspektive als «symbolische Form», in Vortraege der Bibliothek Warburg, 1924-25);
inoltre: D. Gioseffi, Perspectiva artificialis, Trieste 1957. - Id., Complementi di prospettiva, in Critica
d’Arte, 1957, pagg. 468-488, e 1958, pagg. 102-149.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 47
biente romano, ad un limite a cui mai sarebbe potuta giungere senza mutare le sue
premesse, come appunto fa in questo nuovo ambiente.
L’interesse per il paesaggio, la visione delle forme nello spazio, inteso come at-
mosfera e non più come distanza tra due elementi della figurazione, il gusto per gli
effetti momentanei, che riduce gli sfondi prospettici a fugacissime notazioni di co-
lore, sono tutti elementi dell’arte ellenistica, che tuttavia non vanno considerati solo
come frutto di abilità tecnica, ma come tendenza a fissare espressioni di vita in atto,
attenzione e interesse per gli aspetti fenomenici della [10] realtà, e che nella società
romana, empiristica per eccellenza, trovano l’ambiente adatto per essere accolti e
continuati 17.
Ma questa aderenza ad effetti immediati, questo fermarsi alla esperienza indivi-
duale e, come tale, impredeterminabile, doveva portare appunto nell’arte ad infran-
gere ogni astrazione, in favore di un naturalismo legato al momento, immediato ed
epidermico, che avrebbe distrutto il razionalistico naturalismo dell’arte classica.
Scriverà Marco Aurelio nei suoi pensieri 18: «… e la pelle irta del leone e la schiu-
ma che corre alla bocca dei cinghiali e tanti altri esempi simili, se qualcuno li prende
in considerazione, pure essendo lontani dalla bellezza, ugualmente, per il fatto di
perseguire un ordine di natura, aggiungono ornamento e diletto (a quella); tanto
che, se qualcuno ha simpatia e comprensione profondissima per tutte le cose che
avvengono, costui guarderà le fauci vere di una fiera viva con non minor gioia di
quelle che pittori e scultori ci offrono imitando».
A questa vivezza l’artista cercherà quindi di avvicinarsi. Ma sarà proprio questa
ricerca di immediatezza, in cui forse è da identificare l’apporto più originalmente
romano all’arte, che, agendo con sempre maggiore intensità sul tessuto figurativo
dell’arte ellenistica, porterà le rappresentazioni pittoriche verso una sempre mag-
giore astrattezza, finché esse (fine del II secolo o inizio del III), si troveranno ad
avere la stessa visione spaziale di alcuni prodotti di arte popolare in cui, molto per
tempo, questa esigenza di vivezza si era affermata in tutta spontaneità e libertà.
17
Tutto questo si coglie meglio nella parte decorativa della pittura pompeiana e romana in genere:
Decorazione della casa dei Vettii, (V. Spinazzola, Le arti decorative in Pompei e nel Museo Naz. di
Napoli, Milano 1928, tavv. 137, 138, 139, 141). Decorazione della casa dei Dioscuri, (V. Spinazzola,
op. cit., tav. 144). Decorazione della così detta villa di Cicerone, (V. Spinazzola, op. cit., tavv. 144, 149,
151). Fregio giallo della casa di Livia sul Palatino, (G. E. Rizzo, La casa di Livia sul Palatino, Roma
1936, tavv. 10, 11, 12). Scene bacchiche da Roma, Palatino, (V. Spinazzola, op. cit., tavv. 131 132).
Paesaggio dalla Domus Aurea, (F. Wirth, Roemische Wandmalerei, Berlin 1934, tav. 14).
18
Traduco da: Marci Antonini imperatoris in semet ipsum, Libri XII, ed. H. Schenkel, Lipsia, Teub-
ner, 1913, III, 2.
48 Sezione 1 - Lo sguardo
R. Bianchi Bandinelli, Continuità ellenistica e gusto romano nella pittura pompeiana, in Storicità
19
dell’arte classica, tav. 80, fig. 164; tav. 82, figg. 166 e 168 (d’ora in poi: Storicità).
G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Roma 1929: Interno dell’officina di Verecundus, tav.
197. Piccola rissa nell’osteria, tav. 198. Pitture di larari domestici, tav. 199.
20
R. Bianchi Bandinelli, Storicità, La rissa nell’anfiteatro, tav. 83, fig. 168.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 49
In questa decorazione il gusto per gli effetti momentanei, che continua ed esage-
ra una maniera pittorica ellenistica testimoniata, come abbiamo detto, anche dalla
pittura romana del I secolo, concentrando l’attenzione sul primo piano, ha annul-
lato ogni cosa intorno ad esso, per cui le figure, come già nelle scenette popolari di
Pompei, si ritrovano appoggiate su di una striscia scura simulante il terreno, isolate
su di un piano figurativo disciolto nella incommensurabilità del fondo indefinito:
ma l’aumento della spazialità è andato a scapito della concretezza realistica 21.
A questo punto vale solo la pena di ricordare ciò che ha fatto notare tanto chia-
ramente R. Bianchi Bandinelli 22, e cioè che anche nei pannelli pompeiani di più
chiara derivazione ellenistica, laddove è intervenuto il gusto del copista romano, c’è
un evidente allontanamento dalla costruzione spaziale; ma questo avviene sempre
per [13] l’esigenza di fissare espressioni esplicite, senza sottintesi e perciò principal-
mente di narrare.
***
21
G. Calza, La necropoli del Porto di Roma nell’Isola Sacra, Roma 1940: Sacerdote con Camillo,
tomba 87, fig. 48. Piramo e Tisbe, tomba 87, fig. 49. Venere in una nicchia, tomba 80, fig. 50. Efebo,
tomba 15, fig. 51. Figura eroica, tomba 15, fig. 52. Le Parche, tomba 11, figg. 53, 54, 55. Le Parche,
tomba, 16, figg. 57, 58. Figura danzante, tomba 77, fig. 64. La barca di Caronte, mosaico, tomba 86,
fig. 80. Il mito di Endimione, mosaico, tomba 87, fig. 84. F. Wirth, Roemische Wandmalerei, Berlin
1934: Sala nella Casa del Ganimede, Ostia, tav. 25. Filosofo greco, Ostia, tav. 26. Paesaggio, Ostia, tav.
30. Mosaico di Nettuno, Ostia, tav. 35.
22
R. Bianchi Bandinelli, Storicità, cap. VIII, tavv. 84, 85, 95.
23
R. Bianchi Bandinelli, Storicità, cap. IX e X. - Id., Inizio e caratteri della tarda antichità nella
scultura romana.
50 Sezione 1 - Lo sguardo
***
Dirà, è vero, il Lessing nel suo «Laocoonte» che la letteratura può darci il conse-
cutivo, l’azione, mentre lo scalpello e il pennello riproducono solo il coesistente,
cioè il momento e il corpo 24; evidentemente il Lessing, così dicendo, aveva presente
l’arte classica o quel neoclassicismo che l’arte a lui contemporanea realizzava. Ma
sta di fatto che, in Roma, sempre più venivano affermandosi interessi per valori non
classici: per esempio l’utilità, sia pure spirituale, dell’arte e la tendenza illustrativa e
narrativa ad essa legata; e tutto questo creava l’esigenza della rappresentazione
della realtà non solo nello spazio, ma anche nel tempo, il quale, come entità figura-
tiva, si concreta simbolicamente nella inoggettivata continuità dello spazio stesso.
In tal modo l’arte non crea più rappresentazioni oggettive, quasi [14] piccoli
universi compiuti e completi in se stessi, ma deve affidarsi alla pratica integrativa e
unificatrice dell’osservatore. L’arte romana ha in questo, le premesse della spaziali-
tà indefinita e priva di prospettiva dell’arte paleocristiana.
***
24
G. E. Lessing, Laokoon, oder ueber die Grenzen der Malerei und Poesie, Berlin 1876, cap. XV e
passim.
25
Gli aspetti e i motivi di questa crisi sono stati messi in luce e sottolineati da: S. Bettini, L’arte alla
fine del mondo antico e da R. Bianchi Bandinelli, La tarda antichità nella scultura romana e La crisi
artistica alla fine del mondo antico.
26
Marcus Aurelius Antoninus, op. cit., VII, 59.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 51
E il mondo fisico, nella sua definizione esteriore, perde interesse, le vicende uma-
ne, nel loro rapido accavallarsi e svanire, perdono ogni valore, per chi le guardi
conscio della loro precarietà. «Ricorda che ciò che è nascosto dentro muove i fili del
fantoccio: questa cosa è parola sincera, questa cosa è vita, questa cosa, se si deve dire
il vero, è l’uomo. Non credere mai che sia quel rivestimento a forma di recipiente e
quei fragili strumenti che intorno gli sono cresciuti» 27.
In questo svalutarsi e decadere di tutti i valori umani, anche l’individuo non può
bastare più a se stesso e deve, in un certe senso, portare aiuto alla sua interiorità.
«…e se, o non esistono dei, oppure [15] non si occupano delle cose umane, perché
continuare a vivere in un universo deserto di dio e vuoto di provvidenza?» 28.
Nel quotidiano colloquio con un mondo troppo misero e duro, troppo vasto
ormai, la parola dell’uomo ha perduto vigore, la ragione e le forze umane non ba-
stano a rendere sopportabile una vita ormai sospesa tra la visione della morte, an-
nullamento senza speranza, e la visione non meno sgomentante di un infinito senza
dio.
In tutti i culti e le filosofie che si sono affermati o sono sorti in questo periodo (il
culto di Mitra, i culti misterici, il cristianesimo, la filosofia di Plotino, ecc.), c’è non
solo l’esigenza di evasione dal presente, ma la testimonianza di una spiritualità or-
mai avida, potremmo dire, di credere in un dio unico onnipotente, perfetto, per
trasferire in lui la causa e talora la responsabilità di tutto ciò che nel mondo avviene,
e per adagiarsi, alfine sereni, in una accettazione contemplativa o in un premio le-
gittimo: la fede è divenuta insieme bisogno prepotente e consolazione.
L’individualismo, il soggettivismo estremo, attraverso una interiorizzazione del-
la soggettività stessa, è giunto così all’oggettività di un mondo spirituale, concreta-
mente esistente, ma contemplato non più nelle cose, bensì attraverso ciò che delle
cose stesse è meno sensibile.
Similmente, nell’arte figurativa, attraverso una esasperazione della visione sog-
gettiva, si giunge, è vero, ad una visione irreale, ma che sempre più si oggettivizza,
come abbiamo visto, in forme che divengono evocative, simboliche della realtà.
***
Verso la fine del II secolo e il principio del III, la decorazione riproduce, impove-
riti al massimo, e ormai irriconoscibili nella loro linearità, gli arabeschi decorativi
che dal quarto stile erano derivati. Perduto ogni valore sia reale che allusivo, essi si
27
Marcus Aurelius Antoninus, op. cit., X, 38.
28
Marcus Aurelius Antoninus, op. cit., II, 11.
52 Sezione 1 - Lo sguardo
29
Corridoio della casa del Ganimede, Ostia (F. Wirth, op. cit., pag. 113, fig. 52). Casa di Bacco,
Ostia (Wirth, op. cit., pag. 116, fig. 54). Corridoio in un Mitreo, Ostia (Wirth, op. cit., pag. 117, fig.
55). Stanza di una abitazione, Ostia (Wirth, op. cit., pag. 118, fig. 56). Casa di Diana, Ostia (Wirth, op.
cit., pag. 135, fig. 66). Decorazione sotto S. Sebastiano, Roma (Wirth, op. cit., pag. 165, fig. 83). Cap-
pella dei Sacramenti, Roma, Cimitero di Callisto (Wirth, op. cit., pag. 167, fig. 84) eccetera.
30
Figure interne alla decorazione della casa di Diana, Ostia (Wirth, op. cit., pag. 135, fig. 66). Raf-
figurazioni in una sala della casa del Ganimede, Ostia (Wirth, op. cit., tav. 25). Filosofo greco, Ostia,
(Wirth, op. cit., tav. 26). Paesaggio, Ostia (Wirth, op. cit., tav. 30 b). Scena di sacrificio, Roma, cimitero
di Domitilla (Wirth, op. cit., pag. 173, fig. 88).
31
Wirth, op. cit., tav. 29.
32
Si vedano gli esempi citati alla nota 1, particolarmente la «scena di sacrificio», Roma, galleria dei
Flavi, cimitero di Domitilla e «Cappella dei Sacramenti», Roma, cimitero di Callisto (Wirth, op. cit.,
pag. 173, fig. 88). Scena di banchetto, Roma Catacombe di Lucina (De Wit, Spaetroemische Wandma-
lerei, Berlin 1938, tav. 7).
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 53
***
33
J. De Wit, op. cit., tav. 17, 1-2; tav. 18, 1-2; tav. 48, 1-2.
34
Buon Pastore, Roma, catacombe di Lucina, (Wirth, op. cit., tav. 40) e Silvano, Ostia (Wirth, op.
cit., tav. 37).
35
Filosofo, Ostia (Wirth, op. cit., tav. 26). Apostoli, Roma, catacomba gnostica (Wirth, op. cit., tav.
47).
54 Sezione 1 - Lo sguardo
36
È ovvio che tale affermazione merita qualche precisazione a proposito della scultura, dove lo
spazio, riempito di figure, è annullato, e perciò stesso non corrisponde a visione realistica.
37
Confrontare le innumerevoli figure di oranti nelle catacombe, per es. in J. Wilpert, La pittura delle
catacombe di Roma, Roma 1903, tav. 43, pag. 2, 3, 4.
38
Cimitero di Callisto (Wilpert, op. cit., tav. 46, I). Cimitero dei SS. Pietro e Marcellino (Wilpert, op.
cit., tavv. 98, 108). Cimitero dei Giordani.
39
Sepolcro di Clodio Ermete, Cimitero dei Giordani.
40
Cimitero dei SS. Pietro e Marcellino, (Wilpert, op. cit., tavv. 93, 101).
41
Si tende cioè a precisare, con una ricca varietà di notazioni iconografiche, il momento in cui sono
stati colti e rappresentati i progenitori.
42
Trono nell’Adorazione di Magi, cimitero dei SS. Pietro e Marcellino, (Wilpert, op. cit., tav. 60).
Suppedaneum di Gesù, in Gesù tra gli Apostoli, cimitero dei SS. Pietro e Marcellino (Wilpert, op. cit.,
tav. 96).
43
Susanna tra i vecchi, cimitero di Priscilla. Giobbe, cimitero dei SS. Pietro e Marcellino. Gesù e la
Samaritana, cimitero di Pretestato.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 55
dosi con l’evidenza di un colore mosso nel primo piano, sia nel senso longitudina-
le 44, che prelude alla ritmicità delle basiliche paleocristiane, sia nel senso verticale 45,
in cui la profondità, resa dal disporsi degli elementi gli uni sopra gli altri, ricorda lo
schema della «rissa nell’anfiteatro», e prelude ai ribaltamenti prospettici dei mosai-
ci cristiani.
Il sepolcro di Lazzaro 46 è non solo frontale, ma verticale, onde possa apparire in
tutta la sua evidenza la mummia che contiene.
Noè nell’arca o i fanciulli nella fornace 47, non occupano nemmeno lo spazio che
lo scorcio dell’arca o della fornace crea, ma si schiacciano quasi contro la parete, in
primo piano.
Giona in riposo sotto una pergola in ostentata prospettiva 48, non vive sotto quel-
la pergola, ma si isola frontalmente, quasi al di qua da essa.
[20] L’ascetismo religioso si è trasformato in ascetismo artistico, che prescinde
dalle relazioni corporee e spaziali; la libertà formale è divenuta licenza, giustificata
e compresa in un mondo in cui Clemente Alessandrino 49 non teme di dire anche
delle piante e degli animali «la cui beltà risiede nella virtù».
Non mancano tuttavia esempi in cui si mantiene coerenza agli schemi composi-
tivi e formali di origine classica. Nell’ipogeo di Trebio Giusto 50, lo spazio è chiuso,
limitato da alberi, architetture; le figure dei portatori sono ben costruite, raffigurate
in movimento intorno ad un forno presentato di scorcio.
L’interesse per la vita reale, per le sue attività, riporta anche la pittura ad una
atmosfera umana, e, tra l’altro, abbiamo in questo caso l’intervento di un artista
valido.
Queste riprese classiche continueranno anche nel IV secolo e oltre; anzi, dopo la
pace del 313, quando la religione diverrà ufficiale, l’arte più spesso, per quanto in
maniera discontinua, accoglierà, particolarmente in Roma, suggerimenti classici,
sia pure trasfigurati.
A questo punto si potrebbe fare una distinzione tra artigianato figurativo e ope-
ra di artisti di rilievo. Sarebbe possibile cioè, tessere una storia dell’arte in senso
stretto, accanto ad una storia del gusto figurativo, quale si manifestava in un’arte
più propriamente popolare. Ma, a parte il fatto che questo argomento esula dal
44
Ipogeo degli Aurelii (Wirth, op. cit., tav. 47).
45
Giona precipitato in mare, cimitero dei Giordani.
46
Cimitero dei SS. Pietro e Marcellino (Wilpert, op. cit., tavv. 45, 108).
47
Cimitero dei SS. Pietro e Marcellino e cimitero di Priscilla (Wilpert, op. cit., tavv. 77, 98, 186 a)
48
Cimitero dei Giordani.
49
Clem. Alex., Paedagogus, II, cap. XII, ed. Sthalin.
50
C. Cecchelli, Monumenti cristiano-eretici di Roma, Roma 1944, tavv. XL-XLIII.
56 Sezione 1 - Lo sguardo
***
Abbiamo visto così l’arte cristiana trovare in quella romana i suoi immediati
precedenti e le sue giustificazioni culturali. Il plasticismo astratto, lo spazio indeter-
minato, la tendenza a fissare espressioni esplicite, sottraendo gli elementi alla com-
posizione, sono elementi della produzione artistica tardo - antica che vengono as-
sorbiti in ambiente cristiano.
[21] Non si giunge al fondo oro dei mosaici, senza avere distrutto prima la pro-
spettiva geometrica, disintegrandola nella visione degli innumerevoli spazi indivi-
duali che, col loro susseguirsi, ricompongono lo spazio stesso nella illimitatezza di
un «continuum»; né i corpi divengono le larve colorate della più tarda arte cristia-
na, prima di essere state le ombre senza peso degli affreschi delle catacombe; ma la
più duratura delle derivazioni ereditate dalla pittura romana, è la narrazione figu-
rata, dove la concezione spaziale classica è stata profondamente mutata dalle esi-
genze della stessa narrazione, che comporta legamenti in superficie.
***
51
Plotin et les origines de l’esthetique médiévale in Cahiers archéologiques, 1945, pag. 15.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 57
préférence, ma qui toutes prenaient leur point de départ dans l’oeuvre d’une école
d’art plus ancienne, hellenistique, classique, voire archaïque».
C’è tuttavia una nota che accomuna tutte le opere di questo periodo e che si la-
scia individuare nel bisogno che l’arte non «rappresenti» qualcosa, ma «esprima»
qualche cosa. Abbiamo cioè, divenuto ormai elemento formale e strutturale del
linguaggio, appunto quell’anticlassicismo illustrativo, che affiorava come nota
spontanea ma sporadica, in ambiente romano, nel tessuto figurativo dell’arte clas-
sica.
[22] Il bisogno della composizione della figura in se stessa e della figura nello
spazio, in una parola della «forma», nel suo significato genuino, sono andati perdu-
ti, e questa appare una delle perdite (o conquiste?) più vistose dell’arte paleocristia-
na. Ma alla luce delle nuove esigenze illustrative, dell’intromissione spregiudicata e
indisciplinata del soggetto che pretende non già di interpretare, ma addirittura di
significare immediatamente il reale, ogni deformazione appare giustificata, e la co-
esistenza stessa di schemi figurativi contrastanti, tradizionali e innovatori, è sinto-
mo di questa insensibilità e indifferenza dell’artista verso la realtà oggettiva.
***
Nell’arte tardo - antica e in quella delle catacombe hanno avuto origine e si sono
fissati, come abbiamo visto, gli schemi figurativi dell’arte paleocristiana. Quando la
commemorazione funeraria cede il posto alla decorazione di ambienti destinati
apertamente al culto, non vi sono molte novità, né negli argomenti trattati, né nella
maniera di trattarli. Solo la maggiore superficie di cui l’artefice dispone, porta ad
una accentuazione del carattere narrativo della decorazione murale. Anche nei mo-
saici raffiguranti scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, ogni composizione in
profondità, come già era avvenuto nelle catacombe del III secolo, è quasi totalmen-
te bandita, e cede il posto alla composizione in superficie 52. Anzi, di composizione
si può parlare, solo se si tolga alla parola il significato che essa ha, applicata ad
opera figurative classiche e tradizionali. Manca un qualsiasi elemento accentratore,
in senso formale, che dia unità compositiva alle varie rappresentazioni: in senso
contenutistico, (contenutismo verso il quale, come abbiamo notato, si orienta prin-
cipalmente l’arte di questo periodo), c’è, a volte, l’elemento accentratore che si
52
S. Maria Maggiore: mosaici della navata (del 390 circa, secondo S. Bettini, La pittura cristiana
delle origini, tavv. 34-37. Per diverse opinioni su questa data, v., fra l’altro, C. Cecchelli, I mosaici della
basilica di S. Maria Maggiore, Torino 1956.
58 Sezione 1 - Lo sguardo
identifica col Cristo 53; ma il valore morale di questo «centro» della scena, è ben
lontano dal simmetrico disporsi e corrispondersi [23] degli elementi figurativi, in-
dipendentemente dal soggetto e dalle persone rappresentate, nelle composizioni
classiche.
Manca anche una qualsiasi delimitazione alle varie rappresentazioni: esse si
susseguono, quasi compenetrandosi una nell’altra, indifferentemente dall’alto ver-
so il basso o da sinistra verso destra, con una specie di rinuncia alla irreversibilità
del fatto storico; sì che, il termine or ora usato di composizione, per queste rappre-
sentazioni, potrebbe più utilmente essere sostituito dal termine ritmo; che, poi, è
una composizione nel senso temporale, quasi, cioè, una metafora della normale
composizione spaziale.
In queste raffigurazioni, infatti, si snodano i fatti della storia cristiana, antichi e
reali, ma ormai transumanati e fissati in un eterno presente; per cui anche gli episo-
di consecutivi possono coesistere, e la terza dimensione perde ogni valore di neces-
sità, nella sopravvenuta esigenza di uno spazio astratto, quasi simbolo di spazio, su
cui si innesti la concezione ciclica di una storia eternamente ricorrente ed eterna-
mente nuova.
***
53
Per esempio: Cristo fra Santi e Apostoli, cimitero di Domitilla, (Bettini, op. cit., tav. 30).
54
Busti di oranti. Cimitero di Trasone (S. Bettini, op. cit., tavv. 28, 29).
55
S. Bettini, op. cit., tav. 23.
1 - La rappresentazione dello spazio nella pittura cristiana primitiva 59
tessere più compatte 56, che non si differenzia, se non per questo, dall’immobile
fondo 57.
Nelle «Maestà» che presentano Gesù o la Madonna in trono, attorniati dagli
Apostoli o dai Santi, il personaggio centrale, per le ginocchia fortemente divaricate
e per la mancanza di sufficiente chiaroscuro, annulla anche la profondità che una
figura seduta naturalmente possiede, uguagliando, in altezza e spessore, le figure
rigidamente frontali che si dispongono ai suoi due lati 58.
Più complessi e più ambigui, e nello stesso tempo di più difficile comprensione
per lo spettatore moderno, sono i nessi spaziali quando, sul fondo compatto e unito,
ma reso fluido dal colore, su quella nuova dimensione che pare essere l’unica nota
quasi uniforme della pittura di questo periodo, non affiorano forme isolate, ma
gruppi di figure che tra loro devono stabilire dei rapporti.
Allora si rivela con più chiarezza la completa perdita del senso compositivo; gli
elementi sono visti ciascuno per se stesso e rappresentati nel modo che li renda più
vicini, più chiaramente interamente visibili, ma gli uni indipendentemente dagli
altri.
Nel mosaico «il passaggio del Mar Rosso», in S. Maria Maggiore 59, il mare at-
traversato dagli Ebrei e il suolo che essi toccano è visto da un punto di vista altissi-
mo, ed è ribaltato in posizione verticale, ma con esso non sono coordinate le figure,
che, avendo anch’esse una posizione verticale, risultano coricate nel mare. I gruppi,
nello stesso mosaico, si presentano con una sovrapposizione delle figure in senso
verticale, mentre le teste non perdono, allontanandosi, nulla della loro chiarezza e
compiutezza 60.
La medesima rappresentazione spaziale si ha nel mosaico pavimentale [25] teo-
doriano di Aquileia 61: sotto un orizzonte rialzato, la figura della terra è simile al
versante di una montagna.
56
Di diversa origine, e, comunque non pertinente al nostro assunto, è il riapparire dei piedestalli
nella pittura posteriore all’VIII secolo.
57
Mosaico pavimentale Teodoriano di Aquileia. Mosaico dell’abside sinistra (traditio legis) di S.
Costanza. Cristo tra gli Apostoli del cimitero di Domitilla. Cristo tra gli Apostoli, cappella di S. Aqui-
lino, S. Lorenzo, Milano in: S. Bettini, op. cit., tavv. 20, 31, 38, 39.
58
Cristo tra gli Apostoli, cimitero di Domitilla. Cristo tra gli Apostoli, cappella di S. Aquilino, S.
Lorenzo, Milano in: S. Bettini, op. cit., tavv. 38, 39.
59
S. Bettini, op. cit., tav. 35.
60
Essi ripetono così lo schema che avevamo notato nei rilievi dell’arco di Costantino.
61
S. Bettini, op. cit., tav. 19.
60 Sezione 1 - Lo sguardo
Sempre in S. Maria Maggiore troviamo nel mosaico «Abramo e gli angeli» 62, il
primo esempio di una raffigurazione prospettica completamente nuova: i lati del
tavolo attorno al quale stanno gli angeli, si allargano allontanandosi dallo spetta-
tore, dando così l’illusione, non già di immergersi nello spazio retrostante, ma di
protendersi, quasi, al di fuori del piano figurativo. Anche in questo caso, tuttavia,
questo schema si applica ad un solo elemento, mentre per il tavolo di sinistra è ac-
cennata una prospettiva normale 63.
***
***
Ciò che abbiamo detto, com’è ovvio, non è che una premessa al problema della
rappresentazione spaziale nell’arte paleocristiana, [26] dato che la trattazione do-
vrebbe estendersi ben oltre il IV sec., quando l’arte accoglierà in misura sempre
maggiore apporti bizantini, siriaci ed orientali in genere. Anche in questo periodo
Questa pluralità prospettica, con conseguente perdita del valore realistico dello spazio, trova il
63
più tardo, è vero, sarebbe possibile cogliere quelle caratteristiche della rappresenta-
zione spaziale, proprie dell’arte del IV sec. - spazio indeterminato e plasticismo
astratto -: ma non più come elementi essenziali, anche se, talvolta, chiaramente
memori delle origini e perfino determinanti della rappresentazione.
Per questo ci è sembrato lecito considerare la rappresentazione dello spazio
nell’arte del IV sec. come premessa alle figurazioni più tarde e quindi abbiamo vo-
luto interrompere, ora, le nostre ricerche alle soglie del V sec., nel punto cioè, in cui
il filone romano incomincia a perdere la sua integrità.
63
Arte plebea.
Una definizione ancora valida?*
[17] È fuor di dubbio che nell’articolo “Arte plebea” del primo numero della ri-
vista “Dialoghi di Archeologia”1, Ranuccio Bianchi Bandinelli presenti la più com-
piuta e apparentemente conclusiva definizione di un aspetto della produzione figu-
rativa romana, che egli porrà alla base della sua concezione bipolare dell’arte roma-
na e che diventerà, specie nei successivi articoli e manuali, il suo paradigma inter-
pretativo di quella stessa arte.
Le critiche giustissime, da parte di Tonio Hölscher, Salvatore Settis e Paul Zan-
ker 2 di questa impostazione hanno già sottolineato la inapplicabilità e inadeguatez-
za di questo metodo storiografico binario, incapace di giustificare le numerose va-
riabili delle espressioni artistiche romane e che anzi, nella mera contrapposizione
arte plebea/arte ufficiale denuncia in definitiva l’ultimo esito della superata con-
trapposizione “arte greca/arte romana”, secondo un modello storiografico che pro-
cede per contrapposizione di blocchi omogenei, e non per rielaborazioni e rifunzio-
nalizzazioni di mescolati linguaggi.
La rivalutazione del metodo interpretativo policentrico, che individua nell’arte
romana una molteplicità di modelli ma anche di codici espressivi, in un sistema
dove è sbagliato cercare linee evolutive coerenti e totalizzanti, è divenuta la via per
* Da F. De Angelis, J-A. Dickmann, F. Pirson, F. von den Hoff (a cura di), Kunst von unten?. Stil und
Gesellschaft in der antiken Welt von der “arte plebea” bis heute, Internationales Kolloquium anlässlich
des 70. Geburtstages von Paul Zanker, Roma 8-9 Juni 2007, Palilia 27, Berlino 2012, pp. 17-26. La
documentazione fotografica è stata fornita dalla Soprintendenza per i Beni archeologici di Ostia
Antica.
1
Bianchi Bandinelli 1967, pp. 7-19.
2
Hölscher 1987; Settis 1989; Zanker 2002.
64 Sezione 1 - Lo sguardo
3
Bianchi Bandinelli 1966, pp. 57-60.
4
Cic., fam. 9,21.
5
Bianchi Bandinelli 1967, p. 12.
2 - Arte plebea. Una definizione ancora valida? 65
Fig. 1 - Necropoli dell’Isola Sacra, Tomba della Mietitura: le due celle a-b e il recinto antistante articolato in un
portico a L, coperto a sud, e in una zona scoperta a nord.
Fig. 2 - Necropoli dell’Isola Sacra, Tomba della Mietitura, portico a L: 1. Il mosaico con il mito di Eracle e Alcesti,
nella zona scoperta del recinto; 2. I sei riquadri con le fasi di coltivazione e lavorazione del grano.
2 - Arte plebea. Una definizione ancora valida? 67
Se ci fermiamo a questo articolo (e non alle elaborazioni successive del suo pen-
siero), mi sembra che il problema qui posto e ancora accettabile sia quello di aver
identificato in quelle particolari forme espressive, una precipua funzione comuni-
cativa che detta anche la struttura formale del messaggio, ma non ne condiziona
l’aspetto stilistico.
Vorrei a questo punto, per non restare su un terreno puramente teorico, provare
a esaminare un monumento concreto che si iscrive senza dubbio in questa partico-
lare produzione figurativa, evidenziando i problemi che esso pone.
Si tratta del pavimento a mosaico di una tomba dell’Isola Sacra, la cosiddetta
Tomba della Mietitura, non inedito anche se non visibile per via di una opportuna
protezione contro gli scavi clandestini 6. La tomba si affaccia sul lato Est della strada
Ostia-Porto ed ha una struttura sufficientemente grandiosa, ma qui interessa foca-
lizzare il discorso soprattutto sull’apparato decorativo.
Essa è costituita da due celle adiacenti con ingresso autonomo (fig. 1; Tav. W)
[27, fig. 2] collegate da un unico vasto recinto antistante, a sua volta articolato in un
portico ad L, coperto, davanti alla cella sud e lungo la parete di ingresso, e di una
zona scoperta davanti alla seconda cella, il tutto pavimentato con mosaici figurati.
La cronologia [19] assicurata dai bolli laterizi, assegna la tomba alla metà del II
secolo.
Il mosaico del portico presenta una sequenza di riquadri di varia dimensione
(fig. 2. 1-2) [27, figg. 4-6], circondati ciascuno da una treccia continua che separa e
collega nello stesso tempo i campi ornati; due bande lineari, che accompagnano e
sottolineano anche il cambio di direzione del portico a L, servono da separazione,
sul lato ovest, tra questo pavimento e la soglia che dà accesso al cortile scoperto con
la rappresentazione mitologica di Eracle e Alcesti, nello schema del suo ritorno
dagli inferi, alla presenza di Admeto (fig. 2.1) [27, fig. 2].
Le figurazioni all’interno dei riquadri propongono invece la illustrazione, senza
confronti mi pare, in questa sequenza e con questa precisione da manuale, delle fasi
di coltivazione e lavorazione del grano. L’ultimo riquadro, mancante, ne proponeva
forse la commercializzazione, o l’uso da parte di un negotiator o meglio di un pistor.
Si tratta, come si vede di un articolato programma decorativo che sembra iscri-
versi in due distinti filoni della produzione figurativa: quello che inventa segni e
schemi di rappresentazione, costruendo un discorso per immagini tutto nuovo,
presentato in un racconto pieno di particolari minuti e aneddotici, incurante di
corretti rapporti proporzionali; e l’altro che evoca, nella sintesi di una rappresenta-
6
Angelucci et al. 1990, pp. 49-113, in particolare pp. 90-109, per i mosaici della Tomba della
Mietitura.
68 Sezione 1 - Lo sguardo
seminato segue l’allineamento del decussis, lasciando in basso una fascia di tessere
bianche vuota di figurazioni, in contrasto con la prospettiva a volo di uccello di
questa e delle altre scene. Ancora una volta il mosaicista non è interessato tanto
all’equilibrio compositivo, alla razionale oggettività della immagine, quanto alla
folla di informazioni.
Nel terzo riquadro [27, fig. 5.1] è rappresentata la mietitura: la prospettiva è
sempre a volo d’uccello; le proporzioni leggermente più strette e allungate del cam-
po figurato (anche questo è segno di assoluta libertà di impaginato) danno una
straordinaria profondità alla scena chiusa sul fondo da un filare di tre alberi. Due
figure di mietitori sembrano avanzare dal fondo in un campo di grano raffigurato in
primo piano, grano ridotto alla sola spiga. I mietitori afferrano le spighe con la sini-
stra tagliandole poco sotto la spiga stessa con una falce impugnata in maniera carat-
teristica. Si tratta della falx messoria, dal corto manico e dalla lama a mezzaluna
nota tra gli utensili agricoli pervenutici: qui presenta però la punta inequivocabil-
mente rivolta [22] all’infuori, in una iconografia che non ha confronti a meno che in
questa forma non debba riconoscersi la falx verruculata, menzionata da Moderatus
Columella e che Kenneth Douglas White 7 immagina come una specie di falce rostra-
ta: di nuovo siamo in presenza di un eccesso di precisione, una comunicazione pun-
tuale e puntigliosa che in qualche modo toglie realtà e genera astrattezza proprio per
accumulo di realtà. La mietitura è qui rappresentata dal taglio della sola spiga, an-
che a giudicare dal modo in cui è tenuta la falce, secondo una consuetudine caratte-
ristica del Piceno, come testimoniano le fonti antiche che registrano comunque la
convivenza di diverse abitudini regionali. Nei dintorni di Roma infatti il grano veni-
va tagliato a metà altezza e dava origine ai covoni: abbiamo quindi un altro puntua-
le riferimento ad una realtà parziale e quindi di difficile decifrazione.
Le spighe, sproporzionate rispetto al resto, sembrano, almeno quelle in primo
piano, nascere direttamente dal terreno, ma a superare l’immagine piatta e scorret-
ta interviene l’efficace espediente di raffigurare le due figure dei mietitori in secondo
piano solo dalle ginocchia in su, suggerendo una loro piena immersione in un cam-
po di grano alto, di cui, per chiarezza illustrativa dell’operazione in corso, il mosai-
cista avrebbe scelto di rappresentare solo la spiga: va notata quindi la capacità del
mosaicista di servirsi di mezzi non del tutto ingenui e non privi di saperi, per rag-
giungere il suo scopo, focalizzando la attenzione su ciò che voleva sottolineare. I
mietitori, rappresentati in posa leggermente variata indossano la solita corta tunica
degli altri riquadri, nonostante l’inevitabile diversità stagionale: è evidente che l’ac-
7
Colum. 2,20,3; White 1967, pp. 82 ss.
70 Sezione 1 - Lo sguardo
cento non batte sullo scorrere ciclico delle stagioni, ma sulla specificità delle opera-
zioni rappresentate.
Il quarto riquadro [27, fig. 5.2], che ha le stesse più esili misure del precedente e
ad esso è figurativamente collegato (va comunque notata questa circostanza della
riquadratura non preventivamente calcolata), rappresenta il trasporto delle spighe
sull’aia verso la quale avanzano due figure con uno schema identico, variato solo
nella posizione della gamba sinistra, ciascuna reggendo con il braccio alzato un ce-
sto pieno di spighe sulla spalla sinistra, mentre appoggiano per bilanciarsi il braccio
destro sull’anca. La testa appena delineata si staglia contro la corbis che rade linee
bianche definiscono come di vimini intrecciati. Alla difficoltà di lettura dei volti, alle
incertezze nella esecuzione dei particolari fa contrasto la sicurezza di impianto della
figurazione, di immediata leggibilità, mentre per circostanziare meglio la scena dai
cesti fuoriescono visibilmente spighe gigantesche e sproporzionate, quelle stesse che
per maggior chiarezza sono sparse al suolo intorno ai trasportatori.
Il quinto riquadro situato all’angolo del portico [27, fig. 6.1] riprende esatta-
mente le misure del primo [23] creando un campo quadrato, all’interno del quale è
raffigurata la battitura del grano, eseguita mediante due coppie di cavalli trattenuti
da una figura che fa da perno al loro movimento circolare. C’ è la solita rappresen-
tazione sproporzionata delle spighe; la figura in primo piano al centro del riquadro
regge con le mani il pungolo e una fune collegata alla seconda coppia di cavalli,
eretti sulle zampe posteriori nello slancio della corsa. La fune riappare sopra le loro
teste e con una traiettoria ad arco di cerchio va ad inserirsi tra i cavalli della prima
coppia. La linea arcuata della fune sottolinea e in qualche modo rappresenta, con
felice soluzione, il movimento rotatorio dei cavalli.
La scena è di grande vivacità e immediatezza, nonostante lo squilibrio derivante
dall’uso di schemi iconografici contrastanti. Mentre infatti la figura umana [24]
presenta la stessa trascurata approssimazione nella resa delle altre, i cavalli, di pro-
porzioni piccole rispetto al contesto, soprattutto rispetto alle grosse spighe, agili e
scattanti nella posa, sembrano incongruamente memori di schemi di corsa nel circo.
Anche qui si può ammirare la sapienza nel creare, mescolando i linguaggi, una im-
magine felicemente vivace.
L’ultimo riquadro superstite [27, fig. 6.2], il sesto, è sfortunatamente conservato
solo nella metà destra ma se ne comprende bene la raffigurazione. Si trova sul lato
ovest del portico e la scena è ruotata in modo da essere vista direttamente da chi
entrava dalla porta di ingresso del recinto. Raffigura l’operazione della pulitura del
grano dopo la trebbiatura. Una figura maschile, vestita della solita corta tunica,
rappresentata di tre quarti nell’angolo del riquadro, ha gettato in aria con un forco-
2 - Arte plebea. Una definizione ancora valida? 71
ne a quattro denti, il ventilabrum delle fonti 8, il grano misto a paglia già calpestato
dai cavalli e raffigurato come una informe nuvola nera tempestata di tessere bian-
che, e, con l’aiuto del vento, isola i chicchi di grano che scendono verticalmente,
dalla pula che vola in alto a destra sotto forma di file orizzontali di sottili tessere
rettangolari nere. Si tratta dell’unica documentazione figurata di una operazione,
per altro minuziosamente descritta nei testi antichi, dove si precisa che il vento non
doveva essere troppo forte.
Possiamo soffermarci, per quel che riguarda il nostro tema, su questa scena sen-
za altri riscontri e sui modi in cui è costruita: la felice invenzione di uno schema
iconografico inedito risolve in maniera sintetica e insieme di immediata leggibilità,
e soprattutto con l’uso esclusivo di mezzi figurativi, il problema della traduzione
visiva di una attività complessa e di difficile resa, sottolineando e mettendo in evi-
denza i coerenti modi espressivi che ci è sembrato di poter cogliere in tutti i riquadri,
con l’esecuzione abbreviata del volto, e le lumeggiature in funzione della resa pla-
stica e propone quindi l’esistenza di un linguaggio iconografico autonomo dalle
tradizioni figurative in uso, capace di rielaborare ma anche di inventare, per esigen-
ze comunicative e narrative, schemi immediatamente adoperabili, anche se inadat-
ti a dare origine a serie iconografiche, legati come sono alla immediatezza del rac-
conto per immagini.
I nostri mosaici, come è emerso dalla descrizione, sono caratterizzati dalla vo-
lontà di illustrare operazioni agricole secondo regole precise che paiono ispirate ad
una precettistica arcaica tramandata dagli scriptores rei rusticae. Ma la insistenza e
la precisione tecnica nella elencazione delle operazioni che esaltano la qualità e
l’accuratezza del lavoro, è funzionale ad un insistito discorso di adesione a un mo-
dello ideale di comportamento sociale, che la figurazione nel suo complesso espri-
me, [25] come decorazione di una tomba e quindi come racconto di una vita e non
come pura e semplice rappresentazione e illustrazione didascalica di pratiche agri-
cole. Ed è per questo che la sequenza, così come è presentata in questi mosaici, non
è altrimenti documentata.
L’abbondanza di particolari di immediata leggibilità per l’osservatore contem-
poraneo, come la forma della falce, o l’uso dell’erpice, la definizione gromatica del
campo o il particolare modo, probabilmente regionale, di tagliare le spighe, si inte-
gra nel linguaggio di quella particolare forma di comunicazione che è il messaggio
del monumento funerario nel quale l’immagine mitologica del mito di Alcesti, evo-
cato invece secondo schemi iconografici tradizionali, inserisce in una semplificata e
8
Varro, rust.52,2; Colum. 2,20, 4-5; White 1967, pp. 32 ss.
72 Sezione 1 - Lo sguardo
allusiva rappresentazione, la allegoria della morte piuttosto che inserire una ambi-
gua speranza di sopravvivenza. Se quindi riconosciamo alle forme espressive dei
riquadri, (una serie di microeventi disposti uno accanto all’altro in una narrazione
paratattica ma in un contesto pseudorealistico), la specificità di essere funzionali
alla comunicazione propagandistica più che alla rappresentazione didascalica, po-
tremo positivamente considerarle come rappresentative di uno dei molteplici seg-
menti della produzione figurativa romana, la cui saltuaria presenza in diversi ambi-
ti cronologici o spaziali, per altro, si giustifica meglio con questa connotazione che
non se attribuiamo a questo linguaggio una valenze esclusivamente sociologica.
Abbreviazioni
Angelucci et al. 1990 = S. Angelucci et al., ‘Sepolture e riti nella necropoli dell’Isola Sacra’,
in BA 5/6, 1990, pp. 49-113.
Bianchi Bandinelli 1966 = R. Bianchi Bandinelli (a cura di), Sculture municipali dell’area
sabellica tra l’età di Cesare e quella di Nerone, Studi Miscellanei 10, Roma 1966.
Bianchi Bandinelli 1967 = R. Bianchi Bandinelli, ‘Arte plebea’, in DialAr 1, 1967, pp. 7-19.
Settis 1989 = S. Settis, ‘Un’arte al plurale. L’impero romano, i Greci e i posteri’, in E. Gabba,
A Schiavone (a cura di), Storia di Roma 4. Caratteri e morfologie, Torino 1989, pp.
827-878.
White 1967 = K. D. White, Agricultural Implements of the Roman World, Cambridge 1967.
*
Da ‘La parola, l’immagine e la tomba’, Atti del Colloquio Internazionale, Capri - Certosa di S.
Giacomo 20-23 Aprile 1988, in AIONArchStAnt X, 1988, pp. 107-115. Le foto sono tratte da Kurtz
Vases.
1
Il problema è stato affrontato in lavori d’insieme sulle stele funerarie attiche e sulle pratiche fune-
rarie di età classica, oltre che nelle pubblicazioni, generali o specifiche, sulle lekythoi a fondo bianco.
Si danno qui i riferimenti principali, rinviando alle bibliografie specifiche citate nei lavori elencati: E.
Buschor, ‘Attische Lekythen der Parthenonzeit’, in MünchJahrb 1925, pp. 167 ss.; K. F. Johansen, The
attic Grave-reliefs of the classical Period, Copenhagen 1951, pp. 53 ss.; J. Thimme, ‘Die Stele der He-
geso als Zeugnis der attischen Grabkultes’, in AntK 1964, pp. 16 ss.; F. Felten, Thanatos und Kleo-
phonmaler, München 1971, pp. 53 ss.; D. Kurtz - J. Boardman, Greek Burial Customs, London 1972,
pp. 103 ss.; Kurtz, AWL; Stupperich, 1977, pp. 85-86, con la bibl. citata nelle note; Humphrey, 1980,
specialmente pp. 110-112; Nakayama, 1982; Clairmont, 1983, pp. 74 ss.; B. Schmalz, Griechische
Grabreliefs, Darmstadt 1983; R. Garland, The greek Way of Death, Cambridge 1985, pp. 104 ss.;
Kurtz Vases.
76 Sezione 2 - Pittura e mosaico
mento funerario e non, come esse sono, una offerta funeraria 2. Il problema si com-
plica ulteriormente con la ricomparsa, nell’ultimo quarto [109] del V sec. a.C., di
stele funerarie di marmo figurate, con schemi iconografici particolari, che creano
quindi una serie parallela alle figurazioni delle lekythoi più tarde, prima che questa
produzione scompaia alla fine circa del V sec. a.C. 3.
I termini della discussione sono noti e, semplificando al massimo le soluzioni
proposte, esse si possono così sintetizzare: una prima soluzione abolisce il proble-
ma, definendo i monumenti raffigurati «elementi di fantasia» o comunque inutiliz-
zabili per recuperarne la realtà 4; una seconda sulla base di una serie tipologica
monumentale ricavata dalle immagini delle lekythoi, cerca un riscontro nella realtà
archeologica disponibile, indipendentemente da ambiti cronologici e geografici 5:
una terza, con una correzione molto più pertinente dell’ambito della ricerca 6, indi-
vidua nei monumenti pubblici eretti dalla città ai suoi morti in guerra l’unico punto
di riferimento plausibile e, in parte, documentabile, che giustifichi l’esistenza stessa
delle figurazioni sulle lekythoi, riconducendo tutte queste immagini a rappresenta-
zioni di «demosia semata».
Tutte queste posizioni contengono chiaramente una parte di verità, ma nell’en-
fasi polemica dimostrativa, e, soprattutto, nella quasi ossessiva ricerca di un riscon-
tro realistico, che giustifichi le immagini sulla ceramica, sottovalutano sostanzial-
mente il discorso specifico di queste figurazioni nel loro complesso, il discorso me-
Quando la provenienza è verificabile, esse sono state trovate per lo più nei o intorno ai sepolcri:
2
cfr. C.G. Boulter, ‘Graves in Lenormant Street Athens’, in Hesperia 1963, pp. 113 ss.; B. Schlörb Vier-
neisel - U. Knigge, ‘ Eridanos Nekropole’, in AM 1966, pp. 5 ss.; F. Felten, ‘Weissgrundige Lekythen aus
der Athener Kerameikos’, in AM 1976, pp. 77 ss.; U. Knigge, Der Südhügel, Kerameikos IX 1976, pp.
11-15; 38-42; 170-183; 193-194. Solo per le cosiddette «Huge Lekythoi» tarde (fine V sec.) e monu-
mentali, si può proporre una funzione di sema: cfr. Kurtz, AWL, pp. 68 ss.
3
Il tentativo di stabilire parallelismi tra le figurazioni delle lekythoi e delle stele è deviante e crea
falsi problemi: si veda ad es. G. Davies, ‘The Significance of the Handshake Motif in classical funerary
Art’, in AJA 1985, pp. 627 ss., soprattutto nota 16; la diversa funzione che le due classi di materiali
hanno nel complesso delle pratiche funerarie antiche comporta anche un diverso messaggio; le varie
ipotesi sulla mancanza di monumenti funerari in pietra sono discusse in Stupperich 1977, p. 19, nota
3 e pp. 85-87 con le relative note; cfr. anche Clairmont 1983, p. 74 e nota 4.
4
B. Schmaltz, Untersuchungen zu den Attischen Marmorlekythen, Berlin 1970, p. 76; Id. in AM
1978, p. 95, nota 36; Nakayama 1982, bibl. cit. a p. 14; cfr. anche R. Stupperich, ‘Weissgrundige Leky-
then in Münster’, in Boreas 1979, pp. 209 ss., dove si sottolinea che il problema è ancora in discussio-
ne, invitando comunque a non sopravvalutare e a non analizzare ‘metafisicamente’ opere di artigiana-
to corrente come le lekythoi; ma è appunto questa non «eccezionalità» a rendere più interessanti
queste figurazioni: la mancanza di una committenza individuale rivela che sapere e immaginario era-
no strettamente legati. Di elementi di «fantasia» parla anche I. Vehgartner, ‘Ein Grabbild des Achil-
leusmalers’, 129° Berliner Winckelmannsprogramm, Berlino 1985, p. 26.
5
Nakayama 1982; la tesi di una riproduzione realistica sembra adombrata anche in Kurtz AWL,
passim, specie nelle didascalie delle figure, e in Kurtz Vases, pp. 327-328.
6
Clairmont 1983, pp. 62 ss.; 74 ss.
3 - Tomba e stele nelle lekythoi a fondo bianco 77
taforico che esse mettono in scena, producendo immagini e non riproducendo ar-
cheologicamente la realtà. Ci sembra infatti che un altro approccio possibile sia
quello di cercare di individuare i meccanismi che presiedono alla elaborazione del-
la metafora, stabilendo in qualche modo una opposizione tra verisimiglianza e me-
tafora, tra rispecchiamento plausibile, databile entro una cornice di realtà storica,
dei segni in cui si struttura l’immagine e la loro utilizzazione per una trasposizione
immaginaria non del «reale» ma del «tema»; poiché l’immagine non basta per ca-
pire la virtualità che la distingue, bisogna [109] tentare di cogliere la «immagine
immaginaria» che l’artigiano proiettava al di là dell’opera, affinché il circolo della
comprensione si chiuda 7.
Lo spunto per una più giusta impostazione del problema ci viene da un recente
articolo di D. Kurtz 8, che esamina i «vasi per i morti», limitatamente all’Attica, e per
un periodo che va dalla metà dell’VIII alla fine del V sec. a.C., selezionandoli in base
alle raffigurazioni che esplicitamente mettono in scena momenti del rituale funera-
rio. Prothesis, ekphorà, interramento e giochi funebri costituiscono per tutto que-
sto lungo periodo, la sequenza costante delle pratiche funerarie registrate dalle
immagini 9. Ma il vario intrecciarsi di questi frammenti del rituale, l’impaginazione,
la scelta e la valorizzazione di alcuni di questi momenti, ci rivelano che queste regi-
strazioni sono regolate da un codice che dà accesso ed espressione solo ad alcuni
comportamenti, attraverso una selezione culturale e formale che corrisponde, in
sequenza cronologica, alla varietà di risposte della integrazione sociale della morte.
All’interno di questa sequenza di vasi rituali - vasi per i morti - si collocano anche
le lekythoi a fondo bianco 10, che però, se da una parte continuano a registrare sal-
7
Le immagini infatti sono sempre una costruzione intellettuale profondamente radicata nell’im-
maginario sociale, sono oggetto di una scrittura ed anche di una lettura, il cui codice, accettato e
comprensibile, e perciò stesso, storicamente determinato va naturalmente individuato e possibilmente
ricostruito: Methodologie iconografique, (Actes du Colloque de Strasbourg 27-28 avril 1979), Stra-
sbourg 1981; Cité 1984; J.M. Moret, Oedype, la sphinx et les Tebains, Rome, Inst. Suisse, 1984, pp.
161 ss. (con la bibl); C. Bérard, ‘Modes de formation et modes de lecture des images divines’, in
ΕΙΔΩΛΟΠΟΙΙΑ, Actes du colloque sur les problèmes de l’image dans le monde mediterranéen classi-
que (Lourmarin en Provence, 2-3 septembre 1982), Roma 1985, pp. 163 ss.
8
Kurtz Vases.
9
La permanenza del rituale raffigurato non esclude naturalmente significative variazioni di schemi
compositivi.
10
Naturalmente il discorso riguarda le lekythoi a decorazione funeraria che formano un gruppo
omogeneo e in qualche modo preponderante all’interno di tutta la produzione: cfr. Kurtz AWL, p. XX
e p. 73; Kurtz Vases, p. 322; il corredo funerario poteva tuttavia comprendere anche lekythoi a deco-
razione non funeraria: cfr. bibl. cit. alla nota 2; per l’accoglimento del tema della «visita al sepolcro»
anche sulle lutrophoroi cfr. L. G. Kahil, ‘ Loutrophore à fond blanc au Musée du Louvre’, in Gestalt
und Geschichte (Festschr. K. Schefold) AntK, 4° Beiheft 1967, pp. 146 ss.; C. Bakalakis, ‘Die Lutro-
phoros Athen (ex Schliemann) - Berlin 3209’, in AntK 1971, pp. 74 ss.; Clairmont 1983, pp. 78 ss.
78 Sezione 2 - Pittura e mosaico
tuariamente un momento noto del rituale, la prothesis 11, e una particolare forma di
ekphorà con Hypnos e Thanatos 12 (fig. 2.4-5), dall’altra [110] mettono in scena una
situazione nuova e senza riscontri nella tradizione 13, appunto la visita al sepolcro,
non più rito attinente strettamente ai funerali, ma culto, o meglio, iterazione di un
culto. Solo partendo da questa prospettiva si può recuperare in maniera più corret-
ta il valore semantico della scena nel suo complesso: all’interno di questo sistema
iconografico va capito il senso della rappresentazione della stele sulle lekythoi.
La scena della visita al sepolcro si fissa in uno schema che dall’inizio (secondo
quarto del V sec. a.C.) lungo tutta la produzione di lekythoi a fondo bianco e icono-
grafia funeraria, presenterà poche variazioni 14. Sin dal suo primo apparire, viene
abolita la circolarità della visione attorno alla pancia del vaso e si attua una compo-
sizione convergente che dà alla scena un solo punto di vista, al centro del quale è
collocata la stele, talvolta con il tymbos in secondo piano; solo raramente è rappre-
Kurtz Vases, p. 324 e nota 91; nel piccolo numero di lekythoi con prothesis un particolare note-
11
vole è la diminuzione dei personaggi intorno al letto funebre. Cfr. Kurtz AWL, p. 36, nota 12, fig. 29,
1-2 (pitt. di Sabouroff); Kurtz AWL, p. 66, nota 9 (pitt. del Canneto); Kurtz AWL, p. 71, fig. 54.2 (pitt.
del Triglifo); cfr. anche l’elenco in Brommer MadMitt 1969, p. 163.
12
Cfr. anche l’elenco in Brommer MadMitt 1969, pp. 164 ss.; Kurtz AWL, fig. 32.4 (pitt. di Thana-
tos); Kurtz AWL, p. 63, nota 15 (pitt. del Quadrato); Kurtz AWL, p. 66, nota 11 (pitt. del Triglifo). Si
tratta di una iconografia tipica della ekphorà eroica; è stato già sufficientemente esaminato questo
slittamento di significato dall’iconografia dell’eroe guerriero e dei modi mitici della sua morte a quella
del morto in guerra ateniese, che attraverso quella iconografia e quella ideologia, rivendica su di sé una
simile eroizzazione (N. Loraux, L’invention d’Athènes, Paris 1981; Id., ‘Mourir devant Troie, tomber
pour Athènes: de la gloire du héros à l’idée de la cité’, in La mort, les morts, pp. 27 ss. Sulle lekythoi la
trasformazione metaforica è in un certo modo connotata narrativamente, come in quella del pitt. di
Thanatos (cfr. Kurtz AWL, fig. 32.4): il guerriero è in armi e non in nudità eroica e la stele, ulteriormen-
te connotata con l’elmo, dà la doppia dimensione storico-eroica della scena. Una più evidente precisa-
zione del senso non mitico di questo tipo di rappresentazioni ci viene da alcuni esemplari in cui i due
personaggi mitologici trasportano una defunta (cfr. l’elenco in Brommer MadMitt 1969, pp. 164 s.;
Kurtz Vases, p. 325): perduto il significato originario, l’immagine sembra una trasposizione in termini
meno drammatici del tema del «rapimento», già presente nelle stele di età arcaica (cfr. L. Beschi, ‘Un
nuovo tema della scultura funeraria arcaica’, in ΣΤΗΛΗ (Festschr. N. Kontoleon), Atene 1980, pp. 463
ss., specialmente pp. 470 ss.; cfr. anche A.M. D’Onofrio, ‘Aspetti e problemi del monumento funerario
attico arcaico’, Atti del Colloquio Internazionale, Capri - Certosa di S. Giacomo 20-23 Aprile 1988,
in AIONArchStAnt X, 1988, pp. 83 ss.
13
La lutrophoros Louvre MNB 905, del pitt. di Saffo, della fine del VI sec. è la prima a rappresentare
questa scena, ma la sua connessione con la rappresentazione del seppellimento sulla pancia del vaso,
oltre che i gesti di disperazione delle visitatrici intorno al tymbos (e non alla stele), sembrano connet-
terla più intimamente alla sequenza dei funerali, piuttosto che riferirsi alla visita al sepolcro, nel senso
delle lekythoi (Cfr. Kurtz Vases, pp. 321-323; Citè 1984, p. 100, fig. 144.a-c).
14
Le variazioni riguardano il tipo di stele e il numero o l’atteggiamento dei personaggi in visita:
Kurtz AWL, passim e Kurtz Vases passim.
3 - Tomba e stele nelle lekythoi a fondo bianco 79
sentato il solo tymbos 15 (figg. 1.1-6; 2.1). Verso la stele si dirigono personaggi pre-
valentemente, ma non esclusivamente, femminili 16 (fig. 1.3-4, 6), con offerte, bende
o canestri contenenti generalmente lekythoi e bende 17.
[111] Sappiamo dalle fonti letterarie quale significato rivestisse l’onoranza ai
morti nel V sec. a.C. Esso era un dovere civico al quale bisognava dimostrare di
avere ottemperato prima della «dokimasia»; esso aveva un posto nella valutazione
etica e sociale, era un nomos 18. La vera novità di queste scene, quindi, in ambito
funerario, è questa documentazione di un culto sempre rinnovato nel tempo, dove
la cura che i vivi si prendono dei morti non va vista come episodio di devozione
privata ma come ottemperanza ad un nomos e, in quanto tale, si iscrive nelle attivi-
tà che qualificano e designano il cittadino. È questo aspetto che può giustificare
queste figurazioni ripetitive, appunto rituali, costruite su «schemata» di immediata
lettura che fissano una iconografia la quale, a questo punto, diventa comprensibile
anche in mancanza di uno dei suoi elementi costitutivi, come nel caso in cui sono
rappresentati solo personaggi che si avviano con cesti pieni di lekythoi (fig.2.2-3),
dove la meta del viaggio può essere taciuta e la brachilogia funziona ugualmente
perché l’immaginario ne individua con sicurezza il senso.
Meta di pellegrinaggio, variamente adornata e accarezzata con venerazione, è la
stele che domina la scena e organizza la composizione. Essa infatti concretizza lo
spazio di questo particolare rituale, è il luogo dell’incontro fra i morti e i vivi. Spes-
so altri elementi si accompagnano al sema in questa definizione spaziale: si tratta di
15
Un piccolo gruppo di figurazioni con la rappresentazione del defunto visibile «in trasparenza»
attraverso il tymbos (fig. 2.6), costituisce un problema di interpretazione: è ancora in discussione se si
tratti di una prothesis o di una raffigurazione dell’interno del sepolcro; l’assenza di personaggi di
contorno mi fa propendere per questa ultima interpretazione, confermando che la «visita» è sempre
indirizzata alla stele e non alle spoglie del defunto. Cfr. Nakayama pp. 58 ss.; Kurtz AWL, p. 36, nota
11; p. 83 nota 4 e p. 205, fig. 23.1 (pitt. del Tymbos); CVA Tübingen 5, p. 60, tav. 27.1 (pitt. del
Tymbos).
16
La versione del corpus di immagini raccolte nei vari repertori conferma questa ipotesi.
17
Cfr. M. Pfanner, ‘Zur Schmückung griechischer Grabstelen’, in Hefte Archaeol. Seminar Univ.
Bern, 3,1977, pp. 5 ss.; E. Götte, Frauengemachtbilder, München 1977, pp. 20 ss.; D.C. Kurtz, ‘Mi-
stress and Maid’, Atti del Colloquio Internazionale, Capri - Certosa di S. Giacomo 20-23 Aprile 1988,
in AIONArchStAnt X, 1988, pp.141 ss.
18
R. Garland, The greek Way of Death, London 1985, pp. 104 ss. e 166; cfr. anche H. A. Cahn,
‘Dokimasia’, in RA 1973, pp. 3 ss.; J. Could, ‘Law, Customs and Myth: Aspects of the social Position
of Women in classical Athens’, in JHS 1980, pp. 38 ss. Va sottolineato a questo proposito come la
produzione di lekythoi a fondo bianco e iconografia funeraria sia essenzialmente attica e soprattutto
ateniese, cfr. Kurtz AWL, pp. 136 ss. Altrettanto interessante è l’assoluta mancanza di elementi mito-
logici in queste raffigurazioni funerarie contrariamente a quello che avviene sulla ceramica italiota,
dove il tema della «visita al sepolcro» è metaforicamente messo in scena attraverso le figure di Oreste
ed Elettra alla tomba di Agamennone: cfr. Pontrandolfo-Prisco-Mugione-Lafage, ‘Semata e naiskoi
nella ceramica italiota’, Atti del Colloquio Internazionale, Capri - Certosa di S. Giacomo 20-23 Aprile
1988, in AIONArchStAnt X, 1988, pp. 181.
80 Sezione 2 - Pittura e mosaico
lekythoi soprattutto «appese» sopra la stele, sul fondo bianco del vaso che a quel
punto è visto come una parete (fig. 1.2); essi sono segni che si integrano al sema
sottolineandone il valore simbolico, ma definendone ed evidenziandone meglio la
irrealtà topografica e documentaria, in senso strettamente archeologico. Il tymbos,
quando è rappresentato, è sempre in secondo piano, ma è la stele la meta della visita
ed è essa che dà significato pregnante a questo rito. Il tymbos è il luogo del cadavere,
dove il morto è custodito dopo che sono stati eseguiti tutti i riti che lo collocano nel
suo statuto 19, mentre la stele è il luogo dove si costruisce la immagine socializzata
del morto. Il concetto si struttura in età tardo-arcaica; è appunto dalla fine del VI
sec. a.C. [112] che la stele, come ha dimostrato da ultimo la D’Onofrio 20, pur cari-
candosi di tutti i segni funerari che la legano alla morte, ha assunto su di sé il com-
pito di marcare il punto di contatto e di scambio tra i vivi e i morti, in uno spazio
socializzato nel quale il discorso della parola e della immagine poteva essere pro-
nunciato e recepito. È questa, mi sembra, la metafora che è messa in scena sulle
lekythoi, è questa valenza del segno «stele» che viene recuperata e inserita nel di-
scorso «visita al sepolcro», indipendentemente da un puntuale riscontro nella real-
tà archeologica delle necropoli contemporanee. Ma la stele arcaica è figurata e, at-
traverso una calcolata selezione di segni, affida alle figure il compito della riprodu-
zione della ideologia della polis aristocratica, presentandole come paradigmatiche
di un’etica di ascendenza eroica, rivissuta nella più articolata vita cittadina 21. L’in-
terruzione di questo tipo di rappresentazioni figurate tra Clistene e la guerra del
Peloponneso pone comunque dei problemi. Secondo N. Loraux 22 questo buco nel-
le rappresentazioni funerarie che separa la scultura arcaica dalle innumerevoli stele
di periodo tardo-classico, dipenderebbe da una interdizione civica che pesa sulla
figurazione dell’individuo nella morte e da una prevalenza del dire sul vedere, della
parola che crea l’ideologia.
Ma si può obiettare che anche le figurazioni arcaiche non mettono in scena il
morto e inoltre, se è vero che la parola, nella Atene classica costruisce l’ideologia
della città, è vero anche che è la produzione figurativa che la sostanzia di immagini
D. Kurtz - J. Boardman, Greek Burial Customs, London 1972, pp.91 ss.; B. d’Agostino - A.
19
Schnapp, ‘Les morts entre l’objet et l’image’, in La mort, les morts, pp. 17 ss.
20
A.M. D’Onofrio, ‘Aspetti e problemi del monumento funerario attico arcaico’, Atti del Colloquio
Internazionale, Capri - Certosa di S. Giacomo 20-23 Aprile 1988, in AIONArchStAnt X, 1988,
pp. 83 ss.
21
Cfr. da ultimo A.M. D’Onofrio, ‘Un programma figurativo tardo-arcaico: le basi ateniesi con
‘Ballspielszenen’ riconsiderate’, in AIONArchStAnt VIII, 1986, pp. 175 ss.
22
N. Loraux, in La mort, les morts, p. 38.
3 - Tomba e stele nelle lekythoi a fondo bianco 81
altrettanto creative 23, anche se quel particolare sistema verbale che è la comunica-
zione per immagini è, per noi, di meno immediata decifrabilità 24.
Quando il monumento funerario rappresentato sulle lekythoi è connotato in
maniera più specifica - e questo già nel suo primo apparire, nel secondo quarto del
V sec. a.C. - mette in scena le armi del morto, elmi e pugnali 25 (figg. 2.4; 3.1), più
direttamente legati al concetto eroizzante della morte per la patria 26, ma [113] an-
che altri modesti attributi di uso quotidiano: cassette per gioielli e arpe 27 (fig. 3.2),
halteres 28 (fig. 3.3), uno sgabello sotto il quale è un cesto per la lana da filare 29
(fig. 3.5), scene di caccia alla lepre o di battaglia 30 (fig. 3.6): segni distintivi, cioè, di
classi di età o di genere; oppure, caso più interessante perché siamo nel secondo
quarto del V sec., una donna seduta intenta a filare 31 o con una corona in mano
(fig. 4.1) 32, che si presentano come l’inserimento nel campo semantico della stele di
figurazioni usate anche in altri ambiti 33, e che raffigurano in modi più distesi, il ruo-
lo della defunta cui più allusivamente rimandano altre figurazioni. In questo senso
23
Cfr. Ch. Dugas, ‘Décoration et imagerie dans la céramique grecque’, in Recueil Ch. Dugas, Paris
1960, pp. 35 ss.; J.P. Vernant, ‘Naissance d’images’, in Id., Religion, Histoire, Raisons, Paris 1977, pp.
105 ss.; F. Lissarague - A. Schnapp, ‘Imagerie des Grecs ou Grèce des imagiers?’, in Le temps de la
réflection, 1981, pp. 275 ss.; P. Schmitt Pantel - F. Thelamon, ‘Image et histoire: illustration ou docu-
ment?’, in Image et céramique grecque, Actes du colloque de Rouen, 25-26 novembre 1982, Rouen
1983, pp.9 ss.; L. Beschi, ‘Il fregio del Partenone: una proposta di lettura’, in RendAccLinc, ser. VIII,
vol. XXXIX, 1984, pp. 2 ss.; Images et Société en Grèce ancienne, Actes du colloque int. Lausanne,
8-11 février 1984, Lausanne 1987.
24
Cfr. bibl. a nota 7.
25
Kurtz AWL, p. 209, fig. 29.3 del pitt. di Atene 2020.
26
Per questa ragione Clairmont 1983, pp. 74 ss. fa discendere direttamente queste figurazioni dal
Demosion Sema.
27
Kurtz AWL, p. 208, fig. 28.2 del pitt. di Sabouroff; la lira, piuttosto che un’offerta, sembra signi-
ficativa dell’importanza della musica nelle cerimonie e nei rituali funerari: cfr. da ultimo L. Hoffmann-
Erbrecht, ‘ Die Musik im Grabkult der klassischen Antike’, in AINIGMA (Festschr. H. Rahn), Heidel-
berg 1987, pp. 15 ss.
28
Kurtz AWL, p. 207, fig. 26.2, del pitt. di Vouni.
29
Kurtz AWL, pp. 211-212, figg. 33.1 del pitt. di Thanatos; 33.2-3 del pitt. di Achille; per l’inter-
pretazione del cesto sotto la sedia cfr. J. D. Beazley, Attic White Lekythoi, London 1938, pp. 19 ss., che
ipotizza una statua femminile seduta, sulla stele, di cui la sola sedia col cesto sarebbe un simbolo e,
inoltre, il commento di Kurtz AWL, p. 212, che «non ritiene necessaria un’interpretazione simbolica»;
per un elenco di queste raffigurazioni cfr. anche Clairmont 1983, p. 65, nota 25.
30
Kurtz AWL, p. 211, fig. 32.3, del pitt. di Thanatos, per la caccia alla lepre; Kurtz AWL, p. 221, fig.
48.1-2, dell’officina del pitt. del Canneto, per le scene di battaglia.
31
Kurtz AWL, p. 83, nota 4; p. 205, fig. 22.1, del pitt. del Tymbos.
32
CVA Tübingen 5, p. 60, tav. 26.8-9, del pitt. del Tymbos; si confronti la donna raffigurata nello
stesso atteggiamento, ma in ambito non funerario, sulla lekythos a fondo bianco di CVA Tübingen 5,
p. 58, tav. 25.4-5 del pitt. di Aischines.
33
Si veda, tra gli altri, l’esempio citato da Kurtz AWL, p. 208, fig. 28.1a-b, del pitt. di Sabouroff; Id.,
‘Mistress and Maid’, Atti del Colloquio Internazionale, Capri - Certosa di S. Giacomo 20-23 Aprile
1988, in AIONArchStAnt X, 1988, pp.141 ss.; la Kurtz parla a questo proposito di «conflation» di
due temi.
82 Sezione 2 - Pittura e mosaico
mi pare vada interpretata anche la scena di una lekythos del pittore del Tymbos 34
(fig. 4.2-3), dove una donna con un telaio in mano è seduta presso la sua stele, come
in uno slegato discorso paratattico, ma il significato complessivo è quello di una
stele figurata. La stessa funzione acquista la stele quando fa da sfondo ad azioni di
caccia o battaglia, funzione evidenziata in particolare nella lekythos del pittore di
Thanatos 35 (fig. 3.6), ed esaminata più in dettaglio da A. Schnapp 36: la figura del
morto e in particolare la sua giovane età, è evocata attraverso l’attività caratteristi-
ca riservata agli adolescenti nella organizzazione della città, e la stele davanti alla
quale la caccia sembra svolgersi si riconferma come un elemento del discorso figu-
rato sulla morte, l’unico possibile e accettato 37.
Questa tendenza della iconografia ha fatto spesso parlare di «vita privata» e qui
mi pare che ci sia subito da sgomberare il campo da una falsificazione [114] moder-
nista, in quanto il concetto di vita privata si connette con una borghesia avanzata
ed essa è fatta dall’insieme delle relazioni sociali ed economiche di un gruppo che si
sforza di mantenere la sua autonomia di fronte allo stato. Niente di tutto ciò è pre-
sente in queste figurazioni, dove le allusioni a oggetti o attività di di vita quotidiana
servono piuttosto a definire e rappresentare i ruoli attivi all’interno della polis. È di
nuovo la polis che è in gioco; ma il concetto di polis solo per una astrazione che noi
stessi deduciamo dal discorso retorico del IV sec. 38 può essere visto come una realtà
immutabile, e invece essa vive storicamente, passando dal momento aristocratico a
quello democratico, con una complessa trasformazione che recupera il discorso
ideologico arcaico, adattandolo a livello comunitario 39. È chiaro che queste consta-
tazioni non sono nuove, ma quello che qui interessa è vedere come si sostanzia nelle
immagini, in queste immagini funerarie, questa trasformazione, attraverso quali
slittamenti di senso e allusioni la polis democratica integri nel suo universo politico
tutte le manifestazioni cittadine che, a loro volta, portano all’interno di un pro-
gramma politico in qualche modo totalizzante, un vissuto concreto, allo stesso
tempo determinato e determinante dell’ideologia complessiva della polis.
36
A. Schnapp, ‘La chasse et la mort: l’image du chasseur sur les stèles et sur les vases’, in Atti del
Colloquio Internazionale, Capri - Certosa di S. Giacomo 20-23 Aprile 1988, in AIONArchStAnt X,
1988, pp. 151
37
Cfr. P. Vidal-Naquet, Le chasseur noir; l’origine de l’éphébie athénienne, Paris 1981 e la biblio-
grafia in A. Schnapp citato alla nota 36.
38
Loraux, Invention d’Athènes.
39
Cfr. da ultimo J. Bažant, ‘Les vases athéniens et les réformes démocratique’, in Image et Société en
Grèce ancienne, Actes colloque intern. Lausanne, 8-11 février 1984, Lausanne 1987, pp. 33 ss.
3 - Tomba e stele nelle lekythoi a fondo bianco 83
40
Clairmont 1983, p. 74.
41
J. Bažant, p. 38 (articolo citato alla nota 39).
42
J. Bažant, ‘Entre la croyance et l’experience. la mort sur les lecythes à fond blanc’, in Iconographie
classique et identités régionales, BCH, suppl. XIV, pp. 37 ss.
43
J. Siebert, ‘Eidola. Le problème de la figurabilité dans l’art grec’, in Methodologie iconographi-
que, Strasbourg 1981, p. 67; Id., ‘Risposta a Bažant’, in Iconographie classique, p. 43 (articolo citato
alla nota 42).
84 Sezione 2 - Pittura e mosaico
proponeva Schefold 44, sinonimo di una permanente comunione tra i vivi e i morti
in quella che egli chiama «Das Diesseitige im Griechischen Jenseitsglauben».
Abbreviazioni supplementari
Brommer MadMitt 1969 = F. Brommer, ‘Eine Lekythos in Madrid’, in MadMitt 1969, pp.
156 ss.
Cité 1984 = AA.VV., La cité des images. Religion et société en Grèce antique, Paris 1984.
Clairmont 1983 = Ch. W. Clairmont, Patrios Nomos, BAR, Int. Ser. 161, 1983.
Humphrey 1980 = S. Humphrey, ‘Family Tombs and Tomb Cult in ancient Athens: Tradi-
tion or Traditionalism’, in JHS 1980, pp. 96 ss.
Kurtz Vases = D. C. Kurtz, ‘Vases for the Dead. An attic Selection, 750-400 b.C.’, in Ancient
greek and related Pottery (Symposium Amsterdam 1984), Amsterdam 1985, pp. 314 ss.
La mort, les morts = J. P. Vernant - G. Gnoli (edd.), La mort, les morts dans les sociétés an-
ciennes, Cambridge 1982.
K. Schefold, Wort und Bild, Studien zur Gegenwart der Antike, Basel 1975, pp. 95 ss.; cfr. anche
44
1 2 3
4 5 6
Fig. 1 - 1. Londra, British Museum D 65.; 2. Atene, Museo Nazionale 1958; 3. Atene, Museo Nazionale 1790; 4.
Parigi, Museo del Louvre CA 1640; 5. Boston, Museum of Fine Arts 1970.428; 6. Londra, British Museum
1928-2.13.1. (da Kurtz AWL).
86 Sezione 2 - Pittura e mosaico
1 2 3
4 5 6
Fig. 2 - 1. Atene, Museo Nazionale 1875; 2. Atene, Museo Nazionale 1929; 3. Madison (Wisconsin), Elvehjem
Art Center EAC 70.2; 4. Londra, British Museum D 58; 5. Atene, Museo Nazionale 12783; 6. Londra, British
Museum D 35. (da Kurtz AWL).
3 - Tomba e stele nelle lekythoi a fondo bianco 87
1 2 3
4 5 6
Fig. 3 - 1. Atene, Museo Nazionale 2021; 2. Berlino, Staatlische Museen (Ovest) 2262; 3. New York,
Metropolitan Museum 35.11.5; 4. New York, Metropolitan Museum 12.229.10; 5. Vienna Kunsthistorisches
Museum (3746); 6. Londra, British Museum (D 60). (da Kurtz AWL).
88 Sezione 2 - Pittura e mosaico
1 2 3
4 5 6
Fig. 4 - 1 Parigi, Museo del Louvre MNB 3059; 2-3. Oxford, Ashmolean Museum 1956.14; 4. New York,
Metropolitan Museum 23.160.39; 5-6. New York, Metropolitan Museum 11.212.8. (da Kurtz AWL).
89
ne: quello dei saperi tecnici degli artigiani e quello delle esigenze rappresentative,
ideologiche e simboliche, della committenza, confermando la possibilità di indivi-
duare nella pittura uno dei modi in cui una società si esprime e si rappresenta.
Va riconosciuto che motore di questo autentico rinnovamento sono state pro-
prio le eccezionali scoperte macedoni, il cui approfondimento tuttora non cessa di
contribuire a modificare inquadramenti storici e certezze tecniche che sembravano
definitivamente acquisiti. La possibilità di verificare su documenti concreti la qua-
lità e la cronologia dei mezzi espressivi promossi, a partire dalla metà del IV secolo
a.C., da una committenza principesca; la constatata varietà di tecniche pittoriche e
innovativi schemi compositivi cronologicamente compresenti in quelle produzioni;
l’inserimento in quelle pitture del concetto nuovo di arte decorativa, ammirata e
goduta più per la sua bellezza e la sua fama che per il suo contenuto: tutto ciò ha
messo in discussione il precedente modo di intendere e valutare la pittura antica,
condizionato da fonti letterarie che si sono rivelate utili a comprendere solo uno dei
momenti della produzione pittorica, il momento classico.
La morte di Alessandro Magno infatti, data di inizio dell’ellenismo, è insieme
data convenzionale ma anche significativa, perché sta ad indicare la fine di una
esperienza storica e l’inizio non già di una, ma di una serie di esperienze storiche
nuove, di cui va colta la compresenza e il rapporto dialettico, svoltasi in un clima
diverso da quello dell’Ellade e della polis.
[200] I testi noti hanno sempre sottolineato la grande importanza della pittura
nella cultura greca, referente privilegiato di poeti e di filosofi nella loro esplorazione
del mondo delle apparenze e della percezione, fenomeno importante e ricco di im-
plicazioni, particolarmente collegato con la sfera speculativa con la quale istituisce
uno specifico sistema di relazioni 3.
Questa concezione molto particolare, divenuta nella visione critica attuale sino-
nimo più generale di pittura antica, sembrava confermata dalle specifiche notizie e
dai giudizi sulla produzione pittorica presenti nelle fonti letterarie: si tratta invece
di atteggiamenti e valutazioni che riguardano quel periodo della storia greca, o
meglio, ateniese, in cui la pittura è soprattutto produzione di immagini e non deco-
razione, è straordinaria creazione di un linguaggio visuale che si affianca alla paro-
la politica e letteraria per inventare il mito della Atene classica. Questa particolare
elaborazione del concetto di pittura va quindi preliminarmente storicizzata e inse-
rita in un preciso momento della produzione greca, caratterizzato da una partico-
lare concatenazione storica di fatti che chiariscono quali esperienze queste scelte
3
Baldassarre e Rouveret 1995.
4 - Ricezione e rielaborazione delle esperienze macedoni nella produzione pittorica campana 91
4
Recueil Millet, s.v. Zeuxis, 209.
92 Sezione 2 - Pittura e mosaico
ellenistica in Italia e altrove, nelle metropoli e nei centri minori dell’area del Medi-
terraneo, la questione degli stili regionali diviene sempre più rilevante.
[201] In Italia tradizioni italiche, etrusche, campane, ma anche greche, si mesco-
lano ai linguaggi elaborati nelle città greche, Napoli, Taranto, e le pitture rivelano i
meccanismi ideologici che informano i programmi figurativi delle diverse aristocra-
zie 5.
Punto nodale di un corretto approccio al problema diviene a questo punto la
presa di coscienza della impossibilità di costruire una storia lineare della pittura
sulla base delle sole notazioni stilistiche, ma anche della inutilità di una operazione
che, decontestualizzando il documento, lo sradica dal sistema di relazioni in cui è
inserito e in cui solo ha un senso, impedendone una effettiva comprensione.
Il compito che la ricerca deve porsi quindi, oltre a quello di inquadrare anche i
rinvenimenti macedoni e le loro novità tecniche e iconografiche in una cornice sto-
rica oltre che in una gradualità cronologica, non può che essere il dovere di esami-
nare i contesti degli altri ambiti con approfondimenti che, pur tenendo presente il
patrimonio macedone tecnico e ideologico a cui tutti sembrano attingere, identifi-
chi e commenti soprattutto le singole autonome interpretazioni di quello stesso
patrimonio.
Per illustrare questa situazione in maniera chiara mi riferisco, in un rapido ex-
cursus, a Napoli e alla Campania, dove il lavoro di citazione e rielaborazione degli
schemi e delle tecniche presenti in Macedonia, funzionalizzati a diversi, specifici
messaggi, è ampiamente documentato ma soprattutto dà vita a produzioni profon-
damente diversificate, nonostante la vicinanza geografica e la sostanziale coerenza
cronologica. Si tratta di documenti che rispecchiano soprattutto l’articolata base
sociale che li produce in un dato momento storico e cronologico restituendone il
linguaggio metaforico.
Le tombe dipinte rinvenute nelle più importanti città campane: Capua, Cuma,
Nola, esaminate o riesaminate recentemente con particolare acribia 6, costituisco-
no, come quelle macedoni, un fenomeno legato a particolari élites di cui anche la
decorazione pittorica veicola l’ideologia. Come è stato accuratamente dimostrato,
i pittori che operano in questa parte di Italia, per questa committenza indigena elle-
nizzata, denunciano una indubbia omogeneità di saperi tecnici, che risalgono alle
De Caro 1991; Pontrandolfo 1996; Pugliese Carratelli 1996; Baldassarre 1998; Benassai 2001;
5
esperienze macedoni, sia pure con esiti formali differenti e mai particolarmente
elevati.
Gli esami e le analisi specifiche di tipologie tombali, motivi e sistemi ornamenta-
li, scelte iconografiche, iconologiche e tematiche dei complessi pittorici di questi
centri, sono riusciti ad enucleare i caratteri peculiari di ciascuno di essi, sottolinean-
do i particolarismi regionali, nonostante la constatata confluenza di omogenee
componenti culturali e artistiche e un fitto intreccio di influenze tra gli stessi centri.
Ma c’è un particolare aspetto, funzionale ad uno specifico discorso programmatico
e contenutistico, che omogeneamente caratterizza il corpus di queste tombe dipinte
campane, insieme differenziandole, nella stessa Campania, dalla contemporanea
documentazione della città di Napoli.
Le tombe campane infatti, grazie ad una rigorosa selezione di temi e al carattere
fondamentalmente ripetitivo delle scene rappresentate, costruiscono un discorso
per immagini teso a esaltare il valore di gruppi egemonici ristretti, le élites gentilizie
locali, simbolicamente rappresentandone le specifiche virtù. Pur nella varietà delle
scelte iconografiche e nella trasformazione delle stesse lungo un percorso cronolo-
gico che recepisce anche trasformazioni del linguaggio simbolico, permane in que-
sti documenti la volontà di eroizzazione ed esaltazione del gruppo gentilizio, o del
singolo in quanto rappresentante del gruppo, in cui la pittura si aggiunge agli altri
segni che, nella tomba, convergono nel costruire un discorso celebrativo.
[202] Si tratta di esigenze che si esprimono sia nella rappresentazione isolata di
un guerriero in armi come a Capua (Tav. C.4) o di un cavaliere come a Nola 7 (Tav.
C.2-3), in cui la immagine, estrapolata da qualsiasi contesto narrativo, si carica di
valori eroici, esprimendo la virtus militare che legittima il potere di una aristocrazia
ristretta; sia che si rappresenti il ritorno del guerriero con le spoglie del nemico, ac-
colto da una donna, che si inserisce nello stesso linguaggio metaforico, come a
Nola 8. Quando la figurazione si concentra sul mondo femminile il messaggio è affi-
dato alla rappresentatività della donna in quanto domina, simbolica garante della
continuità del gruppo familiare, come nella pittura da Cuma 9 (Tav. C.1). Anche
nella più tarda tomba capuana 10 (fig. 1), dove il gioco illusionistico tra architetture
7
Lastra con oplita da Capua, necropoli di San Prisco, tomba 16 (Napoli, MNA, 264740a): Benas-
sai 2001, fig. 225; lastra con cavaliere, Nola, via del Seminario, tomba 42 (Napoli, MNA, 224929):
ibid., fig. 210.
8
Lastra con il ritorno del guerriero, Nola, via del Seminario, tomba 42 (Napoli, MNA, 224929):
ibid., fig. 211-213.
9
Tomba Weege 1 (Napoli, MNA, 123929): ibid., fig. 179.
10
Tomba del sacerdote sannita (Weege 25); della pittura è rimasto solo un disegno: De Caro 1998;
Benassai 2001, fig. 14.
94 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Fig. 1 - Capua, tomba del sacerdote sannita, Weege 25. Disegno ricostruttivo della pittura.
false e reali sembra recepire l’interesse per una sorta di ambientazione realistica
delle immagini, denunciando una disinvolta padronanza della rappresentazione
spaziale, l’inserimento di figure con valore ritrattistico e, a giudicare dalla toga, di
status, conferma che, con gradazioni variabili, nella pittura campana la retorica del
discorso per immagini è profondamente condizionata dalla volontà di rappresen-
tare e celebrare il defunto secondo un preciso sistema di valori.
In questo quadro complessivamente omogeneo dei centri campani, garantito
dalla ripetitività degli schemi, la coeva documentazione pittorica di Napoli, anch’es-
sa funeraria, si inserisce con una sua particolare, specifica fisionomia: essa ci riman-
da di nuovo alle conquiste tecniche della Macedonia per la finezza esecutiva e la
padronanza dei mezzi espressivi, ma è insieme rivelazione di realtà sociali e codici
di comportamento diversi che si esprimono nella rinuncia ad elaborare immagini
per proporre una pittura come parte essenziale di un sistema decorativo integrato e
solo allusivo al mondo del funus.
Mi riferisco al gruppo napoletano di tombe a camera dipinte, dalla cronologia
ormai definitivamente assicurata su basi epigrafiche e antiquarie, documentazione
scarna ma assolutamente non secondaria della Napoli di fine IV-III sec. a.C.
Il complesso di tombe che costituisce la documentazione napoletana tuttora
controllabile, cosiddetto ipogeo di via dei Cristallini, sfrutta il fianco tufaceo delle
4 - Ricezione e rielaborazione delle esperienze macedoni nella produzione pittorica campana 95
colline situate a Nord della attuale Porta S. Gennaro 11. Seppellite dai detriti portati
a valle dalle acque di dilavamento, oggi le tombe si [203] presentano come ipogee,
in realtà dovevano esibire tutte una mossa facciata monumentale rupestre, parzial-
mente completata in muratura, di grande impatto visivo [14, fig. 1].
Una di queste tombe, cosiddetta tomba “C”, la meglio conservata, sulla quale mi
soffermo, presenta l’alta porta di tipo dorico fiancheggiata da colonne scanalate,
con base ionico-attica, che dovevano sorreggere una terminazione a timpano trian-
golare, ora perduta. Come le altre tombe del complesso, la tomba “C”, dal punto di
vista architettonico, sembra partecipe di un omogeneo orizzonte culturale e cultua-
le che si riassume nella sottolineata esigenza di visibilità dei singoli monumenti oltre
a documentare la elaborazione di un nuovo concetto architettonico di facciata.
All’interno essa è costituita da due camere sovrapposte ma non in asse tra di loro
[13, fig. 7], di cui quella superiore ha il pavimento quasi completamente occupato
dalla scala di accesso alla camera inferiore, ipogea, la vera camera funeraria 12. La
stanza superiore, si presenta come un vestibolo dedicato al culto dei morti, funzione
sottolineata dai banconi che corrono lungo le tre pareti e dal profilo di una trapeza
scolpita sulla faccia anteriore del bancone di fondo, evidente allusione simbolica ai
pasti funerari cui era riservato l’ambiente.
[204] La pittura completa e sottolinea tutte le articolazioni architettoniche, sia
nelle modanature che individuano il cassettonato della copertura a doppio spioven-
te, ricavata nel tufo, sia nel kyma ionico dipinto in visione prospettica, in rosso, blu
e due toni di bianco, che segna l’incontro delle pareti con la copertura. Questo pas-
saggio è sottolineato anche da un eccezionale fregio dipinto su fondo nero-bluastro
(Tav. R), che continua sui due timpani e che nella tecnica esecutiva, oltre che nella
ricerca di innovativi schemi decorativi, richiama in maniera molto evidente le rea-
lizzazioni macedoni. Vi sono raffigurati, in sequenza modulare, due grifi retrospi-
cienti affrontati ad un fiore e separati ciascuno da testine maschili o femminili, non
ripetitive. I moduli sono riproposti in maniera non standardizzata, che elimina la
ipotesi dell’uso di cartoni e presentano numerose varianti che animano e vivacizza-
no la sequenza, sia nella posizione dei grifi che nelle testine.
Il fregio è eseguito con grande finezza e freschezza: se ne ammira la sapienza
compositiva e insieme la fantasiosa inventiva iconografica, sia dei grifi rappresen-
tati in maniera inedita, come visti dal basso (Tav. Q.2), sia nelle teste, alle quali
proprio la varietà di atteggiamenti e espressioni, di faccia e di profilo, impedisce di
11
Le tombe, note da tempo, erano inserite in una errata cronologia: Levi 1926; Pontrandolfo e
Vecchio 1985; Baldassarre 1998 e 2010; Valerio 2007.
12
Baldassarre 1997.
96 Sezione 2 - Pittura e mosaico
essere interpretate come maschere teatrali (Tav. Q.3), più comunemente presenti tra
la suppellettile funeraria Magno Greca. Si può apprezzare anche la sapienza delle
pennellate sovrapposte a tempera sull’affresco, che nei grifi creano variazioni di
colore nelle piume; la maestria nella esecuzione a macchia delle testine, con sfuma-
ture funzionali all’effetto plastico e che un’unica fonte di luce mette in risalto; la
sapienza artigianale di ascendenza macedone del fondo blu, frutto della fusione di
blu e nero, che dà astrattezza ma anche risalto al fregio e in generale la abilità tecni-
ca di chi ha costruito il fregio a fresco con ritocchi a secco, riempiendo in un secon-
do momento di colore blu i vuoti tra le figure 13.
Ciascuna parete di questa stanza superiore è inoltre decorata da tre corone di
fiori eseguite a macchia e appese a chiodi raffigurati in prospettiva, un richiamo alle
autentiche ghirlande che dovevano essere presenti nelle cerimonie, evocate con au-
tentica padronanza della rappresentazione spaziale.
La camera inferiore, alla quale si accedeva attraverso una scala scavata nel pavi-
mento della camera superiore, è coperta da volta a botte, e presenta le pareti scan-
dite da paraste a rilievo con capitelli figurati, secondo un autentico “masonry style”
realizzato lavorando la parete di tufo, di cui questa tomba sembra fornirci una
delle espressioni più rigorose (Tav. M.1).
In ognuno dei campi così scanditi è ricavato, in basso un letto funebre (Tav. O.2).
Si tratta di letti-sarcofagi scavati nel tufo e vuoti all’interno, un tempo chiusi da la-
stre di terracotta e che, appunto per questa caratteristica, si distinguono dagli au-
tentici letti funebri delle contemporanee tombe macedoni. All’esterno tuttavia essi
sono sagomati in forma di klinai, con materassi e doppi cuscini scolpiti e dipinti in
giallo, azzurro e rosso. Lo splendido stato di conservazione permette di leggere
anche la decorazioni dei piedi di questi letti che ripete quella dei troni e delle klinai
di IV sec. a.C. documentati in Macedonia e anzi si avvicina agli esemplari più anti-
chi per i caratteristici girali sistemati al di sopra delle volute del capitello eolico di
coronamento.
Sopra i sarcofagi, tra le paraste, sono raffigurati eleganti festoni di corone di al-
loro, stretti ad intervalli da fasce dorate, resi con delicate variazioni del colore verde
e con sovrapposizione di pennellate nere in funzione di ombra; il loro dispiegarsi
sulle pareti aumenta l’impressione di spazialità, già evidenziata dalla mancanza di
qualsiasi partizione orizzontale del fondo bianco. I festoni, presenti con innumere-
voli varianti nelle decorazioni funerarie, sembrano qui organizzati in autentico si-
13
Si vedano le notazioni tecniche osservate nel corso di un restauro in Valerio 2007.
4 - Ricezione e rielaborazione delle esperienze macedoni nella produzione pittorica campana 97
14
Baldassarre 1998, p. 110-111, fig. 10-11, tav. 4,2.
15
Ibid., tav. 5,1.
98 Sezione 2 - Pittura e mosaico
quanto la “parousia” stessa del dio che, in coppia con Arianna nello schema del
“pyramidengruppe” mette in scena una ierogamia con implicazioni sottilmente
simboliche. Alla destra della porta è raffigurata invece una oinochoe d’argento 16
(Tav. N).
I due candelabri, la patera e l’oinochoe si prestano ad osservazioni antiquarie
che facilitano la definizione cronologica della decorazione della tomba stessa, an-
corandola con sicurezza, per confronti con materiale archeologico dello stesso tipo,
al periodo compreso tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. Le iscrizioni a
carboncino - di età romana - che deturpano la decorazione pittorica della stanza
inferiore, sono solo testimonianza della lunga vita di questa tomba, sicuramente
riadoperata frequentemente 17.
La completezza del suo apparato decorativo originario permette di apprezzarne
la raffinatezza, affidata alla cura esecutiva dei particolari e ad un innegabile senso
del ritmo che richiama la Macedonia anche per la funzione di sottolineatura delle
partiture architettoniche che assume la pittura decorativa; ma soprattutto, al con-
trario delle tombe campane sopra citate, è qui evidente la mancanza di ogni volontà
eroizzante nella scelta dei temi decorativi, limitati solo al mondo del funus evocato
attraverso allusioni, come le corone e gli oggetti rituali - candelabri, patere, oino-
choai - dipinti in un linguaggio di tipo simbolico.
Va sottolineata poi, anche se di più difficile lettura a causa dello stato di conser-
vazione, l’omogeneità delle scelte decorative interne delle altre tombe del comples-
so dei Cristallini, dalle quali è coerentemente assente qualsiasi motivo figurato o
personalizzato e nelle quali si ripetono, [206] con variazioni più stilistiche che signi-
ficanti, motivi connessi esclusivamente alla ritualità funeraria. Omogenea inoltre,
quando se ne ha notizia, era anche la suppellettile funeraria rinvenuta.
Un inquadramento tipologico di questi sepolcri napoletani e soprattutto della
loro decorazione, non trova facilmente puntuali confronti: si indovinano le influen-
ze, essenzialmente generiche e tecniche, senza trovare i modelli. Essi consentono
invece alcune preliminari ma importanti osservazioni: si tratta di sepolcri previsti
per più deposizioni, all’interno delle quali non è distinguibile una gerarchia; di
strutture tra le più sofisticate e costose e che documentano un fenomeno di ostenta-
ta rappresentatività, la quale soprattutto si distingue e si qualifica in contrapposi-
zione alle diverse, contemporanee manifestazioni funerarie povere della stessa
Neapolis, come è documentato dalla necropoli di Castel Capuano 18; ma la omoge-
16
Ibid., p. 137-139; Valerio 2007.
17
Miranda 1995.
18
Borriello et al. 1985.
4 - Ricezione e rielaborazione delle esperienze macedoni nella produzione pittorica campana 99
nea sobrietà decorativa delle camere funerarie vere e proprie nelle quali sono com-
pletamente assenti elementi figurativi o narrativi, li distingue dalle ricche manife-
stazioni funerarie contemporanee dei vicini centri campani; al contrario, in ciò che
attiene più direttamente al culto dei morti, va sottolineato che questi lussuosi sepol-
cri non si differenziano dalle modeste tombe coeve della necropoli di Castel Capua-
no, di cui ripetono, nel corredo, la suppellettile modesta e confinata nella sfera ri-
tuale. L’esistenza, nella stessa Napoli, di un nutrito gruppo di strutture molto simili
a quella qui esaminata 19, toglie a questa unicità ed eccezionalità, qualificandole
tutte come documento di una evoluta differenziazione del corpo sociale.
Possiamo, a questo punto, considerare questi monumenti espressione di una
caratteristica e originale tipologia funeraria napoletana, cronologicamente fissata
tra la fine del IV e i primi anni del III sec., e che si esprime attraverso l’architettura
oltre che attraverso l’apparato decorativo e le offerte cultuali. Essi sono accomuna-
ti, oltre che dalla monumentalità, dalla evidente esigenza di visibilità esterna attra-
verso l’apparato decorativo architettonico delle facciate. Particolarmente significa-
tiva è soprattutto, come abbiamo sottolineato, la omogeneità della sfera cultuale
che accomuna questi ricchi monumenti, sulla base del rito e della suppellettile fune-
raria, alle più povere e coeve tipologie funerarie napoletane della necropoli di Ca-
stel Capuano.
Il referente immediato di queste tombe, soprattutto per l’apparato decorativo
descritto, è certamente la Macedonia, con le sue finte facciate e con la ricca decora-
zione dei suoi letti funebri. Ma la osservazione che la specificità delle tombe mace-
doni è quella di essere coperte da un tumulo, toglie pregnanza al confronto: il crite-
rio di distinzione fondamentale che mi sembra debba essere tenuto presente è quel-
lo della visibilità, che distingue immediatamente le tombe a facciata, rupestre e non,
dalle tombe sotto tumulo; in queste ultime è il tumulo stesso che costituisce un se-
gno ad alto potenziale significativo, inserito però nella continuità aristocratica di
una secolare tradizione a significato dinastico.
La mescolata e autonoma presenza di elementi strutturali e decorativi di varia
ispirazione nelle tombe di Napoli è espressione quindi di una cultura particolare in
quanto erede della tradizione italica, rispetto alla quale tuttavia si differenzia nel
non sentire l’esigenza di eroizzazione personalizzata, che è sempre sottesa nelle
composizioni figurate che ornavano le tombe di ambito campano; essa ci rimanda
l’immagine di una articolata base sociale che trova la sua unità e la sua compattezza
19
Levi 1926; Gabrici 1912; Baldassarre 1998.
100 Sezione 2 - Pittura e mosaico
in una collaudata e consolidata esperienza urbana in cui si spostano sul piano eco-
nomico le differenze di status 20.
È proprio questa specificità del messaggio dei sepolcri napoletani che trasforma
in originali elaborazioni questi monumenti nei quali, come abbiamo sottolineato,
sono presenti singolarmente tutti i motivi alto ellenistici elaborati in Macedonia.
[207] Ma il modello di questa cultura, comunque elitaria, non è l’aristocrazia
macedone né le aristocrazie italiche. L’inedito risultato finale che recepisce e riela-
bora anche esperienze italiche e magno greche, può a questo punto proporsi anche
come modello, la cui autentica classicità è garantita dalla città stessa, che, ristretta
nei suoi confini di polis, ha saputo costruire una sua integrità di città greca riuscen-
do ad imporne l’immagine.
La padronanza e la funzionalizzazione immediata delle conquiste tecniche ela-
borate altrove, l’adozione di canoni estetici innovativi, la coerente creatività che
questi monumenti ci lasciano intuire, sono spia di una vivace ed esigente commit-
tenza e permettono di annoverare Napoli, fin dal primo ellenismo, tra i più vivaci ed
originali centri ellenistici, dialettico punto di incontro di influenze ricevute e tra-
smesse che anche la pittura ci documenta.
Bibliografia
Benassai R. (2001), La pittura dei Campani e dei Sanniti, Roma, L’Erma di Bretschneider.
20
Per un approfondito esame della Napoli ellenistica, Lepore 1985.
4 - Ricezione e rielaborazione delle esperienze macedoni nella produzione pittorica campana 101
Borriello M. R. e De Caro S., a cura di (1996), La Magna Grecia nelle collezioni del Mu-
seo archeologico di Napoli. I Greci in Occidente, Napoli, Electa.
Borriello M. R., Pontrandolfo A., Lista M. e Prisco G. (1985), «La necropoli di Ca-
stel Capuano», in Pozzi 1985, p. 232-274.
Bragantini I., a cura di (2010), Atti del X congresso internazionale dell’AIPMA, Napoli,
17- 21 sett. 2007, Napoli, Università degli studi di Napoli «L’Orientale» (coll. AION,
18).
Brecoulaki H. (2000), «Sur la technè de la peinture grecque ancienne d’après les monu-
ments funéraires de la Macédoine», BCH, 124, p. 189-227.
— (2001), L’esperienza del colore nella pittura funeraria dell’Italia preromana. V-III secolo
a.C., Napoli, Electa.
— (2002), «Éléments de style et de technique sur les peintures funéraires de Macédoine (IV-
IIIème siècle av. J.-C.)», in Pontrandolfo 2002, p. 25-36.
De Caro S. (1983-1984), «Una nuova tomba dipinta da Nola», RIASA, 1-3, VI-VII,
p. 71-95.
— (1998), «A proposito del proto secondo stile. Osservazioni sulle pitture della tomba ca-
puana detta del sacerdote sannita», in ITALIE MÉRIDIONALE 1998, p. 161-174.
Descamps-Lequime S., a cura di (2007), Peinture et couleur dans le monde grec antique,
Parigi, Musée du Louvre.
Dubel S., Naas V. e Rouveret A., a cura di (2006), Couleur et matières dans l’Antiquité.
Textes, techniques et pratiques, Paris, Éd. Rue d’Ulm (coll. Études de littérature ancien-
ne, 17).
Gabrici E. (1912), «Tomba ellenistica di S. Maria la Nuova in Napoli», RM, 27, p. 148-161.
La Torre G. F. e Torelli M., a cura di (2011), Pittura ellenistica in Italia e in Sicilia: linguag-
gi e tradizioni, Atti del convegno di studi, Messina, 24-25 sett. 2009, Roma, Giorgio
Bretschneider (coll. Archaeologica 163).
Lepore E. (1985), «La città tra i Campani e i Romani», in Pozzi 1985, p. 109-115.
Levi A. (1926), «Camere sepolcrali scoperte in Napoli durante i lavori della direttissima
Roma- Napoli», MAL, 31, p. 378-402.
102 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Miranda E., a cura di (1995), Iscrizioni greche d’Italia. Napoli II, Roma, Quasar Edizioni.
— a cura di (2002), La pittura parietale in Macedonia e Magna Grecia, Atti del convegno
internazionale di studi in ricordo di Mario Napoli, Salerno Paestum, 21-23 nov. 1996,
Paestum, Pandemos.
Sampaolo V. (1995), «Le tombe dipinte», in Sampaolo V., a cura di, Il museo archeologico
dell’antica Capua, Napoli, Electa, p. 49-53.
[65] Voglio preliminarmente tracciare i limiti di questo mio intervento, che non
pretende di fornire sintesi premature, per non dire impossibili, sulla base dei pochi
dati disponibili, né si propone di cercare e sottolineare rapporti iconografici tra le
due serie di documenti - pitture e mosaici - in qualche modo ovvie e scontate. Ma
all’interno di questo Convegno e coerentemente con le sue premesse - problemi di
lettura di immagini e individuazione di sistemi decorativi - intendo focalizzare il
problema della decorazione di interni nella casa di abitazione greca, affrontandolo
nella sua globalità, come sistema parallelo a quello delle tombe e non riducibile ad
esso, dotato di una sua autonomia e specificità all’interno del discorso decorativo
generale, e sottolineare inoltre quali problemi metodologici particolari comporti
questo discorso 1.
All’interno di questa prospettiva è chiaro che vanno abbandonati subito proce-
dimenti - peraltro validi in altri casi - che per sintetizzare lo stato attuale delle cono-
scenze sull’arte decorativa, esaminano materiali pittorici e musivi di diversa prove-
nienza e collocazione, organizzati cronologicamente e usati per commentare - o
forzati a commentare - le frammentarie e dibattutissime fonti letterarie sulla pittu-
ra, che tuttora costituiscono, specie per la fase più antica, l’unico riferimento possi-
bile.
La difficoltà di costruire un discorso coerente con queste premesse è proporzio-
nale alla scarsità e frammentarietà della documentazione sulla casa privata, ma
* Da Lettura ed interpretazione della produzione pittorica dal IV sec. a.C. all’Ellenismo. Incontro
di studio ad Acquasparta, 8-10 aprile 1983, Seconda parte, DdA III s., 2, 1984, 1, pp. 65-76.
1
Alla rielaborazione di questo intervento molto ha contribuito la discussione che ne è seguita, della
quale ringrazio amici e colleghi.
104 Sezione 2 - Pittura e mosaico
2
Demosth. 3.26; 13.29; 23.207; per una raccolta delle fonti sulla casa greca cfr. Excavations at
Olynthus XII, Oxford 1946, p. 399 ss.
3
L’immagine è generalmente presente nella manualistica, confortata dalla scarsezza documentaria
e avvalorata dal giudizio negativo che Dicearco, un viaggiatore del IV sec. a.C., pronuncia nei riguardi
della città di Atene nel suo complesso (F.G.H. II, 254).
4
H. Lauter-Bufe - H. Lauter, Wohnhäuser und Stadtviertel des klassischen Athen, in AthMitt 1971,
p. 109 ss.; J.W. Graham, Houses of Classical Athens, in Phoenix 1974, p. 45 ss. con la bibliografia
precedente; H. Lauter, Zu Heimstätten und Gutshäusern im klassischen Attika, in Forschungen und
Funde, Festschr. B. Neutsch, Innsbruck 1980, p. 279 ss.; W. Höpfner, Bürgerhäuser im klassischen
Griechenland, in Palast und Hütte, Mainz 1982, p. 43 ss.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 105
5
Soprattutto Protagora, 314 d; cfr. inoltre Olynthus XII, cit., p. 428.
6
Oec. IX. 2: Mem. III. 8.10.
7
Cfr. R. Martin, Manuel d’architecture grecque classique et hellénistique, I, Paris 1965, p. 433 ss.;
Ph. Bruneau, La mosaïque grecque classique et hellénistique, in Archeologia Warszawa 1976, p. 12 ss.
106 Sezione 2 - Pittura e mosaico
8
È chiaro infatti che i livelli pavimentali si conservano più facilmente delle pareti. Per una raccolta
aggiornata e completa di questi mosaici, cfr. D. Salzmann, Untersuchungen zu den antiken Kieselmo-
saiken, Berlin 1982, che ho potuto consultare solo dopo che queste note erano state stese e sul quale
mi riservo di ritornare. Il volume d’ora in poi sarà abbreviato: Salzmann.
9
Sugli hestiatoria cfr. G. Roux, Salles de banquets à Délos, BCH, Suppl. I, Études Déliennes, Paris
1973, p. 525 ss.; M. Goldstein, The Setting of the Ritual Meal in Greek Sanctuaries 600-300 B.C.
(Diss), Berkeley 1978; cfr. anche gli esempi di mosaico a ciottoli non decorato in Salzmann, cit., p. 7.
10
W. Höpfner, Das Pompeion. Kerameikos X, Berlin 1976, p. 51 ss., tav. 73; Salzmann, cit., p. 86,
cat. n. 19, tav. 24, 2-3.
11
Ch.K. Williams - J.F. Fisher, in Hesperia 1976, p. 109 ss., tav. 13; Ch. K. Williams, in Hesperia
1977, p. 45 ss., tav. 19; Salzmann, p. 95, cat. n. 63, fig. 9, 1-3.
12
Per la bibliografia specifica sui diversi ritrovamenti si rimanda alle schede del catalogo del
Salzmann; Olinto: Salzmann, pp. 98-104, cat. nn. 76-78, 80-82, 84-85, 87, e figg. 16,2-3; 16,1; 18,1-2;
13; 16,6; 12,3; 16,4; 14,2; 15,1. Atene: Salzmann, cat. nn. 21-22, 25-26, tavv. 42,1; 43,3; 42,2-4; 55,1-
2; 55,3. Eretria: Salzmann, cat. nn. 36-38, tavv. 26-27. Corinto: Salzmann, cat. nn. 64-65, tavv. 23,1-2;
24,1. Megara: Salzmann, cat. n. 71, tav. 12,1. Sicione: Salzmann, cat. nn. 117-120, tavv. 10,1-2; 20;
21,1-6; 22,1-2. Spesso le circostanze del ritrovamento non permettono di identificare chiaramente
l’ambiente a cui apparteneva il mosaico. Le cronologie del Salzmann possono essere messe in
discussione.
13
Per i cortili di Olinto cfr. Salzmann, cat. nn. 79 e 86, tavv. 15,2 e 12,2; per Eretria cfr. in generale
P. Ducrey - I. Metzger in AntKunst 1979, p. 7 ss; Idd. in Archaeology 1979, p. 40 ss.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 107
2 3
Fig. 1 - 1. Ricostruzione del mosaico pavimentale a ciottoli di un hestiatorion del Pompeion di Atene (da
Hoepfner). 2. Corinto. Mosaico pavimentale a ciottoli dai bagni del Foro (da Hesperia). 3. Sicione. Particolare di
un mosaico pavimentale a ciottoli (da BCH).
ormai un elemento secondario, perché in esso prevale appunto il senso del decoro e
i mosaici, in questa forma, sono tutti comunque assumibili come documentazione
di lusso, se è vero che essi non solo identificano la stanza più importante della casa,
creando immediatamente una gerarchia rispetto ad altre più semplici pavimenta-
zioni della stessa casa, ma, più in generale, sottolineano anche l’importanza della
dimora stessa. Là dove, come ad Olinto, è possibile stabilire un rapporto percentua-
le, i pavimenti decorati costituiscono il 10% - su circa cento edifici - ed inoltre sono
spesso concentrati negli stessi complessi 14. Nella interessantissima casa messa in
luce ad Eretria nel 1974 e databile entro la prima metà del IV sec. a.C. (fig. 2; Tavv.
D, E.3-4), oltre a due andrones (dei quali solo uno con mosaici a ciottoli colorati) vi
erano altre stanze con semplici pavimenti a ciottoli, ed anche tra questi ultimi si è
14
Cfr. Bruneau, cit. alla nota 7, p. 25.
108 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Fig. 2 - Eretria, Casa con mosaici policromi, pavimento a mosaico a ciottoli (da Archaeology).
potuto stabilire una gerarchia sulla base della maggiore o minore accuratezza di
esecuzione; si tratta di una delle più ricche case finora rinvenute ad Eretria, anche se
non è la più grande 15.
In tutti questi mosaici la disposizione delle klinai intorno alle pareti sembra es-
sere la generatrice dello schema decorativo più [68] comune, che è quello centraliz-
zato. Il repertorio decorativo organizza entro bande concentriche un motivo cen-
trale; le bande sono costituite da motivi a cane corrente, meandri, racemi, palmette
e fiori di loto, fregi animalistici, cacce, centauromachie ecc.; il motivo centrale può
essere una rosetta o un motivo di palmette a disposizione cruciforme, più raramen-
te una scena figurata entro tondo o rettangolo 16. La composizione di questi due
elementi, motivo centrale e bande decorative, gioca spesso sulla inscrizione del
cerchio nel quadrato, usando poi motivi comuni anche alle bande decorate - pal-
mette, animali - per riempire gli angoli di risulta 17. Tutti i motivi presenti su questi
[70] mosaici fanno parte del repertorio decorativo corrente e generalizzato, noto da
15
P. Ducrey - I. Metzger in AntKunst 1979, cit.
16
Cfr. Olynthus V. Mosaics, Vases and Lamps, Oxford 1933; Salzmann, nn. di catalogo e tavv. citati
alla nota 12.
17
Si veda per es. Salzmann, cat. n. 119 (Sicione), tavv. 10,1 e 11,1-4; cat. n. 117 (Sicione), tav. 22,1;
cat. n. 64 (Corinto), tav. 23,1-2.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 109
18
La diversità stilistica e compositiva dei mosaici presenti nella stessa casa, in ambienti di disuguale
importanza, cortili e andrones per es., è una spia della compresenza di tematiche e tecniche diverse e
rende astratto ogni tentativo di stabilire, in mancanza di supporti archeologici sicuri, delle sequenze
cronologiche troppo rigide.
19
Salzmann, cat. nn. 87 e 88, tav. 14,1-2.
20
Salzmann, cat. n. 119, tav. 10,2.
21
Salzmann, cat. n. 89, tav. 15,3.
22
Olinto: Olynthus VIII. The Hellenic House, Oxford 1938, p. 299; Olynthus XII. Domestic and
Public Architecture, Oxford 1946, p. 291 ss.; V.J. Bruno, Antecedents of the Pompeian First Style, in
AJA 1969, p. 305 ss.; Atene: V.J. Bruno cit.; Priene: Th. Wiegand - H. Schrader, Priene, Berlin 1904, pp.
308-319, probabilmente da datare già al III sec. a.C.; Eretria: P. Ducrey - I. Metzger, in AntKunst e
Archaeology, cit. alla nota 13.
110 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Fig. 3 - Ricostruzione della decorazione parietale da una casa della fine del V sec. a.C. di Atene (da Bruno).
imita in stucco l’apparato isodomico del muro in pietra o in materiali litici più pre-
giati. La singolare uniformità di questa documentazione, esigua ma che copre un
vasto ambito geografico e cronologico, ci autorizza a postularne la validità di mo-
dello tipico della decorazione parietale domestica, che permane senza sostanziali
variazioni ed investe uniformemente sia gli ambienti dei quali i pavimenti a mosaico
sottolineano la lussuosità, sia i più modesti, con pavimenti in terra battuta 23.
[71] Definita “masonry style”, questa pittura risulta strettamente integrata al
quadro architettonico, tanto da fare affermare giustamente al Bruno che la pittura
decorativa parietale è invenzione dorica e classica, appartiene agli architetti e non
ai pittori 24. Una architettura che dobbiamo immaginare ricca di colore e di mem-
brature colorate (si pensi ad esempio alla scansione dei blocchi delle murature dei
Propilei al di sopra del crepidoma in pietra nera di Eleusi) è il referente più imme-
23
Cfr. per esempio Eretria: P. Ducrey - I. Metzger, art. cit. in Archaeology 1979.
24
V.J. Bruno cit., p. 308.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 111
diato della decorazione parietale all’interno delle case. Le conclusioni tuttavia a cui
giunge Bruno a questo proposito sono estremamente fuorvianti e metodologica-
mente male impostate. Egli parla infatti 25 di “interruzione nella storia della pittura
murale”, mentre è evidente che si tratta di precise scelte di un sistema decorativo, di
cui andrà capito il messaggio, mentre la pittura, ben viva per altro in questo mo-
mento 26, ma era tutt’altro che un fatto decorativo. È solo identificando la pittura
delle case come linguaggio con una sua logica, collegata agli altri elementi decora-
tivi degli interni, e cercando di chiarire il posto che la casa occupa nell’immaginario
sociale che si può sperare di risolvere questa contraddizione, rinviando non tanto
ad una falsamente lineare storia della pittura tout court, ma ad un sistema di valori
articolato, connesso con le scelte degli utenti ed esplicitato in programmi in qualche
modo rivelatori della realtà sociale. Sulla base della documentazione che abbiamo,
sembra di poter affermare che queste scelte, nel quadro sociale del periodo qui pre-
so in esame, si orientano verso un tipo di casa che privilegia il privato e rimanda ai
suggerimenti di Senofonte 27 dai quali traspare una ideologia di solidità e comodità,
prima ancora che di apparato, dove le stanze possono essere ornate (kekallopisme-
na) ma non necessariamente 28, secondo una gerarchia tra l’ornamentale e il funzio-
nale che affida a quest’ultimo il maggior peso nelle scelte ed assegna al primo una
precipua funzione edonistica. La casa poteva inoltre essere arricchita da oggetti
mobili, anche appesi ai muri, come è chiaramente deducibile dalle suppellettili in
terracotta trovate nella Casa del Mosaico colorato di Eretria 29 (Tav. E.2), e il non
poter contare su questo tipo di documentazione restringe notevolmente la nostra
possibilità di giudizio. Soprattutto nelle fonti letterarie, negli aneddoti sui pittori
famosi, troviamo documentata, proprio per questo periodo, l’esistenza di una nu-
merosa committenza privata 30: il panorama decorativo degli interni va quindi inte-
grato con la possibile presenza di quadri; alla loro qualità, non disgiunta dal prezzo,
25
V.J. Bruno, cit.
26
Per la vivacità e profondità della problematica affrontata in questo periodo dalla pittura cfr. le
fonti raccolte da A. Reinach, Recueil Milliet, Paris 1921; per un commento a queste fonti si rimanda
a: R. Bianchi Bandinelli, Osservazioni storico-artistiche ad un passo del “Sofista” platonico, ripubbli-
cato in Archeologia e cultura, Milano-Napoli 1961, p. 153; P. Moreno, La conquista della spazialità
pittorica, in Storia e civiltà dei Greci, vol. IV, Milano 1979, p. 631 ss.; Id., La pittura tra classicità ed
ellenismo, Ibid., vol. VI, Milano 1979, p. 459 ss.
27
Cfr. nota 6.
28
Cfr. in particolare Mem. III, 8, 8-10. Per un quadro storico generale e una analisi delle trasforma-
zioni economiche e sociali di questo periodo si rimanda a: H. Bolkestein, Economic Life in Greece’s
Golden Age, Leiden 1958: P. McKendrik, The Athenian Aristocracy 399 to 31 BC, Cambridge (Mass)
1969; M. Austin - P. Vidal-Naquet, Économie et société en Grèce ancienne, Paris 1972; T.B.L. Webster,
Athenian Culture and Society, Berkeley-Los Angeles 1973.
29
Cfr. P. Ducrey - I. Metzger in AntKunst 1979 cit., p. 14.
30
Cfr. Rec. Milliet e P. Moreno citt. alla nota 26.
112 Sezione 2 - Pittura e mosaico
31
Cfr. Plin, N.H. XXXV, 118. La bibliografia sull’argomento è molto vasta. Si veda R. Bianchi
Bandinelli, Noterelle in margine ai problemi della pittura antica, in Storicità dell’arte classica, Firenze
1950, p. 144, 161 ss. e inoltre la bibliografia citata alla nota 26.
32
M. Lee Thompson, Programmatic Painting in Antiquity, in Marsyas 1961, p. 36 sgg. L’articolo fa
una esauriente disamina delle fonti senza indagare a fondo sulla ragione di certe scelte.
33
Cfr. Rec. Milliet, nn. 180-184.
34
M. Lee Thompson cit.
35
Cfr. Rec. Milliet, n. 92: Alcibiade, di ritorno da Olimpia, aveva dedicato due quadri di Aglaophon
rappresentanti l’uno la personificazione delle vittorie olimpica e pitica che lo incoronavano, l’altro
Alcibiade stesso, seduto sulle ginocchia di Nemea, più bello della figura femminile, testimonianze
queste di un programma autocelebrativo non comune per il suo tempo.
36
Cfr. Rec. Milliet, n. 209.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 113
37
Salzmann, cat. nn. 103, tav. 29; 98, tavv. 30-31; 104, tav. 32; 96, tav. 34; 101, tav. 35. Le case
presentano anche ambienti con mosaici più semplici, nella tradizione disegnativa o geometrica prece-
dente, cfr. Salzmann, cat. nn. 94, tav. 37,1; 105, tav. 38.1. Oltre alla bibliografia citata dal Salzmann,
si veda M. Robertson, Early Greek Mosaic, in Macedonia and Greece in Late Classical and Early
Hellenistic Times, Studies in the History of Art, vol. 10, 1982, p. 241 ss.
38
P. Moreno, La pittura tra classicità ed ellenismo. Appendice, in Storia e civiltà dei Greci, vol. VI,
Milano 1979, p. 704.
39
Cfr. gli episodi e gli aneddoti riguardanti Zeusi e Parrasio in Rec. Milliet, inoltre P. Moreno, La
conquista della spazialità pittorica, in Storia e civiltà dei Greci, vol. IV, Milano 1979, p. 666-671.
114 Sezione 2 - Pittura e mosaico
comporta anche un’altra osservazione. Fin dalla metà del V sec. la problematica
pittorica è impegnata intorno ai concetti di realtà e illusione, in [73] una dialettica
tra natura e apparenza illusoria riproducibile in pittura: ma la problematica che i
mosaici di Pella ci documentano è di altro segno. Qui è in qualche modo evidenzia-
to un gioco di rapporti tra oggetti “fabbricati”, dove la autonomia delle tecniche
non è più rispettata e una tecnica è chiamata a dare l’illusione di essere altro 40. Pella
cioè ci rivela le due tendenze che concorreranno a rinnovare la struttura decorativa
dei pavimenti a mosaico, delle quali una - la riproduzione di quadri famosi - fa par-
te indubbiamente del programma del committente, e, in questo caso, rimanda ad
una committenza eccezionale; l’altra, più genericamente attinente al repertorio de-
corativo, nel gusto della commistione delle tecniche, prefigura espressioni tipica-
mente ellenistiche. La riproduzione di quadri resta un fatto non generalizzato e
particolarmente significativo di raffinatezza, all’interno della decorazione pavi-
mentale musiva, che mantiene per tutto il III secolo la sua connotazione di lusso; si
vedano i tre mosaici a ciottoli di Rodi 41, due dei quali provenienti dalla medesima
casa, quelli in tecnica mista di Alessandria e ancora quello in tessellato di Morgan-
tina 42.
Il repertorio decorativo non ha una evoluzione lineare e continua anche gli sche-
mi precedenti, accogliendo spesso la policromia, e inserendo innovazioni. Nel corso
del III secolo a.C. avviene la trasformazione del mosaico pavimentale dalla tecnica
a ciottoli a quella del tessellato 43. Il problema delle origini del tessellato mi sembra
un falso problema: si tratta di un raffinamento tecnico che mira agli stessi effetti del
mosaico a ciottoli e la sua apparizione accanto a questo e non in rigida sequenza è
giustificata dal fatto che il tessellato affonda le sue radici in diverse tradizioni di
tecnica pavimentale. Il mosaico a tessere conserva il sistema di decorazione centra-
lizzata, con bande di inquadramento intorno a spazi centrali che possono accoglie-
re una composizione figurata. Le bande decorative sempre più spesso tendono a
40
Si vedano a questo proposito le interessantissime osservazioni riguardanti la produzione lettera-
ria di L.E. Rossi, I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche, in BICS
18, 1971, p. 69 ss.; specie le pp. riguardanti la produzione ellenistica; inoltre cfr. anche in questa stessa
rivista la discussione, a p. 145 ss.
41
Salzmann, cat. nn. 112, tav. 47; 113, tav. 46, 2; 114, tav. 45.
42
Alessandria: Salzmann, cat. nn. 133, tav. 87; 134, tav. 88. Morgantina: Salzmann, tav. 95, 1.
43
Ho già esposto le mie ipotesi sul problema della cronologia e dei modi di questa trasformazione
in due articoli (Il mosaico dell’Apollonion di Cirene, in Studi Miscellanei 15, 1969/70, p. 57 ss.; Mo-
saici ellenistici a Cirene e a Delo, in Quaderni di Archeologia della Libya 1976, p. 193 ss.), pubblican-
do una serie di mosaici da Cirene in tecnica mista e tessellato, ipotesi che ritengo di potere ancora so-
stenere. Cfr. anche K. Dunbabin, Technique and Materials of Hellenistic Mosaics, in AJA 1979, p. 265
ss. e Ph. Bruneau, art. cit. alla nota 7. Sulla organizzazione del materiale e le sequenze stabilite dal
Salzmann (cfr. nota 8), in contrasto con queste ipotesi, mi propongo di ritornare più estesamente.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 115
44
Cfr. I. Baldassarre, art. cit. in Quaderni di Archeologia della Libya 1976, figg. 2-4; a questo arti-
colo si rimanda per altri esempi e per la bibliografia.
45
K.M. Phillips, in ArtB 1960, p. 242 ss.; Salzmann, p. 60, fig. 95,2.
46
Ph. Bruneau, Les mosaïques, Délos XXIX, Paris 1972.
47
Ph. Bruneau, art. cit. alla nota 7, p. 24.
48
Ph.W. Lehmann, The Wall Decoration of the Hieron in Samothracia, in Balkan Studies 1964, p.
277 ss.; V.G. Bruno, art. cit. alla nota 22.
49
Cfr. però ora la fotografia della ricostruzione di frammenti di decorazione parietale dai palazzi di
Pella, pubblicata senza altre indicazioni da M. Siganidou in Ἀρχαιολογία, febbraio 1980, pp. 31-36.
50
M. Andronikos, Vergina. The Prehistoric Necropolis and the Hellenistic Palace, Studies in Medi-
terranean Archaeology XIII, Lund 1964.
51
Morgantina: AJA 1957, p. 256 ss.; ibid. 1960, p. 131 ss.; V.J. Bruno, art. cit. alla nota 22. Perga-
mo: G. Kawerau - T. Wiegand, Die Paläste der Hochburg, Pergamon V, 1, Berlin 1930, p. 50, fig. 62.
116 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Fig. 4 - Ricostruzione della decorazione parietale interna dello Hieròn di Samotracia (da Lehmann).
Meneses 52, presenta l’inserimento di fregi dipinti nella zona mediana della parete,
sempre trattata in maniera strutturale; i frammenti di una casa di Atene 53 sono co-
erenti, anche cronologicamente, con quelli di Delo. Cioè la decorazione parietale
non si allontana dalla imitazione di una struttura architettonica, accogliendo solo
quelle soluzioni decorative che l’architettura civile e religiosa andava sperimentan-
do nel corso del IV e III secolo a.C. 54 e anche l’introduzione del fregio mediano a
Delo si rifà a canoni architettonici.
L’illusionismo architettonico che pure troviamo documentato nelle pitture della
tomba di Lyson e Kalliklès fin dalla metà del III secolo a.C. 55, questo allargamento
fittizio degli spazi interni con la riproduzione di oggetti che si fingono distribuiti in
questi spazi, non interessa la decorazione domestica, dove il muro, solidamente
sottolineato, sembra usato per definire e qualificare i limiti dello spazio interno. Ed
è un falso problema pensare alla tomba di Lyson e Kalliklès come ad un precedente
52
M. Bulard, Peintures murales et mosaïques de Délos, Paris 1908 (MonPiot 14); U.T. Bezerra de
Meneses, in Délos XXVII, Paris 1970, p. 151 ss.; Id.in questa stessa rivista, p. 77 ss.
53
V.G. Bruno, art. cit. alla nota 22.
54
R. Martin, Sculpture et peintures dans les façades monumentales au IVe siècle av. J.C., in RA
1968, p. 171 ss.
55
Ph.W. Lehmann, Leucadia and the Second Style, in Studies in Classical Art and Archaeology. A
Tribute to Peter Heinrich von Blanckenhagen, New York 1979, p. 225 ss.
5 - Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a.C. 117
del II stile pompeiano per poi porsi la domanda, senza risposta 56, dei rapporti di
questa tomba con la più tarda ma completamente tradizionale pittura di Delo. Non
si tratta di trovare una “prima volta” in senso tecnico di un “saper fare” (per altro
già ampiamente dimostrato), ma di capire quando, dove e perché un certo sistema
decorativo è praticato e quali messaggi esso trasmetta. La tomba è altro dalla casa;
anche quando l’ideologia le assegna il compito di riprodurre la casa, essa appunto
la riproduce, la finge, arricchendola inoltre di tutti quegli elementi, oggetti o imma-
gini, che riassumano per citazioni o per allusioni la storia ideologizzata del defunto,
secondo un programma che sfocia necessariamente in un apparato simbolico.
Anche senza dilungarsi in citazioni, basterà pensare che a queste leggi obbedi-
scono sia le tombe principesche di Verghina che le più modeste pitture sulle stele di
Volo 57. In esse la successione della rappresentazione è puramente concettuale e
tutto è legato alla funzione delle immagini. I moduli decorativi delle tombe non
sono perciò completamente adoperabili per individuare i moduli decorativi delle
case, oltre tutto senza avere prima fatto delle serie omogenee: quali tombe e con
quali case.
La utilizzazione di tutti i dati in nostro possesso, assunti nella loro discontinuità
e funzionalizzati alla individuazione del problema specifico dell’apparato decora-
tivo della casa in Grecia, sembra quindi autorizzare (con tutte le cautele possibili) la
ricostruzione di un sistema sostanzialmente omogeneo, nonostante le varianti in-
tervenute, attraverso tutto il lungo periodo che abbiamo preso in esame. La decora-
zione individua le abitazioni ricche ed è, fin dall’origine, espressione di lusso. Gli
edifici pubblici offrono archetipi e spunti, nel loro apparato ornamentale, ma solo
ad essi resterà affidato il compito di assolvere funzioni etiche, ideologiche e propa-
gandistiche, veicolandole anche attraverso la decorazione; a questa invece, nella
casa privata, è riservata una funzione edonistica - con connotazioni [75] di gratifi-
cazione culturale ed economica - che ne sancisce la separatezza rispetto allo spazio
pubblico il quale resta il luogo dove il singolo o il gruppo entrano in rapporto con il
tutto sociale. Ed è significativo che perfino nei palazzi di Pergamo i sia pur scarsi
frammenti di pittura parietale e i mosaici 58 ci suggeriscano un sistema decorativo
degli interni che, fatte le debite differenze qualitative, non si discosta da quello delle
case di Delo (fig. 5). La parte pubblica del palazzo, in una città tutta di apparato,
56
Ph.W. Lehmann, art. cit.
57
Notizie e fotografie delle pitture di Verghina, ancora a livello di rapporti preliminari, sono sinte-
tizzati in ΦΙΛΙΠΠΟΣ ΒΑΣΙΛΕΥΣ ΜΑΚΕΔΟΝΩΝ, Atene 1980, p. 188 ss.
Sulle stele di Volo, dopo il vecchio lavoro dell’Arvanitopoulos (1928), cfr. l’intervento di V. von
Graeve, in questo stesso convegno, pp. 59 ss. e 146 ss.
58
Kawerau - Wiegand, cit. alla nota 51.
118 Sezione 2 - Pittura e mosaico
come Pergamo, va identificata nei fastosi edifici pubblici cittadini, teatro, templi,
stoai, ginnasi, che si configurano come il suo prolungamento spaziale. I temi e i [p.
76] modi espressivi della decorazione interna della casa si conformano alla specifi-
cità delle sue funzioni. Il mosaico pavimentale può proporre anche la traduzione di
opere di pittura, e ci sembra di aver dimostrato in che rapporto si ponga con esse.
La decorazione parietale invece si ispira alle architetture e non riproduce mai i qua-
dri sulle pareti, non traduce mai cioè la pittura in pittura. Il mosaico doveva essere
sentito piuttosto come una tecnica mentre la pittura era e restava un’arte o un arti-
gianato qualificato. La presenza infatti di quadri e quadretti sulle pareti domesti-
che, anche di qualità non eccelsa, doveva essere più frequente di quanto non ci sia
dato documentare 59. Una produzione pittorica che assolva a questa funzione deco-
rativa esige soltanto un gran numero di “amatori d’arte”, oltre al gusto per l’aspet-
to esteriore delle cose e al mestiere, esige cioè una buona richiesta; e queste due cose
- un gusto largamente diffuso e una costante richiesta - erano presenti nella società
ellenistica, come ci lascia intuire in particolare una notizia conservata in un papiro
di Zenone della metà del III sec. a.C. 60. Il pittore Theophilos, chiamato dal cittadino
greco Diotimos per decorare la sua casa a Philadelphia nel Fayyoum (e la particola-
reggiata distinta dei pagamenti ci assicura che si trattava di una decorazione in
primo stile strutturale con imitazione di placche marmoree), chiede, alla fine del
lavoro, di poter rimanere nella cittadina per fare “pinakes”, attività che evidente-
mente gli si prospettava come lucrosa.
La qualità e la tematica di questa produzione restano naturalmente sconosciute
e non si può andare oltre una semplice constatazione della sua esistenza, anche per
non appiattire eccessivamente il quadro sociale e culturale. Per fare un discorso più
articolato infatti andrebbero esaminate le committenze in relazione ai temi trattati.
Il passaggio alla decorazione di secondo stile, presente nella casa romana fin
dalla fine del secondo secolo a.C., non è quindi un problema che si risolva solo con
la ricerca di antecedenti tecnici e stilistici: come tutti i sistemi di immagini anche
essa è un linguaggio da decifrare, un fatto culturale che investe la nostra conoscenza
dell’immaginario sociale e delle pratiche ideologiche che lo attraversano. L’affer-
59
Cfr. l’interessante tipologia dei pinakes, sicuramente oggetti mobili indipendenti, che si ricava
dalle iscrizioni delie elencate in R. Vallois, Les pinakes déliens, in Mél. Holleaux, Paris 1913, p. 37 ss.;
si veda inoltre R. Bianchi Bandinelli, La cultura ellenistica. La pittura, in Storia e civiltà dei Greci, vol.
10, Milano 1977, p. 461 ss.
60
P. Cairo Zen. 59133; E. Vanderborght, La maison de Diotimos à Philadelphie, in Chronique
d’Égypte 1942, p. 117 ss.; C. Préaux, Les Grecs en Égypte, Bruxelles 1947, p. 42 ss.; M. Nowicka, La
maison privée dans l’Égypte ptolémaïque, Varszawa 1969; Ead., Théophilos, peintre alexandrin et
son activité, in Alessandria e il mondo ellenistico-romano, Studi in onore di Achille Adriani, I, Roma
1984, p. 256 ss.
120 Sezione 2 - Pittura e mosaico
marsi di questo nuovo sistema decorativo, che recepisce all’interno della casa pro-
grammi figurativi che finora sembravano qualificare gli spazi pubblici, rimanda ad
un quadro sociale profondamente diverso, a quella committenza romana medio-
repubblicana, dalle possibilità economiche enormemente dilatate, che nella dimora
privata ha trasferito funzioni politiche, culturali e di prestigio che già erano state
appannaggio di regge, portici, ginnasi e anche santuari, come con tanta chiarezza
ha puntualizzato Coarelli 61.
Anche la pittura diviene strumento di questa operazione ideologica, costruzione
intellettuale che si esprime per allusioni e suggestioni, oltre che, direttamente, per
citazioni di altri contesti decorativi e del loro supporto e, attraverso una serie di
intermediazioni ancora in parte da indagare 62, rifonda nell’immaginario sociale
una nuova esperienza della dimora di lusso che le case di Pompei ci documentano
in una versione volgarizzata e corsiva.
61
F. Coarelli, in Architecture et société, Paris 1983, p. 191 ss., e soprattutto nella discussione che ha
fatto seguito a questo Convegno (p. 152 ss.)
62
Cfr. le puntualizzazioni di A. Rouveret fatte durante la discussione che ha fatto seguito a questo
Convegno (p. 155)
121
* Da AISCOM, Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Atti del 1°
Colloquio (Ravenna, 29 aprile-3 maggio 1993), Ravenna 1994, pp. 435-450.
1
Permettetemi di esprimere tutto il mio addolorato rammarico per non aver potuto discutere pre-
liminarmente questo mio intervento con Marilù Morricone, come ho sempre fatto ogni volta che mi
sono occupata di mosaici: sono sicura che il mio discorso risentirà di questo mancato incontro.
Nell’accennare ai problemi mi atterrò a un criterio selettivo senza nessuna pretesa di esaustività.
2
Ritengo comunque utili e meritorie queste imprese, proprio per il quadro di insieme che offrono.
122 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Tra gli anni ‘80 e ‘85 una serie di studi e di edizioni hanno fatto ritornare attuale
una discussione che sembrava ferma alla interpretazione che il Levi aveva dato del
passo di Moschion, riportato da Ateneo (V, 207c), sulla decorazione della nave Si-
racusia, donata da Ierone II a Tolemeo III Evergete (probabilmente tra il 246 il 238
a.C.); la nave aveva il pavimento ornato da “abakiskoi” con scene dell’Iliade, termi-
ne interpretato da Levi come mosaico tessellato. Non mi soffermo sul significato del
termine che a sua volta ha suscitato accese discussioni e sul quale l’ultima convin-
cente parola è di Bruneau, che traduce “emblemata”3; importa soprattutto sottoli-
neare le conclusioni cui era giunto il Levi, che proponeva una origine siciliana per
la decorazione a mosaico tessellato. L’ipotesi sembrava suffragata dalla scoperta,
proprio in quegli anni, dei mosaici figurati di Morgantina, eseguiti in una tecnica
molto vicina al tessellato e datati, sulla base di un rinvenimento monetale, alla metà
del III sec. a.C. 4.
In quegli stessi anni, la edizione del corpus dei mosaici di Delo, di Bruneau, del
corpus dei mosaici a ciottoli del Salzmann, dei mosaici siciliani della Boeselager, e
dei mosaici egiziani del Daszewski 5, hanno riaperto il dibattito, e, va riconosciuto,
hanno [437] molto arricchito le nostre conoscenze; in generale non è stata però
superata, tranne che in Bruneau 6, una impostazione viziata del problema, focaliz-
zata sulla Quellenforschung, la ricerca cioè di un improbabile, univoco momento
cronologico e ambito geografico di adozione del tessellato, inteso comunque come
un raffinamento tecnico rispetto ai precedenti pavimenti a ciottoli; coerente con
queste premesse è la generale applicazione di un criterio evoluzionistico entro cui,
appoggiandosi ad avvenimenti storici e a variazioni stilistiche, collocare cronologi-
camente la serie dei monumenti editi.
La impostazione più rigida è quella del Salzmann, l’editore dei mosaici a ciotto-
li, che ha preso in esame, per sistematizzarlo, anche il cosiddetto passaggio al tessel-
lato. Egli individua nella Grecia di fine V a.C., la reinvenzione, dopo il periodo geo-
3
Cfr. D. LEVI, Antioch Mosaic Pavements I°, Princeton 1947, p. 4; Id. in EAA, V, 1963, p. 210; Ph.
BRUNEAU, Le sens de «Abakiskoi» (Athénée V, 207c) et l’invention de l’opus tessellatum, in REG
1967, p. 328 s.
4
Cfr. K. M. PHILLIPS, Subject and Technique in Hellenistic-Roman Mosaic; A Ganimede Mosaic
from Sicily, in Art Bull. 1960, p. 243 ss. Per un aggiornamento del problema cfr. B.TSAKIRGIS, The
Decorated Pavements of Morgantina I: The Mosaics, in AJA 1989, p. 395 ss.
5
Ph. BRUNEAU, Exploration archéologique de Délos: Les Mosaiques, Parigi 1972; D.
SALZMANN, Untersuchungen zu den antiken Kieselmosaiken von Anfaengen bis zum der Tessera-
Technik, Berlino 1982; D. von BOESELAGER, Antiken Mosaiken in Sizilien; Hellenismus und ro-
emische Kaiserzeit, Roma 1983; W. A. DASZEWSKY, Corpus of Mosaics from Egypt I: the Hellenistic
and Early Roman Period, Mainz 1985.
6
Ph. BRUNEAU, Philologie Mosaïstique, in Journal des Savantes, 1988, p. 3 ss.; le interpretazioni
sono ribadite in molti altri articoli dello stesso autore.
6 - La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del tessellato 123
metrico, dei pavimenti a ciottoli decorati, posti in sequenza dopo quelli non deco-
rati, e ne segue poi la trasformazione, collocando cronologicamente la serie dei
monumenti noti, a volte con arbitrarie modificazioni delle datazioni 7, pur di arriva-
re alla conclusione che il passaggio graduale alle tessere irregolari e poi alle tessere
regolari, si è compiuto in Grecia e in Asia Minore nel II sec. a.C., cioè quando in
Grecia queste forme sono documentate.
La giusta polemica nei riguardi delle conclusioni di Salzmann, non permette
tuttavia di considerare positivo l’atteggiamento di Daszewski 8 che contrappone
una soluzione, diversa negli esiti cronologici e geografici, ma simile nella imposta-
zione metodologica, sostituendo l’Alessandria di fine IV alla Grecia del II come sede
in cui il tessellato avrebbe avuto inizio: in tal modo si resta sempre lontani da una
effettiva comprensione del fenomeno.
[438] Fortunatamente, a questo punto del dibattito, nuove e recentissime docu-
mentazioni di scavo e messe a punto cronologiche sono intervenute a suffragare
una critica, sorta da più parti, ma che, in quanto soprattutto metodologica, sembra-
va lasciare invariata la tradizionale organizzazione cronologica e stilistica del ma-
teriale 9.
È ormai divenuto evidente infatti che la Grecia e il suo ambito di influenza non
sono più i soli depositari della tecnica pavimentale a ciottoli: sappiamo che in Spa-
gna (presso Granada, presso Cordoba, a Castulo) 10 nel VII sec. a.C. e fino al IV a.C.
sono noti e frequenti pavimenti a ciottoli con motivi decorativi nei bordi e nella
zona centrale; le tessere irregolari sono presenti in territorio italico già dalla fine del
IV a.C. (Volcei e Gela: fig. 1.1) 11 e per [439] tutto il III a.C. 12 senza necessariamente
passare attraverso la preliminare esperienza della tecnica a ciottoli; tessere regolari
e irregolari, presenti in uno stesso pavimento (fig. 1.2) sono addirittura elementi di
7
Si veda SALZMANN, cit. a nota 5, p. 59 ss. e, in particolare, p. 71, con la discussione sulla crono-
logia dei mosaici ellenistici di Cirene, per i quali cfr. I. BALDASSARRE, Mosaici ellenistici a Cirene e
a Delo, in Quaderni di Archeologia della Libia, 1976, p. 193 ss.
8
W.A. DASZEWSKY, An old Question in the Light of new Evidence, in Das Roemische-Byzanti-
nische Aegypten, Mainz 1983. p. 161 ss.; Id., Evolution de l’opus tessellatum, in Etudes et Travaux,
1983, p. 53 ss.
9
Cfr. Ph. BRUNEAU, Recensione a Salzmann in Bull. AIEMA 1986, 371 ss.; Id., Pavements “Alex-
andrins” ou les pièges de l’omonimye, in REG, 1984, p. 61 ss. con un elenco di tutti gli interventi
dell’autore sullo stesso argomento; A. DASZEWSKY, Recensione a Salzmann in Bonner Jahrbb.1986,
p. 752 ss
10
Cfr. D. FERNANDEZ GALIANO, New Light on the Origin of Floor Mosaics, in Antiquaries
Journal, 1982, p. 235 ss.
11
Alla documentazione già citata in I. BALDASSARRE, art. cit. a nota 7 ed elencata in W. A. DA-
SZEWSKY, Recensione a Salzmann, cit. alla nota 9, vanno aggiunte altre numerose segnalazioni di
rinvenimenti che per il momento hanno trovato spazio solo in comunicazioni a Convegni.
12
Per esempio a Elea: cfr. la nota precedente.
124 Sezione 2 - Pittura e mosaico
3 2
Fig. 1 - 1. Gela, mosaico a tessere irregolari; 2. Cirene, pavimento dell’Hestiatorion settentrionale; 3. Kerkouane,
frammento di pavimento a tessere regolari.
13
Cfr. esempio, I. BALDASSARRE, art. cit. a nota 7, fig.16.
14
J. P. MOREL, Kerkouane, Ville punique du Cap Bon, in MEFRA 1969, p. 473 ss.; K. DUNBABIN,
Pavement Fragment and their Typology, in Carthage, 1976, p. 179 ss.; M. FANTAR, Les pavements
puniques, in Dossier de l’Archéologie, nov.-dic. 1978, p. 6 ss.; F. CHELBI, Quelques aspects de la civi-
lisation carthaginoise à l’époque hellenistique, in Carthage, VI, 1983 p. 80 ss.; F. RAKOB, Karthago
I°, Die Deutschen Ausgrabungen in Karthago, Mainz 1991, p. 220 ss.
6 - La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del tessellato 125
infatti, qualora non venga considerato separatamente dal contenitore e dalla fun-
zione che è chiamato a svolgere, si inserisce in una dimensione antropologica che ci
aiuta a superare alcune aporie inspiegabili sulla base dei soli dati materiali 15.
15
La discussione è limpidamente affrontata, sia pure per altri ambiti e classi di materiali diverse da
A. PONTRANDOLFO-A. ROUVERET, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992, p. 23 ss.; cfr.
anche I. BALDASSARRE, Pittura parietale e mosaico pavimentale dal IV al II sec. a. C., in Ricerche di
pittura ellenistica, Roma 1985, p. 203 ss.
126 Sezione 2 - Pittura e mosaico
16
Si tratta di complessi molto noti per i quali non sembra necessario fornire bibliografia specifica;
per riferimenti più puntuali cfr. I. BALDASSARRE, art. cit. alla nota precedente.
17
L’espressione è in Senofonte, Oec. IX 2; Mem. III, 8, 10.
18
Sugli hestiatoria cfr. M.S. GOLDSTEIN, The Setting of the ritual Meal in greek Sanctuaries: 600-
300 b. C., Berkeley 1978.
19
Molto indicativi sono i pavimenti a ciottoli di Olinto, Atene, Megara, Sicione, tutti databili tra la
fine del V e gli inizi IV sec. a.C., e tutti rinvenuti nell’andron delle case: cfr. I. BALDASSARRE, art. cit.
a nota 15.
6 - La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del tessellato 127
ambienti, ma, più in generale, la loro presenza, percentualmente molto bassa, sot-
tolinea la importanza della dimora stessa 20.
In tutti questi pavimenti la disposizione delle klinai intorno alle pareti è la gene-
ratrice dello schema decorativo più comune che è quello centralizzato e che resterà
una costante caratteristica dei documenti di tradizione greca. Il repertorio figurati-
vo organizza entro bande concentriche un motivo centrale; le bande sono costituite
da motivi a cane corrente, meandri, racemi, palmette, fiori di loto, cacce, centauro-
machie; il motivo centrale può essere una rosetta, una ruota, più raramente un
motivo figurato (fig. 3). La sintassi di questi due elementi, motivo centrale e bande
decorate, gioca sulla iscrizione del cerchio nel quadrato, [444] usando motivi co-
muni alle bande decorate per riempire gli angoli di risulta. Tutti i motivi presenti su
questi mosaici fanno parte di un repertorio decorativo corrente e generalizzato,
noto da decorazioni architettoniche, pittura architettonica, ceramica e anche stoffe,
e mostrano la utilizzazione di un lessico convenzionale e codificato che tuttavia il
20
Nelle case di Olinto, l’unico sito in cui sia possibile un controllo di tal genere, i pavimenti a mo-
saico decorato rappresentano il 10 per cento della totalità dei pavimenti e inoltre essi sono concentrati
in poche abitazioni.
128 Sezione 2 - Pittura e mosaico
decoratore adatta con libera inventiva alla nuova tecnica, stabilendo un rapporto
non arbitrario con la nuova superficie, che ne risulta ritmata ed enfatizzata. Si è
creato, cioè, un sistema decorativo coerente, la cui unità è rafforzata dalla ripetizio-
ne e dall’uso ricorrente degli stessi schemi, e che ha fatto nascere un linguaggio figu-
rativo nuovo, la cui specificità va indagata non tanto all’interno di tutto il corpus
dei mosaici a ciottoli, ma in relazione alla funzione che esso è chiamato a svolgere
come risposta ed adattamento delle capacità artigiane alle nuove aspettative del
committente. È chiaro che una autentica comprensione del sistema decorativo spe-
cifico nel quale anche il pavimento si integra non può essere disgiunta dall’esame
della decorazione parietale coeva; nel caso preso in esame - la casa privata del V-IV
sec. a.C. - anche se conservata in scarsissimi resti, essa si lascia comunque individua-
re 21 nel cosiddetto “masonry style” strettamente integrato al quadro architettoni-
co: manca cioè in questo momento un intento programmatico figurativo sia nella
pittura parietale che nel mosaico pavimentale e alla decorazione sembra affidato
solo un valore ornamentale ed edonistico. È il nuovo significato assunto dalla casa
privata nello scorcio del V e nel IV sec a.C. che aiuta a capire lo sviluppo e l’intrin-
seca vitalità di specifici contesti decorativi; ma nello stesso tempo, individuata la
funzione che questi erano chiamati a svolgere - funzione, ci sembra, puramente or-
namentale ed edonistica - diviene concretamente evidente un aspetto della profon-
da trasformazione sociale, in atto appunto in questo stesso periodo quando comin-
cia a emergere e ad affermarsi la categoria del privato come valore nuovo di cui
questi contesti rappresentano sia l’aspetto materiale che quello simbolico-ideologi-
co.
Si tratta, è chiaro, di un approccio che costringe a tener conto di molti dati, non
tutti e non sempre disponibili, ma soprattutto [445] è un approccio che non può
generare schemi interpretativi applicabili ovunque. Sembra opportuno, a questo
punto, notare un’altra difficoltà che si incontra in ricerche di questo tipo, anche se
non si intende per ora approfondire la questione: infatti che lo stesso panorama
tecnico e decorativo, con funzione puramente ornamentale, possa essere documen-
tato, sempre in contesti domestici, in altri ambiti geografici, come l’Apulia 22, non fa
meraviglia, perché rimanda ai nessi culturali intercorrenti in questa epoca tra l’A-
pulia e la Grecia; pone dei problemi invece la presenza di pavimenti decorati in zona
21
Cfr. V.J. BRUNO, Antecedents of the Pompeian First Style, in AJA, 1969, p.305 ss.; A. ROUVE-
RET, Histoire et imaginaire de la peinture ancienne, Roma 1989, p. 166 ss.
22
M. MAZZEI, Nota sui mosaici a ciottoli in Daunia fra il IV e il III sec. a.C., in Atti 11° Convegno
Naz. sulla Daunia, S. Severo 1990, p. 51 ss.
6 - La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del tessellato 129
di necropoli, come è documentato in Spagna ma anche nella stessa Apulia 23, perché
questa situazione modifica il senso del discorso fatto, e costringe ad un esame ap-
profondito dei referenti ideologici, oltre che del contesto archeologico 24. Un altro
importante aspetto da sottoporre ad analisi è quello delle scelte figurative che carat-
terizzano la storia del mosaico. Nella sequenza artificiosa che vede lo sviluppo
progressivo della decorazione pavimentale a ciottoli dal disegnativo al pittorico, si
inseriscono i mosaici di Pella dell’ultimo quarto del IV sec. a.C. 25: ma la ecceziona-
lità formale e l’ambito geografico specifico - la Macedonia dei palazzi principeschi
- di questi ritrovamenti, necessariamente limitano la portata delle osservazioni cui
essi si prestano, che non possono essere estese a tutta la produzione contempora-
nea. A Pella, infatti, sui pavimenti a mosaico a tutti noti, è avvenuta la cooptazione
del quadro, in quanto quadro, nel repertorio figurativo pavimentale (fig. 4).
Molto giustamente infatti la evidente diversità stilistica delle [447] figurazioni è
stata giustificata non già scaglionando nel tempo i mosaici stessi, ma comprenden-
doli nel concetto di “Galleria d’arte”26: abbiamo documentata su questi pavimenti,
infatti, una produzione artigiana che non si propone più come fatto creativo, in
qualche modo originale, ma come recupero e citazione di un prodotto originaria-
mente valido di per sè: il quadro. La funzione dell’immagine è modificata, ed essa è
ammirata e goduta per la sua fama più che per il suo contenuto specifico; questo
presuppone da una parte come già avvenuto il riconoscimento della creatività del
processo artistico, ci documenta le mediazioni a cui le opere d’arte venivano sotto-
poste nella ormai definitiva scissione tra arte e artigianato, e rimanda ad una com-
mittenza non solo colta ma che fa della casa un uso diverso di quello documentato
finora. A livello tecnico, inoltre, è qui evidente anche un gioco di interazioni dove
l’autonomia delle tecniche non è più rispettata e una tecnica viene chiamata a dare
23
Per la Spagna cfr. D. FERNANDEZ GALIANO cit. alla nota 10; per l’Apulia M. MAZZEI,
Pittura ellenistica in Puglia: il caso di Arpi, comunicazione al Convegno L’Italie Méridionale et les
premières expériences de la peinture hellenistique, Roma, febbraio 1994, in corso di stampa presso
l’École Franç. de Rome.
24
La decorazione delle tombe, infatti si organizza in un sistema parallelo a quello delle case, ma non
riducibile ad esso, dotato di una sua autonomia e specificità all’interno del discorso decorativo
generale.
25
I mosaici sono presentati ormai in tutti i manuali; si veda comunque M. Robertson, Early greek
Mosaic, in Macedonia and Greece in late classical and early Hellenistic times, Studies in the History of
Art, vol. 10, Princeton 1982, p. 241 ss.
26
MORENO, La pittura tra classicità ed ellenismo. Appendice, in Storia e Civiltà dei Greci, vol. VI
Milano 1979, p. 704.
130 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Fig. 4 - Pella. 1. Mosaico a ciottoli con Dioniso sulla pantera; 2. Mosaico a ciottoli con caccia al leone.
6 - La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del tessellato 131
27
Si veda soprattutto la decorazione della tomba di Lefkadia: Ph.M. PETSAS, Taphos ton Leuka-
dion, Atene 1966.
28
Per i mosaici ellenistici di Alessandria cfr. W.A. DASZEWSKY, cit. alla nota 5.
132 Sezione 2 - Pittura e mosaico
29
Ph. BRUNEAU, Philologie mosaïstique, in Journal des Savantes, p. 3 ss.
30
Cfr, bibl. citata alla nota 14.
6 - La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del tessellato 133
più sviluppata, la figurazione, mentre sui pavimenti a ciottoli di Pella si sono potuti
raggiungere autentici valori pittorici. Se ammettiamo che ragioni solo tecniche
(presenza di materiale più idoneo) o solo estetiche (superficie liscia e non) abbiano
facilitato nel mondo greco il passaggio dal ciottolo alla tessera, non riusciremo mai
a spiegare la divaricazione tra Oriente e Occidente.
Penso che i tempi non siano maturi per risolvere in maniera culturalmente accet-
tabile questa antinomia, anche se è evidente che va rimessa in discussione la prece-
dente sistemazione. Mi sembra però che risulti chiaro come i documenti dei due
ambiti, anche se per il momento un ragionamento articolato è possibile solo per il
più noto, il Mediterraneo orientale, si organizzino in coerenti sistemi decorativi (e
tali vanno considerati anche i pavimenti senza figurazioni) che sembrano rivelare,
ciascuno secondo collegamenti interni costanti, specifici e, all’origine, irriducibili
campi culturali. Andrà affrontato quindi l’esame di ciascun complesso dapprima
separatamente, e questo aiuterà a precisare meglio le articolazioni e le dinamiche
interne, le funzioni che sono chiamati a svolgere e i valori di cui sono caricati: in
quanto prodotti di un artigianato artistico custode di pratiche tradizionali, ma nel-
lo stesso tempo soggetto e specchio delle molteplici sollecitazioni del corpo sociale,
essi possono diventare, come si è detto, importanti documenti antropologici, qua-
lora si riesca a recuperare il sistema decorativo complessivo in cui sono integrati. È
con questi principi di analisi che bisogna proporsi di esaminare e studiare le condi-
zioni di apparizione e sviluppo dei due fenomeni.
135
[523] Presento qui, come anticipazione della edizione del monumento a cui ap-
partiene, un eccezionale pavimento dipinto di Napoli. Si tratta del pavimento della
stanza ipogea, con klinai-sarcofago lungo le pareti, di un sepolcro a due piani (tom-
ba C), che fa parte di un complesso situato in via dei Cristallini, a Napoli [13, fig. 7].
Noto da tempo, e pubblicato dal De Petra nel 1898, il complesso è rimasto escluso
da una corretta valutazione scientifica, non solo per le difficoltà di raggiungerlo, ma
soprattutto per l’errore di datazione del suo primo editore 1, che, sulla base di ele-
menti riferibili ad un prolungato uso del complesso stesso, aveva datato la tomba
ad età augustea. In questa prima edizione il pavimento, rimasto in seguito a lungo
invisibile sotto uno strato di fango, era stato definito genericamente «cocciopesto
con motivo decorativo centrale», definizione non in contrasto con la datazione
augustea attribuitagli. La mostra su Napoli antica del 1985 e il Convegno di Taran-
to su Napoli 2 avevano già corretto l’errata cronologia augustea, recuperando que-
sta tomba a documento notevolissimo del primo ellenismo napoletano; anche in
quella occasione tuttavia il pavimento, ancora coperto di fango e non documentato,
non era stato preso in considerazione. Una provvidenziale successiva pulizia ne ha
precisato le caratteristiche e l’originalità e la riedizione di tutto il complesso, in
* Da M. R. Carra Bonacasa, F. Guidobaldi (a cura di), Atti del IV Colloquio dell’Associazione Itali-
ana per lo studio e la conservazione del mosaico, (Palermo 9-13 dicembre 1996), Ravenna 1997, pp.
523-530.
1
G. De Petra, ‘Di un antico ipogeo scoperto in Napoli’, in MAL VIII, 1898, cc. 217-231.
2
Cfr. nel volume Napoli antica, Napoli 1985 i contributi di I. Baldassarre (pp. 122-132); A. Pon-
trandolfo - G. Vecchio (pp. 283-293); E. Miranda (pp. 298-299). Si vedano anche nel volume Neapo-
lis, Atti 25° Convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto 1995, Napoli 1996), i contributi di I.
Baldassarre (pp. 221-232); A. Pontrandolfo (pp. 255-272); J.P.Morel (pp. 305-356); E. Miranda (p.
359).
136 Sezione 2 - Pittura e mosaico
3
I. Baldassarre, ‘Documenti di pittura ellenistica da Napoli’, in A. Rouveret (a cura di), L’Italie
Méridionale et les premières expériences de la peinture hellenistique, Actes de la table ronde organisée
par l’Ecole Française de Rome, (Roma, febbraio 1994).
4
Il mosaico non è ancora stato sottoposto a restauro e le sue attuali condizioni non permettono di
chiarire se i girali partono da un cespo di acanto al centro di ciascuno dei lati.
7 - Un pavimento dipinto di Napoli 137
volta inserito entro un quadrato, con palmette negli angoli di risulta. Tutto il motivo
occupa uno spazio appositamente riservato e delimitato da una linea incisa sul fon-
do di preparazione comune a tutto il pavimento, privo anche in questa zona delle
tessere e del colore rosso 5 (fig. 1.2; Tav. P. 4-5).
Dal punto di vista tecnico quindi sono evidenziabili i vari momenti operativi 6: il
pavimento ha ricevuto la stesura di colore rosso sulla malta giallo-rosata del fondo
di preparazione ancora umida, con un procedimento simile a quello dell’affresco;
su questo fondo colorato sono state inserite, abbastanza fittamente, le tessere irre-
golari di calcare, che infatti non presentano tracce di colore, mentre sia il bordo di
riquadratura che il motivo centrale, definiti da linee incise, hanno ricevuto, diretta-
mente sul fondo umido della malta, i motivi decorativi, in nero, come si è detto, nel
bordo, in bianco, rosso, giallo, nero, nel motivo centrale.
Un procedimento simile è noto dal punto di vista tecnico e documentato solo per
quanto riguarda i signini dipinti 7; rari invece sono gli esempi di motivi decorativi
dipinti, che, anzi, per quanto è finora a mia conoscenza, si riducono a due, ambedue
significativamente pertinenti di nuovo a edifici sepolcrali; uno è stato rinvenuto,
frammentario, nel vestibolo della Tomba della Medusa di Arpi 8: si tratta di un ani-
male marino che è descritto come “dipinto in [525] nero sull’intonaco giallo”9. Il
secondo è documentato in Macedonia, nel tumulo di Langaza o Langada, e presen-
ta un motivo geometrico di losanghe alternate in giallo nero e rosso, gli stessi colori
usati nella tomba di Napoli 10. La cronologia delle due tombe, anche se per quella di
5
Al di là delle generiche somiglianze con rosette iscritte, frequentemente usate nella decorazione di
soglie o nel motivo centrale di un campo, lo specifico schema del pavimento di Napoli non è attestato
in questa forma nella quale i colori evidenziano e sottolineano la sovrapposizione dei piani, effetto
evidentemente impossibile negli schemi disegnativi delle decorazioni dei cocciopesti. L’unico altro
documento a mia conoscenza, che ripete precisamente la disposizione e la sovrapposizione dei petali
si trova a Sulmona, nella zona più antica del santuario di Ercole Curino, all’interno del cosiddetto
sacello: il pavimento è eseguito in tessere irregolari, con l’uso di frammenti di terracotta per il rosso
(cfr. F. van Wonterghem, ‘La decorazione del sacello’, in E. Mattiocco (a cura di), Dalla villa di Ovidio
al Santuario di Ercole, Sulmona 1989, pp. 151 ss.). La cronologia del pavimento (metà I a.C.), ancora
in discussione, si spera venga chiarita dai saggi e restauri promessi (cfr. R. Tuteri, ‘Pavimenti antichi a
Sulmona’, in AISCOM II, p. 79) a conferma dell’aspetto ancora pienamente ellenistico della serie di
bande di riquadratura delle rosette centrali.
6
Per un esame di questi procedimenti tecnici cfr. E. Papi, ‘I pavimenti delle domus della pendice
settentrionale del Palatino’, in AISCOM II, 1995, pp. 340-341.
7
Cfr. Papi 1995 cit. n. 6 e M. De Vos, ‘Rivestimenti pavimentali’, in Settefinestre. Una villa schiavi-
stica nell’Etruria romana, I, Modena 1985, pp. 74 ss.
8
Cfr. M. Mazzei, Arpi. L’ipogeo della Medusa e la necropoli, Foggia 1995, pp. 189 ss, con biblio-
grafia precedente.
9
Cfr. Mazzei 1995, cit. n. 8.
10
Cfr. T. Macridy, ‘Un tumulus macédonien à Langaza’, in JdI 26, 1911, pp. 193-215.
138 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Arpi è in corso una vivace discussione 11, si colloca in età alto ellenistica; la tomba
macedone è sicuramente datata entro la seconda metà del IV sec. a.C. 12.
É noto il dibattito, tuttora in corso, sulla cronologia delle tipologie pavimentali,
tra le quali questa documentata a Napoli, per la sua ricercatezza, ma anche per la
sua fragilità, resta una eccezione, riservata, come dimostrano gli altri due esemplari
noti, ad ambienti poco frequentati. Ma è anche ormai un principio accettato che la
documentazione pavimentale non va esaminata isolatamente e contribuisce alla
definizione di una cronologia soprattutto se è coerente con tutto il sistema decora-
tivo dell’ambiente preso in esame 13.
La sintassi decorativa del pavimento di Napoli, in cui lo schema è generato pro-
prio dalla semplice struttura dell’ambiente, che il bordo a girali sottolinea e che
l’emblema centrale, probabilmente in corrispondenza della lampada appesa al sof-
fitto, non interrompe, considerata nel suo rapporto col resto della decorazione, con
la quale entra in sistema, sembra espressione coerente dello stesso rigore architetto-
nico testimoniato dalle altre scelte decorative, tese a sottolineare una compatta
definizione dell’ambiente 14.
Le pareti dell’ambiente sono infatti semplicemente scandite da paraste in rilievo
con capitelli figurati che sostengono il fregio ionico che sottolinea l’imposta della
volta; fra le paraste si dispongono semplici ghirlande, del tipo rigido, strette ad in-
tervalli da bracciali dorati, mentre nella lunetta della parete di fondo è insieme
scolpita e dipinta una testa di Medusa. Ai due lati della porta di ingresso sono dipin-
ti due candelabri, una patera dorata con scena dionisiaca e una situla d’argento. Al
rigore e alla essenzialità del sistema decorativo si contrappone una esecuzione par-
ticolarmente raffinata e curata.
L’esame particolareggiato delle membrature architettoniche di questa stanza
ipogea, come pure della stanza superiore e della facciata parzialmente rupestre, ol-
tre ai confronti antiquari per i candelabri e la patera, ma soprattutto osservazioni
sulla qualità dell’ellenismo napoletano, ci hanno portato a proporre per questa
11
Cfr. Il caso di Arpi. Ambiente italico e Magno greco tra primo e medio ellenismo (Tavola rotonda,
Foggia 8 marzo 1996 [Pubblicato nel 1998, dopo l’apparizione di questo contributo, nella serie dei
Quaderni del Centro distrettuale FG 32 25 Ndr].
12
La discussione e gli aggiornamenti bibliografici e cronologici sulla tomba di Langaza sono ripor-
tati in S. G. Miller, The Tomb of Lyson and Kallikles, Mainz 1993, p. 109.
13
Cfr. I. Baldassarre, ‘La decorazione pavimentale. Le tipologie più antiche e la introduzione del
tessellato’, in AISCOM I, Ravenna 1994, pp. 435-450; K.M.D. Dunbabin, ‘Early pavement types in
the West and the invention of tessellation’, in V CollInsMos, 1994, pp. 26 ss.
14
Cfr. supra n. 3.
7 - Un pavimento dipinto di Napoli 139
tomba una datazione tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. 15. La stessa
cronologia va assegnata anche al pavimento proprio per coerenza dell’insieme e
nonostante la mancanza di confronti immediati.
15
Per tutta la documentazione v. supra, n. 3.
141
[79] Una analisi delle testimonianze pittoriche di età augustea che interpreti
questi documenti oltre che dal punto di vista formale, anche come autentico lin-
guaggio per immagini, non solo contribuisce ad una migliore comprensione della
società di cui è una delle espressioni più immediate ed autentiche, ma permette an-
che di superare la visione a lungo operante di una pittura romana dipendente ed
erede passiva del patrimonio classico greco; patrimonio a cui, nelle diverse epoche,
il mondo romano ha continuato ad attingere, rifunzionalizzandolo e rigenerandolo
in una incessante ricerca di nuove sperimentazioni e di verifica della propria rinno-
vata identità culturale.
La trasformazione del linguaggio pittorico cui si assiste nel passaggio dalla tarda
repubblica alla affermazione del principato di Augusto (tra la seconda metà del I
sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C.), appare strettamente correlata al radicale muta-
mento politico e di assetto istituzionale in atto; e tuttavia, più che testimoniare
storicamente un preciso messaggio politico, questi documenti pittorici riflettono
soprattutto una generale evoluzione della mentalità ed esplicitano un rinnovato
sistema di valori di riferimento che si manifesta nei nuovi aspetti dell’immaginario
sociale, riproponendo in definitiva il valore documentario autonomo delle fonti fi-
gurative, correlate antropologicamente al più generale sistema di rappresentazione
di una società concreta.
Nell’ultimo secolo della repubblica la feroce lotta politica che caratterizza il
mondo romano, con l’accentuato antagonismo e la lotta per il primato personale,
*
Da E. Greco (a cura di), Patrasso colonia di Augusto e le trasformazioni culturali, politiche ed
economiche della Provincia di Acaia agli inizi dell’età imperiale romana, Atti del Convegno interna-
zionale, Patrasso 23-24 marzo 2006, (Tripodes 8), Atene 2009, pp. 79-93. Le fotografie a colori sono
tratte da: I. Baldassarre - A. Pontrandolfo - A. Rouveret - M. Salvadori, Pittura romana: dall’ellenismo
al tardo-antico, Milano 2002.
142 Sezione 2 - Pittura e mosaico
1
Cfr. nell’oecus H della villa di Fannio Sinistore, il quadro interpretato come”allegoria dell’impero
universale”, cfr. Sauron 1994.
2
Sallustio parla della fastosa cerimonia per la vittoria di Metello Pio su Sartorio, celebrata nel 75
a.C. nella casa privata del proconsole, decorata come un teatro, così come nell’88 a.C. Mitridate aveva
celebrato la vittoria nel teatro di Pergamo.
8 - La pittura nell’età di Augusto 143
3
Cfr. Sauron 1994.
144 Sezione 2 - Pittura e mosaico
1
2
3 4
Fig. 1 - 1 Roma, Palatino, casa di Augusto, stanza 15, parete nord, particolari; 2. Roma, Palatino, casa di Livia,
tablino, al centro Io e Argo; 3. Roma, villa della Farnesina, triclinio C, fregio su fondo nero, con paesaggio.
4. Roma, villa della Farnesina, cubicolo E, parete sinistra dell’alcova con paesaggio idillico-sacrale.
di pace, quello stesso che Virgilio aveva investito di un significato politico, come
simbolo del ritorno alla semplicità di costumi e insieme alla “pietas” predicate da
Augusto 4.
4
Cfr. Zanker1989.
8 - La pittura nell’età di Augusto 145
Bibliografia
5
Cfr. Coarelli 1976; La Rocca 1985.
149
* Da L’Art décoratif à Rome à la fin de la République et au début du principat. Table ronde de Rome
(10-11 mai 1979) Rome: École Française de Rome, 1981. pp. 337-351 (Collection de l’École française
de Rome, 55).
1
Non ho alcuna pretesa di affrontare in questa sede la ricerca strettamente iconografica che è in
corso di approfondimento e apparirà in un lavoro di insieme sulla Necropoli dell’Isola Sacra, a pro-
posito di una pittura, di II secolo, raffigurante Piramo e Thisbe, rinvenuta nella tomba 87 della stessa
Necropoli. Mi limito soprattutto a enucleare alcuni problemi che sono emersi nel corso della ricerca
iconografica.
2
Tra la numerosissima bibliografia su Ovidio e la sua fortuna, anche come fonte di iconografie, in
età medievale e moderna, citiamo: G. Duplessis, Essai bibliographique sur les différentes éditions des
oeuvres d’Ovide ornées des planches publiées au XVe et XVIe siècle, Paris 1889; F. Bardon, Les Met.
d’Ovide et l’expression emblématique, in Latomus, 1976, p. 71 ss.; E. Bethe, Buch und Bild im Alter-
tum, Leipzig-Wien 1945; L. P. Wilkinson, Ovid recalled, Cambridge 1955; J. Weitzmann- Fiedler, A
Pyramus and Thisbe Bowl in the Princeton Museum, in Art Bulletin, 1957, pp. 219 ss.
3
Tra le più recenti edizioni delle Metamorfosi ovidiane citiamo quella di G. K. Galinsky (Oxford
1975) e quella di K. Borner (Lipsia 1976): ad esse si rimanda per la bibliografia precedente.
150 Sezione 2 - Pittura e mosaico
altri casi, si lasciano facilmente ricondurre a nuclei mitici già noti 4. Il poeta stesso
sembra voler sottolineare la novità di [338] questa storia raccontata per la prima
volta: la definisce infatti «non vulgaris», da interpretare nel senso letterale di «non
nota» 5. Esisteva infatti una più comune versione del mito, di cui troviamo numero-
se testimonianze in autori tardi: Nonnos, Nikolaus di Myra, Themistius Bithynius,
Himerius Bithynius, Pseudo Clementinus 6. In tutte queste fonti, sia pure con qual-
che variante, Piramo e Thisbe sono sempre un fiume e una fonte, o sono trasforma-
ti in fiume e fonte; poiché il Piramo è effettivamente un fiume della Cilicia, si può
ipotizzare che la Cilicia non greca abbia posseduto la sua versione mitologica, forse
quella originale, e che questa abbia subito, in ambiente ellenico, una assimilazione
alle storie amorose dei fiumi greci (come per esempio Alfeo e Aretusa), alle quali
strettamente si apparenta 7. Questa dovrebbe essere dunque la «vulgaris fabula»
rifiutata da Ovidio in favore di un oscuro ma, a suo giudizio, superiore racconto.
Nella storia ovidiana, storia di amori contrastati, Piramo e Thisbe sono diventa-
ti due giovinetti babilonesi: inusuale è l’ambientazione, Babilonia, città non mitica
ma favolosa, il cui solo nome evocava immagini di un altrove fantastico, non corre-
lato con nessuno dei luoghi tipici del mito greco tradizionale, in qualche modo le-
gato alla esperienza culturale romana.
È nota a tutti la sequenza dei fatti: dopo essersi a lungo parlati attraverso la fes-
sura di un muro delle rispettive case contigue, Piramo e Thisbe, sfuggiti alla sorve-
glianza dei parenti, si danno appuntamento fuori della città, «ubi dicitur altam
coctilibus muris cinxisse Semiramis urbem» 8. L’episodio finale è ambientato fuori
delle mura, presso il sepolcro di Nino, «busta Nini», evidente contaminazione con
le storie dell›eroe eponimo di Ninive 9, che serve comunque al poeta per fare aleggia-
re il ricordo di [339] un’altra coppia di amanti celebri e lontani, anch’essi al di fuo-
4
La bibliografia sulle Metamorfosi è vastissima; citiamo, senza alcuna pretesa di completezza, L.
Castiglioni, Studi intorno alle fonti e alla composizione delle Met. di Ovidio, Pisa 1907; Ch. P. Segali,
Landscape in Ovid’s Met., Wiesbaden 1969; O. Steen Due, Changing Forms. Studies in the Met. of
Ovid, Copenhagen 1974; in particolare sul mito di Piramo e Thisbe, T. T. Duke, Ovid’s Pyramus and
Thisbe, in Classical Journal, 66, 1970-71, pp. 320 ss.
5
Ovid., Met., IV, 53.
6
Nonnos, Dion., 6, 344 e 12,843; Nikolaus di Myra, Progymnastica (Rhetores Graeci I, 271, Wald;
Mythographi 384, 21, Westermark); Themistius di Bitinia, Orationes, XI, 151 c-d (180 Dindorf); Hi-
merius di Bitinia, Orationes, I, 11; Pseudo Clementinus, Recognitiones, 10, 26; cfr. per queste fonti
anche Immisch, in Roscher, III, 2, 3335-3338; Turk, in RE, XXIV, 1-11; VII (A 1), 286-291; Inoltre T.
T. Duke, cit. alla nota 4 e K. Borner, cit. alla nota 3, pp. 33 s.
7
Per un approfondimento di questa versione del mito e della realtà geografica sottesa al mito stesso,
cfr. T. T. Duke, cit.
8
Ovid. Met., IV, 57-58.
9
Ovid. Met., IV, 88. Di Nino le fonti ci segnalano il luogo del sepolcro, presso Ninive: cfr. T. T. Duke,
cit., p. 326, nota 32.
9 - Piramo e Thisbe: dal mito all’immagine 151
10
Sul romanzo di Nino e Semiramide e sulla scarsa e tarda iconografia a cui ha dato origine cfr. D.
Levi, The Novel of Ninus and Semiramis, in Proceedings of the Philosophical Soc., LXXXVII, 1944,
pp. 420 s.; Id., Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, pp. 118 s.; E. Perry, The ancient Romances,
Berkeley-Los Angeles 1967, pp. 153 s.
11
Nella economia generale della favola, così come ha scelto di raccontarla Ovidio, il particolare
della metamorfosi diventa del tutto secondario, tanto da ispirare al poeta una delle similitudini più
brutte: il sangue di Piramo che inonda l’albero di more è paragonato alla violenza con la quale l’acqua
esce, fischiando, da una fistula fessurata: cfr. Ovid., Met., IV, 121-127 e O. Steen Due, Changing Forms,
cit, p. 123.
12
Sulla possibilità che la favola narrata da Ovidio risalga ad una fonte orientale e ci conservi pre-
ziose glosse di antichi rituali babilonesi, cfr. T. T. Duke, più volte citato, pp. 325 s. Non intendiamo in
questa sede sottoporre a critica questa interpretazione, ci preme ribadire che, comunque, non è da
questo punto di vista che la favola ha potuto interessare Ovidio, quand’anche si voglia accettare che
non è stata da lui inventata. Sulle possibili fonti orientali cfr. anche P. Perdrizet, Légendes babylonni-
ennes dans les Mét. d’Ovide, in Rev. Hist. Relig., 105, 1932, pp. 193 s.
13
Cfr. A. La Penna, Potere politico ed egemonia culturale in Roma antica, dall’età delle guerre pu-
niche all’età degli Antonini, raccolto in Aspetti del pensiero storico classico, Torino 1978, soprattutto
p. 19-21: la definizione qui avanzata (p. 22-23) della produzione ovidiana come «letteratura da intrat-
tenimento» va proprio nel senso da noi indicato per una valutazione della storia di Piramo e Thisbe.
152 Sezione 2 - Pittura e mosaico
ciale di Ovidio, da una parte 14; e alla presenza a Pompei, su pareti di terzo stile fina-
le e di quarto stile, di una serie di pitture sicuramente ispirate al testo ovidiano e che,
d’altra parte, dipendono tutte, con varianti, da un unico archetipo, di poco prece-
dente 15.
L’epilogo tragico dell’episodio, nella versione ovidiana, si trova ripetuto quattro
volte nelle case di Pompei, e una volta, sempre in pittura, nella tomba 87 della Ne-
cropoli dell’Isola Sacra, più tarda di circa un secolo.
Nella casa IX, 5, 14, la pittura, proveniente da vecchi scavi e che ora è al Museo
di Napoli, è stata trovata sulla parete Sud del triclinio (fig. 1.l) 16. È rappresentato il
momento finale del racconto, ma ne sono riassunti tutti gli elementi indicativi del
luogo, secondo la narrazione ovidiana: il sepolcro di Nino, che va identificato nella
colonna sullo sfondo con in cima un vaso di marmo; l’albero di more, la natura
deserta fuori delle mura. Piramo è [341] disteso in primo piano, già irrigidito dalla
morte, con il fodero della spada vuoto ben visibile; china su di lui, Thisbe seminuda,
con la figura sottolineata dalla curva del manto, si appoggia alla punta della spa-
da 17; a destra l’albero i cui frutti cambieranno colore. L’effetto drammatico che si
coglie malgrado la pittura sia maldestramente eseguita, doveva essere tutto nel
contrasto tra la orizzontale del corpo disteso e la verticale del corpo di Thisbe; la
drammaticità non investe il volto dei protagonisti, ma è echeggiata nell’ampia
Si veda inoltre la approfondita indagine di M. Labate, Poetica ovidiana dell’elegia: la retorica della
città, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici, 3, 1979, pp. 9 s.: la poesia ovidiana è in
questo articolo esattamente situata all’interno di un mondo culturale, quale è quello augusteo, com-
plesso e pieno di tensioni irrisolte, ma comunque ben deciso a conquistare all’otium, alla piacevole
rilassatezza di un «privato» vissuto come contrapposizione al «pubblico», uno spazio positivo, anche
se distribuito su tempi e situazioni particolari. Questa situazione ha un evidente corrispettivo e riceve
una chiara conferma nella intensificata diffusione delle cosiddette «ville di ozio» (e nella loro decora-
zione parietale), documentata proprio in questo periodo, tra Augusto e i Flavi. È questo il periodo in
cui, secondo l’esatta osservazione di J. D’Arms, «il concetto di amoenitas diviene centrale nell’idea
della villa mentre il locus amoenus è spiegato da Servio (ad Aen. V, 743) come luogo che dà soltanto
piacere» (J. H. D’Arms, Ville rustiche e ville di «otium», in Pompei 79, Napoli 1979, pp. 75 s.). L’au-
tonomia e, direi, in un certo senso la separatezza, nella quale si viene configurando e si attua l’universo
del privato intrattenimento, non può che favorire espressioni culturali dominate da un distacco che è
immediatamente decorativo e caratterizzate dalla fantasticheria. Su questa problematica cfr. anche J.
M. André, L’otium dans la vie morale et intellectuelle romaine, Paris 1966 e N. Rudd, Lines of Inquiry,
Cambridge 1976, pp. 1-31.
14
Cfr. A. Grisart, La pubblication des Métamorphoses, in Atti Conv. Intern. Ovidiano (Sulmona
1958), Roma 1959, II, pp. 125 s. Nel 9 d. C. furono scritti i Tristia, dai quali appare che le Metamorfosi
erano state lasciate incompiute e il poeta lamentava che ne circolassero copie senza la sua ultima
revisione.
15
L’archetipo potrebbe (è una ragionevole ipotesi) essere stato creato per qualcuna delle ville dei
colti romani, delle quali le case pompeiane sono spesso la presuntuosa imitazione.
16
Napoli, Mus. Nazionale, inv. n. 111483; K. Schefold, Die Wände Pompejis, Berlino 1957, p. 260;
E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Roma 1929, p. 64, tav. CXXXIV, a.
17
Ovid. Met. IV, 162: <<et aptato pectus mucrone sub imum incubuit ferro>>.
9 - Piramo e Thisbe: dal mito all’immagine 153
3 4
Fig. 1 - 1. Pittura proveniente da Pompei, IX.5.14. Napoli, Museo Nazionale (Rizzo, 1929); 2. Pompei, Casa di
Lucrezio Frontone (Rizzo 1929); 3. Pompei, Casa delle “Venere in bikini” (Fot. Museo Nazionale di Napoli); 4.
Pompei, Casa di Ottavio Quartione (Foto Alinari).
quanto ingiustificata curva del manto sopra la figura della donna. Nessuna divinità
assiste né dà significato simbolico a questa scena, che si presenta e si qualifica come
fatto reale e insieme lontanissimo. Lo schema iconografico è nuovo, non ha prece-
denti, che io sappia, eppure trova, nella piena adesione alla poesia ovidiana, i modi
per iscriversi in uno stesso atteggiamento di fronte alla realtà.
154 Sezione 2 - Pittura e mosaico
Simile nello schema, anche se meno goffa nella resa del corpo maschile, ma al-
trettanto povera nell’esecuzione, è la pittura che si trova nella Casa di Lucrezio
Frontone (V, 4, 11), (fig. 1.2), nel triclinio a destra del giardino, su di una parete di
terzo stile finale 18. Qui è visibile, sul fondo, la parte posteriore di una leonessa in
fuga, è recepito cioè un altro elemento della narrazione ovidiana, sicuramente pre-
sente nell’originale. L’ambiente dell’appuntamento è precisato da una torre che può
alludere sia ad un particolare delle mura che ad un monumento funerario.
Una terza raffigurazione si trova, ancora a Pompei, in una casa completamente
inedita, la Casa della «Venere in bikini» (I, 11,6), (fig. 1.3), nell’ambiente a Sud-Est
dell’atrio, su di una parete di quarto stile 19. Il quadretto è strettamente legato ai
primi due nello schema compositivo, nonostante le più raccolte dimensioni; manca
l’alberello 20 e il sepolcro di Nino; sono visibili le mura in opera quadrata sullo sfon-
do; la leonessa, a sinistra, col corpo attraversato dal drappo di Thisbe, ricorda
puntualmente il passo del testo ovidiano e riassume molto chiaramente l’episo-
dio 21. In particolare la composizione del gruppo di Piramo e Thisbe sembra la più
vicina [342] all’originale, per lo schema insieme più elaborato e più sciolto: il corpo
di Piramo, con la testa in primo piano, forma una diagonale verso l’interno del qua-
dro e questo consente una più fluida fusione della scena con l’ambiente circostante;
la testa, rovesciata verso lo spettatore con un abile scorcio, permette di delineare i
tratti del volto, e la morte è rappresentata più con l’abbandono che con la rigidezza
delle membra, mentre il corpo rilassato, con le gambe ripiegate, non è ignaro degli
schemi dei caduti in scene di battaglia. La posizione di Piramo condiziona e rende
plausibile la quasi frontalità della figura di Thisbe, inginocchiata presso di lui men-
tre si punta la spada al petto; in primo piano, presso il braccio sinistro di Piramo, è
evidenziato il fodero della spada.
Nella Casa di Ottavio Quartione (cd. di Loreio Tiburtino, II, 2,2) (fig. 1.4), ritor-
na per la quarta volta la raffigurazione del mito, nel ninfeo dell’euripo, a destra
della fontana, su di una parete di quarto stile 22. In questa pittura è presente qualche
innovazione compositiva di rilievo, soprattutto nel gruppo centrale, ma l’esecuzio-
18
K. Schefold, op. cit, p. 86; E. Rizzo, op. cit., p. 64, tav. CXXXIV b; sulla Casa di Lucrezio Frontone
cfr. anche F. L. Bastet-M. De Vos, Il terzo stile pompeiano, Roma 1979.
19
Ringrazio la dott. F. Parise per la segnalazione. La pittura è ora quasi illeggibile ma se ne può ri-
costruire meglio lo schema sulla base di una fotografia del Museo Nazionale di Napoli, eseguita al
momento del rinvenimento, senza data (Neg. n. 8502 = D 3569).
20
Lo si potrebbe forse individuare in quella che ormai è solo una fascia di colore azzurro dietro la
testa di Thisbe.
21
Ovid., Met, IV, 103-104.
22
V. Spinazzola, Pompei alla luce degli scavi di Via dell’Abbondanza, Roma 1953, pp. 404-405, fig.
458.
9 - Piramo e Thisbe: dal mito all’immagine 155
23
G. Calza, La Necropoli del Porto di Roma nell’Isola Sacra, Roma 1940, p. 114-115, fig. 47; tav.
IV (riproduzione a olio di O. Ferretti). La tomba, come tutta la necropoli, è in corso di studio.
24
II Calza, sulla base di osservazioni stilistiche e della evidente rozzezza di esecuzione, data il dipin-
to al III secolo. La datazione è ripresa nel Catalogo del Museo di Ostia (la pittura è infatti stata strap-
pata e si trova al Museo: cfr. R. Calza e M. Floriani Squarciapino, Museo Ostiense, Roma 1962, p. 114,
n. 29); ma i recenti saggi, che hanno contribuito a precisare la datazione della tomba, hanno anche
confermato la contemporaneità della decorazione pittorica.
156 Sezione 2 - Pittura e mosaico
cidio. Tutti gli elementi di drammaticità sono stati trasferiti nel volto esasperato
della protagonista, che si mostra quasi isolata, di pieno prospetto, come a stabilire
un più immediato contatto con l’osservatore, ma che raccoglie nel volto la caricata
esasperazione di una maschera tragica. È chiaro che qui si vuole dare risalto alla
morte violenta e non all’antefatto romantico della storia, che stemperava e rendeva
più accettabile l’epilogo tragico, insieme necessario e irreale. La tematica della mor-
te violenta, attuata attraverso una esemplificazione erudita, sembra infatti il tema
conduttore di tutta la decorazione della tomba 25.
Il gruppo di pitture esaminate ci offre una interessante testimonianza della na-
scita e della diffusione di una iconografia 26, che non ha altri [344] precedenti se non
nel testo letterario, immediatamente controllabile, dal quale dipende e che sembra
illustrare 27; questo ci permette una puntuale verifica dei modi in cui si fissa, in gene-
rale, il discorso iconico e dei suoi meccanismi di trasmissione, ma si presta soprat-
tutto ad evidenziare la presenza, in questo discorso, di un livello di comunicazione,
di un messaggio, che scaturisce solo dal rapporto tra immagine e immaginario, e
non è contenuto nello schema iconografico puro e semplice 28. Se ne deduce infine
l’importanza relativa e non necessariamente determinante che ha il testo letterario
originario rispetto alle concrete rappresentazioni figurate, che pure ne dipendono.
Non possediamo la originaria figurazione del mito, e nessuna delle pitture pom-
peiane conservate, in definitiva molto vicine cronologicamente, la rispecchia nella
25
Infatti l’altra pittura chiaramente leggibile della tomba, nella nicchia della parete sinistra, rappre-
senta l’uccisione di Cassandra, mentre sulla parete destra sembra di poter individuare la scena della
morte di Atteone. Cfr. G. Calza, cit. p. 116, fig. 47.
26
Si parla di «nascita» e di «invenzione» nei termini e con i limiti che queste parole hanno all’inter-
no del discorso iconografico, dove non esiste un grado zero ed ovviamente si parte da formule presta-
bilite. Cfr. J.-M. Moret, L’Ilioupersis dans la céramique italiote, Genève 1975, specialmente p. 275 s. e
passim.
27
Non intendo ovviamente agganciare a questo dato sicuro una inutile discussione sulla cosiddetta
«originalità» della pittura romana, secondo gli schemi di una vecchia polemica. La connessione tra
Ovidio e l’iconografia di Piramo e Tisbe era stata infatti già notata, sulla base delle due pitture di più
antico rinvenimento (IX, 5, 14 e V, 4, 11: cfr. note 16 e 18); per i sostenitori della originalità della pit-
tura romana essa aveva costituito un punto di forza, mentre gli studiosi convinti della assoluta dipen-
denza dei decoratori romani - in particolare pompeiani - da modelli ellenistici, si erano serviti dello
stesso esempio per dimostrare la dipendenza di ambedue le serie, - poesia ovidiana e schema iconogra-
fico -, da fonti precedenti, ipotizzando anche una possibile visione del modello pittorico da parte di
Ovidio. Cfr. G. Buccino, Le opere d’arte nelle Metamorfosi di Ovidio, Napoli 1913; N. Laslo, Riflessi
di arte figurata nelle Metamorfosi di Ovidio, in Efem. Dacoromana, 1935, pp. 368 s.; L. Castiglioni,
Studi intorno alle Metamorfosi di Ovidio, Roma 1964, per la tesi panellenistica. Per la tesi «romana»,
R. Sogliano, Del preteso influsso della poesia alessandrina sulla pittura murale campana, in Atti R.
Acc. Arch. Napoli, 1905, pp. 96 s. e, in maniera più equilibrata, O. Steen Due, (cit. alla nota 4), p. 186,
nota 16.
28
Cfr. U. Eco, La struttura assente, Milano 1968, specialmente pp. 61 s.; S. Viarre, L’image et le
symbole dans la poésie d’Ovide. Recherche sur l’immaginaire, in REL, 1974, pp. 263 s.; J.-M. Moret,
cit. alla nota 26.
9 - Piramo e Thisbe: dal mito all’immagine 157
1 2
Fig. 2 - Ostia, necropoli dell’Isola Sacra, Tomba 87: 1. Foto dell’interno; 2. Particolare della pittura con Thisbe,
dopo lo strappo. Ostia Museo. (Fot. I.C.C.D.).
sua interezza. Si può facilmente supporre che essa si sia formata nel particolare
ambiente della classe colta romana, di cui si è già parlato (cfr. nota 13): la citazione
puntuale di Ovidio traccia i limiti di un campo culturale ben definito. Il racconto
ovidiano è stato trasferito in immagini secondo il metodo cosiddetto monoscenico
(Situationsbilder) 29, [345] uno degli schemi di rappresentazione insieme più antico
e più frequentemente usato, nel quale il discorso iconico riassume la narrazione
rinviando a dati che non sono contenuti completamente nelle immagini. La com-
prensione è quindi affidata allo spettatore e ai suoi meccanismi associativi. Una
volta fissata però l’iconografia, la sua trasmissione funziona a circuito chiuso, senza
che si faccia più ricorso alla fonte letteraria, che pure era accessibile, per possibili
variazioni; le varianti avvengono per semplificazione o arricchimento dello schema
K. Robert, Bild und Lied, Berlin 1881; K. Weitzmann, Illustration in Roll and Codex, Princeton
29
1970 (2a ed.); P. G. P. Meyboom, Some observations on narration in Greek Art, in Meded. Rome, 40,
1978, pp. 55 s.
158 Sezione 2 - Pittura e mosaico
iconografico iniziale e mai partendo da una rilettura del testo, come è apparso chia-
ramente nella pittura della Casa di Ottavio Quartione 30.
Ed è proprio a partire da questa osservazione che perdono di interesse i rapporti
di dipendenza tra narrazione e immagine figurata e diventa importante invece il
confrontare il messaggio che le due serie di testi, quello letterario e quello iconogra-
fico, ci inviano. Per quel che riguarda il gruppo dei quattro dipinti pompeiani, e
nonostante la estrema modestia della esecuzione, ci è sembrato che essi presentas-
sero la traduzione per immagini del testo poetico, condensato nell’epilogo e reso
intellegibile nel suo antefatto, ma soprattutto ricreato nei modi non tragici, contem-
plati e atemporali con i quali è raccontato da Ovidio. Poiché la tensione verso un
mondo ricreato dalla fantasia ci sembra essere l’elemento caratterizzante dell’im-
maginario di quest’epoca, la chiave semantica di queste pitture non è riservata ad
iniziati e le immagini possono essere rapportate ad un codice che le contiene, senza
necessariamente essere promosse ad espressione di cultura, almeno in queste mode-
ste realizzazioni 31. Non a caso poi, nell’ultima replica a noi nota, l’unica che cono-
sciamo per il secondo secolo, nella tomba di Porto, quando la raffigurazione si è
allontanata non tanto dalla fonte letteraria, ma dal mondo che in quelle forme del
mito si era rispecchiato, è testimoniata una degenerazione in senso espressivo che
nulla ha più in comune col testo ovidiano.
Un accenno va fatto inoltre, (anche se il problema andrà ben diversamente ap-
profondito), alla serie di documenti figurati che ci illustra la seconda versione del
mito, quello fluviale rifiutato da Ovidio.
[346] Piramo e Thisbe sono raffigurati per due volte nei mosaici di Antiochia,
nella Casa del Portico di Seleucia e nella Casa di Cilicia (fig. 3.1-2) 32. Essi appaiono
rappresentati come figure umane riprodotte fino al busto e racchiuse entro riquadri,
con iscrizioni che ne permettono l’identificazione; la testa è coronata di foglie ac-
quatiche, nella generica iconografia delle personificazioni fluviali, la stessa di altri
fiumi e fonti famosi - come Alfeo e Arethusa - ai quali appunto sono accostati nella
stessa decorazione pavimentale di Antiochia. I mosaici si datano al tardo lI-inizi del
III secolo. I fiumi non sembrano scelti per la loro ubicazione geografica ma per la
fama della loro leggenda e questo ci garantisce l’esistenza di un mito e di una icono-
30
Dove la variante iconografica non modifica, come abbiamo notato, il messaggio.
31
La popolarità di Ovidio a Pompei è nota e documentata anche dai graffiti; Cfr. M. Gigante, La
civiltà delle forme letterarie nell’antica Pompei, Napoli 1979, con la bibliogr. precedente; H. Solin, Le
iscrizioni parietali in Pompei, in Pompei 79, Napoli 1979, pp. 278 s. Sulla società pompeiana, cfr. da
ultimo E. Lepore, Il quadro storico, in Pompei 79, Napoli 1979, spec, p. 20, e la bibl. ivi citata.
32
D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, p. 109, fig. XVIII c-d.
9 - Piramo e Thisbe: dal mito all’immagine 159
1 2
3 4
Fig. 3 - 1-2. Antiochia, Casa del Portico di Seleucia, mosaico con la personificazione di Piramo e Thisbe; 3-4.
Antiochia, Casa del Portico di Seleucia, mosaico con la personificazione di Alfeo e Arethusa (da Levi 1947); 5.
Nea Paphos, Cipro, Villa di Dionisio: mosaico con Piramo e Thisbe (da Vermeule 1976).
160 Sezione 2 - Pittura e mosaico
33
D. Levi cita un mosaico di Alessandria, di età romana, con la raffigurazione di Alfeo, nell’icono-
grafia del giovane recumbente, individuato dalla iscrizione.
34
La bibliografia è costituita tutta da relazioni preliminari; cfr. C. Vermeule, Greek and Roman
Cyprus, Boston 1976, pp. 101 s.; K. Nikolau, The Topography of Nea Paphos, in Mélanges Mich-
alowski, Varsawa 1966 pp. 591 s.; Id., Some Problems arising from the Mosaic at Paphos, in Annales
Archéol. Arabes-Syriennes, XXI, 1971, pp. 143 s. La villa si data alla seconda meta del III secolo.
35
Negli altri pannelli sono rappresentati: Dioniso e Akmé; Poseidon e Amymone; Apollo e Dafne.
36
Dionisiakà, VI, 354 s.: Alfeo, paragonando il suo amore a quello di Piramo, dice: «Io inseguo le
tracce della siracusana Arethusa, ma tu, Piramo, cerchi Thisbe».
9 - Piramo e Thisbe: dal mito all’immagine 161
37
Cfr. O. Immisch, in Roscher, III, 2, 3338; Strab. 1, 3, 7; 12, 2, 4; 14, 5, 16; cfr. anche T. T. Duke, cit.
p. 321.
Neapolis
NEAPOLIS
10
[122] Un discorso su Napoli antica che voglia fondarsi solo sulla evidenza arche-
ologica si scontra immediatamente con la episodicità e la casualità di questa eviden-
za: è questa la situazione tipica di una città che ha stratificato sullo stesso sito la sua
storia e che in definitiva ha vissuto conservando e insieme consumando se stessa,
con modificazioni, ristrutturazioni e rivitalizzazioni che, nei vari momenti storici,
hanno interessato il tessuto originario in maniera non omogenea e diseguale. Il
processo ricostruttivo che voglia partire [123] dal dato archeologico deve quindi
tener conto della intersezione degli elementi spaziali e temporali della documenta-
zione, avendo sempre presente la complessità, non priva di ineliminabili vuoti, di
questo processo, quando dalla dimensione temporale, che ci garantisce sicuramen-
te la continuità ininterrotta di vita della città, vogliamo passare alla definizione
spaziale di essa, alla ricostruzione, in sequenze cronologiche, delle sue vicende e
della sua storia. Senza questa cosciente chiave di lettura, la mostra, con la sua con-
creta esemplificazione di oggetti, di stratificazione di situazioni reali, ma spazial-
mente limitate, rischia di presentarsi come una sommatoria di episodi di immagini
eclettiche accostate paratatticamente e non come quel codice aperto e trasmissibile,
quello strumento di conoscenza reale che essa vuole essere. La specificità della in-
formazione che offre l’evidenza archeologica può infatti arrivare a ricostruire un
quadro interpretativo che non abbia solo la funzione di integrare le lacune delle
fonti letterarie, ma che possa misurarsi con esse, arricchendole di significati e di
sfumature, calandole nella concretezza a volte contraddittoria del tessuto e della
vita materiale.
* Da Napoli Antica, Catalogo della mostra, Napoli 1985, pp. 122- 132.
166 Sezione 3 - Neapolis
Che la città antica coincida con il centro antico della città moderna, è un fatto
accertato: ce lo garantiscono il giro delle mura, parzialmente ricostruibile e l’im-
pianto urbano ancora riconoscibile nella regolare distribuzione degli isolati in que-
sta zona (fig. 1) 1. Questi due dati archeologici, mura e pianificazione, confrontati
con la struttura della zona in pendio verso il mare alla quale si sono sovrapposti, ci
documentano, col loro inserirsi in una situazione fisica, adattandovisi, ma anche, e
soprattutto modificandola, la struttura artificiale della urbanizzazione, nata con
precise finalità, nella prima metà del V sec. a.C., e frutto di una organizzazione so-
ciale maturata e consapevole, come è sempre la fondazione di una città, che ha
dietro di sé l’esperienza urbana coloniale dei Greci. Il suo legame col mare e con le
attività produttive ad esso connesse è evidenziato dal suo essere mal raccordata con
l’entroterra (e lo sarà fino ad età romana 2), pur costituendo lo sbocco obbligato al
mare per tutta la Campania settentrionale. Capri ed Ischia fanno parte del suo ter-
ritorio, e Ischia soprattutto, con la sua posizione geografica, tradizionalmente inse-
rita nelle rotte commerciali tirreniche e con le sue cave di argilla, indispensabili alle
produzioni ceramiche, dimostra di non essere solo una appendice territoriale, ma di
essere strettamente connessa al suo ciclo produttivo. La documentata presenza ar-
cheologica, nell’immediato entroterra 3, di necropoli collegate con piccole comuni-
tà, il cui materiale presenta caratteristiche diverse da quelle registrate per Napoli,
definisce abbastanza sicuramente la ristrettezza dei suoi confini territoriali.
Le evidenze archeologiche di cui ci possiamo servire per la prima fase della città
(oltre all’impianto urbano e alle mura), si riducono essenzialmente alle necropoli,
alle offerte cultuali di una stipe votiva e alla monetazione (fig. 1) 4. Tre nuclei di do-
cumentazione dei quali i primi due rivelatori di aspetti soprattutto ideologici, ma
carichi, se ben interpretati, di informazioni sociali e implicazioni politiche; ugual-
mente significativo politicamente, ma rivelatore soprattutto della posizione econo-
mica della città, è il dato numismatico. La decifrazione e la costruzione di significa-
ti degli oggetti che accompagnano le sepolture, in una parola la ricostruzione del
rituale funerario, con le sue peculiarità così intensamente espressive di atteggia-
1
Cfr. A. Mele, ‘La città greca’, in Napoli Antica, Napoli 1985, pp. 103 ss.; E. Greco, ’Problemi ur-
banistici’, in Napoli Antica, Napoli 1985, pp. 132 ss.
2
Cfr. W. Johannowsky, ‘L’organizzazione del territorio in età greca e romana’, in Napoli Antica,
Napoli 1985, pp. 333 ss.
3
Cfr. G. d’Henry, D. Giampaola, ‘Le necropoli dell’entroterra’, in Napoli Antica, in Napoli 1985,
pp. 300 ss. e le schede del catalogo nn. 86-106.
4
Cfr. M. R. Borriello, A. De Simone, ‘La stipe di S. Aniello’, in Napoli Antica, in Napoli 1985, pp.
159 ss. e la scheda del catalogo n. 26; M. Rosaria Borriello et alii, ‘Le necropoli urbane’, in Napoli
Antica, Napoli 1985, pp. 228 ss e le schede del catalogo nn. 36-75; R. Cantilena, ‘La monetazione’, in
Napoli Antica, Napoli 1985, pp.352 ss e scheda del catalogo n. 110
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 167
menti mentali e di messaggi ideologici, ci permettono di usare gli oggetti della cul-
tura materiale deposti nella tomba per ricostruire l’identità di una società data, o
per lo meno quella identità che essa sceglie di avere, evidenziando quella intersezio-
ne di linee diverse, reali e simboliche, che rendono complessa ed articolata questa
identità e la riagganciano sia a tradizioni etniche, sia, soprattutto alla struttura dei
ruoli sociali. Questo particolare approccio è però, nel concreto, fortemente limitato
dal fatto che, per la maggior parte, le necropoli note sono frutto di scavi antichi non
attenti a queste problematiche, affrettati e scarsamente documentati: la frequente
impossibilità di ricostruire l’omogeneità e la integrità dei corredi tombali ha provo-
cato una perdita di informazioni.
Le necropoli si estendono fuori del circuito delle mura, che la loro presenza con-
tribuisce a precisare, [124] occupando zone specifiche che in genere presentano una
continuità di uso dello stesso spazio, con sovrapposizioni cronologiche dal V sec.
a.C. fino all’età romana imperiale (fig. 1). In alcune zone invece 5, la posteriore so-
vrapposizione di strutture abitative alle tombe, denuncia una crescita urbana e un
ampliamento della città.
Come è ben evidenziato nei capitoli di questo stesso volume dedicati alle necro-
poli, per il V e IV sec. a.C., all’interno di una sostanziale omogeneità del rituale,
sembra di poter cogliere anche alcuni elementi di differenziazione nei nuclei di ne-
cropoli esplorati, come se alla distribuzione geografica di essi, corrispondesse una
articolazione della società più complessa di quanto ci sia dato intuire e di quanto,
per altro, ci dicono le fonti relative ai modi della fondazione di Neapolis; inoltre
cambiamenti più sostanziali si registrano nel passaggio dal V al IV sec. a.C.
Le tombe sono generalmente ad inumazione, con oggetti di corredo limitati nel
numero ma caricati di una precisa funzione connotativa, che tuttavia rimanda ge-
nericamente al mondo greco più che ripeterne fedelmente il rituale funerario che è
invece caratterizzato oltre che dalla incinerazione, dalla presenza costante della
lekythos. Nelle tombe di V sec. napoletane - a Castel Capuano soprattutto, dove
sono state individuate le più antiche - alla costante presenza di una anforetta acro-
ma, di fabbricazione locale, ma di forma risalente ad un tipo orientalizzante, sono
associati vasi per bere e per versare, oggetti cioè che si richiamano alla caratteristica
più tipicamente greca del simposio e al suo significato specifico, ma nel mutato am-
biente in cui si trovavano ad operare, le genti greche sembrano qui affidare alla
funzione allusiva del simposio, che l’insieme di questi oggetti suggerisce, una capa-
cità di affermazione di identità più forte di quella proposta dalla conservazione di
5
Cfr. Napoli Antica, Napoli 1985, pp. 230 ss., scheda del catalogo n. 36.
168 Sezione 3 - Neapolis
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 169
Fig. 1. Carta archeologica di Napoli (da I. Baldassarre et alii, Il teatro di Neapolis: scavo e recupero urbano,
Napoli 2010, tav. 2)
6
Cfr. scheda del catalogo n. 75.
170 Sezione 3 - Neapolis
tana, unisce alcuni elementi, come la frequenza di oggetti di metallo, il tipo di tomba
a tumulo, e la moneta come offerta funeraria, che pongono il problema interessan-
tissimo anche se difficilmente risolvibile allo stato attuale della documentazione,
della identità degli occupanti. Più chiari segni di specificità presenta invece la tomba
di via S. Tommaso d’Aquino 7, in cui il rito incineratorio, oltre alla presenza della
lekythos nel corredo, richiama chiaramente il rituale funerario cumano o della
Campania interna anteriore alla sannitizzazione. Nel IV sec. a.C. invece, le tombe,
oltre a denunciare la scomparsa della ceramica attica di importazione, nell’aumen-
to numerico, incoerente e ripetitivo degli oggetti, ci rimandano una impressione di
rottura del significato strettamente simbolico delle forme ceramiche associate al
morto, che ora sembrano caricarsi piuttosto di una connotazione economica di
accumulo di ricchezza.
La situazione di Napoli in questo periodo, tra la fine del V e il IV sec. a.C., il ruo-
lo che essa ha svolto all’interno delle complesse vicende di cui fu teatro la Campa-
nia, è una delle più interessanti della storia della città, fondamentale per compren-
derne gli sviluppi futuri, ma soprattutto per cogliere il nascere e il consolidarsi di
una particolare immagine di grecità, di cui essa diviene rappresentativa, immagine
che rimarrà viva ed operante, indipendente dalla composizione etnica e dai plurali-
smi della società reale su cui questa immagine si fonda. Il quadro storico è sintetiz-
zato chiaramente da Lepore 8: l’espansione delle tribù sabelliche dell’entroterra
culmina nel 423 e nel 421 con la occupazione di Capua e Cuma che sancisce il
controllo delle popolazioni italiche su tutta la Campania, eccetto che su Neapolis,
la quale conservò la sua indipendenza e non fu mai occupata militarmente; essa anzi
da una parte accolse i cumani fuggitivi, dall’altra, «più tardi» (la vaghezza del ter-
mine consente più di una interpretazione), accolse i Sanniti nel proprio corpo civi-
co. La identità di questo corpo civico è quella che pone più problemi all’archeologo,
nella carenza quasi totale di dati che non siano quelli forniti dalle necropoli; e, come
abbiamo detto, queste non ci permettono di individuare un dualismo culturale che
possa farsi [125] risalire ad un dualismo etnico, pur essendo l’ambito funerario
quello più legato alle identità culturali tradizionali. Sulla base dei dati in nostro
possesso possiamo anzi ipotizzare che il dualismo testimoniato dalle fonti letterarie
sia stato superato in una particolare formazione sociale che ha spostato le differen-
ze dal piano etnico a quello sociale ed economico e che, semmai, contrappone tutta
la comunità cittadina alle comunità installatesi nelle immediate vicinanze, come si
7
Cfr. scheda del catalogo n. 36.
8
Cfr. E. Lepore, ‘La città fra Campani e Romani’, in Napoli Antica, Napoli 1985, pp. 109 ss.
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 171
9
Cfr. schede del catalogo nn. 80-106.
172 Sezione 3 - Neapolis
10
Cfr. schede del catalogo nn. 22-25; 27-29.
11
Cfr. E. Greco, ’Problemi urbanistici’, in Napoli Antica, Napoli 1985, pp. 132 ss. e schede del ca-
talogo 22-25.
12
Cfr. scheda del catalogo n. 122.
13
Cfr. scheda del catalogo n. 74.
14
Cfr. scheda del catalogo n. 30.
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 173
15
Cfr. scheda del catalogo n. 26.
16
Cfr. schede del catalogo nn. 23-24.
17
Cfr. B. d’Agostino, ‘Per un progetto di archeologia urbana a Napoli’, in Archeologia urbana e
centro antico di Napoli, Atti del Convegno Napoli 27-29 Aprile 1983, Napoli 1984.
18
Cfr. E. Greco, ’Problemi urbanistici’, in Napoli Antica, Napoli 1985, pp. 132 ss.
174 Sezione 3 - Neapolis
Cfr. G. Pugliese Carratelli, ‘Il mondo mediterraneo e le origini di Napoli’, in Storia di Napoli I,
19
Napoli 1967.
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 175
20
Cfr. scheda del catalogo n. 26.
21
Cfr. schede del catalogo nn. 37-76.
22
Cfr. anche le osservazioni sui materiali delle necropoli, schede del catalogo nn. 37-69.
23
Cfr. schede del catalogo nn. 77- 84.
176 Sezione 3 - Neapolis
con piedi modanati e dipinti usati come sarcofagi è la tomba di S. Maria La Nova 24.
La decorazione pittorica e a stucco, quando è conservata, oltre a sottolineare gli
elementi e i risalti architettonici, riproduce gli oggetti usati nel rituale funerario -
candelieri, patere, il cratere, le situle, che simulano il metallo prezioso - mentre so-
pra la cornice sono dipinte le uova, le melagrane e l’uva che rimandano alle effettive
offerte rituali; in alcune tombe queste stesse offerte, riprodotte in terracotta, sono
state trovate appoggiate alle cornici di imposta della volta. Il corredo, nei rari casi
in cui è stato recuperato, è composto di balsamari e brocchette grezze, specchio e
aghi crinali come indicazione di sepoltura femminile, strigile per quella maschile,
talvolta statuette di terracotta. Un corredo cioè comune, per il valore ideologico
degli oggetti, a quello delle tombe ellenistiche più povere di Castel Capuano, dove
tuttavia il valore dell’offerta era ingigantito e rafforzato dalla moltiplicazione degli
stessi oggetti. Le tombe a camera affidano invece alla sobrietà e alla raffinatezza
decorativa, ed insieme alla monumentalità come segno distintivo, il messaggio del-
la loro identità.
La tipologia di queste tombe, isolate oppure organizzate in un insieme architet-
tonico, dotato di un accesso comune, rimanda per le prime alla Macedonia e per le
seconde genericamente ad Alessandria, mentre in ambiente magno-greco i con-
fronti sono rispettivamente con Taranto, a sua volta legata alla Macedonia, e con
Canosa, dalla quale Taranto si distingue proprio per la mancanza di tombe multi-
ple. Inoltre le tombe a due piani sembrano una particolare interpretazione di tipi
dell’Asia Minore. L’uso dei letti funebri come sarcofagi può essere elemento di di-
stinzione cronologica che solo lo studio specifico potrà affrontare, ma va tenuto
presente che esso potrebbe essere un ulteriore dato per individuare gli elementi
culturali confluiti a Napoli in questo periodo. Anche l’aspetto delle facciate che
almeno in un caso è valutabile 25 sembra rimandare al mondo orientale e cirenaico
mentre i capitelli figurati di parasta, all’interno, si richiamano ad Alessandria. Sem-
bra possibile, su questa base, parlare per Napoli di koinè di linguaggio figurativo,
nel senso in cui questo termine viene usato per definire la mobilità e la rapida circo-
lazione di schemi iconografici, tipologie monumentali, conquiste tecniche, nel pe-
riodo ellenistico, a patto che si tenga presente l’uso particolare ed il particolare si-
gnificato che di volta in volta assume questo linguaggio di koinè. Un riesame par-
ziale di alcune delle iscrizioni dipinte in queste tombe 26 ne ha documentato con si-
curezza gli usi successivi, avvalorando, almeno per una di esse, l’ipotesi che già si
24
Cfr. E. Gabrici, ‘Tomba ellenistica di S. Maria la Nuova in Napoli’, in RM 27, 1912
25
Cfr. schede del catalogo nn. 77-84.
26
Cfr. scheda del catalogo n. 85.
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 177
ricavava dai contesti, di una datazione iniziale alla fine del IV sec. a.C.; la tomba di
S. Maria la Nova era già stata collocata nel III sec. a.C. ma la datazione può essere
precisata e rialzata.
All’interno del III secolo probabilmente vanno datate le altre. L’errore di valuta-
zione cronologica nella prima edizione di questa tomba 27, sulla base di una confu-
sione di dati riferibili in parte alla fase di riuso, ha privato il panorama ellenistico di
Napoli di uno degli elementi di giudizio più qualificanti e significativi anche per
comprendere i modi e i tempi della diffusione dell’ellenismo in Campania. Lo studio
onomastico delle iscrizioni inoltre potrebbe portare a conclusioni di estremo inte-
resse per la identificazione dei gruppi familiari ai quali l’uso della tomba deve esse-
re stato riservato, e le notizie probabili sulla fine o sulla mutata comprensione del
gruppo ci fornirebbero utilissime informazioni sulla evoluzione delle strutture so-
ciali della città.
Oltre alla documentazione fornita dalle tombe, un probabile segno che il terzo
secolo a.C. ha rappresentato un momento di crescita per Napoli, ci è fornito dagli
scavi di Palazzo Corigliano 28, dove proprio alla fine del III sec. a.C. viene datata una
grossa opera di recupero [129] di una zona che, interna al circuito delle mura, ma
situata a ridosso di esse, ha probabilmente sfruttato nelle epoche precedenti, la sua
marginalità per l’impianto di attività artigianali, come dimostrano i profondi pozzi
scavati nel banco di pozzolana. A partire appunto dalla fine del III sec. l’impianto di
un collettore fognario in funzione di una strada che risulta allineata col prosegui-
mento di via del Sole, denuncia una ristrutturazione del sistema viario, probabil-
mente connesso con nuovi edifici pubblici che costituiscono l’inizio di un regolare
ampliamento della urbanizzazione su questo versante della città, nel quale le strut-
ture insediative anche con carattere privato, continueranno in seguito a sovrappor-
si fino ad età romana imperiale e oltre. Le basi materiali della prosperità della città,
evidenziate dalla monetazione, sono a fatica documentabili e vanno decifrate dai
segni quasi impercettibili che l’archeologia ci comunica, come questa ipotesi di
crescita urbana, la ricchezza delle tombe a camera prima citate, che non trovano
alcun riscontro nelle necropoli dell’entroterra; forse, quando saranno studiati com-
parativamente, altri dati saranno ricavabili dagli oggetti rinvenuti negli scavi recen-
temente eseguiti nella città, gli unici che abbiano conservato materiali affidabili. Un
ragionamento induttivo può essere fatto sia sulla base delle notizie delle fonti lette-
rarie che ci parlano di Neapolis come fornitrice di navi per Roma, sia presumendo
27
Cfr. A. Levi, ‘Camere sepolcrali scoperte in Napoli durante i lavori della direttissima Roma-Na-
poli’, in MonAnt 31, 1926
28
Cfr. schede del catalogo nn. 28-29.
178 Sezione 3 - Neapolis
29
Cfr. scheda del catalogo n. 114.
30
Cfr. J. P. Morel, ‘La ceramica campana A nell’economia della Campania’, in Napoli Antica, Na-
poli 1985, pp. 372 ss.
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 179
almeno per la classe dominante. È indubbio tuttavia che il suo successivo coinvol-
gimento nelle vicende politiche di Roma e il suo parteggiare per Mario, provocando
la vendetta di Silla, decretano la vera fine di ogni sua velleità economica e [130]
produttiva. È significativa però la punizione di Silla la quale oltre alla eliminazione
fisica di una classe precisa (si sa che i partigiani di Mario erano i mercatores), colpi-
sce alle radici le fonti stesse della produttività di Neapolis, nello stesso tempo rive-
landocele: la città infatti viene privata della flotta e del possesso di Pithecusa, la cui
argilla, tra l’altro, era alla base della produzione ceramica. I dati archeologici non
possono ormai che misurarsi con questa realtà politica rivelandoci in che modo,
concretamente, la città ha saputo o potuto reagire.
C’è infatti un aspetto della città che la crisi economica non riesce ad offuscare ed
è l’immagine che essa è riuscita ad imporre di se stessa come sintesi e modello di
città greca, nel suo stile di vita soprattutto, e forse più ancora che nella concretezza
dei suoi monumenti. Il fenomeno dal. quale si può partire per capire la particolare
fisionomia di Napoli nell’ultimo secolo della repubblica - già a partire dalla fine del
II sec. a.C.- è quello dello straordinario sviluppo delle lussuose ville sul litorale tra
Pizzofalcone e Mergellina 31 [11, fig. 1]. Una delle ragioni della scelta del luogo è la
amoenitas, che in senso letterale significa luogo di pace, di otium. Si tratta indubbia-
mente di una moda e le parole di Cicerone ci illustrano il fenomeno con estrema
vivacità. La fisionomia dei proprietari è abbastanza chiara: si tratta di elementi
della classe senatoria, di origine urbana, dalle possibilità economiche enormemente
dilatate dalle recenti conquiste, ma culturalmente impegnata a rivendicare il diritto
alle piacevolezze di un «privato» che, nella sua contrapposizione etica allo stile di
vita romano, si qualifica come ellenico e trova in Neapolis il vivente modello oltre
che i mezzi per realizzarsi. Le ville, anche se mal note nelle loro caratteristiche strut-
tive particolari, ci rimandano una idea di grandiosità e soprattutto sembrano voler
inglobare strutture tipiche di una città ellenistica, teatro [11, fig. 1.2-3], odeion,
portici e tempietti. La premessa a questa fioritura è costituita certamente dalla cura
che, negli ultimi secoli della repubblica era stata dedicata alla variabilità nel territo-
rio 32; nasce il problema se si debba leggere in questa crescita centrifuga delle ville -
nuclei autosufficienti, il più delle volte con Mausolei annessi - un fenomeno di de-
strutturazione della città vera e propria. La città sembra, invece, abbia ancora la
forza di ingrandirsi, a giudicare dalla casa tardo-repubblicana con pitture e pavi-
mento a mosaico, venuta in luce nel versante orientale in una zona non usata pri-
Cfr. W. Johannowsky, ‘L’organizzazione del territorio in età greca e romana’, in Napoli Antica,
32
ma 33; così come strutture in quasi reticolato degli inizi del II a.C. sono testimoniate
sul versante occidentale 34; sappiamo anche, dalle fonti, di una casa posseduta in
città da Silla: tutti dati che ci garantiscono di una notevole vitalità del nucleo urba-
no, sia pure in una mutata situazione e funzione della città. Le necropoli per questo
periodo ci danno scarse ma forse più significative testimonianze. È di questa epoca
infatti il reimpiego di alcune delle tombe ellenistiche, reimpiego che, per la evidente
continuità culturale dei nuovi occupanti e la povertà dei nuovi interventi, denuncia
un impoverimento che è spia della decadenza di tutta una classe, quella dei merca-
tores. In una delle tombe dei Cristallini 35 sono infatti state trovate - appartenenti
alla seconda fase - stele in marmo e rilievi in terracotta con scene di congedo che,
tipologicamente estranee alla tradizione italica e romana, trovano immediato ri-
scontro in forme di culto funerario di Delo e Rheneia, la cui accentuata povertà di
realizzazione non trova però paragoni.
È ormai sullo sfruttamento di una «grecità» nutrita di sopravvivenze reali e, più
ancora, di immaginario ideologizzato che si fonda il benessere della città, e le con-
seguenze negative della crisi reale delle strutture economiche vengono non solo
esorcizzate, ma sembrano, nel successivo periodo augusteo, subire addirittura un
capovolgimento.
L’età augustea, infatti, e genericamente il primo secolo d.C., registrano un fervo-
re costruttivo che sembra toccare anche gli edifici pubblici e che denuncia una vo-
lontà di monumentalizzazione che può forse essere ritenuta responsabile, proprio
per il suo carattere di programma unitario più che di intervento settoriale, dello
sconvolgimento, in alcune zone, del tessuto urbanistico originario. L’acquedotto
del Serino, opera augustea realizzata da numerosissimi centri campani, in città vie-
ne immediatamente sfruttato per l’impianto di terme pubbliche e [131] bagni an-
nessi a case private. La fondazione di giochi quadriennali, cosiddetti isolimpici 36 da
parte proprio di Augusto nel 2 d.C., che si rifanno chiaramente ad una delle più
classiche celebrazioni panelleniche della Grecia, sembra anch’essa inserirsi in una
politica di potenziamento dell’unica funzione riconosciuta che Neapolis sembra
ora destinata a svolgere, di avamposto e custode di grecità, atteggiamento da cui
non è esente una forma di omaggio riconoscente per la città che è stata anche di
Virgilio che qui ha composto la grande saga di Roma. Il mito di Napoli come città
dell’arte e della libertà continuerà per tutto il I sec. d.C.: lo si deduce dai significati-
33
Cfr. scheda del catalogo n. 34.
34
Cfr. schede del catalogo nn. 28-29.
35
Cfr. scheda del catalogo n. 85.
36
Cfr. scheda del catalogo n. 116.
10 - Napoli antica. Problemi archeologici 181
vi episodi di Claudio, che qui fece rappresentare per la prima volta una sua comme-
dia e di Nerone che volle esibirsi, anch’egli per la prima volta, nella città che egli
considerava già Grecia, mondo della libertà dove l’arte poteva trovare un pubblico
di esperti. Ancora in età flavia, il poeta Stazio, originario di Neapolis poteva vantar-
si della cultura greca che in essa aveva assorbito. Ma per il nostro discorso, che
vuole essere soprattutto di individuazione di una realtà urbana, che si esprime an-
che ma non solamente attraverso presenze architettoniche, materiali e pianificazio-
ni urbanistiche, questi episodi importano come spia del livello di sviluppo di civiltà
urbana ellenistica che essi documentano per Napoli, con tutto il corollario, sia pure
indiziario, che questa situazione comporta, nei consumi, nella evoluzione delle tec-
niche, in una parola nello stile di vita. Importa aver precisato questo, perché forse
con più chiarezza si può cogliere in tal modo, e attraverso gli interventi romani, non
tanto l’incontro di due culture, quanto il «farsi romana» della cultura greca, in uno
dei suoi punti di coagulazione.
All’età tiberiana si assegna il rifacimento del tempio dei Dioscuri sul foro 37, il cui
culto, tra i più antichi della città si carica ora di una evidente allusione al culto o
almeno all’ossequio per l’imperatore. Probabilmente interventi di questa epoca
sono da riconoscere anche nella zona del Foro sotto S. Lorenzo 38; augustei sono,
secondo Johannowsky 39, allo stato attuale, il teatro e l’odeion [11, fig. 3].
Il Cesareo legato ai giochi promossi da Augusto, anche se non è mai stato identi-
ficato 40, doveva far parte dello stesso programma costruttivo. Terme pubbliche
sono, forse, quelle della metà del I sec. d.C., di Carminiello ai Mannesi [11, fig. 2];
la plateia di età augustea che sigilla la zona delle mura a S. Aniello 41, è anch’essa in
funzione di costruzioni che, anche se non più riconoscibili, dovevano riferirsi a
complessi pubblici. Sembra cioè di intravedere in questa serie di episodi, se non
l’applicazione di un coerente programma, un disegno logico, che richiama appunto
il particolare modo dei Romani di intervenire su un tessuto ellenistico, stabilizzan-
do il quadro urbano mediante la monumentalizzazione, che, senza abolire la piani-
ficazione originaria, interrompe con blocchi monumentali coerenti, a volte franca-
mente enfatizzati, la fluida regolarità della organizzazione urbana classica.
Ma i dedicanti del tempio dei Dioscuri sono privati e liberti imperiali e ad ambi-
to classicistico urbano rimandano anche le decorazioni architettoniche, capitelli e
37
Cfr. scheda del catalogo n. 31.
38
Cfr. scheda del catalogo n. 30.
39
Cfr. scheda del catalogo n. 32.
40
Cfr. scheda del catalogo n. 116.
41
Cfr. scheda del catalogo n. 22. [La presenza di una plateia in questa posizione non emerge dall’e-
videnza dello scavo ndr].
182 Sezione 3 - Neapolis
basi, così come l’uso sapiente del reticolato, nelle murature di quest’epoca, rivela la
piena assimilazione di una tecnica che si considera introdotta da Roma 42, [11,
fig. 4]. La città sembra cioè impegnata in un rinnovamento che la scuote, ma i capi-
tali esterni impegnati negli abbellimenti non si qualificano come investimenti pro-
duttivi e servono solo a trasformarla in una città imperiale romana, una delle tante
in cui l’intervento promozionale del potere politico centrale è anche un modo di
appropriazione dialettica e di trasformazione.
La crisi economica e produttiva è soprattutto evidente, senza più alcuna masche-
ra, nei successivi secoli dell’impero: sono documentati restauri dopo i terremoti a
case e edifici pubblici; rifacimento delle mura con Valentiniano, in un momento di
pericolo per l’impero; la presenza e la penetrazione precoce di culti misterici, aiuta-
ti dalla promiscuità dei suoi abitanti, tra i quali nuclei di orientali devono averla
abitata con continuità, probabilmente portando avanti un loro piccolo cabotaggio
mercantile, testimoniato anche da rinvenimenti ceramici; ma soprattutto i dati ar-
cheologici documentano un rapido e precoce restringimento dell’area prima occu-
pata: già [132] dal I sec. a S. Sofia, dal III sec. nell’area del Policlinico, e dal IV sec.
sull’acropoli 43.
42
Cfr. M. Torelli, ‘Innovazioni nelle tecniche edilizie romane tra I sec. a.C. e il I sec. d.C.’, in Tecno-
logia, economia e società nel mondo romano, Como 1980, pp. 139 ss.
43
Cfr. schede del catalogo nn. 22, 27, 23-24.
183
11
* Da Neapolis, Atti del XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1985, Taranto 1986, pp.
222-231.
1
Per un elenco completo dei rinvenimenti e delle notizie sui ritrovamenti cfr. ora il catalogo della
mostra inauguratasi nell’autunno del 1985 nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Napoli
Antica, Napoli 1985 e la carta archeologica ivi pubblicata a pp. 462 ss.
2
Per una visione di insieme di tutta la questione cfr., da ultimo, E. Lepore in Napoli Antica, cit. pp.
122-132 con bibliografia ivi citata.
184 Sezione 3 - Neapolis
3
Cfr. Napoli Antica, cit. pp. 127-128 e 283-292, per le tombe a camera; pp. 159-170 per la stipe di
S. Aniello.
4
Cfr. A. Levi, Camere sepolcrali scoperte in Napoli, in MAL XXXI, 1926; O. Elia, L’ipogeo di Cai-
vano, in MAL XXXIV, 1931. Tuttavia si veda per una esatta ipotesi di datazione alla fine del IV sec.
a.C. W. Johannowsky in Hellenismus in Mittelitalien, Göttingen 1976, p. 278, nota 68 e, più chiara-
mente, p. 465.
11 - Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana 185
5
Oltre l’articolo di E. Lepore cit. nota 2, si veda anche J. P. Morel, in Napoli Antica cit. pp. 372 ss.
6
La distribuzione dei ritrovamenti, ora visualizzata nella carta archeologica annessa al volume
Napoli Antica cit., pp. 462 ss, permette di documentare con una certa concretezza questa osservazio-
ne: si osservi, per esempio, tav. VII, n. 75 (zona antistante la chiesa della Pietrasanta) e tav. VIII, n. 105
(complesso dei Gerolamini).
7
Cfr. J. D’Arms, Romans on the Bay of Naples, Cambridge (Mass.), 1970.
8
Cfr. R.T. Günther, Pausilypon the Imperial Villa near Naples, Oxford 1913 e Napoli Antica cit.,
pp. 348 ss.
186 Sezione 3 - Neapolis
delle ville, nuclei autosufficienti, il più delle volte con mausolei annessi, un fenome-
no di destrutturazione della città vera e propria. Ma la città, attenendosi ai pochi
dati archeologici emersi, sembra invece avere ancora la forza di ingrandirsi, occu-
pando spazi prima vuoti, a giudicare dalla casa tardo-repubblicana, con pitture e
pavimento a mosaico venuta in luce nel versante orientale, a Carminiello ai Manne-
si (fig. 2), in una zona non occupata [225] prima 9; o dalle pitture di notevole livello,
probabilmente appartenenti ad una casa privata, messe in luce nei saggi di palazzo
Corigliano, sul versante occidentale 10; sappiamo inoltre dalle fonti 11 di una casa
posseduta in città da P. Cornelius Sulla (forse nipote del dittatore), tutti dati che ci
garantiscono di una ancora notevole vitalità del nucleo urbano, sia pure in una
mutata situazione e funzione della città. È ormai sullo sfruttamento di una grecità
nutrita di sopravvivenze reali e, più ancora, di immaginario ideologizzato, che si
fonda il benessere di Neapolis, e le conseguenze negative della crisi reale delle strut-
ture economiche vengono non solo esorcizzate, ma sembrano, nel successivo perio-
do augusteo, subire addirittura un capovolgimento.
L’età augustea, infatti, e genericamente il I sec. d.C. registrano un fervore costrut-
tivo che sembra toccare anche e soprattutto gli edifici pubblici e che denuncia una
volontà di monumentalizzazione che può forse essere ritenuta responsabile, pro-
prio per il suo carattere di programma unitario più che di intervento settoriale,
dello sconvolgimento, in alcune zone, del tessuto urbanistico originario. Provvedi-
menti di largo respiro per accrescere il benessere della città sono la costruzione
dell’acquedotto del Serino, che permette l’impianto di bagni pubblici e privati, e di
bagni annessi a case private 12, e l’apertura della «crypta neapolitana» che, creando
una via di comunicazione con Pozzuoli, prima raggiungibile solo per mare, toglie
sempre più Napoli dall’isolamento 13. Ma l’impianto urbano originario, con la zona
pubblica che sfrutta l’effetto scenografico del leggero digradare del pendio verso il
mare, sembra rispettato anche dalla più recente edilizia 14. La fondazione dei giochi
[226] quadriennali, cosiddetti isolimpici, da parte proprio di Augusto, nel 2 d.C.,
9
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 213 ss.
10
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 175 ss. e I. Bragantini, in Palazzo Corigliano, tra archeologia e storia,
Napoli 1985 pp. 40 ss.
11
Cfr. J. D’Arms, Romans on the Bay of Naples, cit., p. 35.
12
Cfr. per es. Napoli Antica cit., p. 225, per il complesso termale di S. Chiara; ibid. p. 213 per le
terme associale a case private.
13
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 333 ss.
14
Particolarmente significativi i risultati di recenti saggi nell’area del sagrato della chiesa di S. Ma-
ria Maggiore (cfr. Napoli Antica cit., p. 417) che hanno documentato una continuità insediativa, con
successive ricostruzioni, dal III-II a.C. al I d.C., che rispetta la delimitazione dell’insula che si affaccia
sulla plateia E-O, odierna via dei Tribunali.
11 - Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana 187
giochi che si richiamano chiaramente ad una delle più classiche celebrazioni panel-
leniche della Grecia, sembra inserirsi in una politica di potenziamento dell’unica
funzione che Neapolis sembra ora destinata a svolgere, di avamposto e di custode
di grecità: atteggiamento da cui non è esente una forma di omaggio riconoscente per
la città che è stata anche di Virgilio, che qui ha composto la grande saga di Roma. Il
mito di Neapolis come città dell’arte e della libertà è documentato per tutto il I sec.
d.C. da significativi episodi, come quello di Claudio che qui fece rappresentare per
la prima volta una sua commedia; o quello di Nerone, che volle esibirsi, anch’egli
per la prima volta, nella città che egli considerava già Grecia, mondo della libertà,
dove l’arte poteva trovare un pubblico di esperti. Ancora in età flavia, il poeta Sta-
zio, originario di Neapolis, poteva vantarsi della cultura greca che in essa aveva
assorbito. E per il nostro discorso che vuole essere soprattutto di individuazione di
una realtà urbana che si esprime anche, ma non solamente, attraverso presenze ar-
chitettoniche e materiali e pianificazioni urbanistiche, questi episodi importano
come spia del livello di sviluppo di civiltà urbana ellenistica che essi documentano
per Napoli, con tutto il corollario, sia pure indiziario, che questa situazione com-
porta, nei consumi, nella evoluzione delle tecniche, in una parola, nello stile di vita;
ma ancor più questi episodi importano in quanto rivelatori del particolare rappor-
to che Roma ha instaurato con Neapolis, rapporto fatto soprattutto di una ammi-
razione che è il punto di partenza per l’appropriazione di un modello. Ci sembra
importante aver sottolineato tutto questo, perché, con queste premesse, è forse
possibile arrivare a valutare con più chiarezza la qualità degli interventi romani, là
dove essi sono più coerentemente individuabili, leggendo in essi non tanto l’esito
dell’incontro di due [227] culture, quanto il farsi romana della cultura greca in uno
dei suoi punti di coagulazione.
Interventi di età augustea sono da riconoscere nella zona dell’agorà, sotto S.
Lorenzo 15 (fig. 3); il Cesareo, legato ai giochi promossi da Augusto, anche se non è
mai stato identificato, doveva far parte dello stesso programma costruttivo e pro-
babilmente va ricercato nella stessa zona dell’agorà 16; all’età tiberiana si assegna il
rifacimento del tempio dei Dioscuri (figg. 4, 7.1), il cui culto, tra i più antichi della
città, si carica ora di una evidente allusione al culto o almeno all’ossequio dell’im-
peratore 17; augustei sono, secondo l’editore, nel loro primo impianto il teatro e
15
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 185 ss.
16
È stata proposta da Mario Napoli una localizzazione sotto la chiesa di S. Gregorio Armeno; cfr.
anche E. Greco, ‘L’impianto urbano di Neapolis greca: aspetti e problemi’, in Neapolis, Atti del XXV
Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1985, Taranto 1986, pp. 187 ss.
17
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 196 ss.
188 Sezione 3 - Neapolis
l’odeion 18; la platea di età augustea che sigilla la zona delle mura a S. Aniello, è
anch’essa in funzione di costruzioni che, anche se non più riconoscibili, dovevano
riferirsi a complessi pubblici 19. In tutti questi casi si tratta di interventi su zone da
sempre riservate a spazio pubblico o santuariale 20, di cui si rispetta e si prolunga la
funzione; e tuttavia sembra di intravvedere in questa serie di episodi, se non l’appli-
cazione di un coerente programma, un disegno logico che rivela appunto il partico-
lare modo dei Romani di intervenire su di un tessuto ellenistico, stabilizzando il
quadro urbano mediante la monumentalizzazione, che, senza alterare la pianifica-
zione originaria, interrompe con blocchi monumentali coerenti, a volte francamen-
te enfatizzati, la fluida regolarità della organizzazione urbana classica.
Il discorso diviene forse più chiaro esaminando in particolare l’unica zona dove
si possa, sia pure astrattamente, ricucire l’unità prospettica degli edifici, e che, no-
nostante le lacune, si presta ad una verifica di questa chiave di lettura: mi riferisco
al quartiere [228] dell’agorà (figg. 3, 5) che in età romana ingloba, a livello monu-
mentale, in un unico organismo, la zona superiore del tempio dei Dioscuri e quella
ancora sovrastante dei teatri. Situata baricentricamente rispetto al complesso urba-
no e distribuita su terrazze, essa doveva già presentarsi nella sistemazione ellenisti-
ca con un aspetto scenografico, e il suo impianto, rimasto immutato anche dopo
l’intervento romano, sembra particolarmente adatto ad evidenziare quel processo
di mutuo adattamento che, attraverso la mediazione di singoli episodi di arricchi-
mento delle strutture, resi possibili dalle nuove tecniche di età romana (per esempio
l’opus coementicium), finisce col trasformare alcuni aspetti della koiné architetto-
nica ellenistica, investendoli di significati ideologici profondamente diversi 21. Nella
zona dell’agorà inferiore (fig. 6), per quel poco che se ne può ipotizzare 22, il ricorso
alla soluzione del criptoportico, oltre a permettere un ingrandimento della terrazza
mediante elementi cellulari, a loro volta sfruttabili come ambienti, evidenzia la vo-
lontà di accentuazione delle dimensioni verticali, e, rendendo più corposo e monu-
mentale un elemento che già doveva far parte della agorà ellenistica (il cosiddetto
«dente») 23, tende a chiudere la piazza tra elementi di contorno tali da definirlo
18
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 209 ss.
19
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 139 ss.
20
Cfr. E. Greco, ‘L’impianto urbano di Neapolis greca: aspetti e problemi’, in Neapolis, Atti del
XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1985, Taranto 1986, pp. 187 ss.
21
Cfr. R. Martin, ‘Agorà et Forum’, in MEFRA 84, 1972, 2, pp. 903-933; G.A. Mansuelli, Ar-
chitettura e città, Bologna 1970; J. B. Ward Perkins, ‘The Criptoportico’, in Les Cryptoportiques dans
l’architecture romaine, Paris 1973, pp. 187 ss.
22
Si veda la descrizione particolareggiata delle strutture in Napoli Antica cit., pp. 185 ss.
23
Cfr. E. Greco, ‘L’impianto urbano di Neapolis greca: aspetti e problemi’, in Neapolis, Atti del
XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1985, Taranto 1986, pp. 187 ss.
11 - Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana 189
spazialmente e non solo nel senso della limitazione del perimetro. Degli altri edifici
visibili negli scavi sotto S. Lorenzo, verso il lato sud della piazza, non è ancora chia-
ro il significato, ma essi devono aver realizzato una articolazione di spazi comple-
mentari, ciascuno con una propria funzione, dei quali la piazza costituiva il connet-
tivo. La costruzione di un Macellum (fig. 5.D), sicuramente augusteo nella sua pri-
ma fase 24, al di sopra del [229] criptoportico 25 ha isolato una delle strutture dell’a-
gorà, e le sue funzioni, distaccandosi, vengono precisate ed enfatizzate. Si ricordi a
questo proposito, il significato destrutturante delle funzioni politiche dell’agorà,
che ha assunto l’impianto del Macellum a Morgantina 26
La vicenda storica del complesso dell’agorà inferiore non si esprime quindi nelle
variazioni di superficie, ma in una gerarchizzazione e monumentalizzazione che,
pur adattandosi al piano originario, ha in un certo modo visualizzato ed enfatizzato
le funzioni dei singoli edifici e complessi.
Sulla terrazza superiore il tempio dei Dioscuri (figg. 4, 7.1) sicuramente ricostru-
ito su di uno precedente, ma enormemente rialzato sul podio, lascia riconoscere il
tentativo di introdurre la nozione di asse monumentale, anche se non esattamente
geometrico e ricorda gli analoghi esperimenti attuati nell’agorà di Corinto, col
bema e nell’agorà di Atene con l’odeion di Agrippa. Va inoltre ricordato che il tem-
pio, datato ad età tiberiana, si è caricato, secondo una recente interpretazione 27, di
una evidente allusione all’ossequio verso l’imperatore, nel suo riallacciarsi, anche
nei moduli decorativi, all’omonimo tempio di Roma.
La prospettiva monumentale continua nel complesso dei due teatri, o meglio, del
teatro (Tav. L) e dell’odeion. Non sappiamo dove collocare il teatro greco, che sicu-
ramente esisteva; certamente non doveva trovarsi al disotto di quello tuttora par-
zialmente conservato, il quale, sulla base delle strutture, è augusteo nel suo impian-
to, ed ha le fondazioni a contatto con il vergine 28. Problematica resta invece la valu-
tazione dell’odeion che ingloba nelle sue strutture frammenti di muratura a blocchi.
Si tratta comunque di edifici costruiti [230] su sostruzioni, che la liberazione dalla
schiavitù dell’appoggio ad un pendio permette di inserire in un ordinamento urba-
nistico. Il teatro, in questa fase, è pensato insieme all’odeion e ne definisce l’assialità
24
L’edificio ha sicuramente due fasi ed è stato identificato come Macellum sulla base della sua strut-
tura a tholos: cfr. Napoli Antica cit., p. 190.
25
Cfr. Napoli Antica cit., p. 188.
26
Cfr. AJA 1957, pp. 151-155; 1958, pp.78-90; 1970, pp. 365-367; C. De Ruyt, Macellum, Lou-
vain La Neuve 1983, pp. 90 ss. Nel catalogo dei macella, in quest’ultimo volume, non è presente il
monumento di Napoli, in realtà tuttora inedito. Per notizie preliminari si veda Napoli Antica cit., p.
191.
27
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 196 ss.
28
Cfr. Napoli Antica cit., pp. 209 ss.
190 Sezione 3 - Neapolis
rispetto al Foro. È ben nota la frequenza della costruzione di edifici teatrali in età
augustea 29, non solo per mecenatismo o per abbellimento, ma anche come valido
strumento di vita sociale e urbana; va tenuto presente infatti che il teatro, antico
simbolo di democrazia, era il luogo dove si proclamava la fedeltà all’imperatore 30.
Ambedue gli edifici teatrali di Neapolis non sembrano affidare la loro preminen-
za all’affacciamento su qualche via importante, ma alla visibilità della loro mole e
quindi, dal punto di vista monumentale, si inseriscono perfettamente nella prospet-
tiva scenografica che sale dall’agorà inferiore alla terrazza del tempio dei Dioscuri
e infine con essi si conclude. La monumentalità dei due edifici deve anzi aver com-
portato una autentica rivoluzione, l’unica, mi pare, nella organizzazione stradale di
Napoli; sia il teatro che l’odeion infatti, interrompono, invadendola, la strada alle
loro spalle, attuale via Anticaglia, anche se non è del tutto sicuro che si tratti di una
strada antica. In questo punto, inoltre, il teatro si salda mediante archi che scaval-
cano l’attuale strada (fig. 7.2), con strutture situate nell’attuale convento di S. Patri-
zia 31; gli archi che scavalcano la strada sono più tardi, ma tuttavia non si giustifica-
no con la sola ipotesi di un’opera di rafforzamento del teatro poiché essi sono per-
corribili attraverso un camminamento interno che li definisce come «passaggio».
Riassumendo le osservazioni finora esposte, a partire dalla Napoli tardo elleni-
stica nella quale compiutamente sembra incarnarsi il modello di civiltà urbana
greca - quale si era venuto fissando [231] nel corso del IV e III sec. a.C. -, si è creduto
di poter individuare il particolare rapporto che Roma ha instaurato con Neapolis,
rapporto fatto soprattutto di ammirazione e imitazione; ma nella serie di interventi
promozionali che si qualificano come forme di omaggio e di ossequio alla graeca
urbs, si riesce a cogliere soprattutto il processo di una trasformazione che è anche
appropriazione dialettica, e che si esprime compiutamente nella zona dell’agorà.
Alla fine di questo processo la trasformazione dell’agorà in foro, con tutto il suo
peso ideologico, è completa: le visuali prospettiche che la distribuzione ortogonale
suddivideva in successivi e distinti episodi, sembrano ormai convergere in una pro-
spettiva in un certo modo modificata dalla monumentalizzazione che ferma, defini-
sce e chiude, e fornisce una prevalenza di immagini sincrone le quali, nella recipro-
cità intensa della loro integrazione, e pur nel rispetto del piano originario, inserisco-
no l’incombente presenza di una immagine di Stato.
29
G. Bejor, ‘L’edificio teatrale nella urbanizzazione augustea’, in Athenaeum 1970, pp. 126 ss.; E.
Frezouls, ‘Histoire architecturale du theatre romain’, in ANRW II, 12, 1, 1982, pp. 343 ss.
30
Cfr. D. Mertens - A. De Siena, ‘Metaponto: il teatro-ecclesiasterion’, in BdA 1982, pp. 1-60; F.
Kolb, Agora und Theater, Berlin 1981.
31
Cfr. Napoli Antica cit., p. 417.
11 - Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana 191
2 3
Fig. 1 - 1. La collina di Posillipo, con i resti della villa di P. Vedio Pollione (Rilievo Soprintendenza Archeologica).
2-3. Teatro della villa di P. Vedio Pollione, divenuta poi villa imperiale di Augusto (Foto di Mimmo Jodice da
Neapolis 1994)
192 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 2 - Parte di un’insula del I sec. d.C., con piccolo impianto termale, rinvenuta a seguito della distruzione
bellica della Chiesa di S. Maria del Carmine ai Mannesi: 1. Pianta del piano inferiore: 1-8. Ambienti di servizio;
12-13. Mitreo; 15-17. Ambienti termali; 18. Ambiente con mosaico di età repubblicana; 19. Portico; 20.
‘Cardine’ (Rilievo Soprintendenza Archeologica); 2. L’edificio nel contesto urbano.
11 - Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana 193
Fig. 3 - Il centro della città antica: i teatri, il ‘tempio dei Dioscuri’ (chiesa di S. Paolo Maggiore) e Foro (basilica di
S. Lorenzo Maggiore) - (elaborazione grafica di Calcagno Architetti Associati - SABAP-NA)
194 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 5 - Proposta di ricostruzione del forum duplex di Neapolis secondo E. Greco (Atti Taranto 1985, p. 210
fig. 4) (dis. arch. L. Scarpa): A. Odeion, B. Teatro, C. Tempio dei Dioscuri, D. Macellum, 1. Plateia superiore, 2.
Plateia inferiore.
196 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 6 - Complesso sotto S. Lorenzo: 1. Sequenza di ambienti del criptoportico del lato meridionale (Foto di
Mimmo Jodice da Neapolis 1994); 2. Muro di terrazzamento di età greca a sostegno del terrapieno in cui si
impianta il macellum romano (Foto Riccardo Giordano - SABAP-NA).
11 - Osservazioni sull’urbanistica di Neapolis in età romana 197
1 2
Fig. 7 - 1. Il tempio dei Dioscuri. Disegno di Francisco De Hollanda 1540. Madrid, Escorial; 2. Via Anticaglia:
archi in funzione di contrafforti del teatro (Foto di Mimmo Jodice da Neapolis 1994).
199
12
3
Esito concreto e particolarmente felice di questa attività è stato il Progetto di intervento nella città
di Napoli, elaborato dallo Studio Einaudi, e promosso dall’Università degli Studi di Napoli, “l’Orien-
tale” e dalla Soprintendenza di Collegamento; presentato alle autorità nel 1989, esso era stato prece-
duto da una articolata ipotesi di intervento già nel 1984, appassionatamente e autorevolmente illu-
strata dall’autore R. Einaudi nel Convegno di Taranto del 1985, dedicato appunto a Napoli: cfr. R.
Einaudi, ‘Una ipotesi progettuale sul centro antico di Napoli’, in Atti Taranto 1985 (1986), pp. 165-
175, col dibattito che ne era seguito. Il progetto recepiva, innovandoli e rielaborandoli, i molti studi su
Napoli e i ricchi dati elaborati sia in Pane-Di Stefano (cfr. Centro antico di Napoli) che nel progetto
ICOMOS del 1971: confronta l’articolo di R. Ferulano 2010.
4
Un recentissimo volumetto sulla funzionalizzazione del centro antico di Napoli ripropone l’ottica
monumentalista e sembra ignorare tutte le discussioni di cui si è parlato, oltre alla positività delle ul-
time scelte fatte e in corso di attuazione: R. De Fusco, Il centro antico come cittadella degli studi, Na-
poli 2009.
5
I lavori in corso hanno messo in luce straordinari frammenti di murature antiche inserite nei muri
moderni. Per una illustrazione di queste eccezionali novità cfr. i contributi di F. Longobardo e A. Lupia
in Teatro di Neapolis.
12 - La riscoperta del teatro di Napoli 201
6
Si vedano i molti interventi nel volume citato a nota 1, e soprattutto l’articolo di B. d’Agostino,
‘Per un progetto di archeologia urbana a Napoli’, in Archeologia urbana. Convegno, pp. 121 ss.
7
Cfr. nota 3.
8
R. Einaudi, Proposta per la sistemazione del complesso monumentale del teatro antico di Napoli,
Roma 1989, (testo manoscritto). Per la storia della acquisizione del progetto, contemporaneamente
all’inserimento di Napoli nella World Heritage List, cfr. Ferulano 2010.
9
Si veda anche l’articolo di Giampaola 2002, che ha costituito un invito e una sollecitazione per il
Comune ad avviare alcune politiche urbanistiche, tra le quali anche l’intervento al teatro.
10
Il progetto ha visto la proficua e intensa collaborazione degli archeologi dall’Università degli
Studi di Napoli, “l’Orientale”, della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pom-
pei, della Soprintendenza di Collegamento, dell’architetto rilevatore E. Mitchell (Studio Tecnico
Mitchell), dell’architetto progettista R. Einaudi (Studio Einaudi).
202 Sezione 3 - Neapolis
chezza di dati 11. Nella fase del progetto preliminare sono stati effettuati due tipi di
rilievo, uno a scala edilizia e uno a scala archeologica: il primo per definire il più
esattamente possibile il contenitore edilizio della possibile struttura del teatro che
occupava sei degli isolati antichi per strigas, interrotti dal taglio cinquecentesco di
vico Cinquesanti; il secondo per segnalare e documentare ogni frammento di mura-
tura o vano o ambulacro ritenuto pertinente alla struttura antica 12. La documenta-
zione particolare, ancora slegata, per frammenti, delle evidenze archeologiche, cor-
redata da una serie di rilievi (pianta e sezione) e da una scheda descrittiva che iden-
tifica anche la funzione originaria dell’ambiente o della struttura presa in esame, fa
riferimento ai numeri riportati su di una pianta generale dell’isolato distinti secon-
do i tre livelli principali: sotterraneo per le sostruzioni, piano terra, piano rialzato.
Questo primo documento ha costituito una concreta base per orientare le deci-
sioni di intervento nel complesso, al fine di ampliarne la conoscenza o favorirne
l’accesso o per eseguire più approfondite indagini di scavo finalizzate a risolvere
dubbi di cronologia e di funzionalità: insieme ai nuovi trovamenti e alle più esatte
precisazioni cronologiche e strutturali, le presenze individuate costituiranno i fram-
menti da ricucire idealmente in vista del discorso archeologico conclusivo che, dopo
gli approfondimenti conoscitivi specifici, proporrà una ipotesi ricostruttiva del mo-
numento antico, una cronologia iniziale e una storia delle sue vicende, collegando
sempre queste vicende in rapporto costante con la vita della città nel suo complesso,
anzi tentando di leggere, nella evoluzione di questo rapporto, una storia delle mo-
dificazioni della struttura urbana.
[15] Il progetto pur prevedendo un calibrato intervento su alcune superfetazioni
non altera la struttura attuale dell’isolato proponendo una legittima riconversione
d’uso di parte delle strutture recuperate a sede di spettacoli o di avvenimenti cultu-
rali e insieme un reinserimento della zona nella memoria storica della città. Come è
noto il teatro antico di Napoli, ma possiamo ormai dire il teatro romano di Napoli,
lasciando aperto il problema della localizzazione del teatro greco che pure doveva
esistere 13, fu per molto tempo noto solo sulla base delle fonti letterarie ma, sulla
base di quelle stesse fonti antiche, fu a lungo oggetto di ricerche erudite. Il ricordo
11
Cfr. negli articoli di Einaudi-Zeli 2010, e nei contributi di F. Longobardo e A. Lupia, in Teatro di
Neapolis, la storia degli interventi e i risultati raggiunti.
12
E. Mitchell - I. Baldassarre, Studio finalizzato alla redazione del piano integrato per la valoriz-
zazione del centro storico di Napoli, 1984-85 (testo manoscritto).
13
Come è noto, l’ipotesi più probabile è quella che riconosce nel vicino odeion, i cui resti rivelano
tecniche costruttive non romane, anche se trasformate e completate in età romana, il possibile teatro
di età greca, ma il problema va approfondito. Sembra assodato che i resti del teatro, oggetto dell’at-
tuale esame - sicuramente di età Flavia - non conservino tracce di un edificio precedente.
12 - La riscoperta del teatro di Napoli 203
Tacito (Annales, XV,34) e Svetonio (Nero, 20) ricordano la presenza nel teatro di Nerone; sempre
14
Svetonio (Claudius, 11), cita la volontà di Claudio di presentarsi al giudizio popolare nel teatro di
Napoli, considerata “Greca urbs”; Stazio (Silvae, IV, 8, 52-53) è il primo che parla della mole e quindi
della visibilità del teatro confermandone l’ubicazione come coronamento alla zona del Foro. Di un
teatro napoletano parlano anche Seneca (Ep. 76, 3-4) e Plutarco (Brutus, 21,3).
15
Cfr. Adamo Muscettola 1984, pp. 2-10; Eadem, 1988-89, pp. 235-244.
204 Sezione 3 - Neapolis
16
Cfr. per i due rilievi quattrocenteschi, Adamo Muscettola, citata alla nota precedente.
17
Cfr. Capasso 1905, pp. 82-90, le osservazioni dubitative sul riconoscimento sono nella nota a p.
189.
18
Un elenco completo delle fonti sulla individuazione e scoperta del teatro di Napoli è nell’articolo
di Johannowsky 1985.
19
Individuata da B. D’Agostino è stata studiata in Adamo Muscettola 1988-89; ipotesi contrarie
alla identificazione col teatro di Napoli, soprattutto per la non coincidenza del numero degli ambula-
cri, più numerosi nella finzione pittorica, si trovano in Di Mauro 1989, pp. 145 ss.
12 - La riscoperta del teatro di Napoli 205
Un primo concreto intervento sulle strutture del teatro si ebbe solo nella seconda
metà dell’Ottocento (1859), con il ritrovamento, anche questo casuale, da parte di
G. Rega, di resti durante lo sterro per la fognatura a via S. Paolo e con la pubblica-
zione di una pianta che rivelava il probabile andamento della cavea del teatro anti-
co (fig. 3.2). Gli scavi successivi condotti tra il 1880 e il 1891 (fig. 3.1), portarono
alla messa in luce del settore occidentale della media cavea, di parte dell’orchestra e
dell’edificio scenico 20. L’entusiasmo per la scoperta e la speranza di poter prosegui-
re i lavori, documentate nello scambio epistolare tra gli archeologi napoletani e le
autorità di Roma, dovevano però essere frustrati dalla decisione definitiva (1891)
di non proseguire l’indagine, restituendo al proprietario una parte del giardino nel
quale era stato messo in luce un settore della cavea, che, abbandonata, divenne pre-
sto ricettacolo di discariche (fig. 3.3) 21.
20
Le notizie sui ritrovamenti, connessi con l’intervento per le fognature, sono in Rega 1859; i risul-
tati degli scavi successivi sono registrati in De Petra 1881; Ruggiero 1888; Castaldo 1910; Magaldi
1932-1933.
21
L’edizione dei documenti conservati nell’Archivio di Stato di Roma è stata curata da E. Romeo,
(Romeo 1999) e comprende i diari di scavo, una pianta ipoteticamente ricostruttiva del teatro con la
individuazione dei punti in cui i saggi si sono approfonditi, e il disegno per il reintegro del giardino
privato in cui i saggi sono stati eseguiti.
206 Sezione 3 - Neapolis
2 3
Fig. 3 - 1. Rilievo dell’area degli scavi 1881-1891, eseguita nel 1892 da L. Fulvio, con la individuazione dei saggi
di scavo (Archivio Centrale di Stato di Roma, sez. AA. BB. AA.); 2. G. Rega, Pianta del teatro antico di Napoli
redatta nel 1859 (Archivio Centrale di Stato di Roma, sez. AA. BB. AA; 3. Sistemazione del giardino privato,
dopo i saggi di fine ottocento che hanno rimesso in luce la parte occidentale della cavea (Archivio Centrale di
Stato di Roma, sez. AA. BB. AA.).
12 - La riscoperta del teatro di Napoli 207
Fig. 4 - Pianta dei resti del Teatro Antico (da Russo 1960).
Una revisione di tutti i dati noti, aggiornata, ha portato negli anni cinquanta alla
elaborazione, da parte di W. Johannowsky, di una pianta 22 (fig. 4), nella quale [18]
tutta la serie di strutture indagate o solo conosciute riferibili al monumento antico,
è registrata ma anche sintetizzata su di un unico piano. In questa pianta quindi, al
22
La pianta del 1859 del Rega, integrata da nuove indicazioni fornite da W. Johannowsky, è pub-
blicata da M. Napoli (Napoli 1959); cfr. anche W. Johannowsky, ‘Problemi archeologici napoletani,
con particolare riferimento alle zone interessate dal risanamento’, in Russo 1960; cfr. anche Johan-
nowsky 1985.
208 Sezione 3 - Neapolis
23
Cfr. i contributi di F. Longobardo e A. Lupia, in Teatro di Neapolis.
24
Cfr. nota 13 sul problema tuttora discusso della individuazione del teatro greco.
25
Il problema è affrontato anche in Johannowsky 1985, dove l’autore si augura che approfondi-
menti della ricerca forniscano dati per documentare la situazione del teatro in età augustea.
26
Cfr. Greco 1986, pp. 187-220; Baldassarre 1986, pp. 221-232.
12 - La riscoperta del teatro di Napoli 209
è il momento finale della sua storia, il disconoscimento del monumento come punto
notevole della struttura urbana, di una struttura che pure mantiene inalterati molti
elementi di continuità, planimetrica se non di funzione. Il fatto altrettanto impor-
tante che il monumento sia stato obliterato, dissolto anche come matrice di costru-
zioni posteriori, tanto da diventare illeggibile senza una paziente opera di ricucitu-
ra, è anch’esso significativo di una trasformazione profonda, testimonianza di un
momento di interruzione della memoria storica in questa zona, se non anche della
tematica che il teatro rappresenta.
La “riscoperta” del teatro di Napoli vuole quindi in definitiva aiutare ad identi-
ficare possibili codici di lettura del tessuto urbano che, pur partendo dall’esame di
un singolo monumento, ne documentino le trasformazioni subite nei secoli, inda-
gate come spie delle vicende di tutta la città antica (Tav. L).
Abbreviazioni supplementari
Adamo Muscettola 1984 = S. Adamo Muscettola, ‘Napoli e l’immaginario antico tra ’600 e
’800’, in Prospettiva 39, 1984, pp. 1-10.
Archeologia urbana. Convegno = Archeologia urbana e centro antico di Napoli, Atti del
Convegno 1983, Napoli 1984.
Castaldo 1910 = V. Castaldo, ‘Gli antichi teatri greci di Napoli’, in AAP 40, 1910, pp. 1-34.
Centro antico di Napoli = R. Pane (a cura di), Il centro antico di Napoli, Napoli 1971.
Di Mauro 1989 = L. Di Mauro, ‘L’immagine di Napoli tra XVII e XVIII secolo’, in N. Spino-
sa - L. Di Mauro (a cura di), Vedute napoletane del settecento, Napoli 1989, pp. 145 ss.
Einaudi - Zeli 2010 = R. Einaudi - F. Zeli, ‘Il recupero del teatro di Neapolis - Progetto ed
esecuzione’, in Teatro di Neapolis, pp. 157-166.
210 Sezione 3 - Neapolis
Ferulano 2010 = G. Ferulano, ‘Tutela della stratificazione edilizia nella disciplina urbanisti-
ca dell’area dei teatri’, in Teatro di Neapolis, pp. 151-156.
Giampaola 2002 = D. Giampaola, ‘Napoli archeologia e città, in A. Ricci (a cura di), Archeo-
logia e urbanistica, Firenze 2002.
Greco 1986 = E. Greco, ‘L’impianto urbano di “Neapolis” greca’, in Atti Taranto 1985
[1986], pp. 187-219.
Magaldi 1932-1933 = E. Magaldi, ‘Il teatro antico di Napoli’, in Dioniso 3, 1932-1933, pp.
63-78
Ruggiero 1888 = M. Ruggiero, Documenti degli scavi di antichità nelle Province di terrafer-
ma dell’antico Regno di Napoli dal 1743 al 1876, Napoli 1888.
Russo 1960 = G. Russo, La città di Napoli dalle origini al 1860, I, Napoli 1960.
13
* Da A. Rouveret (a cura di), L’Italie méridionale et les premières experiences de la peinture hel-
lenistique, Actes de la Table ronde organisée par l’Ecole francaise de Rome (Rome, 18 fevrier 1994),
Paris-Rome 1998, pp. 95-159.
1
Si tratta di 17 tombe a tutt’oggi esplorate e parzialmente documentate; per un elenco completo cfr.
A. Pontrandolfo-G. Vecchio, in Napoli antica 1985, p. 283-293, con bibliografia precedente; in parti-
colare, per le tombe qui riesaminate: De Petra 1898 (tombe di via dei Cristallini); Ruggiero 1888
(tombe di vico Traetta); Gabrici 1912 (tombe di santa Maria La Nova); Levi 1926 (tomba di via Foria,
con riepilogo di tutte le altre tombe ipogee rinvenute a Napoli).
2
Cfr. Napoli antica 1985, p. 287-288, n. 77; Gabrici 1912, p. 156.
212 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 1 - Distribuzione topografica delle necropoli napoletane (da Neapolis 1986, p. 256).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 213
Fig. 2 - Situazione topografica del complesso di tombe di via dei Cristallini a destra (B) e di Vico Traetta a sinistra
(A).
3
Cfr. Relazione 1967; Relazione 1972.
214 Sezione 3 - Neapolis
4
Cfr. A. Pontrandolfo, in Neapolis 1986, p. 255-271, con pianta di distribuzione delle necropoli a
p. 256, qui riprodotta a fig. 1.
5
L’ipotesi è di W. Johannowsky, in Napoli antica 1985, p. 333 ss.
6
Cfr. nota 4.
7
Cfr. in Napoli antica 1985, i contributi di I. Baldassarre (p. 122-132); A. Pontrandolfo-G. Vecchio
(p. 283-293); E. Miranda (p. 298-299); in Neapolis 1986, i contributi di I. Baldassarre (p. 221-232);
A. Pontrandolfo (p. 255-272); J. P. Morel (p. 305-356); E. Miranda (p. 359).
8
De Petra 1898, pubblica gli ipogei di via dei Cristallini con una datazione alla prima età imperiale;
Levi 1926, pubblica le tombe rinvenute durante i lavori per la metropolitana e nello stesso articolo
accenna a tutte quelle già note, datandole all’età augustea; solo Gabrici (Gabrici 1912, p. 161), per la
tomba di S. Maria La Nova, propone una datazione tra il III e il II sec. a. C. La tarda cronologia è pas-
sata nella letteratura archeologica nonostante alcuni pareri discordi (cfr. W. Johannowsky, in Hel-
lenismus in Mittelitalien, p. 280, nota 77; Rouveret-Pontrandolfo 1983, p. 128, nota 108).
9
A parte quelli non più ricontrollabili, restano di difficile accesso anche gli altri monumenti, situati
nelle cantine di case private. Ringrazio il proprietario del palazzo di via dei Cristallini, avv. P.Martu-
scelli, per la gentilezza e la liberalità dimostrata nel corso delle mie visite.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 215
È costituito da quattro sepolcri contigui (A-D, figg. 3-5.1), scavati nel tufo, cia-
scuno con ingresso indipendente, e non costruiti unitariamente come rivelano alcu-
ni particolari, il che è immediatamente in contrasto con l’ipotesi della Elia 11, secon-
do la quale essi erano organizzati attorno ad un ipotetico vestibolo comune.
Ognuno di essi è costituito da due camere sovrapposte ma non in asse tra loro,
di cui quella superiore ha il pavimento quasi completamente occupato dalla scala
di accesso alla stanza inferiore, la vera camera funeraria (fig. 3). L’aspetto esterno è
solo apparentemente quello di una facciata monumentale continua per i quattro
sepolcri, scandita da colonne, ricavate nello stesso banco di tufo, che inquadrano le
aperture (fig. 5. 1-2); in realtà le differenze del livello di spiccato delle colonne, oltre
che le diverse sporgenze delle singole facciate, ottenute regolarizzando la fronte del
banco di tufo, segnalano una sequenza costruttiva, anche se questa non è immedia-
tamente rivelatrice di sequenza cronologica (fig. 4).
L’ipogeo C è il meglio conservato, nella totalità del suo apparato strutturale e
decorativo, e il nostro esame comincerà proprio da questo (figg. 5.1, 6-7); è il più
vasto e sembra precedere gli altri che lo affiancano ma la situazione è chiaramente
documentata solo alla sua destra, nella tomba D 12. Presenta una alta porta di ingres-
so di tipo dorico, (largh. 1,71; altezza 3,37), coronata da un architrave modanato,
le cui modanature scendono lungo gli stipiti, parzialmente costruiti in blocchi; la
porta è inquadrata da due colonne scanalate su base ionico-attica, addossate, che
non nascono dal livello della soglia ma poggiano su di un alto dado parallelepipedo
col bordo superiore a sua volta modanato, il tutto ricavato abbassando la faccia del
banco di tufo o ricavando in essa lo spazio per l’inserimento di muratura a blocchi,
10
Levi 1926, fig. 1-14 e tav. a colori; Gabrici 1912, fig. 1-5; tutti due gli autori forniscono disegni
dello stato originario delle pitture.
11
Elia 1931, c. 420-492, in particolare c. 458.
12
L’ipotesi è suggerita dal fatto che la facciata della tomba C è arretrata rispetto a quella della tom-
ba D.
216 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 3 - Le quattro tombe del complesso di via dei Cristallini (A-D): pianta degli ambienti superiori e inferiori
(ril. S.T.M.).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 217
Fig. 4 - Le quattro tombe del complesso di via dei Cristallini (A-D): sezione trasversale degli ambienti inferiori
(ril. S.T.M.).
come avviene nella parte superiore degli stipiti della porta che sostengono i due
lunghi blocchi dell’architrave.
La parte superiore è andata distrutta, ma alcune tracce permettono di ipotizzare
una conclusione a timpano (fig. 6). Questo ingresso monumentale dà accesso ad un
ambiente allo stesso livello [105] che si presenta come un vestibolo dedicato al cul-
to dei morti, aperto in qualche modo verso l’esterno, attraverso l’alta porta appa-
rentemente senza chiusura (figg. 5.3; 7). Ha una copertura che imita, ricavandola
nel tufo, quella a doppio spiovente, con le travi di sostegno a rilievo appoggiate ad
una cornice modanata (Tavv. Q.1, R), rifinita in basso da una decorazione a dentel-
li e da una fascia a rilievo che girano sulle pareti e intorno ai triangoli della parete di
fondo e di quella di ingresso, al centro dei quali è un incasso circolare, con tracce di
una decorazione a rilievo. Le membrature architettoniche dovevano essere eviden-
ziate dal colore, la fascia a rilievo conserva tracce di una decorazione a girali 13.
Sulle due pareti laterali è ancora visibile (a destra) una decorazione pittorica costi-
tuita da una corposa corona centrale tra due corone di bende rosse e blu (Tav. Q.5).
A sottolineare la funzione di questa stanza superiore, sempre nel tufo, sono rica-
vati lungo le pareti due banconi laterali col bordo superiore modanato e due, so-
vrapposti, sulla parete di fondo; sulla faccia di quello anteriore è scolpito in basso-
rilievo il profilo di una trapeza (fig. 5.3). Si tratta di un particolare significativo che
13
È visibile, nella fotografia, la traccia di colore lungo il triangolo frontonale.
218 Sezione 3 - Neapolis
2 3
Fig. 5 - Complesso di via dei Cristallini (A-D): 1. le facciate (ril. S.T.M.). 2. Uno scorcio delle facciate
monumentali delle quattro tombe; 3. Tomba C: particolare dell’ambiente superiore, con la trapeza scolpita sul
bancone di fondo.
Fig. 6 - Complesso di via dei Cristallini, Tomba C: particolare della facciata (ril. S.T.M.).
220 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 7 - Complesso di via dei Cristallini, Tomba C.: sezione trasversale dell’ambiente superiore e inferiore
(ril. S.T.M.)
14
È stato ipotizzato che una copertura della scala mediante assi di legno rendesse praticabile anche
questa stanza, ma la struttura architettonica della tomba, almeno nel suo primo impianto, sembra
escludere questa sistemazione
15
Della porta, non conservata, è notizia in De Petra 1898, c. 225-226.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 221
Fig. 8 - Complesso di via dei Cristallini, Tomba C: 1. Particolare delle decorazioni dei piedi delle klinai;
2. Particolare del piede del candelabro dipinto a sinistra della porta; 3. Particolare del piede del candelabro
dipinto a destra della porta.
foglie di acanto e con un abaco sagomato (Tav. O.1). I capitelli angolari si differen-
ziano dagli altri, sostituendo alla testina femminile centrale una palmetta che più
facilmente e con più coerenza geometrica può essere divisa a metà per seguire la
piegatura delle paraste (Tav. N.1); sopra i capitelli l’architrave a due fasce è con-
chiuso in alto da una decorazione di ovoli e astragali, che, per la mancanza del fre-
gio, si viene a trovare immediatamente sotto una fila di dentelli di forma quasi
quadrata che si innestano nella modanatura sporgente della cornice superiore (Tav.
O.1). La sagomatura a rilievo di una porta dorica inquadra all’interno l’arco di in-
gresso ed è coronata a sua volta da un architrave modanato, con dentelli sotto una
gola dritta, leggermente più stretti e allungati di quelli sulle pareti (Tav. N.1).
Lungo le pareti erano disposti i sarcofagi anch’essi scavati nel tufo, tre sulle pa-
reti lunghe e due su quella di fondo (fig. 7 e Tav. M.1); vuoti all’interno e coperti da
222 Sezione 3 - Neapolis
lastre di terracotta 16, sono all’esterno sagomati in forma di kline, scolpita e dipinta,
con materassi e doppio cuscino a sezione triangolare. Gli articolati piedi dei letti
(fig. 8.1 e Tavv. O. 2 - P.1) sono dipinti con palmette in giallo e rosso; un riquadro
incorniciato di giallo che contiene a sua volta una serie di quadratini rossi e azzurri,
secondo una divisione diagonale in cui l’azzurro finge l’ombra e crea l’illusione di
gemme o incrostazioni a rilievo, sottolinea il punto di incastro delle sbarre del letto;
un capitello eolico, collegato all’abaco da un motivo a spirale, conchiude in alto la
decorazione (giallo con bottone rosso, sorgente da una palmetta rossa centrale).
Rosse e gialle sembrano le sbarre dei letti, azzurri i materassi e i doppi cuscini, con
fascia gialla mediana e spigolo sottolineato da una striscia di quadratini rossi e
bianchi; azzurro è tutto il campo sotto le klinai.
Tra le paraste, sui due lati lunghi e di fianco alla porta, si dispongono eleganti
festoni di corone di alloro, del tipo rigido, strette ad intervalli da fasce dorate, deco-
rate a squame, dai quali pendono infule (Tavv. O.1; P.2); i festoni, due per ogni
campo, sono resi con delicate variazioni del colore verde; hanno le estremità nasco-
ste dietro i capitelli e, al centro del campo, dietro l’architrave sporgente, aumentan-
do l’impressione di spazialità già evidenziata dal rilievo delle paraste e dalla man-
canza di qualsiasi partizione orizzontale delle pareti [109] completamente bianche.
Sulla parete di fondo, al posto dei festoni tra le paraste, le infule formano semicerchi
sostenuti da ramoscelli arcuati di mirto, appesi a lunghi chiodi resi in prospettiva,
con l’ombra riportata (Tav. M.1).
Questa parete, di cui è già sottolineata la maggiore importanza con l’inserimen-
to di corone particolari, è ulteriormente valorizzata dalla straordinaria decorazio-
ne della lunetta. È qui rappresentato infatti un Gorgoneion entro egida, scolpito nel
tufo e dipinto (Tav. M.2): appartiene al tipo di «Gorgone bella», variante umaniz-
zata della Medusa. Perfettamente frontale, ha il volto dai larghi piani sostenuti, la
fronte triangolare, gli occhi rivolti in alto e le labbra semiaperte che lasciano intrav-
vedere i denti, le palpebre in rilievo e l’arcata sopracciliare che continua la linea del
naso; la massa dei capelli ondulati, divisi dalla scriminatura centrale e ravviati in-
dietro, accompagna l’ovale del volto, incorniciato sotto il mento da due serpenti
allacciati nel nodo erculeo; altri serpentelli sbucano tra i capelli. Il volto in rilievo si
inserisce nell’egida ovale dipinta, delimitata da una banda rossa, con un incavo
nella parte superiore che sembra riprodurre l’autentica scollatura dell’egida di Ate-
na. All’interno, a corona della testa scolpita, l’egida è dipinta, insieme ad altri ser-
16
La notizia di questo tipo di coperture è in De Petra 1898, c. 223, ma la situazione si ripresenta in
tutti i monumenti napoletani di questo tipo; in tutti poi è presente, all’interno dei sarcofagi, un carat-
teristico pozzetto, variamente interpretato (cfr. Gabrici 1912, p. 151; 158).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 223
17
La notizia di queste suppellettili è in De Petra 1898, c. 227; la frutta in terracotta, nella originaria
sistemazione, è riprodotta nel disegno della camera funeraria, alle tavv. a colori V-VII della stessa
pubblicazione.
224 Sezione 3 - Neapolis
[112] Documenti di un uso prolungato della tomba ci sono offerti dalle iscrizio-
ni, dipinte su una seconda mano di bianco sulla parete di fondo (Tav. M.1) 18, oltre
che dalle manomissioni avvenute nella stanza superiore, dove nella parete di fondo
erano state inserite quattro stele, interrompendo la decorazione architettonica,
mentre nella parete sinistra due nicchie ospitano olle cinerarie; in uno di questi in-
cavi è ancora presente [113] la stele (fig. 5.3). Queste manomissioni sono un sicuro
terminus ante quem per un inquadramento cronologico della tomba 19, ma merita-
no un discorso a parte che non affronteremo in questa sede.
La tomba, anche per la completezza del suo apparato decorativo, è un documen-
to di grande raffinatezza che affida alla cura dei particolari, e ad un innegabile senso
del ritmo il suo messaggio e dove il mondo del funus è rappresentato solo attraverso
delle allusioni, come le corone e le melagrane, o gli oggetti rituali, dipinti o miniatu-
rizzati, in un linguaggio di tipo simbolico. L’esecuzione denuncia un alto livello ar-
tigianale, sia nella perfetta capacità di ricavare le strutture dal banco di tufo, insie-
me alla decorazione architettonica, sia nella esecuzione della decorazione pittorica.
Simili, anche se con variazioni tali da confermare l’ipotesi di costruzioni indi-
pendenti, si presentano gli altri sepolcri dello stesso complesso: le variazioni sono
particolarmente evidenti in facciata, dove la tomba A presenta la porta di ingresso
incorniciata da paraste scanalate, anch’esse su base (fig. 5.1): è visibile solo la para-
sta di destra 20, impostata su di uno zoccolo rettangolare che supporta anche la pa-
rasta di sinistra del sepolcro B, con un effetto di paraste abbinate. Le comuni dimen-
sioni dei sepolcri A e B (fig. 3-4), oltre a questa sistemazione di facciata, suggerisco-
no l’ipotesi di una costruzione univoca solo per queste ultime due tombe.
La tomba B risulta quindi inquadrata anch’essa da lesene, impostate su di uno
zoccolo rettangolare, e si distingue, per livello di spiccato (nonostante il cattivo
stato di conservazione), dalla già esaminata tomba C.
La tomba D, la cui facciata è leggermente aggettante rispetto alla tomba C
(figg. 3-4), ha due semicolonne scanalate ai lati della porta di ingresso, ma le due
basi attiche (fig. 5.1) partono da un incasso della parete rocciosa più alto e arretrato
rispetto alla soglia, a sua volta più alta di livello rispetto a quella delle altre tombe
18
La notizia è confermata nella recente edizione delle iscrizioni napoletane, Miranda 1995: cfr. p.
23, paragrafo n. 5: «Le iscrizioni dipinte di via dei Cristallini».
19
Non è solo il cambio di rito, dalla inumazione alla incinerazione, a documentare la seriorità di
questi interventi, ma anche il fatto di inserirsi, danneggiandola, nella architettura della tomba. La
datazione dei rilievi e delle iscrizioni al I sec. a. C. (cfr. J. Papadopoulos, in Napoli antica 1985, p. 293-
298), appare eccessivamente bassa, ma il problema, nel suo complesso, andrà riaffrontato, con appro-
fondimenti che non si intende portare avanti in questa sede.
20
È comunque facilmente ipotizzabile anche la parasta di sinistra.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 225
1 2
3 4
Fig. 9. Complesso di via dei Cristallini: 1. Tomba B: l’ambiente superiore con i banconi. Le edicole e nicchie presenti
sulle pareti appartengono alle fasi di riutilizzazione del monumento; 2. Tomba A: l’ambiente superiore con i
banconi e le edicole pertinenti alle fasi di riuso; 3. Tombe A-B: gli ambienti inferiori, ora comunicanti attraverso
l’abbattimento parziale del muro intermedio; 4. Tomba D, ambiente inferiore: le stele infisse davanti alle klinai.
descritte; la parte liscia sotto le basi delle colonne crea l’effetto di un podio: tutti
questi particolari escludono un momento costruttivo unitario per il complesso del-
le quattro tombe.
Significativamente ripetitiva è invece la strutturazione degli interni per tutto il
gruppo (fig. 3), con una camera superiore [114] separata da quella inferiore, il se-
polcro vero e proprio, sfalsato e accessibile mediante una scala ricavata nel pavi-
mento del primo ambiente. In tutte, nella camera superiore, (coperta però a botte in
226 Sezione 3 - Neapolis
queste ultime), è presente il bancone lungo le pareti (fig. 9,1-2), semplificato e senza
trapeza in rilievo, ma che in B conserva sostanziose tracce di pittura rossa.
La camera inferiore è in tutte coperta a botte impostata su di una semplice cor-
nice aggettante, sottolineata solo da un ampio listello senza ulteriori decorazioni; le
pareti sono occupate da sarcofagi, tre sulle pareti lunghe e due su quella di fondo
con il prospetto incavato e dipinto a simulare klinai, ancora parzialmente visibili,
con resti di pittura in A, ipotizzabili in B, sulla base delle tracce rimaste 21 (fig. 9.3);
in D invece un bancone apparentemente continuo, ma con divisioni interne, correva
lungo tutte le pareti (fig. 3); non si riesce più a capire se le facce esterne fossero de-
corate come klinai, seguendo il ritmo delle divisioni interne. Al bancone erano ad-
dossate, nel tratto vicino alla porta, sei stele di marmo, fastigiate e dipinte, a giudi-
care dalle tracce di pittura su almeno due di esse 22 (fig. 9.4).
Notevole, anche se non completamente controllabile, il pavimento in cocciope-
sto che sembra di intravvedere nell’ambiente inferiore della tomba A 23, probabil-
mente simile a quello della tomba C e che accentua la omogeneità di questo gruppo
di monumenti.
Nessuna commentabile traccia di pittura si è conservata invece in questi ultimi
tre ambienti ma non possiamo essere certi che questa fosse la situazione originaria:
la tomba C potrebbe essere documento più autentico e veridico dello stato origina-
rio di tutte le altre che significativamente ne ripetono la struttura.
Anche le manomissioni - da non confondere con le distruzioni - che hanno inte-
ressato in A e in B, così come in C, solo la stanza superiore, sembrano ispirate a co-
erenti, successive, trasformazioni del culto funerario. Nelle pareti dell’ambiente
superiore di B, infatti (fig. 9.1-2), sono state ricavate nicchie per olle ad incinerazio-
ne o incassi per stele, semplici o a struttura architettonica, con paraste, capitelli
corinzi, epistilio dorico coronato da dentelli e frontoncino con testina di medusa a
rilievo al centro. Inoltre sempre in B, nella lunetta della parete di fondo (fig. 9.1), è
ancora visibile un frammento di pittura, sempre di secondo momento, raffigurante
di nuovo una stele, con frontoncino azzurro e testa di medusa al centro e, [115]
parzialmente conservata nel campo sottostante, una figura maschile panneggiata
(con toga?) volta a sinistra 24.
21
La parete divisoria tra A e B è stata parzialmente abbattuta e le fronti dei sarcofagi hanno lasciato
solo tracce.
22
Di queste stele è già notizia in De Petra 1898, c. 229; per le iscrizioni cfr. Miranda 1995, n. 101,
907, 941, 946, 965, 985.
23
Il pavimento si intravvede nella fotografia di fig. 9,3.
24
Per un esame di tutta questa documentazione connessa con i riusi della tomba, cfr. J. Papadopou-
los, in Napoli antica 1985, p. 293-298, che tuttavia non prende in esame la stele dipinta.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 227
Un altro simile complesso di sepolcri venuti alla luce già nel 1685, facente parte
probabilmente di un altro affioramento del banco di tufo 26, e completati in muratu-
ra, arricchiscono il panorama architettonico sepolcrale di Napoli e confermano che
questa parte della città, subito fuori le mura, (fig. 2) era zona privilegiata, apposita-
mente scelta per un evidente discorso di rappresentatività funeraria e non sfruttata
semplicemente per la sua situazione geofisica. Esso fornisce inoltre una ulteriore
prova documentaria della visibilità esterna di questi sepolcri.
Situato attualmente all’interno di una vasta rete di gallerie e pozzi di epoche più
recenti, che hanno seriamente danneggiato anche le camere funerarie, con la aboli-
zione e l’approfondimento dei livelli pavimentali, il complesso si articola in una
sequenza di almeno cinque sepolcri a camera, non comunicanti e con ingressi indi-
pendenti, di cui solo tre ancora ispezionabili, sia pure con difficoltà (fig. 10).
L’esterno, verificabile parzialmente solo per l’ipogeo 2 (al di là di una scala mo-
derna che ad esso si è addossata (figg. 10 e 13) presenta sostanziali differenze di
facciata rispetto al complesso di via dei Cristallini. Nella parte inferiore della pare-
te rocciosa, accuratamente allisciata, era ricavata, per ogni tomba una bassa aper-
tura ad arco senza alcuna monumentalizzazione, accessibile mediante un breve
dromos, evidentemente esterno, con le pareti costruite a blocchi.
[116] Al di sopra dell’arco di ingresso corrispondente alla camera funeraria n. 2
(figg. 10 e 12-13), un incasso nella parete di tufo era destinato a sostenere un appa-
rato decorativo in muratura a blocchi, costituito da un podio modanato in basso e
in alto, sul quale era impostata una sequenza di quattro colonne scanalate, su base
attica, addossate ad una muratura di fondo a blocchi isodomi. La semicolonna
[118] destra (in realtà un quarto di colonna), insieme ai blocchi cui appartiene,
aderisce all’incasso verticale praticato nella parete di tufo, definendo il limite destro
25
Resta da verificare se le stele di cui si è parlato erano in rapporto con le sepolture ad inumazione,
o con le più tarde nicchiette ad incinerazione, ma, come abbiamo detto, tutto il problema. soprattutto
cronologico, del riuso di queste tombe va rivisto.
26
Ruggiero 1888; Napoli antica 1985, p. 291-292, n. 83.
228 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 10 - Complesso di vico Traetta: pianta delle cinque tombe di cui solo tre praticabili (ril. S.T.M.).
Fig. 11 - Complesso di vico Traetta: sezione delle cinque tombe (ril. S.T.M.).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 229
Fig. 12 - Complesso di vico Traetta, Tomba 2: 1. Sezione della facciata e della camera inferiore; 2. Sezione della
facciata monumentale incassata nel banco di tufo (ril. S.T.M.); 3. La facciata monumentale della Tomba degli
Scipioni, nella ricostruzione della Lauter-Bufe (Lauter-Bufe 1982).
27
Su questo lato è visibile anche una ripresa in mattoni, sicuramente antica, che si appoggia alla
risega della fronte in tufo. È da notare inoltre la presenza di muratura a reticolato al livello dell’attuale
piano di calpestio, inglobata nella facciata della casa moderna che si è impostata sul complesso
sepolcrale.
230 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 13 - Complesso di vico Traetta, Tomba 2: ipotesi ricostruttiva della facciata monumentale (ril. S.T.M.).
3 4
base delle tracce rimaste, in 3. Si tratta di ambienti coperti da una volta a botte a
sesto ribassato che si imposta su di una cornice sporgente, sottolineata da un ampio
listello, senza decorazioni architettoniche; alla base delle pareti sono disposti i sar-
cofagi, intagliati nel tufo come tutta la tomba, tre sulle pareti lunghe e due su quella
di fondo. La distruzione delle facce anteriori dei sarcofagi stessi non permette più di
dedurre se erano decorati a rilievo o dipinti come letti funebri; essi ripetono comun-
que la particolarità, riscontrata nel complesso dei Cristallini, del pozzetto ricavato
all’interno 28.
La decorazione pittorica, riscontrabile solo nelle tombe 2 e 3 e conservata solo
sulla parte alta della parete di fondo, si dispone come sempre tra il listello di imposta
della volta e lo spazio sopra i letti funebri, e tende a privilegiare proprio la parete di
fondo: riproduce, nella tomba 2 (fig. 14.4), due candelabri d’argento a fusto lungo
e sottile, di cui è visibile solo la parte superiore, sulla quale sono posate due lucerne
bilicni d’oro; sono chiaramente visibili, sotto il piatto per la lampada, i ganci ai
quali sono appese due patere su piede, a due anse, con attacco dell’ansa a forma di
cuore (si distingue con chiarezza solo quella di sinistra); tra i candelabri sono distri-
buite tre coroncine molto semplificate, appese a chiodi in prospettiva: le due latera-
li con un motivo spiraliforme in due toni di rosso, con bende rosse pendenti al cen-
tro, sotto il chiodo; quella centrale, più grande, con motivi cuoriformi bianchi entro
due cerchi, rosso l’interno e azzurro l’esterno, e due nastri rossi e azzurri pendenti
al centro. Nella tomba 3, è visibile solo la parte alta di un candelabro, della stessa
struttura ad alto fusto (fig. 14.5), e una coroncina avvolta in lunghe bende in due
toni di rosso, con fiocco all’attacco, oltre a tracce di colore, apparentemente ghir-
lande.
Anche in queste tombe, quindi, nonostante la minore ricchezza e raffinatezza, la
decorazione evita qualsiasi accenno figurato e si limita a fingere sulla parete oggetti
attinenti al rituale. La parte superiore dei candelabri completa coerentemente la
tipologia dei [122] candelabri che, nella tomba C del complesso dei Cristallini, è
documentata solo per la parte inferiore. Si conserva anche notizia 29 del ritrovamen-
to, non sappiamo in quale situazione, di unguentari in ceramica e di una statuetta in
terracotta, insieme a vasetti acromi, mentre sulla stuccatura bianca delle pareti
sono state lette epigrafi dipinte, pertinenti alle fasi di riuso 30.
28
Si tratta della stessa sistemazione già notata nei sepolcri di via dei Cristallini e a S. Maria La Nova,
cfr. supra, nota 16.
29
La notizia è in Ruggiero 1888, p. 88 ss.
30
Miranda 1995, p. 22, elenco iscrizioni al paragrafo 1.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 233
L’esame della situazione di facciata dei due complessi funerari sembra quindi
escludere, per tutti questi monumenti, l’ipotesi che si tratti di tombe ipogee. Le tom-
be risultano singole e scavate in momenti successivi, anche se si imitano a vicenda e,
pur nella varietà tipologica che documentano, sembrano partecipare di un omoge-
neo orizzonte culturale e cultuale. La disposizione su due piani e la scelta di riserva-
re solo ai morti la camera sotterranea rafforza l’ipotesi che le camere superiori di via
dei Cristallini, praticamente non adoperabili, con le loro facciate architettonica-
mente elaborate, aspirassero ad una forte rappresentatività esterna e costituissero
una fronte monumentale che sfruttava e valorizzava l’effetto scenografico del ban-
co di tufo. Nella tomba 2 di vico Traetta, l’evidente venir meno del banco di tufo 31,
ha in qualche modo condizionato la soluzione di falsa architettura della facciata
monumentale costruita a blocchi, essenzialmente fedele al modello, pur nella diver-
sità del risultato finale. Inoltre questa soluzione sembra confermare e portare alle
estreme conseguenze le caratteristiche di non funzionalità delle stanze superiori del
complesso dei Cristallini.
La attuale situazione ipogea di ambedue i complessi, anche per la parte superio-
re, va quindi interpretata come il risultato del documentato, notevolissimo innalza-
mento del livello in questa zona 32, mentre le differenze di quota registrate per altri
simili monumenti 33 potrebbero corrispondere ad una distribuzione su più livelli del
pendio.
[123] Una serie di altri dati può essere portata a sostegno di questa interpretazio-
ne: oltre al complesso di vico Traetta, anche la tomba di S. Maria Antesaecula 34 è
parzialmente completata con muratura a blocchi, che probabilmente suppliva ad
una interruzione del banco di tufo; inoltre la tomba isolata scavata da Gabrici da-
vanti alla chiesa di S. Maria La Nova, pur essendo costruita completamente a bloc-
chi doveva, secondo l’editore 35, essere sistemata contro il pendio della collina, dove
31
In due delle camere funerarie di questo complesso (n. 4 e 5 della pianta di fig. 11) è stata rilevata
la presenza di finestrini schermati da lastre di ardesia: G. Vecchio, in Napoli antica 1985, p. 292, n. 83.
32
Cfr. nota 3; L. Bartoli 1985, p. 379 ss., commentando le innumerevoli aperture visibili a Napoli
sulla faccia verticale delle pareti rocciose, nota (p. 382) che, per la particolare morfologia e stratigrafia
della città, risultava più facile penetrare nel banco tufaceo dal fianco dei valloni, piuttosto che aspor-
tare la spessa coltre di materiali incoerenti che ricopre per molti metri il tufo.
33
I livelli degli ipogei vengono dati sempre rispetto alla abitazione in cui sono inglobati, ma solo un
rilievo unitario potrebbe mettere in risalto concretamente l’entità del dislivello tra i vari monumenti e
la loro relazione con l’antico piano di calpestio.
34
Si tratta di una tomba inedita: cfr. G. Vecchio, in Napoli antica 1985, p. 292, n. 2 (ipogeo b).
35
Cfr. Gabrici 1912, p. 157.
234 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 15 - Pianta e sezioni di un sepolcro, non più accessibile, con iscrizione della fine del IV sec. a.C.
(da Levi 1926).
36
Cfr. Napoli antica 1985, p. 279: la stampa qui riprodotta è tratta da De Jorio 1824, tav. IV.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 235
Fig. 16 - Pianta e sezioni di un sepolcro, non più accessibile, scoperto in via Foria (da Levi 1926).
37
Levi 1926, c. 380 ss.
38
Tomba di S. Maria La Nova: cfr. Gabrici 1912.
236 Sezione 3 - Neapolis
dipinti a simulare una kline, disposti lungo le pareti, in numero variabile secondo le
dimensioni della stanza 39.
Notevole inoltre è la omogeneità delle scelte decorative interne alla camera fu-
neraria, dalle quali è assente qualsiasi motivo figurato o personalizzante, e che ripe-
te, con variazioni più stilistiche che significanti, motivi connessi esclusivamente con
la ritualità funeraria 40. [124] Omogenea inoltre sembra anche, quando se ne ha
notizia, la suppellettile funeraria rinvenuta in questi sepolcri 41
Stabilita la omogeneità sostanziale dei sepolcri monumentali napoletani, un in-
quadramento tipologico delle tombe dei Cristallini e di vico Traetta risulta comun-
que problematico. L’esame globale di questi sepolcri consente però alcune prelimi-
nari ma importanti osservazioni: si tratta di sepolcri previsti per più deposizioni,
all’interno delle quali non è distinguibile una gerarchia; di strutture tra le più sofi-
sticate e costose e che documentano un fenomeno di ostentata rappresentatività
funeraria la quale soprattutto si distingue e si qualifica in contrapposizione alle di-
verse, contemporanee, manifestazioni funerarie nella stessa Neapolis 42; la omoge-
nea sobrietà decorativa delle camere funerarie vere e proprie, nelle quali sono com-
pletamente assenti elementi figurativi o narrativi, li distingue inoltre dalle pur ric-
che manifestazioni funerarie contemporanee dei vicini centri campani 43; in ciò che
39
A S. Maria La Nova i sarcofagi sono costruiti con lastre le cui facce sono decorate come klinai che
tuttavia non rispettano le suddivisioni interne (cfr. Gabrici 1912, p. 153). Il numero dei sarcofagi è
abbastanza costante, tre sui lati lunghi e due su quello di fondo, ma prevede variazioni: cfr. Levi 1926,
fig. 1, 6, 12 a p. 380, 386, 398.
40
Corone e infule a S. Maria La Nova (cfr. Gabrici 1912, fig. 4); ghirlande, candelabri, patere e co-
rone nella tomba di via Foria (cfr. Levi 1926, fig. 7 e tav. a colori).
41
Per i ritrovamenti mobili dobbiamo affidarci alle ambigue definizioni nelle descrizioni antiche,
cercando un corrispettivo nelle forme e nelle classi ceramiche a noi note. Solo nel caso della tomba di
S. Maria La Nova siamo aiutati dalle figure che permettono di individuare in una olletta con coperchio
decorata a fasce nere con motivi fitomorfi bianchi una tipologia presente nei corredi napoletani già
nella seconda metà del IV (Gabrici 1912, fig. 4; cfr. A. Pontrandolfo in Napoli antica 1985, p. 284; Id.
in Neapolis 1986, p. 266 ss.); in questa tomba è testimoniato anche uno strigile di bronzo. Strigili,
statuette colorate, lacrimatoi o unguentari, vasetti acromi e lucerne sono dati come provenienti dalle
tombe di vico Traetta (Ruggiero 1888, p. 12-13). Il materiale attualmente conservato nelle tombe dei
Cristallini, di dubbia provenienza, è in corso di studio, ma è documentata la presenza di melagrane in
terracotta sulla cornice. Ceramica di forma simile e statuette di terracotta, di alcune delle quali è for-
nita fotografia, sono date come provenienti dalle tombe monumentali, non più visibili, pubblicate
dalla Levi (Levi 1926, p. 382, fig. 2-3; p. 383 e 396), mentre nella tomba di via Foria la frutta e le uova
erano dipinte sulla cornice. Nonostante le incerte identificazioni, si tratta di un panorama ceramico
comune alla suppellettile rinvenuta (e ricontrollata) nelle tombe del sepolcreto di Castel Capuano, con
una cronologia dalla fine del IV al III sec. a. C. (cfr. Napoli antica 1985, p. 232 ss. e A. Pontrandolfo, in
Neapolis 1986, p. 255 ss. in particolare p. 266 ss.).
42
Cfr. Napoli antica 1985, p. 232 ss.; A. Pontrandolfo in Neapolis 1986, p. 255 ss.
43
Cfr. le tombe dipinte a cassa, a semicamera, a camera di Capua, Cuma, Teano, Paestum: Weege
1909, p. 99 ss.; Johannowsky 1972, p. 375 ss.; Rouveret-Pontrandolfo Ideologia funeraria, p. 305 ss.;
De Caro 1983-84, p. 80 ss.; Rouveret-Pontrandolfo 1983, p. 91 ss.; Rouveret-Pontrandolfo 1992.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 237
attiene più direttamente al culto dei morti, invece, non si differenziano dalle meno
appariscenti tombe coeve, di cui ripetono la suppellettile, modesta e confinata nella
[125] sfera rituale 44. Inoltre l’esistenza di altre simili strutture nella stessa Napoli 45,
toglie unicità ed eccezionalità alle tombe sopra esaminate, qualificandole come
documento di una evoluta differenziazione del corpo sociale.
Possediamo inoltre almeno due dati archeologici concreti che ci permettono un
aggancio cronologico sicuro, (anche se non immediatamente applicabile a tutte le
tombe di questo tipo), in base al quale individuare una sequenza che non sia fonda-
ta esclusivamente su osservazioni di particolari formali. Infatti una delle tombe di
via Foria (fig. 15), sulla base della iscrizione più antica in essa dipinta, è stata defini-
tivamente assegnata alla fine del IV sec. Si tratta di una tomba scavata nel banco di
tufo della quale è stata individuata solo la camera funeraria; a pianta rettangolare
e coperta da una volta a botte, era accessibile mediante nove gradini e una porta
aperta su uno dei lati brevi; all’interno, sempre scavati nel tufo, otto sarcofagi erano
distribuiti lungo le pareti secondo la stessa sequenza già osservata nei due comples-
si sopra esaminati: tre sui lati lunghi e due sulla parete di fondo. Su questa stessa
parete era la iscrizione di appartenenza datata alla fine del IV sec. 46. La impossibili-
tà di verificarne la facciata impedisce confronti più puntuali con le tombe sopra
esaminate, ma la sua mancanza di decorazioni interne, sia sulle pareti che sulla
fronte dei sarcofagi è caratteristica condivisa dalle tombe A, B e D dei Cristallini,
oltre che dalla tomba 1 di vico Traetta: questo crea un significativo intreccio di dati
e conferma l’esistenza di una tipologia funeraria caratterizzata da sepolcri plurimi,
ad inumazione, ipogei solo nella camera funeraria, e con un accesso dall’esterno
verosimilmente monumentalizzato.
Il secondo dato cronologico ci viene dal riesame della suppellettile funeraria
della tomba di S. Maria La Nova 47, di cui si è già parlato, attribuita alla fine del IV-
inizi del III sec. a. C., e quindi dalla possibilità di assegnare allo stesso orizzonte
cronologico le tombe sopra esaminate sulla base delle antiche relazioni che descri-
vevano rinvenimenti di simili oggetti, statuette e frutta di terracotta distribuite sul-
44
Cfr. nota 41.
45
Si veda l’elenco completo delle tombe monumentali note in Napoli antica 1985 p. 283-298.
46
Cfr. Levi 1926, c. 397, fig. 13; Miranda 1995, p. 46, n. 117, con datazione alla fine del IV sec. a.
C.: secondo l’autrice, i caratteri epigrafici distinguono questa iscrizione da quelle, più tarde, e signifi-
cative di una riutilizzazione, dipinte anche sulle tombe sopra prese in esame.
47
Cfr. nota 41.
238 Sezione 3 - Neapolis
Fig. 17 - 1. Tomba di S. Maria La Nova: riproduzione a disegno della decorazione della parete di fondo, con
corone di bende e ghirlande (da Gabrici 1912); 2. Tomba di via Foria, parete occidentale - acquarello (Levi 1926).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 239
la cornice aggettante sotto la volta, secondo un rituale ben documentato anche al-
trove in Campania fin dalla fine del IV sec. a. C. 48.
[126] La tomba di S. Maria La Nova, della quale si è già parlato 49, pur costruita
a blocchi, si presenta in tutto simile a quelle sopra esaminate, con protiro ben visi-
bile e camera funeraria con klinai decorate e corone dipinte sulle pareti (fig. 17.1);
su una delle klinai è riprodotta una trapeza 50.
Possiamo, a questo punto, considerare i due complessi presi in esame come
espressione di una caratteristica tipologia funeraria napoletana, connessa in qual-
che modo con le cronologie sopra ricordate e che si esprime attraverso l’architettu-
ra oltre che attraverso l’apparato decorativo e le offerte cultuali, ricercando, se
esistono, i modelli dei quali andrà valutato il grado di rielaborazione.
Un referente immediato per il complesso dei Cristallini e la tomba di S. Maria la
Nova è certamente la Macedonia, con le finte facciate delle sue tombe a semicolon-
ne addossate, ma l’osservazione che la specificità delle tombe macedoni è quella di
essere coperte da un tumulo, toglie pregnanza al confronto, rimandando a singoli
paralleli di specifiche membrature, utili semmai a documentare la grande diffusione
di un linguaggio architettonico in età ellenistica, sottolineando comunque la loro
significativa, precoce presenza in ambito napoletano. D’altra parte sono ancora in
discussione le possibili ascendenze delle stesse tombe macedoni, autoctone o deri-
vate da modelli orientali; l’evidenza finora accessibile ci garantisce che appaiono
poco dopo la metà del IV sec. a. C. e continuano fino all’inizio del II, ma la cronolo-
gia relativa è ancora in discussione, anche perché, dal punto di vista architettonico,
che comunque da solo non risolve i problemi di cronologia, nelle facciate non esiste
linea di sviluppo dalle più semplici alle più complesse 51.
La distinzione che viene fatta, nel tentativo di fissare una «tipologia macedone»,
tra coperture a volta e coperture piane o a doppio spiovente, tra tombe costruite e
tombe scavate nel banco roccioso, è inadoperabile nel caso delle tombe napoletane,
che documentano contemporaneità di soluzioni, proprio negli esempi con cronolo-
48
Per le tombe della stessa Napoli, cfr. bibliografia citata a nota 41; per documenti di altri ambiti,
cfr. Rouveret-Pontrandolfo 1992, soprattutto il capitolo IV (I corredi), p. 405 ss.: a Paestum sono
documentati anche gli oggetti sulla cornice (tombe di S. Venera); Russo 1988, p. 285 ss. La stessa tipo-
logia nel corredo funerario si riscontra anche nelle tombe della Apulia e della Macedonia: cfr. Principi
1992, p. 163 ss.; Miller 1993, p. 67 ss.; I Macedoni. I Greci del Nord. Mostra, Atene, 1995, p. 315 s.
49
Cfr. supra.
50
Cfr. Gabrici 1912, p. 153.
51
Cfr. Pandermalis 1972, p. 147-182; Pandermalis 1986, p. 387 ss.; Gossel 1960; Miller 1982, p.
152 ss.; Andronikos 1987, p. 1-16; Fedak 1990, p. 104 ss.; Miller 1993, p. 1, nota 1, con un catalogo
di tutte le tombe macedoni in «Appendix II», a p. 105. Per problemi specifici cfr. anche Büsing 1970.
240 Sezione 3 - Neapolis
gia assicurata 52; nella tomba C dei Cristallini è inoltre documentata la [127] coper-
tura a doppio spiovente per la camera superiore e a volta per la camera inferiore (cfr.
fig. 7 e Tav. Q.1) 53.
Il criterio di distinzione fondamentale che mi sembra invece vada tenuto presen-
te è quello della visibilità che distingue immediatamente le tombe a facciata, rupe-
stre e non, dalle tombe sotto tumulo, anche se, per queste ultime, a parte la ipotizza-
ta esistenza di segnacoli esterni, è il tumulo stesso a costituire un segno ad alto po-
tenziale significativo, inserito però nella continuità aristocratica di una secolare
tradizione locale di significato dinastico 54.
Stabilito che la distinzione costruito-scavato, dal punto di vista del messaggio
della tomba, non è determinante, possediamo un criterio di individuazione delle
ascendenze meno meccanico e limitativo, e ciononostante non meno problematico.
Gli esempi lici e carii, l’ambito più tipico delle «Felsfassadengraeber», possono of-
frire solo un generico riferimento, sia per la difficoltà delle loro datazioni, che per il
loro aspetto di autentici tempietti in antis, con pronaos davanti alla porta di accesso
alla camera funeraria 55.
Tombe rupestri con accurata riproduzione di membrature architettoniche sono
presenti a Cirene e a Rodi, anche se, in definitiva, i parallelismi si riducono all’uso
delle semicolonne addossate in funzione di falsa facciata; la documentazione elleni-
stica di Cirene si qualifica come la continuazione di una tradizione già viva in età
arcaica: si tratta di sepolcri familiari, la cui strutturazione interna è tuttavia ben
lontana da quella descritta per Napoli 56. Da notare invece, perchè concettualmente
confrontabile con la camera superiore del complesso dei Cristallini, il fatto che
spesso l’attico delle tombe rupestri cirenaiche era adibito alle cerimonie di culto,
con una netta separazione dalla camera funeraria 57. Cirene a sua volta è stata presa
in considerazione come possibile antecedente di alcune tombe monumentali di
52
Si veda infatti la tomba con iscrizione datante (cfr. nota 46) scavata nel tufo e con volta a botte e
la tomba di S. Maria La Nova (Gabrici 1912), costruita a blocchi e anch’essa con volta a botte e data-
zione fine IV-inizi III sec. a. C.
53
Questa commistione nella stessa tomba di copertura a doppio spiovente nella anticamera e a
volta nella camera funeraria viene - inesattamente ci sembra - considerata una caratteristica delle
tombe trace: cfr. Zazoff 1985, p. 595 ss.; Miller 1993, p. 102, con bibl. relativa; essa è però documen-
tata anche nelle tombe a camera daune.
54
Cfr. Andronikos 1969; Miller 1993, p. 4.
55
Roos 1972; McKenzie 1990; Fedak 1990, p. 140.
56
Cfr. Stucchi 1975, p. 38-41: tomba rupestre di età tardo arcaica di Barce, a due piani, con klinai
nel pronao della stanza al piano terra e ambiente aperto a giorno al piano superiore; per le tombe di
Cirene cfr. Cassels 1955, p. 2-43; Tomlinson 1967, p. 241 ss.; Stucchi 1987, p. 249-377.
57
Cfr. Stucchi 1975, p. 159-160; Cassels 1955, p. 36 (tomba 5 301); Beschi 1969-70, p. 134 ss., in
particolare p. 176 (tomba degli Mnasarchi).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 241
Rodi, effettivamente simili anche nella organizzazione interna, e che, come nell’Ar-
chokrateion, ripropongono la [128] funzionalizzazione dell’attico per le cerimonie
funerarie 58, ma ugualmente lontane dal modello napoletano.
Alessandria con le sue tombe nascoste, anche se a cielo aperto, labirintiche e
fornite di più camere, offre solo spunti di somiglianza, come le semicolonne addos-
sate per monumentalizzare le porte di ingresso, e alcuni particolari decorativi 59. Da
notare, ad Alessandria, è invece l’uso delle klinai come sarcofagi, caratteristico di
tutte le tombe napoletane, (ma documentato per altro anche in Macedonia) 60, te-
nendo tuttavia presente la cronologia delle tombe alessandrine, che difficilmente
possono risalire alla fine del IV secolo a. C. come invece sembra sicuro almeno per
una delle tombe napoletane 61.
L’Apulia, specie dopo le più recenti scoperte e messe a punto, risulta particolar-
mente ricca di tombe monumentali, ma i due ambiti sembrano rielaborare autono-
mamente modelli ellenici, senza necessaria reciproca influenza, proponendoli come
segno distintivo di classi non assimilabili. Più legata a modelli macedoni l’Apulia,
con le sue tombe nascoste o quasi nascoste 62, nelle quali soprattutto ogni ambiente
sembra singolarmente dedicato a un solo morto, anche quando la tomba si compo-
ne di più camere; i morti erano deposti sopra la kline, continuando una tradizione
della Macedonia ma anche di Taranto, dove le tombe sono sempre singole e usano
la kline come autentico letto funebre 63.
Più interessante, dal punto di vista architettonico e strutturale, è ritrovare nel
mondo etrusco quella che ci sembra di poter considerare un’eco piuttosto che un
modello della tipologia a due piani del complesso dei Cristallini. Infatti, pur sempre
nella tipologia dell’architettura di facciata, sono documentate a Tarquinia, dall’ini-
zio del III sec. a. C., tombe che si distinguono per i vestiboli posti quasi in superficie
e comunque a quota più alta della camera funeraria, identificabili come ambienti
cerimoniali dalle banchine e dalla finta [129] porta sulla parete di fondo, sul model-
58
Cfr. Lindos. Fouilles et recherches, III, 2, Copenaghen, 1960, p. 491 ss.; Fraser 1977; Lauter 1986
(fig. 13a e 28a); Lauter 1988, p. 155 ss.; Fedak 1990, p. 83-87; Livadiotti 1996, p. 34-38.
59
Adriani 1963, 1966, p. 107-197, n. 79, 85, 86, 88, 90; Cook 1966, p. 325 ss.; Enklaar 1985, p.
106 ss.; Venit 1988, p. 71 ss.
60
Per Alessandria cfr. Adriani 1963, 1966, p. 125 ss.; per la Macedonia cfr. Miller 1993, p. 15, nota
85.
61
Cfr. Miranda 1995, p. 46, n. 117, e bibl. cit. a nota 59.
62
Lamboley 1982, p. 91 ss.; Mazzei-Lippolis 1984, p. 185 ss.; Mertens 1990, p. 440 ss.; Andreassi-
Cocchiaro 1987; L’Arab 1994, p. 311 ss.; Messapi e Peucetii, 1988, p. 686 ss.; L’Arab 1991, p. 457 ss.;
L’Arab Vaste, p. 19 ss.; Steingraeber 1991, p. 1 ss. (p. 6); Principi 1992, p. 163 ss.; Arpi 1995, p. 87 ss.
63
Cfr. Tinè Bertocchi 1964, p. 61 ss.; Taranto. La necropoli, p. 86 ss. Una kline come letto di depo-
sizione è documentata anche in una tomba ellenistica di Metaponto: P. C. Sestieri, Metaponto, in NS,
1940, p. 54 ss.
242 Sezione 3 - Neapolis
lo della tomba dei Caronti 64. Questa struttura diviene caratteristica delle tombe a
facciata rupestre della Etruria meridionale interna e del viterbese, dove spesso, con
un esito abbreviato e molto meno raffinato che a Napoli, la facciata si sdoppia,
mentre la parte superiore può complicarsi fino alle monumentali soluzioni delle
tombe di Norchia e Sovana, prodotti di originale rielaborazione della koinè elleni-
stica italica, ma sempre sulla linea di sviluppo dei sepolcri a due piani 65.
Diverso nel suo aspetto esteriore, nonostante la coincidenza nella organizzazio-
ne e decorazione della camera funeraria ipogea, si presenta il complesso di vico
Traetta. La funzione allusiva svolta dalle stanze superiori nel complesso dei Cristal-
lini e confermata dalla loro impraticabilità è qui divenuta pura finzione di facciata
monumentale. E questa soluzione, con l’ordine di semicolonne sistemato su di un
podio modanato, coordinato con l’ingresso ad arco ricavato nel sottostante podio
liscio e in asse con l’intercolumnio centrale, non solo non trova confronti puntuali,
ma sembra essere stata modello alla facciata monumentalizzata della tomba degli
Scipioni, cosi come è stata ricostruita dalla Lauter-Bufe 66 (cfr. figg. 12.3, 13). La
mancanza di convincenti confronti sia nell’area occidentale che orientale, sottoli-
neata per questa tomba dalla studiosa, trova così una interessante smentita. L’iden-
tificazione di un possibile modello napoletano per questo significativo sepolcro
romano, [130] fornisce una nuova, concreta conferma documentaria ai più volte
sottolineati rapporti di Roma con Napoli, ideologicamente sentita nelle fonti lette-
rarie latine come «Graeca urbs» per eccellenza, e soprattutto lascia intravvedere
quella importante funzione di mediazione e rielaborazione di modelli ellenici che
Napoli, accanto e in maniera autonoma da Taranto, deve avere svolto fin dalla fine
del IV sec. e per tutto l’ellenismo 67.
É chiaro che singoli elementi della facciata monumentale del sepolcro 2 di vico
Traetta sono comuni a diversi ambiti del mondo ellenistico, come il concetto stesso
di falsa facciata o la mescolanza scavato-costruito; ma il podio modanato con la sua
funzione di mero sostegno delle colonne, richiama il motivo altrettanto originale
del parallelepipedo modanato sotto le colonne e le paraste addossate alle porte di
64
Colonna 1986, p. 495 ss. (in particolare p. 524-526), con bibliografia; per la tomba dei Caronti
di Tarquinia, cfr. Steingraeber 1984, p. 305 ss.; per una discussione sulla cronologia di queste tombe,
cfr. Colonna 1985, p. 139 ss.
65
Oltre a Colonna 1986, cit. alla nota precedente, cfr. Colonna 1967, p. l ss.; Colonna Di Paolo
1978.
66
Lauter-Bufe 1982, p. 35 ss.
67
Lepore 1967, p. 141, ss.; Lepore, in Napoli antica 1985, p. 109-115; I. Baldassarre, ibid., p. 122-
132; la visione assolutamente «greca» della città è soprattutto evidente e sottolineata nelle fonti ro-
mane che sembrano addirittura ignorare l’articolata realtà etnica di Napoli: cfr. Lepore 1983, p.
347-354.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 243
ingresso dei sepolcri dei Cristallini (cfr. fig. 5.1), e ambedue - podio modanato e base
sotto la colonna - rimandano alle caratteristiche tecniche delle mosse architetture
riprodotte in pittura nel c. d. II stile, il «Vorbild» delle quali è stato oggetto di appro-
fondite indagini 68. I documenti di ambiente italico portati ad esempio di realtà ar-
chitettoniche di riferimento, per le pitture di II stile, sono tutti più tardi delle nostre
tombe, mentre tra i precedenti greci di IV secolo 69, che documentano una indubbia
sperimentazione in questo senso, tesa a rielaborare la compatta geometria degli
ordini classici, nessuno, ci sembra, ripropone un aspetto paragonabile a quello che,
sia pure nella frammentarietà della documentazione, pensiamo potessero presenta-
re le facciate napoletane: non più sperimentazione, ma compiuta elaborazione di un
nuovo concetto architettonico di facciata.
Senza la pretesa di volere qui affrontare il problema del rapporto di queste strut-
ture con le architetture presenti nelle pitture di II stile, si vuole qui solo sottolineare
che innovazioni architettoniche quali la colonna addossata su alta base sporgente e
l’articolazione delle facciate con colonne su podio, elementi sicuramente diffusi in
tutto il mondo tardo ellenistico, sono a Napoli documentati in un periodo notevol-
mente alto e con la possibilità di una sicura determinazione cronologica.
[131] Dal punto di vista più strettamente tecnico, è poi interessante notare che la
modanatura del podio del sepolcro 2 di vico Traetta trova confronti in quello della
tomba degli Scipioni (fig. 12.3), ma ancor più in quello di un basamento del Gaudo,
presso Paestum, datato entro la prima metà del III sec. a. C.; a proposito di quest’ul-
timo, la Shoe notava come il c.d. podio italico fosse in questo caso combinato con
un tipo di profilo generalmente e coerentemente in uso da tempo nella Grecia occi-
dentale 70.
Gli studi più generali 71 sulle tipologie della architettura funeraria hanno già
sottolineato la mancanza di standardizzazione che la caratterizza, soprattutto in
quegli apprestamenti destinati all’auto-rappresentazione che, in quanto privi di
funzionalità, promuovono a fenomeno decorativo ogni tipo di variazione o irrazio-
nale abbreviazione delle membrature architettoniche, raggiungendo spesso origi-
nali soluzioni. È chiaro tuttavia che, pur riconoscendo in questi monumenti libere
68
Cfr. Tybout 1989, p. 215 ss., con la bibl. precedente, e p. 275 ss.
69
Lauter 1986, p. 253-256; Tybout 1989, p. 220, nota 777; lo stesso autore ricorda un edificio
presso Leukadia, con una semicolonna dorica su zoccolo, inedito e citato in Miller 1971, p. 130. Il
problema è stato ripreso in Mc Kenzie 1990, p. 61 ss. e p. 91 ss., che individua nella sia pure mal docu-
mentata architettura alessandrina il modello di riferimento.
70
Shoe 1965, p. 149, tav. XLVI, 5: Tomba degli Scipioni; Tav. XLV, 4: basamento modanato del
Gaudo (cfr. NS, 1948, p. 176 ss.), ricostruito come monumento funerario in H. von Hessberg, Monu-
menta, Milano, 1994 (ediz. italiana), p. 146, fig. 69.
71
Kurtz-Boardmann 1971, p. 273 ss.; Fedak 1990, p. 15 ss.; 160 ss.; Miller 1993, p. 101 ss.
244 Sezione 3 - Neapolis
Gli interni
Anche l’esame dettagliato dei singoli elementi decorativi degli interni, conside-
rando le tombe come un insieme inscindibile, può documentare meglio una crono-
logia che, sulla base dei dati in nostro possesso 72 e dei riferimenti generali cui si è
accennato, si pone indubbiamente tra la fine del IV e la prima metà del III; inoltre
l’esame degli interni ci permette di recuperare nella valutazione anche le tombe
conservate solo nella documentazione grafica.
Ciò che caratterizza immediatamente l’apparato decorativo interno è la sua ar-
chitettonicità, la voluta sottolineatura della struttura costruttiva realmente esisten-
te delle pareti scavate nel tufo, un dato che possiamo cogliere sia nella tomba C di
via dei Cristallini, più ricca di particolari strutturali (e quindi anche nella tomba di
via Foria, che sembra imitarla fedelmente: cfr. fig. 17.2), che nelle più semplici [p.
132] altre camere funerarie, sia dei Cristallini che di vico Traetta 73, dove la sola
enfatizzazione del listello e della cornice sporgente all’innesto della volta assume un
significato decorativo in senso architettonico. Nella tomba C dei Cristallini manca
la gerarchizzazione orizzontale tra le varie parti della parete, ritmata solo dalle pa-
raste in rilievo su breve zoccolo scuro (cfr. Tav. M.1) che continuano la loro funzio-
ne di architettura reale nel coronamento dei capitelli in rilievo, dipinti coi colori
della architettura 74, e dell’epistilio. La abolizione di qualsiasi zona figurata sottoli-
nea il carattere compatto del muro che può divenire supporto di ghirlande, e di co-
rone e patere appese a un chiodo (cfr. Tavv. M.1, O.1): è infatti solo la realtà archi-
tettonica del muro che rende possibile la rappresentazione in trompe l’oeil dei chio-
di. Si tratta, crediamo, di un autentico «Masonry style», realizzato direttamente
sulla parete di tufo, e non riprodotto in stucco, del quale sono note e documentate
72
Cfr. supra, p. 124 ss.
73
Levi 1926, c. 380-384; ovviamente secondo quanto si può dedurre dalle descrizioni.
74
Il colore dei capitelli e delle altre membrature, ora non più visibile, è registrato in disegni acque-
rellati riprodotti in De Petra 1898, tavv. a colori, V-VII.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 245
le caratteristiche e la cronologia 75, e di cui questa tomba sembra fornirci una espres-
sione tra le più rigorose, tanto che significativi dettagli della configurazione archi-
tettonica possono essere commentati e confrontati con l’architettura reale.
La presenza di colonne o paraste addossate è documentata almeno in un’altra di
questo gruppo di tombe napoletane 76 e caratterizza anche alcune tombe daune 77; è
presente in Macedonia, a Lefkadia e a Dion, in monumenti della fine del IV sec. e
imitata in pittura, nella tomba di Lyson e Kalliklès 78, ma è documentata anche ad
Alessandria 79: in tutti questi esempi è realizzata allo stesso modo la piegatura ango-
lare delle paraste 80. Sopra le paraste, i capitelli [133] figurati (Tav. O.1) si riallaccia-
no invece ad una tipologia elaborata sicuramente a Taranto, prevalentemente per la
decorazione di monumenti funerari. La lunga tradizione che essi conservano in
tutta l’Italia Meridionale ha permesso tuttavia di individuare «sviluppi paralleli
con storie evolutive diverse» per i vari ambiti 81. Il processo di semplificazione che
questi capitelli dimostrano è giustificato dal loro essere di parasta; tuttavia le brevi
dimensioni del kalathos, con la semplificata unica serie di foglie d’acanto, le due
elici che nascono verticalmente dalla base, distanziate tra loro, trovano confronti
pertinenti anche in area campana 82, mentre la testina centrale, interpretabile come
Medusa, conferma la tradizione funeraria di queste particolari membrature archi-
tettoniche, avvalorando l’ipotesi che l’evoluzione in senso funerario della iconogra-
75
Cfr. Bruno 1969, p. 305-317; Miller 1993, p. 41 ss., dove si ripropone il suggerimento già a suo
tempo avanzato dalla Miller stessa (Miller 1971, p. 140-149) di sostituire il termine «Masonry Style»
con quello più pertinente di «Relief Architectural Style» una variante del quale - non necessariamente
più recente - sarebbe il «Painted Masonry Style»; cfr. anche Laidlaw 1985, p. 39; Dentzer 1968, p. 85
ss.
76
Cfr. De Petra 1898, c. 218; Napoli antica 1985, p. 290, n. 81,1.
77
Cfr. Principi 1992, p. 139 ss.; in particolare ipogeo Monterisi-Rossignoli, p. 175; ipogeo Casieri,
p. 187; ipogeo Lagrasta I, p. 203 ss., tutti, tranne il Lagrasta I, datati entro la seconda metà del 1V sec.
a. C.
78
Cfr. la tomba di Lefkadia, (Petsas 1966, p. 45 ss.; p. 47, nota 5, con altri esempi di parasta ango-
lare); la tomba di Dion I (tomba Sotiriadis): cfr. Pandermalis 1989, p. 22 ss.; per la tomba di Lyson e
Kallikles, con le paraste dipinte in prospettiva, cfr. Miller 1993, p. 41 ss.
79
Ad Alessandria la decorazione interna è generalmente a zone; cfr. comunque Adriani 1963, 1966,
p. 124 ss., n. 79.
80
Cfr. Lefkadia: Petsas 1966, tavv. 20, b e 21; per la tomba di Dion (tomba Sotiriadis), cfr. Praktikà,
1930, p. 38, fig. 2; Miller 1993, p. 12, nota 64; p. 44, nota 49.
81
Cfr. Lippolis 1994, p. 108-128; Id., I capitelli, in Arpi 1995, p. 179 ss.; Id., ibid., p. 329-330 (con
datazione tardo-ellenistica).
82
Cfr. von Mercklin 1962 che cita, da De Petra 1898, i capitelli della tomba dei Cristallini (p. 64, n.
172-172a, fig. 307-307a), rifiutando come eccessivamente bassa la datazione di De Petra al I sec. d. C.;
un confronto molto pertinente si può istituire con i capitelli di Padula (ibid„ n. 173 a-c, fig. 302-306)
di fine IV sec. a. C.; ai capitelli di Napoli sono stati avvicinati anche quelli dell’ipogeo Palmieri di Lecce
(ibid., n. 180), sui quali cfr. anche L’Arab 1982, p. 91 ss., con una datazione tra la fine del IV e l’inizio
del III a. C. Si veda anche Neutsch 1965, p. 70 ss.
246 Sezione 3 - Neapolis
83
Sul significato prevalentemente connesso con la sfera funeraria delle figurazioni su questi capitel-
li, nella serie più antica, cfr.: E. Lippolis, artt. citt. alla nota 81. Sulla evoluzione del significato della
Gorgone e sulla sua tipologia v. più avanti.
84
Cfr. Ronczewski 1927, c. 263 ss.: fig. 1, capitello da Taranto al Museo Civico di Trieste; fig. 8-10,
capitello da Taranto ai Musei di Berlino.
85
Cfr. Lefkadia, Petsas 1966, p. 45 ss.; Miller 1993, p. 41 ss.
86
Roos 1976, p. 103 ss.
87
von Sydov 1984, p. 239 ss., in particolare p. 339-346.
88
Cfr. Pensabene 1993, soprattutto p. 104 ss., con alcuni dubbi sulla ipotesi di von Sydov della
origine siciliana dei dentelli allungati e ravvicinati, che comunque compaiono ad Alessandria e in tutto
il mondo ellenistico, oltre che in ambiente italico, non prima del II sec. a. C.; per il mondo italico cfr.
anche Verzar 1976-77, p. 378 ss., in particolare p. 388.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 247
I paralleli più convincenti, anche se sempre aleatori, sono con esemplari del pri-
mo e medio ellenismo dalla Grecia, dall’Asia Minore e dall’Egitto 89, oltre che con le
non numerose tombe ad interno ionico della Macedonia 90.
Lo stesso aspetto presentano i dentelli che, nell’ambiente superiore di questa
stessa tomba, accompagnano la cornice modanata e il triangolo frontonale (cfr.
fig. 5.3). Un aspetto leggermente più allungato sembra invece di poter individuare
nei dentelli che decorano, all’interno della camera funeraria, l’architrave modanato
sopra la porta di ingresso (cfr. Tav. N.1), anche se si tratta di divergenze che vanno
calcolate in base ai rapporti proporzionali di tutta la modanatura (cm 3,5 x 2; di-
stanza cm 0,4; sporgenza cm 0,5) 91. Anche un’altra delle tombe monumentali na-
poletane, quella di via Foria, almeno [135] a giudicare dai disegni, esibiva questo
tipo di decorazione architettonica (cfr. fig. 17.2), con la stessa struttura dei dentelli,
sotto ai quali, come nella stanza superiore della tomba C dei Cristallini, non esiste-
vano né paraste né architrave. Come abbiamo già sottolineato, il fatto che le altre
tombe monumentali napoletane non presentino questa complessa decorazione ar-
chitettonica interna, non impedisce di considerarle unitariamente; anche ipotizzan-
do una scomparsa della decorazione pittorica, la struttura decorativa non sembra
prevedere zone figurate, privilegiando la funzione architettonica del muro, come
sembra di poter dedurre dalla costante presenza di modanature o enfatizzazioni
alla base della volta. Non è possibile nemmeno usare questa presenza o assenza di
una più complessa decorazione architettonica in funzione cronologica, perché il
semplice listello liscio che sottolinea comunque la base della volta è presente sicu-
ramente nella c.d. tomba di Epichares, datata alla fine del IV sec. dalla iscrizione 92,
ma anche nelle stanze ipogee di vico Traetta, che sembrano doversi porre in sequen-
za dopo quelle del complesso dei Cristallini. Una articolata decorazione architetto-
nica manca anche nella tomba di S. Maria La Nova 93, ma la stessa varietà, non si-
gnificativa di cronologia, è stata notata nelle tombe macedoni, dove anzi «una più
semplice forma di decorazione interna è la norma» 94.
89
Cfr. Pensabene 1993, p. 104.
90
Cfr. Lefkadia: Petsas 1966, p. 45 ss.; Vergina, tomba di Euridice: Ergon, 1987 (1988), tav. 46; i
dentelli non sono presenti nella tomba ionica di Dion (tomba Sotiriadis). Anche se a Napoli questo
tipo di decorazione architettonica non è in stucco, ma scolpita nel tufo, è. interessante il confronto che
si può istituire con i frammenti di dentelli in stucco della tomba della Medusa di Arpi che rivelano una
stretta parentela con quelli della tomba dei Cristallini, oltre che, naturalmente, con quelli della tomba
di via Foria, almeno a giudicare dai disegni: cfr. Arpi 1995, p. 112, fig. 64 e p. 185 ss., fig. 108; Levi
1926, tav. a colori.
91
Roos 1976, p. 103 ss.
92
Miranda 1995, p. 46, n. 117; Levi 1926, c. 398.
93
Gabrici 1912, passim.
94
Miller 1993, p. 12 ss.
248 Sezione 3 - Neapolis
Alla base della parete i sarcofagi a kline sono l’elemento unificante di tutte le
tombe napoletane note, e permettono di non fare distinzioni tra quelle scavate nel
tufo e l’unico esempio, a S. Maria La Nova, di klinai costruite con lastroni accosta-
ti 95. Un giudizio sul tipo di decorazione che presentano è purtroppo possibile solo
per quest’ultima, attraverso disegni, oltre che per la tomba C dei Cristallini (Tav.
O.2). In questa lo splendido stato di conservazione permette di leggere bene la de-
corazione dei piedi dei letti, unico punto di possibile fantasia decorativa, in una
struttura che riproduce fedelmente gli elementi e gli incastri di una suppellettile li-
gnea 96 (cfr. fig. 8.1). Essa appartiene al tipo B, 5 della catalogazione del Kyrieleis 97
che, secondo lo studioso, è una creazione tardoclassica che complica e arricchisce i
motivi tradizionali, soprattutto inserendo [136] due girali convergenti sopra le vo-
lute del capitello eolico di coronamento. E una decorazione caratteristica di troni e
klinai dal IV sec. 98, che significativamente compare anche su pezzi classicistici che
hanno il loro prototipo nel IV sec. 99. È interessante anche il confronto con l’equiva-
lente decorazione a S. Maria La Nova, dove la sequenza degli elementi decorativi,
più libera e corsiva, con una testina che individua il punto di incastro delle sbarre
del letto, evidenzia con efficacia l’aspetto in definitiva più classico dell’esemplare
dei Cristallini, nella logica consequenzialità dei singoli elementi decorativi.
La libertà ornamentale che si manifesta spesso su questi oggetti impedisce di
promuoverli ad elemento discriminante di una cronologia, e tuttavia va sottolinea-
ta, nella tomba dei Cristallini, questa coerente ispirazione classicistica che trovere-
mo anche in altri particolari decorativi.
95
Gabrici 1912, p. 151 ss.
96
La presenza della kline non è caratterizzante della tipologia del sepolcro: cfr. Fedak 1990, p. 25;
un elenco di klinai in Grecia è in Vollmöller Totenbetten; un aggiornamento è in Miller 1993, p. 14-15,
nota 81; le klinai sono presenti anche nelle tombe a camera etrusche e apule oltre che nelle tombe ta-
rantine, sia pure come si è detto, con diverso uso.
97
Cfr. Kyrieleis 1968, p. 170, fig. 27, variante n. 5.
98
Tra i molti esempi, per i quali si rimanda alla bibl. di nota 96, un confronto molto vicino, per la
decorazione dei piedi del letto, è con il trono A di una tomba di Eretria Totenbetten, p. 347 ss., tav. 13,2
e 14, della metà del III sec. a. C.); con la kline di una tomba di Potidea (K. L. Sismanidis, in Deltion, 39,
13, Chron., 1984, p. 223-224, fig. 108 b-109 a-b); nella tomba ionica di Dion (G. Sotiriadis, Anaska-
phai Dion Makedonias, in Praktikà 1930, fig. 3, a p. 42); con i piedi del trono, per altro più riccamente
decorato, della tomba di Euridice a Vergina (cfr. Ergon, 1987, tav. 48); con la kline di una tomba di
Vergina (Anaskaphès Berginas, in Egnatia, 9, 1989, p. 345, fig. a colori); più pesanti e insieme sempli-
ficate le gambe della kline della tomba 20 di Taranto e in tombe di Alessandria (Tiné Bertocchi 1964,
p. 78, fig. 59; Adriani 1963, 1966, tav. 55, fig. 195, n. 84; tav. 59, fig. 206-208, n. 85, 86, 88; tav. 60, fig.
210).
99
Cfr. D. Mustilli, Museo Mussolini, tav. 38,160 (12).
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 249
100
Blech 1982; Miller 1993, p. 46-48.
101
Sul significato e l’uso del mirto cfr. Blech 1982, p. 57-58; nell’ambiente superiore questo tipo di
corona si trova in posizione centrale sulle pareti, tra due corone di bende attorcigliate, del tipo di quelle
presenti negli ipogei di vico Traetta.
102
Sedes, tomba gamma: N. C. Kotzias, in Arch. Ephem., 1937, p. 866-895, in particolare p. 874-
875, fig. IX e X; Dion, tomba Sotiriadis: Praktikà, 1930, p. 47; Praktikà, 1932, fig. 2.
103
Egina (Meristos): G. Welter, Aeginetika XIII-XXIV, in AA, 1938, c. 517-520, fig. 32-33; Delo:
Ph. Bruneau, in BCH, 99, 1975, p. 290-291, fig. 11-13.
104
Questo stesso tipo astratto di corona si trova nelle pitture delle tombe di Paestum, necropoli di
Spinazzo (cfr. Rouveret-Pontrandolfo 1983, fig. 26), degli inizi del III sec.; nella tomba di Egina (Me-
ristos), cit. alla nota precedente, tardo ellenistica; nella tomba 19 di Taranto (a giudicare dai disegni),
datata al II sec. a. C. (Tiné Bertocchi 1964, p. 71 ss.).
250 Sezione 3 - Neapolis
105
Sicuramente d’oro nelle tombe di via Foria e di vico Traetta.
106
Rutkowski 1979, p. 174 ss.; cfr. anche Dohrn 1959, p. 45-64.
107
Il candelabro, ora al Museo di Taranto, è illustrato in Rutkowski 1979, p. 219, fig. 49-51; si
tratta di una tipologia documentata anche nelle figurazioni della ceramica dell’Italia meridionale.
108
Sotiriadis 1906, p. 78 ss.; Stais 1910, inv. 13164, p. 301, fig. a p. 302; Papaspiridi Karousou
1975, p. 70 ss.; Rutkowski 1979, fig. 39-41.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 251
rotto da una modanatura a metà altezza, e il sostegno del piatto superiore in forma
di capitello corinzio, richiamano molto più da vicino l’esemplare di Mahdià 109.
La grande patera dorata, decorata all’esterno, della tomba C dei Cristallini (Tav.
N.3), non trova confronti puntuali in oggetti che, per la loro specifica forma, riser-
vano generalmente al tondo centrale interno la raffigurazione 110; ma, appunto per
questo, l’immagine dipinta rivela una voluta ed esplicita allusività, di grande inte-
resse per una connotazione, oltre che per una precisazione cronologica della tomba
stessa. Il soggetto raffigurato non è uno specifico mito di Dioniso, ma la «parousia»
stessa del dio, che in coppia con Arianna, nello schema del «Pyramidengruppe»
mette in scena una ierogamia con implicazioni sottilmente simboliche. È nel corso
del IV sec. a. C. che, attraverso una selezione di segni iconografici e di elementi del
mito, documentata anche sulla ceramica italiota, le figurazioni dionisiache si cari-
cano di allusioni ad interiorizzate [139] esperienze spirituali e ad una religiosità
iniziatica. La ricchissima e molto più esplicita scena riprodotta sul cratere di Derve-
ni rivela con chiarezza l’appropriazione e la funzionalizzazione in ambito funerario
di un tema al quale, in maniera più sintetica e allusiva, faranno riferimento altre, più
modeste raffigurazioni nel corso dell’età ellenistica, sia in decorazioni di oggetti
preziosi che nelle artigianali riproduzioni della ceramica a rilievo 111. Un confronto
molto vicino allo schema figurativo qui riprodotto si trova, in materiale prezioso,
su un diadema d’argento, decorato a repoussé, del Metropolitan Museum (fig. 18.1),
proveniente da una tomba insieme ad altri gioielli, e datato alla fine del IV sec. a. C.;
ma lo si trova anche nella placca decorativa di un vaso di ceramica a rilievo, del
British Museum 112.
Anche gli oggetti raffigurati nelle altre tombe – patera, skyphoi, patere mesonfa-
liche, oinochoai e cratere a calice nella tomba di via Foria (fig. 17.2); lucerne bilicni
nella tomba di vico Traetta (fig. 14.4-5) – si prestano a considerazioni antiquarie. Si
tratta, in tutti i casi, di vasellame prezioso, in argento o oro, connesso sempre, per le
forme accuratamente identificate, con la sfera rituale, quasi una dimostrazione che
tutti i riti sono stati compiuti; appunto a questi riti ci sembra che questi oggetti ri-
mandino, senza alcuna volontà di connotare specificatamente uno status, evocando
un ricco corredo.
109
Cfr. Schiffsfund von Madhià, p. 607 ss.; in particolare cfr. p. 610, fig. 3; p. 611, fig. 5-6; p. 621,
fig. 22-23.
110
Cfr. Luschey 1939, p. 37.
111
Cfr. LIMC, s. v. Dionysos, soprattutto p. 509 ss.; per il cratere di Derveni: Giouri 1978; Greifen-
hagen 1980.
112
Per il diadema cfr.: BMetrMus, 1, 1906, p. 118 ss., con cronologia alla fine del IV sec. a. C.
(Richter); per il vaso a rilievo cfr.: Courby 1922, p. 210, fig. 34. 1 e tav. VI, B.
252 Sezione 3 - Neapolis
1 2
3 4
Fig. 18 - 1. Diadema d’argento con Dioniso e Arianna, proveniente da una tomba di IV sec. a.C. (da BMetrMus
1906); 2. Testa in terracotta dalla stipe di S. Aniello, Napoli, Museo Nazionale (Fot. Museo); 3. Candelabro in
ferro da una tomba di IV sec. a.C. di Ruvo (da Rutkowski 1979); 4. Candelabro d’argento da una tomba della
fine IV-inizio III sec. a.C. di Trichonion (Etolia) (da Rutkowski 1979).
113
Per altri esempi di figurazioni in pittura di vasi rituali cfr. Rouveret-Pontrandolfo 1992, p. 37
(«vasi e contenitori») con rimando alle singole figurazioni. Sul vasellame argenteo ellenistico cfr.:
Kopke 1964, p. 22 ss.; Strong 1966; Silver for the Gods 1978; Reinsberg 1980; Pfrommer 1987
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 253
oggetti che, al limite, possono anche prescindere da una volontà [140] realistica,
togliendo quindi valore cronologico alle osservazioni antiquarie.
Anche la straordinaria figurazione della lunetta della parete di fondo con la testa
di Medusa, della tomba C dei Cristallini (Tav. M.2), sembra poter trovare un paral-
lelo nella tomba di via Foria, dove, nella stessa zona della parete è conservato, in
pittura, un tondo delimitato da linee colorate, all’interno del quale la figurazione è
andata perduta. Nella tomba dei Cristallini la scelta iconografica e la sua posizione
all’interno del sistema decorativo della tomba sottolineano l’architettonicità evi-
dente del sistema stesso, nello stesso tempo creando un fuoco, un punto di fuga
privilegiato che attenua il ritmo paratattico della sequenza delle paraste.
Il tipo di Medusa umanizzata qui raffigurato, completamente frontale e tagliata
sotto il mento, si collega alla iconografia arcaica solo attraverso i serpentelli tra i
capelli 114. Tenendo per il momento distinto il livello tipologico da quello significan-
te, una caratteristica delle teste di Medusa presenti nelle innumerevoli riproduzioni
documentate fin dalla prima età ellenistica, sono le alucce inserite nella chioma, che
mancano nel nostro esemplare, nel quale inoltre i capelli, raccolti e ravviati indietro,
invece che, come di norma, a ciocche sciolte, alzate sulla fronte e disordinatamente
disposte intorno al volto, hanno un aspetto originale. È invece possibile un confron-
to immediato del volto della Medusa con una testa di terracotta della stipe di S.
Aniello di Napoli, datata ancora nel IV sec. a. C. 115 (fig. 18.2). Possibili confronti
sono anche proponibili con un avorio e con un disco d’oro dalla tomba macedone
di Filippo 116, anche se la testa dell’ipogeo dei Cristallini è rappresentata all’interno
dell’egida, realizzata come una raggiera di foglie embricate 117. Si tratta di una ico-
nografia che sembra rielaborata in maniera originale e non stereotipa, mentre la
evidente frontalità mantiene intatto il significato apotropaico originario, e i denti
che si intravedono tra le labbra semiaperte conservano un ricordo del precedente
aspetto terrorizzante. Manca in questa testa sia l’accentuazione patetica, presente,
per esempio, nella decorazione del triangolo frontonale esterno della [141] tomba
della Medusa di Arpi, sia la impostazione di tre quarti, che troviamo nella Medusa
su scudo dipinta in una tomba da Egnatia della metà del III sec., e nella stessa tomba
114
La definizione del tipo di «Medusa bella» è del Buschor, nella sua ricerca sulla Medusa Ronda-
nini e sul suo prototipo (cfr. Buschor 1958); non c’è tuttavia accordo nè sulla cronologia dell’archetipo
nè sull’ambito geografico della elaborazione del nuovo tipo; sembra accertato che sia presente come
calma immagine di bellezza già dalla metà del V sec. a. C. ma la documentazione aumenta notevolmen-
te dalla metà del IV sec. a. C.: cfr. LIMC, s. v. Gorgones; Floren 1977; Benson 1980, p. 373 ss.; Callagan
1981, p. 59 ss.; Benson 1995, p. 410 ss.
115
M. R. Borriello, A. De Simone, La stipe di S. Aniello, in Napoli antica 1985, p. 159-170.
116
Cfr. Andronikos 1984, p. 190, fig. 152-153.
117
Cfr. Hartswick 1993, p.269 ss.
254 Sezione 3 - Neapolis
di Arpi - per altro con le ali - impostazione che comporta anche un’estensione della
figura fino al collo 118. Decisamente di tradizione più specificamente classica è la
rappresentazione dell’egida che è poi quella tipica degli umboni di scudi o della loro
riproduzione sul fondo delle phialai in argento o in terracotta 119.
Dal punto di vista tipologico quindi, anche se non si può considerare un unicum,
la Medusa dei Cristallini presenta una notevole originalità, specie per il trattamen-
to dei capelli e si riallaccia con evidenza ad esemplari del IV sec. Dal punto di vista
semantico invece, si conferma che la valenza funeraria di queste figurazioni è stata
elaborata in ambito magnogreco. La funzione apotropaica originaria, insieme al
simbolismo ctonio dei serpenti, hanno certamente facilitato questa trasformazione
di significato che trova forse la sua prima espressione nella decorazione delle anse
dei vasi funerari apuli e canosini 120. Più incerto resta il significato dei dischi in terra-
cotta con raffigurazione di Medusa rinvenuti in alcune tombe macedoni 121.
Non ci è possibile commentare la decorazione del timpano della tomba di via
Foria, probabilmente simile, a giudicare dalle tracce rimaste, mentre nella tomba di
S. Maria La Nova e in quelle di vico Traetta questa zona è senza figurazioni.
La completezza decorativa della tomba C dei Cristallini è documentata anche
dalla pavimentazione dipinta, con motivi decorativi limitati alla fascia perimetrale
e al motivo centrale (Tav. P. 3-5). Si tratta di uno schema decorativo generato pro-
prio dalla semplice struttura dell’ambiente che il bordo a girali sottolinea e che la
decorazione centrale, probabilmente in corrispondenza della lampada [142] appe-
sa al soffitto, non interrompe. Considerato nel suo rapporto col resto della decora-
zione, con la quale entra in sistema, questo pavimento sembra espressione coerente
dello stesso rigore architettonico testimoniato da tutte le altre scelte decorative, tese
a sottolineare una compatta definizione dell’ambiente, e trova numerosi riscontri
nei più antichi schemi decorativi pavimentali.
118
Cfr. per Egnazia: Tinè Bertocchi 1964, p. 51 ss., fig. 33, 35; Messapi e Peucetii 1988, fig. 697-698
(con le ali); L’Arab 1994 (1996), p. 311 ss. Per Arpi: Arpi, 1995, p. 87 ss., fig. 54 e p. 320 ss. (sempre
nella iconografia con le ali).
119
Si tratta sempre della iconografia della Medusa con le ali tra i capelli scarmigliati che appare sul
fondo di coppe a medaglione centrale inserito, presenti anche in Apulia dalla fine del IV sec. a. C. e in
uso per lungo tempo, con probabile centro di fabbricazione a Creta: cfr. Hadjimichali 1971, p. 168 ss.
Per la presenza di questa iconografia sulle antefisse tarantine cfr. Laviosa 1954, p. 217-250.
120
Presenti già nella produzione del primo quarto del IV sec. a. C., (cfr. Floren 1977, p. 197), le teste
di Medusa presentano una iconografia varia, con o senza ali: cfr. van der Wielen 1992, p. 520 ss.;
Herdejürgen 1978; Herdejürgen 1983, p. 45 ss.; Lippolis, in Arpi 1995, p. 317 ss. Lo sguardo immo-
bilizzante della Medusa si traduce facilmente in una metafora della morte: cfr. Vernant 1990.
121
I dischi trovati in tombe a camera ad Eretria (Toumba) e a Sedes (Salonicco) portano sul retro
l’impronta del fulmine di Zeus: Vollmöller 1901, p. 333 ss.; N. C. Kotzias, in Arch. Ephem., 1937, 3,
p. 866 ss.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 255
122
Cfr. per una sintesi sui problemi dei più antichi pavimenti a mosaico, Baldassarre 1994, p. 433
ss.; Dunbabin 1994.
123
Cfr. Mazzei 1995, p. 1 ss.; Mazzei, in Arpi 1995, p. 189 ss.; Baldassarre 1997; l’unico confronto
citato dalla Mazzei per il pavimento dipinto di Arpi è il pavimento della tomba di Langazà (ibid., p.
189, nota 3), in cui un rettangolo è decorato a losanghe alternate in giallo, nero e rosso, gli stessi colori
usati nella tomba C dei Cristallini. Per i nuovi, e cronologicamente problematici rinvenimenti di que-
ste tipologie di pavimenti in Roma, cfr. Papi 1995, p. 337 ss.
124
Cfr. Gabrici 1912, p. 155.
125
Cfr. Miller 1993, p. 13-14 e note 74-76.
126
Cfr. per es. le statuette in terracotta da una tomba presso Stavroupoli (Xanthi): C. I. Makaronas,
in Praktikà, 1953, p. 137 ss. Per il significato delle offerte di frutta, cfr. Muthmann 1982.
256 Sezione 3 - Neapolis
Osservazioni conclusive
127
Cfr. una sintesi dei problemi in E. Lepore, La città tra Campani e Romani, in Napoli antica 1985,
p. 109 ss. con la bibl. precedente; R. Cantilena, La monetazione, ibid., p. 352 ss.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 257
abitative o pubbliche e dei canoni estetici che in esse si esprimevano: forse le faccia-
te monumentali delle tombe esaminate ce ne possono offrire una testimonianza,
così come la qualità della pittura esaminata, perfettamente padrona delle tecniche
dello sfumato, o la raffinatezza stilistica della testa della Medusa che si ritrova nelle
coeve terrecotte. Si tratta di documenti eccezionalmente ricchi e raffinati, e tuttavia
espressione di una cultura particolare in quanto erede anche della tradizione italica,
rispetto alla quale tuttavia si differenziano, in quel non sentire l’esigenza di eroizza-
zione che è sempre sottesa nelle composizioni figurate che ornavano le tombe di
ambito lucano e continuano nella produzione campana e poi romana ad essa con-
temporanea 128.
«È difficile - diceva Morel - evocare l’arte di Napoli senza confrontarsi con pro-
blemi di influenze ricevute e trasmesse» 129: in questa dialetticità, in definitiva forte-
mente creativa, va forse riconosciuta la sua funzione più duratura.
Elenco Abbreviazioni
Adriani 1963, 1966 = A. Adriani, Repertorio d’arte dell’Egitto greco-romano, Serie C, voll.
I-11, Palermo, 1963 e 1966
Andronikos 1969 = M. Andronikos, Bergina I°. To nekrotapheion ton tymbon, Atene, 1969
Andronikos 1984 = M. Andronikos, Verghina: The royal tombs and the ancient city, Atene,
1984
Arpi 1995 = M. Mazzei (a cura di), Arpi. L’ipogeo della Medusa e la necropoli, Foggia, 1995
128
Cfr. anche l’articolo di S. De Caro, in questo stesso volume.
129
J. P. Morel, in Neapolis 1986, p. 305.
258 Sezione 3 - Neapolis
Bartoli 1985 = L. Bartoli, Le cavità sotterranee, in G. Macchiaroli ed., Napoli. Una storia
per immagini, Ercolano, 1985, p. 379 ss.
Benson 1980 = J. D. Benson, The Medusa Rondanini: a new Look, in AJA, 84, 1980, p. 373
ss.
Benson 1995 = C. Benson, Medusa and the Gorgon, in E. D. Reeder ed., Pandora. Woman in
classical Greece, Princeton, 1995, p. 410 ss.
Beschi 1969-70 = L. Beschi, Divinità funerarie cirenaiche, in Annuario Scuola arch. italiana
di Atene, n. s. 31-32, 1969-70, p. 134 ss.
Blech 1982 = M. Blech, Studien zum Kranz bei den Griechen, Berlino-New York, 1982
Bruno 1969 = J. V. Bruno, Antecedents of the Pompeian First Style, in AJA, 73, 1969, p.
305-317
Callagan 1981 = P. Callagan, The Medusa Rondanini and Antiochus III, in BSA, 76, 1981,
p. 59 ss.
Cassels 1955 = J. Cassels, The Cemeteries of Cyrene, in PBSR, XXIII, 1955, p. 2-43
Colonna 1967 = G. Colonna, L’Etruria meridionale interna dal Villanoviano alle tombe
rupestri, in SE, 37, 1967, p. 1 ss.
Colonna 1985 = G. Colonna, Per una cronologia della pittura etrusca di età ellenistica, in
Ricerche di pittura ellenistica, Roma, 1985, p. 139 ss.
Colonna Di Paolo 1978 = E. Colonna Di Paolo, Necropoli rupestri del Viterbese, Novara,
1978
De Caro 1983-84 = S. De Caro, Una nuova tomba dipinta da Nola, in RIASA, 3a serie, 6/7,
1983-84, p. 80 ss.
De Jorio 1824 = A. De Jorio, Metodo per rinvenire e frugare i sepolcri antichi, Napoli, 1824
Dentzer 1968 = J. M. Dentzer, Les systèmes décoratifs dans la peinture murale italique, in
MEFRA, 80, 1968, p. 85 ss.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 259
Dohrn 1959 = T. Dohrn, Zwei etruskische Kandelaber, in RM, 66, 1959, p. 45-64
Dunbabin 1994 = K. M. D. Dunbabin, Early pavement types in the West and the invention
of tessellation, in Fifth Int. Colloquium on ancient Mosaics (Bath 1987), in JRA, Suppl.
series, 9, vol. I, 1994, p. 26-40
Enklaar 1985 = A. Enklaar, Chronologie et peintures des hydries de Hadra, in BaBesch, 60,
1985, p. 106 ss.
Fedak 1990 = J. Fedak, Monumental Tombs of the Hellenistic Age: a study of selected tombs
from the preclassical to the early-imperial Era, Toronto, 1990
Floren 1977 = J. Floren, Studien zur Typologie des Gorgoneion, Muenster, 1977
Gabrici 1912 = E. Gabrici, Tomba ellenistica di S. Maria la Nuova in Napoli, in RM, 27,
1912, p. 148-161
Hadjimichali 1971 = V. Hadjimichali, Recherches à Latò, in BCH, 95, 1, 1971, p. 168 ss.
Hartswick 1993 = K. J. Hartswick, The Gorgoneion on the Aigis of Athena: Genesis, Sup-
pression and Survival, in RA, 1993, p. 269 ss.
Johannowsky 1972 = W. Johannowsky, Nuove tombe dipinte capuane, in Atti 11° Conve-
gno di studi sulla Magna Grecia (Taranto 1971), Napoli 1972, p. 375 ss.
Kopke 1964 = G. Kopke, Golddekorierte attische schwarzfirnis Keramik des 4° Jahrh. v. C.,
in AM, 79, 1964, p. 22 ss.
Lamboley 1982 = J. L. Lamboley, Les hypogées indigènes apuliens, in MEFRA, 94, 1982, p.
91 ss.
L’Arab 1991 = G. L’Arab, L’ipogeo Palmieri di Lecce, in MEFRA, 103, 1991, p. 457 ss.
L’Arab 1994 (1996) = G. L’Arab, La tomba 12 di Egnazia: una rilettura, in Taras, XIV, 2,
1994 (1996), p. 311 ss.
L’Arab Vaste = G. L’Arab, L’ipogeo delle Cariatidi di Vaste, in Taras, 11, 1991, p. 19 ss.
Lauter-Bufe 1982 = H. Lauter-Bufe, Zur Fassade des Scipionengrabes, in RM, 89, 1982, p.
35 ss.
Lepore 1983 = E. Lepore, Roma e le città greche o ellenizzate, in Les «bourgeoisies» muni-
cipales italiennes, Napoli, 1983, p. 347-354
Levi 1926 = A. Levi, Camere sepolcrali scoperte in Napoli durante i lavori della direttissima
Roma-Napoli, in MAL, 31, 1926, c. 377-402
Lippolis 1994 = E. Lippolis, La tipologia dei «semata», in Museo di Taranto, III, 1, Taranto,
1994, p. 108-128
Mazzei 1995 = M. Mazzei, Mosaici ellenistici di Arpi, in Atti 2° Colloquio AISCOM (Roma
1994), Bordighera, 1995, p. I ss.
Mertens 1990 = D. Mertens, L’architettura, in Magna Grecia, Epiro, Macedonia, Atti 24°
Convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto 1984), Napoli, 1990, p. 440 ss.
Messapi e Peucetii 1988 = F. D’Andria, Messapi e Peucetii, in Italia, omnium terrarum alum-
na, Milano, 1988, p. 653 ss.
13 - Documenti di pittura ellenistica da Napoli 261
Miller 1971 = St. Miller Grobel, Hellenistic Macedonian Architecture: its style and painted
ornamentation, Ann Arbor, 1971
Miller 1982 = S. G. Miller, Macedonian Tombs: Their Architecture and architectural deco-
ration, in Studies in the History of Art, 10, 1982, p. 152 s.
Miller 1993 = S. G. Miller, The Tomb of Lyson and Kallikles. A Painted Macedonian Tomb,
Magonza, 1993
Miranda 1995 = E. Miranda (a cura di), Iscrizioni greche d’Italia. Napoli II, Roma, 1995
Muthmann 1982 = F. Muthmann, Der Granatapfel. Symbols des Lebens in der Alten, Berna,
1982
Neapolis 1986 = Neapolis. Atti 25° Convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto 1985),
Napoli, 1986
Pandermalis 1989 = D. Pandermalis, The Sacred City of the Macedonians at the Foothills of
Mt. Olympos, Atene, 1989
Papi 1995 = E. Papi, I pavimenti delle domus della pendice settentrionale del Palatino (VI-II
sec. a. C.), in Atti 2° Colloquio AISCOM (Roma 1994), Bordighera, 1995, p. 337 ss.
Principi 1992 = R. Cassano (a cura di), Principi, imperatori, vescovi. Duemila anni di storia
a Canosa, Venezia, 1992
Ronczewski 1927 = K. Ronczewski, Kapitelle aus Tarent, in AA, 1927, c. 263 SS.
Roos 1976 = P. Roos, Observations on the internal Proportions of the ionic Dentil in the
Aegean, in RA, 1976, p. 103 ss.
Ruggiero 1888 = M. Ruggiero, Documenti degli scavi di antichità nelle province di terrafer-
ma dell’antico Regno di Napoli dal 1743 al 1876, Napoli, 1888
Rutkowski 1979 = B. Rutkowski, Griechische Kandelaber, in JdI, 94, 1979, p. 147 ss.
Schiffsfund von Madhià = AA.VV., Das Wrack der Antiken Schiffsfund von Madhià, Bonn,
1994
Shoe 1965 = L. T. Shoe, Etruscan and Republican Roman Moulding, in MAAR, 28, 1965
Silver for the Gods 1978 = A. Oliver jr., Silver for the Gods. 800 Years of greek and roman
Silver, Toledo Museum of Art, 1978
Sotiriadis 1906 = G. Sotiriadis, Ek Taphon tes Aitolìas, in Arch. Ephem., 1906, p. 78 ss.
Stais 1910 = V. Stais, Marbres et bronzes du Musée Nat. d’Athènes, Atene, 1910
Steingraeber 1984 = S. Steingraeber, Catalogo ragionato della pittura etrusca, Milano, 1984
Strong 1966 = D. E. Strong, Greek and Roman gold and silver plates, Londra, 1966
von Sydov 1984 = W. von Sydov, Die Hellenistischen Gebaelke in Sizilien, in RM, 91, 1984,
p. 239 ss.
Taranto. La necropoli = E. Lippolis ed., Taranto. La necropoli. Catalogo del Museo nazio-
nale di Taranto, III, 9, Taranto, 1994
Tiné Bertocchi 1964 = F. Tiné Bertocchi, La pittura funeraria apula, Napoli, 1964
Tomlinson 1967 = R. A. Tomlinson, False-Façade Tombs at Cyrene, in BSA, 62, 1967, p. 241
ss.
Venit 1988 = M. S. Venit, The painted Tomb from Wardian and the Decoration of Alexan-
drian Tombs, in JARCE, 25, 1988, p. 71 ss.
Vernant 1990 = J.-P. Vernant, La mort dans les yeux, Parigi, 1990
van der Wielen 1992 = F. van der Wielen, La ceramica a decorazione policroma e plastica in
Principi, 1992, p. 520 ss.
Zazoff 1985 = P. Zazoff - Ch. Hoecker - L. Schneider, Zur Thrakischen Kunst in Fruehelle-
nismus, in AA, 1985, p. 595 ss.
265
14
* Da I. Bragantini (a cura di), Atti del X congresso internazionale dell’AIPMA (Association Inter-
nationale pour la peinture murale antique, Volume I, (AIONArchStAnt, Quad. 18), Napoli 2010, pp.
3-13.
266 Sezione 3 - Neapolis
1
Cfr. De Caro 1983-84; De Caro 1991; De Caro 1998; Pontrandolfo, Rouveret 1992; Pontrandol-
fo 1996; Sampaolo 1995; Sampaolo 2002; Benassai 2001.
2
Cfr. Brecoulaki 2001; Brecoulaki 2006.
14 - Napoli ellenistica e la produzione pittorica campana 267
3
Capua, necropoli di S. Prisco, tomba 16, lastra con oplita (Napoli, Museo Archeologico Naziona-
le): Benassai 2001, fig. 225. Nola, via Seminario, tomba 42, lastra con cavaliere: De Caro 1983-84;
Benassai 2001, fig. 210. Paestum, necropoli di Andriuolo, tomba 58, lastra con cavaliere: Pontrandol-
fo, Rouveret 1992, fig. a pag. 153.
4
Nola - Cimitile, tomba Weege 30 e Nola, via Seminario, tomba 42, fregi con scena di “ritorno del
guerriero”: Benassai 2001 figg. 211 e 213. Paestum, necropoli di Vannullo, tomba 4, lastra con scena
di “ritorno del guerriero”: Pontrandolfo, Rouveret 1992, fig. a pag. 287.
5
Cuma tomba Weege 1, lastra con matrona e ancella: Benassai 2001, fig. 179.
6
Paestum, necropoli di Spinazzo, tomba 11: Pontrandolfo et al. 1997, fig. 69.
7
Capua, tomba del sacerdote sannita (Weege 25), lastra con personaggi entro architetture: De
Caro 1998; Benassai 2001, fig. 14.
268 Sezione 3 - Neapolis
8
La documentazione è limitata alla stipe votiva di S. Aniello oltre alle tombe dipinte qui esaminate,
cfr. Baldassarre 1985, e Borriello, De Simone 1985.
9
Cfr. Baldassarre 1998 e Valerio 2007.
10
Cfr. Pontrandolfo, Vecchio 1985.
14 - Napoli ellenistica e la produzione pittorica campana 269
In uno di questi complessi, cosiddetto dei Cristallini, la tomba “C”, la più grande
delle quattro di cui il complesso si compone, presenta, straordinariamente conser-
vata, la decorazione pittorica, solo frammentariamente documentabile nelle altre
tombe.
All’interno la tomba è costituita da due camere sovrapposte ma non in asse tra
di loro, di cui quella superiore ha il pavimento quasi completamente occupato dalla
scala di accesso alla camera inferiore, la vera camera funeraria, ipogea [13, fig. 7].
La stanza superiore si presenta come un vestibolo dedicato al culto dei morti,
funzione sottolineata dai banconi intonacati che corrono lungo le tre pareti e dal
fatto che, sulla faccia anteriore del bancone di fondo, è scolpito il profilo di una
trapeza, evidente allusione simbolica ai pasti funerari cui era riservato l’ambiente.
La pittura individua e sottolinea tutte le articolazioni architettoniche, sia nelle mo-
270 Sezione 3 - Neapolis
11
I moduli si ripetono per 34 volte.
14 - Napoli ellenistica e la produzione pittorica campana 271
cotta e che, appunto per questa caratteristica, si distinguono dagli autentici letti
funebri delle contemporanee tombe macedoni. Sono sagomati all’esterno in forma
di klinai, con materassi e doppi cuscini scolpiti e dipinti in giallo, azzurro e rosso
(Tavv. O.2, P.1).
Lo splendido stato di conservazione permette di leggere anche la decorazione dei
piedi che riproduce quella dei troni e delle klinai di IV sec. a.C. documentati in Ma-
cedonia e anzi si avvicina agli esemplari più antichi per i caratteristici girali impo-
stati sopra le volute del capitello eolico di coronamento.
Tra le paraste, al di sopra dei sarcofagi, sono raffigurati eleganti festoni di corone
e di alloro, del tipo rigido, stretti ad intervalli da fasce dorate, resi con delicate va-
riazioni del colore verde e con sovrapposizione di pennellate nere in funzione chia-
roscurale (Tav. P.2). Il loro dispiegarsi sulle pareti lunghe aumenta l’impressione di
spazialità e crea un punto di convergenza verso la parete di fondo, la più importan-
te.
In questa infatti, al posto dei festoni sono raffigurate, con una tecnica a macchia,
corone appese a chiodi dipinti e rappresentati in prospettiva (Tav. M.1). Questa
stessa parete è poi ulteriormente valorizzata dalla straordinaria decorazione della
lunetta dove è rappresentato un gorgoneion entro egida, scolpito, inserito in un in-
casso della parete e completato dalla pittura (Tav. M.2). Tipologicamente appartie-
ne alla variante umanizzata della Medusa, cosiddetta “Gorgone bella”: perfetta-
mente frontale, con il volto dai larghi piani, gli occhi rivolti in alto, le labbra semia-
perte che lasciano intravedere i denti, conserva tracce di pittura su tutto il volto. La
massa dei capelli ondulati, divisi dalla scriminatura centrale e ravviati indietro, ac-
compagna l’ovale del volto, incorniciato sotto il mento da due serpenti allacciati nel
nodo erculeo; altri serpentelli sbucano tra i capelli, realizzati sia in rilievo che in
pittura. Attorno alla testa in rilievo è dipinta l’egida in forma di foglie lanceolate ed
embricate che sfumano dal marrone all’azzurro al bianco della nervatura centrale,
con evidenti effetti di luce, che rivelano una grande padronanza delle più evolute
tecniche pittoriche.
La Medusa, che non presenta le tradizionali piccole ali inserite tra i capelli, riela-
bora in maniera originale e non stereotipa l’iconografia [8] tradizionale anche se la
evidente frontalità mantiene intatto il significato apotropaico originario. Dal punto
di vista semantico si conferma invece che la valenza specificamente funeraria della
testa gorgonica è stata elaborata in ambito magnogreco 12.
12
La funzione apotropaica originaria insieme al simbolismo ctonio dei serpenti hanno certamente
favorito la pregnanza funeraria di questa raffigurazione che trova la sua prima espressione nella deco-
razione delle anse dei vasi funerari apuli e canosini.
272 Sezione 3 - Neapolis
13
La tomba, come documentano le iscrizioni a carboncino, di età romana, che deturpano la deco-
razione pittorica della stanza inferiore, ha subìto un riuso responsabile di una sua iniziale datazione
ad epoca romana, cfr. Miranda 1995, p. 22 ss.
14
L’uso della pittura nella decorazione pavimentale trova, in ambito occidentale, un parallelo in
una tomba di Arpi (Apulia) del tardo IV sec. a.C., mentre, sempre in tomba, se ne conosce un unico
esempio in Grecia, a Langazà: cfr. Baldassarre 1997.
14 - Napoli ellenistica e la produzione pittorica campana 273
15
Cfr. Baldassarre 1998, pp. 115-144.
16
Cfr. Gabrici 1912.
17
Cfr. Levi 1926.
274 Sezione 3 - Neapolis
18
La documentazione comprende circa venti monumenti.
19
Cfr. Borriello et al. 1985
14 - Napoli ellenistica e la produzione pittorica campana 275
esperienze italiche e magnogreche, può a questo punto proporsi anche come model-
lo, la cui autentica classicità è garantita dalla città stessa che, ristretta nei suoi con-
fini di polis, ha saputo costruire una sua integrità di città greca riuscendo ad impor-
ne l’immagine.
La padronanza e la funzionalizzazione immediata delle conquiste tecniche, l’a-
dozione di canoni estetici innovativi, la coerente creatività che questi monumenti ci
lasciano intuire, sono spia di una vivace ed esigente committenza e permettono di
annoverare Napoli, fin dal primo ellenismo, tra i più vivaci ed originali centri elle-
nistici, dialettico punto di incontro di influenze ricevute e trasmesse soprattutto in
relazione alla Campania interna e a Roma.
276 Sezione 3 - Neapolis
Abbreviazioni supplementari
Benassai 2001 = R. Benassai, La pittura dei Campani e dei Sanniti, (Atlante Tematico di
Topografia Antica, IX supplemento), Roma 2001.
Borriello et alii 1985 = M. R. Borriello et alii, ‘La necropoli di Castel Capuano’ in Napoli
Antica, Napoli 1985, pp. 232-274.
Brecoulaki 2001 = H. Brecoulaki, L’esperienza del colore nella pittura funeraria dell’Italia
preromana. V-III secolo a.C., Napoli 2001.
De Caro 1983-84 = S. De Caro, ‘Una nuova tomba dipinta da Nola’, in RivIstArch, s. III,
VI-VII, 1983-84, pp. 71-95.
De Caro 1991 = S. De Caro, ‘Arte e artigianato artistico nella Campania antica’, in G. Pu-
gliese Caratelli (ed.), La Campania. L’evo antico, Napoli 1991, pp. 293- 410.
De Caro 1998 = S. De Caro, ‘A proposito del proto secondo stile. Osservazioni sulle pitture
della tomba capuana detta del sacerdote sannita’, in L’Italie Méridionale, pp. 161-174.
Levi 1926 = A. Levi, ‘Camere sepolcrali scoperte in Napoli durante i lavori della direttissima
Roma-Napoli’, in MAL 31, 1926, cc. 377-402.
14 - Napoli ellenistica e la produzione pittorica campana 277
Miranda 1995 = E. Miranda, Iscrizioni greche d’Italia. Napoli II, Roma 1995.
Pugliese Carratelli 1996 = G. Pugliese Carratelli (ed.), I Greci in Occidente, Milano 1996.
Sampaolo 1995 = V. Sampaolo,‘Le tombe dipinte’ in AA. VV, Il Museo Archeologico dell’an-
tica Capua, Napoli 1995, pp. 49-53.
Valerio 2007 = V. Valerio, ‘Observations sur le décor peint de la tombe C du complexe mo-
numental des Cristallini, Naples’, in Descamps-Lequime 2007, pp. 149-161.
279
Tavole a colori
281
3
Tav. A - 1-3. Roma, mausoleo di Santa Costanza, i mosaici della volta dell’ambulacro.
282 La dimensione del passato
2 3
Tav. B - 1-3. Roma, mausoleo di Santa Costanza, i mosaici della volta dell’ambulacro.
283
3 4
Tav. C - 1. Cuma, tomba Weege 1: lastra con matrona e ancella, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
inv. MNA 123929; 2-3. Nola, via del Seminario, tomba 42: lastra con cavaliere, Museo Archeologico Nazionale
di Napoli inv. MNA 224929; 4. Capua, necropoli di San Prisco, tomba 16: lastra con oplita, Museo Archeologico
Nazionale di Napoli inv. MNA 264740a.
284 La dimensione del passato
Tav. D - Eretria, casa con mosaici policromi, sala da banchetto (da Cité sous terre, Basilea 2010)
285
1 2
4
Tav. E - 1. Palazzo di Vergina, particolare del mosaico della sala da banchetto
(da M. Andronicos, Vergina, Atene 1984); 2. Eretria, gorgoneion in terracotta dalla casa con mosaici policromi;
3-4. Eretria, particolari dei mosaici dalle sale da banchetto (da Cité sous terre, Basilea 2010).
286 La dimensione del passato
Tav. F - 1. Oplontis (Torre Annunziata), villa c.d. di Poppea, oecus 15.; 2. Boscoreale, villa di Fannio Sinistore,
cubiculum, particolare della parete di fondo; 3. Boscoreale, villa di Fannio Sinistore, parete di ingresso
all’ambiente H, demone.
287
Tav. G - 1. Pompei, Villa dei Misteri, oecus 5, fregio con cerimonie dionisiache; 2. Roma, via Graziosa,
casa dell’Esquilino, fregio con errationes di Ulisse; 3. Pompei, casa del Criptoportico, oecus 22, galleria
di quadri nella parte superiore della parete.
288 La dimensione del passato
3 4
Tav. H - 1. Roma, Palatino, casa di Augusto, sala delle maschere, particolari decorativi; 2. Roma, Palatino,
casa di Augusto, c.d. studiolo, soffitto in stucco e pittura; 3. Pompei, villa imperiale, oecus A, parete sud,
Dedalo e Icaro; 4. Pompei, casa del Frutteto, triclinio 11, Dedalo e Icaro.
289
Tav. I - 1. Castel di Guido, villa suburbana, sala vicina al triclinio; 2-4. Roma, Colombario
dell’Esquilino, particolari del fregio con immagini mitologiche delle origini di Roma.
290 La dimensione del passato
Tav. L - Napoli. La media cavea del teatro inglobata nell’edilizia moderna; 2. Via Anticaglia, 28: veduta
generale dell’ambulacro interno (Da Il teatro di Neapolis. Scavo e recupero urbano, Napoli 2010).
291
1 2
Tav. P - Napoli. Complesso di via dei Cristallini, Tomba C, ambiente inferiore: 1. La decorazione delle klinai;
2. Particolare delle ghirlande dipinte sulle pareti lunghe; 3. Pavimento di cocciopesto dipinto; 4. Motivo
geometrico centrale del pavimento; 5. Particolare del bordo del pavimento decorato a girali su fondo nero
(Foto Parisio).
295
2 3
5
4
Tav. Q - Napoli. Complesso di via dei Cristallini, Tomba C, ambiente superiore: 1. Particolare
della copertura a doppio spiovente con resti di decorazione dipinta sulle membrature;
2. Fregio su fondo blu, dettaglio di un grifo del timpano della parete sud-ovest; 3. Fregio su
fondo blu, dettaglio di una testa della parete sud-est; 4. Particolare di una composizione
floreale del timpano della parete sud-ovest; 5. Particolare delle corone che decorano la parete
destra, in alto (da Valerio 2007).
296 La dimensione del passato