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con i contributi di
DIPARTIMENTO DI SCIENZE
DELLA TERRA E
GEOAMBIENTALI
Il Castello Aragonese di Taranto in 3D
nell’evoluzione del paesaggio naturale
Responsabile Scientifico
Giuseppe Mastronuzzi
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali,
Università degli Studi “Aldo Moro”, Via E. Orabona, 4 - Bari
Art Director
Maurilio Milella
42
La frequentazione del sito da parte dei
coloni greci appare fortemente
condizionata dalla morfologia del
territorio. L’area individuata per
l’ubicazione della polis, infatti, si
estende in una posizione privilegiata:
un altopiano peninsulare (akropolis)
proteso tra due mari, il Mar Piccolo e il
Mar Grande, e collegato all’ampio
territorio orientale da un istmo, punto
nodale nell’articolazione urbanistica
della città fino ai giorni nostri con il
taglio del Canale Navigabile.
La documentazione finora disponibile
fornisce pochi dati sui primi due secoli
di vita della città greca ma possiamo
senza dubbio affermare che l’arrivo dei
coloni dalla Laconia deve essere stato Figura 2.2 – S. Domenico. Resti di
traumatico per la popolazione indigena focolare dell’età del Bronzo.
di cultura iapigia, come testimoniano i
livelli d’incendio delle capanne dell’età del Ferro ritrovati negli scavi
condotti nell’area del chiostro di San Domenico (Gorgoglione, 1991, pp.
228-230).
Figura 2.3 – Largo S. Martino. Piano di frequentazione con buche da palo dell’età del
Bronzo (Archivio Fotografico SAP).
43
Figura 2.4 – S. Domenico. Livello di frequentazione dell’età del Ferro (Archivio
Fotografico SAP).
44
pp. 301-302) e ulteriori sporadiche tracce di frequentazione riscontrabili nel
Seminario Arcivescovile (De Juliis, 1983, p. 429).
Figura 2.6 – Largo S. Martino. Struttura in pietra di età arcaica (Archivio Fotografico
SAP).
Figura 2.9 – Largo S. Martino. Sistemazione architettonica attuale del salto di quota
originario, presente lungo il limite settentrionale dell’altura della Città Vecchia (foto
Autore).
5
Polibio, Historiae 1, 6 ; I, 24; II, 24, 13; III, 75, 4 ; VIII, 32, 2-6; VIII, 33, 4-7; VIII, 34. Il sistema
difensivo del promontorio dove oggi sorge la città vecchia è ricordato anche da Livio (Ab Urbe
Condita XXV, 11, 1-9), che indica la presenza di un muro, seguito da un fossato, a protezione del
fronte orientale.
6
Per una puntuale e minuziosa descrizione dei locali e delle strutture del Castello Aragonese si
rimanda a Carducci, 1995, pp. 101-178; D’Angela, Ricci, 2006; Ricci, 2007; D’Angela, Ricci, 2009;
Carducci, 2009. Sull’attività archeologica condotta all’interno del monumento aragonese si rimanda a
Giletti, 2012; 2013a, pp. 19-37; Giletti, 2013b; Mastronuzzi, Giletti, Pignatelli, Piscitelli, Curci,
Boccardi, Milella, Colella, Ricci, 2014, in stampa.
7
L’attività di ricerca, condotta da chi scrive all’interno del Castello Aragonese di Taranto
dall’autunno 2007, è stata resa possibile grazie alla partecipazione integrata di diversi enti, soprattutto
la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e la Marina Militare Italiana, ed è stata attuata
sotto la direzione scientifica della Dott.ssa Antonietta Dell’Aglio e con il supporto logistico fornito
dall’Ammiraglio di Squadra Francesco Ricci; ad entrambi va la mia più profonda gratitudine. Le
indagini si sono avvalse della collaborazione delle Dott.sse Anna Maria Fini e Donata Carrafelli e
dell’Arch. Luisa Boccardi. I lavori si sono svolti grazie al contributo fornito dal personale militare e
civile della Marina Militare Italiana di stanza al Castello Aragonese, in particolare si coglie
l’occasione per ringraziare il Luogotenente A. Vinella, il 2° Capo Scelto A. Modafferi, il 2° Capo D.
Ripieno, il Sc D. Monreale e il Sc D. Putignani. Un ringraziamento va inoltre ai Dott.ri R. Chiaradia,
R. Ursi, R. Ferretti, G. Romanazzi, R. Colella, M. Andreano, A.R. Sgobio, M. Quaranta, C. Di Cera e
V. Petraroli per l’aiuto offertomi nel corso delle attività di scavo e di catalogazione dei reperti.
49
interpretabile come un bastione fortificato (Giletti, 2013a, pp. 19-37)
caratterizzato dagli stessi caratteri della poliorcetica ellenistica diffusa in
altri grandi centri della Magna Grecia e della Grecia.
Figura 2.11 – Piazza Castello, Castello Aragonese. Resti murari pertinenti al bastione
ellenistico. (da Giletti 2012, p. 14).
Figura 2.12 – Vista assonometrica dell’ala settentrionale del Castello Aragonese con in
evidenza la riproduzione tridimensionale dei resti murari pertinenti al bastione ellenistico
(da Giletti 2012, p. 16).
50
Figura 2.13 – Sovrapposizione su foto aerea delle aree archeologiche del Castello
Aragonese (1) e del cosiddetto Tempio Dorico (2), con ricostruzione schematica della via
d’ingresso all’antica acropoli (Freccia Gialla). (da Giletti 2012, p. 22).
8
Sulle mura di Taranto si rimanda a Lippolis, 2002; Trézini, 2004, pp. 614-617; Sconfienza, 2005,
pp. 27-32.
9
Le strutture medievali, quindi, confermano archeologicamente l’esistenza del passaggio di ingresso
all’acropoli, che sembra rimanere in utilizzo fino alla definitiva chiusura, avvenuta in seguito alla
costruzione del cosiddetto Muro di Crispano del Castello Aragonese, alla fine del XV secolo. Questo
fa parte dell’estensione dell’ala orientale del castello protesa verso nord, a forma di triangolo
allungato e originariamente funzionale all’unione tra il torrione di Sant’Angelo e il corpo principale
della fortificazione. In questo settore della costruzione, in particolare, si deve distinguere la
51
Contrariamente a quanto finora ritenuto (Lippolis, 1997, pp. 47-49;
D’Angela, Lippolis, 1996, pp. 13-23)10, dunque, l’ingresso all’acropoli, per
chi giungeva da est e cioè dalla polis, sarebbe avvenuto tramite una porta,
forse la principale, ubicata in corrispondenza di un avvallamento naturale (2
m s.l.m.) orientato est-ovest e coincidente attualmente con il tratto nord-
occidentale del fossato del castello, a difesa della quale, a sud, si erge il
bastione sopra menzionato. Analogie costruttive e topografiche del bastione
rimandano ad esempi come le fortificazioni dell’acropoli di Selinunte e del
castello Eurialo di Siracusa11, dove tra la fine del IV secolo e gli inizi del III
secolo a.C. l’installazione di nuovi apparati a carattere militare a
integrazione del sistema difensivo precedente segna l’introduzione di
innovativi e specifici accorgimenti strutturali legati e direttamente
dipendenti dall’orografia e dalle caratteristiche morfologiche del luogo12.
13
La poliorcetica aveva maturato una lunga tradizione e la maggior parte delle città era delimitata da
un circuito murario, spesso risalente ad un’età precedente, ma durante il basso ellenismo si assiste a
una recessione nel numero di costruzioni di nuove cinte, mentre gli interventi sulle mura sono
piuttosto votati al restauro o all’ammodernamento di alcuni settori, soprattutto nei pressi delle entrate,
secondo nuovi precetti militari introdotti da Filone di Bisanzio. La battaglia campale oplitica fu
frequentemente sostituita da uno scontro presso le mura delle città nemiche, nella pratica dell’assalto,
poiché la sconfitta dell’avversario inizia ad essere intesa con la sottomissione della città stessa, che in
questo momento acquisisce una nuova vitalità e un nuovo significato sociale come organismo politico
identificato definitivamente nelle strutture architettoniche urbane e in particolare nelle cinte murarie.
In tale contesto la grande novità di carattere tecnologico è la nascita delle macchine da guerra e da
lancio. I complessi urbani, come Siracusa o ancora le città greche durante le guerre macedoni, sono
costretti ad affrontare episodi di guerra sempre più importanti e feroci. Anche Taranto durante la
presa della città da parte di Annibale vive e subisce la forza e i colpi afflitti dai cartaginesi, che
costringono i romani ad assediarsi all’interno della fortificazione dell’acropoli, la cui imponenza
induce fin da subito gli invasori a desistere da eventuali assalti.
14
Taranto nell’ambito del III secolo a.C. sembra quindi assorbire espressioni proprie di un nuovo
linguaggio architettonico-militare comune e diffuso in tutto il Mediterraneo e divenire un modello in
grado di influenzare e promuovere l’ammodernamento delle oramai obsolete cinte murarie non solo
delle altre poleis della Magna Grecia ma anche delle città indigene, come testimoniato nelle aree
messapica, lucana e brettia, dove a partire dal IV secolo si cerca con una certa fretta di adeguare le
cinte urbiche alle nuove necessità della difesa, rinforzando le murature e proteggendo le entrate.
54
Nel quadro storico tarantino, i primi mutamenti nell’assetto urbanistico e
istituzionale della città di età greca sono percepibili già nel corso del III
secolo a.C., tra la vittoria di Roma su Pirro e la guerra annibalica, periodo
per il quale le fonti letterarie (Nafissi, 1995, pp. 24-25; Lippolis, 1997, pp.
40-41) attestano la presenza in città di un’attiva elite filo-romana.
Nel corso dei due secoli successivi, in seguito alla deduzione gracchiana
della colonia Neptunia del 123 a.C. e alla istituzione del municipium con la
lex municipi tarentini (Dell’Aglio, 1988, pp. 177-184)15, la città di Taranto
risulta essersi oramai adeguata al sistema istituzionale tipicamente
romano16.
Gli scavi archeologici hanno confermato tale processo di trasformazione. Le
ricerche condotte nell’area di Piazza Castello, infatti, hanno evidenziato per
la fine del III secolo a.C. oltre alla realizzazione del bastione difensivo sopra
descritto, anche la spoliazione di una piccola struttura adiacente alla
peristasi nord del Tempio Dorico e la realizzazione di un asse stradale ad
andamento est-ovest di attraversamento longitudinale dell’altura, oggi
ricalcato da via Duomo (Dell’Aglio, De Vitis, 1994, pp. 141-143).
Altri interventi, databili però al I secolo a.C., sono riconoscibili in un piano
di calpestio e un lacerto murario individuati durante gli scavi nel Castello
Aragonese (Giletti, 2012, p. 15), in alcuni restauri effettuati all’interno
dell’area sacra di S. Domenico (Lippolis, 1981, p. 99; Nafissi, 1995, pp.
240-241; Dell’Aglio, 1996, pp. 141-142)17 (Fig. 2.15) e nei resti di una
cisterna conservata al di sotto del vestibolo della cattedrale di S. Cataldo
(Biffino, 2003-2004, p. 222). Immediatamente a nord di questa, lungo
l’attuale tratto di via Duomo, furono rinvenuti nel 1931 resti di due basolati
sovrapposti, riconducibili a due assi stradali di epoche diverse (D’Angela,
1986, pp. 11-12, nota 39). Quello superiore, in base al confronto con la
stratigrafia determinata nell’area del Tempio Dorico, è riferibile alla
ricostruzione niceforiana della metà del X secolo; il percorso inferiore,
invece, sembrerebbe attribuibile ad età romana e contestuale al tratto
scoperto a nord del Tempio Dorico (Fig. 2.16).
15
Per un inquadramento generale sulla città nel periodo romano si rimanda a Lippolis, 2005, pp. 236-
312; Lippolis, 2006, pp. 221-226; Mastrocinque, 2010.
16
Elementi preziosi alla ricostruzione archeologica dell’urbanistica e della topografia dell’acropoli
tarantina si ricavano dalle fonti. In particolare due autori, Polibio e Strabone, hanno tramandato
informazioni e descrizioni della città antica, testimonianze importanti che si riferiscono a due fasi
distinte della Taranto romana. Polibio, scrivendo intorno alla metà del II secolo a.C., tramanda
un’immagine della città precedente alla deduzione della colonia graccana, invece Strabone, nella
seconda metà del I secolo d.C., restituisce una descrizione del centro urbano oramai completamente
romanizzato.
17
Durante i lavori di restauro, erano state individuate su due frammenti di uno stesso architrave,
probabilmente attribuibile al tempio di età greca, due iscrizioni latine databili alla prima metà del I
secolo a.C., le quali comproverebbero una fase di ristrutturazione di epoca romana con relativa dedica
nell’area del santuario sorto in età arcaica. Non si può escludere che i lavori abbiano interessato
proprio l’edificio templare.
55
Figura 2.15 – S. Domenico. Frammento di
architrave del tempio arcaico con iscrizione
latina della prima metà del I secolo a.C.,
testimonianza di una fase di ristrutturazione Figura 2.16 – Cattedrale di S. Cataldo.
di età romana che interessò sia il santuario Scavi del 1931 in via Duomo (da D’Angela
che l’area limitrofa (Archivio Fotografico 2002, p. 128).
SAP).
19
La topografia urbana di Taranto nei secoli di passaggio tra la tarda età romana e l’altomedievo è
quasi del tutto sconosciuta e in attesa di un tentativo di ricostruzione sistematico ed esauriente. Ad
un’analisi generale dei dati archeologici, l’abitato tra III e IV secolo d.C. sembrerebbe riflettere una
condizione di vitalità economica. Nella parte orientale della città antica, infatti, oltre l’attestata
funzionalità dello scalo portuale di S. Lucia, l’insistenza degli impianti termali di Castel Saraceno,
presso piazza Ebalia, delle terme Pentascinenses, tra le vie Duca di Genova, Principe Amedeo, Duca
degli Abruzzi e G. Mazzini e il ritrovamento, nella zona di Montedoro, di un cospicuo numero di
ricche domus (attuali piazza della Vittoria e Giovanni XXIII), sembrerebbero confermare la presenza
di un tessuto urbano pienamente attivo e interessato da significativi restauri monumentali proprio sul
finire del IV secolo d.C. D’Angela, Lippolis, 1996, pp. 32-34, pp. 35-45.
20
Procopio, De bello gothico II, ed. Comparetti, FSI, pp. 352-353
21
Una precedente lettura del passo di Procopio di Cesarea, riferito alle fortificazioni innalzate in tutta
fretta dal generale bizantino Giovanni dopo che era riuscito a strappare la città dalle mani dei Goti,
sarebbe orientata nel riconoscere tali opere di difesa non approntate sui resti della cinta classica
dell’acropoli, bensì fondate ex novo probabilmente poco più ad oriente, là dove insisteva il quartiere
che gravitava da un lato sull’area portuale e dall’altro sul Mar Grande, all’incirca presso l’attuale area
di Piazza Ebalia al lungomare.
22
Archivio SAP, Giornale degli Scavi.
57
Figura 2.17 – Palazzo Delli Ponti. Ipogeo e tombe a fossa (da De Vitis 1999, p. 9).
23
Attestazioni di continuità di frequentazione e di uso di quella parte della città non racchiusa dal
castrum si ritrovano anche ad Ancona, dove è documentato come il resto dell’abitato urbano extra
murario continui a vivere, nonostante gli assalti e le distruzioni da parte dei Goti, restaurando i suoi
edifici. La ricerca archeologica, infatti, ha evidenziato la continuità d’uso della chiesa paleocristiana
rinvenuta al di sotto di S. Maria della Piazza, collocata durante l’età tardoantica in un’area
extramoenia, danneggiata in occasione della guerra greco-gotica e ristrutturata subito dopo.
24
Ad Ancona e Tortona non si provvide alla costruzione di mura per cingere l’intero spazio urbano,
bensì la difesa fu affidata al castrum che venne allestito sul colle dove sorgeva l’antica acropoli.
Questa era stata una scelta dettata dalle garanzie di difendibilità del luogo e senza dubbio agevolata da
ragioni economiche identificabili nella presenza delle antiche mura e dalle antiche costruzioni che
assicuravano strutture da riadattare ed abbondante materiale di spoglio.
58
La nuova fortificazione tardoantica
viene dotata anche di un fossato,
probabilmente sullo stesso sito di
quello precedente che, appartenente
alle opere difensive greco-romane,
era stato ricavato sfruttando una
depressione naturale del banco
calcarenitico ad ovest dell’attuale
borgo, dove oggi è il Canale
Navigabile25.
Argomento di fondamentale
importanza, che necessita
obbligatoriamente di ulteriori e più
specifici approfondimenti, è la
recente scoperta nello spazio
dell’antica acropoli di un edificio
religioso a pianta basilicale databile Figura 2.18 – Palazzo D’Aquino. Parete
tra il VI e il VII secolo d.C., settentrionale della torre con tracce di
caratterizzato da continuità ristrutturazioni successive (Archivio
funzionale perlomeno fino all’VIII Fotografico SAP).
secolo d.C. (Biffino 2004, pp. 221-
227; Biffino 2005, pp. 121-136)26, probabilmente identificabile con la
basilica paleocristiana dedicata a S. Maria, menzionata in una lettera inviata
nel 603 da Papa Gregorio Magno al vescovo di Taranto Onorio, relativa
all’autorizzazione papale all’utilizzo del nuovo battistero sito presso la
stessa chiesa (D’Angela, 2002, p. 39 con ampia bibliografia) (Fig. 2.19).
La breve frequentazione del nuovo centro fortificato sembrerebbe
confermata dal restringimento dell’edificio basilicale alla sola navata
settentrionale e dall’occupazione dello spazio dell’altura istmica da parte di
nuove aree a destinazione funeraria che, a partire dalla fine del VII secolo
25
Procopio (De Bello Gothico III, 23), a proposito della descrizione che da della città e degli
accorgimenti difensivi adottati in occasione delle guerre greco-gotiche, sembrerebbe indicare la
presenza di un fossato immediatamente ad est dell’altura dell’antica acropoli.
26
Nella Cattedrale, invece, recenti indagini hanno individuato l’esistenza di un edificio di culto
databile tra la fine VI e il VII secolo d.C. Di questa chiesa si conservano scarsi resti del piano
pavimentale e delle fondazioni dell’abside in grandi blocchi di carparo. La facciata, con relativo
ingresso aperto ad ovest, era probabilmente posta in corrispondenza della separazione tra il transetto e
le navate attuali. L’insediamento di alcune tombe, inquadrabili cronologicamente tra VIII e IX secolo
d.C., nello spazio meridionale e centrale dell’edificio26, determinò il restringimento della funzione
cultuale alla sola navata settentrionale, alla quale per l’occasione sarebbe stata aggiunta una piccola
abside. Gli scavi hanno inoltre confermato la datazione della costruzione del capocroce e della cripta
al X secolo d.C., come proposto da Belli D’Elia sulla base dell’analisi architettonica (Belli D’Elia,
1977, pp. 143-146). In ultimo per quanto concerne un inquadramento sulla fase paleocristiana di
Taranto si veda D’Angela, 2007, pp. 1041-1052.
59
d.C. caratterizzeranno il luogo fino al momento della fondazione del kastron
bizantino niceforiano della seconda metà del X secolo d.C.
Nel 663 sbarca a Taranto Costante II alla testa dell’esercito imperiale per
intraprendere una campagna militare contro i Longobardi di Benevento27. La
scelta del porto di Taranto è giustificata dalla volontà di conquistare la città
di Acerenza, sulla via Appia. Il racconto tramandato da Paolo Diacono
mostra una città definita tra le città pugliesi satis opulentas e dotata di un
porto attrezzato per l’arrivo di una flotta e di un contingente militare di
migliaia di uomini28.
Intorno al 670, invece, Taranto è in mano longobarda. In questo periodo la
città è definita civitas opulentissima e direttamente collegata con l’Italia
centrale attraverso la via Appia che il re Arechi definisce stradam maiorem
quae vadit in Taranto.
La città è ancora ricordata nel racconto sulla fuga da Taranto del principe
longobardo Siconolfo nell’839 ed è descritta con un porto vivace per la
frequentazione e gli scambi29.
La stessa situazione si presenterà trent’anni dopo agli occhi del monaco
Bernardo, pellegrino in viaggio verso la Terra Santa. La città all’epoca è
27
Pauli Diaconi, Historia Langobardorum, V, 9, 11, eds. L. Bethmann G. Waitz, in MGH, SS. Rerum
langobardicarum et italicarum, pp. 148-150.
28
Pauli Diaconi, op. cit., II, 21, p. 85.
29
Chronicon Salernitanum, 79, ed. U. Westerbergh, in Studia Latina Stockholmiensia III, Stockholm
1956, pp. 75-77.
60
sotto la dominazione saracena e dal suo porto vengono imbarcati gli schiavi
destinati ai mercati di Alessandria e di altri centri dell’Africa settentrionale.
Vicino al porto si trovano piazze affollate da mercanti che frequentavano
taverne e ospizi.
Molto poco conosciamo dell’organizzazione e della dominazione araba della
ciità, attestata dall’840 all’880, anche per la totale assenza di dati
archeologici a riguardo. Nell’880 anche Taranto viene liberata dagli arabi,
ben nove anni dopo Bari, e ritorna quindi sotto la giurisdizione dell’impero
bizantino ma nel 927-928 è di nuovo assalita dai Saraceni e distrutta
(D’Angela, 2002, pp. 55-63). Le cronache, con il loro linguaggio scarno,
offrono una chiara testimonianza del terrore e della ferocia della razzia che
determina la rovina e lo spopolamento della città per quarant’anni.
Nel 967 l’imperatore Niceforo Foca incarica il suo legato Niceforo
Hexakionites di ricostruire la città nell’area dell’ex acropoli, modificando
profondamente l’aspetto della stretta penisola tra i due mari30.
Come per le mura ripristinate sul percorso classico, così all’interno non
sembra si siano verificati notevoli sconvolgimenti del tessuto viario antico;
a dimostrazione di ciò il lungo asse viario longitudinale (attuale via
Duomo), che riprende puntualmente il più antico tragitto romano. Questo
era intersecato da brevi arterie con affaccio diretto sui due mari,
sostanzialmente allo stesso modo dei giorni nostri (Lo Porto, 1970, pp. 361-
362. D’Angela, Lippolis, 1996, pp. 35-45; Lippolis, 2001, p. 130). La
fondazione del kastron bizantino ha rappresentato nell’evoluzione della
storia di Taranto e soprattutto nello sviluppo urbanistico del quartiere oggi
conosciuto come Città Vecchia un momento di forte trasformazione a
carattere insediativo, segnato dal definitivo abbandono del centro
tardoantico della città bassa e dalla definizione di quello che sarà lo spazio
urbano del successivo millennio. La Taranto del X secolo d.C. perde ormai
il significato antico di città, trasformandosi in un kastron. Il concetto di uno
spazio urbano esteso era stato sostituito definitivamente da una nuova idea
di insediamento fortificato, funzionale alle attività belliche in modo
permanente e non più occasionale. La documentazione archeologica non
consente di ricostruire ulteriori elementi dell’organizzazione urbana di
questo periodo ma l’analisi delle fonti letterarie e gli scavi recenti
forniscono interessanti indicazioni, in particolare riguardo all’area di Largo
S. Martino e al sito del Castello Aragonese.
Nell’ambito della stratificazione delle fasi medievali rintracciate al di sotto
del maniero rinascimentale i primi resti attribuibili al kastron bizantino
consistono nell’angolo di una torre quadrangolare rinvenuta nel settore sud-
30
La fondazione del kastron bizantino è ricordato in un’epigrafe tramandata da G. Giovine (Giovine,
1589, p. 167.) e studiata da A. Jacob, da cui sembrerebbe non emergere nessun riferimento alla
presenza di un castello all’interno della nuova cinta difensiva; Jacob, 1988, pp. 9-11.
61
orientale dell’ala settentrionale del castello. La struttura, realizzata in
blocchi e frammenti di spoglio allettati con malta (Fig. 2.20), in analogia
con le caratteristiche costruttive e tipologiche riscontrate già nelle torri del
Gallo e di Largo Petino site lungo il salto di quota settentrionale della Città
Vecchia, può essere considerata in fase con un fronte difensivo a torri
avanzate del lato orientale della penisola appartenente al circuito murario
perimetrale della città di Taranto in età bizantina (D’Angela, 2002, pp. 76-
77; D’Angela, Lippolis, 1996, pp. 37-39; Falkenhausen, 1968, pp. 137-138).
Figura 2.20 – Piazza Castello, Castello Aragonese. Tecnica costruttiva della torre di età
bizantina della seconda metà del X secolo d.C. (da Giletti 2012, p. 26).
Relativi alla medesima cinta difensiva sono anche i resti di una seconda
torre incorporata nella fortificazione aragonese nell’angolo sud-orientale in
prossimità del torrione di S. Cristoforo e di una terza conservata al di sotto
della Galleria Comunale (D’Angela, Lippolis, 1996, pp. 12-13)31. Queste
ultime due torri sembrerebbero presentare le stesse caratteristiche costruttive
e tipologiche della prima, riconoscibili in filari di blocchi di spoglio allettati
con malta e nell’allineamento lungo l’andamento del salto di quota del lato
orientale dell’altura.
31
E. Lippolis individua nel tratto murario del Castello Aragonese compreso tra i torrioni di S.
Lorenzo e quello di S. Cristoforo la faccia vista di un elemento più antico, realizzato in una tecnica
costruttiva differente da quella dei normali paramenti del monumento aragonese. Lo studioso ipotizza
la presenza del fronte di un corpo avanzato rispetto all’originaria cortina difensiva. Si tratta di una
prima struttura bizantina, poi incorporata in una seconda costruzione più ampia, caratterizzata da un
profilo a scarpata e databile tra la fine del XIII e la prima metà del XV secolo, in ultimo inglobata e
obliterata dalle fortificazioni aragonesi GILETTI 2012, p. 35.
62
Figura 2.21 – Piazza Castello, Castello Aragonese. Restituzione planimetrica delle tre
torri attribuibili al fronte orientale della cinta difensiva bizantina (da Giletti 2012, p. 29;
elaborazione grafica a cura dell’Arch. L. Boccardi).
Figura 2.22 – Largo S. Martino. Piano di calpestio in calce e resti murari di età bizantina
(Archivio Fotografico SAP).
63
Alla luce dei dati emersi, quindi, e in analogia a quanto già riscontrato nel
fronte settentrionale della Città Vecchia, è possibile ricostruire anche per il
lato orientale un tratto della cinta difensiva perimetrale del kastron
bizantino, caratterizzato da torri quadrangolari aggettanti, di 5 m di lato e
poste a intervalli regolari di circa 30 m (Giletti, 2012, pp. 25-29) (Fig. 2.21).
Gli scavi di Largo S. Martino, invece, hanno messo in evidenza i resti
strutturali di alcuni ambienti di età bizantina, probabilmente a carattere
abitativo, fondati immediatamente a sud e a ridosso della cinta difensiva di
età classica (Fig. 2.22).
Nel lato orientale delle fortificazioni doveva insistere un’apertura,
riconosciuta come la Porta Terranea e ricordata anche con valenza
topografica in una serie di documenti, che tra l’XI e il XII la pongono in
relazione con alcuni edifici ecclesiastici tra i quali la chiesa dei Sancti
Quadraginta Martires32 e di S. Maria de Guarancium, che un atto di
donazione del 1139 indica come sita prope portam Terraneam de Tarento33.
Figura 2.23 – Formella dell’altare maggiore della chiesa di S. Giovanni Battista databile
al tardo ‘400 in cui è raffigurata un’apertura ricavata nel muro di cinta in prossimità di
una torre (da Farella 1984).
32
Sull’inquadramento topografico di tale ingresso e dell’area immediatamente limitrofa con relative
problematiche e bibliografia di riferimento si rimanda a Farella, 1984, pp. 335-344; D’Angela, 1996,
pp. 42-44; D’Angela, 2002, pp. 81-82; Kiesewetter, 2009, pp. 18-19; Giletti, 2012, pp. 34-36.
33
Guglielmo Di Puglia, Gesta Roberti Wiscardi I 530-558, a cura di M. Mathieu, Palermo 1961, pp.
126, 128; Annales Barenses, a cura di G.H. PERTZ, in Monumenta germaniae historica, Scriptores V,
Hannover 1844, p. 55.
64
La precisazione che la cappella si trovava extra moenia dictae civitatis,
fornita da un altro testo del 1361 (D’Angela, Lippolis, 1996, pp. 43), induce
a ritenere che si trattasse di un luogo di culto ipogeo, ricavato sul costone
roccioso del fossato. Di notevole interesse è la documentazione recuperata
da V. Farella a conferma di questa ipotesi, in particolare la veduta riprodotta
su una formella di marmo anteriore alla metà del XVI secolo, in cui sono
riprodotte le strutture a cui il castello si era raccordato e in particolare una
serie di ipogei ricavati nel costone roccioso del fossato (Farella, 1984, p.
340) (Fig. 2.23).
Da un documento del 1028, invece, si evince che un’ulteriore chiesa, quella
di San Benedetto, si addossava alle mura interne del fronte orientale delle
fortificazioni, in ipso muro civitatis, in prossimità di due torri definite
“maggiori”, collocate ai lati della stessa porta Terranea e probabilmente
riconoscibili nelle due strutture turrite di età bizantina, già descritte,
rinvenute rispettivamente al di sotto dell’ala settentrionale del Castello
Aragonese e della Galleria Comunale.
Successivi e databili sulla scorta dei materiali ceramici al periodo svevo
sono invece i resti di un’altra fortificazione, rinvenuti sempre al di sotto
dell’ala settentrionale del monumento aragonese e costituiti
dall’incamiciatura poligonale a grandi blocchi della torre bizantina già
descritta, e, a est di questa, nella cinta muraria perimetrale con profilo a
scarpata, orientata nord-sud34 (Fig. 2.24).
Probabilmente è da attribuire a tale momento della storia di Taranto
l’apprestamento non di un sistema difensivo cittadino esteso e volto alla
protezione dell’intero spazio urbano, bensì l’adozione di una forma
d’incastellamento indipendente dalla città, fondata sul promontorio sud-
orientale della penisola e separata da questa da un fossato ricavato
dall’unione tra le due depressioni naturali già esistenti, relative al fossato
orientale delle fortificazioni di età bizantina e alla via d’ingresso alle spalle
della Porta Terranea35, e il taglio ex novo di un breve tratto di banco
calcarenitico ad ovest.
34
Notizie sul castello svevo di Taranto e su alcune sue parti strutturali sono riportate nel cosiddetto
Statutum de Reparatione Castrorum di Federico II. E. Sthamer, L’amministrazione dei castelli nel
regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I D’Angiò, Bari 1995, pp. 83-93 (orig. Tedesco Die
Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. Und Karl I. von Anjou,
Lipsia 1914); R. Licinio, Le strutture castellari in Puglia, in Itinerari federiciani in Puglia. Viaggio
nei castelli e nelle dimore di Federico II di Svevia, a cura di C.D. FONSECA, Bari 1997, pp. 23-33;
KIESEWETTER 2006, pp. 41-50 con relativa bibliografia; H. Houben, Statutum de reparatione
castrorum, in Federico II. Enciclopedia fridericiana II, Roma 2005, pp. 774-775.
35
Con la comparsa delle prime strutture fortificate diverse e indipendenti dal sistema difensivo
cittadino sullo stesso sito in seguito occupato dall’attuale Castello Aragonese, l’avvallamento naturale
che ospitava la via d’ingresso all’antica acropoli sembrerebbe venire modificato con nuove
regolarizzazioni del banco roccioso e assumere il nuovo ruolo di spazio intermedio di separazione tra
castello e città, una sorta di fossato antenato di quello aragonese.
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Figura 2.24 – Piazza Castello, Castello Aragonese. Resti della torre di età sveva (foto
Autore).
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È in corso di sviluppo da parte di chi scrive, in collaborazione con l’Arch. L. Boccardi, la redazione
di un GIS di tutte le testimonianze archeologiche dell’area della Città Vecchia che possa costituire
una proposta di ricostruzione del sito per macrofasi. Tale attività si inserisce in un progetto più ampio
di topografia urbana, avviato già da tempo grazie alla collaborazione tra Soprintendenza per i Beni
Culturali della Puglia e Università Sapienza di Roma. Un sentito grazie va al Prof. Enzo Lippolis per i
preziosi consigli offertimi e l’importante sostegno dimostratomi nell’ambito di tale ricerca.
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Il lavoro presentato non vuole e non deve essere considerato una compiuta
ricostruzione storica, piuttosto deve rappresentare un primo tentativo di
raccolta sistematica di dati e informazioni provenienti dall’area della Città
Vecchia, in attesa di un’elaborazione scientifica più ampia, articolata e
approfondita.
Bibliografia
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