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Alfredo Buccaro è professore di Storia dell’Architettura presso la

ALFREDO BUCCARO Quest’opera, con la prestigiosa presentazione di Carlo Pedretti, è de-

LEONARDO Il Codice Corazza


Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II e diret- dicata al Codice Corazza, apografo vinciano della Biblioteca Nazio-
tore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della nale di Napoli edito per la prima volta in questa occasione. Il Codice
Città Europea, fondato da Cesare de Seta. È inoltre docente presso nasce da un’imponente iniziativa culturale di Cassiano dal Pozzo,
corsi di master e di perfezionamento dello stesso Ateneo e collabora eseguita entro il 1640 per il cardinale Francesco Barberini e finalizzata
con centri di ricerca nazionali e internazionali. È impegnato sui alla redazione di una silloge antologica degli originali ambrosiani.

LEONARDO
temi della storia dell’architettura e dell’iconografia della città in età Grazie ad una precisa ricognizione documentaria – condotta attra-
moderna e contemporanea, nonché della storia dell’ingegneria, con verso le fonti della sezione Manoscritti e Rari della Biblioteca na-
particolare riferimento alle origini e all’evoluzione della professione poletana, di quella dell’Archiginnasio di Bologna e di altri archivi
nel Mezzogiorno italiano. italiani – Buccaro segue l’intricata vicenda del manoscritto, che nel

DA VINCI
Tra i numerosi saggi, ha pubblicato Istituzioni e trasformazioni urbane 1766 giunge in possesso di Vincenzo Corazza, letterato e scienziato
nella Napoli dell’Ottocento (Ediz. Scientifiche Italiane, 1985), Opere bolognese, attivo prima nella propria città, poi a Roma e infine a
pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario (Electa Napoli, Napoli, presso la Corte borbonica, dal 1784 al 1799 in qualità di
1992), Napoli millenovecento. Dai catasti del XIX secolo ad oggi (con istitutore dei Principi Reali.
G.C. Alisio, Electa N., 2000), Antonio Rinaldi architetto vanvitelliano All’esame degli appassionati studi dedicati a Leonardo da quest’in-
a San Pietroburgo (con G. Kjučarianc e P. Miltenov, Mondadori, tellettuale illuminista e dei conseguenti riflessi sul suo pensiero
2003), Architettura e urbanistica dell’età borbonica. Le opere dello Stato, i IL CODICE CORAZZA critico in campo artistico e architettonico, si affianca nel volume
luoghi dell’industria (con G. Matacena, Electa N., 2004). Ha curato, l’indagine sulla vicenda personale di Corazza e sulle fitte relazio-
tra gli altri studi, Le città nella storia d’Italia. Potenza (Ed. Laterza,
1997), Scienziati-Artisti. Formazione e ruolo degli ingegneri nelle fonti
NELLA BIBLIOTECA NAZIONALE ni con i protagonisti del dibattito culturale e politico del tempo.
Partendo dalla precisa analisi del Codice e dalla sua collocazio-
dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli (con F. De
Mattia, Electa N., 2003), Dalla Scuola di Applicazione alla Facoltà
DI NAPOLI ne nel repertorio delle fonti leonardesche, Buccaro recupera le fila
dell’influenza del metodo vinciano nella formazione dell’identità
di Ingegneria. La cultura napoletana nell’evoluzione della scienza e della professionale dello scienziato-artista e della sua diffusione nel Mez-
didattica del costruire (con S. D’Agostino, Ed. Hevelius, 2003), Ico- zogiorno dal viceregno all’età borbonica.
nografia delle città in Campania (con C. de Seta, 2 voll., Electa N., Gli echi dell’arte e della scienza vinciana, giunti sui lidi partenopei
2006-2008), I centri storici della provincia di Napoli. Struttura, forma, TOMO I già all’alba del Cinquecento, non vi resteranno per caso, ma il loro

Saggio critico & apparati


identità urbana (con C. de Seta, Ediz. Scientifiche Italiane, 2009). prosperare sarà il risultato di un pensiero condiviso: nel corso dei
secoli dell’età moderna e contemporanea essi costituiranno un feno-
meno persistente, fino ad ispirare le scelte e i programmi culturali
della Scuola d’Ingegneria fondata a Napoli da Murat nel 1811, la pri-
ma in Italia in ambito civile. Questa gloriosa istituzione, della quale
ricorre oggi il Bicentenario, rappresenta con la sua storia e i suoi
primati un prezioso patrimonio didattico e scientifico da tutelare e

B uccaro •
PRESENTAZIONE DI valorizzare, una solida tradizione ancor viva, fino ai primi decenni
del Novecento, nell’attività artistica e tecnica dell’ingegnere-architetto:
CARLO PEDRETTI una figura completa, di cui oggi, sempre più, si auspica un recupero.

* CB Edizioni
Grandi Opere

Edizioni Scientifiche
Italiane
LEONARDO DA VINCI
IL CODICE CORAZZA

TOMO I
PUBBLICAZIONE
REALIZZATA
CON IL CONTRIBUTO
DEL
BANCO DI NAPOLI

Cornice del ritratto di Iacopo Sannazaro da Paolo Giovio, Elogia Virorum literis illustrium, Basilea, 1577, p. 149
LEONARDO DA VINCI
IL CODICE CORAZZA
NELLA BIBLIOTECA
NAZIONALE DI NAPOLI
CON LA RIPRODUZIONE
IN FACSIMILE
DEL MS XII. D. 79

E D I ZI O NE
E SAGGI O CRI TI CO DI

ALFREDO BUCCARO
TO MO I

LEONARDO SCIENZIATO-ARTISTA
NEL CODICE CORAZZA:
L’EREDITÀ DEL METODO VINCIANO
NEL MEZZOGIORNO
E LE RADICI
DELL’INGEGNERE-ARCHITETTO

PRESENTAZIONE DI
CARLO PEDRETTI

CB Edizioni Grandi Opere Edizioni Scientifiche Italiane


“No’ si volta chi a stella è fisso”
ad Alessandro e Paola,
le mie stelle

Progetto grafico e videoimpaginazione: CB Edizioni

© 2011 CB Edizioni

© 2011 Edizioni Scientifiche Italiane

ISBN 978-88-97644-06-4

ISBN 978-88-495-2280-8

Opera sponsorizzata da

Referenze fotografiche: Archivio Fotografico dell’Armand Hammer Center for Leonardo Studies
at the UCLA; Archivio Fotografico della Fondazione Rossana e Carlo Pedretti di Los Angeles;
Archivio di Stato di Napoli; Biblioteca Comunale degli Intronati, Siena; Biblioteca della Facoltà di
Ingegneria, Università di Napoli Federico II; Biblioteca Nazionale di Napoli “Vittorio Emanuele
III”; Edizione Nazionale dei Manoscritti e dei Disegni di Leonardo Da Vinci (Roma, Libreria dello
Università Stato, 1923-1941); Museo Nazionale di S.Martino, Napoli. L’Editore si dichiara disponibile a regolare
Ordine degli Studi eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
degli di Napoli
Ingegneri Federico II Tutti i diritti sono riservati. Questa pubblicazione, per intero o in parte, non può essere riprodotta,
della Centro di Ricerca trascritta, filmata, memorizzata, trasmessa in alcuna forma o in alcun sistema elettronico, digitale,
sull’Iconografia meccanico, di fotocopia, di registrazione o altro senza la preventiva autorizzazione scritta degli editori.
Provincia della
di Napoli Città Europea
Volume pubblicato nell’ambito del Bicentenario della Scuola di Ingegneria di Napoli (1811-2011)

[iv]
Sommario

Presentazione, Carlo Pedretti, ix Capitolo quarto


Vincenzo Corazza, l’Italia dei Lumi e la corte di Napoli:
Introduzione, 1 gli echi di Leonardo nel Mezzogiorno contemporaneo, 111

Capitolo primo I. Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano:


La professione tra arte, scienza e tecnica, prima e dopo Leonardo, 9 da Bologna a Roma a Napoli, 111
II. Il contributo alla critica artistica e architettonica tra la lezione
Capitolo secondo di Leonardo e le nuove istanze neoclassiche, 125
Il Codice della Biblioteca Nazionale di Napoli: storia e struttura § 1 La posizione teorica in ambito accademico e gli esordi
di un’antologia vinciana, 25 negli ambienti bolognese e romano, 125
§ 2 Le relazioni con la critica d’arte italiana ed europea:
I. Dagli originali agli apografi, 25 i principi di ‘bellezza’ e di ‘imitazione’, 130
§ 1 Il Libro di Pittura e la prima diffusione del pensiero § 3 L’influenza sulla Bibliografia storico-critica dell’Architettura civile
di Leonardo, 25 di Angelo Comolli, 143
§ 2 L’opera di Cassiano dal Pozzo per l’editio princeps del Trattato § 4 La passione per l’architettura del Rinascimento
della Pittura e la scelta del ‘meglio di Leonardo’ per il cardinale e per il nuovo classicismo internazionale, 159
Barberini, 32 III. Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze
II. Impianto e contenuti del Codice, 42 e dell’ingegneria in età borbonica, 168
§ 1 La struttura del testo e il significato degli ‘excerpta’, 42 IV. Leonardo «artista-scienziato» nell’opera di Roberto
§ 2 La selezione sulle teorie della visione e della rappresentazione Marcolongo e la permanenza del metodo vinciano
e i precetti in materia di ingegneria edile, nella Scuola d’Ingegneria, 181
meccanica e idraulica, 46
§ 3 I Termini di arte nelle definizioni di Corazza: Trascrizioni
per un primo vocabolario vinciano, 67 I. Codice Corazza
III. La vicenda sette-ottocentesca del manoscritto: la fortuna critica a cura di Maria Rascaglia, 191
e il mancato imprimatur, 71 II. Termini di arte nelli scritti di Lionardo da Vinci ed altri, 269

Capitolo terzo Fonti


Sulle orme del leonardismo tra il viceregno e i Borbone, 81 Fonti documentarie, 307
Fonti bibliografiche, 308
I. Influenza e diffusione del metodo vinciano nella formazione Siti web di riferimento, 323
dell’architetto «vulgo ingeniero» napoletano, 81
II. Lo scenario professionale degli «scienziati-artisti», 98 Indice dei nomi, 325

[v]
Q uesto ricco corpus documentario, che propone la trascrizione
per materie del Codice Corazza e la sua analisi diplomatica, ha il
mirabile pregio di voler recuperare in maniera sistematica le tracce dell’in-
I n occasione delle celebrazioni del Bicentenario della nostra Scuo-
la di Ingegneria, fondata nel 1811 da Gioacchino Murat, la prima in
Italia in ambito civile, non avrebbe potuto cogliersi migliore opportunità per
fluenza vinciana nella delineazione e diffusione dell’identità ingegnere-ar- un recupero delle origini della formazione della figura professionale in Italia
chitetto in ambito meridionale, partendo dall’esame dell’intera famiglia di e nel Mezzogiorno che quella dell’edizione integrale e dello studio di questo
apografi di cui lo stesso codice fa parte. Codice leonardesco della Biblioteca Nazionale di Napoli, che il Banco di
Il presente volume rappresenta non solo la giusta conclusione dei diversi Napoli ha voluto finanziare confermando la consueta sensibilità del Presi-
tentativi di dare alle stampe un’antologia vinciana condotti prima, tra dente Dott. Enzo Giustino per la cultura del Mezzogiorno.
Roma e Milano, dal mecenate Cassiano dal Pozzo, poi dal pittore mila- Oltre all’analisi precisa del testo e ai riscontri della ricerca e della metodo-
nese Giuseppe Bossi, ma anche un’attenta ricostruzione delle vicende che logia vinciana all’interno del documento e del suo ricchissimo apparato gra-
hanno portato questo mirabile scritto nella Biblioteca Nazionale di Napoli, fico, Buccaro ripercorre le tracce della diffusione della preziosa esperienza di
oltre che il necessario plauso al poliedrico contributo culturale dato dal pos- Leonardo nell’ingegneria meridionale tra il volgere del XV secolo e la prima
sessore del codice, nonché profondo conoscitore di Leonardo, l’illuminista metà del XX, attraverso l’esame del contributo tecnico-scientifico e dell’at-
Vincenzo Corazza. tività dei suoi protagonisti, in molti casi personalità di spicco nel panorama
Particolarmente importante l’investigazione in merito agli effetti del me- italiano ed europeo.
todo vinciano sulla formazione tecnico-scientifica dell’ingegnere-architetto In questo contesto, appare oltremodo significativa la figura di Vincenzo Co-
meridionale nella prima età moderna e nell’ambito della Scuola napoletana razza quale rappresentante di quella cultura poliedrica e cosmopolita che,
d’Ingegneria tra Otto e Novecento, nonché l’analisi in merito ai più ampi nella Napoli del Settecento e in pieno fervore rivoluzionario, assicurò la
esiti della diffusione del leonardismo nel Mezzogiorno contemporaneo, in maturazione di una coscienza laica e sperimentale, nel contempo umanistica
seguito al rinnovato interesse verso la figura dello scienziato-artista e alla e scientifica, tale da favorire la diffusione del dettato di Leonardo nel campo
conseguente affermazione di un innovativo metodo professionale. delle scienze, dell’arte e dell’architettura, delle opere meccaniche e idrauliche,
Un nuovo ‘empirismo’ che vede in Leonardo il suo ispiratore: «artista-scien- in un momento di delicato passaggio dalle ‘regole dell’arte’ al nuovo reperto-
ziato applicatore di teorie ma anche sperimentatore di tecniche, intento a una rio tecnico e metodologico offerto dall’Enciclopedia e dal progresso industriale.
continua ricerca e verifica di principi naturali attraverso l’acuta osservazione Questa pubblicazione intende testimoniare di come, in un momento di parti-
e la minuziosa rappresentazione dei fenomeni, con una precipua finalità colare difficoltà e transizione per l’Università italiana, sia indispensabile per
divulgativa», così come ci spiega Alfredo Buccaro. l’ingegneria salvaguardare le radici antiche di una fisionomia professionale
Il Banco di Napoli ha deciso di sostenere gli studi del prof. Buccaro perché ‘completa’, ai fini del riconoscimento della propria identità e di un patrimo-
sottolineano come Leonardo rappresenti la più alta espressione delle comuni nio di esperienze e di una impostazione metodologica comuni anche a tante
radici culturali dell’intero Paese. nuove branche specialistiche. Non è, infatti, da porsi una questione di settore,
Nel centocinquantenario dell’unità d’Italia e nella ricorrenza altrettanto si- bensì quella delle origini e della solida tradizione di ‘primati’ dell’ingegneria
gnificativa del bicentenario della fondazione della Scuola di Applicazione di meridionale – basti pensare solo a quelli ottocenteschi, dai primi ponti ‘so-
Ponti e Strade di Napoli, poi divenuta la prestigiosa Facoltà d’Ingegneria spesi’ di ferro di Luigi Giura al battello a vapore, alla prima ferrovia italiana
dell’Università di Napoli Federico II, non poteva immaginarsi iniziativa – che, nel corso di molti secoli, lo scienziato-artista di matrice vinciana seppe
più significativa per interpretare appieno il più alto spirito unitario. esprimere e consolidare nel Mezzogiorno con il suo pensiero e la sua opera,
La presenza del Banco di Napoli nell’edizione promossa dalla Facoltà di e che trovano riscontro nelle preziose testimonianze scientifiche e didattiche
Ingegneria testimonia, ancora una volta, l’attenzione costante rivolta dal rinvenibili nella sezione Libri Antichi della Biblioteca della nostra Facoltà,
nostro Istituto alla valorizzazione e alla promozione culturale, sociale, scien- oggetto, proprio in occasione del Bicentenario, di studi e iniziative tese a
tifica ed imprenditoriale del Mezzogiorno. promuoverne la valorizzazione.
Per noi, Presidi della Facoltà di Ingegneria a cavallo del duecentesimo anni-
Vincenzo Giustino versario della Scuola, è dunque un grande onore aver sostenuto e accompa-
Presidente Banco di Napoli gnato il prezioso lavoro del Collega Alfredo Buccaro.

Giuseppe Castagna
Direttore Generale Banco di Napoli Edoardo Cosenza
Assessore Regione Campania Opere e Lavori Pubblici
già Preside della Facoltà di Ingegneria (2005-2010)
Università di Napoli Federico II

Piero Salatino
Preside della Facoltà di Ingegneria
Università di Napoli Federico II

[vi]
A natole France, figlio di libraio antiquario, bibliotecario e
scrittore – una vita passata tra manoscritti e libri – era di quelli con-
vinti che la storia si ripetesse. Ingenuo obiettare che questa convinzione gli
napoletana, a difesa di una tradizione fondata sulla figura dell’ingegnere
integrale – emblematicamente rappresentata, nella citazione di Buccaro, da
Camillo Guerra e Luigi Cosenza – di fronte all’imperversare delle pol-
venne perché non ebbe modo, come noi, di vivere le strepitose innovazio- verizzazioni specialistiche. L’occasione della pubblicazione del facsimilare
ni tecnologiche d’oggi. Non le visse, ma le descrisse con profetico dettaglio del Codice Corazza, al di là della soddisfazione di noi bibliotecari della
nell’indimenticabile romanzo Sulla pietra bianca. Aveva ragione. La storia Nazionale di Napoli nel diffondere i contenuti e la bellezza corporea di
si ripete. E, per fortuna, lo fa spesso senza che noi, attori protagonisti e un’opera così importante, diviene preziosa se letta come ulteriore tentativo di
comprimari, proiettati come siamo nel futuro, ce ne accorgiamo. Lo dimostra restituire alla figura dell’ingegnere quell’impronta di humanitas che sembra
la straordinaria operazione scientifica ed editoriale che Alfredo Buccaro ha sopraffatta dal tecnicismo. Questo recupero è auspicabile per noi bibliotecari
condotto in porto, con grande soddisfazione di chi vi ha creduto e lavorato, di storiche biblioteche-museo, costretti a misurarci con le difficoltà di una sede
e di noi bibliotecari della Nazionale di Napoli che raggiungiamo un altro monumentale da tutelare, valorizzare e adeguare alle necessità di un’utenza
traguardo significativo nell’impegno, che ci è proprio, di promuovere la cono- in continua mutazione, costantemente bisognosa di tutte le possibili cure per
scenza di quegli straordinari e multiformi strumenti di cultura affidati alla le quali non si sa mai fin dove deve intervenire l’architetto e fin dove deve
nostra tutela. Propagazione della conoscenza che si fa, ancora e sempre, con farlo l’ingegnere, speranzosi sempre di imbatterci in un ingegnere con una
incrollabile fedeltà alla tradizione della memoria scritta, grazie alla beneme- solida formazione umanistica e di un architetto con un altrettanto solido
rita e intramontabile scienza ancillare della copia, non sempre adeguatamen- bagaglio tecnico… Sarebbe anche una bella soddisfazione per chi scrive,
te elogiata, anzi talvolta sottovalutata. L’esercizio della copia ha segnato la figlio di un ingegnere d’altri tempi, un ingegnere umanista dal quale è stata
storia della cultura, dai monumenta della trasmissione della parola scritta, ereditata la passione per Anatole France, che ci fa sicuri che la storia si ripeta,
gli scriptoria del mondo antico e medievale, ai torchi tipografici dell’età riproponendosi con opere come quella del Codice Corazza.
moderna, fino a giungere ai copialettere dei nostri nonni, alla carta carbone
delle macchine da scrivere, al ciclostile della prima associazione studentesca, Mauro Giancaspro
alla fotocopiatrice, allo scanner... Anche frequentare biblioteche era spesso, in Direttore della Biblioteca Nazionale
passato, collegato all’attività della copia: lo si è fatto fino ad una quarantina di Napoli “Vittorio Emanuele III”
di anni fa, quando, con l’irrefrenabile progressione dei moderni strumenti di
riproduzione, s’è smarrita quasi del tutto la capacità di scrivere a mano. Così
Cassiano dal Pozzo, identificato come l’estensore del Codice Corazza
della Biblioteca Nazionale di Napoli, “copiò” – testo e immagini, diremmo
oggi – dai codici leonardeschi, per poi selezionare e assemblare un compendio
di scritti sulla pittura e, anche e soprattutto, di meccanica, di idraulica, di
prospettiva, di ottica e di rappresentazione del paesaggio e dell’architettura;
compendio destinato alla stampa, secondo un programma mai realizzato.
E noi, posteri intraprendenti e versati nell’uso delle più avanzate tecniche
di riproduzione, finiamo per fare le stessa cosa: una copia. Una copia, però,
fedelissima all’originale, sottratta dal computer all’umana distrazione dell’a-
manuense. Una copia che avvince per la sua somiglianza all’originale di cui
consente, mantenendone inalterato il fascino dell’antica grafia e dei disegni
originali, la massima possibile divulgazione. Una copia che diventa stimolo
per una risistemazione critica, storica, codicologica, e che è anche occasione
preziosa per affrontare, forse per smorzare, una querelle recente, ma così acce-
sa da sembrare antica, quella tra ingegneri e architetti.
Siamo perciò felici che il Codice Corazza rimandi a tempi in cui tra ar-
chitetto e ingegnere non era possibile creare una demarcazione di competen-
ze, sapendo l’uno e l’altro allo stesso modo calcolare, disegnare, progettare,
inventare. Distinzione di competenze esaltata dai rigidi precetti dell’attuale
burocrazia. Quaranta anni fa, sulle pagine della rivista L’ingegnere libero
professionista, scriveva l’ingegnere Sergio Giancaspro, mio padre: “Oggi
non v’è un buon ingegnere edile, che non sia anche, consciamente o poten-
zialmente, buon architetto, e non v’è, viceversa, buon architetto, che non sia,
alla stessa maniera buon ingegnere”. E citava come esempi Nervi, Le Cor-
busier e Neutra. Al centro del Codice Corazza c’è questa idea dell’inge-
gnere-architetto, dell’ingegnere-artista, sottolineata da Buccaro, sostenuta con Luigi Cosenza, schizzi di progetto della nuova sede della Facoltà di Inge-
convinzione nel secondo dopoguerra dai docenti della Scuola d’Ingegneria gneria di Napoli, c. 1958. Napoli, Archivio Cosenza

[vii]
Bernardino Luini, Puttino che mostra un suo trastullo, c. 1525, Peterborough, Elton House, Collezione Proby

[viii]
Presentazione
Carlo Pedretti

Direttore del The Armand Hammer Center


for Leonardo Studies, University of California, Los Angeles
e della sua sede italiana presso l’Università di Urbino

B en nota è la storia della dispersione dei manoscritti che Leo-


nardo aveva lasciato in eredità all’allievo prediletto Francesco
Melzi e che furono visti, da chi lo visitò a Clos Lucé in Francia, nel
eccellenza, l’archetipo del Libro di pittura di Leonardo compilato dal
fedele allievo ed erede Francesco Melzi, il codice vaticano urbinate
1270 riprodotto per la prima volta in facsimile nella mia edizione
1517, come una “infinità de volumi et tucti in lingua vulgare, quali se critica con la trascrizione di Carlo Vecce (Firenze 1995) e dal quale
vengono in luce saranno proficui et molto delectevoli”. Meno nota ebbe origine, a cominciare verso la fine del Cinquecento, una proli-
ma altrettanto affascinante e forse ancor più complessa è la storia ferazione di apografi della redazione abbreviata che in quella forma
dell’opera di coloro, e sono molti, che nei secoli successivi si adope- il cosiddetto Trattato della pittura di Leonardo vide appunto la luce a
rarono in vari modi e circostanze di mettere in luce quei manoscritti, Parigi nel 1651. Nella sua Teorica della pittura pubblicata a Lucca nel
non proprio come si farebbe oggi con splendide edizioni in facsimile 1739, a p. 47, così scrive Antonio Franchi: “Io mi ricordo che da gio-
e trascrizione dei testi presentati col dovuto rigore scientifico, ma vanetto lessi il Trattato della pittura del Vinci manoscritto, uscito dalle
piuttosto col criterio applicato alle opere di autori classici di ogni mani del Gentil Guido Reni dopo la sua morte; poiché in tal forma
tempo e nazione e in qualsiasi campo del sapere, dalla poesia alla vagava per le mani degli studiosi Pittori, prima che fosse stampato”.
letteratura e dalla scienza alla tecnologia, e questo con edizioni pur E per stare a Bologna, ecco addirittura l’impressionante giudizio di
sempre impeccabili dal punto di vista filologico ma perfettamente Annibale Carracci nella testimonianza del Félibien del 1672 secondo
accessibili e gradevoli a un più vasto pubblico colto avido di trarre la quale Annibale soleva dire che “se in gioventù avesse letto quei
profitto da testi “proficui et molto delectevoli” proprio come quelli precetti che l’aureo libro di Lionardo contiene, risparmiati avrebbesi
di Leonardo. A questo fine mirava uno stampatore come il celebre venti anni di lavoro”.
Bodoni che di questo è un esempio luminoso nel Secolo dei Lumi. I Il clima culturale e scientifico bolognese, al quale il Corazza continuò
suoi criteri innovativi fecero scuola e varcarono subito i confini na- a partecipare con l’intensità dei suoi rapporti epistolari anche durante
zionali, come mostrano due opere della sua ricca e varia produzione le sue frequenti e prolungate assenze quando veniva chiamato al ser-
che di rado si ricordano: Péricles. De l’influence des Beaux-Arts sur la vizio di signori, case patrizie e corti principesche a Milano, Roma e
félicité publique par Charles d’Alberg associé étranger de l’Institut de France Napoli, ebbe infatti a produrre, nel 1786, una splendida edizione del
del 1811, e i Saggi sul ristabilimento dell’antica arte de’ Greci e Romani pit- Trattato di Leonardo esemplata su quella di Parigi del 1651. L’editore
tori, un fondamentale studio sulla storia della pittura a encausto dello fu nientemeno che l’Istituto delle Scienze di Bologna celeberrimo
spagnolo Vincenzo Requeno (due tomi, seconda edizione del 1787). in tutta Europa e del quale per molto tempo il Corazza fu bibliote-
Non sorprende quindi che il suo stile si riconosca all’istante anche cario e al quale al momento di trasferirsi altrove lasciò in dono la sua
nello splendido in-folio dell’opera di Giuseppe Bossi sul Cenacolo di vasta e ricchissima biblioteca di opere sull’architettura, una raccolta
Leonardo pubblicata dalla Stamperia Reale a Milano nel 1810. di tale importanza da essere considerata ben più completa di quella
Alfredo Buccaro, l’autore del libro che ora ho l’onore di presenta- del Poleni e quindi fondamentale alla compilazione della bibliografia
re, ha realizzato il sogno di un mio concittadino di quattro secoli del suo amico Comolli, in particolare per quanto riguardava la parte
fa, il letterato e umanista bolognese Vincenzo Corazza (1722-1799) relativa a Vitruvio.Viene spontaneo pensare che egli conoscesse bene
– fra l’altro ammiratore e corrispondente di Bodoni –, che possedeva il progetto dell’edizione bolognese del Trattato della pittura di Leo-
un cospicuo gruppo di scritti apografi di Leonardo ricordati per la nardo nella quale il suo nome non appare in alcun modo, così come
prima volta nella Bibliografia storico-artistica dell’architettura civile ed arti sembra strano che egli non avesse pensato allo stesso Istituto per la
subalterne di Angelo Comolli (Roma 1788-1792, 4 voll.). Riferendosi pubblicazione dei suoi apografi vinciani di carattere scientifico che
alle edizioni del Trattato della pittura di Leonardo (editio princeps Parigi tramite l’amico Rosaspina pensava invece di offrire al Bodoni. Alfre-
1651) il Comolli così scrive (Vol. III [1791], p. 97, nota (a) da p. 195): do Buccaro, che al clima culturale nel quale il Corazza visse e operò,
“Sarebbe desiderabile che il Sig. D. Vincenzo Corazza, uno dei più soprattutto a Bologna e a Napoli, dedica gran parte del suo studio in-
valenti conoscitori del bello, intraprendesse di tutto questo Trattato troduttivo, espone ancora una volta e con nuovi apporti documentari
del Vinci una nuova edizione, inserendovi a proposito que’ frammen- la storia lunga e complessa dell’origine e dispersione dei vari apografi
ti, o interi capitoli inediti, ch’egli dice d’avere. […]”. che si affiancavano a quelli convogliati verso l’esito dell’editio princeps
Con sterminata erudizione e infallibile percezione Alfredo Buccaro del Trattato della pittura. Apografi che in un vasto progetto concepito
illustra ogni aspetto della vita e dell’opera di questo straordinario per- a Milano sotto l’egida del cardinale Federico Borromeo, il fondatore
sonaggio rimasto per secoli sepolto nell’oblio, e spiega per filo e per dell’Ambrosiana, avrebbero fornito al cardinale Barberini a Roma
segno come gli apografi vinciani di sua proprietà fossero pervenuti una imponente silloge di scritti inediti di Leonardo prevalentemente
alla Biblioteca Nazionale di Napoli dove ben pochi per tanto tempo di carattere scientifico in diretto rapporto con la teoria della pittura
ebbero modo di esaminarli e studiarli e dove sarebbero rimasti fino (per es. il De ombra e lume tratto dall’autografo, oggi noto come Ms.
ad oggi inediti. Un evento editoriale di eccezione che viene dunque C, e da altri manoscritti dell’Ambrosiana come il Codice Atlantico e
ad affiancarsi alle monumentali edizioni in fascsimile dei manoscritti il Ms. D), e anche di carattere più strettamente scientifico come nel
di Leonardo che dalla fine dell’Ottocento sono andate susseguendosi caso della compilazione del trattato Del moto e misura dell’acqua, poi
in Italia e all’estero fino ai nostri giorni; e proprio di recente con pubblicato per la prima volta a Bologna nel 1828. Tracce di questo
l’attenzione rivolta anche agli apografi, come nel caso di quello per programma si trovano non solo in apografi presso la stessa Biblioteca

[ix]
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❧ Bernardino Luini, Madonna con bambino, c. 1525. Napoli, Galleria Nazio-


nale di Capodimonte
❧ Particolare della illustrazione a p. viii, supra
❧ Schema del trastullo in mano al Puttino del Luini (p. viii, supra): in veduta
forzatamente aperta (a sinistra) e nell’illustrazione mancante alla descrizio-
ne di Luca Pacioli, De viribus quantitatis, Bologna, Biblioteca Universitaria,
Ms. 250, f. 229 r-v (a destra, dall’alto al basso)

[x]
❧ James E. McCabe,
Modello del teatro
di Curio
secondo l’interpretazione
di Leonardo
(1969)

❧ Leonardo, Ms. I Madrid, f. 110 r, c. 1497. Interpretazione del meccanismo


del teatro girevole di Curio descritto da Plinio e da Vitruvio

CATENE: CB IN ALTO
AD IN BASSO

ROTAZIONE INVERSA CONTROROTAZIONE DI 160°

❧ James E. McCabe, Illustrazione grafica del meccanismo del teatro di Curio nell’interpretazione di Leonardo (1969)

[xi]
Ambrosiana provenienti dalla Francia al posto degli autografi requisi- loro possessore, faceva conoscere non solo a Napoli ma anche altro-
ti da Napoleone, ma anche in altre biblioteche in quanto provenienti ve, a Bologna, a Milano, e poi in Francia e in Inghilterra e perfino
da un’unica fonte – la celebre biblioteca del cardinale Albani –, come in Russia, dove si affidava all’amico Jacopo Quarenghi, l’architetto
nel caso di quello a Montpellier da me segnalato nel 1957 quando mi del teatro dell’Ermitage a San Pietroburgo, per una loro auspicata
fu dato di menzionare anche quello del Corazza a Napoli. vendita a quella Imperatrice. Opera dunque di sostenuta e sistema-
“Ai due codici milanesi”, scrivevo allora, “già noti non foss’altro per- tica promozione del loro contenuto teorico in base al quale andava
ché furono sostituiti agli originali nella restituzione degli autografi ra- delineandosi sempre meglio la personalità di Leonardo come artista e
pinati da Napoleone, si aggiunge ora la copia dell’H 229 inf. che Cas- scienziato e quindi come tecnologo e architetto.Veramente non è un
siano dal Pozzo fece eseguire per il cardinale Barberini e che si con- caso – e questa è l’entusiasmante tesi di Buccaro – che proprio a quel
serva oggi nella Biblioteca Nazionale di Napoli (segn. XII.D, 79). Si tempo in epoca post-Vanvitelliana e proprio nel meridione, con Na-
sapeva che il Bossi nel 1810 si era recato a Napoli a copiare un «mano- poli come punto focale, andava prendendo corpo l’idea dell’architet-
scritto di Leonardo» e che da queste copie G.B.Venturi ricavò alcuni to-ingegnere secondo criteri innovativi di formazione professionale
capitoli di cui si servì in una memoria inedita su l’ottica di Leonardo. dove si riconosce l’esempio di Leonardo come modello a cui ispirar-
Si è potuto ora accertare che si tratta proprio dell’apografo Barbe- si. A me, capitano di lungo corso come Paolo Galluzzi ebbe amabil-
rini”. Conclusione confermata da Buccaro, che dimostra però non mente a definirmi, gratifica oltremodo vedere realizzato un progetto
trattarsi di una copia, bensì della silloge completa di quegli apografi. editoriale di tanto respiro come questo che all’ancor giovane amico
A lui del resto va lasciato il racconto puntuale e circostanziato del- e collega ha richiesto un impegno ventennale di sistematiche ricer-
le complesse vicende di quegli apografi considerati nel più ampio che e riflessioni coronate da una efficace, lucida sintesi di un vasto e
contesto culturale che fra Milano e Parigi (e poi col Corazza pure a complesso quadro di eventi ricostruibili col rigore scientifico dello
Bologna e a Napoli) avrebbe portato all’editio princeps del Trattato della storico attraverso il fuoco incrociato dell’avvicendarsi di informa-
pittura di Leonardo nel 1651 e di riflesso avrebbe stimolato analoghe zioni spesso contrastanti e spesso carenti ma che sempre gli lasciano
iniziative in altre parti d’Italia e di Europa: basta ricordare l’attività del l’orgoglio di avere raggiunto un punto fermo di arrivo che è anche
pittore svizzero Ludovico Antonio David (1648-1720) che all’inizio un promettente punto di partenza come esempio a studiosi di là da
del Settecento a Roma trascriveva il codice Leicester (poi Ham- venire. Di qui l’omaggio che desidero offrirgli di un piccolo ma non
mer) allora di proprietà del pittore Grezzi e la cui corrispondenza insignificante contributo alla soluzione di un problema lasciato aper-
con Ludovico Antonio Muratori, allora prefetto dell’Ambrosiana, to nella sua imponente opera di interpretazione. Ecco di cosa si tratta.
mostra la sua convinzione che nei manoscritti vinciani di quella bi- Alla pagina 143 di questo volume il nostro Autore si sofferma su
blioteca dovessero trovarsi estese trattazioni scientifiche e tecnolo- alcune testimonianze dell’indiscussa autorità di Corazza in ambito
giche meritevoli di essere prese in seria considerazione da esperti culturale e artistico rinvenibili fino agli ultimi anni di vita che son
di fisica e matematica, convinzione sostenuta con accesa passione poi gli ultimi anni del Secolo dei Lumi. Di qui si arriva a riscontra-
al punto di provocare l’invito di un esperto del calibro del Padre re l’impegno del bolognese nel reperimento e commercio di opere
Giuseppe Maria Stampa che l’8 maggio 1704 informava il Muratori d’arte come si ricava dalla corrispondenza con lo studioso toscano
sull’esame compiuto del Codice Atlantico affermando, sconsolato, di Onofrio Boni (1739-1818) con lettera da Firenze del 30 luglio 1793
“avere esaminato foglio per foglio quel gran volume” ma solo per dove si prospettano le possibilità e difficoltà di ottenere opere del
avere “giuocato ad indovinare che cosa volesse darci ad intendere Domenichino e perfino di Michelangelo per un personaggio che a
con quelle sue figure”. Severo giudizio, questo, che settant’anni dopo, Napoli già possiede un piccolo Leonardo, un “Leonardino”. La lette-
nel 1778 al ventilarsi di un’ipotesi di edizione forse suggerita dal Co- ra si conclude con una nota che è insieme di rammarico e compiaci-
razza, avrebbe trovato l’eco nel giudizio sorprendentemente negativo mento all’impossibilità di poter soddisfare la richiesta dei menzionati
e ancor più circostanziato di un altro insigne matematico e fisico, il dipinti da parte di tanto personaggio indubbiamente altolocato: “Mi
Padre Gregorio Fontana, che ebbe a soffermarsi anche sul De ombra spiace che non potrò servirla”, conclude il Boni, “ma tal dispiacere si
e lume – ora Ms. C – le cui proposizioni “alcune sono malamente modesta [cioè si modera] quando penso a chi Ella gli destina, cioè al
enunciate, alcune indeterminate e ambigue, ed alcune anche espres- Padrone di quel Lionardino così saporito. Ben gli sta che ne sia privo
samente false”. L’esame poi del Codice Atlantico portò decisamen- […]”.Verrebbe spontaneo pensare subito al re Ferdinando come in-
te ad escludere la necessità di pubblicarlo: “Il voler pubblicare un nominato possessore del piccolo Leonardo nel quale verrebbe fatto
tal manoscritto sarebbe lo stesso che far totalmente perdere al Vinci di riconoscere il Luini che in effetti esiste ancora nella collezione
quella riputazione di buon Matematico che egli gode presso di mol- Farnese, la Madonna con Bambino, una tavoletta di 84 x 66 cm un
tissimi, i quali tengono come sinonimi Architetto e Matematico”. “Io tempo attribuita a Leonardo (catalogo del 1802) e ora giustamente
peraltro sono ora convinto”, conclude il Fontana, “che quest’Uo- riconosciuta del Luini nella Pinacoteca Nazionale a Capodimonte.
mo, veramente sommo e incomparabile nelle arti del disegno, pos- Ma il “Leonardino” menzionato dal Boni è un altro dipinto, più pic-
sa aspirare a tutt’altra gloria, che a quella di buon Matematico”. colo, ora pure riconosciuto del Luini dopo essere stato considerato di
Con questo in mente risalta, per contrasto, la tesi di Alfredo Buccaro Leonardo fin dal tempo del conte di Arundel – il primo possessore
nel dare alla luce questi testi apografi di Leonardo che il Corazza, dei disegni di Leonardo ora a Windsor – dopo il quale passò ad altre

[xii]
prestigiose collezioni inglesi, da quella di Betty Germaine a quella del Ma il trastullo per bambini non si limita al ruolo di curiosi-
mitico Beckford di Fonthill (1801), per passare poi a Lord Hamilton tà, poiché molto probabilmente risale all’antichità o per lo meno
ambasciatore di Sua Maestà Britannica a Napoli. È questo il Puttino a molto tempo prima del tempo di Leonardo. Questo è accerta-
che mostra un suo trastullo, una tavoletta di 66 x 50,8 cm che dopo la bile sulla base della descrizione che Luca Pacioli, il matemati-
sosta a Napoli ritornava in Inghilterra per passare alla collezione Far- co amico di Leonardo, ne fa nella sezione di giochi scientifi-
quhar (1822) via via fino alla collezione Proby a Peterborough, Elton ci nel suo De viribus quantitatis recentemente pubblicato in edi-
Hall (v. p. viii, supra). zione critica a cura di Augusto Marinoni (1997). (L’illustrazione
La certezza del riconoscimento ci viene dallo stesso Boni che ovvia- manca ma è facilmente ricostruibile.) Nella seconda parte al cap.
mente vide il “Leonardino” a Napoli presso Lord Hamilton secondo CXXXII, f. 229 r-v (pp. 316-317 dell’edizione) si legge quanto segue:
quanto egli stesso afferma nel 1808 nelle sue Riflessioni sopra Miche-
langelo Buonarroti, un saggio pubblicato in appendice all’Idea della per- Capitolo CXXXII. Documento: del solazo puerile ditto bugie
fezione della pittura di Rolando Freart Segneur de Chambrai tradotta Usano li atempati [i.e. anziani] per dar solazo et piacere alli fanciuli certo
dal francese da Anton Maria Salvini e pubblicata da Domenico Mo- strumento ditto bugie, o ver le bugie, qual sia facto con doi taulete e
reni a Firenze nel 1809. Val la pena soffermarsi sul modo come l’ar- tre corigiuoli de cuoro, fitti capo <e> piè, tramezati alle teste de ditte
gomento viene da lui introdotto (pp. 41-42) partendo dal concetto di taulette tetragone [i.e. a quattro angoli], pare, uniformi in colore et gros-
bellezza espresso nei volti dipinti dagli antichi fino ai moderni pittori: sezza a maggior fallacia, como sia l’una qui abcd, l’altra efgh. E ne la testa
ab ferma con un chiu<o>do el coregiuolo unico a ponto nel mezzo, e
Dubiterei che l’espressione fosse riposta in quello che tra gli Artisti si l’altro capo ficarai nella testa ef de l’altra tauletta, in modo che ditto co-
definisce per Greco disegno, cioè per quei modelli superiori di bellezza, regiuolo in una e l’altra tauletta arà un capo fitto in lo mezzo ambedoi,
che Parrasio, o altri fissarono per ciascuno dei loro Dei, o Eroi, nella comme vedi la fila [nm]. Poi li doi capi de li altri doi coregiuoli ficarai
qual cosa niuno dei moderni gli ha superati. A me sembra riposta in ne la testa dc con doi altri chiuodi e l’altre doi estremità ficarai nela testa
questo la bellezza; ma l’espressione in quello che i latini diceano vul- hg, in modo che ditti doi coregiuoli aranno doi capi fitti in una de ditti
tus, e che Cicerone definisce per tacito linguaggio dell’animo (Orat. in taulete e doi in l’altra [op, rs]. Ora, al piacere, se prende una paglia e me-
Calp. Pisonem.), con cui manifesta nel viso di ognuno ciò che pensa; in tesse a traverso sotto qual voi coregiuoli, comme sia in la tauletta abcd
quelle argutiae vultus di Parrasio, che più tosto che galanterie, come dice sotto l’unico, et sirando [i.e. serrando] voltano capo piedi et aprano ditte
il Dati, io tradurrei espressioni del sembiante. Per questa ragione le te- taulette; farò che la ditta paglia se retrova sotto li doi coregiuoli, comme
ste degli Apostoli della Cena di Lionardo, benché sì poco greche, tanto vedi in la tauletta hgef, et così, or qua or là, la fanno venire dicendo che-
piacciono, perché sì argute nella muta loro espressione tanto dicono”. le [i.e. quelle] ale uno e chele [i.e. quelle] ali doi etc.: et dicendo a un
modo, quello apre voltandole a l’altro et e converso. Ideo.
Ed è qui che il Boni conclude col ricordo di una singolare esperienza
di fronte al “Leonardino” visto a Napoli: È probabile che si possano rintracciare altri esempi dello stesso tra-
stullo anche in immagini, in bassorilievi o in carte o pergamene, ri-
Mi sovviene di essere stato forzato a ridere vedendo nel gabinetto del salenti all’antichità e all’età di mezzo. È certo comunque che il prin-
Cav. Hamilton, Ministro d’Inghilterra a Napoli, un putto dello stesso cipio per così dire tecnologico del trastullo si trova applicato all’ar-
pittore, che ridendo mostrava un suo trastullo, benché non avesse l’idea chitettura quando Leonardo avrebbe spiegato, unico fra i maggiori
più bella del mondo, come non l’hanno tanti putti del Correggio, che teorici dell’architettura durante e dopo il suo tempo, dall’Alberti
pure tanto piacciono. al Palladio, il dispositivo menzionato da Plinio e Vitruvio quando
descrivono il monumentale teatro mobile di Curio. Il disegno e
L’acuto osservatore s’è dunque concentrato sull’espressione di trion- commento di Leonardo si trovano nel Ms. I di Madrid, f. 110 r, data-
fante ilarità infantile provocata dalla dimostrazione del trastullo che bile intorno al 1497, e sono stati correttamente interpretati da James
nella scheda del catalogo della grande mostra dell’arte italiana a Lon- E. McCabe, ingegnere nei programmi spaziali della NASA per il
dra nel 1930, dove la tavoletta del Luini figurava col titolo di “Boy progetto “Apollo” e mio allievo in storia dell’arte presso l’Università
with a puzzle”, veniva giustamente descritta come “a wooden puzzle della California a Los Angeles. Nella sua relazione pubblicata in ap-
with straps, similar in construction to modern note-cases”, e cioè pendice alla IX Lettura Vinciana di Kate T. Steinitz, Leonardo architet-
una sorta di giochetto rompicapo in legno con reggette di pelle e to teatrale e organizzatore di feste (1969), si riporta il mio suggerimento
simile ai moderni portafogli. E infatti io stesso ben ricordo l’identico di riconoscere lo stesso principio tecnologico nel dipinto del Luini
trastullo di moda come portafoglio negli anni Quaranta del secolo della collezione Proby a Peterborough: “The naked infant is shown
scorso. In mancanza di un esemplare che avrei desiderato di ritrovare playing with a trick toy constructed of two wooden planks hinged
presso rigattieri o antiquari per riprodurla accanto al dipinto di Luini, together by flexible bands, two across one plank and one across the
sarebbe facile ricostruirlo con due tavolette di legno per mostra- other”. Nello spirito del metodo di comunicazione applicato da
re come, rivoltandole su se stesse, una banconota posta liberamente Leonardo artista e scienziato che privilegia il ricorso alle illustrazio-
fra di loro la si ritroverebbe fermamente assicurata sotto le reggette. ni e ai grafici, ogni spiegazione o commento scritto risulta superflo.

[xiii]
Codice Corazza, c. 1640, frontespizio della sezione I/a. Napoli, Biblioteca Nazionale

[xiv]
Introduzione
“Ars sine scientia nihil est”
Jean Mignot, 1398

Q uesto nostro lavoro è rivolto, oltre che agli studio-


si della materia vinciana e a quelli di storia dell’architet-
tura e dell’ingegneria, a tutti coloro che, studenti o professio-
Ma ci sarà concesso una buona volta di sapere che ‘dovrebbe’ fare
l’architetto di diverso rispetto all’ingegnere civile o edile? Il pro-
dotto del loro lavoro non è il medesimo? E se no, in che cosa dif-
nisti, desiderassero comprendere meglio le origini della figura ferisce? La risposta se l’è già data il comune lettore di buon senso,
dell’ingegnere-architetto nel Mezzogiorno e le sue radici profonde non essendo necessario scomodare Leonardo o Le Corbusier per
nella più generale vicenda italiana ed europea dell’età moderna arrivarci. Un’occhiata superficiale alle discipline presenti all’in-
e contemporanea. Va detto subito che l’adozione di un termine terno dell’attuale curriculum per la formazione di queste figure
‘duplice’ non è casuale, ma trova solide motivazioni nella storia professionali potrebbe indurre a pensare che l’architetto fondi il
che ci accingiamo a raccontare. Si tratta, con tutta evidenza, di proprio sapere su una più solida preparazione umanistica, storico-
un programma ambizioso, che a valle di lunghe ricerche abbiamo critica o artistica, a fronte di una più ampia competenza tecnico-
cercato di affrontare con cautela ma anche con decisione, sebbe- strutturale, tecnologica, impiantistica o infrastrutturale dell’ingegne-
ne certamente con inevitabili lacune o inesattezze, di cui il let- re. Ma siamo sicuri che questo sia vero per tutti e non solo in alcuni
tore attento o l’esperto studioso vinciano vorranno perdonarci. casi, o che basti perché l’opera del primo si distingua per qualità da
Nel corso della seconda metà del Novecento, ormai consumatasi quella del secondo?
la pretesa scissione tra i due ambiti professionali dell’architettura e Dunque l’una, che chiameremo ‘architettura’, sarà necessariamente
dell’ingegneria civile, a tanti è capitato di chiedere, da studenti, o di bella e si inserirà perfettamente nel paesaggio e nel contesto strati-
sentirsi chiedere, come docenti e forse anche come genitori: «Quale ficato, ma potrà serbare qualche sorpresa per gli aspetti tecnico-co-
è la differenza tra architetto e ingegnere?». Penso che, a tutt’oggi, la struttivi o impiantistici; l’altra, che chiameremo ‘edilizia’, sarà invece
maggioranza delle persone non sappia dare a tale quesito che una ri- solida, funzionalmente affidabile, ma probabilmente brutta o avulsa.
sposta incerta, che può divenire convinta solo a patto di allontanarci Ma se ci riferiamo solo agli ultimi cinquant’anni, allorché di fatto
decisamente dall’ambito delle costruzioni: ingegnere è certamente ha campeggiato questa sciagurata distinzione, non ci risulta che le
un professionista che svolge un preciso lavoro nel campo dell’indu- opere dei primi possano distinguersi, in generale, per un bollino di
stria meccanica, chimica, aeronautica, navale, o nel settore informa- qualità (tutt’altro!) e quelle dei secondi, necessariamente, per brut-
tico, gestionale, ecc. Ma se solo sfioriamo il settore delle opere civili tezza e rifiuto della storia: anzi, spesso è vero il contrario. Non sarà
ed edili cominciano i dubbi, e ancora oggi la gente comune, se in ge- forse che quello che chiameremmo meno pretenziosamente ‘ogget-
nerale ignora quella differenza, in molti casi non ha mai avuto a che to costruito’ potrà essere più o meno bello, più o meno dotato del
fare con un architetto: da sempre colui che si occupa di progettare e valore di bene culturale e rispettoso dell’ambiente e del contesto in
dirigere le opere pubbliche e le infrastrutture, risolvendo con l’uso relazione alla preparazione, alla sensibilità e all’onestà intellettuale
di ‘ingegni’ una serie di problemi tecnici ad esse connessi, è detto in- dell’autore, chiunque egli sia, o alla qualità e compatibilità ambien-
gegnere, mentre è definito generalmente architetto il progettista di tale dei materiali e delle tecniche adottati? È vero o no che tan-
opere in campo privato, per le quali è ovviamente ignoto alla mag- te ‘architetture senza architetti’ dei secoli scorsi, oltre a invecchiare
gioranza della popolazione (se si esclude, a partire dal XIX secolo, il più che dignitosamente, gareggiano e sovente vincono in bellezza
professionista in servizio presso un ufficio pubblico); in realtà, fino e per un corretto inserimento nel territorio o nel contesto storico,
a meno di un secolo fa, poteva trattarsi tranquillamente della stessa se confrontate con tante arroganti opere delle più recenti archistar?
persona. Sicché ancora nella nostra gioventù, specie dagli anziani, Rimane allora sempre possibile e, anzi, auspicabile, che indivi-
abbiamo sentito chiamare sistematicamente l’architetto «ingegnere». dualmente un giovane aspiri a formarsi dando alla propria pre-
Se allora dopo le scuole superiori scelgo di studiare architettura, parazione un’identità e una specializzazione ben riconoscibili,
in che cosa consisterà il mio lavoro e in che sarà diverso da quel- approfondendo l’uno o l’altro dei due aspetti suddetti, e magari
lo di un ingegnere edile o di un ingegnere-architetto? Badate che candidandosi alla progettazione di opere in cui, per esigenze di
la questione non è affatto di lana caprina e che molti dei mali carattere sociale, ambientale, tecnico, o per la natura stessa della
dell’architettura della seconda metà del secolo scorso e degli inizi committenza, possa prevalere uno di essi. Ma che, data l’opera, si
di quello presente dipendono dalla pretesa distinzione tra l’archi- possa risalire al ‘tipo professionale’ del suo autore e quindi etichet-
tettura degli architetti e quella degli ingegneri: come premessa, tarla nel bene o nel male, ci sembra francamente improponibile.
quindi, al discorso che ci accingiamo a fare, va sottolineata l’equi- Detto questo, non crediamo che tale ‘specificità’ o specializza-
vocità (insieme con la diffusa irresponsabilità) insita nell’attribuire zione possa, in ogni caso, verificarsi allo stadio della formazione
alla prima un particolare valore e precise connotazioni artistiche universitaria, constatandosi oggi facilmente come, all’atto della
o stilistiche, e alla seconda, al massimo, caratteri funzionali legati laurea, essa sia ben lungi dall’essere presente. Al contrario, cre-
al fabbisogno di abitazioni a basso costo o di attrezzature sociali, diamo che tali peculiarità possano emergere solo in fase postuni-
come se non si trattasse, in ogni caso, di oggetti in cui si vive e che versitaria e che comunque esse non pregiudichino affatto l’unicità
vengono comunque collocati in un ambiente naturale o urbano, dell’architettura in quanto tale. In questo senso l’introduzione in
con tutte le conseguenze che derivano dalla messa in opera anche alcuni atenei italiani e, di recente, anche a Napoli, di un percorso
di un piccolo muro o di una sola pietra in tali contesti. di formazione da ingegnere-architetto, oltre a vantare nel caso del ca-

[1]
fenomeno della diffusione del ‘metodo vinciano’ in ambito napo-
letano assumerà l’importanza che merita ai fini di una precisa rico-
gnizione delle radici dello scienziato-artista, una figura nata di fatto
sul principio dell’età moderna ma definita nel ruolo professionale e
istituzionale tra Sette e Ottocento, prima che se ne perdesse la trac-
cia a causa degli ‘specialismi’ introdotti nel corso del XX secolo.
Prima, allora, di immergerci negli esiti di una ricerca documenta-
ria che annovera un repertorio di fonti che va ben oltre la pur no-
tevole consistenza del nostro Codice – si pensi soltanto al cospicuo
fondo Corazza della stessa Biblioteca Nazionale – va innanzitutto
chiarito il significato che, a partire dall’età dell’Illuminismo, fu
dato proprio al termine scienziato-artista: vero nodo, a nostro pa-
rere, della storia dell’ingegneria meridionale, cui qualche tempo
fa dedicammo un volume e un mostra tenutasi presso l’Archivio di
Stato di Napoli3. Si è trattato quindi di riprendere le fila di quell’e-
sperienza per andare a ritroso, ricercandone le origini all’inizio
dell’età moderna4.
Avvertiamo intanto che tale definizione, riferita ad esempio a Leo-
nardo, agli architetti-ingegneri post-vanvitelliani o ai tecnici del
Corpo di Ponti e Strade in età preunitaria, può indicare sia il pro-
fessionista ‘teorico-pratico’ – intendendosi artista come tecnico, ossia
applicatore delle regole dell’arte attraverso l’abilità e l’esperienza (con
riferimento a quella che gli antichi definivano arte, ossia la téchne)
– sia la doppia figura dello scienziato sperimentatore (e quindi sco-
pritore, codificatore e divulgatore) dei principi della scienza costrut-
tiva e dell’artista creatore di forme degne di essere annoverate nel
campo delle arti belle: nella fattispecie, quindi, non solo applicatore
delle regole del mestiere, bensì dei principi dell’estetica e del gusto.
Si comprende allora come questa definizione, adottata come sino-
nimo di ingegnere, abbia mostrato sin dall’inizio un significato di
completezza in grado di rappresentare un’autentica minaccia per gli
architetti di pura estrazione accademica che, a partire dalla metà del
XIX secolo, considerarono l’opera degli ingegneri priva di dignità
Codice Corazza, c. 1640, sez. II, p. 20, Napoli, Biblioteca Nazionale
architettonica, arroccandosi nella loro presunzione di unici deposi-
tari del ‘buon gusto’.
poluogo campano, come tenteremo di dimostrare, solide e antiche In realtà le cose stavano in maniera assai diversa. E se, ancora nel
radici, mostra una perfetta coerenza con le ragioni stesse dei nostri 1809, nel Vocabolario toscano dell’arte del disegno pubblicato da Fi-
assunti. lippo Baldinucci5 , l’ingegnere era definito genericamente «Inge-
gnoso ritrovator d’ingegni e di macchine, lo stesso che Architetto»,
Lo studio che proponiamo avrà come punto focale la vicenda e in età napoleonica la fondazione della prima scuola di ingegneria
il significato storico-documentario del Codice Corazza, come ab- italiana in ambito civile voluta a Napoli da Murat con decreto
biamo da tempo battezzato1 questa preziosa ‘antologia’ vinciana del 4 marzo 18116 – di cui quest’anno celebriamo il bicentenario,
seicentesca – conservata presso la Sezione Manoscritti e Rari della cogliendone quindi l’occasione per dare alle stampe il nostro stu-
Biblioteca Nazionale di Napoli2 – dal nome del possessore, il lette- dio – si basò proprio sul presupposto dell’ispirazione alla figura
rato filosofo e scienziato bolognese Vincenzo Corazza, precettore, professionale completa, di marca vinciana, dello scienziato-artista:
sul volgere del Settecento, del principe ereditario Francesco, figlio essa era destinata a consolidarsi fino ai primi decenni del Nove-
di Ferdinando IV di Borbone e futuro re Francesco I. cento nella fisionomia dell’ingegnere-architetto. L’unità di questa
Il Codice, la cui esistenza è stata segnalata per la prima volta da figura, infatti, supererà indenne – anzi rafforzandosi – anche la
Carlo Pedretti mezzo secolo fa, non è mai stato oggetto di una progressiva frattura tra arti figurative e tecniche costruttive dovuta
pubblicazione integrale, né di uno studio atto ad approfondirne la alle applicazioni dell’industria all’architettura: si dovrà attendere,
vicenda storica e il significato in relazione alla vasta eco e al ruolo
che la lezione di Leonardo ha avuto nel Mezzogiorno moderno e
contemporaneo. Ma tutto questo non basta: solo attraverso le fonti 3
  A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero» a «scienziato artista»: la formazione
a nostra disposizione sugli ingegneri, sino ad oggi indagate, an- dell’ingegnere meridionale tra Sette e Ottocento, in Scienziati-artisti. Formazione ruolo
degli ingegneri nelle fonti dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli, a
che da chi scrive, senza riferimenti né nessi con questa vicenda, il cura di A. Buccaro, F. De Mattia, Napoli, Electa Napoli, 2003, pp. 17 sgg.
4
  Cfr. pure A. Buccaro, Invarianti e dinamiche della professione tra Cinque e Sette-
cento, in Storia dell’Ingegneria. Atti del 3° Convegno Nazionale (Napoli, 19-21 aprile
2010), a cura di S. D’Agostino, Napoli, Cuzzolin Editore, 2010, I, pp. 261-269.
1
  A. Buccaro, Ingegneria tra scienza e arte: il Codice Corazza e la permanenza del 5
  F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Milano, Soc. Tipografica
modello vinciano nella cultura napoletana, in Storia dell’Ingegneria. Atti del 2° Convegno Classici Italiani, 1809, I, p. 265.
Nazionale (Napoli, 7-8 aprile 2008), a cura di S. D’Agostino, Napoli, Cuzzolin 6
  A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Na-
Editore, 2008, II, pp. 797-809. poli, E.S.I., 1985, cap. I e passim; Id., Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzo-
2
  BNN, Manoscritti e Rari, XII. D. 79. giorno preunitario, Napoli, Electa Napoli, 1992, pass.

Introduzione
2
Codice Atlantico, f. 537r, c. 1515; studi di centine per archi e volte. Milano, Biblioteca Ambrosiana

Introduzione
[3]
Arconati, furono redatti dai frati dell’Ambrosiana gli apografi da
utilizzare come basi per un testo concepito dal cardinale e dallo
stesso dal Pozzo quale raccolta del ‘meglio di Leonardo’ presen-
te in quella biblioteca; una selezione ‘mirata’, dunque, e finaliz-
zata alla pubblicazione di una ricca antologia di scritti vinciani.
Cassiano curò nella stessa epoca la redazione di un testo finalizzato
all’editio princeps del Trattato della Pittura, poi effettivamente esegui-
ta a Parigi nel 1651 con le illustrazioni di Poussin. Ciò fu realizzato
attraverso riscontri sugli originali dell’Ambrosiana e sulla base di
apografi più antichi, tratti in forma ‘abbreviata’ dal Libro di Pittura:
quest’ultimo, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e
compilato intorno al 1546 sui manoscritti di Leonardo dall’allievo
Melzi secondo il progetto impostato dal maestro, fu ignoto a dal
Pozzo nella forma originale, pubblicata solo agli inizi dell’Ottocento.
Gli apografi custoditi a Milano e a Napoli propongono selezioni
Codice apografo, H 228 inf., c. 1637-40, particolare. Milano, Biblioteca tratte da originali databili tra il 1490 e il 1518 e redatti da Leonardo
Ambrosiana (da Solinas) tra Milano, Firenze, Roma e Amboise: l’operazione fu condotta da
dal Pozzo estendendo gli ambiti d’interesse rispetto alla coeva editio
nell’Italia fascista, la nascita delle Facoltà di Architettura perché princeps del Trattato, evidentemente su precisa richiesta del Barberini,
il titolo di ingegnere edile venga separato ufficialmente da quello dalla pittura e dalla teoria della rappresentazione all’ottica, all’idrauli-
di architetto, con tutte le conseguenze che tuttora si registrano. ca, alla meccanica e alle scienze della terra, nonché a quanto concer-
La nostra indagine verterà dunque sulla doppia ‘anima’ della profes- nesse l’applicazione di tali materie di base alla tecnica dell’architet-
sione e sull’importanza che essa assume in relazione alla svolta veri- tura e dell’ingegneria. L’importanza di questi apografi è dovuta sia ai
ficatasi a partire dagli inizi dell’età moderna grazie al ‘nuovo’ model- criteri di selezione dei testi vinciani, sia al valore intrinseco delle tra-
lo rappresentato dai primi tecnici dotati di rango liberale e, quindi, scrizioni e del loro apparato iconografico, sia infine, come ha dimo-
da Leonardo. Per fare questo, sarà ovviamente opportuno partire strato Pedretti, per l’opportunità che ci offrono di sostituire in alcuni
dall’ampia letteratura di base concernente la figura del genio toscano, casi gli originali perduti o di aiutarci nella lettura tecnica di partico-
cui ci avvicineremo con la dovuta modestia e cautela, e con il rispetto lari illustrati da Leonardo con immagini a volte difficilmente com-
che si deve a studiosi che su tali temi hanno speso un’intera vita, pri- prensibili per la scala del disegno o per il loro stato di conservazione.
mo fra tutti Carlo Pedretti, e poi Augusto Marinoni, Alessandro Vez- La nostra ricerca ha avuto dunque inizio dallo studio del Codice
zosi, Paolo Galluzzi, Carlo Vecce e altri ancora. Ma da questo onero- della Biblioteca Nazionale di Napoli, che rappresenta la stesura
so compito non possiamo esimerci se, lungi dal pensare di apportare più ampia della trascrizione antologica coordinata da Cassiano dal
particolari contributi di novità sul piano della critica vinciana, inten- Pozzo. È risultata del tutto evidente, sin dall’inizio, la difficoltà di
diamo mettere a frutto inedite ricerche documentarie per collocare un approccio alla sconfinata materia vinciana su cui, specie da un
la vicenda della diffusione dell’eredità leonardesca nel Mezzogior- secolo a questa parte, si sono cimentati fior di studiosi e speciali-
no nel quadro della formazione della descritta figura professionale. sti del genio toscano, con particolare attenzione alla ricostruzione
dell’intricata vicenda di quei manoscritti, alle connessioni tra ori-
La storia del Codice napoletano si inserisce a pieno titolo nella più ginali e apografi e all’importanza dei contenuti di quei testi in re-
ampia e complessa vicenda dei manoscritti e apografi vinciani, con lazione alle formidabili intuizioni tecnico-scientifiche e artistiche
la quale dovremo fare i conti in ogni punto della trattazione: riper- di Leonardo: speriamo, tuttavia, di aver potuto aggiungervi al-
corriamone allora le linee principali. meno un tassello con riferimento alla fortuna critica di Leonardo
I manoscritti donati all’Ambrosiana nel 1637 dal conte Galeazzo nel Mezzogiorno moderno e contemporaneo, e soprattutto di aver
Arconati furono depredati da Napoleone nel 1796, passando dalla recuperato le fila della sua influenza sulla delineazione dell’iden-
Biblioteca Nazionale di Parigi all’Institut de France, ove tuttora tità professionale dell’ingegnere-architetto, come oggi lo intendiamo
si trovano, tranne il Codice Atlantico, restituito nel 1815, e quelli nella sua doppia ‘anima’ tecnico-scientifica ed estetico-artistica.
che, con la caduta di Napoleone, giunsero in Inghilterra, finendo Lo ‘scienziato-artista’ Leonardo, dunque, come matrice culturale
in parte presso il British Museum e il Victoria and Albert Mu- di una figura di professionista che, dopo la lunga gestazione ve-
seum, in parte presso le collezioni private di lord Leicester e lord rificatisi tra Quattro e Settecento, giunge a maturazione in età
Ashburnham, oltre ai fogli sciolti tuttora presenti nella Biblioteca napoleonica con la fondazione, a Napoli, della prima scuola di in-
Reale di Windsor e nella Biblioteca Reale di Torino. Ma alcuni gegneria italiana in ambito civile. A dispetto di quanto affermato
dei codici francesi risultano oggi mutili di fogli sottratti nell’Otto- da più parti con riferimento alla dubbia ‘scissione’ tra architetto e
cento, solo in parte ricostruiti attraverso gli apografi a partire dagli ingegnere che si sarebbe verificata a partire dalla fondazione della
inizi del secolo scorso. École des Ponts et Chaussées a Parigi nel 1747, in realtà ancora per
Riguardo appunto agli apografi, oltre che a quelli cinquecenteschi, oltre un secolo questa separazione, del tutto innaturale nel cam-
nel nostro caso va fatto specifico riferimento alle trascrizioni rien- po delle opere architettoniche e dell’ingegneria civile, sarà ben
tranti in una vasta operazione promossa dal cardinale Francesco lontana dall’attuarsi. Anzi, proprio nell’architettura dell’Illumini-
Barberini ed eseguita tra il 1637 e il 1640 da Cassiano dal Pozzo, smo e nella nuova estetica del funzionalismo ottocentesco saranno
suo segretario a Roma, intellettuale raffinato, collezionista d’arte, da ricercare, come è noto, le premesse del Movimento Moderno.
noto per l’imponente attività di raccolta e riproduzione di opere Il ‘filo rosso’ vinciano sarà sempre rinvenibile nella vicenda dell’ar-
dell’antichità confluita nel suo Museo Cartaceo, in cui dovette inse- chitettura e delle opere pubbliche nel Mezzogiorno: basterà seguir-
rirsi anche questa iniziativa. A Milano, sotto il controllo del conte ne le tracce, leggere tra le righe dei documenti, cercare di ricostruire
Introduzione
4
le carriere e annoverare le opere dei protagonisti di questo affasci-
nante scenario, da cui il territorio meridionale risulterà fortemente
connotato e pregno di valori artistici, architettonici e infrastrutturali
in esso disseminati, ancora oggi riconoscibili e solo in parte fruibi-
li. Ci interesserà, in particolare, individuare gli aspetti significativi
del ruolo svolto, nella formazione dell’identità di tali professionisti,
dall’acquisizione e maturazione del metodo scientifico-speculativo
dei primi ‘ingegneri’ dell’età moderna da parte del pensiero meri-
dionale. In tal senso, il ruolo degli scienziati e dei filosofi napoletani,
a partire dalla seconda metà del Cinquecento sino alle soglie della
rivoluzione del 1799, avrà un diretto riscontro sulla rielaborazione e
sull’aggiornamento di quel metodo nell’età dei Lumi, permettendo
di giungere alle importanti riforme che caratterizzeranno, anche in
questo campo, il governo murattiano. In altre parole, il metodo vin-
ciano e la sua diffusione fino e oltre l’Età dei Lumi rappresenteranno
la premessa per una piena espressione, anche in campo professionale,
del passaggio dall’esprit de système all’esprit systematique – per dirla
con D’Alembert – ossia da una concezione aprioristica e deduttiva
ad una basata sulla precisa classificazione e analisi dei fenomeni ai
fini dell’elaborazione delle ‘regole dell’arte’.
La figura di Vincenzo Corazza, insieme con tutto l’ambiente cul-
turale che lo circonda, è per molti versi emblematica proprio di
quell’età post-vanvitelliana in cui si fa sempre più consistente il ba-
gaglio delle teorie scientifiche poste al servizio dell’architettura e
dell’ingegneria, e sempre più avvertita l’esigenza di una solida pre-
parazione dello ‘scienziato-artista’ sia in campo umanistico, sia in
quello tecnico-scientifico. Nel corso del Novecento, poi, nell’am-
biente napoletano vi sarà sempre chi, come Luigi Cosenza, indi-
cherà proprio nella lezione vinciana la via di uscita dall’impasse dato
dall’inesorabile quanto forzosa divisione dei ruoli professionali.

Dai nostri studi sulla vicenda dell’ingegneria meridionale in età


moderna e contemporanea emerge come essa sia stata caratterizza-
ta sin dall’inizio dalla forte identità di questa figura professionale
completa, che si corrobora attraverso le importanti esperienze dei
secoli del viceregno e del primo periodo borbonico, venendo infine Francesco di Giorgio Martini, Macchine semoventi, MS. Ashburnham 361,
confermata in età preunitaria dalla neonata Scuola di Applicazione c. 46v. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana (da Galluzzi)
di Ponti e Strade. Nelle fasi di questa vicenda, che ci tocca qui
approfondire nei suoi più interessanti risvolti, è possibile registrare
peculiari invarianti ma anche significative dinamiche. Cerchere- studi, il Martini ne ha già potuto avvertire tutta l’influenza, aven-
mo cioè di individuare la linea metodologica rinvenibile con cer- do lavorato con lui e con Bramante prima a Milano, poi a Pavia e,
tezza nella storia della professione nel Mezzogiorno, quella sorta di nel contempo, avendo potuto suscitare a sua volta nel grande genio
‘filo rosso’ di cui dicevamo, che accompagnerà la maturazione di toscano, specie nel campo della meccanica e dell’idraulica, nuovi
una ‘coscienza’ dell’ingegneria solidamente fondata sull’unità dei interessi di ricerca. Ed è proprio questa la traccia che va seguita per
saperi e che approderà nel Settecento a una visione enciclopedica meglio comprendere la fisionomia che la professione andrà assu-
determinante per la definitiva connotazione in età contemporanea. mendo dal Cinquecento in poi nel più generale panorama italiano
Quando, a partire dalla prima metà del XV secolo, l’architetto – come nel Mezzogiorno; una traccia caratterizzata dalla diffusione
come il pittore e lo scultore – intraprende il proprio riscatto per ac- di una metodologia di ricerca fatta di continui rimandi tra ragione
cedere al mondo erudito delle arti ‘liberali’, pur restando «omo san- ed esperienza, tra norma e verifica, tra deduzione e induzione, che
za lettere», come diceva di sé Leonardo, egli può finalmente aspirare fino a tutto il secolo dei Lumi non solo non verrà messa in discussio-
al nuovo rango anche per altre sue antiche competenze, quale cioè ne, ma uscirà anzi rafforzata dagli straordinari apporti che, proprio
costruttore di ‘ingegni’ meccanici e idraulici, di macchine militari e nello Stato napoletano, essa potrà accogliere. Il metodo tipicamen-
di cantiere, a patto però di farsi teorico e scienziato oltre che artista. te vinciano verrà infatti confermato all’indomani della rivoluzio-
Per trovare dunque il principio della nostra storia occorrerà partire ne galileiana, ponendosi alla base della nuova scienza sperimentale.
da Francesco di Giorgio Martini, primo vero ingegnere-architetto Da un lato, quindi, questa linea proseguirà nell’opera svolta dopo il
dell’età moderna, e dalla sua esperienza napoletana, svoltasi a più Martini in Castelnuovo da Antonio Marchesi da Settignano, specie
riprese negli ultimi anni del Quattrocento, vale a dire dall’atti- nell’approfondimento della tecnica del fronte bastionato, dall’altro
vità che egli, già al servizio della signoria di Siena, è chiamato a essa assumerà come guida gli importanti contributi dati in campo
prestare presso i sovrani aragonesi, specie nell’importante cantiere teorico dall’insegnamento svolto presso la corte aragonese, per alcu-
delle fortificazioni di Castelnuovo. In un periodo in cui Leonardo, ni anni, da Luca Pacioli e dalla proficua ricerca di studiosi napoletani
attivo a Milano, è nel pieno delle sue ricerche e dei suoi poliedrici come Luca Gaurico – si pensi solo al problema della ‘quadratura
Introduzione
5
così le fila della professione, vertono sull’adozione di un concetto
di architettura ‘della guerra’ basata sui nuovi principi della mate-
matica e della geometria, respingendo l’attribuzione alla disciplina
dei soli fondamenti tecnico-pragmatici e aderendo così, ancora
una volta, alla lezione di Leonardo; ma vedremo come tutto que-
sto non basti ad evitare, a partire dalla seconda metà del Settecen-
to, il concretizzarsi di un definitivo iato tra tecnici civili e militari.
Il ruolo svolto fino alla prima metà del XVII secolo da altri impor-
tanti ingegneri-architetti conferma la decisa fisionomia ormai as-
sunta dalla professione anche in ambito napoletano. Si registreran-
no così, agli inizi del Seicento, i decisivi contributi rappresentati
dall’opera teorica e tecnica di Domenico Fontana e di Giovanni
Antonio Nigrone.
Il primo, «ingegnere maggiore del regno» già negli ultimi anni del
XVI secolo e reduce dall’attività romana con Sisto V, oltre ad es-
sere il ben noto autore di numerose opere architettoniche e infra-
strutturali nell’area napoletana, dà la propria personale impronta
all’ingegneria civile e idraulica nella capitale; impronta destinata a
permanere grazie alla diffusione, quale utile manuale della profes-
sione, del Libro secondo inserito nell’opera di Fontana Della traspor-
tazione dell’obelisco vaticano del 1604. Ora, al di là di quanto la critica
architettonica gli abbia riservato con giudizi alterni e di quanto
l’invidia di meno fortunati colleghi abbia generato nella vicenda di
alcune sue opere, ciò che interessa sottolineare è il fatto che questo
professionista seppe fare scuola influenzando, come vedremo con
una mentalità da artista-scienziato, altri indiscussi maestri dell’in-
gegneria e dell’architettura napoletana. Un enorme bagaglio di
conoscenze tecniche, grazie al Fontana, si radicherà nella Napoli
vicereale, arricchendosi poi, fino all’inizio del regno borbonico,
delle esperienze che i regi ingegneri matureranno nell’intero ter-
ritorio statale. Ciò assicurerà la continuità di quel fenomeno di
cui si diceva, che vedrà nella denominazione di architetto «vulgo
Antonio de Beatis, Itinerario di monsignor Reverendissimo, Illustrissimo il ingeniero» – data nei documenti, tra gli altri, proprio a Picchiat-
Cardinal de’ Aragona incominciando dalla città di Ferrara, 1517-18, frontespizio.
Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms.XIV. H. 70 ti – la conferma dell’antica unità della figura professionale e, nel
contempo, anche la specificità delle due ‘anime’ di quest’ultima,
l’una privata ed esclusiva, l’altra pubblica.
del cerchio’ – con cui Leonardo è certamente in contatto. Del resto Unità del resto rinvenibile anche nell’interessante opera di Nigro-
proprio da Napoli parte, nel 1517, il viaggio in Europa del cardinale ne, «ingegniero de acqua», anch’egli già al servizio di Sisto V, che
Luigi d’Aragona, fratello di re Ferrante, che con il segretario Anto- in una bozza di trattato di ingegneria idraulica redatto sul volgere
nio de Beatis si reca a fare visita al maestro ad Amboise; ne seguirà, del Cinquecento ci ha lasciato un vero compendio del sapere e
sulla scorta del diario stilato dal de Beatis e della vasta eco dell’ini- delle esperienze su campo di un profondo conoscitore dell’am-
ziativa, un’ulteriore spinta alla diffusione del leonardismo a Napoli: biente idrogeologico del territorio napoletano e flegreo, come di
le metodologie introdotte da Leonardo nella teoria della visione e quei ‘congegni’ di tradizione cinquecentesca che egli perfeziona
della rappresentazione, nella meccanica e nell’idraulica diverranno anche sulla base della propria attività romana. Se è vero che il
così, in breve tempo, patrimonio comune degli architetti-ingegneri contributo di Nigrone appare ancora basato su architetture dagli
attivi nel Mezzogiorno. accenti vernacolari (si vedano i numerosi disegni di fontane da
L’ambiente della nuova capitale vicereale costituisce, fino a tut- lui realizzate tra Roma e Napoli) e su spiegazioni trascendenti ed
ta la seconda metà del Cinquecento, terreno fertile per la prima esoteriche dei caratteri dell’ambiente fisico e dei fenomeni natu-
diffusione della scienza e della tecnica vinciana; ciò sia per l’ac- rali, sotto il profilo tecnico si deve proprio a questo professionista,
certata presenza di trascrizioni e apografi dei codici e taccuini di come del resto all’opera svolta fino alla seconda metà del secolo
Leonardo in importanti biblioteche private napoletane – da quella dai tecnici succedutisi nella carica di «ingegnere maggiore», il me-
dei Piccolomini duchi di Amalfi a quelle dei Serra di Cassano e rito di aver fatto proprio il patrimonio metodologico accumulato
del colto bibliofilo Gian Vincenzo Pinelli – sia per le numerose nel corso di un secolo sulla base della lezione vinciana e di aver
occasioni avute da professionisti come Giovan Tommaso Scala, traghettato l’ingegneria napoletana fino alle grandi speculazioni
Ferdinando Manlio, Giovan Battista Benincasa, Ambrogio Atten- scientifiche del Secolo dei Lumi.
dolo, Benvenuto Tortelli, di acquisire e mettere in pratica le nuove L’epilogo settecentesco della vicenda sin qui soltanto tratteggiata
metodologie con un evidente approccio sperimentale. ne rappresenta la pagina più ricca e significativa. Da un lato si
Gli sforzi profusi dal nolano Carlo Theti con i suoi Discorsi delle assisterà a una progressione sul piano teorico, con una sistema-
forticationi del 1569 al fine di scongiurare una ‘deriva separatista’ da tizzazione delle scienze dell’ingegneria propedeutica alla futura
parte dei professionisti impegnati in campo militare, a causa di una formazione politecnica, dall’altro proprio a Napoli, nel 1733, sarà
specializzazione tecnica sempre più accentuata, e di tenere salde pubblicato per la prima volta in Italia il Trattato della Pittura di Leo-
Introduzione
6
gegneria di Bélidor, ma anche con il contributo teorico e tecnico
dato da professionisti post-vanvitelliani come Vincenzo Lamberti
e Niccolò Carletti, assicurerà la trasmissione dell’antica identità
dello scienziato-artista alla contemporaneità.
❧ ❧ ❧
Desidero ringraziare quanti hanno in ogni modo incoraggiato que-
sto studio, credendo nei miei modesti sforzi e facendo sì che essi
si concretizzassero in un’opera, speriamo, utile ai cultori della sto-
ria dell’architettura e dell’ingegneria, ma anche e soprattutto ai
giovani che intendano intraprendere la propria formazione pro-
fessionale con la piena coscienza e il grande orgoglio delle solide
radici che caratterizzano da secoli la figura dello scienziato-artista
nel Mezzogiorno.
In particolare, non vi sono parole che bastino per descrivere l’en-
tusiasmo trasmessomi dall’incontro con il più grande studioso di
Leonardo che l’Italia e il mondo possano vantare, vale a dire Carlo
Pedretti, cui sono grato per i preziosi consigli e la grande pazien-
za con cui ha seguito la mia avventura sino al suo compimento.
Quest’opera non avrebbe mai visto la luce senza la particolare sen-
sibilità e passione manifestate da Edoardo Cosenza, già Preside
della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II e
oggi Assessore Regionale, per la storia dell’architettura e dell’in-
gegneria nel Mezzogiorno e per le mie ricerche su questi temi,
consentendo così di contribuire con la presente iniziativa alle Ce-
lebrazioni del Bicentenario della Scuola d’Ingegneria di Napoli,
ben coordinate dal nuovo Preside Piero Salatino. Segnatamente il
prof. Cosenza ha avuto il merito peculiare di coinvolgere nell’im-
presa il dott. Enzo Giustino, Presidente del Banco di Napoli, e il
Giovanni Antonio Nigrone, Progetto di fontane in Avellino, da Id., Vari dott. Giuseppe Castagna, Direttore Generale, sin dal primo mo-
disegni di G. A. Nigrone, 1585-1609, f 1r. Napoli, Biblioteca Nazionale, mento entusiasti e propensi a sostenere la pubblicazione, a con-
Ms.XII.G.59 ferma del già noto e lungo impegno del Banco nella promozione
della cultura meridionale. L’Ufficio Relazioni Territoriali del sud-
nardo: sulla base di questo testo, qualche decennio più tardi nella detto Istituto Bancario, diretto dalla dott.ssa Paola Franchomme,
rifondata Accademia del Disegno si darà nuova linfa alla teoria ha poi determinato il buon esito di tale sforzo economico.
della visione e al disegno prospettico, superandosi la tradizione All’amico Carlo Vecce, altro illustre vinciano, devo, oltre che il me-
sintetica euclidea per una nuova concezione spaziale, del resto già rito di avermi introdotto nella cerchia degli studiosi di Leonardo,
annunciata dalla felice ricerca dei Bibiena e dal geometrismo ar- la paziente indicazione dell’apparato normativo adottato nella tra-
chitettonico dell’opera sanfeliciana. scrizione del Codice, curata con zelo e competenza dalla dott.ssa
Tuttavia, nel pur fervido ambiente illuminista napoletano, biso- Maria Rascaglia, funzionario della Biblioteca Nazionale di Napoli.
gnerà ancora passare sotto le forche caudine di Vanvitelli e della Di quest’ultimo ente sento il dovere di ringraziare il Direttore dott.
sua cerchia, personaggio tanto grande quanto chiuso nella propria Mauro Giancaspro, la responsabile della Sezione Manoscritti e Rari
téchne e sordo all’applicazione delle nuove scienze matematiche e dott.ssa Maria Rosaria Grizzuti e la dott. Serena Lucianelli per la
fisiche alla pratica del costruire. Sarà comunque l’ultimo scoglio: disponibilità mostrata in ogni momento nell’affrontare con me gli
in concomitanza con la diffusione delle idee dell’Enciclopedia, gli aspetti tecnici concernenti l’edizione del Codice.
scienziati, i filosofi, i teorici dell’arte e dell’architettura napoletani All’Ordine degli Ingegneri della provincia di Napoli, nella persona
– da Gaetano Filangieri a Ferdinando Galiani a Vincenzo Ruffo – del Presidente Ing. Luigi Vinci, va la mia gratitudine per il sostegno
raccoglieranno l’eredità di una tradizione praticamente ininterrot- ricevuto, ancora una volta, da parte di quella istituzione.
ta, che negli anni ’80 trova un riferimento fondamentale nella figu- A Cinzia, mia moglie, ancora una volta tutta la riconoscenza per
ra di Corazza, istitutore alla corte dei Borbone, letterato, matema- essere stata al mio fianco con infinita pazienza.
tico, ma soprattutto esperto di Leonardo e di arte rinascimentale. Ringrazio per i suoi insegnamenti Cesare de Seta, di cui spero
La diretta partecipazione di Corazza al dibattito artistico e lettera- di seguire degnamente le orme nella direzione del Centro Inter-
rio italiano attraverso amici come Pindemonte, Parini, Bianconi, dipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della Città Europea;
Quarenghi, ma anche la ‘ben celata’ adesione al circolo giacobino Nunzia Berrino, amica e attenta studiosa, per le utili indicazioni
del duca di Belforte a Posillipo, si riflettono in una visione pro- documentarie; il dott. Fausto de Mattia, funzionario dell’Archivio
gressista che lo porta a diffondere con convinzione nell’ambien- di Stato di Napoli, per i preziosi consigli e la consueta amicizia.
te napoletano la ‘rivoluzionaria’ scienza vinciana alla nuova luce Sono infine sinceramente grato agli editori, nelle persone del dott.
dell’Éncyclopedie. I suoi studi su Leonardo, condotti sul Codice di Sergio Cartei e del dott. Vincenzo Marsico, e al personale dei ri-
cui egli è in possesso, rappresentano un passaggio fondamentale di spettivi uffici, in particolare alla dott.ssa Margherita Melani, della
quel leonardismo che a Napoli, con la contemporanea diffusione CB Edizioni, per la professionalità con cui hanno curato le diverse
della geometria di Monge e Lagrange, della nuova scienza dell’in- fasi di composizione ed edizione dell’opera.
Introduzione
7
Francesco di Giorgio Martini, Opusculum de architectura, c. 1475; macchine per elevare colonne. Londra, British Museum, Ms. 197.b.21, cc. 8r, 7v,
30v, 56r (da Galluzzi)

[8]
Capitolo primo
La professione tra arte, scienza e tecnica,
prima e dopo Leonardo

P rima di affrontare le tematiche specifiche del nostro studio


sarà opportuno un esame, il più possibile sintetico, del contri-
buto di Leonardo nel campo della scienza e dell’ingegneria, tenendo
essere rappresentato dalla figura di Archimede: limitando il proprio
interesse, come già Euclide, alle teorie scientifiche basate su assiomi
evidenti di per sé o facilmente dimostrabili con semplici esperienze,
conto da un lato di ciò che, nella sua formazione e attività di ricer- egli si era posto nei confronti dei problemi del mondo fisico proprio
ca, hanno rappresentato i ‘meccanici’ e i costruttori di ‘ingegni’ del come farà Leonardo, cioè da ‘ingegnere’. Ecco perché il maestro to-
primo Rinascimento, dall’altro la forte impronta metodologica che scano verrà definito «archimedeo ingegno notissimus» dall’umanista
l’artista-scienziato ha lasciato nell’ambiente professionale dell’età e letterato napoletano Pomponio Gaurico3.
moderna e contemporanea. Possiamo allora partire proprio da qui per narrare la vicenda moder-
È noto come la rivoluzione rinascimentale, che siamo abituati a na relativa alla formazione della figura professionale dell’ingegnere
focalizzare attorno alle figure dei grandi artisti e architetti dell’am- meridionale, caratterizzata a partire dall’ultimo quarto del Quat-
biente fiorentino, fosse stata preparata molto prima, nei cantieri e trocento, in stretto rapporto con quanto accade in altri luoghi del-
nelle botteghe, grazie a un’opera minuziosa di acquisizione e dif- la penisola, dalla maturazione di questo carattere ‘sperimentale’ del
fusione di una cultura tecnico-scientifica opposta, sin dall’inizio, ruolo, strettamente legato da un lato allo sviluppo dell’arte militare,
all’autorità dei dotti e alla scienza ‘libresca’; un’attività fondata, sem- dall’altro ai notevoli risultati conseguiti nel campo della meccanica e
pre più, sui nuovi strumenti offerti dall’applicazione della matemati- dell’idraulica e, quindi, delle macchine, degli automi e degli ‘ingegni’
ca e della geometria a dispetto di intoccabili e astrusi principi, oltre in genere.
che su metodi di rappresentazione sempre più tecnici1. Del resto, Da tempo gli studiosi di storia delle scienze hanno focalizzato la
già dalla fine del Duecento numerosi sono i segni di un’evoluzione propria attenzione sul contributo dato nel corso del XV secolo ai
della scienza in chiave moderna, come dimostra l’opera di Giordano progressi dell’ingegneria dall’opera dei tecnici senesi, come Ma-
Nemorario: grande studioso di Euclide e di Archimede, egli è tra i riano di Iacopo detto il Taccola e Francesco di Giorgio Martini,
primi a procedere con verifiche sperimentali dei teoremi sostenuti attraverso la diffusione, ben prima dell’inizio dell’attività di Leo-
da Aristotele, applicando più di ogni altro nel suo De Ponderibus le nardo, dei loro taccuini e trattati presso le corti della penisola e
conoscenze scientifiche alla tecnica pratica, attraverso un uso con- oltre la cintura alpina, come, d’altra parte, sull’influenza che su di
vinto dello strumento matematico e una grande attenzione al lavoro essi hanno esercitato i tecnici mitteleuropei4. Ai fini, quindi, della
dei ‘meccanici’. Si deve tra l’altro a Nemorario il nuovo interesse migliore comprensione dell’eredità del leonardismo nel Mezzogior-
per la dinamica, la prima formulazione della teoria dei piani incli- no fino all’età contemporanea, non potremo prescindere dalle que-
nati, quella della gravitas secundum situm e della nozione di momento, stioni concernenti i progressi dell’ingegneria napoletana a partire
nonché l’applicazione del principio degli spostamenti virtuali all’e- dalla forte impronta data dalla presenza nella capitale aragonese di
quilibrio della leva angolare. Francesco di Giorgio negli ultimi anni del Quattrocento e dalla
Fino ad allora, partendo da proposizioni astratte e formulate in un conseguente fortuna della lezione vinciana nel corso della prima
linguaggio inaccessibile, con la tecnica si era cercato di confutarle età vicereale. Appare infatti del tutto evidente la necessità di in-
o convalidarle ma, di fatto, senza nessi diretti tra le une e l’altra. dagare a fondo l’attività dei tecnici ‘pre-leonardeschi’ proprio allo
Invece nel Quattrocento si comincia a diffondere un interesse del- scopo di chiarire le premesse dell’evoluzione della figura profes-
la scienza per problemi fisici piuttosto che metafisici, suscettibili sionale: per fare questo sarà opportuno individuare le ragioni e i
di sperimentazione e quindi di riscontri reali, con la possibilità di significati del costituirsi della fisionomia del ‘costruttore di inge-
applicare la matematica ai vari aspetti della natura per pervenire a gni’ sin dalla prima età moderna nel più ampio scenario italiano.
formule generali o verificare l’attendibilità di leggi già note per
altre vie. Se la scienza non si fosse spostata verso un piano più rea- Fino a tutto il Medioevo non si riscontra alcuna distinzione tra l’ar-
listico, le esigenze militari o quelle del commercio da sole non sa- chitetto-capomastro e il tecnico inventore di macchine, il progettista
rebbero bastate per giungere alla scienza moderna, ossia la tecnica meccanico o idraulico, potendosi quasi sempre identificare queste
avrebbe sì prodotto nuove macchine, ma senza riuscire a formu- competenze nella medesima persona; ma neppure quando, agli inizi
lare leggi utili per i successivi progressi, perché basata solo sull’os- del Quattrocento, queste attività iniziano ad uscire dall’anonimato,
servazione, sul senso comune e non sull’esperimento ‘provocato’2. assurgendo al rango di arti liberali, ne consegue necessariamente
Il modello comune di riferimento per una scienza sempre più ispi- una rinuncia all’unità della figura dell’architetto-costruttore.Tutt’al-
rata alla realtà delle sperimentazioni e una tecnica desiderosa di tro. Nel corso del XV secolo questi nuovi ‘professionisti’, i cui nomi
giungere alla dignità delle arti liberali attraverso il conseguimento emergono con sempre maggiore chiarezza all’interno dei grandi
di un’autorità teorica per le proprie ‘ricette’ pratiche viene allora ad

3
  P. Gaurico, De sculptura, Firenze, F. Giunta, 1504, f. 1v.
1
  C.Vasoli, A proposito di scienza e tecnica nel Rinascimento, in Leonardo nella scienza 4
  Si veda sull’argomento: B. Gille, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Mi-
e nella tecnica, Atti del simposio internazionale (Firenze 23-26 giugno 1969), Firenze, lano, Feltrinelli, 1972; P. Galluzzi, Gli ingegneri del Rinascimento da Brunelleschi
Giunti, 1969, pp. 290-291. a Leonardo da Vinci, catalogo della mostra (Firenze 22 giu. 1996-6 gen. 1997),
2
  Ibidem. Firenze, Giunti, 1996.

[9]
cantieri, sono spesso chiamati ad occuparsi di architetture auliche re da Leon Battista Alberti; nel contempo nell’ambito della trattati-
come di infrastrutture, di macchine o di apparati militari, di ponti o stica si assisterà, specie nel corso del Cinquecento e del Seicento, al
di congegni idraulici, avvertendo essi per la prima volta il bisogno graduale abbandono dell’impostazione scientifica dogmatica per un
di sistematizzare all’interno di veri e propri trattati una serie di me- adattamento della teoria alle esigenze funzionali e di cantiere8. Ma
todologie acquisite nella pratica del mestiere. tale processo di gestazione della fisionomia del ruolo sarà destinato
Il segno lasciato dai tecnici del secondo Quattrocento nel campo a un lungo travaglio e ad un percorso tutt’altro che lineare: intorno
della scienza applicata alla realizzazione di ‘ingegni’ per la soluzio- alla metà del XVII secolo, a partire dalla Francia, la nascita delle ac-
ne dei principali problemi costruttivi o infrastrutturali rappresente- cademie di architettura favorirà a sua volta una marcata dicotomia
rà una pietra miliare per l’intera vicenda rinascimentale e barocca, tra teoria e prassi dell’edificare e un’inesorabile accentuazione for-
giungendosi così, attraverso la rivoluzione illuminista e in eviden- malistica del bagaglio formativo dell’architetto. In questo contesto la
te continuità con la gestazione della prima età moderna, alla de- diffusione della lezione vinciana, mai interrotta e, anzi, consolidatasi
finitiva affermazione del ruolo dell’ingegnere come professionista tra Sei e Settecento, si imporrà come unica alternativa a tale frattura.
di Stato nell’età napoleonica. Infatti se a partire dal Cinquecento Con la nascita dell’enciclopedia e dello sperimentalismo illumini-
nell’architettura militare si tenderà ad una specializzazione tecnica stico, di pari passo con il nuovo sviluppo industriale, la fisionomia
sempre maggiore, in ambito civile l’architetto e l’ingegnere saranno dello scienziato-artista emergerà in tutti i suoi caratteri di figura pro-
identificabili, ‘ad unum’, in quello scienziato-artista che seguirà, salvo fessionale unica, attrezzata non solo sul piano empirico e tecnico,
poche eccezioni, la vicenda più generale della storia dell’architet- ma quale esperto dell’applicazione della scienza del costruire ai vari
tura. Questa figura completa, come vedremo, non scomparirà con settori della vita sociale e persino in grado di sostenere dispute in
la fondazione delle scuole di ingegneria all’inizio del XIX seco- ambito storico-critico e stilistico; insomma, ancora una volta, sarà
lo, uscendone anzi rafforzata: l’ingegnere si separerà dall’architetto salva la secolare figura dell’ingegnere-architetto.
solo sotto il profilo istituzionale, venendo sì affidate ai due, come
distingue Durand, rispettivamente le opere pubbliche e quelle pri- Già nella nota «Patente» con cui nel 1468 Federigo di Montefeltro
vate, ma conservandosi l’unità di queste ‘anime’ nello stesso corpo, sceglie Luciano Laurana quale direttore delle opere per il palazzo
come facce della stessa medaglia. Specie nel tardo Ottocento, a mi- di Urbino si passa, con evidente indifferenza lessicale, dalla nomi-
nare quest’unità ci saranno da un lato le sterili dispute stilistico- na di «ingegniero et capo di tutti li maestri» a quella di «Architet-
accademiche sorte all’interno del dibattito architettonico, dall’altro tore et capo maestro»9. Anche il noto assunto albertiano, secondo
una certa presa di distanza da parte dell’ingegneria legata all’uso cui «architetto sia l’ingegniero che discorre», teso a sottolineare
di nuovi materiali e tecnologie industriali, e ad una preparazione la prevalente preparazione umanistica del primo rispetto a quella
tecnica sempre più specifica, o, più ancora, da parte delle tante al- precipuamente tecnica del secondo, anche fuori dal campo edili-
tre ‘ingegnerie’ che andranno nascendo; ma sarà solo la pretestuosa zio, si tradurrà più spesso nell’identificazione dei due professionisti
divaricazione professionale verificatasi nel secondo Novecento, che nella stessa persona. Ancora nel 1587 la medesima definizione verrà
tuttora permane, a far perdere di vista l’originaria unità della figura adottata dal Garzoni 10 e suffragata con citazioni di Aristotele e di
professionale e della sua opera. Platone, ma di fatto parificando le professionalità e la loro ‘digni-
Sappiamo come, già a partire dagli ultimi secoli del Medioevo, si tà’: «Tutte queste cose pertengono agli architetti, o maestri d’edi-
faccia strada una cultura di impronta protoumanista tesa a distin- ficii, i quali si dimandano anche ingegnieri, et mecanici, benché
guere tra progettista ed esecutori, facendo emergere i primi nomi di uno ingegniero o mecanico si adoperi ancora fuor de’ predetti
artefici ‘di rango’ – valga per tutti quello di Villard de Honnecourt5 edificii»11 , ossia nel campo delle fortificazioni, delle macchine da
– attrezzati anche dal punto di vista teorico, specie nel campo della lavoro e dell’idraulica.
matematica e della geometria, e dotati di un bagaglio tecnico e lin- A partire da quando, sulla scorta di Vitruvio, Alberti sosterrà l’im-
guistico ampiamente sperimentato e tradotto in raccolte di disegni portanza del ruolo dell’architetto dotato di fabrica e ratiocinatio, e
e schemi tipologico-stilistici utili a collaboratori e maestranze. Se, quindi dell’architettura come scienza ‘pratica’, allo stesso profes-
come sottolinea la Mazzi6, con la ripresa economica duecentesca sionista, nelle vesti di ‘meccanico’ o di ‘ideatore di ingegni’12 non
e il conseguente incremento degli interventi edilizi la distinzione basterà più predisporre le macchine e coordinare le operazioni di
tra progettista ed esecutori si fa sempre più netta, come più rapidi cantiere, bensì egli dovrà conoscere la scienza, i principi primi
i cantieri, quella tra architectus, ingenierius, magister operis, fabricator o della propria téchne, onde conseguire determinate finalità in cam-
machinis peritissimus di fatto ancora non esiste: il titolo viene adottato po edilizio, idraulico, meccanico o militare, scegliendo i metodi
con indifferenza, variando più in relazione ai costumi e alle accezio- e le tecniche più opportuni affinché la machinatio assicuri la riu-
ni locali che per l’esistenza di ruoli professionali ben riconoscibili. scita e quindi l’utilità e la bellezza stessa dell’opera. Qui è tutto il
Il famoso giudizio dato dal francese Jean Mignot nel 1399 a proposi- nodo, in quanto l’antica téchne è ora arte e scienza nel contempo,
to dei maestri lombardi impegnati nel cantiere del duomo di Mila- e solo in casi specifici, e con difficoltà, l’unica figura professionale
no, basato sull’aforisma «ars sine scientia nihil est», dimostra come a potrà parcellizzarsi. Lo scienziato-artista si prepara così, su basi so-
partire da questo momento la pratica costruttiva, vale a dire la capa-
cità di esercitare un mestiere, in una parola la téchne, possa elevarsi al 8
  Ibidem. Ciò si riconosce specie in Serlio e poi in Vignola e in Scamozzi, dalle cui
rango di professione solo grazie al contributo del pensiero teorico- tavole i progettisti avrebbero tratto elementi tipologici e formali ritenuti ‘esemplari’
matematico e geometrico7, come effettivamente si registrerà a parti- per un’architettura basata sul ‘mestiere’.
9
  G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, pubblicato ed illustrato
con documenti pure inediti, Firenze, Molini, 1839, I, pp. 214-215.
10
  T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, presso
5
  G. Mazzi, «Una cosa ben aggiustata e che s’accosti alla perfezione», in «Architetto sia G.B. Somasco, 1587.
l’ingegniero che discorre». Ingegneri, architetti e proti nell’ età della Repubblica, a cura di G. 11
  Cit. in G. Mazzi, op. cit., p. 41.
Mazzi, S. Zaggia,Venezia, Marsilio, 2004, p. 11. 12
  La Brizio, nel glossario dei termini vinciani, indica semplicemente per ingegno
6
  Ivi, p. 14. un «congegno» e quindi l’ingegnere sarà un «creatore di ingegni». Cfr. Scritti scelti di
7
  Ivi, pp. 37-38. Leonardo da Vinci, a cura di A.M. Brizio, Torino, Utet, 1966, p. 693.

Capitolo primo
10
lidamente fondate, a conseguire finalmente il riconoscimento del gegneri. Più duramente incalza Gille16 e con lui storici illustri della
rango di arte liberale per la propria attività 13 . tecnologia rinascimentale, come Beck o Feldhaus, ridimensionan-
Se, quindi, entro la fine del Quattrocento la figura dell’ingeniero (o do con decisione, come si vedrà, il ruolo di Leonardo inventore e
ingegniero) avrà ormai assunto una fisionomia tecnica ben definita, dimostrando come i suoi enunciati teorici, oltre alle innumerevoli
lo stesso professionista potrà divenire, in qualunque momento, archi- osservazioni e applicazioni, possano essere ritrovati in molti autori
tetto: lo sarà, infatti, ‘honoris causa’, quando dimostrerà di possedere coevi, medievali o addirittura dell’età classica. Come spesso accade,
quel bagaglio di cultura umanistica che, con la riscoperta ufficiale si potrebbe dire che la verità sia nel mezzo.
di Vitruvio e il diffondersi della trattatistica albertiana e filaretiana, Effettivamente tra il Duecento e il Quattrocento, sulla scia della
verrà ritenuto valido e autorevole supporto per le scelte tecniche. machinatio vitruviana e dei meccanici arabi, si diffondono molti
Architetto, dunque, secondo il modello del classicismo, nell’accezione testi manoscritti di macchine, mai o quasi mai dati alle stampe,
completa di artista-costruttore destinata a rafforzarsi in tutta la pri- ma fatti circolare in più copie che vengono adoperate dai profes-
ma età moderna, da un lato con lo sviluppo della scienza e della tec- sionisti nella loro attività. Tali materiali sono basati su un ricco e
nica del costruire, dall’altro con lo studio e la diffusione del linguag- suggestivo apparato illustrativo, a tutto discapito del testo, forte-
gio dell’architettura antica. Sicché quella definizione di architetto mente ridotto: specie a partire dalla seconda metà del XV secolo
«vulgo ingeniero» che, coniata proprio agli inizi dell’età moderna, si inizia una sorta di sfida nei confronti dei letterati, allo scopo di far
ritrova almeno fino alla metà del XVII secolo14, calza alla perfezione comprendere come, rispetto a una cultura fondata sull’eloquenza
come attributo di un artefice colto che diviene «ingeniero» sia per e sulla retorica, quella basata sulle capacità di rappresentazione e
nomina regia che per riconoscimento popolare, ossia nell’unica ve- divulgazione tecnica aspiri ormai a una pari dignità; il disegno,
ste di progettista e realizzatore di infrastrutture che può essere nota dunque, come base della produzione trattatistica di questi ‘nuovi
agli strati sociali più bassi, con cui egli entra in contatto operando tecnici’. Ma, nel contempo, essi avvertono costantemente l’esigen-
sul territorio. za di un aiuto da parte degli stessi letterati, non conoscendo il lati-
Per comprendere allora le ragioni della fortuna critica del pensie- no né il greco per poter accedere alle fonti classiche di pertinenza
ro di Leonardo nel contesto della formazione e maturazione della architettonica e ingegneristica, come il trattato vitruviano, o di
professione di architetto-ingegnere già a partire dalla prima metà matematica e geometria, come le opere di Archimede e di Eucli-
del Cinquecento, faremo riferimento a recenti studi concernenti il de, o di ottica, come quelle di Erone, o ancora di meccanica, come
contributo tecnico-scientifico del maestro, da cui si trae l’impressio- gli studi dello stesso Archimede e la scientia de ponderibus medieva-
ne di un merito altissimo, fondato non soltanto sul tentativo di una le. Dal canto loro gli artisti-ingegneri sono in grado di proporre
‘riduzione’ trattatistica di principi tecnici e soluzioni strumentali più per la prima volta restituzioni grafiche di strutture, metodi e mac-
o meno consolidati, o di una più precisa definizione, rappresentazio- chine soltanto descritte in quei testi. Così la figura professionale
ne in dettaglio e sperimentazione di macchine e ingegni già in buo- può evolvere da quella dei tecnici operanti nel campo esclusivo
na parte presenti nella speculazione teorica degli autori precedenti, della pratica e dell’esperienza, in posizione nettamente subalterna
ma anche sull’aspirazione alla scoperta o sulla semplice intuizione rispetto agli umanisti, all’altra di intellettuali e teorici capaci di
non formulata dei principi sottesi alle più complesse fenomenologie codificare le proprie norme, e in grado di mettere in pratica la
naturali, che fungeranno da base per lo sviluppo sei-settecentesco teoria attraverso una rigorosa applicazione di formule e calcoli. In
delle nuove scienze sperimentali. E se, forse, il contributo di Leonar- Leonardo il processo si completerà, in quanto finalmente l’artista-
do nel campo delle applicazioni meccaniche, idrauliche o dell’arte ingegnere assurgerà al livello del filosofo che conosce e interpreta
militare non ebbe sempre quel carattere di originalità che molti gli la natura, svelandone i segreti e utilizzandone i meccanismi a van-
hanno voluto attribuire sine conditione – e che invece è sicuramente taggio dell’uomo. In tal senso, il Nostro va considerato non tanto
riconoscibile nei suoi studi nei campi della fisica strettamente legati come il genio isolato, bensì quale massima espressione di quella
all’attività artistica – restano comunque innegabili i suoi sforzi per figura professionale che si inizia a formare un secolo prima con
una sistematizzazione di tali materie finalizzata alla divulgazione. Brunelleschi, passando per gli ingegneri senesi e giungendo solo
Non sarà allora inutile tratteggiare, in rapida sintesi, quanto già era alla fine all’esperienza vinciana 17.
stato fatto prima di Leonardo da Taccola e da Francesco di Giorgio, Dopo l’importante contributo brunelleschiano per la cupola fioren-
specie con riferimento al ruolo avuto da quest’ultimo proprio a tina, il cui cantiere fu anche, come è noto, luogo di sperimentazione
Napoli nel preparare il terreno per quella che sarà, già qualche de- di ingegnose macchine per il sollevamento di uomini e materiali, si
cennio più tardi, la diffusione di una ‘coscienza vinciana’ utile alla giunge all’opera dei citati professionisti di ambito senese. In parti-
formazione dello scienziato-artista. colare Taccola e Francesco di Giorgio mostrano già competenze di
Galluzzi15 sottolinea come il merito di Leonardo nel campo dell’in- meccanica e di idraulica applicata davvero sorprendenti. Nel centro
gegneria delle macchine non sia stato quello di anticipatore o di toscano sin dalla metà del Trecento si verifica un’eccezionale colla-
iniziatore, quanto piuttosto di applicatore e divulgatore di metodi borazione tra umanisti e artisti, in cui il tema classico viene adottato
e tecniche già indagati nel corso del XV secolo da altri artisti-in- come riferimento anche in ambito tecnico e tecnologico: le mac-
chine, gli ingegni sono ora intesi come vere e proprie ‘magie’ capaci
di piegare la natura ai voleri e ai comodi dell’uomo, e di assicurargli
la difesa dalle insidie o il benessere in tempo di pace. Ancora Gal-
13
  A. Biral, P. Morachiello, Immagini dell’ingegnere tra Quattro e Settecento: filosofo, luzzi18: «Nei primi decenni del Quattrocento sulla scena italiana è
soldato, politecnico, Milano, F. Angeli, 1985, p. 7.
14
ormai chiaramente riconoscibile la fisionomia di un nuovo tipo di
  A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero» a «scienziato artista»: la formazione
dell’ingegnere meridionale tra Sette e Ottocento, in Scienziati-artisti. Formazione e ruolo
degli ingegneri nelle fonti dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli, a
cura di A. Buccaro, F. De Mattia, Napoli, Electa Napoli, 2003, p. 17.
16
15
  P. Galluzzi, op. cit., pp. 13 sgg. Si veda inoltre Id., The Career of a Technologist, in   B. Gille, op. cit., passim.
17
Leonardo da Vinci Engineer and Architect, a cura di P. Galluzzi, Montreal,The Montreal   Ivi, p. 9.
18
Museum of Fine Arts, 1987, pp.41-109.   P. Galluzzi, op. cit., p. 27.

La professione tra arte, scienza e tecnica


11
operatore tecnico, assieme antiquario e inventore, ammiratore dei
grandi ingegneri dell’antichità con i quali si sente però impegnato
in una nobile gara di emulazione».
Taccola, che nel De machinis dice di essere noto come l’«Archime-
de di Siena»19, appare chiaramente un convinto continuatore della
tradizione degli antichi inventori, alternando la sperimentazione
di nuove tecniche e macchine con le citazioni da autori classici,
la scoperta con la riscoperta. Con spirito filologico pari almeno a
quello degli umanisti impegnati sugli antichi testi, egli procede
nell’interpretazione e traduzione in immagini di Frontino e di
altri autori sul tema delle macchine: l’innovazione è data allora
proprio dal rapporto immagine-testo.
Importante, tra l’altro, un documento presente all’interno del cor-
pus degli scritti di Taccola, in cui egli ‘intervista’ Brunelleschi sul
problema sempre più pressante della tutela delle invenzioni da par-
te dell’«ingeniarius», costretto a svelare pubblicamente le proprie
idee per vederle approvate dai politici e dalla cittadinanza, con il
serio rischio che esse vengano travisate per l’ignoranza degli in-
terlocutori o usurpate per malafede: di conseguenza risulta ormai
inevitabile il ricorso dell’ingegnere ad un sistema di garanzie dei
diritti derivanti dallo sfruttamento della propria opera di inge-
gno20. Per questo, Brunelleschi manterrà il ‘segreto’ con atteggia-
mento ancora tipico delle corporazioni medievali, evitando sem-
pre di diffondere in mani poco sicure disegni o testi illustrativi dei
propri progetti e macchine di cantiere, che solo a fine secolo, con
lo Zibaldone di Bonaccorso Ghiberti, si cominceranno a conoscere;
ancora agli inizi del Seicento, il napoletano Nigrone dichiarerà di
voler evitare di farsi derubare delle proprie scoperte e invenzioni
rendendole pubbliche senza le dovute cautele. Ma Taccola cede
alla tentazione di illustrare il proprio immenso sapere in un vero e
proprio trattato; così ne rende partecipi gli altri, di cui cita persino
il parere: ne conseguirà un saccheggio a piene mani dei suoi testi Mariano di Iacopo detto il Taccola, c. 1430. Cod. Lat. Monacensis, 197 II, c.
82r. Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera (da Galluzzi)
e grafici, con un’eco che giungerà direttamente a Leonardo, riflet-
tendosi con evidenza nei suoi codici21.
Quando, specie nella seconda metà del Settecento, Taccola sarà Venendo allora a Francesco di Giorgio, da un confronto tra il co-
studiato con interesse, i suoi scritti susciteranno particolare im- siddetto Codicetto vaticano con i fogli del De ingeneis I-II di Mariano
pressione, specie dal punto di vista della meccanica e dell’idrau- di Iacopo, si comprende come l’ingegnere, a partire dalla metà degli
lica, mentre per quanto concerne la tecnica militare egli non ap- anni Sessanta, si sia formato presso Taccola o comunque si sia posto
parirà molto aggiornato in una materia che in fondo non è la sua in precisa continuità con la ricerca di quest’ultimo, traducendone i
e che non ha ancora ricevuto una spinta adeguata dai progressi testi dal latino e, anzi, approfondendoli24. Nel Codicetto si nota infatti
dell’artiglieria. Taccola cede spesso all’invito degli amici umani- una svolta, passandosi al suo interno dalle semplici trascrizioni all’e-
sti di illustrare antichi trattati, tra cui quelli di Vegezio e Fron- sposizione di nuove idee secondo quattro temi principali: le macchi-
tino22; ma soprattutto, come altri insigni senesi, egli emerge in ne per spostare o alzare pesi, i sistemi per sollevare acqua, i mulini, in-
campo idraulico, mostrando un impegno costante nella soluzione fine i carri con sofisticati sistemi di trasmissione25. Insomma uno scat-
degli antichi problemi della propria città nell’approvvigionamen- to in avanti particolarmente evidente, venendo proposti dispositivi di
to idrico: la sua aspirazione è quella di mettere a punto metodi per complessità meccanica mai vista sino ad allora, con l’uso della vite
il trasporto dell’acqua in qualunque luogo23. senza fine, di cremagliere e di congegni per trasmettere su ogni piano
e con ogni velocità il movimento prodotto dalla fonte di energia. Nei
numerosi grafici relativi a macchine per alzare colonne si riconosce
19
  Ibidem. poi l’intento di indagare i metodi adottati dai romani per trasportare
20
  Ivi, p. 28. gli obelischi dall’Egitto26, con un primo interessante tentativo di por-
21
  Ivi, p. 32. Tra i grafici redatti da Taccola figurano numerose tavole relative a tec-
niche di archeologia subacquea: nel suo soggiorno a Siena nel 1443, Leon Battista
re in relazione lo spirito innovativo dell’ingegnere con la passione ar-
Alberti potrebbe aver incontrato l’ingegnere e averne appreso il metodo poi adot-
tato nel tentativo di recupero, da lui diretto, della nave romana scoperta sul fondo
del lago di Nemi, rappresentato anche in un grafico presente in un manoscritto
della Biblioteca Nazionale di Firenze contenente copie di disegni di Taccola e di infine l’incarico pubblico di «stimatore», compie rilievi e apprezzi di proprietà,
Francesco di Giorgio. redige preventivi di costi e prepara basi di appalto.
24
22
  Ivi, p. 33.   Ibidem. Egli non citerà mai la propria fonte, come spesso accade a quell’epoca,
23
  Ivi, p. 34. Non sembra che egli sia stato impegnato nella realizzazione della dando per scontata la possibilità di attingere a studi precedenti.
25
rete sotterranea dei cosiddetti «bottini», che vedrà in seguito l’intervento di   Ivi, p. 40.
26
Francesco di Giorgio; ma a Siena Taccola concepisce miglioramenti e integra-   Ma anche dalle imprese eseguite in vari centri italiani dall’ingegnere bolognese
zioni mediante il progetto di sifoni e altri meccanismi, propone sistemi per Aristotile Fioravanti per lo spostamento e raddrizzamento di torri, o da Bernardo
vuotare stagni e lagune bonificando terreni paludosi, mette a punto mulini a Rossellino per l’elevazione delle quattro colonne monolitiche del nuovo coro di
ruota idraulica, a marea e a mercurio, e nuove tecniche di pesca; nel ricoprire San Pietro nel 1452 (ibidem).

Capitolo primo
12
cheologica27, che avrà conseguenze significative ancora un secolo più autorità della sua figura»32: dopo le importanti esperienze di Urbino
tardi, come dimostra l’opera di Domenico Fontana, su cui torneremo. e di Rimini, nella capitale aragonese egli entra in contatto, tra gli
Nel Trattato I della Biblioteca Laurenziana, databile intorno al 1480, altri, con Fra Giocondo, il quale, come vedremo, deve aver avuto un
è evidente l’impostazione vitruviana ispirata alla machinatio e, an- ruolo peculiare nella diffusione, in quell’ambito, dei grafici di mac-
cora una volta, un’assimilazione di Taccola, ritornando il Martini chine e fortificazioni del tecnico senese33.
sulle fondazioni in acqua, sulle dighe e sui metodi di misurazione Il fatto stesso che Vitruvio considerasse la machinatio parte indispen-
di altezze e distanze; ma ai quattro temi del Codicetto si aggiunge sabile dell’architettura rappresenta, per tutto il Quattrocento, un for-
ora quello della tecnica militare e delle armi. Questo trattato – di te stimolo alla ricerca sulle macchine edili dell’antichità, visto anche
cui Leonardo possedette una copia che postillò personalmente – il largo uso di monoliti lapidei nei nuovi cantieri rinascimentali e
dimostra l’avvenuta maturazione di Francesco di Giorgio come in- la riconosciuta impraticabilità dei sistemi gotici, per giunta coperti
gegnere, visto il grado di approfondimento dei dettagli e la vasta dal segreto corporativo34. Sebbene non ancora ‘ufficialmente’, l’at-
gamma di modelli di macchine, dai mulini alle pompe. Nel Trattato tenzione per gli aspetti tecnici indicati nell’opera vitruviana rappre-
II o Codice Magliabechiano – che compare citato da Leonardo in senta già un elemento fondamentale della nuova architettura basata
numerosi brani del Codice di Madrid II – egli mostra un ulteriore sulla riscoperta dell’antico. Un secolo più tardi sarà ormai pieno il
sforzo di sintesi, riducendo il numero di esempi di macchine per riconoscimento dato all’importanza dell’antica scienza meccanica
cercare piuttosto l’individuazione dei principi comuni, anche con e dei suoi strumenti; nel frattempo il nesso tra macchine, meto-
l’aiuto di una rappresentazione basata sul diretto rapporto testo- di costruttivi e forme dell’architettura antica resterà inscindibile,
immagine, e giungendo così ad affinare la propria tecnica grafica al proseguendo ininterrotto il legame tra ogni tipo di machinerie e il
punto da distinguersi nettamente dagli autori coevi. I suoi grafici linguaggio del classicismo35. Non a caso all’editio princeps del De Ar-
sono certamente più dettagliati e ricchi di contenuti estetici rispetto chitectura curata da Sulpicio da Veroli nel 1486 è allegato il libro di
a quelli vinciani, sebbene di Leonardo gli manchi la curiosità dello Frontino sulle acque e a quella del 1523 anche l’opera di Vegezio
sperimentatore, troppo preso com’è dalla professione per dedicarsi sull’architettura militare.
alla ricerca28. Della prima versione di questo trattato, o Codice senese, È pur vero che la parte del trattato vitruviano dedicata alle mac-
ci occuperemo nel quarto capitolo per l’importante contributo fi- chine belliche è ancor più oscura del resto, richiedendo per questo
lologico e critico dato, anche in questo caso, da Vincenzo Corazza. notevoli ricostruzioni immaginarie, come si vede nel De re milita-
Nei due trattati è evidente un nesso tra le macchine illustrate e le ri di Roberto Valturio (1446-55, pubblicato nel 1472); ma ciò non
esperienze effettivamente svolte che non si trova in Taccola, specie scoraggia la ricerca operativa di Francesco di Giorgio, il quale in-
per quanto riguarda le opere idrauliche che il Martini realizza a troduce nell’ambiente urbinate la consapevolezza della possibilità
Siena, per le quali fu noto ai propri concittadini, più che per le di un recupero delle antiche ‘architetture meccaniche’ aiutandosi
doti nel campo dell’architettura militare, che andava dimostrando in con la loro interpretazione condotta sulla base delle testimonianze
tutta Italia. Sicché verrà definito da Vasari, nell’edizione de Le vite archeologiche36.
del 156829, il vero prosecutore dell’opera di Brunelleschi nell’inter- Se, in definitiva, Taccola era stato più che altro un ‘maestro di con-
pretare e illustrare la terza parte del trattato vitruviano, affrontando gegni’ e Alberti un teorico, Francesco di Giorgio è certamente colui
egli il tema della progettazione delle macchine necessarie ad age- che fonde le due anime in un uomo solo, impersonando il primo
volare la costruzione secondo i metodi degli antichi: l’argomen- vero scienziato-artista del Rinascimento; ma egli è più ‘artefice’ che
to verrà ripreso da Daniele Barbaro nell’edizione vitruviana del teorico, e quindi ingegnere autentico: è ormai chiaro che le tecni-
1556 con dovizia di descrizioni in lingua volgare e di illustrazioni30. che non hanno più soltanto valore pratico, ma concorrono con pari
Se, dunque, in architettura il linguaggio classico era stato studiato dignità alla realizzazione della nuova architettura37.
meglio che da ogni altro dal letterato Alberti, spettando poi a Bra-
mante il passaggio alla fase successiva pur nella costante ispirazione A Milano, intorno alla metà del XV secolo, le opere promosse
all’antichità, nel campo delle macchine e dell’architettura delle for- dagli Sforza, come il canale della Martesana – collegamento tra
tificazioni il trait-d’union tra l’Umanesimo e il Rinascimento maturo
è segnato proprio da Francesco di Giorgio; i suoi riferimenti classici
in ambito tecnico-costruttivo sono reali: egli riesce a sostanziare la 32
  F.P. Fiore, op. cit., p. 20.
forma perfetta dell’ideale platonico in strutture che segnano dav- 33
  Ivi, pp. 19-20. Molti i metodi che Francesco di Giorgio riprende dal De re
vero la rinascita dell’antica arte del costruire31. Gli importanti studi militari di Roberto Valturio (1446-55) e dall’antica opera di Erone alessandrino,
Pneumatica, riportati anche nell’Opusculum de architectura conservato al British
sul nuovo ‘fronte bastionato’ da lui inaugurati nel Codice Maglia- Museum, in cui egli fonde il sapere di Taccola con il proprio, rendendoli indi-
bechiano verranno approfonditi proprio negli anni del soggiorno stinguibili in una sintesi mirata a illustrare, come in un opuscolo pubblicitario,
le prestazioni che erano in grado di offrire l’ingegnere e la propria bottega.
napoletano, «reso fruttuoso dall’ampiezza degli scambi con le altre 34
  Ibidem e sgg. Esempi dell’impegno degli inventori di ingegni nel trasporto e
personalità presenti a Napoli al tempo di Alfonso e della consolidata collocazione in opera di grandi pietre si trova nell’opera di Fioravanti, che sin
dal 1471 progetta la collocazione dell’obelisco vaticano in asse con la basilica,
opera non realizzata per la morte di Paolo I, che sarà eseguita, come è noto, da
Fontana oltre un secolo più tardi. Ivi, p. 26.
35
27
  F.P. Fiore, op. cit., p. 29.
  Ivi, p. 42. 36
  Ivi, pp. 39-40.
28
  B. Gille, op. cit., pp. 127 sgg. 37
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., p. 21. Alberti non aveva mancato di oc-
29
  G.Vasari, Le vite de più eccellenti pittori, scultori, e architettori […], riviste et ampliate cuparsi, all’interno dei suoi molteplici interessi scientifici, di materie stru-
con i ritratti loro et con l’aggiunta delle Vite de vivi, & de morti dall’anno 1550. insino al mentali alle nuove applicazioni tecniche, come nei Ludi matematici (c. 1450)
1567, Firenze, Giunti, 1568, p. 18. e nel De motibus ponderis, quest’ultimo mai ritrovato, come del resto l’ope-
30
  F.P. Fiore, Città e macchine del ‘400 nei disegni di Francesco di Giorgio Martini, ra riguardante il tentativo fatto nel lago di Nemi per recuperare una nave ro-
Firenze, Olschki, 1978, pp. 11-12. mana nel 1447, in cui doveva essersi occupato di scafandri, macchine elevatrici,
31
  Ad esempio, conoscendo le macchine di Brunelleschi per la Cupola attraverso ecc., illustrati anche da Taccola proprio con riferimento alla stessa impresa. Nel
le illustrazioni contenute nei codici di Taccola, nella soluzione del problema del De re aedificatoria, poi, egli aveva affrontato praticamente tutti i problemi con-
tiburio del Duomo di Milano il Martini imporrà una soluzione strutturale di ispi- nessi alla ‘nuova’ ingegneria, ma con precipui intenti didattici e di sistematizza-
razione classica su quella gotica. F.P. Fiore, op. cit., pp. 16-17. zione teorica rispetto a quelli eminentemente pratici e professionali dei senesi.

La professione tra arte, scienza e tecnica


13
il lago di Como e Milano attraverso l’Adda, realizzato tra il 1457
e il ’69 dall’ingegnere Bertola da Novate e proseguito da Barto-
lomeo della Valle, che ebbe forse ai suoi ordini Leonardo – poi
il completamento del Duomo, infine il Castello Sforzesco, vedo-
no la partecipazione dei più importanti ingegneri dell’epoca, con
una convergenza di interessi e una interdisciplinarità che trova-
no riscontro nella ricca biblioteca sforzesca. Finisce, a partire da
Francesco Sforza, il tradizionale disdegno per le arti meccaniche
da parte dei principi, che richiedono ora prestazioni sempre più
impegnative, persino in ambito artistico, a quelli che erano un
tempo i ‘meccanici’.
Nel 1483 Leonardo, giunto un anno prima presso quella corte, è
definito nei documenti «ingeniarius et pinctor»; nel ‘99, all’epoca
dell’ingresso dei francesi in città, egli lavora come ingegnere per
il conte di Ligny: in più occasioni verrà ingaggiato dal governo
LdV
d’oltralpe fino al 1507, tanto che Luigi XII lo definirà più volte
«pittore e ingegnere» al proprio servizio. Nel 1500 risulta essere di
nuovo a Firenze con la qualifica di «architetto e pittore»; tra il 1501
e il 1503 viene nominato da Cesare Borgia «ingegnere camerale», COD. ATLANTICO
ma compare più volte anche come «ingignerius militaris». In real-
tà, in poche occasioni egli ha davvero esercitato appieno il me-
stiere di architetto (a Pavia per il duomo, a Milano per il tiburio
FORSE F.6r
della cattedrale, forse ad Amboise) limitandosi a progettare allesti-
menti per feste e a studiare l’architettura sotto l’aspetto teorico-
compositivo generale e della rappresentazione grafica, senza mani-
festare quasi mai un particolare interesse per i linguaggi e gli stili.
Tra il 1506 e il 1508 Leonardo è ancora una volta a Firenze, poi di
nuovo a Milano, infine torna nel capoluogo toscano. Oltre ad essere
impegnato in opere pittoriche, continua gli studi scientifici nelle più Codice Atlantico, f. 6r, c. 1480. Milano, Biblioteca Ambrosiana
varie discipline, come si evince dai codici Hammer e Arundel e dai
fogli di anatomia di Windsor38; inoltre porta avanti appassionanti ri- così la applica agli studi per un battello sottomarino capace di af-
cerche sui rapporti micro-macrocosmo, uomo-terra, sistema sangui- fondare navi nemiche sfondandone la chiglia o al progetto di sol-
gno-idrodinamica. Poi è di nuovo a Milano durante la dominazione levare nientemeno che il Battistero fiorentino per collocarlo su un
francese (1508-13), ove approfondisce lo studio di Archimede e di nuovo basamento. Numerosi altri disegni di Leonardo riprendono
Euclide sulla base del De expetendis et fugiendis rebus di Giorgio Valla progetti di Brunelleschi, sia nell’ambito dell’ingegneria portuale,
(1501), e ancora a Roma (1513-17), occupandosi delle Paludi Pontine sia in campo idraulico per la canalizzazione fluviale. Già a Firenze
per Leone X, sebbene poco utilizzato per la presenza di personaggi dunque, fino al trasferimento a Milano nel 1482, Leonardo mette
quali i Sangallo, Bramante, Michelangelo: egli, del resto, non può a punto «strumenti d’acqua» che si ritrovano nel Codice Atlantico,
assicurare un’attività costante né di artista né di ingegnere, visti i vale a dire congegni di elevazione dell’acqua da pozzi o da fiumi,
suoi molteplici interessi nel campo più generale della ricerca. Nel realizzati ancora una volta sfruttando le proprietà della vite senza
maggio 1517, su richiesta di Francesco I, si trasferisce nel castello di fine. Nello stesso periodo comincia a interessarsi di tecnologia mi-
Cloux, presso Amboise: qui continuerà i propri studi, avendo, come litare, progettando armi e macchine da guerra, nonché mettendo
vedremo, da Francesco I pieno appoggio per avviare con i propri a punto strategie di offesa e di difesa. Nella meccanica egli studia
collaboratori l’opera di sistematizzazione degli innumerevoli fogli di il modo di sfruttare per le più svariate esigenze qualsiasi fonte di
appunti manoscritti allo scopo di formare trattati su diverse materie; energia mediante complessi ruotismi. Tuttavia va notato come in
ma, se il programma scientifico verrà attuato solo in minima parte questo periodo Leonardo non vada al di là dell’applicazione di
dopo la morte del maestro e con le problematiche di cui si dirà, egli tecniche già note a strumenti e congegni nuovi: dal punto di vista
non verrà mai impiegato dal sovrano in un lavoro effettivo, atten- teorico egli non si pone ancora lo scopo di comprendere le ragioni
dendo solo ai progetti per la trasformazione del castello, per il nuovo dei fenomeni naturali, né lo sfiora l’idea di avvalersi di umanisti-
palazzo reale di Romorantin e per la canalizzazione dei corsi d’ac- scienziati come ad esempio Paolo Toscanelli, che per primo aveva
qua della regione, opere che peraltro non verranno mai realizzate. riscoperto Archimede39.
Gli esordi di Leonardo ‘tecnico’ avvengono dunque a Firenze alla A Milano egli si fa apprezzare da Ludovico il Moro, specie come
fine degli anni ’60, allorché i giovani apprendisti presso la bottega tecnico militare, rivelandosi esperto in tutte quelle branche
di Verrocchio collaborano al montaggio dell’enorme sfera di rame dell’ingegneria delle quali fa cenno nella nota lettera di presenta-
alla sommità della lanterna di Santa Maria del Fiore. Brunelleschi zione al duca. Ma, come ha dimostrato Marani 40, egli non fa altro,
costituisce per lui un professionista modello: dalle sue macchine all’inizio, che applicare i principi di Valturio, di cui possiede l’edi-
apprende per la prima volta l’uso della vite di Archimede, che am- zione in volgare del 1483. Siamo nel periodo del ms. B, del Codice
mira perché sembra alludere con le sue spire alle forze della natura;
39
  Ivi, pp. 57-58.
40
  P.C. Marani, L’architettura fortificata di Leonardo da Vinci. Con il catalogo completo
38
  P. Galluzzi, op. cit., p. 72. dei disegni, Firenze, Olschki, 1984.

Capitolo primo
14
Trivulziano e dei numerosi e famosi fogli del Codice Atlantico ri- nel campo dell’ottica; allo stesso scopo, per tutti gli anni ’90, cer-
guardanti carri falcati, carri armati, cannoni, bombarde, balestre. cherà di attrezzarsi in materia di geometria: è del 1497 l’incontro
Leonardo deve innanzitutto studiare il territorio milanese, con la con Pacioli, presso il quale si formerà sugli Elementi di Euclide.
fitta rete di navigli che consentono di servire la città a partire dai Anche nel campo della meccanica porterà avanti in questo periodo
grandi fiumi Adda e Ticino attraverso un sistema di affluenti, laghi importanti ricerche per fissarne i principi generali, attingendo ad
e canali, tra cui quello della Martesana: proprio la ricchezza d’ac- Archimede, alla tradizione medievale del De Ponderibus, alla fisica
qua derivante da un’ottimizzazione di tale impianto gli suggerisce dell’impetus, al Marliani, al Cardano. Contemporaneamente giun-
i noti progetti di ampliamento urbano, in cui sfrutta la possibilità gerà a definire la teoria delle «quattro potenze di natura» (moto,
di allestire una rete di corsi d’acqua perfettamente regolata, tale da peso, forza e percussione) alla base dei fenomeni fisici, approfon-
potenziare e rinnovare il vecchio centro medievale. Poi, stando a dendo le leggi dell’aria e dell’acqua allo scopo di sfruttarne le ca-
Pavia con Francesco di Giorgio nel 1490 per la nuova cattedrale, ratteristiche a vantaggio dell’uomo.
studia il naviglio Bereguardo. Nell’ultimo decennio del secolo ap- Mentre si documenta e studia le diverse discipline teoriche, Leonar-
pare interessato ad apprendere tutto quello che può dai «maestri do non manca di condurre esperimenti anche nel campo dell’au-
d’acque» lombardi e a disegnare accorgimenti visti in opera 41; ad tomazione, del volo degli uccelli e di quello umano: altro ‘sogno
un certo punto la svolta: a partire dal ms. A (1490-92) Leonardo tecnologico’ irrealizzabile, basato sulla convinzione della uniformi-
accenna per la prima volta ad un «trattato dell’acqua», cioè si rende tà della natura, secondo cui l’uomo ne può riprodurre i principi
conto che non basta l’esperienza ma bisogna conoscere a fondo meccanici43. Ma le difficoltà sono subito evidenti: egli riprenderà
le leggi dell’idraulica per poi applicarle nelle diverse situazioni. l’argomento solo intorno al 1505 nel Codice conservato a Torino,
Così intraprende lo studio dei testi antichi e inizia a pensare a assimilando ora il fenomeno a quello del nuotare dei pesci, ossia
questo argomento come al capitolo più importante di un testo passando dal mezzo dell’aria a quello dell’acqua.
enciclopedico, che comprenda anche un trattato su «moto e peso», Se, come si è visto, molti temi della ricerca vinciana sono in real-
uno sull’anatomia umana e uno sul mondo terracqueo. L’acqua, tà ritrovabili già negli ingegneri senesi del Quattrocento, numerosi
dunque, come elemento universale che percorre il mondo ma an- altri non sono riconducibili a un filone preesistente, bensì vanno
che l’uomo, formato quest’ultimo, proprio come il globo, da aria, considerati il frutto di un processo autonomo, specie dopo il 1490,
acqua, terra e fuoco, e quindi mondo ‘minore’ secondo l’antica allorché Leonardo cerca sempre più di fare attività applicative: una
teoria dei quattro elementi primordiali già presente nel Timeo di volta impadronitosi delle leggi naturali e osservatene le manifesta-
Platone, tradotto da Ficino nel 1482. zioni, il nostro scienziato-artista può riprodurre nei suoi congegni ciò
Nella riflessione vinciana risulta fondamentale l’azione dell’acqua che appare in natura. Per quanto riguarda invece le esperienze non
nell’atmosfera, le conseguenze sulla percezione degli oggetti e dei personali cui fa riferimento, oltre agli studi dei tecnici che ha modo
paesaggi e il ruolo più generale nelle trasformazioni del mondo di frequentare o che ha alle proprie dipendenze, o di quelli di cui
naturale: l’acqua diventa quasi ossessiva, poiché si infiltra ovun- ha notizia attraverso Francesco di Giorgio, vi sono sicuramente le
que, sposta e corrode le cose ed è quindi in qualche modo ‘ne- opere antiche, che spesso cita riportandone i brani: Erone di Ales-
mica’ della geometria e della permanenza delle forme stabili, che sandria con la Pneumatica e il trattato di Mechanica sulla trazione dei
tende a dissolvere, a deformare; essa ghiaccia, spegne, inficiando corpi pesanti, poi Vitruvio, Vegezio e Frontino, quest’ultimo con la
così anche l’azione del calore. Specie negli ultimi anni, Leonardo sua opera sugli acquedotti; tra gli autori di età medievale, Ruggero
sarà ossessionato dalla visione generale di un mondo dominato Bacone,Villard de Honnecourt, grande appassionato di automi e di
dal contrasto tra gli elementi, che produce catastrofi e fenomeni moto perpetuo, Nemorario e il trattato militare di Guido da Vige-
irreparabili 42. Effettivamente, nel campo dell’idraulica molte sa- vano, il cui studio sulle macchine e sui meccanismi assume per
ranno le sue intuizioni, ma mai seguite da dettagli esecutivi: si Leonardo un significato particolare.
veda, ad esempio, la macchina per dragare i fondali tratta dal ms. Egli vive in un periodo in cui la matematica è già divenuta uno
E, che ritroviamo anche nel nostro Codice, più frutto della fanta- strumento importante della professione e si può apprendere dai
sia che effettivamente realizzabile; pompe, sifoni e altri elementi trattati che si vanno diffondendo anche a stampa e che ha sicu-
si trovano già in Frontino e in autori coevi che Leonardo copia ramente modo di consultare quando lavora a Firenze presso il
e che torneranno, in identica forma, in testi successivi per oltre Verrocchio. Fin dall’inizio della sua attività milanese si è pre-
un secolo. Se è vero che, a fronte dell’ambizioso programma di sentato al Moro come ‘ingegnere’ e tale rimarrà in prevalenza:
redigere il trattato sull’acqua, egli procederà sempre in maniera il suo sapere scientifico e matematico è estremamente mirato a
frammentaria – a dispetto di quanto il maestro riferirà nel 1517 al quanto serve per l’applicazione e la sperimentazione; fa leggere
cardinale Luigi d’Aragona in visita ad Amboise, dando per cosa e tradurre molti libri in latino da amici, ma altri li trascura per
fatta il proprio testo «de la natura de le acque» – il suo contri- la fretta di arrivare al nocciolo della questione, che più gli pre-
buto sarà comunque significativo nello studio delle correnti, dei me; acquisisce molte nozioni per sentito dire o attraverso con-
vortici, delle onde, nel proporzionamento dei letti, degli argi- versazioni, e molte altre le desume dall’osservazione o le intuisce.
ni, delle sinuosità, dei meandri, pervenendo anche, per la prima Cerca in più occasioni di integrare le proprie lacune e di raggiun-
volta, alla formula per il calcolo della portata dei corsi d’acqua. gere un livello soddisfacente di conoscenze teoriche ma, dicia-
Vanno poi tenuti presenti gli altri molteplici ambiti d’interesse in molo pure, il suo metodo non sarà mai sistematico né ordinato.
cui, nel contempo, Leonardo è attivo. Volendo il pittore imitare la Non possiamo, a questo punto, non accennare alle perples-
natura, deve percepirla per conoscerne i vari aspetti e fenomeni e sità di Bertrand Gille circa il reale contributo di Leonardo
infine rappresentarla: a Milano egli conduce allora specifici studi sia in ambito scientifico, sia in quello tecnico e tecnologico44.

41
  P. Galluzzi, op. cit., p. 63.
43
42
  A. Chastel, Leonardo da Vinci: studi e ricerche. 1952-1990, Milano, Einaudi,   P. Galluzzi, op. cit., p. 70.
44
1995, p. 135.   B. Gille, op. cit., pp. 170 sgg.

La professione tra arte, scienza e tecnica


15
Secondo lo studioso francese, la sua scienza ha carattere eminen- anni ’90 una tecnica raffinata e ineguagliata, tale da rappresentare
temente pratico, fatto di osservazioni, ma dal punto di vista teo- l’oggetto insieme con la sua funzione, di mostrare le leggi naturali
rico, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, i suoi contributi nel da cui è regolata la sua meccanica, mostrando così la vera ‘imi-
campo della meccanica, della fisica o della chimica non possono tazione’ della natura, nella scienza come in pittura. Nell’imma-
definirsi significativi; lo stesso dicasi per l’anatomia, la matema- gine, nella rappresentazione grafica sta dunque l’ormai acquisita
tica, la geometria o la prospettiva, materie in cui mostra limiti superiorità del pittore sul letterato, non essendo più descrivibile
comuni a tutti i contemporanei. Per non parlare di ciò che suc- a parole ciò che il disegno è in grado di rappresentare: ne con-
cede se ragioniamo in materia di tecnologia. Egli studia il modo segue la necessità del pittore di possedere i fondamenti scientifici
per trasformare il movimento circolare continuo in uno rettilineo in materia di ottica, teoria della visione, scienze della natura e
alternativo, ma trova difficoltà nel realizzare correttamente il si- della terra, anatomia, meccanica, per poi rappresentare ciò che
stema biella-manovella, pur intuendolo e avendone già un’idea, vede del mondo evidenziandone non l’apparenza superficiale, ma
per quanto rudimentale, dai soliti senesi 45 . In campo idraulico l’intimo funzionamento ed essenza 46 . Appropriata risulta allo-
non ha inventato lui la turbina, che ha ripreso da Francesco di ra la definizione di Galluzzi di Leonardo «artista delle macchi-
Giorgio; disegna mulini a vento a tetto ruotante, che però sono ne», non attribuibile a nessun altro ingegnere del Rinascimento.
ormai noti a quell’epoca; usa spesso il sistema a martinetto e il Leonardo si pone l’obiettivo di applicare certi principi che ha
tornio a pedale, anche qui con sistema biella-manovella, ma già appreso, di perfezionare o soltanto comprendere o illustrare mac-
usati prima. Pur portando al massimo grado di meccanizzazione chine e meccanismi derivanti da quelle applicazioni accennando
le macchine che studia, con una curiosità e un’immaginazione ad essi con il disegno, senza però arrivare quasi mai al dettaglio
davvero senza pari, i suoi ingegni sono spesso così ben rappresen- finalizzato all’esecuzione, come invece avviene in Francesco di
tati da ingannare circa le reali difficoltà del loro funzionamento, Giorgio. Il suo scopo principale è quello di conoscere e posse-
come quelle relative alla stabilità delle diverse parti, alle caratte- dere la natura con i suoi fenomeni, applicarne le leggi per far sì
ristiche di resistenza dei materiali, all’attrito e alla conseguente che l’uomo svolga minore fatica e venga impiegata meno mano
usura dei pezzi (pur ponendosi, però, correttamente il problema d’opera nell’espletare una serie di funzioni. Quello che distingue
in altra sede): è chiaro, allora, che nel disegno tutto è possibile. In sicuramente Leonardo dai suoi predecessori è la capacità di im-
fondo, le sue macchine richiedono null’altro che l’esecuzione di postare correttamente tutti i problemi più frequenti davanti a cui
un’operazione meccanica elementare congiunta a un meccanismo ci si può trovare in un determinato contesto: anziché cercare di
di avanzamento: niente a che vedere con il grado di precisione giungere a una teoria lontana dalla realtà, egli tende a costruire
e complessità che si raggiungerà nel Settecento, rinvenibile ad un sistema di regole utili al professionista. Leggiamo così all’ini-
esempio nelle tavole dell’Encyclopédie. Facile immaginare, sostie- zio del Codice F:
ne ancora Gille, il laminatoio per metalli, il maglio idraulico, la
macchina per tagliare le lime o quella per fare fogli di metallo Quando tu metti insieme la scienzia de’ moti dell’acqua ricordati di
battuto – cose che ritroviamo ancora una volta ben selezionate nel mettere sotto a ciascuna proposizione li sua giovamenti, acciò che tale
Codice Corazza – se si prescinde dalle difficoltà di realizzazione, scienzia non sia inutile.
dalle caratteristiche dei materiali o dagli attriti. Spesso, poi, si
tratta di puri sforzi di immaginazione o addirittura di giochi: ab- Vero è che la scienza di Leonardo non è mai sistematica. Così
biamo già detto dei limiti e dell’irrealizzabilità della sua macchi- ancora Gille: «Uno scienziato si sarebbe preoccupato della gloria,
na per volare, mentre altri congegni, come l’orologio meccanico si sarebbe reso conto delle enormi lacune che ancora esistevano,
a suoneria, il carro semovente o lo scafandro, sono imitazioni mal avrebbe cercato di costruire un sapere scientifico. Leonardo è,
riuscite di studi di Francesco di Giorgio. invece, un vero e proprio ingegnere, che si preoccupa soltanto
Dunque Leonardo non inventa né scopre ma applica, sperimenta dell’efficienza e che vede nei propri sforzi soltanto un mezzo per
principi già noti con curiosità e immaginazione senza pari; e nep- dominare il mondo materiale»47�. E infatti egli è certamente il pri-
pure è vero, incalza Gille, che egli intenda nascondere le proprie mo a tentare una trattazione generale dei numerosissimi problemi
scoperte per non spaventare il mondo: la stessa scrittura ‘mancina’ che nascono in campi infidi come l’idraulica; ma molto tempo
non è una sua prerogativa, visto che vi hanno fatto ricorso già altri passerà prima che si giunga, in quell’ambito, a una vera scienza,
prima di lui (anche Taccola) per meri motivi di praticità, scriven- formulata da Bélidor solo agli inizi del Settecento. A quel mondo
do essi con la mano sinistra. Il suo merito sta piuttosto nell’aver di ricette, di tecnici che risolvevano i problemi caso per caso e
sentito il bisogno, non avendo sufficienti nozioni in una materia che, soprattutto, non lasciavano scritti né trattati, bisognava ancora
specifica, di trovare, adottare e perfezionare un metodo innova- sostituire una solida e coerente dottrina.
tivo di ricerca, un modo di pensare fatto di continui rimandi tra Per Leonardo l’arte è scienza e la scienza è arte: non è possibile scin-
norma e applicazione, tra enunciazione teorica e sperimentazio- dere i due aspetti, essendo costantemente finalizzata la conoscenza
ne. In questo, allora, è da ritrovarsi il vero germe dell’ingegnere del mondo e dei segreti della vita alla creazione dell’opera d’arte e
moderno: se, sul piano della pratica professionale, altri ingegneri la pittura o l’architettura alla conoscenza, rappresentazione e divul-
furono più puntuali e concreti di lui, nessuno mai si pose gli stessi gazione dei segreti e delle leggi che governano la natura e l’uomo. È
problemi nell’approfondimento e nella trasmissione del sapere. In la pittura, in virtù dell’affinità dell’artista con il divino, l’unico mez-
tal senso, la sua attività di studioso ‘pagato’ per fare ricerca e per zo per cercare di possedere la bellezza del mondo attraverso la sua
divulgarla è paragonabile solo a quella di Alberti: matrice comu- percezione e rappresentazione, nonostante i limiti stessi dell’uomo
ne il disegno, ambito in cui Leonardo raggiunge alla metà degli scoraggino ogni giorno l’impresa: dunque una concezione ‘visiva’,

45
  Ibidem. Egli disegna comunque una catena articolata per la trasmissione dei
46
movimenti, simile a quelle delle biciclette moderne, superando in questo Taccola   P. Galluzzi, op. cit., pp. 84-85.
47
per la maggiore precisione.   B. Gille, op. cit., p. 228.

Capitolo primo
16
Il grande libro dell’universo è scritto per lui in termini matematici
e quindi non è comprensibile ai non matematici: l’armonia delle
proporzioni è nelle misure, ma anche nei suoni, nei pesi, nelle archi-
tetture, nei siti. Dunque bisogna partire induttivamente dall’osserva-
zione dei fenomeni per risalire alle leggi, esprimendole attraverso lo
strumento matematico e infine verificandole negli effetti. La scienza
non ammette più, quindi, vincoli che possano derivare da verità as-
solute, come quelle religiose, che Leonardo chiama «carte coronate»
e che lascia agli uomini di Chiesa48: potrà esservi al più, come si vede
nel Codice di Madrid I e nel ms. H degli ultimi anni ’90, una sorta
di ‘compromesso’, di concessione ‘deduttiva’ assicurata da un sapere
basato sulle cause acquisite degli eventi; così proprio il «discepolo
della sperienza», come egli stesso si definisce, arriverà a sostenere:
«intendi ragione e non ti bisogna sperienza»49.
Il tramite ideale tra teoria e pratica sarà allora la prospettiva, come si
legge nel Trattato della Pittura:

Dell’errore di quelli che usano la pratica senza la scienza. Quelli che


s’innamorano della pratica senza la scienza, sono come i nocchieri che
entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza
dove si vadano. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona
teorica, della quale la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla
si fa bene50.

Dunque ancora una volta la prospettiva quale prezioso trait-d’union


tra la mente dell’uomo, immagine del microcosmo, e la realtà che
lo circonda, specchio del divino e veicolo della progettazione ma
anche, nel verso opposto, della conoscenza. La natura vive attraver-
so leggi fisse e immutabili, che si manifestano all’uomo attraverso
l’esperienza fenomenica: mediante il meccanismo della visione, i
raggi che ogni corpo emana si concentrano in un solo punto, ossia
Ms. B, f. 80r, c. 1487-1490. Parigi, Institut de France
nella pupilla, raggiungendo poi rovesciati la retina e consentendo
agli ‘effetti’ della luce, ossia alla manifestazione delle proprietà dei
per non dire ‘ottica’, della realtà, in cui la luce assume un ruolo corpi (figura, colore, ecc.), di congiungersi alle loro cause prime
fondamentale, non potendosi limitare la pittura a coglierne la strut- nella ragione umana51. Per Leonardo l’occhio è dunque la ‘finestra
tura ‘matematica’, bensì dovendo tener conto della densità dell’aria, dell’anima’: attraverso esso avviene la conoscenza e si gode della
delle condizioni atmosferiche, delle «chiarezze relative», insomma bellezza della natura. Se la conoscenza del reale non si attua attra-
di fattori che si discostano dalla perfetta concezione prospettica ri- verso principi acquisiti, bensì con l’applicazione della scienza, della
nascimentale. Quindi nella pittura coesistono fattori scientifici, che rappresentazione grafica, della geometria, allora ogni conoscenza
tendono a cogliere le leggi del cosmo, con altri temporanei, emotivi dipenderà dalla vista, esigendo poi la verifica grafica e giungendosi
e irrazionali. La scienza è alla base della visione e della rappresenta- solo così alla spiegazione del fenomeno52.
zione del reale, facendo della pittura un atto essenzialmente ‘men- Nulla in natura è mutabile dall’uomo, nulla delle leggi universali
tale’: attraverso la contemplazione del dipinto, quindi, il fruitore si potrà essere trasformato, ma solo imitato in maniera imperfetta at-
appropria della ‘scienza della pittura’. traverso la tecnica, per finalità artificialmente prestabilite e quindi
Nella scienza non si può procedere per ‘citazioni’: imparare dalla contingenti: l’ingegnere, nella pratica applicazione dei principi, si
natura significa leggere in essa le leggi che la governano, poiché scontrerà con gli ‘infiniti attriti’ che compromettono il suo lavoro.
l’esperienza «è maestra vera» e lo è stata anche per gli autori antichi. Ma allora, visto che nulla può essere mutato, anche le più estenuanti
«Fuggi i precetti di quegli speculatori che le loro ragioni non sono esperienze e osservazioni potranno non avere esito nella rielabora-
confermate dalla sperienza»; «chi disputa allegando l’autorità, non zione teorica. Così Morachiello: «Per ripercorrere troppo in fretta
adopra lo ‘ngegno ma più tosto la memoria»: è quanto aveva già le concatenazioni che portano dal fenomeno alle sue cause, Leo-
cominciato a sostenere Aristotele, ma nessuno degli epigoni aveva nardo finisce per fare riferimento ad antichi principi fondati ancora
saputo intuire la reale portata del suo metodo sperimentale ante lit-
teram, lavorando sempre su una logica deduttiva e passando di prin- 48
  Si veda pure in proposito A. Favaro, Leonardo nella storia delle scienze speri-
cipio in principio. Scrive ancora Leonardo: mentali, in Leonardo da Vinci. Conferenze fiorentine, Milano, Treves, 1910, passim;
Id., Se e quale influenza abbia Leonardo da Vinci esercitata su Galileo e sulla scuola
Mia intenzione è di allegare prima l’esperienza, e poi con la ragione Galileiana, in «Scientia», XX, 1916.
49
  Codice Atlantico, f. 147v-a.
dimostrare perché tale esperienza è costretta in tal modo ad operare. E 50
  Trattato della pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce, colla vita dell’istesso
questa è la vera regola come gli speculatori degli effetti naturali hanno a autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della Pittura, ed il trattato della
procedere. E ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella Statua di Leon Battista Alberti, colla vita del medesimo, Napoli, stamperia F. Ricciardo,
1733, cap. 77.
sperienza, a noi bisogna seguitare in contrario, cioè cominciare dalla 51
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., p. 27.
52
sperienza e con quella investigare la ragione.   A. Chastel, op. cit., pp. 94-95.

La professione tra arte, scienza e tecnica


17
edifici ‘centrici’ presenti nel Codice Atlantico, Leonardo non at-
tinge mai direttamente al modello teorico vitruviano o albertia-
no, guardando piuttosto all’architettura ‘concreta’ di un Bramante
o, meglio ancora, di un Francesco di Giorgio: è in questi termini
che egli si occupa di costruzioni, traendo come sempre molti spunti
dai ‘meccanici’ che lo hanno preceduto. La costruzione viene da
lui indagata con particolare attenzione ai problemi di statica e di
tipologia strutturale, con approfondimenti in campo fisico, sulla re-
sistenza dei materiali, sulla distribuzione dei carichi, sulle condi-
zioni di vincolo: Leonardo è certamente più ‘ingegnere’ di Alberti,
lo abbiamo detto, sebbene più interessato alla rappresentazione del
progetto che alla sua pratica esecuzione; egli concepirà sempre la
costruzione come un problema di metodo, con precise regole e prin-
cipi che vanno indagati e rispettati, pur senza giungere al cantiere.
Nel campo della statica, Leonardo arriva persino ad enunciare te-
oremi procedendo per ‘simulazioni’, ossia risolvendo una casistica
di problemi senza fare alcun esperimento, bensì attraverso un facile
ragionamento intuitivo e un calcolo matematico semplificato: così,
ad esempio, nel Codice di Madrid I affronta il problema del carico
su archi e volte riuscendo a calcolare con buona approssimazione
le tensioni nei conci e la loro disposizione lungo la «linea neutra».
Interessante poi come nel Codice Hammer egli sperimenti l’ana-
logia tra il punto di rottura della bolla d’acqua e quello dell’arco ad
un terzo della loro curva, stabilendo quindi un rapporto diretto tra
l’idraulica e la statica54. Ugualmente sostiene l’affinità tra il modo in
cui un baluardo respinge un proiettile e la riflessione dei raggi lu-
minosi da parte di un oggetto: «l’universo, insomma, è un sistema di
coincidenze»55, che si manifestano attraverso azioni e reazioni di forze.
Leonardo è stato il primo a lasciarci interessanti studi circa la for-
mulazione matematica del proporzionamento e della resistenza dei
muri, la diagnosi dei dissesti statici attraverso l’analisi delle lesioni,
Ms. A, f. 24v, c. 1490-1492. Parigi, Institut de France il calcolo della solidità delle travi in relazione alle caratteristiche del
materiale, al grado di elasticità e al tipo di vincolo (senza tuttavia
fare ricorso al modulo di elasticità né al momento di inerzia, cui
sull’autorità, che riconferma invece di rovesciare; lo sforzo per dare invece aveva già accennato Nemorario). I dati numerici cui egli
a tutto dimostrazione si infrange contro i limiti di un orizzonte teo- perviene sono il risultato di un metodo che, come sempre, procede
rico limitato. E l’autonomia delle singole scienze di cui Leonardo ha per esperimenti, analogie e approssimazioni, potendo indicare alla
sostenuto, in più luoghi, l’esigenza, naufraga nella contemplazione fine formule e ‘ricette’ per gli ingegneri con un certo grado di si-
della ‘mirabile necessità’ del cosmo»53. curezza assicurato dalla pratica.Tutto questo consente l’inizio di una
diffusione ‘democratica’ e trasversale delle regole dell’arte rispetto ai
Da Platone a Vitruvio a Barbaro, tecnica è conoscenza e applicazio- segreti delle antiche corporazioni, proprio perché fondata su stru-
ne delle regole primarie e delle cause produttive delle cose, che si menti oggettivi come quelli matematici, destinati ad una sempre
serve della geometria e delle matematiche per produrre cose ‘arti- maggiore diffusione e ad un concreto riconoscimento sociale.
ficiose’. La realizzazione empirica di oggetti da parte dell’artigiano
sulla base della sola esperienza non ha a che vedere con la tecnica Leonardo, si sa, progetta e riprogetta ‘trattati’ sulle materie più varie,
dell’architetto-ingegnere, che conosce le cause prime, il metodo per che avrebbe voluto pubblicare: come vedremo, negli ultimi anni di
la realizzazione del prodotto ed è quindi superiore a tutti gli artefici, vita sarà questa la sua principale attività, condotta al servizio di Fran-
di cui è il capo. Anche se l’architettura non può comprendere tutto cesco I con l’aiuto del fidato allievo Francesco Melzi. Si tratta di te-
il complesso delle macchine che da essa dipendono, né conoscerne sti attinenti in prevalenza alla pittura (ottica, percezione visiva, teoria
le parti o le applicazioni, essa è scienza che trasmette all’artefice le della rappresentazione, teoria della luce e delle ombre), all’idraulica
regole immutabili, le ragioni prime comuni a tutte quelle parti. e alla meccanica, adottando sempre un approccio intermedio tra la
Leonardo appare particolarmente attratto da esercitazioni su temi mera logica deduttiva e quella induttiva: ad esempio nello studio
architettonici come quello della pianta centrale, destinato ad in- dei gravi, pur ispirandosi al De ponderibus di Nemorario e partendo
fluenzare fortemente i futuri sviluppi dell’architettura rinascimen- come lui da postulati da cui far discendere i teoremi, finisce per
tale e a stimolare l’immaginazione dell’artista, proprio come aveva dare uguale importanza alla sperimentazione. Ma non giungerà mai
raccomandato Alberti nel De tranquillitate animi (c. 1492) prescriven- a un trattato organico per il carattere dispersivo della sua ricerca,
do schizzi architettonici dalle libere composizioni per rimediare per gli evidenti limiti linguistici o per una sorta di impasse meto-
al dolore e all’intima tristezza. Ma, anche nei ben noti disegni di

54
  A. Chastel, op. cit., p. 144.
53 55
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., p. 30.   Ivi, p. 145.

Capitolo primo
18
dologico. In realtà, egli non vuole creare una scienza sistematica, sua invenzione, trattandosi più spesso della prima rappresentazio-
bensì proporre considerazioni e prescrizioni utili per l’ingegnere ne di congegni già in uso da tempo: in precedenza, però, nessuno
o per l’artista; insomma pervenire piuttosto a una manualistica per aveva mai proposto un così gran numero di applicazioni mecca-
i vari settori della professione, indicando in prevalenza casi ricor- niche dedotte da principi generali attraverso una rigorosa analisi
renti e non leggi generali56. Basandosi sull’osservazione diretta, ne quantitativa e una schematizzazione geometrica. Egli parte dalla
ricava una somma di aforismi e annotazioni spesso caotiche, frutto meccanica praticata nelle botteghe dai «sanza lettere», privi di co-
di un’attività mentale caleidoscopica, che invano si cercherebbe di noscenze dell’antica statica geometrica, e fa un grande sforzo di
ridurre a sistema: bisogna invece trarne le constatazioni e le intui- aggiornamento teorico, studiando gli elementi della geometria e
zioni originali, che certamente precorrono i tempi, sebbene all’e- applicandoli al campo a lui già noto delle macchine reali, di cui
poca non divulgate opportunamente. Colombo osserva a ragione ora, in maniera ben più attenta che in precedenza, riconosce i li-
che, a fronte della ben nota meticolosità iconografica di Leonardo, miti nell’attrito, negli ostacoli naturali di vario genere e nella li-
i suoi appunti sono formalmente disordinatissimi e non suscettibili mitata resistenza dei materiali. Così facendo si allontana dal mero
di una ricollocazione né per materie né per cronologia57: lo dimo- pragmatismo di molti ingegneri coevi per giungere a un radica-
strano, del resto, proprio gli strenui tentativi rappresentati dai codici le aggiornamento dell’identità stessa della figura professionale.
apografi di cui ci occuperemo, in cui la selezione tematica dai testi Assumendo le «quattro potenze di natura» come cause di ogni effet-
originali, sebbene lodevole come primo passo verso una collazio- to, Leonardo arriva ad estendere l’anatomia delle macchine a molti
ne mirata in chiave disciplinare, non va oltre l’impianto antologico. altri campi, compresa l’architettura. Tutti i processi dinamici per lui
A partire dai primi anni del Cinquecento gli studi teorici di Leonar- si realizzano attraverso «elementi macchinali»: l’edificio stesso non
do appaiono finalizzati, in particolare, alla redazione di un trattato va considerato come struttura statica formata da parti proporzionate,
sugli «elementi macchinali»58, che nel 1517, come apprenderemo dal ma quale organismo ‘vivente’ composto di membri in equilibrio
diario della visita del cardinale Luigi d’Aragona ad Amboise, doveva dinamico, proprio come l’uomo. Di qui l’analogia tra il medico e
ormai essere compiuto: dai due codici di Madrid si evince peraltro l’architetto rinvenibile in alcuni fogli del Codice Atlantico:
chiaramente l’intenzione di distinguere una parte concernente la
meccanica teorica da un’altra relativa a quella applicata. Il Reti59, cui Sì come ai medici […] bisogna intendere che cosa è omo, che cosa è
si deve il ritrovamento dei manoscritti spagnoli nel 1966, individua vita, che cosa è sanità […] e conosciuto ben sopra le dette nature potrà
in particolare nel primo (che però è il secondo in ordine di stesura) meglio riparare che chi n’è privato […] questo medesimo bisogna al
la versione quasi definitiva del trattato: a suo parere vi si possono malato edifizio, cioè uno medico architetto che intenda bene cosa è
già riconoscere modelli di analisi teorica e metodi quantitativi de- edifizio e da che regole il retto edificare deriva e donde dette regole
stinati ad essere esposti in forma compiuta e divulgati solo agli inizi sono tratte e in quante parti sieno divise e quale siano le cagioni che
dell’Ottocento all’interno dell’École Polytechnique e, poi, nella Teoria tengano lo edificio insieme e che lo fanno premanente e che natura sia
generale delle macchine di Franz Reuleaux (1874). quella del peso e quale sia il desiderio della forza61.
Effettivamente, tra il 1499 e il 1510 il trattato rinvenibile nel codice
madrileno viene più volte citato anche nel Codice Atlantico e in Anche la Terra è organismo vivente, solcato da fluidi circolanti, dove
altri manoscritti vinciani (ms. I, Codice sul volo degli uccelli, Co- ogni flusso di liquidi avviene secondo leggi meccaniche: parimenti
dice di Windsor): secondo Galluzzi – da cui traiamo molte consi- l’uomo; ma l’analogia tra l’uomo e il cosmo non è più fondata sulle
derazioni che seguono – partendo dalla statica classica e medievale proporzioni e sull’armonia, come negli ideali fondativi del Rinasci-
e applicando quindi l’analisi geometrica, il testo definitivo avrebbe mento, bensì su principi meccanici elementari, sempre gli stessi per
ospitato nella prima parte la teoria delle «quattro potenze di natura», l’uomo, gli animali, le macchine, gli edifici. Sicché per l’anatomia
quella dei centri di gravità e l’analisi delle macchine semplici; nella umana e animale Leonardo trae da quella delle macchine finan-
parte pratica, invece, sarebbero stati descritti i dispositivi meccanici che il lessico e le tecniche di illustrazione, come si evince dai fogli
indipendenti e combinati, i metodi per ottimizzarne l’impiego e di Windsor: «Fa che il libro delli elementi macchinali con la sua
le macchine per produrli. Nel Madrid I gli «Elementi macchinali» pratica vada innanzi alla dimostrazione del moto e forza dell’omo
sono dunque intesi come ‘fondamenti di macchine’, proprio come e mediante quelli tu potrai provare ogni tua proposizione»62; e an-
gli «Elementi geometrici» nell’opera di Euclide, venendo analizzati cora, nella nota intitolata «Delle macchine»: «E la natura non può
congegni e dispositivi meccanici dal punto di vista del funziona- dare moto alli animali sanza strumenti macchinali, come per me si
mento e dell’applicazione, della potenza e della resistenza, e accen- dimostra in questo libro»63. Sono dunque continui i rimandi agli
nandosi per la prima volta anche al problema degli attriti. Si tratta di «elementi macchinali» nel descrivere il corpo umano, anche in ter-
una vera e propria ‘anatomia delle macchine’: mini di articolazioni, con l’analisi delle singole parti proprio come
se fossero pezzi meccanici.
E tali strumenti si figureranno in gran parte sanza le loro armature o In più punti egli torna sull’importanza dell’illustrazione, insosti-
altra cosa che avessi a impedire l’occhio di quello che le studia. Poi si tuibile con un semplice testo descrittivo, mostrandosi consapevole
dirà d’esse armadure per via di linie, poi delle lieve in sé, poi delle for- della qualità grafica raggiunta: «Adunque, per il mio disegno ti fia
tezze de’ sostentaculi60. noto ogni parte e ogni tutto […] non altrementi che se tu avessi in
mano il medesimo membro e andassi voltandolo di parte in parte»64.
Come si è notato, non tutto ciò che Leonardo rappresenta è di Allude quindi alla rappresentazione tridimensionale delle parti ana-

56
  B. Gille, op. cit., p. 200. 61
  Codice Atlantico, f. 730r, cit. in P. Galluzzi, op. cit., p. 78.
57
  A. Colombo, Ecco Leonardo, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1966, p. 331. 62
  Windsor, 143r, cit. in P. Galluzzi, op. cit., p. 79.
58
  P. Galluzzi, op. cit., p. 74. 63
  Windsor, 153r. Cfr. pure K.D. Keele, Leonardo da Vinci’s elements of the science of
59
  L. Reti, Trascrizioni del Codice di Madrid I, Firenze, Giunti-Barbera, 1974. man, New York, Academic Press, 1983, passim, e P. Galluzzi, op. cit., p. 87.
60 64
  Cod. Madrid I, f. 82r, cit. in P. Galluzzi, op. cit., p. 77.   Windsor, 154r, cit. in P. Galluzzi, op. cit., p. 80.

La professione tra arte, scienza e tecnica


19
tomiche, addirittura più fedele dei tanti modelli che lo stesso Leo- una volta, se si considera Leonardo al di fuori del contesto quat-
nardo adopera negli studi di architettura, ma anche per la scultura, trocentesco fiorentino, ossia di una consolidata ‘cultura di bottega’:
la meccanica o l’idrodinamica. Per lui il disegno è fondamentale «Dapprima si è visto in Leonardo l’inventore delle scienze moderne
per rappresentare da più punti di vista – in ‘esplosi’, in prospettiva e del metodo moderno fondato sull’esperienza e sulla matematica;
o in assonometria – le parti meccaniche, che formano un abaco poi, constatando che le sue dimostrazioni non rispondevano ai suoi
di elementi atti a comporre un numero tendenzialmente infinito principi, che l’insieme delle osservazioni non sono mai collegate tra
di macchine, come del resto avviene per le parti degli organismi loro da leggi e che la sua teoria del segno e del simbolo scientifico
viventi.Va riconosciuto il grande merito vinciano proprio nell’aver non è elaborata, si è avuta la tendenza a celebrare in lui solo un di-
raggiunto alti livelli di sintesi espressiva e un metodo di illustrazione lettante straordinario e sconcertante».
di facile comprensione e diffusione, anche nel dettaglio, destinato ad Certo, le possibilità divulgative offerte dalla nuova stampa a caratteri
imporsi nei due secoli successivi e a porre le basi per la stampa di mobili stimolano ora un’aspirazione alla diffusione del sapere che
divulgazione scientifica fino al Novecento65. non è prerogativa del solo Leonardo. Ingegneri costruttori di orolo-
gi o di macchine idrauliche, ma anche esperti militari, cominciano
Infine non trascuriamo l’altra faccia della medaglia, ossia la condi- a redigere trattati su queste discipline, alle quali però si stenta ancora
zione di artista di Leonardo e, quindi, una sorta di peccato originale a riconoscere la dignità di scienza proprio per via del linguaggio di
di ‘sudditanza’ nei confronti della cultura tradizionale. Sebbene Lo- cui si servono gli autori. Leonardo non è diverso, per formazione,
renzo Ghiberti, nel trattare, nei Commentari, delle arti liberali che da altri uomini «sanza lettere» del suo tempo, non avendo quasi per
il pittore deve conoscere, avesse aggiunto a quelle del trivio e del niente frequentato le scuole ed essendo stato indirizzato dal padre
quadrivio anche le teorie del disegno e la prospettiva (e quindi la verso le arti meccaniche proprio perché privo di una sufficiente
geometria), che prima non vi figuravano66, resta per l’artista la con- costanza nello studio e nell’applicazione. Solo alla metà della propria
dizione di «sine litteris» per la mancanza di conoscenza del latino, a esistenza comincia a dedicarsi alla lettura e alla scrittura: a partire
differenza degli uomini di scienza e dei letterati: di qui le difficoltà dalle esperienze milanesi, partecipa a dibattiti e convegni di uomini
di Leonardo nell’esprimere in forma appropriata e accessibile i pro- di scienza, di cui ovviamente non condivide la fede incondizionata
pri concetti e, soprattutto, nel giungere ad un compendio definitivo nell’autorità degli antichi filosofi e letterati, anticipando così di un
nelle tante discipline che egli coltiva, vale a dire alla forma piana e secolo e mezzo il dubbio di Cartesio. Egli intende emergere tra gli
‘vulgata’ del trattato. Come si può notare anche nei testi contenuti uomini «sine litteris et auctoritate» di vitruviana memoria, sceglien-
nel nostro apografo, egli trova sicuramente difficoltà nella scelta del do la terza via: l’«omo sanza lettere» si farà letterato e studioso pur
linguaggio con cui esprimere le proprie osservazioni e deduzioni. restando artista sperimentatore.
Importante quanto osserva Carlo Vecce67 a proposito del Libro di Pit-
tura compilato, come vedremo, da Melzi attingendo ai manoscritti del Se ora volgiamo lo sguardo al ‘dopo Leonardo’, noteremo come
maestro: «Gli scritti di Leonardo rappresentano fedelmente la ten- alla metà del Cinquecento l’antico «maestro di ingegni» sia ormai
sione tra l’esercizio di una scrittura ‘continua’, registrazione privata costruttore in campo civile e militare, offrendo non di rado contri-
e quotidiana di note scientifiche e pensieri, e la forma compiuta e buti anche in ambito più strettamente architettonico. L’ingegnere
organizzata del ‘libro’, vertice strutturale al quale l’autore non giunse è sperimentatore e applicatore di nuove tecniche, favorendo, grazie
mai. È accertata comunque la sua preoccupazione per la trasmissio- alla sua curiosità e caparbietà, il progresso delle procedure e delle
ne di quell’immenso materiale manoscritto, accumulato in lunghi ‘regole dell’arte’; egli riesce, sulle orme di Leonardo e della tradi-
anni di ricerca, attraverso il mezzo della stampa, ormai dominante zione aristotelica, ad applicare magistralmente la matematica e la
agli inizi del Cinquecento: preoccupazione che si concreta, oltre che geometria nel proporzionamento di strutture e parti di meccanismi;
in abbozzi programmatici di ‘libri’, anche nell’affrontare il problema infine, è abile nel trarre dall’esperienza principi enunciabili in for-
del nesso indissolubile (specifico della pagina di Leonardo) tra scrit- mule utili alla creazione di un apparato teorico per le nuove scienze
tura e disegno, tra forme di espressione interattive, destinate a supe- sperimentali. A valle dell’opera di Leonardo, gli ingegneri mostre-
rare a vicenda i propri confini di segno e di significato, per raggiun- ranno dunque un sapere sempre più vasto e lontano dalla pratica
gere il comune, ambizioso obiettivo: la rappresentazione del reale». di bottega e sempre maggiori capacità matematiche nel campo del
Insomma nel caso del Libro di Pittura, così come per gli altri trat- disegno prospettico e del rilievo, che si accompagneranno a una
tati da lui programmati, Leonardo aveva in animo di superare la pratica derivata da lunghe osservazioni70. Dall’acquisizione delle più
precettistica usuale per collocare finalmente, mediante un’opera si- ampie conoscenze in materia di meccanica e di tecnica, di scienze
stematica, la pittura nel nuovo rango delle discipline ‘conoscitive’ e fisiche e naturali, di geografia come di astronomia, la necessità di
liberali68. Ma Chastel69 sottolinea l’equivoco in cui si incorre, ancora trasmettere questo sapere attraverso la redazione di trattati e manuali
verrà avvertita non più come iniziativa del singolo, ma come norma.
In opere come la Pirotechnia di Vannoccio Biringuccio (1540), il De re
65
  B. Gille, op. cit., p. 270. metallica di Giorgio Agricola (1556), i Discorsi delle fortificationi del no-
66
  A. Marinoni, Leonardo fra «Techne» ed «Epistème», in «Raccolta Vinciana», XXII,
1987, pp. 365-374. lano Carlo Theti (1569) – sul quale più innanzi torneremo –, i Me-
67
  Libro di pittura: Codice urbinate lat. 1270 nella Biblioteca apostolica Vaticana. Leonardo da chanicarum libri di Guidubaldo del Monte (1577), Le diverse et artificio-
Vinci, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C.Vecce, Firenze, Giunti, 1996, p. 83. se machine di Agostino Ramelli (1588), il trattato Delle fortificationi di
68
  Ivi, p. 88.
69
  A. Chastel, op. cit., p. 11. Si veda inoltre P. Valéry, Introduction à la méthode de
Buonaiuto Lorini (1596), fino al Novo teatro di machine et edificii di Vit-
Léonard de Vinci, Paris, Edit. de la Nouvelle Revue française, 1894. Importante per torio Zonca (1607), si passa ormai dalle formule fondate su inafferra-
il rapporto di Leonardo con il neoplatonismo lo studio di Chastel dal titolo Art et bili «auctoritates» alla decisa connessione tra matematica e meccanica
humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique: elude sur la Renaissance et l’Hu-
manisme platonicien (Paris, Presses Universitaires de France, 1959) e la voce Leonardo per la sperimentazione e la dimostrazione delle leggi di natura e dei
nell’Encyclopaedia Universalis (1968). Dopo la scoperta dei codici di Madrid, Chastel
scrive Le note sulla pittura dal nuovo codice di Madrid (1972). Si veda infine il suo
contributo in Léonard de Vinci, ingénieur et architecte (catalogo della mostra, Montreal,
70
Musee des beaux-arts, 1987), Torino, G. Zeppegno, 1987.   C.Vasoli, op. cit., pp. 290-291.

Capitolo primo
20
fenomeni fisici. Questi nuovi tecnici sono ormai lontani dall’astratto metica, risolvendosi la balistica, la meccanica e le fortificazioni nella
sapere accademico e dalle dispute teoriche dei «philosophi naturales». pura geometria, che prescinde dai casi particolari e dalle opinioni.
L’artigiano anonimo o il «mechanico» di bottega si trasforma così Leggiamo ancora Morachiello: «Questa la conclusione, chiarissima:
nel tecnico di prestigio al servizio del signore o dello Stato, nell’ar- le tecniche saranno vere conoscenze solo quando apparterranno a
tista che progetta opere pubbliche civili e militari ed è consigliere scienze autonomamente costituitesi al di fuori dell’empiria e mai
tecnico dei potenti, acquisendo sempre più credito e autorità, oltre il perfezionamento dell’uso in sé produrrà vera scienza»73. Così, ad
che una nuova condizione sociale, tanto da imporsi o quanto meno esempio, nel campo delle tecniche costruttive militari la tendenza
porsi sullo stesso piano dei letterati e dei filosofi. Anche i dotti più cui si assiste a partire dalla seconda metà del XVI secolo è quella di
avveduti e sensibili cominciano a mostrare interesse per il nuovo un allontanamento dal dominio ‘unico’ della scienza dell’architettu-
mondo delle macchine, per quell’apparato sempre più ricco di tec- ra, ossia l’aspirazione a dotarsi di un’autonoma attrezzatura teorica.
niche e strumenti atti a dominare la natura, a controllarne i processi Nelle Diverse et artificiose machine Ramelli sottolinea la differenza
e le forze, per quel valore pratico dato alle matematiche, per quel- tra le arti manuali e quelle ‘meccaniche’, queste ultime derivanti
le invenzioni verso cui filosofi importanti, da Cusano a Ficino, da dalla matematica e quindi scienze a tutti gli effetti: esse competono
Bacone a Bruno a Campanella, non mancheranno di manifestare all’ingegnere che, essendo matematico, non si confonderà con gli
il proprio interesse e simpatia. Qui comincia anche la ‘popolarità’ ‘empirici’, con gli artefici. Ecco che, finalmente, anche l’ingegnere,
degli ingegneri all’interno del mito umanistico dell’«homo faber» come già l’architetto-letterato di stampo albertiano, è assurto al ran-
presso tutti coloro che, specie nei più umili ranghi sociali, ammirano go di filosofo, in quanto è a conoscenza delle regole della meccanica
le loro conoscenze dei meccanismi artificiali, lontane dalle diatribe e delle ragioni matematiche che ne sono alla base: come sostenuto
accademiche e fondate su un sapere legato alle cose, al fare, alla vita da Pitagora, da Platone e infine da Aristotele, solo la padronanza dei
quotidiana: questa popolarità della tecnica e della scienza applicata principi matematici che la mente divina ha adottato nel formare il
si protrarrà nei secoli successivi a tutto danno delle scienze di base71. mondo e la natura garantisce il controllo delle arti manuali e quin-
Bisogna però stare attenti a non pensare che la scienza moderna derivi di dell’opera. Quando la matematica si applica alle ‘cose sensibili’
direttamente dall’opera innovativa dei tecnici dell’età rinascimentale si scompone in astrologia, scienza militare, aritmetica, geometria,
contro l’isolamento ‘ozioso’ dei letterati umanisti e degli eruditi le- geodesia e meccanica: l’ingegnere, possedendo la meccanica, che è
gati all’antichità e ai miti classici, e al di fuori delle disquisizioni pu- unione di geometria e fisica (il leonardiano «paradiso delle mate-
ramente teoriche degli scienziati. In realtà, le innovazioni tecnologi- matiche»), non può ignorare le altre parti ed è quindi in grado di
che hanno certamente stimolato e contribuito a più ampie riflessioni assicurare il conseguimento del necessario, dell’utile, dell’onesto per
in campo scientifico, ma la svolta che porterà a Galilei ha un sostrato la società e per l’uomo. Come sosteneva Archimede, la meccanica
più ampio, da ritrovarsi in quell’autentica rivoluzione culturale che, è dotata di un’autonoma capacità produttiva delle cose prime della
nel corso di due secoli, produrrà la scienza ‘nuova’ – per dirla con natura e dell’uomo, e come tale non dipende dall’architettura74, ossia
Vico – affermando in via definitiva l’infondatezza delle teorie illuso- dalla scienza del costruire, che ne è semmai un’applicazione.
rie e indimostrabili del passato. Questo passaggio si attuerà grazie al Con il trattato Delle fortificationi di Lorini del 1596 l’ingegnere
concorso di molti aspetti del pensiero, della politica, dell’economia militare – nonostante i tentativi di Carlo Theti, di cui diremo, di
e della società, e non è possibile ridurlo al mero progresso tecnolo- mantenerne il ruolo all’interno di quello più generale dell’inge-
gico, solo in parte causa, ma soprattutto effetto, di questo processo. gnere-architetto – prosegue nella propria tendenza all’isolamento
Dal nostro punto di vista, lo scatto in avanti non si sarebbe mai dal ceppo dell’ingegneria civile: ora, però, egli non intende tenersi
compiuto senza l’appello alla «certezza delle matematiche» da parte fuori dalle dispute teoriche quale ‘puro tecnico’, bensì aspira a un
di Leonardo e degli uomini della sua epoca, senza l’interesse per la pari rango professionale, essendo ormai la sua tecnica fondata sulla
geometria e per le sue applicazioni pratiche, e senza il recupero uma- geometria e non sulla semplice esperienza75. Egli è innanzitutto sol-
nistico dei testi di Euclide, Archimede e tanti altri72. In questo clima dato, ma si differenzia dal tradizionale ‘esecutore’ perché conosce le
sono sempre più numerosi, nel corso del Cinquecento, i tecnici di regole dell’insieme, le dimostrazioni geometriche, scrive trattati e il
origine ‘artigiana’ che si impegnano nello studio della matematica e suo ruolo non è più limitato alla materialità. La progettazione delle
della geometria ritrovabili nelle fonti antiche o medievali. L’esempio strutture di difesa avverrà secondo l’unica logica matematica che
più significativo di quanto scienza e tecnica fossero tra loro stretta- regola la forma delle fortificazioni in rapporto all’ormai autonoma
mente correlate è rappresentato da Niccolò Tartaglia, che dopo la scienza militare e non a necessità cosmiche o di mimesi della natura.
Nova Scientia (1537) traduce Euclide e Archimede nel General trattato La scienza delle fortificazioni va allora intesa come ars o téchne, in
di numeri et misure (1556-60) affrontando tutte le questioni matemati- quanto trasferisce le regole geometriche nella materialità e fisicità
che note a quel tempo. Ma è nei Quesiti et invenzioni diverse (1546) che delle strutture. Ma è arte dimostrabile, quindi ‘liberale’ a tutti gli ef-
egli tratta specificamente dei problemi dell’ingegneria civile e mili- fetti. Nella prima metà del Seicento questa posizione verrà sostenuta
tare, della balistica, della scienza delle costruzioni e del rilievo topo- da numerosi trattatisti, che ne rafforzeranno la teoria scientifica alla
grafico, sebbene non rinunciando a indagini nel campo dell’algebra base, cancellando ogni traccia di empiria. L’ingegnere militare è ora
e della geometria pura: alla sua scuola si formano coloro che avranno anch’egli scienziato e uomo universale; nel contempo, egli conserva
una profonda influenza su Galilei. Attraverso il ragionamento ma- responsabilità di cantiere sui tempi di esecuzione, sui prezzi, sulla
tematico, nelle opere di Tartaglia si dànno spiegazioni di fenomeni mano d’opera. Se prima la fortificazione era solo parte dell’architet-
altrimenti inspiegabili: egli critica il metodo aristotelico fondato su tura, ora è alla stessa stregua, avendo come scopo il perseguimento
un artificioso accordo tra l’osservazione naturale e la logica dei nu- della difesa e, di conseguenza, della bellezza; ma, essendo più impor-
meri; la verità proviene solo dalla dimostrazione geometrica o arit-

73
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., p. 32.
71 74
  Ivi, p. 292.   Ivi, pp. 35-39.
72 75
  Ibidem.   Ibidem.

La professione tra arte, scienza e tecnica


21
tante per l’incolumità dei cittadini, essa potrà addirittura superare si potrà calcolare una struttura prima ancora di averla realizzata82.
l’architettura. D’altro canto, i caratteri strettamente formali e stilisti- Le scienze teoriche, prima patrimonio delle accademie, volgono
ci appaiono ancora in buona parte estranei a tali strutture, dovendosi ora i propri interessi nel dare fondamento all’arte del costruire. Ma,
limitare gli ornamenti alle loro membrature non funzionali, come come Vauban, anche Bélidor si fonda su modelli ancora approssima-
i portali, che dovranno ‘significare’ al primo sguardo la funzione e tivi e poco vicini alla realtà: nel 1813 Navier, nella nuova edizione
tutta la forza dell’opera76. Si legge in proposito nel Bellucci (1598): della Science83, noterà come essi all’epoca dell’autore non consen-
tissero diretti riscontri della teoria nella pratica e come, viceversa,
le fortezze non ricercano architetti non avendo bisogno né di cornise, non assicurassero un’esperienza ben sorretta dalla teoria. Eppure
né di architravi, né fogliami, né intagli77. egli, nel tirare le somme di circa un secolo di sviluppo della scienza
sperimentale, nulla avrà da eccepire sul metodo proposto in quel
E qui, anziché l’allusione ad un’eventuale distinzione dei ruoli, va testo, cioè sull’intimo rapporto tra fondamenti teorici e arte del
colto il riferimento a quell’aspetto ‘artistico’ della preparazione pro- costruire, dovendosi riconoscere l’incompletezza e l’approssimazio-
fessionale che resterà aborrito dai tecnici impegnati in ambito mi- ne delle nozioni su cui si basavano ancora le scienze ausiliarie84.
litare, con una continuità che giungerà sino a tutto il XIX secolo. Ma Bélidor ha il vero merito di aver rotto definitivamente con la
logica cinquecentesca della ‘geometrizzazione’ universale, aprendo
Tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento in Francia ci si sfor- così ufficialmente alla fisica newtoniana e alle scienze sperimentali.
zerà di mettere a frutto l’esperienza del grande ingegnere Vauban Attraverso il formidabile strumento del calcolo analitico, l’ingegnere
ai fini di un consolidamento della scienza dell’ingegneria militare è divenuto scienziato, riuscendo ad elaborare teorie, oltre che ad
e della sua trasmissione attraverso la formazione assicurata da un applicarle e sperimentarle in fase esecutiva: le verifiche già svolte
corpo di ingegneri78. Ma, come in campo civile, anche in questo eviteranno ulteriori applicazioni, divenendo patrimonio comune
ambito la nuova istituzione non potrà assumere il ruolo tecnico dell’istituzione statale. Bélidor ha dunque fondato le basi di una
insostituibile che ad essa compete se non avverrà la nascita di una scienza degli ingegneri che già agli inizi dell’Ottocento mostrerà
scienza dell’ingegnere con il preciso intento di scongiurare l’astrattez- i segni evidenti di una propria fisionomia e consistenza, facendo
za delle scienze di base con l’introduzione di discipline specifiche: sperare in una decisa evoluzione della ‘nuova’ figura professionale, da
tra esse, la topografia, la fortificazione, la costruzione, la ‘guerra di destinarsi segnatamente agli interventi dello Stato sulle città e sulle
campagna’ caratterizzano ormai la formazione di quel professioni- infrastrutture territoriali.
sta al pari delle prime e con uguale rigore e sistematicità79. Que- L’introduzione del calcolo nella progettazione sostituisce, in archi-
ste scienze pratiche dovranno essere insegnate necessariamente da tettura, l’intuizione grossolana dell’equilibrio statico, eliminando
ingegneri in apposite scuole «di applicazione», da frequentare una pratiche ‘oscure’ ancora vigenti, ad esempio, nell’opera di François
volta usciti dalle accademie militari e, a partire dalla fine del Sette- Blondel. Del resto, la scienza del costruire si estende, nel V libro di
cento, dalle scuole politecniche. Il corpo del genio militare baserà Bélidor, persino al meccanismo degli ordini, ripreso dalla Regola di
allora la propria attività sulle elaborazioni teoriche, sulle esperien- Vignola ma ora considerato anch’esso come scienza, sebbene non
ze su campo e sulla documentazione progettuale ed esecutiva de- dimostrabile con la pratica e quindi ancora soggetto al principio di
gli ingegneri che vi operano; viceversa l’efficienza, la compattezza, autorità insito nelle norme vitruviane85. Ma questo basta a porre il
l’organizzazione del corpo richiederanno la massima burocratizza- ‘nuovo’ ingegnere in una posizione di vantaggio rispetto all’archi-
zione perché il sapere venga trasmesso ai tecnici in forma di cor- tetto di estrazione accademica, essendo infatti minimi gli sforzi da
pus disciplinare: lo Stato gerarchizzato, attraverso il ministro, potrà parte dell’uno per impadronirsi del linguaggio architettonico rispet-
così impegnare l’istituzione in operazioni utili alla nazione o al re80. to a quelli richiesti all’altro per apprendere il calcolo analitico o la
Nel 1729 la Science des ingenieurs pubblicata da Bélidor81 si rivol- meccanica. In più, mentre la scienza dell’ingegnere è necessaria, e
ge essenzialmente ai professionisti operanti in un corpo di Stato quindi non può involversi, l’architettura è ora sempre più legata al
per trasmettere loro le regole sicure per la costruzione, dal proget- superfluo e all’arbitrio della decorazione, e quindi può regredire in
to all’esecuzione dei minimi dettagli. L’ingegnere è ormai definito base al gusto o alla moda, o comunque restare legata a un repertorio
da Bélidor «uomo universale» al pari dell’architetto rinascimentale. ‘autoritario’ di regole.
L’esperienza nulla può se non è ‘illuminata’, ossia sorretta dalla ra- Eccoci allora all’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, in cui i cu-
gione, a sua volta sostenuta dalla teoria: la scienza del costruire si ratori spiegano di voler dare ai tecnici e agli artigiani l’opportu-
baserà allora sui principi teorici della meccanica per l’equilibrio dei nità di comprendere le ragioni generali del proprio lavoro, utili a
corpi e dell’algebra e della geometria analitica per il calcolo delle perfezionarlo e a rendere più sicure le loro conoscenze: si compie
sezioni resistenti. Dalle equazioni, con l’introduzione di coefficienti finalmente quella comunità di intenti tra gli ‘empirici’ e i teorici
di sicurezza sempre più attendibili, attraverso il modello matematico che era soltanto un auspicio all’epoca di Leonardo. Proprio come
Archimede aveva ispirato il genio toscano, la matematica e la fisica
saranno alla base del sapere dei nuovi ingegneri, mettendoli nella
76
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., pp. 69-70. condizione di dominare le forze della natura attraverso il calcolo e,
77
  G.B. Bellucci, Nuova inventione di fabricar fortezze, di varie forme, in qualunque sito quindi, di controllare il territorio86. E questo sarà davvero il miglior
di piano, di monte, in acqua, con diversi disegni, et un trattato del modo che si hà da osservare
in esse, con le misure, et ordine di levar le piante […],Venezia, T. Baglioni, 1598.
78
  Tra le altre opere, si veda: Ch.-F. de Cisternay du Fay, chev. de Cambray,
82
Véritable maniere de bien fortifier de M. de Vauban, Amsterdam, chez A. Braekman, 1692.   Cfr. Scienziati-artisti…cit., pp. 278 sgg.
83
79
  Cfr. L.A. de la Clairac de la Mamye, L’Ingenieur de campagne, ou traite de la   C.L. Navier, La Science des ingenieurs, dans la conduite des travaux de fortification et
fortification passagere, Paris, chez Ch.-A. Jombert, 1749. d’architecture civile, par Bélidor, nouvelle édition, avec des notes, par Mr. Navier, ingénieur
80
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., pp. 80-81. Si veda pure sull’argomento A. ordinaire des Ponts et Chaussées, Paris, chez Firmin Didot, 1813.
84
Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Napoli, Electa   A. Biral, P. Morachiello, op. cit., p. 91.
85
Napoli, 1992, passim.   Ivi, p. 94.
81 86
  B. Forest de Bélidor, Science des ingénieurs dans la conduit des travaux de   Famoso, in tal senso, il brano di Cartesio: «Le mie riflessioni mi hanno fatto
fortification et d’architecture civile, Paris, chez Ch.-A. Jombert, 1739. vedere che è possibile giungere a conoscenze che siano molto utili alla vita; e che

Capitolo primo
22
viatico per la nuova fortuna del metodo vinciano all’inizio dell’età
contemporanea.
Se con Cartesio l’algebra era stata applicata per la prima volta alla
geometria, rendendosi la scienza autonoma da ogni costrizione o
autorità, con gli enciclopedisti il sapere scientifico viene definitiva-
mente estromesso dalle accademie: d’Alembert indica nella scienza
la strada dell’emancipazione sociale dall’ignoranza e dall’oppressio-
ne, perché essa rappresenta l’educazione alla libertà87.
Nel Discours sur les sciences mathématiques, pronunciato da Condorcet
al Liceo di Parigi il 15 febbraio 1786, questi principi sono eviden-
ti e l’Illuminismo trionfa con la sua convinzione nella possibilità
di un riscatto del popolo attraverso la scienza: dunque l’ingegnere
non può essere estraneo a questo processo88. Pure in questo senso
va letta la fondazione, il 28 settembre 1794, sotto la Convenzione,
dell’École centrale des travaux publics, che il 1° settembre 1795 diviene
École Polytechnique, propedeutica alla ‘specialistica’ École des Ponts et
Chaussées (già presente dal 1747 e diretta da Jean-Rodolphe Perro-
net), oltre che a quelle del genio e dell’artiglieria. La Polytechnique
napoleonica sarà dunque il luogo di formazione sulle teorie di base
da ‘applicare’ poi nelle scuole di specializzazione: con l’opportuna
diffusione del sapere teorico e tecnico, si garantirà la libertà di pen-
siero nonché il contatto tra le scienze generali e la tradizione degli
antichi corpi, un tempo chiusi nei loro privilegi e segreti. Ora le
scienze sono libere e hanno un immediato riscontro sociale.
Siamo proprio negli anni in cui si svolge la vicenda che ci accin-
giamo a narrare, allorché, nell’ambiente dell’Illuminismo meri-
dionale, la lunga ma ininterrotta gestazione dello scienziato-artista
di matrice vinciana troverà esito nella figura dell’ingegnere-archi-
tetto contemporaneo.

Gaspard Monge89, vero creatore della Polytechnique, intende dare con


essa ai tecnici formatisi presso le «ecoles pratiques» sorte tra il 1750 e
l’80 una cultura scientifica in grado di rendere più sicura la loro pre-
parazione. Già docente di fisica dal 1770 nell’École Royale du Génie
de Mézières, istituita nel 1756, poi fondatore e docente dell’École Cen-
trale des Travaux publiques nel 1794 e infine della Polytechnique, egli Carlo Theti, Discorsi delle Fortificationi, 1569,ried.Vicenza 1617; frontespizio
crede nella diffusione della geometria descrittiva come vera e pro-
pria scienza al servizio dell’ingegnere, il quale, attraverso il disegno
geometrico, metterà in relazione la teoria con gli oggetti naturali territorio e di farla penetrare nelle istituzioni e nei gangli sociali.
e l’ambiente cui sono destinati, con continui rimandi e aggiusta- Anche Prony, professore di meccanica alla Polytechnique, nell’in-
menti. Grazie alla rappresentazione mongiana, basata sul metodo troduzione alla Nouvelle architecture hydraulique (1790-96) 90 sottoli-
delle proiezioni ortogonali, con l’uso di due soli piani ogni og- nea come alla base dell’ingegneria siano le teorie scientifiche ge-
getto spaziale può essere facilmente rappresentato sulla superficie nerali, per cui all’ingegnere ‘politecnico’ si richiede di rinunciare
del foglio e se ne può conoscere la forma precisa e i dettagli; dalle alla mera pratica professionale per divenire scienziato e applicare
relazioni proiettive si può poi risalire a quelle analitiche, assur- quindi i principi generali nell’esercizio del mestiere. Ma, oltre a
gendo così la geometria descrittiva a vera scienza. Si tratta quindi impegnarsi nel dibattito scientifico, l’ingegnere dovrà essere a sua
di uno strumento indispensabile per artisti e ingegneri, al pari volta educatore e diffusore del bagaglio di nozioni acquisite in
della lettura, della scrittura o dell’aritmetica, per raggiungere la piena libertà attraverso la scuola. Applicando l’analisi matematica,
massima perfezione dell’opera. Questa ‘nuova’ materia entra così a Prony riesce in questo testo ad offrire soluzioni a problemi e fe-
pieno titolo nel programma di educazione nazionale posto in atto nomeni in campo idraulico fino ad allora mai fatti oggetto di uno
negli stati dell’Impero napoleonico, all’interno del quale, attraver- studio sistematico.
so il ‘sogno’ dei politecnici, si cercherà di diffondere la scienza nel L’architettura civile, ora espressione delle nuove istituzioni napoleo-
niche, che si va a ‘contaminare’ con il territorio divenendo parte
di un complesso sistema infrastrutturale, deve anch’essa assurgere
invece di questa filosofia speculativa che si insegna nelle scuole, se ne può trovare al rango di scienza e formarsi finalmente una propria rigorosa e
una pratica, con la quale conoscendo la forza e le azioni del fuoco, dell’acqua, organica teoria. Ma l’architettura è da sempre dominio del gusto,
dell’aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distin-
tamente come conosciamo i diversi mestieri dei nostri artigiani, potremmo simil- dell’arbitrio e della speculazione: come si potrà, allora, procedere
mente impiegarle per tutti gli usi ai quali sono adatte, e così renderci come padroni
e possessori della natura». Cit. in B. Gille, op. cit., p. 281.
87
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., pp. 97-99.
88
  Ibidem. 90
  G.-F.-C.-M. Riche de Prony, Nouvelle architecture hidraulique, contenant l’art
89
  V. Cardone, Gaspard Monge scienziato della rivoluzione, Napoli, CUEN, 1996. d’élever l’eau au moyen de différentes machines, Paris, chez Firmin-Didot, 1790-1796.

La professione tra arte, scienza e tecnica


23
Bernard Forest de Bélidor, Science des ingénieurs, 1729, ried. a cura di C.L. Navier, Paris 1813; Jean-Nicolas-Louis Durand, Recueil et paralléle des
tav. II edifices de tout genre, 1801-2, ried. Venezia 1833; tav. 60

anche in questo delicato campo ad una sistematizzazione teorica? inevitabilmente fondata su un ordine gerarchico nelle sue varie
Durand assume questo onere, condannando l’architettura tradizio- componenti. Gli ingegneri, scelti a livello centrale, saranno ripar-
nale intesa come ‘bella imitazione’ della natura e strumento dell’au- titi uniformemente sul territorio, con diversi gradi di competenze
torità per fini di propaganda nello Stato assolutistico: l’uso ‘mimeti- e di autorità, sebbene tutti sottoposti alla direzione generale, che
co’ e privo di ogni esito pratico degli ordini tradizionali impedisce sola conosce la globalità delle imprese e dei bisogni dello Stato;
all’architettura di imporsi come scienza al servizio del nuovo Stato. sotto il controllo dell’autorità statale, essi eserciteranno a loro volta
Non più sottoposta alle finalità meramente estetiche e propagan- il proprio ‘dispotismo illuminato’ in nome dell’utile sociale e dello
distiche dell’Antico Regime, essa non può continuare ad usare il spirito ‘rigeneratore’ della scienza. L’idea è quindi quella di fare
linguaggio accademico rischiando di destare, anziché piacere, orrore dell’ingegnere, oltre che uno scienziato, anche un amministratore,
e ripugnanza; così concepita, non è più conveniente né economi- o quanto meno il braccio autoritario del governo nei confronti
ca, ma autentico spreco. Anziché arte mimetica, l’architettura deve delle amministrazioni locali, con la salda convinzione che la diffu-
essere emancipazione dell’uomo dalla condizione naturale e quindi sione della cultura e dell’esercizio della Ragione porti ad innescare
simbolo di civilizzazione, di utilità sociale, di soddisfacimento dei un meccanismo tale che gli amministrati possano sconfiggere l’i-
bisogni oggettivi della nuova società, al di là degli arbitrî del gusto. gnoranza e prosperare nel benessere93 .
La scienza dell’architettura non può più basarsi su un apparato nor- Come abbiamo ampiamente sperimentato in altra sede con riferi-
mativo e formalistico, ma deve prevedere la combinazione pratica- mento allo Stato napoletano tra il Decennio francese e la Restau-
mente infinita di elementi semplici, da cui può scaturire qualsiasi razione94, si tratta chiaramente di un programma che intende agire,
tipo di edificio: non più tipologie formali, dunque, ma funzionali e all’interno di un sistema rigidamente centralizzato, a tutti i livelli
utili alla nuova società91. della società e del territorio statale: gli ingegneri inseriti nei corpi
Va detto però che la scuola politecnica, della quale Durand è un governativi dovrebbero allora essere uomini illuminati che realiz-
autorevole docente, pur eliminando distinzioni di rango e garan- zino, con la loro scienza e in modo neutrale rispetto ai governi, il
tendo pari dignità di istruzione, non evita di selezionare dall’in- bene della nazione. Tutto questo, invece, si rivelerà un’utopia, come
terno i propri allievi e di individuare i migliori sin dai primi anni, si riconosce proprio nei tecnici dello Stato borbonico: al di là degli
introducendo di fatto per essi una condizione di privilegio e quindi indubbi meriti professionali e dei tanti primati conseguiti, essi mo-
una gerarchia che nega il principio di uguaglianza per quello di streranno sovente l’impossibilità di assumere decisioni politicamente
autorità92. Lo deve ammettere lo stesso Prony nella sua Mécanique gradite, finendo per prevaricare le autorità locali in nome di un
philosophique (1799-1800) a consuntivo dei risultati del primo quin- governo più spesso preoccupato della propria sussistenza che del
quennio di insegnamento nella Scuola: non è possibile una società benessere dei sudditi.
retta dai soli lumi della Ragione, dalla scienza, ma essa dovrà essere
93
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., p. 112. Cfr. G. Teyssot, Illuminismo e architettura:
saggio di storiografia, in E. Kaufmann, Tre architetti rivoluzionari. Boullée Ledoux Lequeu,
91
  A. Biral, P. Morachiello, op. cit., pp. 100-110; A. Buccaro, op. cit., pp. 7 sgg. Milano, F. Angeli, 1991, pp. 40-43.
92 94
  Ibidem.   A. Buccaro, op. cit., passim.

[24]
Capitolo secondo
Il Codice della Biblioteca Nazionale di Napoli:
storia e struttura di un’antologia vinciana

I. Dagli originali agli apografi cardinale, è conservata in triplice copia presso la Biblioteca Nazio-
nale di Napoli; il documento è stato studiato prima dall’Uzielli, poi,
§ 1 Il Libro di Pittura e la prima diffusione con particolare attenzione, dallo Chastel4 sulla base della trascrizione
del pensiero di Leonardo pubblicata nel 1905 dal Pastor, il celebre storico dei papi5. Dal diario
si evince il fascino notevole che dovette suscitare nei visitatori la fi-

L a vicenda dei manoscritti vinciani ha visto proliferare,


specie nell’ultimo secolo, ipotesi, enigmi e persino leggende.
Nonostante l’incessante ricerca nei molteplici ambiti del sapere
gura di Leonardo, ormai sessantaquattrenne, e il persistente impegno
come artista e scienziato, nonostante le precarie condizioni di salute;
segnatamente, de Beatis riferisce che il maestro mostrò loro
di Leonardo, svolta da insigni studiosi cui faremo costante rife-
rimento nella nostra trattazione, pure non cessano le dispute e le [...] tre quatri, uno di certa donna fiorentina facta di naturale, ad
congetture, soprattutto a causa della complessità e del carattere instantia del quondam magnifico Juliano de Medicis, l’altro di san
incompiuto e disordinato di quei testi. Johanne Baptista jovane, et uno de la madonna et del figliolo che
Essendo ancora in vita, già la sua fama e, per così dire, il mito stan posti in gremmo de sancta Anna, tucti perfectissimi, ben vero
nato intorno alla persona e ai suoi manoscritti avevano valicato i che da lui per esserli venuta certa paralesi ne la dextra, non se ne può
confini d’Italia, anche a seguito del trasferimento in Francia nel expectare più cosa bona. Ha ben facto un creato milanese chi lavora
maggio 1517 su invito rivoltogli da Francesco I a lavorare come assai bene. Et benché il predicto messer Lunardo non possa colorire
«première peinctre et ingénieur et architect du Roy»1 : partito con quella dolceza che solea, pur serve ad fare desegni et insignare
quindi da Roma insieme con Francesco Melzi, il servitore Battista a gli altri. Questo gentilhomo ha composto de notomia tanto parti-
de Villanis e il giovane pittore Andrea Salai2 , Leonardo giunge al cularmente con la demonstratione de la pictura, si de membri come
castello di Cloux, presso Amboise, ove risiederà sino alla morte, de muscoli, nervi, vene, giunture, d’intestini, et di quanto si può
avvenuta due anni esatti più tardi. ragionare tanto di corpi de homini come de donne, de modo non è
Più che come artista, architetto o ingegnere, la sua fama quale uomo stato mai facto anchora da altra persona. [...].
saggio e «grandissimo filosafo» ci viene trasmessa da Benvenuto
Cellini, che così racconta: Ma soffermiamoci, in particolare, sugli ultimi righi del brano: «Ha
anche composto de la natura de le acque, de diverse machine et d’altre cose
Il Re Francesco, essendo innamorato gagliardissimamente di quelle sue (secondo ha riferito lui), infinità de volumi, et tucti in lingua vulgare, quali
gran virtù, pigliava tanto piacere a sentirlo ragionare, che poche gior- si vengono in luce, saranno profigui et molto dilectevoli*»6.
nate l’anno si spiccava da lui, le quali disse a me […] che non credeva In proposito Roberto Marcolongo, insigne matematico e storico
mai che altro uomo fusse nato al mondo che sapessi tanto quanto Lio- della scienza operante a Napoli nella prima metà del Novecento, di
nardo non tanto di scultura, pittura e architettura, quanto che egli era cui più innanzi ci occuperemo, osserva:
grandissimo filosafo3.
Oltre al prezioso accenno ai tre quadri, agli studi e ai meravigliosi ac-
Ed è tale l’interesse per il personaggio da parte degli uomini più cenni anatomici, e a quello dei mss., però non veduti dal cardinale e dal
influenti delle corti europee che il 10 ottobre 1517 il cardinale na- suo seguito, quell’accenno “se vengono in luce” fa sospettare che Leo-
poletano Luigi d’Aragona (figlio di Errico d’Aragona e nipote di re nardo abbia espresso il desiderio di vedere stampati i suoi studi e trattati;
Ferrante I) giunge fino ad Amboise per conoscerlo, nell’ambito di questo compito sarebbe spettato al Melzi. Perché non lo ha fatto?7
un articolato itinerario – svoltosi tra il maggio 1517 e il marzo 1518,
e mirato, anche politicamente, alla visita di numerosi stati e città Al di là dei contenuti storico-artistici del citato brano del de Bea-
europee – accompagnato dal segretario Antonio de Beatis («Clerico tis, già messi in evidenza da par suo da Chastel con riferimento ai
Melfictano», ossia nativo della città di Molfetta). La stesura finale
del diario, redatta dal de Beatis una volta tornato nella propria città
entro il 21 agosto 1521 e spedita ad Antonio Seripando, segretario del 4
  A. Chastel, Luigi d’Aragona: un cardinale del Rinascimento in viaggio per l’Europa,
Roma-Bari, Laterza, 1995
5
  L. Pastor, Die Reise des Kardinals Luigi d’Aragona durch Deutschland, die Nieder-
lande, Frankreich und Oberitalien 1517-1518, in Erläuterung u. Ergänzungen zu Jansens
1
  Cfr. A. Comolli, Bibliografia storico-critica dell’Architettura civile ed Arti subalterne, Geschichte des deutschen Volkes, vol. IV, Freiburg, Herder, 1905. Cfr. pure A. Borzelli,
Roma, Stamperia Vaticana, 1788-92, III, p. 208. Come si mostra e si manifesta il gusto e il sentimento dell’arte in un pugliese del secolo XVI
2
  Andrea Salai era il soprannome di Gian G. Caprotti, nato intorno al 1480. Cfr. G. (Antonio de Beatis da Molfetta), in «Apulia», II (1911), fsc. I-II, pp. 60-74. Si veda pure
Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ sul diario di de Beatis: S. Volpicella, Viaggio del Cardinal d’Aragona, in «Archivio
tempi nostri, Firenze, L. Torrentino, 1550, ried. a cura di L. Bellosi, A. Rossi, Torino, Storico per le Province Napoletane», I (1876), pp. 106-117, in cui si stralciano i
Einaudi, 1991, p. 551, n. 16. brani del testo contenenti notizie con specifico riferimento alla storia del regno
3
  B. Cellini, La vita di Benvenuto Cellini scritta da lui medesimo emendata ad uso della di Napoli.
6
costumata gioventù, ried. a cura di G.G. Ferrero, Torino, UTET, 1968, p. 859; P. Gal-   Biblioteca Nazionale di Napoli (d’ora innanzi BNN), Manoscritti e rari, XIV.
luzzi, Gli ingegneri del Rinascimento da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, catalogo della H. 70, f. 163.
7
mostra (Firenze 22 giu. 1996-6 gen. 1997), Firenze, Giunti, 1996, p. 74.   R. Marcolongo, Leonardo da Vinci artista-scienziato, Milano, U. Hoepli, 1950, p. 87.

[25]
Antonio de Beatis, Itinerario di monsignor Reverendissimo, Illustrissimo il Cardinal de’ Aragona incominciando dalla città di Ferrara, 1517-18, cc. 166v-167r. Napoli,
Biblioteca Nazionale, Ms. XIV. H. 70

dipinti in esso descritti8, e dell’inevitabile risonanza che la visita l’opera di elaborazione destinata alla pubblicazione di quei testi
del cardinale dovette avere nell’ambiente scientifico e artistico na- fosse quindi cominciata ben prima del ritorno del giovane epigo-
poletano, va sottolineato come una sola delle tre stesure del diario no in Italia qualche anno dopo la morte del maestro12 . Del resto
presenti presso la Biblioteca Nazionale9 rechi, a chiosa dell’ultimo ancora nel 1523 Alberto Bendidio, corrispondente dalla Francia di
rigo del brano (ossia in corrispondenza del nostro asterisco, che Alfonso d’Este duca di Ferrara, riferirà che Melzi «fu creato di
sostituisce un segno di rimando), la seguente postilla, segnalata Leonardo da Vinci et herede, et ha molti de’ suoi secreti et tutte
per la prima volta da Vecce10 : «*esso ult.a [ultra] le spese et stantia da le sue opinioni. Credo ch’egli habbia quelli libriccini di Leonar-
re di franza ha 1000 scudi l’anno di pensione et lo creato trecinto». L’ap- do de la notomia et di molte altre belle cose». Secondo quanto
punto, che si riferisce alla lauta pensione concessa da Francesco I riferisce lo stesso ambasciatore, a quell’epoca Melzi è ancora ad
a Leonardo, non includente le spese, il vitto e l’alloggio, completa Amboise con il servitore de Villanis come «pensionario» di Fran-
il riferimento fatto da de Beatis all’attività di collazione e ridu- cesco I, lavorando pure nell’«arte del minio» 13 ; ma già alla fine di
zione in forma di trattati dell’enorme mole di testi manoscritti, da quell’anno il «creato» tornerà a Vaprio d’Adda, ove porterà tutti i
finalizzarsi alla diffusione a stampa; lavoro questo promosso dallo manoscritti lasciatigli da Leonardo, tenendoli presso di sé fino alla
stesso sovrano sin dall’arrivo di Leonardo in Francia e da lui già morte, avvenuta intorno al 1570.
intrapreso con l’aiuto di Melzi, suo «creato», ossia collaboratore Se, per quanto concerne la diffusione della dottrina vinciana
all’uopo specificamente pagato11. Si può sostenere a ragione che nell’ambito delle scienze fisiche e naturali, l’opera di trascrizione
apografa non verrà intrapresa prima del 1580 (ci riferiamo al Co-
dice Huygens) e in ambito meccanico e idraulico bisognerà addi-
8
  A. Chastel, op. cit., pp. 82-83.
9
  BNN, Manoscritti e Rari, XIV. H. 70; le altre sono ivi, X. F. 28 e XIV. E. 35. Il Carusi
segnala una copia del diario presente presso la Biblioteca Vaticana: cfr. E. Carusi, 12
  A partire dal 1505 sui manoscritti di Leonardo compaiono note scritte da sinistra
Un codice sconosciuto (il Vat. lat. 3169) dell’opera di A. de Beatis, in «Raccolta Vinciana», a destra da un collaboratore in cui Pedretti (cfr. Libro di pittura: Codice urbinate lat.
XIV (1930-34), pp. 240-243. 1270 nella Biblioteca apostolica Vaticana. Leonardo da Vinci, a cura di C. Pedretti, trascri-
10
  C.Vecce, La Gualanda, in «Achademia Leonardi Vinci», 3 (1990), pp. 51-72. zione critica di C. Vecce, Firenze, Giunti, 1996, p. 97) individua proprio il Melzi,
11 anche per quello che concerne le note sui mss. di carattere scientifico redatte da
  In realtà, nelle Vite (op. cit., p. 551) Vasari nomina il Salai quale unico «creato» di
Leonardo, ma si sa che egli restò per poco tempo ad Amboise, spostandosi spesso Leonardo in Francia (1517-19).
13
a Parigi e non essendo presente presso la dimora del maestro nell’ultimo periodo   E. Solmi, La resurrezione dell’opera di Leonardo, in Aa.Vv., Leonardo da Vinci. Con-
della sua vita, né il giorno della scomparsa. ferenze fiorentine, Milano, Fr.lli Treves, 1910, pp. 20-21.

Capitolo secondo
26
rittura attendere le iniziative seicentesche, per quanto concerne il le quali io hocqui copiate, sperando poi di metterli alli lochi loro,
settore artistico e le scienze ad esso applicate il primo passo è rap- secondo le materie di che esse trateranno; credo che avanti ch’io sia
presentato dalla redazione del Libro di Pittura, ossia del cosiddetto alfine di questo, io ci avrò a riplicare una medesima cosa più volte,
Codice Urbinate 1270 (secondo l’attuale segnatura della Biblioteca sicché, lettore, non mi biasimare perché le cose son molte e la me-
Apostolica Vaticana), portato a termine da Melzi intorno al 1546. moria non le può riservare, e dire: questa non voglio scrivere perché
Sappiamo che il Codice fece parte della biblioteca del duca di Ur- dinanzi la scrissi, e se io non volessi cadere in tale errore sarebbe
bino a partire dal 1640, ove fu trasferito insieme con il patrimonio necessario che per ogni caso ch’io volessi copiare su, che per non re-
librario del duca di Castel Durante, e nel 1657 arrivò alla Vaticana. plicarlo, io avessi sempre a rileggere tutto il passato e massime stante
Ma esso fu scoperto e catalogato solo nel 1797 (pur essendone già coi lunghi intervalli di tempo allo scrivere da una volta all’altra.
note varie trascrizioni parziali) per essere pubblicato per la prima
volta da Guglielmo Manzi nel 1817. Dell’effettiva esistenza di carte redatte da Leonardo e già in qual-
La formulazione teorica dei precetti sulla pittura da parte di Leo- che modo destinate alla redazione di un trattato sulla pittura si trae
nardo dovette avvenire a Milano a partire dalla fine degli anni conferma dalle parole di Luca Pacioli nell’introduzione al De Divina
’80, secondo l’impostazione data dall’Alberti nel suo De Pictura Proportione (Venezia 1509), da cui si evince che nel 1498 Leonardo
del 1435 che, prima di essere edito nel 1568, era già stato diffuso in aveva «già con tutta diligentia al degno libro de pictura e movimenti
copie manoscritte14 . L’apografo della Vaticana rappresenta il tenta- humani posto fine», ossia alle considerazioni in materia di ottica,
tivo di dare vita, in questa materia, ad uno dei numerosi trattati prospettiva, anatomia e fisionomia, volgendosi quindi agli studi di
che Leonardo, se solo ne avesse avuto il tempo e, diciamolo pure, meccanica, ossia al de ponderibus17. Come sottolinea Pedretti, egli ave-
la costanza, avrebbe voluto redigere in forma finale e divulgare, va cominciato a stendere quei precetti nel periodo sforzesco (1491-
anche nel rispetto dei desiderata del suo mecenate francese; il resto 92) ma non aveva mai smesso, ampliandoli e approfondendoli con
dei manoscritti, invece, rimarranno a lungo inediti e, quello che sempre nuove osservazioni, come quelle su «ombre e lumi», sulle
è più grave, mai più verranno rielaborati in un testo concepito nel piante e sul paesaggio, tutte databili dopo il 1510, fino agli studi sui
rispetto dell’idea del maestro, come fu il Libro di Pittura. Quelli che colori, sulle nuvole e sull’orizzonte, eseguiti tra il 1515 e il ’18, ossia
saranno noti ai nostri giorni, ci giungeranno invece nell’originaria in buona parte tra Milano e la Francia. In effetti il trattato sulla
forma disordinata e criptica, divenendo oggetto di interminabili pittura, nell’idea di Leonardo, avrebbe dovuto costituire con quelli
dibattiti e diatribe che tuttora perdurano. di anatomia e di prospettiva una trilogia cui egli aspirò per l’inte-
Quanto ci accingiamo a narrare con riferimento alla storia del Co- ra esistenza; d’altronde per circa trent’anni (1491-1519), tra Milano,
dice Corazza acquista dunque ancor più valore, poiché la redazione Firenze, Roma e Amboise, il maestro, dopo aver preso appunti su
di questo apografo è legata alla prima vera iniziativa finalizzata a innumerevoli temi, progettò trattati in ogni materia, dalla pittura
diffondere, della ricchissima messe di ‘precetti’ vinciani presenti nei alla meccanica, dall’idraulica all’ottica, dall’architettura alla botanica.
manoscritti dell’Ambrosiana, non solo i più significativi riferibili Anche il pittore Giovan Paolo Lomazzo18, nel suo Trattato dell’arte
agli ambiti della teoria della visione e della rappresentazione della de la pittura del 1584, riferisce che Leonardo aveva effettivamente
natura, dell’architettura e del paesaggio, ma il ‘meglio’ del corpus intrapreso, su richiesta di Ludovico il Moro, la stesura della prima
un tempo presente a Milano in materia di scienze fisiche e naturali, parte di un trattato sulla pittura, relativa al cosiddetto «Paragone»
di meccanica, di idraulica, di scienze e tecniche dell’ingegneria. Per tra le arti19, secondo il titolo che comparirà nel proemio alla prima
raccontare allora sinteticamente le premesse cinquecentesche della edizione del Libro di Pittura curata nel 1817 dal Manzi, bibliotecario
nostra vicenda, partiamo proprio dal Libro di Pittura, oggetto, al ter- della Barberini:
mine di una lunga sequenza di studi iniziata sul principio dell’Otto-
cento, dell’esaustivo saggio di Carlo Pedretti e Carlo Vecce del 1996, Nel qual modo va discorrendo & argomentando Leonardo Vinci in un
in cui, oltre alla trascrizione completa del documento e al confronto suo libro letto dà me questi anni passati ch’egli scrisse di mano stanca
critico con gli originali vinciani e con gli apografi, si può trovare la à prieghi di Lodovico Sforza, Duca di Milano, in determinatione di
più ampia e aggiornata bibliografia sull’argomento15. questa questione sé è più nobile la pittura, ò la scoltura […].
La redazione dell’apografo della Vaticana, intrapresa esatta-
mente un secolo prima dell’opera di selezione antologica pro- Ma di questo «Codice Sforza» non si ha notizia dall’elenco dei ma-
mossa da Cassiano dal Pozzo, dovette far seguito ai tentati- noscritti in possesso di Melzi alla morte del maestro: è quindi proba-
vi, già iniziati da Leonardo in Italia, di sistematizzare i pro- bile che, secondo quanto sostenuto anche dalla Steinitz20, il trattato,
pri scritti, sebbene con le difficoltà date dal carattere fram- redatto da Leonardo prima della caduta di Ludovico il Moro, fosse
mentario di quel coacervo di appunti, come si comprende da andato perduto in quella circostanza e che quindi egli non lo avesse
un noto brano del Codice Arundel riportato dalla Steinitz 16 : potuto portare con sé quando lasciò Milano, venendo letto in copia
da Lomazzo; a meno che questi non possedesse degli originali, che
Chominciato in Firenze in casa di Piero di Barto Martello addì 22 secondo Vasari erano effettivamente nelle mani di un «pittore mila-
marzo 1508 ecquesto fia un racolto senz’ordine, tratto di molte carte nese». Ecco perché, come nota anche la Pierantoni a proposito del
libro «della luce ed ombra»21, anch’esso mai giunto in forma ordinata

14
  Libro di pittura…cit., p. 17. 17
15
  Ivi, nota 1, pp. 11 sgg.   Libro di pittura…cit., p. 16.
18
16
  K.Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura (Treatise on painting):   G.P. L omazzo, Trattato dell’Arte de la Pittura, Milano, per P. Gottardo Pontio,
a bibliography of the printed editions, 1651-1956 based on the complete collection in Elmer Belt 1584, p. 158.
19
Library of Vinciana, Copenhagen, Munksgaard, 1958, p. 21. Si veda pure G. Uzielli,   Cfr. pure A. Chastel, Leonardo da Vinci: studi e ricerche. 1952-1990, Milano, Einaudi,
Ricerche intorno a Leonardo da Vinci, II, Roma, Salviucci, 1884, p. 146; E. Carusi, Per il 1995, pp. 183-186.
20
«Trattato della pittura» di Leonardo da Vinci. Contributo di ricerche sui manoscritti e sulla   K. Trauman Steinitz, op. cit., pp. 21-24.
21
loro redazione, in Aa.Vv., Per il IV centenario della morte di Leonardo da Vinci, Bergamo   Va detto che il Ms. C su «ombre e lumi» fu legato nella forma attuale solo molto
1919, p. 433. tempo dopo la compilazione del Melzi, che altrimenti avrebbe potuto attingere a

Dagli originali agli apografi


27
attinsero sia Serlio (anch’egli in Francia con Cellini al servizio di
Francesco I), che ne trasse alcune considerazioni poi inserite nel suo
Trattato, sia lo stesso Cellini per una bozza di «discorso della pro-
spettiva e dei lumi» che egli avrebbe voluto pubblicare:

Or tornando al libro che io ebbi del detto Lionardo, in fra l’altre mi-
rabili cose che erano in su esso, trovai un discorso della prospettiva,
il più bello che mai fusse trovato da altro uomo al mondo perché le
regole della prospettiva mostrano solamente lo scortare della longi-
tudine e non quello della latitudine e altitudine. Il detto Lionardo
aveva trovato le regole, e le dava a intendere con tanta bella facilità et
ordine, che ogni uomo che le vedeva ne era capacissimo24 .

Ed infatti nell’autobiografia pubblicata in prima edizione a Na-


poli nel 1728, dal titolo Vita di Benvenuto Cellini Orefice, e Scultore
Fiorentino da lui medesimo scritta, nella quale molte curiose particolarità
si toccano appartenenti alle arti, e all’Istoria del suo tempo, tratta da un
ottimo Manoscritto, e dedicata all’Eccellenza di Mylord Riccardo Boyle
Conte di Burlington 25 , l’artista annuncia proprio una pubblicazione
sulla prospettiva, avendo intenzione di inserirvi molte osservazio-
ni di Leonardo: lo dimostra il Discorso sull’architettura conservato in
manoscritto a Venezia e pubblicato anch’esso solo nel 177626.
Leonardo accenna qua e là a molti altri «capitoli» che, oltre a quelli
effettivamente utilizzati, avrebbero dovuto trovare posto nel trat-
tato sulla pittura, destinati purtroppo a rimanere all’interno dei
suoi palinsesti; viceversa per altre materie, come è il caso degli
scritti di meccanica e di idraulica, i testi risultano in gran parte
compiuti e pronti per la redazione finale. Dunque è certo che il
materiale ricevuto da Melzi non conteneva tutti i precetti sulla
pittura, alcuni dei quali restarono in mano ad altri al momento
della morte di Leonardo e che solo in parte il «creato» e i suoi col-
laboratori riuscirono a leggere o a procurarsi in copia 27 : è il caso,
tra gli altri, di un codice appartenuto sin dalla metà del secolo al
duca di Amalfi, su cui torneremo. Anche Chastel nota il carattere
Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Libro di Pittura (Codice Urbinate estremamente provvisorio, disorganico e in alcuni casi persino ar-
1270), c. 1546, c. 1r, incipit. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana bitrario della raccolta di Melzi, certamente non ancora definitiva
all’epoca della morte del «creato»28 . Va inoltre tenuto ben presente
il problema dell’interpretazione e copia delle immagini, con cui
e completa nelle mani dell’allievo di Leonardo, l’opera di questi, Melzi dovette certamente fare i conti, dando prova, in più casi, di
per quanto meritoria, dovette risultare necessariamente lacunosa22 . uno straordinario talento interpretativo; problematiche che, come
Peraltro sulla base di una testimonianza di Cellini presente nei Di- si vedrà, riaffioreranno nella redazione degli apografi seicenteschi.
scorsi sopra l’Architettura (contenuti nei Trattati dell’Oreficeria) si può
ipotizzare che esistesse una compilazione più ampia su questioni di
pittura, scultura e architettura, curata da Leonardo in Francia prima 24
  Ivi, p. 29. Cfr. B. Cellini, Due Trattati, uno intorno alle otto principali arti dell’Orefi-
di morire e anch’essa andata perduta23. ceria, l’altro in materia dell’arte della Scultura…, Firenze 1568. vedi pure A.C. Pieran-
Si sa che nel 1542 Cellini aveva acquistato proprio a Parigi, da «un toni, op. cit., pp. 15-16.
25
  Per Pietro Martello stamp. Cfr. A. Comolli, op. cit., I, p. 277.
gentiluomo impoverito», un apografo leonardesco poi rubatogli al 26
  Cfr. il Discorso di Benvenuto Cellini dell’Architettura, in J. Morelli, I codici mano-
ritorno in Italia, che trattava di arte e di prospettiva. A questo scritto scritti volgari della libreria Naniana,Venezia, A. Zatta, 1776.
27
  Pedretti (Libro di pittura…cit., pp. 11 sgg.), attraverso comparazioni con gli ap-
punti presenti nel Codice Atlantico e in altri mss. e apografi (Codice Huygens), at-
tribuisce a tre diverse mani (Melzi più un collaboratore e uno scrivano) la redazio-
tutte le sue parti, risultando invece il Codice Urbinate, per questi argomenti, assai ne del Codice Urbinate. Peraltro, che il Codice Urbinate non sia copia completa di
frammentario. La Pierantoni cita pure dal f. 15v del Ms. C: «A dì 23 aprile 1490 cho- tutti i libri di Leonardo sull’argomento si evince dall’elenco, posto alla fine di quel
minciai questo libro [della «luce ed ombra»] e richominciai del cavallo». Cfr. A.C. testo, dei contrassegni dei vari originali da cui l’apografo è tratto. Non mancano
Pierantoni, Studi sul Libro di Pittura di Leonardo da Vinci, Roma, Tip. Scotti, 1921. in quest’ultimo varie proposte di migliore ordinamento dei capitoli e di integra-
22
  Si sa che Melzi possedeva un numero consistente di codici: diciotto di essi com- zione con altri scritti poi non effettuate, oltre a pagine bianche non più riempite
paiono sicuramente nell’elenco delle fonti del Libro di Pittura, quantunque solo tre- (destinate ad altri manoscritti, non recuperati dai redattori) e a pagine con i soli
dici siano stati identificati dagli studiosi; gli altri cinque potrebbero essere quelli che titoli di precetti in seguito non più copiati. Oltre al Melzi, vari altri collaboratori
Vasari dice essere nelle mani del «pittore milanese». Melzi e compagni potrebbero si occuparono del lavoro; il copista, in particolare, non doveva essere molto colto,
anche aver preso visione di questi altri manoscritti per poco tempo, risultandone poiché cade spesso in errori banali, poi corretti da un altro. I disegni non sono
una trascrizione parziale. Per ulteriori e interessanti notizie circa i tentativi di Leo- copie identiche degli originali, ma rifatti con matita o carboncino e poi ripassati
nardo per arrivare a una versione definitiva del Libro di Pittura nei suoi ultimi anni a penna. Il copista principale doveva essere lombardo, come si comprende dai ter-
di vita, poi utilizzata solo in parte da Melzi per il Codice Urbinate, e circa i rapporti mini dialettali presenti nel testo. Va detto che i disegni del Codice furono eseguiti
tra il ms. L dell’Institut de France e lo stesso Codice, cfr. C. Pedretti, Leonardo a tutti dal Melzi, o contemporaneamente alla trascrizione (quelli più facili) o dopo,
Urbino e il Libro di Pittura, in «Achademia Leonardi Vinci», X (1997), pp. 76-88. ripassando a penna le basi a matita.
23 28
  Libro di pittura…cit., p. 27.   A. Chastel, Leonardo da Vinci…cit., pp. 46-47.

Capitolo secondo
28
In effetti l’urgenza da parte di Melzi di trascrivere in forma piana nardo si sarebbe poi spostato gradualmente verso sempre maggiori
i manoscritti completi e meglio ordinati (1490-1500) aveva fatto sì interessi tecnico-scientifici nel campo della meccanica e dell’idrau-
che egli rinunciasse alla prima idea di un riordinamento generale lica (si vedano i mss. E e I di Parigi), facendo quindi uso del disegno
per materie che si evidenzia in appunti e suggerimenti posti a mar- non tanto, o non solo, per indagare sui metodi più opportuni di
gine dei testi stessi29. Ad ogni modo è certo che per la redazione del rappresentazione di fenomeni ottici o di elementi naturali, bensì
Libro di Pittura Leonardo fece in tempo ad indicare a Melzi l’ordine quale strumento per comprendere la struttura e le funzioni del cor-
secondo cui i testi presenti nello studio di Amboise dovevano essere po umano o delineare dettagli di macchine.
trascritti30. Nacque così l’apografo più ricco, anche se incompleto, Si deve ancora a Pedretti il merito di aver affrontato con maggiore
tra i tanti poi tratti a partire dalla metà del ‘500 dai manoscritti vin- sistematicità, a partire dal 1959, il problema dell’individuazione di
ciani in materia di pittura: proprio attraverso l’analisi di questo testo, un libro specificamente dedicato da Leonardo alla pittura e quello
e a valle degli studi di Ludwig, Tabarrini, Richter, Pierantoni e Mc della datazione degli altri scritti presenti nella ‘lista’ di Melzi posta
Mahon, Pedretti e la Steinitz hanno proposto un quadro preciso dei alla fine del Codice Urbinate35. Tra le materie trattate nella parte
rapporti tra originali e apografi, che converrà tenere ben presente31. di quest’ultimo tratta dal «Libro A» – redatto presumibilmente tra
Quando, circa un secolo più tardi, vedrà la luce la compilazione il 1508 e il 1515 e contenente il citato «Paragone» tra le arti36 – il
apografa dei nove libri Del moto e misura dell’acqua curata da Fra- tema della prospettiva è svolto in modo non esaustivo, anche perché
te Luigi Maria Arconati, essa risulterà senza dubbio più organica e l’allievo, con ogni probabilità, si era riservato di affrontare personal-
metodologicamente meglio concepita rispetto all’opera di Melzi. mente l’argomento, sebbene poi non lo abbia più fatto. Mancano
Così Carusi: «Certo mentre per il trattato d’idraulica noi conoscia- del tutto, ad esempio, considerazioni sulla cosiddetta «costruzione
mo con precisione l’autore e forse anche il metodo seguito per la legittima» albertiana, largamente praticata da Leonardo, come pure
raccolta, sicché esso ci può servire come direttiva nel rintracciare le note sull’anamorfosi, solo in parte recuperate da Melzi. Eppure,
il materiale vinciano sulle acque, per il trattato della pittura […] il tra gli scritti di pittura e prospettiva cui si fa diretto riferimento nei
lavoro di restituzione è più difficile e incerto, date le fortunose vi- testi del Codice Urbinate, l’Heydenreich individua proprio il De
cende dei manoscritti vinciani e le dispersioni più volte ripetute»32. Pictura libri II di Leon Battista Alberti (1435), oltre al Libro dell’Arte
Lo stesso Carusi giudicherà quindi impresa impossibile rintracciare di Cennino Cennini (c. 1400), al De Architettura libri XXV di Filarete
il codice originale predisposto da Leonardo sulla pittura – il «Libro (1451-1461) e al De Perspectiva Pingendi di Piero della Francesca (1485).
A» perduto della lista di Melzi – azzardando persino l’ipotesi della Ma per Leonardo, come sappiamo, la prospettiva basata su rego-
sua inesistenza. La Brizio33, invece, fa deciso riferimento al testo del le matematiche va sempre integrata con la conoscenza della pro-
ms. A di Parigi (c. 1492), contenente a suo parere il nucleo principale spettiva aerea e di quella degli effetti cromatici in lontananza, con
dell’opera, di cui rappresenterebbe la versione pronta per la divul- lo studio dei ‘perdimenti’ e dello sfumato, degli scorciamenti, della
gazione. Sicché risulterebbe chiaro il carattere sempre più evoluto prospettiva ‘accelerata’ e ‘ritardata’, e di quella ‘composita’ (naturale e
delle proposizioni di carattere scientifico nel passaggio dal Codice artificiale) contro l’antico ‘primato della linea’: infatti dopo il 1500
Atlantico al ms. C (in particolare in materia di «ombre e lumi» e di egli comincia gradualmente a prendere le distanze dalla tradizio-
anatomia) e di qui, specie in materia di prospettiva e di ottica, allo
stesso ms. A di Francia34. Dalla pittura e dalle scienze connesse, Leo-
noscritto stesso: i fogli mostrano inizialmente una maggiore attenzione all’anatomia
e all’ottica, tendenti a chiarire i meccanismi della visione, prima che l’esclusivo in-
29 teresse per la pittura e per la rappresentazione pittorica del corpo umano finisca per
  Libro di pittura…cit., pp. 18-19. Nel 1956 la Brizio (A.M. Brizio, Il Trattato della prevalere in Leonardo: «[nei fogli del Codice Atlantico] le proposizioni che trattano
pittura di Leonardo, Roma, De Luca, 1956), con una rigorosa analisi testuale, aveva della natura del vedere e della virtù visiva sono estremamente incerte, generiche,
individuato il sistema di trascrizione adoperato dal compilatore del Codice, dimo- confuse, e persino contraddittorie, mentre molto più decantate, filtrate attraver-
strando come i capitoli siano posti in ordine cronologico all’interno di ogni sezio- so un’osservazione diretta e sottilissima, sono quelle che riguardano la visione in
ne: il redattore ha cioè attinto prima agli scritti del 1487-92 e poi a quelli successivi quanto premessa alla figurazione. Di queste la maggior parte vertono sulla forma
al 1505 (fino al 1513), che sono i periodi in cui Leonardo si occupò maggiormente delle ombre in rapporto alla forma del corpo inframmesso fra la sorgente luminosa
di teoria dell’arte. Ma c’è anche un periodo di transizione tra il primo e il secon- e l’ombra, sugli angoli d’incidenza e riflessione dei raggi luminosi, sui termini delle
do periodo milanese, ossia gli anni 1498-1502, in cui egli si occupa di movimento ombre, ecc.: termini tutti trattati nel manoscritto C, alle cui proposizioni quelle dei
umano e di paesaggio. Dopo ogni sezione del Codice, il compilatore ha lasciato un fogli atlantici sono assai simili, vorrei dire uguali, se la loro estrema varietà e sotti-
certo numero di fogli bianchi da riempire con altri testi sull’argomento, recupera- gliezza, quasi una casistica, non rendesse la ricerca puntuale dei riscontri un vero
bili nei manoscritti più tardi. rompicapo» (ivi, p. 57).
30
  Melzi trascrive i testi originali nella sequenza (un libro per volta) concepita 35
  C. Pedretti, Note sulla cronologia del “Trattato della Pittura” di Leonardo, in «L’Ar-
da Leonardo, senza riordinarli ulteriormente dopo la trascrizione, probabilmente te», gen.-giu. 1959, pp. 25-37.
perché copiati su fogli legati. Può essere capitato soltanto che Melzi abbia trasposto 36
  Riferendosi appunto alla parte del Paragone posta come proemio del Codice
un capitolo ad un altro.
31 Urbinate, il Richter (J.P. Richter, The literary works of Leonardo da Vinci compiled and
  Il citato studio di Pedretti e Vecce (Libro di pittura…cit., passim) risulta aggior- edited from the original manuscripts, London, Sampson Low, 1883) ha per primo sot-
nato anche in relazione a quanto osservato dallo stesso Pedretti circa i contenuti tolineato come la geometria greca, in particolare gli Elementi di Euclide, vengano
dei due manoscritti di Madrid (in particolare il secondo) in materia di pittura e di qui assunti come modello, specie nei primi tre capitoli, redatti probabilmente sulla
ottica: si tratta di precetti databili al 1504-1505, non tutti trascritti poi nel Libro di base di scritti di Leonardo successivi al 1505, quando il suo interesse per Euclide
Pittura. Cfr. C. Pedretti, Leonardo da Vinci inedito.Tre saggi, Firenze, G. Barbera, 1968. si fa più palese, come si nota nel ms. K. Leonardo mostra costantemente questo
32
  E. Carusi, Per il «Trattato della pittura»…cit., p. 434. Cfr. pure C. P edretti, riferimento alla tradizione in ambito geometrico, come si nota anche in certe sue
Un nuovo apografo del «Trattato della Pittura» di Leonardo da Vinci, in «Bibliothèque considerazioni sul De ludo geometrico dell’Alberti circa i principi fondamentali della
d’Humanisme et Renaissance», a. 1959, t. 21, p. 449. pittura, contenute in vari capitoli del Paragone. Seguono interessanti riferimenti
33
  A.M. Brizio, Correlazioni e rispondenze tra fogli del Codice Atlantico e fogli dell’A- al concetto di «quantità continua» in geometria (Libro A e Codice Atlantico) e
natomia B e dei codici A e C su l’occhio, la prospettiva, le piramidi radiose e le ombre, in altre questioni matematiche, tratte da vari manoscritti. Alla fine del primo capi-
«Raccolta Vinciana», XVII (1954), pp. 81-89. tolo del Paragone abbiamo un chiaro accenno all’importanza delle dimostrazioni
34
  Nel Codice Atlantico la parte relativa allo studio dell’occhio, della prospettiva, matematiche per qualunque affermazione in campo scientifico: «Nessuna umana
delle piramidi radiose e delle ombre (ma anche del moto e delle acque, pure trattati investigazione si pò dimandare vera scienza, s’essa non passa per le matematiche
nel ms. A) è una sorta di minuta finalizzata alla redazione del testo definitivo. La dimostrazioni, e se tu dirai che le scienze che principiano e finiscono nella men-
Brizio (Correlazioni e rispondenze…cit., passim), nel sottolineare come il criterio te abbiano verità, questo non si concede ma si nega, per molte ragioni, e prima
cronologico sia, nel caso dei mss. leonardeschi, indispensabile per chiarire l’evolu- chè in tali discorsi mentali non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sé
zione del pensiero vinciano, ricorda che il ms. C, ricco di proposizioni su «ombre certezza» (C.A., 167r-a). «Nessuna certezza è dove non si po’ applicare una delle
e lume», è del 1490, mentre il ms. A è del 1492. Anche con riferimento al ms. C, i scienze matematiche, ovver che non sono unite con esse matematiche» (ms. G,
fogli del Codice Atlantico che trattano degli stessi argomenti appaiono quanto mai 96v); o ancora nel C.A. 154 r-c e Windsor 19,070, fino alla celebre frase: «non mi
frammentari e disordinati, costituendo le minute dei testi finali contenuti nel ma- legga chi non è matematico nelli mia principi». Cfr. Libro di pittura…cit., pp. 26-27.

Dagli originali agli apografi


29
ne pittorico-prospettica dell’ambiente fiorentino, pensando ad una Urbinate che potrà servirci nell’esame degli apografi seicenteschi.
rielaborazione dei capitoli sulla pittura sempre più in chiave scien- Nell’introduzione alla traduzione inglese di Philip Mc Mahon40,
tifica, ad esempio con riferimento agli «effetti dell’atmosfera con- Heydenreich osserva come il Codice sia soltanto una prima stesura,
nessi con la prospettiva, i colori, le vegetazioni, le acque, le nuvole per giunta incompleta e ancora non del tutto ordinata, del lavoro
e le montagne in rapporto col paesaggio, lo studio della visione, generale intrapreso da Melzi: oltre ad evidenziare per primo molti
della luce e dell’ombra»37. brani di originali perduti41, egli distingue quello che Leonardo in
Nel ricomporre dunque il «Libro A» individuandone le diverse prima persona aveva approntato per la compilazione rispetto a ciò
parti nei manoscritti superstiti, Pedretti sostiene che Leonardo ab- che fu poi utilizzato dall’allievo, ossia in quale misura il Codice ri-
bia concepito l’idea di un testo specifico sulla pittura sin da quan- fletta effettivamente la concezione del maestro, pur rappresentando
do era ospite di Melzi nella villa di Vaprio d’Adda nel 1513, appro- in ogni caso il più diretto riflesso del pensiero vinciano nel campo
fondendo quanto aveva cominciato a scrivere a partire dal periodo delle teorie artistiche e della rappresentazione42.
sforzesco (1487-1499) sulle piante e sull’atmosfera, su luci e ombre, Sin dal 1959 Pedretti 43 aveva proposto un’ipotesi di datazione an-
sull’anatomia e sul movimento umano; ma ancora durante il pe- che per quanto concerne le restanti parti del Codice Urbinate,
riodo francese egli aggiungerà altri studi al trattato, dando dispo- facendo riferimento agli originali da cui sono tratte, a partire dalla
sizioni a Melzi su come procedere nella trascrizione e successiva seconda e dalla terza, relative all’anatomia, alle proporzioni e al
integrazione di quel testo38 . Se allora il ms. A di Parigi rappresenta movimento umano e riferibili – se confrontate con i mss. A e B
la fonte principale per un esame della teoria dell’arte di Leonardo di Parigi, con gli originali presenti nel Codice Atlantico e con i
nel periodo sforzesco, lo scomparso e ‘ricostruito’ «Libro A» lo sa- fogli di Windsor – a un ampio periodo che va dal 1490 al 1514 44 .
rebbe per il periodo successivo. Entrambi, pur trattando prevalen- La quarta, formata da pochi ‘precetti’ tutti successivi al 1505, trat-
temente di pittura, ospitano una sezione di idraulica, segno questo ta del modo di rappresentare vestiti e panneggiature (argomen-
che Leonardo torna in seguito su argomenti già affrontati in prima to che aveva attratto Leonardo sin dall’età giovanile) mentre la
battuta, come accade anche per l’anatomia. I Libri A e B ricostruiti quinta, assai più consistente e contenente testi anteriori al 1508, è
da Pedretti39 sono purtroppo due soli dei cinque volumi mano- dedicata al tema De ombra e lume, venendo riportato interamen-
scritti dell’elenco finale di Melzi andati perduti. Il «Libro A» fu te il «Libro W» della lista di Melzi, anch’esso tra quelli perduti.
sì ereditato dall’allievo, ma forse, come abbiamo visto, prestato a Leonardo indaga ora il fenomeno della luce e della funzione
Lomazzo; oppure esso non arrivò mai a Melzi nella versione fina- dell’ombra nella strutturazione dell’immagine, dovendosi intendere
le, essendo in corso di elaborazione da parte del maestro e, chissà, per lui la bellezza strettamente connessa agli effetti di chiaroscuro,
destinato a prendere una strada diversa da quella di Vaprio d’Adda. di rotondità e asperità dei corpi, dovuti proprio al ruolo della luce e
Sottolineiamo ancora qualche altro aspetto significativo del Codice ai caratteri delle superfici. Dunque il raggiungimento della bellezza,
che è il fine della pittura, si può conseguire solo conoscendo le leggi
che regolano il meccanismo della luce. La pittura è scienza, ossia
37
  C. Pedretti, Note sulla cronologia…cit., p. 30. conoscenza di tutte le cose reali, ma anche creazione, perché imita-
38
  Libro di pittura…cit., passim. Nel 1964 Pedretti concentrerà ancor più i propri
studi sulla ‘ricostruzione’ del Libro A, alla cui prima parte sulla pittura (ff. 1-65 del zione dello spirito divino, potendo così raggiungere anche il piano
1508-15) attinge, sia pure con lacune, il Codice Urbinate, mentre per la seconda (ff. irreale o illusorio45. Leonardo ha dunque cominciato ad ampliare le
66-96 del 1506-1509) si può fare quasi in tutto riferimento al Codice Leicester, dedi- proprie osservazioni su «ombre e lumi» in vista di un libro specifico.
cato all’idraulica; Pedretti desume dalla lunghezza dei righi che il Libro doveva avere
96 ff., perché era dello stesso formato dei mss. E, F e G. Cfr. C. Pedretti, Leonardo Nel precetto 438 leggiamo infatti:
da Vinci On Painting a lost Book (Libro A) reassembled from the Codex Vaticanus Urbinas
1270 and from the Codex Leicester/with a Cronology of Leonardo’s “Treatise on Painting”,
Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1964. Vari brani del Codice Luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto
Leicester recano infatti riferimenti ai ff. 57-95 del Libro A. La prima parte del Libro e quiete. Di queste dieci parti del ufficio dell’occhio la pittura ne ha
A era dunque dedicata alla pittura, la seconda all’idraulica; ma siccome Leonardo ini- sette, delle quali la prima è luce, tenebre, colore, figura, sito, remozione
ziava dalla fine, le note di idraulica sono le prime come datazione: il Codice Leice-
ster è in genere riferito agli anni 1506-1509, ma non sappiamo se la parte di idraulica e propinquità; io ne levo il corpo e ‘l moto e la quiete e restan cioè
ad esso corrispondente nel Libro A fosse precedente o successiva al 1506: Pedretti, luce e tenebre, che vuol dire ombra e lume, o vuoi dire chiaro e scuro;
con varie dimostrazioni, la data agli anni 1506-1507 e riesce a dimostrare che anche la
prima parte del Libro A dovette essere redatta nello stesso periodo. Proponendo una colore; il corpo non ci metto, perché la pittura è in sé cosa superficiale,
datazione delle varie parti del Libro A, Pedretti fa riferimento ad un lungo brano
contenuto in C.A. 277 v-a (c. 1510) che sarebbe stato l’introduzione al trattato su Om-
bre e lumi. Le parti del Libro A relative al moto umano e alla prospettiva non recupe- 40
  Cfr. Ph. Mc Mahon, Treatise on Painting (Codex Urbinas Latinus 1270) by Leonardo
rabili nel Codice Urbinate si possono invece individuare nella trascrizione contenu-
da Vinci, translated and annotated by A. Philip Mc Mahon with an introduction by Ludwig
ta nel Codice Huygens (c. 1581), relativo alle note più tarde di Leonardo. Dai fogli di
H. Heydenreich, II, Princeton, Princeton University Press, 1956, pp. XI sgg.
Windsor sappiamo inoltre che negli stessi anni egli era nuovamente attratto dall’a- 41
natomia e dal movimento umano, impegnandosi, come attestano i mss. E e G, negli   Assai eloquente lo schema dei manoscritti e apografi proposto da Heidenreich,
studi sull’idraulica, su ombre e lumi, sul colore e sul paesaggio. Se è vero che anche che sottolinea come Mc Mahon sia stato il primo a proporre una precisa concor-
nel ms. C (c. 1490) egli già parla di ombre e lumi, lo fa nel contesto di note generali danza dei precetti del Libro di Pittura con gli originali di Leonardo, evidenziando
sulla pittura e non di un libro specifico sull’argomento, che egli concepirà più tardi, quello che si è perso dei manoscritti, ma che è ritrovabile nel Codice Urbinate e
come farà con quello sulla prospettiva. Il Libro A conteneva anche diversi precetti sul nei suoi ‘derivati’.
42
colore, che Leonardo aveva sviluppato sempre più a partire dal 1505, introducendo   Tutti gli apografi successivi risulteranno parziali al confronto, contenendo dai
l’analisi cromatica mediante la camera oscura e anticipando le teorie impressioni- 365 ai 375 capitoli sui 1008 presenti nel testo pubblicato da Mc Mahon. Nessuno di
stiche sulla scissione nei colori primari; così pure si occupa della definizione delle essi contiene la prima parte, ossia il Paragone delle arti, la seconda è generalmente
origini del blu del cielo partendo dalla fisica di Aristotele e da quanto già intuito da accorciata di 50 capitoli in media, la terza di più di 70 e la quarta ne contiene al
Alberti, fonte che egli adopera sia nel periodo sforzesco sia in quello successivo.Vi massimo 7 su 15; la quinta, la sesta e la settima mancano del tutto e l’ottava contie-
erano infine note sull’atmosfera, sulle montagne e le valli, sulla vegetazione e sull’ac- ne solo uno o due capitoli. Il cosiddetto Cod. Barberini 4304, su cui più innanzi
qua, che egli redige intorno al 1510. Si veda ivi, p. 20, n. 32 per le fonti di Leonardo torneremo, è in effetti il più vicino al Codice Urbinate per struttura e contenuti.
43
sui colori, sulle lunule, sulla quantità continua, ecc. tratte da Aristotele, Bacone e altri.   C. Pedretti, Note sulla cronologia ...cit., p. 35.
44
39
  C. Pedretti, Leonardo da Vinci On Painting…cit., passim. Nel ricomporre il Li-   Pedretti nota, al passaggio dal periodo sforzesco ai primi anni del ‘500, un
bro B, Pedretti lo identifica con il ms. E di Francia, che però è privo di sedici fogli interesse di Leonardo per le membra che va dal fattore estetico e proporzionale a
per le manomissioni perpetrate a Parigi dallo scienziato Guglielmo Libri intorno quello meccanico e dinamico, specie con riferimento ai muscoli e alla loro rap-
al 1830: con riferimento ai contenuti del ms. E in materia di meccanica, sui quali presentazione in rapporto al movimento e all’atteggiamento fisico e mentale (o
Pedretti discorda da Marcolongo (R. Marcolongo, Memorie sulla geometria e la morale) del personaggio.
45
meccanica di Leonardo da Vinci, Napoli, S.I.E.M., 1937), si veda ivi, p. 15, nota 5.   A. Chastel, Leonardo da Vinci…cit., pp. 27 sgg.

Capitolo secondo
30
G. Manzi, Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, Roma 1817; frontespizio G. Manzi, Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, Roma 1817; tav.VI

e la superficie non ha corpo, com’è definito in geometria. A dir meglio spettivamente «degli alberi e delle verdure», «dei nuvoli» e «dell’o-
ciò che è visibile è connumerato nella scienza della pittura. Adunque rizzonte», riuscendo a individuare anche in questi casi le concor-
i dieci predicamenti dell’occhio detti di sopra ragionevolmente sono i danze con gli originali 47.
dieci libri in ch’io parto la mia pittura. Ma luce e tenebre sono un sol Intorno alla metà del ‘500 il programma editoriale di Melzi dovette
libro, che tratta di lume e ombra, e fassene un medesimo libro, perché vedersela con una spietata concorrenza se, come riferisce ancora
l’ombra è circondata ovvero in contatto del lume, e ‘l simile accade al Vasari, a quell’epoca il non identificato «pittore milanese» si recò
lume coll’ombra, e sempre ne’ confini si mista insieme lume ed ombra. a Roma per pubblicare un apografo vinciano, inducendo quindi il
«creato» di Leonardo ad affrettare il compimento del proprio lavo-
Lo stesso tema è svolto, ma ancora in modo asistematico, nel Co- ro48; o, ancora, se un altro codice fu redatto a Firenze sulla base del
dice Atlantico (fogli di poco anteriori al 1508) e nel ms. F, f. 77v,
in cui il maestro allude chiaramente ad un trattato: «Sole-Luna:
47
questa arà inanzi a sé il trattato de ombra e lume»46. Il ms. C di   Così Pedretti (ibidem): «Nella parte sesta dedicata agli alberi e verdure è ripor-
tata la materia dei mss. G ed E. La parte settima dedicata ai nuvoli contiene note
Parigi, del 1490-91 circa, benché registrato da Melzi come «Libro sull’atmosfera riconoscibili come posteriori al 1510 e così l’ultima parte, dedicata
de ombra e lume segnato G», non fu praticamente utilizzato nel all’orizzonte, è di un tempo molto avanzato. Non è improbabile che qualcuna di
Codice Urbinate, evidentemente perché i precetti in esso con- quelle note fosse stata scritta in Francia, negli ultimi anni di vita di Leonardo».
Seguono interessanti considerazioni sui formati dei diversi codici originali da cui
tenuti erano stati nel frattempo approfonditi da Leonardo, sia in è tratto il Codice Urbinate e sulla tecnica a matita o inchiostro, a seconda che si
ordine sparso nei mss. H, I, K di Parigi (di un periodo intermedio, trattasse di taccuini da viaggio o di libri da scrivania (di maggiore formato). Pedretti
nota inoltre alcuni errori di trascrizione da parte di Melzi (salto di righe). Infine
pure ripresi da Melzi), sia nel «Libro W», sebbene in modo non osserva: «Un’altra caratteristica delle scritture leonardesche tarde, riscontrabile in
ancora esaustivo. Molte sono le ulteriori allusioni di Leonardo ad particolare nel Codice Leicester ed anche nei taccuini del tipo dei mss. E, F e G, è la
un trattato in corso di preparazione su «ombra e lume» ritrovabili, colonna di scrittura a fianco del testo principale, con note e schizzi complementari»
(ivi, p. 26). Lo studioso conclude ribadendo la propria convinzione che il Codice,
ad esempio, in alcuni capitoli del Codice Urbinate anteriori al comprese le figure e le annotazioni successive, sia tutto opera di Melzi e che esso sia
1508. Vedremo come il primo sforzo per una più ampia collazione stato redatto non molto tempo dopo la morte di Leonardo (anni ’20-’30 ?), a giu-
dicare dalla carta e dall’inchiostro (ivi, p. 27). Seguono tentativi di cronologia delle
dei precetti su questo argomento sia da attribuirsi proprio all’opera varie parti del Codice, tra cui «Ombre e lumi» (cfr. le importanti considerazioni
promossa da Cassiano dal Pozzo. riportate ivi, pp. 61-79). Così pure per le sezioni intitolate Degli alberi e verdure (parte
sesta), Delli nuvoli (parte settima) e Dell’orizzonte (parte ottava). Pedretti propone in
Pedretti analizza infine le altre parti (sesta, settima e ottava) del conclusione (ivi, pp. 88-89) la tavola delle concordanze dell’intero codice con i mss.
testo, tutte riferibili a scritti vinciani del 1510-15, che trattano ri- originali. Insomma, proprio come auspicato dall’Heydenreich sin dal 1956, Pedretti
svolge finalmente, nel suo studio del 1996 sul Libro di Pittura, un lavoro esaustivo e
analogo a quello già eseguito sulla meccanica vinciana dall’Uccelli o in materia di
volo e aerodinamica da Giacomelli.
46 48
  C. Pedretti, Note sulla cronologia ...cit., p. 20.   Libro di Pittura…cit., pp. 95-96.

Dagli originali agli apografi


31
Libro di Pittura appena elaborato da Melzi ed ivi spedito per la stampa, to alle edizioni del Trattato pubblicate a Bologna dall’Istituto delle
poi non più eseguita49. In effetti, in quello stesso periodo (1560-1580) Scienze (1786), a Firenze dal Fontani (1792) e a Milano dall’Amoretti
cominciarono a circolare tra i pittori fiorentini numerose altre co- (1804)58. A sua volta il Govi59 nel 1872 sottolineerà il carattere inedito
pie apografe ‘abbreviate’ del Codice Urbinate – fino ad un numero dei precetti De ombra e lume apparsi (sia pure, come si è detto, ancora
di circa cinquanta esemplari, recanti evidentemente una trattazione in forma parziale) nell’edizione del 1817; a tali positivi giudizi si ag-
parziale di argomenti già presenti in forma limitata nell’apografo di giungeranno quelli dell’Uzielli e del Jordan60.
Melzi (valga ancora il caso del trattato De Ombra e Lume) – spesso as- Ma altri importantissimi ‘capitoli’ sugli stessi argomenti, sebbene
sociate ad altri scritti di Vignola,Vasari, Cellini o Zuccari, e concepi- studiati e trascritti dai codici originali già dalla metà del Seicento e
te ad uso di artisti di bottega o in vista di pubblicazioni destinate ad ancora oggetto di interesse sul volgere del XVIII secolo, restavano
eruditi e collezionisti50. Pevsner ha sottolineato il ruolo che, proprio inediti o addirittura sconosciuti.
attraverso la diffusione dei contenuti di questi apografi, la teoria ar-
tistica vinciana giocherà in ambito accademico fino al XIX secolo51.
Uno di questi apografi è il cosiddetto Codice ‘pinelliano’ dell’Am- § 2 L’opera di Cassiano dal Pozzo
brosiana (D 467) (dal nome di Gian Vincenzo Pinelli, dotto intel- per l’editio princeps del Trattato della Pittura e la scelta del
lettuale di origine genovese, su cui torneremo) che però, come le ‘meglio di Leonardo’ per il cardinale Barberini
versioni abbreviate che seguiranno, contiene solo 365 precetti e reca
il titolo: Discorso sopra il disegno di Leonardo da Vinci, parte seconda52. Giungiamo così alla pagina seicentesca della storia degli
Ciò dimostrerebbe come la prima parte dell’Urbinate, contenente il apografi vinciani, in cui affonda le radici la vicenda del nostro
«Paragone», fosse già stata oggetto di una trascrizione53. Codice. Ci riferiamo, in particolare, all’appassionante vicenda
L’uscita della prima edizione del Codice Urbinate nel 181754, inti- svoltasi dal 1637 al 1640 tra Milano e Roma, basata su un artico-
tolata da Manzi Trattato di Pittura per non distaccarsi dalle stampe lato programma scientifico-divulgativo che ebbe quale protago-
‘vulgate’ del testo abbreviato note a partire dal 1651 e corredata da nista, nella capitale pontificia, Cassiano dal Pozzo, potente mi-
un album di 22 grandi tavole di Giovan Francesco De Rossi, non nistro segretario del cardinale Francesco Barberini (1597-1679),
ebbe un successo immediato, non rapportandosi minimamente alle nipote di Urbano VIII: dal Pozzo, intellettuale esperto di pittu-
autorevoli e recenti ricerche di Giuseppe Bossi e Giovan Battista ra, mecenate e collezionista d’arte, fu tra i personaggi più illu-
Venturi; quest’ultimo, al contrario, in un’importante memoria in stri della grande stagione culturale e artistica del barocco romano
materia di ottica del 1818 farà diretto riferimento all’opera di Manzi. ed è noto per la sua imponente attività di raccolta e riproduzio-
Vecce55 osserva come il testo, pur contenendo parti sino ad allora ne di opere dell’antichità confluita nel famoso Museo Cartaceo.
inedite – il citato «Paragone», una sezione «de ombra e lume» e il Giunto dunque nella Biblioteca Ambrosiana il ricchissimo corpus di
«libro delle piante» –, in realtà si discosti in buona misura dall’ori- codici leonardeschi in parte donati dal cardinale Federico Borro-
ginale, sia nella lingua che nei grafici56, tanto da essere considerato meo nel 1609, in parte dal conte Galeazzo Arconati quasi trent’anni
all’inizio un apocrifo non leonardesco57. Eppure la fortuna critica dopo61, l’operazione coordinata da dal Pozzo consistette in effetti in
dell’opera di Manzi continuerà per tutto l’Ottocento: nella ristampa due attività parallele: da un lato la redazione, sulla base di apografi
delle Vite di Vasari curata da Gaetano Milanesi (Firenze, 1846-55) essa più antichi e attraverso riscontri sugli originali, di un testo in forma
verrà tenuta in gran conto e considerata meglio compiuta rispet- ‘abbreviata’ finalizzato alla pubblicazione del Trattato della Pittura,
dall’altro, su precisa richiesta del Barberini, la raccolta e selezione
antologica delle trascrizioni intraprese per volere dell’Arconati già
49
  Ivi, pp. 107-108. Cfr. pure K. Trauman Steinitz, op. cit., pp. 45 sgg., ove sono
prima della sua donazione, comprendenti il ‘meglio di Leonardo’
schedati e descritti tutti gli altri apografi ‘abbreviati’. presente a Milano, oltre alla compilazione del testo del trattato Del
50
  A. Sconza, La prima trasmissione manoscritta del Libro di Pittura, in «Raccolta Vin- moto e misura dell’acqua, per la prima volta collazionato dagli originali
ciana», XXXIII (2009), p. 311.
51
  N. Pevsner, De Léonard de Vinci à l’Accademia di San Luca. Le XVIe siècle, in Les
vinciani e trascritto in forma ufficiale.
Académies d’art, Parigi, G. Monfort, 1999, pp. 51-81. Con riferimento alla selezione degli scritti originali, avente come
52
  Biblioteca Ambrosiana, ms. D 467 inf. Cfr. A. Rivolta, Catalogo dei codici pinel- oggetto non solo i ‘precetti’ in materia di pittura, come nel Codi-
liani dell’Ambrosiana, Milano, Tip. Pontif. Arcivesc. S. Giuseppe, 1933. Sull’apografo
pinelliano e la sua provenienza, cfr. A. Sconza, op. cit., p. 327. ce Urbinate, ma questa volta anche quelli riguardanti molte altre
53
  Libro di Pittura…cit., p. 43. Un altro importante apografo, redatto intorno alla materie oggetto dei poliedrici interessi leonardeschi, si trattò di
fine del ‘500 sulla base dell’Urbinate, è il cosiddetto Codice Barberini 4304, oggi un vera e propria antologia finalizzata a un progetto editoriale:
presso la Biblioteca Vaticana, destinato a fungere da base, con il Pinelliano e altre
trascrizioni cinquecentesche già presenti in ambito romano, per la redazione del diffondere una selezione apografa di quei testi, trascritti dalla dif-
testo utilizzato per la prima pubblicazione del Trattato della Pittura nel 1651: cfr. K. ficile scrittura ‘mancina’ di Leonardo e corredati di immagini più
Trauman Steinitz, op. cit., pp. 46-49.
54
  G. Manzi, Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci, tratto da un codice della Biblioteca
Vaticana, Roma, Stamperia De Romanis, 1817.
58
55
  Libro di Pittura…cit., pp. 108-110.   Cfr. Libro di Pittura…cit., p. 61n.
59
56
  Tra le altre critiche, vi fu quella di avere stralciato i disegni dai testi, pubblican-   G. Govi, Leonardo letterato e scienziato, Milano, s.n., 1872, passim.
60
doli a parte e rimaneggiandoli in maniera significativa. Ma il de Rossi così si espri-   Cfr. G. Uzielli, op. cit., passim; M. Jordan, Das Malerbuch des Lionard da Vinci.
me circa il carattere delle illustrazioni di Leonardo da lui riprodotte: «Destinate da Untersuchung der Ausgaben und Handschriften, Leipzig, Seemann, 1873. Si veda pure il
Lionardo non ad altro fine, che a meglio spiegare i propri pensieri, per questo non coevo studio di L. Ferri, Leonardo da Vinci scienziato e filosofo, in «Nuova Antologia»,
si richiedevano che pochi segni espressivi, come sono appunto le figure in questio- XXII (1873).Verranno poi gli studi di Charles Ravaisson-Mollien sui manoscritti di
ne, che a me sembrano veramente analoghe alla sua maniera di scrivere» (ivi, p. 60). Francia (1881) e quello del Ludwig sul Codice Urbinate (1882), con le prime con-
Interessanti sono, al riguardo, le considerazioni di Pedretti (ivi, pp. 75-76) proprio cordanze tra essi, seguiti dai già citati saggi di Carusi e della Pierantoni.
riguardo ai disegni presenti nel Codice Urbinate e alle loro ‘affinità’ rispetto agli 61
  Circa la vicenda dei manoscritti vinciani e dei loro apografi, segnaliamo in
originali di Leonardo. particolare i capitoli introduttivi dello studio di Pedretti e Vecce del 1996 (Libro di
57
  Verga (E. Verga, Bibliografia vinciana, 1493-1930, Bologna, Zanichelli, 1931, p. 130) Pittura…cit.), con un ricco apparato di note e un’ampia bibliografia sull’argomento.
riferisce pure che in una recensione dell’opera di Manzi pubblicata nel 1818 in «Bi- Un’utile sintesi è inoltre in A. Marinoni, I manoscritti di Leonardo da Vinci e le loro
blioteca Italiana» (IX, 1818, pp. 37-43) Manzi venne criticato per non aver citato la edizioni, in Aa.Vv., Leonardo. Saggi e ricerche, a cura del Comitato Nazionale per
fonte delle «Memorie» del Mazenta, per non aver collocato le figure all’interno dei le onoranze a Leonardo da Vinci nel quinto centenario della nascita (1452-1952),
capitoli e per aver rudemente censurato i biografi suoi predecessori. Roma, Ist. Poligr. Stato, 1952, pp. 231-274.

Capitolo secondo
32
fedeli rispetto a quelle del Libro di Pittura e, in più di un caso, per-
sino meglio leggibili di quelle originali, rappresentò un’operazio-
ne culturale degna del Barberini e del suo ministro. Ma, mentre
la pubblicazione del Trattato della Pittura verrà eseguita a Parigi nel
1651 con le preziose illustrazioni di Nicolas Poussin62 e l’edizione
a stampa del trattato di idraulica vedrà la luce, sia pure con note-
vole ritardo, nel 1826, quella della selezione antologica non avrà
seguito per i motivi che diremo, restando inutilizzata presso la
biblioteca di dal Pozzo a Roma la versione completa e ‘in bella’ di
quel testo, anche se non definitiva, individuabile proprio nel Co-
dice napoletano. Il manoscritto, di cui, come vedremo, Corazza
entrerà in possesso a Roma nel 1766, recandolo con sé a Napoli
nel 1772, agli inizi dell’Ottocento si renderà disponibile per un
nuovo (ma anche questa volta sfortunato) tentativo editoriale: in-
fatti, depredati da Napoleone i codici originali dell’Ambrosiana
– custoditi dal 1796 presso l’Institut de France, tranne il Codice
Atlantico, l’unico restituito nel 1815 – l’apografo acquisterà pro-
prio per queste vicende, oltre che per le manomissioni perpetrate
sugli originali nel 1830, particolare importanza ai fini dello studio
dei testi oramai inaccessibili e, in seguito, di un parziale recupero
dei contenuti dei fogli perduti.
Cerchiamo allora, innanzitutto, di tracciare le linee dell’ampio
programma seicentesco, per poi passare a descrivere la struttura e i
contenuti del nostro apografo.
Abbiamo già in parte accennato alle vicissitudini, non certo fortu-
nate, che riguardarono i codici di Leonardo che Melzi portò con sé
dalla Francia63: se, fino al 1570, essi furono gelosamente custoditi dal
devoto «creato», dopo la sua morte la negligenza del figlio Orazio
fu causa della dispersione di buona parte di quei manoscritti: tra
alterne vicende, essi giungeranno sino a noi nella misura di circa un
quinto del totale. Tali eventi iniziarono già intorno al 1585: Pedretti
Codice Atlantico, frontespizio. Milano, Biblioteca Ambrosiana
è, anche in questo caso, autore della più dettagliata ricostruzione
dell’intricato percorso che i codici dovettero seguire sino alla metà
del Novecento64; ad essa dunque faremo riferimento, aggiungendovi
alcune osservazioni su quanto specificamente ci compete. co. Altri tredici codici pervennero nel 1588 all’architetto barnabita
Se nulla si può dire del destino dei codici di Leonardo ‘in giro’ per milanese Giovanni Ambrogio Mazenta (1565-1635)65, il quale nell’ul-
l’Italia (o addirittura all’estero) già da quando il maestro era ancora timo ventennio di attività operò a Napoli, progettando tra l’altro le
in vita, né di quelli che, alla morte di Melzi, presero il largo per chiese di Santa Caterina Spinacorona e di San Carlo alle Mortelle66.
mete imprecisate, meglio nota è la sorte toccata ai manoscritti che, Dei codici posseduti da Mazenta, dieci giunsero anch’essi al Leoni;
intorno al 1590, giunsero direttamente in possesso di Pompeo Leo- dei tre rimanenti, uno andò nel 1603 al cardinale Federico Borro-
ni, scultore al servizio del re di Spagna: di essi, oltre agli attuali due meo (ms. C di Parigi), uno al pittore Ambrogio Figino (perduto) e
codici della Biblioteca Nacional di Madrid (ritrovati solo nel 1966), uno al duca di Savoia (perduto67). Nel 1609, all’atto della fondazione
al Codice Arundel, ai fogli di Windsor e al ms. D di Parigi, facevano dell’Ambrosiana, il cardinale Borromeo donò alla nuova istituzione
parte anche quelli con cui Leoni formò il famoso Codice Atlanti- il proprio manoscritto, mentre i codici del Leoni, ossia il Codice At-
lantico e gli undici ‘taccuini’ di piccole dimensioni – tra cui il Libro
62
B della lista di Melzi (attuale ms. E di Francia) – furono acquistati
  Traité de la Peinture de Leonard de Vinci donné au Public et traduit d’Italien en François
par R. Du Fresne, Paris, J. Langlois, 1651. Cfr. in proposito i recenti studi: D.L. Sparti,
dal conte Galeazzo Arconati e infine donati, come si è detto, alla
Cassiano dal Pozzo, Poussin, and the making and publication of Leonardo’s Trattato, in biblioteca milanese68. Sono dunque questi (Atlantico e mss. A-M,
«Journal of the Courtauld and Warburg Institutes», LXVI, 2003; M. Pavesi, Cassiano
dal Pozzo, Nicolas Poussin e la prima edizione a stampa del ‘Trattato della pittura’ di Leo-
nardo tra Roma, Milano e Parigi, in A. Rovetta, Tracce di letteratura artistica in Lombar-
65
dia, Bari, Ediz. di Pagina, 2004; C. J. Farago, Leonardo da Vinci’s ‘Treatise on Painting’   Partendo dalle memorie di Mazenta, si ha notizia che un istitutore in servizio
in its cultural context, Londra, Courtauld Institute, Leonardo da Vinci Society Annual presso i Melzi, Lelio Gavardi d’Asola, prelevò tredici manoscritti di Leonardo da
Lecture, 20 maggio 2005; C.Vecce, L’eredità vinciana nel Cinquecento, Lumière et vision Villa Melzi e li portò a Firenze per venderli al Granduca di Toscana; ma, morto
dans les science set dans les arts, de l’antiquité au XVIIe siècle, atti del convegno a cura di quest’ultimo nel 1587, Gavardi andò a Pisa e incontrò Mazenta, che lo convinse a ri-
M. Hochman, Parigi, Ecole pratique des Hautes Etudes, Institut National d’histoire portare i mss. al loro proprietario, offrendosi anzi di farlo lui stesso. Così l’architetto
de l’art, 2005; A. Sconza, La réception du ‘Libro di pittura’ de Léonard de Vinci : de la barnabita divenne proprietario dei codici, poiché Orazio Melzi, erede di Francesco,
mort de l’auteur jusqu’à la premier publication du ‘Trattato della pittura’ (Paris, 1651), tesi non si curò di richiederli, ignaro del loro valore. C. Pedretti, Leonardo da Vinci On
di dottorato, Université de la Sorbonne, Paris III, 2007. Painting...cit., pp. 252 sgg.; Libro di Pittura…cit., pp. 109 sgg.
66
63
  Libro di Pittura…cit., pp. 109 sgg.   L. Manzini, Giovanni Ambrogio Mazenta barnabita architetto, in «Bollettino di S.
64
  Si veda, in particolare, lo schema contenuto in C. P edretti, Leonardo da Zaccaria», 1929.
67
Vinci On Painting...cit. Manca nel quadro sinottico, naturalmente, la notizia del   Potrebbe trattarsi, come per il precedente, del perduto Libro A della lista di
rinvenimento dei due codici della Biblioteca Nacional di Madrid (1966). La Melzi; non sappiamo però se quest’ultimo fosse stato dato al Leoni direttamente dai
ricostruzione della vicenda dei mss. vinciani da parte dell’autore fa seguito e Melzi. Cfr. C. Pedretti, Leonardo da Vinci On Painting…cit., pp. 22 sgg.
68
chiarisce quelle proposte a partire dalla fine del Settecento da Comolli, Uzielli,   Si sa che il Libro A non era in possesso di Arconati, sebbene non sia certo che
Dozio e Carusi. egli abbia dato all’Ambrosiana tutto quello che aveva. Ad esempio, è possibile che

Dagli originali agli apografi


33
mano, pur rivestendo il cardinale il ruolo di Protettore dell’Accade-
mia di San Luca dal 1626 e Cassiano dal Pozzo quello di membro
onorario sin dalla fondazione.
Ma vicende di vario genere impediranno il concretizzarsi di queste
importanti iniziative. Innanzitutto, l’irrigidirsi del dogma cattolico
negli anni ’30, dopo la condanna di Galilei72, minerà alla base un
progetto editoriale di marca così palesemente laica e persino ‘ereti-
ca’; inoltre, a seguito della morte di Urbano VIII (1644), comince-
ranno ad opera del successore Innocenzo X Pamphilj una serie di
inchieste volte a discreditare i Barberini con indagini sul sospetto
ingrandimento delle fortune della famiglia durante il pontificato
del suo membro. Sicché nel ’46 Francesco Barberini sarà costretto
a fuggire nottetempo a Parigi per mettersi sotto la protezione del
cardinale Mazzarino, potendo fare ritorno a Roma solo nel 1648: il
programma di Cassiano dal Pozzo risulterà in buona parte vanifica-
to e la stampa del solo Trattato della Pittura potrà essere realizzata,
come si è detto, nel 1651 a Parigi.

Cassiano dal Pozzo (1588-1657)73, nato a Torino ma educato a Pisa


presso lo zio arcivescovo e ministro del granduca Ferdinando I,
laureatosi in giurisprudenza e divenuto nel 1608, a vent’anni, per
volere del granduca, giudice della ruota a Siena, nel 1612 giunse a
Roma, abbandonando definitivamente la carica senese e iniziando
una nuova carriera alla corte del cardinale Francesco Del Monte.
Qui entrò in contatto con un mondo di eruditi, iniziando a rac-
cogliere nel Museo Cartaceo riproduzioni grafiche di opere antiche
e di argomenti naturalistici e scientifici; in ciò si avvalse di copisti,
disegnatori e artisti in cerca di fortuna, allontanandosi dalla ‘manie-
ra’ cinquecentesca per uno stile classicista ispirato specialmente a
Giovanni Ambrogio Mazenta, Alcune Memorie di fatti da Leonardo Vinci a Mi- soggetti antiquari, ma anche collezionando disegni e studi originali
lano, c. 1635, c. 4 (da Le memorie su Leonardo da Vinci di Don Ambrogio Mazenta, di rinomati pittori, scultori e architetti del Rinascimento. Durante
a cura di Luigi Gramatica, Milano 1919)
il periodo più intenso dell’Inquisizione, con il processo a Galilei e
la chiusura dell’Accademia dei Lincei, dal Pozzo fu depositario dei
più il ms. K, donato dal conte Orazio Archinti nel 1674) i codici ricchissimi materiali in essa conservati, trasformandola in un im-
destinati ad essere oggetto della depredazione napoleonica del 1796. portante centro di studi scientifici; egli divenne anche il principale
Nel 1633, in vista della donazione, il conte Arconati avviò una con- referente pontificio della «Repubblica delle Lettere», istituzione cul-
sistente attività di trascrizione dei manoscritti presenti nella sua villa turale ai limiti dell’eterodossia.
di Castellazzo di Bollate presso Milano; operazione questa che, stanti Negli anni ’20-’30 il Museo Cartaceo si arricchì a dismisura grazie alle
i rapporti e, soprattutto, i favori che il conte intendeva chiedere al attività specialistiche promosse al suo interno, come la redazione di
cardinale Barberini, fu colta sin da principio da Cassiano dal Poz- grafici di base per la comparazione e classificazione delle specie ani-
zo quale occasione per l’esecuzione di un più ampio e articolato mali e vegetali, oltre a precisi rilievi archeologici. Sebbene dal Pozzo,
programma in favore dello stesso cardinale, con la finalità di un’edi- che fu anche membro dell’Accademia della Crusca dal 1626, redi-
zione a stampa del Trattato della Pittura69 e della compilazione, auspi- gesse di proprio pugno testi scientifici per numerose pubblicazioni,
cata dallo stesso Barberini e anch’essa destinata alla pubblicazione, non volle mai firmarli, mantenendo il più discreto anonimato. Sin
dell’antologia vinciana e del trattato di idraulica. Sarebbe stato così dal 1623 fu nominato da Urbano VIII tra i primi gentiluomini della
soddisfatto il fervido interesse del cardinale, come del resto quello di segreteria del «cardinale nipote» Francesco Barberini, futuro segre-
Cassiano, per la collazione scientifica e la conseguente divulgazio- tario di Stato: egli lavorerà quindi per il cardinale (ma non sempre in
ne del pensiero di Leonardo nei molteplici campi dell’arte e delle accordo) in qualità di ministro delle arti e della cultura, promuoven-
scienze dell’ingegneria. Ma, come recenti studi70 hanno evidenziato, do con il pontefice la creazione di quello ‘stile barberiniano’ desti-
prima che, nel 1634, il conte Arconati inviasse al Barberini l’apografo nato a divenire un carattere distintivo di quel papato presso le corti
che la Sparti individua nel Codice Barberini 4304 (copia milanese europee. Grazie anche all’editoria in vorticoso sviluppo, eventi di
del Codice Pinelliano redatta agli inizi del Seicento71), l’opera di ogni genere – archeologico, teatrale, musicale – venivano promossi
Leonardo era praticamente sconosciuta nell’ambiente artistico ro- per affermare la centralità della cultura romana, divenendo quindi
dal Pozzo uno dei massimi protagonisti del dibattito scientifico e

egli abbia trattenuto il ms. D, per poi scambiarlo con l’attuale Codice Trivulziano,
inizialmente parte della donazione. Libro di Pittura…cit., pp. 109 sgg. 72
  Cfr. M. Pavesi, op. cit., p. 89.
69
  Ciò era da eseguirsi attraverso attenti riscontri, sugli originali, dei precetti già 73
  Si veda su Cassiano dal Pozzo: G. Lumbroso, Notizie sulla vita di Cassiano dal
disponibili attraverso le numerose trascrizioni ‘abbreviate’ che all’epoca circolavano, Pozzo, in «Miscellanea di storia italiana», XV, 1876, pp. 131 sgg.; D.L. Sparti, Le
non essendo ancora noto il testo integrale dell’opera di Melzi. collezioni dal Pozzo: storia di una famiglia e del suo museo nella Roma seicentesca, Mo-
70
  D.L. Sparti, op. cit., pp. 145-146. dena, Panini, 1992; I segreti di un Collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano
71
  Lo evidenzia A. Sconza, La prima trasmissione…cit., p. 353, sottolineando quindi dal Pozzo 1588-1657, a cura di F. Solinas, Ediz. De Luca, Roma 2000, pp. 1-11,
come l’apografo non sia cinquecentesco come inizialmente si pensava. 17-20, 77-81, 122-123.

Capitolo secondo
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artistico dell’età barocca. Così, in collaborazione con Bernini, Pietro Alla figura di dal Pozzo è dunque interamente legata sia l’edizione
da Cortona e Nicolas Poussin, egli fu sostenitore di quella sintesi francese del Trattato della Pittura, che vedrà la luce a Parigi nel 1651, a
delle arti che distinse il Barocco: quantunque lo stesso Urbano VIII cura di Roland Fréart de Chambray e Raphaël Trichet Du Fresne78, sia
non gliene abbia mai reso effettivo merito, a lui si devono le massicce quella in lingua italiana, uscita nella capitale francese nello stesso anno79.
campagne di acquisti per la quadreria barberiniana e la scelta dei gio- Per la redazione dei testi utili alla stampa del Trattato Cassiano avviò
vani artisti da incoraggiare nell’ambito dell’Accademia di San Luca. nuove trascrizioni80 dagli originali presenti a Milano, condotte anche
Tra questi era Poussin, che Cassiano, suo grande amico, fece lavo- sulla base di apografi già disponibili in ambito romano81 e milanese82.
rare in ogni modo, inserendolo anche nel fervido mercato artistico Tra i testi redatti ai fini della pubblicazione, l’H 228 inf. dell’Ambro-
romano; con lui collaborò alla stesura di testi in materia di pittura siana, proveniente, come gli altri apografi ambrosiani, dalla Biblio-
antica, considerandolo anche l’unico, per il carattere del suo tratto e teca Albani e restituito da Parigi nel 1815 in ‘sostituzione’ degli ori-
dei suoi colori, a rispondere alla fisionomia di artista contempora- ginali83, rappresenta la base principale del Trattato, redatta di proprio
neo degno di illustrare Leonardo74: è noto come il Bellori, suo bio- pugno da Cassiano. Va detto che, avendo questi fatto redigere più
grafo, lo definisse decisamente un pittore «à la manière de Léonard copie del primo testo di riferimento, poi ricopiato ‘in bella’ e invia-
de Vinci». to a Parigi, si era persa la memoria di quale fosse il vero apografo
Attivo stabilmente a Roma dal 1624, l’artista francese divenne sim- contenente le illustrazioni originali di Poussin: si deve alla Steinitz84
bolo di una pittura didattica, erudita, «filosofica», come la definì l’individuazione di esso proprio in questo codice, sebbene, come ha
sin dal 1611 Federico Cesi (ispiratore di Cassiano e fondatore dei dimostrato recentemente la Fiorani, molti grafici siano pure attribu-
Lincei), adatta all’illustrazione di storie e miti dell’antichità, che si ibili al disegnatore di Cassiano, Pierfrancesco degli Alberti85. Innanzi
prestava ai programmi della Riforma cattolica: è ben nota la querelle al codice dal Pozzo aveva collocato la «Vita di Lionardo da Vinci
che in breve sarebbe sorta in seno all’Accademia parigina di pittura scritta da Giorgio Vasari Aretino» tratta dall’edizione del 1568 (la co-
e scultura tra Poussinistes e Rubénistes, ossia tra i sostenitori dello spi- siddetta «Giuntina»), mentre nella pubblicazione parigina essa verrà
rito di autorità e del razionalismo dogmatico e quelli dello spirito sostituita con la rielaborazione curata dal Du Fresne86.
di libero esame e del sensismo empirico; disputa che annuncerà la
rivoluzione artistica settecentesca.
Per il giovane cardinale Barberini, esigente bibliofilo, esperto di sto- ritrovar di Leonardo». (cit. in V. Lumbroso, op. cit., p. 132).
78
  Traité de la Peinture de Leonard de Vinci ...cit. L’opera contiene la prima biografia
ria cristiana e di teologia, Poussin realizzò numerose opere. Solinas di Leonardo e quella che è considerata la prima bibliografia in materia artistica,
sottolinea come, nella biografia scritta alcuni anni dopo la morte posta in calce al testo, entrambe redatte dal Du Fresne.
79
di Cassiano, il Dati ricordi e biasimi la gelosia del Barberini nei   Trattato della pittura di Lionardo da Vinci novamente dato in luce con la vita dell’istesso
autore scritta da Raffaele Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della pittura et il trattato della
confronti della fama acquisita dal suo ‘coppiere’. Fino alla morte, dal statua di Leon Battista Alberti con la vita del medesimo, Parigi, G. Langlois, 1651. Cfr. E.
Pozzo non smise mai di occuparsi di Leonardo, dei cui manoscritti Carusi, Sulla redazione abbreviata del Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci (a propo-
sito di un nuovo manoscritto), in «Accademie e Biblioteche d’Italia», I, n. 4 (gen.-feb.
promosse con ogni mezzo lo studio e la diffusione75. A differenza 1928), passim; M. Pavesi, op. cit., passim.
di Mazenta, che nelle sue memorie scritte intorno al 1635 offre un 80
  Nella prefazione a Mc Mahon (op. cit.), Heidenreich osserva che Cassiano e
riscontro piuttosto freddo dei manoscritti che dovettero appartene- Poussin si basarono sui disegni del Codice Barberini 4304 e, forse, del Codice
Corsiniano, anch’esso a Roma, comparandoli con gli originali di Leonardo della
re alla propria famiglia, prima che i suoi fratelli li disperdessero, dal collezione Arconati.
Pozzo era animato da un forte entusiasmo, facendo immediatamen- 81
  Si tratta del citato Codice Barberini 4304.
82
te rientrare le trascrizioni vinciane nelle attività finalizzate all’allesti- 83
  Si tratta del citato Codice Pinelliano.
  Nel 1815 gli apografi H 227, 228, 229 inf. furono spediti a Milano in luogo degli
mento del Museo Cartaceo76. Avendo conosciuto l’architetto barnabi- originali ivi trattenuti, sostenendosi che gli originali non si trovavano nella Biblio-
ta a Roma nel 1620 attraverso il cardinale Barberini, potrebbe averlo teca Nazionale, mentre erano in quella dell’Institut. Cfr. E. Carusi, Per il «Trattato
spronato egli stesso a scrivere la Memoria su quei manoscritti, prima della pittura»…cit., p. 427. Ciò è attestato da una nota della metà dell’Ottocento
leggibile a margine dell’H 228 inf: «N.B. Questa è la copia mandata da Parigi in
di occuparsene in prima persona proprio grazie all’intercessione di luogo dell’Originale Ambrosiano che quei Bibliotecari attestarono non trovarsi
Mazenta presso i responsabili dell’Ambrosiana77. nella Biblioteca Reale».
84
  K.Trauman Steinitz, Trattato studies. II. Second Supplement to «Leonardo da Vinci’s
Trattato della Pittura. Treatise on Painting, A Bibliography». Copenhagen, Munksgaard,
1958, in «Raccolta Vinciana», XIX, 1962, pp. 223-253. Riguardo poi al ms. n. 11706
74
  Nel 1655, con l’elezione di Fabio Chigi a papa col nome di Alessandro VII, dopo dell’Hermitage, la Steinitz espone i dubbi che ancora rimangono circa quali siano i
Innocenzo X Pamphilj, Cassiano aspirerà, senza però riuscirvi prima della morte disegni originali di Poussin (e non dei suoi collaboratori di studio), se quelli allegati
(1655), a ricevere dall’amico ora papa l’elevazione alla porpora che il cardinale Bar- a questo ms. o all’H 228 inf.: tra questi ultimi ci sono comunque degli originali di
berini gli aveva rifiutato durante vent’anni di devoto servizio. Egli era all’epoca mano del pittore (specie quelli di ossa o profili di teste), come attestano gli studi di
uno degli uomini più famosi d’Europa, ricco, onorato, residente in un’elegante A. Blunt sui disegni di Poussin. Comunque l’autrice, d’accordo con la Kamenskaja,
dimora di via dei Chiavari attribuita a Peruzzi, collezionista di opere del Domeni- ritiene che il ms. dell’Hermitage sia quello effettivamente adoperato per la stampa
chino, di Bernini e dello stesso Poussin, ma anche di scritti e disegni in cui erano nel 1651, come del resto lascia intendere anche Du Fresne nella premessa alla sua
raccolte le istanze più avanzate della ricerca scientifica in campo europeo: il Museo edizione, ove tra i manoscritti risultati più utili per l’opera cita quello redatto da
Cartaceo contava migliaia di incisioni sul tema dell’antico e su quello naturalistico, Cassiano dal Pozzo, corredato dalle immagini di Poussin e donato dallo stesso Cas-
oltre a rarissimi volumi. Insomma, sebbene solo recentemente rivalutato, Cassiano siano al signor di Chantelou. Cfr. E. Carusi, Per il «Trattato della pittura»…cit., p. 426.
fu certamente «regista dell’erudizione romana, della pittura e dell’antiquaria della 85
  La Fiorani (cfr. F. Fiorani, Abraham Bosse e le prime critiche al Trattato della Pittura
prima metà del XVII secolo» (I segreti di un Collezionista…cit., p. 11) e maestro di di Leonardo, in «Achademia Leonardi Vinci», V, 1992, pp. 78-95) ricostruisce bene il
generazioni di artisti e studiosi. problema delle manipolazioni dei disegni originali – finalizzate alle edizioni parigi-
75
  Cfr. L. Gramatica, Le memorie su Leonardo da Vinci di Don Ambrogio Mazenta ri- ne (in francese e in italiano) – da parte di Poussin (solo per i movimenti delle figure
pubblicate ed illustrate da D. Luigi Gramatica prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Milano, umane), di Pierfrancesco degli Alberti e di Charles Errard (che realizza a Parigi le
Alfieri e Lacroix, 1919, p. 17 sgg.; E. Carusi, Lettere di Galeazzo Arconato e Cassiano incisioni per la stampa nonché la correzione di alcuni disegni di degli Alberti); ella
dal Pozzo per lavori sui manoscritti di Leonardo da Vinci, in «Accademie e Biblioteche nota inoltre l’incongruenza di alcune di queste figure con i testi di alcuni capitoli.
d’Italia», I, n. 6 (1929-30). In effetti, a differenza dei disegni presenti nel Codice Urbinate, direttamente tratti
76
  E. Carusi, Lettere di Galeazzo Arconato…cit., p. 505: «Il ricchissimo Museo dei dagli originali, quelli del 1651 sono interpretazioni fin troppo libere degli autori,
Dal Pozzo con una libreria di stampati e manoscritti preziosi fu venduta nel 1703 che spesso dànno agli scarni e astratti schizzi geometrici di Leonardo un tono
all’abbate Zaccagna per la Vaticana, ma presto, nel 1714, passò in proprietà di Ales- «pittorico», realistico, finalizzato alla stampa per gli artisti. Vi sono infine figure
sandro Albani, e dopo varie vicende la biblioteca Albani, come si sa, andò distrutta introdotte ex novo dagli autori dell’edizione del 1651, che non si trovano né nel
quasi interamente». Codice Urbinate, né nelle altre versioni abbreviate note, come è il caso delle figure
77
  Infatti in una lettera di Mazenta a Cassiano si legge: «Scrissi da Roma al Can. a corredo dei capitoli sui riflessi: di esse la Fiorani conduce un approfondito studio.
86
Alfieri che in assenza mia a V.S. mandasse immediatamente quel tanto che poteva   In calce al documento troviamo copia della citata memoria in cui Mazenta

Dagli originali agli apografi


35
Gli altri apografi utilizzati per la stampa sono quello già di pro- Nel suo imponente studio pubblicato nel 1871 sulle origini e sulle
prietà della contessa de Béhague di Parigi (poi ereditato dal nipote vicende dei manoscritti vinciani presenti a Milano, il Dozio92 nota
marchese de Ganay, da cui prese il nome) e il manoscritto conser- come i testi apografi inviati a dal Pozzo per l’elaborazione fina-
vato oggi presso il Museo Hermitage (n. 11706) di San Pietroburgo. le siano stati redatti, sotto il controllo di Galeazzo Arconati, tra il
Quest’ultimo, copia finale dell’H 228 inf., nel 1640 verrà dato da 1633 e il 164493 da un gruppo di religiosi, formato dal figlio naturale
Cassiano a Paul Fréart, signore de Chantelou e fratello del più noto del conte, il frate domenicano Luigi Maria (al secolo Francesco), da
teorico dell’architettura Roland Fréart de Chambray87, che lo por- padre Antonio Gallo94 – corrispondente di dal Pozzo a Milano e
terà a Parigi per la stampa88; ma le illustrazioni di Poussin verran- latore dell’intera documentazione – e dal canonico Girolamo Alfieri
no alquanto alterate dall’incisore Charles Errard, facendo infuriare (confidente del cardinale Borromeo coinvolto dall’Arconati a partire
il pittore89. Con riferimento al testo pubblicato, Vecce90 nota come dal 163595) con un lavoro sistematico di spoglio e confronto dei pre-
esso risulti profondamente alterato rispetto ai precetti originali le- cetti leonardeschi; attività seguita con cura da Cassiano, anche per gli
onardeschi: «capitoli tagliati o accorpati, interpolazioni e omissioni, interessi personali legati alla figura di Leonardo artista e scienziato.
massiccia omogeneizzazione della varietà linguistica»91. Particolarmente interessante è, al riguardo, la fitta corrispondenza
epistolare, attentamente studiata dal Carusi96, tra dal Pozzo e il conte
Arconati, avente il duplice scopo di una verifica della correttezza dei
descrive i manoscritti di Leonardo un tempo in suo possesso. Al codice, come nota testi e dell’acquisizione di ulteriori ‘capitoli’ da trarsi dagli originali
per primo Carusi, apparteneva pure il foglio (poi allegato erroneamente in calce presenti a Milano. Da tale espistolario, conservato in parte presso la
all’H 227 inf.) recante la lista dei capitoli poco chiari che Cassiano chiede a padre
Gallo di confrontare con gli originali. Biblioteca Apostolica Vaticana, in parte presso l’archivio della fami-
87
  Roland Fréart de Chambray (1606-1676) fu autore, tra l’altro, del famoso saggio glia milanese Sola Cabiati, si evince che sin dal 1634 frate Arconati
del 1650 dal titolo Parallèle de l’Architecture Antique et de la Moderne (Paris, de l’im-
primerie d’Edme Martin).
88
  Riguardo all’edizione del Trattato del 1651 Pedretti (Libro di Pittura…cit., p.
44) cita la Steinitz (Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit.) aggiornandone la
bibliografia e rimandando pure per la vicenda delle ‘filiazioni’ degli apografi del- abbreviata pubblicata nel 1651, proprio come quelli che abbiamo ricordato in pre-
la redazione abbreviata prima della stampa al proprio Commentary allo studio del cedenza, e che risulterebbero nel loro testo più fedeli agli originali di Leonardo e
Richter. Cfr. pure sull’argomento: F. Fiorani, op. cit., pp. 78-95; H.H. Brummer, The più vicini al Codice Urbinate che all’opera stampata. Pedretti azzarda che il codice
editio princeps of Leonardo da Vinci’s Treatise on Painting Dedicated to Queen Christina, in bolognese potrebbe ricollegarsi alla presenza in Bologna del Mazenta, o derivare
«ALV Journal,VI (1993), pp. 117-125; C. Pedretti, The Book of Painting: a bibliography, dal «mirabile discorso» di Leonardo prestato a Serlio da Benvenuto Cellini. La Stei-
in Achademia Leonardi Vinci. Journal of Leonardo Studies & Bibliography of Vinciana, IX nitz, nel citato contributo (Trattato studies. II. Second Supplement…cit.) edito a valle
(1996), pp. 165-191; C. J. Farago, How Leonardo da Vinci’s editors organized his Treatise del primo studio del 1958, dà ulteriori ragguagli su tutti gli apografi noti del Tratta-
on Painting and how Leonardo would have done it differently, in The Treatise on Perspective: to, proponendone una nuova classificazione sulla base dell’attento confronto con il
published and unpublished, Washington, Lyle Massey, 2003, pp. 20-52. Codice Barberini 4304, con il Codice Pinelliano e con la prima edizione del Trat-
89
  E. Carusi, Sulla redazione abbreviata…cit., p. 14. Nella prefazione l’editore, tato: già Heidenreich, nella citata prefazione all’edizione del Libro di Pittura di Mc
indicando le fonti dell’opera, fa diretto riferimento a questo manoscritto, che il Mahon, aveva proposto raggruppamenti in base ai titoli e al numero dei paragrafi, o
signor di Chantelou aveva avuto «dal virtuosissimo cavalier dal Pozzo, nel tem- all’intestazione comune di Opinione di Leonardo da Vinci, o altro ancora. La Steinitz
po ch’egli in Italia alla conquista delle belle cose, se per la gloria del regno non pone allora nel gruppo A il solo Codice Urbinate, ‘padre’ di tutti gli altri apografi;
moriva il nostro gran Cardinale, haverebbe portato Roma a Parigi». La Steinitz nel gruppo B-C sono le versioni abbreviate del Trattato, tutte simili nel testo ma
(Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit., p. 27) basandosi sulle parole di Du le B con illustrazioni tratte dal Cod. Urbinate, le C con illustrazioni di Poussin; nel
Fresne nell’introduzione alla pubblicazione, avanza l’ipotesi che egli si fosse gruppo D sono apografi tutti precedenti alla pubblicazione del 1651, con frammenti
basato anche sul cosiddetto ms. Thevenot (probabilmente quello esistente nella del Trattato più capitoli di meccanica, idraulica, ottica e altri argomenti scientifici;
Biblioteca Nazionale di Parigi, Codex 967), da ritenersi, secondo lo stesso Du nel gruppo E sono manoscritti tratti dall’edizione del 1651, utili per nuove edizioni;
Fresne, «molto più corretto» di quello di Chantelou. Crf. pure D. del Pesco, nel gruppo F è il solo Codice Huygens, copia manoscritta del 1580 circa, redatta
Paul de Chantelou, Roland Fréart e Charles Errard: successi e insuccessi dall’Italia, in a Milano da originali scomparsi di Leonardo (non dell’Ambrosiana). La studiosa
Rome-Paris 1640, sous la direction de Marc Bayard, actes de Colloque (Rome, sottolinea come già nel 1919 Carusi avesse proposto un saggio di concordanza
Académie de France, 17-19 avril 2008), Rome-Paris 2010, pp. 103-136. tra il Trattato edito nel 1651, il Codice Urbinate, il Ludwig e altri apografi, con
90 riferimento ad alcuni brani; concordanza utile alla classificazione dei manoscritti
  Libro di Pittura…cit., p. 108.
91 contenenti la redazione abbreviata. Poi nel 1956 fu la volta di Mc Mahon (che però
  Prima ancora della stampa dell’editio princeps, dal Pozzo aveva messo a disposizio- si riferisce all’intero Codice Urbinate, non al Trattato). La Steinitz sottolinea come
ne di quanti volessero consultarlo l’apografo Chantelou, da cui deriveranno tutte le Carusi suggerisse un’analisi delle varianti presenti nei testi delle trascrizioni, atte a
edizioni del Trattato successive a quella parigina fino alla pubblicazione del Codice determinare quali siano state le prime versioni e quali le successive: mentre Carusi
Urbinate nel 1817; unica eccezione, l’opera curata dal Fontani nel 1792, basata sul si riferiva, per prova, a tre passi all’interno di uno stesso capitolo, confrontandone
Codice Riccardiano di Firenze, con le splendide illustrazioni di Stefano della Bella. le trascrizioni nei vari manoscritti, la Steinitz si propone di farlo per tutti i ma-
Il Codice Chantelou resterà nella biblioteca di dal Pozzo fino al 1714, allorché pas- noscritti da A a C con riferimento al capitolo sul movimento della figura umana;
serà nella biblioteca Albani; a seguito, poi, della dismissione di quest’ultima sotto il ella riporta poi, sulla scorta di Pedretti, la ‘prova dell’uovo’ per individuare se un
Direttorio nel 1798, esso finirà a Parigi e poi a Bruxelles, ove verrà acquistato nel apografo è precedente o successivo alla editio princeps. Ancora con riferimento alla
1856 dall’antiquario Heussner per il Museo Hermitage di San Pietroburgo. Dozio pubblicazione del 1651, cfr. F. Fiorani, op. cit., pp. 78-95, in cui si sottolinea come
(G.M. Dozio, Degli scritti e disegni di Leonardo da Vinci e specialmente dei posseduti nel 1653, a seguito dell’edizione del Trattato, in seno all’Academie Royale di Parigi
un tempo e dei posseduti adesso dalla Biblioteca Ambrosiana, memoria postuma di G.D., fosse sorta un’aspra polemica tra il pittore Charles Le Brun, sostenitore del me-
pubblicata per cura di G. Prestinomi, Milano, Agnelli, 1871, p. 18) riferisce delle varie todo prospettico leonardesco, disponibile all’introduzione di aggiustamenti ottici,
edizioni del Trattato della Pittura successive a quella del 1651, pubblicate a Parigi e il «prospettico» dogmatico Abraham Bosse, il quale avanzava dubbi sulla cor-
(1716, 1796), a Napoli (1733), a Bologna (1786), a Firenze (1792) e a Milano (1804). rettezza dei testi adottati dell’edizione del 1651 rispetto agli originali: la polemica
Un altro utile contributo ai fini di una maggiore chiarezza riguardo alla vicenda è da ricondursi ancora una volta alla nota disputa tra Poussinistes e Rubenistes.
degli apografi del Trattato della Pittura ci viene dal Carusi (E. Carusi, Per il «Trattato 92
  Nel 1871 Giuseppe Prestinomi curò la pubblicazione postuma di un’importante
della pittura»…cit., pp. 430 sgg.) che, riassumendo quanto affermato dal Dozio e,
memoria di Giovanni Dozio (1798-1863) da cui si può trarre un quadro esaustivo
prima di lui, dal Jordan, dal Ludwig e dall’Uzielli (cfr. M. Jordan, op. cit., passim;
con riferimento all’intero corpus documentario giunto in possesso della Bibliote-
H. Ludwig, Lionardo da Vinci das Buch von der Malerei nach dem Codex Vaticanus [Ur-
ca in seguito alla donazione fattane nel 1637 dal conte Galeazzo Arconati. Cfr. G.
binas] 1270, Wien 1882, in «Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik
Dozio, Degli scritti e disegni di Leonardo da Vinci e specialmente dei posseduti un tempo
des Mittellalters und der Renaissance», voll. II-III; G. Uzielli, op. cit.), distingue i
e dei posseduti adesso dalla Biblioteca Ambrosiana, Milano, Tip. Giacomo Agnelli, 1871.
codici redatti per la pubblicazione di Du Fresne dagli apografi H 227 inf. e H 229
La donazione fu rogata con atto del 21 gennaio 1637 del notaio Matteo Croce. Cfr.
inf., e infine dal citato Codice Urbinate, consultabile solo dopo il 1683 (quando
L. Gramatica, op. cit., p. 9.
passa da Urbino alla Vaticana) e per questo mai visto da esperti come Mazenta 93
e frate Luigi Maria Arconati. Nel corso dell’operazione condotta da Cassiano, il   E. Carusi, Per il «Trattato della pittura»…cit., p. 420. Dal 1637 i codici origi-
cardinale Barberini permise in più occasioni la trascrizione del Codice Barberini nali passarono effettivamente all’Ambrosiana, ma con riserva d’uso da parte del
4304, derivandone numerosi apografi, tra cui il Codice Ottoboniano, il Corsiniano donatore.
94
e il Casanatense. In un codice apografo presente presso l’Archiginnasio bolognese,   Padre Gallo, nato a Montergo nel 1596, entrò in noviziato nella provincia di
segnalato da Pedretti nel 1953 (C. Pedretti, Un apografo del “Trattato della Pittura” Milano e insegnò letteratura, filosofia e teologia; morì a Parma l’8 novembre 1650.
di Leonardo da Vinci conservato nella Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Ivi, p. 426.
95
Bologna, Tip. Asca, 1953), lo studioso riconosce un altro dei numerosi testi che cir-   E. Carusi, Lettere di Galeazzo Arconato…cit., p. 510.
96
colavano tra i pittori nella prima metà del Seicento e che precedettero la versione   Ibidem.

Capitolo secondo
36
aveva tratto copia di scritti vinciani in un ‘libro’ inviato nell’agosto di timo. Così, in parte padre Gallo, in parte direttamente il conte e
quell’anno al cardinale Barberini (non si tratterebbe ancora del trat- suo figlio frate Luigi, continuarono l’opera nel corso di quell’anno,
tato sulle acque, sebbene il Gramatica propenda per quest’ipotesi97). Il che però si svolse a tratti, sia per le difficoltà incontrate, sia per dare
cardinale, gradito il dono, dovette manifestare il desiderio di ricevere occasione all’Arconati di chiedere al Barberini, attraverso dal Pozzo,
altri apografi al fine di avviarne la stampa; l’Arconati, di conseguenza, continui favori per il figlio in cambio del faticoso lavoro.
spronò padre Gallo a tale opera, auspicata da dal Pozzo con queste L’attenzione del conte e dei suoi collaboratori si soffermò partico-
parole: «[…] et è veramente con comodità di tempo da cavar dalle larmente sugli scritti di carattere scientifico, assai utili all’opera anto-
fatiche di quel grand’ingegno del Vinci tutto quello che si può»98. logica cui il cardinale aspirava. Cassiano si riprometteva di inviare al
Importante è, poi, la lettera del 7 agosto 1635 del conte Arconati a cardinale il testo completo di tutte le parti e nel maggio 1639 poteva
padre Gallo (in quel periodo rientrato a Roma) da Milano99, da cui dirsi soddisfatto del lavoro svolto, cui mancava solo la trascrizione
traspare il chiaro proposito del Barberini di promuovere un’edizione dei capitoli su «ombre e lumi»: infatti a quell’epoca dal Pozzo, ormai
a stampa del ‘meglio di Leonardo’: ricevuta «quella parte de’ discorsi del Vinci che si desiderava», era
intento a farla «ridurre in forma da accompagnarla al libro che S.
R.mo Padre, Em.za ha, che qualche tempo fa da me gli fu donato e posto nella
Veggo dalla cortesissima sua quanto desideraria l’Eminent.mo sig. sua copiosissima e sceltissima libreria, e talvolta potrebbe giunger in
Card.e di far cavare da libri che presso di me si trovano, ed io voglio tempo l’altra parte […] che s’è V.S. Ill.ma compiaciuto di accrescere
essere prontissimo in servire signor di tanto merito e di così rare qua- e far copiare, trattanti dell’ombre e lumi»103.
lità, perciò anderò trattando con il sig. Alfieri del modo esser scritti Il «libro» cui accenna dal Pozzo potrebbe essere il citato Codice
alla riversa di carateri minuti, con infinite figure, e se Sua Eminenza Barberini 4304; ma, mentre il codice contenente il trattato Del moto
persisterà in questo non mancherò affaticarmi perché ne segui l’effetto, e misura dell’acqua, tratto dagli originali da frate Arconati, giungerà
avendo per fermo che trovandovi le materie esquisite per ogni genere effettivamente al cardinale entro il 1643, restando nella Biblioteca
Sua Eminenza vorà vadi alle stampe per il publico benefitio, che vera- Barberini, le prime stesure apografe – l’H 227 inf. e l’H 229 inf. –,
mente sarà quanto io possia desiderare […]. rimaste anch’esse nella biblioteca di Cassiano e poi acquisite dalla
Biblioteca Albani nel 1714, andranno a finire a Parigi a seguito del-
Messosi all’opera, dal Pozzo entrò innanzitutto in amicizia con la dismissione di quella biblioteca ordinata dal Direttorio nel 1798,
il Mazenta, che aveva salvato i manoscritti dalla totale dilapida- venendo restituite solo nel 1815 in luogo degli originali trattenuti
zione e nel 1631 aveva scritto la citata Memoria, unica traccia del- presso l’Institut de France104.
le intricate vicissitudini seicentesche di quei codici100. Sin dall’i- Neppure il nostro Codice, forse perché ancora da rendere in for-
nizio dunque l’azione del Barberini, lungi dall’aspirare al dono ma definitiva per la stampa, verrà mai consegnato da dal Poz-
degli originali da parte del conte, fu improntata ad una chia- zo al cardinale, non venendo quindi a far parte della Biblioteca
ra onestà intellettuale e alla precipua finalità della stampa101. Barberini, come si evince anche dal catalogo di quest’ultima re-
Nel 1639, intrapresa la correzione dei primi testi trascritti, dal Pozzo datto nel 1681105: d’altra parte è da escludere, per i motivi che di-
inviò all’Arconati, attraverso padre Gallo, un elenco dei ‘capitoli’ per remo, che esso sia mai passato nella Biblioteca Albani, giungen-
i quali si trovavano «difficultà per intelligenza dell’opera di Leonardo do in altre mani prima del 1714 e, infine, a Vincenzo Corazza.
da Vinci della Pittura», ricordando l’«humanità e cortesia» del cardi- Le lettere più significative del citato carteggio sono quelle che Ar-
nale nei confronti del conte102, ossia i favori già ricevuti da quest’ul- conati scrive a Cassiano tra il giugno 1639 e il giugno 1640, in cui
parla specificamente del criterio di selezione dei testi dagli origi-
97
nali, con riferimento alle parti scientifiche, alla prospettiva, ecc. Nel
  Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Vat. Barb. 4332. Il Gramatica (op. cit., p. 57)
riferisce: «In una lettera di Cassiano dal Pozzo al Conte Galeazzo Arconato scritta luglio 1639, ritiratosi per il caldo estivo nella propria villa in Valle
il 6 ottobre 1634 si accenna al P. Baccelliere fra Luigi Maria Arconato Domenica- d’Ossola con tutte le carte, Arconati annuncia a dal Pozzo di aver
no e a un certo punto è detto: “Ho visto il libro che ha copiato che gusterà; ed è
veramente con comodità di tempo da cavar delle fatiche di quel grand’uomo del
Vinci tutto quello che si può: ma dovrebbe V.S. Ill.ma non affaticar in questo modo portato alcuni libri, da quali vo facendo cavare gli effetti del moto, che
detto buon Padre… Nella pretesa carica di Maestro sarà il suddetto servito come mi paiono trattati molto degni, e usciti da un cervello bizzarro, ne farò
dirà poter bisognare, e stiassi V.S. Ill.ma certa”. Dal che mi parve poter desumere
che il ms. Barberiniano sia stato scritto nel 1634 e non 1643 e che la sottoscrizione, estraere più si potrà; et perché chi s’affatica in questo [cioè frate Luigi],
che apparisce stesa con inchiostro diverso debbe ritenersi aggiunta più tardi, dallo dovrà essere costì per mezzo di settembre, li mostrerà a V.S.I., che, es-
stesso fra Luigi, che nel frattempo aveva avuto agio di esperimentare gli effetti della sendo di gusto di S.E. [il cardinale], s’anderà compiendo il trattato, qual
protezione del Card. Barberini ed essere nominato Padre Maestro». Cfr. pure su
Luigi Maria Arconati: A. Favaro, Note Vinciane, in «Atti del R. Istituto veneto di è assai longo; et di più le darà conto d’altre curiosità, che paiono uscite
scienze, lettere ed arti», LXXIX, II, 1920. come furono da un ingegno divino106.
98
  E. Carusi, Lettere di Galeazzo Arconato…cit., p. 506. Si veda pure la lettera
di Cassiano ad Arconati del 16 ottobre 1634, pubblicata da Carusi (ivi, p. 516), in
cui il ministro segretario suggerisce di non affaticare troppo frate Luigi Maria, Nel settembre successivo l’Arconati invia, attraverso il figlio, altre
ma di avvalersi di padre Gallo per trarre dai manoscritti quanto più si possa trascrizioni a dal Pozzo:
dell’opera di Leonardo.
99
  Ivi, p. 510.
100
  L’architetto barnabita sostenne in ogni modo Cassiano nello sforzo di colla-
zione da lui programmato e il 20 novembre 1635, poco prima di morire, gli scrisse eseguito: “Li Capitoli segnati suon confrontati”. Poi di mano ancora diversa: “e
da Napoli, avvertendolo di aver ordinato al canonico Alfieri che, in sua assenza, l’altri non si trovano in questi libri”». Alla nota 1 Gramatica osserva: «Dall’esame
avrebbe dovuto mandare al ministro pontificio tutto quello che avesse trovato di compiutosi a Milano per opera del P. Gallo risultò che soltanto alcuni di quei ca-
Leonardo. pitoli furono identificati nei libri posseduti dall’Arconati». Ma non si comprende il
101
  Lettera dell’Arconati a dal Pozzo del 7 agosto 1635 (ibidem). perché, visto che da quegli originali erano stati tratti gli apografi inviati a dal Pozzo.
103
102
  In proposito alla fine dell’H 227 inf. troviamo uno scritto intitolato: «Capitoli   Ivi, p. 517, lettera di dal Pozzo all’Arconati del 21 maggio 1639.
104
ne’ quali si trova difficultà per intelligenza dell’opera di Leonardo da Vinci della   L. Gramatica, op. cit., p. 21.
105
Pittura, i titoli de’ quali sono li seguenti, secondo la copia che si ha qui in Roma,   Biblioteca Apostolica Vaticana, Index Biblioth. qua ex Fr. Barberini S.R.E. Cardi-
dalla quale è cavata quella che s’è mandata al P. Antonio Gallo per riceverne il favor nalis Vicecanc. magnificentissimas suae fam. ad Quirinalem aedes magnificentiores reddidit.
del riscontro». Riguardo a questo elenco il Gramatica osserva: «È di mano di Cas- Vol. 3 libros typis editos complectentes. Romae, 1681 in fogl.
106
siano dal Pozzo ad eccezione dell’ultima linea che contiene il risultato del riscontro   E. Carusi, Lettere di Galeazzo Arconato…cit., p. 507.

Dagli originali agli apografi


37
spero che da queste materie se ne potranno sciegliere alcune propor- A differenza, infatti, di quanto sinora sostenuto, il Codice napoleta-
zionate alle già inviate, e massime il discorso di prospettiva molto no non è semplice copia dell’H 229 inf., contenendo tutte le parti
corrispondente a quello di pittura già mandato; persuadendomi che presenti, rispettivamente, nell’uno e nell’altro codice milanese e rap-
debbe gradire all’incomparabil finezza dell’ingegno dell’E.mo Pa- presentando quindi la versione integrale della selezione antologica112.
drone107. Ma cerchiamo di conoscere meglio i due apografi ambrosiani, in
ogni caso assai significativi in relazione alle finalità della nostra ricer-
Nel giugno 1640 continua il lavoro sui codici da parte di frate Luigi, ca. Sin dall’inizio, parallelamente all’edizione del Trattato della Pittura
specie sui testi in materia di prospettiva, come accenna il conte in e per soddisfare le esigenze del cardinale, dal Pozzo dovette conce-
un’altra lettera a dal Pozzo: pire l’idea di una selezione dei precetti vinciani più significativi nei
campi dell’arte, delle scienze e dell’ingegneria.
Il P. Arconati hora che con gl’honori ricevuti col mezzo di lei si trova Riguardo, intanto, alla fedeltà di questi testi agli originali, va segna-
maggiormente tenuto ad impiegare (doppo il servitio di Dio) tutto se lata la nota del trascrittore che si legge in uno di essi113:
stesso per gradire nell’opera da lui intrapresa, va travagliando per finire
le parti che concernono l’attione di prospettiva, quali in breve saran- Nel dettar il presente foglio non ho voluto alterare la dettatura di Leo-
no da me inviate, acciò si possa quanto prima perficere costì ciò che nardo, acciocché l’Eminentissimo Signore veda il suo stile.
s’è cominciato: né tralascierà di avanzarsi in copiare le altre parti che
risguardano l’attione del moto, acciò che uniti questi trattati siino di Vi è poi l’altra presente sia in H 227 inf., sia in H 229 inf., sia nel
maggior sodisfatione all’Em.mo comun padrone108. Codice Corazza, in cui si legge:

Dall’epistolario si evince pure che l’attività dovette svolgersi su- […] se vi si è trovata cosa che paja non faccia senso, o pur qualche pa-
perando numerosi ostacoli di natura paleografica o interpretativa. rola manca, si è lasciata così per essere conforme all’originale, però da
Ci interessa qui porre l’attenzione sui due apografi dell’Ambro- correggersi da miglior giuditio.
siana dai quali nacque il Codice che avrebbe dovuto essere pre-
sentato al cardinale Barberini insieme con il trattato di idraulica. Dunque i trascrittori intervennero in alcuni casi sui testi dal punto
Nell’H 227 inf. è stato individuato il primo apografo inviato da di vista ortografico, ma senza integrarne le eventuali lacune o sna-
Milano a dal Pozzo e di conseguenza anche la prima ‘copia’ della turarne il senso. Insomma, abbiamo una garanzia certa della corret-
trascrizione antologica109, mentre l’H 229 inf. sarebbe il documento tezza filologica del lavoro svolto e questo non fa che giovare anche
successivamente elaborato di proprio pugno dal ministro segretario, alla nostra opera.
a seguito della revisione dell’ordine dei diversi gruppi di «precetti» Con riferimento poi alle figure presenti nei codici H 227 inf. e H 229
prima della copia finale per il cardinale110. Ma, oltre all’esame della inf., Carusi sottolinea che esse sono fedeli quasi in tutto alle originali,
grafia dell’H 229 inf., non appartenente a Cassiano (si confronti con a differenza di quelle ritrovabili nell’H 228 inf., che risultano affatto
l’H 228 inf., certamente di suo pugno), il fatto che una parte del diverse, spesso arbitrarie e prive della semplicità e rapidità di esecuzio-
primo apografo non sia nel secondo, e viceversa, ci autorizza a pen- ne che distingue gli appunti di Leonardo: tra l’altro mentre Poussin,
sare che anche nel caso dell’H229 inf. si tratti ancora di una versione nel ‘copiare’ Leonardo, interpreta le figure umane inclinandole verso
intermedia; insomma, essi sarebbero per così dire ‘fratellastri’ del Co- destra, negli altri due apografi milanesi esse sono rivolte nel verso
dice napoletano, ospitando sì l’annunciata selezione degli argomenti opposto, proprio come negli originali, redatti con la mano sinistra114.
destinati all’opera a stampa, ma nessuno dei due in forma completa111. L’H 227 inf.115, compilato da padre Gallo secondo una prima idea di
Cassiano, è databile al 1634-1640 ed è formato da tre sezioni, più il
testo originale della relazione Mazenta, un tempo allegato all’H 228
107
  Ivi, p. 507. inf.116. Il codice reca sul frontespizio, di pugno di dal Pozzo, la seguen-
108
  Ivi, p. 509. te dicitura: «Trattati di Pittura di Leonardo da Vinci.Vi sono le opere
109
  C. Pedretti, Studi vinciani. Documenti, analisi e inediti leonardeschi, Geneve, Li- mandate dal sig. Galeazzo Arconato al sig. Cardinal Barberino da
brairie E. Droz, 1957, pp. 257-258; Id., Copies of Leonardo’s lost writings in the ms. H 227
inf. of the Ambrosiana Library, Milan, in «Raccolta Vinciana», XIX (1962), p. 61. rivedersi per farsene una copia aggiustata»; appunto che ci fa capire
110
  Cfr. K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit., p. 105. che proprio da questo e dagli altri apografi sarebbe stata tratta la copia
Addirittura Dozio fa derivare l’H 227 inf. dall’H 229 inf.; non così il Carusi, sulla
scorta del Gramatica. Cfr. E. Carusi, Per il «Trattato della pittura»…cit., p. 429. Carusi
attribuisce i titoli d’intestazione dell’H 227 inf. e dell’H 229 inf. – scritti da mano 112
diversa da quella del redattore dei testi – a Cassiano dal Pozzo sulla base di docu-   Rimandiamo all’esame delle varie parti del Codice Corazza l’indicazione delle
menti segnalatigli dal Gramatica, sebbene quest’ultimo, nella sua pubblicazione del corrispondenze con gli originali vinciani, attentamente studiate da Pedretti e dalla
testo del Mazenta, attribuisca, in maniera alquanto contraddittoria, anche i testi a Steinitz con esclusivo riferimento agli apografi milanesi.
113
dal Pozzo. Cfr. L. Gramatica, op. cit., p. 21: «Mi domandai se quella scrittura non   Si tratta del cosiddetto apografo di Montpellier, di cui torneremo ad occuparci.
114
potesse essere di mano del Cav. Dal Pozzo, e fatto il confronto con alcune delle   E. Carusi, Sulla redazione abbreviata…cit., p. 20.
115
di lui lettere autografe, che trovansi nella corrispondenza del Card. Barberini alla   G. Dozio, op. cit., p. 30; G. Uzielli, op. cit., II, pp. 337-341; E. Carusi, Per il «Trattato
Vaticana, nell’archivio Sola-Busca e in quello di S.A.R. il Duca d’Aosta nel palazzo della pittura»…cit., pp. 425-427; K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato
della Cisterna di Torino, ho potuto convincermi essere la supposizione tutt’altro della pittura…cit., pp. 99-104.
che infondata». Ma alla nota 2 si legge: «Da una lettera di Cassiano Dal Pozzo 116
  Anch’esso passato dalla biblioteca di Cassiano a quella del cardinale Albani nel
all’Arconati si viene a sapere che al ricevere da Milano copia dei Mss. Leonardeschi 1714, per essere poi trafugato a Parigi nel 1796 e infine restituito all’Ambrosiana
egli li trascriveva nel formato voluto per accompaganarli al libro che sua Eminenza nel 1815 in sostituzione degli originali di Leonardo. Ma in un appunto erroneo
aveva, donatogli dallo stesso Cassiano e posto nella copiosissima e sceltissima sua del Dozio sull’apografo (f. 2) si legge: «Il card. Francesco Barberino, nato nel 1597
libreria; così è presumibile che l’opuscolo Ombre e Lumi che trovasi al n. 1 della e morto nel 1679, emulando il card. Federico Borromeo, raccolse a Roma nel suo
miscellanea [ossia l’H 227 inf.] e i numeri 2 e 3 siano appunto gli scritti avuti da palazzo una ricca biblioteca, di cui fu stampato il catalogo nel 1681. […]. Pare che
Milano; i quali, dopo aver servito per la trascrizione, finirono per restare in mano questo Codice abbia appartenuto alla Biblioteca Barberini di Roma, e di là sia stato
del Cav. Dal Pozzo». Da ciò si arguirebbe quindi, a differenza di quanto affermato trasportato a Parigi, donde fu poi mandato all’Ambrosiana di Milano». In realtà,
in precedenza, che i testi erano quelli redatti dai trascrittori milanesi e non da Cas- nessuno degli apografi H 227 inf., H 228 inf., H 229 inf. e Cod. Corazza giungerà
siano, che si sarebbe limitato a collazionarli e ad apporvi i titoli di testa. mai al Barberini, restando presso la biblioteca di dal Pozzo. Nel 1798, confiscata
111
  Su questi si veda pure l’utile contributo di G. Govi, Alcune memorie di Giovanni la biblioteca Albani per ordine del Direttorio, molti libri andranno in Francia o
Ambrogio Mazenta intorno a Leonardo da Vinci e a’ suoi manoscritti con illustrazioni, in «Il saranno venduti; infine essa verrà in parte ricostituita nel 1803, ma definitivamente
Buonarroti», s. II,VIII (1873), pp. 341-350, IX (1874), pp. 164-171, XII (1878), pp. 45-53. smembrata negli anni 1857-58. Cfr. G. Uzielli, op. cit., pp. 333, 340.

Capitolo secondo
38
Leonardo da Vinci, Traité de la Peinture, Paris 1651; frontespizio dell’edizione Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura, Parigi 1651; frontespizio dell’edizio-
in lingua francese ne in lingua italiana

«aggiustata» e completa di tutte le parti, da riconoscersi nel nostro Co- to solo in parte120 dal Manzi: si tratta di un supplemento ai precetti
dice, di cui questo manoscritto è, insieme con l’H 229 inf., una bozza del Trattato della Pittura presenti nell’H 228 inf. e già destinati alle
iniziale. L’appunto farebbe intendere che l’apografo, stilato a Milano, stampe. Dozio, direttore dell’Ambrosiana negli anni postunitari, sot-
dopo essere giunto a Roma sia stato poi rinviato da dal Pozzo a pa- tolinea il carattere inedito del testo, soffermandosi in particolare sul
dre Gallo per essere perfezionato e, in qualche caso, ‘aggiustato’ onde citato brano in cui Leonardo espone la propria idea di pervenire a
risultare meglio comprensibile anche in certi passaggi sostanziali. un trattato sull’argomento121. Peraltro, come appunta lo stesso Dozio
L’importanza data al testo dagli autorevoli personaggi della corte sul frontespizio originale, il maestro aveva effettivamente iniziato
pontificia è testimoniata da alcuni appunti sul documento, in cui a scrivere il testo il 23 aprile 1490, facendosene cenno in una nota
si citano, tra l’altro, Poussin («Monsié Pusino deve rest.r [restituire] editoriale che ritroveremo anche nel nostro Codice.
uno [un trattato] dell’ombre e lumi con le fig.e appartate»117) e alti La seconda parte122 dovette fungere da base per la copia poi fat-
prelati che gravitavano intorno al cardinale Barberini, come il car- tane nella terza sezione dell’H 229 inf.123. Il manoscritto contiene
dinale Massimo e mons. Albrizzi. Oltre, quindi, al fatto che Poussin una miscellanea di 40 capitoli in materia di scienze e di ingegneria,
aveva preso in prestito la parte più significativa del codice, sappiamo più un breve trattato di prospettiva in 22 capitoli: «Pare – appun-
pure che a sua volta Albrizzi aveva chiesto e ottenuto da Cassiano ta ancora Dozio – che la Biblioteca Ambrosiana abbia posseduto
copia del trattato di Zaccolini sulla «Prospettiva Lineale»118. l’autografo di questa Miscellanea, benché non compaja nel novero,
La prima parte del codice119 contiene copia di una bozza del trattato per altro mal descritto, che il Bonsignori mandò al Comolli verso
su Ombre e Lumi tratto dai mss. A, C e Cod. Atlantico, poi pubblica- il 1790 […]. È ben da credere che un esemplare di questo fosse la
copia, non già l’autografo, che Benvenuto Cellini, morto poi nel
117
  Poussin era a Roma dal 1625. Cfr. C. Pedretti, Studi vinciani…cit., p. 257. Nella
scheda di M. Pavesi in I segreti di un Collezionista…cit., p. 81, questo appunto è
120
riferito al fatto che Poussin avrebbe preso in prestito la parte riguardante «Ombre   Ff. 61-82.
121
e lumi» della copia del trattato dello Zaccolini fatta stilare da Cassiano e oggi alla   G. Dozio, op. cit., pp. 30-31. Il primo libro dell’apografo consta di 54 fogli e 21
Laurenziana. In realtà Poussin aveva preso in prestito il testo sull’argomento tratto tavole di figure.
dai mss. di Leonardo dell’Ambrosiana e formante la prima sezione dell’H 227 inf. 122
  Ff. 83-108. Trascrizione rapida e fitta, di qualità evidentemente inferiore sia a
118
  K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit., pp. 99-100. quella dell’H 229 inf., sia al testo napoletano, idem per i grafici.
119 123
  Ff. 4-82.   Il libro è formato da 22 fogli con figure intercalate nel testo.

Dagli originali agli apografi


39
tale è presente solo negli apografi milanesi e nel Codice Corazza.
La terza parte125 costituirà la base per la copia contenuta nella prima
sezione dell’H 229 inf., sebbene manchi delle illustrazioni poste a
corredo di quest’ultima 126. Essa corrisponde ai cosiddetti «Capitoli
aggiunti» in materia di prospettiva e rappresentazione del paesag-
gio, ulteriori integrazioni ai precetti dell’H 228 inf. richieste da
Cassiano, su cui dovremo soffermarci più approfonditamente.
L’H 227 inf. è dunque, come sottolinea Pedretti, il primo tentativo
di formare un’antologia vinciana atta a soddisfare le richieste del
cardinale con una vasta raccolta di trascrizioni dal prevalente con-
tenuto tecnico-scientifico127, oltre che ad ampliare con altri precetti
in materia di pittura e di teoria della rappresentazione – i «Capitoli
aggiunti» e il trattato su Ombre e Lumi – il manoscritto ‘abbreviato’
già tratto dal Cod. Barberini 4304 per l’edizione del Trattato della
Pittura128 . Va detto che il testo dei «Capitoli aggiunti» non è sem-
pre identico in tutti gli apografi, sebbene sia costante la selezione
dei capitoli e la loro sequenza: si ritrovano comunque – come del
resto nelle altre sezioni di questi codici – le stesse trasposizioni di
paragrafi dalla pagina originale e in molti casi anche le medesime
variazioni nell’ortografia e a volte nell’interpretazione di una pa-
rola, sebbene in qualche caso errata 129. Quanto poi al trattato su
Ombre e Lumi, dal Pozzo chiese all’Arconati di far eseguire copie
dei capitoli presenti nei mss. A, C e nel Codice Atlantico, senza un
particolare ordine, ma semplicemente trascrivendo in sequenza gli
originali, forse in vista di un riordinamento che avrebbe dovuto
compiere egli stesso a Roma, ma che alla fine non eseguì 130.

125
  Ff. 109-116.
126
  Il libro consta di 8 fogli ed è privo di figure. Sull’originale ambrosiano è un
altro appunto di Dozio, in cui si legge che «si tratta di copia del Codice che Govi
verso il 1750 disse di aver trovato tra i Codici dell’Accademia Etrusca» (ossia il ms.
297 della Biblioteca Etrusca di Cortona). Cfr. K. Trauman Steinitz, Leonardo da
Vinci’s Trattato della pittura…cit., pp. 64-65.
127
  Ivi, pp. 94 sgg.; C. Pedretti, Copies of Leonardo’s lost writings...cit., pp. 61-94.
128
  K. Traumann Steinitz, Bibliography never ends…Addenda to «Leonardo da Vinci’s
Trattato della Pittura, Treatise on Painting, A Bibliography», Copenhagen, Munksgaard,
1958, in «Raccolta Vinciana», XVIII (1960), pp. 97-111.
129
  La Steinitz (ivi, p. 103, nota 8) dimostra che, essendo uno dei brani dei «capitoli
aggiunti» degli apografi tratto dal Codice Trivulziano, quest’ultimo doveva far parte
un tempo della donazione Arconati ed essere all’Ambrosiana, dove fu trascritto. I
«Capitoli aggiunti» del cosiddetto ms. Ganay – come del resto quelli dell’H 227 inf.,
anche se privi di immagini, ma non quelli di Belt 36, H 229 inf. e Codice Coraz-
za – mostrano a volte, nel mezzo del testo, delle sigle (AI, A1, Df 7, ecc.) che non
Nicolas Poussin, tavola illustrativa del codice apografo H 228 inf., c. 1637- corrispondono a quelle presenti nell’ultimo foglio del Codice Urbinate 1270, dal
40. Milano, Biblioteca Ambrosiana (da Solinas) titolo Memoria et Notta di tutti pezzi de Libri di mano di Leonardo…. La Steinitz dice
che esse si riferiscono forse alla trascrizione originale di Gallo e Alfieri, che potreb-
be essere andata perduta: in realtà, come dimostra Pedretti (Copies of Leonardo’s lost
writings…, p. 68), si tratta dei riferimenti alle immagini (poste nel ms. Ganay a fine
1570, comperò per 15 scudi d’oro; perocché questo, oltre al discorso testo e non all’interno come negli altri apografi). Come è noto, la maggior parte
dei testi dei capitoli aggiunti sono tratti dalle pagine di Leonardo che Melzi aveva
della Prospettiva, contiene anco altre mirabili cose, cioè i 40 capito- marcato e trascritto nel Codice Urbinate 1270.
li di vario argomento»124. Ma, se per «autografo» della miscellanea 130
  C. Pedretti, Copies of Leonardo’s lost writings… cit., p. 64. Si veda, in proposito,
Dozio intende un originale di Leonardo, la notizia è priva di fon- la lettera di Cassiano a padre Gallo del 21 maggio 1639: «Se a lei parrà si differisca il
far scrivere da Sua Em.za al S.r Arconati, dopo che harrà ricevuto non solo quello
damento, sia perché tra i codici dell’Ambrosiana finiti a Parigi esso che già è composto di trattati del Vinci, ma anco quello che s’aspetta dell’ombre e
non esiste, sia perché la «miscellanea» è attribuibile con certezza lumi, acciò possi nella lettera avere il tutto». Dobbiamo ancora a Pedretti la precisa
all’iniziativa voluta da Cassiano dal Pozzo intorno al 1640 e come individuazione dei testi tratti dai fogli originali perduti dei mss. A e B recuperabili
rispettivamente nella prima e nella seconda parte dell’H 227 inf.: ivi, pp. 61-94. Pe-
dretti nota come le altre due parti dell’H 227 inf. siano state descritte per la prima
volta dall’Uzielli nel 1884, poi dal Gramatica nel 1919 e infine dalla Steinitz nel 1958.
124
  Nel 1790 Stefano Bonsignori, all’epoca dottore nella Biblioteca Ambrosia- Nel 1957 lo stesso Pedretti (Scritti vinciani…cit., pp. 257-263) aveva individuato nella
na, poi vescovo di Faenza, fornì ad Angelo Comolli per la sua Bibliografia storico- seconda parte dell’H 227 inf. (f. 1r, dal titolo «Come innalzare un albero di nave»,
critica …cit. (III, 1791, pp. 191-192) l’elenco dettagliato dei codici che poco dopo su cui torneremo) un brano tratto da un foglio perduto del ms. B, prefigurando la
sarebbero finiti a Parigi; notizia questa che, come vedremo, risulta assai utile in possibilità che altri brani dell’H 227 inf. fossero stati tratti da fogli perduti: nel 1962
relazione ai rapporti di amicizia esistenti tra Comolli e Corazza. Cfr. C. A mo - lo stesso studioso, a seguito di un lavoro completo di raffronto tra apografo e ori-
retti, Memorie storiche su la vita gli studj e le opere di Leonardo da Vinci, Milano, G. ginali, annuncia di aver individuato altri brani perduti, tratti stavolta dal ms. A; dal
Motta al Malcantone, 1804, p. 132, e G. M anzi, op. cit., p. 8. Comolli si riferisce momento che nell’apografo i brani sono nella stessa sequenza rispetto agli originali,
alla ricostruzione minuziosa della vicenda dei manoscritti fatta dal Du Fresne abbiamo la prova che i testi perduti che si conservano nell’apografo corrispondono
nella premessa al Trattato e dal Mariette nelle sue Pittoriche (II, pp. 171 sgg.); a sua a fogli scomparsi del manoscritto, cioè tra l’86v e il 64v (numerazione inversa data
volta, però, aggiunge agli undici codici donati dall’Arconati, più quello donato dalla stesura vinciana dalla fine verso l’inizio del ms.). Tali brani sono inoltre con-
dal Borromeo, un tredicesimo (in 16°), offerto dal conte Orazio Archinti nel servati in parti barrate del Codice Atlantico (f. 135 r-a, v-a, datato 1490-91) e, come
1674, ossia l’attuale ms. K di Parigi, come si legge dal frontespizio scritto di vedremo, nel Codice Corazza. La Brizio (A.M. Brizio, Correlazioni e rispondenze…
mano dell’allora Prefetto dell’Ambrosiana Pietro Paolo Bosca. cit., pp. 81-89) osserva del resto che ci sono parecchi fogli di questo tipo nel Codice

Capitolo secondo
40
Codice apografo H 227 inf., c. 1637-40, sez. II, c. 1r (da originale perduto), Codice apografo H 229 inf., c. 1637-40, sez. III, c. 35r; studi di ingegneria
illustrazione del metodo «Per drizzare un’albero di nave». Milano, Biblio- idraulica e di prospettiva. Milano, Biblioteca Ambrosiana (da Pedretti)
teca Ambrosiana (da Pedretti)

L’H 229 inf., redatto entro il 1640 e inviato al Barberini, per le spettiva ed altro135. La seconda parte136 contiene i capitoli Del Moto,
esposte considerazioni va dunque ascritto a padre Gallo o all’Alfie- e forza, di meccanica e idraulica, tratti dai ms. A, E, F e mancanti
ri131. L’apografo, che seguì la stessa sorte dell’H 227 inf., è anch’esso nell’H 227 inf.: di essi, i precetti in materia di idraulica si ritrova-
formato da tre ‘libri’132 e reca sul frontespizio un titolo identico a no in gran numero nel trattato Del moto e misura dell’acqua redatto
quello del Codice Corazza133. La prima parte contiene i «Capitoli da frate Arconati137. Infine nella terza parte138, copia della seconda
aggiunti»134, che presentano qui le figure incollate sui fogli e, a mar- parte dell’H 227 inf., si ritrovano i capitoli riguardanti l’ingegneria
gine delle proposizioni, i riferimenti di Dozio all’opera di Manzi, meccanica, l’idraulica, nonché le osservazioni sulla prospettiva e sui
in cui si ritrovano, solo in parte e secondo un diverso ordine, i capi- principali metodi di rappresentazione139.
toli sui modi di rappresentare la natura e i suoi elementi, sulla pro-
135
  «Il primo libro di fogli 14 è una miscellanea in cui si parla di prospettiva, di
moto de’ corpi, della testa del cavallo, de’ corpi luminosi e ombrosi; poi seguo-
no alcuni capitoli sul dipingere alberi, stampati da poi, ma con diverso ordine
Atlantico contenenti una prima versione di note sulla pittura poi sviluppate nel ms. e alcune diversità di testo, nel libro VI del Trattato della Pittura edito dal Manzi.
A. Alcuni brani tratti dalla parte mancante del ms. A furono copiati anche da Melzi Questo primo libro è corredato di 26 figure, interposte nel testo e desunte,
nel Cod. Urbinate 1270 e uno di essi anche dal Venturi nel 1796 (Apogr.Venturi 67, credo, dagli originali di Leonardo, ma con abbellimenti: ad alcune mancano le
corrispondente a Ludwig 555, in H 227 inf., f. 48v). Pedretti esclude dalle proprie lettere relative a, b, c, d, ecc.» (G. Dozio, op. cit., p. 29).
tabelle di concordanza la parte III dell’H 227 inf., visto che essa contiene i «capitoli 136
  Ff. 21-86.
aggiunti», già oggetto dell’attento studio della Steinitz; egli propone invece le ta- 137
  «Il secondo libro di fogli 66 è similmente una miscellanea di idraulica, ottica,
belle di concordanza per la parte II dell’H 229 inf. (mss. A, E, F), che manca nell’H storia naturale, astronomia, ecc., con circa 175 figure; ma i più dei capitoli riguardano
227 inf., in modo da avere un quadro completo delle corrispondenze per tutte le teorie sul moto e misura dell’acque, e sono stampati, ma con notevoli varietà di lezioni,
sezioni, presenti contestualmente, come si vedrà, nel Codice Corazza. nel trattato pubblicato a Bologna nel 1828 dal Cardinali: alcune figure son più esatte
131
  Anche questo apografo, in origine presente nella biblioteca di dal Pozzo, giun- in questo codice che in quella edizione, e di più qui hai compiuta qualche lacuna
gerà poi all’Albani e infine all’Ambrosiana, dopo la trasferta parigina. dello stampato. Accenno alcuni altri capitoli a meglio chiarire la varietà delle mate-
132
  Uzielli li chiama a-c, più la copia della relazione Mazenta. K. Trauman Stei- rie contenute nel libro: Delle macchie della luna; Dei nicchi dei monti; Dell’arco celeste, Per
nitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit., p. 105. fare la duplicazione del cubo; Del volo degli uccelli; Del sole; Della virtù visiva, ecc.» (G. Do-
133
  Il f. 20r reca un titolo a matita quasi illeggibile, decifrato dal Govi: «Trattati zio, op. cit., p. 29). L’autore riporta poi integralmente il capitolo riguardante il canale
e parti di trattati diversi di prospettiva e operat.ni mathem.che di Lionardo da della Martesana, «perché breve e da qualcuno stato o inteso o citato inesattamente».
138
Vinci. Mons. Albrizzi de quelli della Pittura [?] Mons. Camillo de’ Massimi ne   Ff. 87-122, con figure acquerellate.
prese la [tre?] copia[e?]». 139
  «Il terzo libro di fogli 33 è anch’esso una miscellanea con capitoli di meccanica,
134
  Ff. 4-18. di idraulica, di macchine guerresche, di prospettiva, ecc., con più di 100 figure. Po-

Dagli originali agli apografi


41
Da quanto detto sinora, considerando il quadro dell’intera opera- vere alla maniera di Leonardo – a segnalargli il Codice Barberi-
zione condotta tra Milano e Roma, risulta con tutta evidenza che ni 4304144 . Ma quello che maggiormente va considerato da parte
mentre il lavoro eseguito per il Trattato della Pittura e per quello di nostra è che Zaccolini, oltre alle opere di pittura e di architettura
idraulica ebbe esito con la consegna al cardinale di testi definitivi su eseguite per l’ordine teatino tra Milano e Roma (tra cui il dipin-
queste materie, l’opera di selezione e trascrizione contenuta nei due to prospettico sulla volta del coro della chiesa di San Silvestro al
manoscritti milanesi necessitava ancora di un compendio all’interno Quirinale) operò anche a Napoli, ove pare abbia collaborato con
di un testo degno, anche graficamente, non solo dell’attenzione del Francesco Grimaldi al progetto e alla decorazione della chiesa dei
cardinale, ma anche della prevista pubblicazione. Il passo successivo Santi Apostoli e di quella di Santa Maria degli Angeli a Pizzofal-
in termini di completezza e di qualità grafica, sebbene anch’esso cone tra il 1609 e il 1613145.
non esaustivo sotto il profilo dell’ordinamento per materie, si ebbe Al mancato esito editoriale di una parte significativa dell’impo-
con il Codice Corazza: da un confronto con le grafie dei vari apo- nente attività coordinata da dal Pozzo farà seguito solo agli inizi
grafi sopra descritti, esso risulta essere l’unico compilato dalla stessa del Settecento, per quanto ne sappiamo, una simile iniziativa a
mano dell’H 228 inf., ossia da Cassiano dal Pozzo. Ma anche questa Roma, ove il pittore svizzero Ludovico Antonio David comincerà
stesura, probabilmente in attesa di giungere a quella definitiva utile a raccogliere materiali per un’importante pubblicazione su Leo-
per la stampa, non verrà mai sottoposta al vaglio del Barberini140. nardo: tra l’altro, egli avvierà la trascrizione paziente del codice di
Tra gli apografi che rimangono a testimonianza della ponderosa proprietà di Giuseppe Ghezzi che verrà poi acquistato nel 1717 dal
opera condotta da dal Pozzo, il cosiddetto ‘Codice di Montpel- conte di Leicester (poi Codice Hammer, oggi di proprietà di Bill
lier’141 , scoperto e studiato da Pedretti nel 1957, va da noi tenuto Gates), giungendone una copia anche a Napoli, come vedremo,
in debito conto ai fini dell’indagine sulla diffusione del pensiero al duca di Cassano; inoltre, con ogni probabilità, il pittore verrà a
vinciano in ambito napoletano sul principio del XVII secolo. In- conoscenza del Codice Urbinate146. Ma anche questa volta il pro-
fatti, quantunque anch’esso provvisorio e privo di contenuti di gramma non avrà realizzazione.
novità rispetto alle altre trascrizioni della stessa ‘famiglia’, il te-
stimone ci pare da segnalare in quanto vi si riportano interessanti
notizie biografiche del già citato collaboratore di dal Pozzo, padre ii. Impianto e contenuti del Codice
Matteo Zaccolini (1574-1630), pittore «prospettivista» e architetto
teatino142 . Esperto leonardista e maestro di Poussin, del Cavalier § 1 La struttura del testo e il significato
d’Arpino e del Domenichino, Zaccolini fu autore di importanti degli ‘excerpta’
saggi, tra cui un famoso trattato in quattro volumi manoscritti
(anche questi un tempo presso la Biblioteca Albani, poi passati a Dopo che, nel 1818, il Giustiniani ebbe segnalato ufficialmente,
Montpellier e infine scomparsi) intitolato De Colori, Prospettiva del nei termini che diremo, la presenza del Codice presso la Biblioteca
Colore, Prospettiva lineale, e Della Descrittione dell’Ombre prodotte da Reale di Napoli, solo nel 1878 il bibliotecario Alfonso Miola tornò
corpi opachi rettilinei (1616-22) 143 : proprio da questi scritti, secondo a sottolinearne l’importanza147. Bisognerà attendere tuttavia quasi un
Pedretti, dal Pozzo potrebbe aver tratto ispirazione per il progetto secolo perché Pedretti, nel 1957148, ponga all’attenzione della comu-
editoriale riguardante il Trattato della Pittura, coinvolgendo il te- nità scientifica il prezioso apografo:
atino nell’impresa sin dal volgere degli anni ’20, purtroppo solo
qualche anno prima della sua morte: potrebbe essere stato proprio
il frate – tanto esperto di testi vinciani da essere in grado di scri-
144
  Peraltro lo Zaccolini fu possessore di un codice, tratto con tutta evidenza
dal Barberini 4304, dal titolo «Opinione di Leonardo da Vinci, circa il modo
di dipingere prospettive, ombre, lontananze, bassezze da presso e da discosto et
che cose riguardanti l’idraulica e la prospettiva furono poi stampate nei due trattati altro»; titolo che ricorre, come è noto, in numerosi altri apografi coevi, tra cui
di Leonardo: tutto il resto è inedito, e v’han cose molto curiose e meritevoli di l’H 228 inf.: si tratterebbe dell’attuale cod. Casanatense 968. Cfr. K. Trauman
esser studiate. Ecco un saggio d’alcuni capitoli: Bombarda grossa che si carica di rietro; Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit., pp. 51 sgg.; C. P edretti,
Modi varii per alzar acqua; Moto perpetuo; Stromento da cavar terra da un porto, ecc.» (G. Un nuovo apografo del «Trattato della Pittura» di Leonardo da Vinci, in «Bibliothèque
Dozio, op. cit., p. 30). d’Humanisme et Renaissance», 1959, t. 21, p. 450; J.C. Bell, op. cit., pp. 105 sgg.;
140
  E. Carusi, Per il «Trattato della pittura»…cit., p. 429: «Essi [l’H 227 inf. e l’H Libro di Pittura…cit., p. 47.
145
229 inf.] non appartennero mai alla biblioteca Barberini e furono del Dal Pozzo,   Cfr. J.C. Bell, Zaccolini and Leonardo’s Manuscript A, in Il collezionismo dei leonar-
il quale, date le sue relazioni col Mazenta, con l’Arconati e con gli altri dotti deschi a Milano e la Madonna Litta, a cura di M.T. Fiorio, P.C. Marani, Milano, Electa,
milanesi, non dovette stentare ad averli». Meno convincente ci pare l’idea dello 1991, p. 190: «The Theatine order was growing rapidly in the early seventeenth cen-
stesso Carusi, sulla scorta del Dozio e del Ludwig, secondo cui gli apografi citati tury and had opened several houses in Lombardy. Since the order had an efficient,
non hanno nulla a che vedere con il lavoro di trascrizione e redazione disposto centralized government, it was not unusual for lay brothers with useful skills to be
dall’Arconati per poi inviarne una copia finale al cardinale, ma sarebbero copie transferred for short periods to places where their services were needed. Zaccolini’s
per uso personale di Cassiano. temporary transfer to Naples is an example; he helped there with the decora-
141
  Bibl. Fac. Médecine de Montpellier, H 267, già Bibl. Albani 1148. Cfr. K. Trau- tion of the residence at SS. Apostoli, with the design of the tabernacle there, and
man Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura…cit., pp. 109-116. worked on stuccoes, fountains, and diverse ornaments at other Theatine churches
142
  Pedretti scrive inoltre su Zaccolini: «Attivo a Roma fra il Cinque e il Seicento, in the area». Ma J. Connors suggerisce di leggere diversamente il brano del ms.
Zaccolini compì estesi studi sul Trattato di Leonardo come pure sulle teorie delle Montpellier riguardante l’opera napoletana di Zaccolini: «...fa racconto d’haver
ombre e del colore per le quali sembra si fosse potuto servire di manoscritti originali particolarmente in Napoli servito di disegni e modelli in più Chiese, come quella
di Leonardo. Per lo meno si sa dalle fonti che la sua passione per lo studio di Leonar- degli Ap[osto]li...», invece di Agli [Angeli]. Cfr. R. Wittkower, The early Baroque.
do fu tale da indurlo a imparare a scrivere a rovescio. I suoi manoscritti, conosciuti e 1600-1625, 6th edition revised by J. Connors and J. Montagu, New Haven (London),
ammirati dai contemporanei, in particolare dal Poussin, sono rimasti per secoli sco- Yale University Press, 1999, p. 34.
146
nosciuti, e solo di recente sono stati ritrovati nella Biblioteca Laurenziana di Firenze   C. Pedretti, Epilogo…cit., p. 230.
147
fra i codici del Fondo Ashburnham, e quindi fra le opere che insieme ad altri mate-   A. Miola, Le scritture in volgare dei primi tre secoli della lingua ricercate nei codici della
riali raccolti da Guglielmo Libri provenivano dalla celebre biblioteca del Cardinale Biblioteca Nazionale di Napoli, I, Bologna,Tip. Fava & Garagnani, 1878, I, pp. 230-232:
Albani a Roma» (C. Pedretti, Epilogo: Roma per gli studi vinciani, in Leonardo e il leo- «XII. D. 79. Codice cartaceo del secolo XVII, alto cent. 31 e largo 22, di carte 230. […]
nardismo a Napoli e a Roma, a cura di A.Vezzosi, Firenze, Giunti-Barbera, 1983, p. 230. Gioverebbe confrontare a parte a parte questo manoscritto con le opere a stampa del
143
  C. P edretti, The Zaccolini Manuscripts, in Leonardo’s writings and theory of art, Vinci. Pare che sia questa la stessa copia fatta pel card. Barberini dal codice originale
a cura di C. J. Farago, New York, Garland, 1999, pp. 258 sgg.; J.C. Bell, Cassiano posseduto dall’Arconati, e donato all’Ambrosiana, con altri mss. di Leonardo nel 1637».
dal Pozzo’s copy of the Zaccolini MSS, in «Journal of the Warburg and Courtauld Cfr. pure Id., scheda dallo stesso titolo in «Il Propugnatore», XIV (1881), p. I, pp. 152-153.
148
Institutes», LI (1988), pp. 103-125.   C. Pedretti, Studi vinciani…cit., pp. 257-258.

Capitolo secondo
42
[…] Ai due codici milanesi già noti non foss’altro perché furono ni nella trascrizione di lettere o legende a corredo, evidentemente
sostituiti agli originali nella restituzione degli autografi rapinati da destinate ad essere corrette in corso di edizione – in più di un caso
Napoleone, si aggiunge ora la copia dell’H 229 inf. che Cassiano Dal possono aiutare a chiarire brani oscuri o poco comprensibili degli
Pozzo fece eseguire per il Cardinale Barberini e che si conserva oggi autografi; senza contare, infine, la possibilità che l’apografo offre di
nella Biblioteca Nazionale di Napoli (segn. H D, 79 149 ). Si sapeva approfondire precetti un tempo presenti in fogli originali perduti.
che il pittore Giuseppe Bossi nel 1810 si era recato a Napoli a copiare Ne consegue tutta l’importanza del Codice che, in linea con l’aulico
un “manoscritto di Leonardo” e che da queste copie G.B. Venturi programma sotteso alla sua redazione, si dimostra per molti aspetti
ricavò alcuni capitoli di cui si servì in una memoria inedita sull’ottica una fonte assai accattivante: non va però sottaciuta la difficoltà di
di Leonardo. Si è potuto ora accertare che si tratta proprio dell’apo- un’analisi più minuta, da svolgersi necessariamente per settori di
grafo Barberini. competenza e che auspichiamo di poter coordinare all’interno di
una futura esperienza di ricerca.
Nel riconoscere l’importanza della segnalazione, dobbiamo pur
osservare come non si tratti, in effetti, di una semplice copia del- Prima di procedere all’analisi generale dei contenuti e a cercare
l’H 229 inf.: dopo Pedretti 150 , sarà la Steinitz a riproporre il Codice quindi le possibili linee-guida che ispirarono la selezione seicente-
all’attenzione degli studiosi, parlando però ancora di una copia sca, descriviamo sinteticamente i dati ‘tecnici’ a nostra disposizione.
dell’apografo ambrosiano151 , e ugualmente farà Vezzosi, in tempi Il manoscritto, databile entro il 1640, è in folio, delle dimensioni di
più recenti, nell’imponente studio a sua cura sul leonardismo tra 220 x 315 mm e redatto ad inchiostro nero con la grafia dell’H 228
Roma e Napoli, in cui i manoscritti vinciani appartenuti a Coraz- inf.; la legatura, come dimostreremo, è opera di Corazza, mentre
za vengono per la prima volta schedati 152 ; infine Pedretti tornerà la coperta esterna risale agli inizi dell’Ottocento155. Il documento
sull’argomento in un interessante contributo del 1996153 . Ma, sino reca su qualche foglio, a margine del testo, brevi annotazioni sei-
ad oggi, non è stata adeguatamente ricostruita l’intera vicenda del centesche e poche altre siglate da Corazza 156 : da queste ultime si
Codice né approfondita la figura di Corazza sulla base dell’inedito comprende immediatamente come l’abate non abbia mai comple-
carteggio della Biblioteca Nazionale di Napoli, della Biblioteca tato la chiosatura del testo, fermandosi ai primi fogli. Ma ciò è del
Comunale dell’Archiginnasio di Bologna e di altre fonti dispo- tutto marginale: l’analisi del documento dovette essere integrale e
nibili. Ora, a partire da quanto abbiamo già accennato sull’ar- approfondita, come dimostrano i «Termini di arte» compilati dallo
gomento in altra sede154 e attraverso un confronto tra il Codice studioso intorno al 1798, che abbiamo trascritto in appendice e
napoletano, gli apografi milanesi – più volte indagati in rapporto più innanzi descriveremo. Il Codice, come i ‘provvisori’ milane-
ai manoscritti vinciani, ma mai fatti oggetto di studi specifici – e si, mostra il carattere di una selezione mirata di argomenti tratti
le più recenti edizioni dei codici originali di Leonardo, potremo da originali databili tra il 1490 e il 1518 e redatti da Leonardo tra
dimostrare il carattere di summa che il manoscritto rappresenta Firenze, Milano e Amboise; la trascrizione appare redatta senza
all’interno dell’intera opera di selezione e trascrizione antologi- alcun riferimento al Trattato della Pittura ma, al contrario, contiene
ca: esso appare redatto con grafia elegante e corredato di disegni molti «precetti» assenti sia in quel testo che nel Codice Urbinate,
fedeli a quelli vinciani, se non, in molti casi, di migliore qualità e tesi, come si è detto, ad ampliare gli ambiti d’interesse al campo
o leggibilità; ciò in relazione sia al pessimo stato di conservazione delle scienze e dell’ingegneria, recando una vastissima messe di
in cui versano gli inchiostri, le matite e i supporti cartacei di quei osservazioni.
taccuini, sia alla scala maggiore adottata nell’apografo e, in molti Vediamo allora in rapida sintesi la struttura del Codice.
casi, ad una più chiara raffigurazione in ribaltamento speculare La prima parte è intitolata, come l’H 229 inf., Copia di capitoli diver-
rispetto alle costruzioni rovesciate di Leonardo. Il corredo grafico si di Lionardo da Vinci circa le Regole della Pittura, e modo di dipingere
non è dunque quello di Melzi, spesso frutto delle sue rielaborazio- Prospettive, ombre, lontananze, altezze, bassezze, d’appresso, e discosto, e
ni, né quello del Trattato della Pittura, realizzato come sappiamo da altro. L’originale de quali dal signor Galeazzo Arconato è stato donato alla
Poussin. Libraria Ambrosiana, e dall’istesso è stata inviata [la copia] all’Em.mo
I testi e le illustrazioni – sebbene gli uni con qualche omissione o S.r Cardinale fran°. Barberino. Sono li sudetti capitoli di più di quelli, che
errata interpretazione lessicale, le altre con sporadiche imprecisio- nell’opera ordinaria de precetti della Pittura si vedono157. Il titolo riprende,
con tutta evidenza, quello ricorrente in numerosi testi ‘abbreviati’
cinque-seicenteschi tratti dal Libro di Pittura di Melzi e contenen-
149
  La segnatura corretta è in realtà: BNN, Manoscritti e Rari, XII. D. 79.
150 ti l’«opera ordinaria» che fungerà da base per la pubblicazione del
  Il codice è pure segnalato tra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli
da P.O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden 1963, I, p. 406, sia pure semplice- Trattato della Pittura nel 1651; ma viene anche sottolineato il carattere
mente riportando quanto già riferito dal Miola (cfr. supra). ‘integrativo’ di questi capitoli rispetto a quelli già disponibili. La ‘co-
151
  K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della Pittura…cit., pp. 107-108.
pia’ inviata al Barberini era l’H 229 inf., mentre il più ampio Codice
Nella scheda relativa al codice napoletano compare anche la segnatura esatta della
Biblioteca Nazionale. Corazza, come vedremo, resterà in casa dal Pozzo.
152
  Si veda Leonardo e il leonardismo…cit., pp. 139-142, schede di A.Vezzosi. La col- Questa sezione, dedicata alla rappresentazione e alla ‘costruzione’
locazione indicata nella scheda a p. 139 è di nuovo errata, essendo attribuita al nostro
codice la segnatura XII. D. 80. del paesaggio, ai principi generali di ottica e alla teoria delle ombre,
153
  C. Pedretti, I manoscritti ‘inediti’ di Leonardo ricercati da Giuseppe Bossi a Napoli: è divisa a sua volta in due importanti sottosezioni.
autografi o apografi?, in «Achademia Leonardi Vinci», IX (1996), pp. 136-139. Infine è
da segnalare il contributo di M. Rascaglia, I manoscritti di Leonardo e un abate del
‘700, in Aa.Vv., Acqua continuum vitae…il divenire Mediterraneo nel racconto dell’Arte e
155
della Scienza, a cura della Biennale delle Arti e Scienze del Mediterraneo, Salerno,   Per ulteriori dati tecnici si veda la scheda relativa al Codice redatta da M.R.
Artecnica Production A.C., 2000, pp. 44 sgg. Grizzuti in Manus online (http://manus.iccu.sbn.it). La coperta, in pelle, decorata
154
  Cfr. A. Buccaro, Leonardo tra iconografia e ingegneria nel Codice Corazza: appunti in oro con legatura in vitello marrone alla francese, reca controguardie e relative
dallo studio in corso, in Le città dei cartografi. Studi e ricerche di storia urbana, a cura di C. guardie in carta marmorizzata policroma; sul dorso è presente un tassello in pelle
de Seta, B. Marin, Napoli, Electa Napoli, 2008, pp. 95-105; Id., Ingegneria tra scienza rossa con autore e titolo in oro (“Lionardo da Vinci Le regole della pittura M.S.”).
156
e arte: il Codice Corazza e la permanenza del modello vinciano nella cultura napoletana,   Vezzosi è stato il primo a notare la sigla «VC» che accompagna alcune postille
in Storia dell’Ingegneria. Atti del 2° Convegno Nazionale (Napoli, 7-9 aprile 2008), a presenti sul documento. Cfr. Leonardo e il leonardismo…cit., p. 139.
157
cura di S. D’Agostino, Napoli, Cuzzolin Editore, II, pp. 797-809.   Consta di 97 pagine, ff. scritti 187.

Impianto e contenuti del Codice


43
Codice Corazza, c. 1640, sez. I/b, p. 39, incipit di «Ombre, e Lumi». Napoli, Ms. C, foglio di guardia con riferimento all’opera di R. Trichet du Fresne.
Biblioteca Nazionale Paris, Institut de France

La prima (che chiameremo I/a, di ff. scritti 35, con grafici inseriti nel di lettere di riferimento introdotte ex novo dal trascrittore. È questa
testo) è tratta, nell’ordine, dai mss. E, A, F158, G (in netta prevalenza, la parte del testo che, come si è accennato, nel 1816 verrà studiata per
con ordine crescente dei fogli), M159, H160 e Trivulziano161 e riguar- i preziosi contenuti in materia di ottica e di teoria delle ombre dallo
da, tra gli altri temi, il significato e la tecnica della prospettiva: essa scienziato reggiano Giovan Battista Venturi attraverso la trascrizione
corrisponde ai citati «Capitoli aggiunti», finora inediti nella loro del nostro Codice eseguita a Napoli da Giuseppe Bossi nel 1810,
selezione, sebbene attentamente studiati da Pedretti e dalla Steinitz, allorché erano ormai a Parigi tutti i documenti dell’Ambrosiana,
i quali, traendoli dagli apografi milanesi, ne hanno analizzato la cor- originali e apografi. In questa sezione, come si vedrà, sono nume-
rispondenza con gli originali di Leonardo e con altri apografi, tra rosi brani tratti da fogli perduti del ms. A di Parigi, che riguardano
cui il Libro di Pittura. La seconda sottosezione (I/b, di ff. scritti 107 e tra l’altro luci e ombre applicate agli interni architettonici: teniamo
21 tavole grafiche tutte a fine testo), intitolata Ombre e Lumi e man- dunque a dare alle stampe il testo su Ombre e Lumi per la prima volta
cante nell’H 229 inf., è tratta (con ordine decrescente dei fogli) dal in forma integrale e con le splendide tavole a corredo nella dimen-
ms. A, dal Codice Atlantico e dal ms. C, donato da Guido Mazenta, sione originale dell’apografo, evidenziandone anche le parti tratte
fratello di Ambrogio, a Federico Borromeo nel 1603 e da questi dagli originali scomparsi.
all’Ambrosiana all’atto della sua fondazione nel 1609162. Significativa La seconda sezione del Codice163 è tratta in ordine discontinuo dai
è, in questa parte del Codice (come di quella corrispondente dell’H mss. B, E, F, G, I, con netta prevalenza dei mss. B (con ordine cre-
227 inf.), la collocazione dei grafici esplicativi al termine della parte scente dei fogli) e F (con ordine decrescente).
scritta e non in sede promiscua come nell’originale, con l’adozione La terza sezione, intitolata Del Moto e Forza164 e mancante nell’H
227 inf., è riferibile quasi per intero al ms. F (con ordine decre-
158
scente) se si eccettua qualche proposizione iniziale tratta da fogli
  Si fa riferimento ad un solo foglio di questo manoscritto.
159
 Idem ut supra.
dei mss. A ed E.
160
 Id. ut supra. Nei contenuti di questi ultimi due ‘libri’ è possibile riconoscere una
161
  Id. ut supra. selezione specifica, dedicata rispettivamente all’ingegneria meccani-
162
 Al ms. C «De Ombra e lume» si riferisce in particolare Comolli (op. cit., III, ca e all’idraulica; ma in entrambi si possono individuare anche capi-
p. 189), che parla di una trascrizione del testo effettuata intorno al 1780: «In questi
ultimi anni fu copiato per intero, ma senza le figure, ad istanza del P. Abate Venini
Monaco Cisterciense. Di queste notizie, siccome ancora di molte altre, che tra-
scriverò in appresso relativamente ai libri Ambrosiani del Vinci, sono riconoscente
163
al gentilissimo Sig. D. Stefano Bonsignori, che per mezzo, e ad istanza del ch. Sig.   Consta di 47 pagine per 92 fogli scritti, con grafici inseriti nel testo.
164
Carlo Bianconi me le ha cortesemente trasmesse».   Consta di 82 pagine per 163 fogli scritti, con grafici inseriti nel testo.

Capitolo secondo
44
toli sugli argomenti più vari nel campo delle scienze naturali, della Si comprende quindi l’importanza storica del Codice, ossia il
geofisica, della fisica del moto, dell’idrodinamica, dell’aerodinamica ruolo svolto nel periodo del trasferimento in Francia di tutti gli
e dell’ingegneria civile e militare. Non mancano poi ripetizioni di originali e apografi ambrosiani, oltre alla già notata utilità ai fini
brani tratti dal ms. F, contenenti per la maggior parte capitoli di ot- del recupero dei testi e dell’apparato grafico un tempo presenti
tica che vengono riproposti testualmente nelle due parti o integrati nei fogli sottratti dallo scienziato Guglielmo Libri nel 1830167 ; re-
con nuove «proposizioni». Altri testi, infine, si possono ritrovare nel- cupero condotto per la prima volta da Pedretti con riferimento
la trascrizione di frate Arconati in materia di idraulica. all’H 227 inf.168 , in cui si ritrova, come nel Codice Corazza, la
Il motivo di tante ripetizioni e integrazioni, che confermano quelle trascrizione dei fogli scomparsi del ms. B di Parigi relativi alla
già presenti negli apografi preparatori, potrebbe essere dato dall’e- procedura «per drizzare un’albero di nave» 169 e quella dei fogli
secuzione delle prime trascrizioni su fogli provvisori sciolti, poi se- perduti del ms. A su Ombre e Lumi concernenti, tra l’altro, la rap-
lezionati e trascritti nelle varie parti degli apografi in tempi diversi presentazione di parti architettoniche soggette a differenti condi-
e senza, per il momento, una netta suddivisione per argomenti. Va zioni di illuminazione170 .
invece sottolineato come, sotto l’apparente guazzabuglio di precetti, La struttura antologica assume nel nostro documento un impian-
il modo stesso della selezione di questi ultimi – pur nel rispetto della to che supera decisamente il carattere del semplice ‘zibaldone’.
compilazione vinciana, riconoscibile nella scelta di seguire l’ordine Mentre, come abbiamo visto, i «Capitoli aggiunti» e il testo su
(crescente o decrescente) di quei fogli – avvenga sovente contravve- Ombre e Lumi erano destinati ad integrare i contenuti del testo già
nendo, per interi brani, a quell’ordine con l’andare repentinamente elaborato nell’H 228 inf. per il Trattato della Pittura e pubblicato un
al principio, alla fine o in tutt’altro sito dell’originale: ciò indica la decennio dopo dal Du Fresne, le altre due sezioni appaiono mira-
volontà di giungere ad una stesura organica attraverso un progres- te ad altrettante collazioni nel settore delle scienze e delle tecni-
sivo riordinamento (se mai possibile!) di quello che era ritenuto da che dell’ingegneria, insomma ad un tentativo di ‘ricostruzione’,
Cassiano e dai suoi collaboratori il ‘meglio di Leonardo’ in materia per quanto improbo e parziale, di due di quei trattati – l’uno con
di scienza e tecnica dell’ingegneria, anche sotto l’aspetto dell’ag- prevalente taglio ingegneristico, l’altro fisico-teorico – cui si è
giornamento rinvenibile nei testi vinciani in rapporto alle diverse accennato a proposito dei programmi di Leonardo poi rimasti nel
epoche di stesura. cassetto. Anche l’ordine dato alle sezioni nel Codice napoletano
Se, dunque, si può riconoscere nelle singole parti del Codice una mostra lo scopo multidisciplinare che si intendeva perseguire con
connotazione disciplinare prevalente, molti sono i brani della sele- l’intera selezione.
zione sui temi più disparati atti ad interessare l’artista, lo scienziato Tra i capitoli più significativi nei diversi ambiti, troviamo quelli re-
o l’ingegnere; brani che, introdotti promiscuamente da Leonardo lativi alla teoria della visione e della rappresentazione dell’ambien-
in un medesimo foglio, vengono fatti salvi dal trascrittore. A ben te naturale e dei suoi elementi: dunque, questioni di prospettiva,
guardare, la dissertazione su Ombre e Lumi appare quella dotata di geometria, raffigurazione dell’uomo e del paesaggio, e teoria delle
maggiore organicità (a patto, però, di considerare il carattere ‘da- ombre anche con specifico riferimento agli interni architettonici.
tato’ di una parte di questi precetti, tratti dal Codice Atlantico, il Si indagano poi le scienze fisiche, naturali e applicate alle diverse
più antico degli originali ambrosiani, e, in ogni caso, di integrarli branche dell’ingegneria. In particolare si affrontano importanti temi
con testi sulla stessa materia presenti in altri codici) tanto da essere relativi alle leggi del moto e delle forze, alla statica, all’idrodinamica
considerata nell’Ottocento il risultato di una trascrizione fedele da e all’aerodinamica (il volo degli uccelli), alla geometria e alla fisica
un solo codice originale e non quello di una selezione ragionata terrestre, ma anche applicazioni all’ingegneria civile, militare, idrau-
da più manoscritti. lica e meccanica, non mancando infine di tornare sui principi di
ottica e di prospettiva, integrando (e in qualche caso persino ripe-
Proponiamo di seguito uno schema dal quale si può evincere la tendo) quanto esposto in precedenza.
corrispondenza tra le parti del Codice e quelle dei due apografi Tali argomenti che, verosimilmente, più stimolavano dal Pozzo,
milanesi con riferimento alle singole sezioni di questi ultimi e a appaiono dunque raccolti quali excerpta posti in successione per
quelle in essi mancanti: ‘blocchi’ di precetti su un medesimo tema. Ma un ordinamento
definitivo e organico deve essere risultato sin dall’inizio difficil-
Codice Corazza I/a I/b II III mente raggiungibile senza in qualche modo ‘manipolare’ i testi
H 227 inf. III I II Manca vinciani; cosa che, come ben si comprende, deve avere scorag-
H 229 inf. I Manca III II

Dal prospetto si trae conferma di quanto abbiamo già notato a pro- contributo sugli apografi ambrosiani. Cfr. C. P edretti, Copies of Leonardo’s lost
writings…cit., pp. 76-94.
posito del carattere di completezza che distingue il nostro Codice. 167
  Gugliemo Libri Carucci dalla Sommaja (1803-69) fu un insigne matematico
In particolare, notiamo che nell’H 227 inf. manca tutta la sezione (insegnò prima a Pisa, poi al Collège de France a Parigi) ma anche un accanito
più ricca in materia di scienze e di tecnica, mentre nell’H 229 inf. bibliofilo, rendendosi autore di clamorosi furti sia in Italia, presso la Biblioteca
Laurenziana di Firenze, sia presso l’Institut de France, ove, sfruttando la pre-
non c’è la parte su Ombre e Lumi, che tanto appassionerà il Venturi stigiosa carica di Secrétaire de la Commission du Catalogue général des manuscrits des
per i suoi studi di ottica. A margine della trascrizione integrale del bibliothèques publiques de France, fece oggetto delle proprie ‘attenzioni’ i codici
vinciani. Pubblicò importanti opere, tra cui la Histoire des sciences mathématiques
Codice potremo indicare, sulla base dello studio della Steinitz165, le en Italie, depuis la Renaissance des lettres jusqu’à la fin du 17me siecle, Paris, chez J.
concordanze dei «Capitoli aggiunti» con gli originali e con gli even- Renouard et C., 1840. Si vedano in particolare le pagine dedicate dall’autore a
tuali fogli corrispondenti del Libro di Pittura, individuando peraltro Leonardo ivi, t. XIII, pp. 10-57, in cui traccia un quadro sintetico ma circostan-
ziato della vicenda dei mss. vinciani attraverso l’opera del Venturi e i contributi
alcune imprecisioni nei riscontri già noti166. di altri studiosi coevi. Peccato che proprio lui si fosse reso autore, un decennio
prima, dell’incredibile manomissione di quei testi restando, di lì a poco, discre-
ditato per sempre.
168
165
  K. Trauman Steinitz, Bibliography never ends…cit., p. 102-103.   C. Pedretti, Studi vinciani…cit., pp. 262-263.
169
166
  Per le altre parti ci limiteremo a proporre i riferimenti agli originali, seb-   Codice Corazza, II, p. 1; H 227 inf., II, f. 1r.
170
bene con alcune precisazioni rispetto a quanto già indicato da Pedretti nel suo   Ivi, I/b, pp. 130-139, tavv. pp. 185, 187; H 227 inf., I, ff. 47v-51v, tavv. ff. 81-82.

Impianto e contenuti del Codice


45
§ 2 La selezione sulle teorie della visione
e della rappresentazione e i precetti in materia
di ingegneria edile, meccanica e idraulica

Analizziamo ora i contenuti di ciascuna sezione del docu-


mento con riferimento alle tematiche concernenti le teorie della
percezione e rappresentazione del paesaggio e del costruito, nonché
le scienze applicate ai vari ambiti dell’ingegneria. Questo lavoro, che
tiene conto, il più possibile, dell’autorevole ed amplissima bibliografia
prodotta sulla materia vinciana, s’intende finalizzato all’individuazio-
ne delle basi teoriche sulle quali tali discipline si fonderanno, a partire
dal primo Cinquecento, anche nell’ambiente meridionale, trovando
proprio nella ricerca di Leonardo quel punto di forza che, senza so-
luzione di continuità, animerà ancora due secoli più tardi il dibattito
teorico-architettonico e tecnico-scientifico nello Stato napoletano.

I «Capitoli aggiunti» presenti nella prima sezione sono tratti da


manoscritti vinciani databili tra il 1490 e il 1515 e in buona parte
complementari rispetto al Codice Atlantico. Richiesti, come si è
detto, da dal Pozzo insieme con il trattato su Ombre e Lumi quali
integrazioni del testo di base del Trattato della Pittura, essi mostrano
una struttura diversa anche dai corrispondenti capitoli del Libro di
Pittura (all’epoca ancora sconosciuto) e contengono, così come la
sezione su Ombre e Lumi, brani originali mai indagati con riferi-
mento a quest’antologia ‘mirata’, di cui il Carusi segnalò per primo
lo straordinario valore:

Che tale collazione sui manoscritti vinciani si sia tentata almeno in va-
rie epoche lo dimostra, a mio avviso, la nota marginale dei codici Ric-
cardiano e Magliabecchiano, la diversità dell’orientamento delle figure
geometriche e umane, alcune varianti caratteristiche, e principalmente
i due codici Ambrosiani [si tratta appunto dell’H 227 inf. e dell’H 229
Codice Corazza, c. 1640, sez. II, p. 1 (da originale perduto), illustrazione
del metodo «Per drizzare un’albero di nave». Napoli, Biblioteca Nazionale inf.] provenienti, come sembra, dalla biblioteca di Dal Pozzo, dove evi-
dente è il lavorìo di miglioramento del testo accorciato, collazionando i
giato persino l’instancabile ministro segretario, compromettendo manoscritti vinciani esistenti a Milano, indipendentemente dal Codice
l’auspicato esito in un’edizione a stampa 171. Urbinate che intanto era rimasto nascosto e dovette aspettare qualche
secolo prima di essere rimesso in giusto valore172.

171
  Prima di scendere nei dettagli del testo che più interessano per le varie materie, Nel nostro Codice, come del resto in tutti gli apografi che conten-
teniamo qui a segnalare osservazioni di carattere generale su temi filosofici legati al gono i «Capitoli aggiunti»173, si legge in proposito l’importante nota
senso più profondo della vita o alla forma e struttura del mondo. Così, ad esempio,
in alcuni fogli della terza parte del Codice tratti dal ms. F leggiamo riguardo alla redazionale di padre Gallo, cui abbiamo già rimandato a proposito
figura della terra: «De’ cinque Corpi regolari, contro alcuni Commentatori, che del rigore filologico della trascrizione:
biasmano gli antichi Inventori, donde nascon le Gramatiche, e le Scienze, e fansi
Cavalieri contro alli morti Inventori, e perche essi non han trovato da farsi Invento-
ri per la pigritia, e commodità de libri, attendono al continuo, con farsi argomenti Delle figure ricercate che non si mandano alcune suono pertinenti al
a riprendere li loro Maestri. Dicono la Terra essere tetracedonica, cioè cubica, cioè trattato della notomia delle cose naturali, et altre al trattato de colori
corpo di 6 base, e questo provano dicendo non essere infra corpi regolari, Corpo
di men movimento ne più stabile ch’el cubo, et al fuoco attribuiron il tetracedron, quali trattati suono nelle mani del Re d’Inghilterra, et perciò li capitoli
cioè corpo piramidale, la quale è più mobile secondo questi filosofi, che non è la in tal materia non si son confrontati. L’altri tutti suon confrontati e
Terra: Pero attribuirono essa piramide al fuoco, el cubo alla Terra. Il che se s’haves-
se a ricercare la stabilità del corpo piramidale, e compararla al corpo cubo, senza quanto alla verità del senso, e quanto alla frase del dire, se non quanto
comparazione è più mobile esso Cubo, che la piramide. […] Dico in effetto, che
stando la base del Cubo, e la base della piramide posta sopra un medesimo piano,
che la piramide volterà il 3°. Della sua quantità à sedere sopra l’altro suo lato, el
cubo volterà la quarta parte della sua circuizione a mutar l’altro lato per farsene loro forma e i rapporti reciproci e giungendo così a ragionare dei massimi siste-
base. Seguita […] che il Cubo dà volta intiera con la mutatione de 4 suoi lati sopra mi, sia pure ancora nel rispetto della dottrina neoplatonica e lontano dalle future
un medesimo piano, quando il triangolo, ò ver piramide darà sua volta intiera con acquisizioni della moderna scienza galileiana. Ancor più interessanti sono le con-
tre di suoi lati sopra esso medesimo piano, et il pentagono posera tutti li suoi cinque clusioni, riferite all’aspetto del Mondo visto dai «più remoti» e alle sue possibili
lati, e così quanti più lati ha, più facile ci ha il movimento, perche più s’avvicina alla trasformazioni: «Libro 4°. S’estende à mostrare, come l’Oceano con gl’altri Mari fa
sfera. Adunque io voglio inferire che la piramide, è di più tardo moto, che il Cubo mediante il sole splendere il nostro Mondo à modo di Luna, e à più remoti pare
in consequenza era da mettere essa piramide, e non il cubo per la terra» (ivi, III, ff. stella, e questo provo» (ivi, III, f. XIII). «Ogni grave tende al basso, e le cose alte non
VI-VIII). La frase «Dicono la Terra essere tetracedonica, cioè cubica, cioè corpo di restan in lor altezza, ma col tempo tutte discenderanno, e così col tempo il Mondo
6 base» è stata giustamente riconosciuta da Marinoni come un’autentica svista di resterà sferico, e per conseguenza fia tutto coperto dall’acqua, e le vene sotterranee
Leonardo, ossia una citazione ‘a memoria’, e quindi inesatta, di Alberto di Sassonia: resteranno immobili» (ivi, f. XXXIX).
172
infatti, mentre il tetraedro ha quattro facce, il cubo, o esaedro, ne ha sei. Ma, come   E. Carusi, Sulla redazione…cit., pp. 25-26. La ‘nota marginale’ («qui credo l’au-
si è visto nel brano citato, a Leonardo interessava fare un discorso più generale e tore sia scorretto») presente nei codici citati dimostrerebbe lo sforzo interpretativo
polemico contro i detrattori degli antichi. Nel successivo capitolo, dedicato alla non solo di prima mano, ma anche da una trascrizione all’altra, dovendosi intendere
«Figura degl’elementi» del mondo e anch’esso tratto dal ms. F, la teoria dei quattro per il Carusi, nel caso specifico, «l’autore» come «compilatore» del codice.
173
elementi primordiali – terra, acqua, aria e fuoco – viene affrontata analizzando la   Ossia il ms. Ganay, il Belt 36, l’H 227 inf. (III, f. 116) e l’H 229 inf. (II, f. 39).

Capitolo secondo
46
all’ortografia, quale nell’originale è un pocho corotta per la scrittura
rovescia e per essere alcuni scritti col lapis smarrito. Nel resto, se vi si
è trovata cosa che paia non faccia senso, o pur qualche parola manca si
è lasciata così per esser conforme all’originale, però da correggersi da
miglior giudizio. Oltre alla gionta che s’è cavata del modo di formar
paesi, et altri capitoli con sue figure che si mandano, si spera di cavar
anche il trattato dell’ombre e lumi, se bene con un poco di tempo174.

Nella nota si fa dunque riferimento, oltre che al trattato «dell’ombre


e lumi», anche a quelli «della notomia delle cose naturali» e «de co-
lori», che «non si suon confrontati» con gli originali – come invece
si era fatto su ordine di Cassiano per altri «capitoli» poco chiari – né,
quindi, si erano potute trarre le figure «ricercate» essendo quei codi-
ci in possesso del re d’Inghilterra Carlo I: si trattava, come riferisce
Verga175, dei manoscritti provenienti dalla raccolta di Pompeo Leoni
acquistati dal conte Arundel (prima, quindi, del 1637-1640) e in se-
guito passati al sovrano (oggi conservati a Windsor); manoscritti del-
la cui esistenza il cardinale Barberini doveva certo avere notizia per
averne richiesto copia, non sapendo però che essi avevano ormai ol-
trepassato la Manica. Come si evince dall’epigrafe dell’Ambrosiana
che ricorda la donazione da parte del conte Arconati, quest’ultimo
aveva più volte resistito ai tentativi fatti da Carlo I di ottenere, me-
diante l’offerta di una cospicua somma di danaro, anche una parte
dei manoscritti in suo possesso176.
Con la «gionta che s’è cavata del modo di formar paesi» si intendeva
in effetti integrare i precetti già destinati da dal Pozzo alla stampa,
onde formare un testo esaustivo in materia di percezione e rappre-
sentazione dell’architettura, della città e del paesaggio naturale; ma,
come si evince da un facile riscontro con il Trattato edito pochi anni
dopo, la selezione rientrerà solo in parte in quella pubblicazione,
come del resto nel Libro di Pittura pubblicato solo nel 1817, essendo
quindi destinata a restare sostanzialmente inedita. I preziosi conte-
Codice Corazza, c. 1640, sez. I/a, p. 34. Napoli, Biblioteca Nazionale
nuti di questi testi richiedono alcune considerazioni più generali
circa la ricerca vinciana su tali materie.
È noto come gli studi innovativi di geometria e di prospettiva in- costruzione prospettica e, quindi, dell’architettura, tema su cui com-
trapresi da Brunelleschi e da Alberti fossero proseguiti prima in am- pose un vero e proprio trattato che inserì nella sua opera del 1509.
biente urbinate, con Piero della Francesca e Francesco di Giorgio, Partendo dai concetti di proporzione e di armonia, nonché dall’a-
poi, con quest’ultimo e con frate Luca Pacioli, in ambito milanese nalogia tra i rapporti armonici musicali e quelli tra le parti dell’ar-
alla corte di Ludovico il Moro. In particolare Pacioli, partendo dalle chitettura, e tenendo sicuramente presenti gli esperimenti brunelle-
teorie proporzionali di Alhazen fino agli approfondimenti proposti schiani, egli seppe diffondere l’utilità della tecnica prospettica come
dal proprio maestro, Piero appunto, nel De perspectiva pingendi del metodo di misurazione ottico-grafica degli edifici in continuità
1475 e alle loro applicazioni da parte di Francesco di Giorgio alle con la tradizione dell’abaco. Così, nel prosieguo di quanto già in-
tradizionali tecniche di misurazione e rappresentazione degli edifici, dicato da Francesco di Giorgio, Pacioli giunge, con l’esclusione di
giunge alla prima vera sistematizzazione in materia di geometria e qualsiasi funzione trigonometrica e con l’adozione del rapporto
di architettura nei suoi numerosi scritti, dalla Summa de arithmetica tra l’intersezione della piramide visiva e la distanza dell’occhio
del 1494 al De Divina Proportione del 1509, di cui come sappiamo dall’intersezione stessa, a perfezionare il metodo prospettico, da
Leonardo elaborò le tavole illustrative. Questa esperienza fu quindi lui definito arte di «summa vaghezza e intellectual conforto»177.
decisiva per la maturazione di quei concetti che troviamo sparsi nei Prima di incontrare Pacioli, Leonardo era poco attrezzato in ambito
numerosi precetti vinciani sulla prospettiva. matematico, essendosi sottratto da ragazzo alla scuola d’abaco e man-
Pacioli, sulla scorta di Vitruvio, Alberti e dello stesso Piero, poneva candogli quindi nozioni fondamentali sulle operazioni con numeri
le discipline matematiche di tradizione abachistica alla base della frazionari e radicali: egli apprenderà proprio dal frate i rudimenti
della matematica e i principi della geometria euclidea178. Nell’elenco

174
  Segue: «Delle figure che si mandano altre suono appartenenti al trattato da costì 177
  F. Camerota, La prospettiva del Rinascimento. Arte, architettura, scienza, Milano,
mandato, che perciò in fronte suono signate con il numero del capitolo proprio, Electa Mondadori, 2006, p. 104.
altre suono appartenenti alla nova aggionta de’ paesi segnate con alfabeto conforme 178
  Cfr. P. Galluzzi, Leonardo, Pacioli e Savasorda, in Leonardo e il leonardismo…cit.,
all’alfabeto signato nell’istessa gionta». pp. 74-75. Nel campo della geometria, negli anni del ritorno a Firenze (1500-1506)
175
  E.Verga, Intorno alla donazione dei Codici di Leonardo, fatta da Galeazzo Arconati Leonardo si dedicò molto allo studio di Euclide, come si evince dai ms. del pe-
alla Biblioteca Ambrosiana (1637), in «Raccolta Vinciana», I (1905), p. 60. riodo (cod. K di Francia, cod. Madrid II e alcuni ff. del Codice Atlantico). Egli
176
  Ivi, pp. 61-62. Negli ultimi fogli dell’H 227 inf. si ritrova copia della memoria di aveva conosciuto a Milano nel 1496 Luca Pacioli, che andò con lui a Firenze nel
Mazenta presente, come abbiamo visto, in originale nell’H 228 inf.: Dozio appunta 1500, venendo impiegato dagli Ufficiali dello Studio fiorentino come Lettore di
sull’apografo (f. 1) che la parte di questa memoria pubblicata dal Venturi non è la matematica e concentrando la propria attenzione proprio sui tredici libri degli Ele-
stessa e che dal Gramatica furono pubblicati i soli ff. 119-124. menti di Euclide: Pacioli dovette contribuire notevolmente con i suoi insegnamenti

Impianto e contenuti del Codice


47
dei volumi in suo possesso, stilato nel 1504179, troviamo la versione la- Una trattazione esaustiva del pensiero di Leonardo in materia di
tina degli Elementi di Euclide curata dal Campano e una parte della prospettiva, come del resto in molti altri ambiti, è ancora tutta da
traduzione in volgare cui Pacioli stava lavorando con la collabora- farsi e richiederebbe non solo una minuziosa collazione e analisi
zione grafica dell’artista-scienziato e che pubblicherà nel 1509. Ma di tutti i suoi scritti sull’argomento ricavabili da codici e apografi
presto Leonardo recupererà, ponendo rimedio al ‘peccato originale’ (fino al Codice Huygens) ma anche competenze che vanno ben
e andando anzi ben oltre le premesse: a partire dal ms. M (1499-1500) oltre quelle di chi scrive. Qualche sforzo, però, ci tocca fare alme-
egli studia in maniera approfondita la geometria euclidea (sebbene no con riferimento ai «Capitoli aggiunti».
evitando di citarne le dimostrazioni e adottando semplici esempi Il ragionamento di Leonardo, cui sono stati dedicati recenti saggi
numerici) e passa da una proposizione o un teorema all’altro con dal Camerota 182 e dallo Scolari 183 , si basa sulla nota distinzione fra
l’aiuto di Pacioli. Quindi, con il fine specifico di produrre le illustra- tre tipi di prospettive: quella «lineale», ossia geometrica, fondata
zioni del De Divina Proportione, si dà allo studio dei poliedri, che per sul punto di vista, sulla piramide visiva e sul quadro prospettico,
quell’edizione dovranno essere rappresentati in perfetta prospettiva. codificata da Piero della Francesca; quella «de’ colori», una vera
Dopo Milano, anche a Firenze egli resterà in contatto con Pacioli, novità, almeno dal punto di vista teorico, basata sulla variazione
intento ora a compilare il De Viribus Quantitatis ad uso dei «sanza delle gradazioni cromatiche degli elementi rappresentati in fun-
lettere». Leonardo, proprio come il frate, nutre una vera passione per zione della distanza dall’osservatore; infine quella «aerea», che tie-
la geometria, che per lui è un divertimento, una sfida. Dall’arabo ne conto della sovrapposizione degli strati atmosferici proprio in
Alhazen, da Pacioli e da Cusano egli trae i principi espressi nel De ragione della distanza degli oggetti, e, quindi, misura la posizione
ludo geometrico del 1514: sappiamo quanto, almeno a partire dai primi degli edifici in rapporto alla «grossezza» dell’aria e alle conse-
anni del secolo (si vedano i mss. K e M di Parigi) lo appassionino guenti perdite cromatiche.
le trasformazioni dei solidi, specie quelle del tetraedro, poi la qua- Non bisogna del resto dimenticare che nel 1505 Jean Pélerin pubbli-
dratura del cerchio, le lunule e tanti altri temi, tratti segnatamen- ca il trattato De artificial perspectiva (ripubblicato nel 1509 e nel 1521),
te dagli studi di Nicola Cusano nel De transformationibus geometricis. in cui si distacca anch’egli dalla tradizione quattrocentesca della pro-
Proprio riguardo ai fondamenti geometrici del sapere vinciano, l’A- spettiva lineare e si avvicina, con l’adozione di un sistema a tre punti
moretti cita queste parole del maestro: di fuga, alle nuove idee che andava maturando Leonardo. Una pro-
spettiva ‘dinamica’, cui aderirà lo stesso Dürer nel suo trattato sulla
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci misura del compasso e sulla prospettiva, stampato nel 1525, in cui
sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’Universo); ma non si può inten- tiene conto delle più interessanti ricerche di Leonardo sulla trasfor-
dere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri mazione dei solidi e sui movimenti del corpo umano nello spazio,
nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son aderendo così al tema vinciano di una natura in continuo divenire184.
triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è im- Il contributo del maestro all’elaborazione della ‘nuova’ prospet-
possibile intenderne umanamente parola; senza questi è uno aggirarsi tiva verrà così stigmatizzato nel noto epitaffio vasariano del 1550:
vanamente per uno oscuro laberinto180. «Perspicuas picturae umbras oleoque colores illius ante alios docta
manu posuit»185. Per la prima volta, viene definita una prospetti-
E più avanti, riportando questa volta le parole del Venturi: va non geometrica, ma strumentale alle nuove esigenze di rap-
presentazione dei fenomeni naturali che la pittura ‘scientifica’ di
Lo spirito geometrico guidavalo in tutti i suoi studj, o volesse analizzare Leonardo validamente esprime186. Questi concetti si ritrovano nel
un oggetto, o volesse concatenare un ragionamento, o generalizzare le Libro di Pittura di Melzi, nel Trattato della Pittura del 1651 e, natural-
proprie idee. Egli sempre volea che l’esperienza precedesse il ragionar mente, nei brani dei «Capitoli aggiunti» riguardanti la percezione
sulle cose. e la costruzione prospettica 187, cui anche Corazza farà riferimento
nei propri scritti in materia.
Così questo «discepolo della sperientia» perfeziona su basi pratiche Va detto che accenni al proposito di Leonardo di redigere un trat-
il metodo della prospettiva, definendone i vari tipi e principi, e tato sulla prospettiva si ritrovano, oltre che nel citato Discorso sull’ar-
applicandolo anche alla figura umana. D’altra parte è ben noto, chitettura di Cellini, anche nel Libro di Pittura, sebbene in quest’ul-
grazie ai recenti studi della Fiorani 181 , come proprio il carattere timo manchino molte parti presenti nei mss. A, E, G che dovevano
sperimentale della scienza prospettica di Leonardo sia lontano da fungere da base per lo stesso trattato e che sono invece nel nostro
una sistematizzazione teorica, che verrà condotta solo a partire dal Codice e negli apografi milanesi: nei «Capitoli aggiunti» si avver-
XVII secolo da Desargues sulla base della nuova geometria proiet- te immediatamente la consistenza delle proposizioni, chiaramente
tiva, venendo sostenuta con forza da Abraham Bosse nell’ambito mirate a una selezione dei principi fondamentali della prospettiva
della Accademia francese. e così lapidarie da avere la dignità di un trattato, del resto più volte
annunciato da Leonardo, pur non restandone oggi alcuna traccia.

all’interesse di Leonardo per la geometria nel suo secondo soggiorno fiorentino. 182
In particolare fu allora che egli si appassionò agli studi in ambito algebrico e ge-   F. Camerota, op. cit., pp. 98 sgg.
183
ometrico attraverso il Liber embadorum (libro delle aree) del Savasorda, un ebreo   M. Scolari, Il disegno obliquo. Una storia dell’antiprospettiva, Venezia, Marsilio,
spagnolo dell’XII secolo, da cui lo stesso Pacioli trasse notevoli spunti per la sua 2005, passim. Sui tipi e diversi significati della prospettiva in Leonardo, cfr. pure A.
Summa de aritmetica e geometria (Venezia, 1494). Leonardo, che cita l’incipit del Liber Chastel, Leonardo da Vinci…cit., pp. 192-193.
184
nel foglio di Weimar, deve essersi dunque recato nella Biblioteca di San Marco a   C.Vecce, L’eredità vinciana nel Cinquecento, in Lumière et vision dans les science set
studiare la versione latina di quell’opera (c. 1140) oggi conservata nella Biblioteca dans les arts, «Hautes Études Médiévales et Modernes», n. 97, pp. 189-190.
Laurenziana. In particolare, a Leonardo devono aver interessato particolarmente le 185
  Id., Leonardo, Roma, Salerno Editrice, 2006, p. 429.
tecniche di divisione delle figure. 186
  F. Camerota, op. cit., p. 109.
179
  A. M arinoni, La biblioteca di Leonardo, in «Raccolta Vinciana», XXII (1987), 187
  Ulteriori osservazioni vanno fatte in materia di prospettiva «de’ colori», sulla
pp. 307 sgg. scorta di quanto sottolineato da Pedretti con riferimento ad alcuni precetti del Co-
180
  Cit. in C. Amoretti, op. cit., p. 143. dice II di Madrid che non trovano posto nella selezione di Melzi. Cfr. C. Pedretti,
181
  F. Fiorani, op. cit., passim. Leonardo da Vinci inedito…cit., passim.

Capitolo secondo
48
Leonardo da Vinci, illustrazioni del De Divina Proporzione di Luca Pacioli Ms. K 53r, c. 1506-1507; studi di «corpi lenticulari». Parigi, Institut de France
(1509) con figure poliedriche

Nel brano collocato, non a caso, proprio all’inizio del nostro apo- nella sua prospettiva adopra in contrio, conciosia, che nelle maggiore
grafo con il significativo titolo «Delle cose eguali, la più remota par distanze la cosa veduta si dimostra minore, e nella distanza minore la
maggiore» e tratto dal ms. E di Parigi (1513-15), Leonardo osserva: cosa par maggiore. Ma questa tale inventione costringe il veditore à star
con l’occhio a’ uno spiracolo, e all hora da tal spiracolo si dimostreran-
La pratica della Prospettiva si divide in due parti, delle quali la prima no bene. Ma poiche molti occhi s’abbattono a’ vedere a’un medesimo
figura tutte le cose vedute dall’occhio in qualunque distanza e questa in tempo una medesima opera perfetta con tal’arte, e solo un di quelli
se mostra tutte esse cose, come l’occhio le vede di minuto, e non è ob- vede bene l’officio della Prospettiva, e gl’altri tutti restan confusi. E gl’è
bligato l’huomo a star più in un sito, che in un altro [...]. Ma la 2a pratica dunque da fuggire tal prospettiva composta, et attenersi alla semplice,
è una mistione di prospettiva fatta in parte dall’arte, in parte dalla Na- la quale non vuol vedere parete in scorto, ma più in propria forma, che
tura, e l’opera fatta con le sue regole non ha parte alcuna, che non sia sia possibile. E di questa prospettiva semplice della quale la parete taglia
mista con la prospettiva naturale e con la prospettiva accidentale. Con la le piramidi portatrici delle specie all’occhio egualmente distanti dalla
prospettiva naturale, intendo esser la parete188 piana, dove è tal prospet- virtù visiva, ciò ne da sperienza la curva luce dell’occhio, sopra la quale
tiva effigiata, la qual parete ancora che ella sia di longhezza, e d’altezza tali piramidi si tagliano egualmente distanti dalla virtù visiva189.
paradella, ella è costretta diminuire le parti remote, più, che le sue parti
prime. Con la prospettiva naturale, intendo esser la parete piana, dove è
tal prospettiva effiggiata, la qual parete ancora che ella sia di longhezza,
e d’altezza paradella, ella è constretta diminuire le parti remote, più, che 189
  Codice Corazza, I/a, pp. 1-2. Cfr. pure Libro di Pittura…cit., pp. 407-463.
le sue parti prime […], e la sua diminutione è naturale; e la prospettiva Nelle carte di G. Bossi (Bibl. Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 E, sez. B, n. 1,
f.lo g, f. 59), tra gli appunti da lui tratti dal Codice Trivulziano, si leggono le
accidentale, cioè quella che è fatta dall’arte fa il contrario in se poiche seguenti proposizioni: «Prospettiva. Domandasi a tè Pittore perché le figure da
cresce nella parete scortata tanto più li corpi, che fra loro sono eguali, te fatte in minuta forma per dimostrazione di Prospettiva non pajono in pari
quanto l’occhio è più naturale, è più vicino alla parete, e quanto la parte dimostrazione di distanza grandi quanto le naturali levate di pari grandezza
alle dipinte sopra la pariete? E perché le cose apparenti in piccola lontananza in
d’essa parete, dove si figura è più remota dall’occhio, […] il che natura pari distanzia appajono maggiori che’l naturale?». «Pittura. Le cose di rilievo da
presso viste con un solo occhio parran simili ad una perfetta pittura». In materia
di «virtù visiva» si veda anche A.M. Brizio, Scritti scelti di Leonardo da Vinci, To-
rino, UTET, 1966, pp. 160-246, 397-405, in cui si citano i brani più significativi
188
  S’intenda il quadro prospettico. sull’argomento tratti dai mss. vinciani.

Impianto e contenuti del Codice


49
Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Libro
di Pittura (Codice Urbinate 1270), c. 1546, c. 78r,
prospettiva aerea. Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana

Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Libro


di Pittura (Codice Urbinate 1270), c. 1546, c. 152r,
illuminazione solare di città e di nuvole. Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana

Dunque, oltre ai tre tipi di prospettive già ricordati, Leonardo ne apparir assi il 2° maggiore esser circondato al minore. Le cose 2e. non
definisce altri, ossia la «naturale» e la «accidentale», prefigurando fiano mai di tanta grandezza, che le prime minori, non le occupino, e
la distinzione tra la prospettiva sul piano oculare curvilineo, per la circondino191. […] Quella cosa che è più appresso all’occhio, sempre
quale parte dall’antica pratica delle correzioni ottiche e dall’ottica apparisce maggiore, che un’altra di pari qualità, che sia più distante192.
medievale, e quella «fatta dall’arte», con le sue sorprendenti applica- […] Se tu non vuoi fare, che gli huomini, che riguardano la tua opera
zioni, tra cui l’anamorfosi190. stiino a un sol punto, tirati indietro con l’occhio, quando figuri la tua
Altri precetti dei «Capitoli aggiunti» riguardano fenomeni di perce- opera, almeno 20 la maggiore altezza, e larghezza della tua opera; e
zione visiva in relazione alla posizione e distanza degli oggetti dall’os- questa farà nell’immutar l’occhio del Risguardatore sì poca varietà, che
servatore e le conseguenti scelte in materia di rappresentazione: à pena si comprenderà, e fia assai laudabile193. […] Se vuoi fare in su un
Muro storto una figura, che paia in propria forma, e spiccata da esso
Niuna 2a. cosa fia tanto più bassa che la prima, che stando l’occhio di Muro, farai in questo modo. Fa’ d’havere una sottile piastra di ferro, e
sopra, la 2a. non li paia più alta, e quella cosa 2a. non fia tanto più alta, fagli un piccolo spiracolo nel mezzo, il quale sia rotondo, et accostaci
che la prima, che stando l’occhio di sotto non paia la 2a. sotto la prima. un lume in modo che lo tocchi nel suo mezzo, di poi poni quel corpo,
Se l’occhio riguarderà il 2° quadrato per lo centro del minor più vicino, ò figura, che più ti piace à detto Muro in modo, che lo tocchi, e segna
la sua Ombra in detto Muro, e poi la ombra, e dagli i suoi lumi, e fa, che
quello, che vorrà veder detta figura stia à quello medesimo spiracolo,
190 dove stette in prima il lume, e non ti potrai mai persuadere, che detta
  F. Camerota, op. cit., pp. 116-117. Altri testi di approfondimento sui tre tipi di
prospettive, rinvenibili nel ms. A (1490-92), non vengono trascritti nei «Capitoli figura non sia di spiccata dal muro194. […] Le cose di rilievo d’appresso
aggiunti» essendo già inseriti, in gran parte, nel testo del Trattato della Pittura da pub- viste con un sol occhio parran simili à una perfetta pittura195.
blicare: cfr. ms. A, ff. 1r-3r, 8v-11r, 23r, 27r, 28v, 36v, 38v, 41r-v, 103r, 105v, riportati da
A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 181-187, 213, 218-219. Tra essi il seguente: «Come
sono di 3 nature prospettive: la prima s’astende intorno alle ragioni del diminuire (e In altri passi il genio vinciano giunge davvero a ‘dipingere con la
dicesi prospettiva diminutiva) le cose che s’allontanano dall’ochio; la seconda con- penna’, rivelando le proprie doti anche in materia di estetica del
tiene in sé il modo del variare i colori che s’allontanano dall’ochio; la terza e ultima
s’astende alla dichiarazione come le cose devono esser men finite, quanto più s’al- paesaggio:
lontanano; e’ nomi sono questi: prospettiva liniale, prospettiva di colore, prospettiva
di spedizione» (f. 98r). Più avanti, riguardo in particolare alla prospettiva «aerea», si
legge: «Ecci un’altra prospettiva, la quale chiamo aerea imperò che per la varietà Li Paesi fatti nella figuration del Verno, non debbon dimostrar le sue
dell’aria si può cognoscere le diverse distanzie di vari edifici terminati ne’ loro montagne azzurre, come far si vede alle Montagne dell’Estate […]. In-
nascimenti da una sola linea, come sarebbe il vedere molti edifici di là da un muro
che tutti apariscono sopra alla stremità di detto muro d’una medesima grandezza,
fra le Montagne vedute in lunga distanza quella si dimostrerà di color
e che tu volessi in pittura fare parere più lontano l’uno che l’altro; è da figurare più azzurro, la qual sia di color più oscuro […]196.
un’aria un poco grossa […] Adunque farai sopra ‘l detto muro il primo edificio del
suo colore; il più lontano fàllo meno profilato e più azzurro, quello che tu voi che
sia più in là altretanto, fàllo altretanto più azzurro […]: e questa regola farà che gli Ancora, trattando degli «Aspetti de’ Paesi», il nostro osservatore di-
edifizi che sono sopra una linea parranno d’una medesima grandezza, chiaramente mostra la massima acutezza e quella capacità unica di vedere ad oc-
si conoscerà qual è il più distante e qual è maggiore che li altri» (f. . 105v). Cfr.
pure Libro di Pittura…cit., pp. 249-250. Altrove, come nel f. 13v del ms. G (1510-15), chio nudo ciò che, per noi ‘normali’, a stento è visibile con l’aiuto
riportato nella seconda parte del nostro apografo (f. 51), egli distingue: «La semplice degli strumenti:
prospettiva è quella che è fatta dall’arte sopra sito equalmente distante dall’occhio,
con ogni sua parte. Prospettiva composta è quella, che è fatta sopra sito, il quale con
nessuna sua parte è equalmente distante dall’occhio». È quanto del resto si ritrova, Quando il sole è all’oriente, tutte le parti alluminate delle Piante
con maggiore chiarezza, nella nota «Della prespectiva naturale mista cholla prespec- son di bellissima verdura, e q.° accade perche le foglie alluminate
tiva accidentale» del Codice Arundel (f. 62r), in cui Leonardo precisa: «Prespectiva
naturale divide chosì delle cose d’egual magnitudine la più remota si dimostra dal sole dentro alla metà dell’orizzonte, cioè la metà orientale, son
minore e de chon uso la più propingua si dimostra maggiore a tal proportione è trasparenti 197.
da diminutione ad diminutione quale è da distantia ad distantia. Ma la prespectiva
accidentale pone le chose inequali in varie distantie riservando la minore più vici-
na all’ochio che la maggiore chon tal distantia che essa magiore si dimostra essere Come nota Pedretti, Leonardo, prima di trasferirsi da Firenze a
minore di l’altre ed di questo è chausa il muro dove tal dimostratione è fighurata, il Milano nel 1482, realizzò nel 1473 quello che si può considerare il
quale a distantia inequale dall’ochio in ogni sua parte della sua lunghezza acquista
tal diminutione del muro e naturale, ma la prespectiva in esso figurata è accidentale, primo paesaggio nella storia dell’arte italiana, ossia la veduta della
perché in nessuna parte non si acchorda cholla vera diminutione del decto muro,
onde ne risulta che removendosi alquanto l’ochio dessa prespectiva risghuardatore
ogni cosa fighurata appariscie mostruoso, il che non ne interviene nella prespectiva
naturale la quale è difinita di sopra e così dunque diremo il quadrato abcd fighu- 191
  Codice Corazza, I/a, pp. 6-7.
rato di sopra essere un quadrato inscorto veduto dall’ochio situato in mezzo della 192
  Ivi, pp. 10-11.
largheza che à la sua froncte. Ma la prospettiva accidentale mista cholla naturale fia 193
  Ivi, p. 11.
trovata nel quadrato decto, cioè efgh, il quale à apparere all’ochio, che lo vede si- 194
mile al abcd stante l’ochio fermo nel primo sito infra cd e questo si dimosterrà fare   Ivi, pp. 12-13.
195
buono effecto, perché la perspectiva naturale del muro fa che tal muro ochultare il   Ivi, p. 34.
196
mancamento di tal mostruosità». Cfr. pure A. Agostini, Le prospettive e le ombre nelle   Ivi, pp. 4-5.
197
opere di Leonardo da Vinci, Pisa, Domus Galilaeana, 1954, pp. 40-41.   Ivi, p. 27.

Capitolo secondo
50
mostra più confuso, il quale è più remoto da terra; e questo nasce per-
ché più nebbia è infra l’occhio e la cima dell’edificio, che non è dall’oc-
chio alla sua basa. La torre parallela veduta in lunga distanzia infra la
nebbia si dimostrerà tanto più sottile, quanto ella fia più vicina alla sua
basa. Questo nasce per la passata [proposizione], che dice: La nebbia si
dimostra tanto più bianca e più spessa, quanto ella è più vicina alla terra,
e per la 2a di questo, che dice: La cosa oscura parrà di tanta minor figura
quanto ella fia veduta in campo più di potente bianchezza. Adunque,
essendo più bianca la nebbia da piedi e da capo, gli è necessario che la
oscurità di tale torre si dimostri più stretta da piedi che da capo[…]201.
Della veduta d’una Città in aria grossa. L’occhio, che sotto di se vede la
città in aria grossa, vede le sommità degli edifizi più oscuri, e più noti,
che il loro nascimento, e vede le dette sommità in campo chiaro, perche
vede nell’aria bassa, e grossa […]202.
Li edifici veduti in lunga distanzia di sera o mattina in nebbia o aria
grossa, solo si dimostra la chiarezza delle lor parti aluminate dal sole,
che si trova inverso l’orizzonte, e le parti delli detti edifici che non
son vedute dal sole restano quasi del colore di mediocre oscurità di
nebbia[…]203.
Bello spettacolo fa il sole quando è in ponente, il quale alumina tutti li
alti edifici delle città e castella, e gli alti alberi delle campagne, e li tinge
del suo colore; e tutt’il resto da lì in giù rimane di poco rilievo, perché,
essendo solamente aluminato dall’aria, essi hanno poca differenzia dalle
loro ombre ai loro lumi, e per questo non ispiccano troppo […]204.
Quando il sole è all’oriente, e l’occhio sta sopra il mezzo di una città,
esso occhio vederà la parte meridionale d’essa città aver li tecti mezzi
ombrosi e mezzi luminosi, e così la settentrionale; e la orientale fia tutta
ombrosa, e la occidentale fia tutta luminosa205.

L’argomento ci induce a spingerci fino alla seconda parte del no-


stro Codice che, per quanto più specificamente dedicata alle scien-
Codice Corazza, c. 1640, sez. III, p. CXVI, illuminazione solare della ze dell’ingegneria, ospita utili approfondimenti e integrazioni an-
superficie dell’acqua ondosa. Napoli, Biblioteca Nazionale che in materia di teoria della visione e della rappresentazione206.

201
vallata dell’Arno presa da Monte Albano verso il padule di Fucec-   Ivi, p. 326.
202
  Ivi, p. 322.
chio198: la rappresentazione si avvale di una resa ‘impressionistica’ di 203
  Ivi, p. 326. Allo stesso tema si riferisce l’osservazione (ibidem): «Quella parte del
derivazione fiamminga molto simile a quella ritrovabile nella coeva vicino edificio si mostra più confuso, il quale è più remoto da terra; e questo nasce
veduta di Firenze detta ‘della catena’ di Francesco Rosselli (1472). Si perché più nebbia è infra l’occhio e la cima dell’edificio, che non è dall’occhio alla
sua basa. La torre parallela veduta in lunga distanza infra la nebbia si dimostrerà
sa del resto, dai precetti sul «ritrar siti e paesi» presenti nel Libro di tanto più sottile, quanto ella sia più vicina alla sua basa». Nel Codice Arundel (f.
Pittura, che Leonardo raccomandava la pratica della ripresa dal vero, 169r) troviamo sullo stesso argomento: «Li edifizi inver ponente, sol si dimostra la
lor parte luminosa, poi che ‘l sol si scopre; e ‘l resto le nebbie lo occultano. […]
da eseguirsi anche con l’uso del prospettografo, concepito come una Quanto più l’aria sarà grossa, li edifizi delle città e li alberi delle campagne parranno
vera e propria macchina fotografica199. più rari, perché sol si mostreranno e più eminenti e grossi». E nel Codice Atlantico
Tutto ciò va integrato con i «precetti» del Libro di Pittura in ma- (f. 130v-b): «Perché le torri e campanili in lunga distanzia, essendo di grossezza
parallela, paian piramidali, di piramide sottosopra. Questo nasce perché l’aria che
teria di percezione del costruito e del paesaggio urbano, che sarà più s’abbassa, essendo grossa e nebbiosa, più occupa; e quell’obbietto che più è oc-
utile riportare per un quadro esaustivo del contributo di Leonardo cupato, più cela la notizia de’ sua stremi; onde la notizia dell’obbietto resta inverso
la sua linia centrale».
su questo tema: 204
  Libro di Pittura…cit., p. 333.
205
  Ivi, p. 451. Sul tema dell’orizzonte in Leonardo, cfr. gli interessanti contributi
Quella parte dell’edificio sarà manco evidente, che si vedrà in aria di V. Valerio, Leonardo, Leopardi e i loro «orizzonti», in Leonardo, genio e visione in
terra marchigiana, catalogo della mostra, Ancona 2005, a cura di C. Pedretti, Foligno,
di maggior grossezza; e così de converso sarà più noto che fia ve- Cartei e Bianchi Editori, 2005, pp. 119-121; Id., L’Orizzonte e l’Infinito in Leonardo,
duto in aria più sottile. Adonque l’occhio n, vedendo la tor- in Ikhnos. Analisi grafica e storia della rappresentazione, Siracusa, Lombardi, 2005, pp.
re ad, esso ne vedrà in ogni grado di bassezza parte manco nota e 11-40. Interessante poi è quanto si legge tra gli appunti di Bossi (Bibl. Ambrosiana,
Fondo Bossi, S.P. 6/13 E, sez. B, n. 1, f.lo g, f. 60): «Le seguenti osservazioni […], che
più chiara, et in ogni grado d’altezza parte più nota e men chiara200. appartengono alla materia del Trattato della Pittura, furono scritte da Leonardo con
Dell’altezze delli edifici visti nelle nebbie. Quella parte del vicino edificio si matita rossa dietro un disegno rappresentante un piede di donna. Questo disegno
può vedersi nella Galleria portatile regalata all’Ambrosiana dal Padre Resta». Vi
leggiamo tra le altre proposizioni: «Meglio si spedisce la sommità delli monti, e
dell’alti edifizj nelle nebbie e arie grosse, che i loro principj, e in ogni grado di
198
  Libro di Pittura…cit., p. 15. Disegno conservato agli Uffizi. altezza acquistano grado di oscurità».
199
  Pure significativi sono i brani dei «Capitoli aggiunti» riguardanti le proporzioni 206
  Ad esempio, in brani trascritti dai mss. G, F e I compaiono altre interessanti
individuabili nei caratteri anatomici e i conseguenti metodi di rappresentazione «Proposizioni di prospettiva»: «In frà le cose simili, et equali poste l’una doppo l’altra,
dell’uomo e del cavallo, e in particolare della figura umana in movimento, ma an- con una data distanza si dimostrerà maggior differenza nelle lor grandezze, quanto
che il modo di raffigurare i «vestimenti» con le loro pieghe, per i quali Leonardo esse saranno più vicine all’occhio che le vede; et così di converso si dimostreranno
mostrerà sempre particolare interesse nei suoi disegni e dipinti. infra loro di men varietà di grandezza, quanto esse sono più remote dal predetto
200
  Libro di Pittura…cit., p. 321. occhio» (Codice Corazza, II, p. 46); «Delle cose equali tal proporzione è da gran-

Impianto e contenuti del Codice


51
Di essa vanno tra l’altro segnalati i brani tratti dal ms. B in cui ciando a notare il gioco di luci e ombre sulle piante, sulle foreste e
Leonardo, applicando il metodo della restituzione prospettica per sui prati208. Invece, nel nostro caso, si tratta della selezione voluta da
il rilevamento topografico, spiega il «modo di misurare altezze, e Cassiano dai mss. A e C209, oltre che dal Codice Atlantico, compreso
larghezze, e distanze senza moversi di piedi» e descrive il caso del il Proemio all’opera di ottica contenuto nel f. 250 r-a di quest’ultimo210.
calcolo dell’ampiezza di un fiume207 a partire dalla misura nota di Nel 1818 il Venturi, pur apprezzando il testo di Melzi appena pub-
un oggetto posto sulla sponda opposta a quella dell’osservatore: si blicato dal Manzi, lo giudicherà ancora lacunoso proprio in materia
tratta di un tema già da tempo affrontato da studiosi come Taccola di ottica211: di conseguenza, pur avendo attinto agli originali parigini
o Francesco di Giorgio Martini, che egli riprende arricchendolo sin dal 1796212, lo scienziato considererà a ragione la copia napole-
delle sue preziose osservazioni. tana di Bossi in più punti complementare rispetto alle proprie tra-
scrizioni213; i contenuti dell’apografo si riveleranno infatti, come più
La sezione I/b della prima parte del Codice è di peculiare impor- innanzi vedremo, di peculiare importanza per lo studioso reggiano.
tanza poiché corrisponde a quella bozza di trattato su Ombre e Lumi Nella citata nota editoriale in calce ai «Capitoli aggiunti» la compi-
che tanto appassionò coloro che studiarono l’apografo in epoca na- lazione del trattato su Ombre e Lumi viene annunciata come pros-
poleonica, in mancanza degli originali e degli altri apografi portati a sima, occorrendo solo «un poco di tempo»: sebbene il testo vada
Parigi. Abbiamo già notato l’importanza di questa sezione anche per integrato con numerose altre «proposizioni» ritrovabili nel resto
la possibilità che offre di recuperare i contenuti e i grafici di numerosi dell’apografo – si pensi solo alle osservazioni sull’occhio, sulle lenti e
fogli del ms. A perduti nel corso delle manomissioni ottocentesche. sugli specchi tratte dal ms. F – e nei citati codici di epoca successiva,
Il titolo fa subito pensare a una semplice trascrizione del ms. C non si può negare il carattere compiuto di questa selezione ordinata
«De lumine et umbra», ossia di quel codice sull’ottica compilato da da Cassiano, in un primo tempo destinata ad essere allegata, forse in
Leonardo nel 1490-91 ma non utilizzato da Melzi, probabilmente appendice, al testo da pubblicare a Parigi, integrandolo anche nelle
perché ritenuto non aggiornato circa i successivi studi di Leonardo, immagini214. Invece il mancato inserimento di questa compilazione
rinvenibili nel ms. D del 1508-9, nel Codice Arundel (1510-15) e nel – e soprattutto delle illustrazioni così fedeli agli originali vinciani –
perduto Libro W: dopo il 1500 Leonardo trasferirà le osservazioni su nell’edizione del 1651 ha fatto sì che quest’ultima risulti poco atten-
«ombre e lumi» dall’interno del proprio studio verso la natura e il dibile, come ha dimostrato la Fiorani215, specie nell’apparato grafico
paesaggio, dando sempre maggiore importanza al colore e comin- e, in più di un caso, fortemente equivoca a causa delle manipolazioni
presenti negli apografi ‘abbreviati’ per essa utilizzati. Un confronto
sistematico tra l’editio princeps francese e il trattato su Ombre e Lumi
dezza a grandezza quale è la distanza dell’occhio che lo vede» (ivi, f. 47); «Delle cose
contenuto nel nostro Codice consentirebbe allora l’individuazione
remosse dall’occhio con equal distanza dal lor primo sito, quella meno diminuisce, delle interpretazioni errate sulla teoria di Leonardo in questo ambi-
che prima era più distante da ess’occhio» (ivi, f. 59); «Delle cose d’equal grandezza to, fondate per oltre due secoli, anche dopo la prima diffusione del
poste in distanza equale dall’occhio, quella parrà maggior, che fia più luminosa. Delle
cose equali equalmente rimosse dall’occhio la più oscura parrà minore» (ivi, f. 65); Libro di Pittura ad opera di Manzi, quasi esclusivamente sull’edizione
«Quella cosa oscura, che fia veduta in campo chiaro si dimostrerà minore, che essa seicentesca216. Tali travisazioni sono addirittura proseguite fino agli
non è. Quella cosa chiara si dimostrerà di maggior figura, che sarà veduta in campo
di più oscuro colore. Quella cosa d’uniforme grossezza, e colore, che sarà veduta in
campo di disuniforme colore, si dimostrarà di disuniforme grossezza. E se una cosa
d’uniforme grossezza, et di vari colori sarà veduta in campo d’uniforme colore essa 208
  Cfr. M. R zepinska, Light and shadow in the late writings of Leonardo da Vinci,
cosa si dimostrerà di varia grossezza. E quanto i colori del campo, ò della cosa nel in «Raccolta Vinciana», XIX (1962), pp. 259-260; C. P edretti, Leonardo da Vinci
campo veduta, sarà di colori ch’habbino maggior varietà, all’hora le grossezze pare- inedito…cit., p. 31.
ranno più varie, ancora, che le cose nel campo vedute siano di pari grossezza» (ivi, 209
  Del ms. C vengono utilizzati ben 25 fogli su 32, potendosi comunque ritrovare
ff. 87-88). In un brano tratto dal ms. E (f. 80v) si torna sui tipi di prospettive utili al concetti analoghi a quelli dei restanti fogli anche in altre «proposizioni» di questa
pittore: «Tre sono le parti della prospettiva di che si serve la pitura, delle quali la pri- parte dell’apografo, oltre che nella I/a.
ma s’estende alla diminutione della quantità de corpi opachi: la 2.a delle diminutioni 210
  Il Proemio, con la suddivisione annunciata da Leonardo in sette libri, è riportato
et perdimenti delli termini d’essi corpi opachi: la 3.a è della diminutione et perdi- anche dalla Brizio in Scritti scelti…cit., pp. 180-181. Riguardo ai precetti in materia di
menti de colori in longa distanza» (ivi, f. 84). In altri brani della seconda parte del ottica, ombre e luci contenuti nel Codice Atlantico, vedi pure D. Argentieri, L’ot-
nostro Codice (ff. 82-85) tratti dal ms. F si analizzano le deformazioni prospettiche tica di Leonardo, in Aa.Vv., Leonardo da Vinci, Novara, De Agostini, 1966, pp. 405-436.
dei corpi «opachi», gli effetti della percezione dovuti allo spostamento di un corpo 211
  In realtà, il Libro di Pittura rivelava testi sino ad allora sconosciuti, come quelli
rispetto alla posizione iniziale – calcolabili in proporzione della distanza originaria
contenuti nel perduto Libro W della lista di Melzi, cui questi aveva fatto riferimen-
dell’oggetto dall’osservatore – e, viceversa, i caratteri della prospettiva in condizioni
to per l’argomento e che doveva essere uno studio assai più ampio e aggiornato
di mobilità del punto di vista: «Niun corpo opaco di sferica figura, che da doi occhi
rispetto al ms. C. Peraltro il «creato» di Leonardo vi aggiunse anche altre note tratte
veduto sia si dimostrerà mai di perfetta rotondità. […] Quanto più la cosa s’avvicina
dal Libro B (identificato da Pedretti con il ms. E).
all’occhio, tanto si dimostra per maggior angolo, et la similitudine di essa cosa fa 212
l’opposto, impero che quanto si misura più appresso all’occhio, tanto si dimostra di   Si vedano i carteggi del Fondo Venturi della Biblioteca Civica di Reggio Emilia.
213
minor figura. […] Intra li corpi opachi d’equal magnitudine, tal sia la diminuzione   Teniamo presente che il Codice Arundel era ancora in Spagna all’epoca del
delle lor figure in apparenza qual quella delle lor distanze dall’occhio, che le vede; Venturi.
214
Ma tal proporzione è conversa, perche dove la distanza è maggiore, il corpo opaco   Ad esempio, nell’H 227 inf. e nel Codice Corazza (I/b, p. 145) si rimanda di-
si dimostra minore, et dove la distanza è minore, esso corpo si dimostra maggiore, rettamente al testo del Trattato, già compilato e pronto per la stampa, a proposito
et di qui nasce la prospettiva lineale. Ogni corpo per longa distanza perde prima dei capitoli sui ‘riflessi’: «A questo medesimo trattato s’appartengono tutti i capitoli
quella parte di corpo, la quale in se è più sottile, come à dire d’un cavallo, si perderà sulle riverberazioni, et riflessi, che dal num°. 75 al n°. 88 nella materia [ossia nel
prima le gambe che la testa, perche le gambe son più sottili d’essa testa, et prima trattato] della pittura si trovano». Cfr. pure F. Fiorani, op. cit., p. 94.
215
si perderà il collo, che il busto per la medesima detta, dunque seguita, che l’ultima   F. Fiorani, op. cit., pp. 89-93.
parte che della cognizione del cavallo fia all’occhio riservata, sarà il busto restato in 216
  Così ad esempio nell’edizione del Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci
forma ovale, ma più tosto traente al colonnale, et perderassi prima la grossezza, che con aggiunte dal Codice Vaticano pubblicato da Guglielmo Manzi, Milano, Soc. Tipo-
la longhezza […]. Se l’occhio è immobile, la prospettiva termina la sua distanza in grafica de’ classici italiani, 1859, p. III, si legge che «benché nel 1817 Guglielmo
ponto, ma se l’occhio si move per retta linea, la prospettiva termina in linea, perche Manzi ne desse in Roma una nuova edizione con aggiunte tratte da un codice
è provato da linea esser generata dal moto del ponto, et il moto è in ponto, et per della Vaticana, noi non abbiam creduto bene di riprodurla nella sua interezza
questo seguita, che chi move il vedere, move il ponto, et chi move il ponto genera la poiché ci parve che i lunghi discorsi sull’Ombra e Lumi, sulla Prospettiva, su-
linea. […] Se invisibili sono li veri estremi de corpi oppachi in qualunque minima gli Alberi e Verdure, sulla Natura de’ Nuvoli, sull’orizzonte, anzi che parti di
distanza, maggiormente saranno invisibili nelle lunghe distanze; e se per li termini si esso Trattato (ove per altro già sono toccati quegli argomenti) potessero essere
conosce la vera figura di ciascun corpo opaco, et mancando per distanza la cognizio- considerati come lavori distinti e fors’anco di mano diversa. Così parimente, se
ne d’esso tutto, maggiormente mancherà la cognizione delle sue parti».Viene infine veggonsi conservate le stesse Figure che accompagnavano le Memorie storiche su la
affrontato il tema della percezione dei raggi solari che colpiscono superfici di corpi vita, gli studi e le opere di Leonardo scritte dall’Amoretti, ciò è stato perché alcune
solidi e liquidi, come la superficie terrestre e quella «dell’acqua ondosa». di esse giovano tuttavia per meglio illustrare alcuni capitoli dell’opera, nella
207
  Ivi, ff. 17-18, 41-42. Cfr. pure ivi, III, ff. II-III. quale si troveranno citate». Cfr. pure F. Fiorani, op. cit., p. 94, n. 82.

Capitolo secondo
52
Ms. A, f. 38r, c. 1490-92; studi di prospettiva. Parigi, Institut de France Ms. C, f. 2r, c. 1490; studi di prospettiva. Parigi, Institut de France

inizi del XX secolo, come dimostrano l’edizione di Angelo Borzelli dimostrazioni in materia de’ luminosi raggi, par non si curi nell’istesso
del 1913 e quella francese del 1910, in cui alle illustrazioni dell’editio caso delle dimostrazioni degli ombrosi, et per il contrario mentre tratta
princeps viene data la medesima importanza dei grafici originali del delle ombre, mostrasi non curante de lumi e similmente alle volte par
Libro di Melzi. mancante nel citar la terza decima, l’ottava, la quarta, et il simile nel
Il carattere complementare del testo in esame rispetto a quello del primo, secondo, ò terzo libro, non havendo ancora essi libri ordinato.
1651 è confermato dalla nota redazionale posta alla fine del testo, da Può il Lettore non dimeno aggiungere alle proposizioni le sue conver-
attribuirsi peraltro direttamente alla volontà di Cassiano dal Pozzo se, et nel medesimo modo proporzionalmente discorrere de’ lumi, e
di rendere evidente al lettore, e segnatamente al cardinale Barberi- dell’ombre, et le citate proposizioni supponere al suo loco […]217.
ni, la fedeltà della trascrizione; essa mostra come, in questo caso, il
ministro pontificio non prevedesse ulteriori elaborazioni delle ‘basi’ In questi «precetti» Leonardo formula tra il 1480 e il ‘92 – sebbe-
fornite dai frati impegnati presso l’Ambrosiana, affidando piuttosto ne come al solito in forma incompleta e disordinata – importanti
al lettore ogni approfondimento o riordinamento delle «proposizio- considerazioni in materia di ottica, fotometria, catottrica e teoria
ni» in materia: delle ombre, distinguendo le diverse condizioni ed effetti dell’illu-
minazione: la trattazione, secondo quanto da lui previsto, si sarebbe
Dovendosi unire il presente trattato de lumi, et ombre al trattato del-
la pittura già benissimo ordinato, non se gli è dato nel transcriverlo
altr’ordine, che quello, che la confusione de libri, et il capriccioso, ò per
217
dir meglio misterioso disordine dell’Autore ha somministrato. Non s’è   In alcuni casi, a margine del testo si trovano chiose riguardanti proposizioni
«contrarie, e converse», attribuibili a Cassiano dal Pozzo, assumendo egli stesso,
potuto per questo mancare di porre nel fine della presente selva due in un certo senso, il ruolo destinato al lettore nella nota citata. Nella sua trascri-
divisioni proposte dal medesimo Autore nella presente materia, acciò si zione dal Codice napoletano, su cui più avanti ci soffermeremo, Bossi appunterà
dalla nota redazionale questo breve testo: «Volendosi unire questo Trattato a
comprenda l’intenzione di quello. Come ancor benissimo si potrà co- quello di Pittura, non se gli è dato l’ordine che porta il Libro già ben ordinato
noscere, che se bene egli non hebbe espressamente per estenso scritto della Pittura, ma si è copiato com’era. Avvertasi che le Proposizioni de’ raggi
tutto quel tanto che alla perfezione di questo trattato si richiederebbe, luminosi debbono egualmente applicarsi ai raggi ombrosi e viceversa. Ogni
proposizione secondo lo stile di Leonardo debbe avere la sua conversa. A questo
hà nondimeno egli con bonissima arte esposto tanto, che l’Ingegno del medesimo Trattato appartengono i capitoli dal n. 75 all’88 del Trattato stampato
lettore possa à pieno arrivare alla cognizione insino all’ultima verità. della Pittura». A sua volta il Venturi scriverà nella sua copia tratta da quella di
Bossi: «Questo trattato al pari degli altri scritti di Leonardo non ebbe la sua
Et se egli se non ad alcune poche proposizioni pone le loro contrarie, prefazione da lui. […]». Cfr. G.B. De Toni, G.B. Venturi e la sua opera vinciana.
e converse, non curandosi di aggiungere a ciascuna la sua; se facendo Scritti inediti e l’Essai, Roma, P. Maglione e C. Strini, 1924, p. 60.

Impianto e contenuti del Codice


53
articolata in sette «libri»218. In particolare, nelle tavole compaiono Ci sembra significativo, tra gli altri, il passo in cui, nell’occuparsi
numerosi esempi di applicazione della teoria delle ombre agli inter- «Dell’utilità dell’ombre», egli sottolinea l’importanza della «scienza
ni di ambienti architettonici, che torneranno nelle carte di Windsor, dell’ombra e lume» per le arti visive, considerando in particolare la
sebbene senza un eguale approfondimento219: Leonardo si sofferma pittura quasi come una tecnica ‘magica’ per la sua caratteristica di far
tra l’altro sul fenomeno della penetrazione dei raggi solari attraverso «parere» sul piano una realtà tridimensionale:
finestre di varie forme e grandezza, analizzando le differenti situa-
zioni di ombreggiatura di un vano e degli oggetti in esso esistenti. Si come l’occhio non discerne le figure de’ corpi dentro alli loro
Ronchi220 sottolinea come il contributo di Leonardo in materia di termini se non per il mezzo delle ombre, e lumi, così molte sono
ottica sia, in fondo, limitato, viste le difficoltà che avevano a quell’e- le scienze che nulla sarebbono senza la scienza dell’ombra, e lume,
poca tutti coloro che aspiravano a muoversi in quel groviglio di mi- come la pittura, la scoltura, la stronomia, e in gran parte la prospet-
steri che caratterizzava ancora questo campo della scienza. Leonardo tiva, e simili. Provasi che lo scoltore non opera senza l’aiuto dell’om-
è ossessionato dalla necessità di spiegare, attraverso il meccanismo bra, e de’ lumi, la materia scolpita restarebbe tutta d’un colore: […] è
della visione, quello della rappresentazione e, quindi, della pittura; si provato, come la superficie piana alluminata d’equal lume non varia
avvia allora sul campo minato dell’ottica sforzandosi in tutti i modi in parte alcuna la chiarezza, ò oscurità del suo natural colore, e per
di venirne a capo, ma alla fine, nonostante le numerose intuizioni questa equalità di colore si prova l’equalità della planitie di tal su-
che, in molti casi, anticipano quelle di grandi scienziati del Sei e Set- perficie; seguita dunque, che se la materia scolpita non fosse vestita
tecento, non giunge ad una scienza compiuta, dovendosi attendere d’ombre, et di lumi tali, quali richiede il rilievo delli muscoli, e le
per questa ancora molto tempo. concavità infrà essi rilievi interposte, tal scoltore non vederebbe al
Per meglio comprendere ciò che Leonardo esprime in fatto di teo- continuo la sua operazione, tal qual richiede l’opera da lui scolpita,
ria delle ombre in questa parte del nostro Codice, possiamo riferirci e sarebbe tall’operatione fatta nel chiaro, quasi come se nella tene-
a quanto osserva il Camerota circa la distinzione vinciana tra ombre brosa notte lavorata stata fosse. Ma la pittura mediante tali ombre, e
«congionte», ossia proprie del corpo illuminato, e «separate» (ossia lumi, in piane superfici fa parere li siti concavi, e rilevati, e separa-
portate) nonché, all’interno di queste ultime, tra «primitive» (quelle ti l’un dall’altro con varie distanze, per diversi aspetti, et cetera222 .
scure, interne al fascio ombroso) e «derivative» (quelle rischiarate
da una luce secondaria). Leonardo sottolinea in varie occasioni la L’interesse di Leonardo per questi fenomeni è da porsi in diretta re-
difficoltà di riprodurre le ombre, che a differenza dei «lineamenti» lazione con altri ambiti della sua ricerca223: così, ad esempio, la teoria
non possono essere «lucidate» su fogli trasparenti: è lo specchio lo ondulatoria della luce trova una diretta analogia con quella che egli
strumento più fedele per tale lavoro e per questo egli approfondisce teorizza similmente riguardo all’acqua e al suono, alle onde e alle
le leggi della catottrica e quanto espresso sull’argomento a partire vibrazioni, e quindi al moto armonico. Ed è proprio precorrendo
da Euclide fino a Brunelleschi. Ma in materia di ottica, fisiologia la meccanica ondulatoria che Leonardo ribalta la teoria consolidata
dello sguardo e studio anatomico dell’occhio, la questione è assai dello studioso polacco Vitellione (di cui, sulla scorta di Pacioli, cer-
più complessa: partendo dalle basi euclidee e dell’ottica medievale, tamente studia l’Ottica) secondo la quale sarebbe l’occhio ad inviare
Leonardo si convince di alcuni concetti poi rivelatisi inesatti, come verso l’oggetto innumerevoli raggi («scorze»), rendendolo così visi-
ad esempio quello secondo cui l’immagine appare dritta sulla reti- bile: è invece l’oggetto a riflettere le «spezie» luminose, o «simulacri»
na, mentre Keplero dimostrerà un secolo più tardi essere capovolta. (spesso li definisce «virtù visiva», ossia il mezzo della visione), oggi
Non va comunque sottovalutato il suo contributo sulle proprietà diremmo i fotoni, permettendo così all’occhio di carpirle. O, ancora,
della camera oscura, che egli assimila all’occhio umano, e delle lenti egli fornisce una soluzione ‘meccanica’ (ma niente di più) al cosid-
concave e convesse, che lo portano ad anticipare gli studi che il detto «problema di Alhazen», riguardante l’individuazione del cam-
napoletano Giovanni Battista Della Porta svolgerà nella sua Magia mino di un raggio luminoso che parte da una fonte, si riflette su uno
Naturalis del 1589. Proprio l’esame del fenomeno della camera oscu- specchio sferico e giunge all’occhio di un osservatore in una posi-
ra, in cui Leonardo riprende gli studi arabi fino a quelli di Alhazen, zione data224; si occupa poi del fenomeno della rifrazione (diottrica),
lo esalta a tal punto da esclamare: anche con riferimento all’atmosfera terrestre, ma, non conoscendo
né l’algebra (se non quella elementare) né la trigonometria, non
O magica visione, quale ingegno potrà penetrare tale natura? Qual lin- arriva a una legge generale; in compenso, però, scopre ben prima di
gua fra quella che displicar possa tal meraviglia? Questo drizza l’umano Newton la composizione dello spettro solare.
discorso alla contemplazione divina221. Partendo da Euclide e da Tolomeo, Leonardo analizza in dettaglio
la fisiologia dell’occhio e in particolare la pupilla, l’asse ottico, la
visione stereoscopica binoculare, le ‘illusioni’ ottiche, giungendo
218
  Codice Corazza, I/b, pp. 139-141, paragrafo dal titolo: Ombra, è privation di luce, in due secoli prima di Bouguer a definire il principio fondamentale
cui sono elencati i contenuti dei sette «libri». Così il Venturi: «Da un capitolo posto
verso al fine [ossia proprio il paragrafo di cui sopra, n.d.r.] si scorge che egli pensava della fotometria. Nel campo della catottrica studia la riflessione su
dividerne la materia in sette libri, esponendo nel primo la natura dell’ombra, de’ superfici piane e sferiche, nonché gli specchi concavi parabolici, di
lumi, nel 2° parlando dell’ombre originali o primitive, nel terzo delle derivative».
(G.B. De Toni, G.B.Venturi e la sua opera…, p. 60); nel quarto avrebbe trattato degli cui fa costruire prototipi da un «Giovan tedesco». Come vediamo
effetti delle ombre derivative in relazione alle diverse circostanze locali; nel quinto anche nel nostro Codice, egli è attratto dal fenomeno dell’arcobale-
degli effetti delle fonti di luce nelle vicinanze delle ombre derivative; nel sesto degli
effetti dei raggi riflessi sui colori, anche in questo caso in rapporto alle circostanze
no, ma non arriva a una spiegazione soddisfacente. Infine, a partire
locali; infine nel settimo, come leggiamo ancora nel paragrafo, «delle varie distanze,
che fia infrà la percussione del raggio reflesso al loco d’onde nasce quanto fa varie
le similitudini di colori, che esso nella percussione al corpo opaco appicca».
222
219
  Windsor, f. 19149r, cit. in D. Argentieri, op. cit., p. 413.   Codice Corazza, I/b, pp. 141-143.
223
220
  V. Ronchi, Leonardo e l’ottica, in Aa.Vv., Leonardo studi e ricerche, a cura del Co-   V. Ronchi, op. cit., pp. 161-185.
224
mitato Nazionale per le onoranze a Leonardo da Vinci nel quinto centenario della   Il problema, risolto da Alhazen per via geometrica ma in modo assai com-
nascita (1452-1952), Roma, Istit. Poligrafico dello Stato, 1952, pp. 161-185. plesso, viene diversamente affrontato e risolto da Leonardo grazie ad uno stru-
221
  R. Marcolongo, La meccanica vinciana, in Aa.Vv., Leonardo da Vinci, Novara, mento descritto nel Codice Atlantico e poi ricostruito agli inizi del Novecento
De Agostini, 1966, p. 492. da Roberto Marcolongo.

Capitolo secondo
54
materia di scienze ‘pure’, come ad esempio l’idraulica, che trove-
remo trattata in maniera sistematica nell’ultima parte del Codice,
mostra piuttosto l’intento di giungere ad un’esemplificazione della
ricerca vinciana applicata ai vari campi dell’ingegneria, sceglien-
done i precetti più significativi. In particolare, in questa sezione è
riconoscibile un filo conduttore nell’ingegneria meccanica, che ne
occupa la parte più consistente.
Va pure notato come alcuni precetti tratti dal ms. F, in maggio-
ranza relativi all’idraulica, si ritroveranno anche nella terza parte
dell’apografo; molti altri, sulla stessa materia, vengono ovviamen-
te ripresi nel codice di frate Arconati sul moto e misura dell’acqua.
Ciò si spiega con l’intento di rendere in qualche modo autono-
me le diverse trascrizioni, offrendo all’interno di ciascuna, anche
a costo di qualche tautologia, le proposizioni giudicate di volta in
volta più utili dal selezionatore, nel primo caso a supporto delle
applicazioni di ingegneria, nel secondo nel contesto più ampio
delle scienze pure, nel terzo in relazione agli intenti ‘monodisci-
plinari’ dell’Arconati. Insomma cominciano ad essere chiari gli
aggiustamenti progressivi adottati nel corso dell’operazione con-
dotta da dal Pozzo ai fini dell’elaborazione di testi dotati, nei li-
miti del possibile, di una propria coerenza rispetto a temi specifici.
Quella «nobilissima scienzia strumentale over machinale» che è la
meccanica tecnica è la vera passione di Leonardo, campo in cui, pur
riprendendo, in tutto o in parte, gli studi e le applicazioni di Taccola
e di Francesco di Giorgio, in alcuni casi giunge ad enunciati tali da
anticipare, almeno nell’intuizione, le grandi scoperte di Galilei228.
Sono numerose le macchine illustrate in questa parte del Codice,
in più di un caso con un approfondimento descrittivo non ritro-
vabile in alcuno dei numerosi taccuini quattrocenteschi disponibi-
li all’epoca sugli stessi temi; un’accuratezza nell’illustrazione delle
soluzioni meccaniche che è seconda solo alla dovizia di dettagli
presente in alcuni fogli del Codice Atlantico o in quelli sugli «ele-
menti macchinali» del Codice I di Madrid: troviamo così pompe
Codice Atlantico, f. 9r, c. 1508; studi di ottica. Milano, Biblioteca Am- e strumenti idraulici, mantici, ingegnose artiglierie, motori ‘antifri-
brosiana zione’, macchine laminatrici, bilance, cavafondi, draghe, il famoso
«carro di commodo movimento» – il cosiddetto «carro facile», con
dal 1508, studia le lenti, opponendosi ai pregiudizi dei filosofi, e ap- l’asse appoggiato sull’intersezione di due ruote girevoli, antenato
profondisce le norme per correggere la miopia e la presbiopia con dell’automobile – e persino una macchina idraulica per generare
l’uso degli occhiali: essendosi da tempo riproposto di fare «ochiali quel moto perpetuo che alla fine egli riconoscerà di non aver mai
da vedere la luna grande»225, egli deve aver costruito effettivamente il raggiunto229. Per tutte le macchine Leonardo accenna, sebbene in
cannocchiale, precorrendo gli studi di Della Porta e di Galilei226 con maniera ancora superficiale, ai problemi di attrito e cerca i modi per
quell’«occhiale di cristallo» indicato nel f. 25 r del ms. F, che ricorre eliminarne le resistenze: studia il corretto proporzionamento degli
ben due volte nel nostro apografo227, dopo essere stato annunciato elementi meccanici in rapporto ai materiali di cui sono fatti e alla
in un piccolo disegno del Codice Atlantico, con la scritta: «pon l’oc- potenza del motore che li muove; affronta infine il problema dell’u-
chio a un cannone». sura delle parti, come ad esempio dei cosiddetti ‘perni di spinta’230.
Ma non è solo l’importanza e l’utilità delle applicazioni meccani-
Giungiamo così alla seconda parte del Codice, in cui i capitoli di che che ci colpisce in questi fogli, come del resto negli altri codici
ottica, percezione visiva e rappresentazione, che integrano i pre- vinciani: è il metodo di raffigurazione e descrizione dei conge-
cetti contenuti nelle due sezioni della prima parte, occupano quasi gni che, come si sa, rappresenta l’assoluta novità del contributo
l’intera seconda metà del testo. Ma la prima costituisce un corpus di Leonardo alla meccanica tecnica. Tranne che per Francesco di
assai più organico, formato da capitoli tratti in massima parte dai
mss. B e F, dedicati a macchine di varie specie, a ‘ingegni’ idrauli-
ci, a raffinate osservazioni e applicazioni nel campo dell’ingegne- 228
  B. Gille, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Milano, Feltrinelli, 1972, p. 46.
229
ria edile, meccanica, militare e portuale, che risalgono agli anni   Con riferimento alla ricerca di Leonardo in materia di fisica generale e di mec-
canica, Pedretti (cfr. C. Pedretti, Leonardo dopo Milano, in Leonardo e il leonardismo…
1490-1515. Qui il compilatore, lungi dal proporre una selezione in cit., p. 43) cita un appunto del 1499 presente nel Codice Atlantico (f. 289, ex 104r-b),
in cui si legge: «a dì primo d’agosto 1499 scrissi qui de moto e peso». Si veda pure
ivi, pag. 73, schede di Pedretti sul f. 103.5r (ex 370 v-b) del Codice Atlantico e sul f.
48v del ms. I, entrambi del 1497 e relativi agli studi per una laminatrice; il secondo è
225
  Codice Atlantico, f. 190 r-a. trascritto in Codice Corazza, II, p. 25. Cfr. pure sull’argomento A.M. Brizio, Scritti
226
  D. Argentieri, op. cit., pp. 405 sgg. È noto come Della Porta nel 1609, in una scelti…cit., pp. 251-279, 341-364.
famosa lettera a Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, criticasse l’in- 230
  G. De Toni, Studi di meccanica in Leonardo da Vinci. La trasmissione del moto, in
venzione di Galileo, attribuendosene il merito. Aa.Vv., Leonardo nella scienza e nella tecnica, Atti del simposio internazionale di storia
227
  Codice Corazza, II, p. 40; III, pp. cxxxx-cxxxxi. della scienza, Firenze-Vinci, 23-26 giugno 1969, Firenze, Giunti, 1969, pp. 91-99.

Impianto e contenuti del Codice


55
Codice Corazza, c. 1640, sez. I/b, p. 179, illumina- Codice Corazza, c. 1640, sez. I/b, p. 183, illumina- Codice Corazza, c. 1640, sez. I/b, p. 181, illumina-
zione e costruzione di ombre. Napoli, Biblioteca zione e costruzione di ombre in interni architet- zione e costruzione di ombre in interni architet-
Nazionale tonici. Napoli, Biblioteca Nazionale tonici. Napoli, Biblioteca Nazionale

Giorgio, la macchina è sempre stata per i ‘meccanici’ – da Kyeser importanti risultati nel periodo romagnolo (1500-03)231, potendosi
a Taccola a Valturio, e persino per quelli che verranno, come Ra- ritrovare studi analoghi anche nel Codice Atlantico. Così ad esem-
melli, Zonca, Lorini, Besson – qualcosa di riservato ad artigiani pio troviamo la «Flamea», sorta di palla infuocata da tirare con un
specialisti, di difficile descrizione e, più ancora, rappresentazione. sistema a fionda, specie nelle battaglie navali:
Leonardo la analizza e descrive in tutte le sue parti, intese come
singoli elementi cinematici, e la tratta da artista e divulgatore, Callimaco Architetto fu il primo che l’insegnò a’ Romani, da’ quali
come se i fogli dedicati a questi congegni dovessero servire agli fu poi molto usato, et masimi da Leone Imperatore quando li popoli
esecutori per la realizzazione dei vari pezzi del meccanismo; egli orientali contra di Costantinopoli venero con infinito numero di Navi,
perfeziona macchine esistenti e ne propone di nuove, credendo le quali da questa matteria furono tutte abbrugiate232. [E ancora] Dice
fermamente nella loro utilità per ottenere un lavoro con la mas- Lucano, che Cesare, fatto gettar questo fuoco con le Lampade infra le
sima economia delle forze dell’uomo e, viceversa, il massimo le- Navi de Ceruschi Popoli di Germania, abbrugiò non che le Navi mà
cito sfruttamento di quelle disponibili in natura: oltre ai muscoli, l’edificij edificati su la ripa del mare233.
quindi, l’acqua, l’aria calda, il vento. Su questa scia, sovente l’en-
tusiasmo lo porta a proporre congegni ancora irrealizzabili a quei Altre simili armi sono illustrati in queste pagine, denominate «Filo-
tempi, come la macchina volante o il sommergibile, ma che egli croto», «Arzilla», «Crucida», «Lampade», diversi tipi di bombarde e
sa che un giorno sarà possibile creare. Senza alcuna remora, l’im- proiettili esplosivi, utili anche per l’assalto ai bastioni.
pegno nel campo della meccanica applicata ha per lui pari dignità Un notevole interesse si nota in questi fogli anche nel campo del-
e importanza di quello di artista, tanto è vero che tali attività la statica e della scienza delle costruzioni. Qui Leonardo davvero
si svolgono sovente in ambienti tra loro attigui, come quelli del precorre Galilei, il quale invece ignorerà i suoi studi a causa della
suo studio in Belvedere a Roma. I più importanti meccanici del dispersione dei manoscritti dopo la morte del maestro. Sappiamo
Cinquecento e del Seicento devono molto alla tecnica vinciana: come questi analizzi in più occasioni le travi e i «sostentaculi» di-
con lui, l’approccio e la metodologia di ricerca nella meccanica versamente vincolati e caricati, e calcoli la loro flessione e resistenza,
applicata cambiano totalmente corso. anche a carico di punta, sia pure non conoscendo la teoria matema-
Nel campo della tecnica militare troviamo in questa parte del Co- tica dell’elasticità (formulata tre secoli più tardi) e basandosi quindi,
dice numerosi studi di micidiali ordigni da fuoco tratti dal ms. B e per giungere al valore della resistenza, su un metodo induttivo di
relativi al periodo in cui, lavorando come «ingegniarius et pinctor» semplice confronto tra strutture di diverse dimensioni e materiali.
per gli Sforza (1483-99), Leonardo si dedica maggiormente ai pro- Proprio dagli scritti vinciani in materia di statica e di strutture ela-
blemi della difesa e dell’offesa, studiando le armi antiche descritte stiche Venturi trarrà brani preziosi, sui quali Nando De Toni osserva:
nel citato De re militari di Valturio: anche in questo caso egli ripro- «Ora agli studiosi è offerta la possibilità di maggiormente appro-
pone, spesso persino identicamente, strutture, macchine e congegni fondire le ricerche sulle intuizioni precorritrici di teorie, relative ad
rinvenibili in Taccola, in Francesco di Giorgio o in Aristotile Fio- esempio al ‘cilindro incurvato’ od alla ‘trave inflessa’, come potrem-
ravanti; ma, ancora una volta, l’approfondimento delle peculiarità
di ogni macchina, delle funzioni ad essa affidate e delle parti atte a
svolgerle, nonché il modo di rappresentarle e quindi di divulgarle, 231
  I. Calvi, L’ingegneria militare e le armi, in Aa.Vv., Leonardo da Vinci, cit., pp. 275-305.
costituiscono novità assolute, dando vita ad una linea di ricerca 232
  Codice Corazza, II, p. 13.
originalissima, che Leonardo porterà avanti con grande passione e 233
  Ivi, f. 14.

Capitolo secondo
56
Al di là del carattere contorto del testo, si comprende come Leo-
nardo affronti qui il tema dell’arco con riferimento all’applicazio-
ne al caso di una centina lignea tanto solida quanto, diremmo noi,
iperstatica. Le osservazioni appaiono condotte in maniera ancora
intuitiva per quanto concerne il comportamento delle travi, che
come è noto egli approfondirà, tornando sul tema a distanza di
qualche anno, nel codice Arundel, nel Forster III e nel ms. A, ove
metterà a fuoco l’argomento con particolare precisione236. Anche
nel ms. B, databile al 1487-90, è un brano (f. 27r) non riportato nel-
la selezione seicentesca, in cui leggiamo ancora riguardo all’arco:

La sperienza che un peso, posto sopra un arco, non si carica tu[tto]


sopra alle sua colonne, anzi quanto è maggior peso fia posto sopra
li archi, tanto men pesa l’arco el peso a le colonne, la sperienza si è
questa: si[a] messo un omo sopra le stadere i’ mezzo la tromba d’uno
pozzo; fa di poi che questo allarghi le mani e piedi infra le parieti di
detto pozzo: vedrai questo pesare a la stadera molto meno. Dàlli uno
peso alle spalli: vedrai per isperienza, quanto maggior peso li darai,
maggiore forza farà in aprire le braccia e gambe, e più pontare e più
mancare il pondo alle stadere237.

Francesco Melzi (da Leonardo da Vinci), Libro di Pittura (Codice Urbinate Altri brani indicativi dell’interesse dei trascrittori per osservazioni di
1270), c. 1546, c. 215r, illuminazione e costruzione di ombre in interni
architettonici. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana scienza delle costruzioni si possono trovare ‘saltando’ per un istante
nella terza parte del documento, come quelli recanti alcune osser-

mo dire oggi, poiché si ha quasi l’impressione di leggere nel testo di


236
Leonardo la dicitura ‘asse neutro’!»234.   A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 144-145, 478-480. Al f. 50r del ms. A leggiamo
tra l’altro: «Che cosa è arco. Arco non è che una fortezza causata da due debolezze,
Tra le altre osservazioni, quelle sul funzionamento dell’arco e dei imperò che l’arco negli edifizi è composto di due quarti di circulo, i quali quarti
modi di realizzarlo mediante centinatura assumono particolare si- circuli, ciascuno debolissimo per se, desidera cadere, e opponendosi alla ruina l’uno
gnificato, potendosi ritrovare in più fogli del Codice Atlantico, dell’altro, le due debolezze si convertano in unica fortezza. / De la equalità del peso
de li archi. Poiché l’arco fia composto, quello rimane in equilibra, imperò che tanto
del ms. A, del Codice Forster II e del Trivulziano235. Nel nostro spinge l’uno l’altro, quanto l’altro l’uno; e se e’ pesa più l’uno quarto circulo che
Codice, ai ff. 4-5 della sezione in esame, tratti in questo caso dal l’altro, quivi fia levata e negata la permanenza, imperò che ‘l maggiore vincerà il
minore peso. / Del carico dato a li archi. Dopo il peso equale de’ quarti circuli, è
ms. B (f. 19v), si legge con riferimento alla figura allegata: necessario dare loro equale peso di sopra, altrimenti s’incorrerebbe nel sopradetto
errore. / Dove l’arco si rompe. L’arco si romperà in quella parte che passa il suo
Perche ragione questo Arco è Forte mezzo sotto il centro. / D’un’altra cagione di ruina. L’arco verrà ancora meno per
essere sospinto da traverso, imperò che, quando il carico non si dirizza al piè dell’ar-
Dico, che è impossibile che un corpo maggiore possa entrare in un mi- co, l’arco poco dura». F. 49v: «Della fortezza [e] equalità degli archi e ‘n dove son
nore, essendo così la linea GCH è molto maggiore, che GH. Adunque forti o deboli e così le colonne. Quella parte dell’arco che fia più piana, farà minore
resistenza al peso postoli. Quell’arco che fia raddoppiato nella quadratura della sua
il maggior GCH non entrarà nel minor GH se non si rompe e chiaro grossezza, reggerà quattro tanti peso quanto reggeva lo scempio, e tanto più, quanto
si conosce, che à voler rompere una trave per tirare, questo è poco il diamitro della sua grossezza entra men numero di volte nella sua lunghezza. Quel
fattibile. Adunque se confisserai per le dette ragioni GH non potersi pilastro che fia carico di più diseguale peso, verrà più presto al manco. Li archi che
stanno per forza di catene, non fieno permanenti. L’arco fia di più lunga perpetuità,
rompere per tirare l’angolo GFH, et l’angolo GCH al mezzo tondo di il quale arà bono contrario al suo spingere». F. 50v: «De la fortezza de l’arco. Il modo
sopra, non potrà mai passare per la corda, ò ver basa GH. Ancora simil- di fare l’arco premanente si è di riempiere i sua angoli di buono ripieno insino al
suo raso overo culmine. / [Un disegno per ciascuna proposizione che segue] Del caricare
mente BDF et così AME non possono haver mutatione se il trave CM sopra l’arco tondo. / Del caricare l’arco acuto bene. / De lo inconveniente che
non si rompe, essendo mal possibile, quasi impossibile è che l’Arco si seguita a caricare l’arco acuto sul suo mezzo. / Del danno che riceve l’arco acuto
a essere caricato sopra i sua fianchi. / L’arco poco curvo fia sicuro per sé; ma se
rompa essendo à quello aggiunta l’incatenatura del rinterzare l’asse, che fia carico, le spalli bisogna bene armare. / L’arco d’assai curvità fia per sé debole, e
vanno nel tondo GABCDEH / ED sarà interamte. sicuro, aggiungendo più se fia carico, e farà poca noia alle sue spalli». F. 51r: «L’arco il quale manderà il
à quella doi sostegni traversi. peso perpendicolare alle sua radice, farà il suo offizio per qualunque verso si stia,
o rovescio o a diacere o ritto. / L’arco non si romperà, se la corda de l’archi di fori
non toccherà l’arco di dentro. / Quell’arco il quale fia carico da uno de’ lati, il
peso si caricherà su la sommità de l’altro mezzo, e passerà il peso per insino al suo
234
  N. De Toni, Frammenti vinciani. XXXII. Trascrizioni inedite da fogli perduti del fondamento, e romperà in quella parte che fia più lontana dai sua stremi e da la
Manoscritto E 2176 dell’Istituto di Francia, di Leonardo da Vinci, Firenze, Barbera, sua corda». Al f. 158r del Codice Arundel leggiamo tra l’altro: «Delle rotture delli
1975, pp. 8-9: «A conferma di questo, l’Amico ing. Carlo Zammattio da tempo archi. L’arco fatto dal semicircolo, il quale fia carico nelli due oppositi terzi della
mi aveva dato notizia di un appunto esistente nel Manoscritto 8937 di Madrid sua curvità, romperà in cinque lochi della sua curvità». E al f. 158v: «Della potenzia
(84 verso)». L’appunto, dal titolo «Della piegatura delle molle» con relativa figura dell’arco nell’architettura. La premanenza dell’arco, fabricato dall’architetto, consi-
A.B.C.D., così recita: «È necessaria cosa che piegandosi la molla che era diritta, ste nella corda o nelle spalle sue. / Della situazione della corda nel sopradetto arco.
che dalla parte del suo colmo essa si rarifichi e dalla parte del cavo essa si con- La situazione della corda ha la prima necessità nel principio dell’arco e nel fine del-
densi, la quale condensazione si fa ad uso di piramide, onde si dimostra che in la rettitudine del pilastro dove si posa. Pruovasi pella 2° delli sostenta culi che dice:
mezzo della molla non si ha mai mutazione. Imperocché se tu raccogli insieme Quella parte de li sonstentaculi men resiste, che è più remota dal fermamento e ‘l
tutta la detta mutazione, come se tu togliessi la parte di AB nel mezzo della sua simile accadendo nelli opposti stremi dell’arco, che sono ultima distanzia dal mezzo
lunghezza e poi piegando la molla in modo che il parallelo AB si toccasse da piè, suo vero fermamento, noi abbiamo concluso che tal corda di necessità richiede la
tu troveresti esso parallelo essere tanto cresciuto da capo quanto esso è diminu- situazione delli sua oppositi stremi infra li 4 oppositi stremi predetti».
ito da piè, onde il mezzo della sua altezza ha fatto dei suoi lati ad uso di bilancia 237
  Ivi, p. 139. Il f. 22v del Codice Trivulziano contiene altre considerazioni sull’ar-
e tanto quanto gli estremi d’esse linee si sono appropinquati da piè, tanto si sono gomento: «L’arco rovescio è migliore per fare ispalla, che l’ordinario: perché il
allontanati da capo; sicché per questo tu intendi come il mezzo dell’altezza di rovescio [ha] sotto se muro resistente alla sua debolezza, e l’ordinario non trova nel
tale parallelo mai cresce in AB, né diminuisce nella molla piegata in CD». suo debole se non aria. L’arco regge tanto sotto a se come di sopra a se». Cfr. pure
235
  A. Uccelli, La scienza delle costruzioni, in Leonardo da Vinci, cit., pp. 265 sgg. Bibl. Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 E, sez. B, n. 1, f.lo g, f. 59.

Impianto e contenuti del Codice


57
pianto, mostra anche un moderno ‘design’.Vi sono infine numerosi
capitoli dedicati all’ingegneria idraulica e portuale, in cui è evidente,
ancora una volta, il rimando a Francesco di Giorgio: tra essi, quelli
riguardanti «Argini da sostener l’acqua d’un fiume, e poi in un su-
bito per allagare una Città, ò Campagna, con aprir le Porte»240, le
tecniche per la costruzione di chiuse o per «far montar l’acqua un
miglio»241 e quelle relative al «Modo di votar un Porto»242 con il me-
todo dei cassoni: «Fa’ à casse, et quando l’una Cassa è vota d’acqua,
et di terreno, vota l’acqua della seconda cassa in quella che prima si
votò, et poiche è asciutta, cava li pali della cassa riempiuta d’acqua,
et rifà col medesimo legname la seguente cassa»243; tecnica di cui è
possibile ritrovare l’applicazione, praticamente inalterata, nei porti
progettati ancora fino a tutta la prima metà dell’Ottocento.

La selezione presente nella terza parte del Codice inizia con il si-
gnificativo titolo Del Moto e Forza e con il precetto: «Infra le cose
mosse da una medesima cagione, quella che fia di più veloce moto
fia più determinato al suo Motore». Essa è tratta quasi per intero dal
ms. F e perciò contiene «proposizioni» tutte databili al 1508, dedicate
ai principi del moto e alla meccanica teorica; più in particolare, all’i-
drodinamica e all’aerodinamica. Ma vi si trovano anche importanti
osservazioni su temi di geometria, geografia e scienze della terra,
segnatamente di geofisica, meteorologia e astronomia. Non manca
infine l’esposizione di più ampi concetti filosofici relativi a temi
come la forma della Terra o la «figura degli elementi»244.
Con ogni probabilità, doveva esistere una prima bozza di quel Trat-
tato di Meccanica che Leonardo si avviava a completare in Francia,
con l’aiuto di Melzi, nonostante fosse oramai malato e prossimo alla
fine, come del resto comunicò egli stesso al cardinale d’Aragona in
visita presso il suo studio nel 1517. Uno sforzo lodevole per la ricom-
posizione di quanto scritto da Leonardo su questa materia fu fatto
Codice Corazza, c. 1640, sez. II, p. 4, metodo a cassone per vuotare un porto per la prima volta dal Venturi, che avrebbe voluto ridurlo (come
e studi sulla resistenza di un arco centinato. Napoli, Biblioteca Nazionale
quello sull’idraulica) in forma ordinata secondo il metodo da lui
già adottato per l’ottica245; ma solo nel 1942 Arturo Uccelli tornerà
vazioni ‘per assurdo’ sulla statica degli edifici condotte attraverso lo sull’argomento246, proponendo peraltro, come ha notato Pedretti247,
studio dei centri di gravità; ad esempio, in un passo tratto dal ms. un ordinamento dei testi alquanto arbitrario.
F, Leonardo osserva con riferimento al grafico che affianca il testo: La meccanica – il «paradiso delle scienze matematiche, perché in
quella si viene al frutto matematico»248 – è la sua scienza prediletta,
Se saran fatte due torri in continua drittura, e che lo spazio, che s’in- che intende come parte basilare della fisica generale (meccanica dei
chiude infra loro sia paralello, senza dubbio le due torre ruinaranno corpi rigidi e deformabili e dei liquidi), approfondendo soprattutto
l’una contro l’altra, se ’l procedere del murare fia sempre con equal quella tecnica. Leonardo si occupa magistralmente di cinematica e
altezza all’una torre, come all’altra238. in particolare di meccanismi per la trasformazione ‘vantaggiosa’ dei
movimenti: precursore della moderna ingegneria meccanica, lascia
Infatti, in virtù della rotondità della terra, le torri devono risultare numerosissimi studi, sparsi ovunque nei suoi scritti, relativi a princi-
leggermente divergenti e non parallele tra loro, altrimenti crolleran- pi e osservazioni, ma anche a descrizioni di motori e macchine per
no per essere il loro baricentro fuori dalla base di appoggio239. le applicazioni più varie.
Tornando alla seconda parte del Codice, tra gli altri capitoli signifi- Egli mostra solide conoscenze della meccanica greca, da Archimede
cativi troviamo il foglio del ms. B in cui si descrive il «Camino, che ad Aristotele ad Erone, e apprende molto dal De Ponderibus di Eucli-
sempre havera legna senza attizzare» che, oltre all’ingegnoso im- de e dagli studi medievali: partendo da Alberto di Sassonia, ne porta
avanti le ricerche nel campo della caduta dei gravi, cercando la legge

238
  Codice Corazza, III, pp. XXXXI-XXXXII. Leggiamo la dimostrazione, ri- 240
  Codice Corazza, II, p. 10.
guardo a cui però il trascrittore non si cura di verificare l’effettiva corrispondenza 241
  Ivi, pp. 7-8.
delle figure citate nel testo al disegno allegato: «Sia che le due centrali idest EF. delli 242
  Ivi, pp. 4, 38.
due angoli BC seguitino in continuo dritto esse taglieranno tal torre in GG all’una, 243
  Ivi, p. 38.
et in BF all’altra, seguita che tal linee non passan per il Centro della gravità della 244
lor lunghezza. Onde KL, CG parte dell’una pesa più, che l’ rimanente suo CGD e   Si veda l’ultima nota del paragrafo 1 del presente capitolo.
245
le cose inequali superan l’un l’altra, onde per necessità il maggior peso d’essa torre   E.Verga, Bibliografia…cit., p. 710, recensione a G.B. De Toni, Giambattista Ven-
tirerà tutta tal torre adosso alla torre opposta, e l’ simile farà l’altra torre in verso di turi…cit.
246
questa». Nel Codice Arundel (ff. 138r, 141v, 157r, 157v) troviamo numerosi brani di   Cfr. Leonardo da Vinci. I libri di meccanica nella ricostruzione ordinata di Arturo Uccel-
grande interesse, destinati ad un «Trattato delle cause generatrici delle rotture de’ li, preceduti da un’introduzione critica e da un esame delle fonti, Milano, U. Hoepli, 1942.
muri» mai compiuto, in cui si delinea una vera e propria metodologia per la dia- Si veda pure A. Uccelli, La scienza delle costruzioni, cit., pp. 261-274.
247
gnosi dei dissesti murari. Cfr. A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 474-478.   Libro di pittura…cit., p. 73.
239 248
  A. Marinoni, La biblioteca…cit., p. 336.   Ms. E, f. 8v.

Capitolo secondo
58
matematica che ne regola l’accelerazione, ma prendendo solo tardi
le distanze dalla teoria aristotelica dell’antiperistasis, per la quale l’aria
favorisce l’accelerazione anziché ostacolarla con l’attrito. Dal citato
Liber de ratione ponderis di Nemorario (anch’esso meglio noto come
De Ponderibus) trae fra l’altro la condizione di equilibrio su un piano
inclinato, nonché le considerazioni sul principio dei lavori virtuali e
sulla leva retta e angolare.
Una volta fissata la regola sulla base dei principi già noti, Leonar-
do sorvola spesso sulle dimostrazioni, passando direttamente alle
applicazioni, che sono quasi sempre perfette. Gli è chiaro anche
il concetto di momento, che verrà enunciato solo molto tempo
dopo: scopre casi particolari del teorema (poi detto di Varignon)
sui momenti di forze concorrenti (si vedano il Codice Forster II,
f. 102v, anteriore al 1500, e alcune osservazioni del 1508 nell’Arun-
del), trova il metodo per la risoluzione numerica della composi-
zione e decomposizione di forze, riprende gli studi di Archimede
sulla teoria dei centri di gravità delle figure piane, trova il baricen-
tro del tetraedro, riconosce l’importanza del baricentro nel moto
dei corpi, formulando il principio statico del cosiddetto poligono
di sostentazione.
Nell’edizione delle Vite di Vasari pubblicata tra il 1846 e il 1855,
Gaetano Milanesi scriverà riguardo alla ricerca di Leonardo in
questo campo:

Alla semplicità e alla esattezza delle espressioni si riconosce facilmente


nel pittore lo scienziato, che il primo dopo Archimede si occupava in
meccanica della ricerca del centro di gravità delle figure, ritrovava in-
nanzi al Murolico e al Commandino il centro di gravità della piramide,
conosceva la teoria del piano inclinato, e delle forze applicate obbliqua-
mente alla leva. Se noi avessimo tuttora il trattato sul moto locale e delle
percussioni, opera inestimabile, al dir del Paciolo, noi vedremmo che
dopo aver cominciato nella scienza dell’equilibrio dove avevano finito
Ms. A, f. 49r, c. 1490-92; studi di travi incastrate e carichi di punta. Parigi,
gli antichi maestri, forse poneva innanzi a Galileo i fondamenti della Institut de France
dinamica: e se a lui occupato in tanti studi e così varii, mancava talora
il tempo di ridurre il concetto suo ad una dimostrazione rigorosa, non Leonardo in questo campo251. È noto come il maestro si sia occu-
mancava la mente per discernere quale di ogni fenomeno sia la cagione249. pato di fisica del moto già a partire dagli ultimi anni del ‘400, ini-
ziando a Milano nel 1499 il trattato De peso e moto, citato anche da
E così ancora nel 1943 il Timpanaro, a commento dei manoscritti Pacioli: le prime trenta pagine di questo lavoro, soltanto annun-
vinciani pubblicati dalla Commissione Reale: ciato nel Codice Atlantico, sono ritrovabili nell’Arundel e databili
ai primi anni del ‘500, sebbene alcune riflessioni precedenti (1495-
Ai principi fondamentali della meccanica Leonardo ha dato un con- 99) siano nel Codice I di Madrid 252 . Egli corregge ora molti errori
tributo di primo ordine. Si può dire che abbia contribuito a tutt’e tre pregressi, enunciando quasi perfettamente la legge di inerzia; e
i principi. Il secondo principio non l’ha riconosciuto, essendo sempre se, come si è detto, per la seconda legge del moto sulla caduta dei
rimasto fedele alla teoria aristotelica che doveva poi essere demolita da gravi mostra tutti i limiti della dinamica aristotelica, ha invece già
Galileo nei Dialoghi dei Massimi Sistemi e delle Scienze: ma alcune pro- chiara la terza legge, che verrà poi esplicitata da Newton 253 . Leo-
prietà del piano inclinato da lui scoperte sono d’accordo con la legge nardo afferma prima di Bruno e di Galilei la relatività del moto
di Galileo. Il suo contributo al primo principio è così importante che e quindi i rapporti tra peso, tempo e velocità nella caduta di un
molti, invece di dire principio d’inerzia, dicono principio di Leonardo grave, intuendo, come segnala Venturi nell’Essai, il condiziona-
da Vinci. È stato anche detto che Galileo non è riuscito ad elevarsi alla mento dovuto alla rotazione della Terra intorno al proprio asse.
generalità a cui si è innalzato Leonardo250. Un costante rammarico si ritrova nei suoi scritti per non aver per-

Ma è sulla scorta degli studi di Roberto Marcolongo, di cui di-


remo, che possiamo davvero avere un’idea dell’opera preziosa di 251
  R. M arcolongo, La meccanica di Leonardo da Vinci, Napoli, S.I.E.M., 1932;
Id., La meccanica vinciana, cit., pp. 483-492; Id., Leonardo da Vinci artista-scienziato,
cit., pp. 137 sgg.
252
  A.M. Brizio, Correlazioni e rispondenze…cit., pp. 106-111.
249
  Ivi, p. 61n. Nell’edizione del Milanesi si trova un saggio di Girolamo Buo- 253
  Interessante, tra le altre proposizioni, quella riguardante il «balzo della palla»
nazia, dal titolo Dei lavori scientifici di Leonardo da Vinci, in cui si compendiano i (Codice Corazza, III, pp. I-II), che viene ripresa più innanzi con più generale ri-
risultati degli studi del Venturi, dell’Amoretti e del Libri, e si commentano i te- ferimento al «balzo» di un «grave»: «Il grave, che discende perpendicolare sopra un
sti vinciani recentemente pubblicati, oltre che dal Manzi, anche dal Cardina- piano se non percote esso piano co’ parte, nella quale passi la linea centrale della
li (Del moto e misura dell’acqua, 1826); per Pedretti è questo, forse, ancora l’unico sua gravità, il balzo non fia infra angoli uguali». Ivi, f. XII. Leonardo riprende e ap-
saggio a considerare il Trattato della Pittura per la sua impostazione scientifica. profondisce in più occasioni questi concetti, oltre che, come si è detto, nel Codice
250
  S. Timpanaro, I manoscritti di Leonardo pubblicati dalla Commissione Reale, Roma, Atlantico, nell’Arundel e nei mss. Forster, anche nei mss. A, C, E, F, K, L, M di Parigi.
La Nuova Antologia, 1943, p. 48. Cfr. A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 251-279, 341-364.

Impianto e contenuti del Codice


59
dinamica (in particolare il volo degli uccelli, fondamentale per le
sue proposte in materia di volo umano e approfondito nel codice
conservato a Torino258 ) e sull’idrodinamica; di quest’ultima ci oc-
cuperemo più innanzi con riferimento alla coeva compilazione di
frate Arconati. Particolare attenzione, come è noto, egli pone nel
ms. A al moto ondulatorio nell’aria (suono e luce) e nell’acqua:

Siccome la pietra gettata nell’acqua si fa centro e causa di vari circoli,


e il suono fatto nell’aria circolarmente si sparge, ogni corpo infra l’aria
luminosa circolarmente si sparge e empie le circostanti parti d’infinite
sue similitudini, e appare tutto per tutto e tutto in ogni parte259.

Un altro ambito della fisica generale presente nella selezione è la


termologia, venendo affrontate problematiche relative al calore del
fuoco (in molti scritti, come sappiamo, egli torna sulla struttura e
le proprietà della fiamma260 ) e del sole, con diverse applicazioni, tra
cui quelle dello «specchio concavo».
Nel campo delle scienze della natura e della terra, vengono inda-
gati ambiti quali la paleontologia (studio dei fossili), la geologia
(osservazioni sui monti e sulla loro struttura), la geofisica e la geo-
grafia (considerazioni sul centro di gravità terrestre, sui fiumi,
sugli stagni, sui mari e sulle maree), l’astronomia (indagini sulla
luminosità e sulle «macchie» della Luna) e la meteorologia (venti,
piogge, nuvole, nebbie, nevi, arcobaleno). Si tratta, anche in que-
sto caso, di scritti che vanno necessariamente integrati con quelli
rinvenibili nel Codice Atlantico, nel Leicester, nell’Arundel, nei
mss. di Windsor e nei mss. E, G, K di Parigi261.
Notiamo che, pur non essendo un vero astronomo e non potendo
coltivare tale scienza con la sistematicità e gli strumenti necessa-
ri (ovviamente non possiede un cannocchiale, pur essendo quasi
riuscito a concepirlo), Leonardo giunge a conclusioni sorprenden-
ti, sostenendo ad esempio per primo il moto diurno della Terra,
Codice Corazza, c. 1640., sez. II, p. 11, macchine idrauliche. Napoli, Biblio- sia pure ancora nell’ambito della dottrina tolemaica, spiegando
teca Nazionale
correttamente l’origine della luce lunare, dovuta alla riflessione di
quella solare dalla Terra alla Luna, e tornandovi poi più volte nei
seguito la condizione del moto perpetuo, su cui tornerà in più codici Arundel e Leicester: egli apprende molto da Cusano, per
occasioni; d’altra parte egli esclude, seguendo Aristotele, la possi- poi precorrere persino Copernico con idee chiaramente ispirate
bilità del vuoto e, quindi, di un moto perpetuo dovuto all’assenza al sistema eliocentrico (Windsor, f. 12609: «Il Sole non si move»),
di qualsiasi contrasto (come invece sosterrà Galilei). Sicché negli mentre le sue indagini sull’aspetto della luna verranno approfon-
ultimi anni milanesi Leonardo pare arrendersi: «Contra del moto dite da Galilei nel Sidereus Nuncius.
perpetuo. Nessuna cosa insensibile si muoverà per se, onde muo-
vendosi fia mossa da diseguale potenzia. Cioè di diseguale tempo In questa parte dell’apografo sono pure contenute ampie consi-
o movimento, o di diseguale peso, e cessato il desiderio del primo derazioni in materia di geometria, una delle grandi passioni di
motore, subito cesserà il secondo»254 . E ancora: «O speculatori del- Leonardo, che ci consentono di conoscere più da vicino lo scien-
lo continuo moto, quanti vani disegni in simili cerca avete creati! ziato e l’ingegnere: egli usa la matematica mai fine a se stessa,
Accompagnatevi colli cercator dell’oro»255. Ma già qualche anno bensì come strumento per l’applicazione e l’approfondimento nel
più tardi, in un capitolo del ms. F (1508) intitolato appunto «Del campo della meccanica e delle costruzioni. Da quanto ricostruito
moto perpetuo» e riportato pure nel Codice Corazza256 , tornerà da Marcolongo262 sappiamo come Leonardo abbia appreso la ma-
alla carica, cercando invano una soluzione pratica del problema. tematica solo a partire dal primo soggiorno milanese (1482-99),
prima attraverso Fazio Cardano e Vitellione, poi, come abbiamo
Nella stessa sezione del documento, dai principi generali della visto, da frate Pacioli; ma l’algebra elementare era ancora tutto
meccanica si passa a considerazioni sul moto dei fluidi 257, segna- quello di cui si disponeva ai suoi tempi, come, del resto, della sola
tamente dell’aria (venti), dell’acqua (correnti, capillarità, ecc.) e geometria euclidea263 .
dei gravi nell’aria e nell’acqua, e quindi rispettivamente sull’aero-
258
  A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 365-385.
259
  Ms. A, f. 61r.
254 260
  Cfr. Ms. A, f. 22.   F. Bottazzi, op. cit., pp. 320 sgg.
255 261
  Codice Forster, II, ff. 90v-92v, cit. in R. Marcolongo, La meccanica…cit., p. 161.   A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 550-603.
Cfr. pure ms. A, passim, e Codice Atlantico, f. 337. 262
  R. Marcolongo, Leonardo da Vinci nella storia della matematica e della meccanica,
256
  Codice Corazza, II, pp. 31-36. in Atti del Congresso Internazionale dei Matematici (Bologna, 3-10 settembre 1928), Bo-
257
  F. Bottazzi, Leonardo scienziato, ried. a cura di L. Donatelli, F. Ghiretti, A. Russo, logna, Zanichelli, 1928.
263
Napoli, Giannini editore, 1986, pp. 314-318.   A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 387-396. La Brizio sottolinea come i concetti

Capitolo secondo
60
Codice Corazza, c. 1640, sez. II, p. 10, argini flu- Codice Corazza, c. 1640, sez. III, p. XXXXII, stu- Codice Corazza, c. 1640, sez. II, p. 6, camino a
viali. Napoli, Biblioteca Nazionale di sul baricentro di strutture a torre e considera- fiamma perenne e macchine idrauliche. Napoli,
zioni di geofisica. Napoli, Biblioteca Nazionale Biblioteca Nazionale

Troviamo in questi fogli il calcolo della «radice di qualunque nu- quantità cresce in infinito e diminuisce in infinito; e se tu pigli licen-
mero per via di Geometria»264 , la costruzione dell’«angolo della zia di dire: se tu mi darai una linia di 20 braccia, io ti dirò di farne
contingenza» («se da cose proporzionate tù levi parti della me- una di 21269.
desima proporzione, il rimanente non si varia dalla sua prima
proporzione») 265 e dell’«angolo dell’incidenza», ossia il citato «pro- Quando studia problemi di geometria, Leonardo lo fa da artista,
blema di Alhazen»266 , e quello della duplicazione del cubo267, au- da esteta: li chiama «ludi geometrici», come già Alberti aveva inti-
tentico tormento per Leonardo, consistente nel trovare la radice tolato il suo «Ex ludis rerum mathematicarum», citato nell’Arun-
cubica di un numero che non sia un cubo. A proposito di quest’ul- del 270. Così nel «De ludo geometrico» del 1514 Leonardo studierà
timo, Marinoni268 dissente da Marcolongo riguardo alla soluzione con palese interesse artistico le proprietà delle lunule, partendo
del problema che Leonardo avrebbe raggiunto sulla scorta di Pa- dalle osservazioni di Ippocrate di Chio e giungendo (senza nep-
cioli e di Valla: in particolare, il carattere unicamente geometrico pure conoscere quanto già affermato al riguardo da Alhazen) a ri-
delle dimostrazioni del primo e l’inaccessibilità del testo latino del solvere il teorema sulla somma delle due lunule costruite sui cateti
secondo autorizzano a pensare che egli non abbia potuto cono- di un qualunque triangolo rettangolo. Particolare impegno egli
scere le dimostrazioni date da Archimede; così nel f. 50v del ms. profonde nelle ricerche sulle costruzioni approssimate dei poli-
F, proprio sulla scorta delle errate traduzioni dell’opera di Valla, goni regolari, sulle trasformazioni dei solidi – per le quali, come
Leonardo giunge a dichiarare che in quel testo la spiegazione non accennato, si ispira al De transformationibus geometricis di Cusano271
esiste. Ma nel nostro Codice non c’è ombra di questi dubbi, anzi –, sull’individuazione del baricentro di figure piane o del centro di
la selezione ‘mirata’ dello stesso foglio vinciano propone dimostra- gravità nei solidi (in particolare, sulla scorta del trattato sull’Equi-
zioni che farebbero pensare all’esatto contrario. Non sono rare le librio dei piani di Archimede, giunge a formulare quello del tetrae-
considerazioni geometriche di più ampio respiro filosofico, come dro), ma con intenti mai meramente speculativi, bensì sperimen-
quelle riguardanti la «figura degli elementi» del Mondo e la forma tali e finalizzati alla meccanica o alle costruzioni. Tant’è vero che,
della Terra, o il carattere infinito delle quantità continue: in più di un caso, egli propone nuovi strumenti basati su principi
matematici, come compassi parabolici ed ellittici, o il cosiddetto
La geometria è infinita perché ogni quantità continua è divisibile ‘tornio ovale’, utile per applicazioni in campo cinematico272 .
all’infinito per l’uno e per l’altro verso. Ma la quantità discontinua Ma il vero scopo della sua ricerca geometrica è la soluzione del
comincia all’unità e cresce in infinito, e, com’è detto, la continua problema della quadratura del cerchio e delle superfici curve. La
questione sarà da lui risolta solo parzialmente, anche perché, come
verrà dimostrato sul volgere dell’Ottocento, di fatto irrisolvibile.
di geometria espressi da Leonardo nel ms. M, risalenti agli ultimi anni del periodo Egli parte anche qui dagli studi di Archimede («la moltiplicazione
sforzesco, siano tutti da ricondursi alla lezione di Pacioli: la studiosa cita poi i brani del semidiametro d’un circulo colla metà della sua circunferenzia
più significativi ritrovabili sull’argomento nel Codice Atlantico e nei mss. G, F,
Forster I e Windsor; ma ve ne sono di importanti anche nei mss. A, B e Forster III.
Cfr. pure A. Marinoni, La biblioteca…cit., pp. 324 sgg.
264
  Codice Corazza, III, p. II. 269
  Ms. M, f. 18r, cit. in A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., p. 387.
265
  Ivi, pp. LIV-LV. 270
  F. 66r.
266
  Ivi, p. LXXXXI. 271
  R. Marcolongo, Il trattato di Leonardo da Vinci sulle trasformazioni dei solidi.
267
  Ivi, pp. LXXVIII-LXXX. Analisi del Codice Forster I, nel «Victoria and Albert Museum,, Napoli, S.I.E.M., 1934.
268 272
  A. Marinoni, La biblioteca…cit., p. 299.   U. Cisotti, La matematica vinciana, in Aa.Vv., Leonardo da Vinci, cit., pp. 200-203.

Impianto e contenuti del Codice


61
Codice Corazza, c. 1640, sez. III, p. I, studi sulle Codice Corazza, c. 1640, sez. III, p. LXXX, studi Codice Corazza, c. 1640, sez. II, p. 31, studi sul
forze. Napoli, Biblioteca Nazionale di geometria dei solidi e di idrodinamica. Napo- moto perpetuo. Napoli, Biblioteca Nazionale
li, Biblioteca Nazionale

faceva un quadrilatero rettilinio equale al circulo»273 ), sebbene da E ancora:


lui stesso smentiti in altra sede («Archimede non quadra mai figu-
ra di lato curvo. E io quadro il cerchio, meno una porzione tanto De ludo geometrico, nel quale si dà il processo d’infinite varie-
minima, quanto lo intelletto possa immaginare»274 ). Lo stimolo tà [di] quadrature di superfizie di lati curvi. Il quadrato è il fine
a perseguire l’ambìto scopo, del resto, era stato dato per primo di tutto il travagliamento delle superfizie geometriche. Ogni su-
dall’Alberti, il quale si era detto convinto che, come era possibile perfizie attende alla sua quadratura, così circondata da linie cur-
quadrare le lunule, così si doveva poter quadrare il cerchio: «se ve come linie rette. E perché le circuite da linie curve ci sono in
avessimo accurati indagatori, sì come la quadratura del cerchio poca notizia, io mi sono affaticato con nuova scienzia a darne no-
è in potenzia della natura […] similmente serìa in quella degli tizia con varie regole, le quali hanno scoperto nuove notizie, come
homeni»275 . si dimostrerà nel processo dell’opera, nella quale infinite varie-
In realtà, come dimostra ancora Marinoni, nel campo della ge- tà di superfizie curvilinie con brevità si riducano alla lor quadra-
ometria gli scritti vinciani denunciano «un’utilizzazione parzia- tura, la qual quadratura è il fine stesso della scienzia geometrica 278.
le e spesso modesta del vasto strumentario bibliografico concla-
mato dal Solmi, dal Marcolongo e molti altri»276 , in particolare Dunque il quadrato e il cubo come forme perfette ma, come si
dell’opera scritta sull’argomento dal napoletano Luca Gaurico, i legge nel Trattato della Pittura, non espressive della bellezza esistente
cui studi sono certamente noti a Leonardo grazie alla frequen- in natura:
tazione dell’ambiente aragonese da parte di Pacioli; Chastel nota
però che, se sul tema della quadratura del cerchio egli conosce E se il geometra riduce ogni superficie circondata da linee alla figura
certamente Archimede e Vitruvio, ignora il trattato di Campa- del quadrato, ed ogni corpo alla figura del cubo; e l’aritmetica fa il
no da Novara su Tetragonismus id est circuli quadratura, pubblica- simile con le sue radici cube e quadrate; queste due scienze non si
to a Venezia in perfetta contemporaneità con quello di Gaurico astendono se non alla notizia della quantità continua e discontinua,
(1503). Addirittura, ad un certo punto egli deve essersi illuso di ma della qualità non si travagliano, la quale è bellezza delle opere di
aver perseguito lo scopo, arrivando ad annunciare trionfalmen- natura ed ornamento del mondo.
te la compilazione del De ludo geometrico nel Codice Atlantico:
Così Leonardo giunge a divergere dallo ‘statico’ discorso euclideo
Avendo io finito lì contro vari modi di quadrare li circoli, cioè dare per seguire la legge del divenire: dal quadrato al rettangolo, dal cubo
quadrati di capacità equali alla capacità del circolo, e date le regole al parallelepipedo, dall’esagono inscritto in un cerchio a due figure
da procedere in infinito, al presente comincio il libro detto de ludo che si compenetrano, in cui
geometrico, e dò ancora modo di processo infinito277.
scomparso ogni segmento rettilineo, sono sostituite da un ‘traforato
di stelle e di rose’, un intreccio minuto e regolarissimo di linee curve,
273 che lo sguardo percorre in ogni direzione con un’ondulazione fluida
  Ms. G, f. 96r.
274
  Ms. Windsor, f. 12280r. in cui torna a risplendere la grazia279.
275
  Leonis Baptistae Alberti opera inedita et pauca separatim impressa curante H. Man-
cini, Florentiae, Sansoni, 1890, p. 365, citato in A. M arinoni, La biblioteca…
cit., p. 329.
276 278
  A. Marinoni, La biblioteca…cit., p. 300.   Ivi, f. 99v-b.
277 279
  Codice Atlantico, f. 45v-a.   A. Marinoni, La biblioteca…cit., p. 330.

Capitolo secondo
62
Se nella selezio- ambito ad Archimede e ad Erone, e quanto egli abbia contribuito a
ne presente nella far evolvere la materia: secondo lo studioso, nonostante il tentativo
seconda parte del di sistematizzazione condotto da frate Arconati e gli studi eseguiti su
Codice l’attenzio- quell’apografo e su altri codici tra Otto e Novecento – dalla pubbli-
ne di Leonardo per cazione integrale del codice Arconati da parte del Cardinali nel 1826,
l’idraulica appare all’opera di Elia Lombardini sull’idraulica vinciana del 1872286 all’e-
dedicata prevalen- dizione a cura di Carusi e Favaro nel 1923 – «una esposizione critica
temente alla descri- e ordinata di tutto l’immenso materiale lasciato da Leonardo è an-
zione di macchine cora da fare»287. In realtà, Marcolongo mostra sorprendentemente di
e applicazioni di ignorare l’esistenza della trascrizione dell’apografo Del moto e misura
ingegneria, nella dell’acqua eseguita da Corazza alla Vaticana e conservata presso la
terza, dai prevalen- Biblioteca Nazionale di Napoli288, che dimostra l’interesse dell’abate
ti contenuti teorici, bolognese per la trasmissione del pensiero vinciano anche in questo
si dà ampio spazio campo289. Trascrizione del resto citata dagli stessi Carusi e Favaro e,
all’illustrazione di poi, dal Verga, che la segnala, insieme con l’apografo Arconati, quali
principi generali nel unici esemplari della selezione seicentesca in materia di idraulica290.
campo dell’idrosta- Inoltre già dal primo dopoguerra minuziose ricognizioni in questo
tica e dell’idrodi- campo erano state estese anche ai manoscritti di Parigi e importanti
namica. Ma, come studiosi vinciani, tra cui Giovanni Bellincioni e Nando De Toni291,
ha notato la Bri-
zio280 , la precedenza 286
Luca Gaurico, Tetragonismus idest circuli quadra- data da Leonardo   E. Lombardini, Dell’origine e del progresso della scienza idraulica nel milanese ed in al-
tura..., 1503; particolare tre parti d’Italia: osservazioni storico-critiche concernenti principalmente i lavori di Leonardo da
proprio in ambito Vinci, di Benedetto Castelli e di Gian Domenico Guglielmini, Milano, Ed. B. Saldini, 1872.
287
idraulico alle espli-   R. Marcolongo, Leonardo artista-scienziato, cit., p. 162.
288
  BNN, ms. XII. D. 80, a. 1780 circa, in folio, dal titolo: «Leonardo da Vinci del
cazioni pratiche e meccaniche su quelle teoriche e scientifiche ha Moto et Misura dell’Acqua». Cfr. pure la scheda di A. Vezzosi in Leonardo e il le-
un riscontro anche cronologico all’interno dei manoscritti origi- onardismo…cit., p. 140. Cfr. pure A. Miola, op. cit., I, pp. 230-232, scheda intitolata:
nali e conferma come, da buon artista formatosi nella consolidata «XII. D. 80. Codice cartaceo del XVIII, alto cent. 25 e largo 19, di carte 91»; l’autore
cita gli studi di Govi (Saggio delle opere di Leonardo da Vinci, Milano, s.n., 1872, e Al-
tradizione delle botteghe fiorentine, egli si sia applicato innanzi- cune memorie...cit., vol.VIII sgg.) ma mostra di non sapere nulla della vicenda degli
tutto alle attività sperimentali e solo successivamente, specie dopo apografi seicenteschi: «Gioverebbe saper qualche cosa di questo Luigi M. Arconati
qui ricordato, e di cui non trovo cenno nell’edizione del presente trattato (Bologna,
la trasferta a Milano, alle speculazioni utili all’«omo sanza lettere». 1826 in 4°) né altrove».
Se si integrano opportunamente i principi di idraulica enunciati 289
  Per completare il quadro dei manoscritti a nostra disposizione sull’argomen-
in questa parte del Codice con quelli contenuti nel citato apo- to, va pure tenuta in debito conto la possibilità dell’esistenza, ancora ai tempi
di Corazza, di un codice leonardesco sull’idraulica, cui si riferisce una lettera
grafo Del moto e misura dell’acqua di frate Arconati – ove peraltro, di Giuseppe Pecis, consultore del Governo lombardo, al principe Alberigo Bel-
come si è detto, molti di essi si ripetono – è possibile avere un giojoso del 14 giugno 1771; in essa si parla di un manoscritto vinciano (ma non è
chiaro se si trattasse di un originale o di un apografo) relativo segnatamente alle
quadro pressoché completo della materia trattata da Leonardo opere per il canale della Martesana da Milano a Pavia e ad altre opere fatte da
negli scritti un tempo presenti all’Ambrosiana, compresi alcuni Leonardo a Milano, presente presso la famosa Biblioteca Imperiali, poi venduta
dei fogli perduti nell’Ottocento. D’altra parte va pure considera- all’asta nel 1796, ossia ben dopo la morte del cardinale Imperiali, venendo pub-
blicati i due cataloghi di vendita, oggi conservati presso la Biblioteca Nazionale
to che in quei testi mancano molti capitoli di idraulica presen- di Roma. Si veda il catalogo settecentesco: G. Fontanini, Bibliothecae Josephi
ti nel codice Forster II, nell’Arundel e, soprattutto, nel Leicester, Renati Imperialis, Romae, ex Officina Typographica Francisci Gonzagae, 1711. Il
codice suddetto non era il Codice Leicester (acquistato dal conte inglese sin dal
che l’Arconati non poteva avere a disposizione281: come segnala 1717), né l’apografo di frate Arconati, conservato all’epoca presso la Biblioteca
Colombo282, in quest’ultimo codice troviamo oltre novecento ap- Barberini e oggi alla Vaticana. Proprio con riferimento alla famosa Biblioteca
plicazioni di ingegneria idraulica collocabili tra il 1505 e il 1506. Imperiali, di cui si occupa a più riprese Corazza, importante è quello che rife-
risce Pedretti (Epilogo…cit., p. 230): «Fra l’altro è sempre aperta la questione del
Parti assai consistenti di questa sezione sono dunque dedicate alla misterioso manoscritto vinciano di proprietà del Cardinale Imperiali (Protetto-
‘scienza dell’acqua’, con illustrazioni come al solito particolarmente re della Pontificia Accademia Ecclesiastica) e presente a Roma prima del 1745,
manoscritto riguardante questioni di idraulica e canalizzazione che certamente
efficaci. Lo stesso Leonardo nota più volte nei suoi scritti che prima non era quello passato in Inghilterra [Codice Leicester, poi Hammer, n.d.r.] nel
di lui nessuno aveva tentato la teorizzazione di questa disciplina, 1717 perché ricordato a Roma dopo quella data secondo quanto si deduce da una
«opera e materia nuova, non più detta»283, dedicandovisi in modo lettera di Giuseppe Pecis del 1771, pubblicata in «Raccolta Vinciana», V, 1908,
pp. 104-105». Lo scritto presente nella Racc. Vinciana è di E. Motta, Un mano-
assai alacre e giungendo ad anticipare molte considerazioni svolte scritto vinciano a Roma?, in cui si legge che il cardinale Renato Imperiali, morto
solo un secolo dopo da Benedetto Castelli, autorevole allievo di nel 1737, aveva nella sua famosa biblioteca il cennato manoscritto di Leonardo,
avuto in dono a Milano quando era «legato a latere» dell’Imperatore Carlo VI;
Galilei284. Persino ricerche sulle quali Leonardo dovrà presto disillu- in esso si parlava dell’opera di livellazione «fatta per congiungere con le acque
dersi, come quella già ricordata sul moto perpetuo, trovano ancora a Milano recate dal Naviglio Grande, e da quello della Martesana, un canale
a barche da Milano a Pavia», con la specifica dei prezzi richiesti a Leonardo e
posto negli appassionati capitoli dedicati all’idraulica285. la descrizione dei vantaggi derivanti dall’opera. Cfr. pure G. Fumagalli, G.
Marcolongo sottolinea quanto Leonardo debba anche in questo Ottino, Bibliotheca Bibliographica. Catalogo degli scritti di bibliologia, bibliografia e bi-
blioteconomia pubblicati in Italia e di quelli riguardanti l’Italia pubblicati all’estero, Graz,
Akademische Druck-U. Verlagsanstalt, 1957, p. 367, e F. Cancedda, Figure e fatti
280 intorno alla biblioteca del Cardinale Imperiali, mecenate del ‘700, Roma, Bulzoni, 1995.
  A.M. Brizio, Delle acque, in Aa.Vv., Leonardo saggi e ricerche, cit., pp. 277-289. 290
281   E.Verga, Bibliografia…cit., p. 23.
  Cfr. pure G. Uzielli, op. cit., pp. 329-331. 291
282   G. Bellincioni, Leonardo da Vinci fondatore della scienza idraulica, Milano,
  A. Colombo, Ecco Leonardo, Novara, Istit. Geografico De Agostini, 1966, Industrie Grafiche Italiane Stucchi, 1939; N. De Toni, Frammenti Vinciani XII.
pp. 212 sgg. Saggio di repertorio dei Passi Leonardeschi ai quali attinse frate Luigi Maria Arconati per
283
  Windsor, f. 12, 663r. la compilazione del Trattato del moto e misura dell’acqua (libri 9), Brescia, s.n., 1950;
284
  B. Castelli, Della misura delle acque correnti, Bologna, del Dozza, 1659. G.M. P ugno, Leonardo e l’idraulica, Chieri, G. Astesano, 1956. Nel 1975 lo stesso
285
  Si veda in proposito C. Zammattio, Idraulica e nautica, in Aa.Vv., Leonardo da De Toni (Frammenti Vinciani XXXII. Trascrizioni inedite…cit., p. 21), partendo
Vinci, cit., pp. 467-482. dalle citate carte del Venturi della Biblioteca Civica di Reggio Emilia, annunciò

Impianto e contenuti del Codice


63
nel XVII secolo dal Castelli, come pure il carattere oscillatorio
del moto ondoso, destinato ad essere approfondito dal Cialdi nel
1873; infine conduce studi sull’efflusso dei liquidi dai fori (sebbene
non scopra la legge che verrà individuata dal Torricelli), sui moti
vorticosi, sull’ascesa dell’acqua nella chiocciola di Archimede e
sui fenomeni di capillarità. Conoscenze così accurate devono aver
costituito per Leonardo solide basi per i suoi progetti di ingegneria
idraulica applicata al territorio lombardo, nonché nella progetta-
zione di macchine idrauliche.
La prima produzione di tale materiale avviene dunque a Milano,
ove egli, come abbiamo visto, è «ingeniarius ducalis» alla corte di
Ludovico il Moro: qui si occupa dei «navigli» mai terminati dai
suoi predecessori, approfondendo tra l’altro il tema delle conche
e dei loro sistemi di chiusura e di protezione dalle erosioni. Poi
redige un progetto per l’apertura di un canale navigabile e di ir-
rigazione da Firenze al mare, che cercherà di realizzare una volta
tornato nel capoluogo toscano; ma l’opera verrà osteggiata dai pi-
sani e non eseguita. Progetta poi il prosciugamento delle paludi
pontine, studia l’apertura di un canale navigabile dal lago di Lecco
a Milano, il prosciugamento della palude di Piombino, l’immis-
sione delle acque della Loira nel letto del Romorantin; esamina
infine la possibilità di andare sott’acqua con uno speciale scafandro
dotato di un tubo con valvole per la respirazione o quella di nuo-
tare con l’aiuto di un salvagente295. La vite d’acqua a coclea, nota
già agli egiziani, viene studiata da Leonardo allo scopo di calcolare
la resistenza dell’acqua e di considerare la possibilità di ottenere
una nuova forza idraulica, anticipando così le prime turbine, che
compariranno solo nell’Ottocento.
Nel Codice vengono dunque selezionati e trascritti i brani più si-
gnificativi del ms. F su questi temi. In tali proposizioni si esamina-
no attentamente le caratteristiche delle onde e dei vortici, il moto
Codice Corazza, c. 1640, sez. III, p. CXXXXVII, studi di idraulica e di dell’acqua in superficie e in profondità, lo spostamento dell’aria a
idrodinamica. Napoli, Biblioteca Nazionale seguito del moto dell’acqua, quello di un oggetto galleggiante su
un fiume o in un canale in prossimità delle sponde o di un argine,
avevano utilmente approfondito la materia nel corso dei loro studi 292 . la formazione delle correnti e dei «retrosi» (gorghi o acque ‘di ri-
Come si evince dalla selezione proposta dalla Brizio293 , l’interesse torno’), il fenomeno dell’innalzamento o abbassamento dei livelli
di Leonardo per l’idraulica traspare nella maggior parte dei suoi dei corsi d’acqua, il diverso comportamento dell’acqua nei fiumi e
manoscritti294 e va all’incirca dal 1492 al 1518 senza soluzione di nei laghi; interessanti, poi, i metodi indicati per la progettazione di
continuità, avendo chiaramente inizio a Milano, ove – come del argini, chiuse e interventi di bonifica di terreni paludosi, nonché
resto in quasi tutta l’Italia settentrionale – gli studi in materia era- le osservazioni circa i diversi ‘aspetti’ dell’acqua in particolari con-
no assai più evoluti che in Toscana. Con l’intenzione sempre più dizioni, come quella definita «pannicolata» perché mossa in modo
convinta di risalire dalla pratica alla teoria, l’acqua viene studia- tale da essere simile ad un panno con le sue pieghe; effetto questo
ta da Leonardo in tutte le sue caratteristiche e condizioni, come che si può creare anche artificialmente, dando vita a «spettacoli
la «caduta», il rapporto con l’aria, la terra e il fuoco, il moto e d’acqua pannicolata»296.
il peso, il comportamento all’interno di vasi di diverse forme, il L’unico testo in questa parte dell’apografo che non sia di pura teo-
ruolo nella formazione di mari, fiumi e laghi, nella modellazio- ria, bensì di vera ingegneria idraulica, è quello tratto dal ms. H
ne di monti e valli, e quindi nella trasformazione della superficie riguardante il citato canale della Martesana, di cui Leonardo si
terrestre, provata anche dai caratteri delle rocce e dalla presenza era occupato a partire dal 1493-94 in prosieguo dei lavori iniziati
dei fossili. Leonardo anticipa in qualche modo la formulazione mezzo secolo prima:
del principio fondamentale dell’idraulica, che verrà poi definito
Facendo il Canale di Marsigana [Martegiana o Martesana] si dimi-
nuisce l’acqua all’Ada, la quale è distribuita in molti Paesi al servitio
di aver raccolto tutto il materiale utile (comprese le recenti scoperte spagnole) de’ Prati. È ci un remedio e q°. è di fare molti fontanili [sorgenti],
per una pubblicazione esaustiva sull’argomento, basata sul raffronto tra i vari
perché quell’acqua che è bevuta dalla terra non fà servitio à nissuno,
manoscritti, compresa la compilazione dell’Arconati.
292
  Più recentemente è stata prodotta su Leonardo ingegnere idraulico una ne ancor danno, perché a nissuno è tolta; e facendo tali fontanili l’ac-
consistente bibliografia, cui rimandiamo: cfr. F.P. Di Teodoro, L’architettura qua che prima era perduta ritorna di nuovo à rifar servitio et utile à
idraulica negli studi di Leonardo da Vinci: fonti, tecniche costruttive e macchine da cantie-
re, in Architettura e tecnologia. Acque, tecniche e cantieri nell’architettura rinascimentale gl’huomini. E dove prima tali Canali non eran condotti, non si pote-
e barocca, a cura di C. Conforti e A. Hopkins, Roma, Nuova Argos, 2002, pp.
259-277.
293
  A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., pp. 281-312, 517-562.
295
294
  Codice Atlantico, mss. A, F, H, I, K, M di Francia, Codice Arundel, Codice   Codice Atlantico, ff. 276v-a, 7r-a.
296
Leicester, Carte Windsor.   Codice Corazza, III, p. LXXXXV.

Capitolo secondo
64
va ne Paesi più bassi far essi fontanili. Adunque diremo che se tali Ca-
nali sono fatti in Marsigana, che la medema acqa. bevuta dal fondo de
Prati, sarà rimessa di nuovo sopra altri prati mediante tali fontanili,
la qual acqua pa. [prima] era perduta, e se l’acqua mancherà in Giera
d’Adda, e nella Mussa i Paesani potranno fare de fontanili veduto, che
una medema acqua bevuta da Prati più volte riserve à tal offitio 297.

Il canale o naviglio della Martesana, diramantesi dall’Adda pres-


so il fronte di Trezzo, raggiungeva Milano dopo un percorso di
trenta miglia. Come individuato per primo dall’Oltrocchi nel
Codice Atlantico, dopo le opere già eseguite negli anni ’50-’70
Leonardo ne curò la sistemazione definitiva, prevedendo di por-
tare l’acqua in città grazie a un attento controllo delle portate
attraverso un sistema di conche (peraltro alcune già esistenti
all’atto del suo intervento) e assicurando l’irrigazione delle ter-
re attraverso i fontanili, in modo da circondare così interamente
Milano: quest’opera, secondo l’Amoretti, avrebbe dato occasio-
ne per la famosa rappresentazione della capitale sforzesca conte-
nuta nel f. 72 del Codice Atlantico. All’epoca del suo soggiorno
nella dimora di Melzi a Vaprio d’Adda, il maestro si interessò
ancora del progetto di rendere navigabile quel fiume, opera che
però sarebbe stata realizzata solo sul volgere del Cinquecento.
Ovunque emerge, come sempre, la preoccupazione di Leonardo
di dare adeguato ordine ai tanti ‘precetti’ all’interno di un trat-
tato sull’argomento, che avrebbe dovuto far seguito alla prima
stesura: più volte egli fa riferimento all’«Ordine del libro dell’ac-
qua» ed elenca quelli che avrebbero dovuto esserne i capitoli o
i paragrafi. Nel ms. A (c. 1492) appare a un certo punto il titolo
«Cominciamento del trattato de l’acqua»298 , mostrando il maestro
la seria intenzione di partire nella trattazione da considerazioni ad
ampio spettro, come l’analogia tra la circolazione del sangue nel
corpo umano e dell’acqua nel ‘corpo’ della terra, che costituiva il Vincenzo Corazza, trascrizione dell’apografo Arconati su Moto e misura
dell’Acqua, c. 1780, f. 165, indice dei capitoli. Napoli, Biblioteca Nazionale,
fondamento filosofico della teoria analogica dei quattro elementi Ms. XII. D. 80
primordiali:
nel 1517, e se ne può individuare persino la ‘gestazione’ nel passaggio
L’omo è detto da li antiqui mondo minore, e certo la dizione d’esso dal ms. F al codice Leicester fino all’Arundel300. Come nota la Bri-
nome è bene collocata, imperò che, sì come l’omo è composto di
terra, acqua, aria e foco, questo corpo della terra è il somigliante.
300
  L’incipit del «Primo libro dell’acqua» torna nel ms. F (c. 1508), in cui Leonardo
In altri fogli dello stesso codice il tema viene affrontato per la prima mostra questa volta, al contrario di quanto annunciato nel ms. A, l’intenzione di
partire dalla scala della più piccola particella d’acqua: «Principio del libro. Gocciola
volta con un certo ordine, ma pretenderne la compiutezza sarebbe è quella che non si spicca dall’altra acqua, se la potenza del suo peso [non] è più
troppo. Sicché nel ms. I (c. 1497) ritroviamo il titolo: «Principio che la potenzia della collegazion ch’ell’ha co’ l’acqua con che ella è congiunta»
(Ms. F, f. 66v). Ai ff. 5r e 4v si accenna al «Libro nono» e al «Libro decimo». Cfr.
del libro dell’acque»299. In realtà, come in altri ambiti, Leonardo A.M. Brizio, Delle acque…cit., p. 288. Ma altrove (f. 87v), nello stesso manoscritto,
continuava a promettere un trattato che non sarebbe mai arrivato, torna sull’idea più generale: «Scrivi in prima tutta l’acqua in ciascuno suo moto;
proseguendo invece le proprie ricerche in modo frammentario e, di poi descrivi tutti li sua fondi e le lor materie, sempre allegando le proposizioni
delle predette acque. E fa buon ordine, ché altrimenti l’opera sarebbe confusa.
tutto sommato, deludente in rapporto alle aspettative di sistemati- Descrivi tutte le figure che fa l’acqua dalla sua maggiore alla sua minore onda, e
cità e preferendo l’osservazione e la sperimentazione continua alla le lor cause». Egli accarezzerà ancor più l’idea di portare a compimento il trattato
quando, verso il 1510, l’impegno nella progettazione su commissione sarà minore,
sintesi e alla trattazione sistematica. E anche quando, alla fine de- prevalendo quello nella speculazione teorica. Nel Codice Leicester si riconosce
gli anni ’90, egli si sarà definitivamente allontanato dall’ambiente un particolare interesse per i fondamenti teorici di una ‘ingegneria idraulica’ e,
‘pratico’ delle botteghe fiorentine, non si fermerà certo a riordina- quindi, un nuovo annuncio del piano di quell’opera: «Questi libri contengano in
ne’ primi della natura dell’acqua in sé, ne’ sua moti; li altri contengano delle cose
re quel mare di appunti e di calcoli, pur lavorando nel frattempo a fatte da e’ sua corsi, che mutano il mondo di centro e figura» (f. 51, cit. in A.M.
molte opere idrauliche per Ludovico il Moro, tra Milano e Vigeva- Brizio, Delle acque…cit., p. 277. Anni dopo, nel ms. E (c. 1513-14), nell’annunciare
ancora l’«Ordine del primo libro delle acque» (f. 12r), scrive: «Difinisci prima che
no, né procederà mai alla verifica sperimentale dei propri progetti. cosa è altezza e bassezza, come son situati gli elementi l’un dentro all’altro. Di poi
Così, in un’altalena di buoni propositi e di incertezze circa la scala che cosa è gravità densa e che è gravità liquida, e prima che cosa è in sé gravità
e levità. Di poi descrivi perché l’acqua si move e perché termina il moto suo».
alla quale affrontare l’argomento, riferimenti a questo trattato sulle Di nuovo, dunque, principi generali, che vengono ripresi nell’Arundel (1518), ove
acque si ritrovano fino alla ricordata visita del cardinale d’Aragona ancora troviamo accenni al trattato di idraulica, ormai solo un pretesto per sag-
giare concetti come l’immaterialità e il nulla: «Primo libro delle acque. Il nulla ha
superfizie colla cosa e la cosa ha superfizie col nulla; e la superfizie della cosa non
è parte d’essa cosa; seguita che la superfizie del nulla non è parte di tal nulla, onde
297
è necessario che una superfizie sola sia termine comune di due cose che siano in
  Ivi, pp. L-LI. contatto: come la superfizie dell’acqua non è parte d’acqua e per conseguenza non
298
  F. 55r. è parte dell’aria né d’altri corpi che infra loro s’interpone. Ch’è quel che dun-
299
  F. 72v. que divide l’aria dall’acqua?» (f. 159, cit. in A.M. Brizio, Delle acque…cit., p. 288).

Impianto e contenuti del Codice


65
zio, anche in campo idraulico Leonardo oscilla continuamente tra
i principi generali dati per acquisiti nel primo periodo fiorentino e
la sperimentazione e classificazione dei decenni successivi, che lo
portano anche ad affinare il proprio lessico nel sempre maggiore
approfondimento epistemologico e tassonomico. Nel secondo sog-
giorno toscano, pur tornando ad occuparsi di macchine idrauliche,
lo farà su grande scala, forte dell’esperienza milanese, questa volta
con applicazione all’Arno, come è possibile notare negli splendidi
fogli di Windsor. I liniamenti dell’acqua di un fiume, da deviare
con la creazione di una diga, sono ora rappresentati proprio come
il sistema venoso nei coevi studi di anatomia, sulla base della cita-
ta analogia acqua-sangue e terra-corpo umano. Infine Leonardo
giunge ad analizzare le trasformazioni causate dalle acque sulla
superficie terrestre e il conseguente continuo spostamento del suo
centro di gravità. Di qui le considerazioni sui fossili, i nichi, le
ipotesi sull’esistenza di antichi mari in regioni oggi desertiche e
quindi le meditazioni sullo scorrere del tempo:

L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima
di quella che viene; così il tempo presente301.

Sarà ora utile svolgere un rapido raffronto tra quest’ultima parte


del Codice e il testo del trattato Del moto e misura dell’acqua, di-
sponibile per noi, con il ricco apparato grafico, nella citata copia
di Corazza. In particolare segnaliamo alcuni precetti significativi
presenti nell’apografo Arconati e tratti per la maggior parte dal
ms. F e per il resto dai mss. A, B, C, E, G, H, I e dall’Atlantico,
di cui solo pochi sono riportati nel nostro Codice 302 . Tutto fa
pensare che frate Arconati abbia inteso giungere con il nuovo
apografo a un compendio esaustivo sul tema, integrando quanto
tralasciato in materia di idraulica nell’H 229 inf. e, quindi, nel
Codice napoletano. Del moto e misura dell’acqua di Leonardo da Vinci, a cura di Francesco Cardi-
Oltre a precetti di carattere generale, riguardanti le condizioni di nali, Bologna 1826, tav. 9
quiete o di moto dell’acqua, il rapporto tra acqua e aria, le pro-
prietà delle sorgenti, dei fiumi, delle relative correnti, delle carat- governo del territorio dal punto di vista del regime delle acque.
teristiche dei canali, delle onde e dei «retrosi», appare interessante Il testo giacerà per oltre un secolo nella Biblioteca Barberini senza
la trascrizione (lievemente modificata) del precetto riportato nel f. che nessuno se ne occupi. L’idea di una trascrizione e studio dell’a-
46 v-a dell’Atlantico sul tema «A far che un ponte non ruini», che pografo originale da parte di Corazza va riconosciuta quale ulte-
recita: «Se il fiume per l’ordinario occupa la larghezza di un arco, riore merito ai fini della diffusione del pensiero vinciani. La sua
fa che il ponte habbia tre archi, e questo faccio per caggione del- stessa analisi dell’apografo Arconati dal punto di vista del lessico
le piene e dell’inondationi». Sono pure da rilevare le prescrizioni tecnico di Leonardo, ritrovabile nei «Termini di arte», se solo aves-
in materia di canalizzazione e sollevamento delle acque, e, natu- se avuto esito in una pubblicazione, avrebbe certamente favorito il
ralmente, i consigli «per fare un moto perpetuo d’acqua». Infine, progresso degli studi vinciani in campo idraulico. A partire dagli
nel libro nono, il frate raccoglie disegni di macchine idrauliche inizi dell’Ottocento l’importante lavoro dell’Arconati tornerà ad
(mulini, pompe, mantici, ecc.) tratti dai mss. B, E, F e dal Codice essere oggetto di attenzione grazie agli studi di Venturi sui mano-
Atlantico, anche questi assenti negli altri apografi. Tra gli altri scritti di Francia.
‘ingegni’ vi sono macchine per lo svuotamento di fossati e argini, Ancora a proposito dell’apografo Arconati, pubblicato per la prima
nonché indicazioni sul proporzionamento e sulla posa in opera volta dal Cardinali nel 1826303 , Dozio scrive: «Nell’Argelati non è
di palificate. Insomma l’Arconati integra nel nuovo codice tutto cenno di questo Luigi Arconati, ma è credibile, ch’ei fosse della
quello che la scienza vinciana ha potuto esprimere in materia di famiglia del Conte Galeazzo, donatore degli originali all’Ambro-
siana, e che per compiacere al Cardinal Barberini abbia mandato
una nitida copia di quella collezione in un corpo di diversi capitoli
301
  Codice Trivulziano, f. 35v, cit. in A.M. Brizio, Delle acque…cit., p. 287. di Leonardo relativi al moto e misura dell’acqua. Questo codice bar-
302
  Riportiamo gli originali corrispondenti a questi precetti, nell’ordine in cui berino, ch’era pure recato da Milano a Roma, fu poi copiato per
compaiono nell’apografo Arconati: F, 27r-26v; A, 58v; F, 38v; C, 23v; A, 58v; E,
70v; C.A., 354 r.e.; C.A., 102 r.b.; F, 40v; F 37v; C, 26v; I, 42r; G, 14v; I, 58r-57v
servire alla stampa di Bologna. V. la lettera dedicatoria del Cardi-
(cfr. Cod. Corazza, II); C.A., 124 r.a.; I, 41v; I, 57v; H, 6v; I, 28v; C, 25r; F, 33v; nali premessa a quella edizione di Bologna: comecché il Cardinali,
C.A., 84 v.a.; C, 26v; C.A., 84 v.a.; I, 19v; A, 60r; A, 61r; H, 6r; A, 24r; A, 58r; A, accennando un altro Codice, non parli chiaro abbastanza» 304 . Ef-
25r; A, 59r; I, 32v; I, 29r; H, 35v; H, 46v; I, 22r; C.A., 46 v.a.; I, 35r; C.A., 77v; H,
47r; F, 7r; F, 3r; C.A., 81 v.a.; F, 16r (cfr. Cod. Cor., II); C.A., 124 r.a.; E, 14r; B,
26r (cfr. Cod. Cor., II); E, 76r (cfr. Cod. Cor., II); E, 75r; E, 72v (cfr. Cod. Cor.,
303
II); E, 72r (cfr. Cod. Cor., II); B, 53v (cfr. Cod. Cor., II); B, 20r (cfr. Cod. Cor.,   Del moto e misura dell’acqua di Leonardo da Vinci, a cura e spese di F. Cardinali,
II); B, 54r (cfr. Cod. Cor., II); F, 15r (cfr. Cod. Cor., II); F, 13r (cfr. Cod. Cor., Bologna, s.n., 1826.
304
II); F, 16r (cfr. Cod. Cor., II); F, 23r; F, 49v; B, 66r; B, 81r (cfr. Cod. Cor., II).   G.M. Dozio, op. cit., p. 24.

Capitolo secondo
66
fettivamente nella premessa al testo il curatore rivelava di aver rice- § 3 I Termini di arte nelle definizioni di Corazza:
vuto una copia dell’apografo da Francesco Tassi, accademico della per un primo vocabolario vinciano
Crusca e bibliotecario del Granduca di Toscana: il documento, citato
nell’edizione del Cardinali con il titolo di Trattato della natura, peso I «Termini di arte nelli scritti di Lionardo da Vinci ed altri», redat-
e moto delle acque, e osservazioni sul corso de’ fiumi, appare in stampa ti da Corazza, con ogni probabilità, nel 1798310, risultano tuttora ine-
con l’apparato grafico collocato alla fine del testo e privo di note diti311 e sicuramente degni di una trascrizione integrale, che propo-
critiche come di qualunque riferimento all’apografo barberiniano. niamo in appendice. Essi ci offrono una testimonianza dell’impegno
Un secolo più tardi, nel 1923, va in stampa l’edizione del trattato profuso dall’abate nell’analisi dei testi vinciani in suo possesso, ma
Del moto e misura dell’acqua curata da Carusi e Favaro per i tipi di anche della grande esperienza e passione da lui maturate nell’ambito
Zanichelli305 e promossa da Mario Cermenati, direttore dell’Isti- più vasto delle tecniche e delle ‘regole dell’arte’ rinascimentali.
tuto di Studi Vinciani a Roma: a differenza della precedente, essa L’esigenza sorta in Corazza di formare il primo, sia pure provvisorio,
contiene un preciso riscontro dell’apografo Arconati rispetto agli ‘vocabolario vinciano’, interpretato alla luce del modello della Cru-
originali di Parigi, dimostrandosi così che il frate, in più di un sca e opportunamente integrato con quanto ricavabile da Vasari e da
punto, manipola i testi leonardeschi306 : già soltanto da un con- Cellini, è in effetti motivata dalla scarsa comprensibilità di certi ter-
fronto dei brani del ms. F contenuti nella terza parte del Codice mini presenti nel materiale apografo in suo possesso, specie di quelli
Corazza con il testo dell’Arconati si comprende come questi abbia tecnici, spesso del tutto inventati da Leonardo nell’occasione di de-
‘costretto’ i precetti tratti dai codici originali all’interno di una scrivere le proprie innovative esperienze e i relativi grafici illustrativi.
scansione in nove libri e relativi capitoli tutt’altro che vinciana. Sarebbe auspicabile che il documento fosse oggetto, in futuro, di un
E se egli non conobbe certamente quanto contenuto sull’argo- attento studio filologico e lessicale, che esula certamente dai limiti
mento nel Codice Leicester, nel Trivulziano, nell’Arundel e nei di questa ricerca e delle competenze di chi scrive. Ci sia consentita
fogli di Windsor307, viceversa alcuni brani presenti nel suo apo- solo qualche osservazione più generale, rimandandosi alla trascrizio-
grafo potrebbero derivare da manoscritti perduti: cosa facilmente ne del testo per una lettura più accurata.
desumibile dalla mancanza, in corrispondenza di alcuni precetti,
della consueta indicazione dell’originale di riferimento da parte di Saranno opportuni, preliminarmente, alcuni riferimenti alle più
Carusi e Favaro. ampie problematiche relative al linguaggio vinciano, affrontate in
Nella prefazione i curatori accennano sia al manoscritto «de la na- più occasioni da studiosi autorevoli, da Augusto Marinoni a Carlo
tura de l’acqua», che Leonardo aveva annunciato come cosa fatta al Vecce. Quest’ultimo, ad esempio, nota come la lingua adoperata da
cardinale d’Aragona nel 1517, sia a quanto riferito dal Vasari e dal Leonardo, improntata in generale alla tradizione toscana del Quat-
Mazenta sugli studi di idraulica compiuti dal maestro. La selezio- trocento, non sia scevra da accenti lombardi, specie dopo il soggior-
ne e la struttura dei «libri» dimostra che il frate non doveva certo no milanese, cui si aggiungono inevitabili contaminazioni dovute al
essere a digiuno della materia, conoscendo tra l’altro gli studi già pellegrinare a Mantova, Urbino, Roma e, infine, Amboise: essa non
intrapresi su quei manoscritti dal Castelli, prima che fossero pub- era stata ancora oggetto della normalizzazione classicista di Bem-
blicati nel 1659308 . Del resto il compilatore sviluppa in più punti di- bo312, che avrebbe condotto intorno alla metà del XVI secolo all’im-
mostrazioni che nei testi di Leonardo appaiono soltanto accennate posizione di nuove regole ortografiche e linguistiche, riconoscibili
e allo stesso modo elabora grafici più chiari e attinenti rispetto a già nelle correzioni apportate da terzi al testo originale del Libro di
quelli vinciani, spesso sommari, mettendo, ad esempio, in risalto Pittura di Melzi.Vedremo come, in più di un caso, Corazza faccia ri-
le linee direttrici dell’energia e del moto dell’acqua. ferimento proprio all’accezione lombarda di molti termini vinciani.
Pure interessante ci pare quanto Carusi e Favaro rilevano a propo- Se da un lato Solmi e Marcolongo sottovalutano le difficoltà di
sito della grafia riconoscibile in alcune parti dell’H 227 inf. e ascri- Leonardo nell’accedere a tante fonti in lingua latina, dall’altro Mari-
vibile allo stesso Arconati; ma nell’apografo ambrosiano, come noni313 dimostra come, effettivamente, molte di esse vengano da lui
abbiamo già notato, manca proprio la parte corrispondente alla ignorate o male interpretate; né gli riuscirà mai di colmare questa
seconda sezione dell’H 229 inf. e alla terza del Codice Corazza, la lacuna, nonostante gli sforzi mostrati già a partire dall’età di circa
più ricca in materia di idraulica. Peraltro, nel citare la trascrizio- quarantacinque anni. In realtà, come si è notato, l’essere «omo sanza
ne presente presso la Biblioteca Nazionale di Napoli309 , i curatori lettere» significava proprio non conoscere il latino: per questo egli
non riconoscono in «V.C.» la sigla di Corazza, mostrando così di sosterrà la propria battaglia di scienziato basandosi non tanto sul
ignorare non solo il ‘copista’, ma anche il ricco carteggio dell’abate gioco dialettico o sul puro discorso mentale, insomma sull’epistème,
bolognese presente nella stessa biblioteca, ivi compreso l’attento quanto sul continuo rimando tra quest’ultima e la téchne, ossia l’os-
studio del lessico vinciano da lui svolto nei «Termini di arte». servazione della natura e la sperimentazione tecnico-pratica. A volte
Leonardo, anziché ricorrere (come in genere fa) ad amici umanisti
per farsi tradurre testi latini, ci prova da solo, con risultati assai scarsi
o con storpiature dovute alla tendenza a modificare i vocaboli in
305
  Del moto e misura dell’acqua / Leonardo da Vinci; libri nove ordinati da f. Luigi base alla fonetica toscana. Marinoni ha quindi dimostrato come ne-
Maria Arconati editi sul codice archetipo barberiniano, a cura di E. Carusi e A. Favaro
(pubblicaz. dell’Istituto Vinciano in Roma, diretto da M. Cermenati), Bologna,
Zanichelli, 1923.
306 310
  Libro di Pittura…cit., p. 74. Si veda inoltre N. De Toni, Frammenti vinciani   BNN, Manoscritti e Rari, ms. XII.D.81. Il documento è legato in 4°. La pos-
XII, in «Raccolta Vinciana», XX, 1964. Cfr. pure Cfr. A. Favaro, Intorno al sibile datazione si evince da vari riferimenti, tra cui quello (ivi, parte III, f. 33)
Trattato di Leonardo da Vinci sul moto e misura dell’acqua, in «Rendiconti della R. che accenna alla trafugazione di opere d’arte da parte dei francesi durante l’oc-
Accademia dei Lincei», XXVII, 1918. cupazione della capitale pontificia, iniziata, come è noto, proprio in quell’anno.
307 311
  Si veda, tra l’altro, la citata selezione sul tema idraulico presente in A.M. Brizio,   Il documento è stato per la prima volta oggetto di attenzione in una scheda di
Scritti scelti…cit., pp. 281-312, 517-562. A.Vezzosi in Leonardo e il leonardismo…cit., p. 141.
308 312
  B. Castelli, op. cit.   Libro di Pittura…cit., p. 104.
309 313
  Del moto e misura dell’acqua….(ediz. a cura di E. Carusi e A. Favaro), cit.,   A. Marinoni, Gli appunti grammaticali e lessicali di Leonardo da Vinci, I-II, Milano,
pp. XI-XII. Tip. E. Milli, 1944-52.

Impianto e contenuti del Codice


67
mss. H e I, ossia dal 1494 in poi, Leonardo integra i propri appunti
di grammatica latina sulla base dei Rudimenta grammatices del Per-
rotti (Roma, 1474), sicuramente presenti nella sua biblioteca, come
si evince dal nuovo elenco del 1504316: egli giungerà a possedere
volumi cui non potrà mai attingere proprio per le difficoltà lingui-
stiche legate al latino di quegli autori, come è il caso dell’enciclo-
pedia di Giorgio Valla o delle opere dei cosiddetti «vocabolisti»317.
Per riportarci allora all’epoca in cui Corazza svolge i propri studi, va
ricordato che ancora sul finire del Settecento la fonte più autorevole
in materia di lessico tecnico-artistico era il Vocabolario toscano dell’arte
del disegno di Filippo Baldinucci (più volte citato dal bolognese), edi-
to per la prima volta a Firenze nel 1681 e voce dell’Accademia della
Crusca: tanto che nel 1788 Comolli ne auspicherà una nuova edizio-
ne aggiornata e ampliata, che vedrà la luce a Verona, per Ramanzini,
solo nel 1806. Pur contenendo il repertorio migliore delle voci ita-
liane corrispondenti a quelle vitruviane, era opinione comune che il
Vocabolario dovesse essere reso più ricco, traendosi ulteriori termini
da un ‘classico’ come le Vite di Vasari e assumendosi come modello,
naturalmente, il «gran vocabolario della Crusca» nell’edizione pub-
blicata proprio a Napoli nel 1772318. Un altro autorevole riferimento
era il Nouveau dictionnaire francois-italien, compose sur les dictionnaires de
l’Academie de France et de la Crusca […] enrichi de tous les termes propres
des sciences et des arts (italiano-francese/francese-italiano) di France-
sco Alberti di Villanuova (edizioni degli anni 1777, 1780, 1793)319, non
a caso citato da Corazza in più occasioni.
Sicché l’abate bolognese potrebbe essere stato ispirato proprio
dall’amico Comolli nell’ardua impresa di proporre per la prima
volta un ‘vocabolario vinciano’: lo studio va inserito nella scia del
Dictionnaire, quella cioè del glossario specialistico, oramai di moda
a quell’epoca. Non a caso l’autore si riferisce alle fonti da ritener-
si, con quelle vinciane, le più autorevoli nell’ambito della tecnica
artistica cinquecentesca, ossia i trattati di Cellini e di Vasari, ana-
lizzandone i termini più significativi, passati attraverso il ‘setaccio’
del vocabolario della Crusca e dei suoi successivi aggiornamenti,
Leonardo da Vinci. Del moto e misura dell’acqua, a cura di Enrico Carusi e come le cosiddette «Giunte» edite periodicamente dagli accade-
Antonio Favaro, 1923, frontespizio
mici, tra cui quelle «napoletane» (1749)320. Il riferimento costante
è dunque alla Crusca; ma Corazza, in più d’un caso, non vi ri-
gli appunti grammaticali o lessicali presenti in molti codici vinciani trova i vocaboli nell’accezione vinciana e, dopo aver controllato
non possano riconoscersi progetti di grammatiche o di vocabolari nelle «Giunte», propone a sua volta i necessari aggiornamenti al
italiani o latini, bensì solo gli sforzi di Leonardo per impadronirsi vocabolario sotto il profilo strettamente tecnico. Egli tiene co-
di quel tanto di latino che gli è utile per andare avanti, «quasi un munque a sottolineare di non voler redigere con i «Termini di
ponte gettato sul fiume che divideva gli uomini pratici delle “arti arte» un dizionario dei significati correnti, né delle accezioni da
meccaniche” dai letterati che si attribuivano il possesso esclusivo ritenersi corrette, bensì, semplicemente, calarsi nella realtà dei tre
della scienza»314. autori rinascimentali e cercare di interpretarne il linguaggio: «Ri-
Il problema del lessico vinciano315 è dato dunque dalla difficoltà del cordisi che [io] noto l’uso che si è fatto delle Voci; il che non vuol
maestro di mettere i propri testi in forma compiuta e corretta, che
si manifesta persino quando egli si trova a dover scrivere una missi-
va, per cui spesso dovrà ricorrere a scrivani. Solo a partire dal 1487, 316
  A. Marinoni, Gli appunti grammaticali…cit., p. 323.
ossia dal ms. B e dal Trivulziano, Leonardo comincia a curare la 317
  Ivi, p. 327.
lingua: da semplice tecnologo e osservatore dei fenomeni, aspira 318
  A. Comolli, op. cit., I, p. 105. L’edizione, citata da Corazza in più occasioni, risulta
a divenire teorico e divulgatore, dovendo quindi necessariamente oggi irreperibile. Interessante, per comprendere la problematica linguistica e lessica-
le dello studio dell’abate bolognese, quanto leggiamo, ad esempio, a proposito della
acquisire una padronanza della scrittura; in quest’epoca la sua bi- parola solio ritrovabile in Leonardo: «solio aggettivo per liscio usasi da mercatanti
blioteca, come dimostra il ms. II di Madrid, si arricchisce enorme- in qualche parte della Lombardia, che non saprei ora indicare precisamente; ben so
mente, accogliendo opere scientifiche e letterarie, fino al nutrito io però che nella patria di cui sono una stoffa, un drappo in opera, per esempio a
fiori, non chiamerebbesi solio, come un ammuerre, o un lustrino semplice e d’un
elenco che troviamo in un foglio del Codice Atlantico del 1490. Nei color solo. Avverto qui che le Voci de’ Bolognesi, più comuni sono quelle (fra gli
altri dialetti) che s’avvicinan più alle antiche voci degli Scrittori toscani; così che a
scrivere e ad interpretare, l’un linguaggio può assai giovare all’altro».
319
  F.Alberti diVillanuova, Nouveau dictionnaire francois-italien, compose sur les diction-
314
  Ivi, p. 301. naires de l’Academie de France et de la Crusca, enrichi de tous les termes propres des sciences et
315
  Cfr. pure C. Dionisotti, Leonardo uomo di lettere, in «Italia medievale e uma- des arts ... Par M. l’abbe Francois Alberti de Villeneuve, dans cette premiere edition italienne
nistica», V (1962), pp. 183-216. Va infine segnalato il recentissimo studio: Glossario nouvellement corrige, ameliore, & augmente, prima ediz., Bassano Remondini, 1777.
320
leonardiano. Nomenclatura delle macchine dei Codici di Madrid e Atlantico, a cura di Paola   Cfr. Vocabolario della lingua italiana, a cura dell’Accademia della Crusca, Padova,
Manni e Marco Biffi, Firenze, Olschki, 2011. tip. Minerva, 1827, p. IX.

Capitolo secondo
68
dire assicurarne il buon uso, ma sì mostrarlo qual ch’egli sia»321. guardo poi ai termini della seconda parte, egli chiarisce numerosi
Nel glossario i vocaboli appaiono spesso ripetuti in ragione delle concetti attinenti alle macchine militari, all’ingegneria meccanica
diverse accezioni che essi assumono non solo in diversi ambiti geo- e idraulica, alle costruzioni, ai materiali. Nell’ultima parte preval-
grafici, ma anche all’interno dei testi di un medesimo autore, come gono nettamente, come era naturale attendersi, le voci riguardanti
avviene, con frequenza, proprio in Leonardo. Corazza distingue al- la teoria delle acque, cui si aggiungono quelle tratte dal codice Ar-
lora i termini secondo la loro origine vernacolare, notando come conati, citate secondo l’ordine dei nove libri concepito dal frate326.
il maestro abbia subìto sovente l’influenza di idiomi locali, specie,
come abbiamo visto, di quello lombardo322; ma molti riferimenti 326
  Ad esempio, riguardo alla prima parte del Codice, Corazza scrive a proposi-
sono pure alla lingua dei bolognesi (ossia alla propria) e a quella dei to della voce angolo grosso (Codice Corazza, I/b, p. 58): «È chiamato da Lionardo
napoletani, mostrando un particolare interesse, anche sotto questo l’angolo che più o meno s’accosta al retto; o per dir meglio la caduta del raggio
profilo, per la città che lo ospita323. luminoso sovra l’oggetto che più si scosta dalla obliquità: così per tutto il suo
Tratt. della Prospettiva che ho alle mani. […] Ma poi dichiarasi d’intender an-
Dalla prima parte del glossario si ha conferma, attraverso il lessico golo più o men grosso quell’angolo che ha maggiore o minor basa, cioè superfi-
tecnico, della notata fisionomia delle diverse sezioni dell’apografo cie donde partono i raggi, che quasi piramide, metton il vertice loro negli occhi:
il che io non avea prima ben compreso. Correggi colla nota Angolo grosso p. 12»
seicentesco. Corazza segue l’ordine di citazione secondo l’articola- del testo del glossario, che così recita: «Angolo grosso […] è sempre l’angolo di
zione generale del Codice in tre ‘manoscritti’ («ms di Leonardo da più superficie, o sia l’angolo solido, ch’eccede i gr. 90». Riguardo all’aggettivo
Vinci presso di me»): tenendo ben presente la terminologia adotta- retroso (ivi, f. 61) leggiamo: «Se la materia (il corpo) è miglior (intendi maggior)
ch’è ‘l lume (se l’Aut. non ha scritto ch’el), l’ombra sarà simile a una retrosa e
ta in seno all’Accademia della Crusca, egli analizza le voci degne, contraria piramide, e la sua longitudine è senz’alcun termine (ben s’intende una
a suo parere, di un approfondimento ai fini di una più corretta piramide, che ha il suo apice nel lume, od anche più rimoto ch’è il lume dal
corpo illuminato; e per ciò chiama retrosa la piramide de’ raggi, la cui basa ri-
interpretazione del pensiero vinciano. Si tratta di termini riferibili man sempre nel lume, quando questo è magg. del corpo illuminato». Sappiamo
alle arti minori, alla pittura, alla scultura, ma anche all’architettu- però che «retroso» viene più spesso adoperato da Leonardo, nell’idrodinamica,
per indicare il moto vorticoso delle acque in presenza di un ostacolo o al ruo-
ra e all’ingegneria, presenti nelle Codice, cui l’abate aggiunge il tare di un corpo in un recipiente; ma si veda più innanzi. L’aggettivo columnale
«quarto manoscritto» Del moto e misura dell’acqua. (ivi, f. 97) viene così spiegato da Corazza: «hallo in più luoghi Leonardo […],
Molti vocaboli tratti dal Codice sono oggetto di attenzione da e per tutto sembra significare che ha fig. di colonna, o cilindrica». «Stremare
per diminuire, donde il rastremare degli Architetti (hallo Alb. [F. Alberti di
parte di Corazza anche se per nulla attinenti all’arte o alla tecnica Villanuova], e verisimilmente la Crusca, anzi lo ha per iscemare, sminuire; ben
artistica: egli li segnala infatti unicamente come ‘stranezze’ lin- manca, e nelle Giunte ancora, il rastremare degli Architetti». Per «finestra senza
alcuna tramezzadura» (ivi, f. 122) – vocabolo quest’ultimo che Corazza non trova
guistiche del vocabolario vinciano. Leonardo aveva condotto nel nella Crusca – egli intende «cioè senza aver nel suo vano, o come dicesi, nella
codice Trivulziano, a partire dall’inizio degli anni ’80, un’opera- sua luce, corpo alcuno che s’infraponga; come mostra la fig. di Leonardo» a
zione di acquisizione e ‘riduzione’ dei termini della lingua italiana corredo del testo. Con riferimento alla seconda parte del Codice, parlando degli
effetti devastanti della «palla» detta «clotobrot» se lanciata contro un bastione o
tratti dai libri che egli all’epoca consultava, dal De re militari di «dentro à una gran nave ò rivellino», Corazza si sofferma su quest’ultimo termine,
Valturio al Novellino di Masuccio Salernitano. Come ha notato essendo convinto che esso esprima qualcosa di diverso dal significato moderno,
«perché altra è la moderna architettura militare, né so che le cortine del sec.
Vecce324 , non si tratta di vocaboli della lingua parlata, bensì dei XVI appena cominciato avesser difesa di rivellino, come oggi; né veggo a che
termini tecnici di cui l’«omo sanza lettere» doveva dotarsi per ga- servissero i Coltobrot [sic] lanciati sovra i nostri rivellini, che non ritengon
rantire alla propria arte la dignità di scienza, oltre che la più rapida soldatesca, né uomini racchiusi». Seguono definizioni in materia di idraulica
e, nuovamente, di prospettiva, ombre e luci. Tra l’altro, Corazza si stupisce del
comprensione e diffusione. termine lineale adoperato da Leonardo, ritenendone corretta la trascrizione solo
Corazza dimostra anche nei «Termini», come in altre occasioni, «se l’autore non ha anzi scritto lineare, come oggi si scriverebbe; ma veggasi se
continua a chiamarla così»; e infatti così succede. Riguardo alla terza parte del
una competenza e un aggiornamento in campo scientifico davve- Codice, troviamo finalmente nel glossario la definizione più appropriata per il
ro insospettabili. Così, nel citare la frase di Leonardo: «Il centro termine retroso: «retroso è ciò che diciam vortice; il rivolgimento che fassi nelle
correnti, quando alcuna volta una parte dell’acque, lasciando la direzione e il
della sfera dell’acqua è il centro vero della rotondità del nostro corso dell’altre che muovonsi con lei, s’avvolgon con moto spirale turbinato
Mondo, il quale si compone in frà acqua, et terra in forma roton- attorno ad una retta, che guarda il fondo del canale, per cui scorrono. La Crusca
da», egli spiega: «si sono recati altri esempi di Mondo per Terra; scrive Ritroso, né ha Retroso, come sempre Lionardo». A proposito poi della
voce «fontanile», Corazza scrive che «è da richiederne il significato a’ Milanesi.
questo evidentiss. dee bastar per tutti, e debb’esser presente per L’adopera Lionardo nel suo §. Del Canale di Marsignana; e sembran serbatoi,
intender bene un importantiss. luogo del n˜ro Aut. che contiene il ne quali ricevere e conservar acque, che sperderebbonsi altramente»; la Brizio,
nel suo glossario dei termini vinciani, ne dà la definizione di «acqua sorgen-
germe del sist. Newtoniano su la universale Attraz.ne»325. te dagli strati ghiaiosi del sottosuolo» (A.M. Brizio, Scritti scelti…cit., p. 692).
Nel riferirsi alle due sezioni della prima parte del Codice, vale a Ancora, l’«angolo della contingenza», ossia di contatto, definizione geometrica
dire i «Capitoli aggiunti» e il trattato su Ombre e lumi, Corazza dà come abbiamo visto particolarmente importante per Leonardo, viene così spie-
gato dall’abate bolognese, con una precisione da vero matematico: «Equivale ad
risalto ai termini attinenti alle questioni geometriche e prospetti- angolo del contatto, che fassi da una retta, la quale è tirata sopra l’estremità di
che, ai colori e in generale ai fenomeni legati alla percezione. Ri- un raggio di circolo al suo perimetro, e spandendosi dall’una, e dall’altra parte,
fa con esso raggio angoli uguali». Per «angolo grosso», poi, va inteso «sempre
l’angolo di più superficie, o sia l’angolo solido, ch’eccede i gradi 90». Per quanto
riguarda infine l’apografo Arconati, tra le altre definizioni riportiamo quella
321 relativa al termine aggetto: «Notisi che gli Architetti, sotto la voce aggetto, in-
  BNN, Manoscritti e Rari, ms. XII.D.81, «Termini di arte…», cit., I, p. 24.
322 tendon sempre lo sporto che alcune parti della fabbrica, come cornici, mensole,
  A p. 19 della prima parte del glossario leggiamo in proposito: « È probabile che ecc. producon oltre alla perpendicolare del muro; né mai (fuor di questo luogo
Lionardo abbia scritto a Milano una parte di questi e degli altri pensieri suoi, che del Vinci) ho trovato adoperarsi questa voce a significare l’eccesso oltre alla
tengo MSS». perpendicolare delle parti che metton nel piano, o sotto il piano dove s’appoggia
323
  «Le Voci de’ Bolognesi, più comuni sono quelle (fra gli altri dialetti) che la fabbrica. Gli speroni d’un muro escono fuori del muro perpendicolare, e lo
s’avvicinan più alle antiche V. degli Scrittori toscani; così che a scrivere e ad in- appoggiano; ma non ho veduto che la quantità di un tal uscimento siasi chiama-
terpretare, l’un linguaggio può assai giovare all’altro. Ma non è questo il luogo ta aggetto. Ricordisi però che noto l’uso che si è fatto delle voci, il che non vuol
di tal argomento». Molti sono i punti in cui Corazza sottolinea la presenza in dire assicurarne il buon uso, ma sì mostrarlo qual egli sia: E in verità, se aggetto
Leonardo, come pure in Cellini e in Vasari, di voci usate frequentemente in am- è nato da adjectio, Lionardo non ha errato fuorché contro l’uso ricevuto». Altra
bito bolognese, appuntando: «formula usatissima in Bologna». E ancora: «Anche voce da segnalare in questa parte del glossario è quella relativa al legno di oniccio
qui cred’io che bisogni un Milanese per interpretar roggia». (o ontano) consigliato da Leonardo, insieme con quello di quercia, per realizzare
324
  C.Vecce, Collezioni di parole: il Codice Trivulziano di Leonardo da Vinci, in Orient- pali di fondazione (come era avvenuto nelle nuove mura di Pavia); quelli di
Occident. Croisements lexicaux et culturels, sous la direction de G. Dotoli, C. Diglio, G. quercia sono neri, quelli di ontano sono di colore rosso «verzino»: «L’osserva-
Fusco Girard, actes des Journées Italiennes des Dictionnaires (Naples, 26-28 fèvrier zione di Lionardo in qualche modo s’accorda con Valmont de Bomare § [sic]
2009), Fasano, Schena Editore, 2009. Aune che afferma il ponte di Rialto, e quello di Londra essersi fondati sovra
325
  BNN, Manoscritti e Rari, ms. XII.D.81, «Termini di arte…», cit., I, p. 31. palafitte d’Ontano, o sia l’Alno. Il popolo che ha veduto qualche volta (in Ve-

Impianto e contenuti del Codice


69
Negli altri due capitoli dei «Termini», Corazza si riferisce rispet-
tivamente ai Trattati sull’Oreficeria di Benvenuto Cellini, editi nel
1568, e alle Vite di Vasari nell’edizione del 1767-72327 : lo scopo del-
lo studioso è quello di giungere ad un repertorio di voci, con
relative definizioni, il più ampio ed esplicativo possibile, attin-
gendo anche a quei testi cinquecenteschi che, prendendo le mos-
se proprio dagli scritti di Leonardo, erano da ritenersi ancora a
quell’epoca i più autorevoli nel campo della tecnica artistica328 .
Colpisce l’attenzione scrupolosa che Corazza pone alla termino-
logia concernente i materiali da costruzione, i metalli e le pietre
preziose utilizzati nell’oreficeria. Si tratta di uno studio lessica-
le dettagliato, di grande interesse per un esame dell’evoluzione
tassonomica nel settore tra Cinque e Settecento: per questo, pur
non essendo di specifica attinenza agli argomenti da noi tratta-
ti, abbiamo riportato in appendice anche queste parti del ‘voca-
bolario’, utili a completare il quadro dell’attenta opera condotta
dall’abate bolognese, il quale dimostra anche in questa occasione
un grande interesse nell’applicazione delle proprie specificità disci-
plinari al settore dell’arte e persino dell’artigianato rinascimentale.
In merito alle definizioni dei termini tratti da Cellini – riguardanti
esclusivamente le tecniche di lavorazione dei gioielli e delle pietre
preziose – abbiamo già notato quanto fosse grande l’influenza dei
testi vinciani sulla formazione di quel grande scultore ed evidente,
in molti casi, la diretta adozione da parte sua del lessico di Leonar-
do. Corazza scende nei dettagli tecnici più minuti, dando prova
di un’approfondita conoscenza anche nel campo della scultura e
dell’arte orafa: ad esempio, egli passa in rassegna le voci riferite ai
diversi tipi di gemme e di metalli preziosi, esaminando strumenti
e processi di lavorazione, come fusioni, cesellature, incisioni, ecc.,
e fornendo una plausibile definizione anche per i più rari voca-
Vincenzo Corazza, Termini di arte nelli scritti di Lionardo da Vinci ed altri, c.
boli adottati dall’artista; anche in questo caso, Corazza propone 1798, parte I, p. 1, vocaboli tratti dalla sez. I/a del Codice Corazza. Napoli,
confronti, oltre che con il vocabolario della Crusca, anche con Biblioteca Nazionale, Ms. XII.D.81
il lessico quotidiano di ambito toscano, lombardo, romagnolo e,
naturalmente, con quello della «gente di Napoli». in cui il trattatista aretino descrive le «fabbriche bellissime fatte di
Il riferimento poi all’opera vasariana, riedita con l’aggiunta di un bozze»), dei principali tipi di fregi e delle matrici geometriche degli
imponente apparato di note e pubblicata a Livorno e a Firenze, di- elementi strutturali329, e persino di particolari materiali o tecniche di
mostra il grande interesse e l’alto livello di aggiornamento di Coraz- costruzione e decorazione adoperati in specifiche realtà locali.
za nei confronti di un’autentica pietra miliare della critica artistica, Capita però che per alcune voci l’autore non riesca a trovare con-
che tanto doveva alla lezione vinciana proprio dal punto di vista forto in nessuno dei trattatisti presi in esame, dovendosi a suo parere
della terminologia adottata. Oltre ad entrare nei dettagli delle regole procedere con indagini più approfondite, segnatamente in ambito
dell’arte, della tecnica e degli strumenti descritti da Vasari in ambito toscano: «Benv. Cellini non ne dà una idea che basti a me che non
pittorico e scultoreo, Corazza riporta i termini architettonici più si- sono dell’arte; così non m’è chiaro il Vasari. Tutto sarebbe chiariss.°
gnificativi presenti nell’introduzione alle Vite: egli propone, tra l’al- in Firenze, per chi sapesse interrogare, e vedere»330.
tro, le definizioni degli ordini rustico e composito (raffrontate anche
con quelle di Francesco Alberti), del bugnato (con citazioni di brani
329
  A proposito della voce «abbagliamento» in Vasari, Corazza osserva: «questo
abbagliamento è l’effetto ancora cagionato dal grosso dell’aere che si frappone
tra l’oggetto, e l’occhio, come appar manifesto nelle cose, che vediamo in molta
nezia) qualcuno di questi antichi pali, somigliantissimi nel colore al verzino, af- distanza. Di questo è da vedere Leonardo da Vinci, primo a trattare la Prosp.a ae-
ferma e crede, che que’ primi fondatori, per magnificenza posero le fondamenta rea» (BNN, Manoscritti e Rari, ms. XII D 81, «Termini di arte…», cit., III, p. 27).
di quella singolare città sopra fondazioni di vero verzino; alcuni che ricevon 330
  Ivi, f. 22. Alla voce quarti acuti, riguardante i ‘deprecati’ archi gotici, Corazza
questa grossolana affermazione, hanno preteso assicurarmi che cotesti pali eran scrive: «“Girarono le volte con quarti acuti” (i Goti; ed avverti che si è detto di cotai
di quercia, il cui legno rimasto profondamente infossato prende quel colore». volte, got.e o tedesche, esser elleno fatte con sesti acuti: nel qual caso alcuni han
327
  G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architetti scritte da Giorgio Vasari pittore preso sesto per garbo, modellatura, che fa angolo nella sommità. Io ho dubitato che
e architetto aretino, Livorno-Firenze, Coltellini-Stecchi & Pagani, 1767-72, tomi I-VII. il sesto acuto non avesse avuto l’origin sua dall’essere cotai volte modellate sovra la
328
  Pedretti (I manoscritti inediti…cit., p. 138), nel citare il glossario, osserva che traccia che mostran le due seste di circolo che formansi sovra due lati d’un triang.°
il nome di Corazza non compare in alcuno studio sul Trattato della Pittura dopo e-quilatero, quando prendasi per raggio il lato d’esso triang., e facciasi centro agli
Comolli fino ai nostri giorni (per la verità nemmeno nei suoi, precedenti al angoli opposti: certo le volte e gli archi da noi chiamati Gotici, rendon verisimile
1996, ritrovandosi per la prima volta citato l’abate bolognese nelle schede di la congettura; ma si è pur detto a quarto acuto, la curvatura di simili archi. Che sia
A. Vezzosi in Leonardo e il leonardismo…cit.). Egli inoltre avanza l’ipotesi che del vero, l’una e l’altra V. sono da notarsi)» (f. 11). Più avanti, riguardo alla stessa voce,
il documento dal titolo Dizionario delle varie voci italiane usate da Leonardo ne’ Corazza cita il noto testo vasariano riguardante la condanna dell’uso del gotico
suoi scritti, unitevi alcune osservazioni sui manoscritti inediti dello stesso, presente tra nell’architettura medievale fiorentina («l’architettura si teneva alquanto in piedi, ma
i documenti del fondo Bossi dell’Ambrosiana (SP 6/13 E, sez. B ), riordinato a imbastardita fortemente e molto diversa dalla buona maniera antica. Di ciò posson
partire dal 1996, sul quale torneremo, possa essere una copia dei «Termini di anco far fede molti palazzi vecchi, stati fatti in Fiorenza dopo la rovina di Fiesole,
arte» di Corazza: abbiamo invece verificato che non si tratta affatto di questo, d’opera toscana; ma con ordine barbaro nelle misure di quelle porte, o finestre lun-
bensì di uno studio di Bossi riguardante il noto ‘vocabolario’ contenuto nel ghe lunghe, e ne’ garbi di quarti acuti, nel girare degli archi secondo l’uso di que’
Codice Trivulziano. tempi»), annotando al riguardo che «la voce manca in tutti i lessici» (f. 34).

Capitolo secondo
70
III. La vicenda sette-ottocentesca
del manoscritto: la fortuna critica
e il mancato imprimatur
Cerchiamo ora di ricostruire, anche attraverso documenti
inediti, la vicenda dei manoscritti vinciani di Corazza. Questi, nei
primi anni ’80, scrive:

La Biblioteca Ambrosiana di Milano custodisce coll’ultima gelosia


gli scritti che stese a maniera di ricordi sopra libri di vario sesto il
Celebre Lionardo da Vinci uno de’ Sommi Pittori Italiani, e forse
il maggior Ingegno che avesse il Secolo XV. Non se ne permette a
chicchessia trar copia d’anche pochissime linee; e codesti Mss. oltre
allo starsene là sepolti e perciò inutili, periscono anche a dì per dì,
per essere scritti la maggior parte in matita, dileguatasi già in mol-
ti luoghi. A’ tempi di Urbano VIII uno de’ Cardinali Nipoti poté
clandestinamente farne trar copia, e ci ebbe mano la Casa Arconati
una delle insigni benefattrici di quella Biblioteca; ne passò dunque in
tal maniera a Roma la copia, quella medesima che possiedo io, e trovai fortu-
natamente in Roma l’anno 1766. Fra il 1680 e 90 fu stampato a Parigi il
Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci tratto dalle copie parec-
chie che nel Sec.° XVI giravano manoscritte nelle Scuole331.

Ora, al di là dell’errata indicazione della data di edizione del Trat-


tato della Pittura (cosa, in verità, assai strana per Corazza), alcuni
elementi del testo vanno sicuramente evidenziati. Innanzitutto
l’osservazione relativa al pessimo stato di conservazione degli ori-
ginali e, di conseguenza, l’importanza che con ciò l’abate intende
dare all’apografo. Ma, soprattutto, dire di aver trovato «fortuna-
tamente» la copia dei manoscritti ambrosiani nel 1766 significa
Vincenzo Corazza, Termini di arte nelli scritti di Lionardo da Vinci ed altri,
offrirci alcuni preziosi elementi d’indagine: a) non potendo es- c. 1798, parte III, p. 21, vocaboli tratti da G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti
sere stato «trovato» in modo fortunoso nella Biblioteca Albani da architetti..., 1550-68, ried. 1767. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.D.81
Corazza, il Codice deve aver seguito un’altra strada prima che la
biblioteca di dal Pozzo confluisse nell’Albani nel 1714; b) Corazza di costà portarsi a quest’effetto, et a rendere poi, in pubblicandoli, il
non fa alcun riferimento, in questo come in altri documenti, ad dovuto onore a chi gli avrà procurata la grazia, che s’implora332 .
eventuali autografi vinciani in suo possesso, ma solo all’apografo,
ancorché prezioso; c) abbiamo infine la data certa dell’acquisizione. Come si comprende con tutta evidenza dalle parole del car-
Consideriamo ora altri dati rinvenibili in documenti inediti dinale, si tratta di manoscritti «acquistati» da Corazza e quin-
dell’Archivio di Stato di Milano. di, ancora una volta, estranei alla collezione Albani. È assai
Nel maggio 1767 il cardinale Albani intercede a favore di Co- probabile che si alluda proprio alle parti che compongono il
razza chiedendo al conte Carlo Firmian, diplomatico trentino al nostro Codice e che Corazza, essendone venuto in posses-
servizio degli Asburgo di stanza a Milano, di intervenire affin- so l’anno prima, chissà per quali canali, intendesse confrontare
ché venga concesso al letterato bolognese l’accesso alla Biblioteca quei testi ed eventualmente integrarli con i codici ambrosia-
Ambrosiana allo scopo di confrontare i manoscritti di cui dispone ni per poi pubblicarli, manifestando così, già da allora, un’idea
con quelli ivi conservati:
332
Il signor Corazza celebre Letterato Bolognese há avuto la buona sor-   Archivio di Stato di Milano, Autografi, cart. 102, fasc. 34 («Leonardo da Vin-
ci»), lettera del cardinale Albani a Firmian del 2 maggio 1767; il corsivo è nostro.
te di acquistare alcuni bellissimi Manoscritti inediti dell’altrettanto celebre Ringrazio il dott. Silvio Mara per la cortese segnalazione di questo e degli altri
Leonardo da Vinci, ne’ quali si contengono scoperte non meno vaghe, che documenti dell’archivio milanese che citeremo. Gli apografi di Corazza potreb-
utili sopra la Pittura, Architettura, e Meccanica, molto proprij ad illustra- bero essere stati parte di un ricco corpus di manoscritti da lui acquistato tra il
1766 e il ‘67 (se l’acquisto fosse avvenuto a Roma, la notizia si collegherebbe a
re la storia Letteraria. Sapendo Egli, che ritrovansi altri Manoscritti quella già citata e tratta dal doc. dell’Archiginnasio) alla morte di un «rinoma-
dello stesso Leonardo da Vinci in cotesta rinnomatissima Biblioteca tissimo letterato» non meglio identificabile: si veda, presso la Biblioteca Palatina
di Parma (Ep. Parm., Carteggio Paciaudi, cass. 74), un’interessante lettera del
Ambrosiana, s’implora per mezzo mio appresso l’Eccellenza Vostra 27 giugno 1767 di Corazza a p. Paolo Maria Paciaudi, archeologo e all’epoca bi-
l’accesso alla medesima Biblioteca, ed il permesso di confrontare con bliotecario di quella raccolta (cfr. Paolo Maria Paciaudi e i suoi corrispondenti, a cura
di L. Farinelli, Parma, La Nazionale editr., 1985, p. 80; ringrazio per la cortese
quelli di essa, li proprij Manoscritti, ed il permesso in oltre di far co- segnalazione la dott.ssa M. Melani e per la disponibilità la dott.ssa E. Del Mona-
piare da essi qualche Capitolo, che gli abbisognasse, essendo disposto co, funzionario della suddetta Biblioteca) in cui il bolognese propone l’acquisto
a corpo, da parte di quell’istituzione, di una raccolta di oltre 500 manoscritti la-
tini, italiani, greci, ebraici e di lingue orientali che egli ha acquistato a sua volta
in occasione di «un piccol viaggio, che m’ha tenuto sette mesi fuor di Milano, e
331
  Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna (d’ora innanzi BCABo), lontano dalla Patria […] Ci sono degli Storici inediti latini e Italiani dal 1000 in
MS. A 1224, «Transunto di Memorie e Lettere scritte di pugno del Sig. Ab.Vincenzo giù; molti secreti, e ritrovi d’arti del Sec. XV, e XVI. Poeti, e prosatori inediti
Corazza Bolognese», s.d., s.f., collocato tra le minute di lettere inviate all’amico de’ buoni tempi della nostra lingua, ed alcuni editi poi, ma contemporanei agli
letterato Aurelio Bertola negli anni ’80. Il corsivo è nostro. Aut.i. Parecchie Op. greche scritte pure nel Sec. XV».

La vicenda sette-ottocentesca del manoscritto


71
in qualche modo in linea con l’antico programma di Cassiano. Sebbene non sia possibile accertarlo, Corazza potrebbe essere stato
Tutto questo, però, non esclude la pur remota eventualità, ipo- effettivamente all’Ambrosiana tra il 1770 e il ‘72, prima cioè di tra-
tizzata come vedremo da Pedretti, che Corazza possedesse anche sferirsi definitivamente a Napoli.
scritti originali di Leonardo reperiti nel soggiorno romano dei Importante infine un documento del 1777 in cui viene segnalata
primi anni ‘60 o all’epoca della sua ultima residenza bolognese all’abate l’esistenza di apografi vinciani presso la Biblioteca Albani
(1767-70): resta il fatto che l’abate non ne fa cenno nel primo do- dall’amico bolognese Carlo Bianconi, noto esperto d’arte e fu-
cumento citato né in altri scritti, e questo fa pensare. turo segretario dell’Accademia di Brera, del quale torneremo ad
Qualche giorno più tardi, Firmian risponde al cardinale: occuparci336. Infatti nel settembre di quell’anno Bianconi scrive a
Corazza:
Hò fatto parlare a questo Bibliotecario Oltrocchi sopra l’argomento
de Manoscritti inediti da esso [Corazza] acquistati, e vengo assicurato Giorni sono vidi in casa Albani alcuni manoscritti di opere di Leonardo. Il
che sempre quando il Sig. Corazza voglia portarsi a Milano per farne Trattato della Pittura ha delle figure così belle che sembrano le originali
confronto con quelli, che così accuratam.e ivi conservano in questa di M.r Poussin. Il Cavalier dal Pozzo passò il Ms. a Mr. De Chambray,
Biblioteca Ambrosiana del Celebratissimo Leonardo da Vinci, non si così abbiamo dalla prefazione dell’edizione francese di quell’opera.
avrà difficoltà di permettergliene il confronto, e di poterne insieme far Chissà che fatta la stampa non ritornasse il Ms. al Cavalier dal Pozzo, e da
copiare da Essi qualche Capitolo che gli abbisognasse333. questi non sia andato in casa Albani. Certo è che codeste figure disegnate sono
migliori degli intagli francesi. Avvi un altro Ms. di macchine ed altro: contiene
Corazza però, costretto a Roma dalle precarie condizioni di salute, ancora mescolatamente alcune cose di pittura. Nel vedere queste belle cose
qualche giorno dopo si scuserà di non essersi ancora potuto recare mi sovvenne tostamente di voi, e vi desiderai come l’amico e conosci-
a Milano, promettendo di farlo non appena sarà rientrato definiti- tore grande di Leonardo337.
vamente a Bologna, per
Dalla lettera, oltre a potersi avere una chiara idea dell’alta considera-
potere finalmente godere del frutto, che la generosa Protezione dell’Ec- zione in cui è tenuto Corazza quale esperto di Leonardo, si può ipo-
cellenza Vostra s’è degnata di accordare alle mie ricerche, per quella tizzare che il manoscritto del Trattato della Pittura che Bianconi vede
parte, che risguarda l’Opere scritte dell’Immortale Lionardo da Vinci; nella Biblioteca Albani sia l’H 228 inf. (che del resto anche Comolli
delle quali, avendone io potuto mettere insieme un grosso volume in foglio, mi dice di aver visto nella stessa sede), anch’esso proveniente come sap-
sono, nel trarne copia, assicurato che niun uomo di lettere de’ tempi suoi piamo dalla biblioteca di dal Pozzo, oppure l‘apografo Chantelou,
ha maggior diritto di lui nell’avvanzamento delle maggiori discipline334. effettivamente restituito dopo la stampa in Francia a Cassiano e de-
stinato a finire, alla metà dell’Ottocento, a San Pietroburgo; o, infine,
Si tratterebbe, quindi, proprio del «grosso volume in foglio» forma- potrebbe trattarsi del cosiddetto manoscritto di Thevenot, anch’esso,
to dalle quattro parti che costituiscono tuttora il Codice, legate da come si sa, utilizzato per l’edizione del 1651 e individuabile, secon-
Corazza, che ne aveva tratto anche una copia oggi non reperibile. do la Steinitz, nel Codice 967 della Biblioteca Nazionale di Parigi,
Siamo dunque ancora ben lontani dal poter pensare ad un autografo dove potrebbe essere tornato (dopo essere stato anch’esso restituito,
vinciano o ad un apografo che non sia proprio il Codice a noi noto, in un primo tempo, a Cassiano) all’atto dello smembramento della
tanto più che, come abbiamo detto, l’abate farà riferimento nel ma- Biblioteca Albani nel 1798.
teriale epistolare e nei propri studi sempre e solo a quest’ultimo e L’altro «Ms. di macchine ed altro» pure citato nella lettera può essere
mai ad altri testimoni eventualmente presenti presso di sé. Quanto facilmente identificato con l’H 227 inf. o con l’H 229 inf., presenti
all’attuale coperta, guardie e controguardie del manoscritto, sono in quella biblioteca ed entrambi recanti la parte specificamente de-
state realizzate con ogni probabilità in sostituzione di una veste set- dicata alle macchine.
tecentesca meno dignitosa all’atto dell’acquisizione del documento
da parte della Biblioteca Reale. La permanenza del documento presso Corazza non sarà caratte-
Corazza dovette fare rientro a Bologna a fine maggio 1767, se il rizzata solo dall’appassionato studio da parte dell’abate ma, anzi, da
conte Firmian così gli scrive da Milano agli inizi di giugno: episodi tutt’altro che edificanti per quel grande uomo di cultura che
è. Purtroppo egli non se la passa molto bene economicamente nella
Desidero che questa mia ritrovi V.S. Ill.ma in Bologna riavuto dalla sof- condizione di istitutore degli infanti reali al servizio dei Borbone,
ferta malattia, e col beneficio dell’Aria Nazionale. Ella mi dia al più pre- venendo costretto a tentativi estremi per sopravvivere. Nel 1779,
sto il piacere di vederla personalm.e in questa Capitale. Ella sá quanto io proprio per questi motivi, non solo comincia a interessarsi della
la stimi, e per il suo merito particolare, e adesso poi singolarmente per il compravendita di libri di pregio quale intermediario di numerose
pensiere, che si è dato di far onore al Celebre Leonardo da Vinci col dare alla luce biblioteche, ma tenta addirittura di vendere gli apografi di Leonar-
le utilissime scoperte da lei fatte di alcune opere inedite da esso scritte, le quali do: prima al re d’Inghilterra, Giorgio III, attraverso la mediazione
saranno tanto più accette al Pubblico, quando sarà assicurato dalle opere svolta nell’ambiente romano dal grande architetto e amico Giaco-
med.me che niun uomo di lettere de tempi suoi non abbia mag. diritto mo Quarenghi, poi al Granduca di Toscana, attraverso il letterato
di lui nell’avvanzamento delle maggiori discipline. Confermo a V.S. Ill. ed ex allievo ferrarese Francesco Zacchiroli – all’epoca in servizio
ma quanto ho già promesso al V. Card. Aless.o Albani relativam.e alle presso la Segreteria di Stato del governo di Firenze – chiedendo in
scoperte ch’Ella brama di fare presso questa Biblioteca Ambrosiana335.
336
  Si veda il capitolo quarto del presente volume.
337
333
  BNN, Manoscritti e Rari, X AA 29bis/13, lettera del 2 settembre 1777; il corsivo è
  Archivio di Stato di Milano, Autografi, cart. 102, fasc. 34, lettera del conte nostro. Cfr. E.Verga, Bibliografia…cit., p. 107, ove è la scheda dell’opera di Bianconi
Firmian al cardinale Albani del 13 maggio 1767. Il bibliotecario è, naturalmente, il dal titolo: Nuova Guida di Milano per gli amanti delle belle arti e delle sacre e profane
grande leonardista Baldassarre Oltrocchi, all’epoca responsabile dell’Ambrosiana. antichità milanesi, Milano, Stamperia Sirtori, 1787: a p. 262 l’autore parla dei mss.
334
  Ivi, lettera di Corazza al conte Firmian del 27 maggio 1767. vinciani dell’Ambrosiana e spera che vengano al più presto pubblicati; poi descrive
335
  Ivi, lettera del conte Firmian a Corazza del 3 giugno 1767. i disegni di Leonardo e l’opera del Cenacolo.

Capitolo secondo
72
cambio un posto di lavoro presso quella corte, infine a Caterina II di rispettoso, gli fa capire che la cosa non è praticabile, riportando in
Russia tramite lo stesso Quarenghi, trasferitosi nel frattempo a San sintesi il giudizio del ministro Riguccio Galluzzi, cui ha avanzato
Pietroburgo al servizio dell’Imperatrice. la proposta, venendo da questi sollevate due questioni essenziali:
Per quanto concerne la vendita del Codice al re d’Inghilterra, le
trattative non andranno oltre i contatti di Quarenghi con il pittore 1°. Non è dimostrato, che le opere offerte nella vostra lettera siano esattamente
e archeologo scozzese Gavin Hamilton, che agli inizi del 1779 così quelle che si conservano nell’Ambrosiana di Milano. Possono essere un estratto
scriverà all’omonimo ambasciatore a Napoli sir William Hamilton, o una copia imperfetta. Su questa incertezza non si ardisce di proporne
spronandolo a contattare Corazza ai fini dell’acquisto da parte del l’acquisto a S.A.R.; 2°. Con quest’opera voi pretendereste di formar-
sovrano, già possessore dei fogli vinciani conservati a Windsor: vi uno stato pel ristante de’ vostri giorni; e i manoscritti che offrite
in corrispettività non sono poi tali che se al Granduca venisse volontà
The principal intention of this letter is to beg that you would bestow di farne acquisto, non possa farli venire o con poca, o con niuna spesa
some attention on a curious manuscript of Leonardo da Vinci, which da Milano344 .
is in the possession of the Abbate Corraza [sic], now at Naples, who
will wait upon you with it when you will think proper to acquaint Zacchiroli si dichiara comunque disponibile a farsi garante perso-
him of your intentions. Perhaps a work of that sort wou’d be agree- nalmente dell’interesse e del valore dei manoscritti, «perché troppo
able to the king, as he is already in possession of a similar manuscript ben vi conosco, e sono sicuro, che se non fossero essi esattamente confor-
treating on anatomy, the Abbate Corazza will give you all the par- mi agli originali esistenti in Milano, cosa alcuna non vi avrebbe potuto
ticulars relating to this work338 . muovere ad alterare la verità»345. Se poi Corazza possedesse anche
degli originali, tentando di cedere i soli apografi, purtroppo non ci
È ben nota l’importanza della figura di William Hamilton nella è dato di sapere. Zacchiroli, pur avendo già fatto presente al mini-
cultura settecentesca europea, i suoi molteplici interessi in ambito stro come Corazza aspiri unicamente a un onesto impiego e non
scientifico e archeologico (in molti casi purtroppo risoltisi con il certo a «formarsi uno stato» presso quella corte, consiglia comunque
trasferimento di preziosi reperti in Inghilterra), nonché il ruolo di all’abate di presentare di persona la domanda, non essendo suddito
intellettuale svolto presso la corte borbonica e nel rapporto con i toscano e non avendo in effetti alcun diritto alle «Sovrane benefi-
più autorevoli viaggiatori del Grand Tour in visita a Napoli339. cenze». Ma anche questa volta l’affare non avrà seguito.
Sebbene il 6 maggio 1779 Quarenghi, ancora a Roma, si affretti ad Torna allora di scena Quarenghi. Il 20 agosto 1779 l’architetto,
informare Corazza di aver saputo da Gavin Hamilton che l’amba- ancora a Roma ma in procinto di partire per la Russia, così scrive
sciatore porterà a buon fine (ma non si sa con chi) il «negozio del all’amico:
manoscritto»340, solo qualche giorno più tardi l’architetto dice di
non avere più notizie da Napoli, ma che l’artista scozzese lo ha rassi- Già averà inteso dal Sig. Abate Taddei li miei appuntamenti con la
curato che l’affare si concluderà comunque positivamente, in Italia o Imperatrice di Russia e martedì gli scriverò tutto in lungo, e sopra
in Inghilterra. Invece un mese più tardi Corazza farà sapere all’ami- ancora il suo manoscritto di Leonardo da Vinci, perché ora ho la
co che «fino ad ora non ho ricevuto da questo Sig.r [W.] Hamilton testa talmente confusa, come lei può immaginare in chi si trova in
alcun cenno»341, pur avendo l’ambasciatore trattenuto il Codice ‘in tali situazioni346 .
visura’ per un bel po’ di tempo342.
Sicché sin dall’agosto successivo Corazza proverà a giocare la car- E poco dopo (24 agosto), all’indomani della morte della figlia:
ta Zacchiroli. Nella corrispondenza con Corazza, il più giovane
amico ricorda i tempi in cui l’abate è stato suo maestro e consi- Mi scriva come mi devo contenere con l’Imperatrice delle Russie
gliere a Bologna e a Roma, avendo in seguito più volte occasione circa al suo Manoscritto, e me ne mandi un piccolo dettaglio347.
di recensire le sue opere letterarie «nei fogli senesi e ne’ giornali
oltremontani»343 . Corazza gli manifesta il chiaro intento di ‘barat- Ancora, nel settembre successivo:
tare’ i manoscritti con un posto presso la corte granducale adegua-
to al proprio rango; e qui viene in mente l’analogo tentativo fatto Riguardo al di Lei manoscritto le confermo cio che le dissi348 .
più di un secolo prima da Lelio Gavardi, istitutore di Orazio Mel-
zi, di vendere al Granduca Ferdinando I i manoscritti di Leonar- Se, per tutti gli anni ’80, Corazza farà tesoro del ricco contenuto del
do ereditati dal padre. Ma Zacchiroli, sia pure con tono pacato e Codice nell’applicarsi agli studi di critica artistica e, come abbiamo
visto, al primo tentativo di un vocabolario vinciano, non per questo
338
rinuncerà a strenui tentativi di vendere il manoscritto. Ancora nel
  D. Irwin, Gavin Hamilton: archeologist, painter and dealer, in «The Art Bullettin»,
XLIV, n. 2 (giu. 1962), p. 100. Cfr. pure M. Böhmig, Le lettere di Giacomo Quarenghi 1787, infatti, Quarenghi gli scrive da San Pietroburgo:
all’abate Vincenzo Corazza (1779-1788), in «Bergomum», Bollettino della Civica Bi-
blioteca “A. Mai”, CIII (2008), p. 149.
339 Non ho mai dimenticato il suo rarissimo manoscritto, ma ho sempre
  H. Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Firenze, Giunti-Martello, 1964, pp.
181-182. atteso il momento favorevole di poter far avanzare la notizia a questa
340
  BNN, Manoscritti e Rari, X AA 29bis/13, lettera del 6 maggio 1779 di Quaren- Augusta Sovrana, che meritatamente forma l’ammirazione del mondo
ghi a Corazza: «…Il Sig.r Hamilton hà di già avuta risposta dall’Inviato Hamilton
da costì, che l’assicura dell’effettuazione del negozio del suo manoscritto, come a
tutto […] e spero, come le dissi, d’esserne venuto a capo questa mattina,
quest’ora ne sarà forse inteso dal sudetto». E il 28 maggio (ivi): «…io desiderarei sa-
pere qualche notizia dell’Affare del suo Manoscritto con il Sig.r Hamilton di costì,
mentre questo S.r Hamilton m’ha dato buone nuove e spera si effettuerà questa
344
facenda, o con quello, o in Inghilterra». Cfr. M. Böhmig, op. cit., pp. 152-155.   Ibidem.
345
341
  Ivi, X. AA. 28(4, f. 16, lettera del 12/06/1779.   Ivi, X AA 29/22, lettera del 10 agosto 1779, cit. in M. Rascaglia, op. cit., p. 46.
342
  È quanto si evince dalla lettera del 25 maggio 1802 conservata in BCABo, MS. Il corsivo è nostro.
346
A 1224, su cui più innanzi torneremo.   Ivi, X AA 29bis/13, lettera del 20 agosto 1779, cit. in M. Rascaglia, op. cit., p. 47.
347
343
  BNN, Manoscritti e Rari, X AA 29/22, lettera del 10 agosto 1779, cit. in M. Ra-   Ivi, lettera del 24 agosto 1779.
348
scaglia, op. cit., p. 46.   Ivi, lettera del 4 settembre 1779, ultima da Roma.

La vicenda sette-ottocentesca del manoscritto


73
facendo cader il discorso sopra il merito di Leonardo ad un suo Biblio- settembre di quell’anno l’ingegnere francese Jean-Claude Pingeron,
tecario, e da un discorso nell’altro siamo venuti finalmente sul suo Ma- esperto di palloni aerostatici e di apicoltura, in visita a Napoli, scri-
noscritto, che molto si è consolato nel sentire esser in mano di un mio verà ad un collega dell’Institut de France:
amico in unica copia, m’ha pregato che ne faccia una breve descrizione
in Francese, che farò ben tosto, e ne vedremo in appresso il risultato J’ai vu dans cette ville une copie du fameux ouvrage de L. de V. sur
[…] benché sarebbe una gran perdita per l’Italia che sì rara ed unica copia avesse les Mechaniques que l’on conserve manuscrit à Milan dans la Biblio-
a finire con tanto danno dell’arti in quest’ultima parte del mondo colto349. thèque Ambroisenne. Cette prétieuse copie a tout l’air de prendre le
chemin de Pétersbourg, car l’on ne parle ici que des bienfaits de l’im-
Ma anche in questo caso l’iniziativa non avrà seguito. Nel 1788, al- pératrice de Russie envers les gens de lettres et les artistes354.
lorché Corazza è impegnato nella ‘supervisione’ del manoscritto del
terzo volume della Bibliografia storico-critica dell’Architettura civile di Fortunatamente, ancora una volta, il Codice non si allontanerà da
Angelo Comolli – bibliotecario della famosa biblioteca del cardina- Napoli. Pingeron appare stranamente disinformato sul fatto che gli
le Imperiali – questi, nel sollecitarlo, gli chiede di inviargli almeno originali ambrosiani sono a Parigi già dal mese di giugno, ove per or-
«l’articolo di Leonardo da Vinci» così da poterlo inserire nell’ope- dine di Napoleone sono stati trasferiti proprio presso la sede dell’In-
ra350.Va tenuto presente il particolare fermento in atto in quegli anni stitut de France. Così, in età napoleonica, il Codice assumerà un valore
con riferimento alla figura e agli scritti di Leonardo, innescato da ‘aggiunto’, rappresentando per gli scienziati e studiosi di arte italiani
Algarotti sin dal 1782: «Che peccato che tanti suoi manoscritti si l’unica trascrizione disponibile dei manoscritti trafugati dai francesi.
stiano nascosti nelle tenebre della Biblioteca Ambrosiana, quando si Nel 1802 il figlio Sebastiano, volendo ricavarne un profitto, dopo
fa vedere la luce a tante vecchie pergamene, a tante inezie, che altro un contatto senza esito con il duca di Gravina, cede, in cambio
non mostrano, che la barbarie degli andati secoli, della quale troppo di una rendita, gli apografi vinciani e l’intero carteggio paterno al
siamo convinti»351. Principe Ereditario Francesco, di cui il padre è stato devoto istitu-
Vedremo come Corazza abbia avuto un ruolo fondamentale nella tore: a quell’epoca l’interesse scientifico per quei manoscritti viene
stesura della parte dedicata a Leonardo nella Bibliografia, in cui Co- più volte manifestato anche dal grande letterato e naturalista pado-
molli farà esplicito riferimento alle carte vinciane in possesso del bo- vano Alberto Fortis, sebbene in tale occasione il carattere inedito
lognese e alla sua indiscussa autorità negli studi sull’artista-scienziato: della documentazione venga messo in discussione per essere stata
a suo tempo concessa in visura, come abbiamo visto, a sir William
Sarebbe desiderabile, che il Sig. D.Vincenzo Corazza, uno de’ più valenti Hamilton355. Sicché nelle Memorie storico-critiche della Real Biblioteca
conoscitori del bello, intraprendesse di tutto questo Trattato del Vinci una nuo- Borbonica pubblicate da Lorenzo Giustiniani (nuovo segretario della
va edizione, inserendovi a proposito que’ frammenti, o interi Capitoli inediti, biblioteca) nel 1818 i manoscritti risultano annoverati tra le opere
ch’egli dice d’avere. L’opera per se stessa interessante lo diverrebbe ancor più, più prestigiose presenti in catalogo; non senza, però, qualche ram-
mentre con tali aggiunte si toglierebbero forse alcune oscurità, che vi s’incontrano, marico per il trattamento ad essi riservato:
specialmente dai principianti. È questo il solo difetto ragionevole, che dai
conoscitori trovasi nel Trattato del Vinci, se pure per ragionevole non Nel dì 9 luglio del 1810 si videro estrarre dalla Real Biblioteca i Mss. del Vin-
vuolsi adottare anche la capricciosa censura, che di questa, o di altr’o- ci, affidandosi nelle mani di un forestiere per farsene copia a suo piacere. Questi
pera del Vinci azzardò Federico Zuccaro (Pittoriche To. VI. p. 135), con Mss. furono depositati da S.A.R. il Principe Ereditario con molta ge-
onorare anche l’autore de’ titoli di sofistico, e di fanatico352. losia; onde recò meraviglia, come dati si fossero con tanta franchezza
dall’Ab. Andres. È vero che nel dì 18 agosto di detto anno furono per
Ora, a parte il giudizio decisamente ‘radicale’ dell’artista manierista, fortuna restituiti, ma come dirsi più in oggi di rarità? È vero che in Milano
era unanime il parere degli studiosi circa le difficoltà interpretative sono le opere di quell’uomo insigne; ma se non fossero le nostre di gran
di taluni precetti del Trattato, che i «Capitoli aggiunti» presenti nel pregio, perché tanto impegno degli esteri di farne copia? Non sarebbe stata lode-
Codice posseduto da Corazza avrebbero potuto finalmente dipana- vol cosa se si fossero posti in stampa in Napoli a conto di essa Real Biblioteca,
re. Ma negli anni successivi l’abate, pur dedicandosi intensamente con guadagnarsi così danaro, o libri a cambio colle piazze di Europa?356.
allo studio di quei manoscritti, tenterà ancora di cederli: nel 1793
ne proporrà la stampa al famoso incisore e tipografo Giambattista Oltre ad alludersi alla ‘vicenda Bossi’, su cui varrà la pena di sof-
Bodoni353 e nel ’96 insisterà sulle trattative con Caterina II, se nel fermarci, e a prefigurarsi nelle parole di Giustiniani una sorta di
debito della Biblioteca Reale nei confronti del Codice Corazza,
che oggi finalmente saldiamo, va detto che l’autore coglie pie-
349
  Ivi, lettera del 20 gennaio 1787. Il corsivo è nostro.
350
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/1, lettera del 14 novembre 1788, cit. in M.
Rascaglia, op. cit., p. 42.
351
  F. Algarotti, Pensieri diversi sopra materie filosofiche, e filologiche, Cremona, Masi talenti de’ suoi dì. Non mi riman ozio per dirne ora quanto occorrerebbe».
354
e C., 1782,VIII, p. 187.   La lettera (cfr. E. Verga, Bibliografia…cit., p. 35), datata 13 settembre 1796 da
352
  A. Comolli, op. cit., III, p. 197, cit. in C. Pedretti, I manoscritti ‘inediti’ di Leo- Napoli e segnalata al Ravaisson dal Lalanne, funzionario della Biblioteca dell’Istitut
nardo...cit., p. 137. Il corsivo è nostro. Per il giudizio negativo di Zuccari, cfr.: Libro de France, è citata nella recensione all’opera di Ravaisson-Mollien sui mss. di Leo-
di Pittura…cit., pp. 42-43. Oltre, come si è visto, a proporre il primo resoconto nardo pubblicata da H. Ollivier in «Revue bleue», 23, VIII, 1887, p. 49; cfr. pure il
analitico dei manoscritti di Leonardo dell’Ambrosiana, Comolli descrive minu- «Journal officiel de St. Petersbourg», VIII, 1887, e «La grande Revue de Paris et St.
ziosamente nelle note lo stato degli studi sul Trattato della Pittura, annunciando la Petersbourg», 15, IX, 1888.
355
prossima uscita (Firenze, 1792) della nuova edizione di Francesco Fontani sulla base   BCABo, MS. A 1224, lettera di Ciro di Napoli [sic] al Fortis del 25 maggio
dell’apografo di Stefano della Bella. 1802: «I suoi scritti [di Corazza] sul Vinci esistono, e al presente li possiede S.A.R.
353
  BCABo, Coll. Aut., XXI, ms. 6043, lettera di Corazza a Francesco Rosaspina il nostro Regal Principe Ereditario. Il Sig. Duca [di Gravina] non diffida di averli,
del 3 febbraio 1793, in cui, con riferimento ad una precedente missiva purtroppo ma nel caso che l’abbia, il figlio del Sig. Corazza, il quale è in miseria, non li vuole
irreperibile, si legge: «Il cenno che nella ultima mia le feci (in proposito del Sig.r dare meno di cento once. Debbo però prevenirvi che quegli scritti furono per un
Bodoni) risguardava un grosso MS. di pensieri di Lionardo da Vinci posseduto pezzo in mano d’un Inglese, il quale disse volerseli comperare, ma poi li restituì;
da me, dentro al quale sono una quantità di Capitoli inediti, che appartengo- ecco dunque che l’Inglese se ne avrà fatta fare una copia e poi li ha restituiti».
356
no al Trattato suo noto della Pittura; ma ci son pur altre cose, che onorano, e   L. Giustiniani, Memorie storico-critiche della Real Biblioteca Borbonica di Napoli,
forse più, quell’incomparabile Ingegno, superior di gran lunga a tutti i miglior Napoli, G. de Bonis, 1818, pp. 164-165. Il corsivo è nostro.

Capitolo secondo
74
namente il valore del documento, pur non approfondendone le
ragioni: in realtà a quella data, come abbiamo visto, erano tor-
nati da Parigi a Milano, oltre al Codice Atlantico, anche gli apo-
grafi ‘fratelli’. Ma prima del 1815 il manoscritto dovette rivestire
un’enorme importanza proprio perché sostitutivo degli origi-
nali trafugati ed essere quindi oggetto dell’ennesimo program-
ma editoriale, questa volta da parte del pittore Giuseppe Bossi357.
Il Ciardi ci offre una precisa descrizione di questo artista358 , sotto-
lineando come egli, segretario dell’Accademia di Brera, amico di
Antonio Canova e di Carlo Porta, fosse anche scrittore, sebbene
non godesse della simpatia di Foscolo e di Stendhal. Pittore ope-
rante «tra il romantico e il neoclassico e che si pone a confronto
con i teorici del suo tempo, dal Mengs al Cicognara e dal Lessing
al Parini, e soprattutto all’Addison e al Burke»359 , Bossi è noto per
aver eseguito la copia in grandezza naturale del Cenacolo, com-
missionata da Eugène Beauharnais e destinata ad essere riprodotta
in mosaico dal Raffaelli nella chiesa di Santo Stefano a Vienna,
nonché per l’importante monografia su quell’opera360.
Prima di volgere la propria attenzione sugli apografi esistenti in Italia,
sin dal 30 gennaio 1808 Bossi aveva concepito un programma ben più
ardito. Nelle sue Memorie, infatti, esiste uno scritto in cui accenna al

progetto di far una corsa a Parigi e copiarvi tutti i manoscritti di L. e tornare a


stamparli a Milano. Io farei andata, scritti e ritorno in sei settimane. Vi
vorrebbero buone raccomandazioni e non mancherebbero. L’occasione
dei miei lavori sul Cenacolo giustificherebbe le mie ricerche e allonta-
nerebbe ogni sospetto, che io pensassi ad altro. Fingendo di far delle note,
copierei ogni cosa approfittando dell’esercizio da me fatto di prontamente leggere
senza specchi la mano di Leonardo. Il Viceré avrebbe gusto di veder pubblicare
colla data di Milano quei codici che furono qui rubati per seppellirli a Parigi361. Carlo Bianconi, lettera a Vincenzo Corazza del 2 settembre 1777, in cui si
segnalano gli apografi vinciani presenti presso la Biblioteca Albani. Napoli,
Biblioteca Nazionale, Ms. X.AA.29bis/13
Non sappiamo per quale ragione l’ambizioso programma di ‘spio-
naggio culturale’ non abbia avuto seguito: è certo però che nel suc-
cessivo luglio 1810 Bossi intraprende la non meno faticosa, ma cer- forte influenza dell’ambiente canoviano sull’Accademia napoletana,
tamente fruttuosa, trasferta napoletana. dall’altro il decisivo ruolo di Camuccini nel processo di riforma
Ma da chi Bossi poteva aver saputo dell’esistenza di preziosi mate- di quest’ultima363. Quanto al Cuoco, è il Galbiati a fornirci testi-
riali vinciani a Napoli? Oltre a doversi considerare la sua amicizia monianza che lo storico e filosofo napoletano, proprio in quegli
con il potente Canova, va detto che egli intratteneva da tempo in- anni, «formula un preciso programma, dal Bossi utilizzato, del modo
tensi rapporti epistolari con importanti personaggi del mondo cul- come si dovrebbe studiare Leonardo»364.
turale e artistico della capitale murattiana, tra cui spiccano nomi Dal Diario di Bossi, pubblicato dal Nicodemi e poi dal Ciardi, Pe-
come quelli di Vincenzo Camuccini e Vincenzo Cuoco. Le lettere dretti ricostruisce la vicenda del soggiorno napoletano del pittore e
di Bossi a Camuccini pubblicate da G.B. De Toni362 mostrano la quella della sua ‘sortita’ nella Biblioteca Reale: all’attenzione posta
particolare confidenza tra i due pittori e confermano da un lato la dallo studioso, anche sulla scorta di Vezzosi, riguardo alle possibili
origini del Codice napoletano vanno aggiunte, a questo punto, al-
cune precisazioni.
357
  Su Bossi si veda anche G. Calvi, scheda in Biografia degli italiani illustri nelle scien-
Il 3 luglio, dopo aver fatto visita a Giulio Cesare Tassoni, ambasciato-
ze, lettere ed arti del secolo XVIII e de’ contemporanei, a cura di E. De Tipaldo,Venezia, re del Regno d’Italia a Napoli, e al principe di Montemiletto, Bossi
Tip. di Alvisopoli, 1835, pp. 193-199. si reca dal duca Serra di Cassano, ove ammira la splendida biblioteca.
358
  Cfr. G. Bossi, Scritti sulle arti, ed. critica a cura di R.P. Ciardi, Firenze,
S.P.E.S., 1982, II; E. Cabella, Leonardo nelle carte del «Fondo Bossi» all’Ambrosiana, Tre giorni dopo, la copia del Codice Leicester, ossia del «Libro ori-
in «Raccolta Vinciana», XXIII, 1989, pp. 199-204; C. P edretti, Quella puttana ginale della natura, peso e moto dell’acqua», di proprietà del duca,
di Leonardo, in «Achademia Leonardi Vinci», IX, 1996, pp. 121 sgg. è già sua, in cambio di una vaga promessa di volumi d’interesse del
359
  C. Pedretti, Quella puttana…cit., p. 124.
360
  Nel 1811 Bossi pubblicherà anche Delle opinioni di Leonardo da Vinci intorno alla
Cassano365: l’apografo, come si sa ricchissimo di osservazioni anche
simmetria dei corpi umani, discorso dedicato a Canova, Milano, Stamperia Reale,
ristampa della parte del volume sul Cenacolo (cap. IV, libro IV, pp. 202-226), che
nell’opera completa ha per titolo: «Proporzioni del corpo umano». Cfr. E. Verga,
363
Bibliografia…cit., p. 128.   Si veda sull’argomento F. Mangone, R.Telese, Dall’Accademia alla Facoltà. L’in-
361
  G. Bossi, Memorie inedite, in «Archivio storico lombardo», Milano, V, 1878, pp. segnamento dell’architettura a Napoli 1802-1941, Benevento, Hevelius Edizioni, 2001,
276-279, cit. in E.Verga, Bibliografia…cit., p. 387. Il corsivo è nostro. pp. 30 sgg.; Scienziati-artisti. Formazione e ruolo degli ingegneri nelle fonti dell’Archivio
362
  G.B. De Toni, Frammenti vinciani. Lettere del pittore Giuseppe Bossi a Giambattista di Stato e della Facolta di Ingegneria di Napoli, a cura di A. Buccaro e F. De Mattia,
Venturi e Vincenzo Camuccini, in «Raccolta Vinciana», XI (1920-22), pp. 229-235. In Napoli, Electa Napoli, 2003, pp. 224-225.
364
particolare a p. 232, nel dare notizia degli apografi vinciani presenti a Napoli (XII.   G. Galbiati, Il «Cenacolo» di Leonardo da Vinci del pittore Giuseppe Bossi nei giudizi
D. 79-80), l’autore cita Miola (A. Miola, op. cit., I, pp. 230-232), accennando pure d’illustri contemporanei, in «Anacleta Ambrosiana», III, Milano, Alfieri e Lacroix, 1920;
all’opera svolta da Bossi a Napoli nell’estate 1810 per la trascrizione del Codice E.Verga, Bibliografia…cit., p. 677.
365
Corazza, nota attraverso la lettera del pittore a Canova del 23 luglio di quell’anno.   La data del 6 luglio si legge nell’appunto autografo di Bossi sul codice, in cui

La vicenda sette-ottocentesca del manoscritto


75
in materia di scienze e di ingegneria, in particolare in campo geolo- torizzazione a copiare l’apografo. Bossi appunta infatti nel diario
gico, idraulico e astronomico, sarà poi acquistato, dopo la morte del che l’8 luglio «alla Biblioteca rividi Andres e trovai altro importante
pittore, dalla Biblioteca di Weimar su consiglio di Goethe366. Codice che ora copio»369: egli comincia la trascrizione l’11 luglio,
Il passo successivo riguarda, ancora una volta, il materiale vinciano approfittando anche del fatto che il proprietario di quei manoscritti,
appartenuto a Corazza. Il gesuita madrileno Juan Andrés, nominato ossia il principe Francesco, è a Palermo dal 1806, ove la famiglia
prefetto della Biblioteca Reale all’atto della sua apertura il 2 agosto reale è fuggita all’arrivo dei napoleonidi. Il 15 luglio il pittore scrive:
1804367 e confermato in carica nell’aprile 1806 dal nuovo governo «Il Marchesino Serra di Cassano mi ha istruito intorno alle cose di
francese368, agli inizi di luglio 1810 concede al «forestiere» Bossi l’au- Leonardo ch’erano in mano di Corazza. Egli regalò questi scritti e
disegni al Principe Reale f.° [figlio] di Ferdinando IV. Non si sa che
ne avvenisse»370.
dice di averlo ricevuto quel giorno da Cassano; non così Pedretti sulla scorta del In realtà, come abbiamo visto, non si trattò di un ‘regalo’ e la ces-
Ciardi, che riporta la data dell’8 luglio. Dal catalogo a cura di A. Vezzosi (Leo- sione non avvenne da parte di Corazza, ma del figlio Sebastiano.
nardo e il leonardismo…cit., p. 138) ricaviamo che la copia, di proprietà del duca
di Cassano, dell’attuale Codice Hammer era stata eseguita a Firenze nel 1717 Per il resto, si potrebbe indubbiamente ipotizzare che gli «scritti e
da frate Francesco Ducci, bibliotecario della Biblioteca Laurenziana, allorché disegni» di Leonardo un tempo in possesso dell’abate fossero diversi
il conte di Leicester acquistò l’originale da Giuseppe Ghezzi:, essa è descritta dal nostro apografo, ben noto a Bossi, che lo stava copiando all’atto
dal Calvi (G. Calvi, Introduzione al Codice Leicester della biblioteca di Lord Leicester
in Holkham Hall, Milano, Cogliati, 1909, p. XXVII) e citata dal Jordan (op. cit., di redigere la pagina citata del proprio diario. Ma, non essendoci
p. 104) e dall’Uzielli (op. cit., p. 88). Cfr. pure G.B. De Toni, G.B. Venturi e la sua nulla di identificabile in modo univoco nei documenti e non essen-
opera…cit., p. 59.
366
  C. Pedretti, I manoscritti ‘inediti’…cit., pp. 136-138; Leonardo e il leonardismo…
do presenti negli elenchi del materiale ceduto nel 1802 al principe
cit., p. 138, scheda di A.Vezzosi. Francesco né autografi, né grafici leonardeschi, possiamo limitarci
367
  Sulla storia della biblioteca privata del re, risalente alla venuta di Carlo di a notare che tra le «cose di Leonardo» che Bossi non ha occasione
Borbone a Napoli, si vedano pure: Regali dispacci, nelli quali si contengono le Sovrane
Determinazioni de’ punti generali, o che servono di norma ad altri simili casi, nel regno di di vedere (e che quindi non copierà) ci sono sicuramente gli altri
Napoli, dal dottor D. Diego Gatta raccolti. Parte seconda, che riguarda il civile, IV, Napoli, scritti di Corazza in materia vinciana, ossia i «Termini di arte» e la
G.M. Boezio, 1776, p. 555; L. Giustiniani, La biblioteca storica e topografica del Regno copia dell’apografo Arconati. Infatti dai documenti del fondo Bossi
di Napoli, Napoli, Stamp.V. Orsini, 1793; M.G. Castellano Lanzara, Origini di una
biblioteca universitaria in Napoli e della Real Biblioteca, Napoli,Tip. A. Miccoli, 1941, pp. dell’Ambrosiana non risulta che il pittore abbia portato a termine
10-11, 16-25. La biblioteca, accresciuta con acquisti e donazioni e con le immissioni la copia di tutto il carteggio Corazza, limitandosi invece al Codice
derivanti dal deposito obbligatorio, nel 1754 fu quasi interamente trasferita, con la
quadreria e le altre collezioni artistiche, nel nuovo palazzo di Capodimonte, dove oggetto del proprio interesse – di cui peraltro omette alcune parti371
l’anno successivo sarebbero state trasportate anche le opere ancora depositate nel – senza considerare l’esistenza delle altre carte di argomento vincia-
palazzo Farnese di Roma. Fra i testi che rimasero nel Palazzo reale, costituenti il
primo nucleo dell’attuale fondo Palatino, vanno ricordati quelli fatti acquistare da
no in possesso del bolognese372.
mons. Ottavio Antonio Baiardi, impegnato per volere del re nello studio degli scavi Dunque l’eventualità di originali scomparsi, sostenuta da Pedretti
di Ercolano dal 1746 al 1764, anno della sua scomparsa. Nei successivi decenni an- considerando anche la provenienza felsinea di Corazza e alluden-
che questa raccolta fu notevolmente incrementata e quando Ferdinando IV lasciò
la capitale nel 1798, ne dispose il trasporto a Palermo, dove fu riordinata e catalogata. do al materiale autografo di Leonardo un tempo esistente presso
Del 1802 è il Catalogo de’ libri che si trovano nella Biblioteca del R. Palazzo di S.R.M. il la biblioteca del convento di San Michele in Bosco presso Bolo-
Re N.S., contenente 1.100 titoli; nel 1808 fu edito nella Reale Stamperia di Palermo
il Catalogo della privata libreria di Sua Real Maestà, recante una suddivisione delle gna373, risulta ancora lontana, sebbene nelle mani di Corazza, sin
opere in classi, come il successivo Catalogo per materie della Privata Reale Biblioteca dal suo soggiorno romano, fossero finiti altri preziosi manoscritti di
di S.M. il Re delle Due Sicilie (BNN, Manoscritti e Rari, X. D. 102), dove i libri sono provenienza bolognese: vedremo come nel 1765 egli facesse acqui-
suddivisi in: Storia naturale – Botanica – Fisica e chimica – Agricoltura – Veterina-
ria – Arti e mestieri – Viaggi e miscellanee. Cfr. O. S. Casale, Le Biblioteche storiche stare dalla Biblioteca Comunale di Siena il codice di Francesco di
napoletane, in La Biblioteca Nazionale di Napoli. Memorie e orizzonti virtuali, Napoli, Giorgio Martini un tempo custodito nel convento di San Salvatore,
s.n., 1997, p. 142. La biblioteca farnesiana, insieme con una parte dei testi provenienti
dalle biblioteche della soppressa Compagnia di Gesù e, forse, con altri libri palatini, dopo averlo per primo analizzato e accertatane la paternità. Lo stes-
era nel frattempo confluita nella Real Biblioteca Borbonica, istituita ad uso pubbli- so Pedretti, in mancanza di ulteriori riscontri, conclude: «Conviene
co nel Palazzo degli Studi da Ferdinando IV nel 1780, ma aperta alla consultazione attendere il risultato di una ricerca che intenda verificare, innanzi-
soltanto nel 1804. M.G. Castellano Lanzara, op. cit., p. 45. Per la formazione della
Real Biblioteca Borbonica il re Ferdinando IV rinnovò con successivi dispacci, tutto, la provenienza degli apografi napoletani del Corazza, e quindi
fra il 1793 ed il 1802, il decreto sul deposito obbligatorio. I manoscritti di maggior accertare, se possibile, l’eventuale presenza di autografi vinciani –
pregio del fondo Palatino, presente nel Palazzo Reale, e della Biblioteca Borbonica
furono trasportati in Sicilia quando nel 1806 il re fu costretto a lasciare Napoli per la scritti e disegni – accanto a quegli apografi, e questo nell’eventualità
seconda volta. Il re partì da Napoli il 22 gennaio 1806, mentre i manoscritti furono che fossero rimasti a Napoli o che fossero stati trasferiti in Sicilia».
imbarcati sulla nave che salpò il successivo 31 gennaio, con a bordo la regina Maria
Carolina. Cfr. L. Giustiniani, Memorie storico-critiche…cit., pp. 86 sgg.; cfr. pure G.
Ma, anche volendo dissipare il dubbio dell’insigne studioso vinciano
Guerrieri, La Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli, Milano-Napoli,
R. Ricciardi, 1974, p. 18. Verosimilmente la raccolta cartografica non seguì questi
spostamenti, ma rimase sempre negli ambienti del Palazzo reale e fu incrementata 369
durante il decennio francese, come accadde anche per la collezione libraria privata,   C. Pedretti, I manoscritti ‘inediti’…cit., p. 137.
370
che si arricchì delle biblioteche personali di Gioacchino e Carolina Murat. Cfr.   Ibidem.
371
A. Travaglione, Della Biblioteca Privata del Re: legature e legatori del XIX secolo, in   Cfr. le nostre note alla trascrizione del Codice Corazza.
372
«Dalla bottega allo scaffale. Quaderni della Biblioteca Nazionale di Napoli», VIII,   Bibl. Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13-E, sez. B, n. 1, f.lo f: «Dizionario delle
n. 1, 1990, p. 84. varie voci italiane usate da Leonardo ne’ suoi scritti, unitevi alcune osservazioni sui
368
  L. Giustiniani, op. cit., p. 133. L’abate Andrés, importante letterato (1740-1817), manoscritti inediti dello stesso». Bossi parla di circa 10.000 vocaboli di lingua ita-
che trascorse a Napoli l’ultimo decennio della sua esistenza con l’incarico della liana individuati ed elencati da Leonardo nel Codice Trivulziano; il pittore dice di
direzione della Biblioteca Reale, è noto tra l’altro per le Cartas familiares del abate avere intenzione di pubblicarli, visto che ormai, dopo le spoliazioni napoleoniche
d. Juan Andrés a su hermano d. Carlos Andrés, dandole noticia del viage que hizo a varias (1809), poco rimane in Italia degli scritti vinciani. Il f.lo contiene precise descrizio-
ciudades de Italia en el ano 1785, Madrid, por A. de Sancha, 1786-93 (ora in J. Andrés, ni del Codice e dei vocaboli selezionati da Bossi, elencati in ordine alfabetico: non
Cartas familiares (Viaje de Italia), a cura di I. Arbillaga, C. Valcárel, Madrid, Ed. Ver- si tratta, quindi, dei «Termini di arte» di Corazza, cui allude Pedretti (C. Pedretti,
bum, 2004), II, p. 222. Cfr. A.A. Scotti, Elogio storico del Padre Giovanni Andrés della I manoscritti ‘inediti’…cit., p. 138, nota 10). Sappiamo del resto che Leonardo avesse
Compagnia di Gesù, Napoli, De Bonis, 1817; A. Lo Vasco, Le biblioteche d’Italia nella intenzione di pubblicare un ampio vocabolario, sia italiano che italiano-latino: cfr.
seconda metà del secolo XVIII. Dalle “Cartas familiares” dell’abate Juan Andrés, Milano, L. Morandi, Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e la prima grammatica italiana. Leo-
Garzanti, 1940; M. Batllori, s.v. “Andrés Juan”, in D.B.I., III, 1961, pp. 155-157; G.E. nardo e i primi vocabolari, Città di Castello, Lapi, 1908, cit. in E.Verga, Bibliografia…
Mazzeo, The Abate Juan Andrés Literary Historian of the XVIII Century, New York, cit., pp. 479-480.
373
Hispanic Institute, 1965; A. Moltó Dominguez, El Abate D. Juan Andrés Morell (Un   Il materiale vinciano è ricordato dall’Orlandi ancora nel 1704 ma già sparito
erudito del siglo XVIII), Instituto de estudios alicantinos, 1978; F. Arato, Un compara- da quella sede nel 1758, come riferisce il Crespi. Cfr. C. Pedretti, I manoscritti ‘ine-
tista: Juan Andrés, in «Cromhs», n. 5 (2000), pp. 1-14. diti’…cit., pp. 137-138, nn. 14-15.

Capitolo secondo
76
che tanto ha incoraggiato la nostra ricerca, non ci sentiamo di anda- sesso. Ma il progetto naufragherà con la scomparsa del pittore nel
re oltre le pur ragionevoli ipotesi che la documentazione ritrovata 1815: ancora una volta, dunque, il nostro Codice rimarrà inedito.
tra Bologna, Milano e Napoli ci ha sin qui consentito. Nella citata lettera a Trivulzio leggiamo pure: «Qui ho avuto il Co-
L’attività napoletana di Bossi proseguirà come testimoniato da una dice di Leonardo da Cassano, che è copia d’un M° [manoscritto]
lettera all’amico Canova del 23 luglio successivo: che deve essere andato in Inghilterra; ma non credo cosa possibile
l’aver que’ tali disegni», già descritti al Trivulzio in altre lettere pur-
[…] Io sarò forse costretto a trattenermi qui qualche giorno di più troppo non reperibili. Da queste parole Pedretti ipotizza anche in
per copiare un codice di Leonardo, importante per molti titoli. Intorno a questo caso il trasferimento dei grafici (non sappiamo se si trattasse
quest’uomo ho scoperto varie cose, che lo mettono alla testa de’ fab- di originali, né se di provenienza Corazza) a Palermo nel 1806 insie-
bricatori di sistemi geologici: il suo è simile ai riconosciuti dai migliori me con il patrimonio più prezioso della Biblioteca Reale: sappiamo
fisici, e ch’ebbero nascimento poco più d’un secolo fa374. invece che le collezioni grafiche non si mossero da Napoli, restando
quindi un mistero la sorte di quel materiale nell’ambito della capi-
Sebbene Marinoni si limiti a definire «un mistero» a quale mano- tale borbonica.
scritto Bossi alludesse nella lettera, neppure tentando di ricostruire Nel 1818 la ricchissima biblioteca di Bossi andrà in vendita all’asta380:
la vicenda del nostro Codice375, che si trattasse di quest’ultimo è oltre al codice dei Cassano, Goethe, che proprio in quell’anno pub-
confermato da un’altra lettera del 28 luglio, indirizzata all’amico blicò la recensione sul Cenacolo di Bossi381, avrebbe voluto acquisi-
milanese Gian Giacomo Trivulzio376: re per la biblioteca di Weimar anche un apografo seicentesco del
Trattato della Pittura pure presente presso lo studio del pittore382. Il
La faticona che mi ammazza è la copia d’un Codice della Biblioteca recupero e riordinamento delle carte del fondo Bossi dell’Ambro-
Reale, di 450 pagine con centinaia di schizzi e disegni, che è estratto, se siana, auspicato da Pedretti sin dal 1962383, è stato eseguito solo alla
non erro, di quanto era all’Ambrosiana di mano del Vinci. Sono circa fine degli anni ’80: Enrico Cabella ne ha redatto un inventario
alla metà, e puoi credere se ne bramo il fine. Ma ad ogni modo ora ho analitico384 , da cui si evince la reale consistenza della documen-
una serie di opere del Vinci, che farà meravigliare, quando la pubbli- tazione prodotta dal pittore a Napoli385. Va notato come egli, pur
cherò. Ma vi vuol tempo e danari, senza che la mia buona volontà è
inutile. Considero anche fatica il dover cercare le bellezze del paese fra i
380
pericoli degli assassini e facendo lunghe corse, che ruban gran tempo377.   Catalogo della Libreria del fu cavaliere Giuseppe Bossi pittore milanese. La di cui vendi-
ta al pubblico incanto si farà il giorno 12 febbraio 1818, Milano, Bernardoni, 1817.
381
  Cfr. Libro di Pittura…cit., pp. 61-62 (nota 78), in cui si cita la recensione di
A parte le difficoltà ‘turistiche’ di Bossi, che non ci meravigliano Goethe del libro sul Cenacolo di Bossi, apparsa prima in tedesco nel 1818, poi in
più di tanto, e quelle dovute all’opera di trascrizione in un periodo inglese nel 1821. Cfr. E.Verga, Bibliografia…cit., p. 130, scheda su W. Goethe, Ioseph
Bossi über Leonard da Vincis Abendmahl zu Mailand, Stuttgart, Cotta, 1818, che a dire
così caldo, che durerà fino al 17 agosto, il documento è interessante di Verga segna l’inizio della letteratura vinciana in Germania, venendo tradotto in
perché offre una chiara idea delle intenzioni editoriali dell’artista inglese nel 1821 e poi più volte ristampato.
382
milanese, che a questo punto, nonostante la mancata trasferta pa-   L’apografo è così riportato nel catalogo della biblioteca (p. 235): «Trattato della
Pittura di Leonardo da Vinci. Cod. Cart. con figure del sec. XVII in f.». Nella Bi-
rigina, può contare sulla trascrizione del Codice Urbinate da lui blioteca Reale di Weimar è la copia del catalogo della biblioteca di Bossi apparte-
ricevuta nel 1809 dal Marini, bibliotecario della Vaticana, sull’apo- nuto a Goethe. Cfr. K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della Pittura…
cit., p. 28. Riguardo alla biblioteca di Bossi, cfr. E. Motta, Un manoscritto vinciano a
grafo donatogli da Cassano, sulla propria trascrizione del Codice Roma?, in «Raccolta vinciana»,V, 1908, p. 107, in cui si legge che nella biblioteca era-
Corazza e, come vedremo, su una copia integrale del ms. C or- no molti libri e manoscritti della celebre libreria Saibanti, tra cui un ms. degli inizi
mai a Parigi, il «De lumine et umbra», fornitagli dall’archivista Da- dell’800 dal titolo Vita dell’egregio pittore L. da Vinci scritta in tedesco dal sig. Gio. Böhm
e tradotta in italiano. Motta cita anche il catalogo della biblioteca di Bossi, in cui è
verio dell’Ambrosiana. Dunque neppure la pubblicazione del Li- l’elenco dei manoscritti, molti dei quali di provenienza Saibanti. Nella biblioteca di
bro di Pittura da parte di Guglielmo Manzi nel 1817 avrebbe avu- Bossi non mancavano altri importanti documenti, come ad esempio il testo degli
epigrammi composti da Francesco Arrigoni in merito alla famosa statua equestre di
to luogo se si fosse realizzato l’ambizioso programma di Bossi: un Francesco Sforza commissionata a Leonardo; testo che, preso in prestito da Bossi e
programma degno di quello di Cassiano dal Pozzo e finalizzato a mai restituito all’Ambrosiana, fu poi acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Parigi.
pubblicare a Milano, in volume unico, tutti gli scritti vinciani in Cfr. E.Verga, Gli epigrammi latini di Francesco Arrigoni per la statua equestre di Francesco
Sforza, in «Raccolta Vinciana»,VIII, 1913, pp. 155-161, in cui l’autore dimostra che «il
possesso del pittore; edizione del resto da lui già annunciata nell’o- ms. di quegli epigrammi presso la Biblioteca nazionale di Parigi, che il Müller Wal-
pera sul Cenacolo del 1810378. Un anno più tardi, in una lettera al de suppose essere stato portato in Francia da Luigi XII, giudicando esserne copia
quello menzionato dal Bossi come esistente presso l’Archivio generale di Milano,
Viceré d’Italia379, egli chiede un finanziamento per la pubblicazione, non è altro che quest’ultimo preso a prestito dal Bossi e non mai restituito».
promettendo in cambio di cedere all’Accademia, di cui è segreta- 383
  C. Pedretti, I manoscritti Bossi all’Ambrosiana, in «Raccolta Vinciana»,
rio, la collezione completa di incisioni del Morghen in suo pos- XIX, 1962, pp. 294-295. Pedretti dice che era all’epoca in corso all’Ambrosia-
na, su sua iniziativa, una vasta ispezione finalizzata all’individuazione dei ma-
noscritti di Bossi già menzionati da Galbiati nel 1919 (colloc. Sez. B, I, Fasc. b),
comprendenti la copia del Codice Urbinate fatta eseguire da Bossi nel 1808 e
374 a lui inviata dal Marini, bibliotecario della Vaticana, oltre al testo autogra-
  G. Bossi, Lettere ad Antonio Canova, Padova, Minerva, 1839, p. 42, cit. in E.Verga,
fo del volume sul Cenacolo (1810) e un’appendice inedita allo stesso volume.
Bibliografia…cit., p. 154. Cfr. pure G. Bossi, Scritti sulle arti…cit., II, p. 667, e Leonardo 384
e il leonardismo…cit., p. 139, scheda di A.Vezzosi. Il corsivo è nostro.   E. Cabella, Leonardo nelle carte...cit., pp. 199-204. Cabella sottolinea che le carte
375 del Fondo Bossi, menzionate sin dal 1919 dal Galbiati sotto la segnatura Sez. B Fasc.
  A. Marinoni, I manoscritti di Leonardo da Vinci e le loro edizioni, in Aa.Vv., Leo-
I, erano pervenute all’Ambrosiana negli anni 1860-65, avendone la Biblioteca fatto
nardo saggi e ricerche, cit., p. 251.
376 acquisto dal proprietario Carlo Locatelli. Cabella dà per ormai completata l’opera
  G. Nicodemi, La copia del volume di Giuseppe Bossi “Del Cenacolo di Leonardo da di inventariazione e catalogazione delle carte, su cui come è noto il Ciardi ha pub-
Vinci”, Milano,Vita e Pensiero, 1931, p. 48-49. Il corsivo è nostro. blicato un ampio studio nel 1982: l’autore segnala ora, in particolare, quelle relative
377
  Leonardo e il leonardismo…cit., p. 139, scheda di A.Vezzosi; C. Pedretti, I mano- agli studi di Bossi su Leonardo, di cui dà la segnatura definitiva.
scritti ‘inediti’…cit., p. 137. 385
  La Steinitz (K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della Pittura…cit.,
378
  G. Bossi, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, libri quattro, Milano, Stamperia Re- p. 107), sulla scorta di Galbiati, dava per dispersa la trascrizione napoletana di Bossi.
ale, 1810; G. Galbiati, op. cit., pp. 18-20. Cfr. pure Bibl. Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. Tra i documenti del fondo Bossi segnalati da Cabella troviamo invece: - SP 6/13
6/13-E, sez. B, n. 1, f.lo g: «Varie miscellanee pittoriche, filosofiche e morali tratte da D 7, «Copia del Codice di Napoli – Capitoli diversi di Leonardo da Vinci circa le
autografi di Leonardo da Vinci»: Bossi aveva intenzione di pubblicare queste mas- regole della pittura e modo di dipingere Prospettive, Ombre, Lontananze, Altezze,
sime su varie materie, che però non recano la provenienza (non tutte dal Codice Bassezze, Dipresso, Discosto: fatta nell’agosto 1810 dal pittore Giuseppe Bossi con
Trivulziano). molte postille di sua mano», ff. mss. nn. 1/94; - SP 6/13 D 8, Scheda autografa di
379
  G. Bossi, Scritti sulle arti…cit., I, pp. 437-439; Libro di Pittura…cit., p. 58. Bossi: «L’originale dei quali (capitoli) dal Sig. Galeazzo Arconati è stato donato alla

La vicenda sette-ottocentesca del manoscritto


77
comprendendo l’importanza dei contenuti dell’apografo napole-
tano e notando che «il carattere chiaro e buono somiglia a quello
di Alessandro Tassoni», osservi che le figure «sono fatte da chi
non aveva buon disegno e però sono senza grazia», non potendole
confrontare evidentemente con quelle analoghe dell’H 227 inf. e
dell’H 229 inf., all’epoca a Parigi, di cui esse rappresentano invece,
come abbiamo detto, la versione ‘in bella’386. Forse per una propria
organizzazione di lavoro, Bossi trascrive, dopo il testo dei «Capi-
toli aggiunti», prima la sezione intitolata Del Moto e Forza, ossia la
terza parte del Codice Corazza, poi il testo su Ombre e Lumi, infine
la seconda parte dell’apografo387.
Se la semplice copia redatta a Napoli da Bossi non costituisce per
noi un particolare oggetto d’interesse, importanti sono invece le
annotazioni del pittore riguardanti il confronto della parte del co-
dice napoletano contenente il trattato su Ombre e Lumi con quella
da lui ricevuta dall’archivista Daverio dell’Ambrosiana, priva sì di
figure, ma recante il testo integrale del ms. C, all’epoca già in
Francia388 . Del resto, Bossi aveva ottenuto solo un anno prima dal
Marini la copia dell’ancora inedito Codice Urbinate, non avendo
avuto il tempo di studiarlo né, quindi, di riconoscervi le parti
più significative sullo stesso tema tratte dal perduto «Libro W»389.
Pure importante ci pare quanto l’artista, proprio con riferimento
al «manoscritto Daverio», appunta circa

le altre molte cose che vi si leggono e che non sono della natura dei
lumi e delle ombre e che sono del tutto nuove o hanno notabili dif-
ferenze da quello che già tengo. Ne ho conseguentemente trascritto
quanto da porsi in ordine per materia con le altre scritture. Nella copia Giacomo Quarenghi, lettera a Vincenzo Corazza del 4 ottobre 1784. Napo-
li, Biblioteca Nazionale, Ms. X.AA.29bis/13

Libreria Ambrosiana e dall’istesso è stato inviato all’Em.mo Card. Francesco Barbe- da me fatta a Napoli nel 1810 del libro delle ombre e dei lumi ho messo
rino. Sono i suddetti capitoli più di quelli che nell’opera originaria dei Precetti del-
la Pittura si vedono», f. ms. n. 5; - SP 6/13 D 9, Scheda autografa di Bossi: «Il Codice il segno Ms.Dav. ove ho notato alcune lezioni di importanza390
di Napoli ha esternamente il titolo “Lionardo da Vinci-Le Regole della Pittura”. È
numerato col n. 84. La sua legatura è recente. Il carattere chiaro e buono somiglia che infatti si leggono nel testo del documento e che segnaliamo in
a quello di Alessandro Tassoni e può essere dell’epoca di Galeazzo Arconati come
prova il titolo del 1° Trattato. Le figure vi sono fatte da chi non aveva buon disegno nota alla nostra trascrizione391.
e però sono senza grazia – si verifichi se questo codice è lo stesso della Biblioteca Dalle carte di Bossi si ricava infine l’idea del pittore di aggiungere un
Barberini» (ossia il Codice Urbinate, già ricevuto in copia dal Marini, cosa che non
è), f. ms. n. 6; - SP 6/13 D 10, «Copia del testo della Parte I» del codice suddetto (con quinto tomo all’opera sul Cenacolo, che avrebbe avuto come titolo
numerosi disegni intercalati), ff. mss. nn. 7/24; - SP 6/13 D 11, «Copia del testo della «Dell’Architettura del Cenacolo e delle Opinioni di Leonardo in-
Parte II» del medesimo codice (con numerosi disegni intercalati), ff. mss. nn. 26-91. torno all’Architettura in generale»392. I materiali sull’argomento sono
386
  A nostra volta, notiamo il carattere più ‘freddo’ dei grafici di mano di Bossi, in
buona parte eseguiti con l’uso del righello. particolarmente interessanti e andrebbero approfonditi, ma ciò esula
387
  Con riferimento a quest’ultima, Cabella (ivi, p. 201) cita il seguente appunto dai limiti di questo studio: tra l’altro, Bossi analizza il disegno leonar-
presente nel «Catalogo-inventario» originario del Fondo Bossi ( Biblioteca Ambro-
siana, SP 6/13 A n. 1): «e) idem (cioè copia) di originale di Leonardo – della natura, desco per una facciata di edificio, un tempo in suo possesso e oggi
peso e misura delle acque, composto in tempo di Lodovico il Moro nel condurre conservato a Venezia, oltre ad illustrare doviziosamente i grafici ar-
che fece le acque del Naviglio e della Martesana dall’Adda a Milano, il cui originale chitettonici del Codice Trivulziano; ugualmente ci sembrano impor-
è di proprietà del Duca di Cassano in Napoli». Se, come è facilmente constatabi-
le, questa parte del codice napoletano corrisponde quasi totalmente al ms. F di tanti le sue osservazioni circa la presunta collaborazione tra Bramante
Francia, non si comprende come nell’inventario si possa fare riferimento per essa e Leonardo per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano393.
al manoscritto posseduto da Cassano, che abbiamo visto essere copia del Codice
Leicester e non del ms. F (sebbene sullo stesso argomento delle acque) e che Bossi
non ha mai copiato, avendolo ricevuto in dono sin dal 6 luglio 1810. Giungiamo così a tratteggiare il ruolo avuto a quell’epoca nella vi-
388
  Biblioteca Ambrosiana, SP 6/13 D 12, Copia di altro codice menzionato quale: cenda del Codice dal citato Giovan Battista Venturi (1746-1822)394.
«Autographum Leonardi Vinci cujus in jusdem rebus gestis meminit Raphael Tri-
schet Fresneus: agit autem de lumine et umbra (scritto in favella italiana) a. 1603».
Nota: «Vidi – Mazentae patritii Mediol. liberalitate», ff. mss. nn. 95-201; - SP 6/13
D 13, Altra copia del suddetto (con numerosi disegni intercalati), ff. mss. nn. 140- 390
  Proprio con riferimento al ms. Daverio, Bossi aggiunge alcune postille alla
161. - (SP 6/13 D 14) Nota autografa di Bossi del gennaio 1813: «Il Sig. Archivista
propria copia del codice napoletano, che segnaliamo nella nostra trascrizione.
Daverio mi ha passato una diligente copia del volume di Leonardo che altra volta 391
conservavasi nella Bibl. Ambrosiana, il quale volume aveva per titolo De lumine et   Ricordiamo che, a differenza della trascrizione integrale del ms. C presente nel
umbra», f. ms. n. 200. «manoscritto Daverio», la parte di quel codice rinvenibile nella selezione dell’apo-
389
  Bibl. Ambrosiana, SP 6/13 D 18 e 34, lettere a Bossi del 1808 del bibliotecario grafo napoletano su Ombre e Lumi si riferisce a 25 fogli sui 32 dell’originale vinciano.
392
della Vaticana Gaetano Marini e copia del codice dal lui ritrovato. In una lettera a   C. Pedretti, I manoscritti Bossi…cit., p. 295.
393
Bossi del 26 marzo 1809, Marini sostiene per primo che la parola MELTIUS alla   Cfr. la nota 23 alle pp. 246-249 del Cenacolo, dedicata a Bramante.
394
fine della seconda parte del Codice possa riferirsi a Francesco Melzi e che tra i 18   Su G.B. Venturi cfr. pure E. Verga, Bibliografia…cit., p. 115; G.B. De Toni,
libri elencati alla fine del testo possano esservi quelli donati dall’Arconati all’Am- Frammenti vinciani. Lettere del pittore Giuseppe Bossi …cit., pp. 229-235; Id., Sur les
brosiana, suggerendo a Bossi di controllare se questi ultimi rechino gli stessi con- feuillets attachés au manuscript E de Léonard de Vinci, conservé dans la Bibliothéque
trassegni richiamati da Melzi nell’apografo (cfr. Libro di Pittura... cit., passim). Ma a de l’Institut, in Compt. Rend. Acad. Sc. de Paris, tome 173, n. 15 (10 ott. 1921), pp.
quel tempo i manoscritti erano già a Parigi. 618-620; Id., Matériaux pour la reconstruction du manuscript A de Léonard de Vin-

Capitolo secondo
78
Sappiamo che lo scienziato, allievo dello Spallanzani, nel 1796 fu più tardi, dopo aver avuto accesso alle carte dell’amico milanese,
inviato a Parigi come segretario di Legazione da Ercole III duca Venturi potrà elaborare uno studio in materia di ottica integrando il
di Modena, pubblicando prima le Ricerche sperimentali sul principio materiale ‘di prima mano’ da lui selezionato e trascritto a Parigi con
della trasmissione laterale entro i fluidi applicata alla spiegazione dei diver- quanto ricavabile dalla copia di Bossi del Libro di Pittura, dall’edizio-
si fenomeni idraulici, poi dedicandosi ad approfonditi studi sui codici ne del Manzi e, soprattutto,
vinciani appena giunti nella capitale francese: il risultato fu, l’anno
seguente, la pubblicazione del famoso Essai sur les ouvrages physico- aggiungendo, ove avran luogo, diversi articoli ricavati da un trattato
mathématiques de Léonard de Vinci. Ciò fu possibile in quanto egli ebbe del medesimo [autore] sulle ombre ed i lumi, il quale conservasi nella
addirittura in prestito i codici e, quindi, l’opportunità di trascriverne Biblioteca di Napoli, ed in varie parti è diverso da quello della Vaticana
comodamente le parti di suo specifico interesse, cosa che non riuscì inserito nell’ultima sopra citata edizione romana398.
a Bossi: fu proprio Venturi a segnare i codici originali, per facilitare il
proprio lavoro, con le lettere A-N, cui solitamente ci si riferisce negli Venturi si baserà sulla copia eseguita a Napoli da Bossi per redigere
studi su quei manoscritti. Scrive Nando De Toni riguardo all’Essai395: di proprio pugno il manoscritto oggi conservato nella Biblioteca
Civica di Reggio Emilia, che reca il seguente appunto dello stu-
In tale opera quanto egli ha raccolto di materiale vinciano in così breve dioso: «Il Signor Giuseppe Bossi pittore copiò questo manoscritto
tempo non viene presentato alla rinfusa, codice per codice o carta per dalla Biblioteca di Napoli, ed io col permesso de’ suoi eredi, da
carta, come da lui trascritto direttamente dai Manoscritti del Vinci, ma tale Copia trassi la mia presente»399. Appare infatti evidente come
con gli argomenti già suddivisi in capitoli e con la indicazione, per ogni le trascrizioni da lui eseguite a Parigi selezionando la gran messe di
citazione, della provenienza del manoscritto leonardesco sicché, alle autografi vinciani non potessero risultare complete sull’argomento,
volte, un suo paragrafo è formato dalla riunione di pensieri contenuti tali cioè da consentirgli di redigere un compendio ordinato e dotato
in vari fogli sparsi in quel mosaico formato dagli scritti di Leonardo di sufficiente coerenza in materia di ottica: sarà quindi preziosa per
giunti sino ai nostri giorni. Ogni paragrafo poi è accompagnato da un lo scienziato l’ampia trascrizione rinvenibile nel Codice napoletano.
dotto commento, denso di citazioni di Autori che hanno trattato, prima Traendo profitto da tanti materiali all’epoca ancora inediti, Venturi
o dopo il Vinci, lo stesso tema. produsse studi di grande importanza, tra cui la memoria sulle Dottri-
ne inedite di Leonardo da Vinci intorno all’ottica, letta presso il R. Istituto
Si tratta dunque di un nuovo tentativo, peraltro assai autorevole sot- di Scienze di Milano nel 1815 e nel 1818400 e basata proprio sull’ana-
to l’aspetto scientifico, di selezione e riordinamento delle massime lisi del trattato su Ombre e lumi, aggiungendo a quanto già esposto
vinciane, avendo il Venturi l’intenzione di pubblicare «in tre com- nell’Essai il materiale ricavato dalle trascrizioni di Bossi, dalla copia
piuti Trattati tutto ciò che il Vinci ha fatto e scritto sulla Mecca- mostrata anche a lui dall’archivista Daverio401 e dal raffronto tra il
nica, sull’Idrostatica, e sull’Ottica»396. Ma va tenuto ben presente il testo del Codice Urbinate già in possesso del pittore, l’edizione del
carattere parziale di tali trascrizioni in relazione alla specificità degli Manzi del 1817 e l’editio princeps del Trattato della Pittura402: infatti
argomenti e il fatto stesso che la pubblicazione dell’Essai precede di Venturi, proprio come l’amico milanese, possedeva un apografo sei-
vent’anni l’accesso dell’autore alle carte di Bossi nel 1816. centesco del Trattato – anch’esso oggi presso la Biblioteca Civica di
Peraltro nel 1814 Venturi proverà, senza fortuna, ad ottenere una Reggio Emilia – che potrebbe anzi essere proprio quello di Bossi,
copia dell’intero Codice napoletano, chiedendola direttamente ai poi acquistato dallo scienziato403.
responsabili della Biblioteca Reale, come si evince da una lette- Come ha dimostrato G.B. De Toni, gli studi di Venturi si sono rive-
ra del 4 novembre di quell’anno indirizzata al solito Andrés, già lati di grande utilità anche ai fini del recupero di alcuni testi conte-
‘complice’ di Bossi: nuti nei fogli originali sottratti da Guglielmo Libri a Parigi, specie
con riferimento al Libro di Pittura404 e al ms. E di Parigi405. In parti-
Avendo finalmente ottenuto di poter restituirmi due anni fa alla mia
Patria, mi diedi di nuovo allo studio, e vorrei tenere la mia parola ri-
398
guardo a pubblicare tutte insieme le cose tuttavia inedite del Vinci. Da   G.B. De Toni, Giovan Battista Venturi…cit., pp. 87-89. Venturi poté trascrivere
tali circostanze Ella vedrà, Sig.r Bibl. Ven., che qualunque titolo abbia anche alcuni brani dell’apografo un tempo del duca di Cassano ancora presente in
casa Bossi prima che venisse acquistato, come si è visto, dalla Biblioteca di Weimar
il Ms.to costì esitente di L. Vinci, io ho necessità di vederlo. Onde oso nel 1818 (ivi, p. 59).
399
pregarla di voler farmelo ricopiare in ogni modo e quindi farlo tenere   Biblioteca Civica di Reggio Emilia, Ms. Regg. A 38, segnato «Q». Cfr. in pro-
posito N. De Toni, Frammenti vinciani. XXXII…cit., p. 20; Leonardo e il leonardismo…
sia per il Corriere sia per qualunque altro mezzo sicuro diriggendolo a cit., p. 139, scheda di A.Vezzosi.
me qui in Reggio, od al deg.mo Sig. Ciccolini in Bologna. Oso pregarla 400
  La memoria compare infatti due volte, con lo stesso titolo ma con diversa
di sollecitare la sud.ta copia del Ms.Vinci con qualche premura397. data, nel catalogo della Biblioteca Civica di Reggio Emilia (Mss. Regg. A 34/2 e
A 36/11).
401
  G.B. De Toni, Giovan Battista Venturi…cit., p. 76.
Ma questa volta la richiesta non ha seguito, forse per le critiche at- 402
  Libro di Pittura…cit., pp. 62-63.
403
tirate su di sé da Andrés per la concessione fatta a Bossi. Sicché solo   Cfr. G.B. De Toni, Intorno ad un apografo del «Trattato della Pittura» di Leonardo
da Vinci nella biblioteca civica di Reggio Emilia, in «Archivio di storia della scienza»,
Roma, III, 1922, pp. 135-140; K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della
pittura…cit., p. 126; C. Pedretti, Un apografo del “Trattato della Pittura”…cit., p. 23.
404
  C. Pedretti, Note sulla cronologia…cit. 26; Libro di Pittura…cit., p. 66.
ci, de la Bibliothèque de l’Institut, ibid., tome 173, n. 20 (14 nov. 1921), pp. 952-954; 405
  G.B. De Toni, Frammenti Vinciani X. Contributi alla conoscenza di fogli man-
Id., Giovan Battista Venturi…cit. Tra l’altro De Toni aveva avuto notizia dell’esi- canti nei Manoscritti A ed E di Leonardo da Vinci, in «Atti del R. Istituto Veneto di
stenza del codice napoletano, oltre che dalla citata lettera di Bossi a Canova, da Scienze, Lettere ed Arti», LXXXI, 1921-22, pp. 1-11. Sebbene non sia possibile,
una comunicazione avuta dal bibliotecario Alfonso Miola nel 1895. Cfr. pure: allo stato attuale, recuperare i fogli 81-96 del ms. E (corrispondente al Libro B
Scienziati e tecnologi dalle origini al 1875, Milano, Mondadori, 1975; Il Fondo Ventu- dell’elenco di Melzi del Libro di Pittura), nei mss. di Venturi si possono trovare
ri della Biblioteca Panizzi, a cura di R. Marcuccio, Bologna, Pàtron Editore, 2001. le trascrizioni dei capitoli 534 e 540 di quel codice, due note sui panni che erano
395
  N. De Toni, Frammenti vinciani. XXXII.Trascrizioni inedite…cit., p. 5. nel f. 79 del ms. A, e i capitoli 258 e 555 che erano ai ff. 79 e 67 dello stesso ma-
396
  C. Amoretti, op. cit., p. 142. noscritto. Cfr. N. De Toni, Trascrizioni inedite da fogli perduti del Manoscritto E 2176
397
  Biblioteca Civica di Reggio Emilia, Fondo Venturi, IX, minuta della lettera, cit. dell’Istituto di Francia, di Leonardo da Vinci, in «Frammenti Vinciani», XXXII,
in G.B. De Toni, Giovan Battista Venturi…cit., p. 165. 1975: Giovan Battista De Toni, nel 1921, nel raccogliere presso la Biblioteca Civi-

La vicenda sette-ottocentesca del manoscritto


79
colare l’opera condotta dal De Toni nel suo Giovan Battista Venturi Nel 1831 Luigi Corazza, figlio di Sebastiano e nipote di Vincenzo,
e la sua opera vinciana del 1924 406 ha posto in piena luce il duro percepiva ancora un assegno di tre ducati al mese quale compenso
lavoro svolto dallo scienziato reggiano sia in materia di ottica e per i manoscritti vinciani ceduti al principe ereditario, cui dovette
di prospettiva, sia riguardo ai trattati di meccanica e di idraulica, presto aggiungersi l’intero carteggio personale dell’abate bolognese.
come si è avuto occasione di sottolineare con riferimento alle cor- In un documento dell’epoca, a firma del presidente della Giunta
rispondenti parti del nostro Codice. Ma il contributo di Venturi della Biblioteca, mons. Rosini408, leggiamo:
non si limiterà a questi argomenti, giungendo egli a proporre la
ricostruzione minuziosa dei dati biografici su Leonardo ricavati da Esistono nella Raccolta Manoscritta tre codici cartacei, due in foglio e
appunti autografi, nonché un’analisi dettagliata dei capitoli pre- uno in 4°. Legati alla francese con fregi d’oro, uno de’ quali contiene
senti nei codici originali con riferimento al Trattato della Pittura e, un trattato sulle acque e del loro moto e misura di Leonardo da Vinci
infine, un ponderoso studio dei rapporti tra le ricerche vinciane scritto di proprio carattere di D. Vincenzo Corazzi […]. Il secondo
in materia di architettura e prospettiva, il De divina proportione di contiene i capitoli diversi dello stesso Leonardo da Vinci circa le regole
Pacioli e gli scritti di Francesco di Giorgio Martini sull’architet- della buona pittura, e regole di dipingere, prospettive, ombre, lontanan-
tura militare e civile conservati a Firenze, a Modena e a Venezia407. ze etc. […]. Il terzo in 4°. di carattere dello stesso Corazza contiene
osservazioni filologico-grammaticali sopra alcune parole più notabili
usate in dette opere di Leonardo […]. Il primo di questi Trattati sembra
ca di Reggio Emilia il materiale necessario per la biografia di Venturi, si imbatté tutt’ora inedito, e potrebbe meritare le considerazioni de’ Dotti. Gli
in trascrizioni di alcuni dei ff. 65-90 del ms. A e di alcuni degli ultimi sedici altri non son meno pregevoli.
del ms. E andati perduti e mai recuperati, a differenza di quelli del ms. B e del
Codice sul Volo (per i fogli mancanti di quest’ultimo si veda la pubblicazione
curatane nel 1926 da E. Carusi), completamente recuperati in originale. Tali Circa le origini dell’atto, Rosini, in mancanza di una precisa do-
trascrizioni erano nel ms. Reggiano A 38 bis [ex ms. «O» Venturi], contenente
anche copie del ms. B, del ms. Volo Uccelli (un tempo parte del B) e del ms. F: cumentazione, non può far altro che riferire ciò che era noto per
in particolare l’attenzione di Nando De Toni si focalizza sul ms. E, di cui all’e- tradizione orale:
poca era in procinto di curare la pubblicazione integrale. Dopo aver riportato
per correttezza i brani perduti già individuati dal padre nel 1921 attraverso il ms.
Reggiano A 38 (ex ms. «P» Venturi, cc. 34-35, tratte dal ms. E, ff. 83, 87, 88, 95, Si è sempre detto che detti codici pervennero da S.M. allora Principe
96), egli aggiunge una serie di altri brani dello stesso ms. E, tratti da trascrizioni Ereditario, cui erano stati offerti in dono da D. Sebastiano Corazza,
del Venturi (ms. Reggiano A 38 bis, cc. 93r-v, 96 r-v, 101r-v, 104r-v) mai studiate.
Alla nota 5 p. 20 N. De Toni riporta una nota in cui Bruno Fava, autore di un dopo la morte del di lui padre, che gliel’aveva lasciati. Altra informa-
saggio sul “De Perspectiva Pingendi” di Piero della Francesca (in «Bollettino zione non potrebbe dare la Giunta cui mancano le antiche carte, né
Storico Reggiano», V, 1972), fa riferimento agli studi di G.B. De Toni sull’opera
di Venturi (c. 1797-1815), e in particolare al progetto di Venturi (c. 1801-1810) per
saprebbe indicare dove si possono rinvenire409.
la pubblicazione degli scritti sull’ottica (Commentarj sopra la storia e le teorie dell’ot-
tica) che si trae dai mss. della Biblioteca di Reggio Emilia. In realtà, come testimonia la rendita accordata a Sebastiano, non si
406
  Così Verga (E. Verga, Bibliografia…cit., p. 710) recensisce l’opera di De Toni
su Venturi: «Il deposito delle carte di G.B. Venturi, fatto dai discendenti presso la trattò affatto di una semplice ‘donazione’.
Biblioteca comunale di Reggio Emilia, aveva già offerto al De Toni l’occasione di
scoprire fra le copiose trascrizioni di materiale vinciano eseguite dal fisico reggiano
a Parigi, nel 1796, una serie di passi contenuti in alcuni dei fogli poi strappati dal
Libri ai manoscritti leonardeschi dell’Istituto di Francia, serie che egli si affrettò Emilia secondo lui più coerente con l’idea dello scienziato: gli scritti si compone-
a comunicare agli studiosi. In seguito, lo spoglio sistematico e completo di quel vano di tre memorie, la prima sull’opera di Piero della Francesca sulla prospettiva,
materiale ha messo l’Autore in grado non solo di nutrire la biografia di elementi la seconda sulle dottrine di Leonardo intorno all’ottica, la terza, da stamparsi in ap-
nuovi, ma anche di pubblicare scritti del Venturi inediti, oltre a note e ad appunti pendice, contenente i seguenti capitoli: I. Notizie autentiche della vita di Leonardo
integranti opere già conosciute. Le trascrizioni dai codici di Leonardo riguardano da Vinci, e delle sue opere oltre l’Ottica; II. Manoscritti di Leonardo; III. Dottri-
gli argomenti che più interessavano il trascrittore e son divisi per materie in modo ne principali di Leonardo intorno alla Meccanica; IV. Insegnamenti di Leonardo
da formarne, secondo il proposito annunciato nello stesso Essai, altrettanti trattati. I intorno all’Idraulica; V. Scienza militare; VI. Del volo degli uccelli; Conclusione:
materiali che è riuscito a ridurre ad unità, con vera e propria forma di trattato, ri- Massime morali di Leonardo. Nell’attuale ms. Reggiano A 38 (vedi la parte ex lett.
guardano l’ottica e sono in questo volume pubblicati integralmente. Un altro grup- «P» Venturi) è copia del «Paragone», di cui il Venturi scrive: «La mia Copia è presa
po riguarda la vita di Leonardo: è lavoro diverso e più nutrito della Notice ecc. inserita da quella del pittore Giuseppe Bossi, che forse l’aveva presa insieme col 2° Libro di
nell’Essai: mira a stabilire le varie fasi della vita di Leonardo cogli stessi appunti di lui Leonardo, dalla Vaticana di Roma».
di carattere autobiografico. I materiali preparati per gli altri due trattati, della mec- 408
  BNN, Archivio Storico, Fondo Nazionale, serie Borbonica, 1831/17, nota del 20
canica e dell’idraulica, sono allo stato di semplici trascrizioni, e riportati dal De Toni giugno 1831 contenente una dettagliata descrizione dei manoscritti di Corazza, cit.
coi soli “incipit” ed “explicit”. Chiude il volume la ristampa completa dell’Essai». in M. Rascaglia, op. cit., pp. 48, 51-53.
407 409
  G.B. De Toni fornisce lo schema dei mss. Venturi della Biblioteca di Reggio   Ibidem. Cfr. M. Rascaglia, op. cit., pp. 49, 51.

80
Capitolo terzo
Sulle orme del leonardismo
tra il viceregno e i Borbone

I. Influenza e diffusione del metodo vinciano Si tratta di un passaggio chiave per intendere la diffusione della
nella formazione dell’architetto «vulgo ingeniero» lezione di Francesco di Giorgio in ambito napoletano. Insomma
napoletano nel 1492 Fra Giocondo avrebbe fatto una copia dei disegni di ar-
chitettura e di macchine belliche facenti parte del Codice Maglia-

N el capitolo introduttivo abbiamo tratto da studi speci-


fici gli elementi più significativi in merito all’opera degli in-
gegneri senesi e, in particolare, di Francesco di Giorgio, anche con
bechiano: oltre alle interessanti ipotesi di Fiore3 in merito a quali
parti di quella documentazione fossero riportate nella copia napo-
letana (probabilmente coeva della nota Raccolta grafica del Marti-
riferimento alle reciproche influenze innescate dall’incontro con ni) e quali invece fossero successive a quest’ultima, va tenuto conto
Leonardo. Cercheremo ora di comprendere come il Martini ab- della testimonianza del contemporaneo Marino Sanuto riguardo
bia potuto diffondere nella Napoli aragonese la propria esperien- al fatto che nel gennaio 1495 Alfonso II, abdicando in favore di
za teorica e tecnica negli ultimi anni del Quattrocento, creando Ferrante e fuggendo a Messina per l’arrivo imminente di Carlo
nel contempo le premesse per una trasmissione della metodologia VIII, portasse via da Napoli l’intera sua biblioteca, compresi quin-
scientifica e professionale di Leonardo nell’ambito del viceregno di, con ogni probabilità, i due preziosi volumi oggi scomparsi 4 .
spagnolo: al senese e a Fra Giocondo si deve in effetti il merito di Fatto rientro nella propria città alcuni mesi dopo, Francesco di
aver posto le basi perché anche nel Mezzogiorno la nuova figura Giorgio non tornerà a Napoli fino al settembre 1494, tanto che nel
di professionista liberale dell’architetto-ingegnere, dotata di una frattempo verranno inviati in sua vece Antonio Marchesi da Setti-
fisionomia ‘completa’, potesse nascere e consolidarsi all’insegna gnano (1451-1522) e Baccio Pontelli (c. 1450-1492)5.
della lezione vinciana; insomma, quella figura di architetto «vulgo È proprio nel corso dell’esperienza napoletana che Francesco di
ingeniero» che ricordavamo nel primo capitolo, la cui affermazio- Giorgio matura l’originale idea di un sistema a bastioni e rivellini,
ne all’inizio dell’età moderna coincide con l’attribuzione di un intesi come vere e proprie macchine, contro le fantasie valturiane e
ruolo istituzionale nel campo delle opere pubbliche, in base alla la scarsa competenza filaretiana. La Raccolta registra quanto di me-
quale l’antico architetto-capomastro diviene noto al «vulgo» come glio il Martini abbia sperimentato nel campo della tecnica militare
«ingeniero» al servizio della Città o dello Stato, ossia quale inven- a seguito della calata di Carlo VIII verso Napoli: fino al 1496 egli si
tore di soluzioni tecniche in ambito infrastrutturale. occuperà del programma urbanistico di Alfonso II e disegnerà le
Sin dal 1478-80 Alfonso d’Aragona duca di Calabria, futuro re di nuove mura urbane occidentali.
Napoli, si serve di Francesco di Giorgio nel corso della guerra di Alla città ‘ideale’ cui il sovrano aspira nella nota proposta di tra-
Toscana e nel 1481 l’architetto-ingegnere realizza la medaglia cele- sformazione della capitale, descritta dal Summonte e riconosci-
brativa che raffigura il profilo di Alfonso in occasione della vittoria bile nei grafici degli Uffizi attribuibili a Fra Giocondo, va quan-
di Otranto contro i Turchi; nel ‘90 viene segnalato allo stesso duca to meno affiancata l’immagine della ‘città-fortezza’ concepita da
quale esperto di architettura militare da Virginio Orsini, capitano Francesco di Giorgio nel 1494 per lo stesso re Alfonso: ancora se-
dell’esercito aragonese. Nel febbraio 1491, anche a seguito della condo il Sanuto, le mura ideate dal Martini avrebbero circondato
scomparsa di Giuliano da Maiano, Alfonso ne richiede nuovamen- Napoli per tre miglia, mostrando «forma di scorpione, brazando il
te la disponibilità alla signoria senese: fino a maggio di quell’anno colpho di mar con le do zaffe, et verso la terra voltando la coda»,
egli lavorerà alle fortezze del regno, da Napoli all’Abruzzo alla corrispondente a Castel Sant’Elmo, mentre le chele sarebbero state
Puglia 1. L’anno seguente torna a Napoli, nonostante le difficoltà rappresentate dai moli6.
opposte in tale occasione dal governo di Siena: Francesco di Gior- Le fortezze e le strade militari sono dunque per l’architetto-inge-
gio si trova quindi a collaborare con Fra Giocondo (a Napoli nel gnere le macchine che devono estendere il dominio della città sul
1489 e nel ‘92), il quale, insieme con il pittore Antonello da Capua, contado: Francesco di Giorgio trae sì da Alberti, come Fra Gio-
elabora ben 126 disegni a corredo di due trattati del Martini, «uno condo da Vitruvio, l’immagine della città posta al centro del suo
de architetura e l’altro de artigliaria et cose appartenenti a guer- territorio, in forma ottagona e protesa secondo le otto direzioni
re», quest’ultimo riferibile con ogni probabilità ad una trattazione cosmiche, ma questa volta i raggi si prolungano sino a congiungersi
sistematica della casistica bellica richiesta dalla corte aragonese2 . con le otto fortezze poste a guardia del contado. È un’idea di città
da ingegnere militare quella che il senese propone nei propri codici
e che negli studi di altri professionisti finirà per prevalere, con la
1
  R. Pane, Il Rinascimento nell’Italia Meridionale, Milano, Ediz. di Comunità, 1975, sua logica funzionale, sugli astratti schemi neoplatonici. Leonardo,
II, pp. 208 sgg.
2
  Si veda il documento del 30 giugno 1492 della Tesoreria aragonese (cfr. E.
P ercopo, Vita di Giovanni Pontano, a cura di M. Manfredi, Napoli 1938, p.
381, n. IV; R. Pane, op. cit., I, p. 95, n. 40; F.P. Fiore, op. cit., p. 108), in cui si 3
legge: «A maestro Antonello de Capua pintore: quattro ducati, tre tarì, undici   F.P. Fiore, Città e macchine del ‘400 nei disegni di Francesco di Giorgio Martini, Firen-
gr., e per luy a Fra Jocondo; et sonno: IV ducati, II tarì, I gr. per lo preczo de ze, Olschki, 1978, p. 40.
4
CXXVI designi, li quali à fatti a dui libry de maestro Francesco da Siena in   Cfr. La spedizione di Carlo VIII in Italia raccontata da Marino Sanuto, in «Archivio
carta di pairo scripti ado mano, uno de architettura e l’altro de artigliaria et veneto», I, 1873, cit. in F.P. Fiore, op. cit., p. 40.
5
cose appartenenti a guerre; a ragione de IV gr. ½ l’uno; e uno tarì, X gr. per   R. Pane, op. cit., II, pp. 208 sgg.
6
ligatura de ditti dui libri…».   F.P. Fiore, op. cit., p. 42.

[81]
Codice Madrid II, ff. 91v-92r, c. 1504. Madrid, Biblioteca Nacional de España

nel riferirsi proprio al Martini nel codice Madrid II7, riproporrà xiij de innaro, xiij ind[icione], la maistà del sig[nore] re fece bot-
la separazione tra vie militari e vie ordinarie – aventi origine da tare in terra le doje turre che steveno sopra la porta dello castiello
un nucleo quadrato con la rocca centrale e conducenti ai bastioni de Sant’Eramo; quale fece bottare per lo ditto conziglio de messere
perimetrali – suddividendo la città in nove quadranti dominati dal Francisco, perché sua maistà voleva fare uno castiello lo più bello
cannone; insomma una città regolata, più che da principi cosmolo- che .sse [sic] mai Talia fosse. E fo principiate dallo mese de sottiem-
gici, da criteri balistici8. bro de ditto anno10 .
Nel 1495 il senese prepara e fa esplodere la mina per riconquistare
Castelnuovo contro gli occupanti francesi: molti, del resto, sono i Più innanzi, nello stesso manoscritto, leggiamo a proposito delle
disegni di mine presenti nel suo Trattato, di cui dovette certamen- opere dirette dal Martini per il nuovo castello di Baia e per una «ca-
te tener conto Leonardo nei tanti grafici da lui dedicati all’ambito samatta» a difesa di Castelnuovo presso la torre del Beverello:
dell’artiglieria, in parte ritrovabili anche nel nostro Codice9. Nella
Cronaca della Napoli aragonese del Ferraiolo si legge riguardo alla ri- La bastia sopre Baia, per defencione de Vaia; lo quale èi una bella cosa,
strutturazione di Castel Sant’Elmo intrapresa nella stessa epoca da con quelle casematte e defese ben ordinate. Et in quisto ditto anno
Francesco di Giorgio: dello mese di ottufro la ditta maistà del sig[nore] re fece fare una bastia
chiamata casamatta alla ponta dello fusso dello Castiello Novo, appiede
Un messere Francisco, senese, tavolario della maistà del sig[nore] la torre de Viviriello; et, se ditta casamatta fosse stata sconputa, forrìa
re Alfonzo et mastro zufficiente de adificie, in ditto anno 1495, a dì stata disfacìone de questa citate in ditta guerra.

Tornato Francesco di Giorgio definitivamente a Siena agli inizi del


7
  Ff. 91v-92r. ‘97, il Marchesi sarà assunto al suo posto come regio architetto con
8
  F.P. Fiore, op. cit., p. 43.
9
  Con riferimento alla presenza di Francesco di Giorgio a Napoli, va segnalata
diploma del 12 marzo 149711: così, nei due anni successivi, il progetto
l’attribuzione della Cappella Pontano, avanzata dal Pane, e l’influenza della chiesa già concepito dal senese per la nuova cinta bastionata intorno a Ca-
martiniana di S. Maria del Calcinaio a Cortona su quella napoletana di S. Caterina
a Formiello. Egli è pure citato da Summonte a proposito della villa di Poggioreale:
il noto disegno con baluardi ad essa relativo potrebbe rispecchiare un’idea del Mar-
10
tini per la rafforzare l’edificio. Cfr. R. Pane, op. cit., II, pp. 57-58, 199. Si veda inoltre   La Cronaca è contenuta nel noto ms. di fine Quattrocento della Morgan Library
Architettura del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento. Campania, a cura di A. Gam- di New York, cit. in Francesco di Giorgio architetto, a cura di F.P. Fiore, M. Tafuri, Mi-
bardella, D. Jacazzi, Roma, Gangemi Editore, 2007, passim; A. Ghisetti Giavarina, lano, Electa, 1993, scheda di N. Adams, p. 311.
11
Il regno di Napoli, in «Artigrama», n. 23 (2008), pp. 327-358.   Ivi, p. 214.

Capitolo terzo
82
stelnuovo potrà procedere secondo l’idea iniziale12. Egli, dunque, si
afferma anche nel Mezzogiorno come «ingegnario», sia provveden-
do alle fortificazioni del regno contro la minaccia turca e francese
(opera anch’essa proseguita dal Marchesi e dal Pontelli, specie in
Puglia e in Calabria), sia operando in campo idraulico, come quan-
do concepisce un importante ‘ingegno’ da realizzare in Castelnuovo
per il sollevamento dell’acqua: la macchina, sistemata in adiacenza
della cortina del castello, attraverso un sistema di pompe attingeva
all’acquedotto sotterraneo per il fabbisogno idrico della cittadella.
I Trattati e il Liber machinarum di Francesco di Giorgio ci mostrano
macchine dalla straordinaria varietà di forme, spesso antropomorfe
e rigorosamente modulari. Nel campo dell’architettura militare va
riconosciuta l’affinità delle opere da lui progettate nel Mezzogior-
no con le altre che egli realizza nel resto d’Italia: se all’indomani
dell’introduzione della polvere da sparo si era ovunque provveduto
alla sostituzione delle alte torri medievali con torrioni bassi e larghi
per la difesa radente, con Francesco di Giorgio vengono introdotti
puntoni, bastioni, rivellini, orecchioni, ossia strutture salienti e ri-
entranti per la difesa delle mura. In molti casi le sue idee vengono
realizzate nel corso degli anni, come deve essere accaduto anche per
Castel Sant’Elmo, la cui pianta pseudostellare adottata dall’Escrivá è
quella già tracciata dal Martini dopo la demolizione delle due torri
preesistenti. Egli, secondo quanto attestano vari documenti, redige i
grafici sulla base dei quali i capimastri eseguono modelli utili per gli
artefici locali; altri elaborati vengono ridotti in forma ‘pulita’, come
abbiamo visto nel caso di Fra Giocondo, per la redazione di trattati
a scopo divulgativo13.
In definitiva, l’attività napoletana di Francesco di Giorgio è di im-
portanza almeno pari a quella da lui svolta ad Urbino: a Napoli le
sue idee si confrontano con quelle di Fra Giocondo, in continuità
con quelle di Giuliano da Maiano e di Giuliano da Sangallo, dopo
essersi già arricchite nel 1490 a Milano di quelle di Leonardo e di
Bramante. Fiore si chiede dunque se, nel caso del senese, «non sia
stata la prassi a precedere la sistematizzazione trattatistica, che ne
ha poi vagliato e moltiplicato i suggerimenti»14, con quel continuo
procedere dalla pratica alla teoria e viceversa che era tipico del me- Francesco di Giorgio Martini, Bastioni e fortezza con casematte, Cod.
Magliabechiano II. I. 41, c. 241r, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale
todo vinciano. Va tenuto presente, ad esempio, il fatto che dopo il (da Fiore)
1478 (quando Federigo di Montefeltro e il duca di Calabria sono
alleati nel vittorioso assedio di Volterra) per le torri di difesa si pas-
sa nuovamente dalla forma poligona, già diffusa intorno alla metà alte rispetto al piano esterno. Lo stesso Sanuto16 narra che i «Fran-
del secolo, al modello circolare vitruviano, per pervenire infine alla zesi veramente etiam loro bombardava ditto Castelnuovo, maxime
cinta bastionata nei decenni successivi. Un fatto è certo: l’esperienza la parte di la cittadella, tamen faceva poco danno, et poco più bas-
napoletana di Francesco di Giorgio si svolge tutta a valle dell’incon- so che li merli si poteva bombardare el Castello, et solum da una
tro milanese con Leonardo; è possibile che lo scambio tra i due si banda…». Insomma a Napoli Francesco di Giorgio applica quella
sia attuato in termini di idee e di metodologie da parte del genio che si chiama struttura di fiancheggiamento ‘in alzato’, cui Leonar-
vinciano e di tecnica e di pratica della machinatio da parte del se- do conferirà solo qualche anno più tardi una coerente geometria:
nese, potendo quindi le due personalità incidere sull’ingegneria del rinunciando al fiancheggiamento ‘orizzontale’, da cui scaturisce la
Mezzogiorno, direttamente o indirettamente, in maniera completa. nuova pianta stellare, il senese adotta per l’ultima volta la sagoma cir-
Una considerazione tecnica va fatta riguardo alla tipologia muraria colare nell’ambito dell’ampio quanto «rapidissimo» piano di difesa
adottata da Francesco di Giorgio prima nel feudo dei Montefeltro, predisposto dagli aragonesi. Così ancora Sanuto: «In quel tempo el
poi a Castelnuovo15. Mentre a partire dalla fine del Quattrocento si re Alphonso fece far fortezza sopra el monte San Martino, et cavar
va diffondendo per le mura un profilo ampio ma basso, immerso le mura si aggiongeva a Napoli, qual abbrazavano tutto el monte de
nel suolo, delegandosi ai fossi e ad opere accessorie il compito della San Martino sino al Castel Nuovo»17.Va notato peraltro come queste
protezione dal cannone, le fortezze realizzate dal Martini, essendo ultime parole, alludendo chiaramente all’idea di un coinvolgimento
elementi di difesa e di dominio nel contempo, si ergono molto della collina nel circuito murario sin dalla fine del regno aragonese,
smentiscano l’opinione diffusa che solo in età toledana si pensi di
superare, sul versante occidentale della città, il segno del fossato della
12
  La cittadella verrà modificata a partire dal 1518 dagli spagnoli con la nuova forma
pentagona del «parco».
13
  Ivi, pp. 230-233.
14 16
  F.P. Fiore, op. cit., p. 47.   La spedizione di Carlo VIII…cit., p. 241.
15 17
  Ivi, p. 101.   Ivi, p. 191.

Influenza e diffusione del metodo vinciano


83
Francisco de Holanda, veduta di Castelnuovo sullo sfondo del golfo di Napoli, c. 1540. Madrid, Escorial (da Pane)

cinta muraria corrispondente al tracciato della futura strada Toledo. ereditato dagli ingegneri medievali e da quelli del primo Quattro-
Nei disegni del codice Magliabechiano è da riconoscersi dun- cento, adottando con convinzione una linea filologica e classicisti-
que il riflesso dell’attività svolta da Francesco di Giorgio presso ca20: il senese, anche in virtù dell’oscurità del testo latino, non imita
gli aragonesi, specie con riferimento al recinto fortificato di Ca- le forme dell’antichità, ma ne recupera le tecniche, rapportandole
stelnuovo, da lui intrapreso nel 1494 con quattro vertici bastionati alle esigenze moderne e all’attualità dei problemi meccanici. Ma se
in opera provvisoria: le strutture verranno compiute dal Marchesi nel Cinquecento lo scientismo di ambito veneto, da Daniele Bar-
solo dopo la cacciata dei francesi, secondo le forme rappresenta- baro a Giovanni Maria Falconetto, coglierà la lezione martiniana
te da Francisco de Holanda nel 1540 con quattro vertici dotati di unicamente per progredire negli studi di meccanica, balistica e geo-
«rondelle» e un bastione poligonale18. Con riferimento a quest’ulti- metria dei moti, nei trattati di architettura il carattere originale e
mo, va tenuto presente quanto accennato dall’Adams19 a proposito dinamico delle macchine di difesa di Francesco di Giorgio e la sua
del consulto di ingegneri voluto da Leone X nel 1517 – al qua- stessa idea urbana antropomorfa cederanno il passo a schemi stereo-
le parteciparono, tra gli altri, Antonio da Sangallo il Giovane e lo tipati, ispirati ad astratti principi geometrico-astrologici o a mere
stesso Marchesi – sulla tipologia innovativa del bastione angola- esigenze funzionali dettate dalla pratica militare.
re: la soluzione adottata a Napoli per il bastione di Santo Spirito Questo dunque il terreno di dibattito e sperimentazione dell’in-
o del Parco rispecchierebbe quindi queste scelte e anche il pro- gegneria a Napoli nel momento in cui la città si accinge ad essere
gramma che don Pedro di Toledo avvierà a partire dal 1536 per le capitale del viceregno spagnolo nel 1503. Leonardo è ancora nel
nuove fortificazioni del viceregno non potrà non tenerne conto. pieno delle sue ricerche e speculazioni teoriche, ma è già ben noto
In effetti l’opera di Castelnuovo deve aver contato molto nella ma- nell’ambiente scientifico meridionale, come dimostrano anche i
turazione da parte di Francesco di Giorgio di quei principi generali citati studi sulle origini della diffusione del leonardismo tra Roma
che lo avvicineranno sempre più al macchinismo vitruviano, cui egli e Napoli21. Non è da escludere, però, una qualche influenza sul
riuscirà a ricondurre, senza dilapidarlo, il ricco patrimonio tecnico genio vinciano anche da parte del vivace ambiente culturale della

20
  F.P. Fiore, op. cit., p. 142.
18
  F.P. Fiore, op. cit., pp. 137-138. 21
  Leonardo e il leonardismo a Napoli e a Roma, a cura di A.Vezzosi, Firenze, Giunti-
19
  Francesco di Giorgio architetto, cit., p. 313, scheda di N. Adams. Barbera, 1983.

Capitolo terzo
84
capitale aragonese. Infatti Pacioli, prima di incontrare Leonardo a pubblica l’inventario nel 1935, azzarda l’ipotesi, in verità piuttosto
Milano e poi a Firenze, tra il 1488 e l’89 è presente a Napoli come discutibile, che il testo possa essere stato donato direttamente da
insegnante di matematica e illustratore di testi antichi sull’arte Leonardo al cardinale d’Aragona (sappiamo invece che questi non
della guerra, venendo in contatto con autorevoli umanisti di corte, ebbe neppure modo di sfogliare i trattati che il maestro diceva
quali Conte di Sano e Giovanni Pontano. Sebbene non vi sia trac- di aver compilato) 26 e da costui alla nipote Costanza d’Aragona
cia di un viaggio di Leonardo a sud di Roma, Pedretti 22 sostiene d’Avalos – poi andata in sposa ad Alfonso II Piccolomini, terzo
l’ipotesi ragionevole della sua conoscenza dell’ambiente dei mate- duca di Amalfi e conte di Celano –, per passare in seguito ad In-
matici napoletani proprio attraverso Pacioli, che egli incontrerà a nico, quindi alla figlia Costanza e perdendosene infine le tracce27.
Milano subito dopo la sua trasferta napoletana. Per riferirci all’am- Ora, qualunque sia stato l’iter del codice fino a giungere al duca
bito architettonico, va ricordato che ciò avviene proprio negli di Amalfi, come evidenzia Pedretti in uno schema generale dei
anni in cui gli studi di Giuliano da Sangallo per il nuovo palazzo manoscritti vinciani 28 potrebbe essersi trattato addirittura di uno
reale di Ferrante I d’Aragona e quelli di Giuliano e Benedetto da degli originali che non giunsero mai a Melzi; certo è che, se met-
Maiano per la Villa di Poggioreale vanno diffondendo un modello tiamo in relazione l’esistenza del manoscritto con gli apografi vin-
destinato a riflettersi, non a caso, nei noti progetti di Leonardo per ciani certamente posseduti a Napoli dal Pinelli nella stessa epoca
la villa di Charles d’Amboise a Milano e per la residenza di Fran- (prima cioè di ritirarsi a Padova) e con l’eco già suscitata dal diario
cesco I a Romorantin in Francia. di de Beatis, possiamo avere una chiara idea di come, prima ancora
Leonardo entra quindi in contatto, sia pure indirettamente, con il della vicenda settecentesca di cui ci occuperemo, il pensiero vin-
fervido cenacolo degli scienziati napoletani, procurandosi e stu- ciano andasse ormai radicandosi nell’ambiente napoletano.
diando, tra l’altro, l’opera di Luca Gaurico sulla quadratura del Ma c’è dell’altro. Tra i testi dell’inventario della biblioteca Piccolo-
cerchio (1503) 23 ; problema che, come abbiamo visto, costituisce per mini troviamo una «Iperothomachia Philofili» che sta chiaramente
lui motivo di continuo interesse, ma anche di autentico assillo 24 . per la nota Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (1499)29,
Nel contempo, a Napoli dovette giungere l’eco degli studi già un «Luca Gannico» che sta per Gaurico, ossia, con ogni probabilità,
in atto da qualche anno da parte dello stesso Leonardo e del suo il citato testo del 1503 sulla quadratura del cerchio e, soprattutto, una
programma finalizzato alla redazione di trattati sistematici in cui copia del «Divina proportione» di Pacioli (1509): l’esistenza di que-
compendiare i risultati delle proprie ricerche; tanto che nel 1504 ste opere nella biblioteca del duca di Amalfi conferma l’alto grado
l’umanista napoletano Pomponio Gaurico, fratello di Luca, nel suo di aggiornamento scientifico, tutto all’insegna del leonardismo, che
De sculptura gli attribuisce il noto appellativo di «archimedeo in- l’ambiente culturale napoletano ampiamente mostrava già intorno
gegno notissimus». È possibile allora, in definitiva, propendere per alla metà del Cinquecento.
un proficuo reciproco scambio.
Un altro importante passaggio riguardante la diffusione della fama Che lo scenario professionale della capitale nella prima età vicereale
e della dottrina vinciana in ambito napoletano è sicuramente se- fosse popolato di personaggi di particolare levatura è dimostrato
gnato dalla descritta visita, nell’ottobre 1517, del cardinale Luigi dall’opera di Giovanni Donadio, di Giovan Francesco di Palma, di
d’Aragona a Leonardo presso lo studio di questi ad Amboise. Al Gabriele d’Agnolo e di molti altri che pure citeremo, ben indagati
ritorno della spedizione a Napoli, il diario di de Beatis dovette dagli studiosi del Rinascimento meridionale. Ma, sotto il profilo
rappresentare una testimonianza preziosa, destinata certamente a
suscitare particolare interesse nell’ambiente della capitale del Mez-
mini d’Aragona Duchi di Amalfi, un quadro di Raffaello e la biblioteca di Papa Pio II, in
zogiorno, già ben attrezzato, come testimoniano gli studi di Ro- Studi sulla Repubblica Marinara di Amalfi, a cura del Comitato per la Celebrazione di
berto Pane, nel recepire gli stimoli rinascimentali: quest’esperien- Amalfi Imperiale, Salerno, Spadafora, 1935, pp. 97 sgg.; A. D’Arrigo, Un frammento
za valse certamente a rafforzare tali riferimenti nella città vicereale inedito di Leonardo e la relatività, in «Sophia», XXVI, nn. 1-2 (genn.-giu. 1958), pp.
226 sgg.; C. Pedretti, Leonardo da Vinci On Painting a lost Book (Libro A) reassembled
e a trasmettere agli architetti-ingegneri napoletani, insieme con from the Codex Vaticanus Urbinas 1270 and from the Codex Leicester/with a Cronology
quanto ereditato dall’attività di Francesco di Giorgio, le basi della of Leonardo’s “Treatise on Painting”, Berkeley-Los Angeles, University of California
Press, 1964, pp. 257-258; A. Chastel, Luigi d’Aragona: un cardinale del Rinascimento in
metodologia tecnico-scientifica di marca leonardesca. Si può dire viaggio per l’Europa, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 83-84. I libri potrebbero essere
che, a partire dagli inizi del Cinquecento sino al principio dell’età finiti nella biblioteca di papa Pio II Piccolomini, oppure essere passati in possesso
contemporanea, la tradizione vinciana non vedrà a Napoli solu- dei Peretti, famiglia del papa Sisto V, allorché il castello venne loro in possesso alla
fine del Cinquecento. In ogni caso, per quanto abbiamo potuto cercare, del codice
zione di continuità, specie per quanto attiene allo sviluppo della non si ha più alcuna notizia.
ricerca nel campo delle scienze applicate e alla maturazione della 26
  Un’altra ipotesi potrebbe essere quella che il manoscritto sia giunto in possesso
del cardinale d’Aragona attraverso la cugina Isabella – figlia di Alfonso II d’Aragona
figura professionale che stiamo tratteggiando. – che nel 1489 era andata in moglie a Gian Galeazzo Sforza, per il quale Leonardo
aveva lavorato durante il suo primo soggiorno milanese.
27
A tutto ciò non potè non contribuire l’accertata presenza a Napoli,   Innico muore nel 1566, andando i suoi beni a Costanza, unica figlia, quinta du-
chessa di Amalfi, che nel 1571 sposa Alessandro Piccolomini marchese di Deliceto,
almeno dalla metà del XVI secolo, di manoscritti vinciani: uno di da cui poi si separa senza figli, ritirandosi infine presso il convento della Sapienza
essi è menzionato come «un libro intitulato Leonardus scritto a mano» a Napoli e lasciando tutti i suoi beni mobili allo zio paterno, Alfonso Piccolomini
d’Aragona: cfr. G.M. Monti, op. cit., p. 127; I. Puglia, I Piccolomini d’Aragona duchi di
in un inventario del 1566 (confermato in una verifica notarile del Amalfi (1461-1610). Storia di un patrimonio immobiliare, Napoli, Edit. Scientifica, 2005.
1568) relativo ai libri della biblioteca di Innico Piccolomini duca di Suggestiva appare l’ipotesi del Monti che la biblioteca romana dei Piccolomini, in
Amalfi, all’epoca custoditi nel castello di Celano25. Il Monti, che cui i libri dovettero giungere, sia stata lasciata da Costanza, in solido con il palazzo
di famiglia, ai Teatini; si spiegherebbe così l’attuale presenza, presso la Vaticana, di
numerosi codici presenti negli inventari citati, escluso però il testo vinciano. Altri
libri, però, potrebbero essere confluiti nella biblioteca dei Piccolomini a Siena,
22
  C. Pedretti, «Archimedeo ingegno notissimus», in Leonardo e il leonardismo... cit., p. 118. oppure essere passati in proprietà dei Peretti, famiglia del papa Sisto V, allorché il
23
  L. Gaurico, Tetragonismus idest circuli quadratura per Capanu archimede Syracusanu castello di Celano venne in loro possesso alla fine del Cinquecento. Purtroppo, allo
atque boetium mathematicae perspicacissimos adinuenta,Venetiae, G.B. Sessa, 1503. stato attuale, non ci è dato di individuare il «Leonardus».
28
24
  Ivi, p. 117.   C. Pedretti, Leonardo da Vinci’s On Painting…cit., pp. 256-257.
25 29
  Archivio di Stato di Napoli (d’ora innanzi ASNa), Monasteri soppressi, vol. 3208   Cfr. in proposito H.-W. K ruft, Storie delle teorie architettoniche. Da Vitruvio al
bis, ff. 35 sgg., mss. del 30 settembre 1566 e del 16 marzo 1568. Si tratta dei libri di Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1987-88, I, pp. 61-64. Potrebbe però trattarsi di
Innico e non di Alfonso, come invece afferma Pedretti. Cfr. G.M. Monti, I Piccolo- una delle successive edizioni francesi (1546, 1554).

Influenza e diffusione del metodo vinciano


85
specifico delle scienze e delle tecniche dell’ingegneria, solo di re- La frattura tra un’architettura «sottile» e una «grossa» sarà dunque
cente si è posto mano a seri approfondimenti, che rivelano dati assai cosa fatta entro la fine del secolo, all’epoca delle già ricordate parole
interessanti sull’influenza vinciana, specie dal punto di vista delle del Bellucci: l’ingegnere militare dovrà produrre costruzioni fun-
metodologie e della sperimentazione in campi come le fortificazio- zionali e anonime, tecnicamente corrette ma di fatto prive di parti-
ni, l’idraulica, la meccanica. Tra la seconda metà del Cinquecento colari connotazioni formali e stilistiche. Significativa è, in tal senso,
e gli inizi del Seicento, la linea segnata dalla ricerca di Francesco l’osservazione del Busca nel suo trattato del 1585 a proposito della
di Giorgio e di Leonardo trova in ambito napoletano significative preparazione specifica che si richiede per l’«architetto militare»:
occasioni di maturazione nel pensiero e nell’opera di Carlo Theti,
di Domenico Fontana e di Giovanni Antonio Nigrone, preparando infra tutte è la pratica del conoscere le lontananze, altezze, profondità, et
il terreno per quella che sarà nel Mezzogiorno, tra la seconda metà intervalli de’ luoghi inaccessibili: e habbia famigliare, e molto in pratica
del XVII secolo e gli inizi del XVIII, l’ulteriore diffusione dell’e- l’uso di instrumenti matematici, e sopra gli altri de’ diottrici, insieme
redità vinciana, la sua integrazione con la nuova scienza galileiana e all’uso del bossolo33.
il preludio alla ‘rivoluzione’ tecnico-scientifica di marca illuminista.
Alla metà del XVI secolo l’ideatore di ‘ingegni’ napoletano, ormai Oltre alla conoscenza della meccanica, dell’artiglieria e della balisti-
non solo meccanico, ma teorico e tecnico insieme, comincia ad ca, è necessario che il tecnico militare «habbia alla guerra appreso
assumere un ruolo ben definito quale esperto sia in campo civile tutto l’ordine e le parti della militia»: la pratica bellica, dunque, quale
sia in quello militare: nell’ambito civile la sua funzione si impone fondamento dell’architettura delle fortificazioni.
sempre più per l’importanza sociale, divenendo questa figura nota È noto come la diffusione della cinta bastionata ispiri in molti casi
anche ai ceti meno abbienti, mai destinatari o committenti di pre- la forma delle nuove città, come dimostra l’adozione di schemi ur-
stigiose opere di architettura, ma certamente fruitori delle pubbli- banistici dalla perfetta geometria all’interno dei trattati redatti nel
che infrastrutture; l’ambito militare, poi, è quello in cui nel corso Cinquecento sulla scorta degli studi di Francesco di Giorgio. Intor-
del Cinquecento si attua per la prima volta una specializzazione no alla metà del secolo si avranno i preziosi contributi di Bellucci34 e
delle competenze richiesta dalla complessità delle esigenze e del- di Niccolò Tartaglia: quest’ultimo per primo adopererà lo strumento
le tecniche belliche e balistiche e, quindi, una sempre più marcata matematico-geometrico nella spiegazione di numerosi fenomeni e
tendenza verso una ‘deriva separatista’ che sarà definitiva e irrever- per la sua affinità con le tematiche della natura e del paesaggio, pro-
sibile nella seconda metà del Settecento, giustificando il fatto che ponendone pure l’applicazione in molti campi della progettazione,
in quest’unico settore l’ingegnere sarà sempre e solo un tecnologo come si legge nella Nova Scientia del 1537 e nei Quesiti et invenzioni
e un pratico sperimentatore, e mai uno ‘scienziato’, né tantomeno diverse del 154635. Infine, nel 1559, sarà la volta di Giacomo Lanteri36.
un ‘artista’ ideatore di forme e conoscitore dei linguaggi dell’ar- Ma, come si vede anche negli studi di Dürer, lo schema astratto
chitettura. Così, fino a tutto il Seicento, non mancheranno dizio- della cinta muraria finirà quasi sempre per imporsi sui luoghi: solo
nari anche autorevoli, uno fra tutti il Glossarium del Du Cange del nei Discorsi di fortificationi (1569) del nolano Carlo Theti (1529-1589)37
168830, in cui il termine «ingegnere» indicherà unicamente il co- compare una certa attenzione per i caratteri del territorio e del sito
struttore di «ingenia» destinati alla guerra; addirittura, dopo quasi che, al contrario, dovranno ispirare la forma delle fortificazioni e
un secolo, nell’Encyclopédie di Diderot si insisterà ancora sul fatto quindi della città»38.
che esso «marque l’adresse, l’habilité et le talent que ces officiers
doivent avoir pur inventer. On les appelait autrefois engeigneurs du
Venezia, C. Borgominero al Segno di San Giorgio, 1564 (rist. anast., con presenta-
mot engin qui signifie machine, parce que les machines de guerre zione introduttiva di G.E. Ferrari, Roma, Jouvence-Viella, 1982), lib. III, cap. XIV, p.
avaient été pour la plupart inventées par ceux qui les mettaient en 89v. Cfr. pure sull’argomento G. Severini, Progetto e disegno nei trattati di architettura
militare del ‘500, Pisa, s.n., 1994, p. 110.
ouvre dans la guerre»31. 33
  G. Busca, Della espugnatione et difesa delle fortezze. Libri due, Torino, N. Bevilac-
Già nel trattato di Jacopo Fusti Castriotto Della Fortificatione delle qua, 1585, lib. I, pp. 4-5, cit. in G. Mollo, Carlo Theti. I Discorsi delle fortificazioni
città, pubblicato a Venezia nel 1564, si legge: di un ingegnere militare del XVI secolo, in Storie e teorie dell’architettura dal Quattrocento
al Novecento. Ricerche di dottorato, a cura di A. Buccaro, G. Cantone, F. Starace, Pisa,
Pacini Editore, 2008, p. 93.
[…] dico che avendo chiaramente compreso alla guerra fatta nel 1552 34
  Giovanni Battista Bellucci, o Belluzzi, o Belici (1506-1556), detto il «Sanmarino»
alla Mirandola, l’opere moderne non esser molto a proposito in tutti i dalla città di origine, genero dell’architetto Girolamo Genga, che lo indirizza agli
studi di architettura. Ricordato da Vasari, realizza numerosi apparati difensivi per
luoghi: però son stato forzato porre in figura un nuovo modo forse al Cosimo I de’ Medici, granduca di Toscana e genero del viceré don Pedro di Tole-
parere degli intendenti perfettissimo: il quale se non sarà ornamento di do, che lo chiama a Napoli nel 1535; nel 1553 è attivo a Siena, ove realizza la pianta
delle fortificazioni. È inoltre autore di un Diario autobiografico 1533-1541, pubblicato a
quella polita, e bella vista, che all’Architettura sottile si conviene, niuno Napoli solo nel 1907, del già citato trattato sulla Nuova inventione di fabricar fortezze
se ne deve meravigliare, perché l’architettura militare è grossa, non è (Venezia, T. Baglioni, 1598), e de Il trattato delle fortificazioni di terra (riediz. a cura di
soggetta alle regole della sottile, et ancora perché volendola imitare, ciò D. Lamberini, F. Borsi, Firenze, s.n., 1980).
35
  G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 90.
non passerebbe senza gran danno per i soldati32. 36
  G. Lanteri, Due dialoghi del modo di disegnare le piante delle fortezze secondo Euclide,
Venezia, Bolognino Zaltieri, 1557; Id., Duo libri di M. Giacomo Lanteri da Paratico da
Brescia. Del modo di fare le fortificazioni intorno alle città, et alle Castella per fortificarle. Et
di fare così i Forti in campagna per gli Alloggiamenti de gli esserciti, come anco per andar sotto
30
  Glossarium mediae et infimae latinitatis conditum a Carolo du Fresne domino du Cange ad una terra, di fare i ripari nelle batterie,Venezia, Bolognino Zaltieri, 1559.
... editio nova aucta ... a Léopold Favre, IV, Graz, Akademische Druck-u.Verlagsan- 37
  Gli studi più recenti su Carlo Theti hanno visto importanti contributi da parte
stalt, 1956 (facs. dell’ediz. Niort, L. Favre, 1883-1886), p. 360, cit. in F. De Mattia, di Giuseppe Mollo, ai cui scritti faremo riferimento per le nostre considerazioni
Ingegneri e fonti di archivio, in Scienziati-artisti. Formazione e ruolo degli ingegneri nelle su questo significativo personaggio. Cfr. G. Mollo, op. cit., pp. 83-132; Id., I Discorsi
fonti dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli, a cura di A. Buccaro, delle fortificationi di Carlo Theti. L’edizione vicentina del 1617, in Territorio, fortificazio-
F. De Mattia, Napoli, Electa Napoli, 2003, p. 68. ni, città difese del Regno di Napoli e della sua capitale in età borbonica, a cura di G. Ami-
31
  Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des Métiers, par une société rante, M.R. Pessolano, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 2008, pp. 281-310. Su Theti
de gens de lettres. Mies en ordre et publié par M. Diderot, ... et quant à la partie mathé- si veda pure P. Manzi, Carlo Theti da Nola. Ingegnere militare del sec. XVI, Roma,
matique, par M. d’ Alembert, Paris-Neufchâtel, Briasson, David, Le Breton, Durand, ISCAG, 1960; C. Robotti, Girolamo Cataneo, Francesco de Marchi e Carlo Theti: teorici
1751-1772, ad vocem; F. De Mattia, op. cit., p. 68. e progettisti nell’arte nuova di fortificare, in Atti del Colloquio Internazionale su “Luci tra le
32
  G. Maggi, J. Fusti Castriotto, Della Fortificatione delle città di M. Girolamo Maggi rocce” (Salerno, 20-30 aprile 2004), Firenze, Alinea, 2005, I, pp. 299-311.
38
e del Capitan Iacomo Castriotto, Ingegniero del Christianiss. Re di Francia, Libri III …,  G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 92.

Capitolo terzo
86
Inventario dei volumi della biblioteca di Innico Piccolomini duca di Amalfi custoditi nel castello di Celano nel 1568; particolare con l’indicazione di un
manoscritto «intitulato Leonardus». Napoli, Archivio di Stato, Mon. soppr., vol. 3208bis, f. 54v

Sarà utile soffermarci sulla figura di Theti per il suo significativo Tornato in Italia, in Veneto Theti sostituisce lo scomparso Sanmi-
contributo alla formazione di un’identità professionale che prende cheli nelle opere in atto a Verona e a Bergamo46: qui, nella città alta,
le distanze da un’ingegneria militare ormai sempre più spesso chiusa gli viene tra l’altro attribuita la costruzione del Bastione della Cap-
verso stimoli più ampi offerti dal campo dell’architettura e dell’in- pella, in cui si constata la capacità dell’ingegnere di adattare schemi
gegneria civile. di fortificazioni ormai ‘standardizzati’ ad un sito orograficamente
Egli soggiorna a Napoli tra il 1550 e il 1560, allorché, dopo aver assai complesso47. Influenzato anche dalle idee di Giovan Giacomo
partecipato a una missione militare in Tunisia, elabora la nota pian- Leonardi, egli mostra di fare ogni sforzo perché l’arte delle for-
ta della capitale vicereale39: vi risultano già in parte eseguite alcu- tificazioni venga sottratta ai «pratici» militari e ispirata alle regole
ne delle opere urbanistiche intraprese da don Pedro (si notino i sostenute dagli «scienti»: insomma una posizione forte sul piano teo-
Quartieri Spagnoli tracciati solo nella parte prossima a via Toledo), rico, destinata a fare la differenza rispetto alla maggioranza degli altri
cui lo stesso Theti potrebbe aver collaborato40. Il successivo viceré professionisti e a collocare Theti sulla scia dei trattatisti del primo
Prospero Colonna, nel farsi parte attiva nelle guerre contro i Turchi Rinascimento.
nel Mediterraneo tra il 1560 e il 1580, si avvale probabilmente pro- Negli anni ’70 egli lavorerà nei ducati dei Savoia, degli Estensi e dei
prio dell’ingegnere nolano in materia di fortificazioni. Attraverso Medici. Una nuova edizione dei Discorsi sarà data alle stampe nel
il Colonna, Theti entra alla corte di Massimiliano d’Asburgo, cui 1589 a Venezia, poco prima della morte dell’autore, per i tipi di Fran-
dedica i Discorsi, editi a Roma da Giulio Accolto grazie all’aiuto di cesco de Franceschi (l’editore di Serlio). Theti vivrà a Padova gli
vari amici ed estimatori: l’opera è il frutto di decenni di studi sulle ultimi anni a stretto contatto con Pinelli, personaggio di spicco del
tante fortezze d’Italia e del Mediterraneo, ma anche di molte espe- mondo culturale del secondo Cinquecento, che abbiamo ricordato
rienze militari al seguito del viceré. Acquisita la fama di importante anche a proposito di un codice leonardesco in suo possesso, poi pas-
ingegnere militare insieme con Francesco de Marchi41 e il tedesco sato all’Ambrosiana all’atto della fondazione: genovese, ma vissuto a
Daniel Speckle,Theti trascorrerà lunghi anni (fino al 1576) alla corte Napoli fino al 1558 e poi trasferitosi a Padova, appassionato vinciano,
austriaca e al servizio dei duchi di Baviera, occupandosi anche di collezionista e bibliofilo, dopo aver diffuso nella capitale del vicere-
numerose fortezze e operazioni militari nei Paesi Bassi. gno spagnolo ulteriori germi di leonardismo, Pinelli farà della nuova
L’ingegnere e matematico salernitano Gasparo Mordente, giunto casa padovana il simbolo di un colto collezionismo documentario.
anch’egli a Vienna nel 1572, scrive su richiesta dell’Imperatore Ro- Nella sua dimora troverà posto, oltre alla celebre biblioteca, una vera
dolfo II un trattato sul compasso – strumento da lui studiato insieme e propria accademia di arte e di letteratura; in questo ambito, egli
con il fratello Fabrizio – pubblicato ad Anversa nel 158442; ma già stringerà con Theti un rapporto di così grande amicizia che alla
nel ‘75 Theti introduce una descrizione del compasso ad uso delle morte dell’ingegnere sosterrà le spese del funerale, pronunciando
operazioni topografiche militari nella seconda edizione dei Discorsi anche un importante elogio funebre e dettando l’epigrafe per il se-
pubblicata a Venezia, che i Mordente hanno certamente occasione polcro tuttora esistente nel chiostro della basilica di Sant’Antonio48.
di leggere a Vienna. Il compasso di Theti è pure raffigurato in una Tutto ciò ci conferma quanto, con riferimento agli evidenti interessi
tavola dell’edizione della stessa opera del 1617 (Vicenza, G. de Fran- vinciani, è possibile desumere dall’intera opera teorica del nolano.
ceschi) e citato dal Pinelli in uno dei manoscritti conservati all’Am- Attraverso i Discorsi si comprende come Theti si sforzi di conciliare
brosiana, dal titolo Osservazioni per regolare le operazioni del compasso43. teoria e pratica, non essendo per lui possibile, come del resto ave-
Tra i numerosi scritti militari un tempo nella raccolta Pinelli, sono va dimostrato Leonardo, privilegiare la ragione sull’esperienza, né
anche i Discorsi vari in materia di Fortificazione co’ suoi disegni, elabo- farsi guidare solo dalle consuetudini: proprio come il maestro to-
rati da Theti a partire dal 157644, originariamente carte strategiche scano, egli giunge a formulare nuove teorie direttamente attraverso
riservate, che i principi tenevano a non diffondere. Successivamente, i principi della geometria euclidea e delle sue applicazioni, propo-
come è noto, sarà Galileo a perfezionare lo strumento45. nendo anche strumenti innovativi da adoperare nella misurazione
e rappresentazione dello spazio. D’ora innanzi, la geometria delle

39
  Cfr. Iconografia delle città in Campania. Napoli e i centri della provincia, a cura di C. de 46
  G. Mazzi, Il Cinquecento: i cantieri della difesa, in L’architettura a Verona nell’età della
Seta, A. Buccaro, Napoli, Electa Napoli, 2006, p. 120, scheda di M. Iuliano.
40 Serenissima, a cura di P.P. Brugnoli, A. Sandrini, Verona, Banca Popolare di Verona,
  G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 96. 1988, I, pp. 130-133.
41
  L’architettura delle fortificazioni: innovazioni e riuso nelle città del Mediterraneo, a cura 47
  G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 105.
di C. Robotti, P. Argenziano, Lecce, Ediz. del Grifo, 2005. 48
42   Si veda P. Gualdo, Vita Ioannis Vincentii Pinelli patricii genuensis. In qua studiosis
  Del Compasso del Signor Fabrizio Mordente con altri istrumenti matematici, ritrovati da bonarum artium, proponitur tyus probi & eruditi. Autore Paulo Gualdo, patricio vicentino,
Gasparo suo fratello, Anversa, C. Plantino 1584. Augustae Vindelicorum, Excudit Christophorus Magnus, 1607; G. Tiraboschi, Sto-
43
  Cfr. G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 113. ria della Letteratura italiana, Milano 1833, VII, parte I, pp.241; P. Napoli Signorelli,
44
  Biblioteca Ambrosiana, D. 183 inf., cit. in G. Mollo, Carlo Theti…cit., pp. 128-132. Vicende della cultura nelle Due Sicilie, o sia Storia ragionata della loro legislazione e po-
45
  G. Galilei, Le operazioni del compasso geometrico et militare, Padova, per P. lizia, delle lettere, del commercio, delle arti, e degli spettacoli dalle colonie straniere insino a
Frambotto, 1649. noi..., Napoli,V. Flauto, 1784-86, t. IV, pp. 249-253; G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 112.

Influenza e diffusione del metodo vinciano


87
fortificazioni non sarà più dettata da regole cosmiche o simboliche,
bensì dalla natura del sito e dal tiro delle artiglierie: dunque per
Theti la pratica di guerra e la conoscenza delle armi vanno con-
siderate prioritarie. Oltre alle fonti classiche, da Cesare a Vegezio a
Frontino a Polibio, egli conosce gli scritti di autori moderni come
Alberti, Valturio, Agostino Nifo, Francesco Patrizi. Attraverso Nifo,
filosofo originario di Sessa Aurunca, conosce il pensiero di Machia-
velli, che Nifo aveva appreso dal manoscritto de L’arte della guerra
prima che venisse pubblicato a Venezia nel 1529, citandolo già nel De
Regnandi peritia edito a Napoli nel 152349, ulteriore prova della viva-
cità intellettuale che distingueva in quegli anni la capitale vicereale.
Risulta evidente come Theti si occupi di fortificazioni secondo una
posizione in netto contrasto con gli ingegneri militari ‘puri’, come
Maggi, Castriotto, Cataneo, Zanchi, affermando la mancanza di di-
stinzione tra il ruolo del teorico e quello del professionista ‘tecno-
logo’: prendendo quindi le distanze anche dall’Alberti, che aveva
sostenuto l’autonomia del progetto dall’esecuzione, egli intende
verificare di persona l’applicazione su campo dei propri progetti e,
anzi, trarre dalla pratica di guerra le basi teoriche per l’architettura;
sotto questo aspetto, da convinto vinciano, insiste sull’appartenenza
dell’architettura militare alle scienze matematiche, richiedendo essa
un’approfondita conoscenza delle proporzioni, della geometria eu-
clidea e dell’uso di precisi strumenti di misurazione. Eppure, in fase
di valutazione della componente estetica di queste costruzioni,The-
ti, proprio come facevano gli ingegneri militari, finisce col negarla:
«Ne vorrei che la fortezza fusse ornata di belle e lavorate pietre»50.
Quanto poi ai grafici che corredano i Discorsi, oltre a illustrare il
testo con dettagli esplicativi, essi testimoniano del più generale
intento di esaltare la città fortificata come una macchina da guer-
ra, ponendo in risalto il circuito murario e, spesso, annullando
del tutto la rappresentazione del tessuto cittadino. Ciò segna in
qualche modo l’inizio della cartografia tematica: molte piante di Carlo Theti, Discorsi di Fortificationi, Roma 1569; frontespizio
città rappresentate da Theti nei disegni inviati a sovrani e principi
committenti dai teatri di guerra delle Fiandre o di Ungheria sono
elaborazioni di tavole degli atlanti della seconda metà del ‘500, che nel corso del Seicento finiranno per prevalere sulle vedute a
che i nuovi rilievi, a loro volta, contribuiscono a diffondere in volo d’uccello, giungendo infine a sostituirle del tutto nel Settecen-
Europa; allo stesso modo, come si dirà, anche l’ingegnere Giovan to, quando i criteri scientifici prevarranno sugli intenti celebrativi52.
Tommaso Scala, attivo in Francia prima di operare a Napoli negli
anni 1564-75, avrà un ruolo decisivo, con le proprie pubblicazioni, Abbiamo ricordato come tra le tappe fondamentali della forma-
nella diffusione delle piante di città francesi. Un’idea di quanta zione dell’architetto-ingegnere meridionale in età moderna sia da
importanza Theti desse all’iconografia urbana ai fini della cono- annoverare l’attività napoletana di Domenico Fontana, svoltasi tra
scenza degli insediamenti si ricava dalla sua raccomandazione, a il 1594 e il 1607, che può essere oggi delineata con maggiore preci-
chiunque si accingesse a un’operazione strategica, «ch’abbia quel sione grazie a recenti studi53. Egli trasfonde a Napoli i risultati della
paese dipinto, e le città, e altri luoghi in modelli»: ciò basta a propria attività romana, condotta sotto Sisto V, assolvendo anche nel
comprendere la grande diffusione di atlanti e mappe che, specie viceregno incarichi negli ambiti più vari, dall’ingegneria idraulica
a partire dalla seconda metà del Cinquecento, si registra in tut- agli interventi di riassetto urbano, dai restauri alle nuove architet-
ta Europa, non solo a fini culturali o di semplice ‘propaganda’ ture: è tale la personale impronta data da Fontana all’ambiente pro-
per Stati e committenze reali, ma per scopi politici e militari51. fessionale napoletano, che per circa mezzo secolo gli ingegneri al
L’ingegnere diviene, quindi, anche esperto cultore e divulgatore di servizio del governo vicereale risulteranno tutti in qualche modo
cartografie: raccoglie grafici, li rielabora, ne realizza di nuovi, vi ag- ispirati dalla sua tecnica. La bonifica della Terra di Lavoro, l’apertura
giunge appunti e considerazioni carpite ovunque sia possibile, con e sistemazione di strade e piazze della capitale, la progettazione del
poca attenzione alla paternità delle fonti, che spesso finiscono per porto napoletano e infine la realizzazione del nuovo Palazzo Reale
confondersi, venendo attribuite invenzioni a chi invece le ha sem- sono opere in cui Fontana riuscirà a mettere a frutto le precedenti
plicemente copiate o raccolte per temi e tipologie. Si cominciano esperienze, anche perché, nonostante la dipendenza decisionale dei
così a perfezionare i metodi di rilevamento mediante la triangola- viceré dalla corte di Madrid, a Napoli i programmi saranno im-
zione e si vanno diffondendo le prime raffigurazioni planimetriche, prontati ad intenti di propaganda simili a quelli alla base delle opere
pontificie; oltre a ciò, non vanno sottovalutate le forti suggestioni

49
  G. Mollo, Carlo Theti…cit., p. 121.
50 52
  Ibidem.   Ibidem.
51 53
  Id., I Discorsi delle fortificationi…cit., p. 289.   P.C.Verde, Domenico Fontana a Napoli. 1592-1607, Napoli, Electa Napoli, 2007.

Capitolo terzo
88
che vengono a Fontana dall’architettura spagnola sorta sotto Filippo
II, segnatamente l’Escorial e gli alcazàr.
Messo in cattiva luce presso il nuovo papa Clemente VIII da alcuni
colleghi, nel 1592 egli decide di accettare l’invito del viceré conte di
Miranda di recarsi a Napoli per occuparsi del riequilibrio idraulico di
quella parte della Terra di Lavoro compresa tra Nola e il Lago Patria.
Dopo aver ricevuto l’ufficio di regio ingegnere dal viceré nell’agosto
1593, solo un anno più tardi si stabilisce definitivamente nella capitale,
lasciando a Roma il fratello Giovanni e il nipote Carlo Maderno a
portare avanti i cantieri in atto. Nel 1604 assumerà il ruolo di «Regio
Ingignerio et Architetto Maiore et super intendente de tutte le fa-
briche del Re nel Regno de Napoli»54, che manterrà fino alla morte.
L’opera di Fontana per i Regi Lagni55, intrapresa nel 1594, consistette Nomina di Bartolomeo Picchiatti «Architecti majoris (Vulgo Ingeniero)»,
1628. Napoli, Archivio di Stato, Cancelleria e Consiglio del Collaterale, Offic.
nella realizzazione di un nuovo canale rettilineo atto a convogliare suae majestatis, n. 10
le acque del Clanio tra Castelvolturno e Lago Patria; ma i lavo-
ri furono sospesi per mancanza di fondi, venendo ripresi solo nel
1598 e proseguiti dal figlio Giulio Cesare dopo il 1607. Egli si era borbonico, via via incrementandosi grazie alle innumerevoli espe-
occupato sotto Sisto V dell’acquedotto Felice e del prosciugamento rienze degli ingegneri camerali in tutto il territorio meridionale.
delle paludi pontine, nel secondo caso con un successo solo parziale: Si comprende dunque come sul principio del Seicento l’ambiente
l’esperienza gli servì comunque per intervenire in Terra di Lavoro, professionale del Mezzogiorno – già pregno da un secolo, grazie
realizzando una delle opere idrauliche di maggior respiro dell’età all’azione di Francesco di Giorgio, dei principi di meccanica e di
vicereale. Un altro importante intervento eseguito da Fontana entro idraulica sperimentati dai senesi, diffusi dall’azione vinciana e infine
il 1599 fu il canale per convogliare parte delle acque del Sarno fino veicolati dalla trattatistica – abbia tratto dal contributo di Fontana
a Torre Annunziata56, servendo i mulini di Scafati e riservando così un’ulteriore occasione per rafforzare la propria fisionomia e im-
le acque della Bolla alle sole esigenze della città di Napoli: al di là postare per sempre l’identità dello scienziato-artista, fondandola su
degli aspetti tecnici dell’opera – sulla cui correttezza, come si vedrà, solide basi tecnico-scientifiche e rendendola disponibile a nuove
non vi fu unanime giudizio – è noto come in questa occasione l’ar- inaspettate esperienze. Ma all’alba del Grand Siècle, come è noto
chitetto non abbia mostrato particolare sensibilità nei confronti di dalle vicende politico-religiose ed economico-sociali che fino agli
alcuni ritrovamenti riferibili alla città sepolta di Pompei, che verrà anni ’50 caratterizzeranno il più ampio scenario italiano ed europeo,
scoperta solo un secolo e mezzo più tardi. la strada della scienza e, quindi, del nostro professionista, non era
Tutte queste opere, come del resto la consulenza prestata da Fon- ancora del tutto spianata.
tana per la soluzione degli annosi problemi dell’acquedotto di Ca- La crisi sociale iniziata durante il viceregno spagnolo, le scelte as-
pua, sono dettagliatamente descritte nei paragrafi da lui dedicati alla sai discutibili del governo di Madrid in materia di infrastrutture e,
materia idraulica in Della trasportazione dell’obelisco vaticano…Libro soprattutto, il malcostume e la corruzione dei tecnici e degli appal-
secondo in cui si ragiona di alcune fabriche fatte in Roma, et in Napo- tatori – che, come si comprende dai numerosi quanto inutili prov-
li, edito nella capitale vicereale nel 1604: è tale l’approfondimento vedimenti adottati fino a tutto il primo periodo borbonico, carat-
tecnico-descrittivo, con riferimento ai metodi di progettazione e terizzeranno ancora nel Settecento il settore delle opere pubbliche
realizzazione di condotti d’acqua sotterranei o esterni, che quest’o- – non impediranno il rafforzarsi dell’identità dell’architetto «vulgo
pera di Fontana appare come un autentico manuale di ingegneria e ingeniero», secondo la definizione data nei documenti, non a caso,
un chiaro intendimento promozionale della disciplina. proprio al Picchiatti.
Abbiamo già accennato, nella nostra introduzione, alla diversità di Sebbene ancora per tutto il viceregno austriaco perdurerà la disat-
giudizi critici riservati a Fontana57 e a quanto riuscisse a pesare, tenzione del governo nei confronti delle problematiche sociali e
anche a Napoli, l’invidia dei colleghi sia sull’opera del Sarno che territoriali del Meridione, ciò non impedirà alla classe professionale,
sul progetto per il nuovo porto della capitale58; è però un fatto che impegnata nel contempo in molte opere di committenza reale, no-
quest’ingegnere civile, meccanico e idraulico abbia lasciato traccia biliare o religiosa, di perfezionare e diffondere il proprio bagaglio
del proprio metodo nei protagonisti dell’ingegneria e dell’architet- tecnico e artistico, preparandosi così degnamente ad accogliere le
tura napoletana del Seicento, primo fra tutti Bartolomeo Picchiat- grandi innovazioni del Secolo dei Lumi.
ti59. Dal Libro secondo emergono le preziose conoscenze tecniche
che, grazie a Fontana, avranno diffusione fino all’inizio del regno Quel ‘filo rosso’ segnato, nella scienza e nella professione, dal me-
todo vinciano, che si corrobora nell’esperienza napoletana di Fon-
tana, si trova ad attraversare nella capitale del Mezzogiorno, sin dal
54
  Ivi, p. 14. primo Seicento, da un lato i terreni insidiosi di una scienza ancora
55
  G. Fiengo, I regi lagni e la bonifica della Campania Felix durante il viceregno spagnolo, troppo lontana dal divenire applicata, dall’altro quelli di una prati-
Firenze, Olschki, 1988.
56
  P.C.Verde, op. cit., p. 17.
ca che si sforza, con difficoltà, di coniugare il metodo leonardesco
57
  D. Fontana, Della trasportatione dell’obelisco vaticano, ried. a cura di P. Portoghesi, con il vernacolare e l’esoterico. Nel primo caso faremo riferimen-
Milano, Il Polifilo, 1978, passim; P.C.Verde, op. cit., pp. 90-97. to al pensiero di Giovanni Battista Della Porta, nel secondo allo
58
  Si veda in particolare F. Strazzullo, Stigliola contro Fontana per il nuovo porto di
Napoli, Napoli, Il Fuidoro, 1957; T. Colletta, Napoli, la città portuale e mercantile. La
sforzo di sistematizzazione teorica e di riduzione manualistica del-
città bassa, il porto e il mercato dall’VIII al XVII secolo, Roma, Kappa, 2006, passim. la propria esperienza professionale tentato dall’ingegnere idraulico
59
  F. Baldinucci, Nota de’ pittori, scultori er architettori che dall’anno 1640 sino al pre- Giovanni Antonio Nigrone.
sente giorno hanno operato lodevolmente nella città e Regno di Napoli, cod. misc., Firenze,
Biblioteca Nazionale Centrale, pubbl. in G. Ceci, Scrittori della storia dell’arte napole- Abbiamo accennato al contributo dato, nel prosieguo degli studi
tana anteriori al De Dominici, in «Napoli nobilissima»,VIII, 1899, p. 164. di Leonardo, dal Della Porta nella sua Magia Naturalis del 1589, spe-
Influenza e diffusione del metodo vinciano
89
cie con riferimento alle proprietà della camera oscura e delle lenti
concave e convesse: con ogni probabilità egli si servì anche di ma-
noscritti vinciani per approfondire i propri studi di fisiognomica
e di ottica, che gli consentirono di precorrere Galileo nella prima
sperimentazione del cannocchiale60. Va sottolineata, per inciso, la
vivacità della cultura meridionale di quel periodo che, come si sa,
vide proprio in Della Porta, insieme con Tommaso Campanella,
esponenti di spicco, certamente stimolati dal pensiero eversivo di
Giordano Bruno, con il quale ebbero stretti contatti.
Cerchiamo allora di cogliere la misura della vicinanza del Nigrone
al dibattito scientifico in atto a Napoli e, viceversa, quanto egli
se ne distacchi nei termini di un’adesione alle pratiche magiche,
all’astrologia, alla rabdomanzia e nell’uso di tali discipline ‘non ca-
noniche’ nell’esercizio della professione. Quest’«ingegniero de ac-
qua» dovette entrare in contatto con Della Porta sia lavorando a
Vico Equense (ove lo scienziato pubblicò nel 1586 il suo De humana
physiognomonia) sia per la comune conoscenza del cardinale d’Este;
più che probabile è pure una sua frequentazione con l’altro celebre
naturalista napoletano, Ferrante Imperato, che come lui fu partico-
larmente attratto dagli studi di idraulica e di botanica.
Il contributo di Nigrone, cittadino napoletano ma di famiglia fio-
rentina61, può apparire in più punti il semplice tentativo di dare
spiegazioni ‘trascendenti’ ai principali fenomeni naturali e ai loro
effetti sulla vita umana, e non certo il prosieguo della grande sta-
gione dei meccanici e degli idraulici cinquecenteschi, fondata su
continui rimandi tra scientismo e sperimentalismo. Tuttavia, attra-
verso un’analisi più attenta degli splendidi manoscritti presenti nella
Biblioteca Nazionale di Napoli62, si può riconoscere in questa bozza
di trattato in materia di scienze e tecniche dell’ingegneria, e nelle
immagini allegate di strumenti topografici, fontane e altri congegni
ideati per le opere «di acqua», tutto il bagaglio tecnico-professionale
Giovanni Antonio Nigrone, autoritratto, da Id., Vari disegni di G.A. Nigrone,
acquisito, specie nel campo dell’ingegneria idraulica, nel corso di 1585-1609, f. 9r. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.G.59
un secolo, finalizzato ad un’utile trasmissione di quel sapere pratico,
che contribuirà fortemente agli sviluppi della professione in ambito
meridionale nel Settecento. figura dello scienziato-artista: nella lunga e consistente produzione di
Negli stessi anni in cui si svolge l’attività napoletana di Fontana, quest’ingegnere, svoltasi già a partire dagli anni ‘70 a Roma con lo
la figura di Nigrone trova nei suoi molteplici interessi e nel cam- stesso Fontana, troviamo l’espressione più genuina di un professioni-
po specifico dell’architettura «dell’acqua» le ragioni per una fusione sta per il quale la scienza idraulica è mirata alla realizzazione di opere
tra scienza e arte, dando prova, nei numerosi progetti di fontane, d’arte atte ad inserirsi in un ambiente urbano fortemente dominato
a Napoli come a Vico Equense, ad Avellino come a Firenze o a proprio dai ‘giochi’ d’acqua.
Roma, di saper governare a tal punto quell’elemento da riuscire ad La frequente deroga portata da Nigrone nei suoi progetti di fon-
esprimerne tutte le valenze dinamiche, plastiche e persino sonore, tane alle norme del classicismo, con l’adozione di un linguaggio
certamente non rese appieno dalle pur accattivanti immagini che tardo-manieristico e grottesco, con consistenti concessioni al ver-
ci ha lasciato. Ma l’importanza dei testi e dei disegni di Nigro- nacolare, al presepiale e persino al bigotto, mostra quanto ancora
ne non è stata sinora posta in sufficiente evidenza proprio sotto mancasse a molti inventori d’ingegni al fine di un più austero e
l’aspetto dell’apporto dato in chiave di relazioni tra arte e scienze corretto linguaggio architettonico. Le scene ‘mobili’ delle sue fon-
applicate all’ingegneria, fondamentale ai fini della maturazione della tane, rappresentate con vistosi colori e figure talvolta ‘pacchiane’,
possono simboleggiare il carattere schiettamente popolare della
60 Napoli vicereale, cui la tecnica idraulica viene asservita per la cre-
  F. Camerota, La prospettiva del Rinascimento. Arte, architettura, scienza, Milano,
Electa Mondadori, 2006, p. 114. azione di immagini di balli, canti, feste e persino orge; il tutto
61
  Egli si definisce infatti «oriundo napoletano». Nigrone è citato per la prima reso con figure mitologiche, animalesche e costumi tipici, e con
volta in S. Volpicella, G.B. Del Tufo illustratore di Napoli del secolo XVI, Napoli, materiali tradizionali, come stucchi, tempere, pietre e persino ma-
stamperia della R. Università, 1880, p. 67. Si vedano inoltre: A. Borzelli, Giovanni
Antonio Nigrone “Fontanaro e Ingegniero de Acqua”, Napoli, R. Marghieri, 1902; R. drepore, coralli e conchiglie63 . Va inoltre notato come Nigrone,
Mormone, Disegni per fontane di G. Antonio Nigrone, Napoli, Il Fuidoro, 1956; A. nell’elaborare le illustrazioni, appaia poco attrezzato sotto l’aspetto
Giannetti, Gli “istrumenti” idraulici di Giovanni Antonio Nigrone tra meccanica e mito
virgiliano, in «Bollettino dell’Associazione per l’Archeologia Industriale», nn. 23-25 della padronanza dei metodi di rappresentazione che si andavano
(febbr.-ott. 1989), pp. 1-5; Id., Il giardino napoletano dal Quattrocento al Settecento, Na- da tempo affinando e divulgando da parte di professionisti di più
poli, Electa Napoli, 1994, pp. 37-77; A. Olschki, F. Rambelli, Joannes Antonius Ne-
gronus. Istromenti per annare per sopre lacqua e per ongnie profunnita de mare, in Giovanni
decisa impronta architettonica, rendendosi dunque improcrastina-
Antonio Nigrone. Scritti e disegni. Fine XVI sec. Biblioteca Nazionale di Napoli, in «HDS bile un adeguamento dei mezzi grafici degli ingegneri.
notizie», n. 37, a. XII, sett. 2006.
62
  Biblioteca Nazionale di Napoli (d’ora innanzi BNN), Manoscritti e rari, XII.
G. 59-60, 2 voll. mss. dal titolo: «Vari disegni di Giovanni Antonio Nigrone»
63
(1585-1609).   A. Giannetti, Il giardino napoletano…cit., 1994, pp. 37 sgg.

Capitolo terzo
90
Ma dietro a queste opere stilisticamente esuberanti e spesso ‘rozza- Böckler, approfondendo più di quegli studiosi tecniche complesse,
mente’ illustrate vi era tutto il rigore di un «ingegniero de acqua», come quella di far suonare o cantare organi ad acqua e ‘uccelli’ posti
che con il sapiente uso di tubi, vasche, pompe, zufoli e canne su di essi. Metodi che Nigrone dovette perfezionare, con ogni pro-
da organo, e soprattutto dell’aria e dell’acqua, metteva in atto la babilità, sin dai tempi della sua attività a Tivoli per il cardinale d’Este,
scienza idraulica acquisita con la pratica e con un faticoso studio. che come è noto fece realizzare nella propria villa da Pirro Ligorio
L’attività precedente alla venuta a Napoli, svoltasi tra Firenze e e da altri architetti esperti di idropneumatica70 congegni idraulici ed
Roma, e segnatamente le importanti esperienze condotte nella ca- automi; altri riferimenti, poi, sono da ritrovarsi nei famosi giardini di
pitale pontificia sotto Gregorio XIII (nel cortile del Belvedere) e Bomarzo, progettati dallo stesso Ligorio per Pier Francesco Orsini.
Sisto V (in S. Maria Maggiore e nell’acquedotto dell’Acqua Felice, Nel leggere il trattato, se da un lato ci colpisce l’affinità di molti
al fianco di Domenico Fontana) dovettero costituire il banco di temi scientifici e tecnologici con quelli già notati in Leonardo –
prova per i successivi incarichi di Nigrone nel territorio del vice- dall’analisi di congegni idraulici d’ogni tipo all’illustrazione di stru-
regno spagnolo: tra il 1590 e il 1608, quasi in perfetta coincidenza menti di topografia, dallo studio dei quattro elementi primordiali
con l’opera napoletana dello stesso Fontana, egli risulta impegnato a quello dell’origine delle acque, dei terremoti, dei vulcani, fino
sia nella progettazione di giardini e fontane per autorevoli famiglie alle considerazioni in materia di geofisica, di astronomia e di me-
della corte vicereale64 , sia nel campo delle opere pubbliche, chia- teorologia – dall’altro l’autore appare privo della mentalità laica di
mato a collaborare nuovamente con l’architetto-ingegnere autore Leonardo, sia pure nella comune passione per la meccanica e per
del piano sistino. Tra l’altro gli va attribuito un ruolo di primo l’elemento acqua, facendosi guidare ancora dalla dimensione magica
piano nell’abbellimento di importanti arterie cittadine, tra cui la ed escatologica ogni volta che vede la scienza fermarsi di fronte a un
nuova strada di Poggioreale, aperta nel 1604 per volontà del viceré fenomeno71. Come nota a ragione la Giannetti, proprio l’essere la
J.A. Pimentel e ornata su disegno dell’ingegnere con fontane e tecnica di quest’ingegnere ancora fortemente legata alla tradizione
filari di salici su entrambi i lati65. antica fa sì che il trattato si dimostri ben lontano dall’esito divul-
Nigrone era stato avviato agli studi tecnici dal padre e dallo zio Ot- gativo in cui avrebbe fatto sperare, risultando spesso «le illustrazioni
tavio, geografo, che, oltre ad instradarlo nel campo della fisica terre- troppo criptiche e le osservazioni naturalistiche avvolte in un alone
stre, gli aveva fornito la carta geografica che l’ingegnere inserisce nel misterioso e virgiliano»72. Nigrone, sperimentatore di macchine di
manoscritto66. Nella bozza del trattato vi è la dedica fatta dall’autore, cui omette in più d’un caso la dimostrazione del funzionamento, fa
nel 1609, al Regio Portolano Giovanni Simone Moccia, dopo la trasparire solo i principi generali, sovente regolati da semplici con-
morte, due anni prima, dell’originario dedicatario, il vescovo di Vico giunture ‘astrologiche’. È pur vero che, nell’affrontare la descrizione
Equense Paolo Regio: questi nel 1598, allorché Nigrone si era recato di fenomeni naturali direttamente o indirettamente legati al tema
a lavorare presso di lui, gli aveva richiesto il manoscritto al fine della dell’acqua – i lampi, i tuoni, i fulmini, la rugiada, la nebbia, la neve,
stampa; ma l’opera non vedrà mai la luce, forse perché proibitane l’arcobaleno –, l’ingegnere fa venire alla mente la curiosità di Leo-
la lettura, per i suoi più che discutibili contenuti dogmatici, da un nardo per tali eventi; ma egli si limita a darne spiegazioni empiriche
teologo al cui vaglio il vescovo di Napoli l’aveva sottoposta dopo la o dogmatiche, ben lontane dalla scientificità del genio toscano73.
morte del Regio67. Sebbene ciò ne impedirà una degna diffusione, In materia di geologia del territorio campano, nel descrivere i ca-
si può intuire come quel compendio, ancorché manoscritto, sia stato ratteri dell’area vesuviana e di quella flegrea ricercandone le origini
più volte consultato in epoche successive dai professionisti napoleta- nelle trasformazioni dovute all’attività vulcanica e agli eventi sismi-
ni, segnando un passaggio importante nell’ulteriore diffusione della
scienza e della tecnica idraulica in ambito meridionale. Ma, se da un
lato Nigrone non può non risentire dello sperimentalismo vincia-
70
no, dall’altro affiora continuamente in lui un’impostazione teorica   Su questi temi si veda: M.G. D’Amelio, Acque e macchine idrauliche nell’edilizia
a Roma tra Cinquecento e Seicento, in Architettura e tecnologia. Acque, tecniche e cantieri
di chiara derivazione portiana, come si nota ad esempio quando, nell’architettura rinascimentale e barocca, a cura di C. Conforti e A. Hopkins, Roma,
nel narrare della storia di Napoli, elenca i noti prodigi attribuiti a Nuova Argos, 2002.
71
Virgilio, o quando inserisce nel testo riferimenti all’astrologo greco   Nel suo scritto Nigrone dichiara di aver voluto «desegniare le presenti figure di
fontane con vari modi de trovar l’acque nascoste sotterra, de saperle provare, allaz-
Erasmo Bianchino, operante alla corte di Ferrante de’ Medici, del zare, levellare, condurre et conservare, alzarle da ogni profondità di puczi: et altre
quale possedette un trattato ‘proibito’, per la cui lettura dovette farsi simili, parte ritrovate e parte da diversi authori ricolti», sebbene non li citi espli-
citamente. Nelle tavole del testo vengono illustrati sifoni, «timpani», «mortaletti»,
autorizzare dalla Chiesa68. «animelle», congegni per riprodurre il canto degli uccelli al passaggio dell’acqua e
Ad ogni modo, Borzelli69 nota come egli superasse, per la sua grande pompe di svariati tipi – quasi tutti ritrovabili nei testi quattrocenteschi e in quelli
vinciani – con l’uso di un linguaggio utile a farsi comprendere facilmente dai ca-
esperienza in campo idraulico e meccanico, persino il Branca e il pimastri. Nigrone dice esplicitamente di non voler rivelare nei dettagli come sono
fatti gli ingegni da lui messi a punto per far suonare, cantare e muovere i vari perso-
naggi e animali inseriti nella scena, onde evitare che i propri metodi possano essere
64 appresi da altri prima della pubblicazione del volume. Così, ad esempio, egli affida
  Per citare solo alcune delle fontane realizzate da Nigrone nell’ambito napole- unicamente ai disegni l’illustrazione di vari strumenti per livellazioni, e in partico-
tano, ricordiamo quelle nel giardino di R. Consigliere Scipione de Curtis a Chiaia lare del «regolo a livello» da lui adoperato a Roma quando, nel 1585, si occupò con
e nelle ville di don Pedro de Toledo pure a Chiaia, del figlio don Luise de Toledo Bartolomeo Ammannati e Matteo de Castello della sistemazione delle acque del
a Pizzofalcone, di Giulio Spina fuori Porta Capuana e di Ferrante Carafa marchese Pantano di Grifo presso la villa di Sisto V: strumento unanimemente riconosciuto
di San Lucido a Vico Equense. come il più avanzato di cui si potesse disporre a quell’epoca. BNN, Manoscritti e
65
  Si veda: G.C. Alisio, Napoli nel Seicento nelle vedute di Francesco Cassiano de Silva, Rari, XII. G. 59-60, ms. cit., ff. 261 sgg.
Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1984, passim. 72
  A. Giannetti, Gli “istromenti” idraulici…cit., pp. 1-5.
66
  Troviamo quindi, sulla base della mappa geografica, la descrizione delle quattro 73
  Con riferimento al moto perpetuo, come si è visto grande insuccesso della
parti del mondo: Europa, Asia, Africa e Mondo nuovo; per quest’ultimo si indica la ricerca vinciana, l’ingegnere guarda ad esso con scetticismo, come si evince da una
distinzione tra «Perù» (America meridionale) e «Nuova Spagna» (centrale setten- tavola intitolata «Falza oppinione del moto perpetuo: a chi il crede» (ivi, f. 374).
trionale). Particolari osservazioni vengono svolte circa la durata del giorno e della Peraltro, proprio come Leonardo nei «Capitoli aggiunti», in tema di disegno l’in-
notte e conseguente illuminazione solare dei vari paesi durante i periodi dell’anno. gegnere detta quanto è «necessario per aboczare e scolpire un personaggio: avere
67
  A. Giannetti, Gli “istrumenti” idraulici…cit., p. 5. le reule e mesura giusta de le sue membre proporzionate», secondo precisi rapporti
68
  Così, ad esempio, ad Erasmo egli si ispira nelle considerazioni relative ai segni che ricordano molto da vicino quelli illustrati nel ms. A di Parigi: «Del primo pal-
dello zodiaco e alla loro influenza sugli uomini. mo de la testa spartitele in quattro quarte un quarto li capelli, un quarto la fronte,
69
  A. Borzelli, op. cit., p. 10. un quarto il naso, un quarto il resto, insine il sotto spicio de la barba» (ibidem).

Influenza e diffusione del metodo vinciano


91
ci74, Nigrone giunge ad un grado di approfondimento tale da po- sono disteso a tanto e la natura de le acque la qualità et proprietà de
tersi definire sotto questi aspetti un ‘proto-illuminista’, anticipando esse la posso conosciere meglio io che li medici per questo me allargho
le imponenti indagini scientifiche che verranno condotte a partire de dirne78.
dalla seconda metà del XVIII secolo. Interessanti, ad esempio, le
osservazioni relative alle cause degli allagamenti nel territorio sar- Nell’inoltrarsi nella trattazione Nigrone sfoggia un’evidente cono-
nese e nolano, dovuti ai solchi delle lave vesuviane e conseguenti scenza dei temi vinciani su materie quali la nascita dei vulcani, i
impaludamenti, con gravi conseguenze per la salubrità di quel ter- caratteri fisici della «sfera dell’acqua», l’origine e la qualità delle sor-
ritorio. Nigrone non risparmia critiche agli ingegneri della Regia genti e dei pozzi, la salinità delle acque marine. Dei quattro elementi
Corte per non aver saputo riconoscere le vere cause di quel dissesto aristotelici, l’«ingegniero de acqua» giungerà ad esaltare «la gravezza
idrogeologico; ma egli non intende scendere nei dettagli senza un de la terra, la purità de l’acqua, la chiarezza de l’aria, lo splendore
preciso incarico: del fuoco e la sustancia»79�, ritrovandoli come Leonardo nel corpo
umano e recuperando in ciò la concezione cosmologica quattro-
Sopra detto ragionamento io ce potria scrivere assai, con molte par- centesca. Ma conoscere gli elementi primordiali è utile soprattutto
ticolarità, ma voglio tacere per darne pensiero a chi tocca: vero è che per trovare le acque sotterranee:
essennome comannato da superiore darrò raquaglio sufficiente non
sulo de questo, ma de ogni altra cosa dove se tratta de acque et altre Al prencipio del presente libro: Modo facele de ritrovar le acque nascossi
cagione necessarie seconno la mia proffissione: non ce è de l’arte chi sotterra dice et per avere tal connizione bisognia sapere bene la qualità
sappia quel che per questo mio libro ho parlato e scritto se non sanno de li quattro elimente: et non sul questo ma ancho la naturalita de tutte
leggere da chi anno voluto insigniare75. le regione: incomenzanno de l’abisso dela terra insino alultimo cielo
dove sta la grannezza de idio et di questo per naturalita parlaremo80�.
Di Bonito76 ha sottolineato l’importanza nella storia della vulca-
nologia flegrea data dalla descrizione di Nigrone dell’eruzione di Di ognuna di queste quattordici «sfere», dalle viscere della terra fino
Monte Nuovo del 1538, tratta dal racconto di suo padre Tommaso, alla volta celeste, Nigrone dà una precisa definizione, dovendo ogni
che assistette al fenomeno a bordo di una barca in compagnia dell’a- buon professionista conoscerne le proprietà:
mico Marcantonio Delli Falconi, del medico e filosofo Simone Por-
zio e del medico Pietro Antonio Toleto. L’ingegnere svolge anche A che fine il vostro Nigrone autor del presente libro essenno egli in-
una precisa disamina dei «bagni» termali presenti nell’area puteo- cerniero de acque va parlanno o scrivendo de li quattro elimente delle
lana, elencandone le virtù terapeutiche77, come pure un esame ac- sfere dell’inferno spirti e altre cose che per il presente libro se inten-
curato delle caratteristiche delle varie acque presenti nel territorio neno. Non senza occasione me vado destendendo attanto: poiché della
di Napoli, Pozzuoli e Ischia, dilungandosi sulla loro composizione mia professione nessiuno di questi tempi sanno una particella de questi
e sulle reazioni chimiche che conferiscono ad esse qualità uniche: trattati – et questo non sapenno con qual ragione putranno trovar le
acque nascoste sutterra: bisognano intennere la qualità della terra, ac-
Parme che non conviene un ingiegniero de acque parlare de cose de qua, aria e fuoco, e che cosa sia quelle che stanno dentro dette elimente
medesime: questo dire se deve lassare a li medici: ma poi che me ne et loro effette81.

Gli interessi di Nigrone spaziano ancora dall’astronomia – con la


74 trattazione del ciclo lunare e delle maree attraverso semplici esperi-
  Ai ff. 439 sgg. Nigrone tratta delle eruzioni vesuviane e dei terremoti nella storia
napoletana, sottolineando sempre l’evoluzione delle risorse idriche della città nel menti82 – alla strategia militare («Con una vecchia e trista galera des-
corso dei secoli. In particolare, egli descrive con dovizia di dettagli il regime delle sarmata de arboli denne e rime senza nulla persona sopra, reionare
acque nel territorio vesuviano e la sua origine legata all’attività vulcanica. Ai ff. 456
sgg. indaga più in generale le cause dei terremoti e delle eruzioni, riferendo delle una grossa armata de mare»83� grazie a cannoni capaci di sparare al
varie opinioni degli studiosi e proponendo le proprie. Interessante la descrizione primo contatto con una nave nemica), fino all’alchimia84.
dei segni premonitori dei terremoti, a livello astrologico, meteorologico o in rap- I riferimenti a Taccola, a Francesco di Giorgio e a Leonardo tor-
porto al comportamento degli animali, al sapore dell’acqua dei pozzi, ai rumori
che provengono dal sottosuolo. Poi descrive come evitare possibilmente i pericoli nano nella descrizione di mulini e macine idrauliche, di congegni
del terremoto, con riferimento a Napoli, dove «la parte pendente e di fogne più per galleggiare in acqua o scafandri per immergersi in profondità
abondevole è meno noiata da terremoti: che l’altra parte che no è così cioè la parte
di su di detta città – et del monte di Santo Ermo – onde prudentemente anno fatto ed esplorare il fondo marino85, o ancora nel trattare «de multe danni
i fondatori del nuovo castello di Sant’ermo: che ne cavorno molti pozi di profun-
dita grande: e con essi molte cave e grotte gesterne merabile: tutto per schivare li
pericoli di terremoti – similmente habitano nelle case di matoni frabicati a volti: 78
e nel tempo del terremoto è sicura cosa lo stare sotto le volte delle mura e sotto li   BNN, Manoscritti e Rari, XII. G. 59-60, ms. cit., f. 462r.
79
archi delle porte» (f. 459r).   Ivi, f. 260r.
80
75
  Ivi, f. 317v.   Ivi, f. 389r.
81
76
  R. Di Bonito, Una fonte inedita sulla formazione del Monte Nuovo nel 1538: il   Ivi, f. 393v.
82
manoscritto di Giovanni Antonio Nigrone, in «Proculus», a. LXVI, n.s., n. 3 (mag.-giu.   «Segreto per conoscere giusto il punto quando fa il moto la Luna de la sua
1991), pp. 247-256. volta cosa più volte provato» (f. 486v). Si tratta di un semplice esperimento basato
77
  Vediamo dai titoli di quali bagni si tratta, con l’indicazione delle virtù terapeuti- sull’osservazione del moto di una certa quantità di cenere di brace messa all’interno
che delle loro acque: «De le sudature de agniano: bagnio secco» (contro la podagra di una caraffa d’acqua: la cenere si depositerà o intorbidirà l’acqua secondo il moto
o gotta); «De l’acqua de la Bolla» (luogo presso il Monte Spina, sulla via verso lunare. «Or vedete se un’acqua posta dentro una carrafa in quel punto se inturbita
Pozzuoli, acqua ottima per la vista, il fegato, la milza); «Dello Bagnio delli Strunij» tutta volgennose con detta cenere: che deve fare il mare, l’aria, la terra, il sangue
(ossia degli Astroni, per la terapia della voce, della gola, dei denti, dello stomaco, dei dentro il corpo umano insine il vino, oglio che stanno dentro le botte: le acque
polmoni); Bagno di Fuorigrotta, della Juncara, di Bagnoli, della Pietra, della Calatu- insino a quelle che son reposte dentro le cesterne, et altri licori simili».
83
ra, di Subveni Homini, S. Anastasia, Bagno Ortodonico, Solfatara, Cantarello, Bagno   Ivi, ff. 400v-506r.
84
della Fontana, Bagno di Prata presso Tripergole, Tripergole, Bagno di Ranerio, S.   Come la creazione di globi luminosi da collocare alla sommità di un campanile
Nicola, Scrofa, S. Lucia, S. Maria o Archetto, Bagno della Croce, Bagno di Succella- o una torre, basati sull’uso di un «licore re stellato» inserito in una sfera di vetro
rio, presso la Grotta della Sibilla, ecc. per un totale di 40 fonti e impianti termali. Poi con una candela accesa; poi il modo di confezionare un olio artificiale da lucerna
Nigrone descrive le bellezze archeologiche di Baia, il suo porto con i resti antichi, utilizzando le «arille» presenti nella vinaccia. Infine accenna ad una farina di zucca
la grotta Dragonara, le rovine di antichi edifici siti innanzi alla costa e sommersi per per fare pane «bonissimo».
85
l’azione del bradisismo; infine tratta degli impianti termali e delle fonti di Ischia.   A. Olschki, F. Rambelli, op. cit., pp. 1-21. Gli autori hanno giustamente osservato

Capitolo terzo
92
Giovanni Antonio Nigrone, disegni di fontane, da Id., Vari disegni di G.A. Nigrone, 1585-1609, ff. 66v-67r. Napoli, Biblioteca Nazionale,
Ms. XII.G.59

Giovanni Antonio Nigrone, studi di idraulica, da Id., Vari disegni di G.A. Nigrone, 1585-1609, ff. 368v-369r. Napoli, Biblioteca
Nazionale, Ms. XII.G.60

Influenza e diffusione del metodo vinciano


93
Francesco Cassiano de Silva, veduta della strada di Poggioreale ornata con le fontane di G.A. Nigrone, c. 1707. Napoli, Biblioteca Nazionale

che fanno i fiume alle cita et roine»: il problema dell’allagamento Acque Correnti di Carlo Fontana, pubblicato a Roma nel 1696, che
delle città dovuto alle esondazioni fluviali viene affrontato con la pure in ambito napoletano dovette avere una certa risonanza, se la
previsione dell’apertura di canali di drenaggio secondo il metodo presenza del volume è accertata nelle biblioteche delle principali
vinciano dei «navigli»86. istituzioni culturali della città sin dai primi anni del Settecento, ol-
tre che, a partire dal 1811, in quella della Scuola d’Ingegneria, ove è
Per tornare ora a considerazioni più generali, in ambito idraulico, a tuttora consultabile87.
fronte di una ricerca teorica e di una sperimentazione che, da Tac- Un altro passaggio della diffusione del leonardismo a Napoli po-
cola a Francesco di Giorgio a Leonardo, da Antonio da Sangallo a trebbe essere la già accennata attività napoletana, tra il 1609 e il
Domenico Fontana a Vincenzo Scamozzi, per citare solo gli italiani, 1613, dell’architetto e pittore teatino Matteo Zaccolini al fianco di
fino agli inizi del Seicento fa registrare notevoli progressi, sul pia- Francesco Grimaldi per le chiese dell’Ordine, potendo egli aver in-
no della pratica professionale, prima della sistematizzazione operata ciso profondamente con i suoi studi vinciani, specie in materia di
da Bélidor alla metà del secolo successivo con la sua Architecture prospettiva, sulla vicenda della cultura tecnico-scientifica e artistica
Hydraulique non si farà altro che applicare le tecniche già illustrate nella capitale vicereale nel corso della prima metà del XVII secolo:
nell’antichità da Vitruvio e da Frontino, e perpetuate in età moder- purtroppo, però, lo stato attuale delle ricerche non ci consente di
na: ciò è ritrovabile ancora, ad esempio, nell’Utilissimo Trattato delle seguire una traccia che potrebbe risultare preziosa nell’esame degli
sviluppi seicenteschi dell’influenza leonardesca nel Mezzogiorno.
Dagli studi dell’Amodeo88 abbiamo comunque notizia di un vivace
che, se nei grafici che raffigurano il «pappafico», strumento atto a consentire l’im- progresso della scienza napoletana in quell’epoca. Tra le altre figure
mersione umana – utile per lavorare in profondità e raccogliere i materiali come di spicco, egli annovera il cartesiano Tommaso Cornelio, fondato-
coralli e conchiglie da utilizzare nelle sue fontane –, non si riscontrano particolari
innovazioni, la descrizione e illustrazione di una «campana semovente a portantina» re dell’Accademia degli Investiganti, e soprattutto Agostino Ariani
costituisce certamente un’idea originale rispetto ai precedenti studi di Leonardo,
Vallo e Tartaglia, e a quelli coevi di Lorini. Affinità vinciane si ritrovano poi nello
studio di una «Gentura per annare per sopre lacqua», con cui Nigrone perfeziona
87
il salvagente già studiato da Taccola e da Francesco di Giorgio, e indicato nel noto   C. Fontana, Utilissimo trattato dell’acque correnti diviso in tre libri […], Roma,
schizzo di Leonardo del Codice B; nel riprendere poi il discorso già introdotto Stamp. F. Buagni, 1696, con illustrazioni di Alessandro Specchi. Carlo Fontana fu
da quest’ultimo in merito al «guanto palmato», Nigrone fa un deciso passo avanti, attivo in ambito romano e napoletano dalla seconda metà del XVII secolo fino alla
optando per più comode tavolette incernierate alle caviglie, in cui si può ricono- morte (1714), realizzando a Roma le chiese di S. Margherita in Trastevere, S. Maria
scere il primo accenno alle moderne pinne da nuoto. dell’Assunzione, S. Maria dell’Umiltà, la facciata di S. Marcello al Corso, i palazzi
86
  BNN, Manoscritti e Rari, XII. G. 59-60, ms. cit., f. 368v e fig. al f. 369r. Nigrone Grimani, Bolognetti e Bigazzini, e la biblioteca Casanatense; a Napoli, tra l’altro, il
giunge finanche a proporre metodi per il restauro dei dipinti. Ad esempio, egli il- palazzo Ruffo Bagnara. In ambito idraulico fu attivo dall’età di vent’anni (1660); dal
lustra una tecnica «per anettare uno quatro seu cona ad oglio o tempera: che parerà 1690 fu «architetto dell’Acqua Paola», occupandosi del progetto di innalzamento
nuovo ma non toccare l’oro se ce fosse» (f. 515r), poi un’altra per «Nettare l’oro» e del livello del lago di Bracciano e dell’alimentazione di numerose fontane romane;
per fare «vernige fina», proponendo anche una speciale colla per riparare cisterne. infine dal 1692 al 1702 progettò ed eseguì il restauro dell’acquedotto Traiano dalle
Infine elenca gli ingredienti per fare un inchiostro «fino» o uno stucco per incollare sorgenti della Tolfa fino a Civitavecchia. Si veda Aa.Vv., Libri antichi e rari delle Bi-
marmi o conchiglie alle fontane, e motivi decorativi da fare con conchiglie sulle blioteche d’Ateneo, Napoli, Università di Napoli Federico II, 2004, scheda di M.G.
fontane. Alla fine del testo l’autore esalta se stesso, affermando che in tema di acque Ronca, pp. 184-185; M.G. D’Amelio, op. cit., pp. 150-152.
88
«Nigrone de questo e altro mai non erra» e giungendo a raffigurarsi nelle vesti di   F. Amodeo, Vita matematica napoletana. Studio storico, Napoli, Tip. Accademia
Nettuno che guida cavalli marini. Pontaniana, 1924.

Capitolo terzo
94
(1672-1748), autore di importanti scoperte e scritti di trigonometria,
meccanica, astronomia e prospettiva89: questi fu, tra l’altro, inventore
di un meccanismo atto a rendere mobile l’asse delle ruote anteriori
delle carrozze, usato ancora alla fine dell’Ottocento. L’Ariani, con
altri matematici, fece parte dell’Accademia reale delle Scienze, isti-
tuita nel 1696, che risulta però inattiva già qualche anno dopo, sul
volgere del viceregno spagnolo, riprendendo a funzionare solo alla
fine di quello austriaco.
Considerando dunque la continuità e il particolare taglio degli
studi scientifici in ambito meridionale fino alla metà del Sette-
cento, non meraviglia la fortuna che, specie negli ultimi decenni
del secolo dei Lumi, toccherà alla lezione di Leonardo nella sfera
napoletana, di pari passo con lo sviluppo del metodo sperimenta-
le e delle scienze applicate nei vari ambiti dell’ingegneria civile
e militare, nonché della rappresentazione dell’architettura e del
paesaggio. La metodologia vinciana, dopo essersi confrontata nel
corso del Cinquecento con l’ancora diffusa dottrina neoplatonica e
la persistente autorità del metodo deduttivo, entro la fine del XVII
secolo supererà anche la tradizione sintetica in ambito matema-
tico e geometrico, radicandosi direttamente nello sperimentali-
smo tracciato da Galileo e persino nella nuova concezione spaziale
non euclidea, e trovando un logico prosieguo, nell’Età dei Lumi,
nell’affermazione del metodo analitico-induttivo.
Come abbiamo visto, un’altra preziosa traccia dei manoscritti vincia-
ni va ritrovata ancora a Napoli, durante il viceregno austriaco, nella
ricchissima biblioteca del duca di Cassano, vale a dire quell’apografo
che, redatto a Roma nel 1717 all’atto dell’acquisto, da parte del con-
te di Leicester, del codice originale che ne prese il nome, dovette
giungere non si sa come ai Cassano, venendo sicuramente consultato
dai tanti studiosi che frequentarono il salotto di Monte di Dio; si è Giovanni Antonio Nigrone, macchina idraulica, da Id., Vari disegni di G.A.
Nigrone, 1585-1609, f. 279v. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.G.59
detto come l’apografo fosse stato poi donato a Bossi nel 1810 e in-
fine acquistato un decennio più tardi dalla Biblioteca di Weimar90.
I contenuti di questo testo, soprattutto nell’ambito della scienza e 173392, quasi un secolo dopo quella parigina del 1651 e ad un decen-
dell’ingegneria idraulica, dovettero essere studiati a fondo proprio nio dalla londinese (1721) e dalla tedesca (1724)93.
grazie alla disponibilità da parte dei Cassano a renderlo consulta- La dedica dell’edizione napoletana a «Monsignore Ercole d’Aragona
bile, contribuendo certamente a tenere vivo il già fervido dibattito de’ Principi di Cassano»94 ci rimanda a quanto già abbiamo conside-
scientifico napoletano, destinato a raggiungere livelli di assoluto pre- rato circa l’importanza culturale di quella famiglia95: di quest’opera,
stigio sul volgere della metà del secolo. Ma, agli studi e alle ricerche curata da Niccolò Parrino, figlio del più noto Domenico Antonio
nel campo delle scienze pure, vanno aggiunti – per i diretti riscontri (autore ed editore, tra l’altro, delle famose guide di Napoli del 1704
nell’ambito didattico, sia nei corsi di matematica tenuti nella Regia
Università, sia nella preparazione dei tecnici militari – quelli nelle
scienze applicate, in particolare nella teoria e nelle tecniche della 92
  Trattato della Pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce, colla vita dell’istesso
rappresentazione: è noto come, proprio nell’ambiente della capitale autore, scritta da Rafaelle du Fresne. Si sono giunti i tre libri della Pittura, ed il trattato della
del viceregno austriaco, in un clima di particolare fervore artistico, la Statua di Leon Battista Alberti, colla vita del medesimo, e di nuovo ristampato, corretto, ed a
maggior perfezione condotto, Napoli, stamperia di F. Ricciardo, 1733. Cfr. E.Verga, Bi-
corrente pittorica e architettonica che, sotto l’influenza dei Bibiena, bliografia vinciana 1493-1930, Bologna, Zanichelli, 1931, p. 8; Leonardo e il leonardismo…
da Francesco Solimena giunge a Domenico Antonio Vaccaro e a cit., scheda di A.Vezzosi, p. 143.
93
  K.Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura (Treatise on painting):
Ferdinando Sanfelice91 facesse delle nuove tecniche del disegno, del- a bibliography of the printed editions, 1651-1956 based on the complete collection in Elmer
la geometria non euclidea, della prospettiva all’infinito e del trompe Belt Library of Vinciana, Copenhagen, Munksgaard, 1958, pp. 159-163. La studiosa,
l’oeil i propri strumenti di lavoro. Spetterà così ancora a Napoli il ripresa poi da Vezzosi (Leonardo e il leonardismo…cit., scheda di A. Vezzosi, p. 143),
fa pure riferimento ad una presunta edizione del Trattato eseguita nel 1723 ancora
privilegio della prima edizione italiana del Trattato della Pittura nel a Napoli e presente in unica copia presso la Biblioteca Marciana di Venezia; ma di
essa, stranamente, non esistono altri esemplari noti, come è confermato dal Verga
(op. cit., pp. 6-8): dunque la Steinitz, anche sulla scorta di altri errori riscontrati nella
copia citata, oltre che della mancanza, in essa, di parti importanti – la vita e i trattati
di Leon Battista Alberti sulla pittura e sulla scultura, nonché le «Osservazioni di
89
  In particolare, l’Amodeo segnala il Parere del primario professore delle scienze ma- Nicolò Pussino sopra la Pittura», presenti invece nell’edizione del 1733 – ipotizza
tematiche delli Regi Studi di Napoli intorno alla quadratura del cerchio del P.D. Ercole che potrebbe trattarsi semplicemente di una prima bozza, in cui la data del 1723
Corazzi olivetano, Napoli, s.n., 1706, e Discorso nel quale si dimostra la soluzione che dà sarebbe errata, e conclude auspicando un’indagine più approfondita sull’attività
al famosissimo Problema fisico-matematico: Dell’Accrescimento della Forza del Contropeso, della tipografia napoletana di Francesco Ricciardo. Cfr. pure V. Steele, The first
che chiamano Romano, della Stadera col solo scostarlo dal punto della suspensione, che però Italian printing of Leonardo da Vinci’s Treatise on Painting: 1723 or 1733?, in «Notiziario
non risulta dato alle stampe. vinciano», n. 1 (1980), pp. 3-24.
90 94
  Cfr. Leonardo e il leonardismo…cit., scheda di A.Vezzosi, p. 138 e figg. 313-316.   Ercole Michele Aierbi d’Aragona dei Principi di Cassano, personaggio di par-
91
  Su questi due importanti protagonisti dell’architettura napoletana del primo ticolare importanza nell’ambito della famiglia, sarebbe divenuto vescovo di Aversa
Settecento, oltre all’ampia bibliografia esistente, cfr. il recente studio di B. Grava- nell’agosto 1735, morendo nel 1761.
95
gnuolo, Architettura del Settecento a Napoli dal Barocco al Classicismo, Napoli, Guida,   Cfr. T. Leone, Il Palazzo Serra di Cassano. Struttura, passato e presente, Napoli,
2010, pp. 91-124. Istituto Studi Filosofici, 1999.

Influenza e diffusione del metodo vinciano


95
Giovanni Antonio Nigrone, strumenti e tecniche per la livellazione di acquedotti, da Id., Vari disegni di G.A. Nigrone, 1585-1609, ff. 267v-
268r. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.G.59

Giovanni Antonio Nigrone, strumenti e tecniche per la livellazione di acquedotti, da Id., Vari disegni di G.A. Nigrone, 1585-1609, ff. 268v-
269r. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.G.59

Capitolo terzo
[96]
Giovanni Antonio Nigrone, planisfero, da Id., Vari disegni di G.A. Nigrone, 1585-1609, ff. 66v-67r. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.G.60

e del 172596 ), e ben stampata da Francesco Ricciardo, vanno segna- le riedizioni parigine del 1716 e del 1725 – sebbene riconosca la
lati, al di là dell’impianto e dei contenuti del testo, identici a quelli maggiore ricchezza di contenuti del testo rispetto agli altri98.
dell’editio princeps (ivi compresi la vita e i trattati di Alberti sulla Nella premessa di Parrino – tralasciando la messe di lodi e l’esalta-
pittura e la scultura), la nuova aggiunta delle Osservazioni di Nicolò zione dinastica di Ercole d’Aragona di Cassano – notiamo come l’e-
Pussino Sopra la Pittura (edite per la prima volta a Roma nel 1672 ditore Ricciardo si ponga in perfetta continuità con l’opera di diffu-
all’interno delle Vite de’ pittori e architetti moderni di Giovanni Pie- sione dei testi vinciani già intrapresa con l’edizione francese del 1651:
tro Bellori) e la pregevole fattura dei grafici, tratti da rami incisi
da Francesco Sesoni97. Tra le molte opere, che di se lasciaron Lionardo da Vinci, e Leon Bat-
Sorprende come un critico raffinato del livello di Angelo Comolli tista Alberti, le migliori senza dubbio quelle sono da reputarsi, le quali
non apprezzi di quest’edizione (che peraltro egli data erroneamente intorno alla Pittura composero. Ed infatti essendo queste verso la metà
al 1735) la qualità dell’intaglio delle immagini – come invece fa per del passato XVII secolo a Parigi pervenute; non solamente dal nostro
italiano idioma, in cui erano state da costoro scritte, nel Francese trasla-
te, pubblicolle il Sig. di Ciambre [sic]; ma non molto dappoi usciron pur
96
  Cfr. Della moderna distintissima descrizione di Napoli il suo seno cratero, esposta a gli anche ivi alla luce secondo gli originali manoscritti de’ chiarissimi dotti
occhi, & alla mente de’ curiosi: cittadini, e forastieri. Dandosi esatta notizia in questa seconda
parte, delle ville, terre, e citta, che giacciono intorno dell’uno, e l’altro lato dell’amenissima autori; e’l diligentissimo Raffaelle Trichet du Fresne, che n’ebbe la cura,
riviera del suo golfo, o sia cratero; l’isole di Capri, di Procida, e d’Ischia, con tutte l’antichita l’estimò tali, che al glorioso immortal Nome di Cristina Alessandra Rei-
curiosissime di Pozzuoli [...] Opera ed industria di Domenico Antonio Parrino natural na di Svezia dedicolle. Or queste Opere stesse veggendo io già rarissime
cittadino napoletano, Napoli, presso il Parrino, 1704; Nuova guida de’ forastieri per os-
servare, e godere le curiosita piu vaghe e piu rare della fedelissima gran Napoli citta antica e divenute, e da’ Letterati tutti, nonché da’ Professori di sì vaga e nobile
nobilissima, in cui si da anco distinto ragguaglio delle varie opinioni dell’ origine di essa ... Arte liberale, assai desiderose e richieste; determinai perciò di ristamparle.
ricavato dagl’ autori impressi e manoscritti che di essa trattano; adornata con figure delle sue
piu nobili vedute intagliate in rame. Opera di Dom. Antonio Parrino accresciuta con nuove e
moderne notizie da Nicolo suo figlio, Napoli, presso il Parrino, 1725. L’operazione si inserisce a pieno titolo tra le lodevoli iniziative edi-
97
  K. Trauman Steinitz, Leonardo da Vinci’s…cit., p. 166. Non esiste l’edizione na- toriali che, sin dal volgere del Seicento, Domenico Antonio Parrino
poletana del 1701 citata dalla Pierantoni (A.C. Pierantoni, Studi sul Libro della Pit-
tura di Leonardo da Vinci, Roma,Tip. Scotti, 1921, p. 55). Infine va notato che il fronte-
spizio della copia del 1733 cui si riferisce la Steinitz, conservata presso la Elmer Belt
Library of Vinciana (Los Angeles), è diverso dalla copia napoletana della stessa edi-
98
zione che si conserva alla Biblioteca Nazionale di Napoli, cui ci riferiamo, recando   A. Comolli, Bibliografia storico-critica dell’architettura civile ed arti subalterne, Roma,
uno stemma differente e mancandovi la dicitura in calce «ad istanza del Parrino». Stamperia Vaticana, 1788-92, III, pp. 196-197.

Influenza e diffusione del metodo vinciano


97
aveva animato99, perpetuandosi la tradizione di una Napoli attenta
al dibattito e all’aggiornamento in ambito scientifico e artistico che
caratterizzò il periodo di passaggio dal viceregno spagnolo a quello
austriaco, a cavallo cioè dei secoli XVII e XVIII.
Nella seconda metà del Settecento, dunque, sull’onda del successo
dei precetti vinciani favorito dall’edizione napoletana del Trattato,
si dovrà ripartire proprio da Napoli, e da Vincenzo Corazza, per il
prosieguo della vicenda relativa alla diffusione del pensiero di Leo-
nardo nell’Italia illuminista. Peraltro la presenza del citato apografo
nella biblioteca dei Cassano ci fa pensare che, nella frequentazione
di quel colto salotto da parte degli stessi intellettuali che, come ve-
dremo, facevano capo al cenacolo del duca di Belforte, il codice
oggi custodito a Weimar possa aver rappresentato un elemento di
particolare attrazione: ciò specie per Corazza, certamente interessato
ai precetti in materia di idraulica contenuti in quel testo, utili allo
studio del Codice in suo possesso e dell’apografo di frate Arconati
su quell’argomento, da lui trascritto.
All’importanza della diffusione del Trattato nell’ambiente napole-
tano della prima metà del Settecento per gli sviluppi del dibattito
artistico e scientifico nella capitale borbonica va aggiunto quanto
ha osservato il Bologna100 a proposito del ruolo svolto dal Solime-
na nell’assicurare un graduale passaggio, in pittura, dal più sfrenato
ardore barocco ad una «temperata razionalità e un raffrenante buon
gusto», chiaramente ispirati ai modelli classicistici del Seicento ita-
liano, come quelli del romano Carlo Maratta, oltre che alla pittura
d’oltralpe, segnatamente a Poussin. Proprio grazie a Maratta, Soli-
mena aveva avuto rapporti con la corte di Luigi XIV fin dal 1681 e,
attraverso il Bellori, grande protettore e biografo dello stesso Ma-
ratta, con i pittori francesi operanti a Roma, tra cui Poussin e Fréart
de Chambray: così quella generale tendenza definibile «cartesianesi- Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura, Napoli 1733; frontespizio
mo», ossia la diffusione dello spirito critico e induttivo, opposto alla
metafisica barocca e interessato allo studio delle scienze sperimentali
e dell’economia, aveva influenzato le istanze estetiche, letterarie e II. Lo scenario professionale
critiche dell’Arcadia romana e, di qui, anche quelle della «Colonia degli «scienziati-artisti»
Sebezia» già attiva nella capitale del viceregno austriaco e, vedremo,
in quella borbonica. A ragione quindi il Bologna individua proprio Un esame della situazione professionale nel Mezzogiorno tra il
nel razionalismo estetico antibarocco, di marca arcadica, del Soli- viceregno e il primo periodo borbonico, condotta sulla base delle
mena l’equivalente artistico – anche per la sua fortuna in Europa – fonti documentarie disponibili e di quanto altrove da noi analizza-
dell’Istoria civile di Pietro Giannone; eppure, dopo la condanna senza to102, ci aiuterà a comprendere ulteriormente le ragioni a monte del
appello della scuola pittorica solimeniana da parte di Winckelmann, processo di formazione del ruolo dell’ingegnere, lungo ma coerente,
di Goethe e di Milizia, bisognerà attendere il 1811 perché il Napoli e ispirato sin da principio alla nuova matrice vinciana come base
Signorelli possa riconoscere che «è gloria del Solimena l’aver richia- per un’identità professionale moderna e completa. Con riferimento
mato la gioventù all’esattezza del disegno, donde una mal intesa imi- poi alla seconda metà del Settecento, ci limiteremo a una rassegna
tazione della vaga maniera del Giordano l’aveva rimossa»101 e l’aver dell’attività dei professionisti più significativi, rimandando al suc-
dato inizio a quel felice periodo caratterizzato, anche in architettura, cessivo capitolo per una disamina dell’importante ruolo svolto da
dalla rinuncia agli ultimi retaggi del rococò e dal graduale passaggio alcuni di essi anche sul piano teorico.
dalla pratica professionale tipica di Vanvitelli allo scientismo degli Dagli studi di Strazzullo fino a quelli di chi scrive, emerge una
architetti-ingegneri post-vanvitelliani: questi professionisti ope- tradizione dell’ingegneria meridionale tutt’altro che trascurabile,
reranno alla vigilia della nuova ingegneria ottocentesca, sull’onda ma anche una connotazione professionale costantemente in bilico
dell’ormai compiuta rivalutazione del metodo vinciano in ambito tra le due ‘anime’, all’interno della quale, come abbiamo visto,
illuministico e nel più puro spirito dell’Enciclopedia. nel secondo Cinquecento si fa strada una distinzione dell’attività
in ambito militare dalle altre inerenti il campo civile; sul piano
ufficiale, tale ‘distacco’ verrà sancito solo tra il volgere del Set-
tecento e l’età napoleonica con nuove istituzioni fondate ad hoc:
99
  Oltre alle opere già citate nelle note precedenti, si ricordi il Teatro eroico, e politico
de’ governi de’ vicere del regno di Napoli dal tempo del re Ferdinando il Cattolico fino al pre- 102
  A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero» a «scienziato-artista»: la formazione
sente. Nel quale si narrano i fatti piu illustri, e singolari, accaduti nella citta, e Regno di Na- dell’ingegnere meridionale tra Sette e Ottocento, in Scienziati-artisti. Formazione e ruolo
poli nel corso di due secoli…, Napoli, nuova stampa del Parrino e del Mutii, 1692-94. degli ingegneri nelle fonti dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli, a
100
  F. Bologna, La dimensione europea della cultura artistica napoletana del XVIII secolo, cura di A. Buccaro, F. De Mattia, pp. 17-43, Napoli, Electa Napoli, 2003; Id., Inva-
in Arti e civiltà del Settecento a Napoli, a cura di C. de Seta, Roma-Bari, Laterza, 1982, rianti e dinamiche della professione tra Cinque e Settecento, in Storia dell’Ingegneria. Atti del
pp. 31-78. 3° Convegno Nazionale (Napoli, 19-21 aprile 2010), a cura di S. D’Agostino, Napoli,
101
  Ivi, p. 66. Cuzzolin Editore, I, pp. 261-269.

Capitolo terzo
98
prima di allora, la separazione sarà molto meno netta di quanto qualcosa di socialmente utile e, in linea di principio, duraturo»108 .
si possa pensare, ritrovandosi sovente gli stessi nomi in contesti Questo, tutto sommato, è vero, ma non mancano le eccezioni. Sin
affatto diversi. dal marzo 1497, ad esempio, viene attribuita ad Antonio Marchesi
da Settignano109 la prestigiosa carica pubblica di Ingegnere Maggiore e
Se volessimo individuare il primo ingegnere operante nel Regno Primo Architetto del Regno, che di fatto inaugura il ruolo di ingegnere
di Napoli e qualificato come tale, lo troveremmo citato nei di- di Stato, prima di allora sconosciuto nel Mezzogiorno; ruolo che
strutti registri della Cancelleria angioina, pazientemente ricostrui- ancora non distingue tra mansioni civili e militari, sebbene que-
ti dal Filangieri: si tratta di Giovanni de Toul (o «de Tullo»), un ste ultime risultino ancora prevalenti. Pietro Summonte così cita il
lorenese attivo sotto Carlo I d’Angiò tra il 1273 e il 1280103 : definito Marchesi a proposito delle opere promosse dagli aragonesi:
ancora «carpenterius» nel 1269, egli compare nel ’73 quale «inge-
nierius» della nuova fortificazione di Lucera. Essendo essenzial- Questo infelice signore [Alfonso II], prima che arrivasse al sceptro re-
mente un tecnico militare, risulterà impegnato nella costruzione gale, essendo duca di Calabria, cominciò ad exequir sue magnanime
o nel rifacimento di mura (soprattutto a Lucera e a Mola) e di imprese nella fabrica; e, per fabricare lo Poggio Regale, conduce in
castelli (anche a Canosa, Bari, Brindisi, Melfi); potrebbe riferirsi questa terra alcun di quelli architecti che più allora erano stimati: Iulian
a lui un altro documento del 1274, anch’esso un tempo presente da Maiano fiorentino, Francesco da Siena, maestro Antonio fiorentino,
nei registri angioini, in cui si parla di provvisioni date in Foggia, benché costui fusse più per cose belliche e machinamenti di fortezze110.
per Castelnuovo di Napoli, secondo le istruzioni di un «Magnifici
Johannis ingenierii nostri» 104 . Prima di collaborare, come si è visto, con Francesco di Giorgio «da
Dunque «ingeniero» ancora nell’accezione di tecnico militare, Siena», succedendo a questi alla sua partenza da Napoli, il Marchesi
come per primo ha evidenziato il d’Ayala, che deve però ricono- era stato impegnato a partire dal 1474 nelle fortificazioni di Pesaro e
scere: «Per quanto ci fossimo volti a studiare gli archivi intorno alle in seguito aveva diretto opere militari a Civitavecchia, Pisa, Livorno,
antiche costituzioni degl’ingegneri militari napoletani, poche no- Borgo San Sepolcro, Arezzo e Montepulciano.
tizie ne fu dato raccorre»105. Si tratta, infatti, di un appellativo lega- Per venire dunque all’età vicereale, ai fini di un’indagine sull’opera
to, per consuetudine, a mansioni tecniche specifiche piuttosto che degli ingegneri militari e di quelli impegnati nelle opere pubbliche
di un vero titolo professionale; e tale resterà per molto tempo, ve- di conto regio sarà opportuno cercare nei registri della Cancelleria
nendone confermato l’uso ancora all’inizio del viceregno spagnolo. del Consiglio Collaterale. Ma la concessione di una vera e propria
Ma, prima di giungere al Cinquecento, ci tocca seguire l’evolu- patente di ‘ingegnere’, con la facoltà di operare anche al di fuori
zione della professione nel periodo aragonese, per il quale pos- della sfera pubblica, sarà documentabile solo a partire dalla seconda
siamo fare riferimento ai processi del Sacro Regio Consiglio, metà del XVII secolo nei registri delle Segreterie di Stato, dove in-
alle Cedole della Tesoreria Generale e soprattutto ai documenti fatti tali atti risultano nella serie «Patentium»111.
dell’archivio della Regia Camera della Sommaria (corrispondente La documentazione più ricca fino alla venuta di Carlo di Bor-
ad una sorta di Corte dei Conti) che rappresentava il fisco e i suoi bone si trova nell’archivio della Real Camera della Sommaria,
interessi, comprese le spese in uomini e opere per i lavori pubbli- mancando ancora a quell’epoca un organo ‘tecnico’ formato da
ci 106. Attraverso i repertori delle Cedole sappiamo, ad esempio, professionisti esperti del settore, ossia un vero e proprio corpo
che nel 1497 l’ingegnere Barone di Brunetto viene pagato per di ingegneri civili o militari. In particolare, le «Consulte della
«alcuni archi trionfali e catafalchi fatti in Capua nella coronazio- Sommaria» – ossia i pareri su opere da farsi, chiesti dal governo a
ne del Re»107 : dunque, l’ingegnere inventore di artifici ed effetti quell’organo dal punto di vista finanziario – sono preziose per se-
per divertimenti e solennità di Corte, che ci fa venire in mente guire, a partire dalla metà del Cinquecento, l’iter degli interventi
il coevo impegno di Leonardo presso la corte sforzesca per si- e il ruolo degli ingegneri.
mili gioiose occasioni. Così De Mattia: «L’ingenium – l’attitudine Tra le «Consulte» possiamo citare quella del 1587112 da cui si evince la
dell’uomo a inventare soluzioni per problemi – sembra applicarsi politica dei lavori pubblici attuata dal viceré Pedro Afán de Ribera
o al problema primordiale della difesa/offesa in un mondo ostile duca di Alcalà a partire dal 1559, con particolare riguardo alle strade
e malsicuro, ovvero al fine di destare la meraviglia, non senza del regno. Nel documento si ricostruisce la vicenda relativa a un
qualche sospetto che il suo terreno di elezione sia quello del truc- ampio progetto di ristrutturazione della rete viaria nel Mezzogior-
co o della trappola. La pubblica amministrazione non ha ancora, no, con la previsione di nuove arterie convergenti dalle province
tra i suoi scopi, quello di aiutare la crescita della società civile verso la capitale: il programma vede il coinvolgimento, nel corso
alleviandone la terribile fatica. In fondo è un problema di inve- di quasi trent’anni, dei più noti professionisti del Cinquecento, da
stimenti, senza i quali, è noto, gli ‘ingegni’ stentano a farsi valere de Aghilera ad Attendolo, da Tortelli a de Santis, da Lanteri a Mor-
e ad assumere un ruolo da protagonisti. Vedremo che, quando mando a Cafaro Pignaloso113. Ma, sebbene per la più importante di
si porrà mano a una politica di investimenti, gli ingegneri co- queste strade, ossia quella di Puglia, verranno spesi circa 270mila
minceranno a uscire dalla nebbia e a legare il proprio nome a ducati, le tasse riscosse per queste opere saranno utilizzate dal go-
verno spagnolo per altri scopi, ricadendo le strade del Mezzogiorno
103
  F. De Mattia, Ingegneri e fonti di archivio, in Scienziati-artisti. Formazione ruolo degli
ingegneri nelle fonti dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli, a cura di
108
A. Buccaro, F. De Mattia, Napoli, Electa Napoli, 2003, p. 66. Cfr. pure Documenti per   F. De Mattia, op. cit., p. 67.
109
la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, a cura di G. Filangieri,V, Napoli,   F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., p. 219.
Tip. R. Accademia delle Scienze, 1891, pp. 320-322. 110
  Ibidem.
104
  G. Russo, Introduzione a F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani dal ‘500 al 111
  F. De Mattia, op. cit., p. 70: più facile comunque risulta la ricerca a livello di
‘700, Roma, Benincasa, 1969, p. IX. Tesoreria, attraverso l’archivio dell’ufficio da essa dipendente, detto «Scrivania di
105
  M. d’Ayala, Napoli militare. Napoli, Stamperia dell’Iride, 1847, p. 185. Razione».
106 112
  F. De Mattia, op. cit., p. 67.   Ivi, p. 72.
107 113
  N. Barone, Le Cedole di Tesoreria dell’Archivio di Stato di Napoli dall’anno 1460 al   Per questi ingegneri cfr. F. Starace, I regi ingegneri nel XVI secolo e le torri costiere
1504, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», X, 1885, fsc, I, p. 38. del golfo di Salerno, in «Napoli nobilissima»,VII fsc. I-II (gen.-apr.2006), pp. 21 e pass.

Lo scenario professionale
99
di funzionari amministrativi, di ingegneri, di misuratori e di sopra-
stanti, tutti regolarmente stipendiati e non pagati occasionalmente, a
percentuale, come avverrà invece con gli «ingegneri camerali senza
soldo» fino al 1756115.
In precedenza, nel denso ventennio del vicereame di don Pedro
de Toledo (1532-53), non erano mancati altri professionisti di spic-
co. In particolare, nel campo dell’architettura militare va consi-
derata l’interessante attività dell’ingegnere valenciano Pedro Luis
Escrivá, al quale si deve tra l’altro il disegno di nuove importanti
fortezze, per lo più secondo una pianta quadrilatera con bastioni
angolari. Traiamo notizie su Escrivá da un recente studio di Car-
done116 , da cui emerge, ancora una volta, quanto fosse decisiva
l’impronta metodologica lasciata a Napoli da Francesco di Giorgio
e dai suoi seguaci per le scelte operate sotto il governo vicereale,
nel senso che anche gli ingegneri di origine spagnola, giunti nel
Mezzogiorno, non poterono non cogliere il significato della tra-
dizione dell’ingegneria italiana, già ispirata alla lezione vinciana,
finendo in più di un caso per mettere da parte i caratteri eminen-
temente tecnici della propria formazione a favore delle più solide
istanze del professionismo locale.
In effetti una prima impostazione del descritto programma del viceré
de Ribera si ritrova proprio nell’opera svolta da Escrivá per don Pedro,
il quale, oltre a numerosi progetti di infrastrutture in ambito militare,
gli affida a Napoli il ricordato completamento di Castel Sant’Elmo
e delle fortificazioni di Castelnuovo, e fuori dalla capitale la nuova
fortezza di L’Aquila – voluta da Carlo V essenzialmente per tenere a
freno gli abitanti di quella città117� – e le mura di Capua e di Nola118.
Escrivá è il tipico ingegnere che, a differenza di un Francesco di
Giorgio o di un Sangallo il Giovane, non viene dal mondo dell’ar-
chitettura per occuparsi di opere militari, bensì direttamente dalla
schiera dei soldati esperti in costruzioni. Ma, come ben nota Cro-
ce119 , mentre gli italiani che andarono in Spagna tra il ‘400 e il ‘600
vi portarono la propria arte, gli spagnoli che vennero in Italia fini-
rono per apprendere quello che costituiva ormai il ricco bagaglio
rinascimentale della penisola: avviene così anche per Escrivá, che
ben presto si dedicherà alla trattatistica 120. Sin dalla metà dell’Ot-
tocento l’importanza del personaggio fu sottolineata dal Promis121

115
  F. De Mattia, op. cit., p. 72. In un altro documento del 1571 (ASNa, Cancelleria
del Collaterale, reg. 26, f. 18, a. 1571, cit. ivi, p. 73) sono contenute le «Instruttioni […]
circa lo fare et accomodare delle strade di Chiaya, la Grotte et altre strade...», di-
rette al commissario Mario Galeoto, che contengono tra l’altro l’ordine di pagare
attraverso il banco Ravaschieri tutto il personale addetto, tra cui l’ingegnere Am-
brogio Attendolo. Galeoto e Attendolo appartenevano anch’essi a quel gruppo di
commissari e ingegneri a cui il duca di Alcalà aveva affidato il compito di occuparsi
delle comunicazioni del Regno: in effetti, in un primo momento l’unico ingegnere
incaricato del programma fu Francesco de Aghilera, ma dal 1562, mentre a lui re-
starono le arterie per Roma e per gli Abruzzi, quelle di Puglia e di Calabria furono
affidate a Giovan Francesco di Palma, e dal 1577 al de Santis. Dal 1566 ad Aghilera
subentrò Attendolo. Per la strada di Roma «qual comincia dalla porta di Chiaia per
Foregrotte ...» si spesero, tra il 1560 e il 1585, 217250 ducati.
116
  V. Cardone, Pedro Luis Escrivá ingegnere militare del Regno di Napoli, Salerno,
Cues, 2003.
117
  J. Eberhardt, Das Kastell von L’Aquila degli Abruzzi und sein architekt Pyrrhus Aloisius
Scrivá, in «Römisches Jahrb. Für Kunstgesch»,Tübingen 1973, pp. 231-23; Territorio, fortificazioni,
Ignoto, progetto di cittadella fortificata a Napoli, tra Castel Sant’Elmo e Ca-
città. Difese del Regno di Napoli e della sua capitale in età borbonica., a cura di G. Amirante, M.R.
stel dell’Ovo; ultimo quarto sec. XVI. Madrid, Biblioteca del Palacio Real
Pessolano, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 2008, p. 15.
(da Territorio, fortificazioni, città..., a cura di G. Amirante, M.R. Pessolano) 118
  T. Colletta, La riorganizzazione militare durante il viceregno: il recupero di un siste-
ma difensivo, in Aa.Vv., Il recupero di una componente del sistema territorio. Torri, castelli,
in un nuovo degrado114. Dal documento citato, comunque, si evince fortezze nel Mezzogiorno d’Italia, Napoli, Università di Napoli Federico II, 1988, pp.
come il duca di Alcalà avesse già organizzato un efficiente sistema 187-205. Le opere furono portate a termine dall’ing. Giovan Giacomo dell’Acaya
tra il 1542 e il 1554. Si veda F. Starace, op.cit., p. 21.
119
  B. Croce, Di alcuni artisti spagnuoli che lavorarono a Napoli, in «Napoli nobilissi-
ma», IV, fsc. I (gen. 1895), pp. 10-13.
120
114
  A. Giannetti, La strada dalla città al territorio, la riorganizzazione spaziale del regno   A. Sánchez-Gijón, Pedro Luis Escrivá, caballero valenciano, constructor de castillos,
di Napoli, in Storia d’Italia. Annali, 8. Possedimenti e territorio, a cura di C. de Seta, Valencia, Ajiuntament de Valencia, 1995, p. 15.
121
Torino, Giulio Einaudi Editore, 1985, p. 243; N. Ostuni, Le comunicazioni stradali nel   C. Promis, Dell’Arte dell’Ingegnere e dell’artigliere in Italia dalla sua origine sino al
Settecento meridionale. Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1991, p. 26. principio del XVI secolo e degli scrittori di essa dal 1285 al 1560, appendice al Trattato di

Capitolo terzo
100
proprio in relazione alla sua produzione teorica; questa linea fu luoghi e alle esigenze della città, al di là dei modelli ideali e degli
proseguita dal Mariátegui, che nel 1878 ritrovò presso la Biblioteca stereotipi. Proprio come prescriverà Theti nei Discorsi del 1569, egli
Nacional de Madrid la copia manoscritta di un trattato di Escrivá sceglie le proprie forme in stretto rapporto col sito, sebbene forse
del 1538122 , quando già lavorava per don Pedro come responsabile indulgendo in più di un caso, per ragioni di economia, nei con-
delle opere in Campania e in Abruzzo, essendo giunto a Napoli fronti delle preesistenze, come si vede in Sant’Elmo.
nel 1532 dopo aver esercitato presso il duca di Urbino Francesco Nel più ampio contesto del territorio meridionale, va notato come
Maria I della Rovere. L’Eberhardt sottolinea come il trattato, dal in effetti nei secoli del viceregno, al di là della costruzione o tra-
significativo titolo di Apología, per quanto essenzialmente moti- sformazione di alcune strutture rilevanti ma isolate e alla realizza-
vato dalla necessità dell’ingegnere di difendersi dalle critiche tec- zione della linea delle torri costiere in età toledana, finalizzate al
niche mossegli da più parti – tra gli altri anche dal Theti – per le controllo dei litorali contro i turchi e i pirati saraceni, non si ritenne
opere eseguite per il viceré, da lui interpretate in modo del tutto necessario porre mano ad interventi strategici di vasto respiro127. La
innovativo123 , rappresenti il primo testo ufficiale sui nuovi meto- geografia del Mezzogiorno mostrava infatti proprio nella sua arre-
di di fortificazione diffusi agli inizi del Cinquecento. Negli stessi tratezza strutturale un punto di forza: le coste adriatiche abruzzesi
anni dell’Apología, come abbiamo visto, Tartaglia pubblica la Nuo- e pugliesi non avevano porti sicuri, erano soggette ai venti domi-
va scientia e, più tardi, Quesiti et inventioni diverse, in cui porrà le basi nanti e avevano bassi fondali tormentati dalla risacca, mentre quelle
della moderna balistica. tirreniche campane e calabresi avevano porti assai modesti e scarsi
Nel testo di Escrivá si analizza il tema della fortezza sotto tutti i collegamenti viari con l’entroterra. Per questo, fino alla metà del
punti di vista, planimetrico, tipologico, strategico-balistico, con- Settecento, risulteranno assai poco consistenti gli interventi edilizi
futandosi in più di un caso opinioni comuni. Dal trattato si evince degli ingegneri militari, limitati al periodico potenziamento del-
tutta la formazione ‘italiana’ dell’autore, le solide basi culturali le torri costiere e al rafforzamento con nuove cinte fortificate dei
fondate sulla conoscenza degli studiosi dell’antichità, da Aristotele pochi castelli ritenuti strategicamente più importanti, come quelli
a Vitruvio ad Euclide a Vegezio, e i sicuri riferimenti alle opere di adriatici, continuamente soggetti alla minaccia turca 128. Vedremo
Valturio, del Taccola e di Francesco di Giorgio. Ma su tutto do- dunque come agli stessi tecnici militari finiranno per essere affi-
mina, ancora una volta, la dottrina vinciana dell’esperienza come date, specie durante il primo periodo borbonico, importanti archi-
ispiratrice della progettazione: la forma stellare di Sant’Elmo, det- tetture e infrastrutture civili o di committenza reale; nella seconda
tata dalle esigenze specifiche del luogo e dalle finalità militari, metà del secolo, poi, diminuito il pericolo di assalti sul versante
nonostante generasse una polemica destinata a durare più di un costiero, si potrà intraprendere una seria politica di potenziamento
secolo, farà scuola in molti luoghi, dall’isola d’Elba a Malta a Zara. dei poli portuali più significativi sotto il profilo militare e com-
Similmente per la nuova fortezza di Capua, eseguita a partire dal merciale, ai cui progetti attenderanno molti di questi professionisti.
1542 su progetto dell’ingegnere militare napoletano Giovan Gia- Va detto però che nella maggioranza dei casi, ancora per l’intera
como dell’Acaya e dal ‘51 sotto la direzione del capuano Ambrogio durata del dominio di Madrid, anziché incaricare ingegneri mi-
Attendolo124 , oltre alle chiare analogie progettuali con la fortezza litari napoletani si preferirà imporre loro progetti fatti da esperti
abruzzese, va considerato il fatto che negli anni precedenti Escrivá spagnoli in modo ‘standardizzato’, di cui i tecnici locali sperimen-
aveva prestato servizio in quella città, potendosi ipotizzare che teranno spesso l’irrealizzabilità in rapporto alle reali condizioni
dell’Acaya sia intervenuto su un precedente progetto del valen- del territorio. Anche la Pessolano129 sottolinea questo scollamento
ciano125. tra la profonda conoscenza dei luoghi propria degli ingegneri me-
In un’epoca in cui l’ingegnere militare tende a separarsi dall’ar- ridionali e, di rincontro, il loro scarso credito presso il governo.
chitetto-ingegnere civile, Escrivá non rinuncia alla ‘doppia ani- Ciò risulta evidente, ad esempio, in una relazione del 1574 del vi-
ma’, cercando sempre di conservare la padronanza della forma 126 : ceré Antonio Perrenot, cardinale di Granvelle, diretta a Filippo
a differenza di quanto andavano sostenendo gli ingegneri militari II130 , da cui si evince come nessuno dei tecnici napoletani fosse
‘puri’, egli riesce a conferire alle proprie architetture anche precisi ritenuto particolarmente esperto circa i nuovi metodi di fortifi-
caratteri formali, come si vede nell’opera aquilana, ove è eviden- cazione: in particolare, riguardo a Benvenuto Tortelli (1533-1594)
te, tra l’altro, l’adesione ai principi cosmologici e matematici del – dal 1565 ingegnere della Regia Corte e dall’87 ingegnere delle
tempo. Criticato per essere «de opinion contraria á todo el resto Regie Strade (insieme con Pietro Antonio de Santis131 ), attivo in
del mundo» in tema di fortificazioni, in realtà egli è un tecnico Terra di Lavoro e autore di numerose torri costiere tra Gaeta e
molto attento all’aderenza dell’architettura militare alla realtà dei capo Miseno132 – si osserva che «en cosas de fortificaciones no tiene

Architettura Civile e Militare di Francesco di Giorgio Martini, Torino, Tip. Chirio e


127
Mina, 1841, pp. 72-73; Id., Biografie di ingegneri militari italiani dal secolo XIV alla metà   G. Amirante, M.R. Pessolano, Premessa, in Territorio, fortificazioni, città…cit.,
del XVII, Torino, Bocca, 1874. Cfr.V. Cardone, op. cit., pp. 25 sgg. pp. 8 sgg.
122 128
  E. Mariátegui, Apología en excusación y favor de las fábricas del Reyno de Nápoles,   Ivi, pp. 12-13. All’interno dei feudi, i castelli, le torri, le antiche masserie fortifi-
por el Comendador Scribá, Madrid, Memorial de Ingenieros, 1878. cate, le cinte murarie urbane, di pertinenza baronale, furono ben presto ridotti in
123
  V. Cardone, op. cit., p. 95. stato di abbandono per l’esodo dei feudatari attratti nella capitale per la politica dei
124
  Attendolo (1515-85), seguace di Antonio da Sangallo il Giovane e incaricato dal viceré, venendo tali strutture riutilizzate per altre funzioni, come nuovi palazzi ba-
governo vicereale di «rivedere et rivisitare tutte le […] castelle et fortelezze del Re- ronali o vescovili, carceri o altri edifici pubblici, e confidandosi nell’aspra morfolo-
gno», compito cui attenderà per tutta la vita, si occupò pure delle fortezze di Lecce gia dei siti (motivo questo che, paradossalmente, fini per scoraggiare la costruzione
(con G.G. dell’Acaya, 1539-49), Crotone (1573), Gaeta (1577), Civitella del Tronto e di strade) per la difesa dalle minacce nemiche.
129
Pescara (1578). Egli è ricordato nell’epigrafe sulla sua tomba, sita nella chiesa di S.   Ivi, pp. 13-14.
130
Francesco a Capua, quale «summus architectus Capua Crotone Caietaque mathe-   Archivo General de Simancas, Estado, Legajo 1064, «Relación de los Ingenieros
matica ratione munitis Neapolim Puteolosque viis stratis». Nel 1575-76 si occupò que sirven al presente en el Reyno de Napoles y del sueldo que tienen tanto a
anche dei castelli di Crotone e di Scauri, e nel 1577 del restauro della fortezza di costa de Sua Maestad como del Reyno y de la Ciudad». Cfr. V. Cardone, op. cit.,
Gaeta, già intrapreso da Giovan Tommaso Scala. Cfr. F. Strazzullo, Architetti e pp. 80-82.
ingegneri napoletani…cit., pp. 23-25. 131
  Circa il de Santis cfr. F. Starace, op. cit., p. 22.
125
  V. Cardone, op. cit., p. 52. 132
  Tra il 1565 e il 1566 Tortelli dirige la ristrutturazione del molo di Napoli e
126
  Ivi, p. 113. dallo stesso 1566 al 1572 sarà attivo in Spagna. Si veda ivi, p. 24.

Lo scenario professionale
101
Ignoto, progetto di cittadella fortificata a Napoli (restituzione grafica sulla pianta Dupérac-Lafréry del 1566, da Territorio, fortificazioni, città..., a cura
di G. Amirante, M.R. Pessolano)

mucha experiencia, tiene buenos principios para que adelante se A tale proposito, va riconosciuto il carattere della nuova cinta mu-
haya abil». Lo stesso dicasi di Andrea Mormanno, di de Santis e raria concepita dagli ingegneri di don Pedro quale struttura ‘alla
persino di Attendolo: «Todos ellos son aqui necessarios, porque los moderna’, con un articolato percorso segnato da possenti bastioni,
que mas entienden de algo de fortificaciones son nuevos en el arte un ampio e pressoché ininterrotto pomerio, con vaste aree inibi-
y començan poco ha servir en ella ni me parece que entre todos te (almeno in principio) all’edificazione e un asse stradale ‘militare’
estos hay hombre apto para servir a V.M.d en cosas de fortificacio- con un moderno quartiere per le truppe. Eppure il governo vice-
nes en essos Reynos». reale accarezzerà più volte l’idea di realizzare una ‘cittadella’ meno
Eppure personalità emergenti ve n’erano tra i napoletani. Basti estesa ma meglio difendibile sia dall’interno, sia dall’esterno, che
pensare al primo «Ingegnere Maggiore» dell’età vicereale, quel avrebbe unito Sant’Elmo a Castel dell’Ovo e, in una seconda solu-
Ferrante Maglione (più noto come Ferdinando Manlio) (1499- zione, anche a Castelnuovo: l’intervento, documentato dalle fonti
1570) autore, con Giovan Battista Benincasa, del palazzo vicere- della Biblioteca del Palazzo Reale di Madrid e della Biblioteca Na-
ale di don Pedro, poi della villa dello stesso viceré a Pozzuoli e zionale di Parigi134, avrebbe incluso la creazione del nuovo arsenale
soprattutto del piano di ampliamento della capitale, con le nuove e la ristrutturazione del porto aragonese, dando vita a una cittadella
mura, la strada Toledo e i quartieri spagnoli, intrapreso nel gen- ‘spagnola’ in opposizione alla città dei napoletani. Sebbene di fatto
naio 1543133 . mai compiuta, l’idea di una separazione ‘esclusiva’ resterà comunque
nell’occupazione dell’area urbana più prestigiosa da parte degli spa-
gnoli; idea ben diversa da quella di zona degradata che oggi abbiamo
133
  L’imponente intervento è così descritto in una cronaca del 1561: «Se incomen- dei ‘Quartieri Spagnoli’ .
zarono a fare le mura nove di Napoli, quale incomenzano de la porta di S. Gennaro
et vanno a lo Castiello de S. Ermano, et scendono in fino a la porta de Toledo». Cfr.
Tommaso di Catania, Cronache antiquissime (dall’anno 866 al 1552, scritte nel 1561),
in A.A. Pelliccia, Raccolta di varie cronache, diarii ed altri opuscoli così italiani come latini
134
appartenenti alla storia del Regno di Napoli, Napoli, Perger, 1780-82,I, p. 44. Cfr. pure   M.R. Pessolano, Napoli e il regno fra antiche fortezze e nuove proposte, in Territorio,
F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., p. 209. fortificazioni, città…cit., pp. 31-33.

Capitolo terzo
102
Nel 1545 don Pedro affidò a Manlio anche il compito di soprinten- Infine Mario Cartaro147, viterbese, architetto e cosmografo, nato in-
dere a tutte le attività dipendenti dalla Regia Corte, compreso il torno al 1540 e noto autore di importanti cartografie – tra cui quella
controllo degli appalti e delle maestranze. In base ai documenti rin- del territorio di Pozzuoli, dedicata nel 1584 al viceré conte d’Ossuna
venuti dallo Strazzullo, è possibile attribuirgli con certezza l’inizio – che a partire dal 1591 fu incaricato dal viceré conte di Miranda «di
dell’imponente opera idraulica di sistemazione dell’antico Clanio disegnare e ponere in pianta qualsivoglia sito di questo Regno»148:
con la creazione dei Regi Lagni, mediante l’apertura di un vasto fino al 1594 collaborò con Colantonio Stigliola alla Carta generale
canale di drenaggio atto a convogliare le acque stagnanti e a prosciu- del Regno, curandone poi l’incisione.
gare quindi la piana135; questo ben prima del citato intervento di Do-
menico Fontana e del suo completamento ad opera del figlio Giulio Tra lo scorcio del XVI secolo e il primo quarto del XVII, i tecnici
Cesare e dei numerosi collaboratori, tra cui Bartolomeo Picchiatti136. cui vennero affidati i delicati incarichi di competenza regia relativi
Negli anni ’60 fu pure attivo come ingegnere camerale un altro alla costruzione e manutenzione di infrastrutture come strade, porti,
napoletano, Giovan Vincenzo della Monica, che curò tra l’altro ponti, canali, bonifiche, oltre che in materia militare e di fortifi-
nel 1565, insieme con Tortelli, la costruzione del nuovo ponte di cazioni, continuarono ad essere definiti architetti o ingegneri con
Eboli 137. A sua volta Tortelli 138 , bresciano, giunto a Napoli nel 1557, assoluta indifferenza, in assenza di una distinzione tra i curricula della
iniziò come intagliatore, divenendo poi ingegnere della R. Corte, loro formazione. Se allora, in campo militare, furono ingegneri ge-
infine ingegnere delle Regie Strade. Nel 1576 diresse con Ascanio neralmente i capitani e i soldati di professione, in ambito civile i
Capece l’incanalamento delle acque del Serino da Benevento ver- Regi Ingegneri dipendenti dalla Sommaria, in un primo tempo re-
so Napoli e dal 1589 proseguì i lavori della fortificazione di Capua clutati tra gli stessi tecnici militari e non necessariamente architetti,
secondo un nuovo progetto; in seguito si occupò di numerose dagli inizi del Seicento fino a tutto il secolo dei Lumi sarebbero stati
torri e fortezze del regno (tra cui la ristrutturazione del castello investiti di quel ruolo solo a seguito di un pubblico concorso. Essi
di Baia 139 ) a seguito della decisione di Filippo II di «smantellare la svolsero tra gli altri compiti quello di controllo degli affari relativi
maggior parte delli castelli di questo regno, sì per essere loro inu- al fisco e al regio demanio, compresa la manutenzione di castelli e
tili, come per il disservizio che potrìano causare, et altre cause […] torri149; spesso, però, vennero impiegati anche in lavori per conto di
et con la spesa ordinaria che fa Sua Maestà a mantenere li detti ca- comuni, conventi e privati, percependone i relativi compensi al di là
stelli inutili converrebbe fabricare quattro o cinque di bona forma dello stipendio, sebbene in qualche caso ciò venisse loro contestato
e proporzione et situati in parte dove potrìano storbare il disegno dalla Sommaria150.
del inimico, et servire a Sua Maestà come conviene»140. Alla fine del Cinquecento gli ingegneri in forza alla Regia Cor-
Validi professionisti pure impegnati nel Mezzogiorno in quest’epo- te erano sei, sotto la guida dell’Ingegnere Maggiore, cui spettava
ca provenivano da altri stati della penisola. Ad esempio, tra gli inge- il compito di soprintendere a tutti i lavori finanziati dalla Corona
gneri che si occuparono a partire dal 1563 del programma delle torri nella capitale e nel regno: dal Fontana, nominato in ruolo dal vi-
costiere141 emerge il nome del veneziano Giovan Tommaso Scala142, ceré conte di Olivares nel 1592, dipenderanno fino al 1607 Pietro
anch’egli ingegnere della Regia Corte dopo aver operato in Fran- Castiglione, Cafaro Pignaloso, Mario Cartaro, Vincenzo de Rosa e
cia143, in Inghilterra144 e in altre località italiane (costruì tra l’altro le Giovan Vincenzo della Monica151.
fortificazioni di Ancona e disegnò la città di Novi e il porto di Mo- All’Ingegnere Maggiore, cui veniva conferita la patente direttamente
naco sulla costa genovese). Nel 1564 fu presidente della commissione dal re di Spagna su segnalazione del viceré, erano affidati, oltre alle
tecnica davanti a cui, per ordine del viceré de Ribera, i fabbricatori opere di fortificazione, i lavori pubblici finanziati dalla Regia Cor-
napoletani dovettero sostenere un esame che fu reso da allora ob- te, come porti, strade, edifici pubblici ed ecclesiastici, occupandosi,
bligatorio per esercitare la professione. Scala, attivo a Napoli fino al oltre che della progettazione, anche dell’esecuzione e del controllo
1575, ci ha lasciato un importante trattato Delle fortificazioni145 pubbli- tecnico-contabile delle opere; infine egli provvedeva alla stima dei
cato nel 1596 e poi nel 1627146. feudi in occasione della loro vendita. Riguardo a quest’importante
ruolo, De Mattia scrive: «Era certo un’alta carica dello Stato ed era
prerogativa regia il concederla, mentre altre erano lasciate al Viceré;
135
  F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., p. 211. ma che cosa in concreto facessero Fontana, Picchiatti, Gisolfo in
136
  G. Fiengo, op. cit., passim. quanto ingegneri maggiori, e di che tipo fossero i rapporti gerar-
137
  F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., p. 100. Al della Monica van-
no attribuite importanti opere di architettura religiosa eseguite a Napoli in piena
chici con gli altri ingegneri – se ve n’erano – rimane da chiarire»152.
Controriforma, tra cui la chiesa e il convento di San Gregorio Armeno. In realtà sappiamo come, in più di un caso, tali rapporti non fos-
138
  Ivi, p. 305 sgg.
139
  R. Del Gaudio, Il Castello di Baja: una fortezza inutile?, in Territorio, fortificazioni,
città…cit., pp. 145 sgg. tria prattica dichiarata da Giouanni Scala sopra le tauole dell’ecc.te mathematico Giouanni
140
  ASNa, Sommaria, «Consulte», IV, ff. 99-100, cit. in F. Strazzullo, Architetti e Pomodoro tratte d’Euclide et altri authori: opera per generali da guerra, capitani, architetti,
ingegneri napoletani…cit., p. 313. bombardieri e ingegnieri cosmografi, non che per ordinarii professori di misure, Roma, presso
141
  Cfr. F. Starace, op. cit., passim. G. Martinelli, 1603. Manoscritti attribuibili a Scala sono inoltre presso la Biblioteca
142
  Cfr. G. Ruscelli, Precetti della militia moderna, tanto per mare quanto per terra, tratti Reale di Torino e quella del Museo Correr di Venezia.
147
da diversi nobilissimi ingegni..., Venezia, eredi M. Sessa, 1583; M. d’Ayala, Degli inge-   F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., pp. 63-64.
gneri militari italiani, in «Rivista Enciclopedica Italiana», III, Torino, Unione tipogr. 148
  Ivi, p. 63.
torinese, 1855, p. 108; F. Starace, op. cit., pp. 23-24. 149
  La Scuola d’Ingegneria in Napoli. 1811-1967, a cura di G. Russo, Napoli, Istituto
143
  Qui lavorò, tra l’altro, al baluardo della Maddalena a Valenciennes, alla fortezza Editoriale del Mezzogiorno, 1967, p. 8.
di Gand, ai castelli di Fontainebleau e di San Francesco in Amiens, e alle fortifica- 150
  Ciò avverrà, ad esempio, a Bartolomeo Picchiatti quando verrà chiamato ad
zioni di Lafére, Crechy, Mondidier e Chiaramonte. occuparsi delle fortificazioni di Capua.
144
  Oltre la Manica realizzò, tra l’altro, la torre di Arder e le fortificazioni di Da- 151
  Tra gli altri Regi Ingegneri operanti fino a tutta la prima metà del Seicento
bellao, Timor e Bervic in Scozia. troviamo: Donato Antonio Cafaro, Giulio Cesare Fontana, Bartolomeo e France-
145
  Il Trattato è conservato in manoscritto presso la Biblioteca Ducale di Torino. sco Antonio Picchiatti, Colantonio Stigliola, Giovanni Leonardo Cafaro, Orazio
Cfr. G. Russo, Introduzione, cit., p. XV. Campana, Michelangelo Cartaro, Orazio e Onofrio Antonio Gisolfo, Gabriele Ca-
146
  Si veda: G.T. Scala, Delle fortificazioni di Giovanni Scala Mathematico. Nuovamente stiglione. Cfr. F. Strazzullo, Edilizia e urbanistica a Napoli dal ‘500 al ‘700, Napoli,
ristampate con giunta di diverse piante di fortezze, II ediz., Roma, presso C. Ferriante, L’Arte Tipografica, 1995, II ediz., pp. 33-34, 43; F. Starace, op. cit., pp. 22-24.
152
1627 (III ediz. Roma, presso G. de Rossi, 1642). Di Scala va pure segnalata la Geome-   F. De Mattia, op. cit., p. 73.

Lo scenario professionale
103
sero per nulla felici e, anzi, negli anni dell’attività di Fontana pos- Maggiore comprenderà precisi compiti nell’ambito militare, po-
sano definirsi addirittura disastrosi. Per restare solo nell’ambito tendo raggiungere i più alti livelli di quella gerarchia 160.
della capitale, ad esempio, è noto come l’opera svolta in quali- Se da un lato gli ingegneri camerali, pur essendo dotati di ‘patente’,
tà di Ingegnere di Città da Colantonio Stigliola, scienziato nola- non faranno mai parte di un corpo o di un collegio, dall’altro nep-
no di grande rilievo, su cui più innanzi torneremo, risulti forte- pure i tecnici militari ‘di carriera’ apparterranno mai a un organo
mente compromessa proprio dall’autorità di Fontana e dall’o- istituzionale fino alla venuta di Carlo di Borbone: come vedremo,
stilità della corte vicereale contro qualunque professionista di- solo nel 1742 il sovrano fonderà il Corpo degli Ingegneri militari,
scorde dalle idee dell’Ingegnere Maggiore: basti pensare alla spi- mentre dal 1759 sarà possibile conseguire la «Patente Reale» di in-
nosa vicenda relativa al progetto per il nuovo porto di Napoli153. gegnere camerale anche al di fuori dell’organico, previo esame da
Il più noto Ingegnere Maggiore del Seicento154 fu sicuramente sostenersi al cospetto di due ingegneri, due matematici e due av-
Bartolomeo Picchiatti, definito da Giulio Cesare Fontana, nel di vocati fiscali togati del Regio Patrimonio, senza però avere diritto,
lui processo di nozze, «Ingenierius Maior et superintendens forti- per questo, ad alcuno stipendio né all’abilitazione alla professione
ficationum et fabricum Regni Neapolis»155. Picchiatti 156 , ferrarese, di architetto161. Ma molti «Ingegneri Architetti», pur non dotati di
nato nel 1571, fu attivo prima nella sua città, poi a Roma, infine a «Patente», si spacceranno sovente per Regi Ingegneri, firmando ad-
Napoli, ove dal 1593 collaborò con Fontana alla sistemazione del dirittura progetti di opere pubbliche e riscuotendone i compensi
porto, poi con il figlio di questi alla costruzione del Palazzo degli senza averne titolo162; in generale, comunque, resteranno loro affidati
Studi e come ingegnere della R. Corte; dal 1629 fu Ingegnere compiti nella sfera privata o, su incarico specifico e senza un ruolo
Maggiore a seguito della morte dello stesso Giulio Cesare Fontana fisso, in ambito municipale o giudiziario. Si noti ancora una volta
(1627), venendo nominato in ruolo il 21 luglio 1628 con la citata come, nei documenti della Regia Camera della Sommaria fino al
definizione di «Architectus maior (Vulgo Ingeniero)»157. Per molti volgere del Settecento, il «Ceto degli Ingegneri Architetti» risulti ci-
anni si occupò a sua volta della bonifica dei Regi Lagni (1610-16, tato in maniera indistinta rispetto a quello «degli Architetti Civili»163.
con la collaborazione di Stigliola), poi della fortificazione di Ca- Per l’epoca di Carlo di Borbone, agli atti della Regia Camera della
pua (1635) e delle fortezze di Taranto, Reggio, Barletta, Capua, Sommaria si affianca la preziosa documentazione della Segreteria di
Gaeta, Baia e Nisida: a seguito dei terremoti del 1631 e del 1638, fu Azienda, deliberante in materia finanziaria. Dai documenti si ricava
chiamato a risolvere in queste opere non pochi problemi di ordine che nel 1756 gli ingegneri camerali erano sei stipendiati, più quat-
statico. Gli si deve inoltre il restauro dell’arsenale di Napoli, edi- tordici «senza soldo» (venti in tutto, portati a ventidue nel 1762); ma
ficato nel 1577 da Fra Vincenzo Casale, e il progetto di numerose il meccanismo di reclutamento non risulta affatto limpido, se ancora
chiese e conventi napoletani; potrebbe infine attribuirsi al Pic- nel 1804 al ben noto ingegnere e cartografo Luigi Marchese (ca-
chiatti il disegno dell’incompiuto Palazzo Donn’Anna, riferibile a merale senza soldo dal 1789, già allievo e collaboratore di Giovanni
Fanzago solo con molti dubbi. Bompiede), che provò a farsi riconoscere finalmente uno stipendio,
Il figlio Francesco Antonio158 risulta anch’egli ingegnere della Re- fu preferito Giovan Battista Porpora, il più giovane dei camerali e
gia Corte e poi Ingegnere Maggiore dopo la morte di Gisolfo nel ultimo assunto prima delle riforme del Decennio164.
1656. A seguito della rivolta di Masaniello, restaurò molte impor- Non esistendo nei comuni del regno ingegneri «di Città», per le
tanti fabbriche napoletane, tra cui Castelnuovo e, nel 1660, l’arse- opere municipali si attingeva, di volta in volta, a questi «architetti-
nale; infine, dal 1667, diresse i lavori per la nuova darsena e per la ingegneri civili»: essi operavano da professionisti privati, venendo
strada del Gigante. denominati, come al solito, «ingegneri» nell’occuparsi delle opere
pubbliche locali; nel caso, però, di contenziosi tra privati e istituzioni
Quanto restasse indefinito, ancora sul volgere del Seicento, il mec- comunali o provinciali, si preferiva incaricare ingegneri ‘patentati’
canismo di accesso alla carica pubblica di ingegnere camerale è della Regia Corte.
attestato da un documento159 contenente la «patente» concessa nel Nella capitale, invece, esistevano ingegneri di ruolo, operanti all’in-
1677 a Luca Antonio Natale, da cui si evince come egli avesse i terno di quello speciale organo che fu, dalla prima età vicereale fino
requisiti giusti nell’«estudio en la Arquitetura y Gemetria militar»
e della «pratica y experiencia»: cosa che però l’ingegnere dimostra
160
non sostenendo un esame, magari davanti all’Ingegnere Maggio-   F. De Mattia, op. cit., pp. 73-74: «La carica esisteva ancora ai tempi di Carlo di
Borbone, che nel 1734 la affidò a Giovan Antonio Medrano, ed era allora una carica
re, ma semplicemente presentando le certificazioni dei colleghi palesemente militare dal momento che, nella patente, Carlo dava ordine di obbe-
Carlos de Grunenberg e Luigi Nauclerio (padre del più noto Gio- dire al Medrano a tutti gli ufficiali e soldati del suo esercito. Dopo di lui la carica
van Battista) con cui ha lavorato. Natale viene quindi assunto «en toccò a Francisco Lopez Vario (o Varrio), che fu l’ultimo Ingegnere Maggiore; ed
è interessante notare che alla sua morte, nel 1751, quello che appare essere il suo
el servicio de S.M. en la profecion de Ingeniero», con i compiti successore, Giovan Battista Bigotti, avesse, per la prima volta, la qualifica di ‘coman-
essenzialmente militari affidati a qualunque ingegnere stipendiato dante del Corpo degli ingegneri militari’, benché occasionalmente compaia anco-
ra, negli anni cinquanta del secolo, l’antico titolo accanto al nuovo. Non sapremmo
dallo Stato. Per un secolo ancora, anche la carica di Ingegnere dire se questo basti a considerare militari anche gli illustri architetti-ingegneri del
secolo XVII.
161
  La Scuola d’Ingegneria…cit., p. 14.
162
153
  P.C.Verde, op. cit., passim.   ASNa, Consulte della Sommaria, fsc. 391.
154
  Questa la successione degli Ingegneri Maggiori dal 1604 al 1694: D. Fontana
163
  Cfr. F. Strazzullo, Ingegneri camerali napoletani del ‘700, in «Partenope», I (1960).
(1604-1607), G.C. Fontana (1607-27), B. Picchiatti (1629-43), Onofrio Antonio Gi- Complesse sono le vicende, pure ricostruibili attraverso i documenti di archivio,
solfo (1644-56), F.A. Picchiatti (1656-94). Cfr. F. Strazzullo, Edilizia e urbanistica… di altri ingegneri di stato fino a tutto il Settecento, come quelli «di salute», che si
cit., p. 34. occupavano di campisanti, lazzaretti, mercati, nonché della verifica dell’abitabilità
155 delle case per conto del Tribunale di Salute, o quelli «allodiali», che lavoravano per
  G. Russo, Introduzione, cit., p. XX.
156 la Cassa Allodiale, ossia per l’amministrazione demaniale. Infine gli ingegneri si
  F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., pp. 231-247. occupano anche, per conto della R. Camera della Sommaria, dell’apprezzo di un
157
  ASNa, Cancelleria e Consiglio del Collaterale, Officiorum suae majestatis, n. 10, cit. in territorio in occasione del riscatto dello stesso da parte degli abitanti nei confronti
R. Esposito, scheda in Scienziati-artisti…cit., pp. 135-136. di un feudatario o dello Stato.
158
  F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani…cit., pp. 267 sgg. 164
  F. De M attia, op. cit., p. 78. Porpora è noto agli studiosi, tra l’altro, per il
159
  ASNa, Scrivania di Razione, «Reali ordini», vol. 6°, ff. 19v-20r, cit. in F. De Mat- rilievo dei casali di Napoli. Cfr. C. de Seta, I casali di Napoli, Roma-Bari, La-
tia, op. cit., p. 74. terza, 1989, passim.

Capitolo terzo
104
decisivo contributo allo sviluppo delle scienze nel viceregno167, nel
1595, avendo sostenuto la teoria copernicana, fu denunciato al San-
to Uffizio e imprigionato a Roma, venendo liberato un anno più
tardi e reintegrato nelle funzioni di Ingegnere della Città di Napoli,
che condivise con i nuovi colleghi Mario Cartaro, Giovan Battista
Cavagna, Marino de Alessandro e Domenico Fontana: egli continuò
quindi ad operare per il Tribunale della Fortificazione fino alla mor-
te168, intervenendo, oltre che nella spinosa questione del porto, anche
nella sistemazione della cinta muraria urbana; infine, come ingegne-
re camerale, si occupò della bonifica dei Regi Lagni. Dal 1593 diresse
l’Officina Tipografica (sita in via Toledo presso Porta Reale) da lui
fondata appositamente per la redazione della citata Carta generale
del Regno, poi incisa dal Cartaro: l’Officina funzionò fino al 1606,
dando inizio nell’ambiente napoletano a una tradizione cartografica
destinata ad essere segnata, tra Sette e Ottocento, dalla grande espe-
rienza del Real Officio Topografico della Guerra.
Nel corso del Seicento i posti di Ingegnere di Città si ridussero
prima a due, poi divennero sei, distribuiti per ambiti urbani, per tor-
nare a due nel 1736 (alle dipendenze di un «direttore onorario delle
opere pubbliche» nella persona di Donato Gallarano), passando a tre
nel 1765 per l’aggiunta di un tavolario, poi di nuovo a sei e infine
a due nel 1788, stanti le difficoltà economiche della municipalità169:
solo agli inizi dell’Ottocento, con la suddivisione della città in do-
dici quartieri, il Decurionato avvertirà l’esigenza di dotare ciascuna
circoscrizione di un architetto «commissario» (ma si tratterà, spesso,
di un ingegnere diplomato presso la Scuola di Applicazione) cui se
ne aggiungeranno ben presto due «di dettaglio»170.
Dopo l’importante attività svolta in questo ambito nel XVII secolo
soprattutto dallo Stigliola e dal Picchiatti, per il Settecento va se-
gnalato il ruolo svolto all’interno del Tribunale della Fortificazione
da professionisti come Giovan Battista Nauclerio, Ferdinando San-
felice, Giuseppe Lucchese, Alessandro Manni, Donato Gallarano171,
Casimiro Vetromile, pianta-veduta del porto di Trani, 1746. Napoli, Archi- Antonio e Francesco Sciarretta, Corinto Ghetti, Luca e Bartolomeo
vio di Stato (da Scienziati-artisti..., a cura di A. Buccaro, F. De Mattia) Vecchione, fino a Luigi Vanvitelli, Niccolò Carletti, Gaetano Barba,
ma senza percepire stipendio, essendo peraltro molti di essi già inve-
a tutto il primo periodo borbonico, il Tribunale della Fortificazione, stiti della carica di Regi Ingegneri.
Acqua e Mattonata: dagli atti che si conservano presso l’Archivio Sto- In realtà, fino a tutto il Settecento, i tecnici più noti nell’ambiente
rico Municipale di Napoli – oggetto di indagine, dopo gli studi del napoletano non furono, né gli architetti né gli ingegneri, bensì i tavo-
Capasso165 e di altri studiosi, anche da parte nostra166 – si ricavano lari. Si tratta di una figura professionale particolarmente significativa
i nomi dei professionisti al soldo della Città nel corso di circa due per comprendere lo scenario dell’edilizia e dell’urbanistica dell’età
secoli, insieme con uno spaccato di particolare interesse della loro vicereale e del primo periodo borbonico: se ad essi, in un primo
attività nelle significative trasformazioni urbane verificatesi tra Cin- tempo, fu affidata da committenti pubblici e privati la stima immobi-
que e Settecento. Ancora una volta si trattò di figure ‘doppie’, cioè liare urbana (con la stesura delle relazioni estimative e delle cartogra-
di architetti-ingegneri pronti ad assumere le vesti opportune in ra- fie allegate alle platee), il ruolo di questi funzionari, entrati ben presto
gione delle opere che erano chiamati a dirigere. nella pubblica amministrazione, divenne decisivo per le sorti della
A Napoli a partire dal 1593 la carica di Ingegnere di Città, ancora città a causa della corruzione che si perpetrava, nei confronti di quelli
unica, fu affidata, dopo la morte di Pompeo Basso, allo scienziato meno onesti, da parte della nobiltà e del clero, aventi, per le loro co-
e ingegnere nolano Colantonio Stigliola (1547-1623), annoverabile spicue proprietà, forti interessi e privilegi anche in campo edilizio172.
tra coloro che hanno dato lustro alla storia della scienza e della
professione nel Mezzogiorno moderno, ma che attende ancora uno
167
studio monografico. Laureatosi in medicina a Salerno, nel 1571 si   Tra le altre opere scrisse: De gli elementi meccanici, Napoli, Stamperia di Porta
Reale, 1597; Encyclopedia pythagorea, del 1616, Napoli, C.Vitale, 1616; Il telescopio over
trasferì nella capitale, ove cominciò ad esercitare la professione, ma Ispecillo Celeste, Napoli, D. Maccarano, 1627 (pubbl. postuma a spese dell’Accademia
fu anche appassionato chimico, naturalista, matematico, cosmografo dei Lincei). La prima opera è interamente riprodotta in anastatica in R. Gatto, La
meccanica a Napoli ai tempi di Galileo, Napoli, La città del sole, 1996.
e tipografo. Accademico dei Lincei e autore di importanti trattati 168
  Gli successe il figlio Domenico. Cfr. F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napo-
in materia di filosofia, meccanica e astronomia, con cui diede un letani…cit., p. 210.
169
  B. Capasso, op. cit., p. 35.
170
  A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane…cit., pp. 58-59.
171
  Questi subentrò al Manni per «negligenza imperizia e poca lealtà». Cfr. F.
165
  B. Capasso, Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella sezione antica Strazzullo, Edilizia e urbanistica…cit., p. 33.
o prima serie dell’Archivio municipale di Napoli (1387-1806), Napoli, Giannini, 1876-99, 172
  T. Colletta, Napoli. La cartografia pre-catastale, in «Storia della Città», nn. 34-35,
parte II, pp. 34-35. Cfr. pure F. De Mattia, op. cit., p. 75. Milano, Electa, 1985, pp. 17-19. Si veda inoltre sull’argomento: O. Ciriello, F. Cu-
166
  A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Napoli, stode, De Magistris Artium Seu Artificibus: la costumanza della città di Napoli nell’arte
Ediz. Scientifiche Italiane, 1985, cap. II e passim. del fabbricare, in Aa.Vv., Manuale del recupero delle antiche tecniche costruttive napoletane

Lo scenario professionale
105
Per l’intero corso del Seicento e almeno fino alla seconda metà del dei tecnici e di gestione delle opere pubbliche in ambito civile, in
secolo successivo, non essendo ancora determinate le competen- molti casi queste venivano affidate a ingegneri militari non sempre
ze degli ingegneri idraulici e militari, vennero affidate ai tavolari all’altezza del compito.
innumerevoli incombenze, finanche non specifiche della loro pro- Specie nel corso del Seicento, da un lato i tavolari si rivolsero più
fessione, mentre incarichi ben più limitati restarono di pertinenza volte al re per protestare contro gli abusi dei Tribunali, che affidava-
dei Regi Ingegneri e degli Architetti di Casa Reale173. Per questo, no ad altri periti incarichi di loro pertinenza, dall’altro i «Regi Inge-
con l’avvento dei Borbone si avvertì l’esigenza di riordinare il set- gneri e Architetti» dovettero spesso ricorrere alla Regia Camera del-
tore e, soprattutto, di limitare l’arricchimento fraudolento di quella la Sommaria per tutelare i propri interessi contro i soprusi dei primi
classe professionale: nel 1751 una Prammatica fissò la dipendenza del e definire una buona volta il proprio ruolo: essi ritenevano giusta-
Collegio dei Tavolari dal Sacro Regio Consiglio e non più dal Tri- mente di trovarsi a un livello superiore, essendo ben più versati nelle
bunale di San Lorenzo, cui restavano affidati i delicati compiti della discipline matematiche e spettando loro di esaminare i candidati al
concessione delle licenze edilizie e dell’occupazione anche tempo- ruolo di tavolari, di cui erano considerati maestri; inoltre, per il fatto
ranea del suolo pubblico attraverso il Regio Portolano. Fino ad allo- stesso di essere funzionari regi e non di città, gli ingegneri riven-
ra gli Eletti di Città ebbero l’incarico di nominare, per ammissione dicavano la direzione delle principali opere del viceregno, ben più
diretta, un Primario e nove Tavolari: il 23 agosto 1757 si stabilì che cospicue di quelle cittadine. A maggior ragione, qualsiasi perizia o
al Collegio si sarebbe potuto accedere solo a seguito di un esame apprezzo fatti da un «Regio Ingegnere o Architetto» dovevano avere
da sostenersi alla presenza di un magistrato, due giureconsulti e due valore legale ed essere quanto meno parificati a quelli eseguiti dai
agrimensori su argomenti di matematica, scienze civili e meccani- tavolari. In qualche caso, poi, la medesima persona rivestiva entram-
che174. Ma ancora in un documento del 1806 si legge: be le cariche, come avvenne, nella seconda metà del Settecento, per
tecnici quali Casimiro Vetromile, Luca Vecchione, Giuseppe Pollio.
La classe degli architetti divisa in Ingegneri Tavolari o del Consiglio; In una «supplica» presentata dagli ingegneri della Regia Corte nel
in Camerali, o della Camera della Sommaria, ed in semplici Architetti 1628 al viceré duca d’Alba176, se da un lato si attribuisce ai profes-
costituisce una classe, ed un numero non indifferente male assortito e sionisti al servizio della Corona la significativa definizione di «Ar-
peggio distribuito. I soli tavolari erano sottoposti all’esame ridotto ad chitetti pagati da Sua Maestà per suoi ingegneri in questo Regno»,
una pura ed invecchiata formalità. Questa classe generalmente opera a che fa il paio con quella coeva di architetto «vulgo ingeniero» e fa
proprio vantaggio, non sempre coi principj e colla conoscenza estesa pensare ancora una volta all’ingegneria come architettura applicata,
delle scienze esatte; ma con un metodo della più ordinaria corretti- determinata da un impiego pubblico177, dall’altro si definisce in ge-
glia, o sia costumanza, che il padre ha lasciato al figlio. Subito che un nerale architetto un tecnico più esperto del tavolario nella «valuta di
giovine si destina a questa ben lucrosa procura di guadagnare prima di un edificio, poiché egli prima se lo figura nell’idea, poi lo pone in
essere perfettamente iniziato nelle facoltà della professione, così rimane disegno, ed al fine lo mette in opera [...]. L’Architetto, oltre diverse
e abbandona lo studio contentandosi di una mera e triviale pratica175. arti liberali, ha da sapere decidere dette differenze», ossia divisare
nelle questioni estimative, come affermava «il Principe degli Archi-
E infatti, fino a tutto il Settecento, si moltiplicheranno le istanze di tetti Vitruvio nel primo libro al capitolo primo».
assunzione nel ruolo di Regio Ingegnere o di Architetto di Casa Di fatto, però, tra millantati crediti e abusi perpetrati a danno del
Reale formulate sulla discutibile base dell’esistenza di più anziani tessuto edilizio cittadino e a tutto vantaggio dei ceti privilegiati,
familiari già occupanti quel posto; in più, come si è visto, stante an- bisognerà attendere la citata prammatica di Carlo di Borbone del
cora la mancanza di moderne istituzioni in materia di formazione 1751 per vedere i tavolari definitivamente esclusi dagli incarichi di
misurazione e stima dei territori, nonché il noto editto di Ferdi-
nando IV del 3 ottobre 1781 per un definitivo riassetto in materia
dal Trecento all’Ottocento, Napoli, Cuen, 1996, pp. 105-124; M. Russo, Magisteri murari di progettazione ed esecuzione di opere edilizie nella capitale, con
“a cantieri” nell’età del viceregno spagnolo, in Murature tradizionali napoletane. Cronologia l’esigenza di una maggiore qualificazione professionale e di un più
dei paramenti tra il XVI ed il XIX secolo, a cura di G. Fiengo, L. Guerriero, Napoli,
L’Arte Tipografica, 1999, pp. 76 sgg. Sin dal 1508 era stato pubblicato lo «Statuto attento iter nell’approvazione dei progetti178.
della Corporazione di Fabbricatori» (muratori, pipernieri, mastri d’ascia, calcarari e
tagliamonti), che nel giro di un secolo reclutò fino a 350 iscritti, svolgendo il com-
pito non facile di controllare la correttezza e la sicurezza dei cantieri e delle opere 176
  Nuova collezione delle Prammatiche del Regno di Napoli, XIV. Napoli, Stamp. Si-
edilizie. L’iscrizione come «Mastro Fabbricatore» era possibile unicamente a seguito moniana, 1805, pp. 248 (De tabulariorum collegio, IX, pp. 147-252). La supplica, allegata
di un esame, autorizzandosi solo così l’assunzione di incarichi, «perché alcuna per- alla prammatica dell’8 marzo 1633, con cui il viceré conte di Monterey riconobbe
sona non sia fraudata in lo magistero de la dicta arte, et le fabbriche siano ben fatte finalmente i diritti rivendicati dagli ingegneri camerali, è riportata testualmente in
et senza fraude». Cfr. Università degli Studi di Bari, Istituto di Storia del Diritto F. Strazzullo, Edilizia e urbanistica...cit., pp. 40-42. Cfr. pure M. Russo, op.cit., p. 88.
Italiano, Raccolta Migliaccio, f.lo 53, Statuto del 1508 (ff.1-3). La necessità dell’esame 177
  R. Esposito, scheda in Scienziati-artisti…cit., p. 134.
e della buona condotta da parte dei maestri fabbricatori, come degli ingegneri 178
  F. Strazzullo, Edilizia e urbanistica...cit., pp. 143 sgg.: 7 luglio 1628. Prammatica
e degli architetti, verrà ribadita con la prammatica del 27 agosto 1564 del viceré III. Il viceré duca d’Alba riafferma i diritti dei Tavolari contro gli abusi di altre figu-
Parafán de Ribera dal titolo «De Magistris Artium Seu Artificibus», recante anche re professionali tra cui Architetti ed Ingegneri, e ordina che gli apprezzi e le cause
norme relative ai tipi e caratteristiche dei materiali da utilizzare nelle costruzioni e si ripartiscano con il sistema della bussola, cioè a sorte. 8 marzo 1633. Prammatica VI.
alla loro precisa provenienza.Tra l’altro veniva creato per la prima volta una sorta di Emanata dal Vicerè Juan Alfonso Pimentel d’Herrera, diretta ai Tribunali di Napoli
albo, posto sotto il controllo di rappresentanti del Collegio dei Tavolari e accessibile e ai Tavolari per interrompere un abuso da tempo invalso: l’affidarsi, da parte dei
solo previo superamento dell’esame al cospetto dell’ingegnere maggiore; venivano Tribunali ed alti ufficiali, gli apprezzi di beni burgensatici o feudali e la misurazione
inoltre individuate le precise responsabilità spettanti agli ingegneri e agli architetti di fabbriche o di territori, a persone incompetenti a danno del collegio dei Tavolari
progettisti, da cui quelle maestranze dipendevano. Nel 1605 nuove modifiche ven- e del pubblico interesse, «nascendo di ciò gran confusione dalle loro relazioni, gran
nero apportate allo Statuto dei Fabbricatori, con cui si legalizzò l’appartenenza alla dispendio de’ litiganti e danno ancora del pubblico per non essere approvati da
Corporazione da parte di ingegneri ed architetti allo scopo di vigilare sulle capacità detta Città». Coloro che si rendevano respon­sabili di tali abusi erano suscettibili del
di questi nell’arte del fabbricare e di migliorarne la preparazione. Cfr. F. Strazzul- pagamento di venticinque once, oltre l’invalidità e nullità delle perizie compilate
lo, Edilizia e urbanistica…cit., pp. 61-76, 133-135.
173
da «personaggi» non qualificati. Si deduce dal documento il ruolo dei Primari e
  T. Colletta, op.cit., pp. 54-55. Tavolari: «detta Città è stata, e sta in pacifica possesione di creare il Primario, e i
174
  F. Strazzullo, Ingegneri camerali…cit., p. 51. Tavolari, ai quali spedisce privileggi, accioche quegli attendano agli apprezzi di feu-
175
  Archives Nationales, Paris, Archives de Joseph Bonaparte, 381 AP, dossier 1, Memoirs di, beni burgensatici e altre robbe, che alla giornata per gli Regii Tribunali occorre
et Projets (suite), docum. s.f., s.d. (ma 1806), presentato a Giuseppe Bonaparte, dal farsi apprezzare, accioche si sappia il vero valore di quegli, e ancora alle misure de’
titolo: «Osservazioni relative alla città di Napoli capitale del Regno». Territorii, fabbriche, piante, terminare sasine, e altre forti di differenze appartenenti

Capitolo terzo
106
Importanti progressi, comunque, si registrano sul piano istituzio- e Filippo Castellano a Bologna presso il matematico Girolamo
nale sin dall’arrivo di re Carlo. Nel 1735 egli istituisce l’Accademia Saladini, di cui faremo cenno a proposito dei suoi rapporti con
di Marina (1735), poi il Corpo degli Ingegneri militari (1742) – essendo Vincenzo Corazza 181.
importante per il sovrano «que el Cuerpo de Yngenieros se componga De Mattia segnala l’importanza della documentazione conservata
de sujetos intelligentes y practicos en la fortification...»179 –, l’Acca- nel fondo Segreteria di Guerra e Marina dell’Archivio di Stato di
demia di Artiglieria (1744), infine l’Accademia del Corpo degli Ingegneri Napoli con riferimento ad una sorta di ‘archivio dello Stato Mag-
militari, o di fortificazione (1754); quest’ultima, con lo scopo specifico giore’ in cui sono molte relazioni e rendiconti, sia a proposito del
di formare i giovani aspiranti ad entrare nel Corpo, detti ingegneri viaggio d’istruzione in Francia degli ingegneri idraulici nel 1787, su
volontari, ebbe come primo direttore il grande matematico Niccolò cui torneremo, sia, specificamente, riguardo all’attività di Giovan-
de Martino. Nel 1769 dalla fusione delle Accademie di Artiglieria e ni Bompiede e alla realizzazione di edifici militari e fortificazioni
degli Ingegneri sorse l’Accademia Militare della Nunziatella, di cui fu nell’intero territorio del Regno182. Il Corpo, riordinato una prima
primo direttore Vito Caravelli, che pubblicò tra l’altro gli Elementi volta nel 1742, poi nel ’52, infine regolato nelle funzioni e nell’or-
di Matematica (1770) e un Trattato di astronomia (1782-84); tra gli altri ganico con l’editto del 2 luglio 1785, era costituito da 3 ingegneri
illustri docenti vanno ricordati Giuseppe Saverio Poli, che scrisse le in capo, 7 in seconda, 9 ordinari, 15 straordinari, 13 volontari e 23
Lezioni di geografia e storia militare (1776) e Giuseppe Parisi, autore aggregati183; ma l’11 dicembre 1788 esso verrà sciolto, confluendo nel
degli Elementi di Architettura militare (1780-87), sul quale torneremo. 1796, insieme con quello degli Ingegneri idraulici, nel nuovo Corpo
Russo nota come tali scuole fossero più aggiornate della stessa del Genio, impostato secondo il modello francese e destinato ad es-
Università nel campo delle applicazioni scientifiche con metodi sere riordinato nel 1806184.
moderni: «Le accademie militari, che istituzionalmente erano le Erano peraltro ingegneri militari anche i membri delle numerose
più legate al re, erano paradossalmente molto aperte alle nuove ‘giunte’ di nomina regia – da quella dei Siti Reali a quella dei tre
correnti culturali e spesso svolgevano un ruolo avanzato anche dal ingegneri alla Soprintendenza delle Strade – cui, tra il 1784 e il ‘98, fu
punto di vista politico. Teorie e metodi tecnico-scientifici aggior- affidata la direzione e manutenzione delle infrastrutture di conto re-
nati vi circolavano liberamente»180. Erano frequenti i viaggi che gio, ossia il principale capitolo, a quell’epoca, nel campo delle opere
docenti e allievi svolgevano all’estero per perfezionarsi, acquisire pubbliche185. All’interno di questi organi era ancora fortissimo l’ac-
nuove tecniche e conoscere opere e macchinari, ma anche negli centramento del potere decisionale nella persona del singolo ammi-
stati italiani, come ad esempio presso le Università di Venezia e nistratore (si trattava in genere di un barone, valga per tutti il caso
di Bologna, per reciproci scambi di libri e strumenti: si ricordano del marchese della Valva186) a discapito dell’effettiva utilità pubblica
tra gli altri i viaggi compiuti sotto la guida di Parisi in Francia e delle opere: spesso, ad esempio, gli ingegneri si prodigavano affinché
in Germania – finalizzati allo studio dei nuovi regolamenti su- una strada collegasse i feudi dei più potenti, producendo per essi
gli istituti di educazione militare e delle scoperte più recenti nel ulteriori vantaggi economici.
campo del genio e dell’artiglieria – e quello di Tommaso Susanna Il carattere specialistico del sapere scientifico e tecnico degli in-
gegneri militari ne costituì ben presto la più evidente diversità ri-
spetto a figure come quella di Vanvitelli, professionista a tutto ton-
a detti Primari, e Tavolari». 1751. Prammatica VIII. Nuovo testo costituzionale con il do, dotato di un cospicuo bagaglio in campo artistico e stilistico,
quale Carlo di Borbone esclude definitivamente i Tavolari dalle mansioni di misu-
razione e stima dei territori, trasferendo di fatto queste competenze ad architetti
di sorprendenti capacità intuitive e di un’insuperabile perizia tec-
ed ingegneri. La disposizione è motivata dalle alte parcelle richieste, dai lunghi nica, ma non certo di una solida preparazione matematica, come
tempi di esecuzione di compiti assegnati e da alcune sovrattasse ingiustificate che egli stesso sottolineò più volte, ad esempio quando, nel criticare le
graverebbero sulle tariffe. 3 ottobre 1781. Prammatica IX. Emanato da Ferdinando
IV, l’editto denuncia le pessime condizioni edilizie della città che rendono indi- capacità artistiche dei tecnici militari, affermò che essi «sanno di
spensabile un controllo legislativo sulla professionalità dei mastri e sulla qualità architettura come io di astronomia o di calcoli differenziali»187. Ma
delle opere: è più che mai necessario punire i fenomeni di mal costume e le frodi,
imporre il rispetto delle misure, dei modi costruttivi e tutto ciò che nel campo della l’esigenza di una connotazione specialistica della formazione pro-
costruzione si era assunto per tradizione. Proposizioni sostanziali dell’editto sono: fessionale era ormai ineluttabile, come dimostra l’istituzione, con
l’obbligo di qualificazione professionale per i progettisti e gli esecutori edili, accer- decreto di Ferdinando IV del 26 settembre 1777, di una cattedra
tata (previo esame) dall’iscrizione ad un Albo depositato presso la Real Camera di
Santa Chiara; l’obbligo di presentare ai Tribunali i progetti relativi al restauro o alla di Architettura civile e geometria pratica nella Facoltà di Scienze
costruzione di nuove opere, con la precisa indicazione delle altezze, dei piani, del fisiche e matematiche dell’Università di Napoli, l’unica istituzione
tipo di fondazioni da adottare (si raccomanda in proposito di «badare per quanto
più si può all’eleganza esteriore né servire all’ingordigia dei privati o al proprio abilitata alla formazione di architetti da impiegarsi nel ramo delle
interesse, per istare lungamente impiegato con progettare strabocchevoli altezze
con diversi ordini di appartamenti sopra deboli basi»); il divieto di eseguire qualsiasi
genere di scavo, constatati i danni provocati da «scavi e grotte sotterranee furtive o 181
  La Scuola d’Ingegneria…cit., p. 31.
non regolari, che con sottrazione di lapillo, pozzolana e pietre si farebbero, o per 182
facilitare la costruzione delle fabbriche, o per la vendita degli anzidetti materiali»;   F. De Mattia, op. cit., p. 80: «Notiamo, in proposito, che se la ‘relazione e conto
il divieto di realizzare «puntellature» che «non solo deturpano l’esteriore di questa prudenziale’ di un’opera militare, ’il progetto di massima’, cioè, sottoposto ad ap-
Nostra tanto cospicua Capitale, ma come d’un temporaneo riparo non sono di provazione, sono sempre di un militare, la ‘misura finale e apprezzo’ dei lavori sono
bastevol sicurezza al pubblico, agli abitanti e alle case vicine» con il conseguente sempre invece di una coppia di tecnici, militare l’uno camerale l’altro. Spesso, più
obbligo di «presto rifare tali rovinosi edifizii»; l’organizzazione ed i compiti speci- in generale, le due figure sono appaiate nello stesso incarico e talvolta la necessità
fici del Tribunale della Fortificazione. L’editto è in effetti da considerarsi insieme del doppio incarico viene ricondotta a già note disposizioni di Sua Maestà in pro-
una legge professionale e un regolamento edilizio; con esso il sovrano ordinò che posito, che però non sappiamo oggi quali fossero».
183
i professionisti, prima di eseguire un’opera, redigessero «il progetto dell’opra in   La Scuola di Ingegneria... cit., p. 18.
184
scritto» precisando il numero dei piani, la profondità delle fondazioni e la sezione   M. d’Ayala, Napoli militare, Napoli, Stamp. dell’Iride, 1847, p. 190.
185
delle murature in elevazione, «affinchè in ogni tempo si abbia un sicuro documento,   La Scuola d’Ingegneria…cit., p. 20.
onde sia il Direttore responsabile per le mancanze di sue perizie, e il Capomastro 186
  G. Foscari, Dall’arte alla professione. L’ingegnere meridionale tra Sette e Ottocento,
de’ difetti o delle frodi commesse nell’esecuzione». Gli elaborati dovevano essere Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1995, p. 23, e Le città nella storia d’Italia. Potenza, a
consegnati presso i tribunali e una copia di essi sarebbe stata custodita nell’archivio cura di A. Buccaro, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 98-99.
della Camera di S. Chiara. 187
  F. Strazzullo, Lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca Palatina di Caserta, Galati-
179
  ASNa, Scrivania di Razione, «Reali ordini», vol. 54, f. 102v, cit. in F. De Mattia, na, Congedo, 1976, II, pp. 343-344; A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-scientifica
op. cit., p. 74. in epoca vanvitelliana: dall’architetto allo «scienziato-artista», in Aa.Vv., Tecnologia scienza
180
  R. De Sanctis, La nuova scienza a Napoli tra ‘700 e ‘800, Roma-Bari, Laterza, e storia per la conservazione del costruito, «Annali della Fondazione Callisto Pontello»,
1986, p. 61. n. 1 (mar.-giu. 1987), p. 185.

Lo scenario professionale
107
Per tutto il Settecento sarà proprio l’Università l’ambito più propi-
zio alla formazione dei nuovi tecnici e il terreno fertile delle idee
fondate sul motivato interesse che suscitavano le scienze applicate,
specie grazie all’opera di insigni studiosi meridionali, da Giam-
battista Vico a Celestino e Ferdinando Galiani, da Bartolomeo
Intieri al Genovesi 190. Ma, sotto il profilo di un diretto utilizzo di
quelle scienze nella pratica professionale, spettano ancora alla sfera
militare – proprio quella che, come abbiamo visto, per oltre due
secoli aveva mostrato una chiara diffidenza nei confronti di un
predominio delle nuove scienze sulla tecnica – non solo le migliori
occasioni di sperimentazione, ma anche il merito di un avanzato
aggiornamento didattico delle proprie scuole. E infatti nel corso
di studi dell’Accademia Militare della Nunziatella e in quella di
Guardia Stendardi già sul principio degli anni ‘80 vennero inclu-
se discipline come l’algebra, la geometria, il calcolo integrale e
differenziale, la topografia, la meccanica 191 , indispensabili per poi
operare nei corpi militari.
Il Corpo degli Ingegneri idraulici192 , istituito con regio editto del 2
luglio 1785 su iniziativa di Giovanni Bompiede, il quale ne fu an-
che il primo direttore, e formato da tre tenenti colonnelli sotto-
direttori ingegneri, tre tenenti ingegneri e tre alfieri ingegneri,
ebbe da lord Acton e dallo stesso Bompiede una spinta di respiro
internazionale, sia quanto al funzionamento, sia ai rapporti con le
analoghe strutture straniere, segnatamente quella francese: come
scrive il d’Ayala, «si vide sorgere eziandio il genio idraulico sotto
i cenni del brigadiere Bompiede e poscie Errico Sanchez de Luna
recandosi i migliori alunni usciti dalla militare accademia ad am-
maestrarsi nelle pratiche massimamente colà nelle scuole di Mez
e di Mezziere [sic] già fondate nel 1748 e ne’ porti di Scerburgo e
Brest sotto la condotta del tenente Dillon napolitano»193 . La spe-
dizione in Francia del febbraio 1787, che vide protagonisti con
Giacomo Dillon i tre «alfieri» Vincenzo Tirone, Francesco de Vito
Giovanni Bompiede, pianta del porto di Bari, 1760. Napoli, Archivio di Piscicelli e Francesco Costanzo, consistette in una parte di appren-
Stato (da Scienziati-artisti..., a cura di A. Buccaro, F. De Mattia)
dimento teorico presso la École des Ponts et Chaussées – ove era
docente Jean-Rodolphe Perronet, vero ‘mito’ dell’ingegneria eu-
opere pubbliche188: l’iniziativa va inquadrata all’interno della riforma ropea, che essi conobbero194 – e in una parte pratica di sopralluoghi
dell’Università concepita dal segretario di Stato Giuseppe Beccadel- presso i principali porti francesi, sotto la guida degli ingegneri
li marchese della Sambuca, in risposta all’esigenza di uno sviluppo che ne dirigevano le opere: in particolare nel porto di Brest erano
applicativo delle scienze già auspicato da un decennio da Antonio in via di completamento gli interventi iniziati nel 1786, mentre
Genovesi. Dal 1777 all’89 fu docente della materia l’ingegnere Giu- in quello di Cherbourg nel 1780 l’ispettore generale de Cessart
seppe Tarallo e dal 1789 al ‘99 l’ingegnere idraulico Ignazio Stile: ciò aveva intrapreso opere decisamente all’avanguardia. I grafici ela-
è sintomatico di come, a fronte della notata finalità specialistica, l’in- borati dagli allievi durante le esercitazioni in Francia venivano
segnamento fosse ancora considerato alla portata (se non di com- inviati a Napoli allo scopo di dar vita a un archivio del Corpo 195.
pleto appannaggio) degli ingegneri ‘veterani’ del servizio pubblico. L’importanza del «Corpo Idraulico» verrà nuovamente sottolineata
Così, ancora in assenza di una reale distinzione dei ruoli, e in man- nel 1802196, ma la proposta di una sua ricostituzione autonoma rispet-
canza di una Scuola di Ingegneria, per la quale si dovrà attendere il
governo napoleonico, o di un’Accademia di Architettura, che nasce-
190
rà solo nel 1802, i futuri professionisti potevano formarsi indistinta-   Ibidem.
191
  M.G. Pezone, Carlo Pollio “ingegnere idraulico”: da erede dell’esperienza tecnica van-
mente sia attraverso il corso di studi matematici presso l’Università, vitelliana a precursore dell’ingegnere del Corpo di Ponti e Strade, in Luigi Vanvitelli, a cura
seguito da un tirocinio presso uno studio professionale accreditato, di A. Gambardella, Caserta, Ed. Saccone, 2005., p. 530.
192
sia presso l’Accademia di Belle Arti, sia, infine, presso le scuole mili-   Cfr. sull’argomento A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero»…cit., pp.
24 sgg., e M.G. P ezone, Ingegneria idraulica in età borbonica: l’opera di Giovanni
tari, le uniche ‘specialistiche’189. Bompiede, in Storia dell’Ingegneria, Atti del 1° Convegno Nazionale (Napoli, 8-9
marzo 2006), a cura di A. Buccaro, G. Fabricatore, L. Papa, Napoli, Cuzzolin
Editore, 2006, II, pp. 877-878.
193
  M. d’Ayala, Napoli Militare, Napoli, Stamperia dell’Iride, 1847, p. 189. Cfr. M.G.
188
  La Scuola d’Ingegneria…cit., p. 32. Con l’occupazione francese, nel 1806, essa Pezone, Carlo Pollio…cit., p. 542.
194
verrà abolita, venendo ripristinata solo dopo la Restaurazione e con finalità diverse.   ASNa, Segreteria di Guerra e Marina, II s., a. 1787, docc. vari. Su iniziativa di Per-
In effetti, presso l’Università l’insegnamento delle matematiche elementari era stato ronet, nel 1747, era stata fondata a Parigi l’École des Ponts et Chaussées, con il compito
introdotto sin dal 1654 e una cattedra stabile della materia nel 1703; ma la reale ne- di preparare i tecnici del Corp des Ponts et Chaussées, formato sin dal 1716; l’École si
cessità di un’applicazione di quest’ultima alle scienze sperimentali fu avvertita solo strutturò fino alla fine degli anni Settanta sotto la guida di Perronet, divenendo ben
a partire dalla prima riforma universitaria avviata alla metà del secolo su iniziativa presto un organismo di grande efficienza burocratica e scientifica. Nel ‘49 era stata
di Celestino Galiani, allorché la disciplina fece capo a due cattedre, l’una di Geo- pure istituita l’École des Ingegnieurs de Mezieres, atta a preparare gli ufficiali del Genio.
195
metria, aritmetica e algebra, l’altra di Astronomia, nautica e meccanica.   M.G. Pezone, Carlo Pollio…cit., p. 530.
189 196
  A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero»…cit., pp. 24 sgg.   Si veda ASNa, Archivio Borbone, vol. 692, doc. s.d. (ma 1802), s.f.

Capitolo terzo
108
to a quello degli Ingegneri militari troverà esito solo nel 1815, allor- fronta infine i problemi secolari del porto di Brindisi, ridotto ad
ché si fonderà il Genio idraulico, che resterà autonomo fino al 1842197. un lago per l’insufficiente deflusso delle acque nel suo seno; ma,
Se, specie al tempo di Carlo di Borbone, gli ingegneri militari non nonostante il progetto ideato insieme con il Caravelli nel 1775,
napoletani reclutati dal sovrano per opere di committenza reale non basato sull’apertura di un canale tra la rada e il porto interno, in
sempre seppero rispondere degnamente all’alto livello degli incari- modo da rimettere quest’ultimo in funzione con la costruzione
chi ricevuti – si pensi solo alle ‘discusse’ prestazioni di Antonio Ca- di due nuovi moli e la bonifica delle aree paludose, alla fine de-
nevari e di Giovan Antonio Medrano rispettivamente per i palazzi gli anni ’80 i problemi si ripresenteranno, dovendosi interveni-
di Portici e di Capodimonte – non si può negare che, specie all’e- re, come vedremo, più volte ancora. Tra le sue pubblicazioni è il
poca di Ferdinando IV, proprio tra i più giovani allievi della scuola saggio su Le strade antiche e moderne del Regno di Napoli e riflessioni
militare napoletana non tardarono ad emergere figure di particolare sopra li metodi di esecuzioni e meccaniche, edito a Napoli nel 1784: al
importanza, segnalandosi sia per le loro opere, sia per i contribu- primo volume, in cui Pigonati si occupa, tra l’altro, delle irrego-
ti teorici, anche in campi più specificamente architettonici, come larità diffuse nella gestione locale degli appalti e delle difficoltà
quello delle tipologie dell’edilizia pubblica, quali porti, carceri, cam- degli ingegneri nel far fronte ai soprusi dettati dagli interessi di
pisanti, lazzaretti, mercati, teatri. In varie occasioni abbiamo posto privati e appaltatori, avrebbe dovuto far seguito un secondo tomo,
l’attenzione su questi professionisti con riferimento all’azione da dai contenuti tecnici, che però non vide la luce. Ma nel 1834 Carlo
essi svolta specie negli ultimi decenni del secolo e tesa a segnare il Afan de Rivera si dirà poco entusiasta dell’operato di questo pro-
passaggio da una formazione eminentemente tecnica di estrazione fessionista 199 , come del resto di molti altri, non lesinando critiche
militare ad una teorico-pratica finalizzata al settore civile, che carat- persino nei confronti di noti scienziati, come Carletti o Caravelli,
terizzerà le nuove istituzioni napoleoniche nel campo della didattica autori di testi fondamentali non solo in ambito meridionale200.
dell’ingegneria come in quello della progettazione e direzione delle Carlo Pollio201, figlio del citato Giuseppe, fu espressione autentica
opere pubbliche nel Regno di Napoli. dell’evoluzione tecnico-scientifica dell’ingegneria napoletana negli
Ma, prima di giungere a quelle esperienze, a cavallo della metà del anni ’70-‘80. Egli si formò all’Università, studiando matematica con
Settecento ancora una personalità, e nuovamente non napoletana, l’abate Giuseppe Marzucco e idraulica sulla base dei più importanti
era destinata a spiccare sulle altre. Si tratta del già citato Giovanni trattati italiani e francesi, attraverso la Raccolta d’Autori che trattano del
Bompiede198, il quale senza dubbio si segnala per l’enorme mole di moto delle acque […] disposta in un ordine più comodo per gli studiosi di
opere dirette in molti luoghi del Regno. Di origini torinesi, egli fu questa scienza, comparsa tra il 1765 e il 1774202, e le ben note Institu-
ingegnere idraulico e architetto della Marina Militare napoletana, zioni di meccanica, d’idrostatica, d’idrometria e dell’Architettura statica e
noto, tra gli altri importanti lavori, per la costruzione a Napoli del idraulica dell’abate Paolo Frisi del 1777, compendio divulgativo di
nuovo porto al Mandracchio e la sistemazione della strada Marinella numerosi contributi sparsi in pubblicazioni specialistiche203. In am-
(1740-49), di cui divenne unico responsabile dopo l’estromissione di bito napoletano egli poté attingere alle opere in materia di idrauli-
Medrano nel 1743; negli anni Cinquanta si occupò dei porti pugliesi ca di Lamberti, Carletti e Zoccoli204. Inoltre viaggiò in Toscana, in
di Bari, Trani, Bisceglie, Barletta, Brindisi e Taranto, infine di quelli Lombardia e nel Veneto. Dal 1786 fu ingegnere camerale ordinario,
del Granatello e di Nisida. Fu tra l’altro «Ingegnere Direttore delle venendo impiegato in tutte le numerose opere di bonifica idraulica
opere di Marina» dal 1780 e, come abbiamo visto, primo diretto- intraprese dal governo borbonico in quel periodo: tra esse, negli
re del Corpo degli Ingegneri Idraulici. Nella figura di Bompiede anni ’90, quella del Vallo di Diano, della piana di Fondi, del terri-
si concentra dunque la politica delle opere idrauliche da Carlo di torio del Lago di Patria, della riserva reale di Volla e della tenuta di
Borbone a Ferdinando IV, ma soprattutto egli rappresenta in ambito Carditello. In seguito fu in Puglia, per risolvere ancora una volta
napoletano l’esempio più significativo della continuità della tradi- il problema del porto di Brindisi: il suo progetto per una radicale
zione in quel settore. bonifica fu prescelto dal sovrano nel 1789, iniziandosene poco dopo
Poco dopo operò Andrea Pigonati, il più noto degli ingegneri l’esecuzione; ma sul principio degli anni ’30 sarà Giuliano de Fazio
portuali del Mezzogiorno nello scorcio del XVIII secolo, che per a dover affrontare nuovamente il problema205.
primo, dopo Bompiede, iniziò ad affrontare con sistematicità le
problematiche connesse agli scali del Regno, specie in Puglia e in
Sicilia, non sempre, però, riuscendo nell’impresa, anche per l’esi- 199
  A. Di Biasio, Ingegneri e territorio nel Regno di Napoli 1800-1860. Carlo Afan de
guità delle risorse a disposizione. Pigonati risulta essere ingegnere Rivera e il Corpo di Ponti e Strade, Latina, a cura dell’Amministraz. Provinciale, 1993,
p. 32. In un documento del 1834 a firma di de Rivera (ASNa, Ponti e Strade, II serie,
militare sin dal volgere degli anni ’50, allorché è «aggregato» del fsc. 1178, dal titolo «Su l’attuale stato delle strade nelle diverse province del regno»),
Corpo reale degli Ingegneri e assegnato alla piazza di Palermo: leggiamo a proposito di Pigonati: «Per conoscere con quale ignoranza sieno state
lavora ad Ustica e a Messina, ove tiene un insegnamento di mate- tracciate tutte le nostre vecchie strade bisogna leggere la memoria pubblicata per
le stampe nel 1783 dell’ingegnere militare Andrea Pigonati intorno al progetto della
matica per i cadetti della guarnigione militare. Nel 1768, promosso strada da Castel di Sangro a Sulmona. La parte descrittiva, lungi dal presentare alcu-
ingegnere straordinario, viene inviato a Benevento, occupata dalle na nozione topografica della contrada, si limita alla semplice indicazione dell’antico
sentiero cavalcabile ed il progetto consiste nel rendere eguale e declive, nel sollevar-
truppe borboniche, e poi a Nola, ove progetta un reclusorio per lo nei luoghi concavi e nel deprimerlo negli elevati […]».
poveri. In seguito lavora nei porti siciliani di Trapani e Girgenti, 200
  ASNa, Archivio Borbone, I, fsc. 857, «Osservazioni del Direttore generale dei
entrando nella nuova Giunta dei Porti insieme con P.A. Poulet, Ponti e Strade sul progetto di riordinamento del servizio», cit. in A. Di Biasio, op.
cit., p. 32, e A. Buccaro, Carlo Afan de Rivera ingegnere e pubblico amministratore nello
R.J. de Alcubierre, L. Perischelli, G. Bompiede e P. Sbarbi. Af- Stato borbonico, in «Rassegna ANIAI», n. 4 (ott.-dic. 1988), pp. 8-18.
201
  M.G. Pezone, Carlo Pollio…cit., p. 532. Il padre, Giuseppe Pollio, fu ingegnere
camerale di formazione vanvitelliana, attivo nei Regi Lagni e nelle saline di Bar-
197
  M. d’Ayala, op.cit., p. 191. letta, opere nelle quali fu affiancato dal figlio ancora giovanissimo; egli era infatti
198 ingegnere della Giunta de’ Lagni dal 1753, collaborando anche per alcuni anni con
  M.G. Pezone, Architetti dei Borbone nel Settecento. Formazione e cultura professionale
Giuseppe Astarita.
tra arte e tecnica, in L’architettura dei Borbone di Napoli e delle due Sicilie, a cura di A. 202
Gambardella, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 2005, pp. 181 sgg.; Id., Ingegneria   In 9 tomi, Firenze, Stamperia di S.A.R.
203
idraulica in età borbonica…cit., pp. 875-886. Si vedano pure riguardo a Bompiede,   M.G. Pezone, Carlo Pollio…cit., p. 532.
204
F. Strazzullo, Architetti e ingegneri…cit., p. 37; A. Di Salle, scheda in Scienziati-   Cfr. il capitolo quarto del presente studio.
205
artisti…cit., p. 158.   A. Buccaro, Opere pubbliche…cit., pp. 64-66.

Lo scenario professionale
109
Filippo Fasulo, progetto di bonifica dei terreni paludosi a Bagnoli, 1767. Napoli, Archivio di Stato (da Scienziati-artisti..., a cura di A. Buccaro, F. De Mattia)

Una formazione strettamente militare ebbe infine Giuseppe Pari- ingegneri idraulici. Tra il 1807 e il 1810, sotto il governo francese,
si206, nato a Moliterno nel 1750 e vissuto fino al 1831, il quale co- Parisi elaborerà come Ispettore del Corpo del genio due progetti
minciò la sua lunga carriera nel 1768 come cadetto dell’Accademia educativi, da cui avrà vita nel 1811 l’istituzione della Scuola Poli-
di artiglieria, divenendo brigadiere nel 1770. Nel ’72 fu nominato tecnica e Militare, destinata a sostituire l’accademia con lo scopo di
ingegnere militare col grado di sottotenente, iniziando ad insegnare «propagare la cultura specialmente nel campo delle scienze mate-
matematica presso l’Accademia militare. Oltre alla ricordata produ- matiche» nella formazione degli allievi delle scuole di applicazione
zione teorica e all’importante esperienza segnata dal viaggio con d’artiglieria di terra e di mare, del genio, di ingegneria delle costru-
gli allievi in Francia e in Germania, Parisi si occupò di numerosi zioni marittime e di ponti e strade; ma la «Politecnica» sarà dismessa
lavori in Calabria, nonché della sistemazione dell’emissario di Clau- nel giro di pochi anni, continuando a funzionare la sola Scuola di
dio. Capitano del genio dal 1786, attese al Piano dell’Istituto scientifico- Applicazione di Ponti e Strade, su cui torneremo, che invece avreb-
pratico da stabilirsi nella Reale militare accademia, ossia la Nunziatella, be dovuto costituirne la specialistica207. Parisi concluderà con la fine
all’interno del quale sottolineò con decisione l’assenza, tra i libri di del Decennio francese la propria brillante carriera: la significativa
testo, di un trattato di architettura e di idraulica atto a dare agli al- stagione dei tecnici di formazione settecentesca avrà così termine,
lievi competenze sufficienti per aspirare ad essere poi reclutati come iniziando la pur appassionante vicenda preunitaria.

206 207
  I. Di Nocera, scheda in Scienziati-artisti…cit., p. 171.   A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero»…cit., p. 28.

110
Capitolo quarto
Vincenzo Corazza, l’Italia dei Lumi
e la corte di Napoli: gli echi di Leonardo
nel Mezzogiorno contemporaneo

I. Corazza e l’ambiente culturale dopo aver prestato servizio a Milano in qualità di aio presso la fa-
dell’Illuminismo italiano: miglia Litta, è a Roma, ricevendo il titolo di ‘abate’ e restando atti-
da Bologna a Roma a Napoli vo come arcade nella capitale pontificia. Qui stringe amicizia con
numerosi eruditi membri della «Società dell’Arco», nella cui sede

P rima di affrontare le problematiche relative all’ambiente cul-


turale in cui si svolge l’attività intellettuale di Vincenzo Corazza
negli svariati campi del sapere che i suoi studi affrontano, conside-
vengono letti periodicamente i componimenti poetico-letterari dei
soci: tra essi, quelli del bolognese risultano particolarmente apprez-
zati3. Tra i più assidui frequentatori del cenacolo romano troviamo
reremo la più generale esperienza di vita del Nostro. Quest’ulti- letterati di cui egli diverrà grande amico, del calibro di Giuseppe
ma appare caratterizzata da circa mezzo secolo di relativa agiatezza, Parini4, Ippolito Pindemonte (denominati in Arcadia, rispettiva-
vissuto, tra alterne vicende, tra Bologna e Roma, per poi versare mente, «Darisbo Elidonio» e «Polidete Melpomenio»), Pier Antonio
gradualmente in uno stato di disagio economico e di precarietà Serassi, poeta e oratore bergamasco con cui Corazza manterrà stretti
nei quasi trent’anni di permanenza a Napoli. Più crescerà, in Italia, rapporti almeno fino al 17855, e poi l’architetto e pittore bolognese
la sua fama di letterato e bibliofilo, critico d’arte e di architettura, Carlo Bianconi6: questi, allievo dello scultore Ercole Lelli, docente
massimo esperto vinciano e appassionato studioso delle scienze più
varie, maggiori saranno le difficoltà personali, tanto da non riuscire
M. Rascaglia, I manoscritti di Leonardo e un abate del ‘700, in Aa.Vv., Acqua continuum
a dare alle stampe che una minima parte della sua vasta produzione vitae…il divenire Mediterraneo nel racconto dell’Arte e della Scienza, Salerno, Artecnica
teorico-artistica e letteraria. Production, 2000, pp. 39-53. Nel Dizionario Biografico degli Italiani non c’è nulla su
Corazza, come pure in tutti i repertori biografici concernenti l’area dell’Emilia
Romagna. Cfr. pure A.M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon,
Corazza nasce il 14 gennaio 1722 a Bologna da famiglia agiata, de- Roma, ediz. Arcadia-Accad. Letteraria Italiana, 1977, s.v. Licinio Foloniano: «Vin-
dita al commercio1. Intorno alla metà del secolo è già noto come cenzo Corazza da Bologna: cfr. Morei, 1743-66; IV, 1496» (si fa riferimento a M.G.
Morei, Memorie istoriche dell’Adunanza degli Arcadi, Roma, stamp. de’ Rossi, 1761);
poeta, letterato ed esperto d’arte e di architettura, divenendo pastore M. Saccenti, M.G. Accorsi, La colonia Renia. Profilo documentario e critico dell’Arcadia
arcade della Colonia Renia con il nome di «Licinio Foloniano» bolognese, Bologna, Mucchi, 1988, passim.
3
e membro dell’Accademia Clementina2. Alla metà degli anni ‘60,   La documentazione archivistica dell’Accademia romana dell’Arcadia è oggi con-
servata presso la Biblioteca Angelica: cfr. A.M. Giorgetti Vichi, op. cit., passim. In
particolare, si fa riferimento al citato vol. IV dell’archivio, detto custodia Morei (1743-
1766), in cui è l’indice dei nomi arcadici seguiti dai nomi di famiglia. L’Arcadia era
1
 I genitori, Sebastiano Corazza e Teresa Biondi, avevano un negozio in via «del accademia pontificia e per questo godeva della protezione della Curia romana;
Mercato di mezzo», ove in un primo tempo il giovane Vincenzo lavorò, ma una essa affiliò intellettuali di ceti e ranghi diversi, rispecchiando pienamente i mille
serie di infortuni in ambito commerciale lo scoraggiarono dall’intraprendere la interessi, ma anche le frivolezze, della società europea settecentesca e delle più
strada dell’attività di famiglia. Sin da ragazzo, educato presso il Collegio Seminario varie convinzioni ideologiche, fino ad accogliere, con il nome di Museo Pegaside,
di Bologna, fu molto attratto dagli studi letterari, in particolare dalla poesia, ma il grande Voltaire. A p. 162, al nome di Licinio Foloniano corrisponde «Vincenzo
anche dalle discipline dell’ambito scientifico e artistico. Si sposò nel 1745, ma «aven- Corazza da Bologna»: vedi Roma, Biblioteca Angelica, archivio dell’Accademia
do una donna da Teatro alquanto capricciosa dissipò le sostanze paterne, e rimase dell’Arcadia, vol. IV (custodia Morei, 1743-66), f. 1496. Tra le altre fonti bibliografiche
sprovvisto del necessario. Il Senato di Bologna gli fu scortese ed ingrato ed ingiusto citate dalla Giorgetti Vichi, troviamo: Raccolta di prose pastorali recitate…nell’adunanza
anche si può dire, perché non lo ammise tra i suoi Segretarj, quando avendo fatto degli Arcadi a Roma, Roma, stamp. de’ Rossi, 1763; Sonetti ed orazioni in lode delle nobili
i dovuti esperimenti, ed il suo giudicatosi il migliore dal n.ro Fr. Zanotti, il Senato arti del disegno, pittura, scoltura ed architettura, Roma, presso F. Bizzarrini Komarek,
lo escluse per essere imperfetto della persona, né l’aspetto grazioso. Ebbe triche 1764; G.A. Monaldini, Saggio sopra l’architettura, prefaz. a F. Milizia, Le vite dei più
coll’Inquisizione né so perché. Indispettito passò a Roma. Per qualche tempo visse celebri architetti d’ogni nazione e d’ogni tempo, Roma, stamp. P. Giunchi Komarek, 1768;
miserabilmente. Fu accolto in casa d’un Conte […]». Corazza fu Accademico di Accademia dell’Arcadia, Adunanza tenuta dagli Arcadi in morte del cav. A.R. Mengs,
Rovereto, di San Luca, degli Intronati, dell’adunanza letteraria del duca di Belforte, detto in Arcadia Dinia Sipilio, Roma, B. Francesi, 1780; P. Giannantonio, L’Arcadia
dell’Accademia di Perugia, dell’Arcadia di Roma, e «per molto tempo Bibliotecario napoletana, Napoli, Liguori, 1962; C. Di Biase, Arcadia edificante, Napoli, Ediz. Scien-
dell’Istituto [delle Scienze di Bologna] in luogo dei SS.ri Montesani Padre e Figlio». tifiche Italiane, Napoli 1969.
4
Per queste e altre notizie biografiche su Corazza, cfr. Biblioteca Comunale dell’Ar-   G. Natali, Il Parini a Roma nel Settecento, in «Giornale storico della Letteratura
chiginnasio di Bologna (d’ora innanzi BCABo), F.S. Biografie, cart. I, n. 5, appunti Italiana», a. IX (1931), pp. 71-79. Corazza è ricordato come «uno dei più dolci amici
vari s.d., s.f. Ringrazio la dott.ssa Arabella Riccò, funzionario di quella biblioteca, che avesse il Parini» in «Rivista europea. Giornale di Scienze morali, Letteratura ed
e la prof. Beatrice Bettazzi per la disponibilità in fase di consultazione. Con riferi- Arti», a. 1846, parte I, p. 705.
5
mento alla data precisa della nascita di Corazza, a dispetto di quanto si rileva negli   Nato a Bergamo nel 1721 e spentosi a Roma nel 1792, fu un grande esperto
appunti biografici citati, che in qualche caso riportano genericamente l’anno 1721 del Tasso. Cfr. P.A. Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, stamp. Locatelli,
e in un altro la data del 5 aprile 1722, fa fede sopra tutti la lettera inviata al fratello 1790. Cfr. presso la Biblioteca Civica e Archivi Storici “Angelo Mai” di Ber-
Domenico il 28 gennaio 1794 (BCABo, Coll. Aut., XXI, ms. 6055), in cui l’abate gamo (Fondo Lettere di vari corrispondenti a Pietro Antonio Serassi, 66 R 8 [12) due
scrive: «…da’ quattordici corrente, nella mezza notte seg.te, ho compiuti anni 72». lettere di Vincenzo Corazza del 13 ottobre 1770 da Roma e del 12 febbraio 1785
2
  Riguardo alla figura e all’opera di Corazza, oltre alla documentazione dell’Archi- da Napoli, entrambe improntate ad un rigoroso genere letterario arcadico. Se
ginnasio bolognese, cfr. pure R. Baldi, Due abati del ‘700: Aurelio Bertola e Vincenzo nella prima il Nostro si duole della partenza di Serassi da Roma per far ritorno
Corazza. Contributo allo studio dell’Arcadia con documenti inediti, Cava de’ Tirreni, E. a Bergamo (cita anche altri letterati della Società dell’Arco, da Taddei a Orsini
Di Mauro, 1911, e G. Natali, Storia letteraria d’Italia. Il Settecento, p. II, Milano,Vallardi, a de’ Vegni a Sperandio), nella seconda, dopo quindici anni, Corazza descrive a
1960, p. 688. I carteggi della Biblioteca Nazionale di Napoli [d’ora innanzi BNN], Serassi il proprio desiderio di pubblicare una raccolta di un centinaio delle più
Manoscritti e rari, X. AA. 28, 29, 29bis, sono ricchi di documenti inediti, contenenti belle lettere mai scritte da letterati italiani dal XIV al XVIII secolo, «che servir
– molti allo stato di bozza e spesso incompleti – componimenti poetici e letterari, possano di modello, qual dicesi essere stato già a’ greci scultori il canone di
testi teatrali e traduzioni di classici latini e greci, trattati di eloquenza, grammatica, Policleto». L’abate si lamenta delle proprie condizioni fisiche, in particolare del
filosofia e persino di musica, cui si alternano dimostrazioni di teoremi geometrici, sensibile abbassamento della vista.
6
indagini in ambito matematico, fisico, astronomico e naturalistico, oltre all’esposi-   Riportiamo la scheda presente nel sito web della Certosa di Bologna (http://.
zione di programmi didattici in varie materie finalizzati all’attività di precettore. certosa.cineca.it) di C.Vernacotola: «Carlo Bianconi (Bologna 1732-Milano 1802)
Altri manoscritti, di cui pure in buona parte ci occuperemo, sono oggi all’interno fu pittore, scultore, architetto e incisore, ma anche uomo di lettere e colto collezio-
di altre raccolte miscellaneee presenti presso la stessa sez. Manoscritti e rari. Cfr. pure nista d’arte. Nato a Bologna, studiò nella città natale prima come allievo dello zio

[111]
presso l’Accademia Clementina e segretario di quella di Brera (dal
1778 al 1801, quando gli succederà Giuseppe Bossi) e pittore noto
per le decorazioni «all’antica» eseguite in numerosi palazzi bolo-
gnesi, fu sostenitore del gusto antibarocco sulla scia del veneziano
Algarotti, presente a Bologna sin dal 1756. Il ruolo di Bianconi va
senz’altro considerato nell’individuazione dei caratteri peculiari del
pensiero artistico di Corazza e quale principale sostenitore, insieme
con Angelo Comolli, dei suoi studi su Leonardo. Ma più di tutti
spiccano, per l’importanza avuta nella maturazione della coscien-
za critica del bolognese, il grande pittore e teorico del neoclas-
sicismo Anton Rafael Mengs e l’architetto Giacomo Quarenghi7.

tra loro in perfetto accordo con l’architettura della sala, secondo il buon gusto neo-
classico. Nell’ambiente ad ovest dell’edificio vi sono scene riguardanti il mito di
Apollo, mentre la volta è a grottesche. Nel vano a sud del palazzo sulle pareti vi sono
riquadri con le fatiche di Ercole, mentre il soffitto voltato a padiglione, scompartito
in fasce, presenta trapezi con dentro le figure allegoriche della Giustizia, della Tem-
peranza, della Forza e dell’Abbondanza. In quegli stessi anni Bianconi progettò e
realizzò una galleria nel Palazzo Malvezzi–Lupari, collaborando attivamente con i
sui allievi Filippo Pedrini, Prospero Pesci e Vincenzo Martinelli. Le due porte d’in-
gresso per accedere al locale sono sormontate da una formella con scolpita una
scena legata al mito di Ercole; anche le finestre sono incorniciate da decorazioni,
affinché l’impianto decorativo non subisca interruzioni, ma trovi giustificato nella
composizione anche l’elemento architettonico. Il soffitto voltato si divide in diversi
comparti in cui figurano amorini in forme romboidali e cammei con figure allego-
riche tutti intorno. Le lesene, che dividono in diverse scene l’apparato compositivo
della decorazione, poggiano su un basamento ricco di elementi in stucco raffiguran-
ti aquile, cornucopie, candelieri, virtù alate, festoni, fiori e frutta. Non si occupò solo
di gallerie Bianconi in questi anni, ma nel 1774 progettò la facciata di palazzo Zam-
beccari, realizzandone le decorazioni. Al suo fianco lavorarono gli scultori Luigi
Acquisti, Sebastiano Cavina e Giovanni Lipparini. L’edificio esternamente presenta
la classica sovrapposizione rinascimentale dei tre ordini architettonici e molte sono
le citazioni della mitologia classica nei rilievi scultorei. Due mensole di stucco evi-
denziano le finestre del piano terra, contornate da cornici in arenaria e sormontate
da bassorilievi in terracotta. Le finestre del piano nobile sono soverchiate da fronto-
ni ora triangolari, ora curvilinei che si alternano e le mensole sono riccamente de-
corate in cotto. Anche il portone è ornato in alto da bassorilievi di terracotta, come
si usava a Bologna nel Rinascimento. Bianconi realizzò anche i piccoli medaglioni
che ornano le ante del portone, nonché i picchiotti in bronzo. Anche dopo il suo
trasferimento a Milano, avvenuto dopo i quarantasei anni di età, continuò a dare
suggerimenti ai collaboratori su come realizzare la scala del palazzo, della quale al-
cuni ipotizzano una paternità bianconiana del progetto. Il Bianconi ottenne nel 1776
la nomina di segretario perpetuo dell’Accademia di Brera, incarico da cui si dispen-
sò un anno prima della morte; questa non fu la prima onorificenza che ricevette,
Giuseppe Maria Galanti, Breve descrizione della città di Napoli e del suo contor- dato che era stato già nominato accademico di San Luca, membro dell’Accademia
no, Napoli 1792; frontespizio del Disegno e di Pittura di Verona, Reale Accademico di Mantova e Augusto di
Perugia.Tra il 1780 ed il 1786 progettò il “Casino dell’Olmo” a Calcara nel bologne-
se per il fratello Giuseppe, attribuito fino a pochi anni fa al Venturoli. La villa neo-
Giovanni Battista Bianconi, poi presso Ercole Graziani. Da autodidatta apprese la classica palladiana, dall’elegante facciata con pronao peristilio, all’interno vede ri-
scultura, l’architettura e l’ornato, mentre studiò anatomia con il maestro Ercole Lel- spettati criteri di razionalità, nelle calibrate proporzioni dell’intera struttura. Nel
li. Fu direttore di figura ed ornato presso l’Accademia Clementina, di cui era stato 1784 l’artista lavorò in Villa Hercolani a Belpoggio, progettata dallo Jamorini. Bian-
eletto membro nel 1770. Sin dalla giovinezza ricevette committenze per l’esecuzio- coni diede consigli all’architetto, contribuendo alla realizzazione di una facciata sim-
ne di pale d’altare e di affreschi, eseguendo anche diverse incisioni, stemmi e blasoni. metrica, con uno scalone preceduto da una fontana, due torrioni laterali preesisten-
All’arte incisoria era stato avviato dai due amici Mauro Tesi e Francesco Algarotti, ti e un belvedere con balaustra decorata con rilievi. Al piano nobile la galleria che si
che con lui avevano posto le basi per un rinnovamento del gusto nell’arte, in dire- incrocia con la sala principale è opera del Nostro; anche qui, come negli altri lavori
zione di un recupero degli eleganti stilemi e motivi classici, da contrapporre all’ec- dell’artista notiamo la caratteristica decorazione continua che ingloba porte e fine-
cessivo caricamento di orpelli decorativi del barocchetto locale. A favorire l’adesione stre, la volta a botte scompartita in riquadri, le pareti divise da lesene con su delle
di Bianconi al neoclassicismo fu anche l’incontro con Winckelmann, di passaggio a candelabre, la base riccamente decorata e i rilievi mitologici sopra le finestre. La
Bologna nel 1755. Nel 1766 l’artista progettò e realizzò, in collaborazione, tra gli altri, produzione grafica di Bianconi è lacunosa e deve essere in parte ricostruita. Nel 1765
con D. Piò, il monumento funebre alla memoria di Mauro Tesi, collocato nella cap- realizzò un cammeo a puro contorno per il frontespizio degli “Amori” di Ludovico
pella Ghiselli di S. Petronio. Il monumento neoclassico presenta un’epigrafe incor- Savioli, firmandosi “Leukoros”. Quando risiedeva ormai a Milano Bianconi pubbli-
niciata da due lesene laterali, in alto due putti tristemente assorti con un braccio cò la “Nuova Guida di Milano per gli Amanti delle Belle Arti e delle Sacre, e Profa-
poggiato su un basamento, mentre con l’altra mano sostengono il medaglione con ne Antichità milanesi” , dopo che nel 1766 aveva curato una nuova edizione della
l’effige del sepolto; in basso un motivo di teschi alati. Con il Tesi Bianconi aveva Guida artistica malvasiana e ne aveva pubblicata una sua nel 1776, ristampata nel 1795.
collaborato alla realizzazione del mausoleo di Francesco Algarotti, iniziato diversi Il Nostro proveniva da una famiglia piuttosto agiata, conosciuta in Europa grazie alla
anni prima e completato da lui solo nel 1768, due anni dopo la morte dell’amico. Il fama di Gian Lodovico, suo fratello, medico personale alla corte di Dresda, ed era
monumento si rifà nella struttura al modello delle tombe quattrocentesche ad arco- noto, oltre che come artista, come erudito e collezionista raffinato. Bianconi diede
solio. Tra il 1766 e il 1772 eseguì una serie di opere in chiese e palazzi bolognesi, tra alle stampe nel 1783 la Nuova Guida di Milano per gli Amanti delle Belle Arti e delle Sacre,
cui un paliotto d’altare in San Domenico e la scalinata di Palazzo Biscia; incise me- e Profane Antichità milanesi, che avrà poco dopo una nuova edizione ampliata e nu-
daglie conservate nella sagrestia di San Michele dei Leprosetti, dipinse il quadro con merose ristampe. Nel suo ruolo di segretario dell’Accademia si farà promotore
Tobiolo e l’Angelo nella chiesa di Santa Maria della Purificazione. Le due tele, una dell’acquisto di oltre 20000 disegni e incisioni di arte e architettura a scopo didatti-
per la chiesa delle Scuole Pie del 1768, l’altra per la casa Odorici, del 1770, sono co, di cui restano però poche centinaia di pezzi nella Raccolta Bianconi della Biblio-
andate perdute. In quegli stessi anni fu attivo in Palazzo Hercolani, decorandovi una teca Trivulziana. Bianconi morì il 12 agosto 1802. Le sue spoglie si conservano nella
cappella. Al Bianconi decoratore in stucco ed architetto dobbiamo la realizzazione Certosa di Bologna nel monumento funebre a lui dedicato, situato nel Chiostro III
di diverse gallerie e sale di palazzi bolognesi, progettate interamente da lui. Iniziò a e realizzato da Vincenzo Armani e Gaetano Caponeri. La morte gli impedirà di
lavorare in Palazzo de’ Bianchi nel 1772, collaborando con Domenico Piò, Flaminio portare a termine il progetto di una traduzione commentata del trattato di Vitruvio
Minozzi, Ubaldo Gandolfi e Petronio Fancelli. Al piano nobile Bianconi progettò e sull’architettura». Cfr. pure G. Morolli, Carlo Bianconi e il De Architectura di Vitruvio:
decorò due gallerie, di cui una piuttosto piccola con il soffitto decorato con rilievi una traduzione fantasma?, in «Il disegno di architettura», 14 (nov. 1996), pp. 31-35.
7
allegorici. Nel lato ovest del palazzo e in quello sud vi sono due stanze in cui ravvi-   Si veda al riguardo il paragrafo 4 di questo capitolo. Ricordiamo qui per inciso
siamo l’intento di creare un ambiente ove la pittura e i rilievi scultorei dialoghino che la corrispondenza tra Quarenghi e il citato Pier Antonio Serassi trova riscontro

Capitolo quarto
112
Con gli amici dell’Arcadia romana egli intratterrà una fitta corri- nell’ambiente romano13 , a quell’epoca lo sproni ad inviare la do-
spondenza epistolare fino a tutti gli anni ’90, che costituisce cer- manda per il posto di segretario dell’Accademia di Brera, resosi
tamente lo strumento più utile per penetrare la sua personalità. vacante, essendo l’abate già ben noto nell’ambiente artistico mila-
Segnatamente con Pindemonte, conosciuto attraverso il musicista nese14 : nel 1778 la carica verrà invece ricoperta, come abbiamo det-
Reginaldo Ansidei8, Corazza instaurerà un rapporto di grande sti- to, dal Bianconi. E neppure ci sembra privo di significato quanto
ma, destinato a rafforzarsi anche durante il soggiorno napoletano, se abbiamo accennato a proposito del tentativo che il bolognese farà
ancora nel novembre 1793 l’abate Aurelio Bertola de’ Giorgi, illustre nel 1779, tramite lo stesso Zacchiroli, onde ottenere un posto pres-
letterato riminese, gli scriverà da Verona: so la corte del Granduca di Toscana, addirittura in cambio della
cessione dei preziosi manoscritti vinciani di cui era in possesso.
Un altro grande ammirator vostro è ora qui il mio tenerissimo amico Corazza non manca di lamentarsi più volte con i propri autore-
il Cavalier Pindemonte d’aureo cuore, d’aureo ingegno. Il vedeste in voli corrispondenti dello stagnante ambiente culturale napoletano,
Napoli: non recita Virgilio con più devozione di quel che faccia egli i «dove si parla a migliaia, e si spende a frazioni di unità, e dove tutte
versi di Corazza9. le anticaglie non significan un frullo, se non fosse dinanzi a quat-
tro o sei persone, che si pescano difficilmente fra trecentomila»15.
Tornato a Bologna nel maggio 1767, due anni più tardi, il 3 giugno Ma, se è vero che gli intellettuali e gli scienziati napoletani real-
1769, Corazza pronuncia presso l’Accademia Clementina – aggrega- mente impegnati a quell’epoca negli studi e negli scambi culturali
ta sin dagli inizi del Settecento all’Istituto di Scienze e Belle Lettere, erano in numero esiguo, si trattava, come vedremo, di personaggi
fondato come organismo pubblico distinto dalle accademie priva- di eccellenza nel panorama italiano ed europeo. Riguardo poi alle
te10 – la terza importante Orazione, dopo quelle già pronunciate nel «anticaglie», nonostante le iniziative ferdinandee già in atto per la
1757 e nel 1763 per la solenne premiazione degli allievi meritevoli; sistemazione del patrimonio archeologico proveniente da Pompei,
esperienza che, mai concessa ad altri con tale continuità, risulterà Ercolano e Stabia nei locali dell’ex Palazzo degli Studi, e quantun-
particolarmente significativa per la definitiva affermazione nell’am- que l’attività dell’Accademia Ercolanense proseguisse con risultati
bito della critica artistica. soddisfacenti, non si può negare che la recente riorganizzazione,
Sul principio del 1770 lascia di nuovo Bologna per tornare a Roma, nel 1778, della Reale Accademia delle Scienze, rifondata sotto il go-
giungendo infine a Napoli nel 1772, chiamato per volontà del Car- verno austrico nel 1732 dopo lo scioglimento avvenuto alla fine
dinale Orsini come istitutore del giovane Domenico Orsini duca del viceregno spagnolo, avesse innescato un particolare fenomeno
di Gravina11: quest’occasione di attività didattica e pedagogica si ri- di attrazione della comunità intellettuale napoletana – anche gra-
velerà fondamentale, permettendogli di venire per la prima volta zie alle personali inclinazioni di sir Hamilton – verso problema-
in contatto con l’ambiente culturale della capitale borbonica e di tiche culturali più specificamente concernenti l’ambito scientifico.
cimentarsi in questo campo prima di essere nominato istitutore dei A fronte dei tanti impegni e soddisfazioni in campo letterario e fi-
Principi Reali. Così già il 1° maggio di quell’anno l’amico avvocato losofico, Corazza si ritroverà presto vedovo e in cattive condizioni
Filippo Gastaldi, anch’egli membro della «Società dell’Arco», rice- economiche16, attivandosi onde cogliere tutte le opportunità e gli
vuta notizia dell’assunzione gli scrive da Roma con un tono tra il aiuti che gli si prospetteranno per integrare l’esiguo stipendio di
poetico e il nostalgico: istitutore o addirittura per cambiare mestiere: egli giungerà finan-
che ad occuparsi della compravendita di antichi cammei e pietre
Scrivetemi tutto ciò che vi detta l’entusiasmo della novità, poiché ciò dure17, nonché di libri, propri o per conto di terzi (tratterà persi-
mi riconduce a quel primo tempo che vidi Partenope e il vasto suo no di rarissimi classici latini e greci, o di «opere di Aristotele stam-
cratere, e la vaga corona delle molte terre che gli siedon attorno, ed i pate alla fine del ‘400»), come nel caso della Biblioteca Imperia-
Colli che a vari gradi si estolgono, e sopra tutti il vostro [sic] Somma. li, ove lavora l’amico Comolli, o della «famosa Biblioteca Soran-
[...] Piacciavi sempre infin che rimarrete costà, insieme a tutte l’altre zo» di Venezia; attività questa intrapresa sin dai primi anni ’7018.
cose, il monte celeste che tanto v’agita e vi minaccia nientemeno di L’assunzione in qualità di istitutore del Principe Ereditario Fran-
cacciarvi sotterra12. cesco e delle Reali Principesse a partire dal 1784, con la paga di
duc. 50 al mese, dà a Corazza la speranza di un miglioramento del-
Ricordiamo che esattamente un anno prima il Vesuvio era eruttato la propria situazione19: l’8 giugno di quell’anno viene nominato,
ancora una volta, essendo peraltro destinato a manifestare ripetuta-
mente la propria attività negli anni successivi. 13
  Ove però non c’è Corazza, che evidentemente non smise mai di far parte
Sin dal 1776, ormai stabilmente al servizio dei Gravina, Corazza dell’Arcadia romana: cfr. P. Giannantonio, op. cit., p. 308. Di Zacchiroli daremo
deve aver avvertito un certo senso di insoddisfazione in rappor- ampi cenni più innanzi.
14
to alle proprie potenzialità di lavoro. Non è un caso che l’ami-   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/22, f. 1, lettera del 13 novembre 1776.
15
  Ivi, X. AA. 28/4, f. 3, lettera del…1779 da Portici.
co Francesco Zacchiroli, arcade della Colonia Aletina ritrovato 16
  Ivi, f. 20.
17
  In un elenco degli scritti di Corazza rinvenibile in BCABo, F.S. Biografie, cart. 1,
n. 5, doc. s.d., s.f., figura anche un «Trattato sopra il conoscimento delle Gemme»,
purtroppo non rinvenibile.
in un’ampia documentazione archivistica, conservata presso la Biblioteca Civica e 18
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/5, foll. vari, e 29bis/7, lettera di Francesco
Archivi Storici “Angelo Mai” di Bergamo. Cfr. V. Guercio, Per il carteggio Quaren- Montignani a Corazza del 10 maggio 1772, in cui si fa riferimento ad un corpus
ghi-Serassi, Bergamo, 1994. di libri che Corazza aveva a Milano. Circa la biblioteca del cardinale Imperiali, cfr.
8
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/2, lettera dell’Ansidei a Corazza del 29 feb- quanto accennato nel capitolo II del presente studio, ove abbiamo citato la lettera
braio 1780. Cfr. pure ivi, XIII. D. 79, f. 37r, e X. AA. 29bis/15. del 27 giugno 1767, conservata presso la Biblioteca Palatina di Parma, di Corazza al
9
  Ivi, X. AA. 29bis/15. bibliotecario Paciaudi, in cui il bolognese propone l’acquisto, da parte di quell’isti-
10
  Cfr. G.P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina di Bologna aggregata all’Istituto tuzione, di un ricco fondo di manoscritti da lui recentemente acquistato.
delle Scienze e delle Arti, Bologna, L. dalla Volpe, 1739. 19
  Ivi, X. AA. 28/4, f. 34. Cfr. pure BCABo, F.S. Biografie, cart. I, n. 5, appunti vari
11
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/11, 29/21-22, 29bis/5. Domenico Orsini (1765- s.d., s.f.: «Riuscì con fama per la corrispondenza che il suo allievo [il principe di
1790), 17° duca di Gravina, fu nipote dell’omonimo cardinale (1719-1789), amba- Gravina] dimostrò di talento, e di desiderio in apprendere; finché gli nacque un
sciatore del re di Napoli presso la corte pontificia, già nipote di Benedetto XIII. curioso accidente. Improvvisamente si vide un avviso giugnere che alla 5.a ora si
12
  Ivi, X. AA. 29/19, fol. 11. trovasse nel tal luogo, ove sarebbe passata la Regina di Napoli. Intimoritosi tutto,

Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano


113
in particolare, maestro di Storia e Geografia del Principe e della le ottimismo e di vane speranze, come quelle riferibili all’ipotetica
Principessa Maria Luisa20, comparendo in questo ruolo anche nel apertura dei Borbone alle istanze del Filangieri e degli altri intel-
diario del viaggio in Italia compiuto nel 1785 dal futuro prefetto lettuali meridionali; solo qualche anno più tardi, infatti, la rabbia
della Biblioteca borbonica, Juan Andrés21, e nel coevo Calendario della di Maria Carolina e la miopia politica di Ferdinando IV avrebbero
Corte22, insieme con il filologo e archeologo Nicola Ignarra e don mostrato il proprio volto e lo stesso Filangieri sarebbe scampato
Ferdinando Strina, priore dell’abbazia di San Salvatore di Telese; in alla forca solo perché non più in vita nel ’99: altro che trionfo della
un altro documento di quell’epoca viene pure definito «Maestro Filosofia o della Repubblica delle Lettere! Ma la fiducia nell’alba di
di Aritmetica e Lingua italiana» degli stessi Reali23. Il ruolo verrà un nuovo giorno è, come è noto, carattere peculiare del periodo di
rivestito da Corazza fino alla morte, se ancora nel 1797 – anno in cui ci stiamo occupando.
cui il giovane Francesco, ormai ventenne, sarà promesso sposo a Ma- Già a partire dal 1786 Corazza, mal pagato a Palazzo e con quindici
ria Clementina d’Austria – egli risulterà «Maestro di Casa Reale familiari a carico26, continuamente costretto a seguire i Reali nel
per la lingua italiana» all’interno di un folto gruppo di istitutori, loro girovagare tra Napoli, Portici e Caserta, si lamenta con il figlio
composto dallo stesso Ignarra, dal letterato Carlo Foullon, dagli Sebastiano (a quell’epoca a Roma a sua volta in cerca di lavoro27)
scienziati Vito Caravelli e Giuseppe Saverio Poli, dal pittore Fran- per le enormi fatiche sostenute al seguito di «una Corte, ch’è tutta
cesco Celebrano e dal duca di Gravina, aio del Principe dal 178824. movimento»28 e a fronte di un credito personale, presso l’élite della
Nel maggio 1784 un altro amico bolognese, Francesco Montignani, cultura italiana, che intanto cresce a dismisura. Nella stessa Bologna
avendo appreso della nomina, gli scrive: non verrà mai meno la sua autorità in ambito artistico e letterario,
come dimostra tra l’altro il fatto che, ancora sul principio degli anni
Non già che io creda molto desiderabile lo splendore della vostra cari- ’90, Antonio Magnani, direttore della biblioteca dell’Istituto delle
ca, ma perché la vostra collocazione in essa mostra qualch’esempio sulla Scienze – cui la famiglia Corazza aveva donato numerosi volumi a
Terra della Virtù, e del Merito modesto premiati. Se questi esempj per partire dalla fine del Seicento, e segnatamente il nostro abate, che
altro si possono sperare in qualch’angolo dell’Italia, egli è appunto nel prima di partire per Napoli vi aveva lasciato l’intera raccolta di libri
paese in cui sono premiati i Filangieri. Non potete credere quanto nella di architettura editi fino al 176029 – si rivolge a lui per avere consigli
mia oscurità mi rallegri il vedere i Principi prestar l’orecchio a quella circa il metodo da adottare nella compilazione degli inventari delle
filosofia, che trent’anni fa solamente gl’avrebbe fatto incrudelire contro opere in materia di arte e di architettura.
gli autori di essa. In quanto a me, risguardo questa mansuetudine come Le lettere scritte negli ultimi anni di vita a Gian Vincenzo Meola,
il sintomo più lusinghiero per la prossima generazione. Solo mi dispia- membro dell’Accademia delle Scienze di Napoli e anch’egli arca-
ce che tanto voi nella circostanza vostra particolare quanto le Nazioni de della Colonia Aletina30 , ci offrono un quadro della condizione
europee presenti in generale non possano godere più che l’alba di un disagiata e dello sconforto in cui, in particolare, Corazza viene a
tal giorno, ma egl’è però consolante rimirare nei nipoti una razza più trovarsi durante il periodo di permanenza presso la reggia caser-
felice che non siamo stati noi. Reclamino pure i Bigotti assurdi, e cru- tana nel 179731. Assistiamo così al tramonto delle speranze di un
deli contro la Filosofia presente, ma essa è quella che ha fatto conoscere
i rapporti veri fra il Principe ed i Sudditi, che ha fatto vedere non essere
26
  ASNa, Maggiordomia maggiore e Soprintendenza generale di Casa Reale, fsc. 2949/II,
già vera quella ferrea legislazione che faceva credere i diritti dalla parte
atti del Consiglio di Casa Reale del 30 marzo 1789, cit., f. s.n.
dei pochi, ed i doveri dalla parte dei molti, anzi che ha dimostrato esse- 27
  Ancora nel 1790 Corazza farà istanza al re per un posto di usciere per il figlio
re più tosto quelli gl’Istrumenti, ed i Commessi di questi, che viceversa, Sebastiano. Ivi, fsc. 2949/III, atti del Consiglio di Casa Reale del 20 gennaio 1790,
f. s.n.
che dove non ha schiantato, almeno fa arrossire il Dispotismo a segno 28
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/4, f. 43.
che nei decreti suoi anche più effreni vuol assumere il Contegno, il 29
  BCABo, Coll. Aut., XXI, lettera ad A. Magnani del 18 settembre 1787, in cui
Linguaggio, ed il Simulacro della Ragione, e della Giustizia. Coraggio Corazza sottolinea che la propria raccolta in materia di architettura era tale da far
invidia alle più ricche biblioteche private italiane, come all’epoca quella di Gio-
caro Corazza, l’ultimo stadio è assai luminoso, affrontatene le difficoltà vanni Poleni, famosa nel campo delle matematiche pure ed applicate. La biblioteca
per non scorraggiare gli altri dal camminare sulle vostre pedate, ed ac- dell’Istituto delle Scienze è tuttora parte di quella dell’Archiginnasio.
30
ciò il Merito non si disperi per l’Aversità25.   Vi figura con il nome di Rosauro Carmetiaco: cfr. P. Giannantonio, op. cit., p.
308. Meola, umanista e intellettuale raffinato, fu precettore di Eleonora Pimentel
Fonseca e noto frequentatore, con Francesco Mazzarella Farao, docente di An-
Il brano è di notevole interesse per comprendere le idee fatte pro- tichità greche e romane, e Francesco Maria Guidi, matematico, del salotto della
letterata a Pizzofalcone. Egli è noto, tra l’altro, per essere stato trascrittore di nu-
prie da Corazza e dalla sua cerchia: esso è denso dei migliori prin- merosi manoscritti di letterati e filosofi dei secc. XV-XVIII, tra cui G.B. Vico, e
cipî ed auspici della filosofia illuministica, ma anche di un insanabi- ordinatore dei documenti antichi dell’Accademia Pontaniana (poi distrutti durante
l’ultimo conflitto mondiale, come riferisce Croce nell’introduzione al vol. I degli
Atti dell’Accademia del 1949): in questa attività di filologo, però, da molti è con-
non sapendo il perché di tale chiamata, vi si reca pure. Alla 5.a ora passa la Carozza siderato un «falsario»; cfr. al riguardo A. Nunziata, Interrogativi su Gian Vincenzo
della Regina. Si ferma, e dice al Corazza che si porti in Corte, mentr’egli dev’essere Meola: uno spregiudicato falsario o un erudito perseguitato dalla sfortuna?, in «Quaderni
il Maestro de’ due Principi Reali. Restò sorpreso, volea schermirsi con sentimenti dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale», n. 11 (1996), pp.
di modestia, ma pure gli convenne accettare. È stato poi sempre amato ed onorato 43-76. Meola scrisse un volume su Alcuni monumenti del Museo Carafa (ossia quello
quanto essere lo possa un bravo precettore di generosi principi». di proprietà personale di Giovanni Carafa duca di Noja), pubblicato a Napoli nel
20 1778, e la prefazione alla seconda edizione (1770) della famosa Lettera ad un amico
  Cfr. Gazzetta Universale o sieno notizie istoriche, politiche, di scienze, arti, agricoltura,
dello stesso Carafa.
ec., XI (1784), p. 383. 31
21   BNN, Manoscritti e Rari, XIII. B. 74/3, lettera a Gian Vincenzo Meola del 5
  Si tratta del già citato diario (cfr. cap. II) riedito in J. A ndrés, Cartas familiares
marzo 1797: «Delle poche e mal difese stanze, che quattro anni addietro mi furono
(Viaje de Italia), a cura di I. Arbillaga, C. Valcárel, Madrid, Ed. Verbum, 2004,
assegnate, non senza speranza di miglior alloggio, mi son ora trovato inevitabile
II, p. 222.
22 il dover contentarmi d’una sola mediocrissima stanza, divisa per un’assito e un
  Calendario della corte che contiene le notizie geografiche, ecclesiastiche, astronomiche, e telaio in due celle, che debbon a forza esser sufficienti a quattro persone della mia
civili, Napoli, Stamperia Reale, 1785. famiglia, ai letti, alle tavole da mangiare, alle seggiole, a un pajo d’armadiuoli per
23
  Archivio di Stato di Napoli (d’ora innanzi ASNa), Maggiordomia maggiore e So- custodirci i panni […] ed a’ sorci d’ogni maniera, che usati di tener seggio qui, non
printendenza generale di Casa Reale, fsc. 2949/II, atti del Consiglio di Casa Reale del sanno (per quanto si adoperi il gatto mio in contrario) cessare dal recarsi frequenti
30 marzo 1789, con riferimento ad una supplica di Sebastiano Corazza al re, f. s.n. a visitare le patrie sedi, e ricordarsi che ne son eglino i primi e poziori padroni.
24
  Si tratta di Filippo Bernualdo Orsini di Gravina. Si vedano le Effemeridi scienti- […] Sto fuor di casa intorno a sei ore, e val questo a lasciar luogo per muoversi
fiche e letterarie per la Sicilia, t.V, a. II (1833), p. 157. nelle due cellette a tre femmine che ci ho dovuto trar meco, e ad un nipote, che
25
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/7, lettera del 29 maggio 1784. non era da lasciar solo in Napoli […]: traete il tempo della messa, quello delle gite

Capitolo quarto
114
autentico illuminista, all’amarezza che quella cultura enciclopedi- che il bolognese recepì e condivise dentro e fuori l’intensa attività
ca non sia servita al riscatto dalla condizione di disagio personale di corte, e quali, specie nell’ultimo decennio, le influenze operate sul
– certo insolita per chi vive a corte ed è dedito alla formazione di suo pensiero dalle idee giacobine, con cui stette a diretto contatto?
colui che sarà re – e neppure ai destini delle nuove istanze rivo- Personaggi come Domenico Cirillo, Gennaro Serra di Cassano,
luzionarie: in un clima di terrore crescente, egli si schermirà con Luigia Sanfelice, Eleonora Pimentel Fonseca, Francesco Mario Pa-
un amico precisando: «…né sono, né sono tacciato, di colpevole»32 . Nel gano, prima di divenire rivoluzionari, furono assidui frequentatori
febbraio 1799, malato e pieno di debiti, Corazza penserà addirittu- della corte – come è noto in un primo tempo disponibile alle idee
ra di tornarsene a Bologna33 ; ma non farà in tempo, morendo tra progressiste, basti pensare al prosieguo del programma riformisti-
gli stenti nel Palazzo Reale di Portici il 13 settembre successivo34 co carolino, ad iniziative come l’‘esperimento’ sociale e urbanistico
e non seguendo, quindi, la famiglia reale nella fuga a Palermo. della colonia operaia di San Leucio o alle simpatie di Maria Ca-
Egli lascerà i propri eredi in miserrime condizioni, tanto che il rolina per i Framassoni36 – e, nel contempo, di quell’ambiente di
figlio Sebastiano tenterà più volte di vendere l’intero carteggio particolare fervore filosofico e letterario che fu la villa di Posillipo
paterno a chi avesse intenzione di pubblicarlo35 , fino a ‘donarlo’, dei fratelli Antonio e Domenico di Gennaro, rispettivamente duca
dietro concessione di una rendita mensile, al Principe Ereditario di Belforte e duca di Cantalupo. Se a quest’ultimo, intendente ge-
nel 1802. Magra soddisfazione che l’Orfeo, l’opera più cara all’abate nerale dei Reali Stati Allodiali tra il 1789 e il ‘9537, viene riconosciu-
bolognese tra le tante da lui prodotte, giunga a vedere la luce nel ta in ambito politico-amministrativo un’oculata gestione della crisi
1797 in una disordinata miscellanea di autori vari! agraria intervenuta dopo la lunga e felice attività svolta dal grande
riformatore Melchiorre Delfico, sono invece da ascriversi al fratello
Pur non essendo questo l’epilogo che speravamo, è necessario fare Antonio, indicato da Croce come uno dei migliori verseggiatori
un passo indietro e immaginare Corazza impegnato, a partire dagli napoletani del Settecento, più profondi interessi culturali: membro
anni Ottanta, a tessere le fila di una trama che non ha solo conno- dell’Arcadia napoletana come «Licofonte Trezenio»38 e tra i primi
tazioni letterarie, artistiche o filosofiche, ma che lascia intravedere soci dell’Accademia delle Scienze e Belle Lettere39, fu lui a fare della
istanze di ordine sociale e politico: le grandi speranze riposte, per dimora di Posillipo («ove – come scriverà cinquant’anni più tardi
oltre un decennio, dagli intellettuali napoletani nel principe ‘illu- Raffaele Liberatore – nella seconda metà del secolo scorso il fio-
minato’ lasceranno purtroppo il posto alle disillusioni, alla reazione re de’ vati adunavasi»40) il famoso «cenacolo latomico», un circolo
da parte di quegli, alla repressione violenta. Quali furono allora, nel scientifico-letterario massonico tra i più noti della capitale41, che
lungo periodo di permanenza nella capitale borbonica, gli stimoli fino alla Rivoluzione napoletana ospiterà nel corso di avvincenti
serate la parte migliore dell’intellighentia meridionale, e non solo.
Il brano di Liberatore pubblicato nel Viaggio Pittorico di Cuciniello e
a palazzo, e del tornarsene, ecco la notte; qualche libro se ne morde una porzione; Bianchi del 1829, non privo di accenti nostalgici, può essere assunto
indi ne vuol una parte qualche lettera alla mal augurata mia patria, dov’ho affari quale manifesto dell’Illuminismo artistico e letterario a Napoli sul
che mi gravano, in luogo di que’ pochi soccorsi che me ne dovrebbon venire, e si
rimangono inchiodati e sospesi per la malvagità de’ tempi, se non torna anzi meglio
principio degli anni ’80:
dire degli uomini. La brieve cena non si allarga a notabil tempo; ed eccoci al letto in
una delle due camerelle, dove n’ha tre a gran fatica distesi: spento il lume, ecco una Posta come a confine tra le spiagge di Mergellina e di Posillipo [compare
folla di lugubri pensieri e di cure mordaci, adoperar meglio e con maggior forza
i loro serpentini flagelli nelle camerucce apparate da’ ragni, che nelle alcove che infatti nella pianta del duca di Noja del 1750-75 come Casino di Cantalu-
hanno le travi dorate, e le muraglie addobbate d’arazzi d’Olanda, e di tessuti persici, po], da una loggia sporgente nel mare tal vista aveasi, che poche altre nel
o dell’Indie. Che fa quivi il vostro Vincenzo? […] Il pensiero si volge a Portici,
dove tengo il mio figlio, con seco la moglie, tre figlie femmine, e due maschi, oltre mondo se le potean contrapporre. E da quelle pareti, come da vocal cor-
un’altra nipote mia […]; e’ debbon mangiare e vestir tutti». Dicendosi per questo tina, echeggiavano i concerti o studiati o improvvisi del facile Bertola42,
assai preoccupato, conclude: «Come richiamare la dolcezza del sonno e la quiete
del riposo? Alcuna volta sveglio ed annoio li condormienti miei, e li fo parlare di
cose, che son ben’altre da quelle che loro stanno nel capo mentr’io li provoco a 36
cianciare. Vi basti questo per avere alcun grosso lineamento dell’attuale viver mio   H. Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Firenze, Ediz. Giunti-Martello, 1985,
[…]». Corazza infine si scusa «se non ho dato opera a trasmettervi, siccome io aveva p. 168.
37
promesso, alcuna parte del mio Orfeo, il quale si giace nel fondo di una cassa co’   Cfr. G. Incarnato, Grano, riso…e riforme nel Teramano nella seconda metà del sec.
libri miei, così è più lacero ancora, di quel che già fosse, quando quelle inviperate XVIII, in Problemi di storia delle campagne meridionali nell’età moderna e contemporanea,
donzelle della Tracia, fattolo in brani, l’ebbero qua e là sparso, e gettatone il capo a cura di A. Massafra, Bari, Dedalo, 1981, p. 363. Domenico di Gennaro, convinto li-
nell’Ebro. Così è; ed io non ho tratto dalla mia cassa libraria, né quei versi miei, né berista antifeudale, scrisse, tra l’altro, una Memoria per la libertà della vendita delle farine
fino ad ora, alcun’altro libro, così irritato dalla mia prigione, che appena mi sono e del pane nel Regno di Napoli, e Annona ossia piano economico di pubblica sussistenza
astenuto dal maledire l’uso de’ libri fatto da me, giacché non ha giovato ad alcuno, (Palermo,V. Lipomi, 1816).
38
e appena è che non abbia a me nociuto, come assolutamente avrebbe, se non mi   Cfr. l’indice del volume di G.B. Melzi, Dizionario di opere anonime o pseudonime
avesse aperto l’adito a gustare le infinite bellezze di Virgilio, quel primo e sommo di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, 3 voll., Milano, Pirola, 1848-59;
di tutti i Poeti che stati sono […]». Antonio di Gennaro (1718-91), amico del Bertola come il nostro Corazza, fu autore,
32
  BCABo, Coll. Aut., XXI, ms. 6091, lettera a Francesco Rosaspina del 19 gennaio tra l’altro, delle Poesie in quattro volumi, de I Sonetti ed i capitoli , de I poemetti e le
1796. canzoni, de Le drammatiche e le varie e de Le piacevoli (tutti pubbl. in Napoli, per i
33
  Ivi, Coll. Aut., ms. 6099, lettera del 25 febbraio 1799 di Corazza al genero, in cui Tipi di V. Orsino, 1796), opere in cui è ben riconoscibile la matrice metastasiana
troviamo anche una sorta di bilancio della propria esistenza: «Ho fatto con riputa- della sua poesia.
39
zione, e dirò pure con lode, l’Ajo; né ho avuto bisogno d’aiuto per comunicare le   Su Antonio e Domenico di Gennaro cfr. pure R. di Castiglione, La massoneria
prime istruzioni che si convengono ad un giovinetto di cospicua qualità. S’io vaglia nelle Due Sicilie e i “fratelli” meridionali del ‘700, Roma, Gangemi, 2008, pp. 410-413.
40
in altro, non istà bene a me il profferirlo; ma richiesto d’alcuna cognizione, fra le   La citazione è in nota del brano di R. Liberatore che più innanzi commenteremo.
molte che ignoro, non mancherebbemi il cuore per confessarne onestissimamente 41
  Cfr. sull’argomento M. d’Ayala, I liberi Muratori di Napoli nel secolo XVIII, in
la mia imperizia, o la mia ignoranza, onde non tradire l’altrui aspettazione. Ho ac- «Archivio Storico per le Provincie Napoletane», XXIII, 1898.
quistato de’ lumi ch’io non aveva, quando costì [a Bologna] mi hanno riputato valer 42
  Su Aurelio Bertola de’ Giorgi cfr. Carteggio Giovanni Cristofano Amaduzzi-Aurelio
qualche cosa. […] Mi sta nell’animo di terminare i pochi giorni che mi restano, Bertola de Giorgi, 1774-1791, a cura di M.F.Turchetti, Napoli, M. D’Auria, 2005. Ber-
nel luogo dov’ebbero lor principio; ne son lontano da trenta anni oramai, e ci ho tola, importante filosofo riminese, risiede a Napoli dal 1776 al 1784 (ove si iscrive al
perduti ormai tutti que’ pochi, li quali mi comparivano amici». circolo massonico di Posillipo), insegnando fino al 1783 Storia e Geografia all’Acca-
34
  Ivi, F.S. Biografie, doc. s.f. demia Navale. Passato a Pavia, vi insegna Storia e nell’87 pubblica la sua opera più
35
  Nel 1802, ad esempio, Sebastiano Corazza aveva tentato la vendita di tutti gli nota, dal titolo Della Filosofia della Storia. Amico di Pindemonte, questi lo chiama
scritti letterari del padre all’avv. Luigi Bramieri di Parma, che ne avrebbe curato in una lettera «filosofo ed artista come voi dite di Leonardo da Vinci». Dal pensiero
l’edizione critica per 1000 scudi romani e 12 copie della pubblicazione. Ivi, F.S. Bio- illuminista, sostanzialmente moderato, all’inizio degli anni ’90 egli approdò alle
grafie, cart. I, n. 5, lettere di S. Corazza al Bramieri del 16 ottobre e 3 dicembre 1802. idee rivoluzionarie e repubblicane, rivendicando però sempre al Mezzogiorno e

Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano


115
del ribusto Rezzonico43, dell’oraziano Fantoni 44 , dell’anacreontico cav. Gargallo52 traduttore d’Orazio, e lo stesso duca di Belforte ospite
Zacchiroli 45 ; ai quali rispondevano con emulo valore i nostri Serio46 , di dotti e poeti, poeta e dotto egli stesso. Ivi Alberto Fortis e Scipione
Campolongo47, Filomarino, Gargiulli 48 , de Rosa, Mollo e Vincenzo Breislak53 , col duca della Torre54 , col Vairo55 , col Poli, con Domenico
Imperiali49, autore della Faoniade, e Saverio Mattei50 traduttore di Cirillo56 e Cotugno57 di cose naturali quistionavano da un canto, men-
David, e Francesco Saverio de Rogatis51 traduttore d’Anacreonte, e il tre nell’altro favellavano di eloquenza e di lettere italiane quel Vincenzo
Corazza, che in esse erudiva l’erede al soglio58 , un Ranieri di Calzabigi59 ,
un Saverio Bettinelli60 , un abate Pellegrini, un P. Paciaudi ed al-
tri molti che lungo sarebbe il mentovare. Ivi il cav. Planelli leggeva
all’Italia tutta l’aspirazione ad un’autonomia rispetto alla Francia e ai suoi filosofi.
43
  Carlo Castone della Torre di Rezzonico (Como 1742-Napoli 1796), letterato
qualche brano ora del suo trattato dell’opera in musica ora del saggio
italiano, risiedette per un lungo periodo a Parma, ove fu Segretario dell’Accade- sull’educazione dei principi61. Ivi compariva talvolta, grande e mo-
mia di Belle Arti. Scrisse poemetti didascalici, come Il sistema dei cieli (1775) (idee desto, l’autore della Scienza della legislazione62 [Gaetano Filangieri],
newtoniane) e L’origine delle idee (1778) (teorie sensiste), e l’interessante Giornale
del viaggio in Inghilterra negli anni 1787-1788 (pubblicaz. postuma, Venezia, tipogr. di
Alvisopoli, 1824). Coinvolto nel processo contro Cagliostro, fu a Napoli dal 1790
fino alla morte. 52
44
  Il toscano Giovanni Fantoni (Fivizzano, 1755-1807) fu poeta e letterato, membro   Tommaso Gargallo di Castel Lentini (Siracusa 1760-1843) nelle sue Memo-
dell’Accademia della Crusca e dell’Arcadia (con lo pseudonimo di Labindo Arsi- rie autobiografiche scrive che, ancora ragazzino, fece conoscenza con Ippolito
noetico) e noto come l’«Orazio italiano» («Giornale dei letterati» di Pisa, LVIII, p. Pindemonte, reduce da Malta, col quale fece il suo primo viaggio in Italia.
138). Di idee progressiste, condusse una giovinezza scapigliata, risultando assai sedu- «Rimasero amici per tutta la vita. Fece altro viaggio e a Napoli, dove si fissò
cente per i versi delle sue Odi (1784) di impronta oraziana. Fantoni, che dimorò in sin dal 1780, potè esporre al Re le misere condizioni di Siracusa. Il sovrano lo
Napoli dal 1785 al 1788, fu poi professore di eloquenza a Pisa, ma perse la cattedra indusse a mettere per iscritto le sue considerazioni. Il Gargallo, in quella stessa
per le sue idee giacobine e patriottiche; nel 1807 fu infine presidente dell’Accade- città scrisse in quattro mesi le “Memorie patrie per il ristoro di Siracusa” che furono
mia d’Arte di Carrara. Cfr. E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, pubblicate nel 1791 in due volumi nella Stamperia reale. Il suo autore predilet-
lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei,Venezia, tip. di Alvisopoli, 1834-1845, to era Orazio; e ne tradusse in versi italiani le Odi, le Satire e poi le Epistole.
I, s.v. «Fantoni, Giovanni», pp. 234-238; G. Natali, Storia letteraria…cit., pp. 739-742. Tradusse pure le Satire di Giovenale e gli Offici di Cicerone. La sua versione di
45 Orazio fece testo per circa un secolo. Fu, durante la lotta contro Napoleone,
  Francesco Zacchiroli (1750-1826), nato a Castelguelfo presso Fidenza, fu poeta,
Maresciallo di Campo, Ministro della Guerra e della Marina e in seguito reg-
saggista e letterato (arcade con lo pseudonimo di Euripilo Naricio), ex gesuita, ed
gente del supremo Consiglio di Cancelleria. Dopo la vittoria, visse alcuni anni
ebbe un ruolo politico durante la Repubblica Cisalpina. Pubblicò La inoculazione
a Roma, dove strinse relazione col Papa Pio VII, Antonio Canova, i cardinali
(Napoli, Flauti, 1775), poemetto che lo rese famoso e che descrive i primi esperi-
Pacca e Micara, i letterati dell’Arcadia, la principessa Paolina Bonaparte. Dopo
menti di inoculazione del vaiolo in Italia, e i Versi (Venezia, Palese, 1781). In G.B.
un viaggio a Palermo e nella Sicilia occidentale, fece un lungo giro, durato più
Melzi, op. cit., II, p. 131, troviamo la seguente recensione: «Prigione (la mia). Coll’epi-
di tre anni nell’Italia Centrale e Settentrionale, stringendo amicizie con uomi-
grafe – Causa mali tanti foemina sola fuit, Losanna, presso Francesco Martino, all’inse-
ni insigni, letterati e artisti, visitando biblioteche, monumenti e istituzioni di
gna della fanciulla di trent’anni, 1776, in-4°. La dedica Ai nobili generosi rispettabili suoi
Cultura, e componendo sempre versi. Conobbe anche Manzoni, con cui entrò
protettori ed amici di Napoli è sottoscritta Euripilo Naricio, sotto il qual nome arca-
in polemica poiché, presentatosi come traduttore di Orazio, quegli gli rispose
dico nascondesi Francesco Zacchiroli, bolognese, cui una folle passione avea sviato
che ‘Orazio non si traduce’». Cfr. G. Cannarella, Profili di siracusani illustri,
a commettere un’imprudenza della quale fu vittima, perciocché lo sdegno d’un
Siracusa, Tip. Piazza Dante, 1958.
potente provocò contro di lui un ordine d’arresto della Vicaria. Il luogo della stampa 53
è certamente finto, e forse è Livorno o Firenze, dove, dopo ottenuta la libertà per   Scipione Breislak (Roma 1750-Milano 1826), geologo e naturalista di origine
intercessione de’ suoi protettori ed amici, il Zacchiroli trovò conveniente di recarsi». svedese, studiò e insegnò filosofia naturale, matematica e fisica a Roma; fu poi do-
Tra i suoi protettori, come abbiamo accennato, vi fu Corazza, e sarà proprio lui, con cente di filosofia al seminario di Nola e di fisica all’Accademia Militare della Nun-
ogni probabilità, ad intercedere presso Ferdinando IV nel 1785, come si evince da ziatella a Napoli. Si interessò anche di mineralogia e di sismologia, pubblicando la
una lettera di Zacchiroli a Corazza (BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/22, f. 6, lette- Topografia Fisica della Campania (1798). Nel 1799 partecipò alla Repubblica Romana,
ra del 4 ottobre 1785). Nel 1783 Zacchiroli pubblica la Description de la Royale Galerie fuggendo quindi in Francia e tornando a Roma nel 1802, per entrare nell’ammi-
de Florence, essendo stato incaricato dal direttore della Galleria degli Uffizi, Giuseppe nistrazione napoleonica come ispettore delle polveri e dei salnitri. Fu anche tra i
Pelli Bencivenni, di redigere una guida ad uso dei viaggiatori del Grand Tour; ma redattori del periodico «Biblioteca Italiana».
54
l’opera fu criticata dal Pelli per il carattere pittoresco e a tratti ampolloso: va detto   Si tratta del medico e professore Giovanni M. della Torre.
55
però che si trattava di un testo divulgativo, di facile lettura, e oggi assai utile perché   Lo scienziato e medico Giuseppe Melchiorre Vairo fu primario degli Incurabili
descrive ambienti successivamente modificati o allestiti diversamente. Non meno e medico di camera di Ferdinando IV insieme con Domenico Cotugno e Felice
indulgente fu con lui l’Alfieri, come si ricava da G. Natali, Storia letteraria…cit., II, Vivenzio, nonché maestro del futuro cospiratore politico Carlo Lauberg. Cfr. R. di
p. 1132: «Zacchiroli, “zingaro letterario (come lo ritrae il Masi), a cui non mancavno Castiglione, op. cit., pp. 386-387.
56
vena e brio, ma che abborracciava ogni cosa, brancicando tutti gli argomenti senza   Domenico Cirillo (Grumo Nevano 1739-Napoli 1799), medico e botanico, fu
afferrarne alcuno; giornalista poeta filosofo autor drammatico e soprattutto gran professore di patologia medica e botanica presso l’Università di Napoli. In campo
maldicente”, fu bollato dall’Alfieri con un terribile epigramma del 1783». botanico seguì le teorie di Linneo, clessificando numerose specie vegetali dell’Italia
46
  Luigi Serio (Vico Equense, 1744-1799), avvocato e letterato, celebre poeta di meridionale e divenendo nel 1780 direttore del nuovo Museo di Storia Naturale. In
corte, docente di eloquenza italiana presso l’Università di Napoli, fu autore di campo medico studiò le malattie veneree e sostenne il valore sociale della scienza
numerosi componimenti e tra gli intellettuali giacobini più impegnati, morendo medica. Scrisse tra l’altro: Fundamenta botanica sive Philosophiae botanicae explicatio,
in combattimento contro le bande sanfediste il 13 giugno 1799. Cfr. R. Giglio, Un Napoli, s.n., 1785-87; Cyperus papyrus, Parma, G. Bodoni, 1796; Discorsi accademici,
letterato per la rivoluzione. Luigi Serio, Napoli, Libreria Universitaria, 1999; R. di Ca- Napoli, s.n., 1799. Come è noto, Cirillo fu patriota e martire della Repubblica
stiglione, op. cit., pp. 270-273. Napoletana del 1799.
57
47
  Emanuele Campolongo, anch’egli famoso poeta, fu autore del Proteo.   Domenico Cotugno (Ruvo di Puglia 1736-Napoli 1822), medico di corte di
48
  Si tratta di Onofrio Gargiulo, anch’egli poeta e letterato napoletano, traduttore Ferdinando IV, viaggiò in Austria e in Germania; fu anche neurologo e tenne dal
dell’Edipo. 1766 la cattedra di anatomia presso l’Università di Napoli. Scrisse tra l’altro: De
49
  Vincenzo Maria Imperiali (Latiano 9 marzo 1738-Napoli 7 marzo 1816), quin- sedibus variolarum syntagma, Napoli-Bologna, Tip. S. Tommaso d’Aquino, 1775; De
to principe di Francavilla e marchese di Latiano, pubblicò nel 1792 la traduzione aquaeductibus auris humanae internae anatomica dissertatio, Vienna, R. Graeffer, 1774;
della Faoniade di Saffo: La Faoniade. Inni ed odi di saffo tradotti dal testo greco in metro De ischiade nervosa commentarius Napoli-Bologna, Tip. S. Tommaso d’Aquino, 1789.
58
italiano da S. I. P. A. Sosare Itomejo Pastor Arcade, cioè Vincenzo Imperiale, Parma, G.B.   Il corsivo è nostro.
59
Bodoni, 1792.   Simone Francesco Maria Ranieri de’ Calzabigi (Livorno 1714-Napoli 1795) fu
50
  Saverio Mattei (Montepaone 1742-Napoli 1795), musicista e critico musicale poeta e librettista. Amico di Metastasio, curò una ristampa delle opere del grande
nonché letterato, giureconsulto e poeta presso la corte borbonica, venne tra poeta. Fu membro dell’Arcadia col nome di Liburno Drepanio. A Napoli trascorse
l’altro chiamato dal ministro Tanucci a coprire la cattedra di lingue orientali gli ultimi vent’anni della sua vita.
60
presso l’Università di Napoli. Studioso di arpa e clavicembalo, e possessore di   Saverio Bettinelli (Mantova 1718-1808) fu drammaturgo, polemista, critico let-
un ricco archivio di testi musicali poi conf luiti in quello del conservatorio di terario e poeta arcade. Conobbe nei suoi viaggi Rousseau e Voltaire. In Dell’entu-
San Pietro a Maiella, in campo letterario è noto per la traduzione dei Libri po- siasmo delle belle arti (1769) sostiene principi preromantici sull’importanza dell’ispi-
etici della Bibbia, per le Memorie per servire alla vita del Metastasio, pubblicate nel razione e della fantasia nell’arte.
61
1785, e per numerosi componimenti poetici da lui dedicati a personaggi illustri,   A. Planelli, Dell’opera in musica, Napoli, D. Campo, 1772.
come Voltaire, Rousseau, Beccaria, d’Alembert e lo stesso Metastasio. Dal ’91 62
  Gaetano Filangieri (Cercola 1752-Vico Equense 1788), giurista e intellettuale
al ’95 fu inoltre commissario per la Carta Geografica del Regno già ordinata riformatore, abile nell’eloquio ed esperto di legislazione, dal 1777 fu al servizio
da Ferdinando IV a Ferdinando Galiani, morto nel 1787. Cfr. G. Natali, Storia di Ferdinando IV come gentiluomo di camera; dal 1787 fu membro del Supremo
letteraria…cit., II, p. 733. Consiglio delle Finanze. Nella sua monumentale opera su La Scienza della Legi-
51
  F.S. de Rogatis, nato a Bagnolo (1745-1827), scrisse l’Armida abbandonata (1770) slazione (Napoli, Stamperia Raimondiana, 1780-85, in 7 voll.), Filangieri si ispira
e tradusse Le odi di Anacreonte e di Saffo (1782). alle teorie dei filosofi francesi, in particolare di Montesquieu, partendo però da

Capitolo quarto
116
di legislazione, di storia, di pubblica economia spandevano fiume
larghissimo Pietro Napoli Signorelli63 , Mario Pagano64 , Melchiorre
Delfico65 , e il duca di Cantalupo Domenico di Gennaro. Né man-
cavano ad abbellire quelle geniali adunanze le colte dame di Napoli,
quali una duchessa di Castelpagano, una principessa di Montemiletto,
e quell’Anna Spinelli di Belmonte protettrice ed amica del Metastasio,
che, un raggio della sua gloria su di lei riverberando, più generoso le si
dimostra che grato. Onorati consessi! Nelle Odi di Labindo, nella Mer-
gellina di Campolongo, nell’Omaggio poetico in morte di Antonio di
Gennaro ne leggiamo alcune illustri testimonianze: mentre da coloro
che ne furon partecipi, e vivono ancora tra noi, li ascoltiamo a buona
equità continuamente rimpiangere.

Segue, a pie’ di pagina, la nota:

Dal 1740 sino al 1799 questo casino fu aperto ad ogni maniera di let-
terati, e napoletani e forestieri, accoltivi da’ fratelli Antonio e Dome-
nico di Gennaro, conosciuti sotto il nome l’uno di Duca di Belforte,
l’altro di Duca di Cantalupo. Morti celibi, la sorella Principessa di
Morra fu erede. La casa rimane mozza però della loggia in discorso, a
cagione della nuova strada 66 [si tratta della via di Posillipo, che nel 1829
si stava completando ad opera delle truppe mercenarie austriache].

Insomma, per la presenza assidua, presso la villa, dei più noti intel-
lettuali dell’epoca e per l’importanza e lo spessore degli argomenti
che vi si dibattevano, la dimora fu presto famosa in Europa, dive-
nendo meta obbligata dei protagonisti del Grand Tour. Inutile dire
che, oltre ad essere il circolo più colto e raffinato della capitale, la
dimora dei di Gennaro fu presto luogo inviso ai borbonici proprio

solide basi teoriche vichiane e arricchendole con il contributo di idee riformatrici


lasciato dal Giannone. L’opera fu presto nota presso le principali corti europee per
i contenuti riformistici, con particolare riferimento alle proposte concernenti la
necessità di una codificazione delle leggi, di una riforma della procedura penale, di
una graduale limitazione dei soprusi feudali e dei privilegi del clero, il tutto all’in- Giuseppe Maria Galanti, Nuova descrizione geografica e politica delle Sicilie,
terno di un’idea di monarchia ‘illuminata’ destinata a rappresentare un modello Napoli 1789; frontespizio
anche nella successiva e sfortunata esperienza repubblicana. L’opera di Filangieri
giunse persino oltreoceano, fornendo, come è noto, non pochi spunti nella reda-
zione della Costituzione americana.
63
  P. Napoli Signorelli (Napoli 1731-1815), insigne storico, fu segretario perpetuo per i suoi ‘oscuri’ frequentatori e non a torto considerato un fo-
della Società Pontaniana e docente di storia e diplomatica presso l’Università di colaio giacobino, destinato a produrre inni e canti tra i più famo-
Bologna.
64
  Francesco Mario Pagano (Brienza 1748-Napoli 1799) fu insigne giurista e pa-
si della Repubblica. Ma le testimonianze dell’importanza di quel
triota della Rivoluzione Napoletana del 1799, durante la quale fu processato e cenacolo non finiscono qui. In un’epistola dell’erudito napoletano
condannato a morte. Fu allievo di Antonio Genovesi e amico di Gaetano Filangieri. Eustachio d’Afflitto al famoso letterato bergamasco Girolamo Ti-
Docente di etica e poi di diritto criminale presso l’Università di Napoli tra il 1770
e il 1785, scrisse, oltre agli innumerevoli saggi in materia di diritto, un importante raboschi del 3 luglio 178167 sono descritte le animate discussioni
Saggio del gusto e delle belle arti pubblicato postumo (Milano,Tosi e Nobile, 1802). Cfr. letterarie e scientifiche che si tenevano a Posillipo:
R. di Castiglione, op. cit., pp. 413-418.
65
  Melchiorre Delfico (Montorio al Vomano 1744-Teramo 1835) fu filosofo, econo-
mista e uomo politico, intellettuale riformatore, membro del governo provvisorio Abbiamo arrollato il march. Caracciolo68, che nostro ambasciatore di
della Repubblica Napoletana del 1799 e per questo esiliato nella repubblica di San Francia è venuto per andar viceré in Sicilia, l’ambasciatore di Francia
Marino fino al 1806, allorché tornò a Napoli durante il dominio napoleonico; fu
quindi membro del Consiglio di Stato e presidente della commissione degli archivi qui, il residente di Venezia, l’ab. Galiani [Ferdinando Galiani69], e qual-
e, poi, della R. Accademia delle Scienze. Infine fu deputato al Parlamento napole-
tano nel 1820 e incaricato di studiare la nuova Costituzione sul modello spagnolo.
Allievo di Filangieri, sostenne le idee giusnaturalistiche di Locke e di Rousseau,
67
l’anticurialismo, i principi antifeudali e antifiscali, l’opposizione al monopolio fo-   N. Cortese, op. cit., pp. 239-240.
68
rense comuni agli altri riformatori napoletani. Tra le numerose opere sono da se-   Domenico Caracciolo, importante economista, fu ambasciatore in Francia
gnalare le Nuove ricerche sul bello, Napoli, A. Nobile, 1818, riedite in M. Delfico, (carica in cui succedette a Ferdinando Galiani) dal 1769 fino al 1781, poi viceré
Opere complete, Teramo, G. Fabbri, 1901-1904, II, pp. 183-296. in Sicilia fino al 1784, allorché successe al marchese della Sambuca come pri-
66
  D. Cuciniello, L. Bianchi, Viaggio pittorico nel Regno delle Due Sicilie, Napoli, mo Segretario di Stato. A lui si deve l’abolizione della chinea, ossia l’omaggio
presso gli editori, 1829, p. 85, cit. in R. Sirri, La cultura a Napoli nel Settecento , in annuale di un cavallo bianco, oltre a settemila ducati d’oro, alla Santa Sede in
Aa.Vv., Storia di Napoli, Cava de’ Tirreni, Ediz. Scientifiche Italiane, 1971, VIII, pp. segno di vassallaggio. In Sicilia lottò contro i soprusi feudali limitando i privi-
172-173. Si vedano pure: P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, legi dei baroni, abolì il tribunale dell’Inquisizione e promosse importanti opere
o sia Storia ragionata della loro legislazione e polizia, delle lettere, del commercio, delle arti, pubbliche.
69
e degli spettacoli dalle colonie straniere insino a noi, Napoli, presso V. Flauto, 1811,VII, pp.   Ferdinando Galiani (Chieti 1728-Napoli 1787), letterato, filosofo ed economista
217 sgg.; C. Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, insigne di formazione vichiana, allievo di Antonio Genovesi, fu ambasciatore in
Napoli, F. Giannini, 1879; N. Cortese, Nella Napoli colta della seconda metà del Set- Francia dal 1759 al 1769, avendo contatti con Diderot e con le teorie fisiocratiche.
tecento, in Id., Cultura e politica a Napoli dal Cinquecento al Settecento, Napoli, Ediz. Ma nei Dialoghi sul commercio dei grani del 1770 aderì al liberismo, sostenendo il
Scientifiche Italiane, 1965, pp. 284 sgg. Il Napoli Signorelli annovera tra gli altri relativismo delle istituzioni economiche in funzione delle peculiarità storiche, so-
frequentatori della villa dei Belforte anche Filippo di Martino e Giuseppe Tiberi. ciali e ambientali delle diverse nazioni. Oltre al contributo dato alla cartografia del

Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano


117
che altro; e di ordinario si celebra a Posillipo in una villetta che resta Ancora a proposito dell’importanza dell’ambiente culturale della ca-
poco prima di quella già di Sannazaro, ma in alto, e che domina il cra- pitale e del clima di repressione che vi si respirava, ci pare condivisi-
tere, ma non le passioni della misera e molle umanità, la quale più tosto bile quanto osserva il Cortese facendo eco alle parole di Liberatore:
risente alquanto al muover di quell’aura fresca e lusinghiera, e al suono
ed alle danze di una gioventù popolare, ma figlia della Grecia libera, e Questa pagina […] ha veramente grande interesse come pittura di
che nell’allegria ne conserva l’estro e ‘l furore sì necessario a colpire. ambiente, perché ci permette, oltre che di ricostruire quest’ultimo,
Non si possono intendere i pezzi divini della greca poesia senza star di di rispondere ancora a tutti coloro, come il La Lande, che, venuti a
questi tempi a Posillipo, il quale la guarirebbe del male, di cui Gatti la Napoli, ne ripartirono negando che la città avesse molti studiosi, e
crede attaccata. Lasci coteste ippocondriche valli, e ‘l suo non allegro traendo da ciò argomento validissimo per dirla, secondo il solito,
Fiesulano, e venga qui alla fiera che si apre nel passeggio di Chiaja, tutto oziosa. Di letterati e di scienziati non v’era difetto; mancava soltan-
illuminato la notte. to una mutua collaborazione ed un manifesto accordo fra di essi:
donde l’impossibilità di vedere sorgere su salde basi una biblioteca
Ancora la villa dei di Gennaro, dunque, fulcro dell’Arcadia napo- pubblica ed una grande accademia. Il dotto che, abituato ad altri
letana e vero simbolo di Pausylipon, ‘pausa dalla sofferenza’ e luogo ambienti, giungeva nella nostra città, dall’assoluta assenza di rapporti
dell’ozio letterario, unanimemente riconosciuta quale crogiuolo del personali ed anche intellettuali fra gli altri studiosi non poteva non
pensiero meridionale del secondo Settecento, crocevia e luogo di essere indotto a supporre un vuoto là dove in realtà non esisteva se
maturazione delle idee e fulcro di scambi culturali con i membri non un’indipendenza culturale. Su di questa poggia l’originalità del-
delle altre società arcadiche della penisola. lo sviluppo intellettuale napoletano, quasi del tutto filosofico, scien-
Non è da escludere, ad esempio, che tra il 1790 e il ’96 Corazza, tifico e politico nella prima metà del settecento, anche erudito nella
avendo modo di frequentare a Posillipo Carlo Castone della Torre di seconda metà: e così è anche spiegato perché fossero diffusi allora
Rezzonico, già direttore dell’Accademia di Parma, potesse perfezio- per l’Italia giudizi ben poco benevoli sulla nostra cultura. Eppure,
nare ulteriormente le proprie conoscenze vinciane avendo dirette non si può non riconoscerlo, se oggi siamo in grado di ricostruire la
notizie circa la biografia di Leonardo redatta dal padre di quegli, storia della cultura napoletana lo dobbiamo in gran parte agli eruditi
conte Antongioseffo, oggi conservata in manoscritto presso la Bi- del Settecento, che, senza gli aiuti del governo, affrontando infinite
blioteca Ambrosiana e oggetto di recenti studi del Mara70. difficoltà, seppero sfruttare accuratamente le biblioteche dei conventi
Tra le tante iniziative, è degna di nota la pubblicazione a Napoli, finan- e le collezioni private prima che saccheggi, vendite o soppressioni di
ziata nel 1792 da Antonio di Gennaro, della novella Antonio Foscarini e monasteri non le disperdessero o distruggessero. Tutto ciò non po-
Teresa Contarini del Pindemonte, proprio per intercessione di Coraz- teva non determinare fra i letterati infiniti pettegolezzi, polemiche,
za, buon amico del poeta veronese. Del resto sappiamo come in molti litigi, che, ricostruiti nei loro particolari, formerebbero un capitolo
componimenti dei letterati napoletani che frequentavano la villa si pos- senza dubbio molto interessante della storia della cultura napoletana
sa riconoscere una tendenza che dalle istanze metastasiane si muoveva del sec. XVIII. Nella seconda metà il sorgere dell’Accademia e le sue
proprio verso la sensibilità preromantica già propria del poeta veronese. vicende darebbero argomento nella narrazione a pagine divertenti,
Nel citato brano di Liberatore e nella lettera di d’Afflitto, oltre a perché il criterio seguito nello scegliere i soci provocò grandi discus-
numerosi nomi che compaiono di frequente nella corrisponden- sioni: ne restarono esclusi i due migliori ingegni che avesse il regno,
za di Corazza – da Fantoni a Zacchiroli, da Bertola a Vairo a Co- il Galiani e il Filangieri71.
tugno – abbiamo letto quelli di personaggi all’epoca già illustri,
come Filangieri o Galiani, e di protagonisti dei tragici eventi del Il che vale a dire che proprio quelli su cui unanimemente si fon-
’99: naturalmente, negli scritti del bolognese oggetto del nostro stu- davano le speranze del pensiero politico e filosofico meridionale
dio non vi sono che pochi timidi accenni alle nuove idee politi- furono ritenuti non certo indegni ma sicuramente incomodi, per
che, che egli, da buon servitore della corte, allo spirare sempre più le loro idee progressiste, all’interno della nuova istituzione voluta
forte del vento d’oltralpe, tiene a mantenere ‘velate’ persino nelle da re Ferdinando. Come si è accennato, l’Accademia delle Scienze,
lettere più riservate; ciò pur non mancando, in molti casi, di far fondata nel 1732 su iniziativa di Celestino Galiani e Bartolomeo
trasparire indirettamente le proprie convinzioni di marca liberale: Intieri (nel ’52 vi si era aggiunta l’Accademia del Disegno, con sede in
sebbene aderisca alle istanze giacobine, si guarda bene dall’esternare San Carlo alle Mortelle, e nel ‘55 l’Accademia Ercolanense), nel 1778
la propria fede, avvertendo, specie all’indomani degli avvenimenti era stata riorganizzata in conseguenza della riforma universitaria e
francesi del 1789-93, il pericolo insito nella diffusione di quelle idee dell’espulsione dei Gesuiti con la denominazione di Accademia Scien-
nel diverso contesto del regno dei Borbone, presso i cui palazzi tifica e Letteraria (poi delle Scienze e Belle Lettere, comprendente anche
di Napoli, Portici e Caserta trascorre di fatto la propria esistenza. le Accademie delle Arti del Disegno, ossia quelle di Pittura, di Scultura e
Corazza proseguirà nella diffusione delle nuove istanze in modo di Architettura, nella nuova sede del Palazzo degli Studi): la sua attività
sommerso ma incessante, morendo un istante prima che la bufera si sarà essenzialmente finalizzata allo sviluppo della ricerca scientifica
abbatta sugli intellettuali napoletani, su quel mondo della «Filosofia» (le classi riguardavano le matematiche pure, quelle miste e le scienze
e della «Repubblica delle Lettere» di cui è autorevole esponente. naturali) e se in tale ambito verranno conseguiti negli anni ’80-
’90 risultati di indubbio valore, le sezioni umanistiche (quelle cioè
di antichità e storia medievale) si riveleranno assai meno attive72.
Regno per aver copiato furtivamente a Parigi le pergamene aragonesi ivi esistenti Cortese riporta pure il significativo giudizio espresso dal filosofo
ma poi scomparse, fornendo così a Giovanni Antonio Rizzi Zannoni le basi per svedese J.J. Bijornestahl, in visita a Napoli nel 1771, sugli intellet-
la redazione della Carta Geografica della Sicilia Prima o sia Regno di Napoli (1769), tuali napoletani:
Galiani pubblicò nel 1779 un trattato sul dialetto napoletano, redigendone anche il
vocabolario, uscito postumo; scrisse infine il libretto per il Socrate immaginario, poi
musicato da Paisiello.
71
70
  S. Mara, Una biografia inedita di Leonardo scritta dal Conte della Torre di Rezzonico,   N. Cortese, op. cit., pp. 285-286.
72
in Tra i fondi dell’Ambrosiana. Manoscritti italiani antichi e moderni, Atti del Convegno   A. Giannetti, L’accademismo artistico nel ‘700 in Italia e a Napoli, Napoli, Ediz.
(Milano, 15-18 maggio 2007), Milano, Cisalpino, 2008, pp. 866-890. Scientifiche Italiane, 1982, pp. 198-202.

Capitolo quarto
118
I dotti sono estremamente gentili: appena v’è alcuno, il quale non regali costituisse nient’altro che un tentativo di affermazione dei valori
nella più civil maniera le sue opere; uno presenta il suo libro dicendo culturali italiani, rivendicandosi per essi un ruolo trainante in quello
esser questo un tributo della sua stima verso la persona a cui lo presenta; scenario. Quanto poi ai rapporti dei riformisti napoletani con il
un altro prega che s’abbia la bontà di dar il suo giudizio sopra la sua sovrano e con la corte, notiamo ancora una volta come l’assonanza
opera, e così discorrendo; questo lo fanno essi, quando un forestiero è di intenti registratasi durante il regno di Carlo di Borbone – spe-
da loro, o dai loro amici ben conosciuto. Molti mi hanno mandati loro cie nella direzione della necessaria limitazione dei soprusi feudali e
libri, senza che io conoscessi prima personalmente l’autore. I dotti di dei privilegi ecclesiastici – verrà rinnegata da Ferdinando IV negli
Napoli lavorano per piacere e natural inclinazione, senza aspettarsi per ultimi anni del secolo per i ben noti eventi legati alla Rivoluzione.
questo vantaggi e proporzioni. Perocché io debbo generalmente dire Come è stato più volte sottolineato, il problema principale della
che qui adesso la dottrina non è favorita gran fatto. Quindi è che anche classe intellettuale consistette a quell’epoca nella fiducia sine condi-
il numero de’ dotti non è così grande come potrebbe esserlo. Honos alit tione nella Filosofia e nell’illusione che i nuovi princìpi potessero
artes. Ancora i premi sono qui molto pochi, onde non ci si trova quella risolvere i pressanti problemi sociali, pur permanendo a Napoli e
quantità di Accademie in tutte le scienze che in Parigi e nella Fran- nel Regno un enorme scarto tra l’élite culturale e i problemi delle
cia dappertutto s’incontrano. Ma questo accresce appunto la mia stima classi meno abbienti: dopo l’intenso periodo dei primi decenni del
per gli dotti napoletani. Egli è il vero, che la mancanza del necessario secolo, allorché i valori della cultura tardobarocca avevano trovato
sostentamento trattiene molti dal loro corso; essi debbono procacciarsi ampia espressione nell’ambiente sociale e nell’arte popolare, a par-
altri mezzi per mantenersi, i quali gl’impediscono dallo inoltrarsi più tire dalla metà del Settecento agli sforzi per assicurare alle nuove
in là, e questo dà un urto alle scienze. Così debbe qui un professore di idee di respiro europeo la necessaria accessibilità sociale – emer-
greco, a fin di procurarsi qualche comodità e mantener con onore la gendo personaggi del calibro di Giannone, Genovesi o Filangieri
moglie e i figliuoli, far nello stesso tempo l’avvocato nel Tribunale, il nello sforzo comune di una rivisitazione dei metodi espressivi – non
che qui è il pane più sicuro; cosa singolare ella è questa: com’egli possa fecero riscontro altrettanti tentativi di ‘popolarità’ in ambito artistico
nello stesso tempo piattire, scriver libri per sino in ebraico, e far pro- e letterario. In quest’ultimo settore l’eloquenza e l’erudizione, pro-
cessi. Egli supera Demostene stesso, il quale scrisse solamente orazioni, prio a partire dal mito dell’Arcadia e dalla ‘purificazione’ linguistica
ch’ei recitò avanti il Tribunale; questi dà delle lezioni sopra Isocrate avviata dalla Crusca (con una significativa adesione, come si è vi-
e Demostene alla gioventù, stampa delle spiegazioni sopra i Salmi di sto, proprio da parte dell’ambiente letterario napoletano), finirono
Davidde, scrive di bei versi italiani, lavora nelle antichità, e guadagna per dominare la scena, e non certo a vantaggio di una maggiore
nello stesso tempo parecchi processi, e con loro annualmente alcune comprensione, da parte della gente comune, delle pur appassionanti
migliaia di ducati. Così fa qui in Napoli il signor Saverio Mattei73. diatribe consumatesi tra le mura dei circoli ‘esclusivi’. Eppure sarà
proprio a questi ambienti che dovremo riferirci per ricostruire la
Come abbiamo visto, proprio il Mattei era tra i più autorevoli vicenda concernente il contributo della cultura partenopea alla dif-
frequentatori del circolo di Posillipo e tra i promotori della rior- fusione dell’enciclopedismo scientifico-artistico e del leonardismo
ganizzazione dell’Accademia; Bijornestahl fa pure i nomi di Serio nell’Italia della seconda metà del Settecento: a fronte dell’inarresta-
e Campolongo, oltre a citare, nel più ampio panorama culturale, bile processo di maturazione delle idee, che già riservava al profes-
Genovesi, Filangieri, il principe di Sansevero e il duca di Noja. sionismo napoletano livelli di indubbia eccellenza, mancavano an-
Ma nei successivi vent’anni la medesima sorte di Mattei e degli cora gli strumenti per incidere sulla realtà sociale e territoriale, per
altri intellettuali ‘precari’ sarebbe toccata a Corazza. Ancora intor- diffondere e applicare i principi e le metodologie con quel consenso
no al 1780 personaggi come, oltre a Bijornestahl, Bernoulli e Or- o, almeno, quella comprensione delle strategie culturali e politiche
loff, profonderanno lodi per il progresso degli studi napoletani nel che si richiedevano ormai da parte dei più ampi strati della popo-
campo della matematica, rammaricandosi però dello scarso impe- lazione. Ma uno ‘scatto’ in tal senso potrà essere assicurato, dopo la
gno dello Stato borbonico, tale da indurre gli studiosi a pubblicare ventata rivoluzionaria, solo dalle scelte dei napoleonidi, potendosi
a proprie spese, con conseguente limitazione nella diffusione delle nel frattempo registrare e descrivere unicamente le pur consistenti
loro opere. Così Orloff: premesse teoriche di tale processo.
Volendo allora, dal nostro punto di vista, provare a ricostruire
J’ai eu lieu d’observer que les Neapolitains ont une disposition par- l’humus dell’ambiente culturale della capitale nell’ultimo quarto
ticulière pour les sciences exactes; leurs talents précoces announcent del secolo, premessa indispensabile per uno studio dell’appassio-
à quell point la nature les a douse de ces précieuses facultés. Mais la nante vicenda artistica e tecnico-scientifica del periodo in cui
science des Mathemématiques a, plus qu’une autre, besoin de la pro- Corazza svolge la propria opera intellettuale, non possiamo non
tection du government74 . sottolineare come, in effetti, già esistessero a Napoli solide basi
per una più ampia partecipazione sociale o, quanto meno, per un
La generale condivisione, sin dalla metà del secolo, delle idee dell’Il- ‘umanismo’ più operativo e partecipativo – e quindi vicino alle
luminismo europeo da parte degli intellettuali meridionali è confer- idee di un Montesquieu o alle sperimentazioni economiche inglesi
mata dall’osservazione del Sirri75 riguardo al fatto che, in fondo, an- e olandesi – rispetto a quello ‘metafisico’ auspicato ancora da un
che quel sentimento antifrancese che traspare nelle lettere del 1764 Vico o da un Gian Vincenzo Gravina. Quelle basi erano state get-
di Bernardo Tanucci a Ferdinando Galiani, specie contro Voltaire, tate da uomini come Pietro Giannone, Paolo Mattia Doria, Barto-
lomeo Intieri, in cui i Galiani, i Filangieri, i Genovesi si sarebbero
immediatamente riconosciuti. Ma l’idea di uno Stato riformabile
73
  N. Cortese, op. cit., p. 293. solo grazie a una stretta collaborazione tra il monarca ‘illuminato’
74
  G. Orloff, Memoires historiques politiques et litteraires sur le Royame de Naples: e gli uomini di cultura, magari con l’abolizione di poteri interme-
ouvrage orne de deux cartes geographiques, Paris, Chasseriau et Hecart, 1819-21,V, p. 88. di e parassitari come quello feudale e il forte ridimensionamento
Cfr. F. Amodeo, Vita matematica napoletana. Studio storico, Napoli, Tip. Accademia
Pontaniana, 1924. di quello ecclesiastico, era in evidente contrasto con la ventilata
75
  R. Sirri, op. cit., p. 177. ‘sovranità del popolo’, il cui consenso doveva necessariamente svi-
Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano
119
lupparsi partendo dal basso, ed essere premessa, non conseguenza, e un’accessibilità di linguaggio (si pensi solo all’importanza della
di quanto si intendeva porre in atto. Descrizione per l’analisi del quadro istituzionale e socio-economico
Le radici fisiocratico-montesquieuiane e umanistico-rousseauiane del Regno, rimasta insuperata con riferimento a quel periodo della
dell’idea di Filangieri di una ‘rivoluzione pacifica’ ottenuta attra- storia del Mezzogiorno) che non era dato di trovare né nei politici
verso l’azione dei filosofi76 , oltre a trovare conforto nelle riforme in più fanatici della rivoluzione, come Cirillo o Pagano, né, in gene-
atto in Europa da parte di sovrani del calibro della zarina Caterina rale, nei letterati e poeti del circolo di Posillipo: il mito classico,
II o di Federico II di Prussia, a Napoli erano destinate ad avere la grecità e la romanità, come lo stesso classicismo rinascimentale
un ampio e convinto seguito proprio nel circolo posillipino: così e il linguaggio della Crusca, strumenti del loro pensiero, non ave-
quando, all’indomani della pubblicazione della sua Scienza della vano un riscontro sociale diretto e realistico, e più spesso appari-
Legislazione (1780), nonostante l’immediato successo che l’opera vano come espressioni di evasioni arcadiche. Proprio per questo,
ebbe oltreoceano con la già ricordata influenza sulla Costituzione all’interno del poliedrico contributo di Corazza evidenzieremo
americana o, in Italia, gli autorevoli consensi di un Verri o di un in che modo, specie con riferimento alle tematiche artistiche e
Beccaria, Filangieri fu da più parti accusato di anticurialismo, con scientifiche, ad un certo punto egli si distacchi dal mito di Arcadia
non pochi attacchi personali, vi fu chi, come Zacchiroli, si affrettò e dal pur acquisito linguaggio letterario toscano per aderire ai più
a scrivergli per ‘consolarlo’: «Io non mi maraviglio che voi siate concreti principi dell’enciclopedismo, secondo una ‘conversione’
perseguitato, mi maraviglierei anzi se non lo foste», così come, da ricondursi con tutta evidenza allo studio di Leonardo.
qualche anno prima, si era scatenato «il fanatismo contro il dotto e Quanto a Delfico, il carattere estremamente pragmatico della sua
pacifico Genovesi, il più gran pensatore della nazione, l’uomo che opera va riconosciuto nella ‘simpatia’ per l’empirismo inglese e per
faceva l’onore del regno non meno che di tutta l’Italia»77. le teorie fisiocratiche francesi, ossia per una visione ottimistica-
Del resto Filangieri, proprio come Genovesi, sostenne con convin- mente fondata sul progresso naturale dei popoli dall’aristocrazia alla
zione la necessità di una più ampia istruzione popolare: i suoi studi democrazia. Andrebbe tra l’altro indagato quanto delle idee da lui
sull’educazione influenzarono certamente le idee dei più sensibili espresse nelle Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana
tra gli ‘intellettuali di Posillipo’, come Corazza, spingendoli a cercare e de’ suoi cultori (1791) e nei Pensieri sulla storia e su la incertezza ed
in più affidabili strumenti pedagogici, come l’eloquenza, l’oppor- inutilità della medesima (1809) trovi riscontro negli scritti di Corazza
tunità di una diffusione del sapere presso le nuove generazioni. Ma in materia di storiografia dell’età antica, specie nei termini di un
era ancora troppo poco e quei metodi furono più spesso rivolti agli superamento della storia, con i suoi esempi di oppressioni e soprusi,
ambienti di corte o al ceto nobiliare che agli altri livelli sociali; in per aspirare ad un miglioramento del presente. È certo comunque
più, un ruolo ‘esclusivo’ non irrilevante dovette avere la massoneria, che i suoi legami con i più autorevoli uomini di cultura italiani
cui aderirono molti di quegli uomini. sono pari almeno a quelli di Corazza e la frequentazione tra i due
Il Venturi78 individua a ragione la causa principale dell’insuccesso (nonostante la ben più giovane età di Delfico) può, anche in questo
del riformismo meridionale nella mancanza, a differenza di quanto caso, aver costituito per il bolognese un’occasione importante per
avveniva ad esempio in Francia, in Spagna, in Inghilterra o in Ame- nuove conoscenze e scambi culturali. È quanto ci viene in mente,
rica, di un ceto di proprietari terrieri capace di assicurare il necessa- ad esempio, a proposito dell’amicizia di Delfico con il milanese
rio ammodernamento delle strutture produttive, ossia di consentire Carlo Amoretti, curatore dell’edizione del 1804 del Trattato della
il passaggio dalle idee fondate sull’utopismo e sulla fisiocrazia verso Pittura: egli lo conobbe nel viaggio in Italia settentrionale, effettua-
una concreta riforma tecnica ed economica. Così anche in ambienti to in compagnia di altri filosofi e letterati, tra cui Beccaria e Verri,
culturali di fama europea, come quelli dei Serra di Cassano e dei nonché scienziati come Volta e Spallanzani81; nel 1796, in Toscana,
di Gennaro, il dibattito scivolerà direttamente da Vico al giacobini- Delfico entrò in contatto anche con Pindemonte e con Alfieri. Su-
smo e solo durante il decennio francese le idee più ‘concrete’ di un perata l’accusa di giacobinismo durante la rivoluzione napoletana,
Galanti, di un Palmieri o di un Delfico avranno un degno seguito: sotto il governo napoleonico Delfico rivestirà la carica di consi-
non a caso, come osserva Sirri a proposito di questi ultimi, «il loro gliere di Stato.
linguaggio è il linguaggio della Nazione, moderno, unitario, medio, Infine Pagano, con Cirillo il più radicale del ‘circolo’, che aveva
non toscano»79 e quindi non incline, a differenza di altri, ad incartarsi creduto nella politica di un monarca illuminato per poi disillu-
in sterili diatribe da accademia. dersi e aderire al giacobinismo, terminando la propria esistenza in
In particolare Giuseppe Maria Galanti80 , nei suoi accurati studi in piazza Mercato nel ‘99. Anche Pagano dovette avere a Posillipo un
materia storico-sociale e geografico-politica, ci pare il più affine ruolo, per così dire, da censore nel richiamare in molte occasioni
a quanti, a loro volta in ambito critico-artistico o letterario, anda- i dotti colleghi ad una maggiore concretezza espressiva, offrendo
vano sostenendo la validità del modello rinascimentale e di quello anche un contributo alla discussione in materia artistica – si veda-
classico (la Firenze di Machiavelli come la Milano di Leonardo o no i discorsi Sull’origine e natura della poesia e Del gusto e delle belle
le polis greche). In Galanti – si vedano la Breve descrizione di Napoli arti contenuti nei suoi Saggi politici – ma mostrando in ciò un’in-
e del suo contorno del 1792 e la Descrizione geografica e politica delle Sicilie clinazione ancora a metà strada tra il linguaggio tardobarocco e il
del 1789-98 – come parallelamente nel giovane mondo delle scien- neoclassico 82 .
ze sperimentali e dell’ingegneria, nonostante il mancato appoggio
del governo borbonico, quei modelli assunsero una concretezza Genovesi denunciò per primo, nel 1753, come i «Don Chisciotti
della repubblica delle lettere», partendo dal toscanismo e dal petrar-
76 chismo arcadico e tentando di superare, con rinnovato spirito clas-
  F. Venturi, Napoli capitale nel pensiero dei riformatori illuministi, in Aa.Vv., Storia
di Napoli, Cava de’ Tirreni, Ediz. Scientif. Italiane, 1971,VIII, pp. 607-624. sicista e purista, le frivolezze linguistiche tardobarocche, si fossero
77
  Ivi, p. 624.
78
  F. Venturi, Introduzione a Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, in Illuministi
Italiani,V, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1972, p. XII.
79 81
  R. Sirri, op. cit., p. 224.   Ivi, p. 1179.
80 82
  Riformatori napoletani, cit., pp. 946 sgg.   R. Sirri, op. cit., pp. 243 sgg.

Capitolo quarto
120
ormai arenati sulle secche di sterili diatribe e «ciarlerie» 83 ; sicché
nei più importanti cenacoli culturali della capitale queste dispute
avevano finito in qualche modo per scoraggiare un più proficuo
dibattito nell’ambito scientifico84 . Per Genovesi le accademie e i
circoli letterari napoletani, anziché porre al servizio della società la
ragione e le scienze, stavano tradendo le nuove idee dell’Illumini-
smo, dai forti contenuti sociali, a vantaggio di una concezione me-
ramente aristocratico-umanistica della cultura 85. Eppure proprio
Genovesi aveva dimostrato come si potesse prendere le distanze dal
puro ‘filosofeggiare’ ristabilendo la verità e l’utilità delle scienze,
attraverso la lezione di un Machiavelli o di un Leonardo: il model-
lo cinquecentesco toscano, lungi dall’essere una riproposizione an-
tiquaria, avrebbe dovuto svolgere l’importante funzione di ispirare
l’applicazione di un metodo già collaudato, fondato non già sul dog-
matismo, ma sulle ‘ragioni delle cose’, secondo la lezione vinciana.
La strada era dunque già tracciata dalla metà del secolo e gli studi di
Corazza ci mostrano quanto, negli anni ’70-’80, fosse ormai diffusa
la convinzione dell’opportunità di quel modello; ma non si fece in
tempo, prima della Rivoluzione napoletana, ad applicarlo per for-
giare un linguaggio più vicino al popolo e a rinunciare alla pura
speculazione intellettuale per penetrare i gangli sociali. Il fenome-
no è confermato dalla critica rivolta proprio ai membri del circolo
di Posillipo da Ferdinando Galiani nel suo Dialetto napoletano del
177986, in cui lo studioso, contro ogni ‘esterofilia’, intende dimostrare
la nobiltà di origine e di struttura della lingua napoletana nel quadro
di un più generale riscatto dei dialetti italiani rispetto al Toscano.
L’autore prende in giro con particolare veemenza i «toscanisti di
Mergellina», tutti dediti allo studio delle norme di grammatica e del
vocabolario idiomatico adottato dalla Crusca. Effettivamente, come
si nota anche nella Filosofia dell’eloquenza o sia l’Eloquenza della ra-
gione, di F.A. Astore87, altro martire del ’99 vicino all’ambiente dei di
Gennaro, la retorica incombe su ogni disquisizione, non riuscendosi Francesco Antonio Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, Na-
a cogliere con chiarezza i principi base dell’Illuminismo, in primis poli 1781; frontespizio
quelli di Voltaire.
Così, se è vero che le istanze di grecità e latinità, stimolate a Napoli
dalla forte eco derivante dagli scavi di Ercolano e Pompei e dalla ri- ra letteraria l’adesione incondizionata al toscanismo si era manife-
scoperta di Paestum, fecero il paio, quanto a fierezza ‘nazionalistica’, stata sin dall’inizio del secolo nell’opera di illustri personaggi come
con quelle che animarono i toscani all’indomani dei ritrovamenti Leonardo Di Capua, Gregorio Caloprese, Gian Vincenzo Gravina,
etruschi, consolidando ad esempio la posizione meridionalista di tesi a superare la scala ‘provinciale’ per la creazione di una nazione
Galiani in ambito linguistico, per quanto concerne la più ampia sfe- culturale italiana e di una lingua nazionale fondata sulle comuni
origini rinascimentali88. Ma se il rigorismo filo-toscano fu forte-
mente criticato da Giannone e dallo stesso Galiani con riferimento
83
  Ivi, pp. 173-174. alla produzione di quei letterati, d’altro canto va riconosciuto agli
84
  Genovesi sottolinea al riguardo: «La geometria, l’astronomia, l’aritmetica, la fisi- stessi membri della Colonia Sebezia il merito di aver sostenuto e
ca, la storia della natura, le quali i Francesi, gl’Inglesi, gli Olandesi trapiantate d’Italia
così hanno coltivate ed ingrandite, e tanti vantaggi per la vita umana n’han tratti, diffuso la libertà di giudizio in campo filosofico e, soprattutto, lo
che ne son superbi, sono da molti ancora tra noi riputate come scienze d’oziosi, e sperimentalismo in quello scientifico89. Fu così che, nella scienza
da parecchi studiate per solo piacere, come l’Ariosto» (ibidem).
85
  Ci fu persino chi, venendo a sapere che il Genovesi faceva lezione in italiano an-
come nell’arte, il modello rinascimentale di riferimento fu ancora
ziché in latino per stabilire un più diretto rapporto con le problematiche concrete, una volta, e sempre più entro la fine del secolo, Leonardo.
lo criticò aspramente (ibid.). Scrive ancora Sirri (ivi, p. 183) a proposito degli intellet- Il contributo di Galiani, lungi dall’arrestare l’inesorabile e giusto
tuali napoletani: «L’atteggiamento plutarcheo del gruppo è imposto dalle condizio-
ni dell’ambiente, dove la politica e l’ambiente si esprimono ancora in un linguaggio
letterario, e la fissazione di un modello-guida è impresa solitaria. L’ambiente non è
disposto ad andare oltre la superficiale e contingente accettazione delle proposte di 88
  R. Sirri, op. cit., p. 267.
riforme amministrative; ed essi non sanno liberarsi dalla posa dell’eroe che avanza 89
  Il programma di razionalizzazione dell’espressione letteraria si fondò a Napoli
dalle regioni del vero contro l’ignoranza e l’ignavia. In un linguaggio apostolico, di sulla figura di Leonardo Di Capua e riunì personaggi come Gravina, Vico, Calo-
apostoli della nuova cultura, essi si proclamano mediatori tra la scienza e il popolo. prese, Amenta, Giannelli, i così detti «capuisti». Molti di essi erano in rapporti con
Ma il loro atteggiamento di distributori di scienza non è esente dal caratteristico Giovan Mario Crescimbeni, uno dei fondatori (tra cui lo stesso Gravina) dell’Ar-
paternalismo della classe dirigente. Nel loro adoperarsi per adeguare e ridurre la cadia romana e nel 1703 confluirono nel ramo napoletano dell’Arcadia stessa, la
scienza alla comprensione del popolo è implicita la considerazione scettica che se la cosiddetta «Colonia Sebezia», fondata il 17 agosto di quell’anno. Cfr. F. Bologna, La
scienza non era fatta dal popolo, il popolo non era fatto per la scienza. La loro opera dimensione europea della cultura artistica napoletana del XVIII secolo, in Arti e civiltà del
di mediatori, nella quale s’impegnarono con grande energia e per lunghi anni, tra Settecento a Napoli, a cura di C. de Seta, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 31-33. È im-
speranze e delusioni, terminò spesso con l’accettazione, tra scettica e conformistica, portante inoltre considerare l’orientamento antibarocco di Gian Vincenzo Gravina,
dell’ordine costituito, in regime reazionario o moderato». che invocava le «muse toscane» per il raggiungimento del «supremo buon gusto»;
86
  F. Galiani, Del dialetto napoletano, Napoli, Tip.V. Mazzola-Vocola, 1779. tendendo alla restaurazione della «buona favella toscana», come la chiamò il Vico,
87
  F.A. A store, Filosofia dell’eloquenza o sia l’Eloquenza della ragione, Napoli, Tip. che, secondo Bologna, «fu peculiare delle cerchie napoletane fin verso il 1740, ed
V. Orsino, 1783. ebbe punte di polemica antibarocca spinte fino alle bastonature» (ivi, p. 48).

Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano


121
processo di formazione della lingua nazionale, consistette da un lato Degna di nota, comunque, resta l’opera di riordinamento della Bi-
nel vanto della dignità storica dell’idioma e della letteratura patria, blioteca Reale negli ambienti del Palazzo degli Studi specificamente
dall’altro nel monito incondizionato nei confronti della freddezza e destinati, intrapresa proprio dal d’Afflitto nel 1779 e poi passata al
dell’oziosità del dibattere da parte di «quelli di Posillipo». Ma, alla resa Giustiniani, che ne redigerà una dettagliata disamina96 citando, come
dei conti, non gli si può non attribuire la stessa mancanza di incisi- abbiamo visto, il Codice Corazza tra le opere più prestigiose della
vità sulla realtà sociale che egli lamentava per i «toscanisti». Tutto ciò collezione reale.
conferma, quindi, come alle istanze di concretezza e di comunica- Bisogna riconoscere che iniziative apparentemente mondane come
zione sociale proprie dell’Illuminismo facesse riscontro un adegua- quelle promosse a corte da Maria Carolina, cui certamente parteci-
to atteggiamento nei soli ambiti tecnico-scientifico ed economico, pò l’abate bolognese, ebbero il merito di offrire a molti intellettuali
con l’uso di un linguaggio dalla struttura sintattica piana e analitica90. – compresi quelli del gruppo di Posillipo ammessi a Palazzo – l’oc-
casione di incontri che, almeno fin quando non assunsero i toni
Lo specifico apporto di Corazza alla produzione lirico-letteraria e della cospirazione, furono di livello assai elevato: ci riferiamo ai tanti
al pensiero critico-filosofico del secondo Settecento richiede consi- artisti, musicisti, scienziati e letterati coinvolti, prima della Rivolu-
derazioni generali in relazione allo scenario della capitale borbonica. zione e della conseguente reazione, in utili disquisizioni promosse
Dagli studi di Giannantonio91 si evince come a Napoli la poesia si in ragione degli interessi massonici della regina e di quelli scien-
diffonda, per così dire, ‘di riflesso’, ossia facendo eco al più fervido tifici legati alla poliedrica figura di sir Hamilton. La caratura stes-
dibattito in atto nel resto d’Italia e comunque all’interno di più sa dei protagonisti e la vivacità dell’ambiente culturale napoletano
ampi interessi culturali: i poeti, molti dei quali di grande sensibilità bastarono a sopperire ad oggettive carenze strutturali e istituzionali,
ed erudizione, furono in maggioranza scienziati, medici, avvocati o riservando comunque agli intellettuali della corte borbonica l’op-
altri professionisti dediti all’enciclopedismo e ‘prestati’ alla letteratu- portunità di occupare un posto di rilievo nel panorama illuminista
ra. Peraltro in più di un caso, quantunque i risultati da essi conseguiti italiano. Così Sirri:
fossero ritenuti apprezzabili anche al di fuori dei confini del Regno,
risulta evidente il disinteresse manifestato nei loro riguardi da au- Il ricercarsi dei letterati da un capo all’altro della penisola, il loro corri-
torevoli critici coevi, primo tra tutti il Tiraboschi nella sua monu- spondersi e comunicarsi risultati e proponimenti e il visitarsi e discorre-
mentale Storia della letteratura italiana (1772-95). Nel caso di Corazza re di problemi culturali e organizzativi, il cercare biblioteche e raccolte
dovremo, allora, tenere ben presenti le radici ‘straniere’ della sua for- d’arte, giudicarne e auspicarne una maggiore efficienza nell’interesse
mazione nel valutare l’autorità critica e culturale che traspare con della comunità, sia pure soltanto della comunità letteraria, il paragonare
evidenza dalla corrispondenza con i letterati e gli artisti meridionali la vita culturale e le biblioteche di Roma a quelle di Napoli, e notare
e con quelli del resto della penisola. come queste siano meno efficienti, farsi promotori di repertori biblio-
Nel periodo di cui ci occupiamo si assiste nel Mezzogiorno alla for- grafici non per semplice gusto inventariale ma per procurare adeguati
mazione di un solido filone di studi storiografici, rappresentato da strumenti di lavoro, e il continuo richiamo alla necessità sociale della
nomi come Napoli Signorelli, Soria, d’Afflitto, Giustiniani, i quali, a diffusione delle scienze e delle lettere, insomma quel rigoglio della vita
partire dagli anni ’70 fino a tutti i ’90, diffonderanno la storia della del Settecento segna l’orientarsi del costume verso un nuovo ordine di
cultura meridionale in Italia e in Europa92 adottando un metodo cose, in una società allargata97.
di indagine rigorosamente fondato sul dato analitico-documenta-
rio, ossia modernamente induttivo e sperimentale. Basti ricordare Quale è stato, dunque, in questo contesto culturale, il contributo di
le Memorie storico-critiche degli storici napoletani di Francesco Antonio Corazza alla filosofia come alla critica artistica, all’eloquenza come
Soria (1781), le Memorie degli scrittori del Regno di Napoli (1782-94) di alla letteratura e alla poesia? In molti casi la sua opera è quella più
Eustachio d’Afflitto, o, ancora, le Vicende della coltura nelle due Sicilie propria del poeta militante; in altri, invece, quella del divulgatore
dalla venuta delle colonie straniere sino ai nostri giorni di Pietro Napoli instancabile, del pedagogo interessato alla diffusione delle idee illu-
Signorelli, «borbonico di cuore e liberale per sbaglio», come lo de- ministiche presso le nuove generazioni.
finì Manzoni93, un moderato che svolse un prezioso lavoro di siste- Sotto il profilo specifico della produzione poetico-letteraria, nell’e-
matizzazione della storia della cultura napoletana e, come vedremo, conomia del nostro studio ci limiteremo a segnalare, oltre a quanto
assunse l’onere del periodico rendiconto dell’attività dell’Accade- già noto dalla storia della letteratura italiana, quello che si ricava
mia delle Scienze e Belle Lettere, di cui fu segretario94. dall’inedita documentazione della Biblioteca Nazionale, rimandan-
Ma alla pur valida azione di conservazione e studio delle memorie do a futuri approfondimenti da parte di studiosi competenti la giusta
della tradizione patria, condotta attraverso l’analisi critica dei docu- valorizzazione dell’opera di Corazza, ricordata anche dal Carducci
menti e un continuo scambio epistolare con studiosi di altre parti per la costante ispirazione alla metrica classica98.
d’Italia, solo in pochi casi farà riscontro la creazione di efficienti
strutture di ricerca, atte a promuovere incontri e scambi culturali95.
pure sull’argomento Giustiniani e Minieri Riccio) e dei circoli culturali e letterari,
tra cui quello dei Belforte a Posillipo. Egli riferisce anche circa il progetto di una
90
Biblioteca degli scrittori del regno concepito dal d’Afflitto, opera poi rimasta incompiu-
 R. Sirri, op. cit., p. 236. ta alla lettera B, come già si era interrotta quella del Mazzucchelli.
91
  P. Giannantonio, op. cit., pp. 207 sgg. 96
  L. Giustiniani, Memorie storico-critiche della R. Biblioteca Borbonica di Napoli,
92
 N. Cortese, op. cit., pp. 223 sgg. Napoli, presso G. De Bonis, 1818. Dello stesso autore vanno citati altri importanti
93
  R. Sirri, op. cit., p. 246. scritti, come la Biblioteca storica e topografica del regno di Napoli (Napoli, V. Altobel-
94
 Ancora per quanto riguarda la storiografia settecentesca napoletana, tesa al rio- li, 1793), il Saggio storico-critico sulla tipografia del regno di Napoli (Napoli, stamp. V.
dinamento filologico-documentario del patrimonio culturale e letterario del Mez- Orsini, 1793), il Dizionario geografico ragionato del regno di Napoli (Napoli, presso V.
zogiorno, Sirri segnala la Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’istoria generale del Manfredi, 1797-1805) e la Breve contezza delle accademie istituite nel regno di Napoli
regno di Napoli dell’editore Giovanni Gravier, che pubblica in 23 volumi (Napoli, (Napoli, s.n., 1801).
97
stamp. G. Gravier, 1769-77) una collazione delle opere più significative sulla storia   R. Sirri, op. cit., p. 264.
napoletana, dal di Costanzo al Porzio, al Parrino, al Pontano, al Collenuccio. 98
  Edizione Nazionale delle opere di Giosuè Carducci, Bologna, Zanichelli, 1961, XVI,
95
  R. Sirri, op. cit., p. 258. Il Cortese (op. cit., pp. 277 sgg.) parla delle biblioteche p. 124 (dalle Conversazioni critiche, 1884): «[…] Cotesto bolognese nella seconda metà
pubbliche e private napoletane di quell’epoca, delle accademie ivi esistenti (vedi del secolo decimottavo propugnò validamente la imitazione dei metri classici nella

Capitolo quarto
122
bonica, il bolognese stringe amicizia con i letterati posillipini, tutti
in qualche modo legati al filone metastasiano100. Negli anni ’70-’80
compone numerosi sonetti, elegie, poemetti e testi teatrali101: ab-
biamo visto come l’Orfeo, un poemetto in versi sciolti102 iniziato a
quell’epoca, sarebbe stato pubblicato per la prima volta solo nel 1797
in una più ampia collazione di diversi autori103 e poi, postumo, nel
1810 a cura del figlio Sebastiano con il titolo di Orfeo canti due: di
questa edizione verrà probabilmente acquistata una copia dal pittore
Bossi durante il soggiorno napoletano104.
Nel 1773, proprio in occasione dell’intrapresa composizione dell’Or-
feo, l’amico Carlo de’ Martini, cui Corazza ha sottoposto il mano-
scritto, lo sprona non solo ad andare avanti, ma ad accingersi addi-
rittura a una traduzione dell’Eneide:

Il Vostro poema dell’Orfeo mi ha trovato nell’opinione che alcuno non


sia in grado e capace di fare una traduzione del poema di Vergilio cor-
rispondente all’originale, fuori di voi, il quale trasportate così bene
la dignità e grandiloquenza poetica del Mantovano cantore ne’ vostri
versi, che all’udirli pare d’udire Vergilio, che canti in essi105.

Effettivamente, in un elenco generale degli scritti di Corazza com-


pare una traduzione del Libro XII dell’Eneide, come pure una del

Maier, M. Fubini, D. Isella, Lirici del Settecento, Ricciardi, 1959, p. 691; G. Natali,
Storia letteraria…cit., II, pp. 688, 762; Il novissimo Melzi. Dizionario enciclopedico in
due parti, Milano, Vallardi, 1962; V. Caputo, I poeti d’Italia in Trenta secoli, Milano,
Gastaldi, 1962; R. Baldi, op. cit., pp. 19-21. Riportiamo di seguito l’elenco completo
delle opere a stampa di Corazza: Solenizzandosi la quarta domenica di settembre nella
Chiesa Parrocchiale e priorale di Santa Maria Maddalena, Bologna, s.n., 1745; Rime in
occasione di offerire all’altissimo per la prima volta il santo sacrifizio della messa il signor d.
Domenico Corazza il lunedi tra l’ottava del Corpus Domini nella parrocchiale di S. Maria
delle Muratelle l’anno 1747, Bologna, stamperia di L. Della Volpe, 1747; Per il primo
Vincenzo Corazza, Orfeo canti due in versi sciolti, Napoli 1810; frontespizio solennissimo ingresso al gonfalonierato di giustizia nel secondo bimestre dell’anno 1753 del
nobilissimo, ed eccelso sig. marchese Francesco senatore Albergati Capacelli, Bologna, Stamp.
L. dalla Volpe, 1753, con rime di Giampietro Zanotti e V.C.; Europa. Poemetto di
Mosco recato dal greco in versi italiani da Vincenzo Corazza, Ferrara, per Giuseppe
Sin dai primi componimenti pubblicati a Bologna a partire dal 1747 Rinaldi, 1756; Pel quinto solenne ingresso al Gonfalonierato di giustizia nel penultimo
nell’ambito arcadico della Colonia Renia e con prevalente caratte- bimestre dell’anno 1758 del Sig. Conte Francesco Senatore Caprara (ode), Bologna, s.n.,
1758; All’eccellentissimo Sig. d. Paolo Ignazio Piella in occasione che al medesimo si è
re filologico (specie traduzioni dal greco), epigrafico o elogiativo, conferita nel corrente dicembre la laurea dottorale in Sacra Teologia l’anno 1758, Bologna,
Corazza aderisce, come osserva il Natali, al filone dell’imitazione s.n., 1758; Per le nozze di Sua Eccellenza Marchese Gian Girolamo Pallavicini con
Sua Eccellenza Lucrezia Lambertini. Versi del Sig. Vincenzo Corazza, Bologna s.d.
omerica e oraziana, avente riscontro in componimenti come inni (ma dopo il 1760); Inno al sole, Napoli, s.n., 1778; I voti pubblici mentre si aspetta
profani e testi di argomento mitologico99. Giunto nella capitale bor- il ritorno dai suoi viaggi delle RR Maestà di Ferdinando IV e Maria Carolina sovrani
desideratissimi, Bologna, per Gio.Battista Sassi, 1791; traduzione del Compendio
della storia romana fino alla Battaglia d’Azio o alla Monarchia d’Augusto scritto già dal
sig. ab. Tailhie ed ora trasportato dal francese in italiano dal sig. abate Vincenzo Corazza,
poesia italiana». Ne I fasti d’Imeneo (1762) Corazza propose versi senza rima ad imi- che alla tarduzione ha aggiunto un indice geografico de’ popoli, luoghi e città, che nel corso
tazione di quelli del poeta latino Marziano. Inoltre, «splendidi per opera tipografica di quest’opera son ricordati (…), in 5 tomi, Napoli, Stamperia Reale, 1795; Orfeo.
e pregevoli per testimonianza d’erudizione, lo stesso anno che I fasti d’Imeneo, usci- Canti due in versi sciolti. Poema di Vincenzo Corazza dato in luce da Sebastiano suo
rono in Bologna dai tipi della Volpe I riti nuziali degli antichi romani a festeggiare le figliolo, Napoli, A. Trani, 1810. In un elenco degli scritti di Corazza contenuto in
nozze di don Giovanni Lambertini e donna Lucrezia Savorgnan: sono dieci capitoli ACABo, F.S. Biografie, cart. I, n. 5, figurano anche documenti non reperibili né
in terza rima – ce ne ha di Vincenzo Corazza, di Camillo Zampieri, di Agostino a Napoli, né a Bologna, tra cui un centinaio di «lettere familiari per servizio di
Paradisi - che percorrono l’argomento per tutte le sue parti, con innanzi una dotta S.A.R. la Principessa Maria Teresa morta Imperatrice d’Austria», le «Odi Pinda-
memoria di mons. Floriano Malvezzi (Diomede Egeriaco) e con incisioni e vignet- riche», i «Versi in cui descrive molte belle cose di Roma», alcuni carmi «in morte
te di marmi e oggetti antichi bellissime» (ibidem). di Donna Livia Doria Roccella», un’«Ode in lode di Clemente XIII», tredici
99
  In verità, ai tempi degli esordi in campo letterario non mancarono giudizi non «Componimenti poetici in un libro a parte composti in Milano» e altre poesie
proprio lusinghieri per le opere di Corazza, come in occasione dell’uscita in stampa dal titolo: «In lode del Padre Mayelli d’Aloys. Prima Messa», «In morte del Re
della sua traduzione del poemetto del poeta greco Mosco dal titolo Europa. Cfr. in Cattolico Carlo III», «Per le nozze del Principe D. Antonio Santacroce», «Alla
proposito le Memorie per servire all’Istoria Letteraria, Venezia, P. Valvasense, 1756, t. 8°, Sig.ra Duchessa di Bracciano», «Al Principe Chigi», «Al Senatore Gambalunga»,
parte VI (dic. 1756), in cui si legge che Corazza «per distinguersi dal volgo de’ poeti «Al Senatore Francesco Albergati», «Per le Nozze del Conte Niccolò Caprara»,
grecheggia alla gagliarda [...].Ma il componimento alla Greca non è il compor «Melanconia», «Al Sig.r Jacopo Bianconi», «In morte del S. Padre Benedetto
da non farsi intendere? Ora certe sue strofe e antistrofe, o sia stroppiature da lui XIIII», «Per il Senator Caprara», «Per le nozze del Sig.r Montecatini Lucchese»,
stampate, anni fa per certe Nozze, tutto pensiero della sua testa, sono proprio di «Per la Monaca Canevelli», «Al fratello D. Domenico Corazza».
questa tacca; e adesso che nel tradotto Poemetto non ci ha del proprio, che le parole 100
  G. Natali, op. cit., p. 733.
e i versi, dovendo unir i suoi detti ai pensieri del Poeta Greco, il componimento 101
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/6-8.
par fatto a Mosaico. […] Ai voli Greci, ed ai modi Italiani, ci è mescolato qualche 102
francesismo, cosicché il tutto par un intingolo maniato e sputato». In generale, sulle   Si veda il ms. originale ivi, X. AA. 28/11.
103
opere letterarie del Nostro, cfr. G.B. Melzi, op. cit., II, p. 35, sub voce Inno al Sole   Poemetti italiani, voll. 1-12, Torino, presso M. Morano, 1797.
104
«dell’abate Corazza, senza luogo e anno (Napoli 1778) in 4°»; G. Carducci, Ope-   Compare infatti in Catalogo della libreria del fu cavaliere Giuseppe Bossi pittore
re, Bologna, Zanichelli, 1893, VIII, p. 225; G. Casati, Dizionario degli scrittori d’Italia milanese la di cui vendita al pubblico incanto si farà il giorno 12 febbraio 1818, Milano, tip.
(dalle origini fino ai viventi), (4 voll.) Milano, R. Ghirlanda, 1926-1934, II, p. 193, s.v. G. Bernardoni, 1817.
105
“Corazza Vincenzo”: «sec. XVIII, napoletano [sic], abate, poeta. L’Orfeo, poemetto   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/5, lettera del de’ Martini a Corazza del 7
in sciolti; Inno al sole; L’acconciatura del capo: riti nuziali degli antichi romani»; B. settembre 1773.

Corazza e l’ambiente culturale dell’Illuminismo italiano


123
primo Libro dell’Iliade, oggi perdute106. Nel 1778 è la volta dell’Inno Bodoni di Parma118. Ma l’abate non si cura di tali incitamenti, tanto
al sole, un’ode oraziana dedicata all’abate Bertola107, a mons. Pigna- che nell’84 il principe dovrà insistere:
telli, al duca di San Nicola e al duca di Belforte108. Alla stessa epoca
vanno riferiti altri interessanti manoscritti, tra cui varie voci e defi- Rimandandole il suo Frammento sulle Arti del Disegno119, ove vi sono
nizioni («Gusto», «Economia», «Verità», «Grammatica», «Religione», de’ lumi, e delle bellezze originali […] non posso dispensarmi di com-
«Educazione» e altre in materia filosofica109) probabilmente fina- piangere che così questo suo opuscolo come forse troppe altre sue
lizzate all’edizione livornese dell’Encyclopédie, i Pensieri sulla musica cose debbono rimaner sepolte a gran danno de’ veri conoscitori del
(1773), la prefazione al Trattato di Logica del Reggi110, i Primi rudimenti buono120.
dell’Eloquenza e Arte dell’Eloquenza (1777)111, i Pensieri sull’educazio-
ne112 a supporto della propria attività di istitutore, la versione in versi Negli anni ’80 egli sottopone in più occasioni all’amico Meola un
sciolti dell’Epitalamio di Catullo113 e infine la traduzione degli Ele- ricco repertorio di «definizioni», ossia un vero e proprio dizionario
menti di musica di Jean-Philippe Rameau nell’edizione di d’Alem- di termini tratti da poeti e scrittori dall’antichità fino ai tempi più
bert (Lione, 1767)114 e del Dizionario di musica di Rousseau115. recenti, riservando particolare attenzione a quelli rinvenibili nel De-
In questi ultimi casi, dunque, il bolognese si rivela anche appas- camerone di Boccaccio121: insomma un’operazione condotta in ambito
sionato musicologo: oltre a manifestare nuovamente un’adesione letterario con una metodologia simile a quella da lui adottata, nella
alla corrente degli ‘italianisti’ contro i sostenitori della tradizione stessa epoca, nel glossario vinciano presente nei «Termini di arte».
francese, in più punti dell’epistolario egli appare aggiornato sul di- Nel 1787 si cimenta in un certame poetico con Giovanni Fantoni: il
battito che si andava sviluppando nei più vivaci ambienti musicali bolognese compone in questa occasione un’ode dal titolo Tutto di-
europei. Ad esempio nella corrispondenza del 1774 con Stefano Or- vampa dal sublime Cancro e il poeta toscano gli risponde con un altro
sini116 Corazza mostra di condividere quanto sostenuto da Antonio simile carme, in cui esalta le doti del Nostro e la bellezza amma-
Eximeno (filosofo gesuita spagnolo, trasferitosi a Roma dall’inizio liante di Partenope122, che aveva ammirato in un recente soggiorno,
degli anni ’70 e anch’egli membro della «Società dell’Arco») nella frequentando anch’egli il circolo culturale posillipino. Nel 1789 è la
sua ultima opera Dell’origine e delle regole della Musica117 circa l’as- volta di Ludovico Preti, amico e concittadino, che gli chiede poesie
senza di qualunque rapporto tra le regole musicali e quelle del- e altri componimenti per inserirli in un volume che si pubblica a Ve-
la matematica, poiché la prima «altro non è che una Prosodia, la nezia; ma anche in questo caso Corazza non invierà alcuna opera123.
quale deve avere le regole proprie, e non mai prese dalle propor- Del vasto gruppo di intellettuali che egli ha avuto modo di co-
zioni della Matematica». In questo senso, è evidente la rinuncia al noscere tra Bologna, Milano e Roma fanno parte nomi di spic-
concetto di armonia pitagorica, sostenuto ancora da Rousseau e co nell’ambito della critica letteraria e artistica italiana, tra cui
da d’Alembert, prefigurandosi quello che sarà, nel Novecento, lo Bottari, Zanotti, Mazzucchelli, Parini, Stay e Tiraboschi 124 . Va
scardinamento schoenberghiano della tradizione musicale classica. poi segnalato il particolare rapporto di amicizia con lo storico e
Nel 1781 Corazza compone in greco la Fistola Ovvidiana: in questo letterato casertano Francesco Daniele, per il quale Corazza com-
caso, come in tanti altri, egli viene spronato con energia a dare se- pone un elogio poi inserito nell’Orfeo125 : anche Daniele, come gli
guito alla stampa dagli amici letterati; tra essi Vincenzo Carafa prin-
cipe di Roccella, che gli chiede più volte i testi di alcune sue com-
118
posizioni per pubblicarle in una raccolta in corso di edizione per   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/1, f. 7, lettera di Carafa a Corazza del 29
giugno 1781: il principe presta a Corazza la Vita di Cellini.
119
  Si veda in proposito il paragrafo seguente.
120
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/1, lettera del 29 aprile 1784. Tra l’altro, il
principe accenna di voler rifondare la «libera Società Letteraria», invitando Corazza
106
  BCABo, F.S. Biografie, doc. s.d., s.f. alla riunione preliminare.
121
107
  Il già citato Aurelio Bertola fu amico, tra gli altri, di Pindemonte, di Metastasio   Ivi, XIV. G. 15/7, s.v. «Meola Gian Vincenzo». Si tratta di una serie di studi di
e di Parini, e deve aver avuto un ruolo importante nei rapporti che Corazza ebbe argomento strettamente letterario e filologico, in cui troviamo, tra l’altro, ricchis-
a sua volta con questi illustri letterati. Bertola dedicò a Corazza una poesia che sime e forbite voci finalizzate ad un dizionario, con rimandi ad opere di numerosi
così si conclude: «Oimé, Corazza! Un giorno / Eranvi i caldi spiriti: / Tu li rapisti, autori della letteratura italiana.
122
e adorno / n’hai lo stile, onde a Felsina / Non mancan degni eredi De’ Zanotti e   G. Fantoni, A Vincenzo Corazza, in Id., Poesie, a cura di G. Lazzeri, Bari, La-
Manfredi» (A. Bertola de’ Giorgi, Operette in versi e in prosa, Bassano, G. Remon- terza, 1913, pp. 48-49. Il Nostro è citato dallo stesso Fantoni come «il celebre Abate
dini, 1785-1789, III, p. 154). Cfr. anche per cenni circa l’amicizia e l’ammirazione di Vincenzo Corazza, autore dell’Inno Saffico al Sole, e dell’Orfeo» in Id., Poesie di
Bertola per Corazza, Annali dell’Accademia Italiana, I, Firenze, stamp. G. Pagani, 1802, G.F. toscano tra gli Arcadi Labindo, Parma, Tip. G.B. Bodoni, 1801, p. 73; di lui Fantoni
pp. 147 sgg.; R. Baldi, op. cit., p. 7; A. Piromalli, Aurelio Bertola nella letteratura del fa pure cenno in due terzine all’interno di un’ode dedicata a Giuseppe Bencivenni,
Settecento con testi e documenti inediti, Firenze, Olschki, 1959. Direttore della R. Galleria di Firenze: «Pinga Corazza degli eroi le gesta,/Il tardo
108
  Così si legge nelle Effemeridi Letterarie di Roma / Tomo VII / contenente le opere Ibero all’Algerin nemico,/D’Augusto il genio, la canuta fama di Federico,/L’Anglo
enunciate nell’anno MDCCLXXVIII, (Roma, stamp. G. Zempel, 1778), p. 116: «L’Inno discorde, che fremendo bieco/La Pensilvana libertà rimira,/E l’immortale sulle pal-
dunque al Sole, che dopo il poetico improviso del Padre Bertola, compose l’Abate me assisa Russa Semira» (ibidem). Cfr. pure Opere di Giovanni Fantoni fra gli Arcadi
Corazza uno de’ Cigni più celebri di Felsina, che ora sta a Partenope, è sullo stile Labindo, Lugano, s.n., 1823, p. 216: «A Vincenzo Corazza di Bologna […] Autore
saffico, che Orazio applicò acconciamente alla Latina poesia, ed il Sig. Corazza dell’Inno Saffico al Sole, dell’Orfeo, e di molte altre poesie, che sentono lo studio
applica ora all’Italiana». dei classici». Cfr. Aa. Vv., Prose e poesie scelte, Milano, N. Bettoni, 1833, pp. 336, 375;
109
  Ivi, X. AA. 28/1, ff. 22-39 e X. AA. 28/2, ff. vari. A. Bellato, Sui testi con destinatario effimero in Fantoni, in «Margini. Giornale della
110 dedica e altro», n. 1, p. 3.
  Ivi, f. 8. 123
111   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/11, ff. vari. Il Preti, poeta e letterato assai
  Ivi, ff. 12-20.
112 noto nell’ambiente bolognese con il soprannome arcadico di «Ippaso Landosio»,
  Ibidem. figura tra i più autorevoli destinatari delle Lettere di Pietro Metastasio. Cfr. pure una
113
  Ivi, XIII. D. 9: «Versione in versi sciolti dell’Epitalamio di Catullo con alcune lettera del Preti a Corazza del 21 gennaio 1777, in L. Preti, Lettere familiari, Bologna,
note e altre rime diverse (di V.C.)». Nello stesso incart. troviamo altri documenti di L. della Volpe, 1786, pp. 225-226.
interesse letterario e filologico. 124
  Tra gli altri corrispondenti di cui si conservano le lettere nel fondo Corazza
114
  Si tratta degli Elementi di Musica Teorica e Pratica secondo i principii del Signor Ra- troviamo: il duca di Belmonte, il principe di Roccella, Francesco Albergati Ca-
meau. Illustrati, ordinati e ridotti a maggior semplicità dal Sig.r D’Alembert, nuova ediz., pacelli, Aurelio Bertola, Francesco Daniele, Carlo de’ Martini, Filippo Ercolani,
Lione, stamp. G.M. Bruyset, 1767. Filippo Gastaldi, Andrea e Giuseppe Gioannetti, Antonio Magnani, Giovan Giaco-
115
  J.J. Rousseau, Dictionnaire de Musique, Paris, Duchesne, 1768. mo Monti, Francesco Montignani, Nicola Pelgnalver, Francesco Rosaspina, Carlo
116
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/20, f. 11, lettera del 4 febbraio 1774. Rosini, Natale Saliceti, Benedetto Stay, Carlo Antonio Taddei, Giuseppe e Marcan-
117
  A. Eximeno, Dell’origine e delle regole della Musica, colla storia del suo progresso, tonio Vogli, Francesco Zacchiroli. Cfr. pure M. Rascaglia, op. cit., p. 50n.
125
decadenza e rinnovazione, Roma, Barbiellini, 1774.   Si veda N. Morelli di Gregorio, P. Panvini, Biografia degli uomini illustri del

Capitolo quarto
124
altri letterati e poeti arcadi della cerchia napoletana, è convin- aveva quindi commissionato allo scultore Lelli una serie di modelli
to sostenitore di una rivalutazione della lingua «dei Toscani» 126 , anatomici da utilizzarsi a scopo didattico133.
che il Nostro ha studiato, appena giunto a Napoli, attraverso L’intervento di Corazza va inquadrato nel clima polemico che, sin
la citata edizione del 1772 del Vocabolario stampata nella capita- dall’inizio del secolo, caratterizzò i rapporti tra l’Accademia e l’I-
le borbonica a cura dell’Accademia della Crusca 127, lasciando stituto delle Scienze, fondato nel 1715 sulla base del programma del
non pochi testi, anche questi inediti, in materia di linguistica. generale conte Luigi Ferdinando Marsili134 e ben presto aggregato
Non mancano poi scritti di argomento pedagogico, che Corazza, alla prima istituzione. Lo statuto della Clementina era stato con-
nell’intraprendere la propria attività a corte nel 1784, presenta al cepito dal pittore Giovan Pietro Zanotti, sostenitore della poetica
sovrano analizzando i sistemi didattici più opportuni per un pre- belloriana del «bello ideale»135: sono noti gli sforzi del Marsili da un
cettore128 , specie se investito dell’importante ruolo di educatore lato per dare più spazio alle scienze dell’architettura – sull’esempio
dell’erede al soglio, e illustrandogli i programmi di insegnamento dell’Accademia di San Luca – in una scuola altrimenti dominata
e il metodo che intende adottare per il migliore apprendimento da dai pittori aderenti alla tradizione bibienesca del quadraturismo136 ,
parte dei principi 129. dall’altro per far sì che l’Istituto volgesse i propri sforzi «ad am-
Le ultime fatiche, questa volta date alle stampe, saranno I voti maestrare la gioventù su tutte quelle parti della matematica che
pubblici mentre si aspetta il ritorno dai suoi viaggi delle RR Maestà di riguardano le arti necessarie al pubblico, cioè la meccanica, l’ar-
Ferdinando IV e Maria Carolina sovrani desideratissimi (1791), in cui chitettura militare e civile, la prospettiva, la planimetria, l’aritme-
Corazza dedica ai monarchi impegnati nella trasferta austriaca un tica, la geometria»137. Fu lo stesso Marsili a istituire, a partire dal
componimento teso all’esaltazione di una dinastia già ‘in odore 1727, premi annuali per i giovani allievi nelle diverse classi di pit-
di rivoluzione’, e nel 1795, a cura della Stamperia Reale, i cinque tura, scultura e architettura, anche in questo caso sul modello dei
tomi della traduzione dal francese del Compendio della storia romana concorsi romani. Si deve poi alla direzione di Lelli, a partire dal
fino alla Battaglia d’Azio o alla Monarchia d’Augusto redatto dall’abate 1747, la graduale acquisizione di importanza dell’architettura civile
Jacques Tailhie sull’originale di Charles Rollin: di questo lavoro all’interno dell’Istituto, mentre nell’Accademia andava registran-
egli resterà talmente insoddisfatto – sia per la scarsa qualità dell’o- dosi una sempre maggiore apertura verso gli architetti ‘costruttori’.
pera originale, sia per l’eccessiva fretta con cui ha dovuto redigere Come si evince da questa prima Orazione, le radici del pensiero
il proprio testo – da pensare inizialmente di far uscire l’edizione
in forma anonima 130. 133
  Le sculture sono tuttora presenti nella sede universitaria di Palazzo Poggi. Circa
la produzione del Lelli, assai lodato anche dall’Algarotti, e il suo impegno per l’I-
stituto delle Scienze, cfr. L.M. de’ Vegni, Lettera Preliminare in cui alquanto discorresi
II. Il contributo alla critica artistica del celebre Ercole Lelli al Ch. Sig. Cav. Onofrio Boni, in Memorie per le Belle Arti, t. IV, a.
1788, Roma, Pagliarini, 1788, pp. III-XX.
e architettonica tra la lezione di Leonardo 134
  Luigi Ferdinando Marsili fu dal 1682 al 1704 al servizio dell’Imperatore Leopol-
e le istanze neoclassiche do I d’Asburgo, rivestendo incarichi militari e diplomatici di grande importanza,
come quello di plenipotenziario di parte imperiale per la delimitazione dei confini
stabiliti nella pace di Karlowitz. Anche nel suo periodo “imperiale” Marsili non
cessò di compiere rilevamenti ed osservazioni a carattere scientifico, in larga parte
§ 1 La posizione teorica in ambito accademico confluiti poi nella stesura di due delle sue più grandi opere: il Danubius Pannonico-
Mysicus e lo Stato militare dell’Imperio Ottomano, pubblicate entrambe in Olanda,
e gli esordi negli ambienti bolognese e romano rispettivamente nel 1726 e nel 1732. Destituito dal suo grado militare in seguito
all’accusa di non aver convenientemente difeso la fortezza di Brisach durante la
L’esordio di Corazza nel campo della critica artistica può in- guerra di secessione spagnola, Marsili tornò nel 1704 a Bologna e da quel mo-
mento alternerà la permanenza nella sua città a viaggi in Italia e in Europa che lo
dividuarsi nella prima Orazione delle Belle Arti rivolta nel 1757 agli metteranno in contatto con i più importanti scienziati e con le più rilevanti istitu-
allievi artisti dell’Accademia Clementina di Bologna alla presenza di zioni scientifiche del tempo, come la Royal Society, di cui, presentato da Newton,
divenne membro nel 1722. Sono di questo periodo gli studi che lo portano alla
Benedetto XIV, di cui si conserva la bozza che egli avrebbe voluto composzione di un’altra famosa opera, anch’essa pubblicata in Olanda, nel 1725:
dare alle stampe con la dedica al papa131. Quest’ultimo, nella persona l’Histoire physique de la mer. A Bologna Marsili fonda l’Istituto (poi Accademia) delle
Scienze, cui dona tutto il materiale scientifico ed erudito, le ricche collezioni e i
di Prospero Lambertini, già arcivescovo della città, è noto tra l’altro capitali scientifici in suo possesso. Si veda, per queste e altre notizie sintetiche sul
per aver voluto nel 1742 che si allestisse nell’Accademia (fondata da Marsili, il sito web dell’Università di Bologna.
135
Clemente XI nel 1710) «una Galleria che fosse superiore a quante   Su Giovan Pietro Zanotti cfr. A. Comolli, Bibliografia storico-critica dell’Architet-
tura civile ed Arti subalterne, dell’Abate A.C., Roma, Stamperia Vaticana, 1788-1792, I,
altre Gallerie Principesche si ammirano nella nostra Europa, collo- pp. 167-169.
candovi tutte le più superbe tavole d’altare, che sono nelle chiese, 136
  Tra il 1719 e il 1743 Ferdinando e Francesco Galli Bibiena si erano alternati
de’ più celebrati autori, redimendole così e salvandole dalle ingiurie, nella direzione dell’Accademia Clementina. Ancora dopo la metà del secolo l’Ac-
cademia continuerà a poggiarsi sulla tradizione bibienesca, risultando arretrata se
per cui altre si compiangono rovinate e guaste»132. Benedetto XIV solo la paragoniamo, ad esempio, all’Accademia di Parma, che già adottava nuovi
metodi didattici e ospitava docenti stranieri. Cfr. A.M. Matteucci, L’architettura del
Settecento, Torino, UTET, 1988, pp. 96-104.
137
regno di Napoli, Napoli, N. Gervasi, 1817, passim.   Cfr. D. Lenzi, L’insegnamento dell’architettura e la formazione dell’architetto a Bo-
126
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/6, ff. 41-44. logna nel secolo XVIII, in L’architettura nelle accademie riformate. Insegnamento, dibattito
127
  Ivi, X. AA. 29/19, f. 13. All’edizione del 1772 faranno seguito altre pure stampate culturale, interventi pubblici, a cura di G. Ricci, Milano, Ed. A. Guerini, 1992. Impor-
a Napoli nel corso dell’Ottocento, con ulteriori «Giunte» ed osservazioni al voca- tante considerare la differenza tra l’Accademia Clementina e quella romana di San
bolario dell’Accademia. Luca agli inizi del Settecento, ben evidenziata da una lettera di Luigi Ferdinando
128 Marsili a Giovan Pietro Zanotti del novembre 1714: «A Bologna per l’architettura
  Ivi,, X. AA. 28/6, ff. 35-37.
129 soda e ben proporzionata non ne sappiamo niente perché non vi è chi l’insegni
  Ivi, X. AA. 28/6, ff. vari. con i fondamenti come si fa qui [a Roma]. Abbiamo una gran messe di prospetti-
130
  BCABo, Coll. Aut., XXI, lettera di Corazza al fratello Domenico dell’11 di- ve fra un colorito che non ha l’eguale ma per lo più tutto è in aria» (cit. in R.M.
cembre 1792. Giusto, Architettura tra tardobarocco e neoclassicismo. Il ruolo dell’Accademia di San Luca
131
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, ff. 53 sgg. Cfr. pure ACBo, F.S. Biografie, nel Settecento, Napoli, Ediz. Scientif. Italiane, 2003, p. 28). Così, sul modello dell’ac-
cart. I, n. 5, docc. s.d., s.f. cademia romana, il Marsili redasse i Punti per regolare l’esercizio studioso della gioventù
132
  L. Crespi, La Certosa di Bologna descritta nelle sue pitture al molto venerabile padre dell’Accademia Clementina delle tre arti della Pittura, Scultura, Architettura, intesi come
D. Sigismondo Guastuzzi, Bologna, a S. Tommaso d’Aquino, 1772, p. 78. Alla una sorta di programma della scuola, fondato sulla geometria, sull’aritmetica e, so-
collezione, già di particolare pregio, si sarebbero poi aggiunte molte altre opere prattutto, sullo studio delle fabbriche più insigni del panorama mondiale, attraverso
nei successivi decenni. la trattatistica di Vitruvio,Vignola, Scamozzi e Serlio.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


125
teorico-artistico di Corazza vanno ricercate proprio nell’ambien- Nell’Orazione, quindi, troviamo la prima espressione di quel nuovo
te bolognese e in particolare nelle idee di Marsili e nello stretto genere di bellezza destinato a segnare non solo la posizione critica
rapporto di amicizia con Lelli: costoro lo convinsero da un lato ad di Corazza nei successivi decenni, ma uno dei principi base dell’e-
aderire al classicismo e all’arcadismo belloriano, dall’altro ad aprirsi stetica architettonica neoclassica: una bellezza legata alla «somma
alle nuove istanze del razionalismo e dello scientismo giansenista. semplicità de’ rapporti», allo stato primordiale dell’architettura (si
In principio del proprio discorso, Corazza sottolinea come tutte ricordi la capanna vitruviana) ma senza riferimenti – a differenza
le arti, nessuna esclusa, si fondino sullo strumento del disegno, in- delle altre arti – a modelli esistenti in natura e che rappresenti il
dispensabile al fine di assoggettare la rozza materia a un’idea, a un valore aggiunto di un’arte mai meramente imitativa. Si noti la vi-
progetto138, ma anche come mezzo di conoscenza che, grazie a no- cinanza alle idee già espresse da Winckelmann sul mito della «no-
zioni sempre più ampie nel campo della geometria, permette ormai bile semplicità» dell’architettura antica e della sua «quieta bellezza»
di misurare e rappresentare tutte le parti della Terra, anche le più re- derivante proprio dal carattere ‘naturale’ e ‘semplicemente utile’
mote139. Se, in generale, tutte le «Arti Maggiori» sono da considerarsi dei tre ordini greci: a Roma infatti, a villa Albani, il Nostro poté
testimonianze della storia dei popoli e non solo, quindi, mere fonti frequentare il grande storico dell’arte tedesco, che vi risiedette fino
di piacere per la loro bellezza, per quanto concerne in particolare agli inizi del 1768. Una bellezza che dagli ordini dell’architettura
l’architettura il giovane Corazza riconosce «che altra arte esser possa greca si estende alle grandi e ‘utili’ opere dell’ingegneria romana:
o facoltà nessuna, che per la copia ed estensione dei comodi che
grandissimi presta l’Architettura, possa a lei in utilità paragonarsi, E in vero questa somma semplicità maneggiata dalla vostr’arte di
non che andarle pari o superarla». Ma leggiamo in dettaglio: quale stupenda copia di opere diversissime, e bellissime non fu ella
creatrice? L’eccellenza dei tre ordini di Colonne che inventarono i
A qual grado di eccellenza, e di perfezione non giungono queste, e Greci e passarono, dopo Atene, ad abbellir Roma, anzi a rendere più
l’altre opere tutte utilissime di quest’arte, quando con quel suo nuovo ammirabile non che la Grecia, e l’Italia ma l’Emisferio nostro qua-
genere di grandezza, di venustà, di bellezza vanno insieme congiunte? si tutto aggiungono tanto peso al mio asserto quanto io non saprei
Io chiamai nuovo questo genere di Bellezza che produce l’Architettura dargli con tutta l’Orazione. E certo chi non resta soprafatto anche
nelle sue opere non tanto per quella specie di novità che producon alla sola vista dei disegnati avanzi non di Roma solo, o d’Atene o di
nell’animo le cose che eccitan per la Beltà loro maraviglia, quanto per- Tebe, o di Corinto, ma della Assira Tedmor, della Francese Nimes,
ché veramente mi sembra che laddove la Bellezza delle altre Arti forse della Asiana Effeso e dirò pure per qualunque resto di pubblico mo-
tutta consiste principalmente nella imitazione della natura, questa Arte numento posto ne’ tempi migliori, e fabbricato dall’uno, o dall’altro
solamente non la Bellezza ricerca della Natura, ma la Bellezza che la Impero, e chi non rimane per questi che altro infine non sono che
Natura medesima creando i corpi, e formandoli si prese ad imitare. E interrotti frammenti di questi ordini, per un raro senso di bellezza
siccome nella varietà infinita de’ corpi suoi poi che li ebbe la Natura stupefatto oltre modo e rapito? Né solamente già negli Ordini la
forniti di quanto a ciascun conveniva perché alla universale economia sua Bellezza spargendo l’Architettura, ma, dove le piaccia, nei generi
si accomodassero, e servissero utilissimamente, appare che niente altro tutti delle sue più utili opere risplende superbamente, Ella ordina
inducendo nelle forme loro fuoricché la somma semplicità de’ rappor- al commodo delle Città la copia degli acquedotti, e quasi della sola
ti, con questa sola gli habbia ella tutti ordinati mirabilmente bellissimi utilità sollecita nascondene spesse volte il lavoro; ma eccola ai cenni
(quasi l’istesso fosse della semplicità partecipare, e partecipar del Di- dell’Augusta Roma curvarsi in archi innumerabili, e attraversando le
vino), di questo mezzo medesimo valendosi, e a questo altissimo fine provincie intiere, recarsi quasi in trionfo aeree e sospese su i marmo-
intendendo, risorse questa maravigliosissima arte vostra, e non contenta rei dossi le acque di cento fiumi 141 .
di sovvenire ai bisogni più grandi della Vita, sparse imitando altamente
la Creatrice Natura, tutte le sue Opere d’un Bello, che avrebbe nei
secoli tutti avvenire un nuovo piacere singolarissimo creato, e uno spet-
deliziosi che su l’alpestri montagne, e per entro all’inospite valli; recando seco
tacolo fra i più maravigliosi giocondissimo140. quest’arte onde l’asprezza e il disagio vincer de’ luoghi, e far risorgere dappertutto
e rallegrarsi la natura, per quantunque languida la truovi e selvaggia».
141
  Ivi, ff. 68-69: «Ella al Reno e all’Arape pose già il giogo dei ponti gli Eserciti dei
138
due fortissimi Cesare ed Alessandro ne sentirono l’utilità, i secoli posteriori tenta-
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, Orazione cit., ff. 53 sgg.: «E l’arte tutta rono in vano di goderne dell’eleganza; ma quanti prodigj non suscitò ella nell’Asia,
quanta dell’oro, e degli Argenti, che rimane ella, se a lei si sottragga il valore del che lasciansi indietro le opere in questo genere tutte della Romana potenza, o
disegno? Non è qui loco di produrre le statue, e gli Dii; ma se agli apparati delle nel quadruplice Ponte d’Ipahan, o nell’altro Chinese che due Città congiungendo
mense vostre io mi volgo, se ai gabinetti, se alle suppellettili, e agli arredi de’ vostri lascia sotto ciascuno de’ suoi cento archi a piene vele passar le navi, o nell’altro
palagi, che di questi preziosi metalli s’adornano io guardo; se alle gentilezze d’ogni Chinese pure, che vicino a sei miglia ricorrendo di mare sostiene per aggiunto di
maniera, che a splendore vi servono, e a magnificenza, che è egli tutto ciò, che raro maraviglia, senz’archi una via d’enormi saldezze di marmo, e d’immensa ampiezza?
nol renda il Disegno?». Nel 1725 Ferdinando Galli Bibiena aveva pubblicato per gli Ella apre i canali, e n’assoda le sponde, e frena i gorghi, e il flutto niente sollecita di
allievi dell’accademia bolognese le Direzioni a’ Giovani Studenti nel Disegno dell’Ar- mostrarsi né bella, né grande; ma in quanta pompa non si disvela e in quanta maestà
chitettura Civile nell’Accademia Clementina dell’Istituto delle Scienze (Bologna, stamp. L. non risorge, nelle immense dighe olandesi, e nella macchina (per tacer dell’altre)
della Volpe), riedite nel ‘31 e seguite nel ’32 dal secondo tomo, le Direzioni della Pro- incomparabile a’ dì nostri di Marly? Le une raffrenano possentemente l’orribil for-
spettiva Teorica. Sin dal 1711 egli aveva affrontato il discorso sul disegno in architettura za del mar burascoso, e impongon legge al vago flutto, le altre comandano a un real
nella Architettura civile preparata su la geometria e ridotta alle prospettive. fiume d’alzarsi, ed egli lasciando al cenno il profondo suo letto arenoso passa per un
139
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, Orazione cit., f. 57. nuovo maraviglioso cammino, e va a spaziare beato le ridenti verdure di Versaglies, e
140
  Ivi, ff. 63-64: «Se alle opere di questa Regina dell’arti io guardo o al Pubblico, i suoi giardini. Reccherovvi io qui sul finire innanzi a pruova d’incomparabile Bel-
o al privato commodo istituite, o a domicilio erette o a difesa, o alla Religione lezza le selve pensili di Babilonia, e l’aeree sue piazze, l’eterna fatica delle Piramidi
innalzate, o ai civili usi e al commercio, io maravigliando meco medesimo appena Egizie, i Porti di Rodi, i Mausolei d’Alicarnasso, i Fari Alessandrini». L’Orazione si
so indurmi a credere che altra arte esser possa o facoltà nessuna, che per la copia conclude con il ringraziamento a Benedetto XIV per la prestigiosa galleria di sta-
ed estensione dei comodi che grandissimi presta l’Architettura possa a lei in utilità tue anatomiche fatta eseguire dal Lelli, tale da fare del museo scientifico dell’Istituto
paragonarsi, non che andarle pari o superarla; ella nelle civili fabbriche distribuisce il più importante d’Europa, e al Marsili per aver dato ad esso inizio con le sue do-
agli aspetti più benigni del Cielo, e ai venti più sani le nostre abitazioni, né meno nazioni di preziosi strumenti e testi: «Risvegliati dal tuo lungo sonno, magnanimo
dalla inclemenza le guarda delle stagioni, che dalle insidie, e dalla rapacità de’ cattivi; e generoso Comm. Ferd. Luigi Marsigli, e veggendo i grandissimi aumenti che i
ella al Culto, e alla Pietà, erge gli Ospitali, e suscita i Tempj; ella i Fori e le Piazze tuoi gran doni, e questo loco, e le arti nostre hanno da questo veramente sommo
apre al commercio; essa i portici, e le vie dirige e spiana al comodo de’ viaggiato- Pontefice ricevuti, ralegrati grandemente che col tuo inimitabile esempio a pro
ri; essa di muri ricinge, e fortifica di baloardi e munisce di tutte l’opere esteriori di noi che ti fummo sì cari hai trovato il Massimo dei Monarchi che ha saputo
contro la nemica potenza le città; essa ordina le amene ville nei suburbj non meno gareggiare, e l’ha voluto».

Capitolo quarto
126
Corazza ebbe modo di conoscere nella propria città anche Al-
garotti, tra il 1753 e il ’55, come dimostra una lettera che lo stu-
dioso veneziano gli scrisse appena tornato nella propria città 142 .
La Fioravanti 143 sottolinea come Algarotti, convinto propugnatore
delle idee illuministe e amico di Voltaire, in quel periodo si fosse
stabilito a Bologna, fondandovi l’Accademia degli Indomiti e im-
postando, con Mauro Tesi e Carlo Bianconi, «un programma di
rinnovamento culturale che, passando attraverso la riproposizione
della tradizione cinquecentesca locale e dei grandi modelli classici
da Vitruvio a Palladio, giunge a indicare il modello progettuale
ideale nelle esperienze inglesi di Inigo Jones e degli Adam: è, in tal
senso, particolarmente importante una lettera a Bianconi, in cui
egli descrive i principali edifici neopalladiani inglesi» 144 . Bianconi
e Tesi, proprio sulla scorta di Algarotti, si faranno promotori del
palladianismo a Bologna; in particolare il primo associerà ai temi
rinascimentali quelli antiquariali, specie nella decorazione d’in-
terni. Visti poi i rapporti di Corazza con lo stesso Bianconi e con
Algarotti, a contatto con questi personaggi il giovane intellettuale
deve aver mosso i primi passi nell’ambito della critica neocinque-
centista, ammirando sin da principio Leonardo e Palladio145.
A Bologna, nel 1756, Algarotti pubblicò il famoso Saggio sopra l’ar-
chitettura. Oltre al merito di aver favorito un interesse per la storia
dell’architettura fino ad allora assente nella Clementina, all’interno
della quale si era più inclini alla storia della pittura, si deve pure a lui
la diffusione di una nuova attenzione per i monumenti architetto-
nici, come si riscontra, ad esempio, nella guida di Bologna di Carlo
Cesare Malvasia, pubblicata nel 1776 a cura di Bianconi e di Marcel-
lo Oretti, con il titolo di Pitture scolture architetture delle chiese, luoghi
pubblici, palazzi, e case della città di Bologna e suoi sobborghi. Con Alga-
rotti si comincia dunque a fare strada anche nella città di Corazza la
concezione dell’utilità sociale dell’architettura e dell’architetto qua-
Vincenzo Corazza, «Orazione» pronunciata presso l’Istituto delle Scienze di
le figura completa di filosofo e scienziato, come sottolineerà Carlo Bologna il 3 giugno 1769, f. 1. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. X.AA.28/3
Filippo Aldovrandi Marescotti nell’Orazione in lode delle tre arti letta
in occasione della premiazione dei giovani accademici nel 1786146.
Ma l’aspetto più interessante della ‘militanza’ teorica del giovane moniato dal de’ Vegni, egli fu promotore con Lelli e Algarotti di
Corazza nella Bologna della fine degli anni ’50 è che, come testi- proficue ‘veglie’ in cui si discusse del significato dell’architettura
contemporanea in relazione a quella del mondo antico e, soprat-
tutto, alla prima diffusione delle idee radicali di Carlo Lodoli. Si
142 sa come proprio l’allievo Algarotti fosse protagonista di una critica
  La lettera, del 10 dicembre 1755, è in Opere del conte Algarotti. Edizione novissima,
Venezia, C. Palese, 1794, t. IX, pp. 304-306. Sono noti, inoltre, i rapporti di amicizia ‘costruttiva’ dei principi del frate veneziano, evidente nel Saggio
che lo studioso veneziano strinse, presso l’ateneo bolognese, con Zanotti e Lelli. sopra l’Architettura; meno noto è invece il difficile rapporto di Co-
143
  A.M. Fioravanti Baraldi, L’Accademia Clementina nella seconda metà del
XVIII secolo: idee, funzione docente, premi, in L’architettura nelle accademie riformate…
razza con Lodoli, fatto di animosi scambi di idee avuti a Venezia
cit., pp. 97 sgg. sul volgere degli anni ’40 e conclusisi con una convinta contesta-
144
  D. Lenzi, op. cit., p. 100; R.M. Giusto, op. cit., pp. 80 sgg. zione del rigorismo lodoliano da parte del nostro abate. È quanto
145
  Il fratello di Bianconi, Gian Ludovico (1717-1781), erudito, viaggiatore –
noto per aver pubblicato nel 1775 a Roma gli Elogi di Mengs e di Piranesi – alla
racconta il de’ Vegni da testimone diretto:
fine degli anni ’40 aveva conosciuto Winckelmann a Dresda, ospitandolo poi
a Bologna nel ’55, ove Corazza potrebbe aver incontrato per la prima volta lo Anni e anni prima ch’io andassi a Bologna, e che perciò potessi esser
studioso tedesco. Carlo Bianconi sostenne sempre il rigorismo linguistico dei
modelli classici e l’archeologismo contro il decorativismo di altri accademici tollerato alle sue veglie [di Lelli], lo che fu dal 59 al ’61 di questo secolo,
come Crespi e Oretti. Il suo testo Esemplare di alcuni ornati per la gioventù amante si celebravano quelle coi memorati valentuomini, e de’ più frequenti
del disegno costituì per molto tempo un importante materiale didattico per i
riferimenti archeologici. Ma la posizione di Bianconi non ebbe pieno successo, erano il Sig. Corazza e il conte Algarotti, quando in Bologna trovavasi.
specie per la contrarietà di accademici come F. Tadolini e A. Venturoli, nono- Il Sig. Corazza aveva molte volte in Venezia dissertato, per non dire
stante la presenza all’interno dell’Accademia di G.A. Antolini. Anche grazie altercato, col Lodoli sulle materie Architettoniche, senz’essersi, come
all’impegno di Venturoli, fino ai nuovi Statuti del 1786 si consoliderà il ruolo
dell’Accademia come luogo istituzionale esclusivo della formazione della nuo- più fiate mi ha detto, potuti trovare mai d’accordo, e senz’aver altro
va figura professionale dell’architetto progettista, nell’ambito del processo di veduto d’esemplificato secondo i suoi principj, che o una finestra, o
graduale consolidamento del valore di arte liberale all’architettura e di «con-
sacrazione dell’attività progettuale come momento creativo ed essenziale della una porta, salvo il vero, e non mi ricordo se in disegno o in opra, in cui
realizzazione dell’opera architettonica, che vede coinvolto il progettista anche ad onta delle sue tante socratiche ragioni non vi sapeva trovare quella
quale tecnico nell’attività di cantiere» (D. Lenzi, op. cit., p. 107). comodità, quella convenienza e quella eleganza, di che voleva il dotto
146
  A.M. Fioravanti Baraldi, op. cit., p. 109. Sul funzionamento dei premi dell’Ac-
cademia negli anni ’60-’80, cfr. ivi, pp. 110 sgg. e, presso l’Archivio dell’Accademia, Padre persuaderlo.
il Registro Atti dell’Accademia Clementina dall’anno 1764 fino al 1789, a stampa. Nella
produzione grafica legata ai concorsi per questi premi si nota sempre più, come
in altri ambiti culturali e accademici italiani, la diffusione di temi legati alle nuove Nonostante l’apertura che Corazza mostra sin dagli esordi nella
tipologie per la città. propria convinta adesione agli ideali del razionalismo illuministico,
Il contributo alla critica artistica e architettonica
127
[Il disegno] ne è lo spirito, e l’animatore, o piuttosto l’elemento, e la
forma, e il tutto di tutte; poiché non prescriv’esso già solamente, come
potrebbe sembrare, i termini regolati nelle apparenti cose della Pittura;
ma esso è, che risalta nella medesima, e sfugge distribuendo con certa
legge la varia energia di tutti i colori: esso conduce la molle materia
d’ogni genere, e tempera il viaggio, e la percossa degli scalpelli, mentre
ricercano le cavità, e sollevano le prominenze dei marmi animati: esso
crea, e produce, e distribuisce i comodi, la copia, la varietà, e l’eleganza
d’ogni maniera di fabbriche; ond’è che a ragione qualunque cosa sia
detta del disegno, tutto dee riferirsi all’Arti nostre, e debbe alle medesi-
me, siccome a quelle, che insegnano, e adoprano la perfezion sua, essere
attribuito.Volgiam però gli occhi alla moltitudine di quelle arti, le quali
pei comodi singolarmente, e per gli usi della civil vita inventaron gl’in-
gegni: e quale è, domando io, fra queste, la quale, o per ottenere i fini
suoi, o per indurre nell’opere sue colla bellezza la perfezione, non sia
bisognosa, e non vagliasi del disegno! […] E tutto il numero delle arti,
Eustachio Zanotti, Trattato teorico-pratico di prospettiva, Bologna 1766, tav. 5 che intorno all’oro, e all’argento, e alla restante copia tutta dei metalli si
affaticano, qual cosa rimarrebbonsi, quando dalle medesime il prodotto
resta per lui irrinunciabile il ruolo del linguaggio architettonico del del disegno si volesse sottraere? Che s’io entro nei vostri palagi, e porto
classicismo e, quindi, della forma in chiave di rappresentazione, in lo sguardo ammiratore sovra le suppellettili, e gli arredi, che di questi
nessun modo subordinabile alla ‘verità’ lodoliana basata sulla forma metalli si formano, onde grandeggiano in pompa le sale, risplendono
quale mera espressione della funzione materiale e strutturale. Si- le gallerie, ridono i gabinetti; se agli apparecchi delle vostre mense io
milmente l’assunto kantiano di ‘bellezza aderente’ dell’architettura, mi volgo, se guardo alle gentilezze d’ogni maniera, che di queste più
ossia di adeguatezza della forma allo scopo (la bienséance laugieriana) preziose materie offre la ricca magnificenza a vedersi, e sono destinate
assente nelle arti prive di finalità funzionali, che motiverà anche la a mille usi, e in mille forme trasformate; che è egli […] tutta questa
nuova estetica dell’ingegneria, risulta ancora poco accettabile per il preziosa materia, quando così non avessela conformata il disegno! […]
nostro abate; ma presto si verificherà in lui un’evoluzione ‘vinciana’ Ha dunque un incredibile e sovrano potere nell’Arti tutte, le quali alla
proprio in tal senso. dilatazion del commercio, e ai comodi tutti della vita sono utilissime149.
Dopo quest’intenso periodo di scambi culturali e di apprendi-
mento delle fervide tendenze artistiche dell’ambiente bolognese, Il disegno è quindi la chiave per intendere le opere d’arte e di ar-
nel 1769 Corazza, ormai alla vigilia dalla definitiva partenza dalla chitettura, ma anche quelle di ingegneria; è, cioè, quel comune de-
propria città, in una nuova Orazione torna sugli argomenti che lo nominatore che negli studi artistici di Corazza ritorna sempre e ne
hanno appassionato sin dagli esordi 147. A poche settimane dall’e- è anzi la sostanza, che si tratti di analizzare un dipinto, una scultura,
lezione al soglio pontificio di Clemente XIV (19 maggio 1769), un edificio o un «ingegno» alla maniera leonardesca. Ecco che, pro-
nativo di Santarcangelo di Romagna, nell’ambiente felsineo si è prio come aveva indicato Leonardo, il disegno viene inteso quale
giustamente ottimisti, specie per quanto concerne le note passioni strumento di rappresentazione e al tempo stesso di conoscenza, ma
artistiche del nuovo papa: sebbene la soppressione dei Gesuiti nel anche di invenzione progettuale o di semplice divulgazione, co-
1773 lo segnalerà come un pontefice ‘assolutista’, egli sarà ricorda- gliendosi pure l’essenza del recente dettato cartesiano150:
to per essere stato promotore di importanti iniziative nell’ambito
dell’arte e dell’architettura, e per aver sostenuto in tali settori i Per lui si fe’ aperta la Geometria, e discese dall’altezza della contempla-
princìpi illuministici che si andavano ormai diffondendo anche zione all’ima sede degl’ingegni minori su le solcate arene delli abachi
nell’ambiente romano. in pria, e più felicemente appresso su i fogli delineati. Per lui dall’alto
Le aspettative di una nuova stagione artistica traspaiono con evi- etere delle Matematiche discipline passaron nelle mani degli Artefici,
denza nel testo dell’Orazione, in cui Corazza, nell’auspicio di una e negli usi degli uomini le macchine d’ogni maniera, le più utili, e le
prosperità dettata dal progresso civile e sociale in atto, sottolinea più prodigiose. Per lui si racchiuse in angusto spazio, e fu offerto a co-
con fermezza il ruolo dell’arte, della filosofia e delle lettere nella vita gliersi con uno sguardo l’ordine, il corso, il macchinamento di quanto
dell’uomo, giovando esse alla bellezza e al piacere. è in uno spazio, che il maggior intelletto d’uomo non sa, e non osa
Pochi anni prima, nel 1766, l’Accademia Clementina era stata rifor- comprendere.
mata dal Casali nel rispetto della visione funzionalista di Algarotti,
con un’inevitabile influenza anche sull’Istituto delle Scienze: qui, Il disegno è alla base della delineazione delle carte geografiche,
poi, dovette avere un forte peso il razionalismo sostenuto da Eusta- che consentono ora di attraversare con uno sguardo l’intero globo.
chio Zanotti nel Trattato teorico pratico di prospettiva (Bologna, 1766),
in cui si torna sulla funzione primaria del disegno nelle arti secondo
149
la teoria belloriana148. Nell’Orazione di Corazza si avvertono dunque   BNN, Manoscritti e Rari, X AA 28/3, Orazione…cit., fol. 4.
150
  Dunque Corazza sottolinea come il disegno sia strumento indispensabile per
i diretti riflessi di queste idee: gli artefici del legno, del ferro e dei metalli preziosi, o delle gemme, e giochi quindi
un ruolo fondamentale negli interni delle residenze e nelle suppellettili necessarie
alla vita quotidiana: «Che s’io entro nei vostri palagi, e porto lo sguardo ammiratore
sovra le suppellettili, e gli arredi, che di questi metalli si formano, onde grandeg-
147
  BNN, Manoscritti e Rari, X AA 28/3, Orazione detta alli 3 Giugno 1769 in Bologna giano in pompa le sale, risplendono le gallerie, ridono i gabinetti; se agli apparecchi
nell’Istituto delle Scienze per la Solenne Distribuzione de’ Premii ai Giovani Studenti del- delle vostre mense io mi volgo, se guardo alle gentilezze d’ogni maniera, che di
le tre Belle Arti Pittura, Scultura, Architettura da Vincenzo Corazza Cittadino Bolognese queste più preziose materie offre la ricca magnificenza a vedersi, e sono destinate
Accademico Clementino. a mille usi, e in mille forme trasformate; che è egli, dico io, tutta questa preziosa
148
  D. Lenzi, op. cit., p. 95. materia, quando così non avesse la conformata il disegno?» (ibidem).

128
Ma non solo la geometria, la meccanica, l’astronomia, la geografia, mo però che più non siamo, come avremmo amato di essere, gli unici
l’arte nautica se ne avvalgono per prosperare: anche la storia na- suoi figli. Siam noi ben certi che ci voglia esser reso, e così reso, che
turale è progredita grazie a più dettagliati apparati grafici, specie non ci sia ben tosto ritolto? In tanta dubbiezza, quale prodigioso sfor-
col recente sviluppo delle incisioni e delle stampe a corredo dei zo di ragione non è necessario che si faccia a tutti i nostri più teneri
libri di botanica, zoologia e altre scienze; lo dimostra del resto la sentimenti, se dee piacere a noi che la Virtù riceva un premio, il quale
monumentale Histoire naturelle, générale et particulière di Georges- ci debba costar tanto! Le nostre Arti si confortano all’intendere che
Louis Leclerc conte di Buffon, la cui pubblicazione, intrapresa già tali Personaggi si accostino così dappresso al sommo Trono: noi pure il
da un ventennio, sarebbe terminata solo nel 1789. Sono gli anni dovremmo; ma come il possiamo?152.
dell’Enciclopedia e a quel sapere poliedrico Corazza ha già ade-
rito: per il resto della sua vita egli troverà nei tanti ambiti della Ci verrebbe di pensare che in queste parole ci sia un malessere
conoscenza da lui indagati continue conferme dell’importanza di insolubile, una resa sine conditione alla ‘contraffazione’ di un patri-
un sapere ‘totale’, proprio come quello vinciano. Assumere dun- monio nazionale che, ormai di proprietà comune europea, rischia
que il disegno come base delle belle arti, «norma e centro di tutt’e di divenire vuoto repertorio di modelli formali, mito archeolo-
tre», significa per Corazza potersi occupare di esse attraverso uno gico privo delle motivazioni storiche, politiche e sociali che ne
strumento comune. hanno fatto la grandezza. Invece, in ambito letterario come in
Un altro punto importante dell’Orazione è quello in cui si rico- quello teorico-artistico, nei successivi decenni lo sforzo critico di
noscono le origini dell’arte nel mondo classico151. In un momento Corazza imboccherà con decisione la direzione di un recupero
in cui sempre più forte si avverte l’esigenza di recuperare il nesso dell’antico mirato all’individuazione e valorizzazione degli an-
inscindibile tra arte e scienza, minacciato non solo dalle recenti ri- cestrali rapporti tra arte e scienza, tra arte e tecnica, tra arte e
dondanze barocche, ma anche dal pericolo di una crescente divari- funzione, vale a dire, ora tra la composizione poetica e lo stru-
cazione tra le forme della tradizione e le nuove funzioni e tecnolo- mento linguistico-accademico, ora tra l’opera pittorica e la tecnica
gie dell’architettura, non si può, per Corazza, che guardare al ‘puro’ grafica e cromatica, ora infine tra la composizione architettonica
classicismo proposto dall’Arcadia, a Bellori, a Poussin, e attraverso e la sua rappresentazione geometrica, i suoi caratteri costruttivi,
questi giungere a far proprio il più genuino dettato rinascimentale, la sua funzione sociale. Tutto questo, aggiunto all’aspirazione al
fondato proprio su quel nesso: ritorno ai caratteri più puri del classicismo, precedenti alle travisa-
zioni barocche e alle strumentalizzazioni in ragione della grandeur
Al cadere dell’Imperio Orientale tornaron fra noi le ottime discipline, e d’oltralpe, non poteva non condurre a Leonardo, ossia a colui che
le Bell’arti, e furono i Principi d’Italia, che le richiamarono invitandole, quella sintesi aveva incarnato meglio di ogni altro, prima dello iato
e accarezzandole sul mezzo del secolo decimoquinto, con ogni maniera tra invenzione artistica e progresso scientifico. Una strada, del re-
di adescamento, e di onori. Sorgono le Arti nostre, e si giacciono in sto, già intrapresa dall’inizio del secolo dall’Illuminismo, che con
compagnia delle Scienze più grandi, un medesimo tempo si rischiara, o la sua Filosofia riuscirà a riportare l’arte sui binari della scienza,
s’abbuia per tutte: e chi è, che non sappia che i secoli dei sommi Poeti, aprendola a nuovi affascinanti scenari.
dei sommi Oratori, dei sommi Filosofi, quelli medesimi furono i secoli,
e i tempi dei sommi uomini nelle nostre arti? Tornarono dunque nel Tratteggiato il clima dell’Accademia bolognese, per meglio com-
nuovo giorno delle Scienze quest’Arti ancora, e crebbero, e furon ben prendere le idee di cui Corazza si fa sostenitore sin dalle prime
tosto in sommo vigore. Orazioni non possiamo non accennare ai temi che si andavano
affrontando a quell’epoca nell’altra grande autorità istituzionale
Ma il modello romano e il repertorio del classicismo rinascimentale, del mondo artistico italiano, vale a dire la romana Accademia di
a contatto col più ampio scenario europeo, vengono ora in qualche San Luca.
modo a ‘snaturarsi’ della propria origine italiana: In tale ambito va tenuta presente l’opera svolta dal toscano Giovan-
ni Gaetano Bottari (1689-1775)153, accademico onorario, autorevole
Sentomi l’animo diviso da contrari affetti, e si arrestano i voti miei, e bibliotecario della famiglia Corsini e secondo custode della Vaticana:
le mie parole. Roma si ritien l’uno, e un tratto di terre troppo lungo, vanno ricordati in particolare i suoi Dialoghi sopra le tre Arti del Di-
e un tempo infinito l’ha da noi diviso. Noi cominciavamo a gustare la segno (1754) e la Raccolta di Lettere sulla Pittura, Scultura, e Architettura
dolcezza della sua autorità, e non è mai stato più caro al picciol figlio scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, pubblicata in
l’amoroso cenno del padre, di quel che a noi fosse il suo comando: ma sette tomi tra il 1754 e il 1773 (Roma, Pagliarini) e segnalata da Pe-
noi, comeché non abbiamo a dolerci d’esserne sottratti, troppo sentia- dretti come fonte preziosa di notizie su Leonardo154. Sotto la guida
di Bottari, nell’Accademia romana le prove concorsuali mostreranno
una sempre maggiore concretezza tecnica, prescrivendosi l’adozione
151
  Ibid.: «Così già abitaron negli antichissimi tempi le Arti nostre lungo il Tigri,
dei metodi canonici di rappresentazione (piante, prospetti, sezioni)
e l’Eufrate accolte nel primo Imperio del mondo, poscia il mar trapassando ivi contro l’influenza delle bibienesi ‘scene per angolo’ ancora diffu-
trovaron sede più degna dove la Grecia saggia estimatrice degl’ingegni, e delle se negli elaborati bolognesi. Letterato, filosofo, ma anche discusso
cose aperse un amplissimo domicilio a tutte l’ottime discipline: Memfi, Babilonia,
Atene, Corinto furono il prodotto dell’Arti nostre in cotesti luoghi, dov’ebber
sede dapprima opere immortali, se la lunghezza dei secoli non atterrasse tutto;
vivon però quanto basta nella storia, e nella memoria degli uomini per riempierle 152
di stupore, e di maraviglia. I greci non furon più: i discendenti di Quirino non  In conclusione Corazza si rivolge a Clemente XIV definendolo degno erede
contenti d’aver posti i ceppi all’Acaia, condusser di là trionfanti nel Lazio le Arti di papi del livello di Gregorio XIII e di Gregorio XV, e uomo ricco di ingegno
tutte. Stette allor Roma, e tutte le marmoree cave dell’Africa, e dell’Asia cospira- e di cultura nel campo delle arti e delle scienze, che sicuramente promuoverà
ron colle più belle d’Europa a formare quella città ch’esser dovea la Reina di tutte: con ogni mezzo lo sviluppo di esse.
153
quanto avean inventato i Dorii; quanto s’era dai Jonii ringentilito; il fiore della   Cfr. Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, a cura di P. Portoghesi,
grazia, e della eleganza, che fama era avere un Dio medesimo scoverto, e insegnato Roma, Gangemi, 2005-6, I, s.v. «Bottari, Giovanni Gaetano», p. 404; R.M. Giusto,
a coglier là a un abitatore dell’istmo; tutto passò in Italia; e in Roma spirarono i op. cit., pp. 36 sgg.
154
Dii, e gli Eroi; gli uomini grandi, e i fortunati, vivi nelle pareti e nelle tavole, e   C. Pedretti, Epilogo: Roma per gli studi vinciani, in Leonardo e il leonardismo a
moventisi nei metalli, ne’ marmi, negli avorii delle greche mani». Napoli e a Roma, a cura di A.Vezzosi, Firenze, Giunti-Barbera, 1983, p. 230.

129
esponente di punta dell’antigesuitismo e del giansenismo nella ca- Non bisogna però sottovalutare l’importante impulso dato, anche
pitale pontificia, egli sosterrà sempre la superiorità del ruolo del a Roma, alla diffusione di una tendenza di risonanza extraeuropea
disegno nella formazione, non potendo esistere alcuna nozione di come quella palladianista, fondata su un metodo progettuale ra-
matematica, di meccanica o di prospettiva senza il sostegno grafico: zionale e scientifico, e quanto mai attuale: oltre a quanto proposto
in ciò Bottari riprende il concetto di disegno come nesso tra le Arti, nelle sue opere da Alessandro Galilei – si pensi alla facciata di San
già sostenuto un secolo prima nell’ambito della stessa Accademia Giovanni in Laterano –, alla corrente di marca inglese introdotta
da Bellori nel discorso sull’Idea del pittore, dello scultore e dell’architetto da Robert Adam nel corso del suo soggiorno romano e alle aper-
(1664) e poi riproposto come prefazione alle celebri Vite de’ pittori e ture dello stesso Piranesi in tale direzione, va tenuta ben presen-
architetti moderni del 1672. Ma i riferimenti diretti del critico toscano te la matrice palladiana dell’architettura di Giacomo Quarenghi
sono il De Architectura di Vitruvio, le Vite di Vasari e il Vocabolario ‘trasfusa’ nel suo soggiorno romano, come pure la cittadinanza
dell’arte del disegno di Baldinucci, attraverso i quali, come si confà a veneziana di Carlo Rezzonico, papa col nome di Clemente XIII
tutte le teorie estetiche del Settecento, egli trasferisce le questioni dal 1758 al 1769. Inoltre, proprio a partire dall’ambiente intellet-
proprie dell’arte sul piano etico: come per Corazza, anche per lui tuale romano, un ruolo significativo nella formazione e diffusione
il disegno è alla base di ogni operazione progettuale. Come osserva di questo linguaggio, che travalica i confini tra gli stati italiani e la
Marconi155, «il modello di architetto [di Bottari] è certamente quello stessa cintura alpina nell’ispirazione europea al classicismo e al ra-
accademico: un personaggio che nel mentre ha la possibilità di de- zionalismo illuministico, giocano gli intensi rapporti epistolari tra
dicarsi alle arti del disegno in modo il meno possibile specialistico, gli studiosi, che grazie a questo diffuso ‘genere letterario’ finiscono
finalmente unendo il precetto antropometrico di Vitruvio con la per incidere frequentemente sulle scelte di artisti e architetti 158 : si
pratica della scuola del nudo, è anche dall’Accademia istruito nelle pensi, nel nostro caso, all’intensa corrispondenza tra Corazza e
discipline matematiche e si diletta contemporaneamente di poesia, Quarenghi, proseguita ben oltre gli anni della comune residen-
sia pure a titolo di esercizio di acume mentale»; dunque le acca- za romana. Ma sul piano della militanza professionale gli sforzi
demie quali uniche istituzioni abilitate a formare architetti come per soddisfare le aspirazioni di questa «internazionale del buon
professionisti ‘completi’. gusto»159 non sempre andranno a buon fine. Ad esempio l’architet-
Oltre ad essere tra i precursori della storiografia dell’arte contempo- to anconitano Carlo Marchionni (1702-1786), coetaneo di Vittone
ranea, Bottari è, nell’ambiente romano, il più autorevole sostenitore e di Vanvitelli, riesce in un primo tempo ad interpretare alla let-
della rivendicazione belloriana esplosa in Accademia sin dal 1664 tera le idee di Winckelmann in materia di classicismo archeologi-
e tendente ad affermare la superiorità dell’arte antica come arte co nel famoso «Tempietto diruto» della villa del cardinale Albani,
‘ideale’ e la conseguente necessità di riferirsi ad essa con metodi con grande soddisfazione del proprietario, collezionista di reperti
scientifici direttamente applicati alle fonti, senza eresie né aberra- e di codici antichi, bibliofilo e, soprattutto, noto per aver nomina-
zioni. Il contributo di Bottari, basato, nella polemica antibarocca, to bibliotecario della raccolta di famiglia proprio Winckelmann,
sull’equazione di marca giansenista tra verità e bellezza e in qual- all’epoca pensionato della corte di Dresda 160 ; ma con l’incarico
che modo solidale con la posizione di Milizia e di Algarotti, risulta della nuova Sagrestia Vaticana (1776-86) la fama di Marchionni
dunque decisivo per la diffusione in ambito accademico di una fi- viene ad offuscarsi per le aspre critiche mossegli da ogni direzione,
gura di architetto fondata su un solido bagaglio di nozioni tecnico- a partire da Milizia, che paragona l’opera alla Cloaca Massima per
scientifiche e sulle doti peculiari richieste nel campo della rappre- gli eccessivi costi e l’irrazionalità della soluzione. Come si vedrà,
sentazione: se, con quest’ultimo requisito, è fatto salvo l’aspetto più ben presto la Sagrestia verrà indicata dalla cerchia degli Arcadi ro-
positivo della tanto abiurata esperienza seicentesca, nel contempo, mani come esempio di quello che non si deve fare in architettura,
con riferimento alla preziosa lezione di Leonardo proprio in ambito favorendosi invece in ogni modo l’opera di Quarenghi, anch’egli
illustrativo e divulgativo, viene chiaramente favorito lo sviluppo di insigne membro della «Società dell’Arco».
un ‘neocinquecentismo’ di marca vinciana. Bottari finisce però per
restare ancorato al dibattito teorico, mostrando scarso interesse per
il campo pratico e venendo per questo profondamente criticato da § 2 Le relazioni con la critica d’arte italiana ed europea:
Vanvitelli, come si evince dall’epiteto di «infido Bottari» ritrovabile i principi di ‘bellezza’ e di ‘imitazione’
in varie lettere al fratello Urbano156. Ma su tali argomenti torneremo.
In fondo, i limiti di Bottari in fatto di ‘concretezza’ sono comu- Il contributo di Corazza al pensiero artistico coevo va in-
ni all’intero ambiente culturale della capitale pontificia a cavallo dividuato sia nei numerosi testi rimasti incompiuti o inediti, sia in
della metà del secolo. Oltre che ai ‘sogni’ e ai ‘capricci’ pirane- preziosi brani di lettere indirizzate ad illustri corrispondenti: in ef-
siani, basti pensare agli elaborati degli studenti dell’Accademia fetti, considerata la caratura e l’ampio spettro d’influenza di questi
di San Luca e di quelli dell’Accademia di Francia: all’evocazione uomini di cultura legati al più ampio dibattito europeo, si può dire
del mito dell’Urbe attraverso la rappresentazione e la ricostruzio- che proprio attraverso di loro avvenga la vera pubblicazione e dif-
ne ideale delle sue grandiose rovine negli envois dei pensionnaires fusione del pensiero dell’abate bolognese. Rinviando al prossimo
francesi non corrisponderà per il momento la produzione di opere paragrafo gli aspetti tecnico-scientifici di questi testi, considerere-
significative ma, anzi, una vera e propria stasi, quel «regno del mo ora quelli da cui è possibile trarre la cifra dello spessore critico
nulla», come lo definirà Milizia 157. del personaggio nell’ambito della teoria artistica e in particolare gli
scritti: Della Prospettiva, ed Altre Cose a Lei Analoghe (1781); Sull’imi-

155
  P. Marconi, Introduzione, in P. Marconi, A. Cipriani, E. Valeriani, I disegni di
158
architettura dell’Archivio storico dell’Accademia di San Luca, Roma, De Luca, 1974, p.   Ivi, pp. 35-36.
XII; R.M. Giusto, op. cit., p. 36. 159
  Ivi, p. 36.
156
  F. Strazzullo, Lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca Palatina di Caserta, Galati- 160
  Tra i pezzi più famosi della raccolta di sculture di questo museo privato dell’Al-
na, Congedo, 1976, II, passim. bani era il bassorilievo di Antinoo, il giovane amato da Adriano, ritrovato in Villa
157
  A.M. Matteucci, op. cit., p. 34. Adriana.

Capitolo quarto
130
tazione (1782); Sulle Arti (Pittura, Scultura, Architettura) (s.d.); Memorie
su le Arti del Disegno (s.d); ad essi vanno aggiunte le Massime generali
per giudicare de’ pittori, delle opere loro, e della perfezione a cui son giunti
(1779-80) tratte, come vedremo, dagli scritti di Mengs e la notizia
dell’esistenza di un Trattato del Bello sopra le tre sorelle scoltura, pittura
ed Architettura, purtroppo oggi disperso161. Nello specifico architet-
tonico, possiamo fare riferimento anche alle sue chiose, databili alla
fine degli anni Sessanta, alla traduzione dal francese curata dal de’
Vegni – ma rimasta manoscritta presso la Biblioteca dell’Istituto del-
le Scienze di Bologna162 – dell’inedita opera di A.F. Frézier dal titolo
Dissertazione su quel genere di Decorazione, che diconsi gl’ordini d’Archi-
tettura: in queste annotazioni Corazza profonde in critiche all’autore,
specie per la cattiva interpretazione della terminologia di Vitruvio e
di Perrault, in qualche modo derivante dai legami con la teoria con-
servatrice di Blondel163. Va segnalata infine la perduta Dissertazione
sul Teatro di Ercolano che, come vedremo, abbiamo recuperato in altra
forma. Oltre a questi scritti, numerose sono le riflessioni prive del
carattere di saggi, ma non per questo meno importanti, ritrovabili
nel materiale epistolare napoletano e riferibili al periodo che va dal
volgere degli anni ’70 fino a tutti gli ’80.
Tra le ‘occasioni mancate’ da parte di Corazza nel dare alle stam-
pe i propri lavori, certamente quella relativa alla collaborazione
all’Encyclopédie appare la più clamorosa, sebbene derivante questa
volta da una libera scelta dovuta alla personale incertezza e alla
modestia caratteriale. La vicenda è comunque significativa quale
testimonianza dell’impegno del Nostro negli studi su Leonardo
ben prima del 1772, allorché l’amico bolognese Francesco Monti-
gnani, collaboratore dell’edizione livornese (ma ancora in lingua
francese) di quell’opera prestigiosa, apparsa tra il 1770 e il ‘75164 ,
così lo invita ad offrire il suo autorevole contributo:
Filippo Baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze 1681;
frontespizio
Egli è vero che ho procurata l’aggiunta agli Editori Enciclopedici
di Livorno di qualche articolo intorno a Bologna, e all’Istituto delle
Scienze, e voi farete benissimo ad arricchire quell’Edizione di cose pubblicare i propri studi. Così oltre a mancare del tutto, nell’edizio-
riguardanti il celeberrimo Lionardo da Vinci. Converrà bene che ne livornese, la voce sul genio vinciano, neppure l’attesa monografia
riduciate in ristretto le cose, mentre [gli editori] non vogliono dif- vedrà mai la luce.
fondersi per stare nei limiti dei volumi propostisi. Oltre di che sarà Corazza doveva aver acquisito negli anni addietro una profonda co-
d’uopo che ad essi scriviate se vorranno essi aver la briga di far la noscenza di Leonardo, con ogni probabilità attraverso l’Istituto delle
traduzione in francese delle vostre note, o se dobbiate voi averla. Do- Scienze di Bologna, come si rileva specialmente dalla corrispon-
vreste ancora propor loro, che stampassero a parte le cose tutte da voi denza con Angelo Comolli166, il colto responsabile della Biblioteca
raccolte ed osservate intorno al d.° Autore, contentandosi di riferirne Imperiali. Del resto, l’autorità del bolognese nel più generale ambito
le massime e principali nella Enciclopedia, e accennare che a parte artistico doveva essere già all’epoca indiscussa nell’ambiente felsineo,
si stamperà l’intero corpo delle vostre animadversioni su dell’Autore come rivela tra l’altro la redazione, a sua cura, di un «Indice Mano-
med.° 165 . scritto dei Libri di belle arti» di proprietà di quell’Istituto, molti dei
quali donati, come abbiamo visto, proprio da Corazza prima di la-
Ma questo «corpo», insomma un saggio completo sull’opera di Leo- sciare definitivamente la propria città; all’«Indice» Comolli attingerà
nardo, era ancora in fieri, come dimostrano gli appunti sparsi e le a piene mani per la sua Bibliografia storico-critica dell’architettura civile.
spurie osservazioni ritrovabili tra gli scritti del Nostro, a testimo- Come confermano le testimonianze degli illustri interlocutori, Co-
nianza dei suoi mille interessi, ma anche delle tante esitazioni nel razza era considerato già sul volgere degli anni ‘60 non solo «il più
intendente nelle Teorie d’Architettura che abbia al presente questa
Città [Bologna]»167, ma il massimo esperto italiano in materia vincia-
161
  Il titolo compare in un elenco delle opere di Corazza, cit., in BCABo, F.S. na e, a partire dal suo esordio al servizio della corte borbonica, il più
Biografie, cart. I, n. 5, doc. s.d., s.f. degno erede della tradizione seicentesca degli studi leonardeschi,
162
  Ivi, MS. A 427.
163 rilanciati in Italia specie a seguito del successo riscosso dalla riedi-
  Cfr. in proposito H.-W. Kruft, Storia delle teorie architettoniche. Da Vitruvio al
Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 178. zione napoletana del Trattato della Pittura nel 1733. Così egli, nella
164
  Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des Sciences, des arts et des Métiers, par une stessa epoca in cui venne coinvolto nell’avventura dell’Encyclopédie,
société de gens de lettres, mies en ordre et publié par M. Diderot […]et quant à la partie nel considerare l’arte di Raffaello e di Michelangelo poté scrivere:
mathématique, par M. d’Alembert, Livourne, dans l’imprimerie de la Société, 1770-75.
Una copia originale dell’opera, con i relativi volumi di tavole (1771-78), è presente
presso la Biblioteca della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico
II: cfr. M.G. Ronca, scheda in Libri antichi e rari delle Biblioteche d’Ateneo, Napoli,
166
Università di Napoli Federico II, 2004, pp. 258-261.   Ivi, X. AA. 29/16, lett. varie (1787-91). Cfr. M. Rascaglia, op. cit., p. 50n.
165 167
  BNN, Manoscritti e Rari, X AA 29bis/7, lettera del 10 maggio 1772.   BCABo, MS. A 427, doc. s.d., s.f.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


131
Con questi due, per ciò che a’ tempi riguarda non meno, che a por-
tar l’Arte a un grado di perfezione fino allora sconosciuto, né poscia
raggiunto più, vuolsi porsi Lionardo. Chi meditò, chi discoprì meglio
d’esso i bisogni, i rimedj, gli artificj tutti della Pittura?168.

Dunque ancora Leonardo, sempre Leonardo su tutti.

I citati scritti degli anni ’80 rivelano il carattere poliedrico della


personalità di Corazza e del suo approccio alle più vaste tematiche,
segnatamente nell’ambito artistico e architettonico.
L’importanza della tecnica prospettica per lo studioso, influenzato
dalle proprie origini bolognesi e dagli studi vinciani, emerge nel
citato manoscritto Della Prospettiva del 1781, anch’esso finalizzato alla
pubblicazione di un più ampio volume sull’argomento169. Nel testo
Corazza parte dall’utilità della prospettiva per i pittori, gli scultori e
gli architetti:

[essa] mostra agli Architetti come debbano ordinare gli spartiti dei
differenti loro ordini, accioché gl’inferiori non taglino sconciamente
i superiori; in una parola pone sotto gli occhi l’effetto della fronte
di tutto l’Edifizio veduto dal luogo che aver si può, onde sia più
cospicuo.

Dunque è fondamentale l’insegnamento della prospettiva nelle


accademie, onde raggiungere la perfezione nelle arti del disegno,
specie in relazione alla generale carenza di preparazione in questo
campo:

I matematici hanno esposto i fondamenti della prospettiva; ma general-


mente parlando, non si sono prefisso per iscopo i progressi di quest’arte,
ed hanno talvolta presupposto delle cognizioni che le più volte ve- Vincenzo Corazza, Della Prospettiva, ed Altre Cose a lei analoghe, 1781, f. 1.
diamo mancare ai Disegnatori, i quali o ignorano la Geometria, o ne Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.B.37
sanno così poco, che non basta a intendere la Prospettiva de’ Mattema-
tici [e prosegue] Un chiaro matematico de’ nostri dì ne ha esteso un Si riconosce nel brano il Corazza esperto degli studi leonardeschi
Trattatino dimostrato, con pensiero che a’ disegnatori potesse giovare; sull’anatomia del cavallo, direttamente appresi dai «Capitoli aggiun-
e può veramente quando sia studiato, e potrebbelo assai più quando ti» presenti nell’apografo in suo possesso. Egli vedeva nella rivalu-
ne fosse ordinata la spiegazione per comodo degli studiosi a persona tazione del Rinascimento e, attraverso questo, del mondo classico,
capace, a ciò destinata. l’occasione per un riscatto dell’arte dai «tempi della decadenza»: lo
si comprende, ad esempio, quando cita il defunto amico Lelli per il
Chi può essere il «chiaro matematico» che ha scritto il «Trattatino»? suo «Trattatino sull’Anatomia ad uso de’ Pittori» e definisce i mo-
All’epoca il più noto era il lucano Vito Caravelli, autore nel 1770 dei delli da adottare per esprimere un concetto di bellezza ideale basata
citati Elementi di Matematica ad uso della Reale Accademia di Ma- sul canone dell’arte antica, che aveva ispirato gli artisti del Rinasci-
rina borbonica, opera ben recensita da Comolli su segnalazione del mento: Corazza elenca, tra gli altri, la Venere Medicea, l’Antinoe di
Nostro, che aveva conosciuto Caravelli appena giunto a Napoli nel Campidoglio, la Medusa degli Strozzi, l’Apollo e il Laocoonte di
1772, trovandosi poi, negli anni ’80, a collaborare con lui nell’istru- Belvedere, e il Gladiatore di Villa Pinciana; opere che
zione dei Principi reali. Torneremo sugli aspetti strettamente tecni-
ci del testo di Corazza; qui segnaliamo come l’autore mostri tutta sembrano altrettanti Canoni della bellezza, che qui cerchiamo; della qual
l’influenza vinciana nel sottolineare la necessità che si istruiscano gli bellezza […] modelli abbiamo ne’ cammei, ne’ sigilli, e nelle medaglie
allievi artisti nello studio dei muscoli e delle ossa, e quindi dell’ana- di greca mano, la diuturna osservazion de’ quali non può non imprimer
tomia, così come dei movimenti del corpo umano: nell’animo de’ nostri quelle idee, le quali così in essi, come in Raffaello
già, si riproducon poi nelle opere delle loro mani a gareggiare coll’eccel-
Leonardo da Vinci studiò e disegnò con quella sua diligenza meravi- lentissime opere dei tempi di Filippo e d’Alessandro, ed accostansi all’idee
gliosa l’anatomia tutta del corpo umano; non si contentò, osservò mi- molto più eccellentissime, che cerca la natura nelle sue opere d’imitare170.
nutamente quella del cavallo. Il primo e sommo legislatore de’ Pittori
si sarà prescritto un tale studio ne’ tempi del Risorgimento dell’Arti, e I concetti di ‘bello ideale’ e di ‘imitazione’, che Corazza ebbe modo
nei tempi della decadenza loro potrassi ardir da qualcuno di crederlo di apprendere direttamente dal grande pittore e teorico dell’arte
vano e superfluo? Anton Raphael Mengs durante il soggiorno romano e, poi, di ap-
profondire attraverso lo studio degli scritti autografi dell’artista

168
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/11, f. 33, s.d.
169 170
  Ivi, XII. B. 37.   Ivi, f. 14.

Capitolo quarto
132
tedesco, emergono con chiarezza in questa documentazione. Oltre
a tenere presenti i Pensieri sull’Imitazione che Winckelmann aveva
pubblicato sin dal 1755, il bolognese risente certamente dei Pensieri
sulla Bellezza e sul gusto nella Pittura [Gedanken über die Schönheit
und über den Geschmack in der Malerei] di Mengs del 1762, usciti in
Italia nell’edizione parmense delle Opere mengsiane (1780) a cura
dell’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Joseph Nicolas
de Azara (1730-1804), erede delle carte del pittore171. Corazza, che
dovette conoscere Mengs presso il circolo letterario e artistico del
cardinale Albani, rivedendolo poi a Napoli, ebbe il privilegio sin
dal 1779, all’indomani cioè della morte del grande critico tedesco,
di studiarne i manoscritti attraverso l’amico Onofrio Boni, archi-
tetto, letterato e teorico dell’arte172 .
Il Nostro sostiene con Mengs la necessità di imitare la bellezza del
corpo umano così come rappresentato nei modelli delle sculture
antiche, mirando però al ‘carattere’ di ciascuna in relazione alle
inclinazioni e alle qualità del soggetto rappresentato; non basta, Vincenzo Corazza, Massime generali per giudicar de’ Pittori, delle opere loro, e
infatti, imitare le forme esteriori, dovendosi cogliere gli aspetti della perfezione, a cui son giunti, 1779-80, f. 1. Napoli, Biblioteca Nazionale,
interiori dei personaggi. Partendo da questa idea di bellezza, Co- Ms.XII.D. 82
razza torna sull’utilità del disegno, rivelandosi come l’appassio-
nato vinciano che conosciamo: «Lionardo il più netto legislatore Il tema del colore si rivelerà peculiare per lui, sempre più attratto
dell’arte ha ordinato che la teoria precedesse la pratica della mano; dallo studio dei precetti di Leonardo, prendendo così le distanze
e di ciò si promette molto maggior facilità di esecuzione, e perciò sia dalla tendenza ‘monocromatica’ di matrice winckelmanniana 175
compendio di tempo»173 ; e prosegue riferendosi alla proposizione sia, al contrario, dalla pittura barocca caratterizzata dalla mesco-
leonardesca dell’uomo seduto o poggiato su un piede o in altre lanza dei sette «bellissimi» colori dell’arcobaleno176. Nel 1789, in un
posizioni, presente, come abbiamo visto, nei «Capitoli aggiunti» 174 . preziosa lettera a Bertola, il Nostro tornerà sul tema, riferendosi
Si noti dunque il particolare significato teorico che lo strumento con queste parole alla policromia nell’arte egizia:
prospettico assume per Corazza, ancora una volta nel più ampio
contesto della preparazione accademica; argomento questo af- I colori risentiti, se intendete i primitivi, e fra loro i più vivi, gli Egizj
frontato dall’autore sin dall’epoca delle Orazioni bolognesi. Ora, non avean torto a riputarli i più belli; il male è l’usarli fuor di pro-
però, egli intende porre l’accento sul disegno non solo come fon- posito, o troppo. Voi non vorreste, in una tragedia, che si togliesse il
damento delle arti ‘belle’, ma anche quale presupposto della qua- sommo della composizione e del terrore; ben credo che il condan-
lità della produzione seriale, mostrandosi così autentico pioniere nereste, se vi ci abbatteste ad ogni scena. La Quinta e l’Ottava, otti-
nell’affrontare un tema che sarà fondamentale nel dibattito dell’età me consonanze; ma qual pessima Armonia non sarebbe quella che si
contemporanea: ad esempio, auspica una rifioritura della «stampa componesse perpetuamente di così fatto accordo? Se troviam bella
a più colori, la quale, coltivata da eccellenti intagliatori in legno la somma commozione, l’accordo della quinta, lasciam esser belli i
quando erano i bei tempi delle nostre arti, oggidì, nell’Italia alme- colori dello Scarlatto, dell’Azzurro e danniam solam. lo stemperato
no, è quasi del tutto spenta». uso de’ medesimi 177.

Corazza conclude quindi lo scritto Della Prospettiva sottolineando


171
  Opere di Antonio Raffaello Mengs primo pittore della Maestà di Carlo III pubblicate da come l’idea di bellezza e di perfezione, per ciascun genere di ogget-
Giuseppe Nicola D’Azara, Parma, Stamp. Reale, 1780, 2a ediz. Bassano, Remondini,
1783, (3a ediz. Roma, Pagliarini, 1787, a cura di C. Fea, con un ritratto di Mengs
ti o di corpi, debba trovare una semplice e immediata espressione
inciso su disegno di G. Bossi). Cfr. pure sull’argomento S. Pasquali, Scrivere di nella forma e nel colore del modello comunemente giudicato bello
architettura intorno al 1780: Andrea Memmo e Francesco Milizia tra il Veneto e Roma, in e conveniente per quel genere178 . Ci pare importante, infine, il ri-
«Zeitenblicke», II (2003), n. 3. La Pasquali, (ivi, p. 15) osserva: «Azara aveva inoltre
provveduto a celebrare ulteriormente il ‘suo’ artista e teorico, attraverso l’erezione chiamo alla necessità di una preparazione dell’architetto nel disegno
di un busto commemorativo posto nel Pantheon (1781) e, quale più significativa del nudo e nella conoscenza delle proporzioni del corpo umano,
rappresentazione dello speciale rapporto da lui intrattenuto con l’oggetto dei suoi
studi, egli aveva anche per suo più personale uso provveduto a fare modellare un non solo nel rispetto dell’origine antropometrica degli ordini clas-
erma bifronte (1786): rappresentava insieme se stesso e Mengs, così come in un
modello antico, allora recentemente venuto alla luce, Metrodoro figurava indisso-
lubilmente legato al suo maestro Epicuro». Sull’edizione romana curata dal Fea, cfr.
175
l’interessante recensione coeva di L.M. de’ Vegni, in Memorie per le Belle Arti, cit.   Ciò si evince quando sottolinea l’importanza dell’«energia del rilievo, prima e
(febbr. 1788), pp. XLV-LII. forse somma virtù del disegnatore, e mezzo efficacissimo per restituire il colorito a’
172
  È quanto si ricava da una lettera che Boni, uno degli amici più stretti di Coraz- dipintori, la più parte de’ quali sembra che a’ giorni nostri l’abbia smarrito» (ibidem).
176
za nella Società dell’Arco di Roma, gli scrive il 7 maggio 1779, riferendosi proprio   «Si chiaman bellissimi per comune sentimento quei colori, qualunque sieno,
allo studio in atto di quei testi da parte del bolognese. BNN, Manoscritti e Rari, X. che più s’accostano ai sette principali, de’ quali si compone la luce» (ibid.). Comune
AA. 29bis/8. Boni (Cortona 1739-Firenze 1818) fu soprintendente alle Regie Fab- sentimento che, secondo il Nostro, vale più delle «filosofiche verità» e che preferi-
briche della Toscana e dal 1785 all’88, dietro nomina da parte del principe Abbondio sce i colori più semplici e schietti rispetto alle loro mescolanze, come confermano
Rezzonico, redattore con G.F. de Rossi delle sezioni di architettura, delle incisioni anche le più belle descrizioni della natura in poeti come Orazio.
in rame e delle gemme nelle Memorie per le Belle Arti. Cfr. Dizionario Biografico degli 177
  BCABo, MS. A 1224, lettera a Bertola del 10 agosto 1789.
Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2006, s.v. a cura di M. Bonfioli; 178
  «Generalmente parlando le cose, che appaion belle alla vista, e tali comune-
V. Zanella, Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo: lettere e altri scritti, Venezia, mente si chiamano, quelle sono, che non avendo manifesta imperfezione, ed acco-
Albrizzi, 1988, pp. 45, 138, 404; G. Natali, Il Parini a Roma…cit., pp. 71-79; A. Di standosi anzi a quel miglior grado di bontà, che concepiamo convenir loro, hanno
Croce, Onofrio Boni e lo scrittoio delle Regie Fabbriche: il mestiere dell’architetto a Firenze al tempo istesso una certa forma piacente, e un certo colore conveniente e grato:
tra Sette e Ottocento, in «Ricerche di storia dell’arte», n. 84 (2004), pp. 25-34. di che si deduce (lasciando per ora a parte la Bontà) constare, perciò che a’ corpi
173
  BNN, Manoscritti e Rari, XII. B. 37, fol. 16r. s’appartiene, la loro bellezza nella forma principalmente, e nel colore». BNN, Ma-
174
  Ivi, ff. 16r-18r. noscritti e Rari, XII. B. 37, f. 18r.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


133
attivo prima a Roma e poi a Napoli, proprio per la scientificità
del suo approccio alla natura poteva ben comprendere i contenu-
ti vinciani del metodo esposto da Corazza sul tema della rappre-
sentazione spaziale. Infatti Lusieri giudicherà il saggio eccellen-
te, esortando anzi l’amico a darlo una buona volta alle stampe181.
Ma neppure questo studio, rimasto interrotto, vedrà mai la luce.
Sappiamo dall’Amodeo182 come nell’ultimo quarto del secolo ven-
gano a maturare in ambito napoletano importanti dibattiti in ma-
teria di prospettiva, basati sullo studio aggiornato della geometria
descrittiva di Monge, specie per la parte in cui lo scienziato si
riferisce direttamente al metodo prospettico indicato da Dürer,
a sua volta mutuato dal secondo metodo esposto da Piero della
Francesca nel suo trattato. A partire dagli ultimi anni del Set-
tecento, proprio sulla base degli studi di Monge e di Sganzin,
e della loro attività didattica presso l’École Polytechnique, anche
nell’Accademia Militare napoletana e, dall’età napoleonica, nella
Scuola Politecnica e poi in quella di Applicazione gli studi relativi
alla geometria descrittiva e proiettiva e alla teoria e tecnica del-
la rappresentazione vedranno un notevole fermento, che troverà
sviluppo nell’opera di Gaspare Vinci, Gaetano Alfano e Francesco
Paolo Tucci, su cui torneremo.
Per restare nell’ambito del contributo teorico-critico di Corazza,
un’altra significativa occasione fu segnata dalla traduzione dell’o-
pera vitruviana pubblicata da Berardo Galiani nel 1758183 , che do-
vette suscitare nell’abate, sin dai primi anni ’70, un forte entusia-
smo per un argomento già affrontato da Lodoli e, proprio in quegli
anni, oggetto di studio anche da parte di Milizia 184 . Ma Corazza
volle cimentarsi personalmente nella traduzione dal latino della
Prefazione al primo libro Dell’Architettura di M. Vitruvio Pollione185 : tra-
duzione che, come è facilmente constatabile, non corrisponde al
Opere di Antonio Raffaello Mengs, ediz. italiana a cura di Joseph Nicolas de testo pubblicato da Galiani; anche in questa circostanza, però, egli
Azara, Bassano 1783; frontespizio non va avanti, preso dalle tante fatiche in altri ambiti. Del resto,
ancora nel campo degli studi vitruviani, Corazza scrisse nel 1772
sici, ma anche per evitare inconvenienti dovuti all’incapacità del una Dissertazione sul Teatro di Ercolano che, sebbene non reperibile
progettista nel disegnare ornamenti come statue e bassorilievi 179. nella veste finale, si ritrova nel testo di una lettera indirizzata all’a-
Non è casuale che nel 1784 Corazza sottoponga il testo Della Pro- mico Gastaldi il 26 settembre di quell’anno, ricca di preziosi det-
spettiva al famoso pittore vedutista Gian Battista Lusieri («Don tagli descrittivi e accattivanti ipotesi sulle tracce dell’antica strut-
Titta»), sicuramente uno degli esponenti di spicco, con Hackert e tura, già all’epoca fortemente danneggiata da improvvidi scavi e
Ducros, della nuova pittura di paesaggio nell’ambito centro-meri- spoliazioni avvenuti prima su iniziativa del principe di Elboeuf,
dionale della seconda metà del Settecento180 : artista che, anch’egli poi di Carlo di Borbone186.

179
  «Non è da fermarsi a mostrare la necessità del disegno nell’arti che sovr’esso L. Di Mauro, Napoli, Electa Napoli, 1999; F. Spirito, Lusieri, Napoli, Electa
si appoggiano e nascon di lui: è piuttosto da osservarsi come il disegno assai Napoli, 2003.
più in là si estende, che non fanno la Pittura, la Scultura, e l’Architettura: poi- 181
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/1, lettera del 10 aprile 1784 di Lusieri a
ché sono le arti meccaniche, che se ne giovano, ed una parte di queste se ne
Corazza.
abbellisce tanto, che riceve da lui il maggior pregio. Le Arti che maneggiano 182
i metalli più fini, che mettono in opera le lane, le sete, e i lini si arricchiscono   F. Amodeo, Accenni ai più importanti temi trattati nella Scuola Matematica Napoleta-
indicibilmente pel disegno. Questo pensiero debb’esser presente a chi voglia na (1615-1860). La Scienza della prospettiva nel secolo XVIII, i nuovi indirizzi scientifici che
far risorgere le tre arti in uno stato col mezzo d’una Accademia, la quale non da essa scaturirono, e la ripresa della Geometria descrittiva, Pavia, Tip. Fusi, 1935.
183
solamente abbellirà, ma arricchirà, dove sia ben condotta, il frutto di quasi tutte   Si veda sull’argomento S. Villari, La traduzione di Vitruvio del marchese Berardo
le Manifatture» (ibid.). E prosegue sottolineando, in particolare, l’importanza Galiani, in Vitruvio nella cultura architettonica antica, medievale e moderna, a cura di G.
del disegno nella rappresentazione della figura umana e nel Nudo. In tal senso, Ciotta, Atti del Convegno internazionale (Genova, 5-8 novembre 2001), Genova,
esso è importante anche per gli architetti, e lo è stato sin dall’antichità, allorché De Ferrari, 2003, t. II, pp. 696-705.
184
Vitruvio «ha giudicato che le proporzioni degli Ordini fossero state tratte dalle   Cfr. G.P. Consoli, Tra «ragione» e «norma». La critica al testo vitruviano in Carlo Lo-
proporzioni del Corpo umano, ed ha di queste proporzioni medesime trattato doli e Francesco Milizia, in Aa.Vv., Vitruvio nella cultura architettonica…cit., pp. 461-467.
185
con molto maggior diligenza, che non hanno fatto i Greci e latini tutti, che lo   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, ff. 45r-45v.
avevano preceduto. Ma lasciando stare l’autorità, certa cosa è che giovando a 186
  Cfr. Archivio Storico Comunale di Casale Monferrato, Fondo Famiglia Magno-
ben disegnare gli altri oggetti saper bene disegnare l’ignudo, gioverà moltissimo cavalli, fsc. 249, lettera del 26 settembre 1772: «Ho veduto il teatro degli Ercolanesi
saperlo disegnare all’Architetto ancora, il quale infinite cose negli Ornamenti sotto la lava di Tito, sotto parecchie fabbriche posteriori almeno di tredici grossi
dovendo disegnare, debb’anche troppe volte allogare statue e bassi rilievi, ed a’ secoli, e forsi sotto la lava che seppellì e devastò nel 1631 e 32. […] Il teatro non è
medesimi così acconciare il rimanente del lavoro, che spesse volte ne potreb- stato scoperto e ricoperto a quel modo che si è voluto far credere ben sì è comin-
bon riuscir degli sconci, quando non bene intendesse l’ignudo, che certo non ciato a spezzar co’ picconi, e spiccar qua e là dei massi di lava immensi e tanti ne
è da sperare che sia per intender troppo, se non lo avrà eccellentemente saputo sono sfossati e tratti di sotterra che la struttura dell’interna cavea dal poco che rima-
disegnare» (ibid.). Conclude con approfondimenti sul disegno del nudo, segnata- ne cospicuo, può compitamente disegnarsi; il riparo del podio, che verisimilmente
mente su quello finalizzato all’incisione su rame, dimostrandosi anche in questo dovea essere un ordine di balaustri, non apparisce nello scarso numero di canne che
campo un vero esperto, aggiornato sulle tecniche più moderne. è libero a vedersi, forse perché quest’opera minuta è rimasta infranta sotto la mag-
180
  Cfr. N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento: dal Rococò al Classicismo, giore e stritolata fra rottame della lava. Il piano dell’orchestra o parterre, dove può
Napoli, Electa Napoli, 1987; Vedute napoletane del Settecento, a cura di N. Spinosa, vedersi, ha la struttura di quell’antico, bellissimo; un cotal pavimento aggiunto me

Capitolo quarto
134
Nel documento risultano di particolare interesse per compren-
dere la competenza del bolognese in materia di storia dell’ar-
chitettura i riferimenti alla tipologia teatrale greca e romana

ne parve andando sovr’esso, e sotto le caverne della lava […] alla poca profondità del
pulpito del proscenio […] mi fanno dubitare che il teatro fosse costruito sul model-
lo di que’ de’ Greci: voi sapete che i cori e il ballo presso loro agivano nel parterre,
e non sul palco, il quale per ciò si prescriveva meno profondo di quello che si faces-
se da’ Romani, come ne assicura Vitruvio nel suo quinto libro. […] I gradi della
cavea sono di un marmo comune bianco, per quanto potei conghietturare, giacchè
la gocciante umidità gli ha resi, dove sono cospicui, lutulenti e ferrognoli; eglino son
ventuno di numero e sagliono continuamente senza que’ ripieni che forsi Vitruvio
chiama Praecintiones, e divideano tutta la scala in due o tre ordini secondo la vasti-
tà della cavea. Solean mettere su questi precinzioni o riposi o spartimenti che vo-
gliate chiamarli, le porte che introduceano gli spettatori chiamate da latini vomito-
ria, ottimamente perciò situate; nel nostro teatro questi vomitori mettono a uno de’
gradi verso ‘l mezzo dell’altezza de’ gradi stessi; il custode del luogo mi disse ch’era-
no sette; molto probabilmente gli spettatori, che per l’interne scale erano stati intro-
dotti al piano superiore de’ gradi, dovean da esso potersi diffondere per lo teatro,
posciacchè sette porte mi sembrano poche a tanta vastità di luogo quanta la dolcez-
za della curvatura de’ gradi mostra che fosse; se ciò fosse così, dovrà apparire da
gradi superiori che dovrebbero essere incisi come quelli de’ vomitori, di ognun de’
quali sono fatti due […] pe’ quali si può comodamente scendere o salire e quindi
passare ai destinati gradi. Se le mie parole spargessero alcuna oscurità su la cosa che
avrò in animo di rischiararvi […] in leggenda, di porvi sotto gli occhi le forme
degli antichi teatri, che troverete in qualunque de’ X libri di Vitruvio, procurata da
Daniele Barbaro, al luogo innanzi additato, se già non vi piacesse di vederne quelli
squisiti intagli che aggiunse all’edizione di lui il sig. Perrault, avvertovi però, che i
disegni delle stampe di Monsignor Barbaro sono opera […] di Andrea Palladio, cosa
che dee bastar solo a renderveli carissimi: torno al teatro nostro. Il pulpito del pro-
scenio, ossia ‘l palco, ha nella sua fronte (cioè nello spazio che fra ‘l parterre e l’altez-
za del palco) di qua e di la dei gradini, che comunicano tra il pulpito e l’orchestra;
se ciò può confermarvi quella mia dubitazione de’ balli e del coro, ch’indi avessero
adito per andare ad agir nell’orchestra, e secondo ‘l bisogno tornarsene, me ne alle-
grerò; ma perché non arrischiate di concedermi troppo condiscendendo, debbo
ricordarvi che Sebastiano Serlio, celebre architetto del mio paese, il quale fioriva nel
tempo della generale ristorazione delle arti, avendo pubblicato nelle sue opere di
architettura un lib. d’antichità ed in esso disegnati alcuni antichi teatri, che da lui, e
in que’ tempi meglio potean osservarsi, che in questi nostri tempi, e da me, parmi
che in alcun d’essi abbia mostrato questi gradini, e sono perciò giudicabili di forma
greca: e forsi, per un certo agio o bellezza, si sono potuti fare anco ne’ teatri latini, Vincenzo Corazza, Dell’Architettura di M.Vitruvio Pollione. Libro primo. Prefa-
come ha potuto fare il Serlio stesso ne’ disegni, che egli ha date tre maniere di scene, zione, c. 1770, f. 1. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms.X.AA. 28/3
al fine, se io non erro, del suo Libro di Prospettiva. La pianta, o vestigio, o icnografia
del Palco, in quella parte che fronteggia il popolo, non corre per una linea retta.
Continuatamente che sola esser la corda massima del semicircolo, il quale con esso
lei prescrivea i limiti dell’orchestra ma standogli sovra in più luoghi rincurvasi fra
essi sotto il palco e forma parecchie ancone, o nicchie molto ben compartite e or- questi luoghi vomitato il suo stagnante vulcano, che ha bisogno ad esser tolto di
nate di stucco a grotteschi di quell’antica eleganza onde trasse le sue idee l’autore di mezzo, di troppe braccia, di troppa diligenza, e d’una certa anch’essa troppa magni-
quella mirabil loggia che voi ed io abbiamo veduta fuor di Roma e chiamasi Villa ficenza e liberalità.Veggonsi però fra tanto nella fronte d’essa la scena, gl’ingressi di
Madama, se pure non mi è venuta meno la memoria del nome; cotesta, affine che più porte, e molto probabilmente se ne scopriranno nelle versure, ossia ne’ lati mi-
risovvengavi, ha tre grandi archi in pilastri; le fronti che terminano l’una contro nori della scena; dopo ai quali trovansi alcune camerette assai elegantemente dipin-
l’altra i lati minori della loggia coperta, formano due celle, come quelle che furon te sopra un fondo di color giuggiolino o di rosso d’Egitto, giacché non m’assicuro
poste da M. Agrippa sotto al portico del Pantheon; finalmente al lato opposto, dove pel lume che là entro rimane mortificato, e torbido al maggior segno; sovr’esso
guarda Roma, e un pezzo di fabbrica che è disegnato da Raffaello, se non l’hanno colore, con quel modo che ha imitato Raffaello in coteste vostre logge degli Dei,
disegnata gli angioli del Paradiso. Cotali sono gli stucchi della base del palco, e come sono dipinte parecchi gentil’opre di fogliami, e di frutti, e di nastri e d’uccelletti
questi gli altri, co’ quali sono compartite e adornate molte parti di questo teatro. La conservati abbastanza per farsi desiderare interi, e conservatissimi. Ciò che ho detto
materia d’essi è un marmoratum di fina calce e polvere di bianco marmo, non for- non vi può lasciar luogo a domandarmi se la scena e ‘l palco eran coperti e in quale
si dissimil troppo da quella dell’additata loggia, resistentissimo, e che certo nel teatro modo; di assicurare il giudicio che dava tre vicentini ed altri sul loro eccellente Te-
nostro avrebbe resistito alla sepoltura di diciassette secoli e al colante fuoco, che il atro del Palladio, e ne pure attenderete che io vi narri qui come stessero i Periatti o
ricoperse, se la umidità che ha riempiuto in appresso i vani fatti dal fuoco non li i Trigoni versatili della scena dipinta, e le scene duttili, cotesti misteri rimangono qui
avesse macerata in gran parte e reso frolla. Il palco è coperto d’asse o tavole non più che mai sepolti e certamente io mi sono profano troppo per esserci ammesso:
solamente abbronzate ma affatto nere, come carboni spenti fra le cui fibre, caccian- degli Pelici poi avi la stessa cosa.Vitruvio dice che ne’ usavano i Greci, ma parmi che
do la punta d’un coltello, quanto potea, venia un gemito di questo sforzo, […] dica ancora questa usanza esser stata praticata fuori d’Italia; fuori, o dentro, non
poiché se n’è tratto il ferro e lo stesso accade ai ceppi delle travi, che vengonsi in credo che il nostro teatro dovesse averne sommo bisogno, perché non è assoluta-
alcune parti dell’opera interna esse pure niente meno abbrustolite e pregne dell’u- mente molto grande, se debbo giudicare della grandezza de’ teatri antichi da ciò che
mido inzuppato. Ai due angoli che fa il pulpito presso l’orchestra sono due piede- il maggior Plinio ne asserisce; il quale scrittore io assai più rispetto che non soglio-
stalli, uno per lato proporzionato a due statue equestri, maggiori del naturale; so- no molti; ma i numeri, in qualunque modo scritti, hanno sofferto in ogni maniera
vr’esso piedestallo uno zoccolo per ciascheduno, e in uno di questi, in quel lato che di troppi sfregi e troppe carezze: vi par egli che ne’ gradi o cunei del Colosseo,
guarda il piedestallo opposto, è inciso A. CLAUDIO HERCULANENSES […]. potesser aver luogo a sedere ottantamila persone! Ma voi qui attenderete che io vi
Sull’altro piedistallo in faccia, m’ha detto il custode di questo luogo […] ch’era parli della capacità di questo edificio, ve ne parlerò come gli astronomi della distan-
posta la statua equestre di N. Balbo, che non ho per anche veduto, siccome non ho za delle fisse, ma non sanno, quanto, le assegnate distanze potrebbero essere, rappor-
veduto ne’ Pompei ne’ il Gabinetto dell’Antichità […]. I piedestalli detti sono in to alla cosa, piccolissime; rivolgete il discorso; io so che questo teatro non contiene
gran parte di mattoni coperti (come avete veduto costì che soleano i Romani) d’un diecimila persone, ma potrebbe essere incapace di notabilmente minor numero; l’ho
molto grosso e molto diligentemente intriso smalto, i bassorilievi e alcune cornicet- calcolato con una certa mia grossolana geometria appoggiata alla veduta di pochi, e
te e grotteschi, del solito, d’ottimo gusto e del marmorato, o alberio, onde sono sparsi obbietti interrotti; confido però di non essermi ingannato e quando ho com-
adorni questi piedestalli, si compongono pure alcun cornicette e compartimenti, e preso l’orchestra che ho serbata nel calcolo intera per gli spettatori. Checchè sia di
grotteschi, e capitelli che nell’interno dell’edificio si trovano, e sarebbono rimaste questo raziocinio mio, l’avrete più certo quand’io mi sia procurato alcune misure,
eterne l’opere se ‘l malore dell’umidità non l’avesse guaste in gran parte e corrotte. che a nuova ispezione non mi fuggiranno. I corridori, o logge, che fra i cunei sono
Il proscenio si leva al lato parallelo della nominata corda massima dell’orchestra e poste, e guidano i vomitori, son essi pure a pareti o alle volte stuccati gentilmente,
viene colle versure o angoli suoi stendendosi e formando i lati minori del parallelo per quanto se ne vede, ma una parte la maggiore è iniettata di lava. Gli spiechi dei
del palco; quale sia stata la forma della scena ben posso immaginarlo, ma non asse- muri sono di mattoni ottimi, sottili come solevano, di finissima grana e di quel co-
rirlo; […] tutto è una pericolosa grottaglia di lave, sa Dio quante; perché oltre a quel lore che mostra la bontà della materia e la perfezione della cottura, volli staccarne
diluvio infuocato de’ tempi di Tito, troppe volte in appresso ci ha il Vesuvio sopra una colle mani, dalla parte d’un angolo di porta guasta, apparentemente ad uno

Il contributo alla critica artistica e architettonica


135
descritta da Vitruvio, alle interpretazioni di quella fonte da parte L’opera, edita nella capitale pontificia qualche mese prima, era stata
della trattatistica moderna – da Serlio a Barbaro a Perrault – non- quindi immediatamente ritirata per ordine della censura. Rimasto
ché alle possibili affinità tra elementi stilistici dell’impianto erco- ancora una volta inedito lo scritto di Corazza, toccherà a Francesco
lanense e le ‘citazioni’ archeologiche presenti in opere di Raffael- Piranesi tornare sull’argomento nel 1783 con Il teatro d’Ercolano190.
lo, quali le Logge Vaticane o Villa Madama. Vedremo come, solo qualche anno dopo e con la consueta deferenza
Il tema del teatro antico, venuto alla ribalta a seguito dei rilievi del per l’autorità culturale di Corazza, sarà Quarenghi a tornare sul tema,
teatro della città vesuviana commissionati dallo stesso Galiani a consultando l’amico bolognese in occasione della pubblicazione del
Francesco La Vega per la pubblicazione delle Antichità di Ercolano a proprio progetto per il Teatro dell’Ermitage di San Pietroburgo.
partire dal 1755187, era stato affrontato da Milizia nel recente saggio
Del Teatro188 , suscitando, come sempre, reazioni differenti. Infatti Winckelmann e Mengs, entrambi a Roma al servizio del cardinale
in una lettera dell’abate Stefano Orsini a Corazza del 24 novembre Albani sin dai primi anni ‘50, furono a Napoli l’uno nel 1758, l’altro
1772189 si fa riferimento al nel ‘59; nel 1761 Mengs partì per Madrid, ivi chiamato da Carlo III,
tornando però nella capitale borbonica tra il 1772 e il ’74191. Qui si
libro del Teatro fatto dal Sig.r Milizia, qual libro voi già sapete che fu recò più volte nello stesso periodo (dicembre 1773-dicembre 1774)
ritirato dal Sig. D. Baldassarre Odescalchi, a cui era dedicato; onde non anche Milizia – dal ‘61 amministratore dei beni della Corona napo-
so come il Pozzi abbia potuto vederlo, ma io credo che si sia fidato delle letana nello Stato Pontificio192 – mentre Corazza, come sappiamo, vi
altrui relazioni, mentre ha preso varj equivoci, cioè chiamando il Sig. D. era appena giunto da Roma.
Abate Milizia ed assicurando che il suo libro è stato bruciato in Roma È importante quanto riporta de Azara – alla cui edizione delle Opere
pubblicamente per le mani del Boja. di Mengs contribuì lo stesso Milizia, segretario e amico personale
dell’ambasciatore193 – a proposito del ruolo avuto dal pittore tedesco
nella riforma della napoletana Accademia del Disegno promossa da
Ferdinando IV:
degli accennati camerini del palco, ma astennimi poiché vidi sgrottar l’intonaco che
sfregavasi a ogni più piccola forza. Se tutti i mattoni son qui della stessa forma, n’ho Bramando il re di Napoli d’introdurre il buon gusto della pittura nella
trovato all’ingresso di questa profondità alcuni così marcati A.S.: son elleno greche
lettere? Sono romane antiche? Il primo elemento mi pare che somigli all’A che
sua capitale, pensò fondarvi un’accademia delle arti, e metterla sotto
trovasi ne’ due codici più antichi che abbiamo di Virgilio, il Vaticano, cioè pubblica- la direzione di Mengs. Cercò a quest’oggetto al suo augusto genitore,
to dal bravo Monsignor Bottari, ed il Laurenziano, creduto universalmente del IV che permettesse a questo valent’uomo di passare a Napoli con questa
secolo; dal sig. abate Foggiani che fa (per quanto dice il nostro Bened. XIV) posti-
glione di S. Pietro, e dopo compatriota di Messer lo Dimonio; il secondo elemento carica. Sua Maestà annuì graziosamente con conservargli le sue pen-
vedretevi voi se sia piuttosto greco; benché non so quanto importi cotale ricerca. sioni, oltre quelle, che gli avrebbe generosamente stabilite sua Maestà
L’esterno del teatro non è peranco a mia notizia; so che è inchiavato in gran parte
in quello smalto infernale; n’è scoperta alcuna parte, non l’ho veduta; ma l’esterna Siciliana per la nuova commissione. La notizia di questa grazia, che
forma di cotal edifici è troppo nota per mille indubitate testimonianze, ne qui sa- sarebbe riuscita d’una immensa sodisfazione a Mengs, giunse a Roma
premo altro (veggendo il nostro) fuorchè il numero degli ordini o archi esterior- otto giorni dopo la di lui morte194.
mente sovrapposti, che qui non dovrebbero esser più di tre. Ancora potrebbe appa-
gare una curiosità intorno alle particolari forme architettoniche di chi la disegnò,
che (stando quanto ho detto di sopra) ha un poco di amore per la verità, né dee Il Borzelli195, attraverso i documenti del distrutto archivio dell’Acca-
trovarsi maggiore di un Bernino di que’ giorni, a fronte de’ Bramanti e del Palladi
de’ suoi tempi, ciò dico per alcuni rottami di capitelli e di vasi marmorei che qui o demia borbonica, chiarisce che Tanucci aveva effettivamente preso
là ci ho veduti sparsi: i Cortabuoni, o Saome, o Raffatti che si adopraron qui a con- contatto con Mengs nel 1773 per la riforma di quell’istituto: in ogni
durre le cornici, non sono cattivi e son ben lontani dall’ammettere le baton cor- caso, le idee generali del tedesco per una moderna organizzazione
rumpè così mostruoso e così caro a borrominiani e a francesi; ma alcuni capitelli di
marmo posti a bellissime colonne d’africano, scolpiti in uso di questa fabbrica, accademica, già note in tutta Italia intorno al 1770, dovettero esse-
quando fossero stati posti alla facciata di S. Carlo alle Quattro Fontane ivi si adatte-
rebbero così bene a quella capricciosa invenzione di cose, come quelle fanno, che
pur sonovi. Fra i molti rottami appartenenti al teatro ci ho vedute molte maschere
tragiche e comiche, esse pure di quello stucco marmorato le quali, maggiori nota- 190
bilmente del vero, erano poste ai cornicioni esteriori di questa fabbrica, molto op-   Roma, stamp. Salomoni, 1783.
191
portunamente, come intendete, per significare acconciamente l’uso dell’edificio;   S. Röttgen, I soggiorni di Antonio Raffaello Mengs a Napoli e a Madrid, in Arti e
credo che il nocciolo di queste gigantesche teste sia di marmo abbozzato in cotale civiltà del Settecento a Napoli, a cura di C. de Seta, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 153
forma, e compitamente condotto con quello stucco; ricordarmi di aver letto nel … sgg. Mengs si recò a Madrid per volontà del sovrano come primo pittore, dopo
tomo dell’op. g.le che contiene il “Catalogo delle antichità d’Ercolano” altre teste aver dipinto il ritratto di Ferdinando bambino, incoronato re. Nell’autunno del
di pari manifattura essersi qui ritrovate». 1772 Mengs fu nuovamente a Napoli, impegnato a dipingere i ritratti dei nipoti di
Ringrazio la dott.ssa Michela Costantini per la cortese trascrizione di questo mano- Carlo III, fermandovisi per oltre sei mesi; ma nella capitale borbonica Mengs non
scritto, da lei individuato nell’ambito della tesi di dottorato in corso sul tema: Tracce fu solo ritrattista di corte, frequentando intensamente l’ambiente neoclassico e ac-
della teoria armonica in ambito piemontese. Il contributo di Francesco Ottavio Magnocavalli cademico napoletano, di tendenza ben diversa dallo stile ‘di rappresentanza’, ancora
(relat. proff. A. Scotti, F. Testa). Sull’argomento si veda pure la corrispondenza tra tardobarocco. Nel 1773 l’artista tornò su questioni tecniche affrontate sin dal suo
Corazza e Gastaldi dello stesso anno in BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/19. primo soggiorno napoletano, come gli studi sulla pittura murale di Ercolano, che
187
  Cfr. O.A. Baiardi, Catalogo degli antichi monumenti dissotterrati dalla discoperta citta egli aveva scoperto essere ad affresco e non a tempera, al contrario di quanto soste-
di Ercolano per ordine della maesta di Carlo re delle due Sicilie, Napoli, Stamperia Re- nuto da Winckelmann. Fu questa la ragione per la quale Mengs dipinse ad affresco
ale, 1755; T. Piroli, Le antichità di Ercolano, sei tomi, Roma, s.n., 1789-1807. La Vega, il famoso falso antico di Giove e Ganimede, che ingannò lo stesso Winckelmann:
ingegnere militare, fu direttore degli scavi di Ercolano a partire dal 1765 e di quelli secondo Röttgen questo dipinto fu eseguito a Napoli (insieme con altri quadri
di Pompei dal 1780 al ‘97; a seguito del terremoto del 1783 in Calabria si distinse, e ritratti, tra cui l’Augusto e Cleopatra, di chiara ispirazione neoclassica), prima che
insieme con altri ingegneri tra cui Antonio Winspeare e Giovan Battista Mori, nella l’artista tornasse a Roma nel 1760, poiché altrimenti il ‘trucco’ sarebbe stato facil-
ricostruzione delle città distrutte. Cfr. M.G. Pezone, Studio dell’antico e cultura archi- mente scoperto dall’esperto critico connazionale.
192
tettonica neoclassica. La formazione e l’attività di ingegnere militare di Francesco La Vega, in   S.Villari, op. cit., p. 705.
193
Napoli-Spagna. Architettura e città nel XVIII secolo, a cura di A. Gambardella, Napoli,   S. Pasquali, op. cit., p. 15.
Ediz. Scientifiche Italiane, 2003, pp. 73-90. 194
  Cfr. Opere di Antonio Raffaello Mengs...cit. (3a ediz. Roma, Pagliarini, 1787, a cura
188
  F. Milizia, Del Teatro, Roma, A. Casaletti, 1772 (2a ediz. Venezia, G.B. Pasquali, di C. Fea), p. xxvii.
1773). Cfr. Id., Opere complete (…) riguardanti le belle arti, Bologna, stamp. Cardinali e 195
  A. Borzelli, L’Accademia del disegno a Napoli, 1755-1860. Memoria con documenti
Frulli, 1826-1828, I, pp. 1-172;T. Manfredi, “Del Teatro”. Il Trattato di Francesco Milizia inediti,Trani,V.Vecchi, 1901; Id., L’Accademia del disegno a Napoli nella seconda metà del
e l’Architettura dei Teatri a Roma nel Settecento, in Francesco Milizia e il Neoclassicismo secolo XVIII, in «Napoli nobilissima», IX (1900), pp. 71-76; C. Lorenzetti, L’Acca-
in Europa, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Oria, nov. 1998, Bari, s.n., demia di Belle Arti in Napoli (1752-1952), Firenze, Le Monnier, 1953. Sull’Accademia
2000, pp. 81-82. del disegno si veda pure F. Mangone, R. Telese, Dall’Accademia alla Facoltà. L’in-
189
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/20, f. 9. segnamento dell’architettura a Napoli 1802-1941, Benevento, Hevelius Edizioni, 2001.

Capitolo quarto
136
re diffuse proprio a partire dal suo soggiorno napoletano del 1772.
Mengs, principe dell’Accademia di San Luca a partire dal 1771196,
aveva potuto diffondervi da allora con grande efficacia la lezione
di Winckelmann, giungendo a definire negli anni successivi quel
concetto di ‘bellezza ideale’ destinato a culminare nelle postume
Riflessioni sulla bellezza e sul gusto della pittura del 1787. Come traspa-
re dalle Orazioni pronunciate presso l’Accademia di San Luca negli
anni ’70-’90, nonché da quelle che animarono il dibattito all’inter-
no della Clementina, proprio sulla scorta del pensiero dei due critici
mitteleuropei nelle principali accademie italiane si era presto diffuso
un indirizzo estetico ben evidenziato dal Venturi: «Per la prima volta
nella storia della critica, invece di guardare al passato con la misura
di un gusto formato sull’arte contemporanea, si dedussero da un’ar-
te mitica del passato alcuni schemi di perfezione con cui giudicare
l’arte del presente»197.
Corazza dunque sceglie e trascrive nelle Massime Generali per giudicar
de’ Pittori, delle opere e della Perfezione a cui son giunti198, non datate ma
riferibili sulla base dell’epistolario agli anni 1779-80, una parte dei
manoscritti di Mengs prima che vengano pubblicati dal de Azara:
a dispetto di quanto potrebbe sembrare dall’inedito titolo, il docu-
mento si rivela essere ancora una volta una selezione apografa ‘ra-
gionata’ di quegli scritti, studiati con passione dall’abate bolognese.
Nel testo troviamo brani relativi a concetti fondamentali della teo-
ria estetica neoclassica, come l’imitazione e la bellezza ideale, non-
ché all’analisi dei parametri – disegno, chiaroscuro, colore, composizione
e ideale – adottati da Mengs per giudicare dell’arte dei grandi pittori
del Rinascimento, da Raffaello a Correggio a Tiziano199. In varie

196
  R.M. Giusto, op. cit., pp. 87-88.
197
  L. Venturi, Storia della critica d’arte, Torino, Einaudi, 1964, p. 171.
198
  BNN, Manoscritti e Rari, XII. D. 82.
199
  Ivi, f. 29r: «Chiamo Ideale [...] tutto ciò che intorno all’Arte sa concepire Berardo Galiani, L’Architettura di M.Vitruvio Pollione, 1758; frontespizio
l’animo del Pittore, senza che gli occhi glielo presentino. [...] Nel disegno l’Ide-
ale si è il concetto che ne forma in mente il Pittore, superiore a quello che l’og-
getto disegnato mostrerebbe naturalmente, e l’arte di comporre insieme diverse
parti che formin tra loro un perfetto accordo. [...] Nel chiaroscuro l’Ideale con- Pittori de’ nostri dì pratican la loro arte». L’autore denuncia infatti che «in questo
siste nelle masse, e negli accidenti immaginati dei Lumi e dell’Ombre, ed intro- secolo si è avvilita la nobile professione della Pittura, quasi nulla più fosse che un
dotti per la migliore appariscenza dell’Opera. Nel colorito e la scelta del grado mestiere o un’arte meccanica», anziché un’arte liberale. Se allora il pittore mo-
di forza che vuolsi dare ai colori delle cose rappresentate, e l’uso de’ colori più stra di essere dotato solo della parte meccanica e meramente imitativa, «sarà un
forti o più deboli. Giova a ciò la cognizione delle cose rappresentate, e l’uso de’ grossolano pittore come costuman d’essere gli Olandesi»; se invece aspirerà sol-
colori più forti o più deboli. Giova a ciò la cognizione delle cose che sono più o tanto all’Ideale, «non arriverà a far più che de’ buoni Pensieri». Raffaello seppe
meno atte a ricevere e rif lettere i raggi della luce». E ancora: «L’Ideale della veramente conciliare i due aspetti: «non ha Raffaello così ben eseguita l’imita-
Composizione è quel general concernimento che si fa d’una cosa qualumque zione, ma avendola congiunta col sublime dell’Ideale l’ha resa più nobile ed ha
ella sia, che non abbiamo precisamente veduta; gli accidenti e tutto quello che con questa unione superate le due estremità del rinascimento della Pittura, cioè
sa suggerir la fantasia in quel modo che suole ai Poeti. Questo ideale comprende a dire Pussino, e Dow». E ancora: «Ma quando io dico che Pussino è un grande
puranco il Colorito delle Persone che vogliamo rappresentare, fisionomie, le Artefice anche negli suoi schizzi, ciò vuol dire ch’egli ha saputo introdurre l’I-
mani, i piedi, l’intero Corpo quanto è espresso in quel modo che si è per noi deale nella forma ancora d’una mano, o d’un piede, benché non l’abbia compiu-
concepito o che abbiam stimato meglio che sia da concepire a fine di produrre ta, né condotta pure alla perfezione, che la semplice imitazion della Natura
il migliore effetto od anche per introdurre nell’opera la opportuna varietà. [...] potea darle. Questo è il motivo per cui merita il Pussino di esser avuto in luogo
Cagionerà forse meraviglia che io sottoponga all’Ideale i Caratteri ancora degli d’uno de’ più grandi pittori». A proposito di Raffaello, Mengs osserva come
aspetti de’ Personaggi che entrano nella Composizione. Io divido in due specie questi sia stato il primo a non tendere alla semplice imitazione della natura, ma
quest’ideale [...]: la prima specie consiste nell’inventare questi caratteri, e nel ad un ideale di bellezza e di perfezione che non gli venne dal Perugino, presso
distribuirli convenientemente; e questa specie appartiene alla composizione. il quale fu posto dal padre a bottega, bensì dallo studio dei cartoni di Michelan-
L’altra è posta nella esecuzione, e nel fornir questa per modo, che ogni linea sia gelo e Leonardo per Palazzo Pitti. In particolare, attraverso lo studio di Masac-
d’un carattere uniforme; questa seconda specie è propria del Disegno [...]. Io cio e poi sotto la guida di Frate Bartolomeo di San Marco, giunse ad accostarsi
consiglierei i giovani pittori (a fine di apprendere e concepir meglio nell’animo, alla pittura ‘piena’ di Michelangelo; da Firenze andò a Roma, ove dipinse tra
che sia e in che consista questo Ideale) a leggere con attenzione i Sommi Poeti: l’altro la Scuola di Atene: nelle fasi iniziali di quest’opera si riconoscono le gran-
né questi hanno scritto altro, che ciò che si sono ideato: si manifesta negli stessi di difficoltà dovute alla vastità dello spazio da affrescare e all’inf luenza dello
Ideali dappertutto, anzi non ci ha altra scienza nel mondo, che non abbia qual- stile del Perugino che ancora avvertiva; ma lo stile di Raffaello si perfeziona
che parte di se dipendente dall’Ideale. [...] L’Ideale nella Musica sta nell’Armo- sempre più nel corso dell’elaborazione del dipinto e più ancora nella Trasfigura-
nia. Nella Pittura consiste nell’Imitazione; e lo stesso in tutte le Arti: non ce zione e nelle sue ultime opere, in cui mostra di rivaleggiare con Michelangelo,
n’ha però alcuna, in cui primeggi tanto l’Ideale, come fa nella Poesia, e nella ma anche di apprendere da questi il modo di rappresentare teso a raggiungere
Pittura [...]. Solevano dir gli Antichi esser la Pittura una Poesia muta, e la Poesia l’idea di bellezza, sottolineando non tanto i contorni, quanto i muscoli e le par-
una Pittura parlante». Nel testo Mengs distingue nella pittura la parte imitativa ti in tensione del corpo umano. Ma quell’ideale, tipico dell’arte greca, secondo
della realtà, con i suoi oggetti concreti rappresentabili, da quella «ideale»: «Que- Mengs non viene mai raggiunto da Raffaello, che si ispira al mondo romano
sta parte, quando la Pittura era ne’ suoi principj, non poté recarsi a perfezione, attraverso lo studio delle antichità e dei bassorilievi degli archi di Tito, di Tra-
dove poi giunse nel progresso, la ragione» (ivi, ff. 28r-v). Egli insiste su questo iano e di Costantino. Da parte di Mengs vi è una grande ammirazione nei
concetto di perfezione ideale: «Il Pittore, il quale aspira alla perfezione è obbli- confronti di particolari sculture greche, come il Laocoonte, l’Apollo di Belve-
gato di saper molto di aver uno spirito Filosofico e una profonda cognizione dere e altre, che per lui rappresentano davvero l’ideale di bellezza, non raggiun-
delle cose naturali». Oltre, dunque, alla rappresentazione esatta delle cose, è to nemmeno da Raffaello: anzi quest’ultimo in una lettera all’amico Baldassarre
necessario che il pittore sappia distinguere il bello, cosa per la quale si richiede Castiglione, nel dipingere la Galatea negli affreschi della Farnesina, si lamenta
grande talento, e «cognizioni che si estendono molto al di là dei confini della di non poter disporre di modelli all’altezza del compito: qui è in effetti il vero
Pittura, e tali che sembrano oggimai bandite dalle scuole e dai luoghi in cui i limite di Raffaello, che non gli permette di raggiungere la perfezione. Altri li-

Il contributo alla critica artistica e architettonica


137
occasioni, inoltre, Mengs aveva lodato la pittura ‘mitica’ di Pous- richiesto un’esposizione più chiara da parte dell’autore o, quanto
sin, pur definendola a volte fredda e troppo incline al dettaglio: se meno, le chiose del curatore. Lo si comprende da una lettera indi-
la scelta di Corazza di trascrivere il giudizio positivo del tedesco rizzata a Corazza nell’aprile 1781 dal Boni202 , il quale, nel pregarlo
sul grande illustratore del Trattato della Pittura del 1651 ne dimostra di rimandargli i manoscritti originali di Mengs, confessa di non
tutta la condivisione (del resto già evidente in alcuni scritti degli essere venuto a capo di quell’«ordine di bellezza superiore» tanto
anni ’70200), più tardi egli non eviterà di criticare Poussin proprio esaltato dal tedesco, che non aveva potuto, né forse voluto, chiarire
per l’imitazione scrupolosa degli elementi naturali e la raffigura- le proprie idee203 . Nelle sue parole traspare tutto il contrasto tra
zione di particolari grotteschi e popolari, non riconoscendo quindi l’estetica ideale di marca winckelmanniana e l’empirismo latente
nella sua opera l’aspirazione mengsiana ad un’arte ‘idealizzante’201. dell’Enciclopedia, destinato a prevalere sulla «metafisica» solo con
L’edizione parmense degli scritti di Mengs mostrerà tutto il caratte- grandi difficoltà. Ma nella storia dell’arte è possibile rinvenire chi,
re sibillino delle considerazioni del «Pittor Filosofo», che avrebbero con l’attualità del suo metodo, è atto ad offrire una soluzione al
problema; sicché Boni finisce per condividere con Corazza l’im-
portanza palmare della figura di Leonardo:
miti vengono evidenziati da Mengs riguardo all’uso delle ombre e, quindi, del
chiaroscuro, oltre che del colore. In materia invece di ‘invenzione’ del dipinto, Ella mi fece ridere dolcemente con quella non comoda Metafisica
della sua composizione, Raffaello non è davvero secondo a nessuno: «L’oggetto
che dee principalmente aver dinanzi agli occhi un pittore nella disposizion di un Menksiana, e con quel Pittore Edipo. Bisogna, con tutta la nostra
quadro, voglio dire nell’invenzione, si è di rappresentare in primo luogo la Ve- amicizia per quel valentuomo, confessare che molte cose sono inin-
rità di quel soggetto, che si è proposto. Se questo mi si accordi, si può affermare
assolutamente, che in ciò niun pittore ha uguagliato Raffaello». Inoltre Raffael-
telligibili, perché figlie di un poco di confusione metafisica, altre
lo si distingue per la capacità di interpretare stati d’animo e atteggiamenti dei totalmente false, perché conseguenze di un falso sistema: dunque né
suoi soggetti prima di rappresentarli, o ancora per quella di saper collocare figu- gl’Edipi, né i Pittori potranno mai dare la desiderata luce a quegl’e-
re e parti di esse in opportuno risalto rispetto ad altre in funzione della narra-
zione da svolgere. Molto spesso i dettagli sono volutamente trascurati da Raffa- nigmi, se pure non si volesse introdur di nuovo la logica dei predi-
ello, onde dare risalto al tema principale; al contrario Poussin, come si nota catori del secolo passato, i quali per esempio assomigliando il mondo
nell’Adultera e nella tavola di Pirro, dà importanza al minimo particolare. «Egli
non avea le idee così sublimi, com’ebbe Raffaello, e la sua erudizione qualche a una scacchiera misero la Madonna tra le Pedine col chiarissimo
volta ci apparisce affettata. Mi sembra che qualche volta, abbia fatti quadri sola- testo “Ecce Ancilla Domini”, e poi la fecero Regina perché “Regina
mente ad oggetto d’inserirci qualche cosa d’Antico, ch’egli coll’ispezione, o Coeli”. Ma con quella [la logica] di Lock io dubiterei, se molte di
colla lettura aveva osservata: dipingendo una Vittoria all’antica, ci pose a lato un
cattivo Davide». Dunque Mengs critica Poussin per la sua freddezza, l’eccessivo quelle proposizioni Mengsiane si potessero raddrizzare: e temo che
studio e la mancanza di spontaneità dei personaggi. «Nondimeno il Pussino è un l’amicizia del Cav.r Azar nel dare alle stampe le opere di Mengs tal
eccellente uomo dove si tratti di rappresentar gli affetti delle persone [...], e per
li caratteri popolari evidenti; i fondi sono assolutamente bellissimi, e la parte in quali gli uscirono dalla penna non abbia pregiudicato alla di lui re-
cui egli primeggia si è l’Invenzione che può chiamarsi a buon dritto l’Economia putazione di Pittor Filosofo. Il nostro Lionardo prese già da tre secoli quel
d’un Quadro, cioè quella idea, che uno si forma piuttosto del luogo, dove sup- posto, che conserva con tanto splendore204 .
ponsi accader l’azione rappresentata, che dei Personaggi, i quali si vuol mostrare
che ci hanno avuta parte». Ma, tornando a Raffaello, l’Autore sottolinea che,
nonostante la bellezza dei suoi personaggi, essi non raggiungono mai il grado In queste parole è una chiara fiducia nel nuovo pensiero del Secolo
ritrovabile in natura. In tal senso, le sculture greche mostrano un livello supe-
riore di perfezione, specie nella rappresentazione delle divinità, con corpi dalla dei Lumi e una condanna senza appello della «Metafisica del secolo
bellezza assoluta, ideale. Mengs passa infine all’esame della pittura del Correg- passato»: se le idee di Mengs, «Pittore Edipo», non possono avere
gio e di Tiziano, di nuovo sotto gli aspetti del disegno, del chiaroscuro, del
colore, della composizione, dell’«Ideale», ecc., mostrando però sempre una chia-
fortuna nella maniera «inintelligibile» in cui vengono proposte dal
ra preferenza per Raffaello come massima espressione di una pittura ispirata al de Azara, il ruolo di «Pittor Filosofo» resta allora riservato al «no-
concetto di Bellezza ideale. stro Lionardo», intramontabile, specie ora che la Filosofia ne ap-
200
  Ivi, X. AA. 28/11, ff. vari.
201
  Ivi, doc. s.d.: «Sono certo che pochi mi uguagliano nell’attribuir tanto pregio
profondisce e valorizza il pensiero esaltando il carattere poliedrico
al Pussino quant’io reputo, ed affermo essergli dovuto. […] Né Voi, né io voglia- della sua opera, tutta basata su continui rimandi tra osservazione
mo notare, come troppo sottili, i suoi ricercati accorgimenti intorno alla minuta e teoria, esperienza e ragione, e dunque anticipatrice del metodo
storia così de’ luoghi, come de’ costumi, e delle persone; comeché si rimangan
cotesti assai delle volte inoperosi e nulli per la maggior parte dei riguardanti; […]. induttivo settecentesco.
Crederemo, Voi ed io, che così abbia dipinto Pussino per coloro che hanno occhi,
come cantò già Orazio per quegli che sono forniti d’orecchio; ma siccom’erano
altamente gustati i versi di quel Lirico dai delicati Cortigiani d’Augusto, che non 202
lo eran dal Popolo, così Pussino ch’è raro Pittore secondo il comune giudizio, è   Ivi, X. AA. 29bis/8, lettera del 27 aprile 1781.
203
per avventura giudicato unico da quelli che del più fine discernimento si reputan   Ibidem: «La Magnifica Edizione delle opere di questo Pittor Filosofo potrà
forniti. Io sono ben lontano dall’oppormi alla sua Celebrità; ma sembra a me che metterla più al fatto di questi trattati di Pittura, e dei pensieri di quel grand’uomo.
questa si sarebbe a dismisura accresciuta, se non avesse molte volte voluto piut- Ella saprà i Letterarj dissidj a cagione di tali opere tra l’Efemerista, o sia Estrattista
tosto imitare la Natura con iscrupolo a quel modo che gli s’è parata innanzi, che (Mons. Gaetani), ed il Garzone della Stamperia di Parma (l’editore dei manoscritti
sceglierla con diligenza in quella guisa, ch’è pur suo intendimento mostrarsi. Vi di Mengs). Io non ardirò decidere chi abbia il torto. Gl’estratti delle opere di Mengs
pare, in vostra fede, che le forme dell’uman corpo, come Pussino le mostra, sien sono comparsi molto moderati; e quella lettera del Garzone assai plebea, e vile.
da uguagliarsi a quelle de’ Greci, o a quelle del nostro Raffaello! E non amere- Tutti gli artisti sono saltati in bestia, perché divennero copie di più superbi originali
ste meglio i volti e le teste di Guido, che quelle di cotesto peraltro sì eccellente l’Apollo, il Laoconte, ecc. ed il povero Michel’angelo si dice malamente strapazzato.
francese? Non entro a parlarvi del suo colorito; che parrebbe ch’io volessi invilire È certo, che non essendovi più gli originali di tali statue, queste ne presero il rango:
colui, che tengo in pregio; ma non mi piace, in tanta eleganza di giudicio, quella e siccome non si sa, che vi siano statue, più belle delle anzidette, né lo sapeva il
mostra di pie’ sozzi, e studiosamente callosi, e con alcun dito distorto; che che mi Sig.r Mengs, temo che quest’ordine di bellezza superiore sia un ente immaginario
s’opponga di vero, così pur fatto: né saprebbe tornarmi a grado il vedere in un dell’ingegnosa mente di Mengs: il quale siccome maneggiava il lapis assai bene, ed
Corpo ignudo (se già non fosse dal Costume indispensabilmente richiesto) veder, aveva in mente la differenza di queste copie dagli originali (e come no, quando
dico in su’l petto, e nella inferior parte delle braccia, così la cottura del sole, come asseriva essere inferiori?) poteva bene lasciarcene un’idea espressa in carta, o in
nei nostri villani, usati nell’opere de’ loro sudati lavorii, di sbracciarsi e espettorarsi, tela, invece di specchiarsi sempre, siccome faceva, in queste bellezze inferiori, e
a tale, che ne riman poi loro perpetuo l’abbronzamento. S’altre ha egli maniere, servirsene bene spesso in modo visibile. Ma il sindacato, che mi suppongono farsi
che somiglino queste, vel vedete voi, e fate ragione del vostro, o se volete del mio al nostro artista divino, è ancor più dispiacente di quelle metafisiche osservazioni
giudicio. Quanto a me, veggendo che Virgilio nelle Bucoliche, né nelle Georgiche sopra le statue ed Ella, che lo amava tanto, ne anderà giustamente in collera. Io parlo
sue, non ha voluto far luogo né alla mera rusticità, né al costume tutto grezzo, per bocca d’altri, non avendo letto le opere del Pittor Filosofo. Ma temo, che col
com’è naturalmente, de’ Zappatori, e de’ Bifolchi, vorrei che coloro i quali trat- pubblicarle, non siasi eternato, come si voleva, il suo nome. Ella, che è Maestro in
tano le altre Arti sorelle rispettassero e imitassero questo sommo artefice, niente queste cose, lo potrà giudicare meglio di me, che mi confesso essere debole in tutto,
siccome lui, recandoci innanzi, che non fosse mondissimo, e sceltissimo. A tal guisa, ma specialmente in materia d’antiquaria, e di Metafisica».
204
pare a me, otterrebbesi di piacere (ch’è il fine d’ogni Bell’Arte) così al maggiore,   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/8, lettera cit. (27 aprile 1781). Il cor-
come (il che più importa) al più scelto e rispettabil numero de’ suoi ammiratori». sivo è nostro.

Capitolo quarto
138
Un interessante contributo teorico di Boni in campo architettonico imitazione, e ancor più sui principali protagonisti della pittura rina-
si manifesta nel 1785 in una lettera in cui, nell’annunciare a Corazza scimentale, inducono Corazza ad elaborare un pensiero complesso,
l’intenzione di pubblicare un breve saggio in materia, egli mostra di tutto sì in ambito neoclassico, ma che dalla sfera ideale evolve verso
intendere la capanna rustica non come un modello costruttivo, né l’«utile e positivo» – già in embrione, come si è visto, nelle Orazio-
come forma da imitare, ma quale esempio di «bella, e chiara, e ra- ni bolognesi – e porta direttamente a Leonardo e alla figura dello
gionata architettura» tale da suscitare «piacere» nell’animo umano: la scienziato-artista. Egli può cogliere così il frutto migliore della lezio-
bellezza non risiede nell’imitazione dell’archetipo, bensì negli effetti ne del razionalismo illuministico e dell’Enciclopedia: a tale risultato
di quell’architettura semplice e razionale sulla «natura dello spirito contribuisce certamente, nonostante la ‘calda’ situazione politica, la
umano»; lo studioso assume così una posizione vicina a quella di vivacità intellettuale dell’ambiente di corte e la presenza di figure di
un Rousseau o di un Goethe, o alle idee di un Burke e di un Le spicco nello scenario artistico e scientifico napoletano.
Camus, tendendo già al gusto romantico. Ma egli certamente non Nello scritto Sull’imitazione (29 maggio 1782)209, concepito in forma
convince quando, con una posizione teorica di albertiana memoria, epistolare, Corazza, nel dichiararsi Filosofo e non Artista, e quindi
pensa ancora di poter scindere le parti «di mera bellezza» da quelle privo della pratica che si richiede per queste materie, affronta una
«sottoposte alla rigida ragione»205. serie di questioni teoriche con la solita modestia, annunciando di
Ricordiamo qui per inciso un’interessante polemica, resa nota dal- volerle trattare preventivamente nel corso di più lettere, come si
la Pasquali206, di cui Boni fu protagonista contro padre Paolanto- farebbe dividendo gli argomenti in libri e capitoli: riemerge qui
nio Paoli, autore nel 1784 dell’unica pubblicazione ‘autorizzata’ su la consueta difficoltà di Corazza nel ritenere i propri scritti pub-
Paestum in lingua italiana (sin dal ’68 era stata edita quella, ben blicabili senza un’opportuna circolazione e vaglio da parte di il-
nota, di Thomas Major in francese) ed erede, in quest’impresa, del lustri amici, nonostante le continue manifestazioni di credito e i
primo progetto di pubblicazione e dei relativi appunti lasciati dal riconoscimenti della sua autorità culturale da parte della comunità
conte Gazzola207. Paoli, di cui il Soria offre un’ampia scheda nel- scientifica e letteraria italiana210. E infatti nel 1788 questa lunga serie
la sua opera sugli storici napoletani208, era un convinto sostenitore, di Lettere sulle Belle Arti verranno sottoposte da Corazza agli amici
contro Boni, della teoria ‘evoluzionistica’ della capanna vitruviana Domenico Cotugno e Giuseppe Vairo, intellettuali e scienziati di
e della superiorità degli Etruschi sui Greci, riconoscendo nei primi chiara fama211.
i ‘fondatori’ dell’ordine di Paestum (come non ricordare l’analogo Partendo dalla considerazione che tutte le «arti belle»212 adoperano
abbaglio del Sanfelice e, ancora una volta, le accese diatribe tra Pira- l’imitazione della Natura come mezzo per raggiungere il diletto e la
nesi e Mariette?): la polemica s’innescò poco prima che Paoli fosse perfezione, che è il fine ultimo di tutti gli artisti, Corazza mette a
definitivamente smentito nelle pagine della rivista critica «Memorie fuoco questo concetto in maniera esemplare, tornando sui principi
per le Belle Arti» (di cui lo stesso Boni era redattore) sulla base di di Mengs e, anzi, proponendone finalmente un chiarimento: vedia-
nuove inequivocabili scoperte archeologiche. mo come.
L’artista potrà raggiungere la «bellezza superiore» e suscitare quindi
La citata selezione mengsiana di Corazza sarebbe dunque rientra- il diletto solo dopo aver concepito nella propria mente, per una certa
ta, qualora divulgata, nel suo impegno nella diffusione dei principi categoria di corpi, quel «tipo» ideale che, privo dei difetti di natura,
teorici dell’estetica neoclassica nell’ambiente napoletano, prima an- potrà essere imitato e rappresentato nell’opera d’arte. Al fine unico
cora del contributo di Vincenzo Ruffo e con un respiro persino più di «dilettare» egli potrà quindi attingere a diversi mezzi espressivi,
ampio di quello di un Mario Gioffredo o di un Berardo Galiani: la dalla poesia alla pittura, alla scultura all’architettura; infatti il rag-
meditazione sull’arte e sull’architettura avviene infatti in Corazza
nel più vasto contesto del dibattito svoltosi in Italia sulla base del
209
pensiero di Mengs e di Winckelmann, in cui egli milita in stretto   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, ff.s.n.
210
  Ibidem: «Le cose, che altro fatto non ho fin qui, fuorché accennare, mi si sono
contatto con l’amico Bianconi; ricordiamo in proposito che proprio fatte presenti all’animo quando mi sono proposto ad esporvi con qualche ordine
nel 1779 vengono pubblicate a Roma le Lettere a Bianconi scritte da alcuni pensamenti miei su le B.A., piuttosto per soddisfare al desiderio ch’io ho
Winckelmann un decennio prima. I continui stimoli ricevuti dallo sempre avuto d’invaghirvene, che a fine di portare alle Arti medesime alcun lume;
il quale se potranno esse per avventura dall’Artigiano Filosofo ricevere, nol riceve-
studio degli scritti del «Pittor filosofo» sui concetti di bellezza e di ranno forse mai dal Filosofo, che non siasi molto, ed attentamente nell’Arti mede-
sime esercitato. Se le cose, ch’io verrò scrivendo concilieranno in alcuna guisa alle
Arti il vostro amore, io mi reputerò abbondantemente ricompensato di quella qua-
lunque sia fatica, la qual piglio, scrivendovene siccome fo, e partendo in lettere que’
205
  Ivi, lettera del 10 febbraio 1785: «Scrivendo un foglio, che sarà più letto dagl’a- pensieri, i quali altri di fine ed alto intendimento dotati distribuirebbono molto
manti di ogni sorta, che dagli artisti, ho stimato bene di prescindere da tutte le que- più acconciamente e più degnamente in Libri, ed in Capitoli: ma costoro sarebbon
stioni metafisiche della bellezza, e d’istillare il buon gusto, classificando gl’autori, e quelli, i quali per la eccellenza dell’ingegno loro saprebbon pensare e scriver delle
distinguendo le parti dell’Architettura sottoposte alla rigida ragione da quelle, che lettere, poiché niuno arrossisce di scriverne, e molto più perché mi ci incoraggisce
sono di mera bellezza: e se mal non mi appongo, ho creduto rinvenire più tosto moltissimo quella così rara cortesia, con cui siete solito d’accoglier le mie».
nella natura dello spirito umano il piacere, che ci cagiona la bella, e chiara, e ragio- 211
  BNN, Fondo San Martino, carte Cotugno, vol. 396, lettera di Corazza a Cotu-
nata architettura, che nella imitazione della capanna, colla quale male si spiegano gno del 18 gennaio 1788. Corazza sottopone all’amico scienziato (con la preghiera
molte bellezze in molti casi». di mostrare il materiale anche a Vairo, anch’egli medico e, come abbiamo visto,
206
  S. Pasquali, op. cit., p. 30. frequentatore del circolo di letterati e scienziati presso la villa del duca di Belforte)
207
  Cfr. P. Paoli, Rovine della città di Pesto, detta ancora Posidonia, Roma, Tip. Pale- «due quinternetti di Biglietti, e Letteruzze […] nelle quali trovasi qualche cenno
ariniana, 1784. Si veda in proposito D. Mertens, I templi di Paestum nella prima sto- su le Belle Arti, ch’io scrivendo mi proponeva di trattare in altre lettere, a fin che
riografia dell’architettura antica, in La fortuna di Paestum e la memoria moderna del dorico né tutto si riducesse a semplici parole, né si lasciasse una favorevole occasione di
1750-1830, a cura di J. Raspi Serra, Firenze, Centro Di, 1986, I, p. 173; S. Pasquali, sporre qualche o bella, o util verità al leggitore. […] Quando non si dispiaccia lor
L’Antico, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecento, a cura di G. Curcio, E. Kieven, medicas applicuisse manus, secondo il giudicio, e correggimento loro, potrò forse
Milano, Electa, 2000, p. 104. Si veda pure sull’argomento: C. Lenza, La cultura ar- ingegnarmi di proseguire». Cfr. pure E. De Tipaldo, op. cit., I, pp. 290-295.
chitettonica e le antichita scavi, rilievi, editoria antiquaria e dibattito teorico, in L’architettura 212
  Per quanto riguarda la definizione di Belle Arti, Corazza dice che esse sono,
dei Borbone di Napoli e Sicilia, a cura di A. Gambardella, Napoli, Ediz. Scientifiche secondo l’opinione comune, la pittura, la scultura e «l’Arte di adornare gli edifici
Italiane, 2000; Id., Il ruolo dell’antiquaria al passaggio tra classicismo e neoclassicismo: il d’ogni maniera»; vanno però aggiunte la Musica, il Ballo e la Poesia, anch’esse «fi-
fenomeno dell’etruscheria, in Luigi Vanvitelli. 1700-2000, a cura di A. Gambardella, Ca- glie dell’immaginazione» tendenti al Diletto e regolate da precisi «precetti». Non
serta, Ed. Saccone, 2005, pp. 57-79. così l’Eloquenza, che non imita la natura, ma è l’arte di esporre i sentimenti, ossia la
208
  F.A. Soria, Memorie storico critiche degli storici napoletani, Napoli, stamp. Simonia- natura dell’oratore, e non tende al Diletto come le altre Arti Belle, ma può servirsi
na, 1781-82, t. IV, p. 456. del Diletto per conseguire i suoi scopi.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


139
giungimento di questa «sublimazione», ossia della contemplazione In altri scritti coevi215, Corazza insiste sul concetto di bellezza dei
dell’idea, giustifica la totale ‘equipollenza’ delle arti, come del re- corpi con nuovi riferimenti ai principi espressi da Le Camus ne Le
sto quella delle scienze: ecco, allora, riaffiorare la lezione vincia- gènie de l’architecture ou l’analogie de cet art avec nos sensations (1780),
na213 . Leggiamo ancora in una lettera all’amico Bertola del 1782: mostrando così simpatia per il tema del caractère e per la definizione
di sublime di Burke:
Le belle Arti si parton tutte dai medesimi principii, e volendo dilettar
tutte per la imitazione, non riconoscon forse altra varietà, che quel- La prima idea che si risveglia nell’animo per questa voce Bello, si è l’ef-
la de’ particolari instrumenti, che ciascheduna adopera: vanno tutte a fetto ch’è prodotto nell’animo da alcuni corpi, i quali per mezzo della
concorrervi dolcemente; così voi coi versi, come Raffaello coi pennelli, vista ci si rendon piacenti.
Michel-agnolo colla subbia, e coi scalpelli più minuti: è lo stesso, per
quel ch’io giudico, pegli Architetti, se si consideri nell’arte loro quella La prima idea di bellezza riguarda dunque i corpi materiali e sen-
più sottil parte ch’eccita in noi una dilettosa meraviglia. Se così pare a sibili, ossia da vedere, toccare e gustare, e solo in un secondo mo-
voi, come a me sembra, è fuor di dubbio che la teoria d’una di queste mento si estende ad altre cose non ‘tangibili’, come un motto o un
Arti giovi alla cognizione di qualunque altra delle medesime. E poi lavoro d’ingegno. Sicché, partendo dalla qualità di un volto o di una
non farà egli bene conoscer tutti i veicoli, pei quali questo fine diletto melodia, il concetto di bello giunge ad indicare quanto appaia in
dell’animo può farsi sentire?214. grado di suscitare nell’animo umano

una certa soave ammirazione. […] Chi è, che non chiami Bello Vir-
213
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, ff. 16r-v: «Le tre Arti Belle, figlie del gilio? O ricusi di chiamar Bella la Virtù, e allo stesso modo tante altre
Disegno [sono] volte ciascheduna ad imitare col diverso loro esercizio, quello che azioni, ed anche pensamenti, e cose, le quali non patono d’esser vedute
la Natura ne’ Corpi ci mostra, sia della forma loro, o sia de’ lineamenti che appari-
scono, e dei loro colori. È piaciuta in tutti i tempi, e presso tutte le Nazioni, questa […] pur suscitando ammirazione e piacere? Un fiore, qualch’egli sia,
Imitazione, che i Pittori si sono proposta, e gli Scultori, e vediamo che i Popoli più sarà assai guardarlo per trovarlo Bello; dove si consideri, verrà facil-
potenti e più colti hanno a queste Arti rivolto gli studi loro; le hanno accarezzate, mente giudicato Bellissimo: s’aggiugne il giudizio a condire il diletto e
ed applaudite; e posto hanno ogni cura che a quella perfezione giugnessero, alla
quale presso i Greci, a cui siam debitori d’ogni più squisita eleganza, pervennero l’ammirazione cagionata per gli occhi.
nel secolo singolarmente meraviglioso, che scorse fra i tempi di Pericle, e quei
d’Alessandro. Una tale Imitazione però, benché piaciuto abbia universalmente per
quel suo dilettevole inganno, onde ci sentiam tocchi per la somiglianza che è tra ‘l Ma, nel campo dell’architettura, sarà bene distinguere il diletto de-
finger dell’Arte, e il mostrar del Vero, accresce a dismisura il Diletto, fine, a cui ten- rivante dalle sensazioni che forma e colore suscitano in noi dai
dono principalmente le Arti del Disegno, quando l’Artefice non tanto si prefigge
l’esatta imitazione di una qualsivoglia cosa, quanto pon cura a scieglier tale quella,
caratteri di mera utilità e funzionalità dell’edificio, necessari ma
che imitar vuole, sicché sia, quanto esser può bellissima. E niuno è che […] non sia non sufficienti perché esso sia definibile bello: è quanto sostenuto
subitamente per accorgersi come, ponendo da parte la lusinga della Imitazione, la da Corazza con convinzione nelle incompiute Memorie su le Arti
quale ad un medesimo grado d’eccellenza giunger può, così un leggiadro oggetto
rappresentando, come un deforme, il Diletto, che provenir potesse d’altronde, dalla del Disegno216 , palesemente ispirate alla recente opera di Milizia
bellezza stessa dell’oggetto si dee principalmente ripetere; perocché se alcuni Corpi
sono, i quali per la lor forma piacciano, o pel loro colore; la rappresentazion pur
anco, che imprende l’Arte di una cotal forma, e d’un somigliante colore, piacer dee
necessariamente: alla qual verità non nuocerebbe l’opporre che piaccion pur anco suo talento, si ristava ad ogni modo volendo dipingere quella sua Galatea; la cui
i deformi corpi, dove sieno secondo l’Arte rappresentati; perocché non è, né esser immagine stava in capo, ma non era visibile agli occhi del corpo; altrimenti non
puote la bellezza di questi cagione di un tal diletto, ma sì la bontà della Imitazione, avrebbe mostrata ritrosia al suo pennello. Mi restringo al proposito, in quel modo
e la somiglianza, che […] è riuscita sempre dilettevolissima. Ciò posto, manifesta che so e posso, in una letteruccia di pochi versi: il fine di tutte le Belle Arti è il
cosa è che i Cultori delle Arti, che al Disegno si appartengono, dovranno innanzi piacere; dov’io sapessi come, e con qual artificio s’insinua cotesto più fino e dilicato
ad ogn’altra cosa provveder bene, onde conoscer possano in che sia riposto ciò, che piacere per gli occhi, dal Pittore e dallo Scultore; per gli orecchi, dal Poeta, e dal
aggiunto a qualsivoglia cosa la fa esser Bella, a fine che niuna pregiudicata opinione Musico; per l’uno e per l’altro de’ due nominati organi, dagli Artefici ed esecutori
non si opponga all’ottima scelta, e riconoscendo, per quanto far si può gli elementi del Ballo, mi crederei più padrone della mia Arte, e più in stato di perfezionarla,
della Bellezza, truovisi in istato l’Artefice di formarsene nell’animo suo un cotal che non altri, che avendo ingegno uguale al mio, una sola di queste Arti, e staccata
Tipo, che a questo volgendosi, come ad Esempio, possa a quei difetti adempire, che dall’altre, avesse coltivata. Siccome nella Anatomia comparata, è giovata la sezione
le più volte, per non dir sempre, accompagnano que’ corpi ancora, i quali avrà con degli altri animali a conoscer meglio il corpo umano, così non dubito che non suc-
la maggior cura, e diligenza trascelti per imitare con la sua Arte, e gli avrà giudicati cedesse nella materia, di cui trattiamo. Cicerone avea detto e i filosofi nostri che pur
i più forniti di questa perfezione». cercano di allontanarsi dagli antichi, confermano con ogni maniera di pruove, che
214
  BCABo, MS. A 1224, lettera a Bertola del 1° settembre 1782. Corazza prosegue: le Scienze son congiunte in società; elle si concatenan davvero; e voi sapete, molto
«Le passioni che saranno proprie del Poeta saranno le preferite da lui ne’ suoi versi; meglio di me, che tante ve n’avete associate; come si potrebbe pensare che quelle
ma se la Natura lo trae così nella Poesia, come lo legherebbe altramente nell’O- Arti, che troviam legate fra loro con tanti nodi, si vivesser poi meglio ciascheduna
pere della Pittura, quando foss’egli vago di questa compagna Arte? […] M. Agn.° da sé, a maniera d’anacoreti? Quanto a me, non saprei per quai modi render veri-
severo, tetro, impaziente della regola, s’apre una via da sé nell’Arti, dove continua simile una così fatta oppinione, la cui contraria ha con seco una infinità di pruove,
pure ad esser solo in una sublimità forse inaccessibile: scrive questi de’ sonetti, leg- che voi sapreste trarre dalle cose che innanzi ho dette, se l’ingegno vostro da se non
ge de’ Poeti: non dubitate, che Dante è il suo libro di poesia, il suo modello; non ne sapesse raccogliere delle ugualmente valide, e delle più forti ancora». Ancora, a
s’applicherebbe a Dante ciò ch’io affermava testé di M. Ang.lo? E non sentireste proposito della distinzione del valore di un artista rispetto a quello di altri, Corazza
lo stil di Dante, guardando il Crepuscolo e la Notte in quel centro dell’Arti, la osserva: «Qual maggiore argomento di commendazione in favor d’un Artefice, che
vecchia [sic] Sagrestia di S. Lorenzo! Vi ricordate la letterina di Raffaello, che va a mostrare come questi s’è fornito d’un istrumento a perfezionar la sua Arte, del
stanza nella Ed. Corsiniana dell’Op. del Cav. Castiglione? Non ha ella la purità, la quale istrumento o gli altri sono stati privi, o avendolo, non lo hanno posseduto
grazia, l’attivismo delle tavole di Raffaello? E Gessner, che così ben conoscete, non così perfetto! Se confidate nella oppinion mia, niuno s’affaccerà per mettere in
ha egli lo stesso stile ne’ suoi innocenti versi, e ne’ suoi paesi, che mi parean quelli paragone degl’Idilii di Gessner le satire del Rosa, o il sonetto d’Agostino, o que’
dell’età dell’Oro! Salvator Rosa è impetuoso, e se mel concedete, scorretto così pochi di M. Angiolo, che sono pur superiori, quai sono, a quanti versi ho veduti
nel disordine della sua poesia, come in quello delle sue composizioni pittoriche; e uscire da ingegni pittoreschi».
215
però sempre meraviglioso anche nella sua capricciosa libertà». Ivi, lettera a Bertola   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, ff. vari.
216
del 7 settembre 1782: «Ho affermato che la cognizione di ciascheduna delle Belle   Ivi, ff. s.n.: «Se vorremo considerare alcun poco quanto nelle Arti che al Dise-
Arti è utile al conoscimento dell’altre Bell’Arti, che s’ignorassero, e alla perfezion gno si appartengono importi questo Diletto, non riuscirà difficil cosa il conoscere
loro; pareami d’aver tocco il fondamento delle asserzion mie: elle si partono da una com’esso val tanto, che in lui sembra riposta la Perfezione di tutte queste: io dico
comune sorgente, e cercan tutte di promuovere il diletto colla imitazione di ciò che della Pittura non solamente, e della Scultura, ma della Architettura ancora, tutto-
v’ha di più scelto nella Natura; né si contentan delli originali migliori, come sono, ché agli usi e ai comodi principalmente della vita veggasi pure ordinata. Se una
ma passan oltre, e secondo che han lena gli Artefici, sublimansi colle ali loro alla Fabbrica qualsivoglia altro pregio non abbia fuorché quello di servire ottimamente
contemplazione dell’idea, e ricopian piuttosto i prototipi della mente creatrice, che a tutti quegli utili fini, ai quali è stata alzata, avvegnaché sia questo raro pregio e
non l’opera della sua mano; la quale, divina com’è, ha però permesso alla materia grandissimo, ben esigerà da noi l’approvazione del nostro giudizio, non per questo
che ci si mostri, ed offra spesse volte il testimonio della sua imperfezione. Raffaello ecciterà in noi punto di quel raro diletto, che sanno sovranamente inspirare le opere
che intendea bellezza, ed avea vedute ed esaminate, fors’anche troppo, femine a di quest’Arte sebben meno utili, quando ci si offrono per le mani di un Palladio

Capitolo quarto
140
Dell’arte di vedere nelle belle arti del disegno secondo i principii di Sulzer e Ritorna così, applicato all’architettura, il concetto di ‘bello ideale’
di Mengs, pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1781217 ; tant’è non rinvenibile in natura. Quel concetto di ‘qualcosa in più’ della
che l’amico principe di Roccella, nell’apprezzare lo scritto, dice semplice imitazione, ma anche del mero conseguimento dell’utilità,
di non sapere «se sia trattatino composto di pianta o pur estrat- che costituisce la bellezza segnatamente in architettura, da cui deri-
to dalle memorie ed opere del Mengs»218 . Non esiste per Coraz- vano il diletto e il piacere, viene chiarito da Corazza in un altro scritto
za allontanarsi dai tre ordini ‘naturali’ dell’architettura greca per collocabile tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ‘90:
un’ostinata ricerca della «novità»: come è noto, l’intero dibattito
sei-settecentesco svoltosi in seno all’Académie d’Architecture aveva Le cose o sien dell’Arte, o sieno della Natura, sono fatte a un certo
mirato alla ricerca di un «nuovo ordine francese» in deroga al con- intendimento, a un cotal fine cioè, cui se giungono ad ottenere, elle si
solidato repertorio del classicismo rinascimentale e in nome di una riguardano come Buone; e facilmente le chiamiamo Perfette, se il fine
rivalutazione della tradizione nazionale del gotico, senza peraltro proposto per mezzi o più semplici, o più squisiti e difficili a rinvenirsi
approdare ad una reale soluzione219. Per Corazza gli «inventori» sicuramente si ottenga, e col minimo ritardo. Tutto ciò nondimeno
vanno condannati, in architettura come, del resto, in tutte le arti: altro non è, che il seggio su cui potrà assidersi la Bellezza, che mal
collocherebbesi altrove. S’altro è di più nelle cose che piaccia ad occhi
Io non so approvare coteste nuove Commedie, come odo chiamarle vani, non preoccupati, non ricercatori della sola novità, e della moda,
Lagrimose. Per quelle che lette ho, ad oggetto di comprenderne la piuttosto che della scelta Natura e della pura Semplicità, questo, per
novità, consiste questa nell’attribuire virtù e passioni tragiche a persone mio avviso, è Bellezza222.
comiche. Amereste voi di udir Edipo motteggiare, o inventare una bef-
fa? E neppur io non odo volentieri che una persona del popolo parli Alla metà degli anni ’90 Corazza esprimerà in più occasioni una se-
ed agisca come un eroe filosofo; e la virtù sventurata se ha da eccitarmi ria preoccupazione per quella sorta di ‘compromissione’ dell’idea di
il terrore e la compassione, molto più profondamente mi commuove diletto nelle belle arti dovuta al relativismo del gusto – come si sa in-
nell’uomo di grande fortuna, e di condizione sovrana, che nel cittadino trodotto in ambito estetico-filosofico da David Hume con The rule
privato. Si vuol trovare il quarto Ordine dell’Architettura, e si discende: of Taste (1741), da William Hogarth in The Analysis of Beauty (1753) e
a me pare che si tenti lo stesso nel genere Dramatico. Volendo esser infine sostenuto da Kant nella Critica del Giudizio (1790) – con la
novi e inventori, otterremo di fare come fecero nell’altra Arte gli Arabi conseguente difficoltà insita in ogni giudizio critico:
prima, e i Tedeschi appresso220.
È ella poi così evidente la ragione delle Belle Arti? Ben voglio che il
Se è vero che Vitruvio definisce anche l’architettura quale arte imi- fine loro vi sia palese, e sono d’accordo con voi che questo è il Di-
tativa, a differenza delle altre non tutti i suoi modelli sono diretta- letto. Mi diletta quel quadro, e grandemente; ottien dunque il fine
mente rinvenibili in natura, poiché le forme che essa adotta imitano dell’arte, e merita per conseguenza tutta quella lode, che attribuita gli
idee e categorie che abbiamo dentro di noi, tradotte sin dall’antichi- ho: non è questo il nerbo del ragionamento vostro? Orbene, ascol-
tà nel linguaggio degli ordini. Così, rivolto nuovamente all’amico tatemi […]. La Commedia del saltimbanco ritiene con molto diletto
Bertola, il Nostro osserva: il popolo; […] ma voi non siete il popolo; certamente siet’altro: ad
ogni modo così il popolo è mal giudice dell’artificio d’una buona
Non mi par vero, e neppur verisimile, che l’Architettura non abbia Commedia […], com’io sarei cattivo estimatore di una sinfonia;
per oggetto la imitazione; l’autorità di Vitruvio e il consentimento giacché, ignaro come sono dell’arte, potrebbe così dilettarmi con
in ciò di tutti gli Architetti migliori, basterebbono per dubitare al molti difetti, siccome con molti pregi annoiarmi. So i fini dell’Arte,
contrario; ma ci è di più: e Vitruvio il primo e gli altri appresso, ci conosco e so come si adoperan i mezzi tutti per ottener que’ fini; mi
mostran col dito i corpi naturali, che vengonsi imitando da quasi sono anche esercitato nell’Arte; il Gusto mio in essa è così conforme
tutte le parti del Portico (ben sapete che il Portico è ciò che costi- al gusto di coloro che sono riputati ottimi artefici: quando io po-
tuisce l’Ordine, e che nell’Ordine, e nella sua varia modificazione è tessi attribuirmi tutto questo, non vorrei per ciò attribuir troppo al
posto il distintivo di ciò che chiamasi buona o cattiva Architettura, mio giudizio, il quale con tanto favor di supposto, potrebbe ad ogni
Greca o Longobarda). Se vi ha tratto a negare la imitazione la forma modo esser tutt’altro che diritto. Non v’è uscito di mente come nello
di alcune parti o membri di lei, che non rappresentan propriamente scorso secolo s’è giudicato da’ Maestri dell’Achillini, del Preti, e dirò
alcun singolar corpo; vedete bene che è pur anche una imitazione la pure del Marini! Non ignorate che ai nostri dì una spiritosa e colta
rappresentazione che si fa fare ai corpi di alcune forme che concepiamo nell’ani- Nazione [la Francia] ha avuto alcuni de’ suoi più chiari ingegni, che
mo, e riguardiam come belle. Di quest’ordine sono molte regolari figure hanno preferito Lucano a Virgilio, e lo strepito di molti suoni senza
che si sono introdotte dagli Architetti nella Decorazione; e l’hanno sentimento alla Musica Italiana. Nipote mio, che che esaminate, il
fatto gli Architetti d’ogni nazione e d’ogni maniera nata, tedesca, giudizio portato da voi, custoditelo come un segreto finché non l’ab-
francese, ecc.221. biate bene e lungamente maturato223 .

Non si possono comprendere appieno le ragioni della fortuna cri-


o di un Michel-angelo, e quando ancora ci succede di contemplarle nei disusati tica e dell’influenza del pensiero di Mengs su Corazza e sull’am-
Avanzi, e nelle dirotte ed abbandonate Reliquie, che i Greci Artefici, e i Romani
ci hanno lasciati». biente napoletano negli anni ’80-‘90 del Settecento senza citare un
217
  Stamp. G.B. Pasquali; 2.a ediz. Genova, stamp. Caffarelli, 1786. Si veda inoltre altro grande personaggio, forse il più grande del panorama culturale
l’edizione dei tre scritti curata anche in questo caso da Carlo Fea nel 1798, nuova- europeo già sul volgere del XVIII secolo: Johann Wolfgang Goethe.
mente per i tipi di G.B. Pasquali.
218
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/16, lettera di Carafa a Corazza del 19 Appare a dir poco probabile l’occasione di un incontro di Coraz-
luglio 1782.
219
  H.-W. Kruft, Storia delle teorie architettoniche. Da Vitruvio al Settecento, Roma-
Bari, Laterza, pp. 160 sgg.
220 222
  BNN, Manoscritti e Rari, X.AA.28/11, copia di lettere varie, doc. s.d.   BNN, Manoscritti e Rari, X.AA.28/11, copie di brani epistolari, foll. s.n., s.d.
221 223
  BCABo, MS. A 1224, lettera a Bertola del 10 agosto 1789. Il corsivo è nostro.   Ivi, copia di lettere varie, doc. s.d.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


141
za con il poeta tedesco che, dopo Roma, fu a Napoli per circa un dell’avviata edizione, a spese della Corona, di un album di incisioni
mese nel 1787, frequentando assiduamente l’ambiente della corte recanti le riproduzioni dell’intera collezione dei dipinti farnesiani:
borbonica224. È nota la sviscerata passione di Goethe per la città
e il rapporto di sincera amicizia che lo legò al ‘filopartenopeo’ sir Il Re delle Due Sicilie Ferdinando IV, fondate avendo già o ristabilite
Hamilton, di cui fu ospite nella splendida dimora di Pizzofalcone225. le Accademie, presso che tutte quelle delle Scienze, dell’Antichità, e
Ci piace immaginare gli scambi di vedute che Corazza può aver delle Facoltà più insigni, e più necessarie, ha ora volto il Reale suo
avuto con Goethe e con il grande pittore di corte Jacob Philipp Ha- animo a perfezionare altresì le Arti della Pittura e della Incisione. […]
ckert – presente a Roma dal 1768 al 1786 e poi a Napoli fino al ’99, Conoscendo per ciò quanto alla perfezione dell’Arti imitatrici giovi
ma certamente già noto a Corazza per i suoi rapporti con Mengs226 l’osservazione e lo studio degli ottimi Esemplari (ne’ quali i Grandi
– a Caserta o nella capitale (in Palazzo Reale o in palazzo Serra di Maestri hanno saputo corregger ciò che ne’ Corpi la perversità del-
Cassano, o, ancora, nella villa dei Belforte) sul tema di Leonardo e la materia avea ammesso), ha liberalmente il Re ordinato che la sua
del Trattato della Pittura, che Goethe conobbe proprio dall’edizione doviziosa e ricchissima Galleria delle Pitture sia a’ vicini ed a’ lontani
napoletana227, venendo così a conoscenza del dibattito che ferveva renduta di pubblica utilità, volendo che ciascuna delle Pitture contenu-
tra Corazza e i suoi amici, come Comolli, Bianconi e Zacchiroli. tevi sia squisitamente disegnata, e incisa colla maggior maestria, onde
Il rapporto di Goethe con il pensiero mengsiano va di pari pas- soddisfare al proposto fine, e nel tempo stesso al diletto non meno degli
so con la sua ammirazione per Leonardo e per le vicende che lo Amatori, che al più severo giudicio de’ Professori.
legano agli studi vinciani. Come sostiene la Steinitz, egli poté ap-
prendere dall’edizione tedesca delle citate Opere di Mengs (Halle, A tal fine l’incisore torinese Carlo Antonio Porporati, dietro con-
1786) non solo i concetti di arte classica – che tanto ammirò in Win- cessione del re di Sardegna, era stato incaricato di riprodurre a stam-
ckelmann, restando colpito dalle splendide testimonianze archeo- pa ogni quadro presente nella collezione Farnese sulla base dei dise-
logiche nel soggiorno napoletano – e di bellezza, ma soprattutto il gni già commissionati al meno noto pittore e disegnatore siciliano
giudizio del pittore tedesco su Leonardo, poi riportato nell’Italie- Paolo Girgenti, di cui fa cenno solo il Grossi, offrendocene una
nische Reise (si veda, in particolare, la nota dal titolo Mengs schriften breve scheda biografica230. Corazza annota che Girgenti
[scritti su] Leonardo da Vinci): qui Goethe approfondì per primo il
tema dell’influenza vinciana sulla teoria artistica contemporanea, ha compiute già parecchie Copie delle primarie Tavole; e n’ha ricevuti
considerando Mengs l’unico che era stato capace di eguagliare, nel gli applausi e gli encomi de’ più illustri Professori [avendo rappresenta-
suo Frammento sulla Bellezza, l’acutezza del pensiero di Leonardo. to] molte opere di Raffaello, ed alcune di Polidoro; parecchie di Leo-
Furono i primi passi verso una passione che, anche a seguito della nardo da Vinci, del Bonarroti, d’Andrea del Sarto; molte del Correggio,
pubblicazione del Libro di Pittura a cura del Manzi nel 1817 (tradotta e del Parmegiano; assaissime di Tiziano e di Paolo, oltre a parecchie di
in tedesco dal Böhm nel 1824), ispirerà Goethe nel fondamentale Gio. Bellino e di Giorgione, altra moltitudine di tutti e tre i più Celebri
studio del 1818 sull’opera di Bossi per il Cenacolo (Joseph Bossi uber Carracci, dell’Ab. Primaticcio, di Guido, del Guercino, ecc.; finalmente,
Leonard da Vinci Abendmahl zu Mayland) e che, ancora negli anni di Andrea Vaccaro, del Calabrese, di Luca Giordano, di Solimene ecc.,
’20, lo indurrà a far acquistare, come si è detto, dalla biblioteca di e in generale, oltre alle Opere de’ primarii Maestri, se ne avranno di
Weimar l’apografo del Codice Leicester donato a Bossi dal duca di pressoche tutti que’ Dipintori, pe’ quali s’è accresciuta e confirmata la
Cassano. Del resto l’interesse di Goethe per Leonardo e per i suoi gloria de’ Pittori Italiani231.
scritti sulla pittura si accentuerà proprio all’indomani della pubbli-
cazione del saggio di Bossi, come si legge nei suoi Annalen oder Tag Risulta interessante la notizia della presenza, tra le opere della col-
und Jahreshefte del 1817 e nel Nachtraege zur Farbenlehre (supplemento lezione, di «parecchie di Leonardo da Vinci»: non sappiamo se si
alla Teoria del Colore)228. trattasse di dipinti o disegni semplicemente attribuiti al maestro che
potrebbero essere poi scomparsi al tempo del trasferimento dei so-
Un’altra testimonianza del costante aggiornamento di Corazza sul vrani a Palermo o durante il Decennio232. In ogni caso, l’intrapresa
dibattito culturale degli ultimi anni ‘80 ci viene offerta da un breve edizione dell’album di incisioni della Collezione Farnese – opera
scritto – incompiuto e, anch’esso, mai pubblicato – indirizzato Alli «tale che nel suo genere non avrà, sia per risguardo agli Autori Ori-
Amatori e Professori delle Bell’Arti del Disegno e specialmente della Pittura ginali, sia per rispetto alla proposta esecuzione, nessuna altra Rac-
e dell’Incisioni in rame229. Al di là del sintetico panegirico introduttivo colta da paragonarlesi» – non verrà mai portata a termine. Se abbia-
sullo sviluppo delle arti dall’età antica a quella contemporanea, Co-
razza mostra la consueta attenzione (ma anche chiari intenti adula-
torî) nei confronti delle iniziative promosse da Ferdinando IV e vol- 230
  G.B.G. Grossi, Ricerche su l’origine, su i progressi, e sul decadimento delle arti di-
te alla diffusione della cultura e dell’arte, dando tra l’altro la notizia pendenti dal disegno, Napoli, Tip. del Giornale Enciclopedico, 1821, p. XXVIII: «Pa-
olo Girgenti. Nacque in Girgenti circa il 1769, cittadino napoletano, membro della
Reale Accademia delle Belle Arti, professore delle varie maniere di colorire nelle
regie scuole delle Arti dipendenti dal disegno: autore di un bel putto dormiente di
224 colore forte, e naturale: del quadro di S. Francesco Sales; e dell’eccellente copia della
  Vi risiedette in particolare tra il 29 marzo e il 3 giugno 1787, con un intervallo Madonna di Raffaelle d’Urbino, ec.».
(2 aprile-11 maggio) in Sicilia. Sappiamo che, tra l’altro, egli salì sul Vesuvio, visitò 231
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, foll. 28v: «Il Chiarissimo Sig.r Porporati,
Pompei, Paestum, Caserta (ove conobbe Hackert), tornando a Weimar nel giugno
per le molte sue carte incise troppo di qua e di là dall’Alpi celebre e comenda-
1788, dopo aver soggiornato a Roma per circa un anno.
225 tissimo, è stato scelto e con larghe ricompense dal Magnanimo Re delle Sicilie
  H. Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Firenze, Giunti-Martello, 1985, p. 231. invitato ad incidere questa grande e nel suo genere unica opera, o tale che nel suo
226
  Jacob Philipp Hackert. La linea analitica della pittura di paesaggio in Europa, a cura di genere non avrà, sia per risguardo agli Autori originali, sia per rispetto alla proposta
C. de Seta, Napoli, Electa Napoli, 2007, passim. esecuzione nessuna altra raccolta da paragonarlesi. È stato intendimento altresì del
227
  K. Trauman Steinitz, Bibliography never ends…cit., pp. 104-109. provido e generoso Re, valersi di questo sì eccellente artefice, l’introdurre all’Arte
228
  A tale proposito, va ricordato che Goethe curò anche l’acquisto, da parte della dell’incidere maestrevolmente in rame, quella gioventù de’ suoi felicissimi Stati, che
stessa biblioteca di Weimar, dei lucidi redatti da Bossi sulle copie dell’Ultima Cena avesse desiderato di perfezionarvici [...]».
di Marco d’Oggiono, Bernardino Luini e del Vespino, assunte dal pittore come basi 232
  Nel 1821 il Grossi, proprio con riferimento ai dipinti del Real Museo Borbo-
per la copia dell’affresco di Leonardo ordinata da Eugenio Beauharnais. nico, si limiterà a riferire a Leonardo, in modo peraltro infondato, «una Vergine col
229
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/3, ff. 28r-v. Bambino, ed un S. Giovan Battista». G.B.G. Grossi, op. cit., p. XIII.

Capitolo quarto
142
mo scarse notizie sulla figura del Girgenti, il Porporati (1741-1816) tri casi è addirittura possibile riscontrare l’impegno del bolognese
è invece indicato dal Borzelli e dal Valerio233 tra i più noti incisori, nel reperimento e commercio di opere d’arte, come si ricava dalla
con Guglielmo Morghen e Gennaro Bartoli, attivi negli anni ’80- corrispondenza con Boni del 1793, allorché lo studioso toscano gli
‘90 all’interno del gruppo operante presso la corte borbonica, che scriverà:
faceva capo, all’epoca, a Georg Hackert234. Allievo a Parigi di Jac-
ques-Firmin Beauvarlet e membro dell’Académie, egli si trasferì in Riguardo al Domenichino, a quel Michel più che mortal Angelo Di-
seguito presso la corte sabauda e infine presso i Borbone, ove svolse vino, o altra simile squisita cosa, il caso è difficilissimo, che si ritrovi. Il
anche compiti didattici nell’addestramento di giovani apprendisti235. primo si cerca per la Galleria [degli Uffizi], che ne manca, quando a
Corazza è amico di altri importanti maestri dell’incisione, tra cui Lei non piacesse, come non piace a molti, averci con questo nome due
lo stesso Morghen e Francesco Rosaspina, docente presso l’Acca- paesini [sic] rimpasticciati, e recati da Napoli da quel celebre artista di
demia Clementina, il quale nel 1790, naufragata l’opera di Por- muliebri acconce di testa costà noto per Gian Maria [delle Piane?], e
porati, gli chiede una raccomandazione presso il re per ottenere acquistati per 500 scudi. Del secondo in Galleria non vi è, che la cele-
l’incarico di portare avanti l’impresa 236. E così nel ’92 il lavoro bre Madonna dipinta da esso per il Doni, acquistata da Leopoldo, e nei
viene affidato all’incisore bolognese, ma nuovamente interrotto Pitti evvi con quattro delle tre parche [sic], di cui spesso mi sovveniva
per motivi a noi ignoti237. in Napoli nell’incontrar certe Luciane, e tra queste coloro, che vendo-
Anche in questa occasione l’abate appare attento a tutto quanto no l’Acqua Solfigna. Mi spiace non potrò servirla: ma tal dispiacere si
faccia notizia in materia artistica, mostrando particolare interesse modesta quando penso a chi Ella gli destina, cioè al Padrone di quel
per la tecnica dell’incisione, tema del resto affrontato nei suoi scrit- Lionardino così saporito. Ben gli sta che ne sia privo […]241.
ti sin dagli anni giovanili e che a quell’epoca vedeva l’ambiente
napoletano all’avanguardia, specie dopo il recente riordinamento Nel «Padrone di quel Lionardino così saporito», cui Corazza ha
dell’Accademia del Disegno. Sin dal volgere degli anni ’60 e poi nel promesso un’opera del Domenichino o addirittura di Michelange-
successivo decennio il settore aveva visto a Napoli un forte svilup- lo, verrebbe riconoscere re Ferdinando, visto che nella Collezione
po, segnatamente nell’ambito cartografico, grazie al contributo di Farnese di Capodimonte si conserva una Madonna con Bambino di
personalità del calibro di Ferdinando Galiani e di Giovanni Carafa Bernardino Luini, detto «il Leonardino»; invece, come dimostra
duca di Noja, per culminare, negli anni ’80, con la venuta a Napoli Pedretti nella preziosa presentazione al nostro volume, Boni si ri-
del grande geografo padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannoni. ferisce al Puttino che mostra un suo trastullo dello stesso autore, che
Se sull’attività di quest’ultimo fino agli inizi dell’Ottocento e su ha visto a Napoli nella residenza di Lord Hamilton. In ogni caso è
quella dell’Officina Topografica da lui fondato avremo modo di certo che, a pochi anni dalla fine, Corazza vanta ancora amicizie
tornare, inedita è la notizia che nel dicembre 1781 egli fu racco- influenti tra i collezionisti italiani, mettendo a loro disposizione
mandato da Corazza presso un «Monsignore» romano sulla base del (e, in molti casi, sfruttando a fini di lucro) la propria influenza sul
suo già rispettabile curriculum, che vantava, tra l’altro, l’incarico mercato artistico.
dell’Atlante del Regno affidatogli da Ferdinando IV solo qualche
mese prima238: la segnalazione dovette andare a buon fine, visto che
Rizzi Zannoni porterà a termine entro i primi anni ’90 la cartogra- § 3 L’influenza sulla Bibliografia storico-critica
fia a grande scala dei confini dello Stato Pontificio e del territorio dell’Architettura civile di Angelo Comolli
della città di Roma239.
La Bibliografia storico-critica dell’Architettura civile ed Arti subal-
Testimonianze dell’indiscussa autorità di Corazza in ambito cul- terne, pubblicata in quattro volumi tra il 1788 e il 1792 dal giovane
turale e artistico sono rinvenibili fino agli ultimi anni di vita. Tra abate piemontese Angelo Comolli (1765-1794)242, rappresenta, come
i numerosi pareri richiestigli da amici di tutta Italia, ricordiamo ad osserva Kruft243, un tentativo lodevole di dar vita ad una selezione
esempio quello relativo ai dubbi del Bertola circa le origini egizie aggiornata e una recensione critica della letteratura architettonica
della maiolica dipinta, sostenute dal famoso conte di Caylus240. In al- edita tra Cinque e Settecento: quantunque lacunosa e incompiuta
per la prematura morte dell’autore – che porterà infatti a termine
solo la prima parte – essa resterà insuperata, nel suo genere, fino alla
233
  Cfr. A. Borzelli, L’Accademia del Disegno…cit., p. 74; V. Valerio, Costruttori di seconda metà del Novecento.
immagini. Disegnatori, incisori e litografi nell’Officio Topografico di Napoli (1781-1879),
Napoli, Paparo ediz., 2002, p. 58. L’opera si articola nelle Introduzioni allo studio della storia dell’ar-
234
  Jacob Philipp Hackert…cit., passim. chitettura, comprendenti la Storia dell’arte e la Storia degli artisti, nelle
235
  M. Bryan, Dictionary of Painters and Engravers, 2a ediz. a cura di G. Stanley, Lon- Instruzioni dedicate alle scienze di base dell’architettura e nelle Istitu-
don, H.G. Bohn, 1849, pp. 591-592.
236
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/14, ff. vari.
zioni, ossia la trattatistica e la manualistica specifica in ambito archi-
237
  BCABo, Coll. Aut., XXI, lettere di Corazza a Rosaspina del 14 agosto e dell’11
settembre 1792.
238
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28(4, f. 35. dipingere esse maioliche? Paw si ostina a negare, che Raffaele abbia fatto di cotali
239
  F. Capano, Al tramonto del Settecento: territori e città dalla carta dello Stato Pontificio pitture: intanto il duca di Belforte, che fra’ suoi quadri ne ha di bellissime attribuite
di Rizzi Zannoni, in Le città dei cartografi. Studi e ricerche di storia urbana, a cura di C. a Raffaele, una ne ha veduta, che avea scritto al rovescio Sanctius. Di grazia indi-
de Seta, B. Marin, Napoli, Electa Napoli, 2008, pp. 221-229. catemi il parer vostro […]. P.S. Che Rubens abbia dipinto sulla maiolica, come sul
240
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis(15, f. 10, lettera di Bertola a Corazza, s.d. vetro, non credo che alcuno ne dubiti, non è egli vero?».
241
(c. 1783-84): «Vi scrivo da Posillipo, ove sono in compagnia di Belforte, che vi saluta.   Ivi, X. AA. 29bis/8, lettera del 30 luglio 1793. Qualche mese dopo Boni verrà
Quest’aria non permette che occupazioni piacevoli: una delle mie a questi dì è stata nominato dal Granduca di Toscana «Direttore del Dipartimento delle Fabbriche e
quella di far qualche ricerca sullo stato delle pitture presso gli Egizj; ricerca che può Giardini Regi».
242
servir moltissimo alla mia storia. Ho de’ dubbj, e me ne vengo all’oracolo. Parmi   A. Comolli, op. cit. Sulla produzione scientifica di Comolli si veda in generale:
certo ch’oltre al vetro pinto, abbiano gli Egizj avuto anche la lor maiolica pinta. Il A. Cavallari Murat, Bibliografia sistematica di Comolli, in Id., Come carena viva.
Conte di Caylus sostiene che possedessero la porcellana: ma a quel che ci dicono Scritti sparsi,Torino, Bottega d’Erasmo, 1982,V, pp. 559-565. Cfr. pure la recensione di
alcuni che mostrano aver esaminato delle statuette ed altri siffatti lavori egizj, pare L.M. de’ Vegni all’opera di Comolli, in Memorie per le Belle Arti, cit. (nov. 1788), pp.
che questi altro non fossero, che il prodotto di una terra bianca, lieve e friabile, si- CCXLIX-CCLIII, CCLXXXV-CCLXXXVII.
243
mile a quella delle nostre maioliche.Voi che ne dite? Da chi abbiamo preso l’arte di   H.-W. Kruft, op. cit., p. 273.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


143
tettonico. In questa sede, oltre a proporre una sintetica disamina del i Principj di Architettura Civile nell’edizione pubblicata a Bassano nel
testo, ci interessa individuare l’effettiva consistenza del contributo 1785, nonché la prossima uscita di un Saggio sul Bello del De Negri,
teorico dato all’opera da Corazza, nonché l’importanza che Co- che nella prefazione sottolineava anch’egli l’importanza degli inse-
molli riconosce alla produzione trattatistica e manualistica di marca gnamenti e del metodo appreso da Corazza248: sebbene non ci risulti
napoletana nello scenario italiano del secondo Settecento. che quest’ultima opera abbia mai visto la luce, la notizia è utile a
Già nella prefazione (t. I, p. XII) l’autore sottolinea come la sua rafforzare la nostra idea circa l’autorità del Nostro nel campo della
opera sia critica artistica.
Si comprende dunque quanto Comolli – autore anche di una Vita
particolare debitrice al lodato sig. Corazza, il quale premuroso, e pro- di Raffaello (1790)249 – debba a Corazza, potendosi ravvisare in mol-
fondo in tutto ciò, che ha relazione alle arti, non solo ha voluto fa- ti altri punti della Bibliografia, per esplicita ammissione dell’autore,
vorirmi di lumi, e di notizie, ma rubando alcuni momenti alle serie, l’influenza del suo pensiero. Peraltro gli stretti nessi tra la posizione
e continue applicazioni ha avuto la bontà di leggere tutto il ms. del teorica di Comolli e quella di Corazza risultano evidenti, specie per
primo volume, che sta stampandosi, e in seguito ha voluto anche ono- i costanti riferimenti a Milizia e a Mengs; ma soprattutto va notato il
rarmi delle sue lodi, approvando, e commendando la mia fatica. Il fa- particolare rilievo che Comolli attribuisce, proprio grazie all’azione
vorevole giudizio di un amatore intelligente, e di un profondo lette- del Nostro, ai principali trattatisti napoletani degli anni ’70-’80: ciò
rato qual è il sig. Corazza unitamente a quello di altri ottimi cono- è pure indicativo della peculiare funzione svolta da Corazza nella
scitori non poteva non rendermi più coraggioso nell’intrapresa fatica. veicolazione del fervore teorico della capitale borbonica verso l’am-
bito più propriamente italiano, contribuendo così egli alla diffusione
Sin dal 1787 Comolli, nel corso della stesura dei primi tomi, prega del pensiero artistico e architettonico meridionale in un più ampio
Corazza di correggergli soprattutto le parti riguardanti recensioni bacino culturale e, nel contempo, al suo arricchimento con sempre
di opere a carattere teorico, potendo invece «non essere tanto scru- nuovi stimoli e aggiornamenti.
poloso» per quelle di argomento tecnico-scientifico244; gli chiede Per non parlare di quanto Corazza influenzi Comolli nella stesura
inoltre in prestito la copia in suo possesso delle Vite degli architetti di delle pagine dedicate a «quel testone enciclopedico» di Leonardo250:
Tommaso Temanza con postille autografe dell’autore, nonché l’au- come abbiamo visto nel secondo capitolo, l’autore della Bibliografia,
torizzazione a pubblicare un giudizio del bolognese – come si vedrà oltre a ricostruire minuziosamente la storia di quei preziosi codici
poco entusiasta – sulla Storia delle Arti di Winckelmann245. Corazza, e ad annunciare la prossima stampa dell’inventario dei manoscritti
allo scopo di aiutare in ogni modo l’amico impegnato nella faticosa dell’Ambrosiana trasmessogli dal Bonsignori su invito di Bianco-
redazione della Bibliografia, si fa trasmettere dal bibliotecario Ma- ni, auspica la rapida pubblicazione dei testi vinciani in possesso del
gnani un catalogo dei libri esistenti presso l’Istituto delle Scienze nostro abate. Il pensiero di Corazza su Leonardo si riconosce con
in materia di «Architettura Civile, presa questa nella più dilatata evidenza nei passaggi in cui Comolli esalta l’importanza dell’eredi-
estensione»246. tà vinciana in ambito pittorico a partire dall’influenza del maestro
Nelle lettere indirizzate all’abate bolognese, Comolli lo aggiorna sui grandi pittori del Cinquecento, da Raffaello a Michelangelo a
costantemente sul progresso dei propri studi critici e tiene ad infor- Correggio. Insomma, nelle venti pagine dedicate da Comolli a Leo-
marlo sulle ultime pubblicazioni in materia di architettura: tra esse, nardo è come se si ritrovasse una sorta di ‘compensazione’ del man-
nel 1788, egli annuncia «una del nostro capriccioso Milizia»247, ossia cato adempimento dell’incarico ricevuto da Corazza per l’edizione
livornese dell’Encyclopédie, come ancora la mancanza dell’auspicata
riedizione del Trattato della pittura da parte del bolognese sulla base
244
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/16, f. s.n., lettera del 5 settembre 1787, dei materiali inediti in suo possesso.
cit. in M. R ascaglia, op. cit., p. 42. Il 15 febbraio 1788 (ivi, f. 9) Comolli scriverà Nel fare dunque riferimento ai manoscritti milanesi per delineare
a Corazza: «Lo so, ch’Ella avrà motivo di rispondermi, che sia tanto sollecito
a pubblicare questa mia letteraria fatica, essendo essa tale, che abbisogna molto la personalità di Leonardo e precisarne i dettagli anagrafici, Comolli
tempo, e molte ricerche. Ho però fondamento di credere, che quando Ella saprà cita l’opera di Du Fresne e gli aggiornati studi di Mariette251, Amo-
un giorno i motivi, che m’inducono a sollecitare mi scuserà di buona voglia.
Presentemente dunque rivedo, correggo, e supplisco in ciò, che è mancante il
retti252, Durazzini253 e Milizia254, oltre ai tantissimi contributi specifici
Ms.°, che Ella ha avuto la bontà di vedere, e di approvare; ed è tanta la materia pubblicati nel corso del Settecento da studiosi degli ambiti più vari
che mi è cresciuta per questo primo tomo della Parte prima, che allorquando lo all’interno di opere collettanee, nella cui segnalazione è evidente lo
vedrà stampato lo giudicherà forse tutt’altro che quello, che lo ha di già giudi-
cato. Dopo quest’ultima revisione penso di darlo allo stampatore, e in seguito ‘zampino’ di Corazza. Soprattutto, Comolli sottolinea quanta parte
anche il Secondo, che tengo preparato: il Terzo, che procurerò di unire prima dei testi vinciani siano ancora da pubblicare e quanto vantaggio se
di Pasqua, verrà alle sue mani prima di essere stampato; mentre contenendo esso
le istruzioni architettoniche, cioè le opere propriamente Elementari di questa ne trarrebbe per tutti gli ambiti della scienza e dell’arte, come ave-
Scienza, abbisognerà del suo giudizio per moderar qualche mia rif lessione, per vano dimostrato le recenti raccolte di disegni edite a cura del Caylus
aggiungerne qualche nuova, e per sistemar tutto a dovere. Non le mando il se-
condo tomo, mentre contenendo esso le Istruzioni, cioè le opere Meccaniche,
Prospettiche, Geometriche, e simili, penso di non essere tanto scrupoloso come
nelle altre parti veramente architettoniche». 248
245   Ivi, lettera del 19 settembre 1788.
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/16, f. 10, lettera del 7 marzo 1788. Riguardo 249
al Temanza, cfr. A. Comolli, op. cit., t. III, pp. 226-229: vi troviamo la recensione di   Cfr. A. Comolli, Vita inedita di Raffaello da Urbino illustrata con note da A.C.,
una Lettera del Sig.Tommaso Temanza Architetto Veneziano indritta al Sig. Matteo Luchese Roma, presso L. Perego Salvioni, 1790.
250
Architetto pure Veneziano, pubblicata in Raccolta degli Opuscoli Scientifici e Filosofici,   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, pp. 189-209.
251
Venezia, C. Zanne, 1731, da cui si traggono importanti notizie sull’attività e sul   G.G. Bottari, Raccolta di Lettere sulla Pittura, Scultura, e Architettura scritte da’ più
pensiero dello studioso veneziano. celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, Roma, stamp. M. Pagliarini, 1754-73, t.
246
  BCABo, Coll. Aut., XXI, ms. 6008, lettera di Corazza ad Antonio Magnani del II, p. 171.
252
18 settembre 1787: «Questa mia richiesta può giovare assai a perfezionare un bel   C. Amoretti, Memorie storiche su la vita gli studj e le opere di Leonardo da Vinci,
lavoro d’un mio amico, il quale si adopera in Roma a metter insieme e pubblicare Milano, G. Motta al Malcantone, 1804, che si riferisce, tra l’altro, ad importanti
una Universale Bibliografia Architettonica». Corazza offre in cambio una copia scritti inediti sulla vita di Leonardo di Baldassarre Oltrocchi, bibliotecario dell’Am-
della seconda edizione della Raccolta Roccella di componimenti poetici a sua cura, brosiana.
253
in corso di stampa.   A.F. Durazzini, Elogi degl’Illustri Toscani, Lucca, G. Allegrini, 1772, II, p. 127.
247 254
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/16, lettera di Comolli a Corazza del   F. M ilizia, Memorie degli architetti antichi e moderni, Parma, Stamperia Reale,
18 gennaio 1788. 1781, t. I, p. 193.

Capitolo quarto
144
Angelo Comolli, Bibliografia storico-critica dell’architettura civile ed arti subalterne, Roma 1788-92; frontespizio e quadro sinottico delle materie

e del Gerli255. La figura di Leonardo architetto-ingegnere andrebbe a molti brani ove compaiono estesi riassunti di libri interi siano stati
suo parere opportunamente approfondita sulla base dei documenti, opera dell’abate [Comolli]»259.
ponendosi in evidenza, ad esempio, la reale consistenza delle opere Oltre che per l’ampia rassegna proposta da Comolli riguardo alla
eseguite in ambito milanese e il ruolo svolto presso Ludovico il trattatistica cinque-seicentesca – si vedano, tra l’altro, le dettagliate
Moro nella diffusione del linguaggio vitruviano in seno all’accade-
mia di pittura e architettura fondata dal principe.
È d’obbligo precisare che quello di Corazza non è l’unico autorevo- 259
  S. Pasquali, Scrivere di architettura…cit., pp. 25-26. A quell’epoca Memmo
le contributo offerto a Comolli nella stesura dell’opera. Tra gli altri era in contatto a Roma con Seraux d’Agincourt ed era stato da questi spronato
«ottimi conoscitori» è Jean-Baptiste Seraux d’Agincourt, all’epoca a scrivere una storia dell’architettura, visto che la Storia dell’arte presso gli anti-
chi di Winckelmann non aveva affrontato specificamente l’argomento; ma egli
impegnato nella redazione della sua monumentale storia dell’archi- aveva desistito dopo aver letto l’importante Lettera sull’origine, ed antichità dell’ar-
tettura256. Inoltre nella lettera ad un anonimo amico (a nostro parere chitettura indirizzata da padre Paoli all’avvocato Carlo Fea e da questi inserita
nel terzo volume della traduzione della citata opera di Winckelmann. Cfr. J.J.
si tratta proprio di Corazza) contenuta nella presentazione al primo Winckelmann, Storia delle arti del disegno presso gli antichi, tradotta dal tedesco, e in
tomo, l’autore fa riferimento al sostegno teorico ricevuto da Andrea questa edizione corretta, e aumentata dall’abate Carlo Fea Giureconsulto, Roma, stamp.
Memmo: Pagliarini, 1783-84, vol. 3. Così Memmo: «Credei risparmiare a me la fatica, e
di far la più grata cosa a chi leggesse il mio libro nel riportarmi a quanto sì giu-
dizioso Scrittore dettò: giacché le sue rif lessioni combaciano perfettamente con
Questa Bibliografia è il risultato di tre anni di ricerche, e Voi ben vi quelle del P. Lodoli, e sembra di rendere le une con le altre più autorevoli»: A.
M emmo, Elementi d’architettura lodoliana. Libri due, Zara, Battara, 1833-34, p. 253;
ricorderete, che sino dal dicembre del 1785 io vi scrissi, che allora ap- il brano è trascritto integralmente in A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit.,
punto era per prendermi il carico di quest’opera, mercé le premurose, I, pp. 253-254, da cui la Pasquali (nota 81) trae giustamente ulteriore prova degli
e replicate insinuazioni del virtuosissimo, e culto cavalier procurator stretti rapporti tra Memmo e Comolli. Come abbiamo già ricordato, il Paoli fu
uno dei principali animatori della teoria relativa alle presunte origini etrusche
di S. Marco D. Andrea Memmo, ambasciatore in quel tempo della sua dell’architettura greca di Paestum, entrando in una vivace polemica con il Boni.
serenissima Repubblica in questa S. Sede257. In verità le idee radicali di Lodoli, di cui Memmo era grande sostenitore, erano
state formulate molto tempo prima delle più importanti scoperte archeologiche
in Grecia e in Magna Grecia, nonché dei dibattiti da esse innescati, e andavano
Si trattò, in effetti, di una mutua collaborazione, come riferisce la dunque necessariamente aggiornate. La Pasquali riferisce del progetto di Mem-
Pasquali: «È secondo noi possibile che, nel testo di Memmo[258], mo di perseguire tale scopo nei suoi Elementi dell’architettura lodoliana, ma di non
esservi riuscito per la grande complessità assunta dal dibattito, proprio a seguito
dell’incalzante procedere delle acquisizioni e degli studi sull’architettura anti-
ca: ne era venuta fuori, anziché la trattazione di un compiuto sistema teorico
255 confortata dalla descrizione di un repertorio di casi, un’opera dal carattere ‘en-
  Recueil de testes de caractere & de charges dessinees par Leonard de Vinci Florentin & ciclopedico’, ossia una rassegna storico-architettonica, ricca ma non unitaria,
gravees par M. Le C. de Caylus, Paris, chez Ch.-A. Jombert, 1767; C.G. Gerli, Disegni sommatoria di tanti esempi piuttosto che sintesi. Spetterà dunque al Milizia,
di Leonardo da Vinci incisi e pubblicati da C.G. G. milanese, Milano, presso G. Laleazzi, come ha dimostrato la fortuna critica delle sue opere, il merito di aver proposto
R. Stampatore, 1784. un metodo atto a sostituire alla secolare teoria vitruviana non un nuovo e unico
256
  Histoire de l’art par les monumens, depuis sa decadence au 4. siecle jusqu’a son renou- sistema fondato su pretenziosi principi universali, bensì due sistemi dotati di
vellement au 16.; par J.B.L.G. Seroux D’Agincourt, ouvrage enrichi de 325 Planches, Paris, uguale autorità storica, quello greco e quello romano, cui erano legati altrettanti
Treuttel et Wurtz, 1823. Cfr. A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p. 153. modelli costruttivi: al di fuori di essi, ogni eccezione non risultava significativa.
257
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p.VII. L’abate piemontese compilò Di Milizia, oltre ai Principj di Architettura Civile, Finale, stamp. J. De’ Rossi, 1781,
a sua volta per l’opera di Memmo l’indice delle materie: S. Pasquali, Scrivere di si ricordano: Dell’arte di vedere nelle belle arti del disegno secondo i princìpj di Sulzer,
architettura…cit., p. 25, nota 75. e di Mengs…, 2.a ed., Genova, stamp. Caffarelli, 1786; Roma delle belle arti del di-
258
  A. Memmo, Elementi dell’architettura Lodoliana o sia l’arte del fabricare con solidita segno, Bassano, s.n., 1787. Di queste opere ci occuperemo più innanzi attraverso
scientifica e con eleganza non capricciosa. Libri due, Roma, stamperia Pagliarini, 1786. le recensioni di Comolli.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


145
so inedite e recensioni tratte da rari opuscoli e riviste straniere.
è pure da segnalare quanto Comolli osserva con riferimento alle
figure di spicco della polemica antibarocca sviluppatasi in Italia
a cavallo della metà del secolo nei circoli padovani e veneziani e
in quelli romani di ispirazione giansenista – da Lodoli a Bottari a
Memmo ad Algarotti, da Poleni a Milizia a Temanza – le cui opere
vengono esaminate con particolare acutezza, offrendosi uno spac-
cato completo del pensiero architettonico dell’epoca: in relazione
a quanto emerge più chiaramente da ciò che ci accingiamo a de-
scrivere, ci convince l’idea di una certa simpatia di Comolli per la
corrente razionalista e scientista italiana, aggiornata alla luce delle
acute riflessioni di Milizia; corrente che da tempo era approdata
anche presso i lidi partenopei, non potendo quindi l’autore della
Bibliografia evitare di dedicare ai critici napoletani, come vedremo,
pagine consistenti, sia pure con qualche clamorosa omissione, forse
però dovuta al carattere incompiuto dell’opera263.

263
  Comolli sottolinea sin dall’inizio della Bibliografia come, per uno studio corret-
to dell’architettura, si debba conoscere la storia, indispensabile alla comprensione
dei fenomeni architettonici, e le teorie relative alle altre arti legate all’architettura,
come la pittura e la scultura: a questo proposito cita il Discours sur la maniere d’etudier
l’Architecture di J.-F. Blondel. «Il mio oggetto è di dare una Bibliografia, o Catalogo
ragionato di tutti quei libri, che colla direzione di un abile precettore possono
formare un perfetto architetto» (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p. 3).
Tra quelle che Comolli chiama «Introduzioni generali» all’architettura, vi è l’opera
di Vasari, in particolare il suo prologo sulle tre arti del disegno: egli nota come la
stampa del 1550 sia più sintetica rispetto a quella del 1568, il cui testo è confermato
nelle successive. Nel sottolineare l’importanza dell’edizione vasariana pubblicata dal
Bottari (Roma, Pagliarini, 1759), ricca di annotazioni, seguita da quelle di Livorno
(Coltellini, 1767) e Firenze (Stecchi, 1771), Comolli osserva: «Se gli artisti approfit-
tassero degli ottimi precetti, che dà il Vasari in questo suo breve trattato, qual utile
non ne risentirebbero le arti!». Secondo quanto riferito dal Temanza al Bottari,Va-
sari doveva aver scritto altri opuscoli in materia di pittura e di architettura, assai utili
per l’esercizio della professione. Comolli passa poi a commentare il Trattato dell’Arte
della Pittura, Scoltura & Architettura di G.P. Lomazzo (Milano, Pontio, 1584), conserva-
to presso la Biblioteca Imperiali, e poi il Vocabolario toscano dell’arte del Disegno […]
che servir possa, tanto alla costruzione di edificj, e loro ornato, quanto alla stessa Pittura, e
Scultura, di Filippo Baldinucci (Firenze, per Santi Franchi, 1681), di cui si avvertiva
all’epoca da parte degli studiosi di Vitruvio la necessità non solo di una ristampa,
Jean-Baptiste Seraux d’Agincourt, Histoire de l’art par les monumens, depuis ma di un’aggiunta delle «voci techniche italiane corrispondenti alle voci Vitruvia-
sa decadence au 4. siecle jusqu’a son renouvellement au 16., Paris 1823, tav. VII ne» (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p. 103). Tale esigenza era avvertita
dal Poleni, ma anche dal Bottari e dal Temanza; quest’ultimo aveva osservato: «Se il
Baldinucci, che ci diede quel così scarso Vocabolario Toscano dell’arte del disegno,
lo avesse lavorato sulle vite del Vasari, qual copiosa messe di termini non ci avrebbe
egli dato? E qual onore non si procaccerebbe colui, che intraprendesse un tal lavo-
recensioni del De Divina Proportione di Pacioli (1509), de La pratica ro? Lavoro, che dovrebbe eseguirsi sul modello del gran Vocabolario della Crusca,
della Perspettiva di Daniele Barbaro (1569), delle Vite del Vasari260 , vale a dire cogli esempi, e coi modi di dire. Oh quanto bramerei di vederlo esegui-
de Le due regole della Prospettiva di Vignola del 1583261 e dei trattati to!». Tra le altre opere analizzate dallo studioso nel primo tomo della Bibliografia è
quella di J.F. Felibien, Des principes de l’Architecture, de la Sculpture, de la Peinture, e des
sulla «misura delle fabbriche» di Cosimo Bartoli (1564) e di Guari- autres Arts, qui en dependent, avec un Dictionnaire des Termes propres à chacun de ces Arts
no Guarini (1674), fino a quello di Giuseppe Antonio Alberti sullo (Parigi, J.B. Coignard, 1697) e l’altra dello stesso autore (ma tradotta e pubblicata da
G. Fossati) sulla Storia dell’Architettura, nella quale oltre le vite degli Architetti si esami-
stesso tema (1757) 262 – e alle riedizioni settecentesche delle prin- nano le vicende, i progressi, la decadenza, il risorgimento, e la perfezione dell’Arte, adornata
cipali biografie (Raffaello e Michelangelo di Vasari, Sansovino, di rami rappresentanti le fabbriche più cospicue degli antichi, e de’ moderni, Venezia, A.
Palladio e Scamozzi di Temanza, Bernini di Baldinucci, l’Elogio Mora, 1747 (prima ediz. Parigi 1696) (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I,
pp. 144-150). Comolli (ivi, pp. 167 sgg.) recensisce poi l’Orazione in lode della Pittura,
di Juvarra di Scipione Maffei e altre), la Bibliografia risulta parti- della Scultura e dell’Architettura di F.M. Zanotti, accademico bolognese, del 25 mag-
colarmente ricca nell’analisi della coeva critica architettonica: vi gio 1750 (Bologna, presso L. della Volpe, 1751), il Discours sur la necessité de l’étude de
l’Architecture di J.F. Blondel (Paris, Iombert, 1754) e il Cours d’Architecture dello stesso
si trovano preziosi giudizi di studiosi e architetti contemporanei autore (ivi, pp. 173-175), l’opera del conte di Caylus Memoire su l’Architecture ancienne
sulle principali opere teorico-critiche pubblicate in Europa tra la (Parigi, Imprimierie royale, 1756) e il Traité du beau essentiel dans les Arts, appliqué
fine del Seicento e la metà del Settecento – da Fréart de Chambray particuliérement à l’Architecture di Ch.-é. Briseux (Paris, chez l’Auteur, 1752). Pure in-
teressante è il commento dell’autore all’Idée sur la naissance des Arts, ne «Il Giornale
a Claude Perrault, da Cordemoy a Patte, a Laugier, a J.F. Blondel, Enciclopedico» (Liegi, marzo 1757), in cui si criticava la filosofia di Rousseau, pur
da Winckelmann a Mengs, a Sulzer –, notizie biografiche spes- riconoscendosi a quest’ultimo grandi doti intellettuali: anche Comolli concorda
sull’importanza di «questo filosofo, che ha fatto tanto rumore in questo secolo; tutti
sanno, che l’articolo Musique dell’Enciclopedia è suo, e ch’esso è uno de’ migliori
di questo dizionario enciclopedico» (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I,
260
p. 192). Un giudizio fortemente negativo di Corazza viene riportato da Comolli
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., II, pp. 2-32. a proposito dello studio pubblicato in Germania (Francoforte-Lipsia) nel 1770 dal
261
  Ivi, IV, pp. 89-140. Della Regola di Vignola l’autore descrive con precisione la francese Christophe Theophile De Murr in materia di critica artistica, dal titolo Bi-
riedizione del 1770 a cura di G.B. Spampani e C. Antonini. bliotheque de peinture, de sculpture, et de gravure, così definendolo: «Quest’opera, che a
262
  G.A. Alberti, Trattato della Misura delle Fabbriche. Nel quale oltre la misura di tutte me sembrata è uno Zibaldone confusamente raccolto per trarne un lavoro, che po-
le superficie comuni si dà ancora la misura di tutte le specie di Volte, ed’ogni specie di solido, tea riuscir commendabile, ad onta delle sue magagne può forse servire come alcun
che possa occorrere nella mjisura di esse... Con un appendice del modo di misurare le capa- tristo cane potrebbe servire a buon Cacciatore… Basta aver la pazienza di leggerlo
cità delle Vasche, Legnaj, Fenili, Grani, ec., Venezia, presso G.B. Recurti, 1757. Cfr. A. intiero, e si troverà, che anche del suo Autore si avvera, che: Dum flueret luculentus,
Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, pp. 109-113. Si veda inoltre G. Voiello, erat quod tollere posses» (ivi, p. 77). Nel secondo tomo, con riferimento alle figure
scheda in Scienziati-artisti…cit., pp. 274-277. di alcuni importanti architetti della storia, troviamo le recensioni alle biografie di

Capitolo quarto
146
rotti, a fronte del meritorio ruolo di oppositore ai «seguaci servili» di
Vitruvio264. Di Patte, allievo di Boffrand, egli loda il Discours sur l’Ar-
chitecture (Paris, Quillau, 1754) e le Memoires sur les objects les plus im-
portantes de l’Architecture (Paris, chez Rozet, 1769), da alcuni all’epoca
criticate: «Se coloro che hanno affidati alle loro cure i giovani allievi
leggessero questi discorsi, che si ributtano, e si disprezzano, quanto
più metodiche sarebbero le loro istruzioni?»265. Infine di Laugier,
continuatore di Cordemoy nel suo Essai d’architecture (nuova ediz.
Paris, Duchesne, 1755)266 ma anche (come aveva sostenuto Memmo)
imitatore di Lodoli al ritorno dal soggiorno veneziano, e fortemente
osteggiato, in Francia, da Briseux e da Frézier per il suo radicalismo,
Comolli non può evitare di esaltare, anche sulla scorta del Freron267,

quella leggiadria di stile, quella chiarezza d’idee, e quella naturalezza


di osservazioni, e molto più quell’aria di libertà, di franchezza, di
disinteresse, di zelo, con cui l’autore urta i pregiudizi architettonici.
Dal che rilevasi chiaramente che il Laugier era dotato di tutte quelle
qualità, e que’ doni, che abbisognano a uno scrittore di gusto268 .

L’autore ripete gli elogi dell’abate francese anche riguardo alle


Observations sur l’Architecture (1765), in più proponendone un’inte-
ressante biografia. Nato nel 1713, nel ’50 Laugier aveva abbandonato
l’ordine gesuitico di Lione, divenendo quindi diplomatico e viag-
giando in Germania e in Italia269.
Pure interessante ci pare la lettura proposta da Comolli nel campo
della critica mitteleuropea e delle edizioni in lingua italiana delle
principali opere di quegli studiosi. Naturalmente, figura di spicco
in quest’ambito risulta essere, ancora una volta, Winckelmann, sia
pure con qualche riserva da parte del recensore e dei suoi mentori.
Nell’analizzare la Storia delle arti del disegno presso gli antichi, tradot-
ta dal tedesco, e in questa edizione corretta, e aumentata dall’abate Carlo
Fea Giureconsulto (Roma, stamp. Pagliarini, 1783-84), riedizione del
Giuseppe Antonio Alberti, Istruzioni pratiche per l’ingegnero civile, Venezia testo pubblicato dallo studioso tedesco per la prima volta a Dresda
1799; frontespizio nel 1764 (seconda ediz. Paris, Saillant, 1766, poi Milano, Monast. S.
Ambrogio Magg., 1779, a cura di Carlo Amoretti), Comolli defini-
Ci convinciamo di quanto detto già dalla lettura dei giudizi di sce l’autore «immortale antiquario», poi «ristoratore del buon gusto
Comolli sui teorici radicali francesi. Ad esempio di Cordemoy, da nell’antiquaria» e infine la sua «opera classica, e degna di tutte quelle
considerarsi per lui un autentico rivoluzionario, l’autore accenna lodi, e quegli applausi, che meritò dagli eruditi»270. Sebbene la tradu-
alle critiche subite da parte di Frézier e ai dubbi avanzati da Alga- zione del Fea fosse stata criticata dal Boni, per cui il curatore si era
dovuto difendere nella Risposta alle osservazioni del Sig. Cav. Onofrio
Boni sul tomo III della Storia delle arti del disegno di Gio. Winkelmann
Bernini, Michelangelo (in particolare quella scritta da Vasari: ediz. Roma, Pagliarini, (Roma, Pagliarini, 1786), si era pur sempre trattato di un lodevole
1760), Juvarra, Palladio, Sansovino, Raffaello, Scamozzi (scritta da Temanza,Venezia,
G.B. Pasquali, 1770). Vi è poi il commento a Le vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti sforzo divulgativo, destinato ad avere effetti immediati sul dibattito
moderni, co’ loro ritratti al naturale di Giovan Pietro Bellori (Roma, Mascardi, 1728) (II, teorico degli anni ’80. Ma un peso assai maggiore dovette avere la
pp. 51-61), alle Vite de’ Pittori, Scultori, ed Architetti moderni scritte, e dedicate alla maestà critica censoria che di quell’edizione stilò Corazza, come si evince
di Vittorio Amedeo Re di Sardegna di Lione Pascoli (Roma, Antonio de’ Rossi, 1730)
(ivi, pp. 116-124) e alla Storia dell’Accademia Clementina di Bologna (Bologna, presso L. da una lettera indirizzata dal bolognese il 26 giugno 1773 all’avvoca-
della Volpe, 1739) di Giovan Pietro Zanotti (ivi, pp. 189 sgg.). Nel terzo tomo, dopo to Gastaldi271 e pubblicata proprio nell’opera di Comolli272:
le interessanti e aggiornate recensioni al Discours sur la maniere d’étudier l’Architecture,
& les Arts qui son relatifs a celui de batir di J.F. Blondel (Paris, Imprimerie de P.I. Ma-
riette, 1747), al Discours sur l’Architecture, ou l’on fait voir combien il seroit important, que
l’etude de cet Art fit partie de l’education des personnes de nassance di P. Patte (Paris, Quil-
264
lau et Prault, 1754), e alle Istruzioni elementari di Bernardo Vittone, Comolli propone   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, pp. 267-268.
una trattazione specifica per materie come il disegno, la geometria, il rilievo degli 265
  Ivi, III, pp. 9-10.
edifici (recensioni delle opere di Bartoli, Guarini, G.A. Alberti) e la prospettiva: a 266
  Ivi, IV, pp. 283-293.
proposito di quest’ultima (ivi, pp. 140-209) si vedano le ampie considerazioni sulle 267
  E.C. Freron, Annee litteraire: ou suite des lettres sur quelques ecrits de ce temps, Paris,
opere di Barbaro,Vignola, Andrea Pozzo, Piero della Francesca e soprattutto, come M. Lambert, 1754-1776.
già si è detto, sugli scritti di Leonardo da Vinci. Particolare evidenza è data da Co- 268
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 292. Per l’autore l’opera di Lau-
molli alle opere dei Bibiena e di Vittone e alla recente manualistica didattica degli
gier è da ritenersi assai lodevole anche per l’utile «Dizionario dei termini oscuri»
anni ’40-’50. Infine egli commenta (ivi, p. 257) le importanti Instituzioni di Meccanica,
della trattatistica architettonica in esso inserito.
d’Idrostatica, d’Idrometria, e dell’Architettura Statica, e Idraulica ad uso della Regia Scuola 269
eretta in Milano per gli Architetti, ed Ingegneri di Paolo Frisi (Milano, G. Galeazzi,   Cfr. Saggio sull’Architettura di Marc-Antoine Laugier, a cura di V. Ugo, Palermo,
1777). Nel quarto e ultimo tomo si trovano tra l’altro approfondite considerazioni Aestetica edizioni, 1987.
270
sul trattato di Vignola, di cui l’autore cita una preziosa copia della prima edizione   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, pp. 153-159.
271
posseduta dal Lamberti (IV, pp. 187-197) e le recensioni alle opere di Perrault (ivi,   Comolli precisa che la lettera gli è stata segnalata dall’architetto Leonardo
pp. 205-209), ossia la Ordonnance des cinq especes de Colonne selon la methode des anciens Massimiliano de’ Vegni. Si veda pure in proposito BNN, Manoscritti e Rari, X. AA.
(Paris, J.B. Cognard, 1683) e il Parallele des anciens et des modernes en ce qui regarde les 29/16, lettera di Comolli a Corazza del 15 febbraio 1788, f. 9v.
272
arts et les sciences. Dialogues (Paris, J.B. Cognard, 1692).   A. Comolli, Bibliografia storico-critica...cit., I, p. 154.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


147
In effetti, ponendo sullo stesso piano l’incompletezza dell’approc-
cio di Winckelmann e quella del manierista Francesco Giugno ne
L’Arte della Pittura degli antichi273, Corazza fa torto ad entrambi, pur
velando il severo giudizio sullo studioso tedesco nelle ultime ri-
ghe della lettera. Gastaldi risponde a Corazza il 2 luglio successivo:

Voi, Corazza mio, negate al Winckelman o almeno concedete pic-


colissima parte di gusto, quand’io mi sarei creduto ch’egli ne aveva
moltissimo, non sapendo come altrimenti spiegare que’ suoi ineffabili
rapimenti alla vita del bello nell’arte? Dall’altra parte voi mi fate quasi
dubitare che ne mancasse, se, essendo l’opera del Winckelman un pro-
dotto d’immensa lettura, egli non avesse sufficientemente osservato ciò
che ne hanno lasciato scritto gli antichi intorno alle tre arti sorelle274.

Ai dubbi di Gastaldi si aggiungono quelli di Comolli:

Questo giudizio è per se stesso molto pregevole, ma potrebbe forse


avere maggior valore, se i difetti, che in essa [la Storia delle Arti] preten-
dono di ravvisare i sigg. Lessing, Klotz, Heyne, nelle prime edizioni, e
con molti altri anche l’edizione dell’ultima ristampa romana, fossero
appoggiati a prove migliori275.

Insomma, nonostante l’autorità riconosciuta a Corazza – peraltro


in buona compagnia nell’esprimere quel giudizio poco entusiasta
– Comolli non è intenzionato ad intaccare la propria stima per co-
lui che era già considerato unanimemente un pilastro della critica
artistica contemporanea. Tanto che nel trattare, nel terzo tomo della
Bibliografia, della Storia delle Arti276 e in particolare delle Osservazioni
sull’Architettura degli Antichi (prima ediz. Dresda 1764), nonché della
polemica tra Winckelmann e Paoli ancora sull’ordine delle colon-
ne di Paestum, egli riporta il giudizio favorevole già espresso in
proposito dal Fea, notando che le Osservazioni

sono a dire il vero di molta importanza, piene di quello stesso fondo


di erudizione, che l’autore ha profuso nel rimanente, e vi sono sparse
molte belle, e nuove ricerche, ed osservazioni, che non si trovano in
altri scrittori, che hanno trattata la materia per lo più superficialmente,
Johann Joachim Winckelmann, Storia delle Arti del Disegno presso gli antichi, o da semplici Architetti277.
ediz. italiana a cura di Carlo Fea, Roma 1783; frontespizio
Comolli propone poi una decisa rivalutazione della Allgemeine The-
orie der Schönen Künste dello svizzero Johann Georg Sulzer (Leipzig,
Questa storia mi è paruta, qual’è, un prodotto d’immensa lettura, di M.G. Weidmanns Erben und Reich, 1771-74) sottolineando, tra l’al-
mediocre riflessione (così essendo noi altri uomini i più), e di scarso tro, l’importante concetto da lui espresso riguardo al valore dell’o-
gusto, se non dispiace, ch’io chiami gusto quel fondo, che la natu- pera d’arte come prodotto destinato non solo al piacere di chi la
ra pone con varia misura in ciascun’uomo per gustare vivamente, realizza o la possiede, ma al bene pubblico. Nell’informare il lettore
e con piacentissima approvazione ciò, che specialmente dalle arti dell’intenzione di Sulzer di pubblicare una traduzione della Storia
dell’immaginazione ci vien fornito; non mancan però molti lumi di Winckelmann in francese (poi non più eseguita) egli commenta:
per formare un giudizio molto verosimile intorno alla metafisica, e
alla pratica delle arti appresso i Greci, e i Romani, ma con Winckel- Per noi è deplorabile che le sue opere siano poco conosciute alla nostra
mann è da leggersi il Giunio [sic] nella seconda edizione del trattato nazione: Winckelmann ha avuto in poco tempo traduttori, commenta-
della pittura degli antichi, che merita d’esser risguardato come l’e- tori, ed eruditi editori; potrebbe il Sulzer non meritare eguali onori, e
stratto di quanto hanno lasciato scritto intorno alle tre arti sorelle pubbliche rimostranze di plauso?278.
i Greci, e i Romani. Questi ha osservato i libri, e Winckelmann
i monumenti; né par che l’uno, e l’altro avesser dovuto posporre,
273
come fatt’hanno, quella parte, che hanno abbandonata, se volean   Non è stato possibile individuare l’edizione dell’opera di Giugno cui Corazza
fa riferimento.
più per intiero fornirci quella Storia, che hanno in parte ciaschedun 274
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/19, fol. 2. Cfr. pure X. AA. 29/16, lettere
di loro così bene trattata. Ben veggio però, che a questo modo an- del 7 marzo, del 4 giugno e del 19 agosto 1788, cit. in M. Rascaglia, op. cit., p. 42.
275
cora trattandola non saremmo mai soddisfatti, se l’autore non fosse   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p. 155.
276
inoltre fornito di quel genio, che intendendo egregiamente i precetti   Ivi, III, p. 196.
277
  Ivi, III, p. 197. Alle pp. 198-200 l’autore riporta gli apprezzamenti di vari studiosi
di queste arti, e le ragioni più ascose, ne sentisse anche nell’animo sull’utilità degli scritti di Winckelmann per gli artisti.
278
ciascheduna bellezza, e il sommo della perfezione.   Ivi, I, 65.

Capitolo quarto
148
In realtà, come ha sottolineato Kruft279, il testo di Sulzer oscilla tra il Memmo nella seconda parte degli Elementi (all’epoca ancora ine-
classicismo barocco di derivazione francese e il principio winckel- dita, sebbene nota a Comolli e pubblicata postuma solo nel 1834),
manniano di «una nobile semplicità e grandezza di forme», e tra il in cui egli dimostrerà «che fu il primo (il Lodoli), che libero ragio-
modello razionalistico dell’Encyclopédie e la ricerca del «carattere» nasse sull’Architettura, mostrando quanto con ornamento vi abbia
alla maniera di Boffrand o del secondo Blondel: se allora egli appare aggiunto il Sig. Conte [Algarotti] di suo proprio fondo»284. Tutto
straordinariamente innovativo nel proporre un’architettura dall’ac- questo, naturalmente, nulla toglie (e Comolli deve riconoscerlo) al
centuata funzione sociale e morale, o dal forte aspetto ‘sensoriale’ grande spessore culturale di Algarotti, come si sa stimatissimo presso
di marca inglese, d’altro canto il suo rifiuto del Medioevo lo pone le principali corti europee: basti pensare all’enorme considerazione
in contrasto con la tendenza introdotta proprio in quegli anni da che ne ebbero Federico di Prussia, che lo ammirò tra i tanti uomini
Goethe a favore di una rivalutazione del gotico. di cultura che frequentarono Berlino e Potsdam, e Anna Ivanovna,
Tra gli autori italiani coevi, Comolli segnala innanzitutto Bottari per zarina di Russia, che lo ospitò a San Pietroburgo nel 1739.
la già ricordata Raccolta di Lettere sulla Pittura, Scultura, ed Architettura Decisamente positivo è il giudizio di Comolli sugli Elementi285
(1754-73): in particolare, egli si riferisce alla citazione di una lettera – cui lo stesso recensore aveva collaborato, redigendone gli in-
di Mariette al conte di Caylus, in cui si possono rinvenire «rare noti- dici – in quanto anche Memmo, come il suo maestro, combatte
zie di Leonardo da Vinci, che non si hanno nella vita scritta da Vasari, l’idolatria e la copia pedissequa dell’antico, indagando la verità ar-
e fa vedere qual strada, per quali regole, e con qual metodo questo chitettonica e vedendo nella capanna primordiale solo un model-
gran pittore arrivò alla perfezione della sua arte»280. La lettera, inse- lo costruttivo, non evolvibile né trasponibile formalmente nella
rita da Mariette nell’edizione a sua cura (1730) dell’album di Caylus pietra, a differenza di quanto sostenevano sia Laugier che Milizia
contenente le incisioni dei grafici sul tema caricaturale tratti dal nel riconoscere in essa un riferimento ‘mimetico’, quindi anche
Codice Trivulziano, era riapparsa nel ‘67 in occasione della ristam- formale e stilistico, oltre che strutturale286 . Memmo, pur avendo
pa di quell’opera, venendo tempestivamente segnalata dal Bottari281: riconosciuto in Milizia colui che, per il suo genio di «architetto
Comolli risulta così, ancora una volta, attento agli aggiornamenti sul filosofo» e per le notevoli capacità analitiche, maggiormente ave-
tema vinciano, ai quali Corazza contribuisce continuamente. va messo a frutto l’insegnamento lodoliano, aveva però finito per
Accenniamo ora, in rapida sintesi, a quel ‘dibattito lodoliano’ cui contestare il teorico pugliese in più punti: così, nell’annuncia-
Comolli dedica molte pagine della propria opera, mostrando un re l’imminente uscita del secondo tomo degli Elementi, lo aveva
evidente interesse per il carattere innovativo e radicale della pro- esortato a tenersi pronto a ribattere; ma, come già accennato,
posta antivitruviana, verso la quale Corazza mantiene, invece, una l’edizione sarà data alle stampe molto più tardi 287.
posizione di maggiore cautela. Nella Bibliografia traspare la figura poliedrica, ma spesso ambigua, di
Nel recensire il Saggio sopra l’Architettura di Algarotti (in Tutte le
Opere, Cremona, L. Manini, 1779, t. III)282 Comolli cita le parole di
Memmo, che negli Elementi dell’architettura lodoliana del 1786 affer- che nemmeno una sol volta lo intese a ragionare sull’Architettura ordinatamente,
non avendo quel Cinico pazienza con nessuno di quelli, ne’ quali, come in esso,
ma di avere spronato l’amico molto tempo addietro ad esporre i conosceva una vera passione di venerar tutto ciò, che in tal disciplina derivasse dagli
principi del comune maestro Lodoli; cosa che Algarotti aveva fatto antichi, credendo fatica gittata ogni suo discorso» (A. Comolli, Bibliografia storico-
prima nel Saggio sopra l’architettura (1756), poi in un breve testo all’in- critica…cit., IV, p. 301).
284
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 302.
terno delle Opere varie (Venezia, Pasquali, 1757). L’autore, però, non 285
  Ivi,IV,pp.50-84.Si veda pure la recensione degli Elementi apparsa nelle Effemeridi Ro-
era stato apprezzato né da Memmo, né dallo stesso Lodoli, poiché mane del 1786,in cui era stato apprezzato,in particolare,lo sforzo di aggiornamento della
oscillava continuamente tra il vecchio e il nuovo modo di intendere teoria lodoliana alla luce delle pubblicazioni di Stuart e di Le Roy sui monumenti greci.
286
  Sappiamo come Memmo criticasse con forza la teoria vitruviana, sottolinean-
l’architettura, esponendo solo in parte e in maniera contraddittoria done le incongruenze e i punti oscuri, specie per ciò che riguardava l’origine degli
quelle teorie e non rinunciando in ogni caso alla lezione vitruvia- ordini e delle proporzioni delle parti dei templi, e prendendo quindi le distanze
na283. Ma la vera critica nei confronti di Algarotti verrà esposta da non solo da Alberti, Serlio, Scamozzi, ma anche dai più recenti de Chambray, Fe-
libien, Frézier, de Cordemoy, Laugier e dallo stesso Milizia: se da un lato, infatti,
questi ultimi avevano giustamente protestato contro l’uso «capriccioso» e falso delle
parti derivanti dagli ordini greci, dall’altro essi «furono infelici nello stabilire i veri
279 principj dell’arte architettonica, volendola ora derivare da un certo buon gusto
  Ivi, I, pp. 245-248. ch’essi poi definivano a lor capriccio, ora volendo che la capanna sia il modello che
280
  Ivi, I, p. 233. l’architettura debba sempre proporsi ad imitare, e nessuno infine di loro accorgen-
281
  Cfr. P.J. M ariette, Lettre sur Léonard de Vinci, peintre florentin, a Monsieur le C. dosi dell’assurdità che vi ha nel trasportare sulla pietra gli ornamenti nati sul legno,
de C., in Recueil de Testes de caractère & de Charges dessinées par Léonard de Vinci Flo- ed al legno solo convenienti» (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 74).
rentin & gravées par M. le C[te] de C[aylus], prima edizione Paris, chez J. Mariette, 287
  Ma in molti altri punti degli Elementi Memmo loda questo «Colonnello degli
1730, pp. 1-22; la seconda edizione del 1767, ampliata, fu curata da Jombert. La architetti filosofi», il quale «più di tutti s’approssimò a quella verità in architet-
lettera di Mariette verrà ripubblicata nella nuova stampa dell’opera di Bottari a tura, che dev’essere il gran soggetto del libero, ingenuo, ed intelligente filosofo
cura di S. Ticozzi (Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più architetto» (A. Memmo, op. cit., p. 264), aggiungendo: «Nelle varie benemerite sue
celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII pubblicata da M. Gio. Bottari e continuata opere d’architettura, oltre la molteplice ed opportuna erudizione, il buon ordine,
fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi, Milano, per G. Silvestri, 1822-25), II, pp. la chiarezza, e lo stile più pastoso, e più brillante di ogni altro moderno, dimostrò
206-48 e poi in quella di Ph. de Chennevières, A. de Montaiglon, Abecedario de l’ardor più veemente per la verità, disprezzando per essa qualunque riguardo, e
P.J. Mariette et autres notes inedites de cet amateur sur les art set les artistes, Paris, Impr. persin la propria lode […]. Lui solo citando sott’intenderò di citare tutti gli altri
de Fillet, 1851-60, III, pp. 139-75. filosofi architetti, che prima di lui dal più al meno avessero dette le cose stesse […].
282
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, pp. 297-304. In luogo di rimettermi a molti altri, che pur con lode si scagliarono contro gli abusi
283
  In realtà Algarotti non era stato il primo a trattare delle idee lodoliane, di cui introdotti nella castigata architettura de’ cinque ordini, approvo colla maggior, e più
avevano già fatto cenno l’abate Zaccaria Seriman nel suo ‘romanzo filosofico’ in- intima mia persuasione tutto quel che ne disse egli con vero zelo, con forza, e insie-
titolato Viaggi di Enrico Wanton alle terre incognite australi, ed al paese delle scimie. Né me con vera grazia, e quel che più importa co’ più sodi ragionamenti» (A. Memmo,
quali si spiegano il carattere, li costumi, le scienze, e la polizia di quegli straordinarj abitanti op. cit., p. 307). Ricordiamo qui per inciso che Memmo era a Napoli nel febbraio
(pubblicato anonimo a Venezia nel 1749, a Napoli nel 1756 presso A. Pellecchia, di 1786, allorché era in corso di stampa il suo libro sulla teoria lodoliana. Nell’84,
nuovo a Venezia nel 1757, infine a Berna nel 1764) e poi Girolamo Zanetti nelle quando era a Roma in piena fatica, aveva chiesto al «residente» della Repubblica di
lettere pubblicate in Memorie per servire alla storia letteraria (Venezia, presso S. Mar- Venezia a Napoli, A. Alberti, di trovare e inviargli molti libri di cui aveva bisogno:
sini e G. Fossati, 1753-58). Tra l’altro Comolli cita un brano di Memmo contenuto dalle lettere pubblicate dalla Pasquali si evince come già possedesse i testi di Car-
nelle Riflessioni sopra alcuni equivoci sensi espressi dall’orantissimo autore dell’Orazione letti e di Lamberti, e il Vitruvio di Galiani, avendo urgenza di recuperare l’opera di
recitata in Venezia nell’accademia di pittura, scultura, architettura nel giorno 28 settembre Gioffredo; Memmo confidava nella possibilità che sul mercato librario napoletano
1787 (Padova, G.B. Penada, 1788), in cui si legge che «l’Algarotti non vide mai si potessero trovare, tra gli altri testi, anche quelli di F. Blondel, Briseux, Perrault, Le
alcuno scartafaccio architettonico de’ molti, che aveva scarabocchiati il Lodoli, e Roy. Cfr. S. Pasquali, op. cit., pp. 10, 24.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


149
quell’«ammasso di eterogeneo», come lo stesso Milizia si definì: de- imparziale»294. Le critiche mosse a Milizia non sono dunque per
gna di nota è la recensione del saggio Dell’arte di vedere nelle belle arti Comolli significative, dovendo egli essere considerato un autentico
del disegno secondo i principj di Sulzer e di Mengs – pubblicato prima riformatore295.
a Venezia nel 1781, poi a Genova nel 1786 – in cui Comolli sembra Riguardo, infine, alla Roma delle belle Arti del disegno. Parte prima.
condividere le critiche indirizzate all’autore da più parti, specie per Dell’Architettura Civile (Bassano 1787), in cui le censure di quel «Don
gli strali rivolti contro tante insigni fabbriche romane288. Nel com- Chisciotte del bello ideale» erano giunte al culmine, non rispar-
mentare poi la terza edizione (Parma, Stamperia Reale, 1781) delle miando neppure le più importanti opere dell’antichità, Comolli se-
Memorie degli Architetti antichi e moderni, che avevano fatto seguito gnala una lettera anonima pubblicata nel «Giornale delle belle arti»
(con nuovo titolo) alle prime due de Le vite de’ più celebri Architetti del 1788, in cui si riporta provocatoriamente il giudizio di Milizia
d’ogni tempo, e d’ogni nazione (la prima a Roma nel 1768), il recensore circa il metodo da adottare per la migliore fruizione dell’architettu-
sottolinea l’estrema varietà dei giudizi espressi dai critici su queste ra: «Se i difetti per quanto si guardi, e si rimiri non si scuoprono, ma
opere, per «la libertà de’ sentimenti, creduti capricciosi; un gusto per trovarli si ha a maneggiare compassi, passetti, scale, archipendoli,
tutto nuovo, ma non abbastanza approvato, e applaudito; una critica non sono più difetti. Le fabbriche non sono fatte per essere misu-
costante, e severa, ma riguardata come ributtante, e cinica; un misto rate, ma per essere godute»296; per Milizia ha più senso, dunque, una
di dottrina, di erudizione, e di satira, che è sembrata ad alcuni un bellezza ‘relativa’, fatta di effetti e di correzioni ottiche, piuttosto
nuovo genere di affettazione»289. Ma da molti altri Milizia era stato che un bello assoluto, insito nel concetto vitruviano di simmetria.
apprezzato proprio per la sua stravaganza, come si legge nel giudizio Nelle sue accese critiche, Milizia adopera spesso termini coniati per
uscito a Napoli nel 1786 sul «Giornale Enciclopedico d’Italia»290, l’occasione, che secondo l’anonimo critico fanno comprendere «il
in cui si ricorda che Vanvitelli aveva appuntato sulla prima pagina genio di questo franco censore architettonico, di questo autorevole
della propria copia delle Memorie: «l’Autore di questo libro satirico è Colonnello degli architetti filosofi, che dispensa con tanta franchez-
Francesco Milizia»291, e si nota che quest’ultimo, «portando nell’arte za, e con il più generoso disinteresse, i titoli onorifici di barbaro a’
una metafisica assai rigorosa, sconcerta il piano corrente dell’opinio- Grandi, d’insensato agli Architetti, a tutti di frenetico, e di deliran-
ne anche in que’ punti, ne’ quali i meno schiavi artisti non hanno te; così pensa l’autore delle opere Architettoniche di Roma, e così
saputo mai immaginare stravaganza, e improprietà». pensa degli Architetti. Cosa si dovrà pensare di lui, e di queste sue
Ad ogni modo Comolli non può fare a meno di lodare i famosi riflessioni?». Questa volta Comolli mostra quasi di voler cedere allo
Principj di Architettura Civile pubblicati da Milizia a Finale nel 1781 spietato giudizio sull’opera, «di cui – osserva – malgrado tutte le
e poi a Bassano nel 1785292: «L’opera è senza adulazione il miglior critiche, l’autore minaccia la continuazione».
parto del fecondo suo ingegno, ed è uno de’ libri migliori, che ab-
biamo in architettura»293. Si era trattato, effettivamente, di un grande Consideriamo ora i giudizi di Comolli sulla coeva produzione
sforzo per dotare gli architetti di un codice teorico-pratico, visto teorico-critica del Mezzogiorno, evidenziandone ancora, ove pos-
che gli unici riferimenti erano ancora il libro di Vignola e il «gran sibile, l’ispirazione da parte di Corazza. Questi fornisce all’autore
codice della tariffa»: partendo da una condanna degli orpelli e dei della Bibliografia tutte le informazioni, opportunamente ‘mirate’,
capricci barocchi, Milizia dava consigli su come produrre architet- sui principali esponenti della trattatistica architettonica di marca
tura con semplicità e ragione, riuscendo ad affrontare con sagacia napoletana: tra gli altri nomi, emergono quelli di Bernardo de
il tema del «buon gusto» di ispirazione francese e dimostrandosi Dominici, Berardo Galiani, Mario Gioffredo, Giorgio Lapazzaja,
ancora una volta «metafisico profondo, conoscitore delicato, maestro Vito Caravelli, Vincenzo Lamberti, Niccolò Carletti, Emanuele
Ascione; tra gli storici napoletani più accreditati vi è Francesco
288
Antonio Soria, con le sue Memorie storico critiche del 1781, cui più
  Oltre ad annotare che nella seconda edizione «vi è di nuovo l’articolo Sagri-
stia Vaticana, ma sarebbe meglio, che non vi fosse» (A. Comolli, Bibliografia storico- volte abbiamo fatto cenno. Ce n’è quanto basta per un’autorevole
critica…cit., I, p. 202), l’autore esprime il proprio dissenso per il carattere censorio rappresentanza del dibattito meridionale in un’opera che avrà am-
e la condanna senza appello che Milizia fa di insigni monumenti romani, come il plissima diffusione in Italia; ma, a fronte di ciò, va sicuramente
Pantheon, il Colosseo, le chiese di San Pietro, San Paolo, Sant’Andrea della Valle, e
dei palazzi Farnese, della Cancelleria e del Campidoglio. Comolli riporta tra l’altro notata l’assenza di quello che può essere considerato il più signifi-
la critica anonima su quest’opera apparsa nelle Memorie enciclopediche di Bologna del cativo esponente del pensiero architettonico di influenza francese
1782 e riproposta nel 1785 nel «Giornale romano delle belle arti»; qui, con riferi-
mento a quanto affermato da Milizia in materia di pittura, si sottolinea l’ambiguità sul volgere degli anni ‘80, vale a dire il pugliese Vincenzo Ruffo297.
del giudizio su Raffaello, Tiziano e Correggio, mentre riguardo all’architettura si Nel 1789, ossia quando l’opera di Comolli era ancora in buona parte
legge: «Se uno dei primi abitatori della terra condotto dentro il Pantheon, in mezzo
alla sua sorpresa chiedesse all’architetto: chi ti ha insegnato a far tanto? E gli venis-
se risposto: la tua capanna, egli si crederebbe schernito, e guarderebbe con tanto
dispetto l’autore, quanto con meraviglia la fabbrica». Invece, «secondo il nostro 294
  Ivi, IV, p. 45.
Discernitore le boscaglie, e le caverne diedero l’idea delle capanne; queste in ap- 295
  Peraltro nel terzo volume dell’opera, dedicato alla solidità, Milizia si era dimo-
presso furono il modello dell’elegante architettura; anzi aggiunge: che avendo questa strato profondo conoscitore della meccanica, adottando gli stessi principi di Lodoli
(cioè la capanna) documentato un legittimo titolo d’immitazione, debba per giustizia essere riguardo al rispetto delle ragioni del materiale e quelli di Laugier nel senso di un
ammessa tra le belle Arti» (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p. 108). Dopo funzionalismo costruttivo, recuperati attraverso il Saggio sull’Architettura dell’Alga-
avere criticato Milizia per aver ridotto gli ordini a tre (dorico, ionico, corinzio) e rotti.
per aver pensato che si potesse persino «legittimare il Gotico» (proprio come aveva 296
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, p. 211.
fatto de Cordemoy), l’anonimo autore concludeva provocatoriamente: «Le migliori 297
fabbriche di Roma (poiché in essa si racchiude tutto il suo mondo) sono piene di   Ruffo, nato a Cassano delle Murge nel 1749, fu a Napoli a partire dal 1762,
difetti. Né Vitruvio, né Raffaello, né Palladio sono giunti alla perfezione. Quanto sarebbe restandovi fino alla prematura morte, avvenuta nel 1794. Fu accademico della Real
desiderabile un suo disegno!». Accademia delle Belle Arti di Firenze, a norma del titolo attribuitogli da Pietro
289 Leopoldo di Toscana (cognato di Ferdinando IV) nel 1788, di ritorno da un viaggio
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., II, p. 136.
290 in Europa in qualità di intendente del granduca. Dopo aver prestato servizio per
  Tip. G. Campo, 1786, t. II, n. XXIII, p. 181. Pietro Leopoldo quando questi acquisì la reggenza degli stati austriaci e dell’impero
291
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., II, p. 137. germanico, frequentando i salotti viennesi, l’architetto pugliese lavorò alla corte di
292
  Nella R. Biblioteca borbonica si custodivano una copia delle Memorie degli Ferdinando IV. Cfr. F. Strazzullo, L’architetto Vincenzo Ruffo e il suo Saggio sull’ab-
architetti antichi e moderni (Parma, Stamp. Reale, 1781) e una dell’edizione di Bassano bellimento di cui è capace la città di Napoli, 1789, Napoli, Giannini, 1991; F. Adriani, La
(Remondini, 1785) dei Principj di Architettura Civile, oggi non più presenti presso la formazione delle idee di un trattatista cosmopolita, in Vincenzo Ruffo. Quattro saggi, a cura
Biblioteca Nazionale di Napoli. di F. Adriani, Napoli, A. Guida editore, 2001, p. 18; B. Gravagnuolo, Architettura del
293
 A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 42. Settecento a Napoli dal Barocco al Classicismo, Napoli, Guida, 2010, pp. 255-270.

Capitolo quarto
150
da completare, Ruffo aveva già pubblicato a Napoli il Saggio ragio-
nato sull’origine, ed essenza dell’Architettura Civile, il Saggio filosofico sul
Bello e il Saggio sull’Abbellimento di cui è capace la Città di Napoli298;
testi densi di idee in materia di estetica dell’architettura e della città
che, sebbene in gran parte mutuati da Laugier e da Milizia, non
sono privi di contributi innovativi e degnamente avrebbero figurato
tra le recensioni degli scritti più autorevoli del settore. Possibile che
Corazza non abbia segnalato a Comolli le opere di un personaggio
da tempo attivo nell’ambiente di corte? In realtà, sebbene il carat-
tere progressista e anticurialista dei testi di Ruffo risulti facilmente
condivisibile da un convinto riformista come Corazza, questi pre-
ferisce come sempre, per la sua stessa posizione, lavorare nell’ombra,
tenendosi alla larga dalle connotazioni politiche insite in quei saggi,
pur validi in ambito filosofico ed estetico. Viceversa re Ferdinando,
animato, in questa fase, da un sano spirito di riforma, non solo non
vedrà mai in quegli studi i contenuti progressisti che, a partire dal
1806, vi riconosceranno anche i francesi, adottando alla lettera il
secondo di essi come base per la politica urbanistica nella capitale299,
ma addirittura nel 1791 il sovrano incaricherà Ruffo di eseguire un
viaggio in Europa (compiuto entro il 1794) con lo scopo di studiare
le tecniche industriali e le macchine più avanzate per poi riproporle
nelle industrie del Mezzogiorno300. Iniziativa d’altronde molto simi-
le a quella intrapresa solo qualche anno prima, ma per proprio con-
to, dal conte Carlo Castone della Torre Rezzonico, facendo arrivo
a Napoli nel 1790 e aderendo, come abbiamo visto, al cenacolo dei
Belforte: che Ruffo possa aver anch’egli frequentato la villa di Posil-
lipo traendo utili spunti per il viaggio dall’esperienza di Rezzonico
è, a questo punto, abbastanza realistico, come del resto un incontro
con Corazza nella stessa sede.
La posizione radicale di quelle idee e il loro evidente taglio politico
potrebbero essere risultati troppo spinti anche per Comolli, sco-
raggiandolo da una pur opportuna recensione. Eppure, sul piano
dell’estetica urbana, l’autore del Saggio sull’Abbellimento era riusci-
to a recuperare le fila di quasi mezzo secolo di discussioni svoltesi
nell’ambiente degli intellettuali napoletani – iniziate dalla famosa
Lettera ad un amico di Giovanni Carafa duca di Noja del 1750 e ispi-
Vincenzo Ruffo, Saggio ragionato sulla origine, ed essenza dell’Architettura Ci-
rate alle coeve proposte di Voltaire, di Laugier e di Patte per Parigi vile, Napoli 1789; frontespizio
– nel concepire un programma organico degli interventi improcra-
stinabili per trasformare la capitale borbonica in una moderna me-
tropoli illuminista, ispirata al modello dell’Encyclopédie e dotata delle rigorismo, esaltando una bellezza che da un lato derivi, come per
attrezzature pubbliche che la società borghese richiedeva ormai a Milizia, dalla grandiosità, dall’unità e dalla varietà, ma che dall’altro
gran voce. Nel Saggio ragionato, poi, Ruffo aveva mostrato una chiara sia sempre giustificata, come in Lodoli, dalle esigenze costruttive
volontà di schierarsi all’interno del dibattito teorico-architettonico di necessità, comodità e solidità. La ragione e la filosofia, ancora
della seconda metà del secolo: pur partendo da una stima incon- una volta, ispireranno la buona architettura: l’esempio palmare della
dizionata nei confronti di Vanvitelli e della sua architettura libera mancanza di ragione e di buon senso è, anche per Ruffo, la depre-
dai canoni del classicismo codificato, egli intraprende la strada del cata Sagrestia vaticana di Marchionni301.
La comune radice mengsiana dei concetti di bellezza e di imitazione
298
  V. Ruffo, Saggio sull’abbellimento di cui è capace la città di Napoli, Napoli, presso
M. Morelli, 1789. Si veda pure l’interessante scritto: Sulla Rinnovazione de’ progetti
relativi all’abbellimento e alla pulizia della città di Napoli onde il fine di tale esecuzione 301
  Ancora un’eco significativa delle idee di Milizia e di Ruffo in materia di este-
possa corrispondere al Principio, pubbl. anonima, Napoli, s.n., s.d. tica urbana si ritrova nella produzione teorica di Vincenzo Marulli (1768-1808),
299
  A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Napoli, interessante studioso e architetto napoletano, attivo negli anni della prima restaura-
Ediz. Scientifiche Italiane, 1985, passim. zione borbonica (1799-1805), di cui va sottolineato soprattutto l’impegno teorico,
300
  G. Matacena, Architettura industriale nel Regno tra primo e secondo periodo borbo- segnatamente con riferimento alle teorie sull’architettura della città, alle tematiche
nico, in A. Buccaro, G. Matacena, Architettura e urbanistica dell’età borbonica. Le opere etico-estetiche e ai rapporti tra progetto urbano, ambiente e natura: va notato come
dello Stato, i luoghi dell’industria, Napoli, Electa Napoli, 2004. Il sovrano, desideroso nell’opera di Marulli, autore su tali argomenti di due importanti saggi – L’Arte di
«di far tornare a profitto di questo regno i lumi e l’esperienza del Ruffo, gli impose ordinare i giardini (Napoli 1804) e Su l’architettura e su la nettezza delle città (Firenze
di visitare la Sassonia, l’Inghilterra, l’Olanda, la Francia e la Svizzera, e frutto del 1808) –, si possa individuare il logico sviluppo delle teorie illuministiche sull’ar-
suo viaggio fu il più esteso sviluppo del suo ingegno nelle scienze architettoniche, chitettura e sulla città, ormai non più indirizzate soltanto verso un concetto di
e l’acquisto per conto della Corte di diverse macchine, che furono depositate in bellezza ideale fine a se stessa, né unicamente ispirate al razionalismo durandiano,
Caserta» (M. Garruba, Serie critica de’ Sacri Pastori Baresi, corretta, accresciuta ed illu- ma rivolte, attraverso la lezione di Ledoux e lo sfortunato tentativo di San Leucio,
strata da M.G. Arcidiacono della stessa chiesa di Bari, Bari, Tip. Fratelli Cannone, Bari alla soluzione di quelle improcrastinabili esigenze di utilità sociale che venivano
1844, p. 793). Cfr. pure sul viaggio di Ruffo, svoltosi tra il 1791 e il 1794, C. Garzya ormai poste all’attenzione della classe politica dal ceto borghese e che avrebbero
Romano, L’architetto Vincenzo Ruffo al soldo di Ferdinando IV. Un caso di spionaggio animato l’intero dibattito ottocentesco. Cfr. G. Menna, Architettura e natura per la
industriale, in «Quaderni dell’Accademia Pontaniana», n. 49 (2007). città moderna. I trattati di Vincenzo Marulli (1768-1808), Milano, Franco Angeli, 2008.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


151
significativa: posto per la prima volta all’attenzione degli studiosi da
Benedetto Croce per l’importanza dei suoi contenuti307, lo scritto
dimostra come Galiani sostenesse in architettura un concetto di bel-
lo ancora fortemente legato alle proporzioni armoniche – e, in tal
senso, ovviamente vitruviano – aggiungendo quindi alle regole della
grammatica architettonica quelle della musica e della retorica, «per
persuadere e muovere le passioni». Comolli riporta in proposito le
parole dell’Ascione sulla teoria del marchese:

I°. che siccome l’orecchio il primo ha scoperto la cagione del bello nella
musica, detto però armonico, conviene perciò servirsi delle regole ar-
moniche per avere il bello degl’altri sensi ancora; II°. Che per avere una
bell’opera fa bisogno unire uniformità, e varietà, però con similitudine,
ordine, e proporzione ec.; III°. Finalmente, che tutto ciò non basta, non
essendo altro, che i soli primi fondamenti, li simili, che si apprendono
colla grammatica per le lingue, onde per piacere, e persuadere ci vuole
ancora della Rettorica, e di più del gusto, e del genio per inventare.

Vincenzo Lamberti, Voltimetria retta ovvero misura delle volte, Napoli 1778; Che il pensiero di Galiani fosse basato sui retaggi del più convinto
frontespizio vitruvianismo è ben noto e in questa direzione ci pare vada anche
il giudizio di quanti recentemente si sono occupati della sua opera,
nel pensiero di Corazza e in quello di Milizia, come la diretta filia- sottolineandone il valore filologico ma anche i forti limiti in rela-
zione estetica delle idee di Ruffo da quelle di Milizia e di Laugier, zione al processo, intrapreso da Perrault un secolo prima e in pieno
suggerirebbero la necessità di un’indagine più approfondita sull’e- fervore a quell’epoca, di revoca in dubbio dell’autorità sine conditione
sistenza di concreti legami teorici tra il critico bolognese e l’autore del testo antico308. In proposito appare significativo che Comolli
del Saggio ragionato302. Noteremo soltanto come l’idea di bellezza si affretti a prendere le distanze dall’opera dell’erudito napoletano,
espressa da Ruffo non sia lontana da quella di Corazza nella distin- annoverando, tra gli autori che si erano cimentati sul tema dell’«ar-
zione tra «bellezza naturale» e «artificiale» o ideale, come pure nella chitettura armonica», alcuni di quelli che l’avevano più aspramente
comune apertura verso le definizioni di «sublime» e di «espressione» contestata, dando seguito ed esito alla famosa querelle:
date da Burke e Le Camus, o verso quelle di «carattere» e «conve-
nienza» dell’edificio proposte da Cordemoy e dallo stesso Laugier. il Perrault ne’ Comenti a Vitruvio, il Cordemoy nel Trattato d’architettura, il
Brisseux [sic] nel Trattato sopra il bello essenziale nell’architettura, il Morris
Con riferimento agli autori meridionali, Comolli parte dalla se- nelle Lezioni d’architettura, il Laugier nel Saggio d’Architettura, e fra gli Ita-
gnalazione del significativo contributo teorico di Berardo Galiani303 liani ilVittone nelle Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’architetto civile309.
e in particolare dalla citazione del Catalogo della Collezione di Libri
appartenenti alle belle Arti, e all’Agricoltura del fu Marchese Berardo Ga- Nella stesura della Dissertazione ebbe un ruolo di consulente il Bot-
liani (Napoli 1776), da cui, oltre all’elenco dei libri utilizzati nella tari310 , di cui, oltre a quanto già ricordato, è nota l’influenza sulla
stesura de L’architettura di M. Vitruvio Pollione – come abbiamo visto critica artistica nella capitale borbonica a cavallo della metà del
oggetto di grande interesse da parte di Corazza – si evince che il secolo311. Bottari intrattenne intensi scambi culturali anche con lo
marchese, membro dell’Accademia Ercolanense e Architetto di me- zio di Galiani, mons. Celestino, Cappellano Maggiore del re, poi
rito di quella di San Luca, prima di morire (1774) era in procinto con il fratello Ferdinando e con numerosi altri protagonisti dello
di terminare un Trattato sul Bello, premessa ad un intero Corso di stesso ambiente filosofico, scientifico e letterario; al contrario, ab-
Architettura, e un altro di Architettura e Prospettiva: queste notizie tro- biamo visto come egli sia stato sempre, per la sua posizione gianse-
vano riscontro nel ricco carteggio di Galiani conservato presso la
Società Napoletana di Storia Patria304, in cui sono presenti le bozze
manoscritte di tutte queste opere. Del Trattato sul Bello Comolli305 architetti di ispirazione vanvitelliana e gli ingegneri ‘puri’ che si formeranno,
a partire dal 1811, presso la Scuola di Applicazione della capitale. Sull’Ascione
cita in particolare l’inedita Dissertazione metafisica del bello – segnala- si vedano: P. Napoli Signorelli, op. cit., VII, pp. 243-244; G.B.G. Grossi, Le
tagli da Emanuele Ascione, ingegnere militare e segretario dell’Ac- belle arti: opuscoli storici su le arti e professori dipendenti dal disegno ne’ luoghi che oggi
formano il regno di Napoli, Napoli, Tip. del Giornale Enciclopedico, 1820, pp. 173-
cademia di Belle Arti306 – che ne avrebbe costituito la parte più 174; N. Morelli di Gregorio, Biografia dei Contemporanei del Regno di Napoli,
Napoli, Tramater, 1826, p. 133; A. Borzelli, L’Accademia del disegno nel decennio
1805-1815, in «Napoli nobilissima», X, 1901, p. 56; P. Napoli Signorelli, Gli ar-
tisti napoletani della seconda metà del secolo XVIII (introd. di N. Cortese e note di
302
  Ruffo attribuisce a Mengs il massimo credito in ambito estetico: «Si scuopre G. Ceci), in «Napoli nobilissima», n.s., II (1921), p. 16. Cfr. anche A. Venditti,
una Statua antica, vi sono dieci spettatori imparziali ad osservarla, tra essi v’è Mengs. Architettura neoclassica a Napoli, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1961, passim, e
Io mi atterrò al giudizio di Mengs, non ostante che sia in opposizione con quello l’ampia bibliografia sull’Ascione citata in G. D’Errico, Il regio ingegnere Giuseppe
degli altri nove» (V. Ruffo, Saggio filosofico sul bello, Napoli, s.n., 1790, p. 62). Giordano nella cultura borbonica tra ‘700 e ‘800, in Storia dell’Ingegneria. Atti del 2°
303
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, pp. 77-78. Convegno Nazionale (Napoli, 7-9 aprile 2008), a cura di S. D’Agostino, Napoli,
304
  S.Villari, op. cit., pp. 697-698. Cuzzolin Editore, II, 2008, p. 1103, nota 13.
307
305
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, pp. 233-235.   B. Croce, Problemi di estetica, Bari, Laterza, 1910, pp. 392-393. La Dissertazione è
306 conservata in originale in BNN, Manoscritti e Rari, XII. D. 94. Cfr. pure S. Villari,
  L’ingegnere auspica la pubblicazione della Dissertazione a cura di Francesco
op. cit., p. 698.
Azzariti, nipote ed erede del Galiani. Emanuele Ascione fu un interessante pro- 308
fessionista della generazione di Francesco La Vega, Antonio Winspeare, Fran-   S.Villari, op. cit., p. 704.
309
cesco Sicuro, Francesco Carpi e altri ingegneri militari che, con la loro prepa-   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, p. 235.
310
razione tecnico-umanistica e una già consistente sensibilità per il tema dell’an-   Ivi, III, pp. 229-237.
311
tico, costituirono nell’ambiente napoletano di fine secolo il trait d’union tra gli   S.Villari, op. cit., II, pp. 696-705.

Capitolo quarto
152
nista, in pessimi rapporti con Vanvitelli, convinto sostenitore della Nella Bibliografia si possono trovare pure interessanti cenni riguar-
pratica professionale contro gli ‘sterili’ dibattiti teorico-scientifici. danti Mario Gioffredo318.Vi si legge, ad esempio, che il testo del noto
Ma questo, a quanto pare, non compromise, fino all’inizio degli «elogio» pubblicato all’indomani della sua scomparsa (1785) da padre
anni ’70, le sue strette relazioni con la cultura napoletana, se egli Niccolò Carlino319 fu fornito a Comolli proprio da Corazza, venen-
sceglierà proprio Napoli come luogo della nuova edizione dei Dia- do poi chiosato dal de’ Vegni e da questi inserito nelle Memorie per le
loghi sopra le tre arti del Disegno corretti ed accresciuti (1772) dopo quella Belle Arti del 1788320. Ma il giudizio che l’abate bolognese unì a quel
fiorentina di due anni prima: in proposito Comolli riporta le favo- testo non fu particolarmente entusiasta:
revoli osservazioni del de’ Vegni, con citazioni proprio dall’opera
di Galiani312 . Non vorrà ella da questo scritto prender troppa sicurezza su ‘l sano, e
Nel commentare poi le Vite de’ Pittori, Scultori, ed Architetti Napo- molto meno sull’elegante suo [di Gioffredo] gusto nelle cose dell’arte,
letani313 di Bernardo de Dominici (1742), Comolli riporta il poco che le poche opere di lui da me vedute, non si concordano con que-
noto giudizio espresso a favore dell’opera dal Formay nella Biblioteca sto scritto; se già quella idea, che m’hanno fatto concepire del bello
Imparziale (Leide, 1753): «La materia è ricca, non essendovi forse cit- architettonico le migliori cose, che ci rimangon dell’antico, e le più
tà, dove la pittura, la scultura, e l’architettura abbiano mantenuto il scelte fabbriche de’ ristoratori dell’arte, di Palladio singolarmente, non
loro lustro più lungamente, ed abbia prodotti più capi d’opera che mi tengono in errore. Checche sentisse altri in contrario, il manderei a
Napoli». Ma l’autore della Bibliografia si affretta a sottolineare: «Che visitare la porta, che il sig. Gioffredo alzò dinanzi alla così elegante fac-
diranno di questa proposizione gli autori dell’Etruria pittrice?»; per ciata di questi sig. Orsini duchi di Gravina, murata già innanzi alla fine
lui de Dominici è animato principalmente dal fatto che Vasari ha del sec. XV, e degna di stare fra le più belle opere del secolo seguente,
esaltato troppo gli artisti toscani e dimenticato molti napoletani. cui tanto debbon tutte le belle arti321.
Con riferimento poi alla stampa, il recensore non lesina certo cri-
tiche per i numerosi refusi che vi si trovano: «L’opera fu impressa Corazza aveva prestato servizio presso i duchi di Gravina per un
interrottamente, e con poco buon metodo, dal che ebbero forse decennio, avendo modo di osservare ogni giorno il portale mar-
origine i molti errori, che incontransi frequentemente in ogni vita. moreo di ordine tuscanico realizzato nel 1772 da Gioffredo per il
In tre anni di tempo poteva esservi tutto il comodo di dare un’edi- cinquecentesco palazzo di famiglia, sito in via Monteoliveto e oggi
zione corretta e ben ordinata»314. Nonostante l’assenza, in molti casi, sede della Facoltà di Architettura: dopo l’esperienza di qualche anno
di un giudizio critico da parte dell’autore – e, aggiungeremmo, le prima, relativa al bel portale ionico del palazzo Partanna nel largo
numerose accertate sviste nelle attribuzioni – Comolli giudica l’o- Santa Maria a Cappella (oggi piazza dei Martiri), l’architetto aveva
pera lodevole e ricca di notizie e giudizi assunti attraverso la diretta concepito una struttura di già neoclassica compostezza, ma indub-
conoscenza degli artisti o il reperimento di manoscritti inediti315. biamente stridente sia per l’impaginato sia per le peculiarità materi-
Egli conforta la propria opinione con quella di Vincenzo Lamberti, che con il fronte dell’edificio rinascimentale.
«uno di que’ gentilissimi letterati, cui debbe moltissimo questa Bi- È ben nota l’ampia cultura di Gioffredo, alimentata attraverso attenti
bliografia architettonica»316; e infatti proprio una lettera indirizzata studi del mondo classico e dei principali trattatisti del Cinquecento,
da Lamberti a Comolli l’11 dicembre 1788 risulta ricca di notizie che avevano condotto l’architetto, nel 1768, a cimentarsi nell’am-
personali sull’autore delle Vite317. bito teorico con la pubblicazione del primo volume di un trattato
Dell’Architettura322. Ma, a fronte degli indubbi meriti di quest’opera
312
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., I, pp. 264-274. Sappiamo pure da
Comolli che Bottari aveva avuto accesso ben prima di Corazza e di Bianconi ai
manoscritti della Biblioteca Albani, traendone importanti elementi per la sua Rac- fare seguito il saggio su Ritratti e giunta su le Vite de’ Pittori Napolitani raccolte da
colta (ivi, III, p. 233).Va detto però che in più di un’occasione il meticoloso Comolli Onofrio Giannone. Giannone, nato a Napoli nel 1698, studiò pittura con Paolo de
‘corregge’ Bottari su particolari relativi a figure di artisti, tra cui proprio Leonardo, Matteis, poi architettura, fornendo aiuto al Solimena per raffigurare gli sfondi
a proposito del quale denuncia le numerose imprecisioni in cui incorre lo studioso, architettonici nei suoi dipinti. Egli, secondo lo stesso de Dominici, scrisse anche
come ad esempio in merito alle date di nascita e di morte (ivi, III, p. 207). un trattato in materia di prospettiva. Comolli lesse i Ritratti e giunta allo stato di
313
  Ivi, II, pp. 244-253. manoscritto; lo studio verrà pubblicato solo un secolo più tardi: cfr. O. Gianno -
314
  Ivi, II, p. 249. ne, Giunte sulle vite dei pittori napoletani, Napoli, a cura della Società Napoletana
315
  Comolli critica, tra l’altro, de Dominici perché non ha dato notizia, tra gli di Storia Patria, 1914. Il testo, di proprietà di Antonio Laviano marchese del Tito,
scrittori in materia di arte napoletana, di Giovan Battista Bongiovanni, che aveva era stato affidato al citato ingegnere Ascione, che aveva dato a Comolli le noti-
pubblicato le Vite de’ pittori antichi napoletani fino all’anno 1600 (Napoli, s.n., 1674) zie necessarie, facendo però notare come Giannone contestasse passo per passo,
prima del de Dominici. Ma neppure il Lamberti era riuscito a recuperare copia di spesso senza ragione, il de Dominici, finendo per criticare tutti gli artisti. Oltre
questo saggio, tuttora irreperibile. al fatto che le critiche di Giannone si sarebbero dimostrate in buona parte fon-
316 date, va notato come Ascione giudicasse pregevole l’apparato iconografico del
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., II, p. 251. L’autore asserisce pure di
manoscritto, al punto da essere intenzionato ad utilizzare parte di quei pregevoli
aver ricevuto dal Lamberti, il 31 ottobre 1786, una lettera recante una sintesi del
disegni (37 a penna, 7 incisi a bulino) nella propria opera sui monumenti napole-
contributo del de Dominici in materia di architettura.
317 tani, che però resterà interrotta. Ciò è confermato da un’altra lettera di Lamberti
  Ivi, II, p. 253: «Bernardo de Dominici nacque in Napoli circa l’anno 1687, da a Comolli del 7 marzo 1788 (A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., II, p. 253).
onesti parenti. Nella sua gioventù fu educato nelle lettere, e di poi passò a studia- 318
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., II, pp. 341-342. Si vedano in propo-
re il disegno, impiegandosi al paesaggio, ed ebbe molta inclinazione nell’imitare
sito: G. Fiengo, Gioffredo e Vanvitelli nei palazzi dei Casacalenda, Napoli, Editoriale
in piccolo le bambocciate de’ Fiamminghi. Non fu pittore di molto grido, poi-
Scientifica, 1976; Mario Gioffredo, a cura di B. Gravagnuolo, Napoli, A. Guida, 2002;
ché non fu dotato dalla natura di molto talento. Si dette a raccogliere le notizie
B. Gravagnuolo, Architettura del Settecento a Napoli…cit., pp. 125-154.
de’ pittori della sua patria, non mai scritte, né pubblicate da alcuno autore. Fece 319
il suo primo, e secondo tomo pieno di sincerità, e da storico veridico, ed il terzo   L’elogio faceva seguito a quello già redatto da p. Benedetto Rocco e pubblicato
fu mischiato di adulazioni, e si rese scrittore menzognero con alcuni pittori, ed nel «Giornale Enciclopedico di Napoli» (p. III, mar. 1785), ritenuto però troppo
architetti suoi coetanei, e questo accadde per motivo dello stato d’indigenza, in limitato. Cfr. Mario Gioffredo …cit., pp. 53-61, 167-191.
320
cui si trovava il povero de Dominici, il quale desiderava di pubblicare la sua fa-   Memorie per le Belle Arti, cit., p. CXIII; 2a ediz. ivi, 1799. Le Memorie furono cura-
ticosa storia per ritrarne qualche sollievo; laonde Solimena, il Santafede, Franci- te dal de’ Vegni a partire dal 1788 in luogo del Boni, non più a Roma. Si veda pure
schello, ed altri, che procurarono di comprarsi le loro adulazioni contribuirongli in proposito BNN, Manoscritti e Rari, X.AA.29/16, lettera di Comolli a Corazza del
denaro per la stampa del suo libro, per il che fu pubblicato circa 22 anni prima 7 marzo 1788.
321
della sua morte, che successe intorno all’anno 1766, lasciando la sua famiglia in   Lettera di Corazza a Comolli del 4 marzo 1788, in A. Comolli, Bibliografia
stato umile. Egli fu di statura piccola; raccolse molte stampe, e fece particolar- storico-critica…cit., II, p. 343, nota a).
322
mente una collezione di disegni di autori della scuola napoletana, che furon   Dell’architettura di Mario Gioffredo architetto napoletano Parte prima, nella quale si
comprati per poco prezzo dopo la sua morte dal notaro D. Gaetano Califano tratta degli Ordini dell’Architettura de’ Greci e degl’Italiani, e si danno le regole più spedte
gran raccoglitore di stampe e disegni». All’opera di de Dominici avrebbe dovuto per disegnarli, Napoli, s.n., 1768.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


153
nella precoce diffusione del linguaggio neoclassico in ambito napo- di fisica, furono dal dotto autore pubblicati questi elementi in undici
letano grazie agli eruditi apparati teorici e ad acute indagini sulle vol. in 8° colla data di Napoli 1770, e contengono l’Aritmetica, la Geo-
origini dell’architettura323, va detto che dal punto di vista della prati- metria piana, solida e pratica, l’Algebra, la Statica, l’Idrostatica, l’Idrau-
ca professionale Gioffredo manifestò non poche incertezze in occa- lica, e tutte le altre diramazioni della matematica. L’opera corrisponde
sioni tutte segnate dalla presenza di un avversario d’eccezione: Luigi all’oggetto proposto, cioè d’istruire con chiarezza, e facilità i giovani
Vanvitelli. Basti pensare alle polemiche sorte per la costruzione delle studiosi, onde merita d’essere loro proposta, come una delle opere più
fabbriche per i duchi di Casacalenda, ossia il palazzo in piazza San profittevoli in questo genere di generali instruzioni architettoniche328.
Domenico Maggiore a Napoli e la villa Campolieto a Resina, in cui
egli fu sistematicamente scalzato dal potente progettista di Caserta324. Caravelli rappresentava quella figura di scienziato ‘totale’ che Coraz-
Il poco lusinghiero giudizio di Corazza su Gioffredo conferma za, a giudicare dai comuni interessi scientifici, dovette certamente
dunque la simpatia del critico bolognese per gli ‘artisti-scienziati’ ammirare. Eppure, a distanza di mezzo secolo, il solo fatto di appar-
contro l’impostazione vitruvianista di quel ceto di architetti che tenere alla tradizione della scuola militare, invisa a quella di Ponti e
si ispiravano all’opera di Galiani. Per quanto di spirito purista, Strade, basterà perché Carlo Afan de Rivera così si esprima su di lui
dichiaratamente palladiano e antibarocco, Gioffredo non entrerà e su Niccolò Carletti: «Generalmente l’istruzione dei nostri archi-
mai nei circoli dell’Arcadia napoletana né, quindi, nei cenacoli tetti non era poggiata sullo studio profondo delle matematiche pure
illuministi della capitale borbonica: rimasti inediti gli altri due e applicate e l’Architettura idraulica del Carletti e la Meccanica del
tomi del trattato dopo la sua morte, negli anni ’80-’90 avranno Caravelli mostrano quanto eravamo indietro in questo ramo della
maggiore diffusione in quell’ambiente gli scritti di Milizia, cer- scienza»329.
tamente più vicini alle istanze architettoniche e urbanistiche del Va invece ricordato come la scuola matematica napoletana avesse
nuovo razionalismo borghese. raggiunto sin dalla metà del XVIII secolo una notevole fama in
Circa poi la saggistica napoletana in materia di scienze dell’architet- Italia e all’estero. Intorno alle figure di Caravelli, di Niccolò e Pietro
tura e dell’ingegneria, riportiamo gli interessanti pareri di Comolli de Martino, di Francesco Serao, di Girolamo Saladini, e alle loro
sull’opera di scienziati e professionisti animatori del fervido dibatti- frequentazioni presso la dimora del principe di Tarsia (possessore,
to teorico-scientifico, cui Corazza fu assai interessato325. come narra l’Amodeo, di macchine di fisica che non aveva neppure
Tra gli altri studi, emergono i già citati Elementi di Matematica di Vito l’Università) e quella di Faustina Pignatelli principessa di Colubrano
Caravelli (1770)326. Illustre matematico e scienziato lucano, coetaneo (ricordata anche da Voltaire e dallo Châtelet) si articolavano accese
di Corazza e da questi segnalato all’autore della Bibliografia, Caravelli, e aggiornate dispute su questioni di fisica, come ad esempio quella
già docente a Napoli dal 1735 presso la Reale Accademia di Marina sulla misura delle forze – di cui parla a proposito dell’importanza
con Pietro de Martino, a partire dal 1744 insegnò matematica, tec- degli scienziati napoletani Francesco Maria Zanotti in Della forza dei
nica di artiglieria e arte delle fortificazioni nella neo-istituita Reale Corpi che chiaman viva (Bologna 1752) – dibattuta come si sa in am-
Accademia Militare di Artiglieria327: fu autore, tra l’altro, degli Ele- bito europeo tra cartesiani e leibniziani; o, nei primi anni ’70, quel-
menti dell’Architettura militare (Napoli 1776) e di numerosi altri saggi la sull’elettricità, animata da un’altra interessante figura femminile,
nel campo della meccanica, dell’idrostatica e dell’astronomia. Così si Maria Angela Ardinghelli, che è ricordata dal Lalande e dal Nollet
legge dunque riguardo agli Elementi: come seguace delle teorie di Benjamin Franklin330.
Uno dei più promettenti allievi di Caravelli, Vincenzo Lamberti
È questo uno dei più utili, ed istruttivi Corsi di Matematica ad uso del- (Napoli, 1740-1790331), era da poco scomparso all’epoca in cui Co-
la gioventù studiosa, e soprattutto degli architetti sì civili, che militari. molli redigeva il terzo tomo della Bibliografia: nel 1788, appena usci-
Per ordine del regnante Ferdinando IV Re di Napoli, e ad uso di quella to il primo, l’autore si era affrettato ad inviarne copia a Lamberti
reale accademia militare, di cui il Caravelli è attual direttore e professore proprio attraverso il comune amico Corazza332. Insieme con Car-
letti, egli fu tra gli ingegneri-architetti più significativi della nuova
323
generazione che fece seguito alla stagione vanvitelliana, assicuran-
  Cfr. Mario Gioffredo …cit., passim.
324
  G. Fiengo, op. cit., passim.
do così il passaggio dalla pratica di un ‘professionismo militante’
325
  Oltre alle opere che qui citiamo, Comolli segnala tra l’altro, in materia di cul- all’imponente produzione teorica e tecnica ottocentesca333. Comolli
tura e scienza napoletana, anche l’importante opera di Matteo Barbieri su Notizie ce ne offre consistenti notizie biografiche, insieme con il catalogo
storiche de’ matematici, e filosofi del regno di Napoli (Napoli, s.n., 1778, 2 voll.), da ag-
giungersi a suo parere, per l’ampiezza degli argomenti trattati, alle citate Memorie completo dei suoi scritti: personaggio di spicco del panorama della
storico critiche degli Storici Napoletani di Soria (1781). scienza napoletana, Lamberti emerge più volte all’interno della cor-
326
  L’opera di Caravelli (Montepeloso 1724-Napoli 1800), dal titolo completo: Ele- rispondenza presente nel fondo Corazza ed è oggetto di particolare
menti di matematica, composti per uso della Reale Accademia Militare, Napoli, Raimondi,
1770, in sei volumi, comprendeva capitoli sulla geometria piana, algebra, geometria attenzione anche da parte del Napoli Signorelli, venendo da questi
solida, calcolo logaritmico, trigonometria piana e sezioni coniche. Cfr. J.J. Bijör-
nestahl, Napoli la sirena vipera, titolo originale: Resa til Frankrike, Italien, Sweitz,
Tyskland, Holland, England,Turkiet och Grekland beskrifven of och efter Jacob Jonas Bijör-
nestahl efter des död utgifven af Carl Christof Gjörwell, konglige bibliothecarie, 1780, riediz. 328
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, p. 51.
italiana e trad. dallo svedese a cura di G. Garrano, Napoli, A. Guida editore, 1994, pp. 329
63-64. Dall’opera di Bijörnestahl abbiamo notizia che Caravelli attendeva a quell’e-   ASNa, Archivio Borbone, I, fsc. 857, «Osservazioni del Direttore generale dei
poca ad un testo in materia di geometria pratica, statica, idrostatica e idraulica, che Ponti e Strade sul progetto di riordinamento del servizio», cit. in A. Di Biasio, Inge-
però non figura tra i numerosi titoli (anche in materia di trigonometria e persino gneri e territorio nel Regno di Napoli 1800-1860. Carlo Afan de Rivera e il Corpo di Ponti
di astronomia) pubblicati dallo scienziato e riediti per usi didattici fino alla metà e Strade, Latina, a cura dell’Amministraz. Provinciale, 1993, p. 32.
330
dell’Ottocento, tra cui un Trattato di astronomia (Napoli, Raimondi, 1782-84). Cfr.   F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., p. 83.
331
pure R. De Sanctis, La nuova scienza a Napoli tra ‘700 e ‘800, Roma-Bari, Laterza,   P. Napoli Signorelli (Vicende della coltura…cit., p. 242) data erroneamente la
1986, p. 14. morte di Lamberti «verso il 1797».
332
327
  Sulla Real Accademia e Scola di Mattematica, fondata nel 1744, cfr. L. Del Poz-   BNN, Manoscritti e Rari, X.AA.29/16, f. 16, lettera di Comolli a Corazza del 19
zo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1857, p. 51; agosto 1788.
333
M.G. P ezone, Ingegneria militare borbonica. La formazione nel Settecento dalla lettura   A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-scientifica in epoca vanvitelliana: dall’ar-
delle ‘Reali Ordinanze’, in Storia dell’Ingegneria. Atti del 3° Convegno Nazionale chitetto allo «scienziato-artista», in A a.Vv., Tecnologia scienza e storia per la conserva-
(Napoli, 19-21 aprile 2010), a cura di S. D’Agostino, Napoli, Cuzzolin Editore, zione del costruito. Seminari e letture, in «Annali Fondaz. Callisto Pontello», n.1
2010, II, pp. 643-655. (mar.-giu. 1987), pp. 188-198.

Capitolo quarto
154
definito significativamente un «architetto scienziato»334: non a caso
nell’introduzione alla sua Statica degli edifici del 1781 lo stesso Lam-
berti definiva «architetti pratici» i tecnici militari e quanti altri non
ponessero la scienza alla base della loro professione335, con evidente
riferimento alla non sopita critica alla ‘pura’ techne di Vanvitelli, con
cui, come vedremo, egli entrerà in diretto contrasto.
Nato da un’antica famiglia di scultori toscani e formatosi a Napoli
presso le scuole militari, oltre a studiare matematica, Lamberti fre-
quenta la scuola di Giovanni Bibiena e di Antonio Baldi, divenendo
presto socio della Real Accademia delle Scienze e Belle Lettere di
Napoli. È in questo ambiente che egli comincia la propria avventura
scientifica, entrando in contatto con personaggi di spicco nel campo
della matematica e della fisica, come Nicola Maria Cercani, Felice
Sabatelli, Giuseppe Marzucco, Giuseppe Orlandi336. Tra le sue opere
di architettura, Comolli cita (avendone notizia diretta dall’ingegne-
re) la sola chiesa di Santa Teresa dei Carmelitani Spagnoli, che però
«da molti non è tenuta per la miglior cosa»337, essendo egli più noto
per gli imponenti studi teorico-scientifici, di cui troviamo la recen- Vincenzo Lamberti, Statica degli Edificj, Napoli 1781, tav. 180
sione completa nella Bibliografia338.
A partire dal 1769 Lamberti, non ancora trentenne, è impegnato
nella nota disputa relativa alla cupola della chiesa napoletana del Società Napoletana di Storia Patria e sottolineando come nell’oc-
Gesù Nuovo, nell’ambito della quale avrà il coraggio di opporsi al casione Lamberti ponesse in discussione il parere di tecnici del cali-
giudizio dei migliori architetti operanti in quell’epoca nella capi- bro di Vanvitelli, Fuga, Gioffredo, Pollio, verificandosi un autentico
tale borbonica, chiamati ad esprimersi sui dissesti della struttura e ‘contrasto generazionale’ sul modo stesso di concepire la scienza
sull’opportunità di un suo consolidamento o, piuttosto, sulla conve- dell’architettura. Nel clima delle continue polemiche professiona-
nienza della demolizione. Della vicenda ci siamo già altrove occu- li che all’epoca caratterizzarono il rapporto tra quei professionisti
pati339, attingendo alle fonti dell’Archivio di Stato di Napoli e della si consumò la vicenda del Gesù Nuovo, che ebbe come risultato
l’inutile abbattimento della cupola: intervento giudicato evitabile
per la verità sia da Lamberti che da Vanvitelli, tra loro però in con-
334
  P. Napoli Signorelli, Gli artisti napoletani…cit., p. 15; si veda inoltre F. Straz- trasto circa i rimedi da adottare per l’eventuale consolidamento340.
zullo, Architetti e ingegneri napoletani dal ‘500 al ‘700, Napoli, L’Arte Tipografica, 1969, Vivendo appieno questo clima di incalzante progresso nel setto-
p. 35; B.G. Marino, Note sulla diagnosi dei dissesti strutturali tra XVIII e XIX secolo, in
Storia dell’Ingegneria. Atti del 2° Convegno Nazionale…cit., pp. 514-515.
335
  V. Lamberti, Statica degli Edifizj di Vincenzo Lamberti Napolitano, in cui si espongono
i precetti Teorici pratici, che si debbono osservar nella costruzione degli Edificj per la durata di 340
  Nella perizia di Lamberti si riconosceva alle strutture dei piloni sorreggenti
essi, Napoli, G. Campo, 1781, introduz., p. XII.
336 la cupola una buona capacità di resistenza, individuandosi a ragione la causa
  Si veda pure su Lamberti: M. Lippiello, La Statica degli Edifici dell’ingegnere del dissesto nel cedimento in fondazione per la presenza di un’antica cisterna
napoletano Vincenzo Lamberti: un trattato teorico-pratico del tardo XVIII secolo, in Storia dell’ex palazzo Sanseverino. Citando in maniera circostanziata e opportuna i
dell’Ingegneria. Atti del 2° Convegno Nazionale…cit., I, pp. 487-496. noti studi di de la Hire e Bélidor, Lamberti appare assai aggiornato in materia
337
  A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, p. 264. di scienza delle costruzioni, riuscendo peraltro a dimostrare come l’interven-
338
  Voltimetria retta, ovvero misura delle volte, Napoli, Tip. D. Campo, 1773; Lettera, to proposto da Fuga e dagli altri per il consolidamento del pilone dissestato e
nella quale si contengono alcune riflessioni sul libro intitolato: Istituzioni di Architettura della cupola sarebbe stato non solo inutile, ma dannoso alle strutture, poten-
Civile di Niccolò Carletti, Napoli 1774; Saggio per la misura delle acque correnti ne’ canali dosi intervenire con il semplice riempimento della cisterna, la sottofondazione
inclinati, Napoli 1778 (cfr. al riguardo A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, dell’area interessata e il rafforzamento del relativo pilone con un contraffor-
p. 265: «Vi è risoluto praticamente l’astruso problema di conoscere la vera quantità te, e scongiurando così il progredire del fenomeno fessurativo. Il Guerra (G.
di acqua, che corre in un canale inclinato, e fu dal Lamberti scritto quest’opuscolo Guerra, La cupola del Gesù Nuovo. Problemi statici e curiosità storiche, in «Atti
per censurare un’operazione del sig. Carletti, e di di D. Gennaro Papa intorno alla dell’Accademia Pontaniana», n.s., XVI, 1967, p. 392) nota come a sua volta il
misura dell’acqua di Napoli, i quali, secondo lui, adoprarono mezzi tutti alieni a parere di Vanvitelli del 1772 tendesse a giudicare la perizia di Lamberti fon-
conoscerne la vera quantità»); Statica degli Edifizj…cit.; Saggio sul disseccamento delle data più su citazioni teoriche che su una sufficiente competenza pratica (la già
Paludi Pontine, Napoli 1783; Aritmetica e Geometria dell’Abate Giorgio Lapazzaja […] notata techne vanvitelliana); ma il maestro fonda la propria perizia unicamente
colle annotazioni di Vincenzo Lamberti per la pratica dell’Agrimensore, dell’Ingegnere e del sull’opera di Bélidor, scritta quarant’anni prima, non essendo evidentemente al
Tavolario, Napoli, F.lli Terres, 1784 (cfr. in proposito A. Comolli, Bibliografia storico- corrente delle ricerche condotte nel frattempo in Europa, specie negli ambienti
critica…cit., III, pp. 50-51; il titolo preciso dell’opera, riedizione del testo del Lapaz- universitari: il Mascheroni, nella prefazione alle Nuove ricerche sull’equilibrio delle
zaja del 1569, è in realtà il seguente: Aritmetica e geometria dell’abate Giorgio Lapazzaja volte, pubblicate nel 1785 (Bergamo, F. Locatelli), riferisce che negli atenei si
opera corretta da Vincenzo Lamberti […] e dal medesimo adornata di utili, ed interessanti insegnavano metodi razionali per il calcolo degli sforzi nelle cupole – metodi
annotazioni per la pratica dell’agrimensore, dell’ingegnere, e del tauolaro. Di Giorgio La- ancora oggi quasi in tutto accettabili – esposti generalmente in trattati ad uso
pazzaja, canonico di Monopoli, fa cenno N. Morelli di Gregorio, Biografia degli scolastico fino ad allora inediti e perciò ignoti ai tecnici più impegnati nella
uomini illustri del Regno di Napoli, Napoli, N. Gervasi, 1825, X, p. 392. Questo studio professione. Del resto lo stesso Mascheroni, nel trattare delle cupole, introduce
era stato indicato a Comolli dall’Ascione, di cui l’autore riporta il seguente giudi- un metodo per trovarne il profilo allorché uno spicchio sia in equilibrio senza
zio: «L’antica edizione è del 1569, ed è rarissima, onde non se può dare riscontro, né contrasto laterale, ossia senza ricevere sforzi dagli spicchi adiacenti. Nel parere
della condizione dell’autore. L’opera per altro è stata sempre lodata, ed ora colle an- di Lamberti è da riconoscersi a questo punto un prezioso esempio di diagnosi
notazioni del sig. Lamberti è molto più ricercata, ed utile ad ogni professore. Questi del dissesto e di progetto di consolidamento che, pur partendo esplicitamente
due autori però hanno scritto particolarmente per uso del regno di Napoli, ma son dalla teoria belidoriana, fa riferimento alle più avanzate scoperte nel campo
ancora utilissime le di loro opere per ogn’altro, attesa la varietà, ed universalità delle della statica, accolte con grande entusiasmo dal giovane ingegnere. Vanvitelli,
materie che contengono»); Saggio sulla direzione della barca volante, Napoli,V. Orsini, partendo da constatazioni più legate alla pratica di cantiere che a precise cogni-
1784 (cfr. A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, p. 265: «Diede motivo a zioni teoriche, attribuisce il dissesto in parte al terremoto del 1688, in parte al
quest’opera l’opinione comune, che sia impossibile regolare ad arbitrio dell’uomo peso della nuova cupola del Guglielmelli del 1691, e non riconosce nello stato
il pallone volante: il Lamberti ha creduto di ridurre a dimostrazione la possibilità; delle fondazioni la vera origine del danno, mostrando nuovamente, a distanza
ma si vuole, che non vi sia riuscito felicemente»); La regolata costruzione de’ Teatri, di trent’anni, i limiti teorici che lo avevano visto soccombere al giudizio di
Napoli, V. Orsini, 1787. A proposito degli scritti di Lamberti, P. Napoli Signorelli Giovanni Poleni, il grande scienziato padovano, con cui collaborò nel restauro
(Vicende della coltura…cit., p. 242) osserva: «Tutte queste dotte produzioni sono ac- statico della cupola di San Pietro (cfr. A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-
compagnate da’ rispettivi disegni». scientifica…cit., pp. 174-185). Ad ogni modo, contro il parere di entrambi prevalse
339
  A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-scientifica…cit., pp. 188-198. quello di Fuga, decidendosi sciaguratamente, nel 1774, di abbattere la cupola.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


155
cosa a calcoli esattissimi, e noi in esso non brameremmo altro che
una maggior freschezza e leggiadria nello esprimersi. […] Il trattato
è compiuto, sodo e da gran Maestro dell’arte»344. Nel 1840 il te-
sto verrà addirittura riedito a Milano, essendo rimasto insuperato345.
Ad ogni modo, quella «maggior freschezza e leggiadria» nella scrit-
tura risulta più evidente nell’opera di Lamberti su cui Comolli,
a ragione, si sofferma maggiormente346, ossia la citata Statica degli
Edifici, il primo testo apparso in Europa sull’argomento e anch’es-
so citato dal Bernoulli: nella Statica l’autore aggiornò la discipli-
na, applicando alle volte e alle cupole i risultati già raggiunti nello
studio delle travi e degli archi e offrendo per la prima volta una
trattazione sistematica del problema delle lesioni. Nel trattato –
cui avrebbe dovuto fare seguito un altro testo sulle opere idrau-
liche, sui ponti, sui terrapieni e sulle strutture lignee – Lamberti
parte dall’intento di «conoscere l’origine delle lesioni e degli er-
rori, che vedeva frequentemente nella pratica di proporzionare
le parti dell’edifizio col costruirne alcune troppo robuste e inu-
tili, ed altre deboli e insignificanti»347, ad esempio con riferimen-
to al problema del proporzionamento dei piedritti delle volte.
Tra i numerosi giudizi positivi sulla Statica citati da Comolli, quello
espresso in una nuova «recensione anonima» nelle Effemeridi Lettera-
rie di Roma del 1782348 così recita:

Essendo l’opera del sig. Lamberti degna di tutte le lodi resterà, che gli
architetti se ne approfittino, potendo da essa, se non altro, imparare
almeno a fare un poco più conto, di quel che fanno, delle scienze ma-
tematiche, nel vedere le luminose applicazioni, che si possono fare di
queste sublimi scienze alla loro professione.

Si riconosce infatti nei testi di Lamberti lo sforzo costante di tra-


sferire le conoscenze teoriche nella pratica professionale, ponendo
Niccolò Carletti, Istituzioni di Architettura Civile, Napoli 1772; frontespizio
a disposizione dei tecnici del settore una manualistica pratica e di
facile approccio, sebbene, magari, con qualche problema di ‘stile’
re, l’«architetto scienziato» Lamberti dedicherà quasi un decennio letterario. Proprio a proposito della terminologia adottata dall’auto-
della propria attività teorica a problemi evidentemente maturati re, Comolli osserva che è tale l’utilità della Statica che a smentire le
proprio in relazione a quello della cupola e sarà nel Mezzogior- critiche mosse nelle Novelle letterarie di Firenze circa l’uso, da parte
no tra i più degni precursori della nuova figura dell’ingegnere di dell’ingegnere napoletano, «di parecchie voci per i Toscani vuote di
Ponti e Strade341. senso», è sufficiente la risposta dello stesso autore: «Non faccia mera-
La stima di Comolli per Lamberti traspare in più punti con tutta viglia di trovar in questi trattati de’ termini non usati dalla Crusca. In
evidenza: dell’ingegnere napoletano egli apprezza in primis la Vol- essi abbiam voluto seguir la massima dettata qualche volta dalla pru-
timetria, di cui l’aveva informato Corazza, che nel 1784 ne aveva in- denza piuttosto che dal precetto della professione, collo scriver per
viata copia anche all’amico Pio Fantoni342, importante professore di tutti; e perciò si sono adoperati termini di comune intelligenza»349.
matematica e idraulica a Pisa; persino Bernoulli, in Francia, l’aveva Non a caso, infatti, Lamberti intende rivolgersi più agli «Architetti
citata come opera fondamentale343. Del resto già all’indomani del- pratici» che agli «Architetti scientifici», essendo più facile per questi
la pubblicazione era apparsa un’entusiastica «recensione anonima» ultimi adattarsi ad un linguaggio semplice che per i primi compren-
nelle Effemeridi Letterarie di Roma, in cui si legge che l’autore «si dere termini dotti.
dimostra eccellente Matematico e pratico osservatore. Riduce ogni L’osservazione, che ci riporta al problema dell’accessibilità dei «Ter-
mini di arte» avvertito in quegli anni da Corazza nel raffronto tra
341 il lessico vinciano e quello della Crusca, è in linea con quanto si
  A. Buccaro, Ingegneria tra scienza e arte: il Codice Corazza e la permanenza del
modello vinciano nella cultura napoletana, in Storia dell’Ingegneria. Atti del 2° Convegno
Nazionale…cit., II, pp. 797-810.
342
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/11, 16, ff. vari. 344
343
  Cfr. F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., pp. 100 sgg. Essendo stata pre-   Cit. in M. Lippiello, op. cit., p. 488.
345
sentata all’Accademia Reale una memoria di Giuseppe Grippa, professore a Sa-   Cfr. La misura delle volte rette di Vincenzo Lamberti, ristretto di Giovanni Astolfi,
lerno, sulla cubatura delle volte a spirale, i due soci Tommaso Bifulco e Vincenzo Milano, Tip. Bianchi, 1840.
346
Lamberti avevano deciso di non inserirla negli Atti, suggerendo a Niccolò Fergola   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, pp. 260-265.
347
di occuparsi personalmente dell’argomento: ne La vera misura delle Volte a spira (in   Ivi, III, p. 261.
348
«Atti dell’Accademia Reale», a. 1788, pp. 65-84) Fergola dichiarerà errato il metodo   Effemeridi Letterarie di Roma, a. 1782, n. XLIII. Comolli riferisce anche dei giu-
degli architetti nella quadratura delle volte a chiocciola, applicando il calcolo in- dizi apparsi nelle Novelle letterarie di Firenze, a. 1782, 19 aprile, n. XVI, e in Teoria e
tegrale alla volta spirale retta. Altri matematici importanti degli anni ’80-’90 sono pratica di Architettura Civile di Girolamo Masi, Roma, A. Fulgoni, 1788, p. 51. Manca
Annibale Giordano, Ottavio Colecchi e Carlo Lauberg. In particolare, Giordano invece in Comolli alcun riferimento alla «recensione anonima» di L.M. de’ Vegni,
e Lauberg pubblicano nel 1792 i Principii Analitici delle Matematiche (Napoli, presso anch’essa con giudizio assai lusinghiero, uscita nelle Effemeridi del 1781, p. 340, cit. in
G. Giaccio), fondando anche una scuola di chimica e matematica, presto divenuta Roma borghese: case e palazzetti d’affitto, a cura di E. Debenedetti, Roma, Bonsignori,
luogo di diffusione delle idee giacobine, essendo frequentata da Mario Pagano, 1995, II, p. 94.
Emanuele De Deo e da altri intellettuali rivoluzionari. 349
  V. Lamberti, Statica degli Edifizj…cit., prefazione, p. XII.

Capitolo quarto
156
ritrova già ne La science des Ingénieurs di B. Forest de Bélidor del 1729 spicco della generazione di professionisti che segnarono una decisa
e nel Traité des ponts di H. Gautier (1717-23), «quasi a testimoniare evoluzione della figura dell’architetto-ingegnere nell’ultimo quarto
la volontà di ricucire il divario che si stava generando tra teoria e del Settecento.
pratica, trasformando in regole fruibili dai tecnici le leggi che la Nato a L’Aquila, Carletti militò da giovane nel Corpo del Genio (e
nascente Scienza delle Costruzioni andava sistematizzando»350. Del per questo, come abbiamo visto, fu poco stimato da Afan de Rivera),
resto lo stesso Lamberti, a proposito dei riferimenti fatti nell’ope- poi si applicò all’architettura civile. Fu regio professore di matema-
ra a materiali e tecniche tradizionali dell’ambiente napoletano con tica e di «architettura universale», architetto di città, esaminatore nel
l’uso di un’adeguata terminologia, sottolinea: «Il presente trattato collegio dei Tavolari, accademico di San Luca. Studioso assai esperto
in riguardo alle teorie è generale, ma adattato nella pratica in que’ di scienze matematiche e fisiche, tecnico del Tribunale della Fortifi-
componenti, che si trovan nelle vicinanze di questa Metropoli». In- cazione, Acqua e Mattonata di Napoli, è noto, oltre che per aver in-
somma, tufo, piperno, pozzolana, insieme con le antiche tecniche trapreso i lavori per l’emissario di Claudio presso il lago Fucino, poi
costruttive legate a questi materiali, la fanno da padroni nella Statica, condotti a termine alla metà dell’Ottocento354, soprattutto per aver
offrendoci l’autore, per la prima volta nella storia dell’architettura corredato, nel 1775, di un ricco indice topografico la pianta di Napoli
napoletana, una trattazione esaustiva e attenta – condotta sulla base del duca di Noja e aver pubblicato, un anno più tardi, la Topografia
dei principi delle scienze applicate e del metodo sperimentale – del- universale della citta di Napoli in Campagna Felice e note enciclopediche
le problematiche relative alle caratteristiche meccaniche e materi- storiografiche di N.C. ... Opera in cui si comprende il testo scritto dallo stesso
che di quelle pietre e dei loro leganti, al funzionamento statico e al autore nella mappa topografica della citta di Napoli355.Va detto che l’inca-
conseguente proporzionamento delle diverse parti delle costruzioni rico dell’indice, datogli da Giovanni Pignatelli di Monteroduni, co-
storiche (come sempre con particolare attenzione agli archi e alle ordinatore dell’opera della pianta dopo la morte del Carafa (1769), fu
volte), nonché alla diagnosi dei dissesti attraverso l’analisi del qua- motivato con l’essere Carletti «uomo di alto valore, credito e abilità
dro fessurativo delle strutture, con dovizia di dettagli nell’apparato a niun altro secondo, e come quello di cui servivasi la Città per altri
illustrativo. Partendo dalle formule generali, Lamberti comincia col rilevanti affari, e quello, che già anni prima d’ordine dell’Eccellentis-
risolvere un caso specifico, ricavandone poi formule da adottarsi per sima Città per le differenze vertenti col Fondo di separazione riguar-
la risoluzione di altri casi simili: come osserva ancora la Lippiello, do la portolania, aveva levato in picciola carta la pianta della maggior
«la peculiarità della trattazione fornisce ulteriori motivi di interesse: parte della città stessa, per lo che se le rendea più facile, e era a portata
dalla descrizione dei modelli utilizzati è possibile ricostruire le ti- di compatire maggior arbitrio nel prezzo e perfezione dell’opera»356.
pologie e le modalità costruttive più frequenti nell’edilizia settecen- Dopo aver ricordato le idee di Carletti circa l’importanza dello stu-
tesca napoletana; dall’analisi della resistenza dei materiali emergono dio delle scienze per l’architetto secondo gli insegnamenti di Vitru-
dettagli significativi sulle proprietà meccaniche dei singoli compo- vio, Comolli ne segnala lo scritto dal titolo La costituzione dell’Impe-
nenti e sulla composizione delle murature»351. ratore C. Zenone, ossia la Legge XII del Codice Giustinianeo sotto il titolo
Proprio in quanto autore della Statica, Lamberti fu molto stimato degli Edificj privati, tradotta in ragionamento volgare, e illustrata con com-
anche da Memmo, che lo volle incontrare a Napoli nel 1786: «de- menti legalarchitettonci da Niccolò Carletti, Napoli, G.M. Severino-Bo-
sideravo di conoscere personalmente questo benemerito soggetto, ezio, 1773; testo che dovette in buona parte ispirare il noto decreto
sicché colà giunto mi fu facile di ottenerlo, divenuti essendo fra di Ferdinando IV del 3 ottobre 1781, con cui si diedero al Tribunale
poco amicissimi»352. Lamberti gli diede una copia del proprio saggio della Fortificazione pieni poteri in materia di repressione degli abusi
sui teatri, ancora manoscritto, e quando lo pubblicò nel 1787 nella edilizi, nonché della corruzione e delle millanterie professionali da
prefazione lo ringraziò per i preziosi consigli fornitigli. parte dei tavolari. Purtroppo dieci anni più tardi nulla era cambiato,
Analizziamo infine quanto riportato da Comolli riguardo all’ope- essendo divenuta la situazione insostenibile, a tal punto che la Gran
ra di Niccolò Carletti (1723-1796)353, anch’egli tra gli esponenti di Corte della Vicaria chiese proprio l’adozione della costituzione pro-
mulgata da Zenone per Costantinopoli nel V secolo, ricevendo però
un secco rifiuto dalla Real Camera di Santa Chiara357.
350
  M. Lippiello, op. cit., p. 490.
Carletti, che nelle Istituzioni d’Architettura Civile del 1772358, citate
351
  Ibidem. con deferenza dal Bernoulli359, aveva inteso fondere le «scienze della
352
  A. Memmo, Semplici lumi tendenti a render cauti i soli interessati nel Teatro da erigersi ragione e quelle di natura»360, ossia il dato teorico con quello speri-
nella Parrocchia di S. Fantino in Venezia prima che dieno il loro voto a quel modello che tra
diversi all’occhio lor materiale e non intellettuale maggiormente piacesse,Venezia, s.n., 1790,
mentale, viene definito da Comolli «illustre autore, uomo assai ver-
p. 81, cit. in S. Pasquali, op. cit., p. 21, nota 59. sato nella teoria, e nella erudizione architettonica, e fornito di suffi-
353
  Comolli (Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 35) indica al 1723 la data di na- cienti cognizioni anche nella parte politica della storia»361, potendosi
scita di Carletti, descrivendone in sintesi la formazione in campo scientifico e gli
esordi come ingegnere militare. Cfr. pure su Carletti: G.B.G. Grossi, Le belle arti: a suo parere giustificare alcune omissioni riscontrabili nell’opera
opuscoli storici…cit., pp. 169 sgg.; P. Napoli Signorelli, Gli artisti napoletani…cit.,
p. 15; F. Strazzullo, Architetti e ingegneri…cit., pp. 9-10; S. Di Pasquale, Le Scienze
Meccaniche nel Settecento napoletano, in La Storia delle Matematiche in Italia, atti del
Convegno (Cagliari, 29-30 sett., 1 ott. 1982), Cagliari, Università Ist. Matematica 354
  Cfr. A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane…cit., pp. 40, 50; R. Parisi,
Fac. Scienze e Ingegneria, 1985, pp. 129, 137, 140; A. Buccaro, Aspetti della cultura L’impresa del Fucino: architettura delle acque e trasformazione ambientale nell’età dell’indu-
tecnico-scientifica…cit., p. 198; Id., Il dibattito teorico-scientifico in ambito vanvitelliano e strializzazione, Napoli, Athena, 1996.
gli esiti sulla formazione dell’architetto-ingegnere nella seconda metà del Settecento. Luigi 355
  Napoli, stamp. Raimondiana, 1776.
Vanvitelli. 1700-2000, a cura di A. Gambardella, Caserta, Saccone editore, 2005, p. 504. 356
  ASNa, Ministero delle Finanze, fsc. 625, relazione del Pignatelli al Corpo degli
Oltre alle opere che si citano, Carletti scrisse: Consuetudines Neapolitanae cum glossa Eletti del 6 marzo 1777, cit. in G. Bono, scheda in Scienziati-artisti…cit., p. 151.
Napodani, primum a Camillo Salerno suis, & quamplurium ill. jcc. in sequenti epistola 357
  F. Strazzullo, Edilizia e urbanistica a Napoli dal ‘500 al ‘700, Napoli, A. Be-
descriptorum additionibus auctae; postea Jac. Anelli De Bottis, Vinc. De Franchis, Fel.
risio, 1968, pp. 41-46; G.C. Alisio, Sviluppo urbano e struttura della città, in Aa.Vv.,
De Rubeis, Reg. Reverterii, & Th. Nauclerii aliis additionibus locupletatae; denique a
Storia di Napoli, Cava de’ Tirreni, Ediz. Scientifiche Italiane, 1971, VIII, pp. 346-348.
Carolo De Rosa margineis notulis ... & decisionibus Minadoi, De Franchis, Gizzarelli, De 358
Ponte, Capyciilatro, Sanfelicii, Merlini, & aliorum illustratae ... quibus accesserunt Nicolai   Istituzioni d’Architettura Civile di Niccolò Carletti Filosofo, Professore di Architettura,
Carletti ex suis operibus excerpta ... cum indice locupletissimo, Neapoli, sumptibus A. Accademico di merito di S. Luca, Napoli, stamp. Raimondiana, 1772.
359
Cervonii, 1775; Storia della regione abbruciata in Campagna Felice in cui si tratta il suo   F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., p. 64.
360
sopravvenimento generale, Napoli, stamp. Raimondiana, 1787; Istituzioni di architettura   N. Carletti, Istituzioni d’Architettura Civile…cit., I, p. 63.
361
idraulica dedotte dalle scienze di ragione, e di natura, Napoli, stamp. Raimondiana, 1780.   A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., III, p. 245.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


157
con gli scarsi mezzi economici sofferti dall’autore per la pubblica- quegli esempi di calcolo (muri isolati, archi, volte, cupole) di cui è
zione. Nel contempo, però, egli riporta un giudizio non del tutto invece assai ricco il testo di Lamberti.
entusiasta di Bianconi tratto dalle Effemeridi letterarie362 e anch’esso Va evidenziato, d’altra parte, come nella Bibliografia non si faccia
segnalato da Corazza, che si aggiunge a quello, tutt’altro che bene- alcun cenno di altre importanti opere di Carletti. Non risulta infatti
volo, già espresso dall’Angiulli363. In particolare Bianconi individua citato né il trattato da lui redatto per gli allievi dell’accademia del
tra i ‘difetti’ delle Istituzioni proprio l’adozione del metodo analitico: Battaglione Real Ferdinando nel 1772368, né la ricordata Topografia
universale, né infine il ponderoso studio sulle Istituzioni di Architettura
Quel suo metodo matematico, secondo lui analitico, con cui egli ha vo- Idraulica dedotte dalle scienze di ragione e di natura (1780): se è possibile
luto ordinare tutta la sua opera, non pare che gli sia riuscito a seconda trovare notizia delle ultime due opere nel citato saggio del Napo-
del suo buon desiderio. È ben vero che il chiaro Wolff ha fatto vedere li Signorelli369, segnatamente l’Architettura Idraulica sarà oggetto del
nella teoria, e specialmente nella pratica e nella composizione di tutte giudizio poco lusinghiero da parte di Afan de Rivera nel 1834370 e
le sue opere, che il metodo matematico si può trasportare a qualunque ciò nonostante l’opera fosse da tempo unanimemente considerata,
altra scienza. Anzi il metodo matematico è il vero ed unico metodo di insieme con il coevo Saggio per la Misura delle acque correnti ne’ canali
tutte le scienze e di tutte le arti, perché esso in altro non consiste, che in inclinati di Lamberti371, tra i capisaldi della ricerca italiana in cam-
far sempre precedere tutto ciò, che serve all’intelligenza e alla dimostra- po idraulico. Questi manuali insistono, in generale, sull’importan-
zione di quello che siegue; onde non solo ogni scienza, ma ogni buon za dell’idraulica nella formazione dell’ingegnere militare, che deve
discorso si deve disporre con questo metodo. Ma da ciò non siegue, che occuparsi di ponti, di porti, di canali e di tutte le altre opere utili
si abbiano sempre da distinguere in paragrafi separati le definizioni, i allo spostamento delle truppe372. Come sottolinea lo stesso Carletti,
corollarj, gli scolj, e in ciascuno inserirvi una mezza dozzina di citazioni l’idraulica coniuga in sé le scienze di ragione, fondate sul modello
delle cose antecedenti. L’opera perciò del sig. Carletti è riuscita un po’ matematico, con quelle di natura, basate sull’esperienza sensibile373.
arida, ed intralciata, e sarà difficile che i giovani, per i quali è destinata, In questi testi, partendo dalla tradizione rinascimentale in tema di
possano intenderla, e studiarla senza fatica: tanto più che lo stile non è acque, si tiene conto degli aggiornamenti condotti sulla base della
il più felice […]. Per gli stessi principianti sarebbe desiderabile ancora, nuova scienza settecentesca sia in ambito francese – con la famosa
che l’autore non fosse stato sì avaro in far loro conoscere gli autori più Architecture hydraulique pubblicata da Bélidor a Parigi tra il 1737 e il
classici e i monumenti più ragguardevoli dell’architettura antica e mo- 1753374 e gli studi degli ingegneri del Corp des Ponts et Chausseés – sia
derna, che sono i fonti del buon gusto364. in Italia: a Napoli proprio l’opera di Bélidor (come è noto posse-
duta e molto consultata da Vanvitelli) aveva ispirato nel 1758 il trat-
Dunque Carletti era apparso poco cauto nel proporre quell’ap- tato di Carlo Zoccoli, professore di Idrostatica presso l’Accademia
proccio, in sé innovativo ma, a dire di Bianconi, ancora tutto da di Artiglieria di Napoli (il primo ad introdurre nel regno le «dighe
approfondire e collaudare. La circostanza è indicativa del clima all’Olandese»375), dal titolo Della Gravitazione de’ corpi, e della Forza
polemico e speculativo creatosi in ambito filosofico e scientifico, de Fluidi, che in un solo volume tirò le fila di molti contributi spe-
segnatemente nel campo della matematica e della geometria, che
vedeva i ‘tradizionalisti’, sostenitori del metodo sintetico, opporsi ai
‘progressisti’, che adottavano invece il nuovo procedimento analiti-
368
co diffuso dall’Encyclopédie e sostenuto da scienziati come Monge e   Ordinanza del Re delle Sicilie che servir dee d’istruzione, e regolamento a’ cadetti del
Battaglione Real Ferdinando, Napoli, R. Stamperia, 1772, pubbl. in R. Majolo, Il
Lagrange365.Vedremo come a Napoli, negli anni di cui ci occupiamo, Battaglione Real Ferdinando, Napoli, Assoc. Nazionale Nunziatella, 1989, e Memoria
il dibattito divenisse particolarmente acceso, essendo anzi destinato storica scientifico-politico-militare del Regno delle due Sicilie dal 1734 al 1815 del fu cavalier
a protrarsi nell’Ottocento. Ma più che il giudizio di Bianconi – un gerosolimitano Don Raffaele Logerot antico uffiziale del corpo Reale d’artiglieria e Genio,
in Società Napoletana di Storia Patria, ms. XXVI.C.6, cap. V, par. II, cit. in M.G.
parere per così dire ‘di metodo’ che, nonostante la caratura e l’auto- Pezone, Ingegneria idraulica in età borbonica: l’opera di Giovanni Bompiede, in Storia
rità culturale del personaggio, non poteva dirsi quello di uno scien- dell’Ingegneria. Atti del 1° Convegno Nazionale (Napoli, 8-9 marzo 2006), a cura di
A. Buccaro, G. Fabricatore, L. Papa, Napoli, Cuzzolin Editore, 2006, II, pp. 882-883.
ziato – ci interessa qui segnalare la critica, invero ancor più negativa, 369
  P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura…cit., p. 242.
espressa in una Lettera, nella quale si contengono alcune riflessioni sul libro 370
  M.G. Pezone, Ingegneria idraulica…cit., pp. 876-877 e nn. 13-15.
intitolato: Istituzioni di Architettura Civile di Niccolò Carletti (Napoli 371
  Napoli, stamp. Simoniana. Cfr. P. Napoli Signorelli, Gli artisti napoletani…
cit., p. 15.
1774) apparsa anonima e come tale riportata dal Soria366: essa era 372
  R. Gambardella, Istituzioni di Architettura civile composte secondo il metodo mate-
in realtà di pugno del Lamberti, come proprio quest’ultimo aveva matico, Napoli, M. Migliaccio, 1798, p. 7.
dichiarato a Comolli367. 373
  N. Carletti, Istituzioni di architettura idraulica…cit., p. 8. Ma, prima di arrivare
La polemica si fondava su alcuni palesi limiti riscontrabili nelle Isti- alla ‘coniugazione’ dei due aspetti della materia, per secoli si continuò sulla base
delle consuetudini antiche, riguardanti gli acquedotti, le tecniche di irrigazione,
tuzioni. Effettivamente, a differenza della Statica, l’opera di Carletti le strutture portuali, dedotte da pochi principi diffusi in età romana a partire da
appare poco chiara nell’impianto e ancora troppo legata alla tria- Archimede, Vitruvio e Frontino; solo nel Seicento, specie in Francia e in Inghil-
terra, si fecero importanti passi avanti nel campo teorico della meccanica dei flu-
de vitruviana e alla teoria degli ordini (proprio come il trattato di idi, che in Italia vide i contributi fondamentali di Galilei, di Evangelista Torricelli
Gioffredo qualche anno prima) per candidarsi quale manuale per la e di Benedetto Castelli. In particolare, Torricelli adottò la legge della continuità
del moto permanente per definire le proprietà delle sezioni fluviali, applicandole
pratica costruttiva, mancando affatto di approfondimenti riguardo alle problematiche relative alle esondazioni dei fiumi, mentre a Castelli si deve la
a problemi di statica e di meccanica delle costruzioni, nonché di formulazione di una delle leggi dell’idrodinamica, studiando egli il rapporto tra
pressione e velocità delle acque in un condotto e, quindi, nei fiumi, e dando il via
ai successivi studi dei grandi scienziati Pascal, Newton e Leibniz. Si veda sull’ar-
gomento N. Marconi, Teorie e macchine idrauliche nei cantieri edili tra rinascimento e
362 barocco, in Architettura e tecnologia. Acque, tecniche e cantieri nell’architettura rinascimentale
Ivi, IV, pp. 29-33.
  e barocca, a cura di C. Conforti, A. Hopkins, Roma, Nuova Argos, 2002.
363
S. Di Pasquale, op. cit., pp. 140-142.
  374
  Cfr. A. Di Biasio, scheda in Scienziati-artisti…cit., p. 302.
364
A. Comolli, Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 32.
  375
  C. Padiglione, Memorie storico-artistiche del tempio di S. Maria delle Grazie
365
 R. De Sanctis, op. cit., pp. 27 sgg. Maggiore a Capo Napoli, con cenni biografici di alcuni illustri che vi furono sepolti,
366
 F.A. Soria, op. cit., I, p. 155. Napoli, Tipogr. V. Priggiobba, 1855, pp. 149-150; M.G. P ezone, Carlo Pollio “in-
367
 Lettera di Lamberti a Comolli del 1° settembre 1787, cit. in A. Comolli, gegnere idraulico”: da erede dell’esperienza tecnica vanvitelliana a precursore dell’ingegnere
Bibliografia storico-critica…cit., IV, p. 34. del Corpo di Ponti e Strade, in Luigi Vanvitelli…cit., p. 543.

Capitolo quarto
158
cialistici376. Tali studi dimostrano, anche in questo campo, il perpe-
tuarsi del metodo vinciano in ambito meridionale, venendo create
proprio su tali basi le premesse per una formazione professionale
specialistica, che attraverso l’esperienza del Corpo degli Ingegneri
Idraulici verranno trasfuse nei contenuti didattici della nuova Scuola
di Applicazione. Effettivamente, fino al fondamentale studio di Béli-
dor, la teoria era rimasta separata dalla pratica: finalmente la scienza
idraulica era stata applicata dall’autore francese alla pratica costruttiva
grazie all’esperienza condotta in qualità di insegnante di matematica
nelle scuole di artiglieria e, poi, nell’Accademia militare di Parigi.
L’Architecture hydraulique fungerà da base per i trattati di de Cessart
e de Prony377, destinati a costituire preziosi riferimenti per gli allie-
vi ingegneri e i professionisti napoletani fino a tutto l’Ottocento:
essi saranno oggetto di continua consultazione presso la biblioteca
della Scuola di Applicazione, insieme con l’edizione dell’Architectu-
re hydraulique aggiornata nel 1810 da Navier e con la ristampa che
Bernard Forest de Bélidor, Architecture Hydraulique, avec additions et notes
questi curerà nel 1813 della più nota Science des Ingénieurs dello stesso par C.-L. Navier, Paris 1810, pl. 8.e
Bélidor, considerata il primo vero trattato di ingegneria e destinata
a divenire il pilastro della didattica nell’École Polytechnique, specie per
la rigorosa applicazione del metodo matematico alle costruzioni378. Trattato II) conservata presso la Biblioteca Comunale di Siena (S.
IV. 4) e precedente al più noto Codice Magliabechiano di Firenze.
Della vicenda, mai affrontata sinora negli studi sul Martini, abbiamo
§ 4 La passione per l’architettura notizia dalle Lettere sanesi di Guglielmo della Valle del 1786379, con-
del Rinascimento e per il nuovo classicismo temporaneo e amico di Corazza, e poi dalla biografia di Francesco
internazionale di Giorgio scritta da Carlo Promis nel 1841380.
L’attribuzione del codice senese, un tempo creduto di mano di Pe-
La passione di Corazza per l’architettura è, come abbiamo visto, ruzzi, a Francesco di Giorgio, categoricamente esclusa dal Bottari
una logica conseguenza del suo impegno nella tenzone in materia nella sua edizione vasariana del 1759381, viene invece fondata dal della
di arte e di estetica. Tra il soggiorno romano e quello napoletano, Valle sull’autorevole giudizio di Corazza, citato sia in una lettera
egli mantiene costanti rapporti con architetti operanti in ambito inviata a Pierre Mariette dall’abate Ciaccheri, direttore della Biblio-
italiano ed europeo, primo fra tutti l’amico Giacomo Quarenghi, teca di Siena, all’indomani dell’acquisto del manoscritto nel 1765, sia
con cui ha un’intensa corrispondenza epistolare, sulla quale ci sof- nella lunga disamina del testo, e in generale dell’attività di Francesco
fermeremo. Nel contempo l’abate coltiva il proprio interesse per di Giorgio, inviata nel 1782 dal de’Vegni allo stesso Ciaccheri.
l’architettura del Rinascimento, dando in particolare un contributo In questa documentazione si riconosce a Corazza il merito esclusivo
filologico e critico ritenuto dai contemporanei di estrema impor- dell’individuazione della paternità del trattato, condotta sulla base di
tanza: si tratta della prima attribuzione a Francesco di Giorgio Mar- un’attenta analisi filologica e linguistica, oltre che dei testi di Danie-
tini della stesura originale del Trattato d’architettura civile e militare (o le Barbaro, di Vincenzo Scamozzi e di Palladio, in cui, con dovizia
di dettagli, erano analizzati gli scritti di Francesco di Giorgio382. Pe-
376
  Su Carlo Zoccoli si veda F. Milizia, Opere complete di F.M. riguardanti le Belle
Arti, Bologna 1827, pp. 393-394. Cfr. pure M.G. Pezone, Un architetto poco noto nelle
379
Memorie di Milizia: Carlo Zoccoli (1717-71) «serio, semplice, diritto, grato», in Ferdinan-   G. della Valle, Lettere sanesi […] sopra le belle arti, Roma, stamp. G. Zempel, 1786.
do Sanfelice Napoli e l’Europa, a cura di A. Gambardella, Napoli, Ediz. Scientifiche 380
  C. Promis, Vita di Francesco di Giorgio Martini architetto senese del secolo XV ag-
Italiane, 2004, pp. 461-480. Nel campo delle scienze idrauliche vanno ricordati giuntovi il catalogo de’ codici, Torino, Tip. Chirio & Mina, 1841.
importanti contributi italiani editi tra la metà del Seicento e i primi decenni 381
  G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architetti, a cura di G.G. Bottari,
del Settecento, posseduti anche dalla Biblioteca dell’Accademia Militare, tra cui Roma, N. e M. Pagliarini, 1759. Cfr., anche a proposito dell’iniziale attribuzione a
l’Architettura d’acque pubblicata a Piacenza da Giovan Battista Barattieri (stamp. Peruzzi, l’appunto presente nel foglio di guardia del citato codice senese.
G. Bazachi, 1656-63), in cui l’autore mostra di applicare con successo le teorie 382
  L’attribuzione era stata invece negata da Bottari osservando, tra le altre argo-
enunciate da Castelli alla pratica professionale. Segue l’importante opera di Carlo mentazioni, la mancanza nel codice di qualunque riferimento a quanto rinvenibile
Fontana, ossia l’Utilissimo trattato delle acque correnti del 1696, in cui di nuovo si legge negli scritti di Francesco di Giorgio sull’esistenza dei camini nella casa degli anti-
il proposito dell’autore di unire le «scienze dimostrative» con le «esperienze» e di chi. Cfr. pure G. della Valle, op. cit., p. 71: «L’eruditissimo Signor Abate Ciaccheri
fornire un riferimento non solo ai professionisti, ma anche ai committenti amanti Bibliotecario dell’Università di Siena in una lettera al ch. Sig. Pietro Mariette dice:
di «giuochi d’acqua»; ma il trattato, posseduto anche da Vanvitelli, fu da questi “Ho acquistato per la Biblioteca di questa Università un trattato manoscritto ori-
‘salvato’ solo per la parte concernente le fistole idrauliche. C. Fontana, Utilissimo ginale di Architettura civile, e militare, che io lo credo assolutamente composto da
Trattato dell’Acque correnti (Roma, 1696), a cura di H. Hager, Roma, Ediz. dell’Ele- Francesco di Giorgio […]. Daniel Barbaro, e lo Scamozzi confessano, che appres-
fante, 1998. Cfr. M.G. Pezone, Ingegneria idraulica…cit., pp. 876-882. Si passa poi so di loro si conservavano gli scritti del nostro architetto, ed il Signore Vincenzo
all’opera Della natura de’ fiumi, trattato fisico-matematico di Domenico Guglielmini, Corazza mi scrisse, che il Palladio ancora lo rammenta». Circa l’importanza
pubblicato postumo (Bologna, Stamp. L. della Volpe, 1739) e anch’esso basato sui dell’attribuzione del codice senese a Francesco di Giorgio da parte di Corazza,
principi di Castelli in materia di moto delle acque fluviali, a La idrostatica esaminata si veda pure G. del Rosso, Lettere antellane sopra le opere e gli scritti di Francesco di
ne’ suoi principi e stabilita nelle sue regole della misura delle acque correnti di G.A. Lecchi Giorgio Martini architetto pittore e scultore sanese, in «Giornale arcadico di Scienze,
(Milano, stamp. G. Marelli, 1765) e infine alla Mechanica Fluidorum di O. Cametti Lettere ed Arti», t. XVIII (apr.-giu. 1823), pp. 230-231; Notizie letterarie, in «Gior-
(Firenze, Tip. Stecchi e Pagani, 1772). nale de’ Letterati», t. VI (1823), p. 165. Ulteriori studi sul carattere autografo
377
  Cfr. A. Di Biasio, schede ivi, pp. 302-304. del codice furono eseguiti nel settembre 1823 presso la Biblioteca senese, come
378
  In particolare la Science segna davvero un importante passo verso la redazio- dimostra la copia dell’atto di comparazione che segue il testo del manoscritto.
ne di un testo completo, in cui dal calcolo analitico, attraverso il principi della Cfr. pure F. di Giorgio M artini, Trattati di architettura, a cura di C. Maltese,
meccanica, delle dimensioni di muri di sostegno, archi, volte, piedritti, si passa Milano, Fabbri, 1966, pp. XLVIII-LV; G. Scaglia, Francesco di Giorgio. Checklist
alle tecniche di costruzione ed esecuzione delle opere, fino ai canoni stretta- and history of manuscripts and drawings in autographs and copies from ca. 1470 to 1687
mente ‘architettonici’ concernenti i cinque ordini della tradizione architettoni- and renewed copies. 1764-1839, London, Lehigh University Press, 1992, pp. 251-258;
ca del classicismo e le decorazioni. Cfr. G. Voiello, scheda in Scienziati-artisti… M. Mussini, La trattatistica di Francesco di Giorgio, s.l., s.n., 1993, pp. 365-366, n.
cit., p. 278, e A. Di Biasio, scheda cit. ivi, p. 302. XXI.5; M. Mussolin, Prassi, teoria, antico nell’architettura senese, s.l., s.n., 2009, p. 66.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


159
raltro al codice senese, proprio sulla scorta del lavoro di di Corazza, Potrebbe dunque essere stato proprio Corazza a consigliare al Trom-
si appassionerà particolarmente Algarotti, con la seria intenzione di belli la vendita del manoscritto al Ciaccheri. Sorge inoltre il sospetto
pubblicarlo, scoraggiandosi poi per le difficoltà interpretative della che il nostro abate possa averlo portato con sé da Bologna – venendogli
lingua quattrocentesca e per la mancanza di un soddisfacente appa- ciò consentito a fini di studio e per la sua indiscussa autorità culturale
rato illustrativo, presente invece nel Magliabechiano383. – insieme con altri documenti provenienti dallo stesso convento, oltre
De’ Vegni, che in un primo tempo aveva programmato a sua volta che, come abbiamo già ipotizzato, da quello di San Michele in Bosco.
con Ciaccheri l’edizione del manoscritto insieme con uno studio Sarà comunque il della Valle a mettere a frutto nelle sue Lettere sanesi
esaustivo sulla figura del Martini, avrebbe dovuto eseguire a tale gli studi di Corazza e de’ Vegni, recuperandone al meglio le rifles-
scopo un estratto delle parti più significative del documento; ma il sioni e traendone profitto per confermare l’attribuzione387.
lavoro era stato poi condotto dal della Valle, limitandosi de’ Vegni Nel 1841 il Promis riconoscerà a sua volta i meriti di Corazza:
ad inviare al Ciaccheri le pur interessanti Riflessioni sulle notizie di
Francesco di Giorgio poi pubblicate dallo stesso della Valle384. […] Non v’ha più dubbio circa l’autore del manoscritto, tante ne sono
Tra l’altro de’ Vegni, nel trovare conforto nel codice a sostegno le prove: della qual cosa principal lode si deve a Vincenzo Corazza,
dell’attribuzione a Francesco di Giorgio dell’invenzione delle uomo quanto erudito altrettanto modesto, e che primo di tutti confe-
mine – da lui sperimentata, come è noto, a Napoli nel 1495 durante rendo alcuni squarci di antichi autori col nostro codice, ed esaminando
l’assedio degli spagnoli contro i francesi –, scrive: e comparando specialmente quanto vi si dice de’ camini degli antichi,
ne mise in piena luce l’autore388.
In simil pensamento mi sovvien chiaramente, che convenne il comune
amico Sig. Vincenzo Corazza, la cui autorità apud me magna est, e con Nell’ambito dei propri studi sull’architettura del Rinascimento, Co-
cui parola a parola collazionai in Roma l’originale del Manuscritto razza giunge ad esprimere interessanti giudizi critici anche su opere
colla copia da voi fattane, facendo con esso lui, ch’è un osservator pa- napoletane del Quattrocento: egli mostra sin da principio una spic-
zientissimo, minutissimo e penetrantissimo, il cui talento, son solito dire, cata ammirazione per i monumenti dell’età aragonese, consideran-
che è simile a un trivello, […] le più minute osservazioni sulla sostanza, doli quanto meno all’altezza di quelli toscani, come è il caso della
sullo stile, su’ sanesismi del dialetto ec. di cotesto Manuscritto, le quali Villa di Poggioreale e della Cappella Pontano. Ad esempio, in una
se avessimo registrate tutte, avremmo fatto un commento così abon- lettera indirizzata nel 1771 al principe Domenico Orsini, al ritorno
dante, che non avrebbe invidiato quello del Malmantile, e simili, dov’è a Roma dalla prima visita nella capitale borbonica389, egli osserva:
più la giunta della carne. […] Dalla bellissima lettera […] scritta dal
Sig. Corazza al Padre Trombelli da Zorlesco li 25 maggio 1765, e molto Io vorrei che fusse meglio conosciuto un Palazzino di campagna a
più dalle conferenze, come dissi, fatte con esso lui sul Manuscritto, so Poggio Reale di Napoli fatto fabbricare da que’ Re quarant’anni forse
di certo, che il primo a scoprire, che il Manoscritto era di Francesco di prima che Leon Battista Alberti morisse: è bello per se medesimo, ma è
Giorgio, fu esso Sig. Corazza profittando e del passo di Daniel Barbaro, assolutamente maraviglioso per la gentilezza de’ profili delle cornici, e
che chiaramente il dimostra, e dell’altro di Scamozzi […]385. per le colonne che circondano l’intero cortile, le quali tutto che portin
archi, sostengongli con così apparente facilità, che non riman cuore per
Dal testo citato si evince che il manoscritto, che quando ne tratta condannarne l’architetto.
Bottari (1759) risulta ancora in possesso del letterato padre Giovanni
Crisostomo Trombelli presso la biblioteca del convento di San Salva- Ora, se si eccettua l’errata datazione della Villa, edificata come è
tore in Bologna, viene invece esaminato da de’ Vegni a Roma, ove è a noto su progetto di Giuliano da Maiano oltre un decennio dopo
disposizione di Corazza almeno dal 1764. Sicché nel verso del primo la morte dell’Alberti (1472), in quel «tutto che portin archi» si ri-
foglio del codice possiamo leggere, di mano dello stesso Trombelli: conosce la piena adesione allo spirito del dettato albertiano e della
‘maturità’ bramantesca: in architettura, come in letteratura, Corazza
è citato questo libro dagli architetti antichi come di Francesco di Gior- è fortemente attratto dall’intero periodo rinascimentale, vedendo
gio. Così mi ha assicurato il Sig.Vincenzo Corazza ora Aio de’ signorini nella produzione artistica quattro-cinquecentesca l’ambito di riferi-
di Casa Litta, e mi ha nominato lo Scamozzi: anzi il secondo, e il terzo mento più congeniale ai propri interessi, volti al più ampio classici-
libro di esso Scamozzi. smo; nel giro di qualche anno, egli non solo giungerà ad affermarsi
quale autorità indiscussa nel campo della critica d’arte italiana del
Peraltro si deve a Corazza anche la prima segnalazione di due ver- XVI secolo ma, con un crescente impegno anche in campo scienti-
sioni del codice senese, l’una presente presso la Biblioteca Foscarini fico, approderà alla materia vinciana.
di Venezia, appartenuta forse allo Scamozzi, l’altra in quella di Fi- E qui qualche considerazione va fatta circa la conoscenza da parte
renze, che a sua volta il Promis identificherà con il Magliabechiano di Corazza dell’umanesimo napoletano, e in particolare della produ-
nell’attenta disamina degli apografi del trattato contenuta nella bio- zione letteraria di Pontano e Sannazaro, di cui è possibile rinvenire
grafia di Francesco di Giorgio da lui pubblicata386. le tracce nel fondo della Biblioteca Nazionale. Sannazaro doveva co-

383
  Notizie letterarie, cit., p. 165. Cfr. pure in proposito il citato appunto presente nel chiara la provenienza loro, cioè se dal codice sanese o dal Magliabechiano, perché
foglio di guardia del codice senese. quello che appartenne al Foscarini è probabile che già fosse dello Scamozzi, come
384
  G. della Valle, op. cit., pp. 89-99. di colui che viveva in Venezia, e quello di Firenze è forse il Magliabechiano».
387
385
  Ivi, pp. 95, 98.   G. della Valle, op. cit., pp. 109-123. «Mi professo obbligato al Sig. Leonardo De
386
  C. Promis, op. cit., p. 115: «Primi di tutti sono i due codici (antichi a quanto pare) Vegni, e al Sig. Corazza, i quali confrontandone la copia fatta dall’amico Ciaccheri
dei quail scrive il P. Trombelli in una lettera del 17 aprile 1764 al P. Nini suo corre- con l’originale, ne resero più facile l’intelligenza, e risparmiarono a me non poca
ligioso in Siena, ed esistente inedita in quella biblioteca pubblica. “Mi dicono che fatica nel ridurne la prefazione all’antico suo stato» (ivi, p. 109).
388
ve ne sia due simili, uno nella libreria del fu doge Foscarini, l’altro in Firenze; ma se   C. Promis, op. cit., p. 108.
389
non ho inteso male, tutti e due sono mancanti, e credo anche di molto.Tale notizia   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/11, f. 33, s.d. Si tratta di Domenico Orsini
l’ebbi da un tal signor Vincenzo Corazza intendentissimo di architettura”. E questi (1719-1789), quindicesimo duca di Gravina, ambasciatore del re di Napoli presso la
due codici io qui li registro sulla fede del Corazza, quantunque non sia abbastanza Santa Sede e nipote di Bendetto XIII.

Capitolo quarto
160
Francesco di Giorgio Martini, Trattato d’architettura civile e militare (o Trattato II), prima stesura, c. 1490, ff. Iv-IIr. Siena, Biblioteca Comunale degli
Intronati, Ms. S.IV.4 (aut. del 19/02/ii)

stituire un riferimento autorevole per l’abate bolognese sotto diversi dalla lettura del De re aedificatoria, studiati da Vecce391, tracce consi-
aspetti: oltre che per quello letterario, essendo autore dell’Arcadia, il stenti della propria interpretazione – specie attraverso l’esperienza
romanzo pastorale da cui aveva tratto nome e ispirazione l’accade- dell’ingegnere senese – della terminologia tecnica albertiana riferita
mia fondata a Roma nel 1690 dal Gravina e dal Crescimbeni, anche a macchine e strumenti edili e idraulici. Ma quello che maggior-
per le testimonianze rinvenibili nei suoi scritti in merito all’arte e mente interessa del glossario architettonico di Sannazaro è l’eviden-
all’architettura del primo Rinascimento toscano. Sappiamo infat- te ricezione dei fondamenti geometrico-matematici del disegno e
ti dagli studi di Croce e da quelli recenti di Laschke, Deramaix e dei canoni di proporzionalità di ispirazione neoplatonica indicati da
Vecce390 quanta importanza ebbe la teoria architettonica albertiana Alberti e fatti propri, in quei primi anni del ‘500, anche da Leonardo.
e il modello di architettura ‘ideale’ rappresentato dalla Villa di Pog- Quel mondo dell’arte e dell’architettura del primo Rinascimento
gioreale nel programma, concepito da Sannazaro intorno al 1510, di napoletano, segnato da forti contaminazioni con quello toscano, che
trasformare la propria residenza di Mergellina e l’annessa cappella di attraeva fortemente Corazza, aveva il proprio manifesto nella Villa
famiglia secondo i canoni indicati nel De re aedificatoria. Nell’idea di di Poggioreale, con il suo cuore pulsante rappresentato dal cortile
architettura di Corazza i nessi con quella di Sannazaro sono davvero porticato, dotato di gradinate per gli spettacoli secondo il modello
tanti, spaziando dal modello letterario di uno Stazio o di un Plinio che da Vitruvio giunge fino a Giuliano da Sangallo, a Fra Giocondo,
il Giovane alla collocazione della villa del poeta umanista ai piedi a Serlio. Ma anche il paesaggio, il contesto naturale, i giardini che
di Pausylipon, nei pressi cioè della Crypta Neapolitana e del mau- si ritrovano nelle descrizioni dell’Arcadia di Sannazaro, con le loro
soleo romano detto ‘sepolcro di Virgilio’, in un contesto mitico ed forme allusive al mondo del mito, del sogno e persino dell’orri-
arcadico per definizione. Senza contare la passione più generale per do, e precorritrici delle tematiche manieristiche, dovettero suscitare
il trattato albertiano e persino per i suoi contenuti più strettamente nell’abate bolognese un vivo interesse.
tecnici: Sannazaro, che a Napoli aveva avuto contatti con Francesco Più avanti nella lettera citata Corazza confronta il Tempio Malate-
di Giorgio Martini e con Fra Giocondo, ha lasciato, nei lemmi tratti stiano con la cappella di proprietà della famiglia Pontano edificata
nei primi anni ’90 del Quattrocento lungo il decumano maggiore
del centro antico napoletano. Con riferimento a questa splendida
390
  C. Vecce, Sannazaro lettore del De re aedificatoria, in Alberti e la cultura del Quat-
trocento, a cura di R. Cardini, M. Regoliosi, Atti del Convegno internazionale di
391
studi (Firenze, 16-18 dicembre 2004), Firenze, Ediz. Polistampa, 2007, pp. 763-784.   Ivi, pp. 774-777.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


161
architettura, da alcuni attribuita a Fra Giocondo, da altri a Francesco A proposito della formazione di de’ Vegni, abbiamo testimonianza
di Giorgio, egli osserva: dal della Valle395 che essa si svolse tutta all’insegna del funzionalismo
lodoliano e grazie al contributo di autorevoli personaggi dell’am-
Cotesto vostro Tempietto del Pontano ha tutta la semplicità che può biente bolognese come, tra gli altri, il nostro Corazza:
desiderarsi; non si scosta gran tratto (se pur se ne scosta) da’ tempi della
Chiesa di Rimini, ma a paragon di questa il Tempietto è una graziosa […] Egli ingenuamente confessa quanto debba alle conferenze su que-
Vergine; la fabbrica del nostro Alberti è un uomo piuttosto robusto, sta materia tenute con Ercole Lelli, Eustachio Zanotti, Conte Algarotti
che di pregevoli forme. Le Sagome, o Proffili delle sue cornici d’ogni e col Sig.Vincenzo Corazza, dai quali due più volte gli fu comunicato
maniera, sono dure, e ben lontane dall’aver quella grazia, che pure a il sistema Lodoliano (ora pubblicato con tanta erudizione da un ottimo
que’ dì avean ricevuta dal loro Autore i lavori di questa maniera che Signore396), e con i quali analizzandolo più volte trattò findove poteva
potete vedere nell’abbandonato Palazzino dei Re di Napoli, che all’età saviamente condursi.
di Leon Battista ci villeggiavano: io parlo del Palazzo a Poggioreale,
oggidì malamente chiamato Il Palazzo della Regina Giovanna. In più occasioni de’ Vegni – che aveva potuto frequentare da ap-
prendista, dietro raccomandazione di Corazza, lo studio dell’archi-
Pur ripetendosi qui l’errata collocazione cronologica proposta per tetto napoletano Pompeo Montella397 – chiede consigli al bolognese
Poggioreale, va riconosciuta la particolare sensibilità artistica di circa le scelte stilistiche da adottare nelle architetture che va realiz-
Corazza, che non esita addirittura a preferire l’elegante architettu- zando in Toscana, oltre ad aggiornamenti in ambito teorico398. Ma
ra della Villa e della Cappella Pontano a quella del famoso Tempio la vera passione comune è lo studio delle straordinarie invenzioni
Malatestiano. Egli mostra così anche in questo ambito, come nella vinciane: in una missiva del 1773 de’ Vegni avverte Corazza che sarà
letteratura e nella filologia classica, la personale inclinazione per l’e- latore della stessa Carlo Giuseppe Testi, «Professore in molti rami
poca che aveva visto l’inizio dell’affermazione del genio vinciano. delle arti del disegno, inventore unitamente co’ degnissimi suoi fra-
Ma la passione per quest’ultimo e, poi, per il Rinascimento maturo telli di molte utili e belle cose, volatore aereo, ed a mia opinione, il
dovette portarlo, a un certo punto, a volgersi segnatamente all’archi- più felice e ragionato perfezionatore de’ globi per andare in aria, ma,
tettura del Cinquecento: oltre ai ricordati riferimenti archeologici perché senza ciarlataneria ed onestissimo, il meno considerato; per
all’opera di Raffaello contenuti nella citata lettera del 1772 al Gastal- dirle tutto, un amicissimo di Leonardo da Vinci»399. Sappiamo infatti
di sul teatro di Ercolano, negli stessi anni, attraverso amici architetti che proprio in quegli anni si stava tentando di dar vita al grande
(e arcadi) come de’ Vegni e Quarenghi, Corazza dovette cominciare sogno vinciano attraverso il perfezionamento del volo aerostatico.
ad apprezzare il linguaggio palladianista, certamente il più adatto ad Assai più consistente è la corrispondenza tra Corazza e Quaren-
interpretare il nuovo classicismo internazionale392. ghi, pervenutaci con riferimento agli anni 1779-88, come attesta-
Come si legge infatti in una lettera dell’abate Stefano Orsini a Co- no numerose lettere del grande architetto bergamasco da Roma
razza del 1772393, de’ Vegni stava all’epoca «faticando sulla nuova e da San Pietroburgo, conservate presso la Biblioteca Nazionale
edizione che vuol darci del Palladio: sempre più in lui crescono le di Napoli, che abbiamo solo in parte citato nel precedente ca-
belle scoperte, ed osservazioni sull’architettura, ma credo che predi- pitolo con riferimento al nostro Codice400 . Volendo ora ana-
chi all’uomini sordi»; forse proprio per questo l’architetto pubblicò lizzare il suddetto carteggio per quello che concerne i rapporti
solo l’annuncio del proprio studio in un Avviso al publico di L.d.V. tra i due sotto l’aspetto della critica architettonica, faremo rife-
sopra due nuove edizioni delle opere di architettura di Andrea Palladio rimento all’attività di Quarenghi a San Pietroburgo, da noi già
(Roma, s.n., 1790). Egli è noto per aver curato nel 1772 la riedizione
del manuale di architettura di Giovanni Branca (Ascoli, 1629) e per
chitettura. Cultissimo com’era egli conobbe gli abusi, e le licenze colle quali era
aver progettato nel 1764 il teatro degli Astrusi a Montalcino e nel trattata questa Scienza più che Arte, alla metà del Secolo decorso; quindi ne fu il
1774 quello di Sinalunga, poi realizzato nel ‘96 dall’accademico G.P. primo riformatore. Colle fabbriche da esso innalzate, ed assai più con gli scritti
che ha pubblicati pieni di energia, erudizione, e filosofico genio, operò in Roma la
Terrosi riprendendo in gran parte l’idea originaria394. felice riordinazione d’idee, che fa tanto onore all’Italia moderna, e specialmente alla
Toscana. Si può vedere un saggio da me pubblicato nel 1802 della sua vita, e delle
sue opere nella qualità di Architetto». Ancora il nome di de’ Vegni compare in F.
392 Baldinucci, D. Moreni, Vita di Filippo di Ser Brunellesco, architetto fiorentino, Firenze,
  Si veda sull’argomento R. Wittkower, Palladio e il Palladianesimo, Torino,
presso N. Carli, 1812, p. 89, in cui si cita tra l’altro un suo giudizio positivo su Miche-
Einaudi, 1995.
393 langelo (nella prefazione alle Memorie per le Belle Arti, Roma IV, 1788), in particolare
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/20, f. 2. a favore delle ‘licenze’ del grande scultore perché volte al trionfo della bellezza.
394
  Leonardo Massimiliano de’ Vegni nasce a Chianciano (Siena) nel 1731. Nel 395
  G. della Valle, op. cit., p. 100.
1750 si laurea a Siena in diritto civile e canonico, ma presto inizia ad occuparsi di 396
  Si tratta di Andrea Memmo, che nello stesso 1786 aveva pubblicato i suoi Ele-
disegno, architettura, scienze e poesia, a lui più congeniali. Molto celebrato ai suoi
menti dell’architettura lodoliana.
tempi, esegue vari progetti, come quelli per i teatri di Montalcino e Montepulcia- 397
no, la Porta a Sole di Chianciano, il palazzo Albergotti ad Arezzo, la chiesa di San   Poi condannato a vent’anni di reclusione come giacobino nel ’99: cfr. C. de
Lorenzo a Sarteano, il palazzo Passetti e la torre del Comune a Foiano. È autore Nicola, Diario napoletano 1798-1825, ried. Napoli, L. Regina, 1999, I, p. 34.
398
di vari studi critici in materia di architettura, nonché inventore del procedimento   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/9, lettera del 20 dicembre 1773. In più
per la realizzazione di bassorilievi detto “plastica dei tartari”, tecnica che sviluppa occasioni de’ Vegni esalta le conoscenze teoriche di Corazza in materia di disegno
a Bagni San Filippo, impiantando la “fabbrica della plastica”, una delle pochissime e prospettiva, accomunandolo ad altri illustri esperti come lui delle tre Arti Belle,
attività economiche non agricole della zona. Muore a Roma nel 1801. Cfr. L.M. de’ come Casali, Algarotti e Zanotti. Cfr. L.M. de’ Vegni, Lettera Preliminare…cit., p.VIII.
399
Vegni, Descrizione del Casale, e Bagni di San Filippo in Toscana con suoi annessi diretta   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/9, lett. cit. (20 dic. 1773).
400
dal dottore Leonardo de’Vegni nell’Instituto di Bologna Accad. Clement. d’onore ec. al chia-   La documentazione, riportata integralmente in M. Böhmig, Le lettere di Gia-
rissimo signor dottore Gaetano Monti, Bologna, 1761; Id., Manuale d’architettura di Gio- como Quarenghi all’abate Vincenzo Corazza (1779-1788), in «Bergomum», Bollettino
vanni Branca corretto ed accresciuto, Roma, s.n., 1772; Lettere del signor Leonardo de’Vegni della Civica Biblioteca “A. Mai”, CIII (2008), pp. 137-168, non risulta analizzata con
al signor Carlo Fea, tratte dall’Antologia romana del Settembre e Ottobre 1794, Roma, s.n., specifico riferimento al ruolo di Corazza nelle scelte architettoniche di Quarenghi.
1794; Leonardo De Vegni Architetto. Chianciano 1731-1801, atti delle giornate di studio Sono purtroppo irreperibili le missive di Corazza a Quarenghi, mai giunte in Ita-
(Chianciano Terme, 11-13 maggio 1984), a cura di C. Cresti, Chianciano Terme, Co- lia, né presenti in sedi russe: si veda in particolare il carteggio conservato presso la
mune, 1985. G. del Rosso scrive in L’osservatore fiorentino sugli edifizj della sua patria, Biblioteca di Stato Saltykov Šcedrin di San Pietroburgo, ove pure sono conservate
Firenze, presso G. Ricci, 1821, p. 79: «Questo illustre soggetto mio particolare amico, altre lettere inviate all’architetto da corrispondenti russi e italiani, ma quasi tutte ri-
ed in molte cose maestro è più noto per la sua scoperta de’ Tartari configurati, che feribili agli ultimi anni di vita di Quarenghi e quindi non significative per la nostra
per altre sue più importanti facoltà. Leonardo Massimiliano, nativo di Chianciano ricerca. Cfr. Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, a cura di V.
in Toscana, disgustato del Foro in virile età si dette interamente allo studio dell’Ar- Zanella,Venezia, Albrizzi editore, 1988, p. XI.

Capitolo quarto
162
affrontato all’interno di uno studio sull’opera di Antonio Ri-
naldi, allievo di Vanvitelli, che lavora a partire dal 1752 al ser-
vizio della zarina Elisabetta I e, dal 1762 al ‘91, di Caterina II 401.
Quarenghi, inviato nel 1761 dal padre a Roma e qui introdotto
nell’ambiente letterario e artistico dell’Arcadia, cominciò ad ap-
prendere la pittura da Mengs prima che questi partisse per la Spagna
e l’architettura da Stefano Pozzi e Paolo Posi402; ma ben presto egli
si orientò decisamente verso l’arte del costruire: in particolare, iniziò
ad interessarsi a Palladio attraverso gli studi di Temanza, con cui in-
trattenne una fitta corrispondenza prima di partire per la Russia nel
1779403, mostrando un’incondizionata ammirazione per la profonda
cultura artistica dello studioso veneziano e, quindi, per l’architettura
classica e rinascimentale404. Già durante gli anni trascorsi sotto la
guida di Mengs, l’architetto aveva intravisto la linea della classicità,
ma da quel grande maestro si allontanò ben presto per l’uso di un
modello di riferimento non più greco, bensì decisamente palladiano,
proprio nella direzione indicata da Temanza.
Nella costruzione della nuova capitale voluta da Pietro il Grande a
partire dal 1703 sulle rive della Neva, se il nome di Francesco Barto-
lomeo Rastrelli fu strettamente legato alle iniziative dell’imperatrice
Elisabetta Petrovna, l’opera di Quarenghi va essenzialmente intesa
quale prosieguo di quella di Rinaldi al servizio di Caterina II, caratte-
rizzando egli il pieno ‘neoclassicismo cateriniano’ a San Pietroburgo
e interpretando con rigore le nuove architetture delle istituzioni405.

401
  Cfr. A. Buccaro, G. Kjučarianc, P. Miltenov, Antonio Rinaldi architetto van-
vitelliano a San Pietroburgo, Milano, Electa Mondadori, 2003. Sulla figura e l’opera
di Giacomo Quarenghi (Valle Imagna, Bergamo 1744-San Pietroburgo 1817), cfr.
G. Quarenghi, Fabbriche e disegni di G. Q., architetto di S. M. l’Imperatore di Russia,
Milano, presso P.A.Tosi, 1821, poi Mantova, F.lli Negretti, 1843-1844 (rist. anast. delle
opere, illustrate dal figlio Giulio); R. Pareto, Biografia di Giacomo Quarenghi: archi-
tetto di S. M. L’Imp. delle Russie, Cavaliere di Malta e di S. Valadomiro, in «Giornale
dell’Ingegnere, Architetto ed Agronomo», nov. 1862; S. Biraghi, Arte retrospettiva:
Jacopo Quarenghi, architetto di Caterina II, in «Emporium», XXXIII, 1911; D. Severin,
Giacomo Quarenghi architetto in Russia, Bergamo, Ediz. Orobiche, 1953;V.N. Talepo- Sebastiano Serlio, Trattato di architettura, Libro III, Venezia 1540, tav. CLI;
rovskij, Quarenghi. Materiale per lo studio della sua attività artistica, Lenigrado-Mosca,
pianta e spaccato della Villa di Poggioreale
s.n., 1954; G.G. Grimm, Eredità grafica di Quarenghi, Leningrado, s.n., 1962; Aa.Vv.,
Capricci e vedute di Giacomo Quarenghi alle Gallerie dell’Accademia, catal. mostra a cura
di E. Bassi, Venezia, Soprint. Gallerie e opere d’arte, 1966; M.F. Koršunova, Gia-
como Quarenghi, Leningrado 1977, ried. Bergamo, Bibl. Civica A. Mai, 1986 (traduz.
dal russo di G.P. Piretto, introduz. di V. Zanella); V.I. Piljavskij, Giacomo Quarenghi, Dunque nel settembre 1779, dopo le prime importanti opere com-
Leningrado, 1981 (ediz. ital. a cura di S. Angelini, Bergamo, Credito Bergamasco, piute in Italia406, su richiesta dell’imperatrice l’architetto si trasferì
1984): B. Lossky, Consécration internationale de l’art de Giacomo Quarenghi, in «Ga- nella capitale russa. Caterina, pur avvalendosi già di numerosi artisti
zette des Beaux-Arts», giu. 1986; Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere
e altri scritti, a cura di V. Zanella,Venezia, Albrizzi, 1988; Aa.Vv., Giacomo Quarenghi. locali e stranieri di grande levatura, era sempre alla ricerca di nuovi
Architetture e vedute, a cura di G. Mezzanotte, V. Zanella, P. Angelini, catalogo della
mostra, Milano, Electa, 1994; V. Zanella, Fabbriche e disegni di Giacomo Quarenghi,
Bergamo, Secomandi, 1994; V. Guercio, op.cit.; Aa.Vv., Giacomo Quarenghi e il suo
tempo, a cura di S. Burini, atti del convegno (Bergamo, 1994), Bergamo, Moretti e saggi siciliani di Houël, i quadri di Hubert Robert. Convinta che la potenza
Vitali, 1995; I disegni di Giacomo Quarenghi al Castello Sforzesco, a cura di P. Angelini, di un sovrano si valutasse segnatamente in base ai traguardi raggiunti in campo
Venezia, Marsilio, 1998; Aa.Vv., Giacomo Quarenghi, catalogo della mostra (San Pie- culturale, la sua grande ambizione segnò per l’arte e l’architettura russa della se-
troburgo, dicembre 1994-marzo 1995), San Pietroburgo, s.n., 1999; Aa.Vv., Giacomo conda metà del Settecento una svolta decisiva. La zarina volle in effetti percorrere
Quarenghi e il neoclassicismo del XVIII secolo, a cura di M.C. Pesenti e P. Angelini, atti un itinerario artistico tutto ispirato al modello europeo, cercando di diffonderne
del convegno, Bergamo, s.n., 2000; Giacomo Quarenghi e San Pietroburgo, a cura di P. le istanze nel proprio paese attraverso un moderno programma di valorizzazione
Angelini, Bergamo, Provincia di Bergamo, 2003. culturale. Così a San Pietroburgo, durante il periodo detto di ‘orientamento
402
  Analizzando la vita e l’opera di Quarenghi scopriamo, fin dai suoi esordi, un verso il classicismo’, il linguaggio tardobarocco lentamente cedette il posto
entusiasmo per l’arte, nella fattispecie per la pittura, motivo questo che lo spinse a alla maniera classicheggiante che andavano diffondendo gli artisti della corte
frequentare gli studi di Bonomini e Raggi. Cfr. S. Biraghi, op. cit., p. 45. parigina e che raggiunse la piena maturità con Quarenghi. Cfr. pure P. Sica,
403
  Gli architetti italiani a San Pietroburgo, a cura di G. Cuppini, Bologna, Grafis, Storia dell’urbanistica. Il Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 143-144: «Per la
1996, p. 20. Della corrispondenza con Temanza si conserva un ampio carteggio spietata durezza con cui viene promossa la colonizzazione e per l’enorme
presso l’Archivio Correr a Venezia. Cfr. Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo, investimento di capitale, la creazione di Pietroburgo è espressione di un po-
cit., passim. tere assoluto che, nell’ambito di un vasto disegno politico, si impegna in un
404
  Testimonianza dell’orientamento artistico di Quarenghi è, del resto, la nota recupero tecnico, scientifico e artistico nei confronti dell’Occidente. E Pie-
lettera in cui egli ricorda di avere drasticamente ripudiato il linguaggio della for- troburgo ha infatti l’impronta di una grande città europea, traduzione improv-
mazione giovanile: «Appigliarmi a questo, e dare di calcio ai principi già appresi, visa e integrale degli schemi dell’urbanistica e dell’architettura classica, e in
ed abbruciare i disegni da me fatti, fu un punto solo». Cfr. S. Biraghi, op. cit., p. 46. particolare di quella francese dell’Illuminismo. Le idee che in Francia nascono
405
  A. Buccaro, Il linguaggio di Rinaldi nel nuovo scenario dell’architettura russa, in A. in funzione critica del potere costituito a opera di una borghesia in ascesa, as-
Buccaro, G. Kjučarianc, P. Miltenov, op. cit., pp. 53 sgg. È noto come nel corso sumono in Russia, con il regno di Caterina, il ruolo di copertura culturale del
degli anni del suo regno (1762-1796) Caterina abbia manifestato un costante potere della sovrana e della dinastia imperiale, con il lustro che conferiscono
distacco dallo stile che aveva caratterizzato le scelte di Elisabetta, volendo alla vita di corte della capitale».
406
avvicinarsi più decisamente all’Europa. Con grande interesse e continuo ag-   Tra le altre opere commissionategli, vi furono il rinnovamento dell’antica
giornamento, la zarina si faceva spedire i prodotti della cultura illuminista: gli chiesa di Santa Scolastica a Subiaco su commissione dei monaci benedettini
scritti degli enciclopedisti francesi, con cui fu in costante contatto epistolare, subiacensi e i progetti della tomba di Papa Clemente XIII, della sala di musica
gli schizzi di Clérisseau, le stampe di Piranesi, le prospettive di Panini, i pae- in Campidoglio, della tomba per il padre del Re di Svezia e di numerose ville.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


163
Quarenghi si definì sempre contrario al dogmatismo e alle rego-
le, pur restando all’interno del linguaggio vitruviano: le propor-
zioni dovevano sì obbedire al carattere dei luoghi e dei popoli,
come indicava Perrault, ma mai essere completamente stravolte,
come ad esempio accadeva in Piranesi. La sua ricerca non si
esaurì, comunque, nell’aderire al classicismo palladiano412: i suoi
progetti appaiono indirizzati verso continue innovazioni del lin-
guaggio formale e stilistico, a dispetto della tendenza ‘funzio-
nalista’ che ormai invadeva sempre più l’ambito architettonico.
Sicché la sua opera poté in qualche caso risultare addirittura ina-
deguata ai tempi, come nella Borsa, ove optò per una forte carica
espressiva, ottenuta mediante l’uso di motivi tratti dal reperto-
rio di Boullée e combinati con il dorico pestano privo di base,
«che veicolava immagini di incorruttibile forza primigenia»413.
Oltre alla sfortunata vicenda progettuale di quest’edificio – su
cui torneremo nel leggere le pagine dell’epistolario napoletano
Giacomo Quarenghi, progetto della Banca Imperiale a San Pietroburgo, c. – particolare importanza riveste l’esperienza maturata nel campo
1783-85; prospetto del corpo centrale. Collezione privata (da Aa.Vv., Pietro
Bianchi 1787-1849) dell’architettura teatrale, come nel grandioso progetto per il Tea-
tro Imperiale di San Pietroburgo, non eseguito, ma fortemente
linguaggi e, soprattutto, talenti: lo dimostra, tra l’altro, il fatto che a influenzato dall’incarico giovanile per quello di Bassano; va ag-
pochi mesi dalla chiamata a corte di Charles Cameron, architetto giunto infine il Teatro dell’Ermitage, da lui realizzato nella capi-
di notevole fama anche in Italia407, la zarina gli affiancò Quarenghi. tale russa tra il 1783 e l’87 sul modello dell’Olimpico di Palladio414.
Così in quella città – ove il bergamasco continuerà ad operare sotto Corazza e Quarenghi si erano frequentati a Roma tra il 1769 e il
Paolo I e Alessandro I – continuarono a diffondersi correnti di de- ‘72, restando da allora legati da una solida amicizia, fondata so-
rivazione europea, come il classicismo neoellenico e neoromano, e, prattutto sulla grande ammirazione per l’erudito bolognese da
grazie al bergamasco, la tendenza palladianista. parte dell’architetto, più giovane di oltre vent’anni, che gli chie-
La prima importante opera realizzata da Quarenghi a San Pietro- derà continuamente consigli e giudizi sui propri progetti; ma i due
burgo fu la Banca Imperiale: progettata al centro di un grande piaz- daranno vita anche a proficui scambi di idee in ambito teorico415.
zale definito da una cortina edilizia a ferro di cavallo e collocata in È il caso, ad esempio, della critica non certo benevola fatta da Co-
modo tale da creare equilibrio visivo con il vicino Ammiragliato razza alle Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani pubblicate
e la fortezza dei Santi Pietro e Paolo, essa fu il primo esempio in da Temanza nel 1778416, che Quarenghi sostanzialmente condivide,
quella città di un complesso concepito alla scala urbanistica. Anto- nonostante la stima che lo lega allo studioso veneziano417: è quanto
nio Diedo, allievo del Selva e all’epoca segretario dell’Accademia di si rileva dalla corrispondenza del maggio 1779, epoca in cui, dopo
Belle Arti di Venezia, osservò che in quest’opera «ben si manifesta
quell’arte di variare, rompere, avvicendare le masse in una maniera
teatrale»408: il giudizio trova conferma man mano che si analizzano quella reale. Oltre a quelle che qui citiamo e alle altre già realizzate in Italia, l’archi-
tetto eseguì nella capitale russa l’Ospedale Psichiatrico, l’Accademia delle Scienze,
le opere mature di Quarenghi. A lui, che una volta aveva scritto i Corpi di Botteghe e la chiesa dei Cavalieri di Malta, e, sotto Paolo I e Alessandro
che «l’antico è sempre stato alla base di tutte le mie indagini este- I, l’Istituto di ragazze nobili di Smol’nyi, il Maneggio della Guardia a cavallo, gli
ospedali della Liteiny e di Pavlovsk, e il Palazzo di Alessandro a Carskoe Selò. Ri-
tiche, proprio nell’antico io ho sempre ricercato quanto esiste di guardo, in particolare, all’istituto Smol’nyj, adiacente al monastero di Rastrelli, la
migliore»409, venne affidata la colossale impresa di trasformare lo stile Biraghi giudica il complesso «di mediocre bellezza e notevole soltanto per la sua
immensità». Tale giudizio va però ridimensionato, poiché l’opera rispecchia quella
di quella capitale in piena crescita410; egli riuscì quindi a connotare maniera prettamente quarenghiana di operare con «la semplicità delle realizzazioni
con le proprie architetture i più suggestivi angoli di San Pietro- più ardite in un campo in cui era facile cadere nell’ampolloso» (E. Lo Gatto, Il
burgo, grazie ad un’appropriata adozione di moduli compositivi, mito di Pietroburgo: storia, leggenda, poesia, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 95).
412
  Riguardo al Palazzo Inglese da lui realizzato a Peterhof, così J. Summerson
rispondenti alle diverse tipologie funzionali richieste411. (Il linguaggio classico dell’architettura, Torino, Einaudi, 1970, p. 96): «Quarenghi fece
ricorso a un austero palladianesimo, assai più vicino in realtà al riscopritore
inglese di Palladio, Colen Campbell, che non al Palladio stesso».
407 413
  Charles Cameron (c. 1740-1812), presente a Roma dopo il 1760, pubblicò il   A.M. M atteucci, Architetti italiani alle corti d’Europa, in Gli architetti italiani…
famoso studio dal titolo The baths of the romans explained and illustrated. With the cit., p. 75.
restorations of Palladio corrected and improved. To which is prefixed, an introductory preface, 414
  Il teatro – costruito nel luogo in cui sorgeva il Palazzo d’Inverno di Pietro
pointing out the nature of the work. And a dissertation upon the state of the arts during I – rientra nel novero di quei complessi edilizi pietroburghesi che, sebbene co-
the different periods of the roman empire (London, G. Scott, 1772). Dal 1779 egli fu al struiti e ricostruiti nell’arco di mezzo secolo, mostrano un aspetto unitario no-
servizio di Caterina II a Carskoe Selò, ove intervenne al posto di Clérisseau, chia- nostante la diversità degli stili presenti al loro interno. Tra essi Petrovskij elenca
mato in un primo tempo dalla zarina: nel rispetto di alcuni disegni del francese, egli anche il Palazzo d’Inverno di Rastrelli, l’Ermitage di Vallin de La Mothe (1769),
realizzò nel 1779-84, nel palazzo di Rastrelli, una serie di appartamenti nello stile la Galleria dei Quadri, opera dell’architetto Fel’ten (1787) e il nuovo Ermitage,
di Adam, ai quali aggiunse la Galleria Cameron e il Padiglione Agate. La Galleria eretto nel 1841 su progetto di Leo Von Klenze. Cfr. B.B. Petrovskij, Ermitage,
presenta verso il parco superbi colonnati aperti e, verso sud, un’ampia scalinata storia e collezioni, Mosca, s.n., 1981. In generale va notato nel tipo teatrale messo
che, aprendosi in due ampi bracci terminanti in un tratto rettilineo, scende verso il a punto da Quarenghi la tendenza a conferire un’importanza sempre maggio-
lago. Anche nel palazzo di Pavlovsk è evidente l’influenza di Clérisseau e di Adam, re agli ambienti annessi al corpo strettamente destinato alla rappresentazione,
specie negli interni neogreci e negli esempi di ‘barocco raggelato’. Nel parco egli secondo una linea che, come è noto, verrà seguita ancora per tutto l’Ottocento
costruì nel 1780 il tempio circolare dell’Amicizia, primo esempio di dorico greco fino alle esperienze di Garnier e di Semper.
in Russia. Cfr. R. Middleton, D. Watkin, Architettura dell’Ottocento, Milano, Electa, 415
  Quarenghi si dichiarerà sempre legatissimo a Corazza, che gli aveva manifesta-
1980, II, pp. 273-275. to grande amicizia e saggezza «nel discendere a me al tempo della sua dimora in
408
  S. Biraghi, op. cit., p. 43. questa Dominante [Roma]» (BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/13, f. 6, lettera
409
  N. Ejdelman-J. Krelin, Russia italiana, Rimini, Maggioli, 1987, p. 136. da Roma del 28 maggio 1779).
410 416
  Ibidem.   T. Temanza, Vite dei piu celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel secolo
411
  Enumerare tutte le opere di Quarenghi sarebbe difficile: si racconta che egli decimosesto,Venezia, stamp. C. Palese, 1778.
417
stesso, elencandole, ne tralasciasse alcune e di altre desse una cronologia diversa da   Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., passim.

Capitolo quarto
164
l’importante esperienza svolta nella trasformazione della chiesa di renghi chiede dunque consiglio a Corazza riguardo all’offerta fat-
Santa Scolastica a Subiaco, l’architetto aveva ricevuto dal principe tagli di andare a lavorare nella terra degli zar; trasferta per la quale
Abbondio Rezzonico, potente senatore romano e nipote di Cle- egli ha chiesto 2300 scudi romani per i primi tre anni:
mente XIII, l’incarico «di far i Disegni per una Sala che deve servire
ad Accademia di Musica e Ballo, e per dar Pranzi», ossia la famosa La mia prima occupazione sarebbe di costruire un Palazzo, dove s’ave-
Sala da Musica in Campidoglio418. Ma della critica di Corazza – il rebbero ad accomodare le Loggie di Raffaello di Urbino, che la detta
quale, come abbiamo visto, possedeva una copia delle Vite con po- Imperatrice fa copiare presentamente per tale effetto, e situarvi il Mu-
stille autografe dell’autore – abbiamo notizia solo dai rapidi accenni seo, Libreria, e Selleria. L’impegno non è indifferente […]. Uno de’
che ne fa Quarenghi, elencando tra gli altri difetti lamentati dal grandi favori che il Sig. Don Vincenzo mi potrebbe fare, sarebbe di
bolognese la mancanza di riferimenti alle più aggiornate edizioni consigliarmi sopra tal risoluzione e darmi tutte quelle informazioni ed
francesi della trattatistica rinascimentale419. istruzioni che può.
L’epistolario quarenghiano custodito presso la Biblioteca Civica
di Bergamo, già pubblicato dallo Zanella 420 , offre spunti interes- Non ci è nota la risposta di Corazza, ma egli dovette essere propenso
santi ai fini di una migliore delineazione dell’ambiente culturale sin dall’inizio a quella partenza, ben conoscendo l’insoddisfazione
romano frequentato da Quarenghi prima della partenza per la di Quarenghi per l’ambiente artistico e professionale della capitale
Russia, tra il 1772 e il ‘79; ambiente che, sebbene da lui più volte pontificia, specie dopo la prematura morte di Mengs, «uno di que’
giudicato una «Babilonia», era invece assai vivace dal punto di pochi che sosteneva con decoro la nobilissima Arte della Pittura»423.
vista culturale, restandone lo stesso Corazza, come abbiamo visto, Così il progetto per un «Palazzo di Delicie», redatto in tutta fretta
fortemente influenzato fino alla partenza per Napoli e contri- a Roma nell’agosto del 1779, che l’architetto non fa in tempo a
buendo non poco il fervore di quelle idee alla maturazione della sottoporre al giudizio di Corazza prima di partire424, si muterà ben
sua poliedrica personalità. Numerosi i personaggi di spicco tra presto nella trasformazione e ampliamento del Piccolo Ermitage –
i comuni amici più volte citati, oltre che nell’epistolario berga- già costruito da Jurij Velten e Vallin de la Mothe negli anni ’60 in
masco421 , nella corrispondenza tra Quarenghi e l’abate bolognese proseguimento del Palazzo d’Inverno di Rastrelli – con la ripropo-
rinvenibile tra i documenti napoletani, che ci dànno idea dell’in- sizione filologica di «tutti l’ornamenti di Raffaello, e specialmente le
tellighentia italiana con cui entrambi furono in contatto prima e loggie»: il modello di queste ultime, disponibile nelle tavole pubbli-
dopo il soggiorno romano. cate da Giovanni Volpato tra il 1772 e il ‘77 con precisi rilievi dell’o-
Ma concentriamo la nostra attenzione sul ruolo svolto da Corazza pera cinquecentesca425, tra il 1778 e l’87 fu riprodotto su tela in scala
in alcune significative scelte di Quarenghi, a partire dalla decisio- originale sotto la direzione di Christoph Unterberger per essere poi
ne più importante della sua vita, ossia quella di accettare o meno, applicato alle pareti della galleria dell’edificio ideato da Quarenghi;
nell’estate del 1779, l’invito di Caterina II di andare a San Pietro- quest’ultimo sarà in parte demolito negli anni ’30 dell’Ottocento e
burgo, che avrebbe segnato per sempre la sua vicenda personale incluso nel primo piano del Nuovo Ermitage426.
ma anche, in qualche modo, la storia dell’architettura neoclassica. Dunque il 13 settembre 1779 il bergamasco intraprende il viaggio
Il bergamasco era stato segnalato alla zarina dal barone Grimm, verso San Pietroburgo, attraversando l’intera mitteleuropa e por-
illustre scrittore e amico di Caterina residente a Parigi, cui era tando con sé la moglie incinta, per giungere nella capitale russa il
stato presentato dal pittore e antiquario J.F. Reiffenstein, operante 1° febbraio 1780 e assumere il ruolo di Primo Architetto dell’Im-
a Roma e potente amico di Winckelmann. Il 2 luglio 1779422 Qua- peratrice427.
La corrispondenza a nostra disposizione per il 1781 integra in qual-
che modo l’epistolario pubblicato dallo Zanella, privo di docu-
418
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/13, f. 7, lettera a Corazza del 6 mag- menti relativi a quell’anno. Così il 20 gennaio l’architetto potrà
gio 1779: «S’alcuni disegni che debbo fare per comando dell’Ecc.mo Senatore
Rezzonico non mi tenessero tutto giorno occupato, dovendoli portare Domenica scrivere al Nostro:
prossima, siccome cosa per me interessante, e per se stessa e per i suoi rapporti,
m’estenderei maggiormente, e mi darei il piacere di categoricamente rispondere
alle sue ben intese e sode riflessioni sopra il Libro del Sig.Temanza, il che differisco Ho fatto molte cose per questa Sovrana, ch’anno avuto la sorte d’in-
in altr’ordinario, in cui le comunicherò altresì i miei pensieri sin da tempo addietro contrare in tutto il genio della M.S., ultimamente ho presentato il Mo-
formati su di tale soggetto e che convengon con li suoi». Al progetto della Sala egli
dello della Borsa, che la detta M.S. mi ha voluto far l’onore di restare
si applicherà con ogni sforzo allo scopo di non deludere Rezzonico, cui era legato
da profonda stima. Ricordiamo che nel 1769, alla morte di papa Clemente XIII, zio quasi mezz’ora ad esaminarlo e discorer meco sopra l’istesso, ed ha
del cardinale, Quarenghi ne aveva disegnato il mausoleo, poi eseguito da Antonio voluto onorarmi col dire più volte che questa sarebbe la miglior fabri-
Canova. Quarenghi profonde inoltre in un elogio delle doti intellettuali e del gusto
di Corazza: secondo lui, infatti, quel giudizio su Temanza «non può essere più retto ca del suo Impero, spero ch’averò il nostro Camporesi per assister alla
ed esatto, e quando non vi fossero altre prove dell’intelligenza Sua della nostr’arte, fabrica della medesima […]. In altra lettera le scriverò qualche cosa di
io non avrei il coraggio per questo solo darLe quel luogo fra noi Architetti quale
occupa un Servitor di Livrea […], ma bensì di Capo e Direttore e alto Giudice, particolare ancora di questa Metropoli ove vivono molti che si ricor-
siccome quello che sa combinare con fondo non ordinario e comune di sapere dano di Pietro p.° quando fabricò la prima casa, ed adesso la vedono
per rettamente giudicare delle cose con gusto squisito e delicato per conoscerle, arrivata a tanta grandezza428.
distinguere e trascegliere» (ivi, f. 7, lettera cit., 6 maggio 1779).
419
  Ivi, f. 6, lettera del 28 maggio 1779. L’architetto bergamasco dice di concordare
con Corazza, tra le altre cose, sulla mancata citazione, da parte di Temanza, dell’e-
dizione in lingua francese del Polifilo, che egli stesso aveva comunicato all’autore, 423
come pure sull’omessa datazione al novembre 1514 dell’edizione fatta da Fra Gio-   Ibidem.
424
condo dei Commentari di Cesare. Egli conviene inoltre con l’amico riguardo a   Ivi, lettera del 20 agosto 1779.
425
varie questioni letterarie, tra cui una sul «distico del Sannazaro».   Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., p. 404; Giovanni
420
  Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit. Volpato: les Loges de Raphael et la Galerie du Palais Farnese, a cura di A. Gilet, Cinisello
421
  Nelle lettere bergamasche si citano, tra gli altri, Milizia, Algarotti, Bottari, Po- Balsamo, Silvana Editoriale, 2007.
426
leni, Bianconi, Pindemonte, Serassi; quest’ultimo, buon amico dello stesso Corazza,   E. Lo Gatto, Gli artisti italiani in Russia, vol. III (Gli architetti del XIX secolo a
viene definito «uomo cognito nella repubblica letteraria» (ivi, p. 89, lettera da Roma Pietroburgo e nelle tenute imperiali), Milano, Libri Scheiwiller, 1994, pp. 39-43.
427
di Quarenghi a Temanza del 12 dicembre 1772, cit.) e grande esperto dell’opera di   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/13, lettera del 4 settembre 1779, ul-
Torquato Tasso. tima da Roma.
422 428
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/13.   Ivi, lettera del 20 gennaio 1781.

Il contributo alla critica artistica e architettonica


165
Proprio alludendo al fervore architettonico che andava trasfor- quegli anni nell’ambiente artistico romano, cui si aggiunge una
mando il volto di San Pietroburgo, in una lettera indirizzata un produzione architettonica non certo all’altezza della tradizione ri-
anno prima da Quarenghi a Serassi, si legge che l’Imperatrice nascimentale e barocca, tanta fortuna professionale toccata all’ar-
«potrà vantarsi con Cesare [Augusto] d’averla trovata di legno chitetto bergamasco e agli altri numerosi connazionali impegnati
e lasciata di pietra»429 , sebbene, come è noto, secondo Svetonio in terra russa viene a rappresentare per gli uomini della «Società
Roma fosse stata trasformata dall’imperatore da città di mattoni dell’Arco» un autentico vanto e il concreto riscontro delle idee
in città di marmo. cosmopolite di cui da tempo essi si fanno sostenitori.
Quanto all’architetto Francesco Camporesi (Bologna 1747-Mosca Boni aggiorna quindi periodicamente Corazza sull’attività di
1831), già attivo nell’ambiente pontificio e anch’egli membro del- Quarenghi in Russia. Nel luglio 1781 lo informa ancora «che il
la Società dell’Arco, sappiamo che lavorò come collaboratore di nostro amico Giacomo si fa onore: che fece una superba inven-
Quarenghi prima a San Pietroburgo, poi a Mosca (ove lavorò al zione per la Borsa, […] e che avendo la Granduchessa gettata la
Palazzo di Caterina a partire dal 1782), progettando nella vecchia prima pietra di una Chiesa, che fa fare col di lui disegno, gli re-
capitale russa numerose residenze private, tra cui il palazzo Golo- galò una superba scatola d’oro, e mille rubli»436 . Ma le aspettative
vin. In una lettera del 20 marzo 1781430 indirizzata a Corazza dal degli amici della cerchia romana in merito alla grandiosa fabbrica
letterato ed etruscologo romano Pietro Pasqualoni 431 , altro comu- della Borsa 437 erano destinate a restare deluse: l’edificio, sebbene
ne amico, si legge in proposito: iniziato nello stesso anno, non sarà mai portato a termine secondo
l’idea ‘rivoluzionaria’ di Quarenghi, venendo demolito nel 1805
Il Camporesi partirà fra breve alla volta di Pietroburgo chiamato colà e totalmente ricostruito dall’architetto francese Thomas de Tho-
per soprastante alle fabbriche commesse dalla Sovrana al nostro Gia- mon (1805-10) con l’uso di un linguaggio neoclassico molto meno
como [Quarenghi]. Ed ecco che i buoni si partono, e si rimangono i innovativo.
Marchionni. Oh se vedeste gli orrori della sagrestia! Fino al 1788, in più occasioni, Quarenghi chiede ancora consigli
a Corazza. Ad esempio, sul volgere del 1783, traendo occasione
E giù ancora con un’altra ‘bordata’ che si aggiunge al coro contro dalla partenza da San Pietroburgo del celebre musicista pugliese
l’opera di Marchionni a San Pietro: per il suo retrogrado ‘baroc- Giovanni Paisiello, chiamato a Napoli da Ferdinando IV e già
chismo’, essa aveva ricevuto un’analoga condanna sia da Quaren- attivo nella capitale russa dal 1776, gli invia, tramite questi, alcuni
ghi 432 , sia da Milizia, che addirittura a seguito del parere espresso progetti, chiedendo come sempre al Nostro un giudizio critico:
fu costretto ad allontanarsi da Roma 433 .
Quanto al bel progetto per la Borsa, conservato presso la Bibliote- Colla venuta costì del Sig. Maestro Paisiello io mi prendo la libertà
ca Civica di Bergamo434 , ad esso fa cenno anche il Boni nella citata di mandarle due miei disegni, uno d’una Cappella Sepolcrale per
lettera del 27 aprile 1781435 : uso di questa Imperiale Corte, la qual Cappella si comincierà a fa-
bricare nella prossima primavera, e l’altro d’un Padiglione di piacere
Ebbi già una lettera del comune amico di Moscovia [Quarenghi]. per il Giardino di S.M. Imperiale a Czarcaelo [Carskoe Selò], quali
Piazze, Chiese, Spedali, Palazzi, e la grandiosa fabbrica della Borsa, non sono disegnati da me, stante le mie molte e continue occupa-
che averà colonne più grandi di quelle esterne del Pantheon, lo ten- zioni, ma sono copiati con tutta l’esattezza sopra li miei originali. Io
gono esercitato con somma sua lode, e decoro, e con gran soddisfa- dunque la prego a riceverli come un contrasegno ed attestato della
zione di quella Magnanima Sovrana. Per una bizzaria della sorte ve- nostra antica ed affettuosa amicizia; e siccome ho fatto sempre un
desi già compita vicino ai fianchi di S. Pietro quell’orrida sagrestia, gran caso del di lei sano giudizio non solo in questa ma ancora in
e nel paese dei monumenti più superbi dell’antichità; e ad un tempo tante e tante parti del sapere umano, così gradirei all’estremo, ch’ella
istesso un Italiano vola a far risorgere il Palladio, Giulio Romano, doppo averli diligentemente esaminati mi volesse far la finezza di
Baldasar da Siena, e se vogliamo ancor l’antico, da Roma a Pietro- dirmi il suo sentimento intorno ai medesimi con filosofica ed ami-
burgo. Sembrerebbe una stravaganza, se non ne fossimo con gran chevole libertà.
dispiacere noi stessi i testimoni: ed il secolo filosofico negl’annali
delle Belle Arti non farà certamente per questo la sua miglior figura. Il «Padiglione di piacere» è, in realtà, l’elegante Padiglione per Musi-
ca (1782-86) 438 sito all’interno del Parco di Caterina a Carskoe Selò
Se, quindi, l’opera di Marchionni ha già assunto i caratteri di un (l’odierna Puškin) nel complesso del celebre sito reale già realiz-
autentico scandalo, l’austero linguaggio palladiano, di cui Qua- zato da Rastrelli a pochi chilometri dalla capitale, tra laghetti e
renghi si fa sostenitore, appare destinato ad avere gran successo rovine classiche importate direttamente dall’Italia. L’edificio verrà
nelle città russe. Così, di rincontro al clima polemico diffusosi in poi trasformato da V. Neelov tra il 1796 e il 1809.
Ancora nel 1784 l’ambiente artistico napoletano è oggetto di par-
429
ticolare interesse per Quarenghi, che chiede a Corazza non solo
  Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., p. 44, lettera a
Serassi del 1° maggio 1780. «in che stato si trovano presentemente le belle arti costì in Napoli»,
430
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29/26. ma anche notizie di architetti conosciuti a Roma e all’epoca attivi
431
  L’abate Pasqualoni, romano, pubblicò a Venezia nel 1794-95 numerose traduzio-
ni di tragedie greche. Fu autore arcade con lo pseudonimo di Telesio Matunno. Cfr.
Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., p. 404.
432
  Si vedano le numerose lettere al Temanza del 1776, allorché Marchionni aveva
ricevuto l’incarico da Pio VI. Quarenghi lo paragona a Pietro da Cortona perché 436
  Ivi, lettera di Boni a Corazza del 22 luglio 1781. Non ci è dato di sapere quale
«pieno di libertà e capricci». Cfr. Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e fosse la chiesa cui Boni fa cenno nella lettera.
altri scritti, cit., p. 34. 437
  Nell’agosto 1781 Boni scrive ancora a Corazza, dicendogli di attendere da Qua-
433
  R. Middleton, D. Watkin, Architettura dell’Ottocento, Milano, Electa, 1980, II, renghi qualche disegno della Borsa. Ivi, lettera del 14 agosto 1781.
p. 288. 438
  I grafici di progetto di Quarenghi relativi al Padiglione, insieme con una
434
  Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., figg. 29-30 e bella veduta ad inchiostro acquerellato, sono conservati presso la Biblioteca Ci-
passim. vica di Bergamo. Cfr. Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri
435
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/8. scritti, cit., figg. 131-141.

Capitolo quarto
166
nella capitale borbonica, tra cui Pompeo Schiantarelli439: vedremo
come quest’ultimo fosse appena rientrato dalla spedizione scienti-
fica in Calabria intrapresa per conto dell’Accademia delle Scienze
a seguito del terremoto dell’anno precedente. In realtà, a fronte di
tanti incarichi e soddisfazioni, il bergamasco non abbandonerà mai
il desiderio di tornare in patria:

S.M. Imperiale seguita tuttavia a protendere le sue grazie sopra di me,


ma questo appunto fa si che di giorno in giorno si aumenta il numero
de’ miei nemici. Perciò non essendo io fatto per le Corti ed amando
all’estremo l’ozio filosofico, e di potere attendere in libertà allo studio
della professione, spero che fra non molti anni averò il piacere d’ab-
bracciarla a Dio piacendo in Italia440.

Quarenghi non rivedrà mai più Corazza, che di fatto ha frequen-


tato solo negli anni del soggiorno romano: l’architetto potrà con-
cedersi un breve ritorno in Italia molto tempo dopo la scomparsa
dell’amico, durante il dominio napoleonico (1810-11), limitandosi
peraltro a visitare la propria città. Ma prima di allora, in ogni
occasione, egli non saprà fare a meno degli autorevoli consigli
del bolognese; così ancora nel 1788, appena compiuto il Teatro
dell’Ermitage (1782-87) sul luogo del vecchio Palazzo d’Inver-
no, nell’inviare a Corazza una copia dell’elegante pubblicazione
sull’opera 441 scriverà:

Le trasmetto un esemplare del Teatro ch’io ho fatto costruire in


questo Ermitage di S.M. Imperiale. Quello che m’ha indotto a far
questa edizione è stato il consiglio di S.M. medesima al quale ho
creduto di dover ubbidire anticipando quello, che non avevo inten-
zione di far per ora. Da questo ne è addivenuto, che non avendo ne
il comodo ne il tempo di far nuove osservazioni come avrei voluto
intorno a’ teatri antichi, e come forse farò un giorno, se avrò la bella
sorte di poter arrivare a quell’ozio letterario, che si richiede per una
tal cosa; ne è nato dico, ch’ai disegni non ho giudicato di premettere
altro, che quello ch’era semplicemente necessario per formarsi una
sufficiente idea del Teatro antico. Di quest’opera non ne ho fatti
tirare che soli cento esemplari, e questi per regalare a’ miei buoni
amici […]. Tempo fa ancora le mandai altri miei disegni, de’ quali
non ho avuto alcun riscontro […]. Di quello che insistentemente la
prego si è di darmene il suo parere per mia consolazione ed instru-
zione. La presente guerra ha fatto sospendere quasi tutte le fabriche, Giacomo Quarenghi, progetto della Borsa di San Pietroburgo, c. 1781-83;
pianta e prospetto principale. Bergamo, Biblioteca Civica (da Zanella)
e perciò spero d’avere un poco d’ozio per attendere più seriamente
a’ miei studi 442 .

Come abbiamo visto, la passione di Corazza per il tema del teatro l’architetto di Caterina II il tempo per l’auspicato «ozio lettera-
antico, suscitata dai rinvenimenti del teatro di Ercolano e dagli rio» e, quindi, per coltivare i propri studi sull’architettura classica
approfonditi studi di Milizia, risale ai primi anni ‘70: per que- non giungerà mai; anzi, le fatiche professionali si faranno sempre
sto, ancora una volta, Quarenghi si rivolge a lui come esperto, più onerose443 .
certamente interessato alle fonti di ispirazione di quel grandioso
progetto, che nella breve premessa al testo vengono individuate
nell’opera vitruviana e nel palladiano Teatro Olimpico. Ma per 443
  Sin dalla sua partenza per la Russia Quarenghi aveva dovuto abbandonare gli
studi che lo appassionavano maggiormente, ossia quelli sull’architettura del mondo
antico e su Vitruvio. Ad esempio nel 1776, nell’approfondire il De Architectura, egli
439 aveva dichiarato all’amico Temanza di essere «non troppo soddisfatto della traduzio-
  Cfr. F. Divenuto, Pompeo Schiantarelli. Ricerca ed architettura nel secondo Settecento ne del Marchese Galiani» (lett. da Roma a Temanza, 2 marzo 1776, cit. in Giacomo
napoletano, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1984. Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., p. 30), preferendo ovvia-
440
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/13, lettera del 18 gennaio 1784. Nell’otto- mente quella del ‘palladiano’ Daniele Barbaro, nonché le Esercitazioni Vitruviane del
bre successivo Quarenghi scrive a Corazza: «Quanto più io mi vado avvicinando al padovano Giovanni Poleni (G. Poleni, Exercitationes vitruvianae primae [-tertiae]. Hoc
termine del mio contratto tanto più mi sento invogliato di ritornarmene in codeste est: Ioannis Poleni commentarius criticus de M. Vitruvii Pollionis architecti. 10. librorum
parti, per avere il piacere di rimirarmi nuovamente nel centro delle Belle Arti, e editionibus, necnon de eorundem editoribus, atque de aliis, qui Vitruvium quocumque modo
per avere la sorte fra l’altre di godere e di approfittarmi dei di lei savi e giudiziosi explicarunt, aut illustrarunt, Padova-Venezia, F. Pitteri, 1739). E se Temanza aveva defi-
ragionamenti» (ivi, lettera del 4 ottobre 1784). nito l’opera di Galiani «bella, ma che scarseggia di figure», Quarenghi aveva calcato
441
  Cfr. G. Quarenghi, Théatre de l’Hermitage de Sa Majesté l’Imperatrice de toutes les la mano: «a me pare ancora che scarseggi molto di cognizione di fabriche antiche,
Russies, St. Pétersbourg, de l’Imprimerie de l’Académie des Sciences, 1787. e in più luoghi cita diverse specie di fabriche non esistenti mentre è tutto all’in-
442
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/13, , lettera del 24 maggio 1788. contrario» (lett. da Roma a Temanza, s.d. [1772], cit. in Giacomo Quarenghi architetto

Il contributo alla critica artistica e architettonica


167
interessi, spesso informato direttamente da amici e colleghi ri-
guardo ad importanti contributi scientifici prima ancora della loro
pubblicazione.
In ambito matematico Corazza, da convinto leonardista, appare inte-
ressato da un lato all’applicazione e dimostrazione di teoremi già noti,
dall’altro alla ricerca di nuovi dati sperimentali, come si legge in una
lettera del 16 febbraio 1779 indirizzata al principe Domenico Orsini:

Bisognerebbe porre studio a trovare o nuove Dimostrazioni su i vecchi


temi, o Teoremi e Problemi nuovi ricavati dalle già cognite Dimostrazio-
ni; in altra guisa, lo studio delle Matematiche non riesce a qualche cosa.

Insomma un metodo d’indagine scientifica degno di un buon illu-


minista, ispirato allo spirito sistematico dell’Encyclopédie ma anche
alla logica tutta vinciana di un continuo rimando tra deduzioni e
pratiche sperimentazioni.
La straordinaria curiosità di Corazza nel campo della geometria
emerge da una lettera del 25 novembre 1775445 , in cui il matema-
tico e concittadino Vincenzo Fontana gli scrive fornendogli il
metodo di costruzione del «quadratissimo» – un quadrato formato
da altri cinque più piccoli uguali tra loro – secondo le indicazioni
del «canonico Saladini», più volte citato, per la sua fama, anche dal
Napoli Signorelli 446 : Girolamo Saladini (1731-1813), lucchese, già
professore di matematica all’Università di Bologna e all’epoca do-
cente a Napoli presso l’Accademia del Battaglione Real Ferdinan-
do, aveva pubblicato qualche mese prima a Bologna un ponderoso
Compendio d’Analisi447. Il caso è emblematico di come ai vecchi
metodi della geometria sintetica si andassero affiancando le nuove
istanze analitiche; ma i due modi di intendere la geometria, non
sempre in contrasto tra loro, erano destinati a convivere ancora
per molto tempo.
Tra le opere inedite di Corazza riferibili agli anni ’80 troviamo an-
che un saggio ad uso didattico per il principe Francesco, dal titolo
Elementi di Algebra448, oltre ad interessanti studi in cui fonde le pro-
prie conoscenze storiche con quelle geografiche ed astronomiche:
si occupa ad esempio, sulla base delle tesi espresse da Newton in
materia di «Cronologia antica dei Greci», dell’individuazione delle
fasi storiche della civiltà ellenica a partire dall’età arcaica, attraverso
complessi calcoli sulle generazioni, sulle durate dei regni e persino
Giacomo Quarenghi, progetto del Padiglione per Musica a Carskoe Selò,
sul corso delle stelle449.
c. 1784-86; pianta e prospetto principale. Bergamo, Biblioteca Civica Dalla traduzione di un importante scritto di P. Andrej, ingegnere
(da Zanella) primario della Marina di Francia, dal titolo Riflessioni sulla Figura
della Terra450, Corazza trae dotte osservazioni sulla storia dell’astro-
nomia dai Greci in avanti, con citazioni da Aristotele, Tolomeo ed
III. Gli studi di Corazza nel progresso altri. Nel testo, ancora sulla scorta di Newton e d’Alembert, e con
delle scienze e dell’ingegneria in età borbonica riferimento ai tentativi di misurazione del raggio terrestre svolti in
seno all’Accademia delle Scienze di Parigi e alle analoghe iniziative
Consideriamo ora il contributo di Corazza in campo promosse in Italia da Benedetto XIV, da Maria Teresa d’Austria e dal
scientifico, in relazione allo scenario degli studi in atto a quell’epoca re di Sardegna, riguardanti il calcolo della lunghezza del meridiano
nel Mezzogiorno: in verità i documenti della Biblioteca Nazionale della Terra, Andrej affrontava il problema impostando tre equazioni
di Napoli, come del resto gli epistolari dell’Archiginnasio bologne- differenziali. In altri documenti del 1785 Corazza si occuperà ancora
se, non consentono una classificazione per così dire ‘disciplinare’, di geografia e in particolare delle trasformazioni dei continenti nel
trattandosi di scritture nelle materie più varie all’interno di carteggi corso della storia451.
che vanno dagli anni giovanili fino all’ultimo periodo di vita dell’a-
bate444. Emerge comunque la figura di uno studioso dai poliedrici 445
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29bis/11.
446
  P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura…cit., premessa, pp. XCII-XCIII.
447
a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, cit., p. 31), donde traiamo conferma del già notato   G. Saladini, Compendio d’Analisi, Bologna, Stamp. S. Tommaso d’Aquino, 1775.
carattere poco aggiornato di quell’opera. Cfr. F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., p. 54.
448
444
  Agli inizi del 1770, ad esempio, Corazza scrive da Roma all’Arcivescovo di Bo-   BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 28/7, n. 6 «quinternetti».
449
logna una lettera densa di appunti di matematica – specie in materia di proporzioni   Ivi, X. AA. 28/6, ff. vari.
450
e di funzioni algebriche – ma anche di interessanti poesie: BNN, Manoscritti e Rari,   Ivi, X. AA. 28/5.
451
X. AA. 28/4, f. 38.   Ivi, X. AA. 28/6, ff. 45-47.

Capitolo quarto
168
Degni di attenzione sono altri scritti di Corazza in materia di rilie- fanno sentire, quando fra chi guarda e gli oggetti, che voglionsi in
vo e di rappresentazione dell’architettura, a partire dal Ristretto del pittura mostrare, molto aere si frappone. Il celebre Leonardo da Vinci ha
Trattato della Misura delle Fabbriche452 databile all’inizio degli anni ‘80, nella sua opera abbozzata indicate attorno a ciò alcune osservazioni456.
sintesi dell’imponente opera pubblicata sull’argomento nel 1757 da
Giuseppe Antonio Alberti e, come si è visto, recensita da Comol- Di qui la necessità, costantemente avvertita dal Nostro, di una siste-
li453. Ma soprattutto nel citato saggio Della Prospettiva, ed Altre Cose matizzazione e pubblicazione dei precetti contenuti nelle preziose
a Lei Analoghe454 del 1781 lo studioso mostrerà di mettere a frutto i pagine del Codice e solo in parte noti agli studiosi italiani attraverso
propri studi vinciani su questa materia. Del resto l’amico de’ Vegni la riedizione napoletana del Trattato della Pittura del 1733. Ma il sogno
in più occasioni lo esalterà per la costante ispirazione agli scritti di resterà irrealizzato.
Leonardo anche in questo campo, sebbene rimpiangendo, come già Nello scritto ritorna il tema teatrale, tanto caro all’autore, sotto il
Comolli, la mancata pubblicazione di un’opera specifica da parte profilo della «Prospettiva de’ Teatri»:
del bolognese:
«uno dei vecchi Bibiena ha dato Regole ne’ suoi libri pubblicati: non
«Io rassomiglio l’ingegno e penetrativa del Sig. Corazza a un trivello è però che non potesse, e non stesse per rifondare quel suo lavoro in
[…]. Toccato dunque sul tasto di prospettiva darebbe una relazione questa parte, anche per levare quella perpetua monotonia di scena,
non solo delle bellissime cose da lui trattate col Lelli, ma di tante al- che veggiamo su’ nostri teatri, ne’ quali la disposizione de’ telai, o
tre, che non può a meno di non avere esplorate coll’occasione di ave- quinte che si voglion chiamare, stanno costantemente disposte sovra
re fortunatamente trovato tanti Capitoli inediti del famoso Trattato due linee convergenti a un punto verso il fondo del palco; la qual
della Pittura del Vinci, i quali frapposti opportunamente ove man- cosa pruova e la pochezza delle regole, e la difficultà dell’applicazio-
cano rendono chiari e intelligibili molti luoghi ora per tal mancanza ne; ambo inconvenienti sarebbon tolti quando meglio fosse esposta a’
oscuri e difficili, quali per lo più sono quelli, che trattano dell’aria Pittori l’arte della Prospettiva, e più opportunamente mostrata loro
intermedia allo spettatore e gli oggetti: tesoro desiderabile, che con la pratica. Serlio molto prima della metà del secolo XVI con pochi
tanti altri suoi studi sulle belle Arti si degni un giorno donare al principj di Prospettiva ci ha lasciati alcuni pochi disegni di scene
pubblico»455 . molto più riccamente disposte, che quelle non sono, che usiam oggi
vedere ne’ nostri Teatri».
Specie in relazione all’uso di «congegni» utili alla precisa rappre-
sentazione prospettica degli oggetti o all’individuazione degli Da buon bolognese Corazza apprezza la ‘rivoluzione’ condotta agli
errori in essa ricorrenti, Corazza si dimostra un grande esperto: inizi del secolo dai fratelli Bibiena proprio nella città felsinea con
«Conosco più d’una macchina, che serve a ciò, facile e semplice, e l’introduzione della famosa «maniera d’angolo», non ancora og-
me ne son note dell’altre, che a molto analoghi fini possono con- getto però, secondo lui, di approfondimenti utili a una migliore
durre». Si allude, con tutta evidenza, alla «camera ottica», illustrata applicazione alla pratica teatrale. Il rimando al trattato di Serlio,
da Leonardo sin dal 1515: il Canaletto l’aveva perfezionata proprio e in particolare al Libro II sulla prospettiva (1545), così ricco di
in quegli anni, venendo illustrata nelle pagine dell’Encyclopédie. Lo spunti vinciani, è ancora una volta significativo del costante riferi-
studioso vinciano emerge quando nello scritto accenna alla «distri- mento al Rinascimento da parte dell’abate.
buzione dei lumi e delle ombre» come cosa diversa dalla teoria dei
colori; è infatti conveniente, a parere del bolognese, «oltre l’espo- La speculazione teorico-scientifica di Corazza si svolge, negli anni
sizione della dottrina delle Riflessioni de’ Raggi luminosi, pro- ’80-’90, nello scenario dell’ampia diffusione delle scienze sperimen-
porre ancora qualch’altra proprietà della luce e de’ diversi elementi tali nell’ambiente napoletano, particolarmente fervido grazie alla vi-
suoi, che vale a dirigere con sicurezza le operazioni del disegnatore vacità del dibattito illuminista.
e del dipintore». Sulla base dei «Capitoli aggiunti» e del trattato su L’Amodeo457, nell’illustrare il progresso delle scienze nel Mez-
Ombre e Lumi presenti nel Codice in suo possesso, Corazza sotto- zogiorno settecentesco, sottolinea come con Carlo di Borbone
linea l’importanza di concetti ben esposti da Leonardo e che molti si assista, dopo l’importante contributo di Vico, alla diffusione
mostrano ancora di ignorare: dei nuovi principi introdotti nel campo della matematica e del-
la fisica dai grandi studiosi dell’epoca, da Newton a Leibniz ad
Il riflettere ancora de’ Raggi di un Calore da una superficie d’altri Eulero. Sebbene a Napoli, come abbiamo avuto modo di vede-
diversi Raggi colorata può in gran parte esser compreso e mostrato re, ad un certo ristagno della ricerca di base contribuissero cer-
da Regole, che non sonosi per anco raccolte insieme, e quanto basta tamente le condizioni di estrema precarietà in cui versavano gli
all’intendimento della Pittura mostrate. E giaché parlandosi di Pro- scienziati, dal punto di vista della didattica e della divulgazione
spettiva siamo entrati a parlar di cose, che non essendo lei, le sono scientifica il discorso cambia, potendosi parlare di un uso signi-
però molto affini, gioverà ricordar qui quei Teoremi su le Rifrazioni ficativo e progredito della matematica applicata nella formazio-
che non debbe ignorar il Pittore, accioché in uso dell’Accademia ne dei tecnici, che dimostra la straordinaria modernità dell’a-
raccolti sieno, e ben potrebbon […] unirsi a maniera di appendice col zione pedagogica, specie nell’ambito dell’Accademia Militare458 .
Trattato della Prospettiva. Ancora sarebbon da osservarsi, e da porsi Fu proprio Vico, a seguito degli studi da lui condotti su Eucli-
in ordine per iscritto e spiegare gli effetti che a’ colori de’ corpi si de, ad indicare nella geometria lineare un rimedio all’ ‘aridità’
del metodo algebrico: con il procedimento geometrico lineare è
452 possibile trovare grandezze incognite e, nel contempo, stimola-
  BNN, Manoscritti e Rari, XII.B.37.
453
  In particolare Corazza si sofferma sulle «Misure delle Superfici Piane» e rela-
tivi problemi e applicazioni, con riferimento in particolare ai poligoni regolari e
456
irregolari, nonché al cerchio e alle sue parti (settori e corone circolari, nonché altre   Il corsivo è nostro.
parti di cerchi, segnatamente sagome architettoniche, come gole o tori). 457
  F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., p. 57.
454
  BNN, Manoscritti e Rari, XII.B.37. 458
  La Scuola d’Ingegneria in Napoli. 1811-1967, a cura di G. Russo, Napoli, Istit. Edi-
455
  L.M. de’ Vegni, Lettera Preliminare…cit., p. IX. toriale del Mezzogiorno, 1967, p. 18.

Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze e dell’ingegneria


169
re lo sviluppo della mente giovanile con linee, figure e disegni, Per Genovesi come per Galiani, il territorio dovrà essere oggetto
come una sorta di pittura. Niente di più vinciano, naturalmente. di conoscenza matematica ed essere rappresentato non più me-
Sin dal Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze di Antonio diante vedute a volo d’uccello, con metodo da pittori, ma secon-
Genovesi del 1753 era stato auspicato un riscontro applicativo del- do la visione zenitale: ciò risulta fondamentale ai fini di un reale
la geometria, dell’astronomia, dell’aritmetica e della fisica, ancora ammodernamento dello Stato e delle sue infrastrutture. Imprese
reputate «scienze di oziosi» prive di nessi con le attività pratiche459. come la pianta di Napoli del duca di Noja e l’Atlante Geografico del
Da esse, invece, si dovrà giungere direttamente alla meccanica e Regno (1785-1812), di cui lo stesso Galiani incarica Rizzi Zanno-
alle scienze del moto: «In tutte le Università degli studi bisogne- ni, vengono favorite dall’enorme sviluppo che hanno a Napoli
rebbe piantarvi un paio di Cattedre di Meccanica, e due meno di le scienze matematiche e gli studi di geodesia, specie presso le
pedanteria, o di idee astratte»; posizione assai vicina a quella che scuole militari, ove si formano ingegneri destinati a raggiungere
Monge porterà avanti con forza nella Polytechnique napoleonica. risultati significativi nella sperimentazione delle più avanzate tec-
Ma a Napoli vanno già in questa direzione, poco dopo la metà niche di rilevamento territoriale. A Rizzi Zannoni si deve anche la
del Settecento, i contributi di Celestino Galiani, di Bartolomeo redazione dell’Atlante Marittimo (1792), intrapreso su iniziativa del
Intieri e di Ferdinando Galiani, che agiscono nel solco della tra- ministro Acton, cui seguirà poco dopo la fondazione dell’Officina
dizione seicentesca del Cornelio e dell’Ariani, basata sul riscontro Topografica (riorganizzata, dopo la Restaurazione, nel Real Officio
dell’utilità della geometria nello studio della fisica. Topografico della Guerra): l’alacre attività di quest’istituzione durerà
Di Celestino Galiani, famoso educatore, è meno nota l’attività fino al decennio successivo all’Unità d’Italia, con una vastissima
svolta, prima che a Napoli, come delegato pontificio nella Con- produzione riguardante Napoli e il Mezzogiorno, che costituirà il
gregazione delle Acque di Roma, da cui nel 1713 ricevette l’incari- nucleo principale del fondo cartografico della Biblioteca Nazio-
co di un progetto per immettere il fiume Reno nel Po e, nel 1717, nale di Napoli, confluendo per il resto nel patrimonio del nuovo
quello di studiare le cause delle inondazioni delle campagne della Istituto Geografico Militare, con sede a Firenze463 .
Val di Chiana da parte dell’omonimo corso d’acqua, un tempo Eppure, a fronte dell’innegabile progresso tecnico-scientifico, di cui
affluente del Tevere e poi deviato nell’Arno presso Arezzo. continueremo a saggiare la reale portata in relazione a quello che
Anche il toscano Intieri, più noto per i suoi studi in ambito so- sarà, in età preunitaria, il consistente numero dei ‘primati’ dello Stato
cio-economico, consigliere di scienziati e di artisti, prima di pre- napoletano, va detto che almeno fino al volgere del Settecento il
stare servizio nello Stato borbonico come primo titolare di una clima che si respira all’interno delle principali istituzioni scientifiche
cattedra di Commercio e Meccanica nell’Università di Napoli, non è certo dei più distesi.
concepì in più occasioni «meccanici congegni di cui dotava la È il caso dell’Accademia delle Scienze, riorganizzata, come si è visto,
pratica agraria e l’economia pubblica»460 : tra essi, macchine per nel giugno del 1778 con il nome di Accademia Scientifica e Lette-
la stampa delle polizze del lotto, per trebbiare o per conservare raria, poi di Scienze e Belle Lettere464; iniziativa fortemente soste-
il grano mediante abbrustolimento, o miglioramenti del sistema nuta da sir William Hamilton per la sua nota passione in materia
del «palorcio» sorrentino, ossia una sorta di funivia per il tra- di scienze naturali, archeologia classica ed etruscologia, contro gli
sporto di materiali in altura. Tanto che nel 1743, per volontà di interessi dell’Accademia Ercolanense: da un lato la stampa governa-
Benedetto XIV, era stato chiamato ad esprimere con Giuseppe tiva, a partire dagli Atti dell’Accademia pubblicati nel 1788 dal Napoli
Orlandi, professore di fisica sperimentale, e con il citato Pietro Signorelli465 fino alla pubblicistica specializzata dell’età della Restau-
de Martino, docente di Astronomia, un parere sul dissesto della razione (si vedano, tra l’altro, gli Annali Civili del Regno), metterà in
cupola di San Pietro: come è noto461 , il giudizio di questi e altri particolare evidenza i non certo trascurabili successi, le scoperte e le
esperti, all’uopo interpellati dal pontefice, funse da base per la invenzioni susseguitesi nel campo della fisica, della medicina, della
formulazione del programma poi adottato dallo scienziato pado- chimica, delle scienze naturali, dell’industria; dall’altro, però, già nel
vano Giovanni Poleni per il definitivo intervento di consolida- primo Ottocento si inizieranno ad evidenziare le anomalie interne
mento della struttura, eseguito da Vanvitelli negli anni successivi. alla stessa Accademia.
Quanto a Ferdinando Galiani, abbiamo già ricordato un inte- L’opera svolta dal Napoli Signorelli risulta indubbiamente merito-
ressante aspetto della sua poliedrica personalità, ossia l’attività di ria, specie nella ricostruzione del dibattito scientifico a Napoli tra il
geografo, in cui gli succederà Giovanni Antonio Rizzi Zannoni. XVI e il XVIII secolo, nonché degli importanti traguardi conseguiti,
Qualche riflessione sarà allora utile con riferimento al generale nell’ambiente della capitale vicereale e poi borbonica, nel campo
sviluppo della cartografia napoletana nel primo periodo borbonico delle scienze e della filosofia, a partire da Luca Gaurico fino a Gior-
e alla nascita di una scuola topografica di grande importanza 462 . dano Bruno, da Giovan Battista Della Porta (il «primo vero fisico
sperimentale») a Niccolò Tartaglia: dalla ‘cronaca’ del Napoli Signo-
relli abbiamo una chiara conferma di come i germi della scienza
459
  Ivi, p. 20. vinciana si siano diffusi nel Mezzogiorno moderno senza soluzione
460
  Ivi, p. 23. di continuità, fondendosi tra Sei e Settecento con il pensiero gali-
461
  Si veda sull’argomento: G. Poleni, Memorie istoriche della gran cupola del tempio
vaticano e dei danni di essa e de’ ristoramenti loro, Padova, stamp. del Seminario, 1748;
R. Di Stefano, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in A a.Vv., Luigi Vanvitelli,
463
Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1973; A. Cavallari Murat, Collaborazione   R. De Sanctis, op.cit., pp. 21-27.
464
Poleni-Vanvitelli per la Cupola Vaticana (1743-1748), in A a.Vv., Luigi Vanvitelli e il   All’atto della riorganizzazione, come soci furono ammessi praticamente tutti
‘700 europeo. Congresso Internazionale di studi, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, gli insegnanti di materie scientifiche all’università e si discusse a lungo su quali
fossero gli argomenti su cui intervenire. Uno dei soci, l’abate Sabatelli, propose di
1979, I, pp. 183 sgg.; R. Di Stefano, La cupola di San Pietro. Storia della costruzione e
determinare con maggior precisione la latitudine e la longitudine di Napoli e di
dei restauri, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1980, passim; A. Buccaro, Aspetti studiare i movimenti tellurici. Altri soci proposero ricerche puramente matemati-
della cultura tecnico-scientifica…cit., pp. 190 sgg.; M. Como, Sulla storia del restauro che, come quella sulla teoria delle equazioni. Niccolò Fergola, tra l’altro, suggerì
statico della cupola di S. Pietro in Roma eseguito da Poleni e Vanvitelli, in Storia dell’in- la creazione di un laboratorio chimico e di uno ottico per lo studio di minerali e
gegneria. Atti del 2° Convegno Nazionale, cit., II, pp. 981-990. vapori del Vesuvio. R. De Sanctis, op.cit., p. 63.
462 465
  Si veda sull’argomento V. Valerio, Società, uomini e istituzioni nel Mezzogiorno   P. Napoli Signorelli, Atti della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere di
d’Italia, Firenze, Istituto Geografico Militare, 1993. Napoli dalla fondazione sino all’anno 1787, Napoli, Tip. D. Campo, 1788.

Capitolo quarto
170
Vincenzo Corazza, Ristretto del Trattato della Misura delle Fabbriche, c. 1781-82, Giuseppe Antonio Alberti, Trattato della Misura delle Fabbriche,Venezia 1757,
f. 10. Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. XII.B.37 ms., tav. XXXI. Napoli, Biblioteca Facoltà di Ingegneria, Sez. Libri Antichi

leiano e newtoniano e trovando esito nella graduale affermazione svolta parallelamente per le accademie letterarie da Saverio Mattei468
del metodo induttivo sul principio di autorità. Tra i nomi di ec- – avevano rifondato l’Accademia sui presupposti di un’estensione
cellenza di scienziati napoletani segnalati negli Atti dell’Accademia della ricerca sperimentale nel campo delle arti e dei mestieri (sono
troviamo quelli di studiosi molto vicini a Corazza, tra cui Fergola, gli anni della prima edizione italiana dell’Encyclopédie) e dell’appli-
Cotugno, Vairo e Lamberti466. Ma altrettanto utili per comprendere cazione della storiografia patria al progresso della cultura sociale e
appieno entro quante e quali difficoltà queste menti debbano di- politica della nazione469. I dubbi criteri adottati per il reclutamento
battersi, riuscendo comunque ad emergere, sono le voci critiche dei soci onorari e dei ‘pensionari’ dell’Accademia sono tutti ascrivi-
che, a distanza di poco più di un secolo, si leveranno proprio sul
conto dell’Accademia, come quella di Giovanni Beltrani: nel suo 468
  Saverio Mattei ebbe, tra gli altri meriti, quello di aver fondato l’Archivio Mu-
importante contributo sulla storia dell’istituzione467 egli avanzerà sicale di Napoli. Egli pubblicò inoltre nel 1780 un Saggio di poesie latine e italiane.
serie perplessità sull’incitamento dato durante il regno ferdinandeo 469
  G. Beltrani, op. cit., p. 1: «Cerchiamovi un nesso solo tra la politica interna
allo sviluppo delle scienze, sottolineando lo scollamento tra la Co- della Corte napoletana in quel momento e i criteri prevalsi nello spirito della
fondazione dell’Accademia, e non lo troveremo giammai».Tale scollamento, come
rona e coloro che nel 1778 – anche grazie all’azione riformatrice è noto, avrebbe caratterizzato ancora i rapporti tra l’intellighentia napoletana e i
sovrani durante le vicende del ’99: già vent’anni prima le idee massoniche avevano
avuto ampia diffusione e trovato appoggio nella persona di Maria Carolina contro
Tanucci, generando ben presto la caduta di quest’ultimo, sostituito per volontà
della regina dall’ambasciatore a Vienna marchese della Sambuca, e favorendo la
466
  Tra gli importanti contributi scientifici dei soci dell’Accademia segnalati dal diffusione delle idee di marca francese e progressista, in politica come in econo-
Napoli Signorelli, troviamo quelli in materia di matematica, geometria e astrono- mia, sostenute dal Genovesi e da Ferdinando Galiani. A seguito della riorganiz-
mia di Niccolò Fergola, nell’ambito della medicina di Domenico Cotugno, medico zazione universitaria voluta da Ferdinando IV, l’Accademia era stata divisa nelle
personale di Ferdinando IV, in quello della chimica di Giuseppe Vairo, e di tanti altri sezioni di matematica (pura e mista, compresa la fisica sperimentale), fisica (nella
scienziati napoletani. Particolare rilievo e, in qualche modo, vanto dell’Accademia più ampia accezione, comprese tutte le scienze naturali), antichità (testimonianze,
costituì lo studio promosso dal sovrano e svolto dagli accademici in materia di geo- monumenti, iscrizioni, medaglie, monete, resti archeologici) e storia medievale
logia, fisica e geografia a seguito del citato terremoto del 1783. Tra le «Dissertazioni (diplomatica, paleografia, sfragistica, ecc.). Nel riportare tra gli elogi e gli entusia-
e Memorie Matematiche» pubblicate dal Napoli Signorelli figurano quelle sulla smi per l’iniziativa anche un sonetto di Antonio di Gennaro, Beltrani nota come
Risoluzione di alcuni problemi ottici (1780) e su La vera Misure delle Volte a Spira (1784) in effetti fosse chiara l’ispirazione alle idee riformatrici di Giuseppe II, sostenute
del Fergola, che aveva fatto seguito alla citata Voltimetria retta di Lamberti, nonché dalla regina, e a quelle di progresso favorite dal ministro della Sambuca: «Abban-
vari studi di Girolamo Saladini, «canonico bolognese accademico pensionario» ben donate le ciance o le pompe dei trascorsi tempi, e mirando alle utilità nazionali, fu
noto a Corazza, tra cui il saggio Del salire dei corpi in aria per la loro specifica leggerezza. prescritto che le scienze si applicassero alle arti, a’ mestieri, alla medicina, a trovare
467
  G. Beltrani, La R. Accademia di Scienze e Belle Lettere fondata nel 1778, in «Atti novelli veri, e le lettere chiarissero le oscurità della storia patria così da giovare alla
dell’Accademia Pontaniana», XIII, 1900, pp. 26-37.. sapienza comune e all’arte del governarsi».

Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze e dell’ingegneria


171
bili alla discussa figura del segretario Michele Sarconi: nell’elenco di Ferdinandopoli su progetto di Francesco Collecini, che prima
dei 291 soci scelti tra i personaggi più illustri in ambito napoletano di naufragare per le disastrose vicende politiche si impose come
e italiano, Beltrani registra la clamorosa esclusione di scienziati e modello di ‘utopia sociale’ solo a qualche anno dal progetto di
filosofi del calibro di Galiani, Filangieri, Cirillo, Cotugno, Troja, Ledoux per le saline e la città ideale di Chaux; e neppure sugli
Fergola, Piazzi, Lauberg, Pagano, Caracciolo, Pecchia e tanti altri, altri numerosi ‘esperimenti’ di insediamenti produttivi a carat-
che pure diedero lustro alla cultura napoletana e all’Accademia tere operaio o marinaro voluti da re Ferdinando in vari luoghi
stessa, in seno alla quale discussero sempre i propri importanti stu- del regno472 , pur sempre in un’ottica paternalistica e demagogica.
di. Ma, oltre che allo strapotere del Sarconi e degli altri segretari Ricorderemo soltanto, sinteticamente, il ruolo svolto dall’Acca-
che si avvicendarono fino al 1805, le cause del fenomeno vanno demia delle Scienze in occasione del terremoto calabrese del 1783
ascritte a motivazioni di ordine politico, le stesse che faranno di e, in particolare, nell’organizzazione della spedizione di scienziati
molti di quegli intellettuali i martiri del ‘99: Ferdinando IV finse, e tecnici guidati dal Sarconi, che aveva già svolto un ruolo im-
ma solo fino ai primi anni ’90, di incoraggiare lo sviluppo delle portante nell’emergenza dell’epidemia colerica del 1764 e nella
scienze esatte, mostrando quindi una certa volontà progressista, a diffusione del «pus vaccinico»: si trattò di un autentico banco di
danno delle più ‘pericolose’ scienze filosofiche ed economico-po- prova delle potenzialità della comunità scientifica napoletana nei
litiche, che non a caso non troveranno mai posto nell’Accademia. vari campi del sapere connessi da un lato all’esigenza di una precisa
Una grave responsabilità, inoltre, va attribuita segnatamente alla conoscenza fisica del territorio, dall’altro a quella di una sua det-
regina Maria Carolina, ancor prima degli eventi del 1789-93 che tagliata rappresentazione e di una programmazione di interventi
ne offuscarono la mente, per non aver voluto affidare le sorti del urbanistici al passo con le tematiche diffuse in ambito europeo473 .
progresso politico e sociale dello Stato ai suoi uomini più validi e Come spesso accade, proprio quell’infausto evento finì per essere
illustri, primo tra tutti il Filangieri 470. scenario di sperimentazioni e scoperte destinate ad avere una vasta
Così, nonostante le tante ricerche, gli approfonditi studi e i successi influenza sul futuro progresso del Mezzogiorno, favorendone poi
scientifici conseguiti in seno a quell’istituzione, sin dal 1781 vi fu i significativi esiti ottocenteschi.
chi, come l’etruscologo Pasqualoni, che abbiamo già incontrato tra La spedizione organizzata dall’Accademia partì da Napoli il 5 apri-
gli amici di Corazza, ebbe a manifestare proprio all’abate seri dubbi le 1783, a due mesi dalla prima scossa tellurica. Dopo tre mesi di
sull’integrità morale dell’intellighentia napoletana: studi sui luoghi del disastro, Sarconi curò personalmente la pub-
blicazione dell’Istoria dei fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie
Che fanno codesti letterati arrabbiati fra loro, i Serj, io dico, i Galliani, i e nel Valdemone nell’anno 1783 posta in luce dalla Reale Accademia delle
Mattei, i Sarconi? Che fa egli codesta strepitosa Accademia delle Scien- Scienze e delle Belle Lettere di Napoli474 , con il corredo delle splendide
ze, divenuta sino nel suo nascere la Cloaca Massima, peggio d’assai, tavole incise su disegni di Pompeo Schiantarelli, anch’egli mem-
che non sono presentemente l’Accademia degli Apatisti e l’Arcadia?471. bro del gruppo di lavoro. Ma Beltrani nota come la pubblicazione
vada intesa più come diario di viaggio di Sarconi che quale risul-
Parole come macigni su coloro che rappresentavano autorevoli ri- tato di una ricerca scientifica di gruppo: addirittura il segretario
ferimenti nel mondo della cultura e della scienza meridionale, e si guardò bene dal citare i più illustri scienziati che l’avevano ac-
non solo: a dispetto di tanta acredine, non si può negare che gli compagnato, come pure i notevoli risultati delle loro osservazioni.
studi e i programmi promossi nel campo dell’architettura, dell’ur- Così nel 1784, a seguito di aspre polemiche, egli verrà addirittura
banistica e delle scienze dell’ingegneria proprio su iniziativa del posto in pensione e sostituito dal Napoli Signorelli 475.
governo borbonico avessero raggiunto già nei primi anni ’90 li- Il testo e le tavole eseguite nel corso della missione, incise ad ac-
velli di assoluta eccellenza europea. quaforte, sono stati più volte oggetto di attenzione da parte della
Non ci soffermeremo qui sulla ben nota esperienza avviata negli recente storiografia 476 che, a dispetto delle critiche di Beltrani, ha
anni ’80 a San Leucio, relativa alla creazione della città operaia posto l’accento sul rigore scientifico e sulla completezza dell’ap-
proccio analitico dato all’operazione. La decisione stessa di affida-
re ad un ente creato per esclusive finalità culturali la redazione di
470
  Sin dall’inizio, cospicui finanziamenti furono messi a disposizione dell’istitu- un resoconto sulla base del quale sarebbe stata gestita la reazione
zione, per un totale di circa 12000 ducati annui. A sede dell’Accademia fu destinata dello Stato alla catastrofe, per poi pubblicarlo, va giudicata come
parte del complesso del Salvatore, mentre a seguito della ristrutturazione del Palaz-
zo degli Studi, a partire dal 1780, sarebbe stato trasferito da Capodimonte il Museo
un’iniziativa all’avanguardia sia dal punto di vista metodologico,
delle antichità, impiantata la Biblioteca con i libri palatini, farnesiani e degli Espulsi, sia nel quadro della partecipazione all’intenso scambio di cono-
l’Accademia di pittura, scultura e architettura, con la previsione di tre borse annuali scenze attuato in quegli anni in ambito europeo477. Va eviden-
per inviare giovani a Parigi e a Roma a perfezionarsi nelle belle arti, l’Accademia
del Nudo e il Laboratorio delle Pietre Dure. Il tutto con spese esorbitanti (vi si
aggiunsero anche altri laboratori e la specola astronomica) fino al 1805; ma solo fino
al 1787 si ha notizia di una seria attività scientifica, come attestano gli studi del Ca- 472
  Cfr. sull’argomento A. Buccaro, G. Matacena, op. cit., pp. 92 sgg.
passo e del Minieri Riccio: «visse però il suo pletorico organismo amministrativo, 473
rimase il suo invadente segretario, che tutto assorbì, e senza i lavori scientifici» (ivi,   Cfr. in proposito C. Barucci, Città Nuove. Progetti, modelli, documenti. Stato della
p. 10). Addirittura Beltrani avanza il dubbio «se la fondazione dell’Accademia fu atto Chiesa e Regno di Napoli nel XVIII secolo, Roma, Diagonale, 2002; F. Valensise,
di governo conscio delle condizioni de’ tempi e degli uomini, e diretto ad inter- Dall’edilizia all’urbanistica. La Ricostruzione in Calabria alla fine del Settecento, Roma,
pretarle, a fecondarle ed a favorirle, ovvero se fu un espediente politico adottato ad Gangemi, 2003.
474
eludere i risultati di quelle condizioni appunto, a frenare o divergere, folle scopo,   Napoli, presso G. Campo Impressore della Reale Accademia, 1784.
475
il cammino dello spirito umano» (ivi, p. 12).Va pure ricordata l’aspra polemica tra   La vita di Sarconi trascorrerà ancora tra interminabili polemiche con i più
Galiani e Sarconi, che trova riscontro nel Dialetto Napoletano, in cui il primo così grandi scienziati, finendo egli per andarsene da Napoli e per accettare addirittura la
definisce il secondo: «Impeto d’una orgogliosa stupidità ha solo potuto essere carica di medico condotto a Trani nel 1790.
476
l’erigersi da per se stesso in pesatore dei dei suoi concittadini e coetanei, e il met-   Per la moderna ristampa in facsimile e l’analisi storiografica dell’opera si veda:
tersi a descrivergli, definirgli e valutargli, come un’apprezzatore farebbe d’una M. Sarconi, Istoria de’ fenomeni del tremuoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone
razza di cavalli o d’una carovana di muli» (F. Galiani, op. cit., p. 145). Sarconi l’anno 1783, posta in luce dalla Reale Accademia delle Scienze e delle Belle Lettere di Napoli
gli rispose violentemente nella Ammonizione caritatevole all’autore del libro intitolato (Napoli, presso G. Campo, 1784), ried. Roma-Catanzaro, Giuditta, 1987.
“Del dialetto napoletano” (Napoli, presso Ezechiele, 1780). 477
  Lo scopo essenzialmente documentario della missione ed il sostegno del
471
  BNN, Manoscritti e Rari, X. AA. 29, inc. 26, lettera di Pietro Pasqualoni a Co- governo sono ricordati dallo stesso Sarconi: «Siccome questo terribile avveni-
razza del 20 marzo 1781. mento non può non interessare altamente, e non attirare a se l’attenzione de’

Capitolo quarto
172
ziato, in particolare, il ruolo svolto da architetti come Vincen- idee del Ferraresi482, il cui Corso di Architettura Civile fu, non a caso,
zo Ferraresi e Pompeo Schiantarelli che, direttamente coinvolti inserito dal Vivenzio in appendice all’opera483. Ma, se è vero che gli
con i più giovani Ignazio Stile478 e Bernardino Rulli, seppero
trarre frutto da quell’esperienza per introdurre nell’architettura
e nell’urbanistica dello Stato napoletano i principi tecnologici e 482
  BNN, Manoscritti e Rari, Bibl. Provinciale, ms. 66; ASNa, Suprema giunta di corri-
funzionali che l’Illuminismo di stampo enciclopedico e riforma- spondenza di Cassa Sacra di Catanzaro, fsc. 870, cit. in P. Franzese, scheda in Scien-
ziati-artisti…cit., pp. 161-162.
tore metteva ormai a disposizione del settore in modo sempre più 483
  Di Vincenzo Ferraresi, ingegnere, nato a Gallipoli nel 1741 e impegnato, come
consistente479 . vedremo, nella redazione dei piani per la ricostruzione delle città calabresi dopo il
terremoto del 1783, va sottolineato l’ampio respiro intellettuale, sia pure ancora
Con il terribile evento furono dunque costrette a misurarsi sia l’ef- espresso nelle vesti di un convinto ‘miliziano’ e sulla base, sovente pedissequa, delle
ficienza amministrativa che la cultura tecnica, architettonica e ur- idee di Patte e Laugier, come si evince dal suo Corso di architettura civile. Cfr. Corso
banistica dello Stato. L’intervento del governo fu indubbiamente di Architettura Civile di Vincenzo Ferrarese diviso in tre parti 1° Bellezza, 2° Comodità, 3°
Solidità, in BNN, Manoscritti e Rari, Bibl. Provinciale, ms. 73, integralmente pubblica-
tempestivo: superata in qualche modo la fase dell’emergenza, furo- to in appendice all’Istoria de’tremuoti avvenuti nella provincia di Calabria ulteriore e
no avviate la sistematica ricognizione del danno, la definizione dei nella citta di Messina nell’anno 1783 e di quanto nella Calabria fu fatto per lo suo risorgi-
mento fino al 1787 / di Giovanni Vivenzio, ried. dall’originale con premessa, saggio
criteri progettuali e quindi la vera e propria opera di ricostruzio- introduttivo e schede di G.E. Rubino, Casoria, M. Giuditta, 1992, pp. 108-130. Al
ne, adottando, riguardo a questi ultimi aspetti, modalità diverse per Ferraresi si deve, tra l’altro, il progetto del nuovo borgo di Gallipoli. Cfr. C.M.
le città calabresi e per Messina; contemporaneamente si cercò di Saladini, Gallipoli, in Storia dell’arte in Italia. Parte terza. Situazioni momenti indagini.
Inchieste sui centri minori,Torino, Einaudi, 1980,VIII, pp. 358-360; D.G. de Pascalis, E.
intervenire, sia pure con più modesti risultati, nel delicato settore Martonucci, Il Nuovo Borgo di Gallipoli, in «Storia dell’urbanistica», n. 3, 1997, pp.
delle riforme economiche e sociali480. Il dettagliato rapporto sulle 45-51. Per le note biografiche e la sua attività professionale si vedano: Istoria de’ tre-
muoti…cit. (ried. 1992), pp. 19-23; E. Manzo, Vincenzo Ferraresi, Regio Architetto del
iniziative avviate nella fase successiva al disastro, con le ulteriori in- Regno di Napoli, in Ferdinando Fuga 1699-1799, Roma, Napoli, Palermo, a cura di A.
dagini conoscitive, i vari tipi di censimento e, soprattutto, i progetti Gambardella, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 2001, pp. 153-160; C. Barucci, op.
cit., pp. 40-48. Formatosi a Roma al seguito del Milizia, che lo ricorda infatti come
di ricostruzione di quelle città, verranno pubblicati nell’imponente allievo nelle sue Lettere (cfr. Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte
Istoria de’ tremuoti avvenuti…nell’anno 1783 curata da Giovanni Vi- da’ più celebri personaggi dei secc. XV, XVI, e XVII, a cura di G.G. Bottari, S. Ticozzi,
venzio tra il 1787 e l’88481. Interessanti risultano infine le scelte con- Milano, Silvestri, 1822-25, III, pp. 110-111. Nella sua opera Del Teatro (cit.), Milizia
pubblica un progetto di teatro redatto dal Ferraresi, che «denota gli stretti legami
tenute nelle Istruzioni emanate per la riedificazione sulla base delle con il maestro e la sua attenzione al dibattito intorno alla forma del teatro antico,
che si era sviluppato in concomitanza con gli scavi in corso intorno al teatro di
Ercolano» (C. Barucci, op. cit., p. 42), dopo aver frequentato l’ambiente dell’Acca-
demia di San Luca e aver partecipato negli anni ’60 ai Concorsi Clementini e Ba-
più dotti cultori delle cose naturali; così credette la Reale Accademia delle Scienze,
lestra, intorno al 1770 si stabilì a Napoli, dove istituì una scuola privata di architet-
e delle Belle Lettere di Napoli che tradito avrebbe il suo interesse, e i doveri del
tura con sede nella propria abitazione. Nel 1780 fu a Londra, dove partecipò all’at-
proprio instituto, se da tale memorabile sventura non avesse preso argomento di
tività della Royal Academy (U. Thieme, F. Becker, Allgemeines lexicon der bildenden
dare una pruova non equivoca di sua non inutile esistenza all’Europa spettatrice.
kunstler, Leipzig, E.A. Seemann, 1915, IV, p. 440, s.v., cit. in G.E. Rubino, Introduzio-
Quindi con maturo consiglio si pensò d’instituire una peregrinazione letteraria
ne, in Istoria de’ tremuoti…cit. [ried. 1992], p. 20), avendo modo di confrontarsi con il
per que’ luoghi della Calabria ultra, e del Valdemone, i quali erano stati più po-
dibattito ivi innescato dalla lezione di Robert Morris e con i rappresentanti della
tentemente dalla natura ne’ fatal’istanti del suo furore oltraggiati; e a Coloro, a’
corrente palladianista; nell’aprile 1784, tornato a Napoli, ottenne la prestigiosa cat-
quali fu commessa cura così gelosa, venne con inviolabile legge non solo vietato
tedra di Architettura Civile presso l’Accademia del Disegno, trasferita in San Carlo
l’abbandonarsi alle seduzioni di qualunque delle tante ipotesi, inventate sulle
alle Mortelle: alcuni documenti presenti presso l’Archivio di Stato di Napoli
cause di così formidabile vertigine della natura; ma inculcato altresì lo scio-
(ASNa, Casa Reale Antica, fsc. 719/88, docc. vari) testimoniano della proposta fatta
gliersi talmente dal partito di tutt’i sistemi, che, quasi mostrando di sconoscerli
dall’ingegnere (subito accolta da Giuseppe Bonito, direttore dell’Accademia di Pit-
tutti, null’altro dovessero, che raccorre i soli fatti, osservarne con ogni possibile
tura) di trasferire nell’Accademia la scuola di architettura e prospettiva che egli
sagace indifferenza, e veracità i fenomeni, ed esporne istoricamente, per così
gestiva, gratuitamente, a casa; gli allievi, pur seguendo con zelo, non potevano con-
dire, il processo filosofico al giudizio della repubblica de’ Savj. E perché trarre
tare su un’adeguata strumentazione, né su mezzi economici che permettessero loro
si fosse potuto da un’occasione di tanto danno un qualche bene, fu istituito che
lo studio dei monumenti antichi. In seguito la cattedra di Architettura civile, pro-
alla storia de’ fenomeni del tremoto unita si fosse l’esatta esplorazione della geo-
spettiva e geometria fu occupata da Domenico Chelli, direttore della scenografia
grafia fisica delle Regioni stesse, per illustrarne la storia naturale, comprenderne
del San Carlo, e infine da Paolo Santacroce, personaggio cui saranno legate le sorti
la pubblica economia, e conservare la memoria della già distrutta posizione
ottocentesche di quell’istituzione. Cfr. in proposito F. Mangone, R. Telese, op. cit.,
delle città, e delle terre, che si conteneano in esse. Al sentimento della R. A. si
pp. 11 sgg. L’attività didattica e professionale di Ferraresi si svolse all’insegna del ra-
unì l’amoroso zelo, e l’incoraggiamento, che essa a ciò ricevette da quell’Anima
zionalismo illuministico divulgato dalla cultura neoclassica, che in quegli anni at-
nobile [Giuseppe Beccadelli, marchese di Sambuca e primo ministro], che con
tecchiva nella capitale borbonica anche grazie alle scoperte archeologiche di Pom-
industre cura nascer la vide, e che sotto l’ombra del Trono ne procura, e ne so-
pei ed Ercolano. Il suo Corso, databile al 1774 (cfr. E. Manzo, op. cit., p. 154) e poi
spira l’ingrandimento; quindi per opera del Magnate [Antonio Pignatelli, prin-
rimasto allo stato di bozza, rivela già nel titolo un profondo radicamento nella
cipe di Belmonte, maggiordomo maggiore del re], che degnamente ora presiede
consolidata tradizione trattatistica. Ma la triade composta da bellezza, comodità e
al governo di essa, se ne cercò il beneplacito sovrano; e tosto con rescritto della
solidità viene analizzata nella successione data da Milizia, come è noto inversa ri-
Prima Secreteria di Stato, se ne ottenne la graziosa permissione dal nostro Re, e
spetto a quella vitruviana; così pure, con riferimento all’origine dell’architettura,
Signore» (M. Sarconi, Istoria de’ fenomeni…cit., pp. X-XI).
478 nella parte dedicata alla bellezza, contenente un’Idea generale dell’Architettura Civile,
  Ignazio Stile (Napoli 1735-1814), allievo di F. Fuga, fu prima pittore poi archi- si ripropone in modo pedissequo il mito vitruviano della capanna primitiva esposto
tetto. Si occupò, tra l’altro, dell’emissario di Claudio nel lago Fucino e delle opere prima da Laugier, poi dallo stesso Milizia sin dall’introduzione alle sue Memorie del
idrauliche per disseccare il lago di Cosolito. Si veda G.B.G. Grossi, Le belle arti: 1768. Purtroppo, proprio questa parte si interrompe bruscamente con la trattazione
opuscoli storici…cit., II, p. 172. degli ordini architettonici, lasciando invece ampio spazio al tema urbano, come si
479
  Cfr. sull’argomento: F.Venturi, Settecento riformatore, Torino, Einaudi, 1969; Id., sa privilegiato sull’onda di Voltaire e di Patte. Il capitolo dedicato all’urbanistica,
Utopia e riforma nell’Illuminismo, Torino, Einaudi, 1970. intitolato Considerazioni sulla distribuzione viziosa delle Città, e mezzi di rimediare agli
480
  Cfr. I. Principe, Città nuove in Calabria nel tardo Settecento, Chiaravalle Cen- inconvenienti a quali sono soggette, è suddiviso in otto articoli dei quali, apparentemen-
trale, Effe Emme, 1976, pp. 91-114. Sull’argomento si vedano anche: F.A. Grimaldi, te, manca il quarto, di cui è invece soltanto omessa l’intestazione. Quello successivo,
Descrizione de’ tremuoti accaduti nelle Calabrie nel 1783, Napoli, presso G.M. Porcelli, Istruzioni per un Giovine Architetto, costituisce un vero e proprio manuale di archi-
1784; F.M. Pagano, De’ saggi politici di F.M. P., Napoli, F. Raimondi, 1783-85, II; La tettura tecnica, spaziando dalle caratteristiche dei materiali agli aspetti distributivi,
peste di Messina (1743), il terremoto di Calabria (1783), la Sicilia, Napoli e Roma in tre statici, tecnologici e contabili, per concludersi con una circostanziata rassegna dei
relazioni inedite spagnole del Settecento, a cura di F. Remondino, Palma di Maiorca, vari tipi di essenze lignee utilizzabili nelle costruzioni. Ma, ad eccezione delle pa-
stamp. Mossèn Alcover, 1943. gine introduttive, peraltro molto convenzionali e riprese dal Milizia (cfr. C. Baruc-
481
  Istoria de’ tremuoti avvenuti nella provincia della Calabria ulteriore e nella città di Mes- ci, op. cit., pp. 43-44), l’opera consiste in un vero e proprio plagio delle citate Mémoi-
sina nell’anno 1783 e di quanto nella Calabria fu fatto per lo suo risorgimento fino al 1787. res sur les objects les plus importants de l’architecture pubblicate da Patte nel 1769 (Paris,
Preceduta da una teoria ed istoria generale de’ tremuoti... di Giovanni Vivenzio, Napoli, chez Rozet), di cui Ferraresi fornisce soltanto una fedele traduzione, come dimo-
Stamperia Reale, 1788. I due volumi, editi con il chiaro intento di difendere l’ope- stra la lettura comparata dei due testi. Il riferimento di Ferraresi al Patte è stato già
rato del governo dalle forti critiche mosse da più parti, costituiscono un accurato rilevato da F. Finotto, I fondamenti della bella città nella teoria di J. P. Willebrand, in
compendio dell’attività svolta negli anni successivi al terremoto, spaziando dagli «Storia urbana», n. 72, 1995, pp. 24-25, che circoscrive però l’indebita appropriazione
aspetti teorici a quelli geografico-descrittivi, dal censimento del danno, comple- da parte dell’architetto pugliese al solo primo capitolo delle Mémoires, mentre que-
mentare a quello contenuto nell’Istoria della Reale Accademia, alla gestione dell’e- sta riguarda anche in parte quelli successivi. Sull’argomento cfr. pure C. Barucci,
mergenza, fino alla pianificazione definitiva dei nuovi insediamenti. op. cit., p. 45. Gli indici dei due trattati risultano perfettamente identici, a meno di

Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze e dell’ingegneria


173
avanzati principi urbanistici di ispirazione francese e i conseguenti
schemi funzionalistici divulgati attraverso il Corso furono largamen-
te adottati nei progetti delle nuove città calabresi484, essi non sorti-
rono purtroppo gli effetti sperati, poiché alla corretta impostazione
morfologica dei piani non corrispose un adeguato impulso né da
parte dello Stato, né della classe imprenditoriale, perdendosi l’oc-
casione per realizzare, se non l’utopistico riscatto socio-economico
della regione, almeno quell’armonica integrazione fra architettura e
territorio che i disegni promettevano485.
Sul fronte strettamente istituzionale, cioè dell’Accademia, le cose
non andarono meglio. Una volta insediatosi, il Napoli Signorelli –
che prima di essere eletto segretario aveva avuto il grande merito
di diffondere la cultura napoletana in Spagna, proprio come aveva
fatto Galiani in Francia – diede nuovo impulso all’istituzione, chia-
mando a farne parte il Caravelli nonché incoraggiando la ricerca del G.B. de Cosiron, Nuova pianta della città di Palmi, 1787 (da G.Vivenzio, Istoria
de’ tremuoti…, 1788, tav. III)
Fergola in campo astronomico e quella di Cirillo, Vairo e Cotugno
nella medicina. Ma non si affievolirono le polemiche intorno ai vizi
originali dell’Accademia, in primis l’esclusione di tanti talenti, la tributi scientifici486: peraltro, appena dopo l’edizione delle Vicende
gestione autoritaria e i discutibili criteri di pubblicazione dei con- del Napoli Signorelli, essa restò di fatto paralizzata per l’assenza di
risorse economiche487, fino allo scioglimento nel 1805, all’indomani
della rivoluzione e della scomparsa dei suoi migliori rappresentanti,
alcuni tagli operati dal Ferraresi e della parte da lui dedicata all’uso dei legnami condannati a morte o all’esilio488. Ricostituita nel 1808, l’Accademia
nelle costruzioni, molto più ampia di quella del Patte. A proposito del ruolo svolto
dal Ferraresi nell’ambito della ricostruzione, vale la pena di riportare le considera- entrerà a far parte della Società Reale di Napoli insieme con quelle
zioni del Rubino: «Per la sua particolare formazione culturale ed il prestigio deri- di Antichità e Belle Lettere, e di Belle Arti.
vatogli dalla Cattedra, il Ferraresi era dunque l’unico, fra i molti tecnici al seguito
del Pignatelli, che poteva imporsi come teorico della ricostruzione, se non nelle
scelte politiche, certamente nei postulati disciplinari» (G.E. Rubino, op. cit., p. 20). Nella stessa epoca in cui l’Accademia delle Scienze andava conso-
E ancora: «Ma l’ipotesi che egli sia stato contemporaneamente l’ispiratore delle lidando, sia pure tra tante controversie, il proprio ruolo di luogo
teorie urbane ed edilizie che guidarono l’intera opera di progettazione seguita alla
fase dell’emergenza, è oggi suggerita dalla lettura del suo inedito “trattato”, ove di discussione e dibattito teorico, nuove istituzioni provvidero in
chiaramente si evince una stretta affinità fra teoria e prassi, cioè fra postulati teorici, ambito militare alla formazione e al reclutamento degli ingegneri:
disegni di progetto ed esecuzione pratica […]. Le analogie fra il documento gover- la Real Accademia Militare, riorganizzata, come si è detto, nel 1769
nativo, alcune pagine della prima edizione del Vivenzio ed il “trattato” sopra citato
– elaborato verosimilmente negli stessi anni – sono infatti così evidenti che non su quella già fondata da Carlo di Borbone e nel 1774 assorbita nella
possono sussistere dubbi sulla comune attribuzione al Ferraresi, almeno per quanto nuova Real Accademia militare del Battaglione Ferdinando, con sede dal
riguarda le teorie urbanistiche e le considerazioni di tecnica edilizia. Intanto sono
certamente dettate dal Ferraresi le pagine del Vivenzio (1783) esplicative della nuo- 1787 nell’edificio della Nunziatella 489 ; il citato Corpo degli Ingegneri
va edilizia antisismica, che sarà poi imposta nell’opera di ricostruzione. A parte la
stretta affinità con molti concetti espressi nel suo manoscritto (e nelle “Istruzioni”),
che omettiamo per brevità, egli infatti ne firmerà i disegni allegati al volume» (ivi,
486
p. 21). In nota, l’autore precisa: «Le pagine da attribuire al Ferraresi o da lui ispirate,   Beltrani (op. cit., pp. 97-106) nota acutamente come solo a partire dalla fine del
nell’edizione del 1783, sono quelle relative alla “Spiegazione delle tavole” (ivi, pp. Settecento cominciarono a diffondersi riviste specializzate in ambito scientifico, cui
52-56). Allegate alla prima edizione sono infatti quattro tavole di disegni, di cui le gli studiosi potevano affidare le loro scoperte: prima, tutto o quasi era affidato alla
prime tre («Vinc. Ferraresi inv., Cattaneo inc.») sono riferite ad un esempio di edi- corrispondenza privata tra gli scienziati e i letterati, come del resto abbiamo avuto
lizia antisismica (piante, prosp-sezione e partic.), la quarta alla Carta Geografica della ampio modo di constatare dall’epistolario di Corazza. Tra gli accademici, gli studi
Calabria Ultra, corretta nel 1783 da Francesco La Vega […]. Sia il testo che le im- ‘sintetici’ del Fergola furono accolti con una certa avversione da quanti erano vicini
magini non compaiono nell’edizione successiva del 1788» (ibidem). allo spirito dell’Enciclopedia, come il marchese Domenico Caracciolo. Altri illustri
484
  Sull’adozione degli schemi a scacchiera e l’organizzazione funzionale della cit- scienziati furono, oltre al già citato Saladini, Annibale Giordano (si ricorda di questi
tà nel Settecento si vedano anche: F. Sanvitali, Elementi di architettura civile, Brescia, la soluzione data nel 1796 al problema del triangolo inscritto nel cerchio con tre
G. Rizzardi, 1765; A.-Ch. Quatremere de Quincy, Encyclopédie métodique. Architec- punti dati, su cui avevano lavorato Castillon, Lagrange, Eulero, Leel e Fuss), il Cotu-
ture, Paris, Panckoucke, 1788-1825, s.v. Ville. Cfr. G. Simoncini, L’idea della città greca gno, il Poli (per le applicazioni delle nuove teorie nel campo dell’elettricità, contro
nell’urbanistica del Settecento, in La fortuna di Paestum…cit., pp. 316-320. quelle di Franklin; nel 1794 egli figura tra gli istitutori del principe ereditario Fran-
485
  I. Principe, op. cit., pp. 323-324. Non mancano nel Corso riferimenti al principio cesco), Luca de Samuele Cagnazzi (è sua una Memoria sulle curve parallele, Napoli, s.n.,
della varietà urbanistica introdotto con la similitudine fra città e foresta del Laugier, 1794), Angelo Fasano e Giovanni Vivenzio per la geologia, Giuseppe Cassella e Giu-
noto all’architetto pugliese anche attraverso il Milizia e che sarebbe poi stato ripreso seppe Piazzi nell’astronomia, Domenico Cirillo e Michele Tenore per la botanica.
487
dal Ruffo. Agli scritti dell’abate francese si ispirano pure alcuni suggerimenti di   Così il secondo volume previsto dal segretario, con memorie di Gennaro Vico,
ordine pratico, quali ad esempio i criteri cui attenersi per dimensionare la larghezza del Fasano, del Vairo, del Cagnazzi e di altri, non poté vedere la luce. Né le cose
delle strade e l’altezza degli edifici, dove risulta più evidente il passaggio dalla vi- migliorarono sotto la presidenza di Antonio Pignatelli principe di Belmonte e, poi,
sione estetizzante del Laugier all’idea di città proposta dal Patte, basata su concrete del ministro Caracciolo. Eppure, più l’attività dell’Accademia si andava esaurendo,
considerazioni tecniche, climatiche, geografiche, sanitarie e chiarita già nella sua più era ambìto il titolo di socio. Le domande si moltiplicarono, tra cui, ancora
introduzione: «D’abord je montrerai comment il seroit à propos de disposer une nel 1793, quella del cardinale Carlo della Torre di Rezzonico. Per non parlare del
Ville pour le bonheur de ses habitans, quels sont les moyens d’opérer sa salubrité, problema legato alla nuova sede dell’Accademia e alla sistemazione, a partire dal
& quelle doit être la distribution de ses rues pour éviter toutes sortes d’accidens. 1780, della Biblioteca Reale nel braccio nuovo dell’ex Palazzo degli Studi, ormai
Ensuite je ferai voir quelle est la maniere la plus avantageuse de placer ses égouts, de divenuto Museo, un cantiere lungo e costosissimo (circa 300.000 scudi) diretto
repartir ses eaux, & comment il est possible de construire les maisons de façon à les da Gaetano Bronzuoli e Pompeo Schiantarelli, che ad un certo punto non poté
mettre à couvert des incendies; & enfin par l’application des principes que j’aurai più essere portato avanti. Numerose furono dunque le proposte di scioglimento
établis, je prouverai que nos Villes, quelques défectueuses qu’elles soient par leurs dell’Accademia avanzate al presidente marchese del Vasto negli anni ’94-’98. Cfr. G.
constitutions physiques, peuvent à bien des égards être rectifiées suivant mes vues» Beltrani, op. cit., p. 103.
488
(P. Patte, op. cit., p. 7). Se ne riporta la traduzione del Ferraresi: «Mostrerò a prima   Così Beltrani (ivi, p. 59): «Il pensiero scientifico non basta che si produca spon-
vista come debbiasi disporre una Città per renderla commoda agli Abitanti, quali taneamente, occorre che esso si esplichi in modo organico, perché esprima nella
sono i mezzi per renderla salubre, e quale deve essere la distribuzione delle strade maniera più pura e più netta lo spirito di un popolo a quel grado di civiltà e di
a fine di evitare ogni genere di accidenti. Farò vedere quale è la maniera migliore cultura cui è pervenuto. Bisogna che codesto spirito sia raccolto in sé medesimo,
per disporre le fogne, ripartire le acque, e come sia possibile il costruire gli edifizi raggruppato, inteso con sé, perché abbia abilità di formularsi e di esprimersi».
489
in maniera da metterli a coperto dagli incendi, e finalmente coll’applicazione di tali   M.G. Pezone (cfr. Ingegneria militare borbonica …cit., p. 648), dimostra che la sede
principii proverò come le Città benché difettose per alcune fisiche costituzioni pos- della Nunziatella fu occupata dall’Accademia Militare solo dal 1787 e non dal ’77,
sano in qualche parte migliorarsi» (cit. in Istoria de’ tremuoti…cit. [ried. 1992], p. 111). come erroneamente più volte sostenuto in precedenza da molti autori.

Capitolo quarto
174
Idraulici; infine il Corpo del Genio, che nel 1796 incorporerà quello voro per gli ingegneri francesi, portatori della cultura tecnica di
degli ingegneri militari, già ristrutturato nel 1752 e nell’85490. La nuova ispirazione illuminista e applicatori della scienza sperimentale493 .
Accademia Militare, in particolare, riunì in sé le esistenti accade- Nelle principali nazioni europee la figura dell’ingegnere cominciò
mie di artiglieria e degli ingegneri 491. a delinearsi e a diffondersi proprio secondo quel modello, ossia
Nella sfera civile, invece, ancora non esisteva una distinzione ri- quale specialista in grado di applicare le nuove teorie in tutti i
spetto al ceto degli architetti e, come abbiamo visto, i due titoli campi della sfera civile, contro la logica intuitiva e formalistica
e i relativi ruoli venivano spesso confusi, con conseguenti accese degli architetti di estrazione accademica e a dispetto delle già ac-
diatribe deontologiche. Così agli inizi dell’Ottocento si avvertirà cese diatribe stilistiche. Sarà quindi naturale, in età napoleonica,
l’esigenza sempre più forte della definizione di una figura pro- l’istituzione nei principali stati dell’Impero di scuole di ingegneria
fessionale atta ad assumere, nell’ambito della moderna ingegneria civile finalmente dotate di una propria autonomia e coerenza ri-
delle opere pubbliche, le più generali competenze dell’antico ar- spetto a quelle già esistenti in ambito militare494 .
chitetto «vulgo ingeniero». Con la venuta di Murat si delineerà Dando allora uno sguardo proprio alla sfera francese, notiamo che
l’occasione per quel primato che vedrà a Napoli, nel 1811, la nascita all’interno di un’idea di città come quella concepita per Parigi
della prima Scuola d’ingegneria italiana: nella figura dello scien- intorno alla metà del XVIII secolo, fondata sulla teoria fisiocra-
ziato-artista operante nell’ambito pubblico confluiranno entrambe tica e antiurbana – si pensi a Patte, fino a Ledoux –, sul modello
le anime professionali, perpetuandosi così l’eredità della tradizione razionalista di Laugier e sul metodo tipologico ed ‘economico’
vinciana e dell’enciclopedismo. Solo tra il volgere del XIX secolo messo a punto da Durand per la composizione architettonica, la
e gli inizi del XX la frattura tra arte e scienza del costruire sarà nuova scienza non poteva non riservare all’ingegnere, al tecnico
effettiva e apparentemente insanabile, di pari passo con la graduale per eccellenza, un ruolo primario: lo «spirito di calcolo», per dirla
specializzazione industriale dei processi edilizi e il conseguente con Quatremère de Quincy, avrebbe presto comportato la ridu-
isolamento dell’architetto per il suo approccio eminentemente ‘ar- zione dei compiti dell’architetto formato in accademia al ruolo di
tistico’ alla professione. elaboratore di forme, mentre il ‘tecnico di Stato’ sarebbe divenuto
Ma cerchiamo di ricostruire la vicenda riportandoci al tempo di interprete quasi esclusivo del rapporto tra istituzioni e programmi
Corazza, per poi passare ad individuare gli sviluppi del leonar- urbanistici 495. Non vi è dubbio, infatti, che proprio la scienza del
dismo nell’ingegneria napoletana tra Otto e Novecento. A tale costruire fondata da Bélidor avesse come immediata conseguenza
scopo va collocato proprio negli anni ’70-’80 del XVIII secolo il quella di portare l’architetto all’isolamento, a meno che egli non
punto di svolta cui la compiuta maturazione delle idee e, soprat- accettasse di sostituire il calcolo alla propria empirica intuizione
tutto, il confronto con l’ambiente scientifico francese guidarono dell’equilibrio statico, ciò richiedendo però uno sforzo ben più
le scelte dello Stato napoletano. Partendo dall’esame del contesto cospicuo di quello profuso dall’ingegnere nell’apprendere le re-
in cui operò una figura di spicco dell’architettura del Settecento gole degli ordini architettonici 496. Da un lato, dunque, il dibattito
come quella di Luigi Vanvitelli, ossia da un’analisi del primo vero accademico resterà legato alle astratte norme imposte dall’Académie
scontro tra teoria e prassi dell’edificare, è possibile valutare la reale parigina, tali da condurre alle aspre polemiche ottocentesche di
portata del progresso della scienza del costruire nel Mezzogiorno e un Viollet-le-Duc o di un Labrouste, dall’altro tecnici più spic-
dei suoi effetti sulla nuova configurazione del ruolo dell’ingegne- catamente ‘ingegneri’, come un Soufflot o un Rondelet, saranno
re. Va infatti tenuto ben presente che le valide istituzioni introdot- convinti applicatori dei nuovi metodi.
te nel Regno in età murattiana nel campo della formazione e del Nel secolo dei Lumi, segnato dal dibattito che animò l’Encyclopédie,
reclutamento dei tecnici preposti alle opere pubbliche potranno anche nel Mezzogiorno lo sperimentalismo vinciano dovette dun-
«allignare» – per usare le parole del grande Carlo Afan de Rivera 492 que suscitare un rinnovato interesse e costituire il termine a quo per
– solo perché trapiantate in un terreno già da tempo disponibile a un’evoluzione della figura duplice di marca leonardesca in quella
tenere il passo della scena europea. richiesta dal nuovo ruolo istituzionale: basti pensare all’importan-
Al notevole fermento registratosi già sul finire del XVII seco- te funzione di trait-d’union svolta dall’architetto-ingegnere di marca
lo sulla scorta dell’esperienza galileiana nell’ambito della teoria vanvitelliana attraverso i numerosi epigoni fino agli inizi dell’Otto-
delle travi inflesse e dello studio degli archi e delle cupole, agli cento. E persino quando la Scuola di Applicazione assumerà l’onere
inizi del Settecento non aveva ancora fatto seguito un’adeguata di formare i nuovi tecnici di Stato, prendendo le distanze sia dalle
sperimentazione, anche per la mancanza di efficaci attrezzature scuole militari sia dalle accademie, non si vorrà rinunciare alla so-
di verifica, nonché per il retaggio dei principi di proporzionalità stanziale unità di competenze che, specie nel campo delle opere
fondati sulla trattatistica cinquecentesca. A quell’epoca fu rite- pubbliche, quei professionisti già validamente esprimevano.
nuto indispensabile, segnatamente dagli studiosi francesi, l’avvio Calandoci nell’ambiente culturale della Napoli del Settecento, no-
di un serio programma di indagine nel campo della meccanica teremo che se da un lato lo studio delle scienze applicate all’ar-
applicata alle costruzioni; in tal senso va riconosciuto al Bélidor chitettura fu tutt’altro che trascurato, raggiungendo, anzi, livelli di
il merito della definizione di una scienza delle costruzioni final-
mente strumentale alla pratica esecutiva e atta a superare il divario
tra teoria e tecnica fino ad allora esistente attraverso l’adozione 493
  E. Benvenuto, La Scienza delle Costruzioni e il suo sviluppo storico, Firenze, San-
soni, 1981, p. 275; A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-scientifica...cit., p. 170.
del modello matematico di verifica: la sua Science des Ingénieurs 494
  Si veda in proposito: G.C. Calcagno, La figura dell’ingegnere tra Sette e Ottocento,
divenne presto uno strumento indispensabile di studio e di la- in Aa.Vv., Ingegneria e politica nell’Italia dell’Ottocento: Pietro Paleocapa, atti del conve-
gno (6-8 ottobre 1988),Venezia, Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, 1990, pp. 463
sgg.; P. Morachiello-G. Teyssot, Nascita delle città di stato. Ingegneri e architetti sotto
il consolato e l’Impero, Roma, Officina ediz., 1983; H. Verin, La gloire des ingegnieurs:
490
  A. Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero» a «scienziato-artista»: la formazione l’intelligence technique du XVI au XVIII siécle, Paris, A. Michel, 1993.
dell’ingegnere meridionale tra Sette e Ottocento, in Scienziati-artisti…cit., pp. 19 sgg. 495
  Si veda G. Teyssot, Illuminismo e architettura: saggio di storiografia, introd. a E.
491
  Cfr. L’accademia militare della Nunziatella dalle origini al 1860, a cura di M.A. Mar- K aufmann, Tre architetti rivoluzionari. Boullée Ledoux Lequeu, Milano, F. Angeli,
tullo Arpago, Napoli, L’Arte Tipografica, 1987. 1991, pp. 43 sgg.
492 496
  A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane…cit., p. 19.   A. Biral, P. Morachiello, op. cit., pp. 91-92.

Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze e dell’ingegneria


175
razionalimo che proprio nella capitale borbonica, già a partire dal
1750, ebbe un esponente di punta in Giovanni Carafa (sin dal 1738
lettore onorario presso l’Università e supplente, per qualche tempo,
di Niccolò de Martino498) e che, in età ferdinandea, avrebbe ali-
mentato le idee di Vincenzo Ruffo. Il problema è che Vanvitelli non
volle mai staccarsi dalla sua téchne, dall’insieme delle norme acqui-
site nella pratica dell’arte costruttiva: in lui non è possibile trovare
il teorico, né distinguere il tecnico dall’artista; egli è ‘costruttore’
alla maniera indicata da Vitruvio, alieno da suggestioni mitiche o
archeologiche e per questo mai neoclassico ma, al contrario, con-
vinto che solo attraverso un classicismo ancora di stampo barocco
(si pensi alla sua passione per Poussin) si potesse risalire all’antico499.
Dal punto di vista della conoscenza statica, basandosi sin dall’ini-
zio della sua carriera su una prevalente pratica di cantiere, il gran-
de architetto si dichiarò sempre incompetente, se non addirittura
contrario ai nuovi metodi matematici, primo tra tutti il calcolo
differenziale, che rappresentava ormai lo strumento più idoneo
alla ricerca e al proporzionamento strutturale. Eppure va dato atto
a questo formidabile professionista di aver concepito strutture in
grado di resistere validamente per secoli: grandi opere edilizie e
idrauliche, quali la Reggia di Caserta, l’Acquedotto Carolino con
i Ponti della Valle, o il porto di Ancona, testimoniano non solo
della dimensione megastrutturale dell’esperienza vanvitelliana, ma
anche della corretta applicazione, qualunque ne siano le fonti, dei
principi della statica e della meccanica500.
A dispetto di quanto a Roma, negli anni ’50-‘60, Bottari andava
sostenendo circa l’importanza dello studio delle discipline scientifi-
che nella formazione accademica, proprio nell’ambito della capitale
pontificia si affermava la notorietà di Vanvitelli come professionista
di grande pratica tecnica e destrezza artistica, ma di nessuna, o quasi,
cognizione teorica. Importante, in tal senso, il giudizio espresso nel
1766 dal principe dell’Accademia di San Luca, Francesco Preziado,
Luigi Vanvitelli, stato lesionativo della cupola di San Pietro, 1743 (da G. riguardo alla sintesi delle arti garantita dalla padronanza del disegno
Poleni, Memorie istoriche della gran cupola del tempio vaticano…, Padova 1748) nei grandi architetti del passato e del presente:

Nemmeno pare facile trovare una ragione per cui il talento dell’uomo,
eccellenza – si pensi ai contributi di Niccolò e Pietro di Martino che così nelle materie scientifiche, come nelle arti liberali puol fare
(in particolare, del primo, gli Elementa Statices del 1737), di Guido molti avanzamenti, resti legato, e ristretto ad una metria sola […]. E
Grandi (le Instituzioni Meccaniche del 1739), di Niccolò Fergola, fino quel che è più mirabile uscire dalla sua professione talvolta, e passare
a quelli dei ricordati Caravelli, Carletti e Lamberti – dall’altro l’o- senza abbandonarla, a fare le statue colli scultori, o a declinare, e ar-
pera di intellettuali di rango – da Giannone a Genovesi, a Galiani, chitettare gli edifizj cogli architetti, senza che gli uni, né gli altri glielo
a Filangieri, allo stesso Corazza – dimostra come gli interessi scien- impedissero: perché tutte e tre le belle arti da un solo Padre, che è il
tifici andassero di pari passo con quelli artistici, filosofici e letterari. disegno derivano, e procedono: perloché molte volte si sono veduti
Quali furono allora, in età vanvitelliana e postvanvitelliana, gli an- soggetti in cui tutte tre le professioni si congiunsero, come in Miche-
tefatti ideologici che avrebbero consentito allo Stato murattiano di langelo, nel Bernino: né mancano in oggi nostri Accademici, che al-
dotarsi per primo in Italia di una classe professionale atta a rispon- meno due professioni si esercitano, come il Vanvitelli, il Marchionni501.
dere in campo civile all’impatto con le nuove istituzioni francesi e
con le esigenze di una più avanzata e moderna progettazione del Ma in Italia, già dalla prima metà del secolo, qualcosa stava cam-
territorio e delle pubbliche attrezzature? E quali, ancora, i riflessi biando. Il caso più emblematico è dato dall’azione svolta dalla scuola
sulla figura tradizionale dell’architetto-ingegnere, per così dire il padovana nella diffusione del metodo sperimentale per dare vita ad
‘malessere’ avvertito già da Vanvitelli nel rapporto con i «matemati- una nuova scienza del costruire: pensiamo, in particolare, alla figura
ci»? Se da un lato il progettista di Caserta mostrò una certa simpatia
per gli scienziati rivolti alla tecnica e all’attività sperimentale, contro
le astrazioni e l’erudizione inutile, egli apparve però chiuso ai nuo- 498
  F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., p. 59.
vi stimoli emersi, ad esempio, nei circoli giansenisti dell’ambiente 499
  Si vedano al riguardo R. De Fusco, Vanvitelli nella storia e la critica del Settecento,
romano e dunque a quel razionalismo progressista e antibarocco in Aa.Vv., Luigi Vanvitelli, Napoli, Ediz. Scientifiche Italiane, 1973, e R. Di Stefano,
Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, ibid.
cui neppure Fuga, a un certo punto della carriera, seppe resistere497; 500
  A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-scientifica…cit., p. 191. Cfr. pure A.
Aveta, Luigi Vanvitelli e la cultura tecnica del Settecento, in Storia dell’Ingegneria. Atti
del 2° Convegno Nazionale…cit., pp. 1061-1072.
501
  Il brano dell’Orazione è riportato da M. Missirini, Memorie per servire alla storia
497
  A.M. Matteucci, op. cit., pp. 25 sgg.; B. Gravagnuolo, Architettura del Settecento della romana Accademia di San Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma, stamp. De
a Napoli…cit., pp. 155-172. Romanis, 1823, p. 248. Cfr. R.M. Giusto, op. cit., pp. 82-83.

Capitolo quarto
176
Decreto di Gioacchino Murat per l’istituzione Scuola di Applicazione di Ponti e Strade, 4 marzo 1811. Napoli, Archivio di Stato

di Giovanni Poleni, protagonista assoluto negli anni ’40 della ricerca in Italia sul volgere del Settecento da Lagrange: a Napoli essa aveva
nel campo della meccanica applicata alle murature; non fu casuale, trovato terreno fertile nel diffuso leonardismo dell’ambiente tardo-
in tal senso, lo scontro proprio con Vanvitelli in occasione del restau- illuministico della capitale borbonica, pur sussistendo la corrente
ro della cupola di San Pietro, una diatriba sintomatica del contrasto ‘sintetica’ e conservatrice di Fergola (presso il quale si era formata
tra due diversi modi di intendere l’architettura502. per quarant’anni un’intera generazione di matematici) ancora basata
Uomini come Vanvitelli e Fuga vanno dunque considerati gli ulti- sull’analisi geometrica «degli antichi». Ma a partire dal 1811 nella
mi professionisti che, nel corso della loro imponente carriera, non neo-istituita scuola di ingegneria napoletana il metodo speculativo-
mostrarono quasi mai la volontà di un aggiornamento teorico- analitico era destinato a farsi strada: il saggio sulla Geometria di sito
scientifico e solo raramente la disponibilità a collaborare con gli sul piano e nello spazio (Napoli, 1815) del più noto allievo del Fergola,
scienziati nella soluzione di difficili problemi strutturali. Eppure Vincenzo Flauti, elogiato da Lhuilier e da Chasles, e destinato ad
proprio i decenni della loro attività presso i Borbone e quelli fino al avere risonanza europea503, risulta già in bilico tra le due opposte
volgere del secolo furono caratterizzati da un grande fermento nel scuole di pensiero; nei successivi decenni la teoria mongiana finirà
campo delle scienze teoriche e applicate. Agli inizi dell’Ottocen- per prevalere negli studi di Gaspare Vinci, Gaetano Alfano, Nicola
to ulteriori progressi sarebbero stati consentiti dall’applicazione dei Trudi, Francesco Paolo Tucci504 e Fortunato Padula, tutti decisamen-
nuovi metodi di Monge nel campo della geometria analitica e della te orientati verso i metodi più avanzati della geometria descrittiva
rappresentazione, potendosi ormai risolvere molti problemi grazie e della rappresentazione grafica. A Tucci si deve, in particolare, il
all’adozione di formule matematiche in luogo delle figure geome-
triche ed evadere così nel campo dello spazio ‘non euclideo’. Tale
tendenza, già sostenuta da Newton e da Voltaire, era stata introdotta 503
  R. De Sanctis, op. cit., pp. 49-50. Nucleo originario dell’opera erano gli Ele-
menti di geometria descrittiva, che Flauti aveva pubblicato nel 1807 (Roma, L. Perego
Salvioni) aderendo ufficialmente ai principi espressi nella Géométrie descriptive di
Monge.
502 504
  A. Buccaro, Aspetti della cultura tecnico-scientifica…cit., p. 190.   Riguardo al Tucci, cfr. Scienziati-artisti…cit., pp. 294 sgg.

Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze e dell’ingegneria


177
merito di aver dato al proprio insegnamento della meccanica, della ingegnere509 era destinata, come osservò Durand510, ad assumere un
geometria e della geodesia, prima all’interno della Scuola Politecni- posto privilegiato rispetto a quella dell’architetto: questi tecnici, for-
ca e Militare, poi di quella di Applicazione, un indirizzo totalmen- mati dallo Stato e distribuiti in maniera capillare sul territorio delle
te ispirato allo stretto rapporto tra scienza e téchne, sicché l’aspetto province, dovettero per tutto l’Ottocento superare notevoli diffi-
applicativo e professionale divenne addirittura ‘tipico’ della scuola coltà nell’attuazione dei programmi, a causa di una borghesia pro-
murattiana: nel saggio Della misura delle volte rette ed oblique. Trattato vinciale sempre più potente, intenta a soddisfare i propri circoscritti
teorico e pratico (Napoli, tip. Sangiacomo, 1832)505 Tucci proseguì sulla interessi e, spesso, a trarre profitto dal malcontento delle popolazio-
strada di Lamberti per l’affermazione di una didattica fortemente ni locali verso un sistema politico fin troppo centralizzato. Con la
legata proprio all’attività ‘su campo’ degli allievi ingegneri506. Restaurazione, dopo un breve periodo di apparente abrogazione
delle istituzioni dei francesi, queste verranno quasi integralmente
Che un filo ininterrotto abbia assicurato, nel Mezzogiorno ottocen- ripristinate e con esse il Corpo e la Scuola degli ingegneri: non vi
tesco, la continuità dell’antica unità del sapere l’avevamo già avver- sarà di fatto, nel campo di cui ci occupiamo, soluzione di continuità
tito nell’indagare come, tra il decennio francese e l’età preunitaria, né all’interno dei programmi, né tanto meno nella conferma dei
all’interno della Scuola napoletana e del Corpo di Ponti e Strade si ruoli affidati alla vasta schiera dei professionisti già collaudati in età
fosse inteso preservare e, anzi, esigere la duplicità delle competenze murattiana, con un atteggiamento di ‘tolleranza’ tale da fare invidia
per gli scienziati-artisti al servizio dello Stato507. L’essersi poi perpe- finanche ai nostri tempi. Pregi e difetti di quel sistema verranno
tuato tale principio almeno fino al primo dopoguerra significa per quindi travasati nel ricostituito Stato borbonico, potendosi in ogni
l’ingegneria meridionale aver richiamato costantemente, fino alla caso definire positivo il bilancio dell’attività nel settore fino all’Uni-
malaugurata scissione delle due ‘anime’ della professione, le radici tà, allorché il Corpo napoletano fungerà addirittura da modello per
vinciane di quest’ultima. il nuovo Corpo Reale del Genio Civile del Regno d’Italia.
In varie occasioni ci siamo occupati dell’attività della Scuola e del Gli ingegneri meridionali, nel corso di mezzo secolo, metteranno
Corpo508, sottolineando l’immenso valore e la risonanza tecnico- a frutto i risultati delle numerose esperienze e scoperte in campo
scientifica dell’ingegneria napoletana, destinata a segnare, ancora tecnico-scientifico, facendo del Corpo una delle più aggiornate
oltre la metà del Novecento, tappe fondamentali nella vicenda ita- istituzioni d’Europa; essi inoltre, specie nei capoluoghi di pro-
liana. Ricordiamo qui in sintesi che, con il dominio napoleonico, fu vincia, riusciranno più degli architetti – immersi nelle diatribe
avviata nel Regno una nuova organizzazione del settore delle opere accademico-stilistiche e unicamente preoccupati di soddisfare la
pubbliche, con la creazione del Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade, committenza privata borghese – a far proprie le istanze neoclas-
con decreto del 18 novembre 1808, e della Scuola di Applicazione di siche, mostrandosi solo marginalmente interessati ai richiami for-
Ponti e Strade, con decreto del 4 marzo 1811; quest’ultima ebbe il malistici, ma piuttosto interpretando il ritorno all’antico quale ri-
compito della formazione dei giovani professionisti che avrebbero scoperta di sistemi strutturali e funzionali dell’età greca e romana.
operato nel Corpo per conto dello Stato nelle province, dialogando Tali professionisti assicureranno allora, proprio a partire dalla
con gli organi amministrativi di queste ultime, ossia gli intendenti e dominazione francese, la dotazione dello Stato meridionale con
le deputazioni provinciali: non solo il sistema politico-istituzionale, moderni impianti di utilità sociale: il concetto di ‘città come
ma anche quello specificamente concernente la formazione, il re- grande casa’ presente nel modello urbanistico greco, codificato
clutamento e l’attività degli ingegneri era ovviamente modellato da Vitruvio e già recuperato dall’Alberti, nel Mezzogiorno na-
sul sistema francese, riorganizzato da Napoleone nel 1794 con la poleonico viene esteso, ancora in chiave classicistica, a quello di
creazione dell’École Polytecnique. ‘Stato come grande città’; la formulazione di programmi tenden-
All’atto della sua formazione, il Corpo napoletano dovette attingere, ti ad una capillare estensione della presenza dello Stato sul ter-
ovviamente, all’antica classe professionale degli architetti-ingegneri, ritorio si esprime così nella previsione di un’ampia gamma di
scelti tra i più versati nel campo delle discipline tecnico-scientifiche tipologie dell’edilizia pubblica che, già opportunamente indivi-
ed esperti in opere stradali e idrauliche: i primi «scienziati artisti», duate in sede teorica dal Milizia, fungono per le città-capoluo-
come Giuliano de Fazio, Luigi Malesci, Bartolomeo Grasso ed al- go da meccanismi atti ad assicurarne il funzionamento all’in-
tri, furono quindi professionisti formati nel Settecento, che vennero terno di un sistema avente nella capitale il motore principale511.
nominati ingegneri in capo, assumendo un ruolo direttivo all’interno Nella Scuola di Applicazione gli alunni venivano addestrati pre-
della complessa macchina predisposta dai napoleonidi per l’ammi- valentemente allo studio dei metodi delle scienze sperimentali; in
nistrazione delle opere pubbliche. La figura ‘completa’ del nuovo campo architettonico l’aspetto stilistico, certamente non trascura-
to dai docenti nelle proprie opere – si pensi a de Fazio, a Malesci,
a Laperuta – non ricopriva un ruolo principale dal punto di vista
505
  Ivi, pp. 298-299. didattico, privilegiandosi l’apprendimento da parte degli allievi
506
  Agli studi di Tucci fecero seguito quelli di Fortunato Padula (1816-81), inge-
gnere e matematico attivo, oltre che come docente nella Scuola di Applicazione, dei modelli funzionali e distributivi, nonché l’acquisizione delle
anche come quadro nel Corpo di Ponti e Strade e nell’Amministrazione generale nozioni più avanzate in materia di tecnologia e di materiali da co-
delle Bonifiche a cavallo dell’Unità. Egli fu autore di ricerche di grande risonanza,
come la memoria Sul momento d’inerzia e sugli assi principali, la prima ricerca con-
struzione: vanno ricordati al riguardo i periodici viaggi di studio
dotta sull’argomento in Italia, presentata all’Accademia delle Scienze nel 1838 e nel resto d’Italia e d’Europa, che avranno non poco peso sull’ag-
pubblicata qualche anno dopo (Napoli, Stamp. Reale, 1842), e la Raccolta di problemi giornamento di insegnanti e discenti. Dalla Scuola usciranno negli
di geometria risoluti con l’analisi algebrica (Napoli, stamp. del Fibreno, 1838). Cfr. R. De
Sanctis, op. cit., p. 50. anni ‘20-’50 i nuovi professionisti dell’edilizia pubblica, destinati
507
  Si veda il primo bando del concorso di ammissione e il decreto istitutivo della
Scuola del 4 marzo 1811, in cui si richiede ai candidati la conoscenza di base del-
le matematiche pure, della statica applicata all’equilibrio delle macchine semplici,
509
delle lingue italiana, latina e francese, nonché una buona capacità grafica. Cfr. A.   Cfr. Id., Invarianti e dinamiche della professione tra Cinque e Settecento, in Storia
Buccaro, Da architetto «vulgo ingeniero»…cit., p. 29. dell’Ingegneria. Atti del 3° Convegno Nazionale cit., I, pp. 261-269.
510
508
  A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane…cit., cap. I; Id., Opere pubbliche e   J.N.L. Durand, Lezioni di architettura, ried. a cura di E. D’Alfonso, Milano, Clup,
tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Napoli, Electa Napoli, 1992, passim; Id., 1986, p. 234.
511
Da architetto «vulgo ingeniero»…cit., pp. 29 sgg.   A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane...cit., pp. 40 sgg.

Capitolo quarto
178
a portare l’architettura meridionale sulla strada della modernità,
dell’uso di materiali come il ferro, dell’affrancamento dalle sterili
querelles formalistiche che entro il volgere dell’Ottocento compro-
metteranno, nel generale ambito europeo, la figura e il ruolo stesso
dell’architetto.
Prima dell’Unità verranno quindi raggiunti nel Mezzogiorno alti
livelli di professionalità con l’opera di ingegneri – da Giuliano
de Fazio a Luigi Malesci a Bartolomeo Grasso, da Carlo Afan de
Rivera a Luigi Giura ad Antonio Maiuri – che nel corso del loro
lungo servizio per lo Stato borbonico studiarono l’arte, l’architet-
tura o l’archeologia, come la meccanica, la scienza delle costruzio-
ni o l’idraulica, con uguale interesse, producendo studi e ricerche
che ebbero rapida e vasta eco in Europa e perseguendo autentici
primati italiani (si pensi solo al battello a vapore nel 1818, al primo Salvatore Fergola, Inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici nel 1839, c. 1840.
Napoli, Museo Nazionale di San Martino
carcere a schema panottico nel 1821, alla prima ferrovia nel 1839, ai
ponti di ferro sul Garigliano e sul Calore tra il 1832 e il ‘35), sebbe-
ne non sempre incoraggiati dal governo512 . Tra la seconda metà del per la contrattazione e lo scambio di merci e derrate. L’attivazione,
secolo e gli inizi del Novecento proseguirà questa felice stagione, nei pressi della città di Napoli, di una struttura di così grande im-
come testimonia la produzione di professionisti come Ambrogio portanza, che avrebbe avuto in Nisida una «scala franca» e a Mi-
Mendìa, Fortunato Padula, Francesco Paolo Boubée, Guglielmo seno un «lazzaretto da peste» per il ricovero in quarantena di navi
Melisurgo e tanti altri513. provenienti da paesi sospetti di epidemie o di accertato contagio,
Tra i protagonisti della vicenda architettonica ed urbanistica alla scala avrebbe rappresentato l’anello forte di una catena ben più comples-
del Regno in età preunitaria è possibile individuare in Giuliano de sa: secondo l’idea formulata da de Fazio e de Rivera tra la fine del
Fazio una figura di particolare spicco, cui si deve certamente, sul pia- regno di Francesco I e gli inizi di quello di Ferdinando II, in essa
no tecnico-scientifico e teorico-disciplinare, il successo e la vivacità rientreranno praticamente tutti gli impianti e le infrastrutture che il
del dibattito riguardante i programmi animati prima e dopo il 1815. governo borbonico predisporrà sull’intero territorio statale, attrez-
Sin dai primi anni dell’età napoleonica de Fazio intraprende attenti zando i capoluoghi di provincia e assumendo quali poli strategici i
studi sui porti dell’antichità romana, traendo spunto dalla presenza porti adriatici della Puglia e quello siciliano di Messina. Il sistema
dei resti delle strutture di approdo di epoca imperiale lungo l’ar- mirerà ad entrare in concorrenza con quelli già attivi in Toscana e
co litoraneo flegreo per elaborare una precisa teoria: le numerose in Veneto per il commercio con l’estero, col vantaggio di una posi-
pubblicazioni che l’ingegnere produrrà sull’argomento tra il 1814 ed zione più conveniente rispetto al resto del bacino del Mediterraneo.
il ‘32 non solo rappresenteranno contributi di particolare interesse Ma l’iniziativa si rivelerà ben presto utopica e già sul volgere degli
in materia di ‘archeologia idraulica’, che avranno ampia diffusione anni ‘30 gli sforzi di de Rivera, e più ancora quelli di Ferdinando
anche in Francia e in Inghilterra, ma sul principio degli anni ‘20 si II, di credere ciecamente in de Fazio e nella riuscita dello «speri-
inseriranno pienamente nella visione economico-politica espressa mento» di ripristino del porto di Nisida, con i suoi moli a trafori,
nei suoi scritti dal direttore generale Carlo Afan de Rivera, venendo si risolveranno nel dispendio di somme enormi a carico delle pro-
ben presto prescritta l’adozione dei nuovi principi agli ingegneri vince pugliesi e nel sistematico crollo delle nuove strutture, risultate
del Corpo all’interno dei progetti per i principali porti del Regno. inadatte ad essere adottate in ogni condizione di correnti marine.
De Fazio si convincerà del fatto che i porti romani erano stati co- Nell’ambito del descritto sistema a scala territoriale, ai lazzaretti
struiti tutti con moli «a trafori», cioè fatti con archi e piloni formati venne assegnato il compito di rispondere ai più avanzati requisi-
direttamente in mare grazie all’uso di malta idraulica: in un clima ti di igiene sociale, richiedendo pertanto la massima attenzione da
di crescente entusiasmo per il mito classico, il ripristino e l’atti- parte dei progettisti. De Fazio intese applicare alla lettera le nuove
vazione dei porti flegrei attraverso il recupero dell’antica tecnica norme riguardanti questi impianti sin dalla prima esperienza fatta
costruttiva sembrerà prima al Murat, poi a Ferdinando II, l’occasio- con Pompeo Schiantarelli nel 1798 in occasione del progetto del
ne per risolvere un problema da sempre pressante per gli scali del lazzaretto di Messina: tenendo presenti le considerazioni dell’inglese
Tirreno e dell’Adriatico, ossia il fenomeno dell’interrimento, oltre John Howard sugli impianti sanitari e carcerari da lui visitati in Eu-
che per favorire una rinascita del commercio nelle aree prossime ropa, essi adottarono uno schema a raggiera più evoluto rispetto al
alla capitale. A partire dagli anni ‘20, infatti, de Fazio convincerà panopticon messo a punto un decennio prima da Jeremy Bentham; il
de Rivera dell’opportunità di far rinascere anche un’altra tipolo- sistema – anticipato in Italia, come abbiamo visto, dall’esperienza di
gia di origine classica: l’emporio commerciale; gli scali flegrei, con Fuga per l’Albergo dei Poveri sin dal 1753 – era già stato applicato
Pozzuoli in testa, avevano costituito in età augustea l’«Emporium da Francesco Carpi nel disegno del carcere borbonico di Ventotene
Maximum» del Mediterraneo, ossia un sistema organizzato, dota- (1793-97); poco dopo (1821) esso verrà approfondito da de Fazio
to di più punti di approdo, attrezzature di deposito, nonché spazi nei suoi scritti e introdotto nel progetto del carcere di Avellino, re-
alizzato entro la fine degli anni ‘30. L’impianto tipo è tale da poter
assumere la forma di un qualunque poligono regolare, assicurando
512
  Sull’attività di questi ingegneri e sulle opere preunitarie, che descriveremo qui la separazione degli infetti, dei poveri, dei degenti o dei rei a secon-
sinteticamente, cfr. A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane…cit., passim.
513 da che si trattasse di lazzaretti, di ospizi, di ospedali o di carceri, e
  G. Russo, op. cit., passim; Dalla Scuola di Applicazione alla Facoltà di Ingegneria.
La cultura napoletana nell’evoluzione della scienza e della didattica del costruire, a cura di prestandosi peraltro alla creazione di complessi modulari; anche in
A. Buccaro, S. D’Agostino, Benevento, Hevelius Edizioni, 2003. Con partico- questo caso de Rivera, negli anni ‘30, spinto da un entusiasmo in-
lare riguardo alla figura e all’attività di A. Mendia, cfr. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2009, LXXIII, s.v. “Mendia, condizionato, non solo approfondirà personalmente la proposta del
Ambrogio” di A. Buccaro, pp. 447-448. lazzaretto per Miseno, ma prescriverà agli ingegneri l’adozione dello
Gli studi di Corazza nel progresso delle scienze e dell’ingegneria
179
sui Campisanti, e sulla loro influenza sulla morale, e sulla Civilizzazione si
evince come anche a questa tipologia venga affidato, sul principio del
XIX secolo, un importante ruolo nella redenzione e moralizzazio-
ne della società, mutuandosi dai Sepolcri il significato di camposanto
quale luogo in cui ciascuno possa arricchire il proprio animo con i
sentimenti suscitati dagli esempi di vita, non solo da parte dei grandi
uomini del passato ma delle persone comuni che abbiano condotto
un’esistenza proba e pietosa. Una visione laica, quindi, certamente
erede delle istanze rivoluzionarie nelle premesse morali (oltre che
sanitarie) ma già reinterpretata, all’indomani della Restaurazione, in
chiave religiosa attraverso il recupero del mementum mori: al centro di
ogni complesso cimiteriale la «chiesa madre» funge da fulcro dell’im-
pianto, venendo a disporsi intorno ad essa, lungo i lati del recinto
quadrato, le cappelle delle congregazioni e i monumenti dei privati.

Primo battello a vapore “San Ferdinando”, 1818. Napoli, Archivio di Stato Dall’esame, da noi intrapreso già da alcuni anni, del ricchissimo pa-
trimonio librario della biblioteca storica della Facoltà di Ingegneria
dell’Università di Napoli, insuperabile dal punto di vista della consi-
stenza e dell’aggiornamento non solo in ambito tecnico-scientifico,
si può evincere sia il ruolo decisivo svolto, nella formazione e matu-
razione della descritta figura di professionista ‘integrale’, dallo studio
dei principali testi pubblicati in Italia e in Europa nell’ambito della
storia e della critica artistica, sia la particolare importanza delle ri-
cerche condotte dai grandi protagonisti dell’ingegneria napoletana
nei campi più svariati dell’architettura, delle infrastrutture e delle
tecnologie industriali514.
I riscontri delle invenzioni e delle scoperte cui gli scienziati e gli
ingegneri napoletani giunsero nei vari campi dell’industria edilizia,
chimica, meccanica e metalmeccanica tra il 1830 e il 1860, e i notevoli
progressi condotti all’interno delle aziende di Stato, in primis nell’o-
pificio di Pietrarsa, trovano puntualmente spazio negli Annali Civili
del Regno, in Poliorama Pittoresco e negli Annali delle Opere Pubbliche
Luigi Giura, ponti di ferro sospesi sul Garigliano (1832) e sul Calore (1835)
(da Sasso) e dell’Architettura. In quest’epoca i periodici congressi scientifici e le

schema «panottico» in tutti gli impianti di reclusione da progettarsi 514


  Cfr. Scienziati-artisti…cit., pp. 273 sgg. All’interno della sezione Libri antichi della
nel Regno: si vedano, ad esempio, quelli di Campobasso e di Paler- Biblioteca, il repertorio della produzione sette-ottocentesca destinata alla formazio-
ne e alla professione degli ingegneri risulta pressoché completo, anche nell’ambito
mo, tuttora esistenti, e l’altro ideato dallo stesso de Fazio per Napoli dell’aggiornamento tecnologico e sui nuovi materiali da costruzione derivanti dal
ma mai eseguito. Anche in questo caso, però, sarà dubbia la validità progresso industriale, non mancando peraltro preziose testimonianze nel più am-
del ‘congegno’ che, a dispetto delle istanze filantropiche da tempo pio ambito umanistico, nella manualistica e nella trattatistica architettonica cinque-
seicentesca, oltre a rare pubblicazioni in materia di arte e di archeologia. Il ricco
acquisite specie in materia di redenzione morale dell’individuo, si patrimonio che oggi compone la sezione offre un’idea del corpus bibliografico che
rivelerà un ennesimo sistema coercitivo, uno dei tanti imposti dal- fu a disposizione degli allievi della Scuola di Applicazione e dei professionisti ope-
ranti nel Corpo, costituendo un materiale di costante aggiornamento scientifico,
la società «disciplinare» – per dirla con Foucault – come luogo di tecnologico e artistico fino al primo dopoguerra e oltre. Molti i volumi di grande
espiazione per i rei e di esercizio del potere da parte dello Stato; un pregio tra le migliaia di unità che compongono la sezione: oltre alla preziosa edi-
potere atto a convertire il recluso in attiva forza sociale: bisogna co- zione, pubblicata a Livorno nel 1770-75, dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alem-
bert, spiccano i testi di base per la formazione dell’ingegnere tra Sette e Ottocento,
munque tener presente che lo schema ‘a raggi’ proposto da de Fazio come i saggi di Lagrange, Monge e Tucci in materia di analisi matematica e di
per le prigioni verrà ritenuto all’avanguardia e adottato nel giro di geometria analitica, i primi studi svolti nell’ambito della scienza delle costruzio-
ni - da de la Rue, a Bélidor, a Bernoulli, a Navier - fino a quelli riguardanti il
pochi anni in Francia, in Inghilterra e persino in America. comportamento delle strutture metalliche - da Polonceau a Cottrau, a Boubée, a
Un cenno merita, infine, la vicenda relativa all’introduzione nel Re- Eiffel -. Non mancano nella Biblioteca, oltre, naturalmente, all’intera produzione
gno dei nuovi impianti cimiteriali extraurbani: già da mezzo secolo scientifica degli ingegneri del Corpo e dei docenti della Scuola di Ponti e Strade,
prima e dopo l’Unità - da Afan de Rivera a de Fazio, a Masoni, a Mendia, a Padula
il problema era particolarmente sentito nella capitale, come del resto -, gli insuperati manuali di architettura redatti da Durand e da Rondelet per gli
nelle altre grandi città europee; ma sarà solo con la Restaurazione allievi dell’École Polytechnique, più volte tradotti in lingua italiana, quelli adoperati
dagli ingegneri per l’esercizio della professione, quali, ad esempio, i trattati sull’Ar-
che, con un decreto del 1817, il governo renderà obbligatoria la cre- chitecture hydraulique di Bélidor, de Cessart e de Prony, quelli di strade e ponti di
azione di un camposanto in ogni comune del Regno. Si avrà così, Wiebeking, Navier, Perronet e Gauthey, i manuali di progettazione dei ‘nostrani’
Carletti, d’Apuzzo, de Cesare, Botta, Jaoul, fino ai postunitari Curioni, Formenti,
negli anni ‘20-’40, la nascita di quasi tutti gli impianti attualmente in Folinea, Cappa, Castigliano. Tra i saggi di storia e stili dell’architettura, oltre alle
funzione nel Meridione, che assumeranno quindi forme neoclassi- numerose edizioni dei trattati cinque-seicenteschi, nella Biblioteca troviamo opere
che: per essi ci si ispirerà alle esperienze francesi e a quelle del resto originali di J.F. Blondel, Percier, Albertolli, Delfico, Seroux d’Agincourt, Hittorff,
Pugin, Letarouilly, O. Jones, Cicognara, Cattaneo, fino a Viollet-le-Duc, Daly, Bel-
d’Italia, rese note nella struttura e nel significato morale e sociale da trami, Boito, G.B.F. Basile, Arata. Particolarmente degni di nota sono testi insigni
Foscolo e da Pindemonte. Tra gli altri è degno di nota il camposan- nel campo dell’archeologia greca e romana, come quelli di Stuart e Revett, o di
Le Roy, fino ai più importanti studi ottocenteschi. Vanno infine segnalate le nu-
to progettato per Avellino dall’ingegnere Luigi Oberty nel 1818, e merose pubblicazioni relative ai Grands Prix dell’Accademia parigina e dell’École
segnatamente la relazione che ne accompagna il disegno: dal Cenno des Ponts et Chaussées, oltre alle più rare riviste specialistiche italiane e straniere.

Capitolo quarto
180
esposizioni dei macchinari, dei prodotti e delle invenzioni contri- re nell’ambiente universitario napoletano i risultati dei recenti studi
buiscono, al pari delle riviste specializzate, a diffondere l’importanza condotti dal Govi e dall’Uzielli nella prospettiva di una pubblica-
e la notorietà della scienza meridionale: si ricordino, tra queste inizia- zione nazionale dei manoscritti vinciani, da tempo auspicata dall’I-
tive, il Congresso degli Scienziati Italiani tenuto a Napoli nel 1845515 stituto Lombardo di Scienze e Lettere ma non ancora intrapresa,
e la Pubblica Esposizione delle Manifatture del Regno del 1853516. e tenendo conto delle edizioni del Trattato della Pittura curate dal
In particolare spetta al Congresso e ai suoi promotori il merito di Ludwig, dal Jordan e dal Richter, nonché dello studio in corso da
aver divulgato e fatto apprezzare i risultati della ricerca scientifica e parte del Ravaisson-Mollien. Ma Padelletti andò ben oltre il sem-
tecnica, nonché l’esigenza di una didattica moderna. Francesco de plice aggiornamento sul dibattito in atto presso la comunità scien-
Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini colsero tale opportunità per tifica vinciana: egli volle infatti cogliere la segnalazione del fisiologo
rilanciare le idee di progresso, di giustizia sociale e di unità politica, Giuseppe Albini, anch’egli membro dell’Accademia delle Scienze
che di lì a poco sarebbero sfociate nelle vicende del 1848, allorché Matematiche e Fisiche di Napoli521, che già un anno prima aveva
sarebbe risultato evidente lo scollamento tra le iniziative, pure lode- ventilato l’opportunità di acquisire le «pietre litografiche» in posses-
voli, della Corona in campo infrastrutturale ed industriale e le reali so della biblioteca reale di Windsor, riproducenti i grafici anatomici
esigenze di miglioramento delle condizioni sociali e territoriali del di Leonardo ivi custoditi, curando in cambio la pubblicazione di
Mezzogiorno. Oltre a registrarsi in occasione del Congresso il con- quei disegni. Padelletti proponeva dunque la nomina di un comitato
tributo di scienziati provenienti da altre nazioni517, come lo storico di esperti ma, non potendo l’Accademia napoletana procedere auto-
tedesco Theodor Mommsen o il matematico Guglielmo Libri – che nomamente nell’impresa per mancanza di mezzi finanziari, egli sol-
abbiamo già trovato a Parigi, intorno al 1830, impegnato a mano- lecitava all’uopo quella dei Lincei522. L’iniziativa, sebbene destinata a
mettere i manoscritti di Leonardo –, molti studiosi napoletani non non andare a buon fine, rimane a prova della particolare sensibilità
esiteranno a denunciare la carenza di centri statali di ricerca e di dell’ambiente partenopeo in merito all’esigenza di una diffusione
strumentazioni pubbliche, tale da scoraggiare l’attività degli scien- sempre più ampia e di una valorizzazione degli scritti di Leonardo.
ziati, ancora costretti ad operare da soli e in sedi inadeguate, ad ac- Come abbiamo visto, è del 1913 la riedizione del Trattato della Pit-
quistare di tasca propria gli strumenti o a pubblicare a proprie spese tura523 stampata a Lanciano per i tipi di Carabba e curata da Angelo
i risultati delle ricerche518. Borzelli, noto storico napoletano, studioso della società e dell’arte
Dal punto di vista metodologico, è significativa la posizione espressa dell’ex capitale. In realtà non si tratta del testo del Trattato, bensì di
da alcuni giovani matematici partecipanti al Congresso, come i citati quello del Libro di Pittura, corredato da un sintetico ma interessante
Trudi e Padula, che nelle proprie relazioni prendono le distanze, saggio introduttivo del curatore e pubblicato nella collana dedicata
in maniera netta e definitiva, dall’ormai anacronistica scuola sin- agli scrittori italiani e stranieri: l’opera viene ‘liquidata’ dalla Pieran-
tetica. In particolare Padula, futuro direttore della Regia Scuola di toni524 come «riproduzione popolare» di quella curata dal Tabarrini
Ingegneria (1864-81), sostiene ‘vincianamente’ che «lo studio delle vent’anni prima, anch’essa condotta sul Codice Urbinate 1270. Ma,
scienze naturali è la sorgente più feconda delle scoverte matemati- oltre alla consapevolezza, espressa dal Borzelli nell’introduzione, dei
che», osservando che «la maggior parte de’ geometri moderni, al- limiti oggettivi del proprio lavoro in relazione alla complessità degli
lontanandosi dal sistema seguito dagli antichi, ed aiutati dal possente scritti vinciani, proprio il carattere economico della stampa (riedita
soccorso del calcolo» è ormai in grado di risolvere «questioni che nel 1914 a Città di Castello) assicurerà al testo un’ampia diffusione
per lo innanzi del tutto estranee alle matematiche riputavansi, ed nel primo Novecento. Del resto è sin troppo accreditata l’attività
hanno gettato i primi le fondamenta di un edifizio che illustrerà per di Borzelli quale raffinato critico e filologo delle vicende artistiche
sempre il nostro secolo, la fisica matematica»519. meridionali – si vedano, tra gli altri, i preziosi contributi nelle pagi-
ne di «Napoli nobilissima» – per discutere del valore scientifico, ma
anche didattico-divulgativo, della curatela. L’opera venne intesa dai
IV. Leonardo «artista-scienziato» nell’opera promotori come ulteriore passo verso una ricomposizione dell’o-
di Roberto Marcolongo e la permanenza riginario programma leonardesco per il Trattato, possibile solo me-
del metodo vinciano nella Scuola d’Ingegneria diante una trascrizione completa, un confronto tra codici originali e
apografi, ed un ordinamento cronologico dei precetti: impresa che,
Sul volgere dell’Ottocento l’interesse per Leonardo da parte come abbiamo visto, verrà avviata da Pedretti mezzo secolo più tardi.
della scienza e della critica artistica del Mezzogiorno non sembra Quello che, piuttosto, ci sorprende di Borzelli, come di tutti gli
affievolito: tutt’altro. Quando, il 5 gennaio 1885, in piena bufera dopo studiosi, pur autorevoli, che hanno affrontato a Napoli la materia
l’epidemia colerica dell’ottobre precedente e in attesa della legge vinciana fino alla metà del Novecento, è la mancata conoscenza
speciale per il risanamento della città di Napoli, promulgata di lì del nostro Codice, il cui carattere di selezione antologica del ‘me-
a qualche giorno, si inaugurò l’anno accademico nell’aula magna glio di Leonardo’ tratto dai codici parigini e di documentazione
dell’Università, il prof. Dino Padelletti, illustre matematico e docen-
te di meccanica razionale, pronunciò un importante discorso su Le
opere scientifiche di Leonardo da Vinci520, con cui si propose di diffonde- Accademia delle Scienze, 1885. Di Dino Padelletti (1852-1892), prof. di meccanica
razionale a Palermo e poi a Napoli, non ci sono altri scritti che riguardino la scien-
za di Leonardo.
521
515
  Giuseppe Albini (1827-1911) fu medico fisiologo milanese. Perfezionati gli studi
  Cfr. M. Torrini, Scienziati a Napoli 1830-1845, Napoli, CUEN, 1989. a Vienna, insegnò all’Universita di Cracovia.Tornato in Italia, fu nominato direttore
516
  Cfr. A. Buccaro, Saggi del progresso industriale nella Napoli preunitaria: le sedi di dell’Istituto di fisiologia dell’Università di Napoli e membro dell’Accademia delle
esposizione, in Napoli un destino industriale, a cura di A. Vitale, Napoli, CUEN, 1992, Scienze (come Padelletti): è evidente quindi il suo interesse per i fogli di anatomia
pp. 343 sgg. di Windsor e per le «pietre litografiche» che li riproducevano.
517
  F. Amodeo, Vita matematica napoletana…cit., p. 38. 522
  Ivi, pp. 27-28.
518
  M. Torrini, op. cit., p. 48. 523
  Cfr. Leonardo da Vinci. Trattato di Pittura, a cura di A. Borzelli, Lanciano, G. Ca-
519
  Ivi, p. 61. rabba, 1913 (2a ediz. Città di Castello, s.n., 1914, 3a ediz. Lanciano, G. Carabba, 1924).
520 524
  D. Padelletti, Le opere scientifiche di Leonardo da Vinci. Discorso per la inaugura-   A.C. Pierantoni, Studi sul Libro di Pittura di Leonardo da Vinci, Roma, Tip.
zione degli studii nella R. Università di Napoli, letto il 5 gennaio 1885, Napoli, Tip. R. Scotti, 1921, p. 60.

Leonardo «artista-scienziato» nell’opera di Roberto Marcolongo


181
testuale e grafica di alta qualità e facile leggibilità avrebbe certo Il primo contributo che conosciamo in materia di storia della
assicurato una comoda interpretazione di quei testi, molti dei qua- scienza, con cui Marcolongo si impose all’attenzione degli studio-
li, peraltro, all’epoca ancora inediti. si, fu pubblicato nel 1916 negli Atti dell’Accademia delle Scienze531.
Neppure il pittore Paolo Vetri (1855-1937), di origine siciliana ma Ma solo nel 1925 egli si dedicherà per la prima volta agli studi
attivo a Napoli per lungo tempo al fianco del suocero, il celebre vinciani, con un saggio su La prima parte del codice Arundel 263 di
Domenico Morelli, sembra aver avuto notizia dell’apografo della Leonardo da Vinci (1925) 532 . Nel recensire l’opera, Verga osserva:
Biblioteca Nazionale di Napoli allorché, nel redigere l’imponente «Sono pochi cenni, dai quali l’A. ricava la conclusione che que-
saggio su La legge fondamentale della prospettiva e la teoria della visione sta prima parte del codice, pubblicata dalla Commissione Rea-
del 1908525, condusse lunghe ricerche sulla base della documentazio- le, “non viene sostanzialmente a mutare il complesso di ciò che
ne vinciana sino ad allora nota e degli studi più accreditati in mate- ora è conosciuto riguardo al contributo di Leonardo alla fisica e
ria di ottica, da quelli di Giovan Battista Della Porta ai più recenti alla meccanica”. Tale conclusione, per altro, andrebbe appoggiata
di Charles Wheatstone; ricerche di cui si comprende la reale portata a un ben più largo esame, trattandosi di un ms. in massima par-
solo analizzando le carte manoscritte del pittore, oggi presenti nel te dedicato a quelle materie»533 . Sebbene il parere di Marcolongo
fondo Morelli della stessa biblioteca e da poco riordinate526. L’inten- fosse certamente autorevole, anche l’auspicio di Verga si rivele-
so studio, destinato a raggiungere un particolare grado di approfon- rà sufficientemente fondato, stante il successivo approfondimento
dimento scientifico, come dimostrano i numerosi interventi di Vetri della scienza vinciana nel secondo dopoguerra e le ulteriori ac-
presso l’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti e presso la quisizioni conseguenti alla scoperta dei codici di Madrid nel 1966.
Pontaniana, fino alla stesura del saggio sui Primi cenni e prime conside- Ma esaminiamo da vicino lo scritto di Marcolongo, riproposto nello
razioni sopra un fenomeno nuovo della visione (1928)527, si avvalse di un stesso 1925 negli atti dell’adunanza dell’8 marzo 1924 dell’Accade-
ricco apparato grafico, elaborato da par suo dal pittore; ma, come mia delle Scienze534. L’autore fa riferimento alla benemerita opera di
si comprende, proprio dal punto di vista del corredo di immagini pubblicazione intrapresa all’epoca per conto della Reale Commis-
(oltre che, naturalmente, dei contenuti del testo) egli avrebbe potuto sione Vinciana da Mario Cermenati per l’editore Danesi di Roma e
trarre non lieve vantaggio dalla consultazione delle numerose pagi- sottolinea l’importanza del Codice Arundel per quanto concerne le
ne del Codice Corazza dedicate ai fenomeni ottici. conoscenze in materia di meccanica da parte dell’«artista scienzia-
to», a partire dai libri di Alberto di Sassonia. Nonostante i precedenti
Nel corso del primo dopoguerra un illustre docente di meccanica studi e le trascrizioni del Richter, solo per merito del Cermenati il
dell’ateneo napoletano, Roberto Marcolongo (Roma, 1862-1943)528, codice venne reso di pubblica ragione in forma integrale, venendo
matematico, fisico e storico della scienza, uno dei più autorevoli unite al testo la trascrizione diplomatica e quella critica, e facendosi
esperti vinciani della sua epoca, seppe assumere una posizione equi- tesoro dei precedenti studi di Uzielli, Ravaisson-Mollien, Beltrami,
librata, ancora tutta all’insegna del leonardismo, all’interno delle po- Piumati e Calvi. Marcolongo auspica la pubblicazione dei mss. E
lemiche non ancora sopite tra gli scienziati sostenitori del metodo e F, di cui, come sappiamo, gli studi di fisica, meccanica e idraulica
sintetico e di quello analitico. Presidente dell’Accademia delle Scien- costituiscono la parte più consistente: è evidente che, in tal caso,
ze Matematiche e Fisiche di Napoli nel 1925, Marcolongo fu tra i più sarebbe sorta una questione diplomatica di non poco conto con il
insigni collaboratori della prestigiosa «Raccolta Vinciana» e partico- governo francese, che avrebbe dovuto autorizzarne lo studio e la
larmente attivo, a partire dal 1923, nella Reale Commissione per l’edizio- diffusione a stampa.
ne nazionale dei manoscritti e dei disegni di Leonardo da Vinci istituita nel Nel Codice Arundel, dopo alcuni tentativi falliti, Leonardo era
1905, nonché autore di importanti saggi nei vari ambiti d’interesse finalmente riuscito a risolvere il problema delle tensioni di una
del genio toscano. Egli fu il primo a porre in evidenza come la ricer- fune sospesa tra due punti e sostenente un peso, vale a dire il pro-
ca di Leonardo in ambito matematico e fisico non fosse mai finaliz- blema della scomposizione di una forza secondo due direzioni
zata all’approfondimento delle scienze pure, ma strumentale alle ap- date535 : sulla scorta degli studi del Duhem536 , che nel 1905 aveva
plicazioni nei più svariati campi dell’ingegneria e dell’architettura529. dimostrato come il f. 80 fosse cronologicamente – non solo, quin-
Gli studi di Marcolongo erano destinati a culminare nel volume di, per posizione – successivo al f. 60, Marcolongo riesce a con-
dal significativo titolo di Leonardo artista-scienziato. Ma va detto che cludere che la soluzione del problema doveva risalire al settembre
anch’egli, come Solmi e altri, non appare esente da quella sorta di 1514 o poco dopo; particolarmente utile viene definito dall’autore
‘passione’ per Leonardo che, in varie occasioni, lo porterà ad at- lo studio dello Schuster (stranamente sfuggito al Verga) 537, alla base
tribuire al maestro meriti che indubbiamente non ha avuto, op- delle ricerche da lui pubblicate nella memoria su Lo sviluppo della
pure a non riconoscere alcuni palesi limiti della sua ricerca530. Meccanica sino ai discepoli di Galileo, apparsa nel 1919 nel vol. XIII
delle «Memorie della R. Accademia dei Lincei». Con riferimento
al problema suddetto, Marcolongo si oppone alla lettura del Ca-
525
  P. Vetri, La legge fondamentale della prospettiva e la teoria della visione, memoria verni538 , che erroneamente vede nella regola vinciana
letta alla R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, Napoli, Tip.
della R. Università, 1908.
526
  Ringrazio le dott.sse Silvana Gallifuoco e Maria Rascaglia per la disponibilità
a farmi visionare il materiale documentario non ancora posto in consultazione.
527
  P. Vetri, Primi cenni e prime considerazioni sopra un fenomeno nuovo della visione, 531
  R. Marcolongo, Il problema dei tre corpi da Newton (1686) ai nostri giorni, in «Atti
memoria letta all’Acc. Pontaniana il 28 marzo 1928, Napoli, Tip. Sangiovanni, 1928.
528 dell’Accademia delle Scienze», s. II, XVI (1916), memoria n. 6, pp. 1-45.
  Marcolongo si laureò a Roma nel 1886, ove fu assistente di V. Cerruti. Fu Acca- 532
  Cfr. «Bollettino dell’Unione matematica italiana», IV, Bologna, Zanichelli, 1925.
demico dei Lincei e d’Italia, e membro del gruppo dei vettorialisti italiani. Dal 1895 533
fu professore di Meccanica razionale all’Università di Messina; successivamente, dal   E.Verga, Bibliografia vinciana, 1493-1930, Bologna, Zanichelli, 1931, p. 721.
534
1908 al 1935, insegnò nell’Ateneo napoletano, tornando infine a Roma a seguito del   Napoli, Unione Tipografica Combattenti.
535
pensionamento.   Ms. E, f. 60.
536
529
  U. Cisotti, La matematica vinciana, in Aa.Vv., Leonardo da Vinci, Novara, De   P. Duhem, Les origines de la Statique, Paris, Hermann, 1905, I (1905), II (1906).
537
Agostini, 1966, pp. 201-203.   F. Schuster, Zur Mechanik Leonardo da Vincis, Erlangen, K.B. Hof-und-Univ.-
530
  A. M arinoni, La biblioteca di Leonardo, in «Raccolta Vinciana», XXII (1987), Buchdruckerei von Junge & Sohn, 1915.
538
pp. 298 sgg.   R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia, Firenze, Civelli, 1891-96.

Capitolo quarto
182
Angelo Borzelli, Trattato della Pittura di Leo- Roberto Marcolongo, Leonardo da Vinci artista- Roberto Marcolongo, Leonardo da Vinci artista-
nardo da Vinci, Lanciano 1913; frontespizio scienziato, Milano 1950; frontespizio scienziato, Milano 1950; figg. 11-12 con trasforma-
zioni di solidi

la decomposizione di una forza al modo con cui la facciamo noi e posato, se la linia centrale del suo peso non toca la fronte di tal
che Leonardo non ha mai conosciuto; perché infatti la soluzione di sostentaculo»542 . Altri importanti contributi all’interno del codice
Leonardo si fonda sul teorema del momento rispetto ad un punto della vanno poi individuati nel campo della dinamica:
risultante o ad un punto preso su uno dei due tratti di fune539.
Leonardo conosce che il moto rettilineo dei gravi liberi o cadenti su
Nel f. 1v va poi individuata l’enunciazione del teorema del momen- un piano inclinato è uniformemente accelerato, si fa cioè con velocità
to, evidente nelle parole: «Il grave non si distribuisce alle braccia proporzionale al tempo; è in possesso della legge che lega la velocità
reali della bilancia nella medesima proporzione che è quella d’esse di un grave che cade lungo un piano inclinato a quella per la caduta
braccia, ma in quella proporzione che hanno infra loro le braccia libera. Ma nemmeno il suo genio sa liberarsi dagli errori della mec-
potenziali», così commentate dallo studioso: canica aristotelica per la spiegazione del moto dei proiettili543 .

La figura disegnata da Leonardo non potrebbe essere più chiara per in- All’autore appaiono infine infruttuosi i tentativi di soluzione del
terpretare il suo pensiero. E nei fogli seguenti il teorema del momento citato «problema di Alhazen»544. Sebbene, secondo gli studi del
è applicato nel caso in cui il polo è preso in uno dei punti di sostegno Werner545 e dello Schnaase, Leonardo avesse effettivamente cono-
della fune: ff. 5v, 6v, 7v, 11v; ed esso permette di assegnare il valor nume- sciuto l’ottica di Alhazen attraverso versioni in latino o in italiano
rico delle tensioni, che è quello che più interessa Leonardo540. degli scritti originali in arabo, egli non giunse ad alcuna conclu-
sione, come Verga stigmatizzerà nel recensire un nuovo saggio di
Oltre a sottolineare i riferimenti ad Archimede e ad Euclide in Marcolongo sullo stesso tema546 :
merito alla ricerca dei centri di gravità del triangolo e di un poli-
gono con il metodo della decomposizione, agli studi sullo spazio Il problema consiste nella ricerca del cammino che un raggio lumi-
«mensolare» (trapezio isoscele) e ai modi di intersezione degli assi noso deve percorrere in un mezzo omogeneo perché giunga all’oc-
di una piramide, Marcolongo riconosce per primo nel codice l’in- chio da un punto luminoso dopo aver subìto una riflessione sopra
fluenza della statica medievale di Nemorario e del suo De Ponde- uno specchio sferico. Leonardo può aver conosciuto il problema, non
ribus541. La cosiddetta «regola del poligono di sostentazione», pure
introdotta da Leonardo, vedrà una trattazione definitiva nel ms. A,
in cui si legge: «Nessun grave si fermerà sopra il sostentaculo dov’è 542
  Foll. 11v, 95r, 107v, cit. ivi, p. 5.
543
  Leggiamo ancora nel ms. A (fol. 12v): «Quel grave si mostra magiore e si muove
con più velocità e più lungo cammino, il qual discende per linea meno obliqua».
539
  R. Marcolongo, La prima parte codice Arundel 263 di Leonardo da Vinci, Napoli, Cit. in R. Marcolongo, La prima parte codice Arundel…cit., p. 6. Così pure circa la
Unione Tipogr. Combattenti, 1924, p. 4. L’autore nota inoltre che il codice è di luce della luna, per la quale Leonardo dimostra di aver conosciuto e studiato l’opera
almeno cinque mesi precedente al ms. F e di qualche anno al ms. E. di Alberto di Sassonia tra il 1508 e il 1513.
544
540
  Ibidem.   Cfr. il cap. II di questo studio. Al problema accenna anche G. Govi in Leonardo
541
  Marcolongo nota come Leonardo conoscesse le opere di Aristotele, specie le letterato e scienziato, ripubbl. da A. Favaro in Vinciani d’Italia. Biografie e scritti, Roma,
Questioni meccaniche e la Fisica, citando spesso anche «Erone de acque», ma non la Maglione e Strini, 1923, p. 99. Il matematico Alhazen morì nel 1038.
545
Mechanica dello stesso autore, sebbene i principi in essa contenuti, come abbiamo   O. Werner, Zur Physik Leonardo da Vincis, Erlangen, Hof- Univ.-Buchdrucke-
visto nel cap. I, dovettero essergli noti attraverso gli studi di Francesco di Giorgio. rei von Junge & Sohn, 1910.
546
L’A. osserva infine come la fonte cui più spesso si riferisce l’artista-scienziato sia   R. Marcolongo, Lo strumento inventato da Leonardo da Vinci per la risoluzione del
il De Ponderibus di Giordano Nemorario, del XIII secolo, che in seguito Tartaglia problema di Alhazen, in «Rendiconti della R. Accademia di scienze fisiche e mate-
utilizzerà in forma di estratti nei Quesiti et invenzioni diverse (1546). matiche di Napoli», XXXV, 1929.

Leonardo «artista-scienziato» nell’opera di Roberto Marcolongo


183
certo la complicata soluzione araba, perché fa parecchi tentativi per Museum e quelli della collezione Windsor): opera di cui la Com-
trovarne una. Tra gli altri è la costruzione di un istrumento (cod. missione vinciana, come abbiamo detto, si stava già occupando.
Atl. f. 181r-a): dalle indicazioni del lungo passo l’Autore ha ricavato Così, alla fine degli anni ’20, l’autorità di Marcolongo in materia
un modello di cui riproduce la figura e spiega il funzionamento547. vinciana poteva dirsi indiscussa, come si ricava anche dalla testi-
monianza dell’Arrighi554 :
Il saggio sul Codice Arundel si conclude quindi con un auspicio:
Con ammirazione ed affetto fui vicino a Roberto Marcolongo quan-
Se dalla prima parte di questa nuova pubblicazione di un altro codice do in Napoli prestava le sue cure illuminate al Codice Arundel ed
vinciano, non viene sostanzialmente a mutare il complesso di ciò che elaborava quelle capitali memorie sulla matematica e la meccanica di
ora è conosciuto in riguardo al contributo di Leonardo alla fisica ed alla Leonardo che rimangono ancora come fondamentali, alle quali si ri-
matematica, la conoscenza approfondita e lo studio del codice stesso corre quando si voglia parlare di tali questioni e che pongono in alta
avranno, secondo il nostro modestissimo avviso, una grande importanza e chiara fama fra gli studiosi vinciani l’illustre maestro.
per la più intima comprensione e lo sviluppo del pensiero di Leonardo,
e potrà affrettare quell’opera di sintesi sulla meccanica vinciana che Non vi è contributo di Marcolongo che non trovi una recensione
dovrebbe coronare le molte fatiche di tanti studiosi548. nella monumentale bibliografia vinciana del Verga: così sarà pure per
La dinamica di Leonardo555, per L’edizione nazionale dei manoscritti e dei
Sarà proprio Marcolongo, nel 1926, ad affrontare per la prima vol- disegni di Leonardo da Vinci (Il codice Arundel nel Museo britannico)556 –
ta il tema con un breve ma promettente scritto su La meccanica di una nuova sintetica descrizione di quel codice, «degna della compe-
Leonardo da Vinci549, in merito al quale riportiamo ancora il positivo tenza dell’autore»557 – e per il saggio su I centri di gravità dei corpi negli
giudizio di Verga: scritti di Leonardo da Vinci558, opere tutte del 1929.
Ma veniamo all’importante ricerca in cui Marcolongo torna su La
Riferendosi alla parte I del Cod. Arundel e alla pubblicazione dei Meccanica di Leonardo da Vinci, pubblicata a Napoli nel 1932 per i tipi
fogli mancanti al Codice sul volo degli uccelli, l’Autore rileva i dell’Accademia delle Scienze e per le edizioni SIEM (Stabilimento
nuovi elementi che si aggiungono ai già noti per chiarire alcune Industrie Editoriali Meridionali)559: il corposo studio, compendio
delle principali osservazioni e scoperte matematiche di Leonardo dei precedenti scritti dell’autore sull’argomento, verrà riedito solo
nei riguardi della meccanica, e specialmente: calcolo delle frazioni un anno più tardi negli Atti dell’Accademia delle Scienze560.
radicali, soluzione del problema delle tensioni, relazione tra il mo- Nell’introduzione viene sottolineato il carattere frammentario e
mento della risultante e quello dei componenti, centro di gravità spesso contraddittorio di testi mai fatti oggetto di un lavoro siste-
della mensola, della piramide e del tetraedro, principio fondamen- matico, atto a fungere da base per il trattato de peso et de moto che,
tale dell’idrostatica550 . intrapreso a Milano nel 1508, Leonardo avrebbe voluto dare alle
stampe. Gli autografi sono dunque importanti, secondo l’autore,
Del 1928 è il saggio su Leonardo da Vinci nella storia della matematica non tanto per approdare ad una vera teoria vinciana, ma per se-
e della meccanica551 e dell’anno successivo Le ricerche geometrico-mecca- guire l’iter di quelle idee, spettando al maestro, se non il merito di
niche di Leonardo da Vinci552 , nei quali per la prima volta Marcolon- aver formulato il metodo sperimentale, certamente quello di aver-
go pone le osservazioni in ambito meccanico in relazione a quelle lo anticipato. Facendo riferimento a tutti i più autorevoli studi sui
di matematica e di geometria, approfondendo postulati e teoremi manoscritti originali in materia di meccanica – da Venturi a Solmi
– da Euclide a Cusano, da Archimede ad Erone – noti a Leonardo a De Toni ad Hart561 – Marcolongo definisce la propria opera come
attraverso copie in possesso di umanisti come Giorgio Valla, non- continuazione de Le ricerche geometrico-meccaniche del 1928, presen-
ché studi di contemporanei, tra cui, naturalmente, l’amico frate
Pacioli553 . Era ormai evidente l’indifferibilità della pubblicazio-
ne dei manoscritti di Leonardo non adeguatamente noti, specie 554
  Cfr. G. Arrighi, Scienza e arte nel Rinascimento, in Aa.Vv., Leonardo nella scienza
quelli contenenti i contributi più significativi nelle scienze mate- e nella tecnica, atti del simposio internazionale di storia della scienza, Firenze-Vinci,
matiche (in particolare i Codici Forster del Victoria and Albert 23-26 giugno 1969, pp. 279-281.
555
  Sta in «Rendiconti del Seminario matematico e fisico di Milano», III, 1929.
Così Verga (op. cit., p. 754): «Si tratta di una conferenza tenuta al detto Seminario.
L’Autore premette notizie sulla dinamica dei greci e su quella medioevale, passa poi
a quella di L. esaminando le idee di lui sui concetti e sulle differenze tra forza (in
547
  E.Verga, op. cit., p. 753. senso generico), peso, percussione; sulla legge d’inerzia; sulla seconda e sulla terza
548
  R. Marcolongo, La prima parte codice Arundel…cit., p. 7. legge del moto; sulla caduta dei gravi liberi o su piani inclinati, e sulla loro caduta
549
  Sta in «Scientia», nov. 1926, pp. 277-286. A questo studio fece seguito l’altro, tenuto conto della rotazione della terra intorno al proprio asse. Accompagna il suo
pure citato dal Verga (op. cit., p. 729), dal titolo Leonardo da Vinci nella vita del Rinasci- dire riportando via via i passi vinciani».
556
mento italiano, in «Rivista di matematica, fisica e scienze naturali», II, 1927.   Sta in «Nuova Antologia», LXIV, 1929.
557
550
  E.Verga, op. cit., p. 729.   E.Verga, op. cit., p. 754.
558
551
  Sta in Atti del Congresso Internazionale dei Matematici (Bologna, 3-10 settembre   Sta in «Raccolta Vinciana», XIII, 1926-29, pp. 182-190. Cfr. E. Verga, op. cit., p.
1928), Bologna, Zanichelli, 1929-32. 261: «Quanto finora imperfettamente si conosceva delle ricerche di L. sui centri di
552
  Sta in «Atti della Società italiana delle Scienze detta dei XL», Roma, Bardi, 1929. gravità delle figure solide viene di molto accresciuto con elementi nuovi apparsi
553
  Verga (op. cit., p. 753) cita in particolare il secondo di questi scritti di Mar- colla pubblicazione del cod. Arundel. L’A. li riunisce e li commenta mostrando
colongo: «Il laborioso studio è così diviso: relazioni di Leonardo coi matematici quanto vi sia di originale, quanto di derivato da Archimede. E conclude così il suo
italiani, suoi studi matematici, le fonti. Le ricerche geometriche e loro classifi- rapido esame: “Leonardo è il primo tra i moderni che, riprendendo lo studio di
cazione. Queste ricerche rimasero completamente ignorate dai contemporanei Archimede, abbia considerato da un punto di vista scientifico, teorico e pratico, la
e dai successori: composte in un tempo di profonda ignoranza geometrica, me- teoria dei centri di gravità, legando il suo nome ad alcuni dei più bei risultati di
ritano di essere approfondite (e pare che ben pochi se ne siano occupati), sono questa teoria”».
559
notevolissime per molti aspetti, contengono molti semplici, ma elegantissimi   R. Marcolongo, La Meccanica di Leonardo da Vinci, Napoli, Stab. Industrie
risultati ritrovati poi da altri; rispondono sostanzialmente ai seguenti argomenti: Editor. Meridionali (Tip. Accad. Scienze Fisiche Matem.), 1932.
560
lunule e quadratura di figure limitate da archi di cerchio; trasformazione di so-   Id., La Meccanica di Leonardo da Vinci, in «Atti dell’Accademia delle Scienze
lidi senza diminuzione o accrescimento di materia; problema di Alhazen; centri Fisiche e Matematiche», s. II, XIX (1933), memoria n. 2.
561
di gravità; costruzione di istrumenti matematici». Una sintesi del contributo è   I.B. H art, The Mechanical investigations of Leonardo da Vinci, London,
pure in «Rendiconti della R. Accademia dei Lincei», IX, 1929. Chapman & Hall, 1925.

Capitolo quarto
184
tandola con nuovi approfondimenti all’Accademia delle Scienze. riferimento, riguardo agli apografi, solo a quello di Venturi, senza
Ma questa volta lo scienziato non può evitare di criticare il Verga citare né quelli milanesi, né tantomeno quello napoletano.
(pur a fronte di tante lodi) per aver sottovalutato il contributo di L’autore traccia un quadro completo della vita e delle opere di Leo-
Leonardo alla meccanica che si ricava dagli scritti dell’Ambrosia- nardo nel panorama tardo-quattrocentesco della Firenze dei Medici,
na, «giungendo fino a sconsigliarne la stampa per non far perdere quando la sua arte prese le mosse dalla bottega del Verrocchio per
al Vinci quella riputazione di buon Matematico, che egli gode presso di poi approdare ad un’attività autonoma e a tutto campo, sfociando
moltissimi, i quali tengono come sinonimi Architetto e Matematico»562 . nella speculazione scientifica e tecnica: la trattazione tiene conto
La trattazione si articola in due parti, dedicate rispettivamen- non solo delle fonti più accreditate, in primis di Vasari, ma anche
te alla statica e alla dinamica: nel primo caso, confrontando le degli studi più aggiornati, come quelli di Solmi, Calvi e Carusi.
fonti medioevali con quelle di Leonardo, si analizzano i concetti Viene così descritto il periodo fiorentino fino al trasferimento nel
fondamentali di leva, bilancia, momento, composizione di forze, 1483 alla corte degli Sforza: partendo dalle opere di Nemorario, a
equilibrio, centri di gravità, resistenza dei materiali, teoria dell’ar- Milano Leonardo conduce fino al 1499 le prime fruttuose ricerche
co, attrito; nella seconda parte, partendo dalla dinamica greca e in materia di statica, meccanica, astronomia, volo meccanico, che si
medievale, vengono affrontati temi come la forza, la percussione, ritrovano nel Codice Forster II e nell’Arundel. Il quadro dell’attività
l’impeto, il peso, le leggi del moto, il moto libero o su un piano milanese e dei rapporti con Ludovico il Moro e con Pacioli viene
inclinato, il moto dei proiettili e l’urto. Nell’opera si attinge al qui delineato minuziosamente: nel De divina proportione più volte il
repertorio delle più autorevoli pubblicazioni fino ad allora note frate fa riferimento al fatto che Leonardo «con ogni studio al debito
per analizzare testualmente gli scritti vinciani e considerarne tutte fine attende de condurre l’opra inestimabile del moto locale, delle
le possibili fonti, nonché il contributo scientifico più significativo: percussioni e pesi e delle forze tutte, cioè pesi accidentali (havendo
l’autore dà prova di una notevole capacità di sintesi che, nel campo già con tutta diligentia al degno libro de pictura e movimenti umani
specifico della storia della meccanica vinciana, è da considerarsi posto fine)»566.Toccherà dunque al de Beatis, qualche anno più tardi,
tuttora insuperata, visti anche i notevoli limiti del successivo stu- ricevere dalla viva voce del maestro la notizia dell’avvenuto compi-
dio dell’Uccelli sull’argomento563 . mento di questi studi sebbene, come sappiamo, essi fossero ancora
Ancora a Napoli e nuovamente per i tipi dell’Accademia delle privi di una stesura definitiva. Riguardo alla collaborazione con Pa-
Scienze e per le edizioni SIEM, Marcolongo pubblica nel 1934 Il cioli, si sa che Leonardo fornì i grafici, oltre che per la prima opera
Trattato di Leonardo da Vinci sulla trasformazione dei solidi. Analisi del del frate, anche per il De viribus quantitatis, poi rimasto manoscritto,
Codice Forster I, nel «Victoria and Albert Museum, ossia il codice edito venendo infine coinvolto, con ogni probabilità, nella pubblicazione
per la prima volta a stampa nel 1930 a cura della R. Commissione degli Elementi di Euclide (Venezia, 1509).
Vinciana. Questa volta il tema è la ricerca di Leonardo nell’applica- Interessante l’osservazione di Marcolongo sul significato assunto dal
zione dei principi di Euclide in ambiti quali la trasformazione dei titolo di ingegnere dopo Leonardo:
solidi e la stereometria:
Verso la fine di quel secolo [XV] il vicentino Antonio Pigafetta, tra-
Si tratta di ricerche compiute ai primi del 1500, all’alba cioè del rina- duttore del Mechanicorum liber di un dotto meccanico, Guido Ubaldo
scimento degli studi geometrici in occidente, e collo scopo manifesto dei marchesi Del Monte, notava che in molte parti d’Italia si dava
di dare regole pratiche e complete e facili per la intelligenza di maestri per ischerno e villania il titolo di meccanico; e che alcuni per esser
d’arte e operai. Infine è da osservare che alcuni dei problemi, corredati chiamati Ingegnieri prendevano sdegno! Leonardo, spiritualmente
da qualche bella e interessante osservazione, ancora oggi di speciale ricongiungendosi ai più celebri ingegneri dell’antichità, Ctesibio,
rilievo, sono da più punti di vista degni del massimo interesse. Non Erone, Archimede, Vitruvio e ai suoi più immediati predecessori,
aprono certamente nuovi e più ampi orizzonti alla scienza geometrica; Brunelleschi, Aristotele Fioravanti, L.B. Alberti, nessuno più di lui
ma in mezzo all’arido deserto degli ultimi anni del secolo XV esse ha meritato il titolo di ingegnere principe, nessuno più di lui ha ono-
gettano sempre un po’ di buona e chiara luce564. rato la nobile professione e l’ha elevata al rango di vera scienza! 567.

Nell’opera più significativa di Marcolongo, Leonardo artista-scien- Prima di lui, infatti, quel titolo era stato adoperato per indicare an-
ziato (Milano, Hoepli, 19391 , 19432 , 19503 ) – edita per la prima volta cora una mera ars mechanica. In poche pagine viene poi delineato un
all’epoca in cui lo studioso era impegnato con Giovanni Strobino, quadro dell’attività di Leonardo pittore e scultore, evidenziandosi il
Arturo Uccelli e Giovanni Canestrini nell’allestimento della Sala suo interesse per il colore e per la luce, che anticipa la ricerca della
delle Arti Meccaniche per la Mostra su Leonardo e le invenzioni scuola veneziana, e accennandosi pure ai dibattiti interminabili sui
italiane, tenutasi nel Palazzo dell’Arte di Milano nel 1939 –, ven- dipinti più famosi, a partire dal Cenacolo fino alla Gioconda.
gono posti in piena luce, in forma sintetica e con scrittura piana e In ambito strettamente architettonico, Marcolongo accenna all’i-
divulgativa, tutti i contributi vinciani alla scienza e all’ingegne- dea di Leonardo di scrivere un trattato di costruzioni ed un altro
ria moderna, ma anche le loro connessioni con l’altissimo profilo in materia di consolidamento, secondo quanto si legge nel ‘pro-
umanistico e artistico del personaggio. Assai utile risulta pure la memoria’ riportato nel Codice Arundel: «Fa’ prima il trattato delle
ricostruzione della vicenda dei manoscritti vinciani e della loro cause generatrici delle rotture de’ muri, e poi il trattato de’ rimedi,
pubblicazione fino alle edizioni più recenti565, sebbene si faccia separato»568. Il coinvolgimento di Leonardo nell’opera del tiburio
del duomo di Milano e i progetti di architetture civili e religio-
562 se contenuti nei vari codici vengono descritti con riferimento ai
  R. Marcolongo, La Meccanica…cit. (1933), p. 3, cit. in E.Verga, Il padre Fontana
e i manoscritti di Leonardo, in «Raccolta Vinciana», XI, 1920-22, p. 236.
563
  Leonardo da Vinci. I libri di meccanica nella ricostruzione ordinata di Arturo Uccelli,
preceduti da un’introduzione critica e da un esame delle fonti, Milano, U. Hoepli, 1942.
566
564
  R. Marcolongo, Il Trattato di Leonardo da Vinci sulla trasformazione dei solidi.   Cit. ivi, pp. 38-39.
567
Analisi del Codice Forster I, nel «Victoria and Albert Museum», Napoli, SIEM, 1934, p. 2.   Ivi, pp. 52-53.
565 568
  Ivi, pp. 111-124.   Fol. 157r, cit. ivi, p. 105.

Leonardo «artista-scienziato» nell’opera di Roberto Marcolongo


185
contributi più recenti di studiosi come Beltrami, de Geymuller, di del Duhem, del Caverni e dello stesso Marcolongo. L’«artista
Heydenreich, Malaguzzi Valeri, Baroni, Pica, ricordando come scienziato» si occupa infine, magistralmente, di cinematica e in
egli, giunto a Roma nel 1513, fosse rimasto escluso dalle iniziative particolare di meccanismi per la trasformazione dei movimenti,
promosse da Leone X, pur essendo appoggiato da Giuliano de’ come nel caso del tornio ovale e del compasso ellittico, attribuiti a
Medici: persino quando quest’ultimo, nel settembre di quell’anno, Leonardo anche dal Lomazzo e dallo Chasles.
fu creato patrizio romano e decise di erigere un palazzo per la È possibile così all’autore tirare le fila della scienza vinciana a par-
propria famiglia, dell’opera fu incaricato un altro professionista, tire dal Codice Arundel fino a quel «caotico zibaldone» che è l’At-
che secondo lo Gnoli (che Marcolongo definisce «mio venerato lantico, in cui pagine di studi giovanili appaiono mescolate ad
maestro») potrebbe essere Andrea Sansovino569. altre della maturità e in uno stesso foglio trovano posto appunti di
Si giunge così alla parte più significativa e pertinente del volume, Leonardo, di Melzi e conti della spesa. Questi studi fanno del ge-
relativa alla scienza e alla tecnica di Leonardo, cui all’occorrenza nio toscano il vero precursore di Galilei e, nonostante i successivi
abbiamo già fatto riferimento nel corso dell’analisi dei contenuti progressi, «il metodo della ricerca sperimentale e della invenzione,
del nostro Codice. i principî fondamentali della statica, della dinamica, della scienza
Innanzitutto l’autore nota, ancora una volta, il continuo riman- delle costruzioni e del moto delle acque»573 da lui enunciati riman-
do deduttivo-induttivo tipico del metodo vinciano. Certamente gono un patrimonio tuttora vivo.
colpisce che Leonardo, dopo aver fissato la regola, sorvoli spesso Seguiamo dunque la descrizione sintetica di Marcolongo riguar-
sulle dimostrazioni, passando direttamente alle applicazioni nei do ai principali successi vinciani nel campo della statica e della
campi più vari; viceversa, non vi è fenomeno che sfugga alla sua meccanica che più ci interessano per la loro applicazione al settore
portentosa facoltà di osservazione. Egli adopera la matematica, delle costruzioni.
pur non essendo un matematico, nell’applicazione alla meccanica Leonardo considera, come abbiamo visto, le condizioni di equilibrio
e alle scienze naturali; apprende l’algebra, all’epoca scienza assai su un piano inclinato e quello delle macchine semplici ricondotte
giovane, dalle opere di Alberto da Imola e di Pacioli; ha incertez- alla leva, in particolare la leva angolare, in cui si può già riconoscere
ze nel calcolo delle frazioni, mentre quelle sui radicali vanno man il concetto di momento di una forza e una prima applicazione del
mano dissipandosi; risolve spesso equazioni lineari all’interno di principio dei lavori virtuali; egli sa comporre con metodi grafici più
problemi di meccanica, ma quasi mai per via algebrica. Preferi- forze parallele, sa decomporre una forza in due direzioni complanari
sce invece la geometria: di Archimede conosce la prima stampa e riprende le ricerche di Archimede sulla teoria dei centri di gravità
parziale delle opere fatta a Napoli da Luca Gaurico nel 1503, ma delle figure piane, ispirandosi anche a quelle di Alberto di Sassonia.
ne critica il metodo proposto per la quadratura del cerchio; re- E ancora: con gli studi sul baricentro (in particolare quello del tetra-
gistra in più di un caso formule e procedimenti già definiti dalla edro) e sulla sua importanza nel moto dei corpi, studia il volo degli
geometria araba, ma spesso giunge a considerazioni e teoremi uccelli e le condizioni di equilibrio dei grandi edifici, enunciando il
del tutto nuovi (anche in materia di calcolo infinitesimale). Ab- principio che «un corpo pesante che poggia in equilibrio su di un
biamo del resto già notato che, sebbene nella geometria piana le piano orizzontale deve avere la verticale del suo baricentro situata in
conoscenze di Leonardo non andassero oltre l’ellisse, la parabola modo da colpire la base in un punto interno al poligono contorno
e la spirale, anche in questo campo non mancano sue ricerche di (poligono di sostentazione). E a tal principio riporta la spiegazione
grande originalità570 . dell’equilibrio dei grandi edifizi, cui è in parte tolta la terra sotto i
Soffermiamoci allora con l’autore sul problema della trasforma- loro fondamenti»574.
zione «d’un corpo in un altro sanza diminuzione o accrescimento Ancora, Leonardo considera per primo le questioni relative alla
di materia»571 , per il quale Leonardo attinge al De trasformationibus resistenza dei materiali, precedendo in molti casi di due o tre se-
geometricis di Cusano portandone avanti gli studi al fine di formare coli le osservazioni di Amontons e di Coulomb; analizza le travi
l’ennesimo trattato, questa volta in materia di algebra geometrica: variamente vincolate, caricate di punta, appoggiate agli estremi,
come si evince dal Forster I, si trattava della costruzione di formu- incastrate ad un estremo e caricate sull’altro, e la relativa flessione
le di secondo e terzo grado facilmente comprensibili e applicabili e resistenza in rapporto alla sezione e al materiale, pur non avendo
da artigiani esperti di disegno, con diretto riferimento ai materiali nozioni in materia di teoria dell’elasticità; approfondisce la resi-
di cui i solidi potevano essere fatti572 . Ma Marcolongo lo ripete: stenza dell’arco, abbozzando per primo la teoria delle spinte sulle
Leonardo ‘usa’ la matematica, anzi la geometria, come strumen- spalle e del carico di rottura.
to della meccanica, che è la sua scienza prediletta. La meccanica Come ingegnere – e qui veniamo a quanto, del testo di Marcolon-
come parte basilare della fisica generale (quella dei solidi rigidi e go, più si avvicina al nostro ambito di studio e che abbiamo già in
deformabili e dei liquidi), ma anche la meccanica ‘tecnica’ con le parte considerato nel primo capitolo – Leonardo non può essere
sue innumerevoli applicazioni, come hanno dimostrato gli stu- definito uno specialista ma, genericamente, un ‘meccanico’, che da
un lato indaga la meccanica teorica, dall’altro inventa o perfeziona
569
macchine in tutti i settori della tecnica: egli è dunque ingegnere ci-
  Si tratterebbe dell’odierno palazzo Lante, rimasto interrotto per la morte di
Giuliano: il mancato incarico a Leonardo potrebbe spiegarsi con la necessità di una vile, industriale, idraulico e persino aeronautico, ma anche architet-
rapida esecuzione dell’opera, che certo egli non avrebbe potuto assicurare, impe- to, versato in ambito civile e militare (e qui terrestre e navale). Nel
gnato com’era in mille altre attività e interessi. campo delle costruzioni conosce le regole dell’antica statica e i me-
570
  In particolare Marcolongo (ibidem) sottolinea il contributo di Leonardo sul
tema della quadratura delle lunule, venendo superati in questo campo gli studi di todi costruttivi tradizionali; in questo non è un empirico, facendo
Ippocrate e giungendosi alla formulazione di un teorema poi pubblicato per la sempre derivare la pratica da solide concezioni teoriche («la teoria è
prima volta dal Della Porta nel 1601, sebbene già formulato, in sostanza, da Alhazen
nella sua opera sulla quadratura del cerchio. Le ricerche sulle lunule quadrabili, il capitano, la pratica sono i soldati»). Si occupa di urbanistica, pro-
iniziate a Milano e compiute a Roma nel 1514, sono contenute nel citato testo
vinciano dal titolo De ludo geometrico.
571
  Codice Forster I, incipit.
572 573
  Egli studia tra l’altro le proprietà del tetraedro, riuscendo per primo a definirne   R. Marcolongo, Il Trattato di Leonardo…cit., p. 141.
la posizione del baricentro, come si vede nel Codice Arundel. 574
  Ivi, pp. 146-147.

Capitolo quarto
186
ponendo una serie di interventi per Milano all’indomani della peste
del 1503, ma anche di tecnica delle costruzioni e di cantieristica, in-
ventando sempre nuovi strumenti e macchine per alleviare il lavoro
di cantiere. Poi l’architettura militare: oltre a studiare la tradizione
bellica e balistica tramandata dai teorici, da Vitruvio in poi, progetta
armi e strategie di difesa, nonché fortificazioni con cui perfeziona
quanto avevano già ideato Francesco di Giorgio e Giuliano da San-
gallo in materia di mura e bastioni.
Abbiamo notato come Gille lamenti il fatto che Marcolongo, nell’e-
saltare Leonardo come primo vero ingegnere idraulico dei suoi
tempi, non tenga in debito conto il contributo dato alla sua forma-
zione dagli ingegneri della scuola senese. Ma non c’è dubbio che lo
scienziato romano veda correttamente nella novità dell’approccio
pragmatico l’aspetto più rilevante degli studi di Leonardo, citando
precetti come: «Ricordati quando commenti l’acque d’allegar prima
la sperienza, poi la ragione»575; «Quando tu metti insieme la scienza
de’ moti dell’acqua ricordati di mettere sotto a ciascuna proposizio-
ne li sua giovamenti, acciò che tale scienza non sia inutile»576. R. Istituto Superiore di Ingegneria di Napoli, Gabinetti e Laboratori Scien-
In ambito aerodinamico, lo studio del volo degli uccelli lo impegne- tifici. Album fotografico, Napoli 1934; sala dei modelli di architettura. Napoli,
rà per trent’anni, prima di giungere a tentare l’applicazione di quei Biblioteca della Facoltà di Ingegneria, Sez. Libri Antichi
principi al volo umano strumentale: Leonardo mette a fuoco il con-
cetto di portanza, studiando la forza del vento, ideando l’anemosco-
pio e l’igrometro, e infine prefigurando il paracadute e l’elicottero,
ossia lo «strumento a vite che voltato con prestezza si fa la femmina
nell’aria e monterà in alto»577.
In conclusione troviamo l’auspicio di Marcolongo che ulteriori
studi vengano condotti su quel Corpus vincianum ormai dato alle
stampe in tutta la sua enorme consistenza, da considerarsi un au-
tentico monumento nazionale:

Se le ricerche di Leonardo, almeno quelle teoriche, non furono co-


nosciute dai suoi contemporanei e rimasero invece sepolte, coi suoi
manoscritti, nel castello di Vaprio; oppure se tali carte abbiano attratto
maggiormente l’attenzione degli artisti per la incomparabile bellezza
dei suoi disegni; tutto ciò nulla toglie alla loro importanza ed al posto
che esse occupano nella storia dello sviluppo e del rinnovamento della
meccanica come di ogni altra scienza. Se fossero state più universal-
mente note, come lo furono quasi certamente alcune sue invenzioni
e ingegnosi artifizi meccanici, esse avrebbero accelerato il progresso R. Istituto Superiore di Ingegneria di Napoli, Gabinetti e Laboratori Scien-
della scienza. Dopo più di un secolo gli scienziati ritrovarono ciò che tifici. Album fotografico, Napoli 1934; sala di disegno. Napoli, Biblioteca della
Facoltà di Ingegneria, Sez. Libri Antichi
aveva trovato o divinato Leonardo e ricalcarono, con mezzi più potenti
e squisiti, la stessa via che Egli aveva genialmente indicato. Ed è ciò che
mi sono sforzato di far risaltare da questo lungo lavoro, augurandomi anelano di accostarsi con riverente commozione alle opere di Leonar-
che esso possa fare altresì accrescere sempre più il numero di coloro che do, al Corpus vincianum, che, auspice il Governo Nazionale, è il grande
monumento che l’Italia eleva al genio di uno dei più grandi spiriti578.
575
  Ms. H, 42r.
576 Eppure, a fronte del rinnovato interesse per la tecnica e per l’inge-
  Ms. F, 2v.
577
  Ms. B, 83v. Seguono osservazioni di Marcolongo (Il Trattato di Leonardo… gneria nel solco della tradizione leonardesca che certamente seguì
cit., pp. 147 sgg.) sulle ricerche vinciane in ambito botanico, meteorologico, le iniziative della Reale Commissione Vinciana, va registrato come
geologico, poi della storia naturale e terrestre, dello studio dei fossili, della ge- già dagli ultimi anni dell’Ottocento ai tentativi sempre più frequenti
ografia e cartografia, compresa la rappresentazione di molte parti del territorio
italiano. Infine i molti fogli riguardanti l’anatomia del corpo umano e il suo di separazione delle competenze tra architetti e ingegneri avesse
funzionamento. Dobbiamo pure a Marcolongo una chiara sintesi degli studi fatto riscontro in molti casi nelle scuole di ingegneria l’affidamento
condotti sino ad allora sulla prosa e sul linguaggio di Leonardo, segnatamente
quelli di Del Lungo e della Fumagalli. L’autore sottolinea come, anche in questo dell’insegnamento dell’architettura a professori delle Accademie di
campo, Leonardo sia da considerarsi un innovatore, usando egli la lingua ita- belle arti: se da un lato la diffusione di nuovi materiali e metodi co-
liana anziché la latina per esprimere il proprio pensiero scientifico e filosofico,
ma anche, in alcuni casi, decisamente poetico. Emblematici quanto famosi sono
struttivi pose sempre più all’attenzione degli operatori le questioni
i brani relativi al rispetto della vita dell’uomo, al concetto di forza, al rapporto relative al comportamento strutturale degli edifici, dall’altro compo-
tra scienza ed esperienza, all’idea della prospettiva, alla descrizione del colore nenti innovativi come quelli metallici non sembravano ancora do-
della fiamma, alla preminenza della pittura sulle altre arti. Infine Marcolongo
si occupa di Leonardo filosofo, citando gli studi di Croce, Gentile, Bongioanni, tati di dignità architettonica, non rinunciandosi all’applicazione, su
Orestano, Ferri, e in particolare del rapporto tra filosofia e scienze naturali,
notato da Croce, del naturalismo teosofico esaminato dal Bongioanni e della
concezione idealistica e metafisica della natura che si evince dal Trattato della
578
Pittura, come ha osservato Ferri.   R. Marcolongo, Il Trattato di Leonardo…cit., pp. 262-263.

Leonardo «artista-scienziato» nell’opera di Roberto Marcolongo


187
quegli elementi, di apparati stilistici tipici del repertorio eclettico- un legame di continuità con i principi tipologici sostenuti da Mi-
storicistico. Così pian piano si fece strada la convinzione che agli in- lizia e con quelli ‘per elementi’ propugnati da Durand.
gegneri fosse da destinarsi l’insegnamento di un’architettura ‘pratica’ Nel primo dopoguerra nell’ex capitale del Mezzogiorno la parte
o ‘tecnica’, ossia finalizzata a un’edilizia tecnologicamente avanzata migliore dei docenti della Scuola d’Ingegneria tenterà una strenua
ma di fatto separata dai temi peculiari dell’architettura ‘ufficiale’579. difesa dell’autorità della tradizione didattica in campo civile ed
A ciò va aggiunta la confusione che, a partire dal 1920, suscitò l’isti- edile, contro gli specialismi di altri settori legati al progresso in-
tuzione delle Scuole superiori di Architettura con il preciso intento dustriale e a dispetto dei conflitti che, nel 1928, caratterizzeranno
di formare l’architetto ‘moderno’, dotato di precipue conoscenze la nascita della Facoltà di Architettura e il conseguente naufragio
storiche e stilistiche: ciò, oltre a rafforzare le vecchie posizioni delle dell’idea di un Politecnico napoletano, a fronte del successo delle
accademie, avrebbe presto condotto all’equivoco della destinazione analoghe iniziative postunitarie di Torino e Milano. In tale conte-
delle scuole d’ingegneria all’insegnamento di un’architettura di ran- sto, ancora tra gli anni Trenta e i Cinquanta emersero nella Scuola
go inferiore, destinata a professionisti tuttofare di prevalente forma- napoletana figure di professionisti completi, come Camillo Guerra
zione tecnico-manualistica. e Luigi Cosenza, ai quali si devono grandi sforzi per ricucire le fila
La caratterizzazione sempre più tecnica delle nozioni di architet- di quella gloriosa tradizione e recuperare così l’unità ‘vinciana’
tura all’interno delle Scuole di Applicazione per ingegneri che, della professione.
già a partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento, si registrò Fino al termine del secondo conflitto mondiale, Guerra581 si impe-
nell’istituzione napoletana come nelle altre sedi italiane, portò gnò strenuamente da un lato nel togliere ai docenti provenienti dalle
dunque alla nascita dell’Architettura tecnica: la disciplina, che com- accademie e dagli istituti di belle arti l’appannaggio degli insegna-
pare per la prima volta nel 1880 all’interno dei manifesti degli menti di storia e di disegno dell’architettura, dall’altro nel conferire
studi della Scuola campana, nel suo sviluppo fino a tutto il pri- agli allievi dei corsi di Architettura tecnica un più ampio bagaglio di
mo dopoguerra assumerà quali riferimenti le esperienze torine- nozioni storico-critiche, in modo da assicurare una formazione ‘in-
se e padovana, consolidando sempre più la propria collocazione tegrale’ all’ingegnere-architetto da destinarsi alla progettazione delle in-
didattica a mezza strada tra le scienze dell’architettura e quelle frastrutture e dell’edilizia pubblica: a fronte di un titolo di ingegnere
dell’ingegneria, e assumendo un ruolo decisamente ‘ambiguo’ civile che, con l’avanzare del progresso industriale, rischiava di essere
nella diatriba tra architetti e ingegneri. Tutto ciò trova riscontro, affossato dalla ridondanza delle nozioni tecniche a svantaggio della
ancora una volta, nei libri di testo presenti nell’antica biblioteca preparazione artistica, Guerra auspicava ancora nel 1928 una forma-
della Regia Scuola d’Ingegneria di Napoli, che mostrano, proprio zione specialistica in campo civile per il moderno ingegnere di ponti e
a partire dall’ultimo ventennio del XIX secolo, una particolare strade ed una in quello edile per l’ingegnere-architetto: quest’ultimo sa-
attenzione volta ai caratteri costruttivi, alle tecniche e ai materiali rebbe stato dotato di una solida preparazione umanistica allo scopo
relativi alle diverse categorie di opere, oltre all’utile illustrazione di poter esercitare «l’Arte del costruire con bellezza» e scongiurare
dei metodi di calcolo e di verifica della resistenza dei vari tipi di così la separazione delle figure professionali prefigurata dall’avviata
strutture in rapporto alle più recenti esperienze nel campo della istituzione delle Facoltà di Architettura582.
scienza delle costruzioni. Si giunge infine a Cosenza – cui abbiamo dedicato un recente
Sin dall’inizio la manualistica di marca torinese si distinse per studio583 – erede di una tradizione culturale approdata, attraver-
l’ampia diffusione nazionale, proprio a partire da quell’importante so la lezione vinciana e il criticismo illuministico, ad un moder-
polo scientifico e didattico che fu la scuola del capoluogo piemon- no ‘razionalismo critico’ dell’architettura, privo cioè della pretesa
tese: basti pensare all’opera di Giovanni Curioni dal titolo signi- ‘omologazione’ internazionale e legato alle specificità storiche dei
ficativo de L’Arte del Fabbricare, pubblicata in ben undici edizioni luoghi del Mezzogiorno584 . Egli smentì più volte, con i suoi scritti
dal 1864 al 1884, che presto divenne il testo di progettazione più e, soprattutto, le sue opere, la difficoltà degli ingegneri di parteci-
noto nell’ambito accademico italiano580 : a Curioni va riconosciuto pare al dibattito strettamente architettonico, raggiungendo in più
il merito di aver ripreso la tradizione compositiva durandiana, la di un’occasione traguardi di prestigio europeo, come nel caso del
prima che sia stata proposta in una scuola di ingegneria, fondata su Mercato Ittico e della Villa Oro a Napoli o del complesso Olivetti
un metodo di composizione per parti elementari, sia dal punto di a Pozzuoli. Proprio con riferimento alle non sopite polemiche tra
vista strutturale che funzionale, alternativo alla logica del conte- le scuole di ingegneria e quelle di architettura, Cosenza scriverà
nitore ‘monolitico’ e dei freddi apparati stilistici diffusa dall’eclet- nel 1950:
tismo accademico e ideale per il successivo sviluppo ottocentesco
della prefabbricazione industriale. Diversità di idee e di indirizzo solo apparenti, nei loro aspetti di pre-
Nella Scuola d’Ingegneria napoletana si avverte, alla fine del seco- valenza della tecnica o dell’arte, ciascuno teso ad integrare, a pro-
lo, un analogo passaggio dal metodo di insegnamento di Federico porzionare, ad orientare, i propri metodi di insegnamento, traen-
Travaglini a quello del suo successore Raffaele Folinea, alla cui do suggerimenti dalle esperienze dell’altro, per tendere in ultimo
opera va riconosciuta la continuità con la più solida tradizione al comune obiettivo di formare dei tecnici che abbiano i requisi-
dell’ingegneria meridionale dell’età preunitaria: Folinea definisce ti morali e culturali per assolvere al loro delicatissimo compito585.
il campo d’interesse dell’architettura ‘per gli ingegneri’ in campo
civile facendo corrispondere alle diverse destinazioni d’uso degli
edifici altrettante categorie progettuali; in tal modo egli stabilisce
581
  A. Buccaro, L’insegnamento dell’architettura tecnica…cit., pp. 227-231.
582
  Cfr. in particolare, oltre agli altri scritti di Guerra: Polemiche per la specializzazione
degli ingegneri in architettura, Napoli, M. Pescarolo, 1928.
583
579
  Cfr. su questi temi: A. Buccaro, L’insegnamento dell’architettura tecnica nella Regia   Luigi Cosenza oggi. 1905-2005, a cura di A. Buccaro, G. Mainini, Napoli, Clean
Scuola d’Ingegneria di Napoli, in Daniele Donghi. I molti aspetti di un ingegnere totale, a Ediz., 2006.
584
cura di G. Mazzi, G. Zucconi,Venezia, Marsilio, 2006, pp. 220 sgg.   A. Buccaro, L’opera di Cosenza nella tradizione dell’architettura degli ingegneri: dal
580
  F. Viola, Il sussidio dei modelli nella progettazione architettonica, in Scienziati-arti- criticismo illuministico al razionalismo ‘critico’, in Luigi Cosenza oggi…cit., pp. 182-189.
585
sti…cit., pp. 315-316.   L. Cosenza, Esperienze di architettura, Napoli, Macchiaroli, 1950, pp. 14-15.

Capitolo quarto
188
L’insegnamento dell’architettura deve quindi mirare a mettere gli E questo, lo diciamo con fierezza, è anche il manifesto del program-
allievi in condizione di «pensare correttamente da scienziato e da ma di rivalutazione della tradizione dell’ingegneria del Mezzogiorno
artista»: è, in pratica, anche il programma culturale e didattico da cui avviato dieci anni fa presso la Facoltà dell’ateneo federiciano con
nasce l’idea di Cosenza per la nuova sede della Facoltà napoletana, l’istituzione del corso di laurea in Ingegneria edile-Architettura;
ispirata all’antica Scuola politecnica fondata dai napoleonidi. Parlan- programma che auspichiamo venga rilanciato anche a seguito delle
do di architetto e ingegnere, egli tornerà più volte sull’esigenza di celebrazioni in corso del Bicentenario della nostra Scuola. Nel frat-
formare tecnici completi: tempo speriamo – e non sarebbe poco – di aver posto all’attenzione
della comunità scientifica una pagina, tutta napoletana, del grande
Lo sviluppo critico degli studi storici e artistici giova alla formazione libro riguardante gli effetti del sapere di Leonardo scienziato-artista.
culturale degli architetti, l’ampiezza delle conoscenze nel campo delle
tecniche più svariate pone nelle mani dell’ingegnere strumenti di ine- Gli echi dell’arte e della scienza vinciana, giunti sui lidi partenopei
stimabile valore per modellare un’opera nello spazio. Ma una formazio- già all’alba del Cinquecento, non vi restarono per caso, ma il loro
ne completa non sarà possibile né all’uno, né all’altro, se essi quei mezzi prosperare fu il risultato di un pensiero condiviso: essi rappresen-
non li possederanno tutti, se non sapranno vederli in una sintesi586. tarono nel corso dei secoli dell’età moderna e contemporanea un
fenomeno radicato e persistente, tale da ispirare scelte e program-
mi culturali di istituzioni di eccellenza, che costituiscono tuttora,
586
  Luigi Cosenza. Scritti e progetti di architettura, a cura di F.D. Moccia, Napoli, Clean con la loro storia e i loro primati, un prezioso patrimonio didattico
Ediz., 1994, p. 167. e scientifico da tutelare e valorizzare.

Leonardo «artista-scienziato» nell’opera di Roberto Marcolongo


189
Trascrizioni
I. Codice Corazza
a cura di Maria Rascaglia

Nota al testo e nella terza sezione, nelle quali disegni di vario formato interrom-
pono la sequenza del testo nella parte superiore, centrale o inferiore
Racchiuso in una sobria coperta in vitello marrone alla francese della pagina anche se non di rado sono disposti accanto alle propo-
impreziosita da una sottile cornice dorata lungo i piatti e sul dorso, sizioni che, per l’occasione, sono trascritte in colonna.
il volume comprende la trascrizione di alcuni testi di Leonardo L’esame della fascicolazione del codice e della numerazione coeva
che Cassiano dal Pozzo eseguì in veste finale a seguito della stesura costituiscono una conferma delle intenzioni del copista, attento a
degli apografi milanesi. Per circa un secolo dal 1640, ritenuta da garantire piena autonomia alle singole sezioni senza negare il carat-
Buccaro la data ultima entro la quale fu completata l’operazione di tere unitario del progetto sia nella fase di trascrizione dei testi che
copia 1 , fino al 1766, anno in cui i fascicoli giunsero nelle mani di in quella della loro diffusione. Benché vergato da un’unica mano
Vincenzo Corazza, il manoscritto conservò la forma originaria in con il medesimo inchiostro, ciascuno dei tre testi presenta infatti
fogli sciolti (mm. 315x220). fascicolazione e numerazione autonoma.
Per poter consultare i testi in maniera più agevole, l’abate bologne- Rispetto alla struttura lineare che caratterizza la sottosezione I/a,
se provvide a far legare i fascicoli in un volume che assunse l’attua- composta da due ternioni e da un quaternione, più articolata appa-
le veste solo dopo il 1802 quando, dietro compenso, fu ceduto dal re la fascicolazione della sottosezione Ombre e lumi, contraddistinta
figlio Sebastiano al Principe Ereditario ed entrò a far parte della dalla separazione fra testo e tavole. Il testo occupa, infatti, 6 ternioni,
costituenda Biblioteca Borbonica. 1 quaternione, 1 bifolio e 1 quinione, mentre in 2 ternioni e in 1
Fogli di carta marmorizzata policroma rivestono le controguardie quinione sono disegnate le tavole dei grafici. Omogenea si presenta,
e le relative guardie anteriori e posteriori, prive di notazioni salvo invece, la struttura della seconda e della terza sezione, composte ri-
la collocazione attuale del manoscritto vergata da mano recente spettivamente l’una di 8 ternioni e l’altra di 1 quaternione, 2 ternioni
con inchiostro blu sul margine superiore del verso del foglio di e 1 quaternione.
guardia anteriore. Risulta comprensibile la difficoltà incontrata dal copista nel preve-
Sul dorso è presente un tassello in pelle rossa con impressi in oro il dere la quantità di carta necessaria alla trascrizione di testi di varia
nome dell’autore e il titolo: «Lionardo / da Vinci / Le regole della lunghezza e all’esecuzione delle relative figure e questo potrebbe
pittura / M.S.», indicazione imprecisa desunta dal titolo del testo spiegare sia la differente fascicolazione delle singole sezioni che la
con cui si apre il volume e che ha indotto in errore quanti, non presenza di alcune carte rimaste bianche al termine dei fascicoli.
addetti ai lavori, hanno a lungo creduto che le trascrizioni fossero Vergata dalla stessa mano che ha trascritto i testi, la numerazione
eseguite dal Libro di Pittura curato da Melzi. coeva a pagine è presente nelle tre sezioni e ne rispecchia in modo
Infatti, a differenza delle pagine iniziali della seconda e della ancora più evidente l’autonomia. Posta sul margine superiore destro
terza sezione, il titolo posto in apertura della prima è realizzato del recto e su quello sinistro del verso, essa costituisce il punto di rife-
con ampi caratteri disposti sulla metà superiore della c. 1r che, in rimento per il lettore all’interno di ciascun testo e a questo scopo è
passato, è stata considerata erroneamente frontespizio dell’intero stata preferita nell’attuale trascrizione alla più recente cartulazione.
manoscritto. Dopo la cucitura dei fascicoli in volume è stata aggiunta sul margine
Vergati dalla medesima mano i testi delle tre sezioni – la prima superiore destro una numerazione a carte, in progressione numerica
delle quali a sua volta è divisa in due sottosezioni (I/a e I/b) – si di dieci in dieci, mentre in tempi più recenti sul margine inferiore
susseguono secondo una mise en page uniforme e ordinata, che si di ciascun foglio è stata apposta la cartulazione completa per un to-
rivela quanto mai duttile a modificarsi con variazioni idonee a tale di 232 carte precedute e seguite da 2 carte di guardia.
ospitare i disegni delle figure previste a corredo dell’esposizione. La prima sezione occupa le cc. 2-97 corrispondenti alle pp. 1- 188. La
Di volta in volta la tipologia delle illustrazioni determina non solo numerazione delle pp. 1-3 è stata vergata con un ductus più piccolo
la scelta del trascrittore di inserirle o meno accanto al testo, ma e l’indicazione del numero è preceduta dall’abbreviazione « pag.». A
suggerisce anche la posizione più idonea che la singola figura deve partire dalla p. 4 (c. 3v) una grafia dal ductus proporzionato a quello
assumere nella gabbia della pagina. Non a caso all’interno della se- dell’intero foglio esegue la numerazione, sottolineando le cifre, fino
zione iniziale la sottosezione I/a, che contiene la Copia di capitoli di- a p. 145 (c. 74r), ossia fino alla conclusione dell’esposizione della
versi di Lionardo da Vinci circa le Regole della Pittura, e modo di dipingere sottosezione Ombre e lumi. La numerazione a pagine prosegue dalla
Prospettive, ombre, lontananze, altezze, bassezze, d’appresso, e discosto, e p. 146 alla p. 188 (c. 97v) nei fogli che ospitano le figure vergate solo
altro, ospita i disegni al centro del foglio mentre la sottosezione I/b sul recto di ciascuna carta. Le pp. 36 (c. 19v), 37-38 (c. 20r-v) risultano
intitolata Ombre e lumi riporta al termine di ogni enunciato una pertanto numerate ma prive di testo, al pari di p. 146 (c. 74v) e delle
sigla alfabetica, già sperimentata in precedenti apografi, che rin- pagine dispari comprese tra le pp. 148-188 (cc. 77v - 97v). Oltre le
via a grafici esplicativi disposti sul recto delle carte finali del testo. carte di guardia, risultano bianche le cc. 1v, 75, 76, 98, 99, 100v (sul
Comune è, invece, la soluzione adottata dal curatore nella seconda recto una mano recente ha riportato a matita il numero «100»).
Priva di titolo, la seconda sezione occupa le cc. 101-146 corrispon-
denti alle pp. 1-92. Ad eccezione della c. 101r in cui il numero 1 è
1
  Si veda, in questo volume, il cap. II del saggio critico di A. Buccaro, p. 22. preceduto dall’indicazione «n.» poi cancellata, la numerazione delle

[191]
pagine presenta nell’insieme le medesime caratteristiche della prima Disposta nel margine destro sotto l’ultima riga di scrittura, tale pa-
sezione e si interrompe alla fine del testo a c. 146v. Per rimediare a una rola è riportata per esteso o in forma abbreviata, ad eccezione delle
probabile omissione del copista nell’apporre su alcuni fogli il numero cc. 16v, 29v, 72v, 139v, 144v, 145v, 146v, 199v, 215, che risultano prive
di pagina, una mano diversa dal ductus più piccolo ha integrato con di rinvio, e di c. 17v dove si registra una forma di rinvio errata («De’
inchiostro chiaro la sequenza numerica preceduta dall’abbreviazio- lumi / Dell’alberi»). I sopraelencati casi di omissione sono ascrivibili
ne «p.»2. Risultano bianche le cc. 147-148 che chiudono il ternione. presumibilmente alla distrazione del trascrittore, a differenza dell’in-
Intitolata Del Moto e Forza, la terza e ultima sezione occupa le cc. tenzionale esclusione delle cc. 144v, 145v e 146v che comprendono
149-230 corrispondenti alle pp. I-CLXIII3. Alle pagine I, VIII, XII, l’indice delle materie trattate. Talvolta la parola di richiamo viene
XVI, XVIII l’indicazione del numero è stata vergata con altro in- separata in sillabe e disposta su due righe (cc. 59v, 66v, 69v, 153v, 166v,
chiostro. Non risulta facilmente comprensibile il motivo che ha 171v), mentre in rarissimi casi è inserita anche in calce al recto del
indotto il curatore ad adottare per la numerazione delle pagine i foglio (cc. 53r, 57r, 112r, 205r).
numeri romani in questa che è la sezione più consistente della rac- In una sola occorrenza, a fine c. 156v, è stato adoperato il richiamo per
colta. Una spiegazione plausibile potrebbe essere quella di aver vo- un titolo («Onda semicolonnale / Onda semicolonnale semplice»).
luto differenziare la sequenza numerica rispetto alla seconda sezione Se si esclude lo spazio riservato al termine del foglio alle parole di
in cui aveva selezionato alcuni precetti tratti dai medesimi apografi, richiamo, i margini appaiono intatti sul lato destro, mentre sul lato
anche se destinati al servizio di discipline diverse4. sinistro di ciascuna pagina essi sono occupati dal capoverso della
Al di là degli elementi che connotano le tre sezioni del codice, il nuova frase.
ductus calligrafico adoperato da Cassiano dal Pozzo restituisce all’a- L’impegno profuso nell’opera di trascrizione riduce notevolmente
pografo un aspetto omogeneo ottenuto grazie al rispetto della mi- gli interventi correttorii del copista che si riducono a poche can-
sura di spazio dell’interlinea.Vergate con il medesimo inchiostro, le cellature sul rigo dovute a evidenti lapsus calami, dei quali si fornirà
parole presentano una netta inclinazione a destra, inserendosi ar- l’elenco nel paragrafo seguente, ad aggiunte interlineari di vocali,
moniosamente nello specchio della pagina dotata di ampi margini consonanti o parole6. L’uso dei puntini sospensivi segnala, invece, le
che, come vedremo tra breve, solo di rado sono stati adoperati dal rarissime lacune presenti nella trascrizione7. Refusi e lapsus calami
trascrittore stesso o da Corazza per apporre chiose o annotazioni. sfuggiti alla revisione del copista sono stati segnalati nelle note in
Per distinguere l’enunciato dalla relativa dimostrazione, Cassiano ri- calce alla presente trascrizione.
tiene opportuno adottare caratteri più tondeggianti e di formato A conferma della rilettura che Cassiano compì al termine del lavoro
maggiore rispetto alla grafia adoperata nel corso della trascrizione. di copia, si segnalano le annotazioni da lui vergate con grafia minuta
Solo in taluni casi, per mancanza dello spazio necessario, nella parte e tondeggiante alle cc. 39r, 40v, 164r e 199r. Ad esse si affiancano
inferiore del foglio il ductus si restringe per consentire l’inserimen- quelle effettuate dall’abate Corazza alle cc. 2r-4v e a c. 170r ricono-
to delle figure previste a corredo del testo. Un simile espediente scibili dalla sigla «V. C. ». Ad una terza mano non identificata sono
sembra confermare l’ipotesi che le figure, disegnate direttamente a riconducibili, infine, le osservazioni apposte accanto alle frasi finali
penna con lo stesso inchiostro, siano state eseguite al termine della delle proposizioni riportate alle cc. 219r, 220v e 221r della terza se-
trascrizione negli spazi destinati a tale scopo. Unica eccezione la c. zione, nelle quali un anonimo studioso ricorda ai futuri lettori che
194v, nella quale la metà superiore del foglio destinata ad ospitare tali enunciati erano stati già esposti nella sezione precedente.
un’illustrazione è rimasta bianca.
Vergati con mano sicura, i disegni denotano grande accuratezza nel- Criteri di trascrizione
la descrizione dei particolari al punto da risultare in molti casi supe-
riori a quelli degli apografi per qualità e leggibilità, sia che si tratti Nel presentare al lettore la selezione di testi vinciani compiuta da
di rappresentazioni a mano libera di esseri viventi o di macchine Cassiano dal Pozzo sui codici milanesi si è ritenuto opportuno in-
sia che si tratti di grafici esplicativi. Nelle note poste in calce alla dicare per ciascun brano la fonte da cui egli ha attinto. A tale scopo,
trascrizione sarà dato conto delle incongruenze e delle difformi- ciascuna delle tre sezioni del Codice Corazza è stata collazionata
tà - rilevate da Buccaro - tra i disegni del presente apografo, i fogli con gli autografi e gli altri apografi e di tale operazione rende conto
originali e gli altri apografi. la sigla di riferimento posta tra parentesi quadre sul margine ester-
Nel rispetto della consuetudine di eseguire la redazione del testo su no della trascrizione in corrispondenza dell’inizio di ogni brano,
fogli sciolti, consuetudine adottata dallo stesso Leonardo nella ste- secondo la convenzionale denominazione adottata in seno all’edi-
sura dei carnets, per evitare che i fogli di trascrizione si mescolassero zione nazionale. Per sottolineare il contributo offerto dall’apografo
alterando la disposizione dei testi anche Cassiano appone in calce all’ecdotica vinciana, sono stati riportati in corsivo i testi ricopiati
al verso di ciascun foglio la parola di richiamo corrispondente alla dai fogli oggi perduti dei manoscritti.
prima parola del foglio seguente5. Nell’intento di restituire al lettore l’efficacia del rapporto tra testo
e immagini presente nell’apografo, Alfredo Buccaro ha curato una
sintetica descrizione, con relative osservazioni in nota, delle figure
2
  Si tratta di p. 4, (c. 102v), p. 6 (c. 103v), p. 10 (c. 105v), p. 11 (c. 106r), p. 20 (c. 110v), p. presenti nelle pagine di testo e, per analogia, di quelle raffigurate
22 (c. 111v), p. 28 (c. 114v), p. 29 (c. 115r), p. 30 (c. 115v), p. 31 (c. 116r), p. 32 (c. 116v), p. 33 nelle tavole poste alla fine della sottosezione Ombre e lumi8. Nel
(c. 117r), p. 34 (c. 117v), p. 35 (c. 118r), p. 36 (c. 118v), p. 38 (c. 119v), p. 45 (c. 123r). Nella
numerazione delle pp. 28-30 si notano interventi correttorii, poiché l’estensore
primo caso tale descrizione è stata inserita in carattere corsivo tra
aveva erroneamente ripetuto la p. 27 presente nella numerazione originaria.
3
  Occorre notare l’adozione di una forma particolare per la trascrizione dei
numeri XIX, XL e segg., XC e segg., CIL e segg. indicati rispettivamente con la 6
  A titolo esemplificativo si riportano le seguenti aggiunte interlineari: «fia > in <
sequenza; IXX, XXXX, LXXXX, CXXXX. primo» (c. 57v, rigo 23), «poi > ti < tira» (c. 110r, rigo 4), «valetudine > et servano
4
  Cfr. A. Buccaro, cap. II di questo volume, pp. 25 e 36. < ai moti » (c. 112v, rigo 7).
5
  Sulla funzione dei richiami negli autografi e negli apografi vinciani cfr. quanto 7
  Cfr. la lacuna riconoscibile nello spazio bianco con puntini consecutivi a c. 36v,
scrive C.Vecce nella Nota al testo che precede l’edizione del Libro di Pittura: Codice rigo 4: «in ogni … grado».
Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Leonardo da Vinci, a cura di C. 8
  Cfr. pure per queste descrizioni: e-Leo,Archivio digitale di storia della tecnica e della scien-
Pedretti, trascr. critica di C.Vecce, Firenze, Giunti, 1996, pp. 90-92. za, Biblioteca Leonardiana, Comune di Vinci (http://www.leonardodigitale.com).

192
parentesi quadre al posto della figura, mentre nel secondo è colloca- tico dei precedenti copisti, ancora fermo alle consuetudini proprie
ta di seguito alla sigla di riferimento. della tradizione manoscritta del XV secolo. Sono state accentate
La lezione del testo rispetta i criteri adottati dal trascrittore nel- secondo l’uso moderno le parole ossitone che non presentavano
la redazione dell’apografo, riducendo al minimo gli interventi accento, sostituito da un segno di apostrofe accanto alla lettera per
editoriali al fine di consentire una lettura più agevole dell’opera. separare dalla parola successiva sia la terza persona singolare del ver-
Come ha sottolineato Vecce nella Nota al testo che accompagna bo essere (è), che la congiunzione e. A sua volta, l’apostrofo è stato
l’edizione del Codice Urbinate del Libro di Pittura, la pubblicazio- inserito in presenza di elisione, apocope e aferesi nel rispetto delle
ne unitaria del facsimile del codice consente all’editore moderno oscillazioni esistenti tra forme con elisione o troncamento e forme
di «intervenire moderatamente sui fatti grafici privi di valore fo- che ne risultano prive.
netico e sintattico, demandando d’altronde al facsimile il compi- È stata normalizzata la divisione delle parole nei casi di errata scri-
to di servire ad ulteriori indagini su questi fenomeni scrittorii»9. zione unitaria, mentre si è cercato di rispettare l’interpunzione
Anche nella presente edizione, grazie ai preziosi consigli forniti basata sull’uso della virgola, del punto e talvolta anche del punto
dal prof. Vecce con la consueta disponibilità, è stato accolto con e virgola, ad eccezione dei casi in cui essa ostacola una lettura
lievi modifiche il sistema di interventi normalizzatori adoperato moderna. Si è provveduto ad aggiungere il punto alla fine della
per la trascrizione critica nell’edizione nazionale dei manoscritti frase, se mancante, e a sostituire la virgola o il punto per restituire
di Leonardo. la lezione corretta all’interno del periodo.
Di seguito si fornisce una sintetica esemplificazione della tipologia Si è conservato il punto lì dove compare accanto a ciascuna ini-
di interventi adottati nel testo, che potranno essere individuati attra- ziale maiuscola nelle sigle adoperate nell’esposizione a commento
verso il confronto con la pagina corrispondente del facsimile e per i delle figure inserite nel testo o accorpate alla fine della sottosezio-
quali non si è ritenuto necessario segnalare l’intervento correttorio ne Ombre e lumi.
nelle note in calce al testo. Se riconducibili a possibili influssi del latino (imagine) e a composti
Si è conservata la h etimologica e paraetimologica sia in posizione prefissali (aluminare), sono stati accolti i numerosi casi di scem-
iniziale che di seguito a consonante (herbe, christallo), mentre si è piamenti e raddoppiamenti conservando l’oscillazione della grafia
adottato l’uso moderno dell’h per le voci del verbo avere. Si sono (cagiona / caggiona, duplicata /dupplicata, flamea /flammea, materia /
rispettate le oscillazioni con le grafie del nesso ti con la c palatale, matteria, opachi /opacchi, origine /orrigine, prospetiva /prospettiva, ragio-
fenomeno di natura fonetica o derivante da forme etimologiche ne /raggione).
o latineggiante rese in origine con c palatale (spacio-spatio-spazio, Si è ritenuto opportuno, inoltre, rispettare i fenomeni fonetici,
officio-offitio). grammaticali propri dell’epoca di Leonardo, dal vocalismo al con-
La congiunzione et è resa con et davanti a vocale, con e davanti a sonantismo, dalla concordanza di sostantivi, aggettivi, articoli e pro-
consonante. nomi alla coniugazione e alle concordanze del verbo. In maniera
Per avverbi, congiunzioni, preposizioni articolate si è adottata la analoga non è stata corretta la sintassi del periodo, fedele all’uso
forma presente nell’apografo, conservando le oscillazioni per scri- linguistico del tempo.
zione unitaria e per scrizione composta (aponto-a ponto, inverso-in Il criterio con cui sono state redatte le note poste in calce alla tra-
verso, insino-in sino), tranne che per l’avverbio allhora e per la prepo- scrizione risponde a un duplice scopo, scientifico e filologico. Sul
sizione infra per i quali è stata preferita la scrizione unitaria. versante scientifico, attraverso riferimenti puntuali, esse forniscono
Sono state sciolte tutte le abbreviazioni adoperate dal trascrittore, utili ragguagli sul rapporto che brani di testo e immagini hanno con
ad eccezione di quelle presenti nel titolo della sezione I/a. Accanto i rispettivi antecedenti milanesi e con le trascrizioni ricavate agli
alla più frequente p. = per e ai suoi composti, p.la = per la, p.che = inizi del XIX secolo.
perché, p.fettione = perfettione, si segnalano bb. = braccia, d.o = detto, s.a Sul piano filologico, oltre a registrare le rare annotazioni marginali
= senza, trasp.te = trasparente. poste a corredo del manoscritto, le note chiariscono errori, travisa-
Si è provveduto a sciogliere le abbreviazioni dei numeri ordinali menti e macrovarianti presenti nell’apografo.
con la forma estesa nel testo, conservandole all’interno di elenchi o Per consentire una lettura più agevole del testo, in caso di lapsus
indici anche nel caso in cui l’abbreviazione si riferisce ad una lettera calami e/o travisamenti è stata inserita nel testo la lezione corretta
e non ad un numero (p.° = primo). Non si è modificata la forma in segnalando in nota la versione errata.
cui compaiono i numeri cardinali (cifre arabe o cifre romane). Di seguito si riportano le parole cancellate presenti nel testo accom-
È stato normalizzato all’uso moderno il ricorso alle maiuscole, ado- pagnate dalle parole corrette:
perate per i nomi comuni in maniera apparentemente casuale in sempre > sepure (c. 6v, rigo 14); di > mostrano (c. 14r, rigo 13); poca
molti luoghi del testo. Anche in questo caso si è scelto di conservare > fosca (c. 15v, rigo 22); d’un’acqua > d’una pianta (c. 17r, rigo 15);
la lezione originaria solo per il titolo della sezione I/a. quei > più luminoso (c. 21v, rigo 7); orriginale > orrigine (c. 23v,
Il trascrittore ha conservato il sistema accentuativo e paragrafema- rigo 23); e > che (c. 33r, rigo 21); corpo > campo (c. 38 r, rigo 20);
il > i quali (c. 67v, rigo 18); l’una > leva (c. 101v, rigo 2); su la rota
> rocca della rota (c. 111r, rigo 2); speranza > soperchia (c. 118v, rigo
  C.Vecce, op. cit., pp. 117-118.
9
15); obbedire > obietti (c. 156v, rigo 6); detta > data (c. 191r, rigo 7).

193
Codice Corazza, c. 1640, sezione I/a, p. 1. Napoli, Biblioteca Nazionale

[194]
[Sez. I/a]

[c.1r] Copia di capitoli diversi di Lionardo da Vinci / circa le Regole della Pittura, e modo di dipin=/gere Prospettive, ombre,
lontananze, altezze, / bassezze, d’appresso, e discosto, e altro. / L’Originale de’ quali dal signor Galeazzo Arconato è / stato
donato alla Libraria Ambrosiana, e / dall’istesso è stata inviata all’Em.mo S.r / Cardinale Fran°. Barberino. / Sono li sudetti
capitoli di più di quelli, che nell’/opera ordinaria de’ precetti della / Pittura si vedono.
[Ms. E, 16v] [1] Delle cose eguali, la più remota par1 maggiore.
La pratica della prospettiva si divide in due parti, delle quali la prima figura tutte le cose vedute dall’occhio in qua-
lunque distanza, e questa in sé mostra tutte esse cose, come l’occhio le vede diminute, e non è obbligato l’huomo
a star più in un sito, che in un altro perché il muro non le iscosti la 2ª volta.
[due prospettive semplici, in pianta e alzato2]
[2] Ma la 2ª pratica è una mistione di prospettiva fatta in parte dall’arte, et in parte dalla natura, e l’opera fatta con
le sue regole, non ha parte alcuna, che non sia mista con la prospettiva naturale, e con la prospettiva accidentale.
Con la prospettiva naturale, intendo esser la parete piana, dove è tal prospettiva effiggiata, la qual parete ancora che
ella sia di longhezza, e d’altezza para d’ella, ella è constretta diminuire le parti remote, più, che le sue parti prime.
E questo si prova per la <figura>3 posta di sopra, e la sua diminutione è naturale; e la prospettiva accidentale, cioè
quella che è fatta dall’arte fa il contrario in sé perché cresce nella parete scortata tanto più li corpi, che fra loro
sono eguali, quanto l’occhio è più naturale, e più vicino alla parete, e quanto la parte d’essa parete, dove si figura è
più remota dall’occhio, e questa tal parete sia D e sulla quale si figuri tre corpi eguali, che sono ABC. Hora tu vedi,
che l’occhio H vede nella parete rettilinea li tagli nello spazio maggiore maggiori distanze e minor nelle vicine F,
[Ms. E, 16r] G, il che natura nella sua prospettiva adopra in contr<ar>io, conciosiaché nelle maggiori distanze la cosa veduta
si dimostra minore, e nella distanza minore la cosa par maggiore.
[prospettiva accidentale4]
[3] Ma questa tale inventione costringe il veditore a star con l’occhio a un spiracolo, et allhora da tal spiracolo si
dimostreranno bene. Ma poiché molti occhi s’abbattono a vedere a un medesimo tempo una medesima opera
perfetta con tal’arte, e solo un di quelli vede bene l’officio della prospettiva, e gl’altri tutti restan confusi. E gl’è
dunque da fuggire tal prospettiva composta, et attenersi alla semplice, la quale non vuol vedere parete in scorto,
ma più in propria forma, che sia possibile. E di questa prospettiva semplice della quale la parete taglia le piramidi
portatrici delle specie all’occhio egualmente distanti dalla virtù visiva, ciò ne dà sperienza la curva luce dell’occhio,
sopra la quale tali piramidi si tagliano egualmente distanti dalla virtù visiva.
[Ms. E, 18v; LdP 5, 867] 6
Nella situatione dell’occhio il quale vede alluminata quella parte delle piante, che veggono il luminoso, mai fia
veduta alluminata l’una pianta, come l’altra. Provasi, e sia [4] l’occhio C che vede le due piante BD, le quali sono
alluminate dal sole A. Dico, che tall’occhio ei non vedrà li lumi essere della medesima proportione alla sua ombra
nell’un albero, come nell’altro, imperocché quell’albero che è più vicino al sole, si dimostrerà tanto più ombroso,
che quello, che n’è più remoto, quanto l’un albero, è più vicino al concorso de’ raggi solari, che vengano all’occhio,
che l’altro; vedi che dall’7albero D non si vede dall’occhio C altro, che ombra, e dal medesimo occhio C si vede
l’albero B mezzo alluminato, e mezzo ombrato.
[schema con punto di osservazione, lume solare e due piante]
[Ms. E, 19r; LdP, 800] 8
Li paesi fatti nella figuration del verno, non debbon [5] dimostrar le sue montagne azzurre, come far si vede alle
montagne dell’estate. E questo si prova per la 4.ª (1) 9 di questo che dice, infra le montagne vedute in lunga distanza
quella si dimostrarà di color più azzurro, la qual fia di color più oscuro. Adunque essendo le piante spogliate delle
loro foglie, si dimostreranno di color berettino, essendo che le foglie son di color verde, e tanto quanto il verde è

1
  Nota a margine: «par», siglata «vc» (Vincenzo Corazza). Nel Ms.: «per».
2
  La prima figura è capovolta rispetto all’originale presente nel ms. E, f. 16v.
3
  Nota a margine: «intendi figura», siglata «vc». Grafico capovolto nel f. 16v del ms. E. Nota in calce: «deve andare al contrario».
4
  Grafico capovolto nel f. 16v del ms. E. Nota in calce: «deve andare al contrario».
5
  S’intende Libro di Pittura.
6
  A centro pagina intestazione: «II», siglata «vc». Il titolo del precetto 867 è: «Dell’aluminazione delle piante».
7
  Nota a margine: «leggi dell’», siglata «vc».
8
  A centro pagina intestazione: «III», siglata «vc».
9
  Nota a margine: «la 4.a qui accennata è la proposizione o <del> Capitolo CCCXVIII dell’Opera stampata», siglata «vc».

[195]
più oscuro, che il berettino, tanto si dimostrerà più azzurro il verde, che il berettino. E per la 5.ª 10 di questo, l’ombre
delle piante vestite di foglie sono tanto più oscure, che l’ombre di quelle piante, che sono spogliate di foglie quanto
le piante vestite di foglie son meno rare, che quelle, che non hanno foglie, e così habiam provato il nostro intento.
L’ombre delle piante poste nei paesi non si dimostrano vester di sé con medesima situatione nelle piante de-
stre, come nelle sinistre, e massime essendo il sole a destra, o a sinistra. Provasi per la 4.ª 11 che dice, che li corpi
opachi interposti infra [6] ’l lume e l’occhio si dimostran tutti ombrosi. E per la 5.ª, l’occhio interposto infra il
corpo opaco, e ’l lume, vede il corpo opaco tutto al luminoso. E per la 6.ª l’occhio e ’l corpo opaco interposto
infra le tenebre, e ’l lume, fia veduto mezz’ombroso, e mezzo luminoso.
[schema con punto di osservazione, lume solare e tre piante]
[Ms. A, 11r] Niuna 2.ª cosa fia tanto più bassa, che la prima, che stando l’occhio di sopra, la 2.ª non li paia più alta, e quella cosa
2.ª non fia mai tanto più alta, che la prima, che stando l’occhio di sotto non paia la 2.ª sotto la prima.
Se l’occhio risguarderà il 2.° quadrato per lo centro del minor più vicino, appariralli il 2.° maggiore esser circon-
dato dal minore.
Le cose 2.e non fiano mai di tanta grandezza, che [7] le prime minori, non le occupino, e circondino.
[Ms. A, 26v] Ogni corpo, che con velocità si move appare tingere il suo camino, con la similitudine del suo colore.12 Questa
propositione si vede per esperienza, imperocché movendosi un folgore infra le nuvole oscure per la velocità della
serpeggiante sua fuga, apparisce tutta la sua via a modo d’una luminosa biscia. E similmente se moverai un tizzo
acceso in movimento circolare, parrati tutta la sua via un circolo infocato. E questo è che è più presta l’apprensiva,
che il giuditio.
[Ms. A, 28v] Quello che siede non si può levar in piè, se la parte, che è dal polo inanzi non posa più, che quella che è da esso
polo indietro, senza forza di braccio.13
[figura umana seduta in atto di alzarsi]
[8] Quello che monta in qualunque luogo, conviene, che dia di sé maggior peso dinanzi al piè più alto che di
dietro, cioè dinanzi al polo, che di dietro, a esso polo. Adunque l’huomo darà di sé sempre maggior peso inverso
quella parte, dove desidera moversi, che in alcun altro luogo.14
[figura umana nell’atto di salire]
Quello, che più corre, più pende inverso il luogo dove corre, e dà di sé maggior peso dinanzi al suo polo, che
doppo: quello che corre alla china, fa il suo polo su le calcagne, e quello, che corre all’erta, lo fa su la punte de’
piedi; e [9] quello, che corre alla pianura lo fa prima ai calcagni, e poi nelle punte de’ piedi.
[due figure umane in movimento]
Questo non porterà il suo peso se non ristora con la persona tirata indietro il peso dinanzi, in modo che sempre
il piè, che posa si trovi in mezzo del peso.
[figura umana con peso]
[Ms. A, 38r] [10] Quella cosa che è più appresso all’occhio, sempre apparisce maggiore, che un’altra di pari qualità che sia più
distante l’occhio M, che vede li spatii O.V.X non conosce quasi distanza dall’uno all’altro. E questo nasce per esser
vicino a loro. E se li leverà i detti spatii su la parete N.O lo spatio OV apparirà nella parte della parete O.R e così
lo spatio V.X. apparirà in R.Q. E se tu mettessi questo in opera in qualche luogo, che vi si potesse andar’attorno ti
parrebbe una cosa discordante per la gran varietà, che è dallo spatio OR, e da R.Q. e questo deriva, che l’occhio
è tanto sotto alla parete, che la parete li scosta. Onde seppure volesse metterlo in opera, si bisognarebbe, che essa
prospettiva si vedesse da un sol buso, il quale fusse nell’occhio M, o veramente stesse lontano almeno tre volte la
larghezza delle cose, che vedi la parte OP. per esser sempre equidistante [11] all’occhio a un modo, renderà le cose
bene, e atte ad esser vedute da luogo, a luogo.
[diagramma di costruzione prospettica15]
[Ms. A, 41v] Se tu non puoi fare, che gl’huomini, che riguardano la tua opera stiino a un sol punto tirati indietro con l’occhio,
quando figuri la tua opera almeno 20 volte la maggior altezza, e larghezza della tua opera; e questa farà nell’im-
mutar l’occhio del riguardatore sì poca varietà, che a pena si comprenderà, e fia assai laudabile.
[costruzione geometrica con figura semicircolare]
Se il punto sarà in F farai tu le figure poste sul circolo [12] DBE d’una medesima grandezza, essendo ciascuna ap-
presso al punto F a un medemo modo. Pone mente alla figura di sotto, e vedrai, che la farà minore in B, che in D.E.
[costruzione geometrica con figura semicircolare e reticolo prospettico]
[Ms. A, 42v] Se vuoi fare in su un muro storto una figura, che paia in propria forma, e spiccata da esso muro farai in questo
modo. Fa d’havere una sottile piastra di ferro, e fagli un piccolo spiracolo nel mezzo, il quale sia rotondo, et ac-
costaci un lume in modo che lo tocchi col suo mezzo, di poi poni quel corpo, o figura, che più ti piace a detto
muro in modo, che lo tocchi, e segna la sua ombra in detto muro, e poi la ombra, e dagli i suoi lumi, e fa, che

10
  Nota a margine: «vedi la CXXIX, e la CXXX dell’Opera stampata», siglata «vc».
11
  Nota a margine: «cioè per la II di questo Mss.», siglata «vc».
12
  Nel Ms.: «calore».
13
  Cfr. Leonardo e il leonardismo a Napoli e a Roma, a cura di A.Vezzosi, Firenze, 1983, Giunti-Barbera, p. 142, scheda di A.Vezzosi.
14
  Ibidem.
15
  Nell’originale presente nel ms. A, f. 38r, non compare la griglia prospettica che troviamo nel grafico.

196
quello, che vorrà veder detta figura stia a quello medesimo spiracolo dove stette in prima il lume, e non ti potrai
mai persuadere, che detta [13] figura non sia dispiccata dal muro.
[corpo illuminato da fonte di luce attraverso una parete forata]
[Ms. A, 62v] Della testa del cavallo
Tanto fia dall’un orecchio all’altro, quanto è la longhezza d’esso orecchio, l’orecchio deve esser lungo la 4.ª parte
del volto.
[testa di cavallo ritratta di profilo e di prospetto]
[Ms. A, 63r] A.B. è simile allo spatio che è infra E.D./D.H./ e così H.C., e similmente S.R/QP./HK. sono infra loro simili.
Tanto è da MS. quanto è dal disotto del naso al mento. L’orecchio è aponto tanto longo, quanto il naso. Tanto è
da XS. quanto dal [14] naso al mento. Il taglio della bocca in profilo si drizza all’angolo della mascella. Tanto deve
esser alto l’orecchio quanto dal disotto del naso al di sopra del coperchio dell’occhio. Tanto è lo spatio che è infra
l’occhi, quanto la grandezza d’un occhio. L’orecchio cade nel mezzo del collo in profilo. Il taglio, o vero spigolo
del labro di sotto della bocca, e il mezzo infra il disotto del naso, et il disotto del mento. Il viso fa in sé un quadro,
cioè la sua larghezza, è dall’uno all’altro estremo dell’occhio, e la sua altezza, è dalla fine di sopra del naso al di
sotto del labro disotto della bocca. E ciò, che resta di sopra, e di sotto ad esso quadro, fa l’altezza d’un simil quadro.
[tre figure con testa umana di profilo e di prospetto, con indicazione dei rapporti tra le parti]
[Ms. A, 79; LdP, 534] <De’ vestimenti16>
I vestimenti devono essere diversificati di varie nature [15] di falde, mediante la qualità de’ vestimenti, onde se gl’è panno grosso,
e raso, farà pieghe maccharonesche, e varie, e se gl’è di mediocre grossezza e denso farà le pieghe affacciate, e di piccioli angoli. E
sopratutto si ricorda in ogni qualità di panno di far le pieghe infra l’una rimpitura, e l’altra, grosse in mezzo, e sottili dai lati.
E la minor grossezza d’essa piega fia nel mezzo dell’angolo rotondo della piega.
[Ms. A, 93v; LdP, 728] Ogn’ombra fatta dal corpo ombroso minore de’ lumi originali, manderà l’ombre derivative tinte del color della
loro origine, l’orrigine dell’ombra EF sia H, e fia tinta in suo colore l’origine di HE sia O, e fia similmente tinta
in suo colore, e così il colore di VH fia tinto del color di P. perché nasce da lui; e l’ombra del triangolo ZKY fia
tinta del color di Q. perché deriva [16] da lui.
[corpo ombroso con vano di finestra, raggi luminosi e costruzione di ombre]
Tanto quanto CD. entra in A.D. tanto è più scuro H.RS, che M, e tutto l’altro campo senz’ombra.
F.P è ’l primo grado de’ lumi, perché quivi allumina tutta la finestra AD, e così nel corpo ombroso M è di simil
chiarezza. ZKY, è un triangolo, che contiene in sé il primo grado d’ombra, perché in esso triangolo, non capitano
i lumi A.D.X.H., e il 2° grado d’ombra, perché egli non allumina se [17] non terzo della finestra, cioè CD/ HE. fia
il 3° grado d’ombra, perché egli vede li doi terzi della finestra BD. EF. fia l’ultimo grado d’ombra perché l’ultimo
grado de’ lumi della finestra alluma nell’occhio DF. [Ms. A, 93v; LdP, 729]17 Quella parte del corpo ombroso fia men
luminosa, che fia veduta da minor quantità di lumi, la parte del corpo M é primo grado di lume, perché egli vede
tutta la finestra AD. per la linea AF/ N è il 2° grado, perché egli vede il lume BD per la linea BE/ O è il 3° grado
perché egli vede il lume CD per la linea CH/ P. è il penultimo grado, perché egli vede CD. per la linea DV/ Q. è
l’ultimo grado perché egli non vede da nessuna parte la finestra.
[Ms. F, 1v] La superficie d’ogni corpo opaco partecipa del color del suo obietto, quella parte della superficie de’ corpi opachi
fia più partecipante del color del suo obietto, la qual li fia più vicina. Sia AB. corpo opaco, et ED. obietto luminoso,
et CF. obietto ombroso, dico il mezzo d’esso corpo opaco o fia egualmente participante dell’uno, e dell’altro [18]
obietto. E la parete AO fia più luminoso, che la parete OB. C quanto sarà più vicina al luminoso, si farà più allu-
minata, e così la parte d’esso corpo più oscura, che sarà più vicina all’ombroso, si fia più ombrata.
[corpo opaco e raggi luminosi]
[Ms. G, 3r] Ancora che le foglie di polita superficie siano in gran parte d’un medemo colore dal dritto al lor roverso, egli
accade, che quella parte, che è veduta dall’aria, partecipa del color d’ess’aria, e tanto più partecipa d’esso color
d’aria, quanto l’occhio gli è più propinquo, e la vede più in scorto; e universalmente le sue ombre si dimostrano
più oscure dal dritto, che nel roverscio per il paragone [19] che gl’è fatto dal lustro, che con tal ombra confina. Il
roverscio della foglia, ancorché in sé il suo colore sia il medemo, che del dritto, ei si dimostra di più bel colore,
[Ms. G, 2v] il qual colore è un verde participante di giallo. E questo accade quando tal foglia è interposta infra l’occhio, e ’l
lume, che l’allumina dall’opposita parte.18 Adunque tu pittore quando fai gl’alberi d’appresso, ricordati che essendo
alquanto col’occhio sotto l’albero, che ti accaderà veder le sue foglie dal dritto, e dal roverscio, e le parti dritte
parranno tanto più azzurre quanto le fian vedute più in scorto, e una medesima foglia alcune volte mostrerà una
parte da dritto, et una da roverscio e per questo si bisogna farla di doi colori.
[Ms. G, 4r; LdP, 891] 19
Quando l’una verdura è dritto all’altra, li lustri delle foglie, e le sue trasparenze si mostreran di maggior potenza,
che quelle, che confinano con la chiarezza dell’aria.
E se il sole allumina le foglie senza che s’inframettano infra lui e l’occhio, senza che esso occhio veda il sole, allhora
li lustri delle foglie, e le [20] loro trasparenze sono eccessive.

16
  Si tratta del perduto f. 79 del ms. A, cui apparteneva l’intero brano che evidenziamo in corsivo, corrispondente al precetto 534 del Libro di Pittura.
17
  Di qui fino a «minor quantità di lumi» è in realtà il titolo del precetto 729.
18
  Qui manca la frase presente nell’originale: «E le sue ombre son nelli medesimi siti che esse eran dalla opposita parte».
19
  Il brano, privo del grafico presente in originale e riportato nel precetto 891 del Libro di Pittura, ha per titolo: «Dell’ombre delle foglie trasparente».

197
Molto è utile il fare alcune ramificationi basse, le quali campeggino in verdure alluminate, che siano alquanto
remote dalle prime.
Delle verdure oscure vedute disotto, quella parte è più oscura, che è più vicina all’occhio, e che è più distante
dall’aria luminoso.
[Ms. G, 4v; LdP, 892]20 Li rami più bassi delle piante, che fan gran foglie, e frutti gravi noci, fichi, e simili, sempre si dirizzano alla terra.
Non finger mai foglie trasparenti al sole, perché son confuse, e questo accade, perché senza la trasparenza d’una
foglia, vi si stamperà l’ombra d’un’altra foglia delle stanti di sopra; la qual ombra è di termini spediti, e terminata
oscurità, e alcuna volta, o mezza, o 3.ª parte d’essa foglia ha ombra, e così tal ramificatione è confusa, e deve fuggire
la sua imitatione. I ramicelli superiori de’ rami laterali delle piante s’accostano più al lor ramo maestro, che non
fan quei di sotto.
Quella foglia è men trasparente, che piglia il [21] lume infra angoli più difformi.
[Ms. G, 8r; LdP, 895]21 Le piante giovani han le foglie più trasparenti, e più polita scorza delle vecchie, e massime il noce è più chiaro di
maggio di settembre.
L’ombre delle piante non son mai nere, perché dove l’aria penetra non può esser tenebre.
[Ms. G, 8v; LdP, 896]22 Se il lume vien da M e l’occhio sia in N est’occhio vedrà il color delle foglie AB. tutte partecipare del color del-
l’M, cioè dell’aria e ’l BC saran veduti dal roverscio trasparente, con bellissimo color verde participante di giallo.
[ramo con foglie23]
Se M. sarà il luminoso alluminatore della foglia S. tutti gl’occhi, che vedranno il roverscio della foglia la vederanno
di bellissimo verde chiaro per essere trasparente.
[foglia con occhio dell’osservatore e lume solare24]
[Ms. G, 9r; LdP, 897]25 [22] Il salcio, o altre simil piante, che si tagliano le lor piante ogni 3 o 4 anni, metton rami assai dritti, e la lor ombra
è inverso il mezzo, dove nascono essi rami, et inverso gl’estremi fan poca ombra per le loro minute foglie, e rari,
e sottili rami. Adunque li rami, che si levano inverso il cielo hanno poc’ombra, e poco rilievo. E quelli rami, che
guardano all’orizonte in giù nascono nella parte oscura dell’ombra, e vengonsi rischiarando a poco a poco insino
a’ loro estremi; e questi mostrano buon rilievo per esser in gran rischiaramento in campo ombroso.
[Ms. G, 9v; LdP, 885] Delle piante, che sono infra l’occhio e ’l lume
Delle piante, che sono infra l’occhio, e ’l lume, la parte dinanzi fia chiara, la chiarezza fia mista, li ramification di
foglie trasparenti per esser vedute da roverscio, con foglie lustre vedute dal dritto, e ’l lor campo di sotto, e di dietro
sarà di verdura oscura per essere adombrata dalle parti dinanzi della detta pianta. E questo accade nelle piante più
alte dell’occhio.
[Ms. G, 10r; LdP, 893]26 [23] Dell’ombra della foglia
Alcuna volta la foglia ha tre accidenti, cioè ombra, lustro e trasparenza, come se ’l lume fusse in N e la foglia S e
l’occhio in M, che vederà A alluminato B ombrato C trasparente.
[foglia con punto di osservazione e lume solare]
[Ms. G, 9v; LdP, 904] Dell’herbe de’ prati
L’herbe de’ prati, che piglian l’ombra dalle piante che nascono infra esse che nascono di qua dall’ombra, hanno le
festuche oscure in campo chiaro, cioè nel campo che è di là <da>ll’ombra.
[Ms. G, 10v; LdP, 894] Delle foglie oscure dinanzi alle trasparenti
Quando le foglie saranno interposte infra ’l lume e l’occhio, allhora la più vicina all’occhio sarà più oscura, e la
più remota sarà più chiara, non campeggiando nell’aria, e questo accade nelle foglie che son dal centro dell’albero
in là, cioè inverso [24] il lume.
[Ms. G, 10v; LdP, 893]27 La foglia di superficie concava veduta dal roverscio di sotto in su, alcuna volta si dimostra mezz’ombrosa, e mezza
trasparente, come O.P. sia la foglia il lume M e l’occhio N il quale vederà O adombrato, perché il lume non la
percote infra gl’angoli eguali, né da dritto, né da riverscio e P. fia alluminato da dritto, il quale lume traspare nel
suo roverscio.
[foglia con punto di osservazione e lume solare]
[Ms. G, 12r; LdP, 869] Del lume universale alluminator delle piante
28
Quella parte della pianta si dimostrerà vestita d’ombra di minor29 oscurità, la quale fia più remota dalla terra.
Provasi AB. sia la pianta NB. C. sia l’emisfero alluminato, la parte di sotto dell’albero vede [25] la terra PC. cioè O

20
  Questa proposizione compare in realtà alla fine, non all’inizio del precetto 892 del Libro di Pittura, che ha per titolo: «Del non fingere mai foglie trasparenti al sole».
21
  Questa proposizione («fino a «tenebre»), corrispondente al precetto 895 del Libro di Pittura, che ha per titolo «Delle piante giovani e loro foglie», non compare nella
tabella di corrispondenze della Steinitz relativa ai «Capitoli aggiunti», p. 102.
22
  Questa proposizione, corrispondente al precetto 896 del Libro di Pittura, ha per titolo «Del colore delle foglie». L’immagine presente nel Codice manca nel Libro
di Pittura.
23
  Privo di lettere, presenti nel f. 8v del ms. G.
24
  Non è allegato al precetto 896 del Libro di Pittura.
25
  Questa proposizione, corrispondente al precetto 897 del Libro di Pittura, ha per titolo «Degli alberi che metteno li rami dritti».
26
  Questa proposizione, corrispondente al precetto 893 del Libro di Pittura, nell’H 229 inf. e nella tabella della Steinitz viene dopo la successiva.
27
  Questa proposizione, corrispondente alla seconda parte del precetto 893 del Libro di Pittura, nella tabella Steinitz non risulta scissa dalla prima parte.
28
  Nel Libro di Pittura non è riportato integralmente il brano del ms. G, f. 12r presente nel Codice.
29
  Nel Ms.: «monor».

198
e vede un poco dell’emisfero in CD. ma la parte più alta nella concavità A è veduta da maggior somma dell’emi-
sfero, cioè B.C, e per questo perché non vede l’oscurità della terra, resta più alluminata. Ma se l’albero è spesso di
foglie, come il lauro, o simili, allhora è variato perché ancora che A non veda la terra, ei vede l’oscurità delle foglie
diverse da molt’ombre, la qual oscurità riverbera in su nel roverscio delle sopraposte foglie, e questi tali alberi han
l’ombre tanto più oscure, quanto essi son più vicini al mezzo dell’albero.
[albero con punti di osservazione ed effetti d’ombra]
[Ms. G, 15r]30 Le foglie che specchiano l’azzurro dell’aria, sempre si mostrano all’occhio per taglio.
[Ms. G, 15r; Ld P, 905] [26] Dell’ombre della verdura
Sempre l’ombre delle verdure partecipano dell’azzurro, e così ogn’ombra d’ogn’altra cosa. E tanto più ne piglia,
quanto ella è più distante dall’occhio, e meno quanto ella è più vicina.
[Ms. G, 15r; LdP, 871] Della parte alluminata delle verdure e monti
31
La parte alluminata si dimostrerà in lunga distanza del suo natural colore, la qual sarà alluminata da più po-
tente lume.
[Ms. G, 16v]32 Ha messo la natura le foglie dell’ultimi rami di molte piante in modo, che sempre la 6.ª foglia è sopra la prima, e
così segue successivamente se la regola non è impedita. E questo ha fatto per due utilità delle piante. E la prima è
perché nascendo il ramo, o il frutto nell’anno seguente dalla gemella, v’è un occhio che è sopra il contatto dell’ap-
piccatura della foglia, e l’acqua, che bagna tal ramo possa discendere, e nutrir tal gemella, col fermarsi la goccia
nella concavità del nascimento della foglia. E il 2.° giovamento è, che nascendo tali rami l’anno seguente un non
copre l’altro, perché nascono volti a cinque aspetti li cinque rami, e il sesto [27] nasce sopra il primo assai remoto.
[Ms. G, 20v; LdP, 902] Delle piante meridionali
Quando il sole è all’orizonte, le piante meridionali e settentrionali han quasi tanto di lume, quanto d’ombra. Ma
tanto maggior somma di lume quanto esse son più occidentali, e tanto maggior somma d’ombra, quanto esse son
più orientali.
[Ms. G, 20v; LdP, 903] Delli prati
Stando il sole all’oriente, le verdure de’ prati, o d’altre picciole piante son di bellissima verdura per esser trasparenti
al sole, il che non accade nei prati occidentali, e li meridionali, e settentrionali son di mediocre bellezza di verdura.
[Ms. G, 21r; LdP, 916]33 Aspetti de’ paesi 33
Quando il sole è all’oriente, tutte le parti alluminate delle piante son di bellissima verdura, e questo accade perché
le foglie alluminate dal sole dentro alla metà dell’orizzonte, cioè la metà orientale son trasparenti. E dentro al si-
molacro occidentale le verdure han tristo colore, e l’haria humida, è tutta di color d’oscure tenebre per non esser
trasparente, come l’orientale, la quale è lucida, e tanto più quanto essa é più [28] humida.
[Ms. G, 21r; LdP, 901]34 L’ombre delle piante orientali occupano gran parte della pianta, e sono tanto più oscure, quanto gl’alberi sono
più spessi di foglie.
[Ms. G, 21v; LdP, 899] Dell’ombre orientali35
Stando il sole all’oriente, gl’alberi veduti inverso esso oriente haveranno il lume, che li circonderà intorno alle sue
ombre, eccetto diverso la terra, salvo se l’albero non fusse stato rimondo l’anno passato. Gli alberi meridionali, e
settentrionali saranno mezz’ombrati, e mezzo luminosi, e più o meno ombrosi o luminosi, secondo, che saran più,
o meno orientali, o occidentali.
L’occhio alto, e basso varia l’ombre, e li lumi nell’alberi, imperocché l’occhio alto vede gl’alberi con poche ombre,
e il basso con assai ombre. Son tanto varie le verdure delle piante, quanto son varie le loro specie.
[Ms. G, 22r; LdP, 898] 36
Stando il sole all’oriente, gl’alberi occidentali all’occhio si dimostrano di pochissimo rilievo, e quasi d’in-
sensibile dimostrationi per l’aria, che infra l’occhio, et esse piante s’interpone, che è molto fosca per la 7.ª di
questo, e son privati d’ombra, e benché [29] l’ombra sia in ciascuna divisione di ramificatione egl’accede, che
le similitudini dell’ombra, e lume vengono all’occhio confuse, e miste insieme, e per la lor picciola figura non
si posson comprendere, e li lumi principali son nelli mezzi delle piante, e l’ombre inverso gl’estremi, e le loro
operationi son divise dall’ombre dell’intervocalli d’esse piante, quando le selve son spesse d’alberi, e nelle rare
li termini poco si vedano.
[Ms. G, 24r; LdP, 886] De’ colori accidentali dell’alberi
Li colori accidentali dell’alberi sono 4, cioè ombra, lume, lustro, e trasparenza.
[Ms. G, 24r; LdP, 887]37 Della dimostratione degl’accidenti
Delle parti accidentali delle foglie delle piante in lunga distanza si farà un misto, il qual participarà più di quell’ac-
cidenti, che sarà di maggior figura.

30
  Questa proposizione manca nel precetto 869.
31
  Il precetto 871, cui corrisponde questa proposizione, non compare nella tabella Steinitz.
32
  Questa proposizione manca nel precetto 871.
33
  Il titolo è in realtà: «Delli aspetti de’ paesi»; il precetto 916, cui corrisponde questa proposizione, non compare nella tabella Steinitz.
34
  Il precetto 901, cui corrisponde questa proposizione dal titolo «Delle ombre delle piante orientali», non compare nella tabella Steinitz.
35
  Il titolo è in realtà: «Delli alberi orientali».
36
  Il precetto 898, cui corrisponde questa proposizione, ha per titolo «Dell’ombre degli alberi».
37
  Il precetto 887, cui corrisponde questa proposizione, non compare nella tabella Steinitz.

199
[Ms. G, 24v] Le piante, che si dividono presso al piede, rare volte mettono li rami nello spatio, che infra loro s’interpone, e sep-
pure alcuno ve n’havesse ha corta vita, e poca grandezza per causa dell’ombra, che l’un da l’a<l>tro.38
[Ms. G, 25v; LdP, 917] [30] Della trasforatione39 delle piante in sé
La trasforatione dell’aria nelli corpi delle piante, e la trasforatione delle piante infra l’aria in longa distanza non si
dimostrano all’occhi, perché dove con fatica si comprende il tutto, con difficultà si conoscon le parti, ma fassi un
misto confuso il qual partecipa più di quello che è maggior somma come li trasforamenti dell’albero sono di par-
ticole d’aria alluminata, le quali sono assai minori della pianta, e però prima si perdono di notitia, che essa pianta,
ma non resta per questo che esse non vi siano, onde per necessità si fa un misto d’aria, e di oscuro dell’albero
ombroso, il quale insieme concorre all’occhio che ’l vede.
[Ms. G, 25v; LdP, 918] Dell’alberi, che occupano le trasfor<a>tioni l’un dell’altro
Quella parte dell’albero sarà men trasforata, alla quale s’oppone di dietro infra l’albero, e l’aria maggior somma
d’altro albero, come nell’albero A non si occupa trasforatione né in B. per non in essere alberi di dietro, ma in C
vi è sol la metà trasforata cioè C occupato dall’albero D, e una parte dell’albero D è occupato dall’albero E e poco
più oltre tutta la trasforatione dell’alberi, è persa.40
[occhio dell’osservatore, cerchi indicanti gli alberi41 ed effetti d’ombra]
[Ms. G, 26v; LdP, 888] [31] Quali termini dimostrano le piante nell’aria che si fa lor campo
Li termini, che han le ramificationi dell’alberi, con l’aria luminata quanto più son remoti, tanto più si fanno in
figura trahenti allo sferico, e quanto più son vicine, più si dimostran remote da tale sferità come A. Albero primo
che per esser lui vicino all’occhio dimostra la vera figura della sua ramificatione, la quale si diminuisce quasi in B
e al tutto si perde in C dove non che li rami d’essa pianta si vedeno, ma tutta la pianta con gran fatica si conosce.42
[alberi in fila su pendio]
[Ms. G, 27v; LdP, 914]43 Nelle compositioni dell’alberi fronduti sia avvertito di non replicare sovente un medesimo colore d’una pianta,
che campeggi sopra il medesimo colore dell’altra pianta, ma varialo con verdura [32] più chiara, o più oscura, o
più verde.
Sempre la foglia volge il suo dritto in verso il cielo acciò possa meglio ricevere con tutta la sua superficie la ru-
giada, che con lento moto discende dall’aria, e tali foglie siano in modo compartite sopra le loro piante, che l’una
occupi l’altra il men che sia possibile, con rinterzarsi l’una sopra l’altra, e tal rinterzamento serve a due cose, cioè
a lasciar l’intervallo dell’aria, che ’l sole possa penetrare infra loro, e l’aria, la 2ª ragione, è che le gocce, che cadono
dalla detta foglia possa cadere sopra la … < 4a o > la 6.ª dell’altri alberi.
[Ms. G, 28v; LdP, 872] De’ lumi delle foglie oscure
I lumi di quelle foglie saran più del color dell’aria che in lor si specchia, le quali sono di color più oscuro, e que-
sto è causato, perché il chiaro della parte alluminata con l’oscuro in sé compone color azzurro, e tal chiaro nasce
dall’azzurro dell’aria, che nella superficie pulita di tal foglia si specchia, e augumenta l’azzurro.44
De’ lumi <…45>
[Ms. G, 28v; LdP, 874]46 [33] Dell’alberi che sono alluminati dal sole, e dall’aria
Dell’alberi alluminati dal sole, e dall’aria havendo le foglie oscure saran da una parte alluminate dall’aria e per
questa tale alluminatione participeranno d’azzurro, e dall’altra parte saranno alluminate dall’aria, e dal sole, e quella
parte, che l’occhio vedrà alluminata dal sole fia lustra.
[Ms. M, 77v; LdP, 680]47 Quella parte del corpo sarà più alluminata, che fia ferita dal raggio luminoso infra angoli più eguali.
[ramo d’albero con lume solare e raggi48]
[Ms. H, 90v] Il lume de’ lumi, cioè il lustro di qualunque cosa non sarà situato nel mezzo della parte alluminata, anzi farà tante
mutationi, quanto farà l’occhio [34] riguardator di quello.
[corpo ombroso, lume solare e occhio dell’osservatore che osserva il lustro]
[Ms. Trivulz., 38v, LdP, 496]49 Le cose di rilievo d’appresso viste con un sol occhio parran simili a una perfetta pittura. Se vedrai con l’occhio AB.
il punto C. pareratti esso punto CMDF, e se la guardi col sol occhio G pareratti H in M; e la pittura non haverà
mai in sé queste due varietà.
[schema con punti diversi di osservazione, corpo opaco ed effetti diversi della percezione]

38
  Nel f. 24v del ms. G si legge: «fa all’atro».
39
  Nel titolo e nel rigo sottostante del Ms.: «trasfortazione». Nel f. 25v del ms. G si legge: «traforazione».
40
  Nel f. 25v del ms. G prosegue, dopo una virgola, con «e sol vi resta la laterale».
41
  Privi di lettere di riferimento presenti nell’originale.
42
  Nel precetto 888 del Libro di Pittura il testo continua.
43
  Manca la prima parte del precetto 914 (dal titolo: «Descrizzione dell’olmo»), cui corrisponde questa proposizione.
44
  Nel f. 28v del ms. G prosegue con: «che la detta chiarezza sol generare colle cose oscure».
45
  Ibidem prosegue con il precetto: «De’ lumi delle foglie di verdura traente al giallo», presente anche nell’H 229 inf., ma omesso nel nostro apografo.
46
  Il precetto 874, cui corrisponde questa proposizione, non compare nella tabella Steinitz.
47
  La proposizione è presente nel precetto 680 del Libro di Pittura... cit., pp. 400-401, ove però non compare il grafico allegato, e, in originale, nel ms. M, f. 77v, che però non
è riportato nell’elenco delle corrispondenze dalla Steinitz, in Leonardo da Vinci’s Trattato della pittura (Treatise on painting): a bibliography of the printed editions..., Copenhagen,
Munksgaard, 1958, p. 103. Proposizioni dagli stessi contenuti si ritrovano anche in C.A., f. 144 v-b (tav. 392v, nuova numerazione), nel ms. C, ff. 8v, 12r, 21v, nel precetto 694
del Libro di Pittura... cit., pp. 406-409, e nella p. 109 della sez. I/b del Codice Corazza.
48
  Il grafico appare specchiato come in originale nell’H 229 inf.
49
  Il precetto 496, cui corrisponde questa proposizione, ha per titolo «Precetto».

200
[Nota editoriale]
Delle figure ricercate, che non ti mandano alcune sono pertinenti al trattato della notomia delle cose [35] naturali, et altre al trat-
tato de’ colori, quali trattati sono nelle mani del re d’Inghilterra. E perciò li capitoli in tal materia non si son confrontati, l’altri
tutti son confrontati. E quanto alla verità del senso, e quanto alla frase del dire se non quanto all’ortografia, quale nell’originale è
un poco corrotta per la scrittura rovescia, e per essere alcuni scritti con lapis smarito. Nel resto se vi si è trovata cosa, che paia non
faccia senso, o pur qualche parola manca, si è lasciata così per esser conforme all’originale, però da correggersi da miglior giuditio.
Oltre alla gionta che s’è cavata del modo di formar paesi, et altri capitoli, con sue figure, che si mandano, si spera di cavar anche
il trattato dell’ombre, e lumi, se bene con un poco di tempo.
Delle figure, che si mandano, altre sono appartenenti al trattato da costì mandato, che perciò in fronte son segnate con il numero
del capitolo proprio. Altre sono appartenenti alla nuova aggionta de’ paesi segnatamente per alfabeto conforme all’alfabeto segnato
nell’istessa gionta.

[Sez. I/b]

[Ms. C, 25r] [39] Ombre, e lumi


Se la linea visuale, che vede l’ombra fatta dalla candela, fia con egual angolo a quella dell’ombra, parerà quasi
l’ombra fare sotto il suo corpo, che la caggiona, come fa la similitudine de’ corpi specchiati dall’acqua, che tanto
paiono sotto quella, quanto di sopra, così farà ess’ombra, che tanto apparerà col suo fine esser sotto al piano, dove
la si genera, quanto la sommità del corpo, che la caggiona, e sopra esso piano, come appare nella parete esser C.B.
quanto B.A. corpo: et C.B. star sotto a B.A. fa che tanto sia discosto l’occhio dalla parete, quanto dal lume.
E50
[occhio dell’osservatore, corpo con ombra e candela]
[Ms. C, 22r] Quel corpo ombroso farà due ombre derivative d’equal oscurità, che haverà doi lumi d’egual grandezza da sé
egualmente remoti.
H
[due candele uguali equidistanti dal corpo ombroso]
Se fra lumi sarà inframisso con equal distanza [40] un corpo ombroso, esso farà due ombre opposte, le quali si
variaranno tanto nelle loro oscurità, quanto fiano varie le potenze dei doi lumi opposti, che le creano.51
[Ms. C, 24r] Infra i corpi di pari qualità, che fian dell’occhio equalmente distanti, quello apparerà di minor figura, che da più
luminoso campo circondato fia.
Ogni corpo evidente fia di lume, e ombra circondato.
Quel corpo d’equal rotondità, che da lume, e ombra circondato fia, parrà haver tanto più grande l’una parte, che
l’altra, quanto fia più alluminata l’una dell’altra.
[Ms. C, 22r] Tal proportione havrà l’oscurità dell’ombra A.B. coll’ombra B.C., qual è la distanza de’ lumi infra loro, cioè, H.M.
con M.F.52
Il loco A.B. per esser vicino più al lume H che non è B.C. al lume F.A.B. fia tanto più chiaro, quanto più vicino
[41] al suo lume, più che non fu F. essendo i lumi d’equal potenza.
G
[due candele uguali non equidistanti dal corpo ombroso]
Se il lume XV. sarà equale al lume VY. tanto fia la varietà de’ lumi, quanto fia la lor grandezza.53
F
[due candele non uguali equidistanti dal corpo ombroso]
Ma se il lume grande è distante dal corpo ombroso, e ’l lume picciolo li sarà vicino, certa cosa è, che l’ombre si
potran fare d’equal oscurità, o chiarezza.
K
[due candele non uguali e non equidistanti dal corpo ombroso]
[Ms. C, 21v] Infra le cose d’equal grandezza quella fia più lontana, parrà più chiara, e di minor figura. Sempre la percussione
dell’ombra derivativa fia circondata da ombra mista col luminoso corpo.
Quella parte del corpo ombroso, che fia percosso da più grosso angolo luminoso, sarà più che alcun altra alluminata.
[Ms. C, 21r] [42] Quanto più l’ombra derivativa s’allontana dalla primitiva, tanto più partecipa di chiarezza.
I
[corpo luminoso e corpo ombroso più piccolo]
Tal proportione qual è il diametro dell’ombra derivativa, con quello della primitiva, tal troverai nell’oscurità
dell’ombra primitiva, con quello della derivativa. A.B. sia il diametro dell’ombra primitiva C.D. sia quello
dell’ombra derivativa: dico che entrando, come vedi, A.B. tre volte in C.D. l’ombra C.D. fia tre volte più
chiara, che quella di A.B.

50
  Le lettere si riferiscono alle figure, posposte al testo nell’apografo, ma promiscue nei fogli originali.
51
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, f. 98v della trascrizione dal Codice Corazza, appunto di Bossi: «vedi figura 2 variando la potenza de’ lumi».
52
  Ibidem, appunto di Bossi: «vedi figura 3 la distanza de’ lumi s’intende rispettivamente al corpo ombroso».
53
  Ibidem, appunto di Bossi: «vedi figura 2: Sembra che debba dire, tanta sia la varietà dell’ombre, quanta la varietà della grandezza de’ lumi».

201
Se la grandezza del corpo alluminante supera quella del corpo alluminato, accaderà intersegatione, doppo la quale
l’ombre divise concorreranno in doi diversi concorsi, come se da doi diversi lumi derivassero.
L
[due figure, con corpo luminoso e corpo ombroso più piccolo, e con due luminosi e un ombroso delle stesse dimensioni]
Quella parte dell’ombra derivativa fia più scura, la qual fia più propinqua a sua derivatione [43] e ciò accade, per-
ché, dove il più grosso angolo luminoso si congionge col più sotile ombroso, esso luminoso lo vince, e quasi lo
converte in sua luminosa natura: e così per opposito, dove il più grosso angolo ombroso si congiungerà col più
sotile luminoso, l’ombroso convertirà quasi in sua natura il congionto luminoso M.N. Si congiongono li angoli
della piramide ombrosa, e luminosa; l’ombra fia M.N.H. la luminosa fia O.P.H. l’ombrosa è la minore, che sia infra
B.C.D. e F.G.H. nate da M.N. ancora H. fia la maggiore infra le luminose piramide B.C.D. e F.G.H. nate in O.P.
M
[corpo luminoso e raggi sfioranti il corpo ombroso]
Sempre il più grosso angolo luminoso havrà per compagnia il minor angolo ombroso, e similmente troverai haver
il più grosso angolo ombroso sempre per confine il minor ombroso.
[Ms. C, 20v] [44] Tanto quanto il lume derivativo è di minor luce che l’orriginale, tanto meno le sue piramide aluminaranno
il loco da lor percosso.
Tanto meno le piramidi aluminaranno il loco da lor percosso, quanto li angoli di quelli fian più sutili.
N
[corpo luminoso più piccolo del corpo ombroso con ombre]
[Ms. C, 19r] Quanto sarà diversa l’oscurità de’ duoi raggi d’imperfetta ombrosità, tanto si diversificarà l’ombra, che resoltarà
dalla lor mistione dal suo primo essere.
A
[due corpi luminosi e due ombrosi più piccoli con ombre]
Impossibile è che della mistione di due perfette ombre, ne resolti ombra di più oscura qualità.
Possibile è che la commistione di due imperfette ombre resulti in ombra perfetta.
[Ms. C, 20r] Quella parte del reflesso fia più evidente, che terminarà il loco di maggior oscurità.
[Ms. C, 18v] Le figure dell’ombre spesse volte si somiglian al corpo ombroso loro orrigine, e spesse [45] al corpo luminoso lor
caggione.
Se la figura grandezza del corpo luminoso fia simile a quella dell’ombroso, l’ombre primetiva, e derivativa fian
della figura, e grandezza d’essi corpi, cadendo infra equali angoli.
O
[corpo luminoso e ombroso uguali con ombra su piano ortogonale all’asse di proiezione54]
L’ombra derivativa a certa distanza, non fia mai simile alla figura del corpo ombroso d’onde nasce, se la figura del
lume d’esso corpo alluminatore non sarà simile alla figura del corpo dal detto lume alluminato.
Il lume di longa figura farà che l’ombra derivativa nata da corpo rotondo fia larga, e bassa, benché sia percosso fra
angoli equali.
P
[corpo luminoso lungo con altro sferico all’interno e due corpi ombrosi sferici con ombre55]
Impossibile è che la figura dell’ombra derivativa fia simile a quella del corpo ombroso d’onde nasce, se il lume sua
caggione non sarà simile per figura, e per grandezza a esso corpo ombroso.
[Ms. C, 18r] L’ombrosa percussione nata da longo corpo ombroso, [46] e causata da rotondo luminoso, in certa distanza fia della
figura del corpo ombroso, e in certa altra del luminoso.
Q
[corpo luminoso sferico e due ombrosi lunghi con ombre56]
Benché il corpo ombroso, e luminoso sian di sferica rotondità, e di pari grandezza, nondimeno la sua ombra non
rassomigliarà la rotondità del corpo, onde nasce, anzi fia di longa figura, se caderà infra disequali angoli.
R
[corpo luminoso e ombroso sferici con ombra su un piano inclinato57]
[Ms. C, 17r] Il mezzo della longhezza di ciascun ombra derivativa, fia dritto al mezzo dell’ombra primitiva, e del lume
derivativo, e col centro del corpo ombroso, e del luminoso. Questo accade per necessità, imperocché le li-
nee luminose essendo rette, quelle che passaran dagl’estremi de’ corpi ombrosi, rinchiudono dentro al loro
concorso tutta quell’aria, che per l’oppositione d’esso corpo ombroso non può vedere il luminoso, e però si
fa scura, essendo il corpo equalmente abbracciato, e [47] quelli in sé fiano le parti dell’ombra al suo mezzo,
perché le parti universali del corpo ombroso ancora sono equidistanti dal suo mezzo e così ogni corpo in sé ha
mezzo. Essendo le sopradette linee luminose toccanti di ciascuna estrema cosa, che dentro a lor si rinchiuda,
elle sono equalmente distanti ai mezzi della longhezza di qualunque cosa da lor rinchiusa. R.S. e O.N. siano i

54
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
55
  Idem ut supra.
56
  Id.
57
  Id.

202
corpi ombrosi R.I.F. e così O.M.N. siano l’ombre d’essi (F.A.) M.A. siano le linee centriche di ciascun ombra,
lume, e corpo.
S
[corpo luminoso e due ombrosi sferici con ombra58]
Quella parte dell’ombra primitiva, e derivativa sarà tanto meno scura, quanto essa fia più distante dal suo mezzo.
Questo accade perché l’ombra quanto più si parte dal suo mezzo, essa è veduta da maggior quantità di raggi lumi-
nosi, e dove è maggior lume, è minor ombra. Il triangolo D.G.R. non [48] vede ponto il lume A.S. e similmente
la parte del corpo ombroso, che dentro a esso triangolo si rinchiude: il triangolo F.T.R. e così C.R.T. son veduti
dai lumi A.M./N.S. e saranno più rare ombre, e simili alla parte della palla, che nelli angoli si chiude: il triangolo
B.H.I. e così C.T.K. sono più chiare, e loro termini di fuori son fine dell’ombra, e così la parte della palla, che nelli
ponti delli angoli si chiude, perché ciaschun è veduto da mezzo il lume O.A./S.A.59
[T60]
[corpo luminoso e corpo ombroso più piccolo, sferici con ombra61]
[Ms. C, 16v] Il lume primitivo, e derivativo reflessi ricordanti ai corpi densi, e sferici fieno caggione, che i termini dell’ombra
primitiva d’esso corpo fia tanto più distinta, e terminata colla62 sua parte vicina a’ lumi, quanto il lume primitivo
fia più chiaro, che ’l derivativo.63
Quello si dice essere lume primitivo, il quale allumina primieramente i corpi ombrosi: e [49] derivativo è detto
quello, che da essi corpi resulta in quelle parti, che da esso primitivo lume sono remote. K se il lume primitivo,
che allumina il corpo ombroso in T.P. et i lochi A.B./C.D. si parte il lume derivativo, e ressalta nell’opposito corpo
in M.N.
B
[corpo luminoso e corpo ombroso più piccolo e di diversa forma, con ombra64]
Tutta la parte del corpo di N. fia più luminosa che in Q65 onde Q non è veduto se non da scempio lume, e però
fia scuro.
I raggi dupplicati per intersegatione ne’ lumi, e nell’ombre fiano ancora di doppia chiarezza, e oscurità. La parte om-
brosa di questo superiore corpo fia più chiara in M.H.N. che in T.Q.P. perché in essa parte s’intersegano i doi lumi
dirivativi reflessi, cioè A.B. e D.C. come appare nel triangolo N.M.O: e in T.M. non vede se non A.B. e non D.C.
Quella parte dell’ombra primitiva fia più luminosa, che più equalmente veder potrà i [50] mezzi de’ lumi derivati-
vi. Chiaro si può conoscere, che quella parte de’ corpi ombrosi, che è veduta da maggior quantità di lume, quella è
più luminosa, e massime essendo essa parte illuminata da duoi lumi, come si vede nei lumi reflessi, i quali mettono
in mezzo a sé l’ombra derivativa fatta infra loro dai corpi densi opposti. H. fia la parte del corpo più che altra in
esso luminosa perché equalmente è veduta dalle prime due potenze de’ lumi contra sé posti, cioè B. e la maggior
potenza del lume A.C. e similmente E fia la maggior potenza del lume D.F. e tutti due vedano in detto H/D.C. e
similmente A.F. perché sono estremi su le minor potenze, e queste vedano il corpo in R.O. et in V.T. essendo esso
loco visto da minor lume, più scura fia la parte da essi luminata. Tutto il triangolo O.R.H. [51] fia visto da doppii
lumi di varie qualità di chiarezza.
C
[corpo luminoso e corpo ombroso più grande e di diversa forma, con ombra66]
Ogni corpo luminoso con tutto sé e con la parte illuminata la parte è ’l tutto dell’obietto in contra sé converso.
Questa propositione è assai manifesta: e questo è, che non si può negare, che dove guarda tutta la pupilla dell’oc-
chio, che in esso loco non guardi ogni parte d’essa: e il luogo da essa pupilla veduto fa il simile in verso la pupilla.
A.C. sia il corpo luminoso D.F. sia l’obietto alluminato, il quale benché sia composto d’infiniti ponti, noi faremo
solamente la prova di tre, cioè D.E.T. Hora vedi E. esser veduta dalla parte del luminoso B. e dal tutto A.C. come
si dimostra per le linee A.E. e C.E. e ancora nel ponto D. vedi tutto A.C. e ’l centro B. e ’l medesimo trovarai in F.
e così accade per tutte le parti dell’obietto D.F.
[52] D
[corpo luminoso e raggi67]
[Ms. C, 14r] Se molti corpi ombrosi di quasi congionta vicinità fiano veduti in campo luminoso in longa distanza, pareranno
separati di grand’intervallo.

58
  Id.
59
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, f. 101v, appunto di Bossi: «Il triangolo BHI è veduto da’ lumi m.o. e similmente i lumi a.m. (ms. Daverio)», con
riferimento alla copia integrale del ms. C di Parigi, «De lumine et umbra», fornita a Bossi dall’archivista Daverio dell’Ambrosiana.
60
  La lettera manca, presente invece nell’H 227 inf.
61
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
62
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, appunto di Bossi: «nella»; ma nell’originale (cfr. ms. C, f. 16v) si legge effettivamente «colla».
63
  Ibidem, appunto di Bossi: «In luogo de’ termini dell’ombra primitiva, che non reggono il rimanente del periodo, si potrebbe dire, fieno cagione che l’ombra primitiva etc.».
64
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
65
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, appunto di Bossi: «perché vista da duplicato lume cioè a.b. e d.c. (ms. Daverio)»; la frase compare effettivamente
nell’originale (cfr. ms. C, f. 16v).
66
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
67
  Idem ut supra.

203
I raggi ombrosi di pari e d’imperfetta oscurità, i quali insieme si mischieranno, e radoppiaranno la quantità dell’o-
scurità68, perché ragion vuole, che dupplicata quantità si facci di dupplicata potenza N.S.M. et K.T.N. siano l’in-
corporate, e miste ombre imperfette, et K.M.S.T.N sia la dupplicata ombra quasi perfetta.
V
[corpo luminoso e due ombrosi sferici uguali con ombre69]
[Ms. C, 14v] Quella parte dell’aria participarà più della sua natural tenebrosità, la quale dal luminoso angolo più acuto fia per-
cossa. Chiaramente si comprende, che dove è minor angolo luminoso, sia minor lume perché la piramide d’esso
angolo ha minor basa, e per questo da essa minor basa, minor [53] numero di raggi luminosi concorre alla sua
ponta. L’angolo A ha maggior basa, che l’angolo B. la basa di A sia E.F. e quella di B sia G.H. adunque A ha maggior
basa, il quarto che B. è ’l quarto haverà più lume: C.D. ancora infra loro tengono simil differenza, perché C. vede
T.K. che è la metà del lume, et D. vede il quarto L.M.
X
[corpo luminoso e raggi attraverso uno spiracolo70]
Tenebre, e privation di luce.
Ombra, e diminution di luce.
Ombra primitiva è quella ch’è appiccata al corpo ombroso.
Ombra derivativa è quella, che si spicca da corpi ombrosi, e scorre per l’aria.
Ombra ripercossa è quella, ch’è circondata da luminata parete.
Ombra semplice è quella, che non vede alcuna parte del lume, che la caggiona.
L’ombra semplice comincia nella linea, che [54] si parte da’ termini dei corpi luminosi.
[Ms. C, 13r] Infra i colori dei corpi non fia differenza in longa distanza nelle loro parti ombrose.
Possibile è che la mista ombra derivativa causata da un sol lume per diversi corpi si possa intersegare, e sopraporre
l’una coll’altra. A.B.C e l’ombra mista derivativa, intersegata, e sopraposta l’una all’altra imperocché M.C. è ombra
di D, et B.N. è l’ombra di F. e tanto quanto tiene B.C.A. tanto l’un’ombra all’altra si soprapone.
Y
[corpo luminoso e due ombrosi sferici minori con ombre sovrapposte71]
[Ms. C, 12v] La percussione della dirivativa ombra nata e causata dal sferico corpo ombroso, e luminoso, è rotta per la percus-
sione da essa fatta sopra diversi corpi in varie distanze situati parerà all’occhio esser tonda, che d’avanti propinquo
al centro dell’ombra orriginale collocato fia.
[55] Z
[corpo luminoso e corpo ombroso sferici uguali, altri ombrosi minori e ombre72]
Qui il73 corpo ombroso di sferica rotonda sarà circolar ombra mista, il qual haverà infra sé e ’l sole interposto un
corpo ombroso di sia qualità.
O
[corpo luminoso e due ombrosi sferici più piccoli e ombra su piano]
[Ms. C, 11v] Qui il74 termine dell’ombra dirivativa fia più scuro, che da più chiaro lume derivativo circondato fia.
Infra l’ombra derivativa impressa fra diverse qualità d’angoli, quella parte, che si troverà infra angoli retti terrà il
primo grado d’oscurità.
AA
[corpo luminoso e corpo ombroso uguali, con ombre su piani diversi75]
S’il longo corpo luminoso fia della longhezza d’un corpo cruciale ombroso, l’ombra semplice derivativa della
parte traversa d’essa croce non si conducerà alla percussione.
AB
[corpo luminoso e corpo ombroso cruciforme, con ombre76]
[Ms. C, 11r] La figura dell’ombra derivativa haverà sempre conformità colla forma dell’original ombra.
[56] Il lume di cruciale forma fia cagione ch’il corpo ombroso di sferica rotond<it>à causarà di sé ombra di
cruciale figura.
AC
[corpo luminoso con spiracolo a croce e corpo ombroso sferico, con ombra su piano77]
Molte volte è possibile trovarsi ombra dirivativa senza ombra orriginale.
AD

68
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, f. 102v, appunto di Bossi: «di loro scurità (ms. Daverio)», che si legge anche nell’originale (cfr. ms. C, f. 14r).
69
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
70
  Idem ut supra.
71
  Id.
72
  Id.
73
  «Quel» nell’originale (cfr. ms. C, f. 12v).
74
  Idem (cfr. ms. C, f. 11v).
75
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
76
  Idem ut supra.
77
  Id.

204
[tre corpi luminosi sferici e corpo ombroso più piccolo, con ombra]
[Ms. C, 10v] Il raggio luminoso passato per spiracolo di qualunque strana forma a longo andare la stampa della sua percussione
fia simile al corpo luminoso d’onde nasce.
AE
[corpo luminoso sferico, piano con spiracolo di forma «strana» e raggi su piano78]
Impossibile è, che il raggio nato da sferico luminoso possa al lungo andare conducere nella sua percussione la
similitudine di nissuna qualità d’angolo, che sia nello spiracolo.
AF
[corpo luminoso sferico, piano con spiracolo di forma triangolare e raggi su piano79]
[Ms. C, 10r] Quanto di maggior splendore fia il corpo luminoso di tanta maggior oscurità fiano l’ombre fatte da corpi da esso
alluminati. [57] Tutti i corpi ombrosi di maggior grandezza che la popilla, i quali s’interporanno infra l’occhio e ’l
corpo luminoso, si dimostreranno d’oscura qualità.
AG
[corpo luminoso sferico, corpi ombrosi di diverse forme e occhio dell’osservatore80]
L’occhio posto infra il corpo luminoso, e i corpi da esso lume alluminati, vedrà i detti corpi senz’alcun ombra.
AH
[occhio dell’osservatore tra il corpo luminoso sferico e tre corpi ombrosi di diverse forme]
[Ms. C, 9v] La percussione fatta da ombrosi, e luminosi raggi sopra un medesimo loco, fia mista di confusa apparenza.
AI
[due corpi luminosi e un corpo ombroso sferici con raggi e ombra81]
La semplice percussione dell’ombra derivativa, non si moverà di sua oscurità, benché si muova, e mischi i suoi
raggi ombrosi.82
AL
[corpo luminoso sferico, corpo ombroso minore e raggi interposti tra l’ombroso e la sua ombra83]
[Ms. C, 9r] I luochi occupati dell’ombre causate da picciol corpo luminoso son per grandezza simili, e conformi a quegli di
che i raggi visuali son privati.
[58] AM
[raggi visivi e raggi luminosi a confronto, su corpo ombroso sferico con ombre su piano]
E ’l raggio luminoso passato per picciol spiracolo e rotto in propinqua oppositione, la stampa della sua percussione
fia più simile allo spiracolo d’onde passa, che al corpo luminoso d’onde nasce.
AN
[corpo luminoso e raggi attraverso un piano con spiracolo84]
[Ms. C, 8v] Quella parte della parete fia più oscura, o luminosa, che da più grosso angolo oscuro, o luminoso oscurata, o lu-
minata fia.85 E questo chiaramente in questa forma si prova. Diciamo M.Q. essere il corpo luminoso: e così R.G.
sarà il corpo ombroso, et AC sia la nominata parte86, dove i sopradetti angoli percuotanoli, rapresentando la natura
e qualità delle loro base. Hora A fia più luminoso, che B perché la basa dell’angolo A è più grossa, che quella di
B. e però fa87 più grosso angolo, il quale fia A.M.Q. e la piramide B.P.M. fia più stretta: e più sottile fia di quella la
piramide M.O.C. e così di man in [59] mano quanto più s’appressa a C. fiano le piramide più strette, e più oscure.88
Quel ponto della parete fia di minor chiarezza nel quale la grossezza della piramide ombrosa supera la grossezza
della luminosa. Nel ponto A. fia di tanta potenza la piramide luminosa quanto l’ombrosa, perché la basa F.G. è
simile alla basa F.R. e nel ponto D. la piramide luminosa fia tanto più utile più sottile, che l’ombrosa, quanto la
basa S.F. è minore della basa F.G.
AO
[corpo luminoso con raggi che superano un ostacolo, con ombra89]
Dividi la sopradetta propositione in due figure cioè, prima con le piramide ombrose, e l’altra con le luminose.
[Ms. C, 8r] I raggi ombrosi, e luminosi sono di maggior potenza90 nelli ponti loro, che nei lati.
Benché le ponte delle luminose piramide s’estendino in ombrosi siti, e quelli delle piramide ombrose discorrino i

78
  Id.
79
  Id.
80
  Id.
81
  Id.
82
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, ivi, f. 105r, appunto di Bossi: «nel ms. Daverio si legge qui aggiunto: La figura destra sta bene sopra detta
proposizione», che si legge anche nell’originale (cfr. ms. C, f. 9v).
83
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
84
  Idem ut supra.
85
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, f. 105r, appunto di Bossi: «ms. Daverio La sopradetta proposizione», che si legge anche nell’originale (cfr.
ms. C, f. 8v).
86
  Ivi, f. 105v, appunto di Bossi: «pariete», che si legge anche nell’originale (cfr. ms. C, f. 8v).
87
  Ibidem, appunto di Bossi: «fia (ms. Daverio)», ma nell’originale (cfr. ms. C, f. 8v) si legge effettivamente «fa».
88
  Ibid., appunto di Bossi: «(ms. Daverio) e più sottile sia quella m.o.c.», che si legge anche nell’originale (cfr. ms. C, f. 8v).
89
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
90
  Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7, f. 105v, aggiunta di Bossi: «e valitudine», che si legge anche nell’originale (cfr. ms. C, f. 8r).

205
luminosi luoghi, e, che infra le luminose nasca da [60] maggior basa l’una, che l’altra; nondimeno se per caggione
di varie longhezze esse luminose piramide prevenghino a equal grossezza d’angoli, saranno di pari lume infra loro;
e ’l simile faranno le piramide ombrose, come si dimostra nelle tagliate piramide A.B.C. e così D.E.F. che benché
elle naschino di varie grandezze di base, pur son simili di grandezza e di lume.
AP 91
[piramidi luminose e ombrose passanti per un vano di finestra92]
La figura del corpo luminoso, ancora che participasse del longo in longa distanza parirà di rottondo corpo. Questo
si prova nel lume delle candele, che benché sia longo, pure in longa distanza pare rotondo; e questo medesimo
può accadere alle stelle, che, ancora che fossino come la luna cornute, la longa distanza le farebbe parer rotonde.
AQ
[proiezione ortogonale di corpo anulare su un piano da lume di candela]
Perché in questo caso l’ombra derivativa si dimostra nel mezzo della sua altezza A.B. [61] scura, e nelli estremi C.
D. non si discerne.
[Ms. C, 7v] Tre sono le figure dell’ombre, imperocché se la materia, che fa l’ombra è pari al lume, l’ombra è simile a una
colonna, né ha termine alcuno.
A.R.a.
[corpo luminoso e ombroso sferici uguali, con ombra93]
Se la materia è miglior, che ’l lume, l’ombra sarà simile a una retrosa, e contraria piramide, e la sua longitudine è
senza alcun termine.
ARb
[corpo luminoso più piccolo dell’ombroso, con ombra94]
Ma se la materia è minore, che la luce, l’ombra fia simile a una piramide, et è finita, come si dimostra nell’ecclisse
della luna.
Arc
[corpo luminoso più grande dell’ombroso, con ombra95]
[Ms. C, 5r] Quel corpo luminoso parerà più splendido, il quale da più oscure tenebre circondato fia.
AS
[corpo luminoso più grande, tre ombrosi, con ombra derivativa96]
La larghezza, e longhezza dell’ombre, e del lume, benché per gli scorti si facci più stretta, e più corta, non dimi-
nuirà, né crescerà la qualità, e quantità di sua chiarezza et [62] oscurità.
L’offitio dell’ombra, e del lume diminuito per gli scorti sarà da ombrare, e l’altro da illuminare il contraposto corpo
secondo la qualità, e quantità, che a esso corpo appare.
Quanto più l’ombra derivativa s’avvicinarà a’ suoi penultimi estremi di tanta maggior scurezza apparerà. AB. sia la
parte dell’ombra primitiva B.C. sia il lume derivativo. D. sia il luoco dell’intersegatione FG. sia l’ombra derivativa
F.E il lume derivativo / G.E. è doppo la intersegatione sol veduto dalla parte dell’ombra yz. Piglia per intersega-
tione l’ombra M.N., e per drittura l’ombra AM. onde ha doi tanti più d’ombra che GE. yx vede per intersegatione
N.O. e per dritto N, M.; A/ Onde yx si dimostra havere tre tanti più, che z.Gix. F vede per intersegatione O.B. e
per dritto vede O. [63] H.M.A / *Onde yx si dimostra havere tre tanti più, che z.G.ix. F. vede per intersegatione
O.B. e per dritto vede O.H. M.A/* 97. Onde diremo adunque, che l’ombra, ch’è tra FX sarà quattro tanti più scura
che l’ombra z.G. perché è vista da quattro tanti più d’ombra.
AT
[raggi luminosi, ostacolo e ombre98]
[Ms. C, 4v] Quella parte della superficie de’ corpi, che fia percossa da maggior angolo delle specie de’ contra sé posti corpi,
più si tingerà nel color di quelle.
Sì come una cosa tocca da maggior somma de’ raggi ombrosi si fa più scura; così quella si farà più chiara, che da
maggior somma di raggi luminosi fia percossa. 4: sia la parte dell’alluminato, 4, 8. che circonda per la percussione
dell’ombra, 9, 8, 4; e fia esso loco, 4, più luminoso, perché egli vede minor somma d’ombra che non fa nel loco, 8,
perché 4: vede solamente [64] l’ombra T.H et 8. vede, et è percosso dall’ombra A.C. e dall’ombra T.H. e duoi tanti
più scuro, e questo medesimo accade quando l’aria col sole metterai al loco dell’ombra e del lume.
AV
[corpo luminoso sferico più grande dell’ombroso, con ombre99]

91
  Ivi, f. 106r, aggiunta di Bossi: «Del lume (ms. Daverio)», che si legge anche nell’originale (cfr. ms. C, f. 8r). Si noti che questa è l’ultima postilla di Bossi.
92
  Nel ms. originale il grafico è capovolto.
93
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
94
  Idem ut supra.
95
  Id.
96
  Id.
97
  Il brano tra asterischi è stato erroneamente ripetuto. Per cancellarlo è stato sottolineato e presenta tre linee verticali ai margini esterni e al centro, in corrispondenza
del capoverso.
98
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
99
  Idem ut supra.

206
Il concorso dell’ombra nata, e terminata infra propinque, e prime superficie di pari qualità, e retta oppositione,
haverà più oscuro fine, che principio, il quale terminarà infra la percussione de’ luminosi raggi.
AX
[corpo luminoso sferico con ombra tra due ostacoli100]
Quella proportione troverai d’oscurità infra l’ombre derivative infra AH quale fia quella della vicinità de’ corpi lu-
minosi M.B. che gli causano: e se essi corpi luminosi fiano di pari grandezza, ancora troverai tal propositione nelle
grandezze delle percussioni de’ cerchi luminosi dell’ombre, qual è quella [65] della distanza d’essi corpi luminosi.
AZ
[due corpi luminosi sferici, un ombroso più piccolo e ombre101]
[Ms. C, 4r] Quella parte del reflesso, fia più chiara, della quale i raggi della reflessione fian più corti.
BA
[corpo luminoso sferico e raggi interrotti da ostacoli102]
L’oscurità fatta nelle percussioni dell’ombroso concorso haverà conformità col suo principio la quale fia nata, e
finita infra propinque, e piane superficie di pari qualità, e retta oppositione.
Quanto maggior fia il corpo luminoso, tanto più il concorso degl’ombrosi, e luminosi raggi sia insieme103 misto.
L’effetto di questa propositione accade, perché dove si trova essere maggior somma di raggi luminosi, lì sii maggior
lume, e dove ne è meno minor lume rissolta, onde i raggi ombrosi si vengono a mischiar insieme. M. vedi, che è
veduto da tutto il corpo luminoso A.G. Onde diremo, che infra la percussione de’ raggi luminosi di [66] M.S. M.
tener il principato del lume. /H vede A.F. che sono i cinque sesti del lume /O. vede A.E. che sono i doi terzi del
lume./ P. vede A.D. che è mezzo il lume /Q. vede A.C. che è il terzo del lume /R è visto da A.B. cioè un sesto
di lume/ S. vede A. fine del lume, e qui commincia l’ombra reale104, e semplice. E questo deriva, che li ponti delle
piramide M.N.O.P.Q.S. le quali son note sul corpo luminoso A.G. quanto fiano più strette, da minor basa derivano,
e minor lume fanno in pari distanza.
BB
[corpo luminoso sferico, raggi con ostacolo e ombre105]
[Ms. C, 3v] Di tutte le propositioni, ch’io farò, s’intende, che ’l mezzo, che si trova infra corpi, sia per sé equale.
Quanto minor fia il corpo luminoso, tanto più distinto fia il concorso luminoso dall’ombroso.
BC
[piccolo corpo luminoso, raggi con ostacolo106]
Quando due piramide ombrose opposte [67] nascenti da un medesimo corpo fia l’una all’altra per oscurità dup-
plicata, e per figura semplice i duoi lumi causa di quelle fiano infra loro di dupplicato diametro e distanza da esso
corpo ombroso l’un l’altro duplice.
BD
[piccolo corpo ombroso tra due luminosi, con raggi e ombre107]
Se l’obietto fia mosso con tardità dinanzi al corpo luminoso, e la percussione dell’ombra d’esso obietto sia lontana
da esso obietto, tal proportione haverà il moto dell’ombra derivativa col moto della primitiva, quale haverà lo
spacio, ch’è tra l’obietto e ’l lume, con quello che è fra l’altro obietto, e la percussione dell’ombra in modo, che
movendosi l’obietto con tardità l’ombra fia veloce.
BE
[corpo luminoso, due piccoli ombrosi e ombre108]
[Ms. C, 3r] Quel corpo luminoso parerà di minor splendore, il quale da più luminoso campo circondato fia.
Nessuna parte del corpo luminoso mai fia veduta [68] dalla piramidale pur ombra derivativa. Impossibile è che
infra la biforcuta, e mist’ombra derivativa vi sia parte, onde lo intiero corpo luminoso veder si possa.
[Ms. C, 2v] Se il corpo ombroso e ’l luminoso fiano di sferica rotondità tal proportione haverà la basa della luminosa piramide
col suo corpo luminoso, quale ha la basa dell’ombrosa piramide col suo corpo ombroso.
BF
[corpo luminoso, corpo ombroso più piccolo e ombra109]
Quanto alla percussione fatta dall’ombroso concorso nella contra sé posta parete fia più distante al corpo luminoso,
e più propinqua a sua derivatione, tanto più scura, et i termini più distinti appariranno.
BG

100
  Id.
101
  Id.
102
  Id.
103
  Nel Ms.: «inscieme».
104
  Nel Ms.: «reali».
105
  Nel ms. originale il grafico è collocato in posizione orizzontale.
106
  Idem ut supra.
107
  Id.
108
  Id.
109
  Id.

207
[corpo luminoso lontano dal corpo ombroso, quest’ultimo vicino ad una parete110]
[Ms. C, 2r] Il corpo alluminato dai solari raggi passati per le grosse ramificationi delle piante, farà tante ombre, quanto è il
numero delli rami, che infra il sole, et esse interposti sono.
[69] BH
[corpo luminoso più piccolo del corpo ombroso, con ombra]
La percussione degl’ombrosi raggi nati da piramidal corpo ombroso, sarà di biforcuta figura, e varia oscurità, nelle
sue ponte.
Il lume, che sarà maggior della ponta, e minor della basa del contra sé posto piramidal corpo ombroso farà che
l’ombroso causarà in sua percussione ombra di biforcuta figura, e varia qualità di securezza.
Se il corpo ombroso minor del luminoso fa due ombre: et il corpo ombroso simile al luminoso ch’è il maggiore
ne fa una, é conveniente cosa che il corpo piramidale, che ha parte di sé minore, parte pari, e parte maggiore del
luminoso facci ombra biforcuta.
BI
[corpo luminoso, tre corpi ombrosi di diverse dimensioni e ombre111]
[Ms. C, 1v] I retti termini di corpi pareranno rotti, che terminaranno il loro tenebroso rigato da percussione de’ luminosi
raggi.
BL
[corpo luminoso, corpo ombroso più piccolo e ombre112]
[Ms. C, 1r] Quella inferiore, e superiore stremità della derivativ’ombra fia men, che la letterale distanza, la quale da lume più
alto che largo causata fia.
[70] BM
[corpo luminoso, corpo ombroso più piccolo, ombre primitiva e derivativa113]
[Ms. C.A., 258v-a] Quando il lume di longa figura genera l’ombra derivativa in congiuntione rettangola coll’ombra primitiva, allhora
l’ombra derivativa in ogni … grado della sua longhezza diminuisce la sua prima oscurità e questo si prova per
la 4ª di questo dove dice, tanto perde d’oscurità l’ombra derivativa, quanto ella si fa più remota della sua ombra
primitiva.
Quanto l’angolo, che si genera nella congiuntione dell’ombra derivativa colla sua primitiva sarà più grosso,
tanto il termine dell’ombra derivativa fia di minore oscurità; e questo nasce per la detta quarta perché quanto
l’angolo creato dalla congiuntione dell’ombra derivativa coll’ombra primitiva sarà di maggior grossezza, all-
hora li oppositi stremi di tall’ombre saranno più remoti l’un dall’altro, e per la quarta sarà l’ombra derivativa
di minor oscurità.
Seguita la conversa di questa sopradetta. [71] Tanto sarà più oscuro l’estremo dell’ombra derivativa, quanto
l’angolo, che si genera nella congiontione dell’ombra primitiva coll’ombra derivativa fia più acuto; e questo si
prova per la conversa della quarta, che dice, quella parte dell’ombra derivativa sarà più oscura, la quale fia più
vicina alla sua ombra primitiva; adunque essendo l’angolo di maggior accuità, causa di far più vicini li suoi
lati, egli è necessario, che l’ombra primitiva, e l’ombra derivativa delle quali, i lati di tali angoli si compongano
ancora loro si faccino infra lor più vicine.
Delli termini dell’ombra derivativa
Quel termine dell’ombra derivativa sarà più scuro, e più noto, il qual fia più vicino alla sua ombra primitiva. Pro-
vasi per la seconda di questo, che dice, nel contato che ha l’ombra derivativa con la sua ombra primitiva, quivi
la congiuntione delle ombre semplici, con le composte son incensibili [72] perché cominciando in angolo, elle
cominciano in ponto: come si prova nella diffinitione dell’angolo, che dice, angolo retto essere il concorso di due
linee rette in un medesimo ponto; et angolo curvilineo esser composto di curvelinee, con varie distanze dal centro
del lor cerchio.
Tanto, e meno puote l’ombra dirivativa, che la primitiva, quanto ella sarà più distante da essa primitiva.
Seguita la conversa. Tanto, é più simile in oscurità l’ombra derivativa all’ombra primitiva, quanto tall’ombra deri-
vativa è più vicina a essa ombra primitiva.
Dell’uniformità dell’ombra derivativa
Ma l’ombra derivativa fia di più uniforme oscurità la quale haverà distanza più uniforme della sua ombra primitiva.
E questo si prova per la 4ª. e 5ª. di questo, dove si dice nella 4ª. quella parte dell’ombra derivativa fia più scura, che
sarà più vicina all’ [73] ombra primitiva, e per la quinta quella parte dell’ombra derivativa sarà di minor oscurità, la
quale è più distante all’ombra primitiva seguita per queste due contrarie, che quella che è d’uniforme distanza da
tall’ombra primitiva fia d’uniforma oscurità.
Come l’ombra derivativa ancorché ella sia generata da un / sol lume, sempre è divisa
nella sua ponta biforcuta, / come se generata fosse da doi lumi
L’ombra generata da un sol lume sempre è divisa nella sua ponta biforcuta, come se generata fosse da doi lumi.

110
  Id.
111
  Id.
112
  Id.
113
  Id.

208
A.B.O. è alluminato da tutto il lume C.D.O., ma più in A. dove tutto D.C. vede, che in B. dove tutto il me-
desimo C.D. finisce la sua veduta nel quale A subito finendo essa veduta del C.D. lume, comincia la veduta del
scuro D.E et il campo è tinto d’essi simolacri chiari, e scuri. Lo spacio O.P.A.S. comincia scuro in P.S. perché
vede l’oscurità [74] in D.C., e va rischiarando in sino all’S. là dove sempre acquista maggior veduta del lume
D.C. e finito esso chiarore ricommincia il campo ON a riscurare per esser tal campo veduto dall’oscurità D.C.
e fassi tanto più scuro, quanto più s’avvicina all’O.N. e ’l simile fa dalla parte opposta; B.N.114
[corpo luminoso, corpo ombroso uguale, raggi e ombre]
Delle ombre, che non si congiunge /la primitiva, con la derivativa
B.O.
[raggi luminosi e corpo ombroso]
Questa figura è quella, che si descrive qui di sotto: e dicesi delle parti del triangolo NN. cioè li suoi lati G.O.P. et
Q.N.M. veduti dal lume V.X.S. et Y.E.R. il quale è tanto più, o meno alluminato, quanto esso è più vicino, o remo-
to dalla linea G.O; overo Q.M: la quarta, che manca di sotto in D. fia lo spacio P.S.B. il qual tanto più si rischiara,
quanto più [75] si rimove dall’angolo P. e questo si prova mediante la sesta, che dice quella parte del corpo om-
broso sarà di minor oscurità, che da maggior quantità di luminoso fia alluminato. Adunque è conchiuso il nostro
proposito perché quanto i lati del triangolo P.S.B. più si rimovano dal ponto P. tanto più lume vedano dal CD., e
tanto di maggior somma di luce son veduti.
Restaci a sapere se la piramide della semplice /ombra derivativa è d’uniforme oscurità o no115
Havendo noi provato la causa della figura, et oscurità di che si compone la semplice ombra derivativa, et oltre a
questo provato la figura, et oscurità dell’ombra composta circondatrice della semplice ombra, restaci a provare la
massima chiarezza del campo circondatore dell’ombra composta, la quale così provaremo. Sia adunque la linia O.A.
termine dell’ombra composta OBA la qual come è detto, è veduta da tutto il lume C.D. e tanto più è alluminata,
quanto essa [76] é più vicina alla linea O.A. dove vede tutto il lume C.D. e tanto meno è alluminata, quanto più
s’appropinqua all’opposito lato Q.S. Adunque la linea OA è la più chiara parte d’ess’ombra derivativa, perché tal
linea si continua con O.D. termine del lume C.D. Dopo la qual linea O.A. immediate comincia il rimanente del
campo a rischiarare, cioè il campo O.A.N. il qual campo acquista tanto maggior oscurità, quanto ei si rimove più
da essa linea del chiarore. E questo si prova perché mediante tal remotione sempre vede maggior quantità del
campo oscuro, laterale del lume C. D. cioè l’oscurità D.E.
B.O.116
[corpo luminoso, corpo ombroso uguale, raggi e ombre]
[Ms. C.A., 250v-a] Impossibile è che per nissuna distanza illuminosa possa il mezzo dell’opaco sferico alluminare, perché gli angoli
A.B.D. et B.C.F. equali esser non possono sopra la linea centrale B.N.
[77] B.P.
[piccolo corpo luminoso e corpo ombroso con raggi]
Quanto il luminoso fia più propinquo all’ombroso, tanto più n’allumina, essendo il luminoso maggior dell’opaco.
Quanto il luminoso sarà più propinquo all’ombroso, tanto meno n’alluminarà se esso luminoso dell’ombroso fia
minore.
Ma quanto il luminoso minore dell’ombroso fia più distante da esso ombroso, più ne alluminerà.
E se il luminoso maggiore dell’ombroso fia allontanato dall’ombroso, sempre diminuirà la somma alluminata in-
sino vicino al mezzo.
[Ms. C.A., 251r-a] Così di converso, quanto il lume sarà maggiore, che la cosa opposta più ne vedrà, e minor sarà l’ombra nella parete.117
B.Q.
[raggi e corpo ombroso]
Quanto più distante è il lume più vede la palla, e minore è l’ombra nella parete MO.
B.R.
[raggi e corpo ombroso]
Quanto il corpo luminoso A vede men d’un corpo [78] sferico, tanto maggior ombra fa nella parete B.C.
B.S.
[raggi e corpo ombroso]
[Ms. C.A., 256r-c] Infra li spiracoli di pari grandezza, quello, che sarà in più grossa parte renderà più oscura e minor percussione.
Ogni corpo fa raggi.
In ciascuna parte di qualunque raggio concorre piramidalmente la similitudine di quella parte del corpo che a
essa linea è volto.
B.T.
[raggi e corpo ombroso]
Tutta la parte del corpo volta al raggio, che di sé risulta con piramidal concorso, e tutta per tutta essa linea è tutta

114
  Si tratta in realtà del riferimento alla figura, non collocato come altrove al centro a seguire.
115
  Sul margine sinistro di altra mano: «questa seguente propositione discorre la sopraposta figura ma l’autore non v’ha posto le lettere».
116
  In realtà la figura di riferimento è la B.N.
117
  Sul margine sinistro, di altra mano: «questa non è la conversa della sopradetta».

209
in ogni parte di quella. Quel colore, che è più alluminato meglio si dimostra nella percussione fatta da’ suoi raggi
dentro allo spiracolo.
I raggi luminosi faranno maggior l’ombre dei corpi che s’oppongano infra lo spiracolo, e la percussione, i quali
corpi fian tocchi da raggio manco luminoso.
Quanto al corpo ombroso sarà più propinquo alla [79] percussione de’ raggi la sua ombra osservava più la forma
della sua derivatione.
Le qualità de’ raggi sono due, cioè luminoso, e ombroso.
La percussione del raggio luminoso fia circondato di quella similitudine delle cose, che circondano il corpo lu-
minoso.
Nella percussione delli raggi si dimostrano le parti della natura di sua caggione.

Della natura delli spiracoli


Lo spiracolo è composto di più lati, e quello che n’ha meno, men dimostra la verità delle cose: quello che n’ha più,
meglio e massime quando le parti dei lati sono equalmente distanti al centro dello spiracolo.
[Ms. C.A., 262v] La prima percussion del raggio solare è alluminata in verso al centro suo B. dal semplice suo corpo solare, et in
A.B. et B.C. è alluminato dall’aria O.P., N.M. il quale fa mista tal percussione, che non è semplice lume del sole.
Et inverso gl’estremi A.C. non s’allumina [80] se non dalle parti, che sono inverso il centro del sole; sì che tra
mancare il transito e ’l lume del sole, e appondare il lume dell’aria essi-spacii A.B. et B.C. vanno forte oscurando
invero i loro estremi A.C.
Nella seconda percussione del raggio solare, AC vede tutto il corpo solare, e sarebbe forte luminoso, se l’oscurità
dell’aria laterale non corrispondesse tale splendore colla sua oscurità, cioè B.A., et D.C. è veduto, oltre alla veduta
del sole da OH. et G.M. / AB et CD mancando e ’l lume del sole in ogni grado di distanza dal suo centro R, in
fine A.D. estremi sol sono alluminati dal centro del sole, come mostra il triangolo A.D.R. e lo spacio detto A.B. è
veduto da O.P. e lo spacio C.D. da NM. che l’oscurano. Nella B.C. é pur veduto da tutto il corpo del sole BV.118

[Ms. C.A., 241v-c] Della proportione ch’è dal luminato alluminato / da un medesimo lume luminoso
Tal sarà la proportione delle chiarezze, che haranno li [81] siti alluminati da un medesimo luminoso, qual fia il
numero delli spiracoli per li quali esso luminoso alluminarà il predetto sito. Provarai per la decima posta qua da
basso doppo questa.

Dello splendore moltiplicato tolto da un sol luminoso


Lo splendore d’un medesimo luminoso in pari distanza si farà di tanta maggior potenza, quanto fia maggior il
numero delli spiracoli, d’onde esso penetra alla sua impressione, e questo è provato per l’istessa decima da basso.
Ma ancor si prova con la terza decima dell’altro libro, dove dice quella parte d’un sito sarà più alluminato, che da
maggior numero de’ luminosi fia veduto.
S’intersegano gli raggi delle specie ombrose, e luminose doppo le penetrationi da lor fatte dentro alli spiracoli,
voltando in contrarii aspetti ogni parte della lor grossezza.
BX
[intersezioni di specie ombrose e luminose]
[Ms. C.A., 241v-d] Della percussione dell’ombra derivativa
La percussione dell’ombra derivativa, non sarà mai della [82] figura del corpo ombroso et il luminoso causa
ess’ombra non ha figura simile a quella d’esso corpo ombroso, e se gli raggi ombrosi, che confinano colli raggi
luminosi non fiano infra loro equali in longhezza.
L’ombra non si dimostrerà mai d’uniforme oscurità nel luoco dove essa si taglia, se tal loco non è equidistante al
corpo luminoso. Provasi per la 7ª che dice, quell’ombra si dimostrarà più chiara, o più scura, che fia circondata da
campo più scuro, o più chiaro, e per l’ottava di questo, quel campo harrà le sue parti tanto più scure, o più chiare,
quanto ei sarà più remoto, o più vicino al corpo luminoso.
E infra li siti d’equal distanza al luminoso, quel si dimostrerà più alluminato, che riceve li raggi luminosi infra
angoli più equali. Sempre l’ombra segnata in qualunque in qualità di sito si dimostrerà con li suoi veri termini
equali al corpo ombroso, se l’occhio si pone dove il centro del luminoso. Quell’ombra si dimostra più scura, ch’è
più [83] remota dal suo corpo ombroso.
In tutti gli offitii dell’ombre tal fa il lume sferico, qual fa l’occhio nella virtù visiva, perché un sferico opaco in-
terposto infra l’occhio, e la parete, tanto occuparà esso sferico di tal lume a detta parte, quanto farebbe all’occhio.
L’ombra C.D nata dallo a sé equidistante corpo ombroso A.B non si dimostra equale in oscurità per essere in
campo di varie chiarezze.
BZ
[corpo luminoso e due corpi ombrosi di diversa forma, con ombre]
[Ms. C.A., 241r-c] Quando la intersegatione di doi ombrosi columnali, genera le sue ombre derivative, mediante i doi luminosi

118
  Si tratta in realtà del riferimento alla figura, non collocato come altrove al centro a seguire.

210
allhora è necessario generarsi quattro ombre derivative, le quali ombre son composte, e queste tali ombre
s’intersegano in quattro lochi, e di queste intersegationi ve n’è due, che compongano ombra semplice, e due
restan d’ombra composta, e queste due semplici son generate dove li duoi lumi veder non possano: e le om-
bre composte si generano dove uno de’ duoi lumi non può alluminare: ma le intersegationi [84] dell’ombre
composte, sempre son generate da un sol luminario, e le semplici da duoi luminosi: e la intersegatione destra
dell’ombra composta è generata dal lume sinistro: e la intersegatione sinistra è generata dal lume destro; ma
le due intersegationi dell’ombre semplici, così la superiore, come l’inferiore son generate dalli duoi luminosi,
cioè lume destro, e lume sinistro. Provasi sia s. l’intersegationi delli doi ombrosi columnali AF et B.L. e le
ombre derivative generate da tali corpi ombrosi siano A.A. et A.B. generati dalli doi luminosi superiori AB. e
li medesimi doi luminosi generano le altre due ombre derivative BB. et AA. ma ciascuna dell’ombre, che si in-
tersegano non nascano da essi doi lumi. E questo si mostra perché levate il lume B. resta l’ombra AA. e l’ombra
B.A. intersegate nel ponto X e queste due ombre allhora per la levatione di tal lume restano ombre semplici
per esser [85] generate da un sol luminoso, e per la nona di questa, che dice nessuna quantità d’ombre semplici
generate da più ombrosi mediante un sol luminoso può generare intersegationi infra sé, se gl’ombrosi causatori
d’esse ombre infra loro non s’intersegano. Adunque noi habbiamo dimostrato le due intersegationi laterali
non genera<n>te altra oscurità dentro, che si sia quella ch’è fuori di tal intersegatione: e questo nasce perché
l’ombra è così scempia in tale intersegatione, nelli corpi ombrosi, come ella è fuori d’essa intersegatione, perché
l’ombra dell’ombroso primo si stampa adosso all’ombroso secondo, che gli è in contatto nell’intersegatione, e
per questo non descende al pavimento dove si taglia l’altr’ombra derivativa. E se tu farai la figura cruciale senza
sopraporre in tale intersegatione, allhora essa sarà per tutto scempia, e scempia fia l’ombra derivativa nella sua
intersegatione, e per questo non può acquistare oscurità nell’intersegatione sua. [86] Ma l’ombra BB et AA che
sono dupplicate nelle lor due intersegationi RF e per esser tra l’ombre create dalli doi luminosi A.B. nella loro
intersegatione perdono li doi luminosi et il rimanente sol perde un de’ suoi luminosi. Ma l’intersegatione V.X.
non perde alcun luminoso, perché ciascun di loro vede sempre un de’ doi luminosi.
C.G. C.H. C.I. C.K. C.L.
[piccoli schemi con raggi, corpi luminosi e intersecazioni di ombre]
[Ms. C.A., 241r-d] Del lume/Che potenza è quella del lume moltiplicato in potenza
Tanto acquista di potenza il lume diminutivo in quantità, quanto esso diminuisce essa119 quantità. Molti /minimi
lustri in longa distanza si continuano, e si fan noti.
Che potenza é quella del lume moltiplicato in quantità
Tanto diminuisce di potenza il lume derivativo quanto esso acquista di magnitudine.
[87] Natura del lume che penetra li spiracoli
Prima del lume, che penetra li spiracoli, è da dubitare se esso ricompone con la dilatatione delli suoi raggi tanta
larghezza d’impressione doppo tal spiracolo, qual è la solitudine del corpo causatore d’essi raggi, et oltre a questo,
se tal dilatatione fatta dalli raggi doppo la lor intersegatione ricompone tal larghezza, doppo lo spiracolo, qual fu
quella ch’era inanti allo spiracolo, essendo tal spacio del luminoso allo spiracolo, qual è dall’impressione dei raggi a
esso spiracolo, e questo si prova mediante la rettitudine delli raggi luminosi, li quali (fu portato) che tal proportione
è dalla larghezza alla larghezza, qual è da distanza a distanza della loro intersegatione.
Ma la potenza non va con la medesima proportione, com’è provato, onde dice, che tal proportione è da calore
a calore, e da splendore a splendore delli raggi luminosi in pari mezzo, qual è da distanza a distanza della loro
orrigine.
[88] Adunque é provato che tanto perde di calore, e splendore il raggio luminoso, quanto ello è più remosso dal
suo corpo luminoso.
Vero è che l’ombre composte derivative, che nascono dalli labri di tal spiracoli rompono tal regola, mediante le
loro intersegationi.
CA. CD.
[corpi luminosi, raggi attraverso spiracoli e ombre su piani]
Della proportione che han l’impressioni de’ lumi / in parti sopraposte l’un all’altra
Tal fian le proportioni de’ lumi, che si generano nelle impressioni de’ raggi luminosi in parti sopraposte l’una
all’altra, quale è quella che hanno il numero delle impressioni, che infra lor si soprapongono. Provasi nella seconda
figura, e siano li raggi luminosi MN.B. et M.C. li quali penetrano per li spiracoli O.P. all’impressione B.C. le quali
impressioni si soprapongono in parte l’una all’altra nello [89] spacio N/ Dico N spacio alluminato, esser il doppio
più chiaro del rimanente delle due impressioni B.C. perché N. è veduto due volte dal luminoso M et B/ et C è
veduto una sol volta. E per la seconda di questo.Tal fia la proportione dal luminoso al luminato, qual fia da numero
a numero de’ luminosi alli luminati, et in pari distanza. Et il simile accade alla figura 3ª dove Q.M.O.P. hanno un
grado di chiarezza DR.G.H. n’ha doi E.H.C.I. n’ha tre, et A n’ha quattro, adunque diremo, che tanti son li gradi
de’ lumi, quanto è il numero delli spiracoli.
CF

119
  Nel Ms.: «diminuisse esa».

211
[corpi luminosi, raggi attraverso spiracoli e ombre su piani]
[Ms. C.A., 238r-b] Per la semplice provatione delle linee intersegate al termine dell’obietto ombroso tutte le percussioni delle specie
luminose sarebbono d’equal chiarezza, imperocché AB. quarto del luminoso risponde in G.F quarto della percus-
sione, et B.C. con G.H. ch’è similmente quarto del luminoso, e della percussione: e così [90] fanno gli altri doi
quarti, onde K.F. sarebbe d’equal lume, ma l’esperienza nol conferma.
C.M. C.N.
[piccoli schemi con raggi, corpi luminosi e intersecazioni di ombre]
Adunque mostrando l’esperienza, come la percussione de’ raggi luminosi in ogni parte d’altezza acquista gradi
d’oscurità, e non essendo concluso dalla prima figura la seconda la conclude, perché tutto il lume A.E. vede I/ e
tre quarti d’esso lume B.E. vede H/ e ’l mezzo lume DC vede G, e ’l quarto lume DE vede F. adunque F è men
luminoso, che I. Per questo nasce una consequenza, cioè che se tu movi un obietto ombroso infra e ’l luminoso,
e lo spiracolo, e che tu lo movi da P. in R. tu vedrai descendere l’ombra di quello in contrario moto nella percus-
sione del raggio ombroso cioè da K in I.
[Ms. C.A., 277v-a] [91] Operatione dell’ombra composta
Sempre le operationi delle ombre composte sono di contrarii moti, cioè se sarà tocco da corpo opaco, il concorso
delli raggi luminosi avanti che pervenghino alle loro intersegationi, tutte l’ombre di quel corpo rompitore del
raggio superiore si dimostrerà della datale120 intersegatione nella percussione del raggio inferiore. E sì come il rag-
gio superiore si fa inferiore doppo l’intersegatione, così li moti, che fa l’ombroso dentro a tal raggio superiore si
mostrerà di contrario moto doppo tale intersegatione. E questo si dimostra nella percussione dell’ombra composta
sopra il pavimento nella parete percossa dal sole o altro luminoso.
Ma se il raggio luminoso sarà impedito da corpo opaco alquanto doppo la sua intersegatione, allhora la percussio-
ne dell’ombra derivativa del corpo opaco farà il moto simile al moto del suo corpo opaco. E se tali raggi saranno
impediti dal proprio sito [92] della loro intersegatione, allhora l’ombre dell’opaco saranno due, e si moveranno con
contrarii moti l’un all’altro, prima, che venghino alla unione.
[Ms. C.A., 297v-a] La linea E.D. vede il corpo luminoso in ogni parte della sua longhezza, e la linea BK vede mezzo il medesimo
corpo luminoso, e la terza linea P.Q. vede tutto l’ombroso C.D. e tutto il luminoso A.C. Per quel ch’è detto
di sopra lo spacio Q.G. sarà tanto meno scuro, quanto ei s’avvicina più alla linea D.G., e lo spacio G.F. fia tanto
meno chiaro.
C.O.
[corpo luminoso, corpo ombroso e raggi con ombre]
[Ms. C.A., 236r-a] Infra li corpi d’equal magnitudine, il più remoto dal luminoso farà la piramide ombrosa longa figura.
Quel corpo ombroso farà la sua ombra derivativa semplice di maggior basa, il qual fia più remoto dal suo luminato.
[93] C.P.
[piccolo schema con corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombre]
Quanto l’ombroso è maggior del luminoso, e s’avvicinarà più al luminoso da maggior quantità d’esso luminoso
fia luminoso.
Ma se il corpo ombroso sarà equale al corpo luminoso, allhora la quantità, che l’un dell’altro vede mai si varierà
in nessuna varietà di distanza.
C.S.
[piccolo schema con corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombre]
Quella parte del corpo ombroso sarà più alluminata, che da maggior quantità del corpo luminoso fia alluminata.
C.T.
[piccoli schemi con raggi, corpi luminosi e intersecazioni di ombre]
La parte di quel corpo men s’allumina, che è più remota del suo alluminatore, non li essendo accresciuto quantità
di raggi luminosi dal medesimo corpo luminoso.
C.V.
[piccolo schema con corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombre]
Un medesimo luminoso si dimostra di maggior, o minor splendore, quanto ei si fa più vicino o remoto dalla cosa
da lui alluminata.
Sempre li lati esteriori della composta ombra derivativa son veduti da tutto il corpo luminoso.
[94] Mai nessuno de’ lati interiori dell’ombra composta derivativa, vede parte alcuna del corpo luminoso. Quanto
più la piramide conversa creata dalle ombre de’ compositi si rimoverà dal suo angolo, tanto più vedrà del corpo
luminoso; ma non mai lo vedrà mezzo. Over tanto più, che mezzo, quanto il luminoso fia maggiore del corpo
ombroso.
Come l’ombra dell’angolo ottuso si fa acuta di lati curvi
Di lati curvi, e acuta si fa l’ombra derivativa dell’angolo ottuso con verso di lati rettilinei. E questo si prova, e sia il
luminoso A.H. del quale tutti li suoi raggi vedano l’angolo ottuso C. del triangolo rettilatero K.G.C.
C.Q.

120
  Nel Ms.: «dattale».

212
[corpo luminoso, corpo ombroso con raggi]
[Ms. C.A., 236r-c] Che differenza è da ombra a simulacro
La diffe<re>nza che è da ombra semplice del corpo ombroso al simulacro d’esso corpo, è, che tal ombra [95]
semplice non penetra dentro alli minimi spiracoli, come il simulacro del medesimo corpo ombroso. Provasi, e sia il
corpo ombroso C.D. e ’l luminoso, compagno dell’ombroso alle generationi dell’ombre sia AB. e lo spiracolo per
il quale penetrino le predette specie al loco oscuro V.M.N.H. sia R. dico, che l’ombra semplice derivativa s’inter-
sega prima in esso P. che pervenga allo spiracolo N. e si dilata in modo, che non può penetrare per esso spiracolo.
C.X.
[corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombre]
[Ms. C.A., 230r-b] Quanto il corpo ombroso è più vicino al corpo luminoso, tanto il medesimo albore è più remoto dalla massima
ombra derivativa da lui circondata.
Il termine della massima ombra derivativa è più oscuro che il suo mezzo.
Quella parte dell’ombra derivativa sarà più scura, che vedra maggior somma d’oscurità, e quella fia di minor oscu-
rità, che oscurità di minor quantità. [96] Il mezzo d’uniforme transparenza dà il contra a121 qualunque specie di
qualunque colore, e figura, senza occupation di sito in esso mezzo.
A.B. vede il fine dell’ombra C.D. e però è ombra derivativa, e di poca oscurità. |E C. vede tutta l’ombra C.B. e per
questo è ombra di molta oscurità. |N.M. vede la metà dell’ombra C.B. e per questo è ombra di mezzana oscurità;
e per tal dimostratione habbiam provato la massima ombra derivativa esser più scura nelli estremi, che nel mezzo.
|T.R. et S.F. sono d’osservata oscurità perché in ogni parte della lor longhezza vedano una medesima oscurità
C.B.H.O. |la piramide S.T. si tinge di colore delli suoi obietti, e così fa il suo campo, e per questo essa piramide
è in sé variabile nelle sue parti con diverse oscurità, che ella vede dove più, e dove meno dell’obietto oscuro C.B.
[97] DA
[corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombre]
Quanto GI son minori tanto li albori circondatari dell’ombra massima sono più stretti. Perché l’ombre intersegate
doppo l’ombra massima, quanto più s’avvicinano a tale ombra massima, tanto più perdono d’oscurità. ACO sia
l’ombra massima C.O.D.N. /AOB.M. sono l’ombre intersegate sopra l’ombra massima C.AO. dico tali ombre nel
separarsi dall’ombra massima, quanto più lontano vanno, più s’oscurano per alquanto spatio, e questo si è perché
li albori delli doi lumi semplici, e la … che procede, et il … oscuro misto col lume da tal campo circondato D.B.
D.B.
[due corpi luminosi, corpo ombroso, raggi e ombre]
[Ms. C.A., 229r-b] Delle ombre semplici
Il lume H.M. è causa, che l’ombroso columnale OS. fa le due ombre O.F. et O.G. et il simile fanno i lumi N.M.
al corpo H.P. nel generar l’ombre P.L. et P.K e per tal causa le ombre semplici derivative [98] B.C si giongeranno
in tali intersegationi BC, e non nelle intersegationi D.E. Perché B.C. non vede alcuno delli doi lumi. Ma D.E.
vede essi doi lumi, cioè uno ne vede l’ombra O.G. e l’altro vede O.F. le quali sono due ombre composte. Adunque
quella intersegatione di tali ombre composte vede, o vero è veduta dalli doi lumi; ma li doi lumi non veggano essa
intersegatione, perché sarebbe destrutta tale ombra, ma ciascun’ombra vede un sol lume in tutta sua longhezza, e
ciascun’ombra insieme gionta con l’altra non farà ombra semplice, perché semplice è quella, che non vede alcun
luminoso, e qui in tale intersegatione ciaschun per sé sola vede il suo luminoso, e mai l’una può vedere il luminoso
dell’altra. Seguita, che tall’ombra resta senza raddoppiare oscurità, e senza esser destrutta per veder li doi lumi.
[99] D.C.
[piccoli schemi con raggi, corpi luminosi e intersecazioni di ombre]
[Ms. C.A., 204r-a] L’operatione de’ lumi col suo centro122
Se tutto il lume fosse quello, che causasse l’ombre doppo i corpi a quello contraposti, converrebbe, che quello cor-
po, che é molto minore, che il lume facesse doppo se un’ombra piramidale, e la sperienza nol mostrando conviene,
che il centro d’esso lume sii quello, che facci tall’offitio. A.B. sia la grandezza del lume d’una finestra, la quale dia il
lume a un bastone ritto in piè da AC e da AD dove la finestra tutta intieramente dà il suo lume. In C.E. non può
vedere quella parte della finestra ch’è infra L.B. e similmente D.F. non vede AM e per questa caggione in questi
doi luoghi comincia a stremare il lume et cetera.
DD.
[schema con raggi, corpo ombroso e intersecazioni di ombre]

[Ms. C.A., 190r-b] Come, e dove l’obietto oscuro si mischia con la sua ombra /derivativa, e col lume derivativo dal corpo luminoso
L’ombre derivative dalla parte oscura collaterali dello [100] splendore della finestra son quelle che con le loro
varie oscurità si meschiano col lume derivativo della finestra, e con varie oscurità, tutto lo tingano, eccetto nel
lume massimo C. Provasi, e sia D.A. l’ombra primitiva, la quale tutte vede, e fa oscuro con la su’ ombra derivativa
il ponto e come si dimostra per il triangolo A.C.D. del quale l’angolo C. vede tutta la basa oscura D.A. et il ponto

121
  Nel Ms.: «ai».
122
  In calce a destra, di mano di V. Corazza: «leggi centro v.c.»

213
V. è veduto dall’oscurità A.S. parte dell’A.D. e per esser più il tutto, che la parte C. che vede tutto della basa, sarà
più oscuro che V. che ne vede parte mediante la conclusione di sopra, e la figura F sarà meno oscura del V perché
la basa del F triangolo è parte della basa del triangolo V e similmente succede P meno oscuro che F perché la basa
del triangolo P é parte della basa del triangolo F ch’è termine dell’ombra derivativa, e principio massimo della
massima parte alluminata.
[101] D.E.
[pianta di edificio con raggi penetranti da un vano di finestra e passanti per un vano di porta]
Perché il lume derivativo, che passa per spiracolo /il loro oscuro non fa la percussione di uniforme chiarezza
AB sia il lume primitivo d’una finestra RS sia lo spiracolo d’onde il lume derivativo penetra nel loro oscuro
XFOV/ O.C. sia la percussione del lume derivativo nella parte oscura. O.V. <h>o nel pavimento d’esso loco.
Dico che in tal percussione O.C. fatta dal raggio luminoso non sarà alluminato d’uniforme schiarezza, e questo
si prova mediante la quarta di questo che dice quella cosa sarà più alluminata, che in pari distanza da maggior
quantità di luminoso fia veduta. Adunque essendo nella percussion del raggio luminoso O.C. la parte C. veduta
da tutto il luminoso AB egl’è necessario che C. ponto sia più massimo luminoso alluminato che il ponto E; il
quale è veduto da DB parte d’esso luminoso: e così il ponto G sia men luminoso che E; perché è alluminato
da F.B. [102] parte del DB: e similmente M sarà men luminoso, che G perché egli è veduto da NB parte del
FB onde seguita che ’l ponto E é termine di tall’alluminato, et è principio di massima oscurità della massima
ombra derivativa, perché del ponto O. oltre a esser termine nel luminoso A.B. come è dimostrato egli vede
tutto l’ombroso B.C.
BF123
[pianta di edificio con raggi penetranti da un vano di finestra e passanti per un vano di porta]
[Ms. C.A., 187v-a] Nessun lume longo mandarà la vera forma delle / ombre separate da corpi sferici alle pareti
Nessun ombra separata potrà stampare su la parete la vera forma del corpo ombroso s’il centro del lume non fia
equidistante agli estremi d’esso corpo.
[Ms. C.A., 187r-a] Se voi vedere il termine spedito, e netto delle separationi dell’ombre semplici dalle miste habbi una stamigna fatta
di carta onta di [103] trementina, e oglio, nella quale dia il lume del sole, e di dentro poni una sottile asta perforata
d’equali busi fatti sopra un circolo in otto parti, d’equale distanza l’uno dall’altro: e sia il diametro d’esso circolo
un mezzo brazzo e un mezzo brazzo porrai lontano dal centro di detto circolo inverso te un corpo sferico denso:
di poi porrai infra l’occhio tuo e detto corpo un sottil foglio di cancellaria, il quale tocchi il corpo sferico, che fia
il suo diametro un’onza, e riguardando l’ombra sua dietro a essa carta parverai l’ombra d’esso corpo nella simili-
tudine figurata a ponto.
DG
[piccolo schema con raggi e corpi luminosi]
E se vorrai vedere l’ombre semplici con tutta la minuta de’ gradi, fa una stella de’ raggi che siano larghi negl’e-
stremi, come nel principio a ponto: e quella volgi al sole ponendo dritto il corpo sferico ombroso, e poi la carta,
e poi sia l’occhio tuo come dissi di sopra.
[104] DG
[piccolo schema con raggi e corpi luminosi]
[Ms. C.A., 177r-b] Dell’ombra semplice
Perché nella intersegatione AB. delle due ombre composte E.F., M.C si genera l’ombra semplice, e così in
AH, et MG e non si genera tall’ombra semplice nelle due altre intersegationi C.D. fatte dalle medeme ombre
composte dette di sopra.
Risposta. L’ombre composte son miste di chiaro e scuro, e le semplici sono di semplice oscurità, adunque delli
doi lumi N.O. l’uno vede l’ombre composte da un lato, e l’altre vede l’ombre composte dell’altro, ma nissun
vede le intersegationi A.B. e però è semplice ombra, ma nell’ombra composta vede l’uno, e l’altro lume.
E qui nasce un dubio per l’avversario: perché dice nell’intersegatione dell’ombra composta per necessità, vede
li doi lumi causatori dell’ombre, e per questo tall’ombre si debbono annullare, conciosiaché dove non vede li
doi [105] lumi, noi diciamo l’ombra esser semplice, e dove vede un sol di doi lumi noi diremo tall’ombra esser
composta, e dove vede li doi lumi esser ombra annullata, perché dove vede li doi lumi non si genera ombra di
nessuna sorte, ma solo compone la chiarezza del campo circondator dell’ombre.
Qui si risponde esser vero il detto dell’avversario il qual sol fa mentione di quella verità che è in suo favore:
ma se ei aggiongerà il rimanente, conchiuderà esser vera la mia proposta, e questo è che se vedendo li doi lumi
in tale intersegatione, tali ombre sarebbono annullate, questo confesso esser vero, quando le due ombre non
vedessino nel medesimo sito, perché se dove un’ombra, e un lume si genera ombra composta, e dove vede due
ombre, e doi lumi, similmente non si può variar in parte alcuna ess’ombra, essendo le ombre equali, e equali
li lumi. E questo si prova nell’ottava di proportione [106] dove dice tal proportione la semplice potenza, con
semplice resistenza, qual ha dupplicata potenza con dupplicata resistenza.
DH

123
  In realtà la figura di riferimento è la DF.

214
[piccolo schema con raggi e corpi luminosi]
[Ms. C.A., 150r-a] Sono le qualità de’ corpi solidi di due varie nature, delle quali la prima è detta opaca, e la seconda transparente: la
opaca è quella per la quale i raggi luminosi penetrar non possano, doppo la percussione le lor superficie, e queste
restano nel sito dell’incidentia, dando a quelle lume di diverse qualità, le quali saranno in diversi siti collocati con
lume di maggior, e minor quantità, e più brievi, che in tal parte concorsi fiano: e questa tal varietà fia insensibile
ne’ termini d’esse qualità.Tutte le parti del corpo alluminato, le quali veggono tutto il cierchio del corpo luminoso
saranno infra loro tanto più differenti in chiarezza, quanto più propinque al corpo luminoso.
[107] Nessun corpo vede il luminoso, che non sia veduto da esso luminoso.
La superficie de’ corpi opachi, i quali saranno di sferica figura son alluminati in doi differenti modi de’ quali l’uno
è quella parte, che vede integralmente il cerchio del corpo luminoso, l’altra è quella, che manca dalla quantità del
predetto cerchio: quella, che vede tutto il cerchio ella è ancora tutta circolare, e circolare paralella è quella, che
nol vede intiero.
Quell’obietto fia più alluminato, che in pari distanza del corpo luminoso vede più esso luminoso, e così è converso.
Quanto il luminoso fia più propinquo all’alluminato, tanto più si varia in sé le parti d’esso alluminato, che vede
tutto cerchio del corpo luminoso.
Quanto il luminoso è più propinquo all’alluminato, tanto maggiori sono le differenze de’ lumi, che esso luminato
riceve dal luminoso, e sono infiniti nei confini, et insensibili.
[108] Quanto il luminoso è più vicino al luminoso, tanto maggiori sono le varietà de’ lumi che esso dà nel suo obietto.
La quantità della parte alluminata de’ corpi opachi si dividerà in due parti, delle quali, la prima è quella, che d’ogni
sua particula vede intieramente il circolo del corpo luminoso, la seconda è quella, che s’estende dal tagliamento
d’esso circolo luminoso in sino a tutto il suo perdimento.
Tutta la quantità dell’obietto, che vede il luminoso, è veduta, e alluminata da esso luminoso. E quella, che
vede la parte, è veduta dalla parte, e non dal tutto. E quella che vede il tutto, è veduta dal tutto, e dalla parte.
E quella sarà più alluminata che è veduta da maggior quantità di lume: e manco alluminata sarà quella, che da
minor somma di luminoso sarà veduta. E quella parte dell’obietto, che sarà più [109] vicina al luminoso, sarà
con minor somma, e più potente lume alluminata. E quella parte dell’obietto, che sarà più remota da maggior
somma, e manco luminosi fia veduta.
[Ms. C.A., 144v-a] Perché i termini dell’ombra derivativa, fian termini di chiaro, e di scuro
L’effetto della sopradetta propositione accade, perché dove si mischia maggior somma di raggi luminosi bisogna
confessare esser maggior lume, e dove se ne trova meno minor lume ne risulta; onde i raggi ombrosi divengono a
mistarsi, e turbidare il primo lume.
[Ms. C.A., 144v-b] Dove li angoli delle base fatte dalle luminose piramide sopra i corpi fiano più acuti, e sottili, li fian di minor luce.
Quel lume che infra angoli più equali caderà sopra la parte degl’ombrosi corpi farà essa parte più luminosa.
[Ms. C.A., 83r-b] Differenza è li raggi passare per il spiracolo, e passare per aria libera, perché li raggi passati per li spiracoli hanno
una parte, che s’intersegano [110] e una parte no quelli s’intersegano, che si partano dallo estremo in verso il mezzo
del luminoso, quelli non s’intersegano, che sono partiti dal mezzo del luminoso in tanta quantità, quantità è quella
dello spiracolo, e questo concorso di raggi ha figura colonale.
Ma se li raggi luminosi passano liberi per l’aria, qui non accede d’intersegatione, e se tu dicessi, che la interse-
gatione fosse in quell’aria vicina allo spiracolo, io lo confessarò esserne fuori, e dentro, e per tutte tali opposte
distanze, dinanzi, e doppo tale spiracolo; e dagl’estremi del luminoso si portano raggi, che s’intersegano dinanzi
allo spiracolo, e ancor se ne partano raggi che s’intersegano dentro a tal spiracolo, e dalli medesimi ponti estremi
del luminoso si partano raggi infiniti, che fanno infinite intersegationi infra alla prima intersegatione fatta fuori
dello spiracolo alla seconda intersegatione fatta dentro dello spiracolo.
[Ms. C.A., 37r-a] [111] Provasi perché l’ombra O.P.C.H è tanto più oscura quanto ella s’avvicina più alla linea P.H et è tanto più
chiara quanto essa s’avvicina alla linea O.C. e sia il lume A.B. finestra e la parete oscura, dove tal finestra è collocata
sia B.S. cioè un de’ lati della parete, adunque diremo la linea P.H. esser può oscura, che altra parte dello spacio
O.P.C.H. perché essa linea vede, et è veduta da tutto lo spacio ombroso della parete B.S. ma la linea O.C. é più
chiara, che altra parte dello spacio O.P.C.H. perché essa linea vede lo luminoso AB.
DI
[piccolo schema con corpo luminoso, raggi e ombra]
[Ms. C.A., 349v-d] Il lume derivativo fia circondato dall’ombra primitiva.
L’ombra derivativa sarà circondata dal lume derivativo.
Il lume derivativo fia circondato in tutto, o in parte dalle ombre primitive, o derivative.
[Ms. A, 113v] [112] Modo dove debbano terminare l’ombre fatte dagli obietti
Se l’obietto fia questa montagna qui figurata, et il lume fosse il punto A. dico che da B.D. e similmente da C.F.
non fia lume, se non per raggi reflessi, e quando nasce, che i raggi luminosi non s’adoprano se non per linea retta
e quel medesimo fanno i secondi raggi che sono reflessi.
P.A.
[piccolo schema con profilo di montagna, fonte di luce e raggi]
[Ms. A, 113r] Come si deve connoscere qual parte del corpo debba esser più o meno luminosa, che l’altre
Se F fia il lume, e la testa sarà il corpo da quello alluminato, e quella parte d’essa testa che riceve sopra di sé il raggio

215
fra angoli più equali sarà più alluminata: e quella parte, che riceverà i raggi infra angoli meno equali fia meno lumi-
nosa. E fa questo lume nel suo offitio a similitudine del colpo, imperocché il colpo, che caderà infra equali angoli
fia in primo grado di potenza, e quando [113] caderà infra disuguali sarà tanto meno potente che ’l primo, quanto
li angoli fiano più dif<f>ormi. Exempli gratia; se gettarai una palla in un muro, che l’estremità siano equidistanti a
te il colpo caderà infra equali angoli: e se gettarai la palla in detto muro stando da una delle sue estremità, la palla
caderà infra disequali, e il colpo non si appicherà.
P.B.
[piccolo schema con profilo maschile, fonte di luce e raggi]
Come i corpi accompagnati da ombra, e lume sempre variano i lor termini
del color, / e lume di quella cosa, che confina colla sua superficie
Se vedrai un corpo, che la parte alluminata campeggi, e termini in campo scuro, la parte d’esso lume, che parerà di
maggior chiarezza fia quella che terminarà con lo scuro in D. e se detta parte alluminata confina col campo chiaro,
il termine d’esso corpo alluminato parerà men chiaro, che prima. E la sua somma [114] chiarezza apparirà infra il
termine del campo in F., e l’ombra.
E questo medesimo accade all’ombra, imperocché il termine di quella parte del corpo adombrato, che campeg-
gia in loco chiaro in L. parerà di molta maggior oscurità, che il resto, e se detta ombra termina in campo scuro,
il termine dell’ombra parerà più chiaro, che prima, e la sua somma oscurità fia infra detto termine, e ’l lume nel
ponto O.
[P.C]
[piccolo schema con corpo ombroso, raggi e ombra]
De’ colmi de’ lumi, che si voltano, e transmutano / secondo che si transmuta l’occhio veditore d’esso corpo
Poniamo che il corpo detto sia questo tondo qui da basso figurato, e che il lume sia il ponto A e che parte del
corpo alluminato sia B.C. e che l’occhio sia nel ponto D. dico che ’l lustro, perché è tutto per tutto, e tutto nella
parte stando nel punto D. parerà nel ponto C., e tanto quanto l’occhio si transmutarà [115] da D. all’A. tanto il lustro
si transmutarà da C.AN.
P.D.
[piccolo schema con corpo ombroso, raggi e ombra]
[Ms. A, 110r] Dell’ombra fatta da un corpo situato infra doi eguali lumi
Quel corpo, che si troverà collocato infra doi equali lumi moverà da sé due ombre, che equali si drizzeranno per
linea ai doi lumi, e se rimoverai detto corpo, e farai lo più presso all’uno de’ lumi, l’ombra sua, che si drizzerà al
più propinquo lume fia di minore oscurità, che quella, che si drizzerà al più lontano lume.
Quel corpo che è più propinquo al lume fa maggior ombra, e ’l perché
Se un obietto anteposto a un particolar lume fia di propinqua vicinità vedrai, a quello fare ombra grandissima
nella contraposta parete, e quanto più allontanerai detto obietto dal lume, tanto si diminuirà la forma d’ess’ombra.
[116] Perché l’ombra maggior della sua caggione si fa di discordante proportione
La discordanza della proportione dell’ombra grande più che la sua caggione, nasce perché il lume essendo minore,
che l’obietto, non può essere d’equal distanza all’estremità d’esso obietto, e quella parte, ch’è più distante più cre-
sce, che le propinque, e però più cresce l’ombra.
Perché l’ombra maggior della sua caggione ha termini confusi
Quell’aria, che circonscrive il lume, e quasi di natura d’esso lume per chiarezza, e per colore, e quanto più s’al-
lontana, più perde la sua similitudine, e trovasi alluminata dal lume, e dall’aria luminosa; onde quest’aria lascia i
termini confusi dell’ombra.
[Ms. A, 109v] Come l’ombra separata non fa mai simile per grandezza della sua caggione
Se li raggi luminosi sono, come sperienza [117] conferma causati da un sol ponto, e in corso circolare al suo ponto
si van disgregando, e spargendo per l’aria, quanto più s’allontanano più s’allargano, e sempre la C.D. posta fra il
lume, e la parete, è portata per ombra maggiore, perché dei raggi che la toccano gionto il concorso alla parete, è
fatto più largo.
P.E.
[piccolo schema con corpo luminoso e raggi]
[Ms. A, 102r] Che cosa è ombra, e lume
Ombra è privation di luce, e sola opposition de’ corpi densi opposti ai raggi luminosi. Ombra è di natura delle
tenebre. Lume, è di natura della luce: l’uno cela: l’altro manifesta: sono sempre in compagnia congionti ai corpi: e
l’ombra è di maggior potenza che ’l lume, imperocché quella prohibisce, e priva interamente i corpi della luce, e
la luce non può mai cacciar in tutto l’ombra de’ corpi, cioé corpi densi.
[118] Che differenza è da ombra congionta coi corpi a ombra separata
P.F.
[due piccoli schemi con corpi ombrosi, raggi e ombre]
Ombra congionta è quella, che mai si parte dai corpi alluminati, come sarebbe una palla, la quale stante al lume
sempre ha una parte di sé occupata dall’ombra, la quale mai si divide per mutation di sito fatta da essa palla. Om-
bra separata può essere, e non essere creata dal corpo. Poniamo che essa palla sia distante dal muro un brazzo, e
dall’opposta parte sia il lume: il detto lume mandarà in detto muro tanta dilatatione d’ombra, quant’è quella, che si

216
trova su la parte della palla, che è volta a detto muro: quella parte dell’ombra separata, che non appare fia quando il
lume fia di sotto alla palla, che la sua ombra ne va inverso il cielo, e non trovando resistenza per il camino si perde.
Opinione d’alcuni, che il triangolo non facci in una parete alcun’ombra
Sono stati alcuni matematici, che hanno tenuto per [119] fermo, che un triangolo, che habbi la basa volta verso il
lume non facci in una parete alcun ombra, la qual cosa provando dicendo così, nissun corpo sferico minore che ’l
lume possi aggiongere alla metà coll’ombra: le linee radiose sono rette: adunque poniamo che il lume sia G.H. e ’l
triangolo sia L.M.N. e la parete sia I.K. Dicano i lumi G. veder la faccia del triangolo L.N. e la parte della parete
I.Q. e così H. vede <come> G. la faccia L.M. e poi vede L.N. e la parete P.K., e se tutta la parete è vista da lumi
G.H conviene essere il triangolo senz’ombra, e chi non ha ombra non la può dare: la qual cosa pare in questo
caso credibile se il triangolo N.P.Q. non fosse visto da doi lumi G.H. Ma I.P. e così V.K non è ciascun per sé visto
se non da un solo lume: cioè I.P. non può essere visto da H./ Q.K. non sarà mai visto da G. adunque P.Q. fia più
chiaro il doppio che [i due visini spazi che tengan d’ombra124] I.P. / KQ.
P.G.
[due schemi con raggi e ombra]
[Ms. A, 97r] [120] Del lume, che opera in ogni sua quantità in sé lo centro luminoso
PH
[corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombra]
Se il lume grande sferico illuminasse un altro corpo sferico molto minore di lui converrebbe se i raggi luminosi si
partissero dalle superficie de’ lumi, che il corpo minore fosse abbracchiato, et illuminato più che mezzo: essendo
così l’ombra dove più lontana della sua caggione ne fosse raccolta in sino al suo fine e renderebbe minore; e la spe-
rienza mostra in contrario, perché i lumi delle candele che sono longhi, e stretti, quando alluminassero un picciol
corpo, l’ombra che haverebbe a essere nella parete rotonda, sarebbe larga, e bassa per questa raggione, poniamo che
A.B.C.D. sia l’altezza, e larghezza del lume; se le superficie hanno a operare AB. alluminarà il corpo sferico, tanto più
che mezzo, quanto è da P.N, o da I.S. e l’ombra sua nella parete [121] parerà molto minore, che quella che nel corpo
sferico le superficie della grossezza de’ lumi in C.D. alluminaranno il corpo sferico in P.y, cioè nel mezzo: essendo così
l’ombra della parete anderà larga a similitudine di quella della palla. Adunque l’ombra della palla fia larga, e bassa, e
come questa fia quella della parte, la quale essendo dimostrata dalla sperienza di forma rotonda è sempre maggiore
della sua caggione, convienci annullar l’una, e l’altra dimostratione di sopra, e confessare il centro d’ogni lume essere
caggione dell’ombra e la sperienza fa così A.B. sia la parte C.D. la palla è una linea, e sia il lume: misura quanto è dal
lume al muro, e da la linea al lume, di poi misura l’ombra, e fa due linee, che si avvicini lì alla distanza ch’è dal muro
al lume, e largo come l’ombra, e in esse linee guarda se la linea C.D. [122] e la sua distanza torna, e entra nelle linee.
P.H.
[corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombra]
[Ms. A, 95v] Ogn’ombra con tutte sue varietà, che per distanza cresce in larghezza più della sua caggione, le sue linee esteriori
si congiungano insieme infra il lume, e ’l corpo ombroso, questa propositione chiaramente appare, e si conforma
dall’esperienza, imperocché se AB. fia una finestra senza alcuna tramezzatura l’aria luminosa, che sta alla destra in
A. è vista da sinistra in D. e l’aria, che sta da sinistra allumina la destra nel ponto C. Dette linee s’intersegano nel
ponto M.
P.I.
[corpo ombroso e raggi]
Ogni corpo ombroso si trova infra due piramide, una scura, e l’altra luminosa, l’una si vede, e l’altra no, e questo
solo accade, quando il lume entra per una finestra. Fa conto che A.D.125 sia la finestra, e che R. sia il corpo ombroso,
il lume destro E passa il corpo da lato sinistro del corpo [123] ombroso in G. e va in P. Il lume sinistro K passa a
detto corpo nel lato destro in I. e va in M. e qui due linee s’intersegano in C. e si fanno piramida: di poi A.N.126
tocca il corpo ombroso in I.G. e fa sua piramida in F./ I.G.F fia oscuro, perché mai lì può vedere il lume AB./
I.G.C. sempre fia luminoso perché lì vede i lumi.
P.L.
[schema con raggi luminosi penetranti da un vano di finestra e ombra]
[Ms. A, 95r] Ogn’ombra fatta da’ corpi si drizza con la linea del mezzo a un sol ponto fatto per intersegatione di linee luminose
nel mezzo dello spacio, e grossezza della finestra. La raggion promissa di sopra chiaramente appare per isperienza,
imperocché se figurerai un sito con la finestra a tramontana, la quale sia S.F. vedrai prima l’orizon di levante pro-
durre una linea, che toccando li doi angoli della finestra O.F. capiterà in D.; e l’orizonte di ponente produrà la sua
linea toccando gl’altri suoi angoli della finestra R.S. e [124] finirà127 in C. e questa intersegatione viene a ponto nel
mezzo del spacio, e della grossezza della finestra. Ancora si confermerà meglio questa raggione a porre doi bastoni,
come nel loco di G.H. vi vedrai la linea fatta dal mezzo dell’ombra reale drizzarsi al centro in E e coll’orizonte NF.
P.M.

124
  Ms. A, f. 102r.
125
  a b nel disegno.
126
  a b nel disegno.
127
  Così nel ms. A, f. 95r. Nel Ms.: «finita».

217
[raggi luminosi penetranti da un vano di finestra e ombra]
[Ms. C.A., 236r-a] Quanto l’ombroso minore del luminoso si farà più vicino ad esso luminoso da men quantità di tal luminoso fia
alluminato.
CR.
[piccolo schema con corpo luminoso, corpo ombroso, raggi e ombra]
Seguita la conversa di questa che è quella della figura CS
[Ms. A, 94r] Ogni lume che cade sopra i corpi ombrosi infra equali angoli tiene il primo grado di chiarezza, e quello fia più
scuro, che riceve gl’angoli meno equali, e il lume, e l’ombre fanno il lor offitio per piramide. L’angolo C. siane il
primo grado di chiarezza perché lì vede tutta la finestra [125] AB, e tutto l’orizonte del cielo M.X. L’angolo D. fa
poca differenza da C perché li angoli che lo mettono in mezzo non sono tanto difformi di proportione, quanto li
altri di sotto, e mancali solamente quella parte dell’orizonte, che è tra y.x benché li acquisti altretanto dall’opposito
lato, non dimeno la sua linea è di poca potenza, perché il suo angolo è minore ch’il suo compagno. L’angolo E.I.
fia di minor128 lume, perché lì non vede, e manca il lume M.S. e ’l lume VX e i loro angoli sono assai difformi.
L’angolo K. e l’angolo F. sono messi in mezzo ciaschuno per sé da angoli molto difformi l’uno dell’altro, e però
fieno di poco lume perché in K. vede solamente il lume P.T. et in F. non vede se non T.Q./ O.G. fia l’ultimo grado
di lume, perché lì non vede nissuna parte del lume dell’orizonte, e sono quelle linee, che un’altra volta ricompon-
gono una [126] piramide simile alla piramide C. La qual piramide L. si troverà nel primo grado d’ombra, perché
ancora lei cade infra equali angoli, et essi angoli si drizzano, e si sguardano per una linea retta, che passa dal centro
del corpo ombroso, e che habbia al mezzo del lume le specie luminose, moltiplicate nei termini della finestra nei
ponti AB. fanno un chiarore, che circonda l’ombra derivativa creata dal corpo ombroso ne’ luochi 4 et 6. Le specie
oscure si moltiplicano in O.G e finiscono in 7. 8.
P.N
[raggi luminosi penetranti da un vano di finestra, corpo ombroso e ombre]
[Ms. A, 91r] Quelli corpi sparsi situati in habitatione alluminata da una sol finestra faranno ombra derivativa più o meno breve,
secondo che fia più o meno, all’incontro d’essa finestra. La raggione è che vedi la finestra in propria forma, e i
corpi traversi la vedano in scorto: a quello di mezzo la finestra pare grande, ai [127] traversi pare piccola: quel di
mezzo vede l’emispero grande, cioè EF. e quelli da lato lo vedano piccolo, cioè Q.R. vede A.B. e così M.N. vede
C.D. il corpo di mezzo perché la maggior quantità di lumi, che quelli da canto è alluminato assai più basso che ’l
suo centro, e però l’ombra è più breve, e tanto quanto AB. entra in EF. tanto la piramide G. 4 entra in L.I.129 a ponto.
P.O.
[raggi luminosi penetranti da un vano di finestra, tre corpo ombrosi e relative ombre]
Ogni mezzo d’ombra derivativa si drizza col mezzo dell’ombre orriginali, e col centro del corpo ombroso, e del
lume derivativo, e col mezzo della finestra, e in ultimo col mezzo di quella parte del lume orriginale fatto dall’emi-
spero celeste/ Y.H130 è il mezzo dell’ombra derivativa L.H. dell’ombra orriginale. L sia il mezzo del corpo ombroso
L.K. del lume derivativo V. sia il mezzo della finestra, e sia l’ultimo mezzo del lume orriginale [128] fatto da quella
parte dell’emispero del cielo, che alumina il corpo ombroso.
Infra l’ombre fatte da equali corpi, e in disequali distanze dallo spiracolo loro alluminatore, quella <che fia>131 più
longa, che fia il suo corpo men luminoso, e tanto fia più luminoso l’un che l’altro corpo, quanto l’ombra sua fia
più corta che l’altra.
[Ms. A, 90v] Quelli corpi che fiano più propinqui, o remoti dal lor lume orriginale faranno più o meno breve la lor132 ombra
derivativa. Nell’esperimentare s’afferma la sopradetta propositione per caggione, che ’l corpo M.N. è abbracciato
da più parte de’ lumi che ’l corpo P.Q. come di sopra si dimostra, diciamo, che V.C.A.B.D.X. sia il cielo, che fa il
lume orriginale e che S.T. sia una finestra d’ond’entrino le specie luminose, e così M.N.P.Q. siano li corpi ombrosi
contraposti a detto lume M.N. sarà di minor ombra derivativa perché [129] la su’ ombra orriginale fia poca: e ’l
lume derivativo fia grande, perché ancora fia grande il lume orriginale C.D./ P.Q. haverà più ombra derivativa,
perché la sua ombra orriginale fia maggiore: il lume suo derivativo fia minore, che quello del corpo M.N. perché
quella parte emispero, che l’allumina è minore che l’emispero C.D. alluminatore del corpo M.N.
[PP133]
[raggi luminosi penetranti da un vano di finestra, due corpi ombrosi e relative ombre]
Infra i corpi d’equal grandezza, quello che da maggior lume alluminato fia havrà la sua ombra di minor longhezza.
[Ms. A, 89v] Perché l’ombra C.A.B.134 è in primo grado d’oscurità/ B.C. è in secondo/ C.D. è in terzo, la raggione si è che
C.A.B. non vede il cielo in alcuna parte, adunque nissuna parte del cielo vede lui, e per questo è privato del lume
orriginale. B.C. vede la parte del cielo F.G., e da quello è alluminato. C.D. vede il cielo H.K. essendo visto C.D. da

128
  Nel Ms.: «monor».
129
  Nel ms. A, f. 91r.: «l y».
130
  Nel ms. A, f. 91r.: «y h». La figura di riferimento è ancora la PO (Codice Corazza, I/b, p. 183).
131
  Così nel ms. A, f. 91r. Nel Ms. «...».
132
  Così ivi, f. 90v. Nel Ms.: «calor».
133
  Nel Ms. «D.P.». Cfr. Codice Corazza, I/b, p. 183.
134
  «E.A.B», ivi, figura PQ.

218
maggior somma di cielo, che non è B.C. raggion vuole, che [130] sia più luminoso, e così insino a certa distanza
il muro AD. sempre rischiarerà per le dette raggioni in sino a tanto, che l’oscurità dell’habitatione vincerà il lume
della finestra.
P.Q.
[raggi luminosi penetranti da un vano di finestra e ombre]
[Ms. A, 86v] Ogni piramide composta da longo concorso di raggi contiene dentro a sé infinite piramide e ciascuna ha potenza
per tutte, e tutte per ciascheduna. 135
Ogni corpo ombroso empie la circostante aria d’infinite sue similitudini, le quali da infinite piramide infuse per
essa rappresentano esso corpo tutto per tutto, e tutto in ogni parte. Il corpo dell’aria è pieno d’infinite piramide
composte da radiose, e rette linee, le quali si causano da superficiali estremi de’ corpi ombrosi posti in essa, e quanto
più s’allontanano dalla lor cagione, più si fanno acute, e benché il lor concorso sia intersegato, e intersuto nondi-
meno non si confondano l’una per l’altra e con disgregante concorso si vanno a [131] prolificando, e infondendo
per tutta la circostante aria, e sono infra loro d’equal potenza tutte quanto ciaschuna, e ciaschuna quanto tutte, e
per esse la similitudine del corpo, e portata, tutta per tutto, e tutta nella parte, e ciaschuna piramide per sé riceve
in ogni minima sua parte tutta la forma della sua cagione.
P.R.
[schema delle similitudini di un corpo ombroso]
136
L’ombra deriva da due cose dissimili l’una dall’altra, imperocché l’una è corporea, e l’altra spirituale: corporea è il corpo
ombroso: spirituale è il lume; adunque lume, e corpo son cagion dell’ombra.
Il lume derivativo risulta da due cose, cioè lume orriginale, e corpo ombroso.
Lo spiracolo, che fia collocato in grossa parete darà poco lume al sito dove respira.
P.S.
[raggi luminosi penetranti da un vano di finestra con ombre]
Quello spiracolo, che fia collocato in più sottil parete darà maggior lume al loco dove respira.
[132] [P.T.137]
Possibile che ’l sole passando per quattro spiracoli componga in longa distanza nell’obietto un corpo sferico. Siano i quattro
spiracoli A.B.C.D. quando i circoli creati dal sole passato per i nominati quattro spiracoli, saranno per la longa distanza tanto
cresciuti, che ciascuno s’interseghi col vicino in modo che N.M. si tocchino, allhora i quattro circoli compongono un circolo
solo//. Il primo grado di lume, che fia nei quattro circoli fia in E. per chi lì soprapone quattro circoli luminosi//. F.G.H.I.
fia minor lume il quarto, che E. perché lì non si soprapone se non tre circoli //. P.K.L.O. fia la metà minor lume, che E.,
imperocché lì si soprapone doi circoli Q.R.S.T. fia minor lume di tre quarti che E. perché lì è un sol circolo; i quali a longo
andare si perdono, perché si convertano in tenebre, e così P.K.L.O. si tondano [133] e finiscano loro il corpo sferico, et infine
per longa distanza, il quadro E. si converte in circolo, e tutte le altre parti di men dupplicati lumi si perdano.
P.V.138
[schema di circoli proiettati da luce solare per quattro spiracoli]
L’ombra parerà tanto più oscura, quanto ella fia più presso al lume.
Tutte l’ombre son d’un medesimo colore, e quella che si trova in campo più luminoso apparisce di maggior oscurità.
Prova in che modo il quadro si fa per li raggi solari nell’obietto in forma sferica
Il ponto A. si dilata in M.N. et a più longa distanza si dilata in O.R. e vede il ponto dell’angolo, che s’estende in A.S. e poi
in A.T. quando fia pervenuto in A.V. la linea di sopra R.D. fia consumata, et i colmi di sopra dei tondi si taccheranno per la
intersegatione dei circoli, et allhora il quadro fia ridotto in circolo.
P.X139
[raggi luminosi con ombre]
140
Necessaria cosa è che la intersegatione della piramide [134] rotonda si facci in un sol ponto chiuso intorno la circutione non
trasparente, adunque la piramide nella tonda desidera il ponto sol circondato dalla mezza parte, il qual ponto trovarai nell’angolo
retto, e se avvicinerai dett’angolo all’occhio parrati in forma d’un mezzo circolo.
P.Z
[raggi luminosi da uno spiracolo a sagoma quadrata, formanti una ’piramide rotonda’]
141
Quanto più lontana della intersegatione si genera la basa della seconda piramide fatta nell’obietto, più cresce, et i suoi circoli
creati nelli angoli dello spiracolo più s’incorporano insieme, e quanto più s’incorporano, più rotondo rimane la basa della solare
piramide.
Quando i raggi haveranno fatto tanto via, che v’entri dentro quattrocento volte il diametro maggior dello spiracolo, i raggi reffe-
riranno all’obietto un corpo sferico, e fia intieramente perduta la forma dello spiracolo.

135
  Ms. A, f. 86v, brano a seguire, non trascritto: «Lo equidistante circuito di piramidal concorso darà li sua obietti eguale qualità d’angoli, e d’equale grandezza fia
ricevuta la cosa dall’obbietto».
136
  Il testo corrispondente alla trascrizione dei ff. oggi perduti del ms. A è posto in corsivo.
137
  Nel Ms. «D.T.». Il grafico manca.
138
  P.V. ha evoluzione nel grafico adiacente privo di sigle e lettere (Codice Corazza, I/b, p. 185).
139
  La figura PX di riferimento appare priva di lettere.
140
  Cfr. pure per questo brano ms. C.A., f. 135v-a.
141
  Ivi, f. 135r-a.

219
Nissun angolo può esser portato nell’obietto da’ raggi [135] solari passati per lo quadrangolo spiracolo anzi si fanno in circolo, i
quali a longa distanza crescono tanto, che fanno il quadrato rotondo.
Nessun ombra partita dai corpi ombrosi, e nessun lume passato per spiracolo haverà alla sua percussione doppo longo concorso
i suoi termini spediti.
Se ogni parte d’un spiracolo vede tutto il corpo solare, et è veduto da tutto esso corpo solare, adunque esso sole, o vero le sue specie
possono passare per tutto il ponto dell’angolo.
P.E [P.&]
[corpo luminoso e raggi passanti per uno spiracolo a sagoma
quadrata, formanti una ‘piramide rotonda’]
Il sole passato per sottili spiracoli, i quali siano divisi da picciolo intervallo, è necessario, che nella sua percussione dimostri le due
teste di detti spiraculi in forma di doi mezzi circoli, i quali interseghino l’un l’altro.
Q.A.
[raggi solari passanti per spiracoli sottili e formanti sagome circolari intersecantisi]
Se ciascuno spiracolo vede tutto il corpo del sole egli vede tutte le sue parti, le quali parti [136] sono ricevute dallo spiracolo tutto
e per tutto, e tutte nella parte. Adunque la parte dello spiracolo, benché sia acuta, è atta a dar passo a tutta la somma de’ raggi
partiti da tutte le parti del sole, le quali compongono doppo sé nella prima percussione una forma sferica simile alla lor caggione.
C. è il centro di K.R./ D. è il centro di L.7./ E. è di M.Z./ F. di N.Y/ G. di O.X./ H. di P.V./ A di Q.F./ B. di T.S.; sì
che li otto angoli esteriori della croce spiracolo passandovi dentro i raggi solari compongano nell’obietto un splendore rotondo, il
qual splendore è composto da otto circoli, che si fanno centro degl’otto angoli dello spiracolo, e ciascun circolo ha in sé quatordeci
intersegationi fattili da sette suoi compagni, che sono in tutto novant’otto intersegationi.
[Q.B.142]
De’ corpi luminosi
Perché gl’effetti hanno similitudine con le loro caggioni [137] essendo il sole corpo sferico, è necessario, che i raggi solari per longo
concorso non osservino la forma d’alcun spiracolo angolare d’onde passino, anzi doppo quello dimostrino nella prima percussione
la forma della loro cagione.
Q.C.
[corpo sferico solare con raggi passanti per spiracolo ‘angolare’ e serbanti la forma circolare originaria]
Se tutto il corpo del sole vede tutto lo spiracolo quando143 necessario è, che ogni minima parte d’esso spiracolo nega tutto il sole,
e tutto lo transferisca doppo sé nella prima parete, dove termina il concorso de’ raggi solari, adunque nessun angolo può apparir
per longa distanza nella sfera solare.
Il ponto del triangolo B. è centro del circolo D./ A. è centro del circolo E. e similmente C. viene a essere centro di F. e se fai
un spiracolo triangolare in una tavola di ferro sottile di simil grandezza, e farai passar dentro i raggi del sole, ei riceveràlli in
un obietto tanto distante da un simil [138] triangolo, che i raggi si dilatino nella grandezza del circolo C.D.F. vedrai il picciol
triangolo farsi in forma sferica.
Q.D.
[raggi solari da uno spiracolo a sagoma triangolare, formanti una ‘piramide rotonda’]
Il raggio solare passando per spiracolo angolare non porterà nella percussione fatta da lui nella parete la vera similitudine d’esso
spiracolo.
Q.E.
[raggi solari da uno spiracolo a sagoma quadrangolare, formanti una ‘piramide rotonda’]
Prova che li angoli son cagione di fare che li spiracoli rendano nell’obietto i raggi solari in forma sferica. Lo spiracolo composto
di 4: faccie fa 4: angoli A.B.N.M. e questi angoli fiano cagione che le piramide passate per esse cresceranno per longa distanza
in modo, che occupando le faccie faranno nell’obietto il lume sferico.
Dove lo spiracolo harrà le faccie senz’angoli come mostra P.Q. li raggi solari passati per esso faranno nell’obietto la forma dello
spiracolo aponto con due linee, adunque se ’l sole passato dove sta angoli si fa tondo, e [139] dove non son angoli, ma si tonda,
questo mostra appertamente gli angoli esserne cagione.
[Ms. A, 64v] L’intersegatione de’ raggi luminosi fatte infra le faccie dello spiracolo quadro, si fa di là da dette faccie, e la inter-
segatione fatta nelli suoi angoli si fa nella grossezza dell’angolo.
Nissun spiracolo può transmutare il concorso de’ raggi luminosi in modo, che per longa distanza non porgino
all’obietto la similitudine della lor caggione.
Impossibile è, che i raggi luminosi passati per paralello dimostrino nell’obietto la lor cagione.
Perché gli effetti de’ corpi luminosi son dimostratori della lor caggione la luna di forma naviculare passata per lo
spiracolo figurerà nell’obietto corpo naviculare.

[Ms. C.A., 250r-a] Ombra, è privation di luce


Parendo a me l’ombre esser di somma necessità nella prospettiva, perocché senza quella i corpi opachi, e cubi male

142
  La figura presente al centro di p. 185 del Codice Corazza, I/b, è priva di lettere di riferimento.
143
  Nel Ms.: «quandro».

220
fiano intesi di quello che dentro ai suoi termini colocato fia; e mali i suoi [140] confini intesi siano, se essi non
terminano in campo di vario colore da quello del corpo, e per questo io propongo nella propositione dell’ombre,
e dico a questa forma, come ogni corpo opaco fia circondato, e superficialmente vestito d’ombre, e di lumi, e so-
pra questo edifico il primo libro. Oltre di questo esse ombre sono in sé di varie qualità d’oscurità, perché da varie
quantità di raggi luminosi abbandonati sono. E queste domando ombre orriginali, perché sono le prime ombre,
che vestono i corpi, dove appiccati sono, e sopra questo edifico il 2.° libro. Da quest’ombre orriginali ne risulta
raggi ombrosi, quali si vanno dilatando per l’aria, e sono di tante qualità, quante sono le varietà dell’ombre orri-
ginali, d’onde esse derivano, e per questo io chiamo esse ombre derivative, perché da altre ombre nascono, e sopra
di questo io farò il 3.° libro. Ancora quest’ombre derivative nelle loro percussioni fanno tanti vari effetti quanto
son vari i lochi dove [141] esse percuotono, e qui farò il 4° libro; e perché la percussione della derivativ’ombra è
sempre circondata dalla percussione di luminosi raggi, la quale per reflesso concorso risultando in dietro verso
la sua caggione, trova l’ombra orriginale, e rimischia, e se converte in quella alquanto variandola di sua natura, e
sopra questo edificarò il 5.° libro; Onde di questo farò il 6. libro, nel quale N. dirà le varie, e molte diversificationi
delle resultanti raggi, reflessi, i quali varieranno l’orriginale di tanti varii colori, questo fian varii i lochi, ond’essi
reflessi raggi luminosi derivano.
Ancora farò la settima divisione delle varie distanze, che fia infra la percussione del raggio reflesso al loco d’onde
nasce quanto fa varie le similitudini di colori, che esso nella percussione al corpo opaco appicca.
[Ms. C.A., 277v-a] Dell’utilità dell’ombre
Sì come l’occhio non discerne le figure de’ corpi dentro [142] alli loro termini se non per il mezzo delle
ombre, e lumi, così molte sono le scienze, che nulla sarebbono senza la scienza d’ess’ombra, e lume, come la
pittura, la scoltura, l’astronomia, e in gran parte la prospetiva, e simili. Provasi che lo scoltore non opera senza
l’aiuto dell’ombra, e de’ lumi, la materia scolpita restarebbe tutta d’un colore: e per la 9.a di questo è provato,
come la superficie piana alluminata d’equal lume non varia in parte alcuna la chiarezza, o l’oscurità del suo
natural colore, e per questa equalità di colore si prova l’equalità della planitie di tal superficie, seguita adun-
que, che se la materia scolpita non fosse vestita d’ombre, e di lumi tali, quali richiede il rilievo delli muscoli,
e le concavità infra essi rilievi interposte, tal scoltore non vederebbe al continuo la sua operatione, tal qual
richiede l’opera da lui scolpita, e sarebbe tall’operatione fatta nel chiaro, quasi come se nella tenebrosa notte
lavorata [143] stata fosse.
Ma la pittura mediante tali ombre, e lumi in piane superficie fa parere li siti concavi, e rilavati, e separati l’un
dall’altro con varie distanze, per diversi aspetti, et cetera.
144
Del moto dell’ombre.
Della figura dell’ombre.
Della qualità.
Della quantità.
Delli termini.
Dell’ombra semplice.
Della composta.
Di tenebre, e luce.
Del lume penetrato per diverse figure dei spiraculi.
Del lume passato per varii numeri de’ spiracoli.
Della compositione di più raggi luminosi.
Se gl’è possibile, che da un medesimo luminoso si partono raggi, che penetrano l’un l’altro.
Se per alcun spiracolo puonno penetrare raggi paralelli.
La cosa mossa nelli raggi avanti la lor intersegatione [144] fa ombra di moto concavo doppo l’intersegatione d’essi et cetera.
Fine
[Nota editoriale]
Dovendosi unire il presente trattato de’ lumi, et ombre al trattato della pittura già benissimo ordinato, non se gli è dato nel
transcriverlo altr’ordine, che quello, che la confusione de’ libri, et il capriccioso, o per dir meglio misterioso disordine dell’au-
tore ha somministrato. Non s’è però per questo mancato di porre nel fine della presente selva due divisioni proposte dal
medesimo autore nella presente matteria, acciò si comprenda l’intentione di quello. Come ancor benissimo si potrà conoscere,
che se bene egli non hebbe espressamente per estenso scritto tutto quel tanto che alla perfettione di questo trattato si richie-
derebbe, ha nondimeno egli con bonissima arte esposto tanto, che l’ingegno del lettore possa a pieno arrivare alla cognitione
in sino all’[145] ultima verità. E se egli se non ad alcune poche propositioni pone le loro contrarie, e converse, non curandosi
di aggiongere a ciascuna la sua; se facendo dimostrationi in materia de’ luminosi raggi, par non si curi nell’istesso caso delle
demostrationi degli ombrosi, e per il contrario mentre tratta delle ombre, mostrasi non curante de’ lumi e similmente alle volte
par mancante nel citar la terza decima, l’ottava, la quarta, et il simile nel primo secondo, o terzo libro, non havendo ancora
essi libri ordinato. Può il lettore non dimeno aggiungere alle propositioni le sue converse, e nel medesimo modo proportional-
mente discorrere de’ lumi, e dell’ombre, e le citate propositioni supponere al suo loco. A questo medesimo trattato s’apparten-

144
  Si tratta, con tutta evidenza, di titoli di altrettante proposizioni non sviluppate da Leonardo.

221
gono tutti i capitoli delle riverberationi, e reflessi, che dal numero 75 sin al numero 88 nella materia di pittura si trovano.145
[figure di corredo all’intero testo della sez. I/b] [147-188]

[Sez. II]

146
[1] Per drizzare un albero di nave
Guarda, che differenza mostra la sperienza essere dal peso A al peso B; e questo farai per la prova di drizzar l’albero della
nave di sotto.
[piccolo schema con due pesi e carrucola prima del secondo]
Per drizzare un albero di nave mettilo, come di sotto appare, di poi fa, che il suo pedale sia convertito in taglia di dodeci girelle,
et altre tanto ne siano nei legni del polo, e tira con corda, e le girelle siano di bronzo infilate in un palo di ferro nel piè dell’albero,
e se tu volessi fare molte girelle, potresti farlo tirare a un sol homo, che tanto fa un homo in cent’hore, quanto cento in un’hora.
Fa che il sito di sotto della taglia A. si muti nell’alzare dell’albero.
[meccanismo per drizzare un albero di nave]
Se accomodarai due bombarde nel modo qua di sotto [2], il corpo del naviglio non sentirà tanto detrimento, quanto sia un’onza,
anzi tutta la forza fia nel pedal dell’albero fatta dalli travi, e potresti portare bombarde di mille libre di pallotta; e quando voi
disvidare, leva li pezzi di trave M.N. i quali alzerai a uso di cassa, e li detti travi siano sotto il piano della corsia, acciò non
impediscano l’andar dell’homini. E darai il foco a un medesimo tempo. E quando si dà fuoco si debbe prima drizzare con veloce
moto il naviglio per la linea donde ha da tirare la bombarda o vero tener li remi nell’acqua.
[naviglio per il trasporto di bombarde]
[Ms. B, 4r] [3] [due bombe incediarie]
Questa palla nel gittar va spenta, e giunta in terra: le canne fasciate in vista di panno lino: acceso si faccia in den-
tro: e dà fuoco alla polvere che circonda la stoppa rara invischiata di trementina, e ’l resto è di viluppo di canepa
inveschiata di trementina, olio di lino, e pegola, e fia raro l’involtume, acciò che le fiamme habbino l’aria, che
altrimenti faresti niente.
[Ms. B, 6r] [4] Modo di votar un porto147
[cassone per vuotare un porto]
Fa che questo sia 40 braccia, e quando hai voto il fondo di detta cassa, lascia stare una delle faccie, e stranuta l’altre
tre dopo quella, e rifarai altre tanto quadro, e poi rivota, e fa il simile.
[Ms. B, 19v] Perché ragione quest’arco è forte
Dico, che è impossibile che un corpo maggiore possa entrare in un minore, essendo così la linea.
[centina lignea di sostegno di un arco]
GCH. è molto maggiore, che G.H. adunque il [5] maggior GCH non entrarà nel minor GH. se non si rompe:
e chiaro si conosce, che a voler rompere una trave per tirare, questo esser puoco fattibile. Adunque se confesserai
per le dette ragioni GH. non potersi rompere per tirare l’angolo GFH, e l’angolo G.C.H. al mezzo tondo di so-
pra, non potrà mai passare per la corda, o ver basa G.H. Ancora similmente B.D.F. e così AME non possono haver
mutatione se il trave CM. non si rompe, essendo mal possibile, quasi impossibile è che l’arco si rompa essendo a
quello aggiunta l’incatenatura del rinterzare l’asse, che vanno nel tondo G.A.B.C.D.E.H/ ED sarà interamente
sicuro, aggiungendo a quella doi sostegni traversi, come appare nella figura RST.148
[Ms. B, 20r] [6] Camino, che sempre haverà legna senza attizzare
Qui su l’orli del camino d’onde si mette le legne debbe esser un dito di cenere stacciata, e poi poni di
[camino ad alimentazione continua]
sopra una pietra piana acciò non respiri di sopra.
In questo instromento Questo a ponto fa In questa forza si move lo maschio.
si move la femina. l’offitio dello schizzatoio. [altra pompa a pendolo]
[pompa a pendolo] [altra pompa a pendolo]

[Ms. B, 26r] [7] Se voi fare montar l’acqua un miglio, e che la resti sopra la montagna, fa come è qui figurato, e se voi l’acqua
grossa quant’è la tua gamba fa il condotto grosso quanto hai la coscia, e se sagli un miglio fallo discendere
[impianto per far salire l’acqua in cima ad un monte]
doi miglia, e sarà tanta la furia dell’acqua, che si [8] troverà in B.C che ella svellerà l’acqua che si troverà in D.E.
e volgerà la rota delli schizzaroli; e sappi che per gli schizzaroli non può entrar aria nel bottino, imperocché ogni
volta, che l’anima dello schizzarolo torna in dietro l’animella, che è nel fondo del bottino si serra; e benché ella
non fusse così ben stoppata ancora non può metter aria, imperocché si trova duoi brazza sott’acqua, sì che ella
non può metter aria s’ella non mette prima li duoi brazza d’acqua; e quando voi sul principio empire il condotto

145
  Alla fine della citata trascrizione di Bossi dal Codice Corazza (Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7) si legge: «Finito in Napoli il 13 agosto 1810».
Nell’H 227 inf. si legge a margine della nota editoriale: «vedasi in proposito l’indice nell’edizione del Dufresne, e nelle edizioni da quella derivate».
146
  Il testo corrispondente alla trascrizione dei ff. oggi perduti del ms. B è posto in corsivo.
147
  Il titolo è anticipato alla fine di p. 3 dalla mano che ha vergato le didascalie.
148
  Qui manca brano tratto dal ms. B, f. 23v, presente in H 227 inf.

222
raguna per roggie un lagetto d’acqua, e stoppa con terreno le canne da piè cioè CE, di poi sbocca il lago nel con-
dotto; quando la rota sarà mezzo brazzo serra ben la cassa; e poi distoppa ad un tratto il condotto da piè in CE, e
fa la rota brazza quattro.
[Ms. B, 24v] [9] Bombarda grossa, che si carica di rietro, e un sol huomo l’invita, e disvita
[bombarda a caricamento posteriore]
Il manico B è una vite senza fine, la qual volge la coda della bombarda mediante la sua rocca la quale debbe esser
longa quanto la vite, che entra nella tromba. Et il polo A.N è congiunto con un lercio di bronzo, il quale cinge
la coda. Ma fa che esso lercio sia tanto più inverso la bombarda, che la coda vi sia dentro quasi in bilancia, e pesi
solo quattro libre più il culaccio, che la bocca, acciò che quando nel venir esso culaccio indietro, e ritrovandosi
nella tacca, che essa coda rimanghi retta, e che con facilità si scarichi, e poi si drizzi, e col girar della vite senza fine
nella rocca, che la sospinga inverso la tromba s’inviti, e poi si metta di dietro un cuneo infra il culaccio e ’l riparo,
et è buona per una galera.
[Ms. B, 64r] [10] [veduta prospettica di un argine]
149
Argini da sostener l’acqua d’un fiume, e poi in un subito per allagare una città, o campagna, con aprir le porte
A.B. Il C. è il polo delle porte.
[Ms. B, 22v] [prospetto laterale di un sostegno ligneo di un argine]150 [veduta prospettica di un
Riparo per un argine altro sostegno ligneo di un argine]
Altro riparo per l’istesso
[Ms. B, 54v] [11] [pompa con ruota a pioli]
[altra pompa] Ingegno per cavar acqua A suono palle
di stoppa di canape coperte di coio.151
[Ms. B, 53v] Altro modo per cavar acqua
[misuratore di pressione idraulica o pneumatica]
A. Mantice di coio.
B. Canale d’ond’esce l’acqua.
C. Vaso dove si raccoglie l’acqua della canna E.
D. Contrapeso del mantice.
E. Canna sommersa con la bocca nel pozzo.152
[Ms. B, 54r] [12] Altro modo per alzar acqua
[pompa con pendolo carico di sassi]
[Ms. B, 30v] Flamea
[due ordigni incendiari153]
Flamea è una palla composta in questa forma. Siano insieme bollite queste cose, cioè carbone di salico, salnitro,
acqua vita, solfore, incenso, e pegola, con canfora, e un filo di lana, ethiopica, il qual filo insupato in detta
compositione s’avolta in forma di palla, e con ponte acute si tranno alle navi con corda a uso di fiomba, questo
si domanda fuoco greco, e [13] è cosa mirabile, e abbrugia ogni cosa sotto l’acqua. Callimaco architetto fu il
primo che l’insegnò a’ Romani, da’ quali poi fu molto usato, e masime da Leone Imperatore quando li popoli
orientali contra di Costantinopoli venero con infinito numero di navi, li quali da questa matteria furono tutte
abbrugiate.
Lampade Filocroto
[figura di ordigno154] [figura di ordigno]
Crucida Arzilla
[figura di ordigno] [figura di ordigno]
Filocroto, arzilla, crucida, flammea, lampade, benché siano variate nondimeno sono quasi d’una medesima
sostanza, e il lor fuoco è simile a quello detto di sopra, cioè della flamea salvo, che v’è aggiunto a detta com-
positione vernice [14] liquida, olio petrolio, trementina, et aceto forte, e le dette cose insieme compremute le
seccano al sole, di poi le voltano intorno alla stoppa di canape, e la riducano in forma rotonda, di poi altri la
tranno con corda, alcuni li ficcano dentro la ponta d’un dardo traendola con riserbarsi il dardo, alcuni ficcano
dentro chiodi acutissimi, alcuni no, e lasciato un buso in detta palla per dar il fuoco, tutto il resto vestono di
colofonia, e solfare, e di questa mistura usavano li nostri antichi, compagniata, e ligata alla sommità d’un’asta
per divietare, e prohibire all’impetuosa furia dell’inimiche navi. Dice Lucano, che Cesare fatto gettar questo

149
  Nel f. 64r è presente solo il grafico; il brano, invece, potrebbe essere una didascalia sintetica introdotta dal trascrittore, sostitutiva del testo presente nel foglio originale
a commento dello stesso grafico.
150
  Questo grafico e il successivo compaiono nel f. 22v con l’unica didascalia: «Modo di pariete di bastione che abbino a resistere alle bombarde», che, con tutta evidenza,
non riguarda affatto gli argini di un fiume».
151
  Nel ms. B, f. 54v, la didascalia è invece la seguente: «di rovero o d’unizzo [ontano] che regge all’acqua».
152
  La legenda non è presente nel ms. B, f. 53v, in cui si legge invece la seguente didascalia: «Sia un’animella nella bocca a di fori. / L’acqua che è tra Mn sia libbre 25 e
l’acqua che farà contrappeso sia libbre 1000».
153
  La figura presente nel ms. B, f. 30v, si riferisce alla sola «Flamea», mentre nell’apografo è riportata qui anche l’illustrazione di una «Lampada» che nell’originale è
collocata più sotto, in corrispondenza del relativo titolo.
154
  Cfr. nota precedente.

223
fuoco con le lampade infra le navi de’ ceruschi popoli di Germania, abbrugiò non che le navi ma l’edificii edi-
ficati su la ripa del mare.155
[Ms. B, 31r] Folgorea
[figura di bombarda]
Folgorea è una bombarda, la quale ha il vacuo della [15] sua coda in forma sferica, al centro della quale capita una
sotil cannicola di ferro proforata sottilmente, il qual foro sia pieno di fina polvere, e questo si fa per due ragioni,
prima che arrivato al centro della bombarda il fuoco, che passa per la cannicola, accende in un tempo tutta l’altra
polvere, che si trova calcata in essa palla: 2.a che il buso della bombarda non si consuma, e detta vacuità rotonda
non resisterà alla veemenza della polvere s’ella non fia di fino rame, e l’altro si può fare di quatro di stagno sopra
ogni cento di rame, e questa è la miglior machina, che si possa fare.
[Ms. B, 31v] Clotobrot
Clotobrot è una palla gettata da un trabocco minore, la quale è alta un brazzo, et è piena di schioppetti e traggono
tutti in poco tempo. Questo
[figura di ordigno]
s’adopera a gettar dentro ad un bastione, e non [16] ci è rimedio a vietare il suo pestilente officio, et altrove non si
deve usare, che nocerebbe così a te, come a’ tuoi nemici, e se gettarai 6 o 8. di quelle palle infra i tuoi nemici sarai
vincitor sicuro, e così è buono a gettar dentro a una gran nave, o rivelino, o mura. Et havendosi dentro un soffione,
che all’ultimo dia fuoco al centro di tutti li schioppetti.
[Ms. B, 37r]156 Altra palla
Questa palla sia di pegola, solfo, e stoppa di canape trita, acciò che abbrugiando il nemico, non si toglia l’inven-
tione, questa palla debbe essere alta dui brazza, e mezzo e piena di schioppetti, che gettino una libra di pallotta, le
quali siano impegolate dentro alli schiopetti, acciò non caggiano, e siano li schioppetti longhi un brazzo, e siano
di carta a uso di raggi, e siano ripieni infra loro di gesso, e cimatura, e sia gettata da un trabocco nel bastione, et
il suo centro sia una [17] pallotta di bombarda, acciò, che li schioppetti habbino buone spalle, o vero una pallotta
di bronzo vota, che sia in parte piena di polvere, e le sue circuitioni siano piene di buchi donde il fuoco si dii alli
schioppetti, e sia la palla tutta fasciata di fuori salvo un buco d’onde si dii il fuoco.
[Ms. B, 55v] Modo di misurare altezze, e larghezze, e distanze senza moversi di piedi
Poni un quadro perfetto in terra, come di basso appare, di poi poni l’occhio sopra dell’angolo M. e guarda verso
il piè della torre della quale
[costruzione geometrica con punto di osservazione157 e torre all’opposto]
voi sapere l’altezza, e tanto quanto B.A. entra in A.C. tanto M.N entra in NF, e se volessi sapere senza moverti, o
il tuo quadro la vera altezza della [18] torre farai così: poni l’occhio all’angolo N. e guarda alla sommità della torre
P., e tanto, quanto B.C. entra in CN, tanto entra PF. in FN. e sapendo tu per la prima misura la vera distanza che
è tra F.N. potrai sapere quanto la torre v’entra dentro, cioè se BA. entra tre volte in AM. così NM. entra tre volte
in NF, e se NM è distante un brazzo NF sarà tre brazza, e sapendo questo potrai poi sapere, se BC. entra due volte
in C.N così PF entra due in FN. Hora se sai per la prima ragione, che FN è brazza tre, e se PF entra due volte in
queste tre brazza viene a essere brazz’uno, e mezzo a ponto, et è giusta, e buona regola.
[Ms. B, 56r] [costruzione geometrica con osservatore, asta antistante e raggio visivo]
Se volessi sapere la vera distanza della larghezza d’ [19] un fiume, tieni questo modo, cioè ficca un’asta su la riva
del fiume, che è diverso te, e fa che ella resti tanto fuori della terra quanto è alto da terra il tuo occhio, dipoi ti tira
indietro quanto tu apri nelle braccia, e riguarda all’altra riva del fiume, tenendo dalla sommità del bastone all’oc-
chio tuo un filo, o voi bacchetta, e guarda dove l’opposita riva si scontra nel bastone, e tanto quanto AB. entra in
BN. tanto BF entra in D.C. a ponto, et è giusto.
[Ms. B, 59r] Palla ripiena di palle di schioppetti
Questa è la più mortal machina che sia, e quando cade la palla di mezzo dà fuoco, e termina all’altre palle, e la
palla di mezzo scoppia, e
[ordigno visto di prospetto e in sezione]
sparge l’altre, le quali pigliano il fuoco a termine [20] d’un spatio d’un Ave Maria, et ha di fuori un guscio, che
copre ogni cosa. Siano li schioppetti di carta, e ripieni fra l’uno e l’altro di gesso da formare mischiato con cimatura
di panno, e diasi lo fuoco con un soffione, il quale finisca la sua fiamma nel centro della palla fra polvere, la quale
spicchi per buon intervallo tutte le palle piene di schioppetti l’una dall’altra.
[Ms. B, 70r] [macchina battipali senza testo di riferimento158]
[Ms. B, 76v] Questo è un carro di commodo movimento e farsi così; la rota A. si posa con i suoi denti sopra la rota posta [21]
nel centro della rota B. et i denti della rota B si posano su la rocca della rota C, la quale deve esser senza denti:
perché va per terra; e sia da terra al tirare braccia 3, e se volessi porre il suo peso più alto, e fare il tirare nella rota

155
  Mancano le seguenti parole, presenti nel ms. B, f. 30v: «…furono consumate da simile incendio».
156
  Il f. non è indicato da Pedretti nelle corrispondenze dell’H 227 inf. Cfr. C. P edretti, Copies of Leonardo’s lost writings in the ms. H 227 inf. of the Ambrosiana Library,
Milan, in «Raccolta Vinciana», XIX (1962), p. 89.
157
  Nell’originale è indicato un occhio.
158
  Cfr. ms. B, f. 70r: «Da ficcare pali a castello, ma fa che tanto sia di peso ab, quanto bc».

224
di mezzo, lo poi fare, e potresti fare quattro rote l’una sopra l’altra.
[macchina con due ruote dentate e una liscia]
[Ms. B, 77r] Fa, che il peso, che tu dai al carro rimanga sopra il polo della rota di sopra; il polo della rota di sotto è una rocca
grossa, e la rota è alta doi braccia e mezzo, e la superiore duoi braccia, e doi terzi fa, che la rocca habbi otto fusi,
e la rota 64 denti.
[carro con quattro ruote, l’una sull’altra a coppie159]
Un carro di 4 rote una sopra l’altra sarà terribile160, se farai le rote, e le rocche colla misura sopradetta 161 100: libbre
di forza tira un millione, e m/144 [144.000] libbre.
[Ms. B, 81r] [22] Mantice senza corame, e sol di legno
Questo mantice è come un pan di zuccaro, et ha un tramezzo che lo divide per il longo in due parti, nell’una ci
è la superiore, è piena d’acqua, quella di sotto, è piena d’aria; l’acqua cade di sotto per
[mantice ad aria e acqua]
un spiracolo nel vaso dell’aria per un spiracolo, che è appresso alla canna, e lo accrescimento dell’acqua caccia l’aria
per la bocca del mantice e ciò, che manca di sopra d’acqua si riempie per un’animella d’aria, come sono gl’altri,
e questo è il più utile mantice, che sia.
[Ms. I, 114(66)r] De’ poli, e lor facilità
Tutti hanno una contra dieci di leva, benché questi poli siano tutti aggravati più in basso, che in alto, e che la noia
del peso non sia levata a [23] nessuno, niente di meno la potenza del motore, e tanto multiplicata che ella vince
ogni gran confregazion di polo.
[Ms. I, 58(10)r] Questa regola farà il moto circolare di tal durabilità, che parerà maraviglioso, e fuori di natura perché farà molto
movimento doppo il moto del motore. E si fa cadendo il peso M. tanto da alto, che la rota dia trenta volte, e poi
rimanga libera a uso di trottola o ver calmone; e per fuggir strepito essa pietra de’ cadere sopra paglia, et il far l’una
rota maggiore dell’altra giù successivamente l’una doppo l’altra, è sol necessario: perché il lato della rota di sotto
non si posi, et impedisca il polo dell’altra.
[rulli antifrizione, veduta di prospetto e laterale (dettaglio)]
[Ms. I, 113(65)v] In questi poli così situati egl’è ben vero, che il peso è distribuito in diversi poli, ma che raunirà tutti tali alevamenti,
e divisioni
[sistema di ruote imperniate]
[24] insieme troverà la medesima difficultà, che nell’altri oppositi. Et è proprio, come una libra divisa in dodeci
onze, che raunate poi esse dodice onze insieme esse ricompongano una medesima libra a ponto.
[Ms. I, 57(9)v] Regola
Poli in somma valetudine e servano ai moti, che vanno, e tornano, come campane, seghe, e simili nature.
Una libra di forza in B. resulta in M. diecimilla migliara di millioni di libre; e così fa la figura nel contraposto foglio,
la quale è di questa medesima natura, e non varia se non, che le rote sono intiere per haver a voltar sempre per
un sol verso, e sappi quando la prima di sopra da centomilla migliara di millioni di volte, quella di sotto non da sé
non una volta intiera. Queste sono meraviglie dell’arte.162
[figura indicante il rapporto 10 : 1 ripetuto dieci volte, pari a un miliardo163]
164
Per questa via si metterà una campana [25] in polo, che sarà sonata da un picciol vento, essendo la campana con
li pesi equali, et equidistanti dal suo centro.
[Ms. I, 48v] Modo di fare una piastra di stagno in modo sottile, e equale
Questi debbono essere di materia da campane per esser più duri, e vestire i maschi di ferro quadri acciò che non si
atorchino, e così girando l’un l’altro si volteranno, e spianeranno una piastra di stagno larga circa mezzo brazzo.165
[due figure di laminatoi, visti in prospettiva]
[Ms. I, 57(9)r] [26] Questi duoi modi sono spacciativi, e da esser usati dai pratici perché uno è fatto per il moto d’un mede-
simo lamino, e l’altro per moto, che vada e torni, e ciascuno è curvo, et il primo rota ai suoi lati di 72: contra
una, cioè 62: mezz’onze contra una mezza perché il polo è grosso un’onza, e la lieva è 3. brazza, e la lieva
quando fosse tirar di campana sarà 3 braccia. E se alla sua estremità fia una libbra di forza, ei moverà da piè in
contra lieva 26873280: libbre.
[Ms. I, 56(8)v] E se tu volessi che il polo della campana non havesse pondo di lieva al suo moto, ma che il peso della campana
mettesse in mezzo esti poli, e che la fosse restaurata d’altretanto peso, quanto è quello della campana con altretanta
distanza pur sopra detto polo una libra di forza col moto d’un’onza, moverà un peso di 746480. nel medesimo
moto, e tempo, che s’usa sonar per un buon ordinario un’altra campana, e con un filo di spago sottile da farla per
un gioco sonare da un cane a ciò usato.

159
  Nell’originale il carro ha invece due terne di ruote sovrapposte e appare caricato con un grosso peso.
160
  Nel ms. B, f. 77r, si legge invece: «Questo è terribile. E se farai…».
161
  Nell’originale si legge: «colla misura qui a riscontro».
162
  Nel ms. I, f. 57(9)v, prosegue: «…d’ingegno machinatoria».
163
  Manca il numero 10 presente nell’originale su ciascuna delle dieci parti della figura.
164
  Nel ms. I, f. 57(9)v questo brano viene prima del precedente.
165
  Circa gli studi di Leonardo sulla laminatrice, cfr. Leonardo e il leonardismo..., cit., p. 73, scheda di C. Pedretti.

225
[due figure non attinenti al testo, che illustrano rulli antifrizione166]
[Ms. F, 15r] [27] Giovamento da seccar stagni, che confinano col mare
Possibile è in un medesimo pelago far più bassa la superficie dell’acqua, che ha il fondo d’un retroso che quella,
che si percote la caduta d’un’altr’acqua.
Sia dato un retroso in mare, del quale la superficie del fondo sia doppia in profondità alla superficie del più basso
terreno, che habbia il fondo del stagno contingente a esso mare in livello AONM. sia lo stagno di superficie equale
alla superficie del mare a lui contingente AHL.O. Fanne il retroso accidentale EFD.G. profondo il doppio più che
L.A.O, e mettevi la cigognola ABCD. che passerà per necessità per la rocca senza polo, e passerà sopra l’argine del
stagno P.Q. et entrarà nel fondo del retroso, e lì condurà la sua acqua. Ancora la cigognola NMOPR è buona [28]
quando la rocca havesse polo, come qui è figurato, ma meglio è l’altra perché la percussione dell’acqua batte il
fondo, e ’l suo moto ancora pesa.
[vaso e sifone in sezione167] [profilo di nave con ruotismi atti a produrre retrosi]
[retroso ‘accidentale’ e sifone] [vaso e sifone in acqua]
[Ms. F, 13r] La mano voltata in moto circolare in un vaso mezzo d’acqua genera retroso accidentale, il quale scoprirà all’aria il
fondo d’esso vaso, e poiché il suo motore sarà fermo esso retroso seguirà il medesimo moto, ma sempre diminuirà
insino al fine dell’[29] impeto, che li congiunge il suo motore.168
[Ms. F, 16r] ANM è il vaso del retroso accidentale, che ha di diametro un brazzo, e mezzo in bocca, e doi quinti il foro, nel qua-
le entra la bocca della cigognola per la via AB./CD. è l’asse, che gira sopra il polo E. più veloce dell’acqua in esso
vaso, o vero di pari velocità, acciò che il moto dell’acqua l’accompagni, et aggiuterà tal moto, e se pure tu voi fare
l’asse più veloce del moto dell’acqua, tu durerai più fatica, cioè l’asse darà più fatica al suo motore quanto essa sarà
più veloce, e se la velocità dell’asse, e dell’acqua fosse equale la sentirebbe poco, e quasi niente di fatica, come mo-
stro nel quinto dei volatili di potenza, e resistenza, potenza del sbattimento dell’ali, e resistenza dell’aria percossa da
tali ali. La cigognola deve spingere la sua acqua dietro al moto dell’asse, e tale sospingere ancora dev’esser fatto in
su per la linea dell’obliquità [30] del vaso, e fra esso vaso, e l’asse sia un dito di spatio, e non più acciò che il troppo
peso dell’acqua non impedisse il moto di tali asse, il taglio della quale deve essere obliquo, come mostra il dissegno.
[Ms. F, 13r] X è un vaso serrato per tutto, salvo nel fondo dov’entra l’acqua solamente per la cigognola portatali dallo stagno
ABC. sia la riva del mare BM la bocca dello stagno MF lo stagno OHN un canal tolto nell’alto del fiume per il
molino, e tien tutta l’acqua del fiume ND. e la caduta del molino CD. è il canal stretto del mare alla caduta. La
bocca della cigognola, et il ritroso devono essere su la bocca BM.
[sei figure169: al centro, vaso per ‘retroso accidentale’ con albero a gomito (veduta dall’alto e sezione); a sinistra in alto, altro
vaso anch’esso con albero a gomito; al centro, ruota idraulica orizzontale che aziona una centrifuga in un vaso collegato ad un
bacino; a sinistra in basso: vaso con sifone]
[Ms. E, 76r] [31] Del moto perpetuo170
Il peso dell’acqua infra l’aria, è come il peso d’altretanto piombo infra l’acqua, o come il peso del marmo infra
l’olio di noce, è stilato.
Il peso è dieci, la canna tiene nove, la lieva è uno, il peso che preme infra l’aria EF e acqua, ma se tal peso starà
sotto l’acqua vi perde il peso, e per rifare un peso infra l’acqua, che passi come l’acqua infra l’aria togli piombo.
Per far il moto togli olio di noce, o d’oliva stilato, e di questo farai esso moto, et il suo sito sia in ABCD. et il moto
predetto sarà generato dal primo motore. Sia GH il quale con nove di lieva NR, et uno di contra lieva NO leverà
Q. in EF., e quando GH disfa il suo peso EF. riaquista la sua perduta potenza, e discende lo spatio FO, et alza NR.
lieva all’altezza T. donde prima discese dove rihavuta la sua gravezza ricade dal T. all’R e così fa sempre sinché dura
l’instromento.
EF è nove di peso, et ON. è alquanto meno di nove [32] onde il discenso dell’EF. spinge NS. liquido in NT do-
chia171, e quando la lieva NR. levificata ritorna in T si riagrava d’uno, e con quell’uno descende in potenza di più di
nove perché la lieva NR ha longhezza di più di nove contra a uno NO di contra lieva e per tal potenza riaquistata
in R/ EF peso di nove s’inalza, e resta in potenza di nove.
[pompa172]
[Ms. E, 72v] Il peso cresce tanto quanto A. s’alza al C. Quella proportione, che ha lo spacio NM. con lo spacio NB, tale ha il
peso discenso in D. col peso, che tal D. haveva nel sito B, seguita, che essendo N.M. [33] li dieci undecimi del NB,
che il peso descenso in D egl’è 9/10 del peso, che egli haveva nell’altezza B. La canna NF è nove libre NB. cannale
permanente è undeci brazza. ND. è brazza undeci, et il peso S. è dieci, il quale si ferma in bilanza CND. contra a
uno in D. perché C.N. braccio della bilancia è simile al braccio NA. et NA braccio entra dieci volte nel braccio
NM, il quale vale il brazzo ND. Adunque il moto della bilancia NCD restarà quattro brazza alta da terra, con l’e-

166
  Entrambe inserite nel f. 57(9)r del ms. I, ove è rinvenibile anche il testo descrittivo.
167
  Il grafico risulta specchiato rispetto all’originale.
168
  Manca l’immagine del «vaso», presente nel f. 13r del ms. F.
169
  Le prime due nel f. 16r, le altre nel f. 13r del ms. F.
170
  Il titolo manca nell’originale.
171
  Si intenda «doccia».
172
  Figura specchiata rispetto all’originale.

226
strema bassezza del suo contrapeso, che è uno, il qual uno è di tal proportione con dieci contrapeso S, quale è AN
braccio della bilancia con MN suo braccio opposito. Adunque il moto si è fatto immobile in sin che il grave D è
annullato, di poi si leverà al primo sito B., dove mediante S ripiglierà le sue perdute forze, e di nuovo discenderà al
sito D. L’acqua D si versarà tanto [34] più vicina al B, quanto ella fia di minor peso; ma se voi ch’ella rimanga del
primo peso cresci la grossezza della canna, acciò che monti tanto più acqua in B, quanto in D farà minor discenso,
e così levarai l’acqua in ogni altezza.
[pompa173]
[Ms. E, 72r] Quando il braccio KA sarà in C. il braccio KB fia in D, e quando il braccio KB discenderà in KF, il braccio KA si
leva in KE. Le braccia della statera son sempre preportionate in ogni loro obliquità, il che non interviene se non
vi fosse, come qui la rota, che mai diminuisce il brazzo minore.
[mantice]
[35] Quando le braccia della bilancia saranno più longhe, che l’altezza della levatione della materia, con tanto
maggior vigore superaranno il peso della generata inequalità delle braccia.
Ricordati, che quanto il moto EA è minore, M. discende meno, e conduce minor somma
[mantice]
di materia in D, per la qual cosa ancora, che tal materia s’inalzi assai dall’S donde ella fu tolta all’A. dove ella si
carica, ella è sì poca, che l’utilità è di picciolo valore. Sì che per tanto fa ch’essa materia sia di tanta maggior quan-
tità, quanto essa sarà di minor discenso, et il poco discenso conditionato nel modo detto ha doppia utilità, perché
porta assai in altro la robba, e varia poco li pesi delle braccia di tal bilancia BD, et [36] AD. Per la quarta de’ pesi,
che dice le braccia della bilancia d’equale longhezza, che fanno in congiuntione angulare con il loro polo saran
tanto men varie nelle lor potenze, quanto tale angolo fia più ottuso, e con li loro estremi habbiano men varietà
d’altezza dal sito dell’equalità.
Sempre il mantice debbe esser pieno d’olio, e non d’aria, e d’acqua, perché l’aria è incompensabile, e pare fattibile,
e l’acqua fa marcire, e l’olio no, ma si diaccia se non sta sotto terra.174
[Ms. E, 72v] [pompa175]
[Ms. E, 75r] Questo strumento deve discender dritto, e senza alcuna confregatione acciò non si consumi il corame, e li cerchi
che tal corame circondano, et armano, debbono stare di fuori, acciò prohibiscono la superchia dilatatione del
corame.
[figura a lato del testo: mantice cilindrico con valvola conica]
AB canna vacua si fa guaina delle fronte del ferro, che tiene dritto.
[figura a lato del testo: valvola]
[Ms. G, 54r] [37] Del conoscere quanto il naviglio si move per hora
Hanno li nostri antichi usato diversi ingegni per vedere, che viaggio facci un naviglio per ciaschun’hora, infra le
quali Vetrovione pone uno nella sua opera d’architettura, il qual modo è fallace insieme con gl’altri. E questa è
una rota di molino tocca dall’onde marine, nelle cui estremità, e mediante le intere sue revolutioni si descrive una
linea retta, che rapresenta la linea circumferentiale di tal rota ridotta in rettitudini. Ma questa tale inventione non
è valida se non nelle superficie piane, e immobili de’ laghi, ma se l’acqua si move insieme col naviglio, con equal
moto, allhora tal rota resta immobile; e se l’acqua è di più o men veloce moto, che il moto del naviglio, allhora an-
cora tal rota non va con moto equale a quel del naviglio, in modo che tal inventione è di poca valetudine. Ecci un
altro modo fatto coll’esperienza [38] d’un spacio noto da un’isola all’altra, e questo si fa un’asse lieva percossa dal
vento, che si fa tanto più, o meno obliqua, quanto il vento, che la percote, e più o men veloce, e questo è in Battista
Alberti; ma tale inventione non riesce se non a un naviglio simile a quello dove è fatta tal’esperienza, ma bisogna
che sia col medesimo carico, o medesima vela, o medesima situation di vela, e medesime grandezze, ma il mio
modo serve a ogni naviglio sia di remi, come vela, e sia piccolo, o grande, stretto, o longo, alto, o basso sempre serve.
[Ms. G, 51v] Del votar porti
Fa a casse, e quando l’una cassa è vota d’acqua, e di terreno, vota l’acqua della seconda cassa in quella, che prima si
votò, e poiché è asciutta, cava li pali della cassa riempiuta d’acqua, e rifa col medesimo legname la seguente cassa.
[figura a lato del testo: cassoni]
[Ms. F, 49v] [39]176 Sia caricato un gran peso sopra un naviglio senz’argani, lieve corde, o alcuna forza
Per caricare ogni grandissimo peso unito sopra resistente barca, sia necessario tirare tal peso alla riva dell’acqua, o
del mare, e drizzato colla longhezza al mare per il verso della riva d’esso mare, di poi si facci un canale, che passi di
sotto esso peso, e tanto di là, quanto è la metà della longhezza d’essa barca, che debbe portar tal peso, e similmente
la larghezza di tal canale sia fatta secondo la larghezza di tal barca, la quale sia empita d’acqua, e tirata sotto tal peso,
e poi cavata l’acqua, il naviglio si leverà a tal altezza, che levarà detto peso da terra per se medesima, la qual poi
potrai così carica tirare in mare, e condurla al loco, che per lei è ordinato.177

173
  Figura specchiata rispetto all’originale.
174
  Manca la figura di riferimento, presente nel f. 72r del ms. E.
175
  Figura presente nel f. 72v del ms. E e qui posposta.
176
  La proposizione si ritrova identica nella sezione III, p.V.
177
  Cfr. Leonardo e il leonardismo... cit., p. 142.

227
[barca con grosso peso in uno stretto canale]
[Ms. F, 25r] [40] 178Questo occhiale di christallo debbe essere netto di macchie, e molto chiaro, e dai lati debbe essere grosso
un’onza d’un’onza, cioè un 1/144 di brazzo, e sia sottile in mezzo secondo la vista di chi l’ha a adoprare, cioè
secondo la proportione di quelli che a lui stanno bene, e fia lavorato nella medesima stampa d’essi occhiali, e la
larghezza di tal tavola sarà un sesto di brazzo, e la longhezza un quarto di brazzo, e così sarà longo 3: onze, e largo
due, cioè un quadrato, e mezzo, e questo tale occhiale si debba adoprare remoto dall’occhio un 3.° di brazzo, et
altretanto sia remoto dalla lettera che tu leggi, e se egli è discosto più essa lettera parrà maggiore. In effetto la lettera
commune di stampa parrà lettera di scattole da speciale.
[figura a lato del testo: lente in cornice rettangolare con manico verticale179]
180
[Ms. F, 23v] Questa palla debba essere di diametro un mezzo, et un terzo di brazzo, e deve essere di vetro chiaro, e piena
d’acqua [41] chiara, et una lampade in mezzo col lume circa al centro d’essa palla, et appiccata nel mezzo d’una
sala farà gran lume.
[figura a lato del testo: lampada sferica]
[Ms. E, 51v] Per misurare la larghezza d’un fiume181
Quando voi misurare un fiume nella sua larghezza, discostati dalla sua riva qualche cosa più, che essa larghezza del
fiume, e guarda qualche segno noto nell’opposita riva di tal fiume, come se essa larghezza di tal fiume fosse AB,
e la remotione, che tu fai da tal fiume sia AC, la quale è alquanto più, che la larghezza del fiume; oltre di questo
leva nell’estremo di tale distanza una linea perpendicolare di quella longhezza, che a te piace; e sia la linea CD. e
da esso D. riguarda un’altra volta il segno B, il quale tu notasti di là dal fiume, e fa porre un segno della riva nel
ponto F, il quale sia nella medesima linea DB. Fatto, che tu hai questo dividi in mezzo la perpendicolare CD. nel
ponto E, e da esso E leva un’altra perpendicolare in continuo diretto, e dove ella si taglia nella linea [42] DF poni
un segno, dal quale leva la 3a perpendicolare GF e così haverai fatto il quadrilattero CEFG. il quale tu sai, che il
suo lato CF ponto è in mezzo all’altra linea CB. Adunque trahi AF riva dall’FC. che è FN, e restaratti HC. equale
alla larghezza del predetto fiume.
[costruzione geometrica con indicazione del letto del fiume]
[Ms. G, 44v] Della cigognola d’argento vivo per far foco182
Il mercurio preparato tirato per sotilissimo rame a uso di cigognola della quale le longhezze de’ lati d’onde l’hu-
mor monta, e descende siano di grossezza insensibili; si vedrà fare oriolo a uso di polvere, e questo è più tardo,
e sottile discenso, che far si possa in modo, che far si potrebbe, che in un’hora non passarebbe un grano d’esso
mercurio da un vaso all’altro; e la superficie del [43] suo bagno è discensibile superficie mediante la
[cicognola]
opacità del mercurio, la pelle del quale mercurio sia di bassezza insensibile, con la bassezza, che di fuori versa la
cigognola, e così potrai fare un foco, che mediante la percussione si genera in termine d’un anno, o più, e questo
è senza romore alcuno insino al ponto della creation del fuoco. E questo è dissegnato nel dissegno qua a basso,
come si debbe dissegnare, o statuire esso vaso, che con osservata potenza faccia l’opera, che lui ci promette nel fine.
[Ms. G, 48r] Perché quanto più l’acqua diminuisce nel vaso, tanto più s’abbassa la sua superficie, e quanto più s’abassa la super-
ficie dell’acqua, tanto men veloce versa la sua cigognola. Ma se la cigognola descendesse insieme colla superficie
[44] dell’acqua, che la sostiene, senza dubio il moto dell’acqua, che versa per la cigognola sempre sarebbe in sé
eguali. Adunque per far questa equalità noi faremo il vaso N. vaso possato sopra il bagno dell’argento vivo M. il
qual vaso N è barca sostenitrice della cigognola dall’aria allo argento vivo. E questo argento si va versando per la
cigognola NSD. nel vaso F, e quanto discende la superficie d’esso argento vivo, tanto descende la barca, che sopra
quello si posa insieme con la cigognola, il qual è un sottilissimo fil di rame avivato, e cade in vaso, il quale quando
acquista il debito peso cade facendo foco per colpo.
[due figure183: a sinistra, cicognola; a destra, strumento a mercurio]
[Ms. E, 75v] [45] Stromento da cavar terra da un porto
Qui la calculatione della potenza non si pone al presente. Ma tu lettore hai a intendere questo havere utilità, la
quale nasce mediante l’abbreviamento del tempo, il quale abbreviamento nasce perché sempre lo stromento, che
porta la terra di basso in alto, e in officio d’esso portare, né mai
[draga a cucchiaie]
torna indietro. Il voltare del manico N volta una rocchetta, e questa rocchetta volta la rota dentata. F è congionta
colla croce delle casse portatrici della terra, e del pantano, che si scarica sopra le barche. Ma le due corde MF e
MB. s’avoltano al polo F, e fa caminar lo stromento con le due barche contra all’M, e queste corde [46] per tale
offitio sono utilissime. Il polo ha commodità di poter discendere in tanta bassezza quanto debbe descendere la rota
per profundare l’acqua al padulo.

178
  Questo brano è ripetuto nella sezione III, p. CXXXX.
179
  Nell’originale all’interno del grafico è la scritta: «Occhiale di cristallo grosso da’ lati un’oncia d’un’oncia».
180
  Idem nella sezione III, p. CXXXXIV.
181
  Idem nella sezione III, pp. II-III.
182
  Nell’originale del ms. G questo titolo è posto nel f. 48r, non nel f. 44v, prima del capoverso «Perche quanto più l’acqua diminuisce…».
183
  La seconda è nel f. 45r.

228
[Ms. G, 29v] Prospetiva
Infra due cose simili, et equali poste l’una doppo l’altra, con una data distanza si dimostrerà maggior differenza
nelle lor grandezze, quanto esse saranno più vicine all’occhio che le vede; e così di converso si dimostraranno infra
loro di men varietà di grandezza, quanto esse sono più remote dal predetto occhio.
[raggi visivi da un occhio verso quattro corpi sferici]
Provasi mediante le propositioni, che hanno infra loro de’ lor distanze; perché si fa dall’occhio alla prima, quan-
to dalla prima alla seconda [47] questa s’adimanda dupla proportione. Perché se la prima è discosta un braccio
dall’occhio, e la 2.a è discosta 2: braccia, il duoi, è doppio all’uno, e per questo il primo corpo si dimostrerà doppio
al secondo. E se tu rimoverai da te cento braccia la prima, e cent’uno braccio la seconda, tu troverai la prima esser
maggiore della seconda quanto cento è minor di cent’uno. E questa è proportione conversa. Ancora il medemo
si prova per la quarta di questo, che dice: delle cose equali tal proportione è da grandezza a grandezza; quale è da
distanza a distanza dell’occhio che lo vede.
184
[Ms. F, 95r] Perché diminuendo il simolacro del lume della candela remossa in longa distanza dall’occhio, non diminuisce la
grandezza d’esso lume, ma solo manca la potenza, e lucidità del suo splendore.
[due figure: a sinistra, raggi luminosi su due oggetti sferici a diverse distanze;
a destra, lume solare raffigurato con un semicerchio]
Un lume, che diminuisca di quantità, diminuisce [48] ancora di potenza alluminativa, ma non si rimovendo di sito,
non manca della prima quantità d’alluminatione in tutti quei luoghi che prima alluminava. Provasi il simolacro del
sole dato nella superficie dell’acqua reflete indietro i raggi, come lume materiale, tanto indietro, come in fuori, et
allumina realmente le cose contraposte; e ancora di dentro.
[Ms. F, 94v] Perché all’occhio non diminuisce l’obietto in alcuna distanza luminoso185
L’occhio non diminuisce in lume in alcuna distanza, perché la similitudine del lume che s’imprime nella superficie
dell’occhio, allumina dentro, come fanno le finestre di carta che spandano la luce da lor per quelli lochi, li quali
vedano essa carta, e prima non poteano veder la causa della luminatione d’essa carta, quando tal carta non’ v’era.
Ancora il sole, che dà nelli specchi fa, che il simulacro [49] non passando dentro reflette in fuori come lumi reali: e
se il piombo non fosse dietro a tal vetro del specchio il simolacro del sole, che s’imprime nella superficie del vetro,
passarebbe dentro e alluminarebbe dentro, e dietro a tal specchio, e così fa l’occhio, il quale dentro riceve il lume
di tal simolacro, il qual si spande assai nella virtù visiva.
[Ms. F, 64r] Perché ogni luminoso di longa figura in longa distanza pare rotondo186
Mai è perfetto tondo, ma li accade, come al dado di piombo, quando è battuto, o forte straccato, che si fa in forma
circolare con questo lume, in longa distanza acquista tanto di larghezza per tutt’i versi, che essendo l’acquisto equale,
il primo capitale del lume primo vi resta per nulla rispetto a tale aquisto, e però l’acquisto uniforme lo fa parer rotondo.
[Ms. F, 63v] Se terrai l’occhio vicino alla superficie dell’acqua di quel mare, o stagno che s’interpone infra l’[50] occhio tuo e
’l sole, tu troverai il simolacro del sole in tal superficie dimostrarsi picciolissimo. Ma se ti rimoverai da esso mare
per spacio di più miglia, tu vedrai il simolacro del sole farsi parecchi miglia di larghezza, e grandezza. E se il primo
simolacro ritenea la vera figura, e luce del sole, come fanno li specchi, questo secondo non riserva né luce, né
figura d’esso sole, ma una figura con termine interrotto, e con luce diminuita dalla prima; la figura del simolacro
dei termini interrotti, e confusi si genera da una compositione di molti simolacri del sole riflessi all’occhio tuo da
molt’onde del mare. E lo splendore diminuito nasce perché all’occhio viene la similitudine ombrosa, e luminosa
dell’onde insieme miste; onde la lor luce è alterata dalle lor ombre, il che non può accadere nella superficie d’una
sol’ombra, la qual ritrovasi vicino all’occhio.
[Ms. G, 13v] [51] Prospettiva semplice
La semplice prospettiva è quella, che è fatta dall’arte sopra sito equalmente distante dall’occhio, con ogni sua parte.
Prospettiva composta
Prospettiva composta è quella, che è fatta sopra sito, il quale con nessuna sua parte è equalmente distante dall’occhio.
[Ms. F, 77v] L’estremi della luna saranno più alluminati, e si dimostreranno più luminosi perché in quelli non appare se non
la sommità dell’onde delle sue acque, e le profundità ombrose delle valli di tali onde, non alterano le spetie di tal
parte luminose, che dalla sommità d’ess’onde vengano all’occhio.
[raggi visivi da un occhio verso la luna illuminata dal sole]
Se ogni parte del sole spande li suoi raggi in tutti l’obietti circunstanti, qual’è quella parte, che manda il
simo[52]lacro
[figura a lato del testo: schema di raggi solari]
all’acqua, cioè è egli raggio colonnale, o piramidal dritto, o piramidal scavezzo, o piramidal converso, cioè il co-
lonnale è ACBD. il piramidal scavezzo è ACFG. il piramidal dritto è ACE. et il piramidal converso è FGH. Hor
dimmi tu qual porta all’acqua il simulacro del sole.
[Ms. F, 28v] Il simulacro187 del sole passato per gli sonagli della superficie dell’acqua manda al fondo d’ess’acqua un simolacro

184
  Questo brano è ripetuto nella sezione III, p. XIII.
185
  Idem nella sezione III, pp. XIV-XV.
186
  Manca la figura presente nel f. 64r del ms. F.
187
  Nell’originale si legge: «razzo».

229
d’esso sonaglio, che fa forma di croce. Non ho ancora investigato la causa, ma credo che sia per cagion d’altri
piccioli sonagli che son congiunti intorno a esso sonaglio maggiore.
[figura a lato del testo: raggi solari che attraversano l’acqua in un recipiente]
Se l’obietto interposto infra il campo, e l’occhio sarà minore, che la popilla d’ess’occhio, nessuna parte del campo
sarà occupato da tale obietto EP. sia la luce dell’occhio, Q sia il simolacro interposto infra il campo AD. e l’occhio;
dico, che tal’obietto non occuperà alcuna parte del campo.
[figura a lato del testo: schema con piccolo oggetto davanti all’occhio, con raggi visivi]
[53] Dico se l’obietto B mandasse la sua similitudine nel ponto A, che nessuna parte del campo DS potrebbe esser
veduta da tal occhio perché qui l’obietto minore della popilla occupa tutto il campo al ponto A.
[figura a lato del testo: schema con piccolo oggetto davanti all’occhio, con raggi visivi]
188
[Ms. F, 22r] Quella parte dell’obietto oscuro d’uniforme grandezza si dimostrerà più sotile, che fia veduta in campo più
luminoso EH. e il corpo oscuro in sé, e d’uniforme grossezza AB, e CD sono campi
[due figure189: piramidi di raggi visivi con campi oscuri]
oscuri più l’un, che l’altro BC è campo luminoso, come se fosse un loco percosso da un spiracolo di sole in una
camera oscura. Dico, che l’obietto EH. parrà più grosso in EF, che in GH, perché EF ha il campo più oscuro, che
esso GH. Ancora la [54] parte FG parrà sottile per esser veduta dall’occhio O in campo BC, che è chiaro.
La parte del corpo luminoso d’uniforme grossezza, e splendore, parrà esser più grossa, che fia veduta in campo
più oscuro.
[figura analoga, a lato del testo]
[Ms. F, 39r] Perché il simolacro del sole, é tutto per tutta la sfera dell’acqua /
veduta dal sole e tutta in ogni sua parte dell’acqua predetta
Tutto il cielo, che vede la parte della sfera dell’acqua veduta dal sole, vede tutta ess’acqua occupata
[sfera terrestre illuminata dal sole]
dal simolacro del sole, e ogni parte del cielo vede tutto la superficie dell’acqua senz’onde alluminata equalmente i
lochi percossi dalli raggi reflessi dal simulacro del sole nell’acqua.
Il simolacro del sole è unico nella sfera dell’acqua veduta dal sole, il quale si mostra a tutto il cielo a lui anteposto,
et ogni ponto d’esso cielo vede per sé un [55] simolacro, e quella che vede l’uno in sito, è veduto dall’altro in un
altro sito in modo, che nessuna parte del cielo lo vede tutto.
[Ms. F, 73r] Quel simolacro del sole occupa più spacio della superficie dell’acqua, il quale sarà veduto da loco più distante da lui.
Dell’angolo della contingenza190
Se da cose proportionate tu levi parte nella medesima proportione, il rimanente non si varia dalla sua prima
proportione. Seguita che se da CF duplo all’A tu leverai CD, et AB, che sono parti duple, il rimanente DF,
et BE restano dupli come prima, e se la linea BD sarà contingente al cerchio, tale contatto sarà il detto angolo
della contingentia.
[Ms. F, 62r] [figura a lato del testo: cerchio con angolo al centro]
191
Il raggio del luminoso fa l’angolo dell’incidentia infra 4 angoli equali, cioè l’assi dell’angolo etc.
[due figure di cilindro illuminato da raggi, con ombre]
Qui l’angolo ACM non essendo equale al suo opposito [56] MCB l’occhio O non vede N et E.L192
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]
CAD è l’angolo dell’incidentia sopra l’obietto collonale, e l’assis di tal angolo BA. termina in A infra quattro angoli
equali cioè ciascun d’essi angoli è equali al suo corrispondente, come DAF è equale al suo corrispondente CAH193,
e così BAE al BAG.
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]
194
[Ms. F, 61v] L’assis dell’angolo dell’incidentia termina sempre infra infiniti angoli equali ciascun per sé al suo corrispondente.
Sia l’angolo dell’incidentia ONP. et il suo assis sia NM, termina in N infra infiniti angoli. Io ne porrò qui quattro
per esempio, e sia il primo MDN equale al suo corrispondente MNC. Perché sono equali questi doi: perché cia-
schuno ha un lato curvo, et un retto, e li curvi DN, et CN son d’equal curvità perché son posti sopra [57] corpo
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]
colonnale d’uniforme grossezza. L’altri doi angoli sono MNA, et MNB ch’hanno li lor lati retti, ma non sono
equali, perché MNB è minore, che il suo corrispondente MNA. Adunque l’angolo sarà più basso. Infra l’angoli
ABCDN li si può mettere infiniti altri angoli, e ciascuno qui fia equale al suo corrispondente.
[Ms. F, 53v] Se le specie de’ corpi RSX poste sul piano TH. passeranno per christallo fatto d’una mezza sfera CVR et ande-
ranno all’occhio A l’obietto X parrà maggiore, che l’obietto R, ancora che essi siano infra loro equali, e questo

188
  Questo brano (fino a «più oscuro», compreso il grafico) è ripetuto nella sezione III, pp. CXXXXIV-CXXXXV.
189
  La prima risulta specchiata rispetto all’originale.
190
  La proposizione è presente identica nella sezione III, pp. LIV-LV.
191
  Le tre proposizioni che seguono sono presenti identiche nella sezione III, p. LXXV.
192
  Nell’originale del ms. F (f. 62r) si legge in realtà: «…non vede n in c».
193
  Si legga CAB.
194
  La proposizione è presente identica nella sezione III, p. LXXVI.

230
nasce perché l’angoli della linea RA. son più simili su il convesso del christallo, che non sono li angoli del corpo.
[raggi visivi attraverso una semisfera195]
[Ms. F, 50r] Ancora che l’angolo dell’incidentia NOF sia fatto fra angoli equali VOR, et FOM. la centrale non cade infra
angoli equali, perché NOB angolo non è equale all’angolo NOA. Perché il primo è acuto, et il secondo ottuso.
[studio dell’angolo di incidenza196]
197
[Ms. F, 67v] [58] Dell’arco celeste
Se l’arco celeste è generato dall’occhio (cioè la sua rotondità) o dal sole mediante la nuvola.
Lo specchio non piglia se non la specie de’ corpi visibili e le specie non si causano senza essi corpi. Adunque, se
tal arco è veduto nello specchio, e vi concorrono le specie ch’hanno origine da esso arco celeste, seguita esso arco
esser generato dal sole, e dalla nuvola.
[figura con sole, occhio, pioggia e arcobaleno]
L’arco celeste è veduto nelle sottili pioggie da quell’occhi ch’hanno il sole dietro, e la nuvola davanti. E sempre
una linea imaginata in continuo diretto partita dal centro del sole, passando per il centro dell’occhio, terminarà nel
suo centro dell’arco; e questo tal arco mai fia veduto dall’un occhio nel medesimo sito, che lo vede un altro, anzi
fia veduto in tanti siti del nuvolo, dove esso si genera, quanti sono gl’occhi che lo vedano.
[59] Adunque tal arco è tutto e per tutto il nuvolo, dove si genera, e tutto in ciascun loco, che di lui è capace, e così
parrà maggiore, o minore, mezzo, intiero, doppio triplo.
Fassi ancora coll’acqua soffiata in verso al raggio solare, che passi il loco oscuro, havendo il sole nella nuca, e così
col lume di torchio, o di luna.
198
[Ms. F, 60v] Delle cose remosse dall’occhio con equal distanza dal lor primo sito, quella meno diminuisce, che prima era
più distante da ess’occhio; e tal fia la proportione della diminutione, qual fu la proportione delle distanze, che
esse havevano dall’occhio avanti il lor moto. Come a dire il corpo T, et il corpo F delli quali la proportione delle
loro distanze dall’occhio A è quintupla, io rimovo ciaschun del suo sito, e lo fo più distante dall’occhio uno d’essi
quinti in che è divisa la proportione. Accade dunque, che T più vicino all’occhio harà doppiata la distanza, e per la
penultima di questo esso è diminuito la metà del suo tutto, et il corpo [60] e per lo medesimo moto è diminuito
un quinto d’esso suo tutto. Adunque per la detta penultima è vero quel che in quest’ultima s’è proposto.
[linea segmentata]
[Ms. F, 50r] Propositioni di prospettiva
L’occhio restringe, e diminuisce tanto la pupilla nel riguardar cose luminose, che riguardando poi le cose di minor
luce, esse paiono tenebrose.
L’occhio che sta in loco tenebroso, nel veder poi cose di mezzana chiarezza, li paion lucidissime, e questo si causa
perché la luce cresce tanto stando nell’occhi oscuri, che ella vede poi le cose di mezzana luce con detrimento.
[Ms. F, 40r] Il simolacro del sole impresso nella superficie dell’acqua fa dentro, e fuori d’essa acqua raggi, li quali alluminano
per longa distanza, come se fosse lume reale.
Perché diminuendo il simolacro del lume della candela sopra della luce dell’occhio, nel rimover tal candela per
longa distanza da tal occhio, e non diminuisce al giuditio del veditore essa candela [61] se non di chiarezza di
splendore.
Quel loco sarà men luminoso, che da minor lume fu alluminato.
Per questa tal concettione, e per la propositione di sopra, che deveno allegar prima, noi siamo certi, che l’aluminato
RG fa maggior impressione nelle luce NM.AB. nel sito AB, che non farebbe a esser rimosso alla distanza HL.
perché l’impressione d’esso HL. viene a essere sopra la luce C.O che è molto minore, che l’impressione prima
AB, e per questo la potenza dello splendore è diminuita, ma con la qualità per la concettion detta, conciosiaché
la base, e lo spacio della luce, è così tocco dal simolacro CO, come dal simolacro maggiore, AB, onde lo splendore
de’ raggi intorno al simolacro alluminano
[figura a lato del testo: occhio, con due diverse posizioni della fonte luminosa]
[Ms. F, 39v199] così per tutto dentro a essa luce come li raggi del simolacro; et altra differenza non piglia il senso se non chiarezza
di splendore diminuita in potenza, ma non in quantità.
[62] Quella cosa parrà maggiore, che fia veduta da maggior luce d’occhio.
Questa propositione ancora serve a provare la raggione, perché un lume posto infra noi, non diminuisce in nessuna
distanza, se non di luce, e non di grandezza.
Ha ordinato la natura nella popilla dell’occhio che tutti li animali, così d’acqua, come di terra, che quando essi
sono alterati da maggior, o da minor luce, che essi diminuiscano, e creschino la lor pupilla, cioè il vero, e questo è
fatto perché dando alteratione all’occhio, la luce soverchia ess’occhio o ver la pupilla si restringe a guisa di borsa,
onde la gran luce torna piccola di quantità, e di splendore proportionevolmente secondo il lor serramento, o ver
diminuitione. E quando guardano nelle tenebre esse pupille si fan grandi, e la luce diminuita per questa via viene

195
  Figura specchiata rispetto all’originale.
196
  Figura specchiata rispetto all’originale.
197
  L’intero brano è ripetuto nella sezione III, pp. LXVI-LXVII.
198
  Questo brano è ripetuto nella sezione III, p. LXXVI.
199
  In C. Pedretti (cfr. Copies…, cit., p. 89) è indicato il f. 39r.

231
a crescere secondo l’accrescimento di tal luce; e così cresce la quantità de’ corpi veduti [63] da tal luce; e questo
modo servirebbe, che quando il lume della candela si rimovesse dall’occhio, che diminuendo esso lume da sé della
sua luce la pupilla crescesse, e facesse crescere200, la figura del lume.
[Ms. F, 37r] Quella popilla, che sarà minore in una medesima quantità d’occhio vedrà l’obietto minore, e più oscuro.
Nelle cose d’equal distanza la minore manda minor angolo all’occhio, e la maggiore maggiore. L’angolo ABD è
minore dell’angolo BCD.
[diagramma con occhio e oggetti equidistanti]
Quel luminoso si mostra di minor figura in una medesima distanza, il quale perderà più di splendore. Questo mo-
stra la verga di ferro infocata in una parte della sua longhezza, essendo in un loco oscuro, la quale ancora, che ella
sia d’uniforme grossezza, si dimostrerà assai più grossa nella parte infocata, e tanto più quanto essa [64] è più calda.
Ogni corpo luminoso fa raggi201 visibili nel simolacro, che lui manda all’occhio, e tanto più longi raggi, quanto
esso è di maggior splendore, e così è converso.
Molte sono le volte, che i simolacri d’un medesimo luminoso saran due, e tre volte in un medesimo tempo in un
medesimo occhio. Saran due volte quando l’occhio si riserra alquanto, come si fa nel riguardar la luce soperchia,
e che il capo stia alquanto inclinato, come la figura A, colui fa doi raggi: l’uno percote nella grossezza bagnata del
coperchio dell’occhio di sotto, e risalta alla pupilla, e l’altro raggio va dritto a essa popilla. Saranno tre nelli figura
B, un nel coperchio di sopra, un in quel di sotto, un in mezzo alla popilla.
[due figure a lato del testo: occhi con corpi luminosi]
[Ms. F, 36v] E li predetti doi o tre simolacri del lume capitando a un medesimo paiono un solo, ma maggiore, che non si
conviene a similitudine d’un medesimo corpo, che manda alli [65] doi occhi doi simolacri, et il senso li piglia per
un solo.
Se sarà veduto qualunque luminoso per un minimo perforamento fatto in una carta accostata all’occhio quanto
si può il luminoso, ancora che integralmente sia veduto, esso parrà tanto minore, che non solea, quanto esso foro
sarà di minor quantità. Questo nasce perché minor virtù ha manco potenza che la maggiore.
[Ms. F, 36r] Delle cose d’equal grandezza poste in distanza equali dall’occhio, quella parrà maggior, che fia più luminosa.
Delle cose equali equalmente rimosse dall’occhio la più oscura parrà minore. Questo può accadere per due cause,
delle quali la prima è che nello star presso a essi lumi si conosce speditamente la distanza, o vero spacio, che li
separa, e li simolacri che di lor s’imprimano nel nostr’occhio è ancora assai sensibile, e li lor raggi per ancora non
si toccano, li quali poi in longa distanza tali simolacri si fanno tanto vicini, che [66] non che li lor raggi, ma ancor
li corpi luminosi si toccano.
[figura a lato del testo: diagramma con due corpi luminosi e due occhi a diversa distanza, sullo stesso asse]
Ancora in tal distanza la pupilla, che prima s’era ristretta in tal distanza, si viene a slargare perché la luce delli lumi
non è più di tanta potenza, come ella era, essendo all’occhio vicina, e così l’occhio cresciuto di popilla vedendo
una cosa pare sia oscura.
Se tutti li simolacri concorressero in angolo, concorrerebbono nel ponto matematico, il quale essendo indivisibile,
tutte le specie qui parerebbono unite, et essendo unite il senso non potrebbe giudicare verità alcuna.
[Ms. F, 35v] I duoi lumi separati in alquanta distanza pareranno congiunti, e uniti. Di questo caso è stato giudicato da molti
prospettivi, che l’aria circostante a essi lumi in longa distanza è sì illuminata, che ella appare della natura d’essi lumi,
e però i lumi, e l’aria loro circonstante pare essere un medesimo corpo. Quel che questi dicono non è vero, perché
se così fosse, che l’aria, che [67] circonda tali lumi in longa distanza s’alluminasse tanto, che ella paresse tutta uni-
forme luminosa, questo medesimo s’havrebbe più a conoscere d’apresso (dove si conosce la vera figura del lume)
che da lontano. E se nel discostarsi si perde la notitia della vera figura di tal lume perché alquanto si diminuisce di
splendore, quanto più s’havrebbe a diminuire, o perdere quel splendore dell’aria, che è tanto men lucente, che esso
lume. Adunque provaremo tal accrescimento esser fatto da doi simolacri nell’occhio.
Il soperchio splendore del lume, essendo vicino all’occhio, diminuisce la virtù visiva, conciosiaché la pupilla essen-
do offesa si restringe, e così si fa minore, e nel discostarsi tal lume, viene a mancar tal offensione all’occhio, perché
il lume manca di splendore, onde la pupilla cresce, e vede maggior lume.
202
[Ms. F, 34r] Della virtù visiva
Se tutti li simolacri, che vengano all’occhio concoressono [68] in angolo per la diffinition dell’angolo elle
concorrerebbono nel ponto matematico, il quale è provato essere indivisibile, adunque tutte le cose vedute
nell’universo parerebbono una, e quelle sarebbe indivisibile, e non sarebbe più spacio da una stella a un’altra,
la quale fosse giudicata in tale angolo. E se l’esperienza ci mostra tutte le cose divise con li spatii proportionati,
et intelligibili tal virtù deve s’imprimere le specie delle cose; ancora lei è divisibile in tante parti maggiori, e
minori, quanti sono li simolacri delle cose vedute. Concluderemo adunque, che il senso toglia li simolacri, che
si specchiano nella superficie dell’occhio, e poi dentro le giudichi. Adunque non concorreranno in ponto, e
per conseguenza in angolo.

200
  Nel Ms. appare ripetuto, per errore del trascrittore, «et facesse crescere».
201
  Idem, «fa raggi».
202
  Il testo, di qui fino a «d’indi manda il simulacro dell’occhio» (p. 81), è ripetuto (senza sostanziali variazioni, ad esempio con la collocazione centrale delle figure)
nella sezione III, pp. CXXIII-CXXXVII.

232
[figura a lato del testo: corpo trasparente con raggi luminosi203]
Ogni superficie di corpo trasparente, così dentro, come di fuori è atta nata a ricevere li simolacri d’essi obietti.
Nessuna parte de’ corpi transparenti inclusa dalle [69] lor superficie è in potenza di ricevere, o formar alcun simo-
lacro, ma bene è atta a dar transito alli simolacri della superficie.
[Ms. F, 33v] Modo di sperimentare, come li raggi penetrano li corpi liquidi
Fa fare due zaine, che ciascuna di loro sia paralella, e sia quattro, o cinque tante minore l’una dall’altra, e d’altezza
equale, poi ferma l’una dentro all’altra come qui vedi il dissegno, e copri fuori di colore, e lascia scoperto quanto
una lenta, e di quivi fa passare un raggio solare, il quale esca da un altro spiracolo d’uscio, o finestra, poi guarda se
il raggio, che passa dentro all’acqua inchiusa infra le due zaine osserva la sua rettitudine, che li ha di fuori, o no, e
qui fa la tua regola.
[figura a lato del testo: raggio luminoso che penetra in un recipiente cilindrico]
Per vedere come li raggi solari penetrano questa curvità della sfera dell’aria
Fa fare due palle di vetro maggiore due volte l’una, che l’altra, e che siano più tonde si può poi le taglia per mezzo
[70] e commetti l’una nell’altra, e chiudi le fronti, et empi d’acqua, e falli passar dentro il raggio solare, come di
sopra facesti; e guarda se tal raggio si piega, o s’incurva, e favi su regola, e così poi fare infinite esperienze. Guarda
stando coll’occhio nel centro della palla, se un lume di candela osserva la sua grandezza, o no.
[figura a lato del testo: raggio luminoso che penetra in un recipiente cilindrico]
[Ms. F, 33r] Diciamo, che AB sia il foro nella carta per il quale io riguardo una stella, o altro lume, e che CD sia la mia
luce: hora per guardare tal stella per il foro, la sua similitudine descende tutta in M et è picciola, e se tal foro
non s’interponesse infra l’occhio, e la stella, io vederei la stella tutta, con tutta la luce CD. come prima, ma mi
pare maggiore perché la vedo con maggior potenza, perché tutta la luce s’adopra in tal visione, come si vede
per le due linee FC. et GD.
[figura a lato del testo: sole visto dall’occhio attraverso uno spiracolo]
[Ms. F, 32v] [71] Li simolacri non si soprapongano l’un’all’altro.
[tre simulacri riflessi nell’occhio]
Perché guardando il cielo si vede più stelle con gran splendore, e riguardandolo per un minimo foro fatto in una
carta posto avanti all’occhio, tu rivedi la medesima somma di stelle, ma saran forse diminuite. Diciamo adunque,
che la grandezza della pupilla sia tutto il cerchio maggiore KL nel qual vengano l’impressioni delle stelle ABC.
Dico, che l’occhio o vero luce KL le riceve per le linee DKEL/ FKGL/ HKIL. Ma se l’occhio non potrà adoprar
più che la parte NM per causa d’haver a guardare tali stelle per il foro della carta ancora nella parte NM veran li
simolacri d’esse tre stelle, ma fian vedute tanto minori, quanto è minore NM, che KL., e veranno esse tre stelle
per le linee DNEM./ FNGM/ HNIM.
[figura a lato del testo: tre stelle riflesse nella pupilla]
[72] Popilla tutta dell’occhio, la quale con ciascun d’essi cerchi dal maggior al minor s’accresce va infinitamente di-
minuendo, può veder tutto il corpo d’essa stella, la vederà tanto minore, quanto la vede con minor parte della luce.
[figura a lato del testo: schema di simulacro riflesso nella pupilla]
[Ms. F, 32r] Li simolacri de’ corpi opachi non si soprapongano l’un’all’altro stando senza moto l’occhio che li guarda.
In un medesimo specchio, o popilla e la similitudine di tutti l’anteposti obietti, e ciascun d’essi obietti, e tutto per
tutta la superficie d’esso specchio, et è tutto in ogni minima sua parte. Questo si sperimenta col moto dell’occhio,
il quale se vedrà la luna con tutte le stelle in esso specchio, e che lui le segni nella sua superficie, e che poi mova
un poco l’occhio, e le potrà segnare in altretanti siti sopra tal specchio, e molte veranno segnate l’una sopra l’altra,
e così potrebbe fare innumerabil volte. Io vedo con tutta la luce dell’occhio AB. tutto il cielo CF [73] con tre stelle
dentro NMO, benché molt’altre del cielo si possan vedere come mostran le due linee AT/ BS ma queste non sono
al proposito nostro. Dico adunque che CE parte del cielo è veduta da tutta la luce AB. e se si vedrà tal cielo per lo
picciol foro della carta perforata egli mandarà il suo simolacro con le stelle ma parte dell’occhio CD, e parrà tanto
minore, quanto CD. è minore, che AB.
[figura a lato del testo: schema di cielo e stelle riflesse nell’occhio]
[Ms. F, 31v] Tal propositione hanno li spacii che sono infra li simolacri delle stelle sopra la superficie dell’occhio, qual hanno
infra loro li spacii interposti infra le stelle del cielo.
Benché li simolacri delle stelle siano tutti per tutta la superficie dell’occhio, e tutti in ogni parte di quella, e che
ciascun simolacro è sopraposto a ciascun dell’altri simolacri, come pare a un’altr’occhio, che lo sguarda a uso di
superficie di specchio, non resta però, che dal lato dentro della popilla, che le occupa di fuori l’avenimento d’ [74]
un simolacro d’una stella, esso simolacro non si altera a imprimersi in altra parte dell’occhio ma rimarrà senza
impressione in ess’occhio perché il sito dove si drizzava è impedito per la detta interpositione.
Non vede il senso il simolacro dell’obietto nel medesimo sito nella superficie dell’occhio, che lo vede l’occhio
del riguardatore d’esso simolacro. Il senso B vede il simolacro dell’obietto A nel sito D, e l’occhio d’un altro del
medesimo simolacro riguardatore posto in E vede il medesimo simulacro a un altro sito, cioè nel sito C, come per
la settima del secondo si prova.

203
  Figura specchiata rispetto all’originale.

233
[figura a lato del testo: simulacro con due punti di osservazione]
[Ms. F, 31r] Lo spiracolo luminoso veduto di loco tenebroso ancora che esso sia d’uniforme grandezza ci parerà forte re-
stringersi vicino a qualunque obietto fia interposto infra l’occhio, e tale spiracolo. Quel ch’è detto si prova per
la settima di questo, che mostra, che i termini di qualunque obietto, che sarà interposto all’occhio non saran mai
veduti speditamente
[figura a lato del testo: spiracolo luminoso]
[75] ma confusi per l’aria, che s’oscura vicina a essi termini, la qual’oscurità, quanto più s’avicina a essi termini,
tanto si fa più potente.
La luce dell’occhio adopra in ogni parte della sua grandezza la virtù visiva, ma tanto meno quanto la parte, che
opera è di minor quantità.
[figura a lato del testo: occhio e raggi visivi attraverso uno spiracolo]
Provasi per la quinta, che diffinisce il campo a ogni obietto interposto infra l’occhio, et esso campo RS. sia il campo
dove l’occhio ATD. vede terminare l’obietto P.Q. dico tal’occhio non poter speditamente; e terminatamente vedere
li termini di tal obietto in esso campo. Perché com’è proposto la virtù visiva, è sparsa per tutta la popilla dell’occhio.
Adunque la parte d’essa luce TF vede occupata la parte superiore del campo in GH/ FC vede occupato dal’obietto
HI/ D vede la cima dell’obietto nel campo I/ C la vede in K/ B in N, et A in M. et da M in GN. nulla si vede del
[Ms. F, 30v] campo; onde seguita, che la parte G è poca ombrosa perché la sommità dell’obietto P. ancora, che li occupi alla
[76] parte della popilla T la veduta di tal sito, non resta però, che tutto il rimanente di tal popilla non veda esso
sito G. ma in H parrà oscuro, perché lì vede men parte della popilla che non vede EA in G. e men popilla vede
in I, e meno in K, e così successivamente si va consumando tutta l’altezza di tal popilla in essa visione per la qual
cosa in ogni grado di visione l’obietto P. oscura più il suo campo tanto che al fine rimane oscurato integralmente
dall’intero colore di tale obietto.
[figura a lato del testo: occhio e raggi visivi attraverso uno spiracolo204]
[Ms. F, 30r] Come li raggi, che si veggono intorno a un luminoso, / nel restringere li labri dell’occhi si generano nell’occhi, e non altrove
Li specchi convessi refletteranno li raggi, che ricevano dal luminoso in tutti quei lochi, che vegono lo specchio
dove lo vede esso luminoso il luminoso sia Q. lo specchio convesso P. et il circostante allo specchio NMO. vede
tutto lo specchio veduto dal lume. Aunque di tutte le parti del circu<i>to NMO. si potrà vedere il simolacro del
luminoso in esso specchio convesso.
[figura a lato del testo: specchio convesso e raggi luminosi]
[77] Il corpo luminoso manda di sé all’occhio tre simolacri de’ quali l’uno ne va dritto alla pupilla, l’altri doi si
rompano nella convessità delle palpebre, e di lì risaltono in contrarii moti all’oppositi labri dell’occhi, e da essi labri
risagliano nella luce, e si congiungano di sopra e di sotto al primo simolacro in splendore stampito del palpebre in
figura di raggi, e questo fa essendo l’occhio ristretto, come chi toglie mira al bersaglio.
[figura a lato del testo205: occhio colpito da raggi luminosi]
Provasi dispongasi l’occhio, come è dritto, e vedrassi due congregationi di raggi intorno al luminoso discosto, de’
quali l’una parte ne va in alto, e l’altra in basso: e se tu interponi il dito infra te e ’l luminoso mettendolo al traverso
alquanto sotto al luminoso, e leverai il dito inverso il lume con tardo moto insino, che tu lo scontri al nascimento
del lume di sotto, et allhora nota, che subito tal luminoso perderà tutti li raggi, e se tu farai contrario moto col dito
traverso, cominciando sopra [78] del lume, e con tardo moto abbassando tal dito in sino al riscontro della cima del
lume allhora tu vedrai mancare tutti li raggi di sotto, e questo prova il nostro proposito. Perché se il luminoso sarà
[Ms. F, 29v] A. et il primo raggio di mezzo A.O va dritto alla pupilla dell’occhio, quel di sotto AM. percote nella convessità
delle palpebre in più delli peli, e fa poi
[figura a lato del testo206: occhio colpito da raggi luminosi, con un dito interposto]
simulacri, li quali, creati, che sono subito reflettano nel labro N, che fa la grossezza del coperchio dell’occhio, e
di qui risalta nella luce dell’occhio, con tutti li simolacri creati ne’ peli delle palpebre, li quali hanno forma longa
alquanto, e sono separati, e vanno con le ponte in alto allargando inverso l’estremi come fanno l’estreme palpebre.
Hora per concludere il nostro intento con R.S. infra il nascimento del lume, e dell’occhio tuo toglierai il raggio
AM. Onde per questo il raggio non s’imprimerà nelli convessi, o ver curvità delle [79] palpebre di sotto, e per
questo mancherà il raggio di sopra in N, e per consequenza nella luce. Perché mancando la luce del simolacro M.
mancherà l’effetto de’ raggi in N. Ecco dunque diffinito, perché occupando il raggio di sotto al lume si perde il
raggio di sopra interamente.
Dice qui l’aversario, che a lui pare, che tal simolacro pervenga dal luminoso, e passi infra le palpebre, et imprimasi
nella grossezza de’ labri de’ coperchi dell’occhi, e che di lì saltino alla popilla, e sii diraggiato207 esso simolacro,
perché è diviso dalli peli; onde lui passò.
Qui si risponde che chi occupasse in tal caso il simolacro di sotto, non mancarebbono li raggi di sopra, ma quei
[Ms. F, 29r] di sotto medesimamente, e questo è contra l’esperienza proposta. Ancora si esperimenta esser li peli di sotto,

204
  La figura è nel f. 31r dell’originale, ove appare specchiata.
205
  Il grafico non è presente nel f. originale, bensì nel precedente.
206
  Presente in originale non nel f. 29v, bensì nel f. 30r.
207
  Nell’originale (ms. F, f. 29v) si legge: «razzato».

234
che mostrano li raggi di sopra al lume, con torre un stile, e leggiermente si mova in traverso le palpebre di sotto
dall’occhio, e secondo il moto, che tu farai fare a tali palpebre di sotto, tu vedrai a fare [80] alli raggi di sopra, e
questo è segno manifesto et è esperienza nata dalla ragione.
Ancora havendo tali raggi nell’occhio, e tu muova pianamente il volto a destra, et a sinistra, tu vedrai li raggi, che
nascono dalli lustri delle palpebre andarsi girando ancora loro, e scambiarsi l’un l’altro al continuo, e questo lume
debbe stare almeno 25 brazza discosto dall’occhio. Et il loco notturno esperimenta con tardità, e diligenza, e tieni
l’occhio stretto o alza, e bassa tanto il volto, che tu veda li raggi di sopra al lume, e disotto in un medesimo ponto,
e così appoggia il capo al muro, e fermati bene.
208
Paiono più corti li raggi dell’obietti luminosi stando tali obietti presso all’occhio, che da lontano perché li labri
dell’occhi essendo mezzi rinchiusi, come fa chi vol veder raggi intorno al lume, e questi labri abbracciano poco
spacio sotto e sopra esso lume, e però li raggi non si possendo aprire più, che si sia tal spacio veduto dall’ [81] oc-
chio, è necessario, che in certo spacio si veggano certi209 raggi, et in longo spacio longhi raggi.210
Paiono li raggi de’ luminosi remoti dall’occhio di gran larghezza, perché nessun’obietto può haver maggior vici-
nità alla popilla, dell’occhio, quanto tale obietto impresso nel labro dell’occhio, che tocca la popilla, et indi manda
il simolacro all’occhio.
211
[Ms. F, 38v] Prospettiva de’ raggi solari
Li raggi solari reflessi dalla superficie dell’acqua ondosa fanno parere il simolacro del sole esser continovo per tutta
quell’acqua, che è infra l’universo e ’l sole. Provasi, e sia il corpo del sole A. La superficie dell’acqua ondosa sia BC/
et DI sia l’universo, che vede ess’acqua infra sé, et il sole. Per la 2.a del primo simolacro del sole che viene da esso
sole all’onda M per necessità reflete in T., e non altrove, e similmente il simolacro del sole, che viene dal sole all’F
risalta in D, e non altrove, e così fa ciascun’onda interposta infra queste due dette [82] estreme. Onde per necessità
tutta la linea DT anteposta a tali simolacri, è veduta, et alluminata da tutti essi simolacri, dove li raggi reflessi o
allargano, e sarà in alcuna distanza discontinuata di splendore, come qui si dimostra.
[sole, superficie d’acqua, raggi luminosi, raggi riflessi212]
Il simolacro che riflette dall’onda all’obietto in ogni grado di longhezza acquista larghezza. Il simolacro F risalta
in CD, et il simolacro dell’onda E risalta in AB; queste due percussioni de’ raggi reflessi si soprapongono scambie-
volmente l’una all’altra in CB, e quivi è il lume più luminoso, che in AC, o vero BD.
[figura a lato del testo: sole, superficie d’acqua, raggi luminosi, raggi riflessi]
[Ms. I, 43r] Nessun corpo opaco di sferica figura, che da doi occhi veduto sia si dimostrerà mai di perfetta rotondità. A fia
il sito del suo occhio destro, B fia il [83] sito del sinistro, e se tu chiudi l’occhio destro, tu vedrai il corpo sferico
intorno al centro B e se chiuderai l’occhio sinistro allhora il detto corpo circondarà il centro A.213
[figura a lato del testo: due circonferenze secanti]
[Ms. I, 49v] Quanto più la cosa s’avvicina all’occhio, tanto si dimostra per maggior angolo, e la similitudine di essa cosa fa
l’opposito, imperocché quanto si misura più presso all’occhio, tanto si dimostra di minor figura.
[Ms. I, 33r] Delli raggi luminosi, e potenza de’ loro estremi
Perché il raggio luminoso, che è di potenza piramidale, e massime essendo il mezzo equale, accaderà dunque che
scontrandosi doi raggi per linea retta partiti da equali lumi, esso raggio sarà per tutto radoppiato, e d’equal potenza.
Perché dove l’uno l’ha piramide l’altro l’ha basa, come mostra NM.
[figure a lato del testo: raggi e fonti luminose, con occhi che scrutano]
[Ms. E, 80v] [84] Tre sono le parti della prospettiva di che si serve la pitura, delle quali la prima s’estende alla diminutione della
quantità de’ corpi opachi: la 2.a delle diminutioni e perdimenti delli termini d’essi corpi opachi: la 3.a è della dimi-
nutione e perdimenti de’ colori in longa distanza.
Della prospettiva diminutrice delli corpi opachi
Intra li corpi opachi d’equal magnitudine, tal fia la diminutione delle lor figure in apparenza, qual quella delle lor
distanze dall’occhio, che le vede. Ma tal proportione è conversa, perché dove la distanza è maggiore, il corpo a
poco si dimostra minore, e dove la distanza è minore, esso corpo si dimostra maggiore, e di qui nasce la prospettiva
lineale.
Ogni corpo per longa distanza perde prima quella parte di corpo, la quale in sé è più sottile, come a dire d’un
cavallo, si perderà prima le gambe che la testa, perché le gambe son più sotili d’essa testa, e prima si perderà il collo,
che il busto per la [85] medesima ragione detta, adunque seguita, che l’ultima parte che della cognitione del cavallo
fia all’occhio riservata, sarà il busto restato in forma ovale, ma piutosto traente al colonnale, perderassi prima la
grossezza, che la longhezza per l’anzidetta prima conclusione.
Se l’occhio è immobile, la prospetiva termina la sua distanza in ponto, ma se l’occhio si move per retta linea, la
prospettiva termina in linea perché è provato da linea esser generata dal moto del ponto, et il moto è in ponto, e

208
  Qui manca un brano presente alla p. CXXXVI della sezione III, tratto dal ms. F, f. 30r.
209
  Nell’originale (ms. F, f. 29r) si legge: «corti».
210
  Nell’originale (ibidem) prosegue: «come mostra ab di sopra e cd», con riferimento alla figura collocata alla p. 78 dell’apografo.
211
  Il testo, di qui sino a «in AC, o vero BD» (p. 82), è ripetuto nella sezione III, pp. CXVI-CXVII.
212
  La figura risulta specchiata rispetto all’originale.
213
  «b» nell’originale.

235
per questo seguita, che chi move il vedere, move il ponto, e chi move il ponto genera la linea.
[Ms. E, 80r] Prospettiva de’ perdimenti, che fanno gl’estremi de’ corpi opachi
Se invisibili sono li veri estremi de’ corpi oppachi in qualunque minima distanza, maggiormente saranno invisibili
nelle lunghe distanze; e se per li termini si conosce la vera figura di ciascun corpo opaco, e mancando per distanza
la cognitione d’esso tutto, maggiormente mancherà la cognitione delle sue parti.
[Ms. B, 6v] [86] Se anteporai la linea AB. dinanzi allo specchio colmo perché le linee delle similitudini anteposte si drizzano
al suo centro, diminuirà AB quanto CD., e se porai la linea NM dinanzi allo specchio convesso, le specie vanno
a esso specchio per le linee partite dal suo centro G, e la linea HM crescerà quanto EF, e se la cosa posta dinanzi
allo specchio fia di là dal suo centro G, come la linea NP sarà detta linea portata allo specchio nel loco FE sotto
sopra, imperocché essendo le specie costretto a caminar per linee rette N è portata dalla sua linea in F, e così P. si
transferisce in E.
[figura a lato del testo: costruzione geometrica di raggi visivi214]
[Ms. I, 19v] Esperienza dell’accrescimento, o diminutione della pupilla / per il moto del sole, o d’altro luminoso
Quanto il cielo sarà più oscuro, tanto le stelle si dimostraranno di maggior figura. E se tu allumini esse stelle si dimo-
strano minori, e questa tal mutatione sol nasce dalla popilla, la quale [87] cresce, e dicresce, mediante la chiarezza del
mezzo che si trova infra l’occhio e ’l corpo luminoso. Sia fatta l’esperienza con una candela posta sopra la vista nel
medesimo tempo, che tu risguardi tal stella, di poi vieni abbassando tal candela a poco, a poco, insino, che ella sia vi-
cina alla linea, che viene dalla stella all’occhio, et allhora vedrai diminuire tutto la stella, che quasi la perderai di vista.
[figura a lato del testo: esperimento ottico, con due personaggi, una candela al centro e tre stelle in alto]
[Ms. I, 18r] Quella cosa oscura, che fia veduta in campo chiaro si dimostrerà minore, che essa non è.
Quella cosa chiara si dimostrerà di maggior figura, che sarà veduta in campo di più oscuro colore.
[Ms. I, 17v] Quella cosa d’uniforme grossezza, e colore, che sarà veduta in campo di disuniforme colore, si dimostrarà di di-
suniforme grossezza.
E se una cosa d’uniforme grossezza, e di vari colori sarà veduta in campo d’uniforme colore essa cosa si dimostrerà
di varia grossezza.
[88] E quanto i colori del campo, o della cosa nel campo veduta sarà di colori ch’habbino maggior varietà, allhora
le grossezze pareranno più varie, ancora, che le cose nel campo vedute siano di pari grossezza.
215
[89] Indice de’ Capitoli
Per drizzare un albero di nave fac. 1
Modo di votar un porto f
Perché ragione quest’arco è forte f. 1
Camino, che sempre haverà legna senza attizzare f 2.
Bombarda grossa che si carica di rietro, et un sol huomo l’invita, e disvita f 2.
Argine da sostener l’acqua d’un fiume, e poi in un subito per allagare una città o campagna con aprir le porte AB. f 3.
Ripari per un argine f. 3.
Ingegni per cavar acqua f 3.

}
Flammea
Lampade f 4.
Filocroto

}
Crucida
Arzilla f 4.
Folgorea
Clotobrot f. 5. Altra palla. 5.
Modo di misurar altezze, e larghezze, e distanze senza moversi di piedi f 5.
Palla ripiena di palle di schioppetti f 5.
Modo di ficcar pali, ma fa che tanto sia il peso AB. quanto BC f. 6.
Carro di commodo movimento.
[90] Carro di 4 rote una sopra l’altra, sarà terribile f. 6.
Mantice senza corame, e sol di legno f. 6.
De’ poli e lor facilità f. 6.
Regola fac. 7.
Modo di fare una piastra di stagno sottile, et equale f. 7.
Giovamento da seccar li stagni, che confinano col mare f 8.
Possibile è in un medesimo pelago far più bassa la superficie dell’acqua, che ha il fondo di un ritroso, che quella, che percuote la
caduta d’un’ altr’acqua f. 8.
Del moto perpetuo. f. 9.
Le braccia della statera son sempre proportionate in ogni loro obliquità, il che non c’interviene, se non vi fusse, come qui la rota

214
  La figura risulta specchiata rispetto all’originale.
215
  Manca nella trascrizione di Bossi.

236
che mai diminuisce il braccio minore f X.
Quando le braccia della bilancia saranno più longhe, che l’altezza della elevatione della materia con tanto maggior vigore supe-
raranno il peso della generata inequalità delle braccia f 10.
Il mantice debb’esser pieno d’olio, e non d’aria, e acqua f X.
Questo instromento deve descender dritto, e senz’alcuna confregatione f X
Del conoscere quanto il navilio si move per hora f X.
[91] Del votar porti f 11.
Sia caricato un gran peso sopra un navilio senz’argani lieve corde, o alcuna forza f 11.
Occhiale di christallo come dev’essere. f.
Come dev’essere questa palla f.
Per misurare la larghezza di un fiume f.
Della cigognola d’argento vivo per far fuoco f.
Stromento da cavar terra da un porto f.
Prospettiva f.
Perché diminuendo il simulacro del lume della candela remossa in longa distanza dall’occhio, non diminuisce la grandezza di
esso lume, ma solo manca la potenza, e lucidità del suo splendore f.
Perché all’occhio non diminuisce l’obbietto in alcuna distanza luminoso f.
Perché ogni luminoso di longa figura in longa distanza pare rotondo f.
Prospettiva semplice
Prospettiva composta } 13

Perché il simolacro del sole è tutto per tutta la sfera dell’acqua veduta dal sole, e tutta in ogni parte dell’acqua predetta f.
[92] Dell’angolo della contingenza f.
Dell’arco celeste f.
Propositioni di prospettiva f.
Perché diminuendo il simolacro del lume della candela sopra della luce dell’occhio, nel rimover tal candela per longa distanza da
tal’occhio, e non diminuisce al giuditio del veditore, essa candela se non di chiarezza di splendore f.
Della virtù visiva f.
Modo di sperimentare come li raggi penetrano li corpi liquidi f.
Per vedere come li raggi solari penetrano questa curvità della sfera dell’aria f.
Li simolacri non si soprapongono l’uno all’altro f.
Tal proportione hanno li spatii, che sono infra li simolacri delle stelle sopra la superficie dell’occhio, qual hanno infra loro li spatii
interposti infra le stelle del cielo f.
Come li raggi che si veggano intorno a un luminoso, nel restringer li labri delli occhi, si generano nell’occhi, e non altrove. f.
Prospettiva de’ raggi solari. f.
De’ raggi luminosi, e potenza de’ loro estremi f.
Della prospettiva diminutione delli corpi opachi f.
Prospettiva de’ perdimenti, che fanno l’estremi de’ corpi opachi f.
Esperienza dell’accrescimento, o diminutione della pupilla per il moto del sole, o d’altro luminoso f. 22

[Sez. III]

[Ms. A, 61v] [I] Del moto e forza


Infra le cose mosse da una medesima cagione, quella che fia di più veloce moto fia determinato al suo motore.
Esempio fa conto che AG sia una taglia, e similmente BH sia l’altra di sotto, la quale voglio alzare al termine della
linea NM. Dico che a far questo, bisogna, che la parte della corda GH, s’abbassi in modo, che la parte G discenda in
H, onde è necessario che la corda, che resterà infra GN, sia quella, che uscirà da’ luoghi MBO, PDQ, RFS, onde per
tornare alla ragione promessa di sopra. Quando MBO uscirà dal suo luogo, essa sarà tirata da PDQ. il quale uscirà
dal suo luogo con dupplicata corda, perché uscendo dal suo luogo, non s’alzarebbe niente l’hasta BH venendovi
altretanta corda, quanto è quella di MBO, e così la corda RFS uscirà dal suo luogo rinterzata, perché di lì passa la
corda MBO, e così PDQ. Adunque quando l’angolo B moverà un braccio di corda, l’angolo D ne moverà due, e
l’angolo F ne moverà tre, onde durerà tre tanto fatica, che B perché si muove tre tanti più veloce, che B. Non nego,
che ciascuna corda non senta egual peso, ma disugual movimento fa più faticoso il suo motore.
[aste parallele con corda che le collega]
[Ms. A, 48r] [II] Il balzo 2°. della palla si leva il 3°. dell’altezza del primo, e così il balzo terzo si leva il 3° dell’altezza del 2°.216
[Ms. A, 5v] Se vuoi trovare la radice di qualunque numero per via di geometria fa così. Se voi trovare la radice di nove fa nove
spatii come appare in CB. poi ve ne aggiungi un altro spatio simile, e farà la linea CD. compartita in dieci spatii,
di poi poni il ponto della seta nel mezzo della linea CD nel ponto F, e circondalo con il circolo CRD. Di poi tira
una linea fra il nono, e decimo spatio levata in alto che s’interseghi nel circolo di sopra, la qual linea sarà la linea

216
  Nel f. originale questa proposizione ha per titolo «Colpo e balzo» ed è corredata a lato da un grafico qui mancante.

237
AB, e fia la radice di nove spatii cioè che ella entra tre volte in CB.
[costruzione geometrica con semicerchio e corda segmentata alla base]
Se vuoi trovare la radice d’ogni numero aggiungi sempre un più, come appare in BD,
e trova il suo mezzo, e fa il circolo come facesti di sopra
217
[Ms. E, 51v] Quando vuoi misurare un fiume nella sua larghezza discostati dalla sua riva qualche cosa più che essa [III]
larghezza del fiume, e guarda qualche segno noto nell’opposita riva di tal fiume, come se essa larghezza di fiume
fosse AB. e la remotione, che tu fai da tal fiume sia AC; la quale è alquanto più che la larghezza del fiume. Oltra di
questo leva nell’estremo di tal distanza una linea perpendicolare di quella longhezza, che a te piace, e sia la linea
CD. e da esso D riguarda un’altra volta il segno B, il quale tu notasti di là dal fiume, e fa porre un segno nella riva
nel ponto F. il quale sia nella medesima linea DB. Fatto, che tu hai questo, dividi in mezzo la perpendicolare CD.
nel ponto E, e da esso E leva un’altra perpendicolare in continuo diretto, e dove ella si taglia nella linea DF, poni
un segno, dal quale leva la 3.a perpendicolare GF, e così haverai fatto il quadrilatero CF, EG, il quale tu sai, che il tuo
lato CF, è eguale all’FB. perché sì come E ponto è in mezzo alla linea CD. così F. ponto è in mezzo all’altra linea
CB. Adunque trahi AF riva del FC. che è FH, e resteratti HC eguale alla larghezza del predetto fiume.
[costruzione geometrica con indicazione del letto del fiume]
[Ms. E, 44r] [IV] Come l’uccello cadente col capo di sotto s’habbia a drizzare
L’uccello che cade col capo di sotto si drizzerà piegando la coda verso la schiena. Provasi per la decima, che dice
sempre il centro del grave, che discende infra l’aria, starà sotto il centro della sua parte più lieve. Adunque CD.
linea centrale della gravità dell’uccello, essendo remota dall’AB linea centrale della levità della coda di tal’uccello,
per necessità si faranno una medesima linea in picciola quantità di discenso d’esso uccello. E se così è bisogna
confessare, che il dritto descenso per necessità si farà obliqua, e facendosi obliquo il discenso si fa tanto più tardo,
quanto il moto è più lungo, o vero, che il moto si farà tanto più lungo, quanto il discenso fia più tardo. E quanto
più lungo e più tardo, quanto il discenso sarà più obliquo.
[uccello che cade verticalmente]
218
[Ms. F, 49v] [V] Sia caricato un gran peso sopra un navilio senz’argani, lieve corde, et alcuna forza
[barca con grosso peso in uno stretto canale]
Per caricare ogni grandissimo peso unito sopra resistente barca, fia necessario tirare tal peso alla riva dell’acqua, o
del mare, e drizzato con la longhezza al mare per il verso della riva d’esso mare, di poi si faccia un canale, che passi
di sotto esso peso, e tanto di là, quanto è la metà della longhezza d’essa barca, che deve portar tal peso, e similmente
la larghezza di tal canale sia fatto secondo la larghezza di tal barca, la qual sia empita d’acqua, e tirata sotto tal peso,
e poi cavata l’acqua il navilio si leverà a tal altezza, che levarà detto peso da terra per se medesima, la qual poi potrai
così carica tirar in mare, e condurla al luogo, che per lei è ordinato.219
[Ms. F, 40r] [VI] Quel luogo sarà men luminoso, che da minor lume fia luminato
[Ms. F, 27v] De’ cinque corpi regolari, contro alcuni commentatori, che biasmano gl’antichi inventori donde nascon le gra-
matiche, e le scienze, e fansi cavalieri contro alli morti inventori, e perché essi non han trovato da farsi inventori
per la pigritia, e commodità de’ libri, attendono al continuo, con farsi argomenti a ripiendere li loro maestri.220
[sei figure geometriche]
Dicono la terra essere tetracedonica, cioè cubica, cioè corpo di 6. base, e questo provano dicendo non essere infra
corpi regolari, corpo di men movimento né più stabile che ’l cubo, et al fuoco attribuiron il tetracedron, cioè
corpo piramidale, la quale è più mobile secondo questi filosofi, che non è la terra. Però attribuirono essa piramide
al fuoco, e ’l cubo alla terra. Il che [VII] se s’avesse a ricercare la stabilità del corpo piramidale, e compararla al
corpo cubo senza comparatione è più mobile esso cubo, che la piramide. E così si prova il cubo ha 6. lati, e la
piramide regolare n’ha quattro, le quali son qui poste sopra in AB; A è il cubo, B è la piramide. E per diffinire tal
prova io piglierò un lato del cubo et un lato della piramide, e saranno CD. Dico che sarà più atto al movimento
circumvolubile il cubo C, che la piramide D, e sia il principio di tal movimento EF., di sotto dico in effetto, che
stando la base del cubo, e la base della piramide posta sopra un medesimo piano, che la piramide volterà il 3.° della
sua quantità a sedere sopra l’altro suo lato, e ’l cubo volterà la quarta parte della sua circuitione a mutar l’altro lato
per farsene base. Seguita per queste due dimostrationi haver concluso, che il cubo dà volta intiera con la mutatione
de’ 4.° suoi lati sopra un medesimo piano, quando il triangolo, o ver piramide darà sua volta intiera con tre di suoi
lati sopra esso medesimo piano, et il pentagono poserà tutti li suoi cinque lati, e così quanti più lati ha, più facile ci
ha il movimento, perché più s’avvicina alla sfera. Adunque io voglio inferire, che la piramide, è di più tardo moto,
che il cubo in consequenza era da mettere essa piramide, e non il cubo per la terra.
[Ms. F, 27r] Figura degl’elementi
Della figura degl’elementi. E prima contro a chi niega l’opinione di Platone, che dicono, che se essi elementi ve-
stissin l’un l’altro con le figure che mette Platone, che si causarebbe vacuo infra l’uno all’altro, il che non è vero, e
qui lo provo. Ma prima bisogna proporre alcuna conclusione. Non è necessario, che alcun elemento, che veste l’un

217
  La proposizione si ritrova identica nella sezione II, pp. 41-42.
218
  La proposizione si ritrova identica nella sezione II, p. 39.
219
  Cfr. Leonardo e il leonardismo... cit., p. 142.
220
  Nel f. originale si legge invece: «…e come di tanti libri attendano al continuo con falsi argumenti a riprendere li lor maestri».

238
l’altro sia d’egual grossezza in tutta la sua quantità infra la parte, che veste, e quella che è vestita. Noi vediamo la
sfera221 dell’acqua manifestamente essere di varie grossezze della sua superficie al fondo, e che non che essa vestisse
[IX] la terra, quando fusse di figura cuba, cioè di 8. angoli, come vuole Platone, essa veste la terra che ha in nube
li angoli di scogli coperti dell’acqua e varie globosità, e concavità, e non si genera vacuo infra l’acqua, e la terra.
Ancora l’aria che veste la sfera222 dell’acqua insieme con li monti, e valli, che superano essa sfera223, e non rimane
vacuo infra la terra, e l’aria, sì che, chi disse generarsi vacuo, hebbe tristo discorso.
A Platone si dice, che la superficie delle figure, che haverebbono gl’elementi, che lui pone, non potrebbono stare.
Ogn’elemento flessibile e liquido per necessità ha la sua superficie sferica. Provasi con la sfera dell’acqua, ma prima
bisogna porre alcuno concettione, e conclusione.
Quella cosa è più alta, che è più remota dal centro del mondo, e quella più bassa, che è più vicina a esso centro.
L’acqua per sé non si muove, se ella non discende, e movendosi essa discende.
[X] Queste quattro concettioni poste a due a due, mi servano a provare, che l’acqua che da sé non si move, ha la
sua superficie equidistante dal centro del mondo, non parlando delle gocciole, et altre picciole quantità, che si tiran
l’una all’altra, come l’acciaio la sua limatura, ma delle gran quantità.
[Ms. F, 26v] Conclusione
Dico, che nissuna parte della superficie dell’acqua per sé non si move, se ella non discende. Adunque la sfera
dell’acqua non havendo superficie in nissuna parte di poter discendere, gli è necessario per la prima concettione,
che per sé essa non si mova; e se tu ben consideri ogni minima particola di tal superficie, tu la trovarai circondata
da altri simili particelle, le quali sono di egual distanza infra loro dal centro del mondo, e della medesima distan-
za da esso centro, che è quella particola, che da questi è circondata. Adunque per la 3.a concettione tal particola
dell’acqua da se [XI] medesima non si moverà per esser circondata da sponde d’equal altezza, e così ogni circolo
di tal particole si fa vaso alla particola, che dentro a tal circolo si rinchiude, il qual vaso ha la circuitione de’ suoi
labbri d’equal altezza, e per questo tal particola insieme con tutte l’altre simili, di che è composta la superficie
della sfera dell’acqua per necessità sarà per se stessa moto, e per conseguenza essendo ciascuna d’equal altezza dal
centro del mondo, necessità fa essa superficie essere sferica. E di sotto non è necessario esser sferica, come mostra
la ragione, e l’esperienza.
Quel che è detto della superficie dell’acqua, che confina con l’aria, s’intende esser detto della superficie dell’aria,
che confina col fuoco, la qual potrebbe essere, che spesso vaporasse a uso de’ nuvoli, tirata dal caldo del sole, come
fa l’acqua tirata infra l’aria dal medesimo caldo in forma de’ nuvoli. E simile è il fuoco tirato da maggior caldo
di lui, cioè dal sole, come è provato nel sesto, lui esser caldo per essenza, e non per virtù, come vogliono molti.
[XII] Adunque havendo provato la verità di queste sfere degl’elementi flessibili esser sferici, la mia intentione è
di discendere alla natura in universale, et in particolare di ciascun elemento. E prima del fuoco, e poi dell’aria, e
poi dell’acqua.
[Ms. F, 22v] Del balzo
[corpo che cade]
Il grave, che discende perpendicolare sopra un piano se non percote esso piano con parte, nella quale passi la linea
centrale della sua gravità, il balzo non fia infra angoli equali.
[Ms. F, 95r] Della proportione, che ha il moto dell’acqua che versa dal fondo d’un longhissimo fosso, l’uscita della quale, è cento
volte più stretta, che la larghezza, e profondità del fosso. Dimanda se quanto sarà più tardo il moto dell’acqua supe-
riore del fosso, che ’l moto della roggia224 fatta della medesima longhezza della bocca d’onde esce l’acqua d’esso fosso.
[XIII] 225Perché diminuendo il simulacro del lume della candela remossa in longa distanza dall’occhio non dimi-
nuisce la grandezza d’esso lume, ma sol manca la potenza e lucidità del suo splendore.
[due figure: a sinistra, raggi luminosi su due oggetti sferici a diverse distanze; a destra, lume solare raffigurato con un semicerchio]
Un lume, che diminuisca di quantità, diminuisce ancora di potenza alluminativa, ma non si rimovendo di sito, non
manca della prima quantità d’alluminatione in tutti que’ luoghi, che prima alluminava. Provasi il lume del sole
dato nella superficie dell’acqua, reflete in dietro i raggi, come lume materiale sì in dentro, come in fuori e allumina
realmente le cose contraposti ancora di dentro. Questo si finisce a carta 40.226
[Ms. F, 94v] Libro 4.° S’estende a mostrare, come l’oceano con gl’altri mari fa mediante il sole splendere il nostro mondo a
modo di luna, e a più remoti pare stella, e questo provo.
Dimostra prima come ogni lume remoto dall’occhio fa raggi, li quali pare, che accreschino la [XIV] figura di tal
corpo luminoso, e di questo ne seguita che duoi lumi.227
[due lumi e raggi che confluiscono in un punto]

221
  Così nell’originale. Nel Ms.: «sferza».
222
  Idem.
223
  Idem.
224
  Nel Ms.: «rozze».
225
  Proposizione già presente (fino a «ancora di dentro») nella sezione II, pp. 47-48.
226
  Nell’originale così prosegue: «che così è difinita».
227
  Manca il prosieguo. Nell’originale si interrompe a «ne seguita che 2».

239
228
Perché all’occhio non diminuisce l’obbietto luminoso in nissuna distanza, l’occhio non diminuisce il lume in alcuna
distanza, perché la similitudine del lume non s’imprime nella superficie dell’occhio,229 allumina dentro come fanno le
finestre di carta, che spandano la luce da lor per que’ luoghi, li quali vedano essa carta, e prima non potevano vedere
la causa della luminatione d’essa carta quando tal carta non v’era. Ancora il sole, che dà nelli specchi, fa che il simu-
lacro non passando dentro refleti infuori come lume reale, e se il piombo non fosse dietro a tal vetro del specchio, il
simulacro del sole, che s’imprime nella superficie del vetro passarebbe dentro, e alluminarebbe dentro, e dietro a tale
specchio e così fa l’occhio, il quale dentro riceve il lume di tal simulacro, il quale si spande assai nella virtù visiva.
[Ms. F, 94r] [XV] A Infra l’acqua di mediocre velocità l’acqua media sarà di minute grinze.
B L’acqua che s’interpone infra la media superficiale e ’l fondo suo non è della natura della media230, imperocché essa
media superficiale riceve la percussione dell’incidente, e della reflessa, che l’una, e l’altra per esser in confini dell’aria
cade sopra l’altr’acqua facendo percussione come di cosa grave, e come grave penetra infra l’altr’acqua da lei percossa.
[corrente d’acqua che urta contro un ostacolo]
C L’acqua cade prima risorge e fassi superiore co’ la sua semicolonna all’opposita sua onda semicolonale, e che fece
la caduta più obliqua.
[acqua in caduta]
* Poiché l’acqua AVC cade per linea più dritta, che l’acqua BD.232
231

[acqua in un recipiente, con due cadute da fori a diversa quota 233]


[Ms. F, 93v] D L’acqua, che si moverà infra l’argine o fondo dritto, e polito [XVI] non farà onda di nissuna sorte, quel che è detto
accade perché l’onda non si genera se non per moto reflesso, et il moto reflesso nasce dalla percussion del moto in-
cidente, il quale è fatto nell’obietto particolare del fondo, o de’ lati del canale, e se in essi luoghi non saranno obietti
particolari per quel che s’è detto, non si generarà onda alcuna, essendo tal acqua fatta da minuti sorgimenti, che poco
si levin dal fondo, acciò che venendo in superficie essi non facessino onda.
[tratto di canale]
Onda semicolonnale semplice
[XVII] La semplice onda semicolonnale si genera in qualunque minuto obietto congionto con l’argine, nel qual
l’acqua, che vi percote fa un’onda longa in forma di mezza colonna che si drizza per obliquo all’opposita riva, e lì
muore, e rinasce.
[onda semicolonnale]
Sia l’obbietto A posto nell’argine NO del canale NO.P.M. Dico l’acqua che percoterà in esso obbietto farà un’ombra,
la quale per la sua continua creatione si fa ancora lei continua, e così sempre farebbe se non fosse interrotta dal corso
comune dell’acqua, che è nel canale, la qual tutta percote in essa onda, e la spinge al continuo in ogni grado della
longhezza sua, tanto che al fin la drizza col suo ordinario corso.
[onda semicolonnale]
[XVIII] Queste due figure di sopra son scambiate nel dire, e nel farle*234 va aconcale235 poi al libro principale.
[Ms. F, 92v] Semicolonnale urtate
92.236 L’onde colonnali, che si urtano, e non si segano a mezzo la mezza, che si urta, e risulta in dietro, e passa sopra
alla parte, che non si urta.
[urto di onde semicolonnali]
Quando le due onde colonnali integralmente s’urtano con grandezza, e potenza equale, allhora integralmente torna-
no in dietro senz’alcuna penetratione l’una nell’altra, come anco appare nella figura posta di sopra.
Ma se l’onde colunnali son di grandezza inequali, la maggiore, e la minore non servan lor legge, perché la maggiore
non si piega, e la minore s’unisce con essa maggiore.
[onde colonnali di diversa potenza]
[XIX] E se il nascimento dell’onde equali sarà prima l’un che l’altro li loro urtamenti, non fian fatti in potenze equali,
onde si piegherà prima il corso della 2.a che della prima.
[onde di uguale potenza]
[Ms. F, 92r] L’onda semicolonnale, quanto più si move, più s’abbassa, e più si dilata, e più si fa veloce.
[onda semicolonnale]
L’onde colonnali inequali, delle quali la maggiore nasce prima, che la minore intersega, e passa sopra la maggiore.
[onde colonnali di diversa potenza]
E questo accade perché la maggiore, che prima nacque quando ella è all’inscontro della minore, ella s’è dilatata,
e abbassata, e la minore che l’urta essendo alta percote la bassezza della maggiore, e [XX] ritrovando scontro alto,

228
  La proposizione si ritrova identica nella sezione II, pp. 48-49.
229
  A margine il richiamo all’originale: «- Foglio 94».
230
  Così nell’originale. Nel Ms.: «medema».
231
  Quest’asterisco non sembra aver alcun riferimento altrove.
232
  Nell’originale la proposizione è interrogativa.
233
  Il grafico è alquanto diverso dall’originale.
234
  Quest’asterisco non sembra aver alcun riferimento altrove.
235
  Nel Ms.: «contale»; «aconcale» è usato nel senso di «accònciale».
236
  Riferimento al f. originale.

240
come lei, scorre sopra essa, e rovina dall’opposita parte, e seguita il principiato impeto.
[coppia di onde colonnali]
Ma se all’onde colonnali inequali la minore nasce più alta nel fiume, che la maggiore, allhora essa maggiore seguita
suo corso naturale, e la minore seguita il corso della maggiore.
Tanto e tal fia l’onda quanto l’obietto si moverà contro all’acqua ferma quanto il movimento dell’acqua contro
all’obbietto fermo.
[Ms. F, 91v] L’argine, che fia tirato in dentro per dar maggior larghezza al canale fia causa di generar subito retroso, il quale
trivellerà, e profunderà il piè
[retroso generato dall’allargamento di un canale]
[XXI] dell’argine, e fia causa di sua ruina. Provasi per la prima del 3.° che mostra, che ’l fiume, che acquista subita
larghezza, acquista ancora subita larghezza d’acqua, e l’acqua che s’allarga ancora si viene a abbassar di profondità.
Adunque si genera subita corrente, la quale gittatasi addosso all’argine allargata la percote, e dividesi in due retrosi,
de’ quali il primo è più potente come CBA per esser rinchiuso si getta in verso al fondo fortemente
[argini allargati simultaneamente]
dritto. E per la 9. che dice che ’l retroso sarà più penetrabile che harà lo labro della sua bocca manco obliquo,
quanto l’harà assai dritto.
L’acqua ruina l’argine della quale il suo canale acquista subita larghezza.
[argini allargati simultaneamente]
Se il canale acquistarà da ogni parte subita larghezza [XXII] esso genera retrosi in ogni parte, li quali se si congion-
gono nel mezzo della larghezza di tal canale, ei si farà subita, e gran profondità.
Tutte queste figure hanno a uscire dall’esperienza.
[Ms. F, 91r] Ma se l’allargamenti del canale non saran fatti all’incontro l’un dell’altro, allhora la profondità di tal fiume fia
zoppa.
[allargamenti distanziati degli argini]
Se il corso del fiume sarà da un de’ suoi lati ristretto, allhora si genera un’onda semicolonnale, la quale sarà velo-
ce, e li ritrosi, che si genereranno in far l’argine ristretta, e l’onda colonnale fian causa dello scalzamento, e ruina
dell’argine ristretta.
[restringimento del letto su un solo argine]
Se l’argini fian da ogni lato della corrente equalmente ristretti
[restringimento del letto su entrambi gli argini]
[XXIII] et all’incontro, allhora l’onda colunnali s’intersegaranno, e doppo tale intersegatione descenderanno alla
percussione, e ruina dell’argine suo.
Ma se li ristringimenti dell’argini saran più bassi l’un dell’altro, allhora l’onda colunnale superiore è possibile entrar
sotto la colonnale inferiore.
[restringimenti distanziati degli argini]
[Ms. F, 90v] Qui bisogna nel commento terminar le distanze delli ristringimenti dell’argine, e le larghezze.
Se l’onda colonnale percoterà li retrosi generati nell’una dell’argini allargata, allhora tali retrosi rinchiusi
[onda prodotta da un ostacolo in corrispondenza di un allargamento]
si ristringeranno, et acquistaranno gran potenza in cavar sotto l’argine, e ruinandolo.
[due figure di onde prodotte da un ostacolo in corrispondenza di uno o due allargamenti]
[XXIV] Ordine del libro
Poni nel principio ciò che può fare un fiume d’equal profondità, et obliquità di fondo nella sua argine, dove si
dia obietti di qualunque sorte. Di poi metti essi obietti a due a due, poi li metti all’incontro l’oppositi argini, con
le medesime varietà d’obietti, e discrivi ciò che fa l’acqua nell’intersegarsi l’una con l’altra nel mezzo del fiume,
e lo impedimento che ella dà all’acqua, che riflette dall’opposita riva, e poi descrivi ciò che ciascuna fa nel fondo,
cioè del levare, e ponere.
Il lato dell’onda, nel moto incidente è veloce, e ’l fin del moto reflesso è tardo.
Seguita il moto della valle dell’onda è veloce, e ’l culmine dell’onda è tardo.
[Ms. F, 90r] [onda prodotta da due ostacoli in corrispondenza di allargamenti distanziati]
Quell’onde che sono create sopra li dati obietti, non interponendosi più obietti di nissuna sorte, e sia quanto si
voglia, piccolo, e massime ne’ termini della larghezza [XXV] della superficie, dove è un minimo granicolo fanno
onda colonnale.
237
Obietti laterali composti, e le figure delle lor onde.
[onde colonnali prodotte da ostacoli laterali]
238
89 Obietti composti concavi, e convessi posti nell’argini de’ fiumi.
[Ms. F, 89v] [onde colonnali prodotte da ostacoli concavi e convessi]
89 Delle varie larghezze dell’interposizioni traversali poste nel mezzo delle larghezze de’ fiumi.

237
  Nell’originale questa proposizione, con il relativo disegno, è invertita con la successiva.
238
  Come nella proposizione seguente, riferimento al f. originale, che però è il f. 90r.

241
[onde colonnali prodotte da ostacolo centrale e trasversale]
De’ varii sporti dell’obietti laterali posti nell’argini de’ fiumi.
[XXVI] Delle varie obliquità poste nel mezzo delle larghezze de’ fiumi.
[onde colonnali prodotte da ostacolo obliquo]
De’ varii avvicinamenti, che fan le fronti dell’obietti laterali posti nell’argini de’ fiumi.
[onde colonnali prodotte da doppio ostacolo laterale]
239
[Ms. F, 89r] Dell’obietti laterali posti nell’argini de’ fiumi serpeggianti.
[tratto di fiume sinuoso con ostacolo laterale240]
Descrivi quel che fa l’acqua in ciaschedun dato caso ci fia la superficie sua col fondo, e qual parte dell’acqua è più
tarda, e veloce.
[XXVII] Dell’intersegationi, che fan l’onde infra loro, essendo reflessi dall’argini opposti de’ fiumi.
[incroci di onde tra gli argini di un fiume]
Della elevation241 che fanno l’onde create dall’intersegationi d’altr’onde colonnali.
[incroci e sollevazioni di onde]
242
[Ms. F, 88r] Impossibile è, che per canale convesso l’acqua corra in grossezza equale, ancora che tal canale sia equale in
larghezza.
[tratto di canale convesso]
Possibile è che per canale concavo nella sua longhezza l’acqua corra con equal profondità.
[tratto di canale concavo]
[XXVIII] Libro IX de’ sorgimenti accidentali dell’acqua
Se con cateratta la più larg’acqua fia divisa dalla piu stretta, e che il moto dell’acqua sia dalla più stretta alla più
larga l’acqua, che sorge sotto la cateratta salterà sopra l’acqua più larga, et al suo ricadimento caverà il fondo del
canale in più luoghi con diversi salti.
[canale con acqua sottopassante una cateratta243]
Il moto dell’aria fatto infra l’aria condensa, se è l’aria, che essa percote.
L’aria mossa in corpo più denso di sé, si condensa più che movendosi infra l’altr’aria.
L’aria mossa infra corpo più lieve di sé rarefa.
L’acqua mossa infra corpo più lieve di sé, viene a rarefare non di sua qualità, ma in quantità di spargimento, e di
panniculatione.
Il fumo, che penetra infra l’aria, se egli è grosso, e nato [XXIX] di gran fiamma nutrita di legne humide, esso
non si mischia, ma fa che pare più denso di sopra, che in mezzo, e più fa quando l’aria è stretta. E ’l fume sot-
tile penetra l’aria sempre calda sempre assottigliandosi. E la polvere, che penetra infra l’aria, la più sottile più
si leva in alto.
[Ms. F, 87v] Scrivi in prima tutta l’acqua in ciascun suo moto. Di più descrivi tutti li suoi fondi, e le lor materie, sempre
allegando le propositioni delle predette acque, e fia buon ordine, che altrimenti l’opera sarebbe confusa.
Descrivi tutte le figure, che fa l’acqua dalla sua maggiore alla sua minore onda, e le lor cause.
L’impeto è molto più veloce, che l’acqua, perché molte son le volte, che l’onda fugge il luogo della sua creatio-
ne, e l’acqua non si move di sito, a similitudine dell’onde fatte il maggio nelle biade nel corso de’ venti, che si
vede correr l’onde per le campagne, e le biade non si movono di loro sito.
Il grave, che discende infra l’aria ha ess’aria, che si [XXX] muove in contrario per riempire al continuo il luogo
lasciato da esso grave, e moto d’ess’aria è curvo, perché volendo montar per la linea brevissima è impedita dal
grave, che discende sopra di lei onde per necessità bisogna che si pieghi, e poi ritorni sopra esso grave, e riempia
il vacuo da lui lasciato. E se così fusse l’aria non si condensarebbe sotto la velocità del grave, essendo questo,
l’uccelli non si potrebbon sostenere sopra dell’aria da loro percossa. Ma qui bisogna dire, che l’aria si condensi
sotto il suo percussore, e che di sopra si rarefaccia al riempire del vacuo da esso percussore lasciato.
[Ms. F, 87r] E perché come è provato nella settima, non esser inconveniente all’aria il condensarsi, e rarefarsi quasi in in-
stante (il che non si trova possibile nell’acqua stando nella sua forma) egli è più facile all’aria laterale, e superiore
al mobile, che infra essa discende, riempire il vacuo da esso mobile sopra di sé lasciato, che l’aria di sotto a
piegarsi, e per linea curva, e lunga moversi al riempimento di tal vacuo.
[XXXI] Ancora è impossibile per l’8.a che prova, che ogn’impeto creato nell’aria, muove con seco ess’aria per
la linea della creation d’ess’impeto, come il vento, che tanto move d’aria, quanto il suo empito si move, come
si vede nella polvere mossa da tali venti, e nelli atomi, nella sfera del sole, quando in quelli è soffiato. Adunque
l’aria sospinta dall’empito del grave, che per essa discende fugge per la linea del moto fatto dal suo motore. E
la laterale si converte in retrosi laterali, e la superiore li descende di sopra sempre riempendo il vacuo, che tal
mobile lascia di sé sopra di sé in ogni grado del suo movimento.

239
  Nell’originale questa proposizione è invertita con la successiva.
240
  La figura risulta specchiata rispetto all’originale.
241
  Così nell’originale. Nel Ms.: «Dall’allevatione».
242
  Nell’originale questa proposizione, con il relativo disegno, è invertita con la successiva.
243
  Nell’originale la figura è soltanto abbozzata in prospettiva, ma precisa in sezione.

242
244
L’aria sotto il mobile, che per quella discende si fa densa e di sopra si rarefa.
[Ms. F, 86v] 86.245 L’acqua, che corre per canna d’equal vacuità, et empie tutta la prima sua parte piana, empirà tutte l’altre parti
dritte, et oblique, e moverassi con equal velocità. Il moto dell’elementi gravi, non sono al centro per andar a esso
centro, ma perché il mezzo dove essi sono [XXXII] non li può resistere, e quando esso trova resistenza nel suo
elemento, esso corpo più non pesa, né cerca più d’andare al centro.
L’acqua nell’aria pesa, e discende per la via breve, e divide, e apre l’aria, che gli sta di sotto al centro della sua gravità
con tutte sue parti equalmente e non divide l’aria, che gli sta da’ lati perché non è situata sopra di lei, e per questo
si fa una buca per l’aria di brevissima longhezza, finché giunge a chi gli resiste, la qual resistenza essendo acqua,
ess’acqua che cadea per l’aria in questa acqua più non cerca andar al centro, perché non divide più l’acqua, come
essa faceva l’aria. Adunque si move il grave all’ingiù, dove esso non trova resistenza, e non per andar al centro.
[Ms. F, 86r] Passano li raggi solari per la fredda region dell’aria, e non mutano natura, passano per vetri pieni d’acqua fredda,
e non mancano di lor natura, e per qualunque luogo trasparente essi passavano, egl’è come se penetrasseno altre-
tant’aria.
[XXXIII] E se tu vuoi, che li freddi raggi del sole s’incorporino il calor del fuoco nel penetrar il suo elemento,
sì come s’incorporano il color de’ vetri da lor penetrati ei seguirebbe, che nel penetrar la fredda regione, essi
s’incorporarebbono, tal freddo doppo l’incorporatione di detto caldo, e così il freddo annularebbe il caldo, onde
i raggi solari verebbono a noi privati di caldo; il che non essendo conforme all’esperienza, tal ragione, che il sole
sia freddo è vana.
Ma se tu dicessi, che ’l freddo donde passa l’infocati raggi del sole, temperasse alquanto la superchia caldezza di tali
raggi, qui seguirebbe, che nell’alte cime del Caucaso monte di Scithia si sentirebbe maggior caldo, che nelle valli,
perché tal monte passa la mezza region dell’aria, perché appo alla cima mai è nuvoli, e non vi nasce alcuna cosa.
E se tu dicessi tal raggi solari spingano a noi l’elemento del fuoco, donde essi passano per moto locale, questo
non può stare perché il moto locale di tal elemento non si fa senza longhezza di tempo, e tanto più, quanto esso
apparisce all’[XXXIV] orizzonte, dove il sole è più remoto da noi 3500 miglia che quando esso è nel mezzo del
nostro cielo, e se così facesse, ei raffreddarebbe l’opposito nostro orizzonte, perché porterebbe via coi suoi raggi
l’opposita parte dell’elemento del fuoco da lui penetrato.
Se ’l fuoco minore attrahe, e si piega al fuoco maggiore, come far si vede all’esperienza egl’è necessario che ’l sole
tirasse a sé l’elemento del fuoco più tosto, che esso cacciarlo da sé, e spingerlo a noi.
E ’l caldo del fuoco non discende se non seguita materia ignea, e facendo così egli è materiale, e per conse-
guenza visibile.
[Ms. F, 85v] Provasi il sole in sua natura esser caldo, e non freddo, come già s’è detto
Lo specchio concavo essendo freddo nel ricever li raggi del fuoco li riflette più caldi che esso fuoco.
[specchio concavo che riflette i raggi di un fuoco]
La palla di vetro piena d’acqua fredda manda fuori di [XXXV] sé li raggi presi dal fuoco ancora più caldi d’esso
fuoco.
[palla di vetro che riflette i raggi di un fuoco]
Da queste due dett’esperienze, seguita che tal calore delli raggi usciti dallo specchio, o dalla palla d’acqua fredda
sian caldi per virtù, e non perché tale specchio, o palla sia calda. Et il simile in questo caso accade del sole passato
per essi corpi, che scalda per virtù, e per questo hanno concluso il sole non esser caldo, il che per le medesime
esperienze si prova esso sole esser caldissimo per l’esperienza detta dello specchio, e palla, che essendo freddi, pi-
gliando i raggi della caldezza del fuoco, li rendan raggi caldi, perché la prima causa è calda, e ’l simile accade del
sole, che essendo lui caldo passando per tali specchi reflette gran calore.
Adunque questi tali effetti partecipano della prima causa, e non della media. Se maggior luce con men caldo fa
reflettere alli specchi concavi raggi di più potente calore, che corpo di maggior calore, e di minor luce.
In tale sperimento s’infochi un pane di rame, e si faccia cadere per una buca tonda di grandezza, e distanza dello
specchio equale al rame infocato una [XXXVI] fiamma. Qui tu haverai due corpi equali in distanza varii in calore,
e varii in risplendere, e troverai, che il maggior calore qui farà fare allo specchio reflessione di maggior calore, che
la fiamma già detta. Adunque diremo, non lo splendor del sole scalda, ma il suo natural calore.
[Ms. F, 85r] Delle macchie della luna
Essi detto, che le macchie della luna son create in essa luna, da essere in sé di varia rarità, e densità, il che se così
fusse nell’eclissi della luna i raggi solari penetrarebbono per alcuna parte della predetta rarità, il che non si ve-
dendo tal effetto detta opinione è falsa. Altri dicono che la superficie della luna essendo tersa e polita, che essa a
similitudini di specchio riceve in sé la similitudine della terra. Questa opinione è falsa. Conciosiaché la terra sco-
perta dall’acqua per diversi aspetti ha diverse figure. Adunque quando la luna è all’oriente essa specchiarebbe altre
macchie, che quando essa ci è di sopra, o quando essa è in occidente, il che le macchie della luna, come si vede
nel plenilunio, [XXXVII] che mai si variano nel moto da lei fatto nel nostro emispero. 2.a ragione è che la cosa
specchiata nella convessità piglia picciola parte d’esso specchio, come è provato in prospetiva. 3.a ragione è, che nel

244
  Reca a margine l’appunto del trascrittore: «Titolo del sopra detto capitolo», riferito alla proposizione precedente che inizia con «E perché come è provato nella
settima».
245
  Riferimento al f. originale.

243
plenilunio la luna vede solo il mezzo della sfera della terra alluminata, e la terra fa macule in esso splendore, e così
si vedrebbe la metà della nostra terra cinta dallo splendore del mare alluminato dal sole, e nella luna tal similitudine
sarebbe minima parte d’essa luna.
[figura con indicazione di fasi lunari]
4.a è che la cosa splendita non si specchia nell’altra splendida, adunque il mare pigliando splendore dal sole, si come
fa la luna, e non si potrebbe in lei specchiare in la terra, che ancora specchiar non vi si videsse particolarmente il
corpo del sole, e di ciascuna stella a lei opposita.
[Ms. F, 84v] Altri dissero, che la luna era composta di parti più, o meno trasparenti, come se una parte fosse a modo [XXXVIII]
di alabastro, e alcun’altra a modo di cristallo o vetro, che ne seguirebbe, che il sole ferendo con i suoi raggi nelle
parti meno trasparenti, il lume rimarebbe in superficie, e così la parte più densa restarebbe alluminata, e la parte
trasparente mostrarebbe l’ombre delle profondità sue oscure, e così si compone la qualità della luna. E questa opi-
nione è piaciuta a molti filosofi, e massime ad Aristotele. E pure ell’è falsa opinione, perché in diversi aspetti, che
si trovano spesso la luna e ’l sole alli nostri occhi noi vedremo variare tal macchie, e quando si farebbono oscure,
e quando si farebbono chiare, scure si farebbono quando il sole è in occidente, e la luna nel mezzo del cielo, che
allhora le concavità trasparenti pigliarebbono l’ombre insino alla sommità de’ labri di tal concavità trasparente,
perché il sole non potrebbe li suoi raggi dentro alle bocche di tal concavità, le quali parrebono chiare nel pleni-
lunio, dove la luna in oriente guarda al sole all’occidente [XXXIX] allhora il sole illuminarebbe insino ne’ fondi
di tale trasparenze, e così non generandosi ombre, la luna non dimostrarebbe in tal tempo le predette macchie, e
così hora, più hora meno, secondo le mutationi del sole dalla luna, e la luna dagl’occhi nostri, come di sopra dissi.
[Ms. F, 84r] Alcuni dissero levarsi da essa vapori a modo e nuvoli et interporsi infra la luna, e gl’occhi nostri, il che se così fusse
mai tal macule sarebbono stabili, né di sito, né di figura e vedendo la luna in diversi aspetti, ancorché tal macule
non fussino variate, esse mutarebbono figura, come fa quella cosa che si vede per più versi.
Ogni grave tende al basso, e le cose alte non restan in lor altezza, ma col tempo tutti discenderanno, e così col
tempo il mondo resterà sferico, e per conseguenza fia tutto coperto dall’acqua, e le vene sotterranee resteranno
immobili.
[Ms. F, 83v] Dato, che fusse il contatto di due corpi terrestri con i suoi elementi, che figura pigliarebbono essi elementi ne’
lor contatti.
[XL] Dato un grave sferico nel contatto dell’elemento del fuoco col’altro elemento del fuoco, che pesi tanto in
vaso l’un de’ centri di tali elementi, quanto in verso il centro dell’altri elementi. Questo grave discenderà per obli-
quo, e poserassi sopra il contatto di due corpi terrestri, come mostra la figura e ’l suo moto sia obliquo.
[schema con un grave tra i centri di due mondi]
Dati li centri di due mondi senza elementi forse remoti l’un dall’altro, e dato un grave uniforme del quale il centro
di gravità sia equalmente distante alli due detti centri, di poi sia lasciato cadere tal grave, qual sarà il suo moto?
Anderà lungo tempo movendosi con moto del quale in ogni parte della sua longhezza sarà sempre equalmente
distante a ciascun delli centri, et in ultimo si fermerà equalmente distante a [XLI] ciascuna d’essi centri, nel più
propinquo luogo, che habbia la linea del suo moto. E così tal grave non s’accosterà a nissun centro de’ duoi mondi.
[Ms. F, 83r] [cerchio con semicerchio sovrapposto246]
L’huomo, che camina è più veloce col corpo, che coi piedi.
L’huomo che caminando attraversa tutto un sito piano, va prima alla china, e poi altre tanto all’erta.
Se saran fatte due torri in continua drittura, e che lo spatio, che s’inchiude infra loro sia paralello, senza dubbio
le due torre ruinaranno l’una contro l’altra, se ’l procedere del murare fia sempre con equal altezza all’una torre,
come all’altra.
Sia che le due centrali idest EF.247 delli due angoli B.C. seguitino in continuo dritto esse taglieranno tal torre in
GG all’una, et in BF all’altra, seguita che tal linee non passan per il centro della gravità della lor lunghezza. Onde
KL,CG parte dell’una pesa più, che ’l rimanente suo CGD. e le [XLII] cose inequali superan l’un l’altra; onde per
necesità il maggior peso d’essa torre tirerà tutta tal
[due torri sulla curvatura terrestre e costruzione con raggi del cerchio]
torre adosso alla torre opposta, e ’l simile farà l’altra torre in verso di questa.
[Ms. F, 82v] Prova che la sfera dell’acqua è perfettamente tonda
82. L’acqua da sé non si move, se ella non discende,249 e movendosi da sé seguita, che ella descende.
248

Nissuna parte250 della sfera dell’acqua è per moversi da se medesima per esser circondata da acqua d’equal altezza
che la rinchiude, e non la può per nissun verso superare. Qui a basso si mostra la prova ABN sia la sfera dell’acqua
e sia una quantità d’acqua circondata e rinchiusa dall’acqua AB.
[cerchio con raggi, raffigurante la sfera terrestre]
Dico per la passata conclusione che l’acqua C non si moverà [XLIII] per non trovar descenso per la diffinition del

246
  Il grafico, che manca delle lettere a e b presenti nell’originale, va riferito al brano precedente, sebbene collocato nel foglio successivo.
247
  Le lettere non corrispondono a quelle presenti nell’originale.
248
  Riferimento al f. originale.
249
  La frase si ripete nel f. 26v del ms. F, già trascritto a p. X di questa sezione del Codice.
250
  Nel Ms. è ripetuto «parte».

244
cerchio, perché A, e B son remoti dal centro del mondo, sì come C. Seguita, che C resta immobile.
Dato un piano d’acqua nella superficie della sfera dell’acqua, gl’estremi si moveranno al mezzo di tal piano.
[cerchio analogo con parte staccata]
Il grave sferico posto su la sfera dell’acqua dov’ell’è diacciata251 non si moverà di sito.
[cerchio con piccola sfera tangente]
Il grave sferico posto nell’estremo del piano perfetto non si fermerà, ma si moverà subito al mezzo d’esso piano.
[Ms. F, 82r] Quella cosa che più si fa profonda nell’acqua, meno è mossa dal vento, che per così252 quella parte d’essa cosa, che
è fuor dell’acqua contro a Battista Alberti.253
[Ms. F, 81v] 81.254 Delle superficie, che circondan l’acqua, che il pelago versa [XLIV] infra l’aria e i loro contatti, e ancora quel
che fa l’acqua dentro a esse superficie.
De’ moti delle cose cadute insieme, con l’acqua che si muove infra l’aria, e così quel che elle fanno.
Delle cose, che galleggian sopra l’acqua media, e come esse si sommergano, quando essi si trovano dal mezzo
d’ess’acqua media in verso la caduta e si sommergon’insieme con tal caduta, che versa nel pelago, e percote nel
fondo, e si rompe in pezzi, sì che scrivi tutti gli effetti delle cose che si sommergano in qualunque estremo di tal
acqua media, la quale sempre sommerge li suoi estremi, perché sta in mezzo a tutti li moti reflessi di verso il fondo
del suo pelago.
[Ms. F, 81r] Dell’acque, che cadono sopra luogo, vanno per diverse linee in piccola profondità d’acqua, la qual caduta scopra255
il letto d’ess’acqua.
[due cadute d’acqua confluenti]
La concatenatione dell’acqua poco o niente si separa per percussione.
[Ms. F, 80v] [XLV] Di nicchi nei monti
E se tu vorrai dire, li nicchi esser prodotti dalla natura in essi monti, mediante la constellatione per qual via mo-
strerai tal constellatione fare li nicchi di varie grandezze, e di diverse età, e di varie spese in un medemo sito.
E come mostrerai la giara congelata a gradi in diverse altezze degl’alti monti, perché quivi è di diverse regioni
giare portate da diversi paesi dal corso del fiume in tal sito, e la giara non è altro che pezzi di pietra, che han persi
li angoli per la lunga devolutione, e diverse percussioni accadute mediante li corsi dell’acque, che in tal luogo le
condusse.
Come proverai il grandissimo numero di varie specie di foglie congelate, nell’altri sassi di256 tali monti, e l’aliga
herba di mare stante a giacere mista con nicchi e rena, e così vedrai ogni cosa petrificato insieme con granchi
marini rotti in pezzi separati, e tramezzati da essi nicchi.
[Ms. F, 80r] Nicchi e loro necessaria figura
L’animale, che habita nel nicchio si fa l’habitatione con le congiunture commissure, coperchi, e altre particole, sì
come l’huomo fa alla casa dove esso habita, e questo animale cresce a gradi la casa, e ’l coperchio secondo l’accre-
scimento del suo corpo.
[Ms. F, 78v] [XLVI] Se li monti non fussero in gran parte restati scoperti, li corsi de’ fiumi /
non havrebbono potuto portare tanto di litta257 dentro al mare
Sempre la revolutione dell’acqua reflessa nel ritornare alla corrente del suo fiume, la penetra più nella sua parte
inferiore, che nella superficie, e questo nasce, che la corrente per la 7.a è più veloce di sopra, che di sotto, e per con-
seguenza è più potente di sopra e per questo è men penetrata dalla percussione di tal acqua reflessa di sopra, che di
sotto ABCD, e la grossezza della corrente con la sua larghezza EAFB, e la grossezza e larghezza dell’acqua reflessa.
[retroso]
Li retrosi creati dalla percussione dell’acqua reflessa nel corso della corrente fiano di due spetie, de’ quali l’una spe-
tie si genera in verso il fondo, e gira tra su, e giù per la longhezza del fiume, l’altro è nella [XLVII] superficie, e gira
tra qua, e là per la larghezza del fiume, l’inferiore si genera dal ricascare de’ bollori inverso il fondo e ’l superficiale
dal moto circolare, che percote nella corrente superficiale.
[Ms. F, 78r] La cosa lata portata dalla corrente del fiume infra la superficie e ’l fondo dell’acqua, se ella si scontra in acqua più
tarda, che l’acqua che la porta s’ella si trovarà in quel tempo obliqua inverso l’avvenimento del fiume immediate
salterà dal fondo alla superficie dell’acqua.
[oggetto trascinato dall’acqua]
E se tale obliquità guarderà dietro alla fuga dell’acqua nello scontrarsi nella corrente pigra, subito si gitterà inverso
al fondo.
[oggetto trascinato dall’acqua]
E se tale obliquità guarderà a destra, o sinistra larghezza del fiume, essa si gitterà a essa destra, o sinistra di essi lati

251
  Così nell’originale. Nel Ms.: «di acuto».
252
  Osservazione a margine di Corazza (siglata «vc»): «forse percote»; come del resto si legge nell’originale.
253
  Nell’originale prosegue: «che dà regola generale, quanto il vento cacci un navilio per ora».
254
  Riferimento al f. originale. Seguono enunciati che sembrano titoli di proposizioni da sviluppare.
255
  Così nell’originale. Nel Ms.: «sempre».
256
  Nel Ms.: «si».
257
  Nell’originale si legge «lita», con cui s’intende ‘sabbia fine’.

245
del fiume, e così seguirà per qualunque aspetto. Qual parte della gravezza dell’acqua ritardarà il suo corso [XLVIII]
per tanta grossezza, quant’è quella del suo impedimento, e non si tarderà al contatto d’esso impedimento, ma tanto
discosto da quello, quanto darà la regola del 5.° Come sia l’impedimento superficiale grosso un dito l’acqua AB si
fermerà, o vero tornerà a dietro, essendo il moto tardo tutto lo spatio AB, e nel termine
[ostacolo posto trasversalmente in un corso d’acqua]
si conterrà nella corrente, o anderà sotto. Forma258 la regola come debb’esser longo AB.
[Ms. F, 77v] [occhio che guarda la luna illuminata dal sole259]
Questa haverà inanzi a sé il trattato d’ombra, e lumi. L’estremi della luna saran più alluminati, e si dimostreran più
lumi, non perché in quelli non appare se non la sommità dell’onde delle sue acque, e le profondità [XLIX] om-
brose delle valli di tali onde, non alterano le spetie di tal parti luminose, che dalla sommità di esse onde vengano
all’occhio.
Se ogni parte del sole spande i suoi raggi in tutti gli obietti circonstanti, qual’è quella parte, che manda il simula-
cro all’acqua, cioè è egli raggio colonnale, o piramidale dritto, o piramidale scavezzo, o piramidal converso, cioè il
colonnale è ACBD. il piramidale scavezzo è ACFG. il piramidale dritto è ACE, il piramidale converso è FGH; hor
dimi tu qual porta all’acqua il simulacro del sole.
[schema con sole e raggi260]
[Ms. F, 77r] Tra la corrente e ’l retroso sta l’arena.
Tra l’arena e ’l retroso sta valle netta dove gira e ’l retroso, dentro al retroso stan legnami o altre cose lievi.
Se l’aria sarà ferma la cosa portata dal corso dell’acqua nella sua superficie sarà più tarda, che [L] quella cosa, che
sarà sotto essa superficie.
Dove l’acqua esce per fondo equale catarutte essa cava il fondo dinanzi, e di dietro a tal catarutta.
[acqua passante sotto una cateratta261]
[Ms. F, 76v] Del canale di Marsigana
262
76. Facendo il canale di Marsigana si diminuisce l’acqua all’Ada, la quale è distribuita in molti paesi al servitio
de’ prati. È ci un remedio e questo è di fare molti fontanili, perché quell’acqua che è bevuta dalla terra non fa
servitio a nissuno, né ancor danno, perché a nissuno è tolta; e facendo tali fontanili l’acqua che prima era perduta
ritorna di nuovo a rifar servitio et utile agl’huomini. E dove prima tali canali non eran condotti, non si poteva ne’
paesi più bassi far essi fontanili. Adunque diremo che se tali canali sono fatti in Marsigana, che la medema acqua
bevuta dal fondo de’ prati, sarà rimessa di nuovo sopra altri prati [LI] mediante tali fontanili, la qual acqua prima
era perduta, e se l’acqua mancherà in Giera d’Adda, e nella Muzza i paesani potranno fare de’ fontanili veduto, che
una medema acqua bevuta da’ prati più volte riserve a tal offitio.
[Ms. F, 76r] 76.263 Cresce il simulacro del sole nello specchio converso nel discostarsi da esso specchio, e manca nel discostarsi
da lui il corpo solare.
Nello specchio concavo il simulacro del sole cresce264 nel discostarsi il sole da tal specchio, e questo è causato
perché.
[Ms. F, 75v] 75.265 L’onda circolare nata nella superficie dell’acqua inchiusa nel vaso percosso finisce per quella linea, che ella
fu creata dal moto del suo motore.
Ogni mobile che genera reflessione termina il suo corso per la linea dell’incidenza questo accade per esser il moto
incidente di maggior potenza che ’l moto reflesso, e quel che è più potente ha più durabilità che ’l men potente.
Sarà più potente il moto del mobile incidente che ’l suo moto reflesso perché la percussion dell’incidenza [LII]
fatta nell’obietto denso diminuisce parte dell’impeto congiunto a esso mobile, la quale diminutione non lascia po-
tente tal moto reflesso, com’era detto incidente, benché in ogni grado di moto, l’impeto del mobile si diminuisca
per sé senza percussion di denso, e non resta, che tale percussione non diminuisca più. Imperocché se tu misuri il
moto, che tal mobile haverebbe fatto senza incidenza, e misuri li moti nati da molti balzi, tra su, e giù ei sarà più
longo il moto continuato a un medemo luogo, che quel che tante volte dall’incidenze è interrotto, ancora che ’l
principio dell’impeto in ciascun di loro fussino di potenza eguali infra loro.
[Ms. F, 74v] 74.266 Perché il mobile seguita il moto principiato dal suo motore.
Nissun impeto può terminare immediate, ma si va consumando a gradi di moto.
L’aria che prima fu dietro alla buca fatta dal mobile infra l’aria, poco accompagna esso mobile per l’8.a
[LIII] 8.a L’aria successivamente circonda il mobile, che per essa si move fa in sé varii moti; questo si vede
negl’atomi che si trovano nella sfera del sole quando per qualche finestra penetrano il luogo oscuro, nelli quali
atomi tratto un sasso per la lunghezza di tal raggio solare, si vede l’atomi raggirarsi intorno al sito d’onde

258
  Nell’originale si legge: «Trova».
259
  La figura appare specchiata rispetto all’originale.
260
  Nell’originale la figura è disposta verticalmente.
261
  Nell’originale la figura è rappresentata in sezione anziché in prospettiva.
262
  Riferimento al f. originale.
263
  Riferimento al f. originale.
264
  La parola «cresce» manca nell’originale, ove le due frasi che cominciano con «Nello specchio concavo» e «nel discostarsi il sole» sono lasciate in tronco.
265
  Riferimento al f. originale.
266
  Riferimento al f. originale.

246
dall’aria fu riempito la strada in ess’aria fatta dal mobile, come è provato nella 5.a
5.a Nissuna cosa insensata per sé si move, ma il suo moto è fatto da altri.
L’aria, che si move al rimpimento del vacuo fatto di sé in essa dal mobile, ha in sé divise velocità, e densità, e moti.
[Ms. F, 74r] Il moto dell’aria fia minore dinanzi al mobile che per essa penetra, che ella non fia doppo tal mobile.
L’aria che riempie il vacuo, che di sé lascia il mobile che per essa aria penetra, ha il suo moto di equal velocità a
quello di esso mobile. Ma le parti d’ess’aria per esser reverticinosa, cioè di moto circolare in forma di retrosi267, e
molto più veloci in sé che nel moto del predetto mobile.
[LIV] Qui pare, che per haver il mobile più velocità di aria dietro a sé, che dinanzi, che tal aria sia causa del moto
di tal mobile. Ma per la 7.a non può stare.
7.a Nessun mobile sarà mai più veloce, che la velocità della potenza che lo move.
L’onda, che fa l’aria dinanzi al mobile, che la penetra non passa quasi dinanzi a esso mobile, perché sarebbe contro
alla 7.a suddetta.
L’aria dietro al mobile torna indietro in circulatione di quelle parti, che confinano con quella, che corre dietro
al mobile.
L’aria, che corre dietro al mobile, che per essa discorre è mossa dall’impeto appiccatoli da tal mobile, la qual per
la grand’onda dilatata percutendo nell’altr’aria ritorna in dietro, e con gran circulatione, che diminuisce ne’ suoi
estremi, al fin si ferma, e non segue esso mobile.
[vortice d’aria268]
269
[Ms. F, 73r] Angolo della contingenza
Se da cose proportionate tu levi parte nella medesima [LV] proportione, il rimanente non si varia dalla sua prima
proportione, seguita che se da CF. duplo all’AE tu levarai CD. et AB che son parte duple il rimanente DF e BE
restan dupli come prima e se la linea BD sarà contingente al cerchio tale contatto sarà il detto angolo della con-
tingenza.
[circonferenza con angolo al centro, una corda tangente e una esterna270]
Del mare, che a molti semplici par più alto che la terra
Naturalmente nissuna parte della terra discoperta dall’acque fia mai più bassa, che la superficie della sfera dell’ac-
qua DB. e una pianura d’onde corre il fiume al mare, la qual pianura ha per termine esso mare. E perché inverso
essa terra scoperta non è nel sito dell’equalità, perché se così fusse il fiume non haverebbe moto, onde movendosi
questo sito è più tosto da esser detto spiaggia, che pianura, e così
[schema raffigurante la terra, con angolo al centro e contorno del mare più ampio rispetto al globo]
essa pianura DB termina in tal modo, che con la [LVI] sfera dell’acqua, che chi la producesse in continua attitudine
in BA esso A entrarebbe sotto il mare, e di qui nasce che ’l mare pare più alto della terra scoperta.
[Ms. F, 72v] L’acqua cadente in canale di larghezza uguale alla larghezza d’ess’acqua che cade farà concavità profonda dentro
alla superficie dell’acqua.
[canale con caduta d’acqua271]
L’acqua cadente in larghezza maggiore, che la caduta detta, non farà troppa concavità dentro all’acqua per causa
delli retrosi, che refletano l’acqua alla concavità di tal caduta.
L’acqua più stretta, che quella che li cade adosso s’inalzerà.
[Ms. F, 72r] 72.272 Delli bollori dell’acqua reflessa dal fondo del pelago parte ne ricade nella superficie dell’acqua, e quivi
rifa più moti incidenti, e reflessi, e parte se ne volta inverso la prima caduta, e quivi si sommerge con quella,
e ritorna in su con [LVII] retrosi laterali, e parte ne ricade nei mezzi de’ bollori, e si spande intorno al centro
della sua caduta.
[caduta d’acqua con ribollimenti dal fondo]
Li moti semplici dell’acque son quelli, che con il suo semplice moto di qualunque sorte si sia semplicemente
adopra.
Li moti composti son creati da varii moti, e questi sono potentissimi in diversi officii.
L’onda è più tarda in cima, che nei lati.
Il moto incidente è più veloce, che il reflesso.
Gionte insieme le maggiori, e le minori tardità dell’onde, cioè dell’onda in sé coi suoi lati, e sommità essa si fa
equale al comun corso del suo fiume, e questo s’ha allegare mille conclusioni, cioè a provarla.
[Ms. F, 71v] Le cadute dell’acqua, che s’intersegano infra l’aria, s’empiano d’aria nelli [LVIII] loro moti reflessi.
[cadute d’acqua che si scontrano]
Delle cadute dell’acque, che si percuotono infra l’aria essendo d’equal grossezza, quella che discende da più alto
sito dal suo bottino si congiungerà al corso di quella più bassa, e con lei finirà il suo corso.

267
  Così nell’originale. Nel Ms.: «retroci».
268
  Nell’originale la figura è disposta verticalmente.
269
  La proposizione è presente identica nella sezione II, p. 55.
270
  La figura appare specchiata rispetto all’originale.
271
  Il disegno appare alquanto diverso dall’originale.
272
  Riferimento al f. originale.

247
[cadute d’acqua che si scontrano]
La caduta dell’acqua, che corre poi sopra tavolati rompe il fondo grandemente al fine di tali tavolati.
[caduta d’acqua su un tavolato]
Quel che è detto nasce, che come la corrente dell’acqua giunge all’estremo di tali tavole essa cade, e leva dal [LIX]
fondo, e quanto più lungo tempo cade più lungamente profonda, perché la caduta si fa più potente nelle maggiori
profondità, che nelle minori.
273
Ogn’acqua, che sorge si divide in superficie, e corre a’ diversi aspetti, e tanto più, quanto il pelago è più quieto.
Ogn’acqua nel percuotere il fondo o altro obietto si divide, e come per diversi aspetti.
[Ms. F, 71r] Il moto dell’acqua fatto infra l’aria seguita per alquanto spazio la linea de’ lati, che han li spiracoli d’onde discen-
dano, il che non interviene alla quantità discontinova, la qual mostra il sasso gittato dal moto circonvolubile del
braccio del’huomo, e seguita moto retto, il che non fa l’acqua per causa della sua panicolatione, la quale per longo
spatio di moto colliga tutte le parti dell’acque insieme.
[acqua panniculata]
L’impressione de’ moti fatti dall’acqua infra l’acqua son più permanenti che l’impressioni, ch’ess’acqua [LX] fa
infra l’aria, e questo accade perché l’acqua infra l’acqua non pesa, come è provato nel 5.°, ma sol pesa l’impeto la
qual move ess’acqua senza peso insino che esso peso si consuma.
L’impressioni di moto dell’acqua fiano più permanenti dove l’acqua portata dall’impeto entra in pelago di più
tardo moto, e così di converso.
L’impressioni fatte dall’acqua infra l’aria si destingano nel primo moto ch’essi fanno inverso la terra perché l’im-
peto si consuma nel moto naturale che si genera nell’acqua.
[Ms. F, 70v] Il mare sotto l’equinottiale s’innalza per il caldo del sole, e piglia moto da ogni parte del colle, o vero parte dell’ac-
qua che s’innalza per raguagliare, e restorare la perfettione alla sua sfera.
Se una bocca di acqua in 16 once di callo per ogni miglio mi dà 16 misure d’acqua, quanto me ne darà la medema
bocca in 8 once di calo per miglio?
Le revolutioni de’ retrosi traversali in ogni grado della lor longhezza acquistano larghezza, e tardità.
Li bollori de’ mari riflessi dell’acque dal fondo de’ fiumi distruggano le circulationi de’ ritrosi longitudinali.
[LXI] L’acqua del mare, e de’ fiumi torbidi è più grave, che l’altre acque, e per conseguenza più resiste alli pesi da
lor portati.
Ma più resiste l’acqua del mare perché il peso del sale che con lei è misto, e liquefatto è inseparabile in lei senza
calor che disecchi l’acqua, ma la torbine dell’acqua si separa col caldo, e con la quiete d’ess’acqua.
[Ms. F, 70r] Perché il centro della gravità naturale della terra deve essere nel centro del mondo, e sempre la terra in qualche
parte si va levificando274, e la parte levificata275 spinge in su, e sommerge tanto dall’opposita parte, quanto essa
congiunge il centro di detta sua gravità al centro del mondo. E la sfera dell’acqua tien ferma la sua superficie equi-
distante dal centro del mondo dove il sole è per dritto si levifica276 la terra coperta dall’aria l’acqua, e la neve le
mancava dall’opposito le pioggie, e le nevi bagnavan la terra, e spingonla in verso il centro del mondo, e discostati
da esso centro le medesime parti levificate, e pure la sfera d’ess’acqua osserva l’equalità della sua sfera, ma non
della gravità.
[LXII] L’acqua che per angolo concavo versa infra l’aria sia pannicolata, il qual pannicolo si continuerà più in quel
lato dell’angolo, dove tal angolo havrà maggiore contatto, e dall’opposito lato il pannicolo risultarà a fare congiun-
tione al primo a modo di guaina aperta.
[getto d’acqua da un angolo murario]
[Ms. F, 69v] La terra è grave nella sua sfera, ma tanto più quanto essa sarà in elemento più lieve.
Il fuoco è lieve nella sua sfera, ma tanto più quanto essa sarà in elemento più grave.
Nissuno elemento semplice ha gravità, o levità nella sua propria sfera, e se la vessica ripiena d’aria pesa più nelle
bilancie, che essendo vota questo è perché tal’aria è forsi più grave che l’acqua e forsi equale alla terra.
[getti d’acqua da due angoli murari]
277
[LXIII] 69. La valetudine di tali pannicoli è nel fare una fonte, che getti acqua con varie figure di pannicoli.
L’acqua pannicolata, che esce per la rottura della concavità dell’angolo, non toccando se non da un lato d’esso
angolo farà figura, come mostra il dissegno.
[Ms. F, 69r] Se la terra coperta dalla sfera dell’acqua, è più o men grave ch’essendo discoperta.
Rispondo che quel grave più pesa, che è in mezzo più leve. Adunque la terra, che è stata coperta dall’aria
è più grave, che quella che è coperta dall’acqua. Dico che quel che resta mezzo fuori dell’acqua è più grave
come è provato.
[Ms. F, 68v] [due figure: piramide entro la terra; bilancia con un peso semimmerso e uno tutto immerso]
Sempre il retroso dell’acqua, è dove la sua corrente è divisa dall’angolo, che la piega, come se l’acqua SA fusse

273
  Nell’originale la proposizione è invertita con la successiva e corredata di immagine.
274
  Così nell’originale. Nel Ms.: «lettificando».
275
  Così nell’originale. Nel Ms.: «lettificata».
276
  Così nell’originale. Nel Ms.: «lettifica».
277
  Riferimento al f. originale.

248
piegata dall’A ed D. L’angolo A la dividerebbe, e una parte seguitarebbe l’ordinario suo corso per la via AD e l’altra
parte si convertirebbe in ritroso per la via ABC.
[LXIV] [retroso in corrispondenza di un gomito di un corso d’acqua]
Domandasi se un fiume, che passa per un lago guasta l’uniforme distanza, che haveva la superficie di tal centro del
mondo, avanti che esso fiume passasse per il predetto luogo.
[fiume che attraversa un lago278]
[LXV] Questo è bel quesito, e mostrasi, che tale superficie guastar l’uniforme distanza del centro del mondo per
dar transito al detto fiume per la 4.a che mostra l’acqua non moversi, s’ella non discende, e qui bisogna intendere
se l’uscita di tal fiume ha larghezza simile all’entrata. E se così ha egl’è necessario, che tal acqua sia d’uniforme
corso per la 7.a che mostra che ’l moto d’ogni fiume con equal tempo dà in ogni parte della sua longhezza equal
peso d’acqua, hora se ’l fiume mettea acqua, che voleva un braccio di calo per miglio.
[Ms. F, 68r] Essendo come è detto la larghezza dell’uscita equale alla larghezza dell’entrata egl’è necessario, che tutto il fiume,
che passa per il lago, habbia ancor lui un braccio di calo per miglio, e così l’acqua di tal lago sarà con la sua pelle
con distanza varia dal centro del mondo, e l’acqua harà tal corso.
Quella parte dell’acqua del lago sarà di più tardo moto, la qual si trova più remota dalla linea brevissima, che ha
l’entrata col’uscita del fiume, che passa per esso lago.
Qui seguita, che il mare della Tana279, che confina col [LXVI] Tanai è la più alta parte, che habbia il mare Medi-
terraneo il quale è remoto dallo stretto di Gibilterra 3500 miglia, come dimostra la carta del navigare che ha di
calo 3500 braccia cioè un miglio e mezzo che è più alto. Adunque questo mare è più alto, che monte che habbia
l’occidente.
280
[Ms. F, 67v] Dell’arco celeste
Se l’arco celeste è generato dall’occhio (cioè la sua rotondità) o dal sole mediante la nuvola.
Lo specchio non piglia se non la spetie de’ corpi visibili, e le spetie non si causano senza essi corpi. Adunque se
tall’arco è veduto nello specchio, e vi concorran le spetie, che hanno origine da esso arco celeste, seguita esso arco
esser generato dal sole, e dalla nuvola.
[figura con sole, occhio, pioggia e arcobaleno]
[LXVII] L’arco celeste è veduto nelle sottili piogge da quegl’occhi, che hanno il sole dietro, e la nuvola dinanzi.
E sempre una linea imaginata in continuo dritto partita dal centro del sole passando per il centro dell’occhio, ter-
minarà nel centro dell’arco. E questo tal’arco mai fia veduto dall’un occhio nel medemo, che lo vede un altro, anzi
sia veduto in tanti siti del nuvolo, ove esso si genera quanto son l’occhi che lo vedano. Adunque tall’arco è tutto
per tutto il nuvolo dove si genera, e tutto in ciascun luogo, che di lui è capace, e così parrà maggiore, o minore,
mezzo intiero doppio triplo.
Fassi ancora con l’acqua soffiata in ver il raggio solare, che passi il luogo oscuro, havendo il sole nella nuca, e così
col lume di torchio, o di luna.
[Ms. F, 67r] L’acqua, che cade infra l’aria con difficultà si separa dalla sua grossezza et il segno di questo è mostro della curu-
tione ch’ella genera e ’l raggiramento dell’una parte intorno all’altra fra le quali s’interpone l’acqua pannicolata.
[caduta d’acqua in aria]
[Ms. F, 66v] [LXVIII] Principio del libro
Gocciola è quella, che non si spicca dall’altr’acqua, se la potenza del suo peso non è più che la potenza della col-
legatione ch’ella ha con l’acqua, con che ella è congionta.
Quella gocciola più tardi si genera, che ha più tardo moto d’acqua alla sua creatione.
Tutti li moti, che si fanno dall’acqua nella sua superficie ancora son fatti in ogni grado di bassezza della sua pro-
fondità, e similmente in ogni parte della sua larghezza, e questo imparate dall’erbe appiccate al fondo del fiume.
Perché ogn’impeto è consumato dal moto del mobile con tempo, e longhezza di moto fatto per qualunque verso
l’herba, che haveva consumato l’impeto suo, e restava obliqua, il conio dell’acqua N, M, A, O, la spinge, e caccia A
dal suo sito, e lo move con impeto inverso B, e tanto si move quanto dura tal impeto, e consumato che gl’è il conio
dell’acqua fa di qua, come di là fece, e [XLIX] così segue quanto duran li mobili accompagnati.
[erba portata dall’acqua281]
E il simile fa della superficie al fondo, e così per qualunque verso.
[Ms. F, 66r] Tutta l’acqua, che nelle correnti de’ fiumi si tarda doppo l’obietti d’essi corsi non ha altro esito, che nel contatto
della corrente d’essi fiumi.
Sempre li ritrosi, che si voltano in dietro son quelli dell’acqua più veloce.
[retroso]
Li retrosi volti inverso la fuga del fiume, son quelli dell’acqua, che si tarda nel corso del fiume.
282
Li retrosi sempre sono misti con due acque, cioè incidenti, e reflessa.

278
  Il disegno appare alquanto diverso dall’originale.
279
  Si tratta del mare d’Azov e la Tana è il fiume Don.
280
  L’intero brano è ripetuto nella sezione II, pp. 58-59.
281
  Nell’originale il grafico è disposto verticalmente.
282
  Nell’originale questa proposizione è collocata prima della precedente: « Sempre li ritrosi, che si voltano […]».

249
Qui non manca la legge dell’acque ne’ suoi ritrosi perché [LXX] l’acqua, che si fa tarda si volta indietro, e fa li
retrosi in contrario al suo moto, sì come fa anco li retrosi dell’acqua più veloce, e però tal ritrosi sì della tarda,
come della veloce si mischiano insieme, e radoppiano la lor potenza, ma non integramente, perché il ritroso
tardo nel mischiarsi col veloce, si fa più veloce, che prima e ’l retroso veloce nell’abboccarsi e unirsi col più
tardo acquista tardità.
La somerson de’ retrosi nell’acque veloci sarà contra all’avvenimento dell’acque, e nell’acque tardi sarà in verso la
fuga di tali acque.
[retroso283]
[Ms. F, 65v] Sempre l’obietto muta l’ordine della natura delle principiate onde la corrente AB era d’un ordine d’ordine è l’o-
bietto284, che la riceve in percussione tutte le scompiglia, e converte in un’altra figura.
[LXXI] Se vuoi ben giudicare tutte le figure dell’onde, e de’ corsi dell’acqua, vedi l’acqua chiara di picciola profondità
sotto li raggi del sole, e vedrai mediante esso sole tutte l’ombre, e lumi delle dette onde, e delle cose portate da ess’acqua.
La sfera dell’acqua cresce, e discresce sensibilmente, o insensibile secondo li maggiori, o minori più universali, o
meno universali deluvii dell’acque rendute ad essa sfera dell’acqua.
[Ms. F, 65r] Delle cose portate dal corso dell’acque, quella, che ha più parte di sé infra l’aria, più obedisce al moto dell’aria, che
a quello dell’acqua. E così di converso quella che ha più parte di sé infra l’acqua obedirà più al corso di tal acqua,
che a quello dell’aria.
[oggetti galleggianti in un corso d’acqua]
Vedi nelle piegature de’ canali, dove l’acqua è più veloce di sotto, in mezzo, o di sopra, e di questo fa un libro.
La canna donde è tirata l’acqua in alto riceve men [LXXII] detrimento, che quella canna donde l’acqua è sospinta,
e questo avviene perché alla prima il motore sta di sopra, e alla seconda esso motore sta di sotto.
Dove l’acqua è più veloce più consuma il fondo da lei confregato.
Dove l’acqua più si stringe, più si fa veloce e per la passata più consuma il fondo.
[Ms. F, 64r] Perché ogni luminoso di lunga figura in lunga distanza pare rotondo. Mai è perfetto tondo, ma li accade come al
dado di piombo, quando è battuto o forse staccato, che si fa in forma circolare, così questo lume in longa distanza
acquista tanto di larghezza per tutti i versi, che essendo l’acquistato equale il primo capitale del lume primo vi resta
per nulla, rispetto a tale acquisto, e però l’acquisto uniforme lo fa parer rotondo.
[Ms. F, 63v] 63.285 Se terrai l’occhio vicino alla superficie dell’acqua di quel mare, o stagno che s’interpone infra l’occhio tuo
e ’l sole, tu trovarai il simolacro del sole in tal superficie dimostrarsi piccolissimo. Ma [LXXIII] se si rimoverà da
esso mare per spatio di più miglia, tu vedrai il simulacro del sole farsi parecchie miglia di grandezza. E se il primo
simulacro ritenea la vera figura, e luce del sole come fan li specchi questo 2.° non riserverà né figura né luce d’esso
sole, ma una figura con termine interrotto, e con luce diminuita dalla prima la figura del simulacro de’ termini
interrotti, e confusi si genera da una compositione di molti simulacri del sole reflessi all’occhio tuo da molte onde
del mare, e lo splendore diminuito nasce perché all’occhio vien la similitudine ombrose, e luminose dell’onde
insieme miste, onde la lor luce è alterata dalle lor ombre. Il che non può accadere dalla superficie d’una sol’ombra,
la quale ritrovasi vicino all’occhio.
[Ms. F, 63r] Ogni simulacro di sole cresce nel rimoversi dall’occhio che lo vede.
[Ms. F, 62v] [LXXIV] Se la figura dell’onde fusse in figura di mezza sfera, come sono li sonagli dell’acqua, li concorsi delli
simulacri del sole, che si portano da ess’onde,286 e vengono all’occhio sarebbe di grossissimo angolo, quando
ess’occhio fusse su la riva di quel mare, che s’interpone infra lui, et il sole.
[simulacri collegati, con sole e occhio]
Nella gocciola della rugiada ben tonda fia da poter esser considerato molti varii casi dell’offitio della sfera dell’ac-
qua com’ella contenga dentro a sé il corpo della terra senza destruttione della sphericità della sua superficie.
Prima sia tolto un cubo di piombo di grandezza d’un grano di panico, e con un filo sottilissimo a quel congionto
sia sommerso dentro a tal gocciola, e vedrassi tal gocciola non mancare della sua propria rotondità ancora ch’ella
sia fatta maggiore per tanto quanto è il cubo, che dentro a essa rugiada si rinchiude.
[goccia con cubo di piombo all’interno]
[Ms. F, 62r] [LXXV] 287Il raggio del luminoso fa l’angolo dell’incidenza infra 4 angoli equali, cioè l’assi dell’angolo.
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]
Qui l’angolo ACM non essendo equali al suo opposito MCB l’occhio O non vede N in E.
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]
CAD è l’angolo dell’incidenza sopra l’obietto colonnale e l’assis di tal angolo BA termina in A. infra 4: angoli
equali, cioè ciascun dell’angoli è equali al suo corrispondente, come DAF è equale a CBA suo corrispondente e
così BAE al BAG.
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]

283
  Il disegno appare alquanto diverso dall’originale.
284
  Nell’originale è in realtà: «era d’un ordine e l’obietto».
285
  Riferimento al f. originale.
286
  Ripetizione del trascrittore: «onde».
287
  Le tre proposizioni che seguono sono presenti identiche nella sezione II, pp. 54-55.

250
[Ms. F, 61v] [LXXVI] 61.288L’assis dell’angolo dell’incidentia termina sempre infra infiniti angoli equali ciascun per sé ha il
suo corrispondente. Sia l’angolo dell’incidentia ONP e ’l tuo assis sia NM, che termina in N infra infiniti angoli.
Io ne porrò qui quattro per esempio e sia il primo MDN equale al suo corrispondente MN perché son equali,
questi due, perché ciascuno ha un lato curvo et un retto, e li curvi DN et CN sono di equal curvità perché son
posti sopra corpo colonnale d’uniforme grossezza, l’altri due angoli sono MNA et MNB che hanno li lor lati retti,
ma non son equali perché MNB è minore che ’l suo risplendente MNA. Adunque l’angolo sarà più basso infra li
angoli ABCDN li si può mettere infiniti altri angoli, e ciascuno qui fia equale al suo corrispondente.
[cilindro illuminato da raggi, con ombre]
289
[Ms. F, 6ov] Delle cose rimosse dall’occhio con equal distanza dal loro primo sito, quella men diminuisce, che prima era più
distante [LXXVII] da ess’occhio. E tal fia la proportione della diminutione qual fu la proportione delle distanze
che esse havea dall’occhio, avanti il lor moto. Come è a dire il corpo T e ’l corpo B delli quali la proportione delle
lor distanze dall’occhio A è quintupla, io removo ciascun dal suo sito, e lo fo più distante dall’occhio uno d’essi
quinti, in che è diversa la proportione. Accade dunque che T più vicino all’occhio harà doppiata la distanza, e per
la penultima di questo esso è diminuito la metà del suo tutto e ’l corpo E per il medemo moto è diminuito un
quinto d’esso suo tutto. Adunque per la detta penultima, è vero quel che in quest’ultima s’è proposto.
[linea segmentata con due corpi sferici sull’asse e occhio all’estremità sinistra]
[Ms. F, 6or] 60290 Perché li pianeti appariscon maggiori in oriente, che sopra di noi, che dovrebb’essere il contrario, essendo
3500 miglia più vicini a noi essendo mezzo del cielo, che sendo all’orizzonte tutti li gradi degl’elementi d’onde
passano [LXXVIII] le spetie de’ corpi celesti, che vengano all’occhio sono curvi, e li angoli donde li penetra la linea
[diagramma di sfere elementari e celesti]
centrale di tali spetie sono inequali, e la distanza è maggiore, come mostra l’oggetto AB sopra AD. e per la 9. del
7.° la grandezza d’essi corpi celesti nell’orizonte è provata.
[Ms. F, 59v] Per far un cubo doppio a un altro subduplo.
Sia segato il cubo maggiore A. dal diametro della parte superiore al diametro della parte di sotto, e resterà un
quadretto longo, e sarà B. il quale tu segarai equidistante alla basa, e la parte sarà C. della quale tu farai nell’angolo
delle proportioni, come dal roversio di questa carta facesti.
[tre figure geometriche: cubo intero, cubo tagliato a metà in diagonale e quarto di cubo]
Dato il diametro AB. trovasi il suo quadretto tira nel [LXXIX] mezzo della sua longhezza la perpendicolare NM
di poi di tal perpendicolare ne taglia una parte equale alla metà di tal diametro, il qual fia fatto con la quarta parte
del cerchio tira la linea dell’A al B, e haverai fatto il triangolo AMB il quale sarà la quarta parte del quadrato del
quale la detta linea AB. ne sarà diametro.
[costruzione di un quadrato subduplo]
Per fare la duplicatione del cubo A. sia il cubo al quale si dee fare un altro cubo a lui subduplo, e farò in questo
modo, io dividerò esso cubo per metà con taglio, che scenderà dal diametro superiore al diametro inferiore fatto
per la medema linea che di sopra, e porrò la metà d’esso cubo in B e con la quinta farò il quadrato B perfetto, il
quale fia C di poi torrò la metà di B che fia D e con la 5. lo farò quadro, e fia E perché G ha il B che è diametro
del cubo A// E [LXXX] che è nato dal D. non ha esso D di figura proportionata a sé come ha C dal suo B onde
si farà con l’angolo delle proportioni.
[cinque figure geometriche: cubo, cubo tagliato a metà e sua sezione, un quarto di cubo, faccia quadrata del cubo]
Cubi doppi l’uno all’altro
[Ms. F, 55r] Delle bocche d’equal lunghezza figura, e altezza quella verserà più acqua, in pari tempo, che sarà in più sottil pa-
rete, o vero, che harà più breve contatto coi lati della sua bocca, cioè verserà più acqua A che B.
[due bocche d’acqua aperte sul fianco di un bottino, in pianta]
Delle bocche equali e simili posti da lati di dentro nel bottino con equal distanza quella verserà più acqua che
s’abbassarà più di fuori all’uscir della sua parete.
[due bocche d’acqua aperte sul fianco di un bottino, in elevato]
[LXXXI] Ogni corpo diforme ha tre centri, cioè della magnitudine, e della gravità accidentali, e della sua gravità
naturale. Ma quando s’incorporasse il centro del mondo ei mancarebbe il centro della gravità accidentale.
De’ corpi difformi, che han centro di magnitudine, e centro di gravità naturale, ei non potrà ricevere il centro del
mondo, se non nel centro della gravità, e quel della magnitudine resterà in disparte.
[Ms. F, 54v] Fra le bocche dell’acque poste in altezze equali sotto la superficie dell’acqua del suo bottino, quella, che ha men
contatto con l’acqua, che per lei passa meno impedirà il transito a ess’acqua.
[bocca quadrata, bocca circolare]
Sian le bocche equali A quadrato, e B circolo, dico che all’acqua, che passa per la bocca circolare, harà men contat-
to, che l’acqua, che passa per il quadrato [LXXXII] equale a esso circolo perché più longa è la linea, che circuisce
il quadrato, che quella, che circuisce il tondo.

288
  Riferimento al f. originale. La proposizione è presente identica nella sezione II, p. 55.
289
  Il brano, fino a «quel che in quest’ultima s’è proposto», con l’allegata figura, è presente anche nella sezione II, pp. 59-60, ove però il grafico è alquanto schematico e
somiglia assai più all’originale.
290
  Riferimento al f. originale.

251
Quella bocca verserà più acqua in pari tempo, che harà maggior somma di sé dalla parte superiore, che di sotto.
Delle bocche equali, e d’equal altezza, quella verserà più acqua in pari tempo che harà maggior somma di sé nella
sua parte inferiore, che nella parte di sopra.
Queste 4 bocche sono infra loro equali, e con li loro estremi posti in altezza A versa men dal mezzo in giù che B,
e men C, che D.
Qui la buca tonda versa men quantità d’acqua, che la quadra.
[figure di bocche: circolare, quadrata, triangolare rovescia e diritta]
[Ms. F, 54r] Ogn’acqua percossa in qualche obietto si divide in 4 moti vari e principali; cioè destro, e sinistro, alto, e basso, e
dannoso al fondo.
Di quattro moti principali, che fa l’acqua, che si divide nel suo reflettere quel sarà più veloce, che [LXXXIII]
refletterà per angolo più acuto.
A Angolo acuto B Angolo ottuso.
[angoli adiacenti, fatti dall’acqua]
Quanto l’angolo dell’incidentia dell’acqua sarà fatta infra angoli più difformi la concavità fatta sotto l’angolo
dell’incidentia sarà di minor concavità. Come se l’incidenza del corso dell’acqua fosse fatta per la linea DE nell’ar-
gine AC l’angoli ABD e DBC son molti difformi, onde la percussione è debole in B angolo dell’incidenza, onde
non reflete in altro, e non percote, e non cava il fondo.
[diagramma d’angolo d’incidenza291]
[Ms. F, 53v] Del moto delle cose di disuniforme obliquità per l’acqua d’uniforme corso s’anderà sempre voltando essendo
dentro alla superficie dell’acqua, e quella d’uniforme obliquità mai darà volta.
[LXXXIV] Quando la corrente destra superficiale dell’obietto e l’inferiore fia percossa da equal corrente esso
obietto farà revolutione laterale.
Prima che tu scriva de’ volatili, fa un libro delle cose insensibili, che descendan per l’aria senza vento, e un altro,
che descendino col vento.
[due figure di uccello: ad ali orizzontali e ad ali inclinate]
Quando l’ucello si move a levante col vento di tramontana se ei si troverà con l’ala sinistra sopra detto vento, lui
sarà arroversciato, se nell’impeto di tal vento esso non mettesse l’ala sinistra sotto vento, e si gitta però alquanto
moto in verso greco, o subsolano.
Se le spetie de’ corpi RSX poste sul piano TH passaran per cristallo fatto d’una mezza sfera CVR, et anderanno
all’occhio A l’obietto X parrà maggiore, che l’obietto R ancorché essi siano infra loro equali, e questo nasce
perché l’angoli [LXXXV] della linea RA sono più simili sul convesso del cristallo, che non sono l’angoli del
corpo X.
[occhio con raggi visivi che colpiscono una semisfera]
[Ms. F, 53r] Quantità della vera oncia dell’acqua
Dell’acqua che non manca della sua ordinata altezza nella sua superficie, tale sarà la quantità dell’acqua che versa
per un dato spiracolo in un dato tempo, quale è quella della data altezza d’esso spiracolo. Dico, che se B versa
in un tempo una quantità d’acqua, che C verserà due tant’acqua nel medemo tempo perché C ha due tanti più
peso d’acqua sopra di sé, e qui le propositioni di pesi non fanno, come le cose dense unite, che cadono infra l’aria,
perché l’acqua percotendo l’aria fa un continuo buso in quella. Ma la cosa densa, et unita, che discende infra l’aria
successivamente fa aprir l’aria dinanzi [LXXXVI] la qual fa alquanto di resistenza, e per consequenza si viene
alquanto condensando, e per questo non cede il transito al mobile di terminata longhezza, come all’acqua, la quale
è di longhezza indefinita.
[recipiente in sezione, con cinque aperture e altrettanti getti d’acqua]
Se il canale diminuisce l’altezza nel versar l’acqua per li suoi spiracoli posti in diverse distanze dal fondo suo, allhora
quello spiracolo più perde del suo ordinario esalamento d’acqua, che quello che è di sotto a lui.
Dicono che alli dui spiracoli DC diminuisce di sopra tutta l’altezza dell’acqua AB in questo caso C. diminuisce
la metà della sua potenza, perché AB è posto equale ad BC allo spiracolo D perde il 3.° della sua potenza, perché
AB entra tre volte in AD, e così [LXXXVII] seguita, che in un medesimo tempo togliendo l’altezza dell’acqua AB
lo spiracolo C potendo292 3/ D sol perde uno, perché se CA ha potenza di 6. togliendoli AB verrà a restare C in
potenza di 3 per esserli tolto la metà dell’altezza. Et in tal caso DA che era in potenza di 9. perdendo AB che n’ha
3 resta in potenza di 6. adunque mancando AB // C perde la metà D perde il 3.°
[Ms. F, 52v] 52293 La cosa che è portata dal corso dell’acqua corrente, nel corso di minor potenza, s’ella sarà obliqua al basso essa
si moverà inverso il fondo, e così si moverà per il verso della sua obliquità.
Delle cose portate infra due acque, quella sol anderà senz’esser rivoltata sotto sopra, la qual sarà in mezzo a due
correnti d’equal moto.
Ma quella cosa sarà di continua revolutione tra sotto, e sopra, la qual fia in mezzo a due correnti inequali.

291
  In realtà nell’apografo questo grafico compare per errore più avanti, dopo le parole del rigo successivo: «di disuniforme obliquità per l’acqua»; ciò pur appartenendo,
in originale, al f. 54r.
292
  Nell’originale è «p[e]rdendo».
293
  Riferimento al f. originale.

252
Quella cosa sarà privata di revolutione laterale, che si move intra correnti equali in moto, e così di converso.
[Ms. F, 52r] 4.a 294 Se una potenza move un corpo in tanto tempo, un tanto [LXXXVIII] spatio la mezza virtù moverà nel
medesimo tempo la metà di quel mobile, la metà di tal spatio. Se ogni mobile segue il suo moto per la linea del
suo ap<rinci>pio295, qual cosa è quella, che fa il moto della saetta, o vero folgore esser flettuoso, e piegabile in
tanti aspetti, essendo una medema aria. Quel che è detto può nascere per due cause, delle quali l’una è che l’aria,
che se la condensa dinanzi al suo impetuoso impeto le faccia resistenza, onde tal moto si viene a piegare, et è di
natura di moto reflesso, ma non è rettilineo, e fa a similitudine della 3.a del 5.° delle acque, dove mostra l’aria, che
esce qualche volta de’ fondi de’ pantani in forma de’ sonagli viene alla superficie d’ess’acqua in moto flettuoso
curvilineo. Il 2.° moto del moto flettuoso del folgore, per essere, che la materia della saetta esala hora a destra,
hora a sinistra, hora di sopra, hora di sotto, e fa a similitudine della favilla, che salta de’ carboni accesi, che se il
carbone esala da un de’ lati, esso si spezza per l’humidità, che dentro [LXXXIX] cresce, essendo infocato spezza
tal particola di carbone, e genera altra favilla, la qual nel suo nascimento urta, e spinge indietro il suo rimanente,
il quale rifa poi il simile per più versi, partorendo per l’aria diverse scintille, insin che se stessa consuma. Ma a
me piace più la prima opinione, perché se la 2.a fusse vera, tu vedresti a una saetta generarsi molte, sì come tal
[Ms. F, 51v] favilla ne genera molte.
51296 P.a Se una potenza move un corpo per alquanto spatio, in alquanto tempo, la medema potenza moverà la metà
di quel corpo nel medemo tempo due volte quello spatio.
2.a Se alcuna virtù moverà alcun mobile per alcun spatio in equal tempo la medema virtù moverà la metà di quel
mobile in tutto quello spatio la metà di quel tempo.
3.a Se una virtù muove un corpo in alquanto tempo, con tanto spatio la medesima virtù, moverà la metà di quel
corpo nel medemo tempo di quel spatio.
5.a 297 Se una virtù move un corpo in alquanto tempo con alquanto spatio, non è necessario, che tal potenza mova
[XC] doppio peso in doppio tempo due volte tale spatio perché potrebbe essere che tal virtù non potrebbe mo-
vere esso mobile.
6.a Se una virtù muove un corpo in tanto tempo, un tanto spatio, non è necessario, che la metà di quella virtù mova
quel medemo mobile nel medemo tempo la metà di tal spatio, che forse non lo potrebbe muovere.
7.a 298 Se due virtù separate muovan due mobili separati, le medeme virtù unite moveran nel medesimo tempo li
[Ms. F, 50v] due mobili aggregati il medemo spatio perché sempre rimane la medema proportione.
50.299 Li moti naturali de li quali son infra l’aria più veloci nel fine, e più sottili, che nel principio.
Li moti seminaturali fatti dall’acqua infra ’l fondo del fiume, e l’aria, saran d’equal velocità, se il fondo d’esso fiume
fia dritto, et equale in obliquità o larghezza.
Li moti accidentali fatti infra l’aria in ogni grado di altezza acquistano tardità.
Li moti semiaccidentali fatti infra ’l fondo del canale, [XCI] e l’aria sopra fondo d’equal obliquità, e larghezza,
sempre si va tardando, ma fia più longo che ’l semplice accidentale, perché si va appoggiando, e scarica sempre
[Ms. F, 50r] parte del suo peso. 300 va a carta 59.
50.301 L’occhio restringe, e diminuisce tanto la pupilla nel riguardar cose luminose, che riguardando poi le cose di
minor luce esse paion tenebrose.
L’occhio che sta in luogo tenebroso, nel veder poi cose di mezzana chiarezza li paiono lucidissime, e questo si causa
perché la luce cresce tanto stando nell’occhi oscuri, che ella vede poi le cose di mezzana luce con detrimento.
Ancora che l’angolo dell’incidenza NOF sia fatto fra angoli equali V.O.R, et FOM. la centrale non cade infra an-
goli equali. Perché NOB angolo non è equale all’angolo NBA. Perché il P° è acuto, et il 2.° ottuso.
[costruzione con lo studio dell’angolo d’incidenza302]
303
[XCII] Perché l’acqua è in sui monti
Dallo stretto di Gibilterra al Tanai304, è miglia 3500, cioè un miglio e un sesto 1/6305 dando un braccio per miglio di
calo a ogni acqua che si move mediocremente. E il Mar Caspio è assai più alto, e nissun de’ monti d’Europa si leva
un miglio sopra la pelle delli nostri mari. Adunque si potrebbe dire, che l’acqua, che nelle cime de’ nostri monti
venisse dall’altezza d’essi mari, e di fiumi, che vi versono, che son più alti.
[Ms. F, 49r] De ponderibus306

294
  Nel f. originale è corretto «6.a» in «4.a», per cui nel f. 51v troveremo mancante la 4.a
295
  Nell’originale la parola «principio» si legge con assoluta evidenza.
296
  Riferimento al f. originale.
297
  La 4.a è nel f. 52r: per questo, come si è già notato, Leonardo ha sostituito «4.a» e «5.a» rispettivamente con «5.a» e «6.a».
298
  Nell’originale è la 6.a, non essendo stata scalata la numerazione.
299
  Riferimento al f. originale.
300
  Il rimando al f. 59 si riferisce al tema della duplicazione del cubo: infatti nell’originale è presente, affianco al rimando e alla prima di cinque figure di un cubo e di
parti di esso, il titolo «Per duplicare il cubo», ossia l’argomento già affrontato al f. 59v, che per questo non viene nuovamente trascritto dal copista.
301
  Riferimento al f. originale.
302
  La figura risulta specchiata rispetto all’originale.
303
  Qui quasi mezza pagina è stata lasciata bianca, forse in previsione dell’inserimento di una figura.
304
  Si tratta del fiume Don (anche Tana, cfr. nota 279).
305
  Ripetuto a numero.
306
  Questo titolo manca nell’originale.

253
Dell’acqua di pari profondità, quella, che sarà più stretta sosterrà men peso sopra di sé.
Tanto profonda il peso la barca, che lo sostiene infra l’acqua, quanto l’acqua, che circonda la barca acquista [XCIII]
peso sopra l’aria, che è in tal barca, che sia equale al peso sostenuto. Per quel che è detto di sopra l’acqua qui del
vaso minore, che circonda il peso posto sopra all’aria, non pesa sopra ess’aria, quanto fa il peso che l’è posto di
sopra, come fa l’acqua del vaso maggiore, che è fatta tant’alto sopra tal’aria
[due recipienti cilindrici di diversa ampiezza, pesi immersi nell’acqua]
che sostiene il peso che l’è potente a spignere l’aria in su insieme col peso che l’è posto di sopra, quanto si sia tal
peso a premerla in giù.
L’acque han più revolutione dalla mezz’altezza in giù, che da essa mezza regione in su per li molti obietti, che sono
in fondo de’ fiumi, e di sopra n’è pochi, salvo l’obietti posti sul fondo, che superan ess’acque.
[Ms. F, 48v] Sia dato un peso infra la superficie e ’l fondo dell’acqua, il quale si fermi a una data altezza sopra il fondo del
pelago.307
[XCIV] Per sapere quant’uno vada per hora, piglia la rota delli boccalari fatta come vedi, e mettivi su lo strumento
del quale il centro sia sopra una linea circolare, che volti di ponto cinque braccia ch’il diametro <fia>308 un braccio
e 12/22. Di poi forma bene l’instromento e habbi il tempo, e invischia dentro a tal stromento con trementina, e
volta tal rota uniformemente, e segna dove la polvere superiore è attaccata alla trementina, e vedi quante volte ha
dato la rota, e in quanti tempi armonici. E se la309
[tornio da vasaio]
rota ha dato due volte in un tempo, che son x. braccia, cioè la trecentesima parte d’un miglio tu potrai dire, che
tale strumento s’è mosso un miglio e 300: tempi, che è un’hora, e 80: tempi che fa tre miglia per ora centottanta
trecentesimi.
[XCV] Tutto il peso posto a livello dell’acqua è fatto equale ed altretant’acqua computato la levità dell’aria che li
stia di sotto, che lo tiene in tal’altezza.
Alcune volte son più veloci l’onde che ’l vento, et alcuna volta il vento è molto più veloce dell’onda, e questo
provano i naviglii nel mare nell’onde più veloci, che ’l vento può essere per esser concitate da’ gran venti, e ’l vento
può essere levato, e l’onda haver riservato ancora grand’impeto.
[Ms. F, 48r] Per fare pelaghi, o spettacoli d’acqua pannicolata ponendo molti varii obietti in una corrente bassa equal, e veloce.
[acqua in un canale che incontra due ostacoli]
L’acqua, che percote, e cinge l’obietto, la qual sia di veloce [XCVI] corso, sarà di due qualità, delle quali, la prima
fia pannicolata, e incidente l’altra sarà reale, e reflessa.
Quant’aria vuol essere a levare diversi gravi di varie materie, quant’acqua o terra nella barca a farla affondare.
[Ms. F, 47v] Quall’aria sostiene più essendo rinchiusa, o la rarefatta, come si fa nelle coppette, o la
[due figure: getti d’acqua e flutti cadenti nell’aria]
comune, o la condensata, come si fa nelle palle gonfiate per forza, divide senza dubio la rarefatta, e poi la comune
ella condensata manco resiste.
Ciascuna parte della grossezza dell’acqua, che cade di fiume infra l’aria, segue la linea nella quale fu principiato
l’impeto, che in tal caduta la condusse.
[Ms. F, 47r] Pochissime son le parti dell’acqua correnti, che si trova infra la superficie, e ’l fondo suo, che corrino a un medemo
aspetto. L’acqua AB corre per la linea dell’ [XCVII] obietto sotto il moto contrario CDB il quale mediante e ’l
retroso ha cavato il fondo sotto sé, nella qual profondità corre la detta acqua AB e di lì è sgombrata con la mede-
sima velocità con la revolutione del predetto ritroso.
[acque cadenti da uno sbalzo in un corso d’acqua]
[Ms. F, 46v] Sia tirato un albero dall’acqua con facilità, e prestezza KH sia il dato albero B sia il firmamento d’una corda, la qual
vada a pigliar l’albero in N, e torni alle mani dell’huomo in C et il simile faccia dall’opposita fronte d’ess’albero
in AOP et in questo tempo sia fatta la lieva FG, che pigli l’albero in mezzo. Et in un tempo CP. tiri, et F abassi, e
così tal’albero monterà su la riva ML voltandosi per la linea FG.
[tronco d’albero sollevato da un corso d’acqua]
[Ms. F, 46r] [XCVIII] 46.310 Dell’impeto dell’acqua infra l’aria, e della penetrazione l’una dall’altra.
P.a L’acqua di pari gravezza sarà tanto più potente di moto, quanto essa versa più basso nel vaso dove l’era
rinchiusa.
2.a Dell’acque che si percotano infra l’aria la più potente penetra la men potente torcendo, e portando con sé tutta
quell’acqua, che cade sopra di lei, altrimente seguita il suo corso naturale.
3.a Possibile è che l’acqua che cade infra l’aria sopra l’acqua, che versa d’un vaso infra l’aria, che la più potente
impedisca integralmente il retto descenso della men potente, e l’accompagni con seco in tutto il suo corso infra
l’aria, come se l’acqua, che germina dal vaso AB, e versa infra l’aria col moto BC e percossa dall’acqua, che germina
dal vaso DE per il moto EF. Dico che l’acqua EF si piegherà nella percussione da lei fatta sopra dell’acqua BC e

307
  Mancano quattro grafici, con lettere e altre indicazioni, presenti nell’originale.
308
  Presente nell’originale.
309
  Al rigo seguente, dopo la figura, il trascrittore ripete «la».
310
  Riferimento al f. originale.

254
seguirà il remanente del suo corso per la linea FM insieme con l’acqua BC e niente di lei caderà per il corso
da [XCIX] lei cominciato per la via EF.
[due figure con recipienti da cui fuoriescono getti d’acqua311]
[Ms. F, 45v] Queste quattro dimostrationi 312 son bastanti a provare li 4 principali effetti, che fan l’acque, che si percotano
l’una con l’altra infra l’aria, delle quali la prima, che è più obliqua penetra la men obliqua, e la penetra in
parte, e porta con seco la parte percossa.
Nella 2.a dimostratione, la men obliqua penetra la più obliqua in parte, e la parte percossa porta con seco.
[due figure con recipienti da cui fuoriescono getti d’acqua313]
Nella 3. dimostratione l’acqua più obliqua porta con seco la men obliqua integralmente.
a

La 4.a fa l’opposito. Imperocché l’acqua men obliqua porta con seco integralmente la più obliqua. Queste
[C] quattro sono i modi, come l’acque ritrovandosi a un medemo aspetto si penetrano l’un l’altra con linee
oblique inverso il centro del mondo.
[Ms. F, 45r] Ordine del libro
314
45. Per proporre l’aspetti dell’acque, che germinano, e lor percussioni fatte con varie potentie quantità
longhezze de’ moti, varietà d’obliquità. Io metterò per similitudine li 4.venti principali, cioè settentrione,
mezzodì, oriente, et occidente, e con questi tali aspetti mi governerò in dar notizia de’ predetti moti dell’ac-
que infra l’aria, e così sarà più breve, e spedita tale descrittione.
Se due acque d’equal grossezza, e d’altezza inequale germinaranno infra l’aria per la rettitudine d’oriente,
senza dubio l’una nel descendere seguirà l’altra e fia la più potente.
[Ms. F, 44v] Fa prima tutta l’obliquità percotere nell’inequalità orientale, e poi essa equalità con l’obliquità declinante
contro all’obliquità d’elevatione.
[CI] 1. Equalità AC a oriente
Equalità AE a occidente
Equalità AB a settentrione
Equalità AD mezzodì
2. Obliquità AB declinante a settentrione
Obliquità AD declinante a mezzodì [tre schemi geometrici con rose dei venti]
Obliquità AC declinante a oriente
Obliquità AE declinante a occidente
3. Obliquità elevata all’oriente AC
Obliquità elevata all’occidente AD
Obliquità elevata al settentrione – AB
Obliquità elevata a mezzodì AE
[Ms. F, 44r] Dimandasi se l’acqua AB dando colpo sopra le cassette della rota s’ella s’ha a restare,315 e connumerare col’al-
tro peso dell’acqua, che è nelle cassette del lato percosso, o vero s’ella s’ha a giudicare per più
[ruota idraulica]
quantità, aggiungendovi la potenza della percussione. [CII] Il che se così fosse la rota alzarebbe dall’opposita
parte l’acqua più alta, che quella, che cade, conciosiaché il corpo non è peso, ma move potenza di peso, quasi
equale alla potenza di se medemo.
[Ms. F, 43v] 43.316 Delle cose dell’acqua, che han parte di sé nell’aria, e parte nell’acqua.
Che la cosa portata dall’acqua sia mezza nell’aria, e mezza nell’acqua, e che tal aria si mova con pari velocità
alla velocità dell’acqua, allhora tal mobile sarà in primo grado di prestezza di moto.
Se l’aria sarà più tarda che ’l moto dell’acqua, che si move per il medesimo verso d’ess’aria, allhora il moto
del mobile sarà più tondo, che se tal moti d’aria e d’acqua fussero equali, e tanto più si tarderà, quanto tali
moti d’aria e d’acqua fiano più differenti.
Se il moto dell’aria fia più veloce del moto dell’acqua che si move per il medesimo aspetto, allhora tal moto
dell’obietto si farà più veloce, e tanto più quanto tall’aria fia più veloce dell’acqua.
Se il moto dell’aria sia di pari velocità contro al corso dell’acqua, qual è quello contro tal’aria allhora il [CIII]
mobile seguirà il corso dell’acqua se egli harà più contatto317 con l’acqua, che con l’aria e ’l contrario farà se
egli ha più contatto318 con l’aria, che con l’acqua.
[Ms. F, 43r] Delle cose portate dall’acqua, che s’intersegano, delle quali l’un’acqua mette nell’altra più alta che ’l fondo
dell’altra, quella cosa, che sarà nell’acqua più profonda passerà sotto l’acqua più alta, e la più alta passarà per

311
  Nell’originale le figure sono tre, mentre nell’apografo la terza, come si vede a p. LXXXXIX, è trascritta affianco alla quarta, ossia con riferimento al testo del f.
originale successivo. Inoltre nel nostro Codice queste figure sono rappresentate in prospettiva, mentre nell’originale sono in sezione.
312
  La quarta è enunciata di seguito, con riferimento alla relativa figura.
313
  Nell’apografo queste figure sono rappresentate in prospettiva, mentre nell’originale sono in sezione.
314
  Riferimento al f. originale.
315
  Nota a margine del trascrittore: «accettare».
316
  Riferimento al f. originale.
317
  Nel Ms.: «contratto».
318
  Idem.

255
l’acqua, che intraversa più al<t>a.
A dir meglio l’acqua DC ha il fondo più alto, che l’acqua AB, e le cose vicino al fondo dell’acqua AB passeran
sotto l’acqua DC. e seguiran lor retto corso insieme con l’acqua che le porta.
[correnti che si scontrano]
E le cose portate in superficie si scontreranno nella superficie dell’acqua DB e fia mutato il retto corso in curvo.
Le cose portate dall’acqua vicino al fondo tortuoso fanno altro corso, che quelle, che tal acqua porta in superficie.
[CIV] L’obietto lieve è portato sul fondo per la linea AD e l’obietto più lieve sarà portato dalla superficie dell’ac-
qua per la linea BC.
[tratto di fiume con andamento tortuoso]
[Ms. F, 42v] 42.319 Dell’acqua, che cade dalle chiuse de’ fiumi a quelle parti sarà serrato il retto corso, che saranno di più potenza
caduta. Questo accade perché l’acqua di caduta potente cava il terreno del luogo da lei percorso e la scarica dove
il suo corso si fa più debole, che è sotto il moto reflesso dell’acqua il quale essendo mosso inverso il cielo in ogni
grado di moto si fa più debole, tanto che al fine perde tutta la sua potenza, e mancandole la potenza in tal refles-
sione ella lascia cadere sotto di sé tutte le gravità tolte dal luogo da lei percorso, e doppo tale inondatione l’acqua
abbassa, e trovasi chiusa infra la materia che lei prima condusse infra l’argine d’onde ella discende.
Dell’acque che per diluvii descendano per le chiuse de’ fiumi [CV] sol a quella sarà riservato il suo corso retto
doppo esso diluvio, la qual fu più debole, e lenta caduta.
Questo accade perché quella, che lentamente si move fa debol percussione, onde ne seguita, che ella poco leva del
fondo da lei percosso, e per conseguenza poco pone sotto il moto reflesso dell’acqua, onde per questo doppo tal
diluvio l’argine resta qui bassa, e tutta l’acqua, che cade seguita il corso suo dove l’argine è più basso. E per questo
qui fia il retto corso di tutta l’acqua del fiume insieme co’ l’acqua di debol caduta.
[Ms. F, 41v] Del moto dell’uccello
Se il moto dell’uccelli senza batter ali con continuo discenso fia più longo per una osservata obliquità, o vero per
far spesse volte alcun moto reflesso. E se havendo col suo volare a estendersi da un altro luogo, se vi sarà più presto
a far moti furiosi incidenti, e poi con reflessione levarsi in alto, e rifar nuova incidenza, e così fare successivamente.
[traiettoria del volo di uccello in discesa]
A parlar di tal materia ti bisogna nel primo libro differire [CVI] la natura della resistenza dell’aria, nel 2.° la noto-
mia dell’uccello, e delle sue penne, nel 3.° l’operationi di tal penne per diversi moti da esse, nel 4.° la valetudine
dell ali, e coda senza battimento d’ali, con favore de’ venti, havendosi a guidare per diversi moti.
Del notare, o volare
Sempre quando due potenze infra loro s’urtano, quella che è più veloce risalta indietro, e così fa la man del notato-
re, che urta, e s’appoggia nell’acqua, e fa fuggir il suo corpo in contrario moto; e così fa l’ala dell’uccello nell’aria.
[Ms. F, 41r] L’onda che si fa il mobile dinanzi a sé infra l’aria, et infra la superficie e ’l fondo dell’acqua è in figura di mezza
sfera.
L’onda fatta dal mobile nella superficie dell’acqua, è in figura di mezzo cerchio, e in fondo ha figura di 4: sferico.
Perché il moto fatto dal mobile nella superficie dell’acqua fa onda dinanzi a sé, e non fa onda quando esso mobile
si move infra la superficie dell’acqua e ’l fondo.
320
Questo che si richiede accade perché l’acqua della superficie [CVII] confina con l’aria, e l’acqua, che sta infra
la superficie dell’acqua, et il fondo suo, confina con l’acqua di sopra, e con l’acqua di sotto.
[Ms. F, 40r] 4.° Il simulacro del sole impresso nella superficie dell’acqua fa dentro, e fuori d’ess’acqua raggi, li quali alluminano
per longa distanza, come se fusse lume reale.
Perché diminuendo il simulacro del lume della candela sopra della luce dell’occhio, nel rimover tal candela per
longa distanza da tal occhio e non diminuisce al giuditio del veditore essa candela, se non di chiarezza, di splendore.
Quel luogo sarà men luminoso, che da minor lume fia alluminato.
321
Per questa tal concessione, e per la propositione di sopra che doveva allegar prima noi siam certi che l’illu-
minante RG fa maggior impressione nella luce NM, AB, nel sito AB, che non farebbe ad esser rimosso alla
distanza HL perché l’impressione d’esso HL viene a essere sopra la luce in CO, che è molto minore che la pri-
ma impressione AB e per questo la potenza dello splendore è diminuito, ma non le quantità per la concession
detta, conciosiaché la base, e lo spatio della luce, è così tocco dal simulacro CO, come dal simulacro [CVIII]
maggiore AB, onde lo splendore de’ raggi intorno al simulacro alluminano così per tutto dentro a essa luce,
[Ms. F, 39v] come li raggi del simulacro, e altra differenza, non piglia il senso se non chiarezza di splendore diminuita in
potenza, ma non in quantità.
[occhio con due diverse posizioni della fonte luminosa322]
Quella cosa parrà maggiore, che fia veduta da maggior luce d’occhio.
Questa propositione ancora serve al provare la ragione perché un lume posto infra noi non diminuisce in nissuna
distanza, se non di luce, e non di grandezza.

319
  Riferimento al f. originale.
320
  Mancano grafici presenti nell’originale.
321
  La figura presente a p. CVIII dell’apografo è in realtà da riferire a questo brano, essendo nel medesimo f. originale.
322
  Come si è visto, si tratta di una figura da riferire alla proposizione precedente, presente in originale nel Ms. F, f. 40r e non nel f. 39v.

256
Ha ordinato la natura nella pupilla dell’occhio di tutti l’animali, così d’acqua, come di terra, che quando essi son
alterati da maggior, o da minor luce, che essi diminuiscano o crescano la lor pupilla, cioè il nero, e questo fatto
perché dando alteratione all’occhio la luce superchia, ess’occhio, o ver la pupilla si restringe a guisa di [CIX] bor-
sa, onde la gran luce tanta piccola di quantità, e di splendore proportionevolmente, secondo il serramento, o ver
diminutione, e quando nelle tenebre esse pupille si fan grandi, e la luce diminuita per questa via viene a crescere,
secondo l’accrescimento di tal luce, e così cresce la quantità de’ corpi veduti da tal luce. E questo modo servirebbe,
che quando il lume della candela si rimovesse dall’occhio, che diminuendo esso lume da sé della sua luce, la pupilla
crescesse, e facesse crescere la figura del lume. Seguita323
[Ms. F, 37r] P.a 324 quella pupilla che sarà minore in una medesima quantità d’occhio, vedrà l’obietto minore, e più oscuro.
[occhio e due oggetti equidistanti]
Nelle cose d’equal distanza la minore manda minor angolo all’occhio, e la maggiore l’angolo ABD, e minore
dell’angolo BCD.
Quel luminoso si dimostrarà di minor figura in una medesima distanza, il quale perderà più di splendore. Questo
mostra la verga di ferro infocata [CX] in una parte della sua longhezza essendo in luogo oscuro, la qual’ancora,
che ella sia d’uniforme grossezza si dimostrerà assai più grossa nella parte infocata, e tanto più quanto essa è più
calda, seguita il perché.
Ogni corpo luminoso fa raggi visibili nel simulacro che lui manda all’occhio.
E tanto più longhi raggi, quanto esso è di maggior splendore, e così e…325
Molte son le volte, che li simulacri d’un medesimo luminoso saran due, o 3: volte in un medesimo tempo, in un
medesimo occhio. Saran due volte quando l’occhio si riserva alquanto, come si fa nel riguardare la luce superchia
e che il corpo stia alquanto inclinato come la figura A colui fa due raggi l’uno per così nella grossezza bagnata del
coperchio dell’occhio di sotto, e risulta alla pupilla, e l’altro raggio va dritto ad essa pupilla saran tre nella figura B.
un nel coperchio di sopra, un in quel di sotto, et un in mezzo alla pupilla.
[due figure con occhi e corpi luminosi, in asse o orizzontalmente o in obliquo]
[Ms. F, 36v] E li predetti due, o 3 simulacri del lume capitando a [CXI] un medesimo paiono un solo, ma maggior che
non si conviene a similitudine d’un medemo corpo, che manda alli duoi occhi 2 simulacri, il senso li piglia
per un solo.
326
Se sarà veduto qualunque luminoso per un minimo per framento fatto in una carta accostata all’occhio quanto
si può il luminoso, ancorché integralmente sia veduto, esso parrà tanto minore, che non solea quanto esso foco sarà
di minor quantità. Questo nasce perché minor virtù ha, ha manco potenza che la maggiore 327delle cose del’equal
grandezza poste in distanza equali dall’occhio quella parrà maggiore che fia più luminosa.
[Ms. F, 36r] [schema con corpi luminosi e occhi a diverse distanze]
Delle cose equali equalmente remosse dall’occhio, la più oscura parrà minore. Questo può accadere per due cause
delle quali la prima è che nello star presso a essi lumi si conosce speditamente [CXII] la distanza, o vero spatio che
li separa.
E se li simolacri, che di lor s’imprimono nel nostro occhio è ancora assai sensibile, e li lor raggi per ancora non si
toccano, li quali poi in lunga distanza tali simolacri si fan tanto vicini, che non che li lor raggi, ma ancor li corpi
luminosi si toccano.
Ancora in tal distanza, la pupilla che prima s’era ristretta in tal distanza, si viene allargando, perché la luce delli
lumi non è più di tanta potenza, come ella era, essendo vicina all’occhio, e così l’occhio cresciuto di pupilla vede
una cosa pare sii oscura.
Se tutti li simulacri concorressero in angolo, concorrerebbono nel ponto matematico, il quale essendo indivisibile,
tutte le spetie qui parerebbono unite, et essendo unite il senso non potrebbe giudicare varietà alcuna.
[Ms. F, 35v] I due lumi separati in alquanta distanza pareranno congiunti e uniti. Di questo caso, è stato giudicato da molti
prospettivi, che l’aria circonstante a essi lumi, in longa distanza, è sì alluminata, che ella [CXIII] appare della natura
di tali lumi, e però i lumi, e l’aria lor circonstante pare essere un medesimo corpo. Quel che questi dicano non
è vero, perché se così fosse, che l’aria, che circonda tali lumi in lunga distanza s’alluminasse tanto, che ella paresse
tutta uniforme luminosa, questo medesimo s’haverebbe più a conoscere d’app<ress>o (dove si conosce la vera
figura del lume) che da lontano, e sì nel discostare si perde la notizia della vera figura di tal lume, perché alquanto
si diminuisce di splendore, quanto più s’haverebbe a diminuire, e perdere quello splendore dell’aria, che è tanto
men lucente, che esso lume. Adunque proveremo tal accrescimento esser fatto da due simulacri nell’occhio.
Il superchio splendore del lume essendo vicino all’occhio diminuisce la virtù visiva, conciosiaché la pupilla essen-
do offesa si restringe, e così si fa minore, e nel discostarsi tal lume, viene a mancar tal offensione all’occhio, perché
il lume manca di splendore, onde la pupilla cresce, e vede maggior lume.

323
Nel f. originale: «Seguita in 37 carte», che significa: «Prosegue a carta 37»; sicché il trascrittore va a f. 37r, saltando i ff. intermedi.

324
S’intenda: «Prima <proposizione>».

325
 Il trascrittore non riesce a interpretare l’espressione: «e così de converso».
326
Mancano le figure di riferimento presenti nell’originale in corrispondenza di questo testo.

327
Il brano in corsivo è aggiunto dal trascrittore in sostituzione del seguente, presente nel f. originale: «e per questo venendo [manca prosieguo]. Questo nasce che l’occhio,

vinto dal superchio luminoso, ristrigne la sua popilla e diminuisce parte della virtù visiva e [manca prosieguo]».

257
[Ms. F, 40v] [CXIV] Perché li stagni son generati presso al mare, e perché le lor gran dilatationi versano in /
mare per sì stretto canale, dai lati del quale è fatto infra esso e ’l mare sì grand’argine
328
Le fortune del mare gettano in aria gran quantità di rena, la quale s’inalza per tutta essa riva, così sopra la bocca
del stagno, come altrove, e cessata la fortuna, la bocca dello stagno riman chiusa dalla predetta materia gittata dal
mare, e l’acqua, che lo stagno riceve da’ circonstanti fiumi, non trovando più esito si va inalzando, e acquistando
peso, e potenza, e così o rompe l’argine interposta infra sé e ’l mare, e ella trabocca di sopra, e col suo versamento
consuma tanto di tal argine, quanto essa tocca, e tanto persevera tal corso, che ella sgombra dinanzi a sé tutta quella
materia, che proibiva il suo sgombramento. Et altro non consuma, se non tanto, quanto bisogna, e nel principio
allargasi assai perché l’acqua che versa sopra la chiusa è sottile, e nel fine si restringe il corso di tal acqua, perché tal
corso s’è fatto più grosso per l’acquistata [CXV] profondità, e questa è la causa, che tal’uscita delli stagni in mare
sempre è stretta.
Perché il simulacro del sole è tutto per tutta la sfera /dell’acqua, che vede il sole, e tutto in ogni parte/ dell’acqua predetta
[Ms. F, 39r] Tutto il cielo, che vede la parte della sfera dell’acqua veduta dal sole vede tutta ess’acqua occupata dal simulacro
del sole, e ogni parte del cielo vede tutto.
La superficie dell’acqua senz’onde allumina equalmente i luoghi percorsi dalli raggi reflessi dal simulacro del sole
nell’acqua.
[oceano illuminato dai raggi solari329]
Il simulacro del sole è unico della sfera dell’acqua veduta dal sole, il quale si mostra a tutto il cielo a lui anteposto,
e ogni ponto d’esso cielo vede per sé un simulacro, e quel che vede l’uno in un sito, è veduto dall’altro in un altro
sito, in modo, che nissuna parte del cielo lo vede tutto. Quel simulacro [CXVI] del sole occupa più spatio della
superficie dell’acqua, il quale sarà veduto da luogo più distante da lui.

330
[Ms. F, 38v] Prospettiva de’ raggi solari
Li raggi solari reflessi dalla superficie dell’acqua ondosa fanno parere il simulacro del sole esser continuo per tutta
quell’acqua, che è infra l’universo e ’l sole. Provasi A sia il corpo del sole BC sia la superficie dell’acqua ondosa
DT sia l’universo, che vede ess’acqua infra sé, e ’l sole per la 2.a del primo il simulacro del sole, che viene da esso
sole all’onda M per necessità in T, e non altrove, e similmente il simulacro del sole, che viene all’F risalta in D, e
non altrove, e così fa ciascuna onda interposta infra queste due dette estreme onde per necessità tutta la linea DT
anteposta a tali simulacri, è331 alluminata da tutti essi simulacri dove li raggi reflessi s’allargano, e sarà in alcuna
distanza discontinuata di splendore, come qui si dimostra.
[sole, superficie d’acqua, raggi luminosi, raggi riflessi332]
[CXVII] Il simulacro, che riflete dall’onda all’obietto, in ogni grado di longhezza acquista larghezza.
Il simulacro F risalta in CD, e ’l simolacro dell’onda E risalta in AB questi due per ciascun de’ raggi reflessi si so-
prapongono scambievolmente l’una all’altra in CB e quivi 333 il lume più luminoso, che in AC. o BD.
[sole, superficie d’acqua, raggi luminosi, raggi riflessi]
[Ms. F, 38r] Se la superficie dell’acqua de’ fiumi correnti è sferica, o no o se gli è necessario in equal moto d’acqua, che la sua
superficie sia diretta, o curva. Può esser retta, e curva, purché nel suo moto acquisti vicinità al centro del mondo,
perché se così non facesse ess’acqua restarebbe immobile, se già non fusse corso riflesso, e di questo non tengo
conto poiché è moto violento.
Provasi OCR sia un monte, dalla cima del quale descendi un fiume, e corre insino alla bassezza della sua sfera,
e ess’acqua può descendere per la retta COA, e per la curva CBA perché l’[CXVIII] altezza sua dal centro del
mondo, è più longa per la linea CN, che per AN, o per ON, et il simile fa la curva, che più alta in CN, che in BN,
o AN, sì che si conclude non sia necessario al moto dell’acqua l’esser più curvo, che retto.
[schema con il globo terrestre]
L’acqua, che da un suo principio si move, al fine sarà tanto più tarda per arco, che per corda, quanto è più lungo
l’arco, che la corda.
Dice qui l’avversario che i moti proposti saran fatti con equal tempo, imperocché se bene l’acqua corre più tarda
per AD, che per AB che ella ristora il moto dal DC, che è più repente, che BC.
[arco con corda]
Qui si risponde, che l’acqua DC, è sottile, e veloce, e che l’[CXIX] acqua AD, è tarda e grossa, e se ben gionge in fin
dell’acqua in C dal D, come in C dal B, quella del DC è tanto più sottile, e meno acqua, che quell’acqua che viene
dal B quanto la linea DC, è meno obliqua, che la linea CB, sì che in pari tempo l’acqua DC è meno, che del BC.
libro 43. Del moto dell’aria inchiuso sotto l’acqua
Se l’aria si fugge di sotto l’acqua per sua natura, o per esser premuta, e scacciata dall’acqua, rispondesi perché il
[Ms. F, 37v]

328
  Manca figura a corredo del brano, presente invece nel f. originale.
329
  La figura è specchiata rispetto all’originale.
330
  Il testo, di qui sino a «in AC. o BD» (p. CXVII), è già presente (con variazioni non sostanziali) nella sezione II, pp. 81-82.
331
  Qui manca: «veduta et», presente nell’originale e nella sezione II, p. 82.
332
  La figura risulta specchiata rispetto all’originale.
333
  Qui manca: «è», presente nell’originale e nella sezione II, p. 82.

258
grave non può esser sostenuto dal lieve, che esso grave anderà cadendo, e cercando, che lo sostenga, perché ogn’at-
tione naturale cerca suo riposo; onde quell’acqua, che di sopra dell’aria, e di sotto circonda tall’aria, tutta si trova
esser fondata in su l’aria in lei rinchiusa, e tutta quella, che l’è di sopra DENM spinge tall’aria in giù, e la terebbe
sotto se non che la laterale AB, EF, et ABCD, che circonda tall’aria, e si posa ne’ suoi lati, viene a essere più somma
di peso, che l’acqua che di sopra; onde [CXX] ess’aria fugge per gl’angoli NM o da una parte, o dall’altra, e va
serpeggiando nella sua elevatione.
[due figure: recipiente pieno d’aria posto sott’acqua; aria spinta da un mantice sott’acqua, con traiettoria serpentina]
Tanto fa a mover la cosa contro all’aria immobile, quanto a mover l’aria contro la cosa immobile. Ho veduto
movimenti d’aria tanto furiosi, che hanno accompagnato, e mesti col corso suo li grandissimi alberi delle selve, e
li setti intieri di gran palazzi, a questa medesima furia fare una buca con molo revertiginoso, e cavare un giaretto,
e portar giara, rena, acqua più d’un mezzo miglio in aria. Il medesimo peso sarà sostenuto nell’aria senza moto
cadente per quello con moto obliquo, potrà poi rilevarsi assai in alto in moto reflesso.
[Ms. F, 35r] libro 42: delle pioggie
L’acqua, che cade dal nuvolo, alcuna volta si risolve in tanta levità per la confregatione, che essa ha [CXXI] con
l’aria, che ella non può divider l’aria, e par convertirsi in ess’aria.
Alcuna volta poi nel descendere si moltiplica perché trova le minute particole dell’acqua, che per la lor levità eran
di tardo discenso, e con quelle s’incorporano, e in ogni parte di discenso acquista quantità d’acqua. Alcuna volta i
venti piegano la pioggia, e fanno il descenso obliquo; onde per tal causa il discenso si fa tardo, e longo, e spesso si
converte in sì minute particole che essa non può descendere, e così si resta infra l’aria.
Scrivi, come le nuvole si compongono, e come si risolvano, e che causa leva li vapori dell’acqua dalla terra infra
l’aria, e la causa delle nebbie, e dell’aria ingrossata, e perché si mostra più azzurra, e men azzurra una volta, che
un’altra. E così scrivi le ragioni dell’aria, e la causa delle nevi, e delle grandini, e del restringere l’acqua, e farsi dura
in giaccio, e del crear per l’aria nuove figure di neve, et all’alberi nuove figure di foglie [CXXII] e ne’ paesi freddi,
e per li sassi di gocciole, e di brina comporre nuove figure d’erbe, con varie, quasi facendo tal brina, come s’ella
fusse rugiada disposta a nutrire, e comporre le predette foglie.
[Ms. F, 34v] libro 32
Del moto che fa il fuoco penetrato dall’acqua per il fondo della caldara, e scorre in bollori alla superficie d’ess’ac-
qua per diverse vie, e li moti, che fa l’acqua percossa dalla penetrazione d’esso fuoco, e con questa tale esperienza
potrai investigare li vapori caldi, che esalano dalla terra, e passar per l’acqua ritorcendosi perché l’acqua impedisce
il suo moto, e poi essi vapori penetrano per l’aria, con più retti moti. E questo sperimento farai con vaso quadro di
vetro, tenendo l’occhio tuo circa il mezzo d’una d’esse pareti, e nell’acqua bollente con tardo moto potrai mettere
alquanti grani di panico, perché mediante il moto d’essi grani, potrai speditamente conoscere il moto dell’acqua
che con [CXXIII] seco li porta, e da questa tale esperienza potrai investigare molti belli moti, che accadono
dall’un elemento penetrato dall’altro.
Del sole
Dicono che ’l sole non è caldo, perché non è di color di fuoco, ma è molto più bianco, e più chiaro, et a questi si
può rispondere, che quando il bronzo liquefatto è più caldo, egl’è più simile al color del sole, e quando men caldo
ha più color di fuoco.
334
[Ms. F, 34r] Della virtù visiva
Se tutti li simolacri, che vengano all’occhio concorressono in angolo per la diffinition dell’angolo elle concor-
rerebbono nel ponto matematico, il quale è provato essere indivisibile, adunque tutte le cose vedute nell’uni-
verso parerebbono una, e quella sarebbe indivisibile, e non sarebbe più spatio da una stella ad un’altra, la quale
fusse giudicata in tal angolo. E se l’esperienza ci mostra tutte le cose divise con li spatii proportionati, et intel-
ligibili, tal virtù dove s’imprime le spetie delle cose ancora lei è divisibile in tante parti [CXXIV] maggiori, e
minori, quanti son li simolacri delle cose vedute. Concluderemo adunque che ’l senso toglia li simulacri, che
si specchiano nella superficie dell’occhio, e poi dentro le giudichi. Adunque non concorreranno in punto, e
per consequenza in angolo.
Ogni superficie di corpo trasparente, così dentro, come di fuori è atta vota a ricevere li simulacri de’ suoi obietti.
[figura a lato del testo: corpo trasparente con raggi luminosi335]
Nissuna parte de’ corpi transparenti inclusa dalle loro superficie è in potenza di ricevere, e formare alcun simolacro,
ma bene è atta a dar transito alli simolacri delle superficie.
[Ms. F, 33v] Modo di esperimentare, come li raggi penetrano li corpi liquidi
Fa fare due zaine, che ciascuna di loro sia paralella, et sia 4, o 5 tanti minore l’una dall’altra, e d’altezza equale, poi
ferma l’una dentro l’altra come qui vedi di disegno e copri fuore di colore, e lascia scoperto quanto una lenta, e
di quivi fa [CXXV] passare un raggio solare, il quale esca d’un’altro spiracolo d’uscio, o finestra, poi guarda se il
raggio che passa dentro all’acqua inchiusa infra le due zaine, osserva la sua rettitudine, che li ha di fori, o no, e qui
fa tua regola.

334
  Il testo, di qui sino a «d’indi manda il simolacro all’occhio» (p. CXXXIII), è già presente (con variazioni non sostanziali, ad esempio con le figure a lato del testo
anziché centrali) nella sezione II, pp. 67-81.
335
  Figura specchiata rispetto all’originale.

259
[figura a lato del testo: raggio luminoso che penetra in un recipiente cilindrico]
Per vedere come li raggi solari penetrano questa curvità della sfera dell’aria, fa fare due palle di vetro maggiore due
volte l’una, che l’altra, e che siano più tonde si può, poi le taglia per mezzo, e commetti l’una nell’altra, e chiudele
fronti, et empi d’acqua, e falli passar dentro il raggio solare, come di sopra facesti, e guarda se tal raggio si piega, o
s’incurva, e farci sua regola, e così poi fare infinite esperienze. Guarda stando con l’occhio nel centro della palla se
un lume di candela osserva la sua grandezza o no.
[figura a lato del testo: raggio luminoso che penetra in due calotte semisferiche l’una nell’altra]
[Ms. F, 33r] Diciamo, che AB sia il foro fatto nella carta per il quale io riguardo una stella, o altro lume, e che CD sia la mia
luce; hora per guardare tal stella per il foro, la sua similitudine descende tutta in M et è piccola, [CXXVI] e se tal
foro non s’interponesse infra l’occhio, e la stella tutta, <io vederei> la stella tutta, con tutta la luce CD. come pri-
ma, ma mi pare maggiore perché la vedo con maggior potenza, perché tutta la luce s’adopra in tal visione, come
si vede per le due linee FC. GD.
[figura a lato del testo: sole visto dall’occhio attraverso uno spiracolo]
[Ms. F, 32v] Li simolacri non si soprapongono l’un’all’altro.
[tre simulacri riflessi nell’occhio]
Perché guardando il cielo si vede più stelle con gran splendore, e riguardandolo per un minimo foro fatto in una
carta posto incontro degl’occhi, tu rivedi la medesima somma di stelle, ma sarà forse diminuite. Diciamo adunque
che la grandezza della pupilla sia tutto il cerchio maggiore KL nel qual vengano l’impressione delle tre stelle ABC.
Dico che [CXXVII] l’occhio, o vero luce KL le riceve per le linee DKEL/ FKGL/ HKIL/ ma se l’occhio non
potrà adoprar più che la parte NM per causa d’haver a riguardare
[tre stelle riflesse nella pupilla]
tali stelle per il foro della carta ancora nella parte NM veran li simolacri d’esse tre stelle, ma fian vedute tanto mi-
nori, quant’è minore NM, che KL., e veranno esse tre stelle per le linee DNEM./ FNGM / HNIM.
Pupilla tutta dell’occhio, la quale con ciascun d’essi cerchi
[schema di simulacro riflesso nella pupilla]
dal maggiore al minore s’accresceva infinitamente diminuendo può veder tutto il corpo d’essa stella, la vedrà tanto
minore, quanto la vede con minor parte della luce.
[Ms. F, 32r] Li simolacri de’ corpi opachi non si soprapongano l’[CXXVIII] un all’altro stando senza moto l’occhio che li
guarda.
In un medesimo specchio o pupilla è la similitudine di tutti l’anteposti obietti, e ciascun d’essi obietti è tutto per
tutta la superficie dello specchio, et è tutto in ogni minima sua parte. Questo si sperimenta nell’occhio, il quale
se vedrà la luna con tutte le stelle in esso specchio, e che lui le segni nella sua superficie, e che poi mova un poco
l’occhio, e le potrà segnare in altre tanto sito sopra tal specchio, e molte veran segnate l’una sopra l’altra, e così
potrebbe fare innumerabil volte. Io vedo con tutta la luce dell’occhio AB. tutto il cielo EF con tre stelle dentro
NMO, benché molte altre del cielo si possa vedere, come mostra le due linee AT/ BS ma questi non sono al
proposito nostro. Dico dunque, che EF parte del cielo è veduta da tutta la luce AB, e così si vedrà tal cielo per il
picciol foro della carta perforata egli manderà
[schema di cielo e stelle riflesse nell’occhio]
il suo simolacro con le tre stelle nella parte dell’occhio [CXXIX] CD, e parrà tanto minore, quanto CD, è minore
che AB.
[Ms. F, 31v] Tal proportione hanno li spatii che sono infra li simolacri delle stelle sopra la superficie dell’occhio, qual’hanno
infra loro li spatii interposti infra le stelle del cielo.
Benché i simolacri delle stelle siano tutti per tutta la superficie dell’occhio, e tutti in ogni parte di quella, e che
ciascun simolacro è sopraposto a ciascun dell’altri simolacri, come pare a un altr’occhio che lo sguarda ad uso di
superficie di specchio, non resta però, che dal lato dentro della pupilla, che le occupa di fori l’avvenimento d’un
simolacro d’una stella, esso simolacro non si volterà a imprimersi in altra parte dell’occhio, ma rimarrà senza im-
pressione in ess’occhio perché il sito dove si drizzava è impedito per la detta interpositione.
Non vede il senso il simolacro dell’obietto nel medemo sito nella superficie dell’occhio, che ’l vede
[simulacro con due punti di osservazione]
l’occhio del riguardatore d’esso simolacro. Il senso [CXXX] B vede il simolacro dell’obietto A nel sito D, e l’oc-
chio d’un altro del medesimo simolacro riguardatore posto in E vede il medemo simolacro a un altro sito, cioè nel
sito C, come per la 7.a del 2.° si prova.
Il spiracolo luminoso veduto di luogo tenebroso, ancora che esso sia d’uniforme grandezza, e parerà forsi astrin-
gersi vicino a qualunque obietto fia interposto infra l’occhio, e tale spiracolo.
Quel ch’è detto si prova per la 7.a di questo, che mostra che i termini di qualunque obietto, che sarà interposto
[Ms. F, 31r] all’occhio, non saran mai veduti speditamente; ma confusi per l’aria, che si oscura vicina a essi termini, la quale
oscurità, quanto più s’avvicina a essi termini, tanto si fa più potente.
[spiracolo luminoso]
La luce dell’occhio adopera in ogni parte della sua grandezza la virtù visiva, ma tanto meno quanto la parte <che>
opera è di minor quantità, provasi per la 5.a, che diffinisce il campo a ogni obietto interposto infra [CXXXI] l’oc-
chio, et esso campo. RS. sia il campo dove l’occhio ATD. vede terminare l’obietto P.R. Dico tal’occhio non potere

260
speditamente, e terminatamente vedere li termini di tal’obietto in esso campo, perché come è proposto la virtù
visiva, è sparsa per tutta la pupilla dell’occhio. Adunque la parte d’essa luce TF vede occupata la parte superiore
del campo in GH/ FE vede occupato tall’obietto HL/ D vede la cima dell’obietto nel campo I/ C la vede in K/
[Ms. F, 30v] B in N/ et A in M, e da M in GN nulla si vede del campo. Onde seguita, che la
[occhio e raggi visivi attraverso uno spiracolo336]
parte G è poca ombrosa, perché la sommità dell’<obietto> P. ancora, che li occupi dalla parte della pupilla T la
veduta di tal sito. Non resta però, che tutto il rimanente di tal pupilla non veda esso sito G. ma in H parrà più
oscuro, perché li vede men parte di pupilla che non vede EA in G; e men pupilla vede [CXXXII] in L e meno
in K, e così successivamente si va consumando tutta l’altezza di tal pupilla in essa visione. Per la qual cosa in ogni
grado diminuisce l’obietto P. oscura più il suo campo, tanto, che al fine rimane oscurato integralmente dall’intero
colore di tal obietto.
337
Concettione. Quell’acqua non si move da sé, della quale la sua superficie è d’equal altezza. Dice qui, che se
l’acqua verserà per il fondo, che superficie sarà d’equal altezza. E pur si moverà, la qual si contradice per la 7.a che
dice che quella superficie dell’acqua, che verserà per il fondo sarà più bassa, che sarà più vicina al perpendicolare
del suo versamento.
L’acqua da sé non ha fermezza, e da sé non si rimove s’ella non discende.
L’acqua da sé non si ferma s’ella non è contenuta.
[Ms. F, 30r] Come li raggi, che si vedono intorno a un luminoso nel restringere li labri dell’occhi si generan nell’occhio, e
non altrove.
Prima338 li specchi convessi refletteranno li raggi, che ricevano dal luminoso in tutti quei luoghi, che veggono lo
specchio dove lo vede esso luminoso.
[339]
[CXXXIII] Il corpo luminoso manda di sé all’occhio tre simolacri, de’ quali l’uno ne va dritto alla pupilla, l’altri
due si rompano nella convessità delle palpebre, e di lì risultano in contrarii moti all’oppositi labri dell’occhi, e da
essi labri risalgon’ alla luce, e si congiungono di sopra, e di sotto al primo simolacro in splendore stampito delle
palpebre in figura de’ raggi, e questo fa essendo l’occhio ristretto, come chi toglie mira al bersaglio340.
[occhio colpito da raggi luminosi 341]
Provasi dispongasi l’occhio, come è detto, e vedrassi due congregationi de’ raggi intorno al luminoso discosto de’
quali l’una parte ne va in alto, e l’altra in basso. E se tu interponi il dito342 infra te e ’l luminoso, mettendolo al
traverso alquanto sotto al luminoso, e levarai il dito inverso il lume con tardo moto, insino, che tu lo scontri al
nascimento del lume di sotto, et allhor nota, che subito tal luminoso perderà tutti li raggi di sopra, e se tu farai
contrario moto col dito intraverso, [CXXXIV] cominciando sopra del lume, e con tardo moto abbassando tal dito
[Ms. F, 29v] in sino al rincontro della cima del lume, allhora tu vedrai mancar tutti li raggi di sotto e questo prova il nostro
proposito, perché se il luminoso sarà A. et il primo raggio di mezzo A.O va dritto alla pupilla dell’occhio, quel di
sotto AM percote nella convessità delle palpebre in più delli peli, e fa più simolacri, li quali, creati, che sono subito
reflettano nel labro N, che fa la grossezza del cuperchio dell’occhio, e di qui risulta nella luce dell’occhio con tutti
[occhio colpito da raggi luminosi, con un dito interposto 343]
li simolacri creati ne’ peli delle palpebre, li quali hanno forma lunga alquanto, e sono separati, e vanno con le ponte
in alto, allargando inverso l’estremi, come fanno l’istesse palpebre. Hora per concludere il nostro intento con R.S.
infra al nascimento del lume, e l’occhio tuo, toglierai il raggio AM, onde per questo il raggio non s’imprimerà nelli
convessi, o ver curvità delle palpebre di sotto, e per questo mancherà il raggio di sopra in N, e per consequenza
[CXXXV] nella luce perché mancando la causa del simolacro M. mancherà l’effetto de’ raggi in N.
Ecco adunque diffinito, perché occupando il raggio di sotto al lume si perde il raggio di sopra interamente.
Dice qui l’aversario, che a lui pare, che tal simolacro pervenga dal luminoso, e passi infra le palpebre, et im-
primesi nella gravezza de’ labri de’ coperchii dell’occhi, e che li saltino alla pupilla, e sii diraggiato344 esso
simolacro, perché è diviso dalli peli ove lui passò. Qui si risponde che occupasse in tal caso il simolacro di
[Ms. F, 29r] sotto, non mancherebbero li raggi di sopra, ma quei di sotto. Medesimamente e questo è contro l’esperienza
proposta. Ancora si esperimenta esser li peli di sotto, che mostrano li raggi di sopra al lume con torre un stile,
e leggermente si mova intraverso le palpebre di sotto dall’occhio, e secondo il moto, che tu farai fare a tali
palpebri di sotto, tu vedrai a fare alli raggi di sopra, e questo è segno manifesto et esperienza nata dalla ragione.
Ancora havendo tali raggi nell’occhio, e tu muova pianamente il volto a destra, e sinistra, tu vedrai li raggi,

336
  La figura è nel f. 31r dell’originale, ove appare specchiata.
337
  Questa proposizione, fino a «s’ella non è contenuta», non è presente nelle citate pp. della sezione II dell’apografo.
338
  Sta per «Prima proposizione» e manca a p. 76 della sezione II.
339
  Manca il brano seguente, presente invece a p. 76 della sezione II: «Il luminoso sia Q. Lo specchio convesso P. et il circostante allo specchio NMO. vede tutto lo specchio
veduto dal lume. Aunque di tutte le parti del circuito NMO. si potrà vedere il simolacro del luminoso in esso specchio convesso».
340
  Nel Ms.: «bresciaglio». Segue il richiamo «Pro» relativo all’incipit della frase posta dopo la figura.
341
  Il grafico non è presente nel f. originale corrispondente a questo testo, bensì nel precedente.
342
  Nel Ms.: «detto».
343
  Presente in originale non nel f. 29v, bensì nel f. 30r.
344
  Nell’originale si legge: «razzato».

261
[CXXXVI] che nascono da’ lustri delle palpebre andarasi girando ancor loro, e scambiarsi l’uno nell’altro al
continuo.
E questo lume deve stare in men 25 braccia discosto dall’occhio, et il luogo notturno esperimenta con tardità, e
diligenza, e tiene l’occhio stretto, et alza, o bassa il volto tanto che tu veda li raggi di sopra al lume, e disotto in un
medemo tempo, e così appoggia il capo al muro, e fermati bene.
345
[Ms. F, 30r] Il luminoso sia Q. P. è lo specchio convesso, e ’l circonstante allo specchio NMO vede tutto lo specchio veduto
dal lume. Adunque di tutte le parti del circuito NMO si potrà vedere il simolacro del luminoso in esso specchio
convesso.
[specchio convesso e raggi luminosi]
[Ms. F, 29r] Paiono più corti li raggi dell’obietti luminosi stando tali obietti presso all’occhio, che da lontano perché li labri
dell’occhi essendo mezzi rinchiusi, come fa chi vuol veder raggi intorno al lume, e questi labri abbracciano poco
spatio sotto, e sopra esso lume, e però li raggi non si possendo aprire più, che si sia tale [CXXXVII] spatio veduto
dall’occhio, è necessario, che in corto spatio si veggan corti raggi, et in longo spatio longhi raggi.346
Paiono li raggi de’ luminosi remoti dall’occhio di gran longhezza, perché nessun obbietto può haver maggior
vicinità alla pupilla dell’occhio, quanto tale obietto impresso nel labro dell’occhio, che tocca la pupilla, e d’indi
manda il simolacro all’occhio.
[Ms. F, 28v] Il raggio del sole passato per li sonagli della superficie dell’acqua, manda al fondo d’ess’acqua un simolacro d’esso
sonaglio, che ha forma di croce, non ho ancora investigato la causa, ma credo, che sia per cagion d’altri piccioli
sonagli, che son congionti intorno a esso sonaglio maggiore.
[raggi solari che attraversano l’acqua]
Se l’obbietto interposto infra ’l campo e l’occhio sarà minore, che la pupilla d’ess’occhio, nissuna parte del campo
sarà occupato da tale obietto E. P sia la luce dell’occhio. Q. sia il simolacro interposto infra il [CXXXVIII] campo
AD, e l’occhio, dico che tal obietto non occuperà alcuna parte del campo.
[occhio, raggi visivi e piccolo oggetto347]
Dico se l’obietto B mandasse la sua similitudine nel ponto A che nissuna parte del campo DS potrebbe esser ve-
duta da tal’occhio, perché qui l’obietto minore della pupilla occupa tutto il campo al ponto A.
[figura]
348
[Ms. F, 28r] Sempre nell’elementi flessibili il discenso del grave nel più lieve è fatto per linea brevissima.
Delli elementi flessibili la elevatione dell’elemento lieve dal più grave è fatto per linea longa, e revertiginosa.
Provasi la causa di tal moto A sia aria, che si leva dal fondo del pelago, e vorrebbe andar per la linea brevissima alla
superficiale dell’acqua, ma il peso che li sta sopra dell’acqua vorrebbe discendere, e l’acqua laterale vorrebbe ancor
lei riempire tal sito, e ciascuna è di potenza, cioè della laterale d’equal altezza, seguita che la più alta che risponde
sopra il centro dell’aria
[due figure: aria soffiata sott’acqua; aria sott’acqua349]
inclusa, è quella, che più pesa, onde ess’aria sempre va assottigliandosi con varie figure sempre fuggendosi dall’ac-
qua più grave, perché nella figura che si trova CFG la qual EGFN la preme più che l’acqua ABCF o che DACF.
Onde si moverà al CF; et il simile fan le fiamme del fuoco infra l’aria.
[Ms. F, 51v] Prima se una potenza move un corpo in alquanto tempo, con alquanto spatio, la medema potenza moverà la metà
di quel corpo nel medemo tempo due volte quel spatio.
2.a Overo la medesima virtù moverà la metà di quel corpo per tutto quello spatio nella metà di quel tempo.350
3.a Overo la medesima virtù moverà la metà di quel corpo per tutto quello spatio nella metà di quel tempo. Essa
metà della virtù moverà la metà di quel corpo tutto quel [CXL] spatio nel medemo tempo.351
5.a 352E quella virtù moverà due volte quel mobile per tutto quello spatio in due volte quel tempo, e mille volte tal
mobile in mille tanti tempi tutto esso spatio.353
6.a La metà di tal virtù moverà tutto quel corpo nella metà di quel spatio in tutto quel tempo, e cento volte quel
corpo nel centesimo di quello spatio nel medemo tempo.354
7.a 355E se due virtù separate moveran due mobili separati in tanto tempo un tanto spatio le medeme virtù unite

345
  Questo brano manca a p. 80 della sezione II.
346
  Nell’originale (ibidem) prosegue: «come mostra ab di sopra e cd», con riferimento alla figura collocata nell’apografo a p. 78 della sezione II.
347
  Manca altra figura di riferimento presente nell’originale.
348
  Manca figura di riferimento presente nell’originale.
349
  Manca altra figura di riferimento presente nell’originale.
350
  Nel foglio originale si legge invece: «Se alcuna virtù moverà alcun mobile per alcuno spazio in equal tempo, la medesima virtù moverà la metà di quel mobile in
tutto quello spazio nella metà di quel tempo».
351
  Nel foglio originale si legge invece: «Se una virtù move un corpo in alquanto tempo un tanto spazio, la medesima virtù moverà la metà di quel corpo nel medesimo
tempo la metà di quello spazio». Nell’apografo è inoltre presente a lato del testo un appunto del trascrittore, purtroppo incomprensibile.
352
  Leonardo ha corretto le proposizioni quarta e quinta in quinta e sesta, perché nel f. 52r ha cambiato la sesta (che era ripetuta due volte) in quarta. Cfr. Il Manoscritto F,
trascr. diplomatica e critica di A. Marinoni, Firenze, Giunti-Barbera, 1988, pp. IX-XXI.
353
  Nel foglio originale si legge invece: «Se una virtù move un corpo in alquanto tempo uno alquanto spazio, non è necessario che tal potentia mova doppio peso in
doppio tempo 2 volte tale spazio, perché potrebbe essere che tal virtù non potrebbe movere esso mobile».
354
  Nel foglio originale si legge invece: «Se una virtù move un corpo in tanto tempo un tanto spazio, non è necessario che la metà di quella virtù mova quel medesimo
mobile nel medesimo tempo la metà di tale spazio, che forse non lo potrebbe movere».
355
  Nell’originale questa proposizione compare per errore come «6.a».

262
moveranno i medemi corpi uniti per tutto quello spatio in tutto quel tempo, perché in questo caso sempre le
prime proportioni restan quelle medesime.356
[Ms. F, 25v] Quanto più alte son l’onde del mare dell’ordinaria altezza della superficie della sua acqua, tanto più bassi sono li fon-
di delle valli interposti infra esse onde. E questo è perché le gran cadute delle grand’onde fan gran concavità di valle.
357
[Ms. F, 25r] Quest’occhiale di cristallo debbe esser netto di macchie, e molto chiaro, e da’ lati dev’esser grosso un’oncia d’un
oncia, cioè 1/144 di braccio, e sia sottile in mezzo secondo la vista di chi l’ha d’adoprare, [CXLI] cioè secondo
la proportione di quell’occhiali, che a lui stanno bene, e fia lavorato nella medema stampa d’essi occhiali. E la
larghezza di tal tavola sarà un 6 di braccio, e la longhezza un quarto di braccio, e così sarà longo tre oncie, e largo
due, cioè un quadrato, e mezzo, e questo tale occhiale si deve
[lente in cornice rettangolare con manico verticale358]
adoprare rimoto dall’occhio un 3.° di braccio, et altre tanto sia rimoto dalla lettera, che tu leggi, e se gli è discosto
più essa lettera parrà maggiore. In effetto la lettera commune di stampa parrà lettera di scattole da spetiali.
[Ms. F, 24v] Libro IX delle forme de’ ritrosi
x. Dell’operatione de’ ritrosi
xi. De giovamenti de’ ritrosi
xii. De nocumenti de’ ritrosi
xiii. Delle percussioni delle acque infra loro surgenti infra l’aria con diverse velocità
Libro dell’acque surgenti infra l’aria con varie obliquità, e pari velocità
[CXLII] Libro dell’acque surgenti infra l’aria, e varie obliquità
Acqua più obliqua percossa nella men obliqua, e più potente, e men grossa
Acqua men grossa e più obliqua, e più potente che la più grossa, e più obliqua
Acqua sottile sospinta infra l’aria da maggior potenza, che la grossa
[Ms. F, 24r] Dell’acqua che s’intraversa l’un l’altra per diversi angoli
Dell’acqua che per diversi angoli s’intraversa nelli moti reflessi. E di quella che s’intraversa nella sommità dell’onde,
e di quella s’intraversa nel descenso dell’onda, e di quella nella valle dell’onde.
Alcune s’intraversano per diversi angoli, con moto reflesso grande, con moto reflesso piccolo, e con onda grande,
con onda piccola, o ver moto incidente con valle, o con moti incidenti reflessi piccoli con grandi.
Alcuna volta moto reflesso coincidente, quando valle con onda, quando moto incidente con reflesso piccioli e
grandi, e per diversi angoli.
Alcuna volta acque veloci con tarde, quando retrosi con onde, o valli, o reflessi, o incidente d’acqua corrente
[CXLIII] per varie linee intraversate l’un l’altra i corsi per diverse linee l’un sopra l’altro.
Retrosi per diversi moti incontrarsi, et entrare l’uno nell’altro.
Longhezze di diverse curvità de’ retrosi dalla superficie dell’acqua al suo fondo (intersegasi l’un l’altro).
Intersegationi de’ ritrosi incidenti con i riflessi.
Dell’acque interposte per qualunque vaso infra li detti accidenti dell’acque.
[Ms. F, 23v] Delle varie velocità de’ corsi della superficie dell’acque al fondo.
Delle varie obliquità traversali tra la superficie al fondo.
Delle varie correnti in superficie dell’acque.
Delle varie correnti di sopra il fondo de’ fiumi.
De’ varie figure de’ colli coperti dall’acque.
Delle varie figure de’ colli coperte dall’acque.
Dove l’acqua è veloce in fondo, e non di sopra.
Dove l’acqua è tarda in fondo, è veloce di sopra.
Dove è tarda di sotto, e di sopra è veloce in mezzo.
Dove è tarda in mezzo è veloce di sotto, e di sopra.
Dove l’acqua ne’ fiumi s’allonga, e dove si restringe.
Dove si piega, e dove si drizza.
Dove si profonda equalmente nelle larghezze de’ fiumi.
[CXLIV] Dove è inequale.
Dove bassa in mezzo è alta dai lati.
Dove alta in mezzo è bassa dai lati.
Dove la corrente va dritta per mezzo del fiume.
Dove la corrente serpeggia buttandosi in diversi lati.
359
Questa palla deve essere di diametro un mezzo, o un 3.° di braccio, e deve esser di vetro chiaro, e piena

356
  Nel foglio originale si legge invece: «Se due virtù separate movan due mobili separati, le medesime virtù unite moveran nel medesimo tempo li due mobili aggregati
il medesimo spazio, perché sempre riman la medesima proporzione».
357
  Il testo, di qui sino a «parrà lettera di scattole da spetiali» (p. CXXXXI), è compreso in una graffa sul margine sinistro ed è già presente nella sezione II, p. 40. Ciò
è notato anche nella postilla anonima posta alla fine del brano: «questo stesso si legge a carte 41 [sic] del trattato antecedente». Il testo non compare invece nella citata
trascrizione di Bossi (cfr. Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7).
358
  Nell’originale all’interno del grafico è la scritta: «Occhiale di cristallo grosso da’ lati un’oncia d’un’oncia».
359
  Il testo, di qui sino a «nel mezzo d’una sala farà gran lume», nello stesso foglio, è compreso in una graffa sul margine sinistro ed è già presente nella sezione II, p. 40. Ciò

263
d’acqua chiara, et una lampade in mezzo con lume circa al centro d’essa palla, et appiccata nel mezzo d’una sala
farà gran lume.
[lampada sferica]
360
[Ms. F, 22r] Quella parte dell’obietto oscuro d’uniforme grossezza si dimostrerà più sottile, che fia veduta in campo più lu-
minoso EH, e il corpo oscuro in sé è d’uniforme grossezza AB, e CD son campi oscuri più l’un che l’altro, BC è
campo luminoso, come se fusse un luogo percosso da un spiracolo di sole in una camera oscura. Dico, che l’obietto
EH parrà più grosso in EF, che in GH, perché EF ha il campo [CXLV] più oscuro, che esso GH. Ancora la parte
FG parrà sottile per esser veduta dall’occhio O in campo BC che è chiaro
[due figure361: piramidi di raggi visivi con campi oscuri]
la parte del corpo luminoso d’uniforme grossezza e splendore parrà esser più grossa, che fia veduta in campo più oscuro.
[piramide di raggi visivi con campi oscuri]
[Ms. F, 21v] Ogn’impressione dell’acqua si mantiene per longo spatio, e tanto più quanto è più veloce.
De’ retrosi destri, e sinistri fatti dalla congregatione di due fiumi, che insieme si giongano retrosi scambiati in AB.
[confluenza di due fiumi]
[Ms. F, 21r] [CXLVI] De’ retrosi alcuno è più tardo in mezzo, che dai lati, alcuno è più veloce in mezzo, che dai lati, altri ne
sono che rivoltano in contrario il lor primo moto.
[retroso]
Quel ritroso o in mezzo più tardo, che dalli lati, il quale è di gran circuitione e questo pone assai materia in mezzo
del suo cerchio, e li lascia a modo di colle.
Il ritroso, che è veloce in mezzo dalla sua circulatione porta aria, e acqua nel suo fondo, il quale cava, e trivella a
modo di pogo.
Vedi la figura antecedente362
L’acqua che caderà dall’M in H porterà con seco l’acqua che cade dal K in H per il moto reflesso HN, il che non
farebbe se la percussione, che fa KH sopra il fondo non rompesse il corso dell’acqua MH.
[Ms. F, 20v] P.a Dove l’acqua sarà di picciol moto, l’onda semicolonnale farà diretta intersegatione.
[CXLVII] 2.a E dove essa fia più veloce esse s’incurveranno.
3.a E dove la velocità sarà ineguale le lor fian curvità variate in verso al fine.
[tre figure di onde363]
L’acqua, che descenderà di P in K, e risalterà in D. passerà sotto l’acqua morta di MD senza mischiarsi con lei, o
portarne seco parte alcuna.
L’acqua che discende di P in K, risalterà in D. senza lasciarne di sé part’alcuna in K essendo tutta la larghezza di
tal corso equale.
[acqua corrente in un condotto che si immette in un recipiente con acqua stagnante]
[Ms. F, 20r] L’acqua correrà l’una sopra l’altra senza mischiarsi per longo spatio delle quali l’introito lor nel pelago, è più alto,
e più veloce l’un, che l’altro.
[incrocio di correnti]
[CXLVIII] Quell’acqua vicino alla superficie fa l’offitio, che vedi risaltando in alto, et indietro nel suo percotersi,
e l’acqua, che risalta indietro, e cade sopra la valle della corrente va sotto, e fa come vedi.
[figura di onde]
[Ms. F, 19v] L’acqua, che con molta obliquità percote l’altr’acqua, quella che prima percote, immediate si riflette, e si tarda,
e quella, che sopravviene la copre con sottil veste, e corre veloce sopra quella, che prima si tardò, e così lei poi
reflette, e si tarda nel medesimo sito dell’antecedente, e l’acqua, che succede fa il simile sopra di lei, e così succes-
sivamente segue il suo corso.
[scontro di correnti]
364
L’acqua corrente turbida, s’ella nasce alta, et entra alta nel pelago essa corre assai per l’altezza dell’incominciato
impeto, avanti, che la si profondi, e mischi con altr’acque.
Tante son l’onde longitudinali dell’acque, che si [CXIL] creano ne’ suoi canali, quante sono le globosità che sono
nelli argini.
[Ms. F, 19r] Generansi l’onde di base quadrate per l’intersegatione dell’onde longitudinali nate nell’argini de’ fiumi, come
l’onde AC, et BC longitudinali che s’intersegano nella quantità CD, et CE.
[canale con onde semicolonnali]
Le concavità dell’onde quadrate sono ancora loro quadrate come si mostra l’onda quadra ABCD, e la concavità
circondante in quattro luoghi, l’onda quadra, e fatta come vedi EBFD.

è notato anche nella postilla anonima posta alla fine del brano: «questo stesso si legge a carta 40 del trattato antecedente». Inoltre, di qui sino a «che fia veduta in campo
più oscuro» (p. CXXXXV), il testo non viene trascritto da Bossi (cfr. Biblioteca Ambrosiana, Fondo Bossi, S.P. 6/13 D, f.lo 7).
360
  Il testo, di qui sino a «che fia veduta in campo più oscuro» (p. CXXXXV), è compreso in una graffa sul margine sinistro ed è già presente nella sezione II, pp. 53-54.
Ciò è notato anche nella postilla anonima posta alla fine del brano: «Ripetuto a carta 53 e 54 dell’antecedente trattato».
361
  La prima risulta specchiata rispetto all’originale.
362
  Nota del trascrittore. Mancano però altre figure presenti nell’originale.
363
  Distinte da I, II, III (che non compaiono nel f. originale) con riferimento alle tre proposizioni precedenti.
364
  Manca la figura presente nell’originale, che illustra schematicamente un letto d’acqua torbida.

264
[onde concavate]
Confondano l’onde quadre nell’incurvatione dell’onde colunnali, che al longo andare si convertano nella ret-
titudine del comun corso dell’acqua, et ancora si confondano, e distruggano per le molte [CL] varie grossezze
dell’onde colunnali, che nascon nell’argine, et obietti di tal fiume.
Il moto dell’acqua infra l’acqua muta tanti corsi reflessi per qualunque corso, quanti sono l’obietti varii in obliqui-
tà, che ricevon il moto incidente di tall’acqua.
Sono l’obietti dell’acqua di tre sorti, cioè d’acqua percossa dall’acqua, o da obietto piegabile, o stabile.
[Ms. F, 18v] Della grossezza dell’acqua percossa nell’obietto, la parte di sotto è prima, che percote il fondo, e immediate riflete
alla superficie quella mezza di sopra non riflette al fondo, ma incontrandosi nella prima, che reflette percote sopra
di lei, et è urtata, così reflette ancor lei per le medeme linee, e revertigini.
Tali raccoltamenti de’ corsi, son fatti dall’impeto dell’acqua, sotto l’altr’acqua.
Se le due acque nello scontrarsi l’inferiore con la [CLI]
[oggetto di forma prismatica percosso dall’acqua]
superiore s’uniscano, e così raggirano insieme ne’ lor contatti.365
In AB sia più il fondo, che dall’opposita parte, perché verso la maggior corrente del fiume fa maggior onda in AB,
che di là, come mostra di sopra l’obietto F, et in N si rompe l’argine.
[masso nella corrente del fiume]
[Ms. F, 17v] De’ ritrosi dell’acqua
Possibile è che sotto la corrente sia minor profondità che in fronte, o da lati OCN sia la corrente, et A è un retroso
composto di doppia potenza, per la 9. de’ retrosi, perché oltre alla sua revolutione
[retrosi in corrispondenza di ostacoli nel corso di un fiume]
esso percote nell’argine, e risalta nell’aria, e ricade sopra dell’altr’acqua, quella penetra, e percote, e cava il fondo
con subita profondità, perché [CLII] oltre alla percussione vi s’aggiunge il trivellamento fatto dalla predetta revo-
lutione, il quale svelle, e porta via ciò che la percussione smove e fassi tanto più potente quant’ella è più turbida,
e questo è il più potente modo a smovere e portar via terreno, e lasciar gran profondità.
Il retroso B sarà di larga, e non bassa profondità.
Utilità da nettare, e profondare un canale. Fa il serraglio SO, et apri la cataratta A e l’acqua percoterà il fondo, e
risalterà in alto, e percoterà
[caduta d’acqua da una cataratta e retroso nel corso di un fiume]
in B, e per la settima del 9. ricaderà al fondo, e scontrerassi per la 5. 7. nel retroso, e caverà doppiamente, e risaltarà
in C, e ricaderà indietro, e farà il simile; e tal serraglio poi mutare dietro alla longhezza del canale, e con questo
faran due huomini per cento li quali mutino la serraglia, et aprino nove [CLIII] cataratte secondo il bisogno.
Sotto la corrente s’alzerà il fondo, quando il corso d’essa corrente muove infra l’acqua morta, come se il fiume AF
versasse nel pelago morto F.NMB. che per la 6. del 9. dove manca il corso dell’acque quivi rimane, ciò che l’acqua
conduce, adunque la materia portata dal corso AF fia lasciata in FB.
[tratto di fiume che si immette in un «pelago morto»]
[Ms. F, 16v] Il moto dell’acqua non fa mai angoli, se non quello dell’incidentia, cioè l’angolo ABC.
[angolo d’incidenza]
366
L’acqua media corre alla più bassa parte dell’acqua incidente.
Delle parti d’una medesima acqua, che per diverse obliquità sorge infra l’aria, quella ch’è meno [CLIV] obliqua
ricade più vicina al suo nascimento.
[zampilli con varie inclinazioni]
Li sorgimenti dell’acqua fatti dal fondo alla superficie del pelago non ricaggiono mai inverso il fondo perché non
acquistan peso, non entrando infra l’aria, e non acquistando peso, non possono penetrare al fondo per la 7.a del 9.
Sempre l’acqua sorge, e discende con moto di discontinua velocità, e questo nasce dall’aria, che essa penetra, e
dall’aria, che essa mischia con sé.
367
[Ms. F, 16r] Le misure dell’oncie, che si danno nelle bocche dell’acqua368 son maggiori, o minori, secondo le maggiori, o mi-
nori velocità dell’acqua, che per essa bocca passa. Doppia velocità da doppia acqua in un medesimo tempo, e così
tripla velocità in un medesimo tempo darà tripla quantità d’acqua, e così successivamente in eterno seguirebbe.
[Ms. F, 15v] [CLV] Delle cadute dell’acqua
Scrive prima la concavità semplice fatta dalle semplice cadute dell’acqua sopra fondo d’uniforme materia, e poi
sopra fondo di varia materia, E poi poni l’impedimenti nel descenso dell’acqua, poi l’impedimenti nel luogo
percosso, cioè sul fondo, e poi nel suo moto reflesso, e prima nel principio della caduta, e poi discrivi in che parte
de’ labri del pelago l’acqua piglierà il suo corso, e che materie fian levate, o lasciate in diverse parti del fondo di
tal pelago. E che velocità, o tardità di moto harà l’acqua in diverse parti della superficie; e così dalla superficie al
fondo in diverse altezze, e larghezze, e così farai in sino al fondo.

365
  Qui manca un brano presente nell’originale, con relativa figura.
366
  Manca grafico di riferimento presente nell’originale.
367
  Manca grafico di riferimento presente nell’originale.
368
  Nel Ms. «acche».

265
Levandosi un mobile portato dall’impeto contro al luogo obliquo, e che tal luogo obliquo con il suo impeto si
mova contro al mobile senza descendere esso mobile si levarà in tale altezza al luogo, che mai per sé non vi sarebbe
salito, come se la linea AB fusse la elevatione del mobile B, e fusse per finire in dato tempo il suo [CLVI] impeto
nell’altezza R. Dico che se l’obliquità SC se li fa incontro con impeto fatto per la linea CNST che esso mobile,
che si doveva fermare all’altezza R si leverà alla linea NC.369
[Ms. F, 14v] Se l’acqua più alta, che l’aria acquista peso come
[corpo sferico su un piano370]
mostra la 7. del 9. qual causa fa l’acqua de’ lati de’ retrosi star più alta, che ’l fondo d’esso retroso che in sin lì è
pien d’aria.
Tu hai la 4: d’esso 7 che prova, che ogni nave sol pesa per la linea del suo moto, e nient’altrove, e
[retroso]
di qui vedi li retrosi profundissimi a uso de’ gran pozzi, de’ quali li lor lati, e acqua, che per tutto è più alta, che
l’aria d’esso retroso, e tali argini d’acqua [CLVII] niente pesano, se non per la linea del suo moto nel tempo, che
posseggano la potenza che le dà il suo motore.
[Ms. F, 14r] Come con l’acque correnti si deve condurre il terren de’ monti nelle valli paludose, e farle fertile, e sanar l’aria
circonstante.
[canali con ramificazioni]
Le ramificationi de’ canali, che per alti colli saran per natural corso condotti, son quelle, che con le lor mutationi
portano li terreni d’essi colli alli bassi padulli, e quelli riempono di terreno, e fanno fertili A. Sia il fiume maestro,
che s’impadulla in BFS. Sia adunque tirato il canale per l’altezza de’ colli AEN, e da quello sian lasciati cadere
diversi rami mutandoli in diversi luoghi, e così le sue ruine diruperanno il terreno, e [CLVIII] doppo il lor corso
lo scaricaranno nel basso paludo, e così potrai tanto mutare la caduta di tutto il canale dovitioso d’acqua, che tu
harai ragguagliato il terreno scoperto di tali paduli.
[Ms. F, 13v] Delle concavità, et utilità de’ retrosi dell’acqua
P.a quel retroso harà più profonda concavità, il quale si genera in acqua di più veloce moto, e quel ritroso sarà di
minor concavità, che si generarà in più grossa acqua, che non è del medemo moto, ma più tarda.
2.a Nell’acqua di pari velocità quel si manterà più con la sua concavità, che maggior grossezza d’acqua rivolta
insieme, col suo moto. Questo è detto perché molte volte li retrosi si generano in una stretta corrente in gran
larghezza d’acqua di tanto moto, la quale essendo in parte appoggiata al retroso pieno di sottil revolutioni, che
si rivolge infra lei, e l’aria della concavità, ess’acqua laterale, essendo di gran peso [CLIX] spinge ne’ lati d’esso
retroso, dove s’appoggia, e trovandolo debole, lo viene a riserrare.
[Ms. F, 13v] L’acqua di fondo inequale fa contrari moti dalla superficie al fondo.
La inequalità del fondo de’ fiumi, nasce da piegamenti d’argini, o per materia da ess’argine cascata alli suoi piedi.
[retrosi sul fondo di un fiume]
Cade terra dall’argine, e si ferma sotto l’acqua A. L’acqua B percote in A. e si divide, e parte ne torna in dietro, e
fa il retroso N, e parte ne va in C.
L’acqua BC. è d’equal velocità nella sua corrente dal lato C, e li due ritrosi uno di sopra in giù, et uno dall’acqua
in N si fermano, e così sotto la corrente si fa l’acqua tarda dal mezzo inanzi, nel principio per esservi poco fondo,
la corrente è veloce di sotto, come di sopra, e per questo scopre la giara grossa, e poi la rena, e poi il fango, e poi
foglie.
[Ms. F, 12r] De’ ritrosi dell’acqua, che spesse volte rivolgano in dietro il lor rivertiginoso moto. De’ ritrosi [CLX] incidenti,
e de’ retrosi reflessi. Il retroso alcuna volta cresce in potenza, e diminuisce in diametro. Il primo modo è quando
l’acqua versa per il suo fondo, che l’acqua, che compone il ritroso, è più veloce quant’ella è più bassa perché ha
sopra di sé maggior peso d’acqua, e però si fa più veloce, e perché l’acqua spinge più in basso, che di sopra, essa
restringe più essa vacuità al retroso, e piegasi perché si drizza all’uscita dell’acqua dal suo pelago.
[Ms. F, 11r] Li vasi sì dell’entrata, et uscita dell’acqua nella larghezza de’ suoi canali cavano la corrente d’essa acqua dall’uni-
versal mezzo della larghezza d’esso canale.
[entrata e uscita delle acque in un canale371]
L’altezza, e bassezza dell’entrata, et uscita dell’acqua nel suo canale varia l’universal altezza della corrente nel suo
canale, che doveva esser tutta equalmente remota dall’argine, [CLXI] e dal fondo.
[entrata e uscita delle acque in un canale372]
Se nel canale paralello sarà data l’uscita nel fondo a una quantità d’acqua, e si generarà un ritroso sopra tale uscita,
dimandasi della natura di tal retroso.
[uscita di acqua dal fondo di un canale con la formazione di un retroso373]
[Ms. F, 9v] Dell’onda dell’acqua, e in quanti modi si può variare

369
  Si veda la figura successiva, da riferirsi a questa proposizione e posta infatti nel f. 15v dell’originale.
370
  La figura è nel f. 15v dell’originale: cfr. la nota precedente.
371
  Nell’originale la figura consiste in un semplice diagramma planimetrico.
372
  Idem ut supra.
373
  Idem ut supra.

266
L’acqua che versa per una medesima quantità di bocca si può variare di quantità maggiore o minore per 17 modi,
de’ quali il primo è da esser più alta, e più bassa la superficie dell’acqua sopra la bocca d’onde versa. Il 2.° da passar
l’acqua con maggior o minor velocità da equal argine dove è fatta essa bocca. 3.° da esser o più, o meno obliqui i
lati di sotto della grossezza della bocca dove l’aqua passa. 4.° dalla varietà dell’obliquità [CLXII] de’ lati di tal bocca,
5° della grossezza de’ lati d’essa bocca, 6.° Per la figura della bocca, che ha a esser o tonda, o quadra, o triangolare,
o longa. 7.° Da esser posta essa bocca in maggiore o minor obliquità d’argine per la sua longhezza. 8° Per esser
posta tal bocca in maggior, o minor obliquità d’argine per la sua altezza. 9.° A esser posta nelle concavità, o con-
vessi dell argini, x. A esser posta in maggior, o minor larghezza del canale, xi: Dell’altezza del canale sia più velocità
nell’altezza della bocca, o più tardità che altrove. 12.° Se il fondo sia globosità, o concavità a riscontro d’essa bocca,
o più alta, o più bassa, 13: Se l’acqua che passa per tal bocca piglia vento o no. 14. Se l’acqua, che cade fuora d’essa
bocca, cade infra l’aria, o vero rinchiusa da un lato, o da tutti salvo da fronte. 15. Se l’acqua, che cade rinchiusa sarà
grossa nel suo vaso, o sottile. 16. Se l’acqua che cade essendo rinchiusa sarà longa di caduta, o breve, [CLIII] 17. Se
i lati del canale dove descende tal acqua saran solii, o globulosi, o retti, o curvi.

267
Vincenzo Corazza, Termini di arte nelli scritti di Lionardo da Vinci ed altri, c. 1798, parte I, p. 1, vocaboli tratti dalla sez. I/a del Codice Corazza. Napoli,
Biblioteca Nazionale, Ms. XII.D.81

[268]
II. Termini di arte
nelli scritti di Lionardo da Vinci ed altri *

[1] MS di Lionardo da Vinci presso di me 1

Berettino agg. «Fra le montagne vedute in lunga distanza quella si dimostrarà di color più azzurro, la qual fia di color più oscuro.
Adunque essendo le piante spogliate delle lor foglie, si dimostreranno di color berettino, essendo che le foglie son
di color verde, e tanto quanto il verde è più oscuro che il berettino, tanto si dimostrerà più allora il verde, che il
Berettino». MS. fol. 5.V.2 Bigio nella Cr.3 V. ch’equivale per troppi riguardi.
Intento s. «Abbiam provato il nostro intento» (cioè la proposizione ch’era nostro intendimento di provare) MS. fol. 5.
Alluminoso «L’occhio interposto in frà il corpo opaco, e ‘l lume, vede il corpo opaco tutto alluminoso» (così al fol. 4 avea detto)
Alluminare «le due piante BD, le quali sono alluminate dal sole» (ch’è altra opera che d’allume, ricon.° dalla Crusca). MS. fol. 6.
Polo s. «Quello che siede non si può levare in pié, se la parte che è dal polo inanzi, non posa più, che quella che è da esso
polo indietro, senza forza di braccio» (Intende per polo la linea retta che passa pel centro di gravità del corpo di
colui che sta seduto, e cade perpendicolarmente sul piano, nel quale vuole alzarsi in pié il sedente) MS. fol. 7 (ag-
giunge «senza forza di braccio, perché stendendo orizzontalmente un braccio, questo gli serve da leva, e il centro di
gravità, o sia il polo s’avanza, onde per conseguente si potrà levare in pié») ancora «quello che più corre, più pende
Alla china avv. in verso il luogo dove corre, e dà di se maggior peso dinanzi al suo polo, che dopo: quello che corre alla china, fa
All’erta avv. il suo polo su le calcagne, e quello, che corre all’erta, lo fa su la punta de’ piedi». MS. fol. 8.Vedi p. 514.
Maccharonesco agg. [2] «I vestimenti devono essere diversificati di varie nature di falde, mediante la qualità dei vestimenti, onde se gl’è
Falda panno grosso, e raro, farà pieghe maccharonesche, e rare, e se gl’è di mediocre grossezza, e denso farà le pieghe
Affacciato agg. affacciate, e di piccioli angoli» (MS. fol. 14-15.). Questo affacciate, verisimilmente, si è scritto in luogo di affasciate
nel significato di gran larghe faccia.
in Scorto «quella parte, che è veduta dall’aria, partecipa del color dell’aria, quanto l’occhio gli è più propinquo, e la vede più
in iscorto (not. per la V. Scorto del Vasari) MS. fol. 18 ed a f. 126. «universalmente le sue ombre» (parla della foglia)
«si dimostrano più oscure dal dritto,» (della foglia) «che nel rovescio per il paragone che gl’è fatto dal lustro, che
con tal ombra confina» (cioè dalla parte della foglia che sopra ha chiamata più polita, e vale più liscia). MS. fogl.
18-19. (lustro dunque della foglia è chiamata da Lionardo quella parte d’essa, ch’è più liscia e lucicante).
Dritto a «Quando l’una verdura è dritto all’altra, li lustri delle foglie, e le sue trasparenze» (i colori che getterà posta fra‘l sole
Trasparenza e il riguardante) «si mostreran di maggior potenza,» (cioè più vivaci) «che quelle che confinano con la chiarezza
Potenza dell’aria» MS. fol. 19.
Alluminatore Se M sarà il luminoso alluminatore della foglia S» (si è veduto qui, e in altre n. il verbo, e l’agg. Qui abbiamo il n.
sustantivo, e perciò l’ho notato.) MS. fol. 21. Ancora nel Titolo del § seguente: «Del Lume Universale alluminator
delle Piante» MS. fol. 24.
Spesso agg. v. p. seg. «ma se l’albero è spesso di foglie» (vale ricco) MS. fol. 25.
Specchiare v. «Le foglie che specchiano» v. p. 10 (adipiciunt) «l’azzurro dell’aria sempre si mostrano all’occhio per taglio» (in
per taglio iscorto) MS. f. 25.
Gemella «nascendo il ramo, ò il frutto nell’anno seguente dalla gemella, v’è un occhio che è sopra il contatto dell’appiccatura
della foglia, e l’acqua, che bagna tal ramo possa discendere e nutrire tal gemella, col fermarsi la goccia nella con-
cavità del nascimento della foglia» (credo che intenda germe, germoglio) MS. p. 26.
Spesso agg. [3] «Le piante…sono tanto più oscure, quanto gl’Alberi sono più spessi di foglie» MS. fol. 28. ed a p. 29 «quando
v. p. prec.te le selve son spesse d’alberi». La Cr. non manca d’esempi.
Verdura «Son tanto varie le verdure delle piante, quanto son varie le loro specie» (per qualità di verde, toccato dall’Alberti5
¶ e forse intralasciato nella Crusca. L’esempio di Lionardo è chiariss.) MS. fol. 28.
Trasforamento s. (In vano cercherebbesi questa V., od anche Traforamento, nella Crusca; né come dal prop. Traforare, né altramente,
come nell’es.° che siegue, in cui Trasforamento vale quello spazio che lascian tra loro i rami, e le foglie, per lo cui
Trasforazioni spazio può passar oltra la vista) «li trasforamenti dell’Albero sono di particelle d’aria alluminata» (e nel Tit.° del

*
  BNN, Manoscritti e Rari, XII. D. 81, ms. di Vincenzo Corazza, 1798 ca. Tra parentesi quadre indichiamo il numero di pag. originale. Nella trascrizione si sono rispettate
le forme grafiche e di interpunzione adottate dall’autore.
1
  S’intenda «MS. I», ossia la sez. I del Codice Corazza. In colonna sinistra: agg.=aggettivo; avv.=locuz. avv.; n.=nome; s. sostantivo; v.=verbo.
2
  Leggasi «Voce».
3
  Leggasi «Crusca», qui e a seguire.
4
  S’intenda p. 51 del presente ms.
5
  Si fa riferimento a F. Alberti di Villanuova, Nouveau dictionnaire francois-italien, compose sur les dictionnaires de l’Academie de France et de la Crusca, enrichi de tous les termes
propres des sciences et des arts ... Par M. l’abbe Francois Alberti de Villeneuve, dans cette premiere edition italienne nouvellement corrige, ameliore, & augmente, Bassano, Remondini, 1777.

[269]
§ che siegue «Dell’Alberi che occupano le trasforazioni l’un dell’altro. Quella parte dell’Albero sarà men trasfo-
rata, alla quale s’oppone di dietro in frà l’Albero, e l’aria maggior somma d’altro Albero…tutta la trasforatione
Perso in val. di Perduto dell’Alberi, è persa» (perduta) MS. f. 30. Alb. sotto ¶ senza es.°
Campo s. «Quali termini dimostrano le Piante nell’aria che si fa lor campo» Tit.° del § pr. del MS. a f. 31. (Es. che allarga la
defin.e de’ lessici).
Rinterzarsi v. «Le foglie siano in modo compartite sopra le loro piante, che l’una occupi l’altra il men che sia possibile, con
Rinterzamento n. s. rinterzarsi l’una sopra l’altra, et tal rinterzamento serve a due cose, cioè a lasciar l’intervallo dell’aria…et che le
gocce che cadono dalla detta foglia possa cader sopra…» (Es. che vale a mostrare non vera, o almeno non suffici-
ente la defin. che, presa dal Varchi, si dà nella Crusca. Qui manifestamente Rinterzare e Rinterzamento esprimon
la posizion delle foglie tale, che l’ombrello dell’aria sia sovra lo spazio vacuo, che frapponsi alle due foglie che
rimangon sotto). MS. f. 32.
Lume «Il lume de lumi, cioè il lustro di qualunque cosa» (cioè la parte che mostra o rende più forte lume agli occhi)
Lustro «non sarà situato nel mezzo della parte alluminata, anzi farà tante mutationi, quanto farà l’occhio riguardator di
quello». MS. f. 33-34.
Cruciale agg. «Corpo cruciale» «Lume cruciale» «Figura cruciale» (cioè aventi forma di croce). Lion. da V. MS. fol. 55, 56.V. che
manca ne’ Lessici.
Angolo grosso [4] È chiamato da Lionardo l’angolo che più o meno s’accosta al retto; o per dir meglio la caduta del raggio
più o meno luminoso sopra l’oggetto che più si scosta dalla obliquità: così per tutto il suo Tratt. della Prospettiva che ho alle
mani. Basti questo es. «quella parte della parete fia più luminosa… che da più grosso angolo… luminata fia» MS.
f. 58. Ma poi dichiarasi d’intender angolo più o men grosso quell’angolo che ha maggiore o minor basa, cioè
superficie donde partono i raggi, che quasi piramide, metton il vertice loro negli occhi: il che io non avea prima
ben compreso. Correggi colla nota Angolo grosso. p. 12.
Retroso agg. «Se la materia» (il corpo) «è miglior» (intendi maggior) «ch’è ‘l lume» (se l’aut. non ha scritto ch’el) «l’ombra sarà
simile à una retrosa, e contraria piramide, e la sua longitudine è senza alcun termine» (ben s’intende una piramide
il suo apice nel lume, od anche più rimoto che il lume dal corpo illuminato; e per ciò chiar ma retrosa la piramide
de’ raggi, la cui basa riman sempre nel lume, quando questo è magg. del corpo alluminato) MS. f. 61.
Tanti s. V. p. 9 «L’ombra FX sarà quattro tanti più scura, che l’ombra Z.G. perché è vista da quattro tanti più d’ombra» (MS. f.
Tanto 63). (formula che non è notata, e parmi chiara ed acconcia; e ben intendesi che due, o cinque tanti esprime due,
de contra o cinque volte tanto.)
Tingersi nel colore (e vale dinanzi, in faccia) «quella parte della superficie de’ corpi, che fia percossa da maggior angolo (v. angolo
grosso) delle specie de contra se posti corpi, più si tingerà nel color di quelle» MS. p. 63. E tinto in rosso il mar di
Salamina. Petr.6
Provazione s. (Ha la Cr. Questa V.7 in valor di Pruova. Halla Lionardo, che scrive provatione, e fa l’es. MS. f. 89.)
Columnale agg. (hallo in più luoghi Leonardo; basti «ombroso columnale» MS. f. 97 e per tutto sembra significare che ha fig. di
colonna, o cilindrica». e f. 110 «ha figura colonnale».)
Stremare Per diminuire, donde il rastremare degli Architetti (hallo Alb.8, e verisimilmente la Crusca, anzi lo ha per iscemare,
sminuire; ben manca, e nelle Giunte9 ancora, il rastremare degli Architetti). Ora al luogo del Vinci «in questi doi
luoghi comincia a stremare il lume» MS. fol. 99. (e qui il verbo è neutro; gli es. della Crusca sono di stremare attivo.
Schiarezza. [5] «non sarà alluminato d’uniforme schiarezza» (V. che manca per tutto10) MS. f. 101.
Assa. n.s. (La Crusca, e gli altri Lessici conoscon Asse pel nominat. sing. di questa V., la quale, avendo costantemente nel
plur. asse, dovea metter sospetto che nel singol. avesse avuto Assa. Ora eccone es., e n’avrà, particolarm.e negli ant.
scrittori, parecchi altri: «poni una sottile assa perforata» MS. f. 103.
Mistarsi «i raggi ombrosi divengono» (giungono) «à mistarsi, e turbidare il primo lume». (L’analog. da misto e turbato che
Turbidare val torbido, acconsentono in favore di queste V., comeché intralasciate da’ Lessici.) MS. f. 109.
Tramezzadura «una finestra senza alcuna tramezzadura» (cioè senza aver nel suo vano, o come dicesi, nella sua luce, corpo alcuno
che s’infraponga; come mostra la Fig. di Lionardo) MS. f. 122. Q.a V. manca.
Piramida n.s. «tocca il corpo…e fa sua piramida» (nel princ. di questo § a f. 122, avea scritto «Ogni corpo ombroso si trova infra
due piramide»; il che à analogo con la piramida sing.e V. che pur manca. MS. 123.) È pur V. analoga a piramidale,
piramidato e piramidalmente, che pur manca, avvegna che l’abbia Alberti; altram.te sarebbe piramide. Sono però
nel MS. altri luoghi, che hanno Piramide sing.e; nel plur. però sempre ha piramide, come se non avess’altro che
piramida nel sing. MS. f. 130.
Quadrangolo agg. «Nessun angolo può esser portato nell’obietto da raggi solari passati per lo quadrangolo spiracolo» MS. f. 134-135.
(manca al solito)
Spedito agg. «Nessun ombra partita dai Corpi ombrosi, e nessun lume passato per spiracolo haverà alla sua percussione doppo

6
  Leggasi «Petronio», qui e a seguire.
7
 Leggasi «Voce».
8
 Leggasi «Alberti».
9
 Il riferimento è all’edizione del 1568 dell’opera di Vasari.
10
  S’intenda nella Crusca.

Documenti
270
lungo concorso i suoi termini spediti (e val nitidi, precisi, expeditos, incerti, confusi.)» MS. f. 135. Via corta e spedita.
Petr.° senza imbarazzo.
Naviculare agg. «La luna di forma naviculare passata per lo spiracolo figurerà nell’obietto corpo naviculare» (figurerà, cioè rap-
Figurare v. att. presenterà la fig.a di cosa che avrà forma, o fig. di nave) MS. f. 139.
Planitie n. (astratto della V. Piano; V. che manca ne’ Vocab.) «per questa equalità di colore si prova l’equalità della planitie di
tal superficie» MS. f. 142
E qui hanno fine le Note sul Tratt.° MS de’ Lumi et Ombre, e sopra i Capit.i inediti del Trattato della Pittura, di
Lionardo da Vinci. Avvertasi che il Testo dell’Aut. non passa le pag. 144, che ho chiam.te fogli.
Colonnare agg. 11
«È egli raggio colonnare, o piramidale» (cioè i raggi vengon parelli12, o divergenti.) Il MS ha columnare qualche
volta. MS. 2.° p. 52.

[6] Vinci MS. secondo

Stoppato agg. «et benche ella» (l’animella che è nel fondo del bottino) «non fusse cosi ben stoppata» (quest’agg. manca in tutti
obturatus a u°.). MS. 2°. p. 8.
Distoppare v. «et poi distoppa ad un tratto il condotto da pie» (questo manca) MS. 2° p. 8.
Bombarda n. (in infiniti luoghi, presso Lionardo, questa V. vale Cannóne degli artiglieri; cosa ch’è nota per la Crusca stessa.) Sog-
giungo, ad onore degl’Ital.i, questo es.°, ch’è il Tit. d’un Capo del MS. secondo di Lionardo, che mostra l’artificio,
e lo spone con la figura.
Invitare v. «Bombarda grossa, che si carica di rietro, et un sol huomo l’invita et disvita» (l’uno e l’altro di questi due verbi
Disvitare v. mancano a significare la introduzione, e la estrazion della vite, o maschio. Solamente è notato il primo nel signifi-
cato di fare alcun invito.) MS. sec. p. 9. Alb.13 in ¶ ha svitare, scommetter le cose fermate colla vite; non l’ha tratto
dalle Giunte14 napolet., ignoro donde.
Vite senza fine «Il manico B è una vite senza fine» (cioè una vite, come usa chiamarsi, perpetua.) Li Franc. la chiamano vis sans
fin. Non sarà un francesismo il chiamarla col nome, che le dà il Vinci; ben potrebbe la V. de’ Franc. esser d’origine
Italiana, come altre non poche. MS. sec. p. 9.
Flammea n.s. «è una palla composta…con punte acute» che gettasi con corda a uso di fiomba (così Lion.°) alle navi per incen-
diarle. Vinci ne dà la compos. per minuto, e dice che un tal fuoco si domanda fuoco greco, et è cosa mirabile e

}
* Crucida n. abbrugia ogni cosa sotto l’acqua. Non mi conviene sporne il magistero. MS. sec. p. 12 e 13.
* Filocroto n. (ognuna delle 4 V. qui notate * significa una palla di fuoco greco come quello della Flammea; e sono palle da lan-
* Lampade n. ciare in varj modi, e che s’appiccano in varie guise a’ luoghi contro de’ quali si scagliano. La compos.e ha qualche
* Arzilla n. diversità dalle flammee. MS. 2.° p. 13. forse Crucida15 dalla fig. sua. Crucida assolut.te.
Buso n.s. «lasciato un buso in detta palla» MS. sec. p. 14. La Cr. l’ha solo agg.
Folgorea «È una bombarda» (cioè un Cannone) «la quale ha il vacuo della sua coda» (qui vale culatta, signif. notata dalla
Coda n.s. Crusca) «in forma sferica, al centro della quale capita una sottil cannicola» (forse l’aut. avrà scritto Cannicella; che
Cannicola n. che sia, la Cr. non ha veruna di queste due V.) «di ferro proforata sottilmente, il qual foro sia pieno di fina polvere,
e questo si fa per due ragioni, prima che arrivato al centro della bombarda il fuoco, che passa per la cannicola
(schietto), accende in un tempo tutta l’altra polvere che si trova calcata in essa palla. 2a, che buso della bombarda
non si consuma» (mi sono allung.° perché appaia l’originalità Ital.a della invenzione, che altri si sono appropr.ta)
MS. 2.° p. 14-15.
Clotobrot [7] «È una palla piena di schioppetti…che s’adopera à gettar dentro à un bastione, et non vi è rimedio à vietare
Rivellino n. il suo pestilente officio et così è buono à gettar dentro à una gran nave ò rivellino, o mura» (Quì rivellino penso
che significhi altro, da quello ch’esprime ora; perocché altra è la moderna archit. militare, né so che le cortine del
sec. XVI. appena cominciato, avesser difesa di revellino, come oggi; né veggo a che servissero i Clotobrot lanciati
sopra i nostri Rivellini, che non ritengon soldatesca, né uomini racchiusi.) MS. 2.° p. 15-16.
Soffione «faccendovi dentro» (ad una palla composta d’artifici con polvere da fucile) «un soffione che all’ultimo dia fuoco
al centro di tutti gli schioppetti» (così soffione vale presso Lionardo lo stesso che appo noi un cancello, per lo più,
di carta grossa, riempiuto di polvere che sta accesa qualche tempo, e vale a metter fuoco nelle materie alle quali
si avvicina.) MS. 2.°. p. 16.
Raggio n. «et siano li schioppetti longhi un brazzo, et siano di carta a uso di raggi» (equival. a’ razzi della Cr. sorta di fuoco
Schioppetti lavorato; e Schioppetti altresì sono canne, come s’è detto, caricate di palle, e racconcie dentro a grosse palle alte due
braccia, e gettate da trabocchetti, macchine che sollevano e lancian lontano i corpi, onde son caricati.) MS. 2.° p. 16
Rocca n. «i denti della rota B si posano su la rocca della rota C» (la figura dell’Aut.e mostra, da non lasciar dubbio, che rocca
in questo luogo equivale alla parte della rota, che generalmente chiamasi barile (MS. 2.° p. 21.) Ivi appresso: «un
carro di quattro rote una sopra l’altra» (nel modo qui sopra) «sarà terribile, se farai le rote e le rocche colla misura

11
  Si tratta del primo vocabolo del «MS. II», ossia della sez. II dell’apografo.
12
  Leggasi «paralleli».
13
  Leggasi «Alberti».
14
  Leggasi «Giunte» al vocabolario della Crusca.
15
  Le parole «forse Crucida» appaiono depennate.

Termini di arte
271
soprad.a 100 lib. di forza tira un millione et m/144 lib.e» (MS. 2.° p. 21).
Cicognola n. Nome s.° diminuito da Cicogna, che la Crusca scrive Cicogna, ed è strumento meccanico appartenente all’attingere,
derivare, o comunicar acque «mettevi la cicognola» et ivi appresso «la cicognola N.M.E. è buona, quando la rocca
havesse polo» MS. 2.° p. 27-28 (di rocca Vedi qui sopra).
Retroso n. s. «la mano voltata in moto circolare in un vaso mezzo d’acqua genera retroso accidentale…et poiche il suo motore»
(la mano sua) «sarà fermo, esso retroso seguirà il medesimo moto, ma sempre diminuirà in sino al fine dell’impeto,
in bilanza che li congiunge il suo motore» MS. 2.° p. 28-29. «Il peso S… si ferma in bilanza contra a’ uno in D» (e manife-
stamente significa in bilico, stare in equilibrio. La Cr. hallo avvertito a suo luogo. Quindi bilanciare di che altrove.)
MS. 2.° p. 33. Il nostro Aut. ha Bilancia e Bilanza promiscuamente, ed anche in questo §.
Valetudine [8] «tal inventione è di poca valetudine» (cioè val poco. La Cr. dà tal valore a questa V.) MS. 2.°. p. 37.Vedi p. 12.
Pelle «La pelle del quale mercurio sia di bassezza insensibile» (qui è manifestamente la superficie somma) MS. 2.° p. 43.
Vedi p.12.
Simulacro «Il sole che da nelli specchi fa che il simulacro non passando dentro reflette in fuori». Species, che non è solo la
Statua della Crusca, non è questo il solo es. che trar puotesi da Lionardo, che usa di questa V. come i Latini, e nella
sua proprietà. MS. 2. p. 49. ed a p. 50-49 «se terrai l’occhio vicino alla superficie dell’acqua di quel mare o stagno
che s’interpone in frà l’occhio tuo e’l sole, tu troverai il simolacro del sole in tal superficie dimostrarsi picciolis-
simo» (il MS. ha costantemente simolacro. La Cr. non ha altro, che simulacro.)
Assis Lionardo in più luoghi, alla p. 56 del 2.° MS. chiama assis dell’angolo d’incidenza quella linea retta che serve d’asse
alla piramide de’ raggi, che da un corpo luminoso partendo, mette col suo apice nell’oggetto illuminato, e cade in
guisa da farsi d’intorno angoli uguali. Basti il loco seguente «l’assis dell’angolo dell’incidentia termina sempre infrà
infiniti angoli equali ciascun per se al suo corrispondente». MS. 2.° p. 56.
Atto nato agg. Aptissimus a «ogni superficie di corpo transparente, cosi dentro, come fuori è atta nata à ricevere li simulacri d’essi
obietti» (È acconcissima per ricevere. La Cr. non ha questa V. Alberti halla e ne fa una V. sola; ma confonderebbesi
con attonato, che valesse da intonato. Ma questo mio scrupolo non rileva altrim.te) MS. 2.° p. 68.; ben vale la nota
per l’es. di cui manca la Cr.a, poiché non ha la V.
Zaina «Fa fare due zaine, che ciascuna di loro sia parallella». L’Aut. ne da la fig. in disegno; e queste sono come due piani
circolari, al perimetro de’ quali si levan perpendicolarmente, come orli nel fondo d’una scatola, de’ labbri che li
circondano. Questa V. che assolutamente manca in tutti i Vocab., non può aver relaz. alcuna col zaino pastorale:
Lion.° ne ha detto assai colla fig.a, pure riman da cercarne il valore in Tosc.a (MS. 2.° p. 69.) La Fig. appare quella
di due tamburelli o timpanetti, quali usan qui di percuotere per allegria e ballando, le femminelle e i fanciulli.
Aunque «aunque si potrà vedere» MS. 2.° p. 76. (se non è error di penna, val l’adunque usato. Se con altre scritture si con-
ferma questo aunque, com’io auguro, ecco spieg.° perché adunque non abbia raddoppiata la d ad onta del raddop-
piar che fa la consonante che siegue, l’a quando compone. Qui non è l’a che compone, ma sì un d che si frappone
per agevolare la pronunzia.) Vedi le Voci.
Toglier mira [9] «come chi toglie mira al bersaglio» MS. 2.° p. 77.
Intento «ora concludendo il nostro intento» MS. 2.° p. 78.Vedi add.°� intento.
Diraggiato agg. «et sii diraggiato esso simolacro» (cioè spogliato de’ suoi raggi) MS. 2.° p. 79.
Lineale agg. «et di qui nasce la prospettiva lineale (se l’Aut. non ha anzi scritto lineare, come oggi si scriverebbe; ma veggasi se
continui a chiamarla così.16) MS. 2.° p. 80.
Specchio colmo, e convesso «Se anteporrai la linea AB allo specchio colmo» e vuol dire allo specchio che accosta la sua curvità alla d.a linea»
(come dalla fig.) «diminuirà la d.a linea» (nella immag. dello specchio) «e se porrai la linea dinanzi allo specchio
convesso» (che non scosta dall’ogg.° la sua curvità) «crescerà» (la sua immagine apparente in d.° specchio) MS. 2.°
p. 86.
Discrescere «la popilla la quale cresce et discresce mediante la chiarezza del mezzo che si trova in fra l’occhio e’l corpo lumi-
noso.» MS. 2.° p. 86-87.
Disuniforme agg. «quella cosa d’uniforme grossezza, e colore, che sarà veduta in Campo di disuniforme colore, si dimostra di disu-
niforme grossezza». MS. 2.° p. 87.
Ingegni s. «Ingegni per cavar acqua» (all’Ind.17 de’ Capi). MS. 2.° p. 88-89.
Confregazione s. «Instromento deve descender dritto, e senz’alcuna confregatione.» La Cr. non ha altro, che Confricazione. MS. 2.° p. 91.
Occhiale s. «Occhiale di Christallo, come dev’essere» (l’Aut. intende semplicemente un vetro unico lavorato in maniera da
mostrar l’oggetto più grande di quello che veramente è) MS. 2.° p. 91.
Angolo della Contingenza «Dell’angolo della contingenza» (che diciam del contatto) MS. 2.° p. 92.
Labri degli occhi «nel restringer li labri delli occhi» (qui, e in più altri luoghi, l’Aut. chiama labbri degli occhi l’estremità delle pal-
pebre, che si combaciano quando si chiudon gli occhi) MS. 2.° p. 92.
E qui hanno fine le Note sovra il MS. secondo di L. da Vinci

[10] MS. 3.° di Lion.° da Vinci presso di me

16
  In realtà il termine compare una sola volta nell’apografo.
17
  Leggasi «Indice».

Documenti
272
Tanto «la corda F durerà tre tanto fatica» (Vedi p. 4 Tanti (MS. 3.° p. I.) siegue «perché si muove tre tanti più veloce che B.»
Retroso n.s. «L’Argine, che fia tirato in dentro per dar maggior larghezza, al Canale fia causa di generar sub.° retroso, il quale
trivellerà, e profunderà il pié dell’acque, e fia causa di sua ruina.» (retroso è ciò che diciam vortice; il rivolgimento
che fassi nelle correnti, quando alcuna volta una parte dell’acque, lasciando la direzione e il corso dell’altre che
muovonsi con lei, s’avvolgon con moto spirale turbinato attorno ad una retta, che guarda il fondo del canale, per
cui scorrono. La Crusca scrive Ritroso, ne hà Retroso, come sempre Lionardo). MS. 3.° p. XX-XXI.
Semicolonnale agg. «La semplice onda semicolonnale si genera in qualunque minuto obietto congionto con l’argine, nel qual l’acqua
che vi percote fa un’onda longa in forma di mezza colonna che si drizza per obliquo all’opposta riva, e lì muore,
e rinasce». (Dalla fig. appare un’onda che percuote obliquamente l’argine opposto, e quinci riflette obliquamente
nell’arg.e opposto, seguendo quasi rimbalzata per ugual angolo il suo corso.) MS. 3°. p. XVII.
Terminare v. in significato di determinare, Alb.18 ¶ ha un es.° tratto dal Morgante; la Cr. tace; giovi questo di prosatore19 «Qui
bisogna nel Commento terminar la distanza delli ristringimenti dell’argine, e le larghezze» MS. 3.° p. XXIII.
Argine s. f. «Poni nel principio ciò che può fare un fiume d’equal profondità, et obliquità di fondo nella sua argine» MS. 3.°
p. XXIV. e così più volte.
Specchiare v.° «Quando la luna è all’Oriente essa specchiarebbe altre macchie, che quando essa ci è di sopra, ò quando essa è in
Occidente». (Qui come appare dal testo Specchiare vale guardare, inspicere, aver dinanzi nel modo istesso come
nell’es.° a p. 2.20) MS. 3.° p. XXXVI e quivi presso:
Specchiato agg. «La cosa specchiata nella convessità» (dello sp.° convesso) «piglia picciola parte d’esso specchio» MS. 3.° p. XXXVII.
Mondo s. Con questa voce Lionardo intende continuamente il globo terracqueo che noi abitiamo. Basti il seguente es.° «le
cose alte non restano in loro altezza, ma col tempo tutte discenderanno, e cosi col tempo il Mondo resterà sferico
e per conseguenza fia tutto coperto dell’acqua, e le vene sotterranee resteranno immobili» MS. 3.° p. XXXIX.Vedi
ancora MS. 4.° L. 1.° c. 421.
alla China [11] «L’huomo che caminando attraversa tutto un sito piano, và prima alla china, e poi altretanto all’erta.» Vedi p.
all’Erta 2. MS. 3.° p. XXXXI.
Litta n.s. «Se li monti non fossero in gran parte restati scoperti, li corsi de’ fiumi non havrebbono potuto portare tanto di
litta dentro al Mare» (la più minuta materia, che fa letto all’acque del mare. È voce milanese ch’esprime anche
materia fangosa.) Tit. d’un § del MS 3.° p. XXXXVI.
Fontanile s. è voce da richiederne il signif.° a’ Milanesi. L’adopera Lionardo nel suo § Del Canale di Marsignana22; e sembran
serbatoi, ne’ quali ricevere e conservar acque, che sperderebbonsi altramente. MS. 3.° p. XLI.
Angolo della Contingenza Equivale ad Angolo del contatto, che fassi da una retta, la quale è tirata sopra l’estremità d’un raggio di circolo al
suo perimetro, e spandendosi dall’una, e dall’altra parte, fa con esso raggio angoli uguali.Vedi p. 9. «se la linea BD
Contingente agg. sarà contingente al Cerchio tale contatto sarà il detto angolo della Contingenza» MS. 3.° p. LV.
Spiaggia n. «questo sito» (per cui passando il fiume entra nel mare) «è più tosto da esser detto spiaggia che pianura» (perocché)
Pianura «termina in tal modo con la sfera dell’acqua, che chi la producesse» (la pianura) «in continua attitudine» (e vuol
Attitudine dire chi producesse nel mare la linea di questa supposta pianura) «entrarebbe sotto il Mare». MS. 3.° p. LV-LVI.
Attitudine equival rettitudine, che non muta atto atteggiam.to.
Bottino n. Per ricettacolo d’acque è nell’Alberti ¶ senza es.° «quella» (acqua) «che discende da più alto sito del suo bottino».
MS. 3.° p. LVIII.
Circonvolubile «il sasso gettato dal moto circonvolubile del braccio del huomo» MS. 3.° p. LIX.
Torbine n. «il sale è inseparabile» (nell’acqua del mare) «mà la torbine dell’acqua si separa col caldo e con la quiete». MS. 3.°
p. LXI.
Pannicolo s. Sembra che l’Aut. usando di q.ste V. in materia d’acque, specialmente cadenti, intenda l’acque che mostransi
e Pannicolato agg. quasi unite in un volume o corpo continuato.Vedi il luogo seguente dove sembra esporre il concetto di questa V.
«l’acqua che per angolo concavo versa in frà l’aria sta pannicolata, il qual pannicolo si continuerà più in quel lato
dell’angolo dove tal angolo havrà magg.r contatto, e dall’opposto lato il pannicolo risalterà à fare congiontione al
primo, a modo di guaina aperta». MS. 3.° p. LXII.
Valetudine [12] «La valetudine di tali pannicoli è nel fare una fonte, che getti acqua con varie figure di pannicoli». Vedi p. 8.
MS. 3.° p. LXIII.
Pelle (per la somma esterior superficie Vedi p. 8) «L’acqua di tal lago sarà con la sua pelle con distanza varia dal centro
del mondo» (cioè della terra.V. mondo) MS. 3.° p. LXV.
Discrescere «la sfera dell’acqua cresce e discresce…secondo li maggiori, ò minori deluvii». MS. 3.° p. LXXI.V. p. 9.
Confregato agg. «Dove l’acqua è più veloce più consuma il fondo da lei confregato». MS. 3.° p. LXXII.
Angolo grosso che truovasi in più luoghi del nostro Scritt.e è sempre l’angolo di più superficie, o sia l’angolo solido, ch’eccede i
gr. 90.: non giova recar altri es.Vedi p. 4.

18
  Leggasi «Alberti».
19
  La frase è incomprensibile, anche perché seguita dalla citazione del testo dell’apografo.
20
  S’intenda a p. 2 del glossario.
21
  Leggasi «Libro 1 Capitolo 4».
22
  Nell’apografo si legge in realtà «Marsigana».

Termini di arte
273
Disuniforme «Del moto delle cose di disuniforme obliquità per l’acqua» MS. 3.° p. LXXXIII.
Dar volta (la cosa) «di disuniforme obliquità per l’acqua d’uniforme corso s’anderà sempre voltando essendo dentro alla
superficie dell’acqua, e quella» (cosa) «d’uniforme obliquità mai darà svolta» (Espress. non notata, né a Volta, né a
Dare.) MS. 3.° p. LXXXIII.
Flettuoso agg. «qual cosa è quella che fà il moto della saetta ò vero folgore esser flettuoso, e piegabile in tanti aspetti» MS. 3.° p.
Piegabile agg. LXXXVIII. (Mancano queste V. entrambe). Più sotto, ivi «moto flettuoso curvilineo».
Boccalare n. «piglia la rota delli Boccalari» (cioè de’ vasai in creta; che così pare dalla fig. Il nostro Malvasia nella pr. ediz. delle
V. de Pittori di Bol.23, montato in collera chiamò un sommo Pitt. Boccalaio, per essere stato a questo impareggiabil
̰
Mro attribuite le pitture sovra certi vasi di creta. Fece un grosso errore così chiamando Raffaello; non però sod-
disfece alla Crusca meglio del nostro L.° da Vinci. La Crusca non ha ammesso né Boccalare, né Boccalaio.) MS.
3.° p. LXXXXIV.
Chiusa n. s. «Dell’acqua che cade dalle Chiuse de’ fiumi» (e più basso) «Dell’acque che per diluvii descendono per le Chiuse
de’ fiumi» (queste poche parole escludono la defin. Riparo che Alb. trae dalla Crusca, la quale non parla di questa
V. applicata al corso dell’acque. I Bologn. intendon altro, col Vinci nostro MS. 3.° p. CIV. Vedi Guglielmini24.)
Giaretto [13] «Ho veduto movimenti d’aria tanto furiosi, che hanno accompagnato, e mesto» (intendo mess’insieme,
quantunq’io non abbia es.° di questa V. da mescere, rimescolare) «li grandissimi alberi delle selve, e li tetti intieri
Revertiginoso di gran Palazzi, e questa medesima furia fare una buca con moto revertiginoso, e cavare un giaretto» (intendo uno
Giaretto n. spazio di terra composto di ghiaje) «e portar giara, rena, acqua più d’un mezzo miglio in aria.» (Ness. delle V. lineate
Giara n. si truova in alcun Vocab.) MS. 3.° p. CXX.
Nuvola e Nuvolo promiscuamente in Lion.°, così «scrivi come le nuvole si compongono» MS. 3.° p. CXXI.
Giaccio n. Non è V. introdotta da uso recente «del restringere l’acqua, e farsi dura in giaccio» MS. 3.° p. CXXI.
Caldara n. «il fuoco penetrato…per il fondo della Caldara» (la Crusca ha Caldaja, Caldajo, Caldaro; non ha Caldara.) MS. 3.°
p. CXXII.
Terminatamente «dico tal occhio non potere speditamente e terminatamente vedere li termini di tal obietto» (e vuol dire che i
termini d’esso obietto rimarrannogli oscuri e indecisi; non gli vedrà precisi e spiccati. Non mi sembra che gli es.
della Crusca dican nulla di uguale.) MS. 3.° p. CXXXI.
Labri degli occhi «come li raggi che si vedono intorno à un luminoso nel restringere li labri dell’occhi si generan nell’occhio e non
altrove» Vedi p. 9. MS. 3.° p. CXXXII.
Diraggiato agg. «e sii diraggiato esso simulacro» MS. 3. p. CXXXV. Vedi p. 9 (privato de’ raggi).
Solio agg. «Se i lati del Canale dove descende tal acqua saran solij, ò globosi, o retti, o curvi» solio agg. per liscio usasi da
mercatanti in qualche parte della Lombardia, che non saprei ora indicare precisamente; ben so io però che nella
patria di cui sono, una stoffa, un drappo in opera, per es.° a fiori, non chiamerebbesi solio, come un ammuerre, o
un lustrino semplice e d’un color solo. Avverto qui che le Voci de’ Bolognesi, più comuni sono quelle (fra gli altri
dialetti) che s’avvicinan più alle antiche V. degli Scrittori toscani; così che a scrivere e ad interpretare, l’un linguag-
gio può assai giovare all’altro. Ma non è questo il luogo di tal argomento. Solio dunque, a giud.° mio, è liscio; e
così confermasi pel Testo. MS. 3.° p. CLIII, ch’è l’ultima.

[14] Lionardo da V.i MS. 4.° Moto e misura dell’Acque


Si cita per Lib. e Cap.

Pelago «Pelago è detto quello, il quale ha figura larga e profonda, nel quale l’acque stanno con poco moto» Lion.° da
Vinci MS. 4. L. 1. c. 1.
Gorgo «Gorgo è di natura del Pelago; salvando la variatione d’alcuna parte…l’acque ch’entrano nel Pelago sono senza
percussioni e quelle del Gorgo sono con gran cadute, e ribollimenti e sorgimenti fatti dalle continue rivoluzioni
dell’acque» MS. 4. L. 1. c. 1.
Cannale «Cannale si dice dell’acque regolate in fra argini per humano aggiuto» MS. 4.° L. 1. c. 1.
Fonte «Fonte è detto nascimento de’ Fiumi» MS. 4.° L. 1. c. 1.
Lago «Lago è quello, dove l’acque de’ fiumi pigliano gran larghezza» MS. 4.° L. 1. c. 1.
Stagni «Stagni sono luoghi ò ver ricetti d’acque scolatizze, o piovane, che per esser li loro fondi stagni e densi, la terra non
Scolatizzo agg. può bere, né asciugare tali acque» (la Crusca non ha Scolatizzo agg., né Scolaticcio; e neppure ha stagno agg., che
Stagno agg. qui vale per la proprietà del non imbeversi, ridotta ed espressa in questo nome agg.) MS. 4.° L. 1. c. 1.
Pozzi «Pozzi sono le subite profondità de’ Fiumi. Barratri» (così) «sono ancora luoghi di subita profondità» MS. 4.° L. 1.
e Baratri c. 1.

}
Spiaggia «Spiaggia fia nell’ultima bassezza de’ luoghi, che terminano con l’acque» (Vedi la n.a 25 a spiaggia. p. 11.)
A falde «Li sassi si compongano à falde overo à gradi, secondo li scaricamenti delle torbolenze portate dal corso de’ fiumi.
A gradi MS. 4.° L. 1. c. 1 (La Cr. ha turbolenza, non torb…, quantunque abbia torba s.° torbo agg., torbido, torbidezza.
Torbolenze

23
  C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, Bologna, erede di D. Barbieri, 1678.
24
  Corazza si riferisce all’opera di D. Guglielmini, Della natura de’ fiumi. Trattato fisico-matematico, Bologna, Eredi di A. Pisarri, 1697.
25
  Leggasi «nota».

Documenti
274
Giarra n.s. «Le giarre sono create dal corso de’ fiumi, e al fine consumate. Le giarre sono tanto minori, quanto il Fiume, che
le genera, è più vicino al pelago. L’Arena è Giarra minutissima». Qui la V. Giarra è manifestamente Ghiaia, e manca
nel Voc. Avvertasi che non solo ha significato qualunque sasso generato ne’ fiumi, ma sì pure gli strati o banchi de’
med. sassi; come che non me ne sovvenga es.°, fuor quello dell’uso, per cui abbiamo Giarra d’Adda. MS. 4.° L. 1. c. 1.
Pelago «Pelago è detto quello il quale ha figura larga e profonda, nel quale l’acque stanno con poco moto» MS. 4.° L. 1
c. 1. (serve al § Giarra.)
Sommergere [15] «Sommergere, s’intende le cose, ch’entrano sotto l’acque». Con questo es. di Lionardo non era bisogno dichia-
rare il valor della V. MS. 4.° L. 1. c. 2.

Risaltazione Rivesciamenti.
Risaltamento Ruinamento. Rigamenti. Ricascamenti.
Sorgimento Furiosità. (hallo Alb. ¶) Sbalzamento.
Urtatione Commistamento. (La Cr. ha commisto agg., né altro)
Confregatione Ondazioni. (n’ha usato il P. Bartoli nel suo Tratt. del Suono26)
Arriversare Corrusione. La Cr. ha Corrosione. (La Cr. non ha alcuna delle sudd.e Voci, che rimangon segn.e fra ≈ . Halle Lion.
MS. 4.° L. 1. c. 2, e ne recheremo gli es. quando ne farà uso nel Tratt.° �Qui le propone come «Vocaboli usitati nella
materia dell’Acqua».)
Stabilità Lion. parlando dell’Acqua «stabilità la corrompe»: non è altro, che pura privation di moto; nel qual senso manca
ne’ Vocab. MS. 4.° L. 2. c. 3.
Principato Lion. parlando dell’acqua «Ha il principato del suo corso» (cioè la massima sua velocità) «alcuna volta à mezzo,
alcuna volta in fondo, alcuna volta di sopra» MS. 4.° L. 1. c. 3.
Tirarsi v. «le gocciole dell’acqua…si tirano l’una all’altra» (attragonsi. Nota il 3° caso in luogo del 4.°) MS. 4.° L. 1. c. 4.
Seguitare v. «e movendosi da se, seguita, ch’ella» (parla dell’acqua) «descende» (seguita vale ne viene per conseguenza) non
noto nella Crusca MS. 4.° L. 1. c. 5, et ivi «seguita che C. resta immobile» MS. 4.° L. 1. c. 5.
Muoversi a (per verso) «dato un piano d’acqua nella superficie della sfera dell’acqua, li estremi si moveranno al mezzo di tal
piano». MS. 4.° L. 1. c. 6.
Mondo s. «Il centro della sfera dell’acqua è il centro vero della rotondità del nostro Mondo, il quale si compone in frà acqua,
et terra in forma rotonda» (si sono recati altri esempli di Mondo per Terra; questo evidentiss. dee bastar per tutti,
e debb’esser presente per intender bene un importantiss. luogo del nostro Aut. che contiene il germe del sist.
Newtoniano su la universale Attraz.ne) MS. 4.° L. 1. c. 9.
Dentro a di se «della sfera dell’acqua, come ella contenga dentro à di se il corpo della terra senza distruttione della sfericità della
sua superficie» (un tal uso della prep.ne dentro; o per dir meglio della particella a col genit.°, non l’ho ved.to notarsi
da alcun Gram.co Vocab.°) MS. 4.° L. 1. c. 14.
Argine [16] «tutta quell’acqua che si trova dal fine di detta tagliata argine» (Vedi qui p. 10; né in alcun si porteranno altri
esempli di questa V. fatta spesso ma non sempre dall’Aut. del minor genere.) Lion. da Vinci MS. 4.° L. 1. c. 16.
Tagliatura (non è il solo tagliare, come par detto dalla Crusca, ma sì pur anche il taglio fatto) «passa per essa tagliatura». MS. 4.°
Levità n. L. 1. c. 16.; et ivi app.° «dalla tagliatura in giù nessun elemento semplice ha gravità, o levità» MS. 4.° L. 1. c. 21. (Ha
la Cr. un solo es. tratto da Gal. Galilei; s’aggiunge perché si riconosca V. ant.a, e non tecnica e propria del Gallilei.
agg.27 «nella sua propria sfera».)
Revertiginoso agg. «l’elevatione dell’elemento flessibile ch’esce dal più grave è fatto per linea longa et revertiginosa» (Vedi p. 13. parla
de’ corpi che più lievi del fluido, in cui trovansi immersi, liberandosi dal fluido che lor sovrasta, cercan di mettersi
a galla.) MS. 4.° L. 1. c. 24.
Levificare v. «l’aria acquista levità…nella creatione dell’impeto, che levifica l’acqua, et la move contro al natural corso delle cose
gravi»; questo verbo non si truova in alcun vocab. MS. 4.° c. 26.
Ammontarsi «è necessario che l’acqua s’amonti in tanta altezza» (la Crusca ha Ammontare att.° solamente.) L.° da Vinci MS.
4.° L. 1. c. 28.
Ringorgare v. att. «quella parte» (d’acqua) «che descende contro alla già detta corrente, ringorga tal corrente in modo, che l’acqua
superiore della medesima corrente si ritarda» (la Crusca non ha altro ringorgare, fuorché il neutro, che vale per
gonfiarsi). MS. 4.° L. 1. c. 28.
Baga n.s. «essendo una baga nel fondo dell’acqua d’un pozzo, la qual baga tocchi tutti i lati del pozzo in modo che ac-
qua non possi passare sotto lei, questa baga, essendo piena d’aria, non farà minor forza d’andare alla superficie
dell’acqua, et ritrovare l’altr’aria, che si facci l’acqua à volere toccare il fondo del pozzo» (la fig. di Lionardo mostra
il valore di questa V. Cotesta fig. esprime la cavità di un pozzo, che nella più bassa parte è divisa in tre strati, de’
quali il superiore è notato acqua; il medio, Baga, e l’infimo, Acqua). MS. 4.° L. 1. c. 35.
Livellare agg. «la linea livellare e la centrale s’intersegano…o si congiungono in rettangolo» MS. 4.° L. 1. c. 37. Manca la V. ne’
Livellario agg. Vocab. tutti; ed app.28 «che l’acqua…si possa relevare per se all’altezza livellaria» (ivi).

26
  Cfr. D. Bartoli, Del suono de’ tremori armonici e dell’udito, Bologna, P. Borrelli, 1680.
27
  Significa «si aggiunga» alla proposizione citata.
28
  Leggasi «appresso».

Termini di arte
275
Discrescere v. «il lago del sangue, dove cresce et discresce il polmone» MS. 4.° L. 1. c. 39.
Attrattore agg. «il caldo della sfera del foco di tale nuvolo attrattore» MS. 4.° L. 1. c. 44 (la Cr. ha attrattrice con un es. di Salvini:
abbia attrattore con un es. di Lion.°).
Granicoli [17] «li moti delli granicoli humidi composti dalla materia de’ nuvoli sono di più tardo moto» (Vale piccoli grani,
e parla delle particelle che s’alzano a formar pioggia) MS. 4.° L. 1. c. 44. dove ripete questa V. mancante ne’ Vocab.
Equigiacente «Se la goccia sarà sopra piano equigiacente» (Vale se ‘l piano farà angolo retto con la linea della caduta.) MS. 4.° L.
1. c. 48.V. ottima che manca del tutto.
Spanso agg. «L’acqua posta in vaso spanso» (vale dilatato, spanso, che ha maggiore apertura, che fondo. Questa V. manca). MS.
4.° L. 1. c. 49.
Circonvolubile agg. «Il moto circonvolubile è quello, che viene cagionato dal moto reflesso con l’incontrarsi nell’acqua vicina, che
percotendola, si va, in se medesima raggirando» MS. 4.° Lib. 2. c. 5.Vedi p. 11.
Inprincipio «sarà più lungo il moto continuato,…che quello, che tante volte dall’incidentie è interrotto, ancora, che
nell’inprincipio dell’impeto» (Vedi le V. popolari del buon F. Ildefonso.) MS. 4.° L. 2. c. 8.29
Colli delle giare «il moto» (della corrente) «si drizzerà ò all’argine, ò al mezzo, o in tanti varij luoghi, quanto fiano varij li pennelli»
Pennelli (è da intendere gli spazi occupati, e loro alture) «de’ colli delle giare, che sono lasciate nel fondo doppo la predetta
corrente» (colli, secondo il nostro Aut., sono le prominenze, così chiamate metaforicam.te, per certa somiglianza):
ne ho tralasciati esempli, che noterò all’incontrarli novamente. Ancora notisi che giare qui vale lo stesso che giarre
altrove. MS. 4.° L. 2. c. 18.
Ruinare v. «Li fiumi d’equal fondo, et larghezza, quali ruinano al lor fine, corrono più di sopra, che di sotto» praecipites agun-
tur. Non è forse necessaria questa Giunta; se già l’applicaz. all’acque nol desidera. In fatti manca l’esempio nella
Cr. MS. 4.° l. 2. c. 34. et ivi «li fiumi ruinando al lor fine.»
Fondale agg. «è necessario che questo fondale corso si raddoppij.» (cioè il corso dell’acque che più son vicine al fondo) V. che
manca al tutto. MS. 4.° L. 2. c. 38.
Globulenze «se il fondo fia dritto senza globulenze». MS. 4.° L. 2. c. 40. (manca ne’ Cap.i)
Baga n. «Di una bacchetta, che sia di sopra infilata in baga, e di sotto in sasso, quella parte che avanza di sopra alla baga,
Avvenimento se penderà in verso all’avenimento dell’acqua, correrà l’acqua più in fondo, et se detta bacchetta penderà verso il
accessus. fugimento dell’acqua, correrà il fiume più di sopra che di sotto, et se resta diretta la bacchetta, il corso sarà di pari
Fuggimento velocità di sotto et di sopra». La fig. mostra una verga con due globi, un de’ quali il sasso, l’altro verisimilmente una
recessus. sferuccia vuota. Avenim.to è spiegato da fuggimento. MS. 4.° L. 2. c. 42.
Assai molto [18] «l’acqua percossa in detto obietto si levarà assai molto, toccando con il suo risaltamento la cosa opposta per la
Assai meno sua altezza; et se metterai…l’acqua percossa in detta oppositione risalterà assai meno.» MS. 4.° Lib. 3.° c. 16.
Risaltazione n. «se due acque concorreranno à un medesimo obietto, la risaltazione della parte dell’acqua» MS. 4.° Lib. 3. c. 17.
Onda. n. «L’onda è impressione di percussione reflessa dell’acqua» MS. 4.° L. 3. c. 3.
Rompersi v. «L’acqua cadente dal colmo della sua onda più si rompe in schiuma dove ella trova più resistenza.» MS. 4.° L. 3. c.
27. ed a c. 28.
Rompere «L’onde rompono contro il corso del fiume, et non mai per il verso del suo corso.» MS. 4.° L. 3. c. 28. (più sotto) «et
però l’onde de’ fiumi rompono contro alla lor corrente». Ivi. E nel Capo seguente «l’onda del mare rompe contro
l’acqua, che refugge dal lido…l’onda più si rompe dov’ella trova più resistenza» MS. 4.° L. 3. c. 29.
Scavalcato agg. «benché l’onda, che termina con la terra sia l’ultima delle compagne et sia sempre scavalcata, et somersa dalla
penultima» MS. 4.° L. 3. c. 36 (qui scavalcare non è levar da cavallo, come la Cr. solam.te conosce)
Tardare v. non pass. «l’acqua…tarderebbe…se ella fosse quantità discreta, ma per essere di quantità continua, egl’è necessario, che
l’un’acqua spinga et l’altra tiri per esser congionte» (interterrebbesi, s’arresterebbe) MS. 4.° L. 3. c. 39.
Culmine n. «il culmine dell’onda è tardo» (cioè il moto del culmine, rispetto al moto della valle, che fassi tra onda, e onda) la
Cr. ha un solo es. tratto dalla Fiera. MS. 4.° L. 3. c. 46.
Dar piega v. «l’onda sopragionta dalla» (onda) «più alta et più unita resta vinta, et è la prima à dar piega» (a volgersi) MS. 4.° L.
3. c. 76. (manca nella Cr.)
Coprire di alcuna cosa «L’acqua che corre in superficie nel coprire, ch’ella fa di se le a lei sottoposte onde…non si torce dal suo dritto
camino» (non mancano esempli nella Cr. del genit. dato alla cosa onde si cuopre: tornerebbe anzi trovar esempli
che confermasser l’uso, che attribuisce il d° caso unito a con, a ciò di che si cuopre. Per tale ogg.° ho notato
quest’es. di Lionardo.) MS. 4.° L. 3. c. 84.
Retroso n.s. «Retroso» (dell’acqua) «è impressione di percussione reflessa circonvolubile fatta, ò nell’acqua, ò nell’obietti
dell’argine, ò del fondo. MS. 4.° Lib. 4.° c. 1. (La Cr. ha aggiramento, rigiro; applicando questa V. alle acque.)
Retroso agg. «il corso dell’acqua…se trova contrastante oppositione, finisce la longezza del cominciato corso per movimento
circolare et ritroso.» MS. 4.° L. 4. c. 2.
Saltamenti s. [19] «finirà la longezza del suo debito viaggio per circolar moto, ò per altri varij saltamenti, ò balzi» MS. 4.° L. 4. c. 3.
Fuga n. «de retrosi alcuni sono volti inverso la fuga dell’acqua del fiume, alcuni sono volti contro la medesima fuga» (qui,
e in troppi altri luoghi dell’Aut., questa V. denota semplicemente corso.) MS. 4.° L. 4. c. 5.
Di dietro avv. «quell’acqua, che di dietro li è contingente» (Né alla V. Dietro, né altrove, la Cr., o altri Vocab. hanno tal formula,

29
  Si tratta di Frate Ildefonso di San Luigi, carmelitano e accademico della Crusca.

Documenti
276
ch’è pur usata in tanti luoghi d’Italia. Usala qui Lionardo, che in questo Capo istesso ha «l’una dietro all’altra»; ed
Dietro ha quivi «è necessario che si voltino in dietro.» La Cr. ha adietro, e addietro, e indietro. Noterò la forma di Lio-
nardo, se troverolla, così in questi scritti suoi, come presso gli altri Scrittori di pregio, quanto basti ad assicurarne il
valore.) MS. 4.° L. 4. c. 9. (N. che, nell’uso, passa per nome «il didietro, per lo didietro», e vale pel rovescio. Il Mam-
Al didietro belli30 al CLXXXVI § ha gli es. che sieguono. Bocc. g. 5. n. 3. «se n’andò in una gran corte, che la piccola casetta
di dietro a se havea», appresso, Dante in una sua Canz. «La dispietata mente, che pur mira di dietro al tempo»; o il
Bocc. nella Introd. «Si misero tre, o quattro bare da’ portatori portate di dietro a quella». E al § 7. reca dal Villani 8.
75. «uscirono al di dietro sopra i Fiamminghi.»)
Di sopra «l’acqua che li passa di sopra, caderà» (cioè sopra lo scoglio). La Crusca nella lettera D manda alla V. Sopra, dove
non fa motto di questa espress.e. Pongo l’es.° di Lionardo, e converrà fornirne altri, n’ha molti il Cinonio31, e di
più maniere al Cap. XCII. Particelle. MS. 4.° L. 4. c. 26; dov’è altresì il seguente
Di sotto avv. «lo scoglio, che divide il corso dell’acqua solamente nelle parti di sotto» (Ivi)
Finire (per fornire, soddisfare) «l’acqua sopravegnente, non volendo tardar il suo corso…finisce il suo desiderio» MS. 4.°
L. 4. c. 27.
Gobbo «la superficiale parte dell’acqua dimostra la qualità del suo fondo; imperoche quella parte d’acqua che riga il suo
fondo trovando varii obietti, et gobbi» (vale ciò che altrove ha chiamato Globulenze.Vedi questa V.) «di sassi per-
cote in essi, et sbalza in alto levando seco tutta l’altr’acqua, che le giace disopra»; MS. 4.° L. 4. c. 35. et ivi a c. 37 «et
per questo un onda fia piena di gobbi maggiori, ò minori l’un che l’altro; et se il luogo, dove si fa la percussione
dell’onda fosse una colonna à giacere l’onda fia senza gobbi». (Gobbo, pel Vinci, è gobbosità) Aver il gobbo, presso
i Milanesi val lo stesso, che aver la gobba, come dicono in Lombardia. La Cr. non ha Gobba, non essendo questa V.
toscana; anzi la Crusca halla, e reca un es.° del Varchi32: Alb. la reca al signif. di scrigno, senza più. È probabile che
Lionardo abbia scritto a Milano una parte di questi e degli altri pensieri suoi, che tengo MSS. (Ivi. c. 37).
Trivellamento «oltre al trivellamento» (del retroso) «vi s’aggiunge la percussione dell’acqua cadente» MS. 4.° L. 4. c. 98.
Avenimento n. [20] «La somersione de’ ritrosi nell’acque veloci sarà contro all’avenimento» (cioè corso) «dell’acque, et nell’acque
Fuga n. tarde sarà in verso la fuga» (cioè secondo il corso) «di tali acque» V. p. 19. MS. 4.° Lib. 4. c. 51.Vedi l’Indice.
Elico agg. «Il moto elico» (a chiocciola) «o vero revertiginoso d’ogni liquido è tanto più veloce, quanto egl’è più vicino al
centro della sua revolutione.» (Manca questaV. benché n’abbian altre congeneri) MS. 4.° L. 4. c. 52.
Integralmente La Cr., o Alberti, citano Magalotti assai rispettabile Scrittore, il quale però essendosi molte volte, e per quanto pare
v. la p. seg.te a me, lodevolmente, tratti i ceppi del pedantismo, potrebbe dubitarsi se questa V. sia frutto della libertà di questo
Scrittore: ecco l’uso che n’avea fatto un sec.° e mezzo prima di lui, il Toscano Lionardo «Possibile è che l’acqua
cadente infra l’aria ad un medesimo aspetto, che la più obliqua porti seco integralmente la meno obliqua»: e poco
più sotto «porterà seco integralmente l’acqua» MS. 4.° L. 5. c. 9.
Verso prep. «acque cadenti infra l’aria verso ad un medesimo aspetto» MS. 4.° L. 5. c. 10.
Sforato agg. «l’acqua…viene ad essere sforata…dall’acqua meno obliqua» MS. 4.° L. 5. c. 10.
Germinare v. «l’acqua…, quale dal medesimo vaso germina» profluit. MS. 4.° L. 5. c. 10.
Dispartire v. «La percussione disparte…la unitione della sopravegnente acqua» (dispartire per dividere ha es.i; non così unizione,
Unitione n. e ben merita questa V. che se ne tenga conto, quando gli Aut. del Vocab. hanno tenuto conto del verbo unizzarsi,
farsi uno, del Salvini.33) MS. 4.° L. 5. c. 19.
Oltre a di «se in tal parte del suo descenso» (l’acqua) «non s’assottigliasse…et oltre à di questo non si facesse il doppio più
veloce, seguitarebbe» MS. 4.° L. 5. e 25. forma non osserv. da Gram. da me veduto. È forma bologn.
Corrivo, a agg. «sarà l’acqua più corriva, correndo per la linea ACB, che per AB» (donde appare più corriva equivalente a più
veloce; ch’è altro dal corrivo della Crusca, e dal corrivo de’ Napoletani). MS. 4.° L. 5. c. 36.
Percossato agg. «trova venire contro di se li risaltamenti partiti dalle percussioni da essi fatte nell’argine globuloso, i quali risalta-
menti sono con tanta congregatione di lineamenti, quante sono le superficiali particole de’ percossati globi». MS.
$.° L. 5. c. 49. (viene da percossura.V. della Cr. tratta dall’ant. trad. della Città di Dio di S. Agost. La Crusca ha pure
percussare v. e ne dà es.° tratto dalla Trad. di Tacito; ed ha percussente coll’es.° di F. Giordano angelo percussente)
Oltre a di «et oltre à di questo se gl’aggionge una seconda velocità» Vedi qui sopra MS. 4.° L. 5. c. 51.
Confregazione [21] «fà minor confregatione nel suo fondo». MS. 4.° L. 6. c. 5. (Vedi l’Indice) e al capitolo seguente.
Confregato agg. «più consuma il fondo da lei confregato» MS. 4.° L. 6. c. 6.
Radimento v. «maggior radimento, è levamento fà» (da radere, e levare) MS. 4.° L. 6. c. 13.
Ringorgare v. «tutti li fiumi al continuo abassano li lor letti, eccetto dove sono ringorgati, perché quivi fanno il contrario.» MS.
4.° L. 6. c. 16.Vedi p. 16.
Concavamento n. «quest’acque…risaltano all’opposte rive, et ivi fanno gran percussione et concavamento» (spiega ivi, più sotto)
«causa maggior concavità» MS. 4.° L. 6. c. 20.
Integralmente «Se il fiume serpeggiante sarà integralmente rimosso dall’intero suo letto la quale velocità si trasferisse» (per trans-

30
  M.A. Mambelli, Osservazioni della lingua italiana raccolte dal Cinonio Accademico Filergita, le quali contengono il Trattato delle Particelle, Ferrara, B. Pomatelli, 1709.
31
  Ibidem.
32
  Dialogo di Messer Benedetto Varchi, nel qual si ragiona generalmente delle lingue, e in particolare della Toscana, e della Fiorentina, Firenze, F. Giunti, 1570.
33
  Anton Maria Salvini, accademico della Crusca, pubblicò con L.A. Muratori l’importante saggio Della perfetta poesia italiana (Venezia, S. Coleti, 1748).

Termini di arte
277
Accortato agg. ferisce) «nel fiume accortato» (manca questa V. nel Vocab. e nelle Giunte, benché non manchino il verbo et altre
della medesima radice) MS. 4.° L. 6. c. 23.
Gombito n. (è not.° dalla Cr. per Voce antica) «li gombiti fatti dall’argine de’ fiumi sono annullati dalle grandi inondationi de’
Giaretti fiumi» (qui val angoli piegature. MS. 4.° L. 6. c. 26. E nel c. 27 che siegue «Le globulenze, ch’hanno li giaretti» (e
qui parmi che giaretti vaglia gli ammassi di ghiaie. Vedi Giarra p. 14.) «hanno derivatione dalli retrosi de’ fiumi».
MS. 4.° L. 6. c. 27.
Secche n. s. «dà quì nascono li piccioli rami infraposti fra le secche de’ fiumi, et li suoi argini posti all’incontro dell’argini de’
fiumi» MS. 4.° L. 6. c. 28. (La Crusca ha le secche di Barberìa: qui offronsi le secche de’ fiumi, le quali, giusta la fig.
dell’aut.e, sono gli spazj che nel letto de’ fiumi sono lasciati scoperti dalla corrente per pochezza d’acque).
Colle n. «l’acqua non può passare il già fatto colle di giara.» MS. 4.° L. 6. c. 31.Vedi l’Indice.
Di longo «Se il fiume corresse di longo costeggiando tal argine» (qui val rasente) «esso potrebbe trovar qualche pietra» MS.
4.° L. 6. c. 33.
Disugualatione n. «la pietra posta in equali et piani fondi di correnti fiumi fia caggione di sua disugualatione et guastamento.» MS.
4.° L. 6. c. 53.
Dannificatione «non potrà fare dannificatione all’opposta riva» MS. 4.° L. 6. c. 55.
Moderizare v. «se il fiume…si facesse pigro ò paduloso, all’hora tu lo devi moderizare che l’acque piglino sufficiente corso» MS.
4.° Lib. 6. c. 58.
Gabbioni n. «quando» (il fiume) «farà profondità vicino ad alcun argine all’hora si deve tal luogo riempire di gabbioni con
fassine et giara» MS. 4.° L.° 6. c. 58. La Cr. ha un solo es. di questa V. nel senso di Leon.° al § 1. di questo Vocabolo.
A Bol. dura la cosa e il […34]
Contro a di «Contro a di questo sia fatto un piano» MS. 4.° L. 6. c. 59. (non è questo il solo es.° da Leonardo; l’ho veduto in
altri suoi scritti, ma dubito d’averlo notato)
Diripare v. «et così le sue ruine diriperanno il terreno et…lo scaricheranno nel basso padule…tanto che tu haverai raggua-
gliato il terreno nel sito di tali paduli.»
Litta n. [22] «Dove l’acqua haverà minor moto la superficie del suo fondo sarà di più sotil litta, o arena» (litta dunq. è
belletta, o melma, o con qualunque V. chiamar si voglia quel più sottil fango che ricuopre specialmente il fondo o
letto dell’acque stagnanti, o di poco moto. La Voce è del dialetto Milanese, dove assai verisimilmente stese la mag-
gior parte delle sue memorie il nostro Lionardo da Vinci) MS. 4.° Lib. 7°. c. 9.
Boschina n. «dove il corso della torbida acqua entrarà infra le basse ramificationi delle boschine, ivi per le molte rivolutioni
de’ ritrosi scaricherà molta sabia, o litta». MS. 4.° Lib. 7.° c. 11. (Verosimilmente è V. Milanese, e potrebbe significar
boscaglia, ma non oso affermarlo; quantunque la spiegazione risponda alle leggi poste dall’Aut.)
Ingorgarsi v. «li luoghi dove tal fiume prima soleva passare rimangono abandonati, et si riempiano di novo terreno dall’acque
torbide, che con il tempo à venire in tal luogo s’ingorgano» MS. 4.° L. 7. c. 19. (ho portato alquanto distesamente
il luogo dell’Aut. perché appaia l’ingorgarsi qui valere il semplice arrestarsi).
Dare la svolta «rimove scalzando il sasso dall’oppositi sostentacoli in modo, che ancora lui» (il sasso) «dà la svolta» (v. p. 12) MS.
Dar volta 4.° L. 7. c. 20. Et al c. 42 dello stesso L. 7.
«la cosa di disuniforme figura…s’anderà sempre voltando; et quella di uniforme obliquità mai darà volta.» Vedi p. 12.
Mugile «simile alla figura de’ pesci mugili» (la Crusca non conosce altro che muggine pesce.Verisimilmente è uno degli
usati cangiamenti di lettera) MS. 4.° L. 7. c. 48.
Oltre a di «et aggiongo, che oltre à di questo vi è la ragione» (Vedi p. 20) MS. 4.° L. 7. c. 56.
Buso n.s. «Se un vaso forato con equali busi verserà più…» (così nel tit.°, indi nel Cap.) «Farai prima li busi tutti» (poscia)
«il buso di quella parte del fondo». Il sostant.° manca per tutto, molto verisimilmente per cagione di non avere
esempli) MS. 4.° L. 8. c. 2.
E così buso sost. in più luoghi del Lib. 8 al c. 10.
Costa di coltello (espressione usatissima; ha nelle sole Giunte di Nap. Un es.° unico tratto dalla Oreficeria del Cellini, che non ho
Piastra n. segn.° nelle sue note. Per ciò eccone altro di Leon.° non meno autorevole, e più ant.° Scrittore) «piglia due piastre
di vetro quadre» (osserva che piastra non è solamente ferro, o altro metallo ridotto a sottigliezza come ha la Crusca)
«d’un quarto di brazza, et falle vicine l’una all’altra due coste di coltello con uniforme spazio» MS. 4.° Lib. 8 c. 11.
Discontinuo agg. «l’acqua in se è quantità unita, et continua, et il miglio è discontinuo et disunito»; MS. 4.° L. 8. c. 12. Avverti che qui
Miglio n.s. miglio è manifestamente per lo minuto granellino del panico, siccom’è chiam.° in Lombardia per tutto, e come
riman’evidente per lo sperimento proposto qui da Lionardo.V. che in questa signif.e desideratur e sicuramente si
troverà in qualche ant.° scrittore toscano. Quivi, parlando del miglio «il quale è lubrico et minuto» MS. 4.° L. 8. c.
12 non manca nella Cr.; ed avverti che un es.°della Crusca pruova che miglio, e panico sono diverse cose. Il miglio
si mangia in minestra; il panico si dà mangiare a’ piccoli uccelletti di gabbia.
Solio agg. «Se li lati del cannale, donde discende tal acqua, saranno solij, o globulosi» (Qui manifestamente solio val liscio.
Vedi l’Ind.) MS. 4.° L. 8. c. 16 al numero 16 del d.° Cap.°
Insintanto che [23] «et così successivamente in luogo di quest’altra acqua succeda un’altrettanto peso in sin tanto, che s’arrivi»
MS. 4.° L. 8. c. 39.

34
  Illeggibile.

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278
Miglio «dove il fiume fia largo tre miglia quadri, chiascun d’essi migli quadri» MS. 4.° L. 8. c. 41. (notato pe’ migli plur. in
luogo di miglia). La Crusca prescrive miglia al plurale; così richiede l’uso, che non val meno: dovea dunq. notarsi
l’es. prop.°, ed in seguito «li tre miglia quadri» ed anche «li cinque miglia quadri» (ivi).
Equigiacente «l’acqua, che si move per canna equigiacente» MS. 4.° L. 8. c. 48.Vedi p. 17.
Tempo «Quell’acqua, la quale calerà un onza per miglio haverà di movimento un quarto di brazzo per un tempo» (cioè
tempo di musica) «…et così quella, che cala quattr’onze si moverà un brazzo per tempo.» MS. 4.° Lib. 8. c. 54.
Questo luogo di Lion. è posto pel valore della V. tempo, che qui, secondo la parentesi dell’Aut., esprime a giudizio
mio ciò ch’è chiamato da’ musici un quarto di battuta, se già non volesse significare una battuta. Ma intorno a
ciò è da osservare il valor di questa V. presso agli Scrittori di Musica, li quali scrissero di quest’arte sul principio
del Sec. XVI.
Ciocciola «Quanto la ciocciola» (V. chiocciola, nome che per certa somiglianza dassi ad una macchina per alzar acqua, la
quale s’attribuisce ad Archimede. Veggasi Vitruvio L. 10. c. 11., et è la Coclea, o Choclea, quivi descritta. Nella
Crusca e in Alberti su l’autorità del Vocab. Disegno, spiegandosi «chiocciola, o femmina, quella parte della vite in
cui entra e gira il maschio, la cui spire, o anelli si chiamano vermi.» Verme, né Vermo, né Vermi, nel senso qui usato,
Componitrice non è riferito nel Vocab.°, e neppure alla V. Chiocciola) «che conduce l’acqua in alto, sarà più obliqua» MS. 4.° L.
8. c. 66; et «sempre la ciocciola posta per obliquo versarà l’acqua…tante sono le volte, ch’essa fa nel suo voltarsi,
Lumaca quante sono le volte, componitrici d’essa lumaca» (cioè Chiocciola. Ciocciola. Componitrice manca nel Vocab.)
MS. 4.° L. 8. c. 67.
Cicogna e Voci ricordate da Lion.° tante volte, che non son notate nel Vocab.; salvo che alla V. Cicogna, dove non hanno
Cicognola rapporto alcuno con macchina, o strum.to applicato ad attinger acqua. Vedi, fra molti luoghi, il MS. Lib. 8. c. 73.
del MS. 4°, 4 cap. 75, 76, 77. Pare che sotto questa V. l’Aut. intenda ciò che chiamiamo a Bol. tromba da vino, o da
botte.Vedi Tromba nel Vocab.°
Tanti «Il peso che preme sia di materia, che pesi più quattro tanti, che non farebbe altretanto quantità d’acqua alle sue
v. l’Indice misure». MS. 4.° L. 8. c. 82.
Pala n. «L’acqua de’ Molini deve percotere le pale delle rote in angoli retti» (ed occorre, giacché la Cr. non manca d’e-
sempli.) MS. 4.° L. 9. c. 3.
Schizzarolo n. «per li schizzaroli non può entrar aria, imperocché ogni volta che l’anima dello schizzarolo torna indietro l’animella,
ch’è nel fondo del bottino si serra». MS. 4.° L. 9. c. 7.
Roggia n. [24] «raguna per roggie un lagetto d’acqua» (Anche qui cred’io che bisogni un Milanese per interpretar roggia)
MS. 4.° L. 9. c. 7.
Levificato agg. «quando la lieva NR levificata ritorna in T., si riagrava» MS. 4.° L. 9. c. 9.
Aggetto «Il muro sia fatto a scarpa, cioè, che ogni duoi brazza habbi un onza d’agetto di scarpa» MS. 4.° L. 9. c. 25. Notisi
che gli Architetti, sotto la V. aggetto, intendon sempre lo sporto che alcune parti della fabbrica, come cornici,
mensole ecc. producon oltre alla perpendicolare del muro; né mai (fuor di questo luogo del Vinci) ho trovato
adoperarsi questa V. a significare l’eccesso oltre alla d.a perpendicolare delle parti che metton nel piano, o sotto ‘l
piano dove s’appoggia la fabbrica. Gli speroni d’un muro escono fuori del muro perpendicolare, e lo appoggiano;
ma non ho veduto che la quantità di un tale uscimento siasi chiamata aggetto. Ricordisi però che noto l’uso che
si è fatto delle Voci; il che non vuol dire assicurarne il buon uso, ma sì mostrarlo qual ch’egli sia. E in verità, se
aggetto è nato da adjectio, Lion.° non ha errato fuorché contro l’uso ricevuto.
Onici «di poi poni alberi, ò onici dentro a essa palificata una spanna apresso l’uno all’altro per ogni verso, et in capo
di quattr’anni fiano tutti appiccati insieme, et faranno un muro grandemente resistente.» MS. 4.° L. 9. c. 26.
(onici, siccome alberi debbo interpretare per nomi d’arbori particolari; ma non so qual albero io debba inten-
dere sotto la V. Onice; se già non fosse l’Ontano, che volentieri si mette in opera a far palizzate o palafitte ne’
luoghi umidi; aune in franc.e, il che noto se mai quest’ultimo libro fosse stato scritto dall’autore in Francia35 .
D’albero non fo parola, giacché non riman dubbio convenirsi questo nome generico ad una particolar specie
propriam.te.
Oniccio (se avessi avuto pazienza non mi sarei lambiccato inutilmente il cervello: ecco la conghiettura ridotta all’evidenza36)
«li pali devono esser grossi dal terzo al mezzo braccio, et longhi circa duoi brazza è mezzo, et devono essere di
quercia ò Ontano, cioè Oniccio, et sopra tutto siano verdi»; MS. 4.° L. 9. c. 27. (siegue) «Ho visto rifondare alcun
pezzo di muro vecchio di Pavia fondato nelle rive del Tesino, et li pali che vi si trovarono quelli che furono di
quercia erano neri, come carboni, quelli che furono d’Oniccio havevano un rosso come verzino, erano assai pon-
derosi, et duri, come ferro, et senza alcuna macula». L’osserv. di Lionardo in qualche modo s’accorda con Valmont
de Bomare § Aune che afferma il ponte di Rialto, e quello di Londra essersi fondati sovra palafitte d’Ontano, o
sia d’Alno. Il popolo che ha veduto qualche volta (in Venezia) qualcuno di questi antichi pali, somigliantissimi
nel colore al verzino, afferma e crede, che que’ primi fondatori, per magnificenza posero le fondamenta di quella
singolare città sopra palificazioni di vero verzino; alcuni che non ricevon questa grossolana affermazione, hanno

35
  Sappiamo invece che l’ordinamento dei precetti vinciani in materia di idraulica presenti nell’apografo si deve unicamente a Frate Arconati: non è possibile quindi datare
i singoli libri, non essendo stati compilati in origine da Leonardo.
36
  L’autocritica di Corazza si riferisce alla spiegazione da lui azzardata, con molti dubbi, riguardo alla voce precedente.

Termini di arte
279
preteso assicurarmi che cotesti pali eran di quercia, il cui legno rimasto lungamente infossato prende quel colore.
E qui finisce il MS. 4.° del Moto e Misura dell’Acque di Lion. da Vinci.

[1] Due Trattati di Benv.to Cellini Fior. 1568.

Gioiellare v. «Avvegna, che contenendo» (l’Arte dell’Oreficeria) «otto modi diversi di lavorare, si come sono il Gioiellare, il
lavorar di Niello, di Filo, di Cesello, e di Cavo d’Intaglio, ò di stampar ne’ Conij per far Medaglie, e monete, et
siggilli, et di Grosserie» (dunque questo verbo non val solo a significare ornar con gioielli, ma altresì ad esprimer
l’arte del legarle e disporle [cioè] l’arte de’ Gioiellieri.) Cellini Proemio p. 1. rov.° Manca ne’ Lessici.
Stampe «Bastiano Cennini…fece le stampe delle monete in Fiorenza lunghissimo tempo» (qui stampa è presa per torsello,
o punzone.) Cell. Proem. p. 2.
Star all’orefice «Andrea del Verrocchio…essendo stato all’orefice, fino che era uomo fatto, nella scultura fu tenuto di singolaris-
simo pregio (formula usatiss. in Bol. (Uom fatto ha es. nella Crusca).
Finisce il Proemio

Gioie (Rubino, Zaffiro, Smeraldo, Diamante) «solamente giudichiamo degne d’esser chiamate Gioie» Cel. Lib. Pr.° p. 3
rov.V. Gioje qui sotto, e facciata seguente.
Stringere «Si stringano, e legano dette Gioie in Pendenti, Maniglie, Anella, Carcami» (e poco app.°) «le altre Gioie o pietre,
che in oro si stringono et legano» Cel. Lib. pr. pag. 3 rov.
Carbonchi «le quali pietre che di notte risplendono sono chiamate comunemente Carbonchi.» Cel. Lib. pr. p. 3 rov. fine.
Gioie «avendo io detto le vere Gioie e degne di tal nome ascendere al numero di quattro, et essendoci alcuni Gioiellieri
di poca pratica et esperienza che connumerano fra le Gioie il Grisopazio, il Ghiacinto, la Spinella, l’Acqua marina,
la Vermiglia, il Grisolito, la Prasma, l’Amatista, et alcuni tal hora vi pongono anche il Granato, et altri la Perla non
considerando ella essere un osso di pesce; acciocche questi tali non s’ammirassero per ch’io non ragionassi del
Balascio, ne del Topazio, fuggendo la loro ignorante confusione distintamente diciamo il Balascio esser Rubino di
poco colore, et nel Ponente si domanda Rubin Balascio…imperò è Gioia come il Rubino.» Cell. L. 1.° p. 4 (Se la
Vermiglia Vermiglia del Cellini è la Vermèille [2]de’ Francesi; questa, secondo Valmont de Bomare, è il Giacinto guarnaccino,
e il Rubin di Rocca degl’Italiani; ma non è da promettersi troppo su la sua parola. Rubin di rocca è una giunta
della sec. edizione del Bomare: quanto a me non ho sentito mai nominare da’ gioiellieri Rubin di rocca; né altra
pietra chiamarsi di rocca, fuorché il cristallo naturale. Ben si dice delle pietre preziose di rocca vecchia, e di rocca
nuova; e intendesi per lo più orientale, e occidentale; distinzione non bene esposta nel Voc. Dis.°, onde l’Alberti
l’ha tratta.Valmont dà la Vermeille per una specie di Granata. Cellini. Tratt. Lib. Primo. p. 4.
Balascio «diciamo il Balascio essere Rubino di poco colore, senza farvi alcuna differenza fuori che del prezzo» L. citato
sop.
Topazio «Il Topazio ancora è gioia, et perché egli è della medesima durezza del Zaffiro; avvenga che egli sia di color diverso
per ciò si mette col Zaffiro, si come il Balascio col Rubino» (Fra le quattro gemme, che Cellini chiama sole, ed
esclusivamente Gioie, vuol dunque lo stesso Cellini, che intendansi poste altresì il Topazio, e il Balascio.) Cell. L.
1.° p. 4.
Carato «Un Rubino che pesi un carato che sono cinque granella di grano in circa, e sia fine a paragone» (si emendino i
A paragone Vocabolari, che valendosi della pratica odierna, attribuiscono al Carato quattro granella; e notisi questo a paragone,
che vale nella sua perfezione, cioè che messo a paragone d’altro Rubino, stia a paro cogli ottimi.) Cell. L. 1.° p. 4.
È anche da notarsi che l’Es. di carata fem., nella Crusca, non pruova abbastanza. È pure da aggiugnersi che Carato,
rispetto all’oro e all’argento è altro dal Car.° delle Gemme, e Perle.
Castone «Castone si domanda quella picciola cassetta dove la gemma si rinchiude». La Crusca trae un esempio dal Buti, che
rende falsa la buona spiegazione che dà a questa V. la Crusca istessa; per ciò si corregga, e sostituiscasi la dichiaraz.
netta che ne dà il nostro bravo Gioielliere Cellini. Lib. 1.° p. 4.
Affarsi v. «Fin tanto che per lo mezzo del suo giudicio» (l’Artefice) «sia fatto accorto di quella» (foglia) «che s’affaccia et
convenga col suo Rubino.» (la Cr. ha convenire col 3.° caso, e non più: qui o sia adoprato per lo semplice star
bene decere, o col caso di relazione, questo caso è il sesto, e non il 3.° però sarà bene l’aggiugnerlo.) Cellini Lib.°
1.° p. 4. rov.°
Serrare «allora potrà serrar la Gioia, come si conviene» (intende nel castone) Ivi, p. 4.
Destrezze (per trovati, ripieghi, artifici) «ma perché per mezzo della pratica si ritrovono di bellissimi segreti, e s’imparono di
molte destrezze così nell’arte come nelle scienze» Cell. L. 1.° p. 4 rov.°
Chermisi [3] «presi una picciola matassina di seta tinta in chermisi di grana». Egli par dunque che ci abbia altro chermisi che
non sia di grana: Cellini non lo scrive, come la Crusca, coll’accento; come pronunciavasi? Cell. Lib. 1.° p. 4. rov.°
Giralsole «Così nomina la pietra detta generalmente, e nella Crusca, Girasole p. 4 rov.°
Doppie (cioè cristalli, o vetri, o gemme di due pezzi, l’un sopra l’altro addoppiati) «le quali pietre s’appiccano insieme,
et s’addimandano doppie» (la Crusca non l’ha osservata) Cell. Lib. 1.° p. 5. Giova aggiungere, a chiarezza, ciò che
Scoglietta l’Aut. dice poche parole appresso «hanno preso una scoglietta di rubino Indiano» (vale una sottil tavoletta, una
scagliuola, notata dall’Alb., non però nella Cr.a, benché ci abbia Scoglia, e Scoglio per un signif.° equivalente) «et

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acconciala con bellissima forma, et il restante della pietra che entra nel castone dell’anello l’hanno fatto di Cristallo,
di poi gli hanno tinti et appiccati insieme, et legati in oro con artificiose legature, et venduti grandissimo prezzo»
(Ivi L. 1.° p. 5).
Carato «Il Carato adunque è il peso di 114 granella di grano» (Cell. L. 1.° p. 5 rov.) qui si vuol pesar oro, e arg.to; però è da
v. p. 2 osservare e purificare la nota della pag. precedente, il che non fo qui, perché non so altro, che una certa, ma non
precisa diversità fra i Car.i dell’oro, e quelli delle Gemme, che cercherò.
Piano n. «Limisi molto bene» (la verga non molto grossa del metallo composto) «indi si batta col piano del martello leg-
giermente» (non è not.° in questo senso). Solamente vuolsi osservare che alla V. Penna, il Sig. Alberti, cit. il Voc.
Dis., aggiunge a dichiaraz. della V. Penna «quella parte del martello, che è opposta alla bocca, la quale è piana lad-
Bocca del martello dove questa è stiacciata.» Se è da starsi al Voc. Disegno, che debbo creder Baldinucci37, bocca del martello sarà lo
stesso, che piano del Martello, intralasciato dalla Crusca, la quale neppur ricorda Bocca, relativa a martello. Cell.
L. 1.° pag. 6.
Tondo V. a p. seg.te Rasoio «essendosi poi condotta sottile (una lastra d’argento) «quanto due costole di coltello, radasi con un rasoio tondo et
Inlati n.s. gagliardo, insino a tanto che per ogni verso tu conosca ch’ella sia nettissima, e dagl’inlati nettisi» La Cr.a ha questo
unico es.° degl’inlati. Rispetto al rasoio tondo, ignorandone io il vero valore, penderei a crederlo un ferro di taglio
fine, che non avesse angoli alle estremità, ma fosse tagliente nella curva sporgentesi. Cell. L. 1.° p. 6.
Verguccio [4] «Debbesi avvertire ancora di far la detta verga» (parla della verga d’oro gettato, che s’apparecchia per tirarla
a sottigliezza che servir possa a farne foglie da porsi nel castone, onde spicchin meglio le gemme) «quadra tanto
quanto ell’esce del Verguccio, et secondo che comporta la quantità della fusione, la quale» (intendo verga) «dovrà
essere di larghezza di due dita in circa. Questa detta larghezza è quella che debbe restare al fine dell’opera» (In-
tendo che la foglia non riesca di miglior larghezza. Il luogo ha bisogno d’esser dichiarato. Nessun vocab.° ha Ver-
guccio, che oserei di interpretare quello strumento di ferro fatto a maniera di cucchiaia lunga, o canaluccio aperto,
col manico, entro al quale ponsi l’oro, o l’argento, che si vuol fondere: ma egli è mestiero consultar l’artefice di
Toscana). Cell. L. 1.° p. 6.
Rasoio da Oref.i «lavinsi tali pezzi» (della foglia da gioie) «et avvertiscasi a radergli con un rasoio da Orefici benissimo arrotato»; (ho
not.°, per dichiaraz.ne del rasoio tondo, ch’è nella pag. preced.te.) Cell. Lib. 1. p. 6.
Regno «Il primo» (diamante) «era nel Regno del Papa, nel tempo di Papa Clemente settimo, il qual Diamante era di
colore incarnato nettissimo et limpidissimo» (Regno, per Triregno, è notato con altro es.° del Cellini L. 2, che ha
regno papale, e con altro del Varchi, il quale ha semplicemente regno. Cell. Lib. 1.° p. 6 rov.°).
Tavola «Diamanti…intagliati in tavola, a faccette, e in punta» (sono da notare i nomi odierni; li diamanti in punta chia-
Faccette mansi oggidì rosette; col qual nome la Crusca nota, al proposito nostro, due esempli: l’uno de’ quali, cioè quello
del Redi, che dassi per anello, non è propriamente anello, ma una certa maniera d’anello, determinata dal castone,
quando questo raccoglie una gemma circondata in giro da altre gemme, d’una quasi medesima grandezza; forma di
Rosetta legatura, che oggidì chiamasi a rosetta. Ma diamante lavorato a punta, con più facce d’intorno, che non ha fondo,
ma s’alza sovra una base piana, tal diamante è quello che noi chiamiamo rosetta, ovvero diamante a rosetta. Cellini
Lib.° pr.° p. 6 rov.
Condurre (per compiere, terminare, ridurre a perfez.) «È da sapere adunque come i Diamanti non si possono acconciare soli,
cioè uno per volta, ma è necessario di condurne due à un tratto, perché essendo essi di tanta maravigliosa durezza,
ne altra cosa essendo che in ciò sia lor superiore, né che si possa rodere et consumare, è necessario che l’uno
Consumare consumi l’altro» L. 1.° p. 6 rov. Cellini (consumare e consumato, in genere di gioie, oggidì significa altro, come si
osserv. già, e vale perfezionare, ma in senso diverso. Di che altrove.)
Ruota [5] «La detta ruota dove i diamanti si raffinano et puliscono…così in tal guisa si conducono a fine» (poco sopra
Raffinare avea detto) «si aggrava il Diamante in su la ruota per dare più occasione alla polvere sudetta che consumi i detti
Diamanti» (siegue) «così in tal guisa», come sopra s’è notato. Nota che questo consumare ha dato luogo alla
Consumare espress.e diamante consumato, maniera di dire adoperata dall’Aut.e, ed usata anche a’ nostri dì, per dire ben con-
dotta su la ruota; come non ben consumata, se la ruota non ha levato qualche difetto, che alcuna volta si truova
nella Gemma, e ci si lascia per non impicciolirla soverchio, e levarne del peso. Del consumare e consumato, non
ho recato esempli, per ciò ancora, che di consumare per condurre a perfezione, e del consumato in luogo di per-
fezionato, n’ha molti nella Crusca e nelle Giunte: ad ogni modo però, ne segnerò qualcuno in appresso. Cell. Lib.
1.° p. 6 rov.
Acconciare «non essendo nostro intento d’insegnare minutamente il modo d’acconciargli» (parla de’ Diamanti, e dura a’ nostri
dì questa espressione in proprietà, così che odesi ancora concia d’Olanda, o d’Inghilterra, per dire lavoro di ruota
fatto nell’uno, o nell’altro di que’ paesi, e conciare per arrotare, tali formule però, quando trattasi di gemme (Cell.
Lib. 1.° p. 6 rov.° sul fine) e «tutti i diamanti» (qualunque sia la diversità del loro colore) «s’acconciano in un me-
desimo modo» (cioè si arruotano alla stessa maniera) Ivi, p. 7.
Gambo «Havendo Carlo V Imp. donato à Papa Paolo Farnese…un Diamante di valore di dodici mila scudi, legato in un
castone semplice et puro con un poco di gambo» (La Crusca ha esempli che vagliono per istelo, senza più; non

37
  Si riferisce a F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell’Arte del Disegno nel quale si esplicano i propri termini e voci, non solo della pittura, scultura, e architettura, ma ancora di altre arti
a quelle subordinate, e che abbiano per fondamento il disegno, Firenze, per S. Franchi, 1681 (2a ediz. Padova, stamp del Seminario, 1793).

Termini di arte
281
sarà fuor di proposito aggiunger questo, che importa peduccio). Cell. Lib. 1.° p. 7.
Azzurro «una croce di Lapislazzoli, pietra preciosissima, et nota per farsene l’azzurro oltramarino» (manca la V. nella Cr. e
oltramarino nelle Giunte, benché ci s’abbiano altri azzurri, e manca Azzurro di Berlino, ch’è pur altro). Cel. L. 1.° p. 7.
Freddarsi «stringere quel granello di già caldo prestamente, innanzi ch’egli si raffreddi, percioche in istringendolo n’esce
Roccia fuori una lagrima chiarissima, la quale subito rasente quella roccia che resta del Mastico si debba tagliare con le
Rasente forbicine, e pulitamente conservarla» Cell. Lib. 1.° p. 8. (cotesta V. roccia è interp.a nella Crusca succidume, super-
fluità. Qui vale quella prima buccia del mastico onde spiccia lagrima netta).
Roccia [6] «Io presi un granello di quel sopradetto Mastico assai ben grande, et ben purgato dalla sua roccia, il quale era
nettissimo et chiarissimo» (V. Roccia nella pag. precedente, in fine. Cellini Lib. 1.° p. 9.)
Tirare v. «essendom’io in giovanezza dilettato di tirare d’Archibuso» Cell. Ivi. La Cr.ha questo es.°
Servire «diciamo questi» (Rubini bianchi) «non servire à nulla» Cell. L. 2.° p. 10.
Ragugeo «un certo mercante Ragugeo». Cell. L. 1.° p. 10. Lo noto, perché Ragusa, o Ragusi è la patria d’onde si direbbe
Raguseo. Forse troverassi anche la città chiamata Ragugi da’ Tosc. La Cr.a non tien nota di nomi Geograf.: essi
rimangon tutti da notarsi; e tanto più, che presso a’ migliori Scritt.i della Toscana, e si trovano guasti e sconciati
stranissimamente.
Quivi «di quivi a certo tempo» Cell. L. 1.° p. 10. Cinonio Cap. CCXIX n.° 7 «I mercatanti, che seco la portavano, mi
dissero di volere andare a Roma, e di quivi in Alessandria» Boccaccio Filocolo Lib. 6. La Cr. ha altri esempli del
quivi posposto a di, in valore di da indi, come ha il Petrarca «da indi in poi mi piace Quest’erba sì, che altrove non
ho pace»; non ha di quivi a certo tempo, che giudico opportuniss. da notarsi.
Intagliar di Niello «mi contentai d’imparare d’intagliar di Niello». Niello è una composizione di 2 parti d’argento fine, 4 di rame
purgato, e 6 di piombo; il tutto fuso in un coreggiuolo, e mescolato indi con un carboncino, che purga questa
fusione dalla schiuma del piombo; quando son bene incorporati li d.i metalli, si versano in una boccetta, dove sta
intorno a un pugno di zolfo ben posto. Raffreddata questa materia e incorporatesene le parti, prende un color
nero; e questa è la composizione, che si chiama Niello (Cell. L. 1.° pag. 11.).
Correggiuoletto «si rimetterà in un Corriggiuoletto» (Cell. L. 1. pag. 11 rov.) Manca la V. nella Cr.; ma hannola le Giunte della Ed.
di Nap.38, che recan questo es.° stesso. Non l’aveva osserv.°
Cenerata n.s. «bisogna far bollire (quel lavoro che si sarà intagliato» (per niellarlo) «nell’acqua con molta cenere di quercia la
quale ha da essere nettissima et questo effetto che si fa vien detto fra gl’Orefici far una cenerata». La Cr. ha esempli
di questa V. per Cenerata generale, cioè per composto di cenere ed acqua gli Oref., come qui appare, intendono
una Cenerata particolare, e per ciò da notarsi. Cell. Lib. 1.° pag. 11 rov.
Gorbia «piglisi il Niello», et pestisi sopra l’Ancudine, ò sopr. un porfido tenendolo in una Gorbia ò cannone di rame ac-
cioche nel pestarlo non ischizzi via». È manifesto che Gorbia non val qui per alcuna delle significazioni, che la Cr.
attribuisce a questa V. Sembra a me che Cellini abbia voluto esprimere una specie di cartoccio fatto di rame, sottile
abbastanza quanto bastasse a piegarsi sotto al pestamento, e rinchiudesse nel tempo stesso il niello, da trarsene dopo
essere stato, dal pestarlo, ridotto, come ordina Cellini, in granella, come quelle del Miglio, ò del Panico. Se altra
volta userà il Cellini di questa V., si noterà per assicurar meglio l’idea che l’aut. s’era formata di questa V. L. 1.° p. 11.
Cinigia «mettasi l’opera sopra la cinigia, o veramente sopra un poco di Brace accesa» La Cr. e le Giunte ne mancano; e si
noti che qui vale pel plurale (Cell. L. 1.° p. 12) così pure a Bol. ma anche in […39].
Arte di filo [7] «però trapasseremo à dire dell’arte di Filo, non meno…difficile et vaga». La Cr.a, e così le Giunte, mancano
di questa dizione, che alle V. Arte, e Filo, non sono pure indicate. Alberti pon Filigrana, e cita il Co. Magalotti; ed
è quel lavoro che comunemte in ˜ Italia chiaormasi Filograna: chiamandosi questo in franc.e Filigrane, potrebbe
dubitarsi che lo scrittore Ital.° avesse presa la nuova V. da’ Francesi; ed anche forse che l’Arte venisse di Francia. È
certo che Benv.° Cellini la trovò nella corte di Fran.co Primo assaissimo perfezionata, come dalla sua Oreficeria,
e dalla sua Vita, si raccoglie. Lasciando ciò, egli pare che quest’Arte di filo sia la stessa che quella de’ lavoratori in
Filigrana. Cell. L. 1.° p. 12. f.a.
Saldatura di terzo «si piglia due oncie d’Argento, et una di rame.»
Granaglia «la quale si fa brevemente in tal guisa. Piglisi l’oro, ò l’argento che si vuol granagliare et pongasi a fondere e
Granagliare quand’è benissimo strutto gettisi in un vasetto pieno di carbon pesto, et così verrà fatta la granaglia d’ogni sorte»
Granagliato (le Giunte di Nap. hanno queste V., ma non ne mettono in chiaro la Idea; adducesi quivi l’es.° da me notato, che
non basta. Cotesto fondersi dell’oro, o dell’arg.to strutto, sul carbon pesto, basta egli a ridurre in fili i due metalli?
È bisogno udir l’Artefice, o piuttosto vederlo operare.) Cell. p. 12 rov.
Borace e Così scrive nella ediz. da lui fatta, e qui citata 1568 Cellini, e non colla doppia r., come scrive la Crusca, verisimil-
Boraciere mente usando l’ortograf. del Ricett.° citato. La Crusca non ha, e neppur le Giunte nap.e Boraciere Cell. L. 1.° p.
12 rov.
Loppa «restandogli nel Correggiuolo una loppa di vetro rossa» (qui sta per una bollicina; per la somiglianza a quel guscio
che ricuopre il granellino della spiga; ch’è la prop. signif. di Loppa e di Lolla.) Cell. L. 1.° p. 15.
Smalto roggio «questo smalto, a gran ragione, è tenuto da tutti gl’Orefici per lo più bello, et si domanda Smalto Roggio». Qui

38
  Si tratta dell’edizione napoletana del 1772 del Vocabolario della Crusca, citata in più occasioni da Corazza ma oggi irreperibile.
39
  Illeggibile.

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non è certamente in signif.° di rugginoso, com’è in mele roggie, che in Lomb. si chiaman ruggini. Ond’è da notar
meglio il doppio e diversiss.° significato di roggio, a (rov.° e p. 15).
Palettieri È lo strumento di cui vaglionsi coloro che lavoran di smalto, ed è recato nelle Giunte alla Crusca della Ed. Napo-
let. sotto la V. Palettiere. La terminazione in i è la solita ad usarsi dal popolo, che dice bicchieri per bicchiere. Si è
notato per la fedeltà ch’è dovuta al testo orig.le dell’Aut. (Cell. L. 1.° p. 15 rov.°)
Cappa di frati «se ne trovono di color Verde, Incarnato, Rosso, Pagonazzo, Tané, Azzurro, Bigio, Cappa di frati, et Cavezza di
Moro, che così è il nome del colore di detto Smalto» Cell. Lib. 1.° p. 16.
Muovere [8] (come lo smalto comincia a muovere) «avendo grandissim’avvertenza di non lasciarlo scorrere affatto» (Cellini
L. 1.° p. 16). Quando mostra col suo movimento primo d’esser presso a scorrere liquefatto. È da aggiugnersi, non
meno, a giudizio mio, per la proprietà, che per la eleganza.
Aprire «lo smalto roggio…ha in se questa proprietà, che sentendo il fuoco ultimo, oltra al correr come gl’altri smalti, di
Rosso divien Giallo, e tanto giallo che egli non si discerne dall’Oro, il qual effetto dagl’Orefici si dimanda aprire
(Cell. L. 1.° p. 16) non è notato da alcuno.
Mostrare (per farsi appariscente) «con Frassinelle…si assittigli tanto lo smalto quanto si vegga abbastanza trasparente, et che
mostri bene». Cell. L. 1.° p. 16 rov.
Pulire a mano v. «si finisca di pulire col Tripolo. Questo modo di smaltare si dimanda pulire a mano, et è il più sicuro e’l più bello».
Cell. L. 1. p. 16 rov.
Ritirare v. Ristringere «ma perché tutti gli smalti per natura ritirano et ristringono, et chi più, ò manco ritira» (Cell. ivi) «perciò in questo
La p. ella modo l’opera vien manco unita che quando la si pulisce nel primo modo detto à mano.»
Granella di pere (cioè semi di pere) «volendo riparare a tal disordine sidebbe pigliare delle granelle di pera, cioè di que’ semi che
Vano agg. vuoto sono nelle pere, di quegli scegliendo i non vani, i quali si mettono in molle « (cioè i non vuoti e vacui, ma quelli
che inchiudano il seme) Cell. L. 1.° p. 16 rov.°
Spedirsi di «trapasseremo ad espedirci di altre arti sottoposte all’Oreficeria, si com’è quella del lavorar di Cesello» Cell. L. 1.° p.
17 (Spedirsi d’alcuna cosa, d’alcun discorso, d’alcuna materia; è forma che vuolsi notare, e manca ne’ vocab. tutti).
Minuteria «Tutto quello che fra gl’Orefici si dimanda lavorare di Minuteria si conduce col Cesello». Cell. Lib. 1.° p. 17 rov.
Cesello, Condurre «con certi ceselletti fatti di scopa o di Corniolo» Cell. L. 1.° p. 18. Questo esempio si è posto da me per far inten-
Ceselletti dere Cesello, che propriamente è un punteruolo, per lo più di ferro (qui di legno duro), col quale premutolo sovra
la piastra d’oro o d’argento, si fa prender a questa quella forma, che dall’Artefice si vuole. «E perché bisogna aver
l’avvertenza che l’Oro non si vada rompendo, egli» (il Caradosso) «con grandissima destrezza dava con i Cesegli
quando di legno, quando di ferro, ora da ritto, ora da rovescio della piastra» (quella che ho sopra chiamata lastra)
«proccurando sempre che l’oro della detta piastra divenisse uguale» (Cell. Lib. 1.° p. 18).
Saldara [9] è certa saldatura da farsi ne’ lavori di sottil piastra d’oro, condotti col cesello; e questa componsi di verde rame,
Calore sale armoniaco, e borace; in quel modo che mostra Benven.° alla p. 18; detta così, perché si compie, sopraponendo
Lega all’opera da saldare alcuni carboni, come l’Aut. ivi ed al rov.° della p. 18 «da poi che egli aveva questa prima volta
Saldatura saldato il lavoro à calore, ovvero rammarginato, essendo che questo modo non si domanda saldare, ma è un ridurre
tutta l’opera d’un pezzo.» Ivi «Piglisi sei Carati d’Oro fine, et un Carato e mezzo infra Rame et Argento fine, …la
qual saldatura et composizione di Rame et d’Argento tra gli Orefici è chiamata lega.» Cell. L. 1.° p. 19.
Ricesellare «si riponga il lavoro sopra lo stucco et si riceselli con diligenza.» Era notato dalla Cr.a, la qual ne reca questo med.
esempio. (Cell. L. 1.° p. 19)
Inlati «presa la piastra dell’Oro nel modo sopradetto, cioè sottile da gl’Inlati, et alquanto grossa nel mezzo.» (Cell. L. 1.° p.
19 Vedi p. 3.) Questa V. è recata dalla Cr. con un es.° del Cellini: n’ho recati due, ma credola V. del solo Cellini, o de’
soli Orefici di que’ dì. (Vale le parti che più s’accostano alle estremità) «presa la piastra d’Oro si debbe cominciare
da rovescio à darle da rovescio, facendo gonfiare un poco di bozza secondo, che dimostra l’ordine del Modello». Parla della
Bozza piastra, prima che sia cominciata a cesellare dalla parte ch’à a vedersi. Qui bozza è ’l rilievo che nasce nella parte
anteriore della piastra per le percosse del cesello fatte su la parte posteriore (Cell. L. 1.° p. 19)
Renella di vetro «arrenarla con la Renella di vetro». Credo vetro pesto; quando fosse altra cosa, sarebb’anche maggior la ragione di
notar la V. È già stata notata nella Crusca, la quale reca questo stesso Es.°, ed aggiunge qui per similitudine; tal che
mostra di giudicarla meco vetro pestato. Ivi.
Dal ritto e dal rovescio «tenni il modo sopradetto, dando hora dal ritto, et hora dal rovescio della piastra tanto che io la tirai à fine.» Cel.
L. 1.° p. 19 rov.
Attitudine «havendo egli con occhio diligente, osservato i contorni, i muscoletti, et l’attitudini di quelle Figurine» (Ivi p. 19
rov.) La Cr. cita Vite de’ Pitt. di non so quale Accademico. Qui cito un uomo dell’Arte, valentiss. e Fiorentino.
Rilevare «cominciai a rilevar con gran pazienza la figurina dell’Atlante tenendo un Tassettino tondo dinanzi»; qui è render
prominente, trar fuori dal piano, spiccarsi di rilievo la figurina (Cell. L. 1.° p. 20) non è notato nella Cr.a
Schiene [10] (così nominata nel nostro plurale quella parte, la qual chiamasi comunemente da nostri Schiena. Così moltissi-
mi fra gli antichi, e così parecchi Scrittori del 1500, con lo stesso Ariosto.) «Poi che si vedrà restare Oro abbastanza
per poter congiungere le schiene della figuretta». Cell. Lib. 1.° p. 20.
Dar l’ultima pelle «allora si ha da spiccare» (la figuretta) «dal restante del campo, et con quell’oro che si sarà lasciato alla detta figura
pian piano congiungendolo si dovrà saldare, et dargli l’ultima pelle» (che manifestamente vuol dire quell’ultimo
pulimento, che si conviene alla superficie. Non si è notato né al Vocab. della Cr., né per entro alle Giunte di Nap.)
Cell. ivi.

Termini di arte
283
Picciuoletto s. «et quei luoghi della figura che si havevano da posare sopra il Lapislazzoli che io mi era eletto per campo della
Medaglia saldati con due picciuoletti d’Oro assai gagliardi» (da picciuolo gambo, come di pomo, che i Milanesi
dicono piccol, e per trasporto qui due attacchi a maniera di gambi o picciuoli, a’ quali rimaneva attaccata la figura.
La Crusca, e le Agg. Nap.e mancano di questo diminutivo.) Cell. L. 1.° p. 20.
Presso «Secondo che io gli voleva figurare lontani ò presso (e vale o vicini). Ivi p. 20 rov.
Metter in pece «messi la mia opera in Pece, cioè nello stucco». Cell. L. 1 p. 21.
Seguitar di «Seguitai di lavorarlo con i Ceselli». Cell. L. 1.° p. 21 rov.
Dar fondo «così cominciai a dar fondo co’ ceselletti a que’ puttini, che io aveva proffilati dal dritto dell’opera» (l’opera stava
col suo dritto nella pece; e l’artefice lavorava sul rovescio; per ciò dice cominciai a dar fondo, perocché i ceselli
premevano et infossavan la piastra sul rovescio). Ivi p. 21 rov. Dar fondo è affondare att.°, fare un cavo, incavare.
Pelli «Le pelli che lasciano i ferri» (su la superficie del lavoro) «di gran lunga tanto colorite non appaiono» Cell. L. 1.°
p. 21 rov.
Soppasso ag. «come il Verderame sarà quasi che tutto equalmente arso, così soppasso et caldo cavisi il lavoro del fuoco» (veggansi
le mie note sopr. al Proem. del Vasari; parendomi necessarii ambo gli esempj; e tanto più, che la V. nella Crusca non
è altutto spiegata.) Cell. L. 1.° p.22.
Nottoline s. «quand’io fui al fermare le Gioie a’ suoi luoghi non mancai con gran destrezza di far ciò con nottoline et con
viti» (La Crusca ha questa V., e reca questo es.° stesso; ma ponla come un Sinonimo di Salisendi, salvo che fa le
nottoline di legno, e il Salisendo di ferro. Se nottolina fosse mai ciò, che a Roma chiamasi Natichia; questa è una
bandella di legno, ed anche di ferro, che ferma nel mezzo di un chiodo, sovra cui può volgersi, ordinariamente
serve a ritener uniti e chiusi due sportelli.Veggasi meglio. (Cell. Lib. 1.° p. 22). Coteste nottoline del Cellini dovean
esser fitte dal chiodo torto […40].
Lavorar di [11] «Un altro bel modo si ritruova anchora in quest’Arte di lavorare di piastre d’oro» Cell. L. 1.° p. 22; e vuol dire
piastre lavorar di niello.
Margini «percoteva quelle margini che dell’Oro d’intorno alla Figura avanzavano». Qui è le porzioni della piastra che
rimangono intatte dal cesello, sin tanto che sieno state piegate a compir il lavoro dall’altra parte. Né in questo, né
in altro simil senso, è stato notato; benché un solo es.° della Cr.a ci si accosti. Cell. L. 1.° p. 22.
Pelle «quando egli era vicino alla penultima pelle che si da alla figura» Cell. L. 1.° p. 23.
Ancudinette «per via di ceselli, et di diverse Ancudinette dimandate da gl’Orafi Caccianfuori». Alberti non l’ha notata; hanlo
però le Giunte della Crusca di Nap., e n’hanno presa la spieg.ne da altro luogo del Cellini, che noterò app.°
Fumi del bronzo «più brevemente» (io) «tirava à fine il lavoro, et mi liberava da i fumi del bronzo, il quale macchia l’Oro» (qui fumi
sono, quasi ch’elle sieno le parti esalate dal bronzo, che deturpan l’oro sobbattutto.) Ivi p. 23.
Cesegli Così scrive Cellini, alla p. 23 del Lib. 1.°, queste due V., che ha scritte, sino a questa pag., nel modo usato; ma la pag.
Martegli 23 nel dritto e nel rov.° ha scorrez.ni più dell’usato.
Rilievo «Debbe il diligente Artefice pigliar una pietra nera, et che sia piana, sopra la quale si ha da disegnare l’historietta
che debbe apparir nel suggello, et poi con cera bianca alquanto dura ha da farsi con quel rilievo appunto che si
desidera che il suggello stampi» (cioè imprima) Cell. L. 1.° p. 24.
Bava «ciò fatto si debbe pigliare il detto Gesso,» (formato sul modelletto in cera) «et con un coltellino nettarlo da certe
bave che fa ‘l Gesso all’intorno» (la Crusca ha bava nel proprio, e non più; le Giunte Nap. hanno bavetta nel senso
del Cellini; ma non hanno bava in questo senso: è dunque da notarsi). Cell. L. 1.° p. 24 rov.
Terra da formare nelle staffe «Lautizio…pigliava d’una certa sorte di terra, che comunemente si dice Terra da formar nelle staffe, la quale è in
uso appresso gli Ottonai, o Borchiai, che gettano finimenti da Mule et Cavalli. Questa si fa d’una rena di Tufo».
Spolverezzare «havendo la Terra humida in ordine si deve spolverezzare con un poco di spolverezzo di carbone sottilissimo,
overamente s’affumerà col lume della candela, ò della lucerna». Non è dunque spolverezzo solamente quel cencio,
il qual racchiude carbon pesto, onde rilevasi il disegno d’una carta traforata, ma è pur anche l’azione del coprir di
polvere, dell’impolverare; siccome mostra l’es.° qui rapportato. S’aggiunga dunque. Cell. Lib. 1.° p. 24 rov.
Sfiatatoio [12] «Aprasi da poi la forma, et cavato che si sarà la pasta faccivisi le sue bocche, et due sfiatatoi dalla banda di sotto,
cioè che comincino di sotto tuttadue, et arrivino per di sopra accanto alla bocca.» (questo es.° è recato dalla Cr.a
alla V., ma non nota che sfiatatojo equivale precisamente Venti de’ fonditori in metalli.V. le nostre note al Vasari, a
pag. 20 (Cellini Lib. 1.° p. 25. La V. Venti è la più usata nell’arte).
Soppasso agg. «La natura del Gesso è di succiarsi il dett’olio. Essendo da per se rasciutto in guisa che sia soppasso percioche non
Da per se vuol essere troppo risecco» (diseccato) «ne poco». È agg.° perché resti più chiaro il valor della V. Cell. Lib. 1.° p. 25.
La per ella «essendo la storia di rilievo meglio si scorgerà dove si ha da riparare, che se la fusse di cavo». (cotesti es. di la per ella
non sono al tutto superflui, poiché mostran comune l’uso negli Scritt. del 500, comeché gli scrittori del 300 non
l’abbian forse usata; ma n’è pieno, fra gli alri il Machiavelli, e per tal modo, che non può dubitarsi di scorrezione,
come vorrebbe insinuare la Crusca, ma dee ripetersi dalla forza dell’uso, a cui s’abbandonarono gli scrittori del
500, in gran numero) (Cell. Lib. 1.° p. 25 rov. non se ne recheranno altri).
Banchiero, e «queste monete…per esser fatte con gran disavvantaggio del Papa furono da gl’avari Banchieri in breve tempo
disfatte» (la Crusca spiega: colui che tien banco per prestare o contar denaro, cattiva defin.e, e perciò da correggersi;

40
  Illeggibile.

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questa def. converrebbe meglio a’ prestatori, se questa V. non si fosse adoperata le più volte a significar coloro che
prestan denaro a dannata usura). Cell. L. 1.° p. 27 rov.° A Nap. signif. paltoniere, che non avendo ricovero, la notte
si ripara sotto ai banchi de’ venditori per dormire.
Riccio moneta «Le Monete d’Alessandro de’ Medici…per essere la testa del detto Duca ricciuta, furono chiamate Ricci». Cell.
L. 1.° p. 27 rov. (ne vidi sin dall’an. 1748 in Toscana, dove correvano ancora sotto lo stesso nome; e il conio, quan-
tunque di poco rilievo, per essere moneta di poca grossezza; mostrava bellissimo, tutto che logore dal tempo. In
signif. di moneta, non è notata in nessun vocab.)
Barile mon.a «Feci oltr’a questa» (moneta) «il Barile, e ‘l Grossone». (La Cr. ha Barile moneta: l’Alberti, il segno ¶ «Anticamente
Grossone mon. in Firenze il Giulio si chiamava Barile. Lo stesso Alberti alla V. Grossone, cui fa corrisponder Grosso: moneta
d’argento che anticamente valeva ventun quattrino. Lo stesso, alla V. Grosso: sorta di moneta, che in Firenze oggidì
vale mezzo Giulio. La Cr. alla V. Barile moneta fa corrispondere il Giulio; cita un es. del Varchi Stor. ed è questo
Gabellotto che i Gabellotti, ovvero i barili giusti si spendessero per un giulio. La Cr., alla V. Giulio fa corrispondere Barile, e
Gabellotto Cell. L. 1.° p. 27 rov.
Da per loro [13] «et poi si ponghino» (parla del torsello e della pila) «in fuoco, il quale sia di tal valore che possa ricuocere
benissimo le dette teste» (del torsello e della pila) «et nel medesimo fuoco da per loro si lascino freddare» Cell. L.
1.° p. 27 rov.
Punzoni e «Hanno i detti pezzi ò ferruzzi, sopra i quali s’intaglia l’opera due nomi; percioche comunemente son detti Pun-
Madri zoni, et altrimenti Madri, et questo nome secondo, ragionevolmente loro si conviene; percioche sono le Madri
che partoriscano l’opera composta di figure, ò d’altro che nelle Monete si pongano». Cell. L. 1.° p. 28. La Cr. ha
tutto, divisam.te nelle due V.
Bolso agg. «facendo che quel che si lima verso la granitura sia bolso assai perché altrimenti essendo s’isverzerebbe la stampa»
Sverzare si scheggerebbe, par dunque che la V. bolso (tralasciata nel signif. che vaglia a dichiarar questo luogo) debbasi in-
terpretar dolce; ma io non m’assicuro della spiegazion mia, prosieguo col testo dell’Aut., se vale a magg. chiarezza)
«et subito sarebbe guasta, dove che essendo il detto ferro che si lima quanto più si può bolso, la stampa non potrà
mai sverzare» (forse fendersi, metter peli, o schiantarsi e sciorsi in alcuna apertura) come pare che spieghi la Cr.
Lustro agg. Cell. L. 1.° p. 28 rov. sieg. il luogo del Cell. sopra rec.° «et per cotal cagione similmente diveranno lustre le Monete»
Cell. nel luogo stesso.
Fuscelletto «la cera…era lavorata…sopr’un tondo di pietra d’osso ò di vetro nero con certi fuscelletti di legno» cioè stecche,
giacché gli scultori danno tal nome a quelle bacchettine tagliate a mo’ quasi di scarpelletti, onde conducon lor
opere di creta, o di cera, come gli scultori in marmo conducon le loro con gli scarpelli di ferro. La Cr. non ha
Fuscello, né Fuscelletto, destinato a questa significaz.; e veramente nell’es.° che ho riferito, la V. è forse usata più
per somiglianza, che in proprietà. Cell. L. 1.° p. 29 rov.
Tasselli «Poi haveano i loro Tasselli che così si domandavano i ferri con che si stampa le dette medaglie a differenza di
quegli delle monete, che Pile e Torselli si dicono, che…contengono differente nome perche anchor essi sono dif-
ferenti il che non avviene de’Tasselli che ambi sono equali» (Cell. L. 1.° p. 29 rov.) V. che Alb. solo trae da Baldinucci.
Friggere v. [14] parla delle stampe, com’ei le chiama, o sia de’ cavi in acciajo, pe’ quali s’hanno a coniar medaglie «all’hora
si potranno temperare…ma pongasi cura d’havere un vaso capace almanco di due barili d’acqua, et quando sa-
ranno fatte rosse» (le stampe accennate) «dal fuoco…pigliandole con le tenaglie si debbono subito tuffare nella
dett’acqua, tenendole in essa ricoperte et non mai fuori, ma girare così ricoperte intorno fin tanto che si senta
cessare quel rumore del friggere che fa il fuoco per la violenza dell’acqua» Cell. L. 1.° p. 29-30. (Questa V. a signifi-
care quel fremire, o quel suono che rendon le rose fredde gettate ne’ licori bollenti, o il ferro infocato nell’acqua
ecc., manca ne’ Less. tutti.)
Fittoni Sin che mi regge la memoria noto questa V. che nella Cr., posta ordinariamente al suo luogo, spiegasi barba maestra
della pianta, fitta per dritto in terra; vale altresì per ciò che a Roma chiamasi colonetta, ed a Bologna fittone, cioè
un solido di legno, o di sasso, la cui base è circolare, o di più lati, e vien levandosi in altezza più o manco secondo
l’uso che dee prestare; ponendosi a fin d’impedire che per certe larghe aperture non passin bestie da soma, o carri
ne’ quali casi cotesti fittoni soglionsi tenere all’altezza che bisogna; determinan questi ancora certi spazi. Nel Voc.
Dis. citato dall’Alb. alla V. Bietta «quel legno o sasso, che si ficca per forza in terra, per fermarvi gli stili, fittoni,
o cavicchi, per uso delle fabbriche». Qui non è la barba maestra ac. fatto sta che Stilo, e fittone, ritengon nella
odierna significaz. molto della loro greca orig.e e del loro ant. valore. Notisi: Baldinucci era Fiorent.°, ed uomo
di dotta penna.
Trasporre «Mettendogli nelle staffe v’entrino dentro appunto, perche nel coniar poi la Medaglia…standovi dentro appunto i
detti Tasselli non si possono trasporre» (Cell. L. 1.° p. 30 rov. sieg. p. 31) «Fatto che si sarà la detta diligenza, la quale
si fa perché non si trasponga le parti della medaglia». Qui trasporsi vuol dire muoversi per alcun modo nel fissato
luogo; variare in qualsivoglia modo la posizione, che in qualche caso direbbesi trascorrere. Non è notato.
Mazzetta «e in su la testa di sopra percuotasi con un grosso martello a due mani, il qual martello nell’arte si domanda
Mazzetta» (dal che si deduce, che Mazzetta è uno di que’ martelli che s’adoprano a due mani; ma non perciò ogni
martello a due mani è mazzetta, come pare insinuarsi dalla Crusca). Cell. Lib. 1.° p. 31.
Stampare a vite Titolo del § che comincia a p. 31 rov.
Vite femmina, Mastio, Chiocchiola «atta a nascondere ancora la Vite femmina di bronzo, la qual vite si getta in sul Mastio di ferro. Questo detto Mastio
è quello che veramente si domanda vite, et la femmina si domanda chiocchiola». Cell. L. 1.° p. 31 rov.

Termini di arte
285
Pani della Vite [15] «e i Pani della vite vogliono essere fatti quadri, perché hanno più forza, che nell’altro modo che si usano di
fare» (intendo la forma e la grossezza del legno, donde spiccasi la vite, direbbesi da noi la testata. Se non interpreto
bene io, tacciono i vocabolarj). Cell. Lib. 1.° p. 31 rov.°
Ballare «il metallo che si vuole stampare, è necessario che per la grandezza della Chiocchiola di Bronzo sia tale che non
balli nella staffa.» (ci stia per modo che non possa ondeggiarci per entro, traballare). Cell. L. 1.° p. 31 rov.
Calzare «I Tasselli…si calzeranno con biette di ferro, fermandogli bene, accioche non si muovino punto.» Ivi.
Pillato da «un pezzo di trave di lunghezza di due braccia ò più, la quale vuol essere sotterrato, tanto che sopra terra se ne
Pillare vegga solamente un mezzo braccio, et questa sia benissimo pillata» (intendo che il suolo in cui ficcar si dee la trave,
sia ben fermo, ben battuto: se non intendo bene a questo modo, è forza che pillato, e pillare abbian altra significaz.e
da quella che ne dà la Crusca). Cell. L. 1.° p. 31 rov.
Corrente s. La testa della Vite vuol esser stiacciata, et in quella parte stiacciata vi si commette un grosso Anellone di ferro, che
abbia due code, le quali code hanno à essere bucate et confitte à una lunga stanga, cioè à un lungo corrente, la
cui lunghezza non sia manco di sei braccia» (onde corrente anche qui è un trave di non troppa grossezza, che ben
chiamasi stanga, perché non ha angoli, ma è cilindrico). Cell. Lib. 1 p. 31 rov.
Metter conto «mette più conto a stamparle così che in altro modo» (Ivi; ma non metteva conto notare questa espress., onde ne
riboccano gli Scritt., e n’ha tratti es.i la Crusca.)
Vite «à due stretture di Vite sempre verrà stampata la Medaglia, dove che à cento colpi di Conio a pena se ne sarà
fatt’una» qui vite sta per Torchio da monete, e Conio per la madre, o pezzo lavorato in cavo, che serve a scolpire
sovra ‘l metallo la forma della moneta: paragona l’effetto del torchio col tanto men valido della Mazzetta; aggiunge
«per ognuna che se ne stampi à Conio, se ne sarà stampate venti à Vite». Cell. L. 1.° p. 31 rov.
Fondere a vento, a mortaio, a Tazza «Fondere à vento, à Mortaio, e à Tazza». Cell. L. 1.° p. 32 nel titolo. Il fondere a mortaio manca interamente; a Tazza,
non ha più che «una maniera di fondere inventata dal Cellini; a vento, si tace pienam.te. È dunque indispensabile
raccor dal Cellini ciò che basti a formar qualche distinta idea di questi 3 modi di fondere, che altrimenti non
hanno certa signif.ne. Cellini L. 1.° alla p. 32 rov.
Battiloro [16] «usasi in Fiorenza nell’Arte de Battilori» (l’ho notato pel nomin.° plurale; osserv.e che dovrebbe farsi sovra
molte V.) Cell. L. 1.° p. 32 rov.
Cenerata «à questi» (correggiuoli) «di ferro è necessario far un loto di cenere pure, la quale perciò si domanda cenerata et
dentro et fuori del Coreggiuolo vi s’impone grossa un mezzo dito» Cell. L. 1.° p. 32-33.
Attestare «Fra l’uno e l’altro mattone, nell’attestargli lasciai i conventi larghi due dita» (ottimamente la Crusca spiega ambe
Conventi n.s. le V., ma non reca esempio alcuno. L’es.° qui proposto è acconcissimo per mostrare il valore d’entrambe). Cell. L.
1.° p. 33.
Lega n. «d’ogni bassa lega d’argento era da loro lavorato con la medesima facilità et perfezzione dell’Argento fine». Cell.
L. 1.° p. 34. L’ho posto, e porronne, se ne raccorrò, di buona, e cattiva lega, parendomi che sian da notarsi per l’uso
e la proprietà.
Radere, e Rasojo del Rader le Piastre, e de’ Rasoi per le medesime (avendo qui notati in add.° i Rasoi tondi) è da osservar questo §
che comincia a p. 33 rov.° e siegue. L’idea che formasi comunemente di questa V., ed è la medesima che n’espone
la Crusca, è per lungo tratto diversa da que’ Rasoi, onde parla Cellini nell’Arte, e servono a levar le impurità che
si trovan su la superficie delle piastre d’oro e di argento, levate dal fuoco, e tuttora roventi.
Punzone «si debbe pigliare un ferro grosso un dito, et lungo sei, questo vuol esser bolso, e appuntato, ma non si che egli sia
Bolso pungente, et il detto si mette dritto col piede in su l’Ancudine, di poi vi si congegna sopra la piastra sin tanto che
si tenga dritta, et quando ciò si vegga essere in pronto commettasi à un pratico Garzone che la percuota con la
bocca del Martello à dritto di quel punto tanto che venga segnato nella detta piastra» (Cell. p. 34 il quale parlando
A dritto di di questo punto, a tergo della p. 34 notata, soggiunge) «proccurando sempre che il punto che vi si è segnato non
v. pag. 9 si perda, il che si fa dando spesso col medesimo punzone con che prima si fece il detto punto» (Punzone ha qui
altro signif. che non quello della Cr. Bolso ancora credol da Cellini applicato a Punzone per ottuso, giacché non
debb’esser pungente, né muovemi dubitazione. Rispetto alla maniera a dritto di, la ho notata per non averne ve-
duto esempli, e perché manca ne’ vocab. questa forma a dritto per esprimere all’incontro di.) Cell. L. 1.° p. 34 rov.°
Lingua di vacca «Di poi con diverse ancudini appropriate alla detta del Vaso…cotanto si batte» (la piastra) «che pigli interamente
sorta d’ancudine la forma di tutto il Vaso, il che si conseguisce in esse dette Ancudini che per l’Arte si domandano Lingue di Vacca;
sono dunque ancudini che hanno le corna variamente curvate. Le Giunte hanno la V. con quest’es.° (Cell. 34 rov.
L. 1.°).
Sfoglietta [17] «proccurando di levar sempre qualche sfoglietta che apparisse nel lavoro» (sono quelle scheggiuole, che tiran-
dosi le piastre a martello, staccansi in parte dal metallo battuto, a maniera di squame) Cell. L. 1.° p. 34.
Ceselli n. «sono ferri di lunghezza d’un dito, et di grossezza d’una penna d’Oca et vanno crescendo per due grossezze di
penna, i quali ferri sono acconci in diverse maniere, perché alcuni ve ne sono fatti come la lettera C piccolo, et
andando crescendo fino à un C grande, alcuni sono più volti, alcuni manco volti, tanto che egli si viene a quegli
che sono diritti appunto, et questi si debbono fare, si che cominciando à diminuire, venghino tanto grandi quant’è
l’ugna d’un dito grosso d’un huomo». Cell. Lib. 1.° p. 34 rov. e 35 (Ho recata la descriz. del Cellini, al quale, quan-
tunque un poco intralciata, serve a formare miglior giudicio intorno a’ ceselli, di quel che faccia il poco, tratto da
questo luogo, e addotto dalla Crusca. Solamente è da notare che la Crusca ha ottimamente tratti dal Cellini esempi
di Ceselli di legno, che ha recati, se non erro, sotto la V. Cesellini, o Ceselletti).

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286
Ancudini «habbiasi certi ferri fatti in foggia d’Ancudini con le corna lunghe, i quali sono detti Caccianfuori, et si fanno di
Caccianfuori ferro puro» (cioè altresì come i Ceselli poco prima ricordati) «più lunghi et più corti secondo il bisogno» (V. p.
11. Cell. Lib. 1.° p. 35 sieg.) «nel Vaso poi si fa entrare uno di quei cornetti delle dette Ancudini» (caccianfuori) «il
quale sta rivolto con la punta all’in su, la quale si fa tonda, nella guisa d’un dito piccolo della mano et questa serve
a far rinnalzare que’ luoghi che nel lavoro del Vaso è mestiero d’innalzare. Così pian piano percotendo col Martello
Brandire v. l’altro cornetto delle Caccianfuori si viene a sbattere» (cioè ad abbassare) «facendo per cotal modo brandire quel
ch’è nel corpo del Vaso, et innalzare l’Argento tanto quanto fa bisogno» (qui brandire in significato di nutare […41]
come nota la Cr. a questa V., nella osserv. 111. Cell. Lib. 1.° p. 35.
Ceselli n. «bastine dire, che i Ceselli non hanno da tagliare, ma ammaccare l’Argento». (Es. che pone il proprio valor della V.,
meglio che quelli del Vocab.°). Cell. ivi.
Pelle n. «et come si saranno con i Ceselli condotte le Figure, et fogliami presso alla fine, cioè alla penultima pelle, che così
si chiama. Cell. L. 1.° p. 35 Vedi l’Ind.e.
Stallatico n. «io prendeva di quella terra che adoperano i Maestri dell’Artiglierie…la stiacciava benissimo, di poi la mescolava
con cimatura di panni fini et con un poco di stallatico di bue passato per istaccio. La Cr. ha questa V. (Ivi in f.e
della p.a).
Pelle [18] «Havendo adunque dato del detto Tripolo macinato» (condotto liquido come un colore da colorire, ha detto
per anzi Cell.) «una sola pelle» si adduce per confermare che pelle è la somma superficie (Cell. Lib. P. 35 rov.°) e
siegue «si debbe lasciar seccare et ciò si fa perche tenga meglio quella mano di terra che s’è dato di sotto preso
Tenere v. il detto Correggiuolo con le Imbracciatoie» (ed appresso) «Debbesi havere delle dette Imbracciatoie di più sorti,
Mano cioè grande, mezzane, et piccole, secondo la qualità de Correggiuli» (così) «et della quantità dell’Argento che si
Imbracciatoie vuol fondere, perché queste mantengano il Correggiuolo unito che non si rompa» (avea detto assai prima) «le
quali dall’effetto che fanno d’abbracciare il detto correggiuolo sono così chiamate». Ho notato l’un luogo e l’altro
perché se ne concepisca meglio la qualità. Il luogo prima esposto si truova Cell. L. 1.° p. 35. Le Giunte ne hanno
ten.° conto.
Lasagna «si debbe pigliare la forma della detta Maschera, et nel suo cavo si metterà una grossezza di cera quanto una costa
sottile di coltello, più ò manco che vorrai che la Maschera venghi grossa d’Argento, proccurando che la sia distesa
equale, la qual cera per cagione dell’equalità e sottigliezza che ha ad avere vien detta per l’Arte la Lasagna». È
notata questa V. del valore sud.°, nelle Giunte di Nap. ed ha in pruova questo, ed altro luogo dello stesso Cellini,
che mostra Lasagne chiamarsi dagli Oref. anche altre, che non sono di cera: aggiugnerollo a suo luogo. Intanto il
luogo cit. hallo Cell. Lib. 1.° p. 36.
Spoglia «quant’è maggior la forma, tanto più grossa si debbe far la detta spoglia» (questa spoglia è una o più mani di gesso
e matton pesto liquefatti in acqua. La Crusca ha esempli di spoglia usata ad esprimer per abusione qualunque parte
sovrimposta «exterior, extima pars, scoglia, scoglio».) Cell. Lib. 1.° p. 36.
da per se «dovrà lasciar seccare il gesso da per se al Sole, ò in luogo asciutto» (Ivi infra).
Tirar di martello «Et avvenga che noi dicessimo che in Parigi si lavorasse più che in altre parte del mondo di Grosserie, et con più
Grosserie pratica et maggior sicurezza si tirassi di Martello» Cell. L. 1.° p. 37. Grosserie intende qui e per tutto lavori di mole,
ad esclusione di piccoli e minuti: è not.° Tirar a mart.° è propriiss.°
Inforcatura «tutta la parte della corporatura dinanzi, cominciando dall’appiccatura della gola insino all’inforcatura delle gam-
be» (Quest’unico es.° ha la Crusca alla V.) Cell. Lib. 1.° p. 37 sul fine.
Schiene «l’altro pezzo debbe essere le schiene insino all’appiccatura del collo» p. 37 rov.
Sottosquadri «Et perché i sottosquadri darebbono impedimento» Cell. L. 1.° p. 37 rov. Con pace degli Accad. quest’Art. non è
esatto. L’analog. vorrebbe Sottosquadra sempre, nome, avverbio, singol., plurale, giacché tutto vien da Squadra, e
non da Squadro.
Di per se [19] «Pigliansi poi tutte quelle forme di gesso, et ogn’una di per sé si getta di bronzo» (equivale al da per se, né si
noteranno più) Cell. Lib. 1.° p. 37 rov.
Attestare «secondo che richiede l’arte et la ragione dell’attestare insieme» (cioè del congiunger fra loro l’estremità de’ pezzi;
V. Testa qui delle piastre V. p. 16.) Ivi 37 rov. Questa V. ha orig. da testa estremità, che si dice asnche Testata; che in prop.°
di questo Attestare, mostra equivaler questo per unire o congiunger le testate, se vorrà ammettersi testata, che pur
trovasi nel Voc. Disegno, ed è ricevuta dall’uso a significare estremità di parecchi cose.
Cesoia «bisogna che ciascuno de detti pezzi habbia di vantaggio» (ecceda) «per due costole di coltello, il qual vantaggio si
debbe intaccare con una Cesoia due dita discosto l’una intaccatura dall’altra» (Cesoia sing.e, che non ha esempio
nella Cr.a, e non è pure notata) Cell. Lib. 1.° p. 37 rov.°
Rilevare «tirato le piastre…percotendole hor da dritto hor da rovescio…veniva a rilevare et abbassare secondo l’Arte ri-
chiedeva» (vale sollevare e deprimere extantes prominentesque partes reddere, et tundere cavasque efficere) che non ha es.°
sufficiente. Cell. Lib. 1.° p. 37 rov.
Saldatura «Le saldature che io faceva per tali cose erano d’ottavo, cioè metteva in un’oncia d’Argento l’ottava parte d’un’oncia
d’ottavo di Rame» (Non è notata) Cell. L. 1.° p. 37 rov.
Testa «Così soffiando à poco à poco, venivano à scorrere le dette saldature, né le spegneva perché di mano in mano le

41
  Illeggibile.

Termini di arte
287
mandava innanzi e indietro, secondo il bisogno, et fin tanto che arrivassero da una testa all’altra dell’opera» (e vale
«fin che si attestassero insieme le piastre.»).Vedi sop. Attestare. Cell. Lib. 1.° p. 38.
Saldatura «sopra le quali legature haveva messo saldature di quinto simili à quelle che di ottavo dicemmo» (che val a dire la
di quinto 5.a parte di rame) Ivi p. 38.
Lega «Io lavorava Argento di XI leghe» (e prosiegue) «chi volesse far tal opere d’Argenti di lega bassa»… «non gli riu-
L.a bassa scirebbe» Cell. L. 1.° p. 38.
Saldo per «questa statua d’altezza di quattro braccia, et di peso di trecento libbre, si cavò di fuoco benissimo salda» (e qui si
Saldato parla propriam.te di ciò ch’è saldare, e saldatura, nell’Arte). Cell. Lib. 1.° p. 38 sul fine. Es. che nella Crusca si desidera,
tutto che abbondino ad espr.e rammarginature altre.
Bianchire «Ciò fatto la vennia bianchire» (ch’è imbiancare). La V. ha bisogno di nota alla Cr. Ivi p. 38 rov.
Biancamenti «con i biancamenti già detti» Ivi.
Oro di XXIIII Carati [20] «Oro purgatissimo et nettissimo, et che sia XXIIII Carati» Cell. L. 1.° p. 39 rov.
Grattapugiato «Habbiasi l’opera che si vuol dorare benissimo pulita et grattapugiata come per l’arte si dice, i quali strumenti
Grattapugia quantunque siano notissimi, et che da Mercini si vendino, niente di manco per esser fatti tutti» (così) «in un
Filo medesimo modo da loro, cioè d’una medesima grandezza, et essendo di necessità che l’Artefice con discrezione
Refe accomodi dette grattapugie…sono queste grattapugie di fila d’Ottone di grossezza d’un filo di refe, et di esse si fa
un mazzetto della grossezza d’un dito, più et manco secondo l’opera, come s’è detto» Cell. Lib. 1.° p. 40.
Avvivatoio Non ne traggo esempli, che si trovan nelle Giunte di Nap., cavati acconciamente dal Cellini, e da questo Lib. 1.° p. 40.
Pigliare «l’Ovo non piglierebbe» (non ci comparrebbe, o non attaccherebbesi) Cell. L. 1.° p. 41.
Grommata s.° «et spengasi» (l’opera che vuol dorarsi) «in Gromma di botte, et acqua, che fra gl’Orefici si dimanda Grommata»
Spannare v. Cell. L. 1.° p. 41 rov. siegue «et quando fia spenta lascisi stare per breve spazio, indi si spanni» (cioè si netti da quel
po’ di cera che ‘l fuoco non avesse arsa) «con una setola nell’acqua fresca, et appresso» Cell. L. 1.° p. 42 rov. Ot-
timam.te la Cr. contrario d’appannare.
Grommata s.° «si faccia di nuovo bollire nella Grommata» (aggiungo quest’esempio, a fine di assicurar questa V. del suo esser
nome sost.°; perocché la Crusca non ha altro fuorché l’agg. grommato, a.) Cell. L. 1.° p. 42 rov.
Fuscello «fior di farina, il quale ne Mulini si raccoglie dalle sue mura, o risalti, ò cornici della stanza dov’egli si posa, il quale
in Fiorenza è detto Fuscello». Questa V. in tal signif. manca nella Crusca, e nelle Giunte di Nap. Alberti al ¶ la fa
equivalere a Friscello, e in questo modo consente con Cellini ma alla V. Friscello nota che non s’adopera ad altro,
che a far colla, o sia pasta da congiunger le cose insieme. Cellini, come qui appare, ne fa altr’uso, ed oggidì se ne
fa quella polve pe’ capegli, che chiaman polve di Cipro. La Crusca dice che per lo più se ne fa colla, e dice bene;
la giunta d’Alberti vuol correz.ne Cell. L. 1.° p. 43.
Colla di pesce «Piglisi del Gesso in pane che adoperano i Calzolai, et pestisi bene, di poi si riduca come Savore con Colla
Colla cervona cervona, o vero con Colla di pesce, che è migliore» (né alla V. Colla si trova alcuna di queste specie, benché
Gesso in pane in un Es. abbiaci colla di cuoio; né si truova Cervona agg.; così neppure alle V. Gesso, e Pane, manca il Gesso
Savore ch’è propr.te Salsa a diff. di in pane, chiamato da Cellini Gesso di Calzolai, perché ne imbiancan costoro alcuni cuoi di loro uso.) Cell.
Sapore eff. di ciò che sapit L. 1.° p. 43.
Silimato [21] Così chiamasi il Solimato s.° dal Cellini Lib. 1.° p. 43 rov. L’Ariosto nelle sue Sat., alla 6, se non erro, scrive
«Il sublimato, e gli altri unti ribaldi». Noto che sarebbon da riporre nel Vocab. moltissime V., storpiate quai sono,
perché usate in quel modo da troppi Scrittori, che d’altronde sono autorevolissimi: la Geografia ne va mal concia,
ed oscurata in troppi luoghi; così parecchi nomi propri. Altrimenti mancherà la dichiarazione di troppe V., anzi
una quant. di V. Ital. nel Vocab. Ital.
Acqua da intagliare in rame Cellini ne fa due Titoli, e due Capi a p. 43 rov. e 44., e le distingue fra loro manifestamente, assegnando, alle due
Acqua da partire ed prime, due diverse composizioni. In quanto all’Acqua forte, nominata nel § «per far acqua da partire», pare che egli
Acqua forte intenda «l’Acqua da intagliare le piastre di Rame, in vece di far col Bulino». p. 43 rov. (oggidì dassi volgarmente a
queste tre V. un medesimo significato; salvo però l’Acqua da partire.)
Stallatico «Stallatico di cavallo» Cell. L. 1.° p. 44 (nota a confermare Stallatico not. add.°) «è un composto di Gromma di
v. add.° botte et matton pesto» (che) «si pone sopra l’Oro,» (cui) «per lo spazio di ventiquattr’hore se gli fa continuamente
Cimento reale fuoco, et in tal guisa diviene di ventiquattro Carati» Cell. L. 1.° p. 44 rov.

Oro di XXIIII Carati Qui terminan le note al Tratt. 1.° del Cellini.
__________________________

Libro Secondo

Sottosquadri «dove intervengono molti sottosquadri» Cell. L. 2.° p. 46.V. add.° dovrebb’essere 47.
Seguitar di fare «Così si seguiterà di fare» (e così quasi sempre) Cell. L. 2.° pag. 46, che dovrebbe segn.si 47.
Avvolture «piglisi una corda rinforzata alquanto grossetta, et da capo à pié leghisi tutta la Statua con molte avvolture» (av-
volgendola più volte) Cell. L. 2.° p. 47 rov.
Bieco, a «ristringasi» (le corde che legan le forme di gesso) «con assai quantità di piccole biette di legno, et ciò si fa perché
non si torca il Gesso, perché la figura verrebbe bieca». (cioè bistorta a norma de’ seni e delle piegature prese dal

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gesso nel seccarsi) Cell. L. 2.° p. 47 rov. nota che nel n. plurale ha biechi, e bieci con es. di Dante per l’uno e per
l’altro, ma in rime.
Nocciolo «et come la detta ossatura sia piena» (il cavo della statua che vuol fondersi) «si che la tocchi tutta la lasagna, la si
debbe cavare et fasciarla d’un sottil filo di ferro…poi ricuocerla tanto che la terra si vegga ben cotta, la qual parte
si domanda il nocciolo della Figura» Cell. L. 2.° p. 48.
Legne dolci «et il fuoco che se le fa sia di legne dolci, com’è Ontano, Carpine, Pino, Faggio, Sermenti et altre specie di simili
legni. Sopra tutto fuggasi dal Cerro, dalla Quercia» Cell. Lib. 2.° p. 48 rov.
Presa, far presa [22] «le calcine di Roma…quanto più si tengano spente tanto più sono migliori, et fanno miglior presa» Cell. L.
2.° p. 49 (è notato per assodarsi).
Nocciolo «Si potrebbe muovere il suo nocciolo» (parla della statua, o per dir meglio della forma che s’è fatta per la statua da
gettar di bronzo) «cioè l’anima di dentro» (Cell. Lib. 2.° p. 50 sul fine.Vaglia ad assicurare Nocciolo della p. preced.).
Mazzapicchio (Riman confusa questa V. nel Vocab.°, perocché si batte ed assoda il terreno con due maniere di strumenti, un
Mazzapicchiare de’ quali s’adopera a mano, l’altro, con macchina, ed è quello che s’adopera ad impiantare o conficcar pali nelle
fondamenta d’alcune fabbriche, ovvero ne’ letti de’ fiumi per assodarsi sopra ripari; e questa macchina è quella che
i fabbricatori a Bologna chiaman becco. L’altra è un grosso cilindro di legno, o piuttosto una porzione di cono
tronco, alto intorno a tre piedi, che serve a percuotere colla base larga, ed ha due manichi dalla parte superiore, pe’
quali s’alza ed abbassa, da colui che ne usa, con le semplici mani. Il primo è sollevato da una macchina ad una certa
altezza, da cui la macchina stessa lo fa cadere perpendicolarmente su la parte che vuol figgersi, ovvero assodarsi.
«Si debbe entrare in detta fossa con due mazzapicchi, i quali sono due legni di lunghezza di tre braccia l’uno, et
larghi di sotto per un quarto di braccio, con i quali si condensa la terra insieme». Qui pare lo strumento a mano;
benché 3 braccia, supponendole uguali a 9 palmi, sieno un malagevole strumento.Veggasi meglio (Cell. Lib. 2.° p.
46 rov.) Non truovo la V. Battipalo, ch’è pur in uso da certe parti.Vedi Guglielmini e gli Scritt. sul Riparo di Fiumi.
Destrezza «Si debbe lasciare scorrere il bronzo, sempre tenendo la punta del Mandriano dentro nella Spina, fin tanto che si
vegga uscita una certa quantità di metallo la qual destrezza» (accorgimento, provvedimento, maneggio, condotta)
«serve a far passare quell’impeto che fa il Metallo, che tal hora è cagione di far pigliar vento all’entrata della forma»
(Cell. L. 2.° p. 51).
Saper risolversi «molte cose occorrono nell’arte del gettare le Statue, che essi» (gli artiglieri) «non se ne sanno risolvere» Cell. Lib.
2.° p. 51 rov. (non sanno trarsene fuori con onore; ignoran il modo di ben riuscirci.)
Migliaccio «lasciorno rappigliare il metallo, e venir come per l’arte si dice un Migliaccio» (veramente è, come nota la Cr.,
metallo rappigliatosi nella fornace, ma siccome notai anni add.° d’averci fatta, in leggendo altri aut., qualche os-
servaz. in contrario; ho not.° qui la V. se mai me ne torna la memoria, per notarla.) Cell. L. 2.° p. 52 rov.Veggasi il
Vasari dove del Fondere.
A pendio «Diciamo hora del piano del fondo della Fornace» (in cui fondesi il bronzo) «Questo si dee fare à pendio… si ha
Attitudine da fare con quell’attitudine che si fanno le strade dove si cammina, cioè che abbino nel mezzo il suo rigagnolo
Rigagnolo et pendio, il quale ha da correr diritto alla bocca della Spina di dove esce il metallo». Qui rigagnolo è il luogo. A
pendio non è notato. Attitudine, è forse unico es.° (Cell. L. 2.° p. 53) e vale andamento.
per coltello [23] Trattandosi di tavole, mattoni, asse, val lo stesso che disporle per modo, che reggansi sul lato lungo di minor
superficie. Cellini, parlando di mattoni, co’ quali murare il fondo delle fornaci) «avvenga che molti usino di met-
a dritto tergli in opera per coltello…sono fatto accorto che…fanno migliore operazione mettendogli à diritto che in
nessuno altro modo». Cell. Lib. 2.° p. 53 rov.
Sbavato «la parte del buco ch’è di fuora della Fornace si debbe fare larga per sei volte quant’è quella sopradetta che si ap-
poggia al detto mattone, et così debbe venire pulitamente sbavata in fuora» (vien da bava che nell’Arte s’è detto
il soverchio che nasce ne’ getti, e si rade da’ gettatori. Cotesto agg. non è notato nella Crusca.Vale in certo modo
Smussato, perché il buco essendo naturalmente cilindrico nel suo vano, quando s’allarga, come qui, rende ottuso il
suo angolo alla parte ch’è di fuora, quando sarebbe stato retto: la parte che s’è levata è dall’Aut. considerata come
bava che s’è dovuta radere.) Cell. Lib. 2.° p. 54.
Graticolato s. «sei ò sette ferri grossi due dita della mano per ogni verso…i quali si debbono posare…mettendogli lontano l’uno
dall’altro per lo spazio di tre dita in forma di graticolato» Cell. L. 2.° p. 54.
Braciaiaiuola (è notata dall’Alb. che tratta l’ha, come penso, dal Baldinucci, ma non è bene spiegata) «sotto alla graticola di fer-
ro…facciasi una fossa larga un braccio et mezzo, profonda due braccia, et larga cinque ò sei verso quella parte che
la detta volta deve porgere il vento per la graticola al Fornello della sopradetta Fornace…la qual Fossa dall’effetto
è chiamata la Braciaiuola» Cell. L. 2.° p. 54 rov. (è da restringer la citazione, e trarne una chiara e breve dichiaraz.
della V.)
Brace et per tal effetto le braci delle legne arse» (è not.° pel plurale di questa V., che trovasi presso molti scrittori, e nella
Cr., scritto brace. Cellini non pare che abbia conoscuto Bracia sing. ma Brace solamente, che seguendo l’analogia,
dee far Braci nel plur. di bracia sing. la Crusca non ha sicuro es.°; perché quello che ne spone del Passav. è più
verisimilmente singolare, che plurale) «tutto è bracia e fiamma d’ardente fuoco». Ha però ivi la Cr. altro es. tratto
dall’Orl. Inn.42 «Paion gli occhi del Conte braci accese» Il Berni s’uniforma al nostro (Cell. L. 2.° p. 54 rov. et ivi

42
  Leggasi «Orlando Innamorato».

Termini di arte
289
alquanto più sotto «si cava le dette braci di mano in mano».
Inasprire [24] «il metallo…agghiadandosi piglierebbe certi fumi di terra…i quali lo inasprirebbono in tal guisa che per otto
giorni continativi che se gli desse fuoco non si potrebbe liquefare» (così avvien dell’oro, se struggasi a certa qualità
di brage). Cell. L. 2.° p. 54 rovescio.
Svaporato «essendo cotto il Fornello, ne svaporato» (qui manifestamente vuol dire ricotto, avendo prescritto poco avanti «si
debbe detto Fornello ricuocere dandogli ventiquattro hore di fuoco»; ma dicendo svaporato dice l’effetto). Cell.
L. 2.° p. 54 rov.
Stagionare agg. «havendo lasciato stagionare col fuoco il Fornello» (cioè avendol ridotto al grado di bontà che richiedevasi) Cell.
L. 2.° p. 55.
Pietra morta (Spiegasi dall’Alb. ¶ certa pietra di color tané. Io dubito forte che questa V. stia in opposizione di pietra viva; e forse
intenda matton crudo, ad esclusione di matton cotto; se già non intende pietra che si calcina, ma non si vetrifica.
Fra queste dubitazioni, ripongo qui il luogo del Cellini, ch’è da confrontarsi, per averne la certa intelligenza, con
gli altri luoghi, che usa di questa voce). «Debbesi ancora alle bocche dove si mette il metallo far due sportelletti di
pietra morta». Cell. L. 2.° p. 55. La Cr. non ha più del notato qui.
Migliaccio «volendo mettere nuovo metallo nella Fornace» (ordina che prima si faccia divenir infocato e rosso, e quasi vicino
a colare, e poi) «si può metter fra l’altro essendoché chi vero mettesse senz’usar prima tali diligenze, andrebbe a
pericolo di freddar il primo metallo, et farlo divenire in guisa di migliaccio, come s’è detto».V. sopra Inasprire. E di
qui pare che possa inferirsi chiamarsi migliaccio quel metallo che messo a fondere resiste alla forza del fuoco, ed
inasprisce non liquidendosi. Cell. L. 2.° p. 55.
Mostrare «Le statue di esso marmo mostrano benissimo» (Vale sono appariscenti, compariscon bene agli occhi. In questo
apparire preciso signif.° non ha la Cr. spiccato esempio, tutto che propriissimo). Cell. L. 2.° p. 55 rov.
Lustri s. «la prima sorte» (di marmi) «have una grana grossissima con certi lustri accanto l’uno à l’altro unitamente» (credo
que’ marmi che ho udito chiamarsi salini. Credo che lustri qui espriman quelle particelle che sembran sali, o cri-
stalluzzi nella superficie ripolita di tai marmi). Cell. L. 2.° p. 55 rov.
Smerigli s. «Certi marmi…havranno la grana grossa mescolata con assai smerigli…dai detti smerigli sono mangiati gli scar-
pelli d’ogni sorte» (Questi smerigli da altri Artef. sono chiamati chiodi, e sono certe durissime parti che incon-
transi per entro alla saldezza di marmi, le quali durezze non si vincono con l’opera degli usati scarpelli. Smeriglio,
rapporto all’uso che se ne fa a pulire i metalli, si truova nella Cr.; ma non come alla natura della cosa qui espressa,
che non ha luogo nelle V. della Crusca, e neppur fra le Giunte Nap.). Cellini L. 2.° p. 55.
Spuntare [25] «Francesco del Tadda Fiorentino…è stato il primo dopo gl’Antichi che ha trovato il modo di spuntare con la
tempera de’ suoi ferri il perfidioso Porfido». (Hallo con lo stesso es. Alberti ¶. Avealo nel testo la Cr.) Cell. L. 2.° p.
56. Spuntare è superare, vincere, ed usanlo anche oggidì in Lombardia.
Sipa V. Bol. che la Crusca fidata su l’autorità dell’ant. comentator di Dante, interpreta sì, non vuol significar questo, ma sia,
sit, ed anche esto de’ Latini e non mai sì. Né fo qui memoria, per non dimenticarlo, sovvenendomen’ora, ed ap-
partenendo alle Opere. Sul Vocab.° dovrebbe trovarsi confermata la nota mia dalle Note su la Secchia rapita del
Tassoni, se ci manca, non rileva.
Serena Sasso o marmo del contado Fiorent.°, che manca nel Gran Vocab., e nelle G.te napol.e, e nell’Alb. «Nelle mon-
tagne di Fiesole, et a Settignano…si ritruovano pietre di colore azzurro, chiamate Serene…ma non resistendo
ne all’acqua…il che non avviene d’un altra sorte di pietra tané detta morta, la quale ne’ medesimi luoghi si
Pietra morta ritruova» Cell. L. 2.° p. 56 rov. (È da avvertire che i nomi delle pietre, e de marmi, o per dir meglio, i nomi che
s’appartengono alla St. naturale, sono da cercarsi e raccoglier altronde; sono però da eccettuare (rispetto al contado
Fiorent.) Gli scritti del dotto Targioni [Tozzetti], così riguardo alle cose, come alle V. pe’ nomi de’ marmi e pietre,
che servono alla fabbrica, veggasi lo Scamozzi, che più copiosamente degli altri Arch. ne parla.
Pietra forte «Si ritruova nelle medesime cave» (et è del colore della pietra serena) Cell. L. 2.° p. 36 rov. (sogg.) «ho parlato di
queste tre pietre» (soprad.e) «quantunque non sien marmi» (ivi).
Deliberarsi «il maestro…volendo far la sua Statua…deliberisi dell’attitudini della figura». Cell. L. 2.° p. 57.
Bozza «Conduca il detto model grande» (se non può finirlo diligentissimamente) «d’una bozza conveniente» Cell. L. 2.°
Condurre p. 57.
Asti n. plur. «i miglior ferri da scoprire» (la fig. nel marmo) «sono alcune subbiette sottilissime, intendendo per sottilissime,
Scoprire le punte, ma non l’asti, percioché l’asti vogliono essere grosse, quant’un dito della mano. (Cell. Ivi che segue
l’analogia, poiché il sing. ha ancora Aste un’aste).
Pelle «così con la subbia si va appressando à un mezzo dito à quella che si domanda la penultima pelle» Cell. L. 2.° p. 57.
Lima raspa scuffina «poi si piglia uno scarpello con una tacca in mezzo, et con il detto scarpello si conduce la Statua fino alla lima,
la quale si domanda lima raspa, ò Scuffina, et di queste se ne fanno più sorti cioè à coltello, mezze tonde, et altre
fatte in guisa del dito grosso della mano. Queste si fanno due dita larghe, et poi fino a numero di cinque ò sei si
viene diminuendo finché l’ultima sia quant’una penna comune da scrivere» (Ivi 57 e rov.) La Cr. non ha raspa,
l’hanno le Giunte; ma danno Raspa, e Scuffina per lime da legno; ed alla V. Scuffina la Cr. reca questo luogo, che
a me sembra decidere in contrario.
Trapani [26] «sono di due sorti. Una che gira per virtù d’un Coreggiuolo, et d’un’asta à traverso bucata…L’altra sorte di
Trapano a petto Trapano più grosso che si domanda Trapano à petto; ch’è fatto d’un’asta di ferro grossa un dito e lunga mezzo
braccio, e il mezzo dell’asta torta, nella quale s’accomoda un rocchetto di legno…et con quello si gira il detto

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Trapano tenendo al petto il detto legno.» Cell. L. 2.° p. 57 rov.
Saettuzze «havendo messe le Saettuzze nella sua ingorbiatura fatta à posta per tal effetto» (sieg. Cell. a parlar de’ trapani, e
chiama Saettuzze quelle punte che si conficcan nella gorbia del trapano a petto, per levare dall’opera che si scol-
pisce quella parte di marmo che vuol cavarsene) Cell. L. 2.° p. 57 rov.
(ciò che direbbesi comunemente veder per fianco, veder da un lato, ch’è non veder di fronte, di faccia) «volgendo
Per canto la Figura detta» (il modello) «per canto, che viene ad essere una delle quattro vedute principali» Cell. L. 2.° p. 60 rov.

E qui finiscon le note ai due Trattati di


Benvenuto Cellini

[1] Vas.Vite Pitt. Introd. Ed. 1767

Forte agg. «Pietre che son durissime e forti» Vasari Livorno 1767. Introd. Cap. 1. p. 36.
Stampato sost. «È riportato in stampato detto lavoro». Bottari nelle sue N.e al Vasari, che parla dell’urna in porfido celeb. nell’an-
tico tempio di Bacco, oggi S. Agnese. Introd. C. 1. p. 37.
Condurre «A’ dì nostri non s’è mai condotto pietre di questa sorte a perfezione alcuna» (Vasari ivi p. 38, parla del Porfido. È il
ducere, che in questo senso hanno adoperato i latini «et vivos ducent de marmore vultus» Virg. En. 6.) siegue «per
avere gli artefici nostri perduto il modo del temperare i ferri, e così gli altri strumenti da condurle».
Rocchio sost. «Vero è che se ne va segando con lo smeriglio rocchj di colonne» (non è dunque vero ciò che affermasi dall’Alberti
v. la pag. seg.te e di questa V., non adoperarsi fuorché a significare picc. pezzi; e rocchio equivale a saldezza, com’è usata dal Vasari
questa V.
Prova, Pruova «e Leon Bat. Alberti, il quale fu il primo, che cominciasse a far prova di lavorarlo…» (parla del porfido) «non trovò
tra molti, che ne mise prova» (forse dee dir a prova) «alcuna tempera». Ivi pag. 38.
Sfavillare «quella pietra durissima (porfido) sfavillava sempre fuoco». La Crusca non ha es.° dell’essersi questo V. usato attivo.
Ivi p. 38.
Lustro s. «Se gli dà il pulimento con lo smeriglio, e col cuojo strofinandolo, e così viene di lustro molto pulitamente
lavorato, e finito.Venir di lustro manca nella Cr. Ivi 39.
Canto s. L’angolo solido d’alcun corpo. Ivi «non si potendo salvare alcuni canti vivi» cioè non potendosi condurre appunto
col preciso angolo ben tirato; che questo è l’angolo vivo, non quello della Crusca.
Togliersi,Togliersi giù, Distogliersi [2] N’ha esempli che bastano la Crusca; pure Vasari Introduz. Dell’Archit. C. 1. p. 40 «Michelagnolo se ne tolse giù».
Tempera «un acqua di tanta virtù, che spegnendovi dentro i ferri bollenti fa loro una tempera durissima» Vas. ivi.
Spoglia s. «Restami a dire del porfido, che per essersi oggi smarrite le cave di quello, è perciò necessario servirsi di
spoglie, e di frammenti antichi, e di rocchi di colonne, e di altri pezzi» Vas. Ivi p. 41. (qui spoglie è valuto al
Vasari per quelle croste de’ marmi, onde gli Ant. ricoprivan nelle più nobili fabbr.a le mura di cotto) tal es.°
di spoglia manca alla Cr.
Vivezza (per Lustro, pulimento, quello splendore che vien da’ metalli, e da’ marmi, dove sien forbiti, e ben condotti a spec-
chio) «Bisogna a chi lavora» (il porfido) «avvertire se ha avuto il fuoco: perché quando l’ha avuto, sebbene non
perde in tutto il colore, né si disfà, manca nondimeno pure assai di quella vivezza ch’è sua propria, e non piglia
mai così bene il pulimento.» Ivi.
Saldezza s. (equivalente a quantità in gross.a, in massa, in estens.e) Giorg.Vas. dove sopra a p. 41 parlando del Serpentino sog-
giunge non essersi mai trovata opera «di Serpentino» in pezzo maggiore di braccia tre per ogni verso. Ivi p. 42 e 45.
«Se ne sono trovate cavate colonne lonne di braccia sette bellissime» (parla del Mischio) «Ed io resto maravigliato,
che in questa pietra si sia trovata tanta saldezza». Ivi p. 43.
Pulimento Pigliar pulimento (che altramente direbbesi Lustrare) Vasari dove sop., ma a pag. 42, parlando del Cipollaccio:
«questa pietra piglia il pulimento come il porfido».
Pietra per marmo nell’es.° sovresp.°, e in mille luoghi Giorgio, Benven.°, ed altri non avvertito nella Crusca.
Pilo [3] «e di questa sorte di pietra» (parla del Mischio) «n’ha un pilo antichissimo largo braccia quattro e mezzo il Sig.r
Duca al suo giardino de’ Pitti» Vasari Introd. p. 43. (cotesto Pilo del Vasari non è alcun Pilo della Crusca, e bisogna
cercarne fra l’op. del Vas. la defin. p. V. Vas. Proemio «quel pilo di porfido intagliato di fig.e bellissime» qui parla
sicuram.te della bell’urna ch’era ad Agnese; par dunque Sarcofago o cassa per cadaveri sec. il Vas.i p. 149.
Ceciato «tira in color ceciato» Vas. che parla d’una sorte di mischio. Ivi in fin della p. 43 (manca nella Crusca e nelle
giunte43 ).
Picchiato, a agg. «pietra picchiata di neri, e bianchi, e talvolta di rossi; dal tiglio, e dalla grana di quella communemente detta
Tiglio granito». Ivi p. 44. (né l’una, né l’altra di queste 2 V. nella Cr. e nelle Giunte. ha Picchiato nel senso del Vasari, o sia
per picchiettato. Non ha il seguente.)
Picchiato sost. «Un’altra ragione (di granito) bigio, il quale trae più in verdiccio i neri, ed i picchiati bianchi».Vas. ivi p. 44.

43
  Si riferisce alle aggiunte al Vocabolario della Crusca pubblicate periodicamente dagli accademici italiani.

Termini di arte
291
Spoglie (Crustae) «le spoglie» (del granito) «che i nostri scarpellini ne hanno trovato» ivi (v. add.44)
Arruotare v. Per stropicciare, fregare «volendo saggiar l’oro s’arruota su quella pietra» (parla del paragone) «e si conosce il co-
lore». Ivi p. 45.
Nero morato (che manca nella Cr. e G.te, quantunque non manchin l’una, né l’altra V. spiccate) (Vasari parlando d’un’altra sorta
di paragone, che fors’è il Bassalte) «Di questa» (pietra paragone) «è un’altra specie di grana, e di un altro colore,
perché non ha il nero morato affatto, e non è gentile» (se già l’Aut. non voless’esprimere che non è totalmente
nero, come non lo è il Bassalte). Ivi p. 45.
Lustrante agg. (La Crusca hallo; ma non ha esempio che vaglia il seguente) «nel Carmine di Fiorenza alla Cappella maggiore,
dove è la sepoltura di Pietro Soderini, di questa pietra (paragone di Prato) è un padiglione tanto ben lavorato, e
così lustrante, che pare un raso di seta, e non un sasso» Ivi. p. 45.
Tiglio s. «questi marmi di tiglio, e di grana erano finissimi». Ivi p. 46.
Struffolo s. [4] «questo marmo…se gli dà il lustro con la pomice, e col gesso di Tripoli, col cuojo, e struffoli di paglia».Vas. In-
trod. p. 46 (notasi, perché non avendo nella Crusca definiz. note non si creda che solamente significhi una quantità
di stracci batuffolati insieme, e non anche d’altre materie atte a rinettare e pulire). (da Stroffinare, anzi Strofinare da
questa V., scritta con sempl. e dop. f., ch’equivale a Strofinaccio; la cui definiz. sec.° la Crusca, conviene a Struffolo
in qualche modo, benché non comprenda quelli che di paglia o d’altro potesser farsi.
Tripolo com’è chiamato comunemente in Italia, e fu nomato da Benv.° Cellini nella sua Orific.a, da Giorgio Vas. vien detto
Gesso di Tripoli. Introd. p. 46, ed a C. x.
Smerigli come usa il Vas. di questa V. Ivi ed a p. 47. Pare che significhin alcune parti de’ marmi, intrattabili da’ ferri degli
scultori, come nodi, e noccioli, ne’ quali non vagliono ad attaccare i loro scarpelli (se pure non sieno smeriglio
raro), senza molta difficoltà, e senza lasciare bruttezza nell’opere, finite ch’elle sono.
Saldezza v. add.° «vi s’è trovato» (nelle montagne di Carrara, nella Carfagnana) «da cavare saldezze grandissime…pezzi di nove brac-
cia per far giganti». Ivi, 46, 47.
Smerigli Vasari parlando de’ marmi testé sopra ricordati, «questa sorte di marmi ha in se saldezze maggiori, e più pastose e
morbide a lavorarla, e se le dà bellissimo pulimento, più che ad altra sorte di marmo.Vero è, che si viene tal volta
a scontrarsi in alcune vene domandate dagli scultori smerigli i quali sogliono rompere i ferri» Vas. ivi p. 48. (In
questa significaz. non trovasi nella Cr., né per entro alle Giunte, né la V., né esempio alcuno).
Subbie «hanno la punta a guisa di pali a facce» (ivi 48), più grosse e sottili.
Calcagnuoli «scarpelli, i quali nel mezzo del taglio hanno una tacca e sono corti (diremmo intaccatura) Ivi p. 48. Manca nella
Cr. e nelle Giunte; avralla Baldinucci. Dicesi Dente di Cane.
Gradine «Scarpelli più sottili delli sudd., che hanno più tacche (e così al C. IX p. 71); con questi si vanno gradinando, e
Gradinare riducendo a fine le sculture; poi levansi con lime e le gradine restate nel marmo (qui vale i segni lasciati dalle
tacche) Vas. Intr. p. 48.
Arrotare v. [5] (per dare il polimento; che pur notasi dalla Crusca, dove nessun uso si fa della ruota) «e così poi con la pomice
arrotando a poco a poco gli fanno la pelle che vogliono». (Parla del marmo scolpito, cui voglionsi levare i solchi
lasciativi dalle gradine) Vasari Introd. p. 48.
Pelle n. V. l’es.° d’arrotare; dove pelle significa quell’ultimo pulimento che vuol darsi alla superficie d’una op.a scolpita. La
Cr. ne manca, avvegnache abbondi d’espressioni analoghe.
Grana «I marmi saligni…hanno la grana della pietra ruvida, e grossa». Ivi p. 48 su la fine (manca nella Cr. e nelle Giunte).
Quadro s. «Lavori di quadro» Ivi p. 49 (Lavori degli Scult., ne’ quali appena si adoperan altri strumenti, oltre alla squadra.
Altrove li definiranno col Vasari). «Lavori di quadro, e d’intaglio» Vas. li distingue apertamente. Ivi p. 52.
Schiantare v.n. «I marmi Campanini si schiantano» (vale si fendono) «più facilmente che gli altri». Ivi p. 49.
Pori Vasari parlando del Trevertino «vi rimangono i pori della pietra cavati, che pare spugnosa, e bucheraticcia (manca
Bucheraticcio, a agg. Bucheraticcio nella Cr. e nelle Giunte. Dì lo stesso di Poro così usato) Ivi 50.
Alidissimo Vale aridissimo. V. «Delizie Tosc. […45] Vol. I, LXXXVI. Manca questa V. nella Cr. e Giunte, benché abbiaci Alido
agg. che vale secco, privo d’umore; perciò noto:Vasari Introd. p. 52, parlando del «Piperno, da altri detto Peperigno,
pietra nericcia e spugnosa come il trevertino, la quale si cava per la campagna di Roma…È questa pietra alidissima,
Piperno ed ha anzi dell’arsiccio che nò.» Ivi (mancan Piperno, e Peperigno, così nella Cr., come nelle Giunte. Alberti ha
Peperigno Piperno, e ne dà la V. e la Defin.e tratta dal Voc. Dis.°, donde verisimilmente ha ricavato che questa pietra nomasi
altresì Pila, e Torsello; ma in vano cerchi nel suo Dizion.° Pila in tal signif.e; e in vano pure Torsello. Il Baldinucci
Pila ha ricop. in parte le parole del Vasari sovra esposte; se Alberti intende col suo Voc. Dis.°, l’Op. del Baldinucci, che
non ho presente.
Commettere v. [6] Per Incastrare, Congegnare, Inserire, come ne’ lavori di Tarsia o di Tausia. «Nella pietra d’Istria spesso com-
mettono dentro porfidi, serpentini, ed altre sorti di pietre mischie, che fanno, accompagnate con essa, bellissimo
ornamento.» Vas. Introd. p. 52.
Tenere v. Per aver qualche somiglianza di qualità: «questa pietra» (d’Istria) «tiene d’alberese» Ivi; ed usa di questa V. come i
buoni Ant.i «tener di muffa». «Tiene» (la pietra serena) «di specie di nodi della pietra» Ivi 53.

44
  Sta per «addietro», ossia alla p. precedente, ove già compare la voce spoglia.
45
  Illeggibile.

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Ghiacciato sost. «Questa sorta di pietra» (serena) «è bellissima a vedere, ma dove sia umidità, e vi piova su, o abbia ghiacciati addosso,
si logora e si sfalda». Ivi p. 53.
Filare sost. (in luogo di strato) «La pietra del Fossato, quando si cava, il primo filare è ghiaioso, e grosso; il secondo mena nodi,
e fessure; il terzo è mirabile, perché è più fino». Ivi 53.
Condurre v. «Vi vuol tempo a lavorarla,» (la pietra forte) «ma si conduce molto bene». Ivi 54. (Qui ha fine il pr.° C.° della
Introduz.)
Intorno alle Pietre o Marmi della Toscana, come pure d’altri Marmi, sarebbon da vedere e spogliare gli eccellenti Vi-
aggi del Dott. Gio.Targioni; pensiero, che m’ha distolto dal soffermarmi, intorno a’ lor nomi, su leV. che n’ha il Vasari.
Quadro Tutto quello dove si adopera la squadra, e le seste, e che ha cantoni, si chiama lavoro di quadro». Vas. Introd. alle
Vite de’ Pitt. C.° 2. p. 55. E alquanto appresso «ogni ordine di cornici, o cosa che sia diritta, ovvero risaltata, ed
abbia cantonate, è opera, che ha il nome di squadro; e però volgarmente si dice fra gli artefici lavoro di quadro…
ed app.° «Se l’opera di quadro non resta così pulita» (cioè schietta, e senza lavoro d’intaglio) «ma si aggiungon
fogliami, facciansi fusaruoli, uovoli, guscie etc.) allora questo lavoro chiamerassi opera di quadro intagliata, ovvero
lavoro d’intaglio» Ivi Cap. 2.° p. 55.
Incrostare [7] «per avervi a incrostar su’ opera di stucco intagliata» (dove incrostare non è proprio, trattandosi d’appiccare lo
stucco).Vas. Ivi C. II. p. 55.
Rustico (Ord.e per Ord. Toscano46) Vas. Ivi per tutto il C. III.° e per tutta l’op. p. 56.
Modanatura s. (Per tutta l’op., in luogo di Modinatura, come gli altri Scritt.i dell’Archit.a; e così Modano, in vece di Modine). La
maniera, onde sono condotte le cornici, e i profili delle membra della fabbrica.
Zoccoli s. «Zoccoli, o piedistalli, che gli vogliamo chiamare». Così il Vasari C. III.° p. 58. Gli altri Scritt. dell’Archit. metton
V. seg.te § molta differenza tra Zoccolo, e Piedestallo, com’è da notarsi: questa V. è ben definita, come T.47 d’Architett., nella
Crusca, dove Zoccolo non è notato per equivalente a Piedestallo; la qual V. non è ben definita nella Crusca, non
essendo Pietra come ivi.
Bozza n. (Per pietra lavorata, come dicono, alla rustica) «Loggie pulite, ed alla rustica con bozze» Ivi.
Ricingere v. «fascia…che lo ricinga» (il zoccolo, o piedestallo dell’Ord. Toscano) «in cambio di cornice» Vas. C. III. p. 56.
Sodo agg. «La fascia soda» cioè liscia e senz’altro membretto che le si aggiunga.
Bozze Cantonate «cantonate» (cioè angoli esterni di fabbriche, come ha not.° la Cr.a) «a punte di diamanti, ed a più faccie bellissime.
E queste si fanno spartire» (forse de’ leggersi spartite) «in varj modi, cioè, o bozze piane, per non fare con esse
scale alte muraglie; perché agevolmente si salirebbe, quando le bozze avessero troppo aggetto, o in altre maniere.
Aggetto s. C. III. 56. Aggetto, ch’è riportato nelle giunte, Projectus. Aggetti:Vitr. Adjectiones «L’Intasi delle Col.ne»48. Ma non
V. f. III ha esempi; ne son moltiss. in ogni Scritt. dell’Archit., significa ciò ch’altramente chiamasi Sporto da Sporgere, e
chiamano Sporto qualunque membro, o parte della fabbrica, in quanto eccede l’altro membro, o l’altra parte della
fabbrica, su la quale è posta quella, che uscendo più in fuori, ha un tale sporto. (è nella Cr.) C. III. 56.
Vedere, vista s. [8] «Fa bellissimo vedere» Vas. C. III. p. 56 (la Crusca ha un es.° del Salvini, senza più, ne’ suoi Discorsi «fa un vedere
bruttissimo»)
Bozze «Fabbriche stupendissime fatte di bozze» Ivi p. 87.
Campato, a agg. «Pietre traforate, o come dicono i nostri, campate in aria dalla diligenza degli intagliatori» Ivi p. 57 (veggasi
Baldinucci alleg.° dall’Alberti, che non parmi acconcio. La Crusca, né le Giunte hanno questa V. in tal modo
adoperata).
Fuso s. «La proporzione ne’ fusi delle colonne…è molto bene intesa» Vas. C. III p. 58 (qui, e in molt’altri luoghi del Vasari,
Fuso è ciò che il più degli Archit. nominan fusto, e s’intende la parte della colonna che riman sotto al Capitello, e
sopra la base; ch’è propriamente il vivo della colonna. Scapi columnarum) Ivi p. 58.Vedi qui a p. 84.
Spianare v. n. «Il vero modo di fabbricare vuole che gli architravi spianino sopra le colonne, levando la falsità di girare gli archi
delle loggie sopra i capitelli» Ivi p. 58; cioè s’adagino stesi, jaceant, sien posti in piano.
Sodo s. «Sopra il sodo delle colonne» (sopr al vivo, sovra’l fusto delle c.e) Ivi.
Quartabuono s. Vasari C. III p. 59 «Sia intaccato di dentro il dado a quartobuono» (pare a squadra, perpendicolarmente; ma il luogo,
anche per disavventura dell’Arte, è oscuro) «da ogni banda…» Il luogo merita esame, e questa V. dee spiegarsi
coll’uso che trovisi averne fatto in altri luoghi l’Autore).
Zoccolo «Ed il suo zoccolo» (del lavoro dorico) «ha da esser poco manco d’un quadro e mezzo d’altezza, e larghezza un
quadro». Ivi p. 60 (dove zoccolo è chiaram.te piedestallo) Ivi pag. 60.
Tigrifi s. è il nome che dal Vasari è dato a’ Triglifi. Né il Vocab. della Crusca, né le Giunte, hanno Tigrifo, né Triglifo.V. co-
mune a tutti gli Scrittori dell’Arch., e comunemente usata ed intesa. Il Baldinucci non la ha esattamente spiegata.
Altrove farò questo). Ivi p. 60.
Campanelle [9] «A pié del quale» (il Tigrifo) «fanno» (gli Arch.) «sei campanelle per ciascuno» (Tigrifo) «chiamate goccie dagli
Goccie antichi». Molti scrittori moderni le hanno chiamate Chiodi; ed alcuni Architetti, anche de’ buon tempi, le hanno
Chiodi scolpite a mo’ di chiodi. La Crusca e le Giunte ne sono senza, così di Campanelle, come di Chiodi; né altramente

46
  Qui è evidente la mancata distinzione, da parte di Corazza, tra ordine rustico e tuscanico, come è noto già presente in Serlio e, poi, in Vasari.
47
  Sta per «Termine».
48
  Leggasi: «Entasi delle Colonne».

Termini di arte
293
è delle Gocce. Il Vocab. del Disegno (in Alberti alla V. Gocciola) mesce e confonde la spiegazione di queste 3 Voci,
nelle cose architettoniche, per modo che, mostra di non saperne affatto la significazione, dove sien prese a signifi-
car membro d’architettura.Vas. C. III p. 60.
Accanalare v. «e volendo accanalare le colonne» C. III p. 61.
Accanalato, a agg. «se si ha da vedere la colonna accanalata nel Dorico» (cioè scolpita nel fusto a canali). L’Alberti, che verisimilmente
copia Baldinucci, erra nella sposizion de’ Canali. La V. accanalato, a dee anche più tenersi in conto, non avendo la
nostra lingua canalato,a agg. Né la Crusca, né le Giunte hanno accanalato agg.; ben ha la Crusca Scanalato ag.; ma
solamente alla V. accanalato, che interpreta Scanalato: ma si cercherebbe in vano al suo luogo nell’Op. C. III p. 61.
Svelto, a agg. «L’ordine Jonico per esser più svelto del Dorico» (cioè più gentile, più delicato); in questa signif.ne non ha es.°.
Ivi p. 61.
Zoccolo «Il zoccolo, che regge la sua colonna, lo fanno alto un quadro e mezzo, e largo un quadro» (Ivi p. 61). È manifesto
esser qui Zoccolo in luogo di piedestallo: gli altri Scritt.i dell’Arte non hanno commesso questo equivoco, ma
hanno assegn.° a zoccolo altra idea, o al più hanno chiamato zoccolo quel murello che fa le veci di piedestallo
sotto la colonna tosc.a; non avendo cornice.
Viticci «Volute, o cartocci, o viticci, che ognuno se gli chiami».Vasari parla qui delle volute joniche, le quali non ho mai
Cartocci trovato chiamarsi Viticci, altro ornamento degli Archit.i; Cartoccio poi, e Cartocci chiamano alcuni la parte laterale
Volute della Voluta, che ne’ fianchi del capitello Jonico mostra d’avvolgersi, e mostra nelle fronti d’esso capitello le Volute.
Viticci non ha nella Cr. e G.te il proprio sec.° gli Archit.; e neppur voluta; né Cartoccio de’ Pitt. o degli Archit.
(Ivi p. 61). Ha questa V. Alberti dal Baldinucci che non soddisfa.
Corinto agg. [10] (che non ha esempio nella Cr.a) «Il lavoro Corinto piacque» (et alla margine) «Ordine Corinto». Vas. C.
III. p. 62.
Zoccolo «il zoccolo che regge la colonna» (Parla dell’ordine Cor.) Ivi.
Vilucchi «L’ornamento del capitello» (corint.) «sia fatto co’ suoi vilucchi» (o intende le 8 volute di quest’ordine; ovvero
com’es. li viticci sorgon dalle foglie, e vengono avviticchandosi sotto ’l fiore. In significato di cosa architettonica,
non si trova né alla Cr., né alle Giunte, né in Alberti, che verisimilmente non ha trovato nel Baldinucci) Ivi, p. 62.
Da prep. «appare in molte opere antiche, e moderne misurate da quelle» (modellate a norma o sovra di quelle) Ivi p. 62. Ed a
p. 63. «componendo da sé» (cioè senza imitare o seguire altrui) «delle cose che apportino molto più grazia, che non
fanno le antiche» (Queste maniere di adoperare il da non sono notate ne’ lessici, né da’ Gram. ch’io abbia letti.)
Composto agg. «di questo modo di lavorare» (parla dell’ord. Composto) «è scorso l’uso, che già è nominato quest’ordine da alcuni
Latino agg. Composto, da altri Latino, e per alcuni Italico».Vas. C. III. p. 64. Cotesti agg.i, il cui signif.°, quando sono aggiunti
Italico agg. ad Ord. d’Architettura, reca altra idea, non sono esposti né da’ Lessici, né dal Bald., debbono aver luogo nelle Gi-
unte progettate49. L’Alberti nota Italico, quando si accoppia con Carattere di stampa, che in tal caso vale corsivo;
bene, per mio avviso, et è da far lo stesso in qualunque simil caso.
Viticci «I capitelli…simili ai Corintj…e le volute, o viticci alquanto più grandi.» (qui Viticci son certamente Volute. Ivi.
Aggetto s.V. f. 11 «La cornice (corona), quanto l’architrave, (in altez.) che l’aggetto la fa diventar maggiore» Vas. C. III. p. 64.
Tigrifi «Ed in dette mensole si posson far canali a uso di Tigrifi50» (vedi fogl. 2. p. 4. Ivi p. 64).
Tedesco «una specie di lavori (chiamam ord., o lavoro Gotico) che si chiamano Tedeschi. Ivi, p. 65.
Quarti s. [11] «Girarono le volte con quarti acuti» (i Goti; ed avverti che si è detto di cotai volte, got.e o tedesche, esser el-
leno fatte con sesti acuti: nel qual caso alcuni han preso sesto per garbo, modellatura, che fa angolo nella sommità.
Io ho dubitato che il sesto acuto non avesse avuto l’origin sua dall’essere cotai volte modellate sovra la traccia che
mostran le due seste di circolo che formansi sovra due lati d’un triang.° equilatero, quando prendasi per raggio
il lato d’esso triang., e facciasi centro agli angoli opposti: certo le volte e gli archi da noi chiamati Gotici, rendon
verisimile la congettura; ma si è pur detto a quarto acuto, la curvatura di simili archi. Che sia del vero, l’una e l’altra
V. sono da notarsi.) Vas. C. III. p. 65.
Scorniciato (La Cr. ha scorniciare v.° e non ha, pur nelle G.te, scorniciato agg.°) come Scorniciare sign. fare o metter cornici;
così scorniciato vale ornato di cornice. «vogliono essere tutti i membri delle cornici al contrario scorniciati» (Parla
della cava forma, in cui si voglion gettargli ornam˜ti delle volte, che mostrin cornici. Ivi C. IV. p. 66.
Voltare v. «Quando le mura sono arrivate al termine, che le volte s’abbiano a voltare o di mattoni, o di tufi, o di spugna.Vas.
C. IV. p. 66. (Qui e in tropp’altri luoghi spugna è sasso bucherato che si adopera per sua leggerezza nelle volte51, e
per capriccio ad ornato delle font.ne.)
Edificio s. Per Macchina, Ordigno (nel qual signif. hallo la Cr. sotto la V. Dificio, ma non ne parla nella v. Edificio) «volendo
mostrare come lo stucco s’impasti, si fa con un edificio in un mortajo di pietra pestare la scaglia di marmo».Vas.
C. IV. p. 66.
Condurre v. «Condur di stucco» (è propriissimo, come sarebbe condur di cera, o di creta).Vas. C. IV. p. 67.
Tazze n. «Anche de’ vasi più grandi che serban l’acque ne’ giardini…Fontane isolate con tazze e vasi» Vas. C.V. p. 67.
Alla salvatica (o alla rustica) Alb. spiegando salvaticamente, come la Crusca; ma ne mancan esempli «se ne fa ancora» (delle

49
  Si fa riferimento all’aggiornamento, all’epoca in corso, del Vocabolario della Crusca.
50
  S’intenda «Triglifi».
51
  Si tratta evidentemente della pomice.

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fontane) «d’un’altra specie di grotte [12] più rusticamente composte contraffacendo le fonti alla salvatica in questa
maniera».Vas. Introd. C.V. p. 68.
Gongole Vas. al citato luogo nomina queste produz. marine come materiali da ornarne le fontane che abbian rassemblanza
Telline di rustiche e naturali (C.V. p. 69). Noto queste V. 1.° perché Telline, ch’è V. napolet. manca in tutti i Diz.i Ital.i. 2.°
Chiocciole marittime perché Gongola, esprimente Conca e Concula, donde la credo originata, manca allo stesso modo. Finalmente per-
Tartarughe ché Alberti, o piuttosto Baldinucci nel suo Vocab. del Disegno, ha impasticciato, alla V. Gongola, il luogo del Vasari,
Nicchi che noto «mettono per fregi, e spartimenti, gongole, telline, chiocciole marittime, tartarughe, nicchi grandi». Di
nicchi la Cr. ha V. ed esempi.
alla grossa avv. «varj pezzi posti alla grossa» (senz’arte) Ivi p. 69.
Frombole «Frombole, cioè sassi di fiume tondi, e stiacciati» Vas. C.V. su la fine p. 69, 70. Ha la Crusca questa V. ed usando la
defin.e detta del Vasari, omette stiacciati, e in questo modo guasta la defin.e; perché se il sasso di fiume non è stiac-
ciato, non è quel sasso che chiamasi Frombola.
Commesso s. (Lavoro di commesso) Avendoci Lavori di commesso varj, e fra loro diversissimi, verrò in appresso notandoli sotto
alle varie Voci, che ciascun lavoro particolarmente riceve; come Tarsia, Tausia, ed altri. Qui basta «Pavimenti di
commesso» Vasari Tit.° del C.VI.; e nel proseguimento «Gli antichi trovarono (inventarono) i pavimenti di pietre
ispartiti con varj misti di porfidi, serpentini, onde s’imaginarono, che fare si potessero fregi, fogliami, ed altri anda-
Andari ri» (che val idee, capricci, forme, né s’è notato dalla Crusca o da altri) «…e dal commettere insieme questi pezzi
Musaico s. lo dimandarono musaico» Ivi p. 70.
Meglio av. [13] «Secondo che veniva lor meglio» Vas. C.VI. p. 70 (come tornar bene, e tornar meglio).
Condurre v. Non è solamente adoperato parlandosi d’op. scolp.a o come add.° in altri fogli; ma il Vas. parlando di pavimenti
in musaico, dice che se ne son fatti «conducendo fogliami, maschere, ed altre bizzarrie»; ma questa forma sembra
a me che si scosti un po’ troppo dalla proprietà; ciò che non fa adoperandosi nell’op.e del pennello. C.VI. p. 70.
Presa n. Far presa; termine di parecchie arti, specialmente de’ muratori. Manca nella Crusca e nelle Giunte; hallo Alberti,
ma senza esempio. Noto questo che ho sotto gli occhi, e n’ha moltisimi «un piano di stucco fresco di calce, e di
marmo…sinché fatto presa si potessero spianar sopra i pezzi del mosaico commessi fermamente» (Ivi. 70. 71.);
Smalto n. «perché facevano nel seccarsi una presa mirabile, ed uno smalto maraviglioso.» (Qui smalto è posto nella proprietà
onde usan di questa V. i muratori). Ivi p. 71. Cioè la materia che lega insieme i materiali del muro.
Ritornar bene Tornar bene; comparir bene e appariscente alla vista. «pensando che tale opera» (mosaici in piccole pietre fine)
«molto meglio di lontano, che d’appresso ritornerebbe; perché così non si scorgerebbero i pezzi, che ‘l musaico
D’appresso, e di lontano d’appresso fa vedere».Vas. ivi p. 71. La Cr. conosce da presso, e non di presso, così da lontano, e non di lontano: ma
siccome la lingua in troppe circostanze adopera, e bene, il secondo caso in luogo del sesto, così penso che non solo
il Vasari, ma parecchi altri buoni Scritt.i avranno usata questa formula. Noterassi.
Musaici «Da quelli» (musaici) «di marmo derivano questi, che si chiamano oggi musaico di vetri: e da quel di vetri s’è pas-
sato al musaico di gusci d’uovo;» (del quale non ho veduto nulla nel Vasari, né in altri) «e da questi al musaico del
far le figure, e le storie di chiaro scuro pur di commessi, che paiono dipinte; come tratteremo.» Vas. ivi C. VI nel
fine.Vedi Avanti, dove della Pitt.a
Fognato ag. Avente le sue fogne. «Palazzo…fognato con ismaltitoi, che tutti rispondano a un centro, che porti via tutte insieme
le bruttezze, ed [14] i puzzi».Vas. C.VII. p. 73.
Finestre inginocchiate Le nomina Vas. al C.VII ed altre volte. La Crusca, la quale ottimamente le definisce, n’ha esempio, p. 73.
Strette s. «le strette o de’ cavalli, o d’altre calche, che spesso v’intervengono, non facciano danno a lor medesimi» (vale gli
affollamenti. La Cr. n’ha buoni esempli). Ivi p. 73 fine.
Scale Che ne’ C. preced. ha nomate Scalee «dolci al salire» p. 74; «sopra ogni pianerottolo, dove si volta, vogliono avere
Scalee finestre, o altri lumi» Ivi. «L’altezza degli scaglioni vuole avere un quinto almeno, e ciascuno scaglione largo due
Scaglioni terzi». Ivi, scale ripide; (Scalee sembra a me ciò che in Lombardia chiamasi Scalinata, ch’è Specie di scala, come
quelle che metton sotto ‘l portico degli ant.i templi, e prima d’entrar nel pronao de’ nostri più solenni.) Scaglione
è Gradus. La Cr. non manca d’esempli.Vas. 1 c.° «Scale ripide» erte, incomodi e malagevoli a salire. Ivi.
Fusi delle colonne Vedi addietro «i fusi delle colonne non siano lunghi, o sottili, o grossi, o corti». Fuso qui, come add.° si è notato
II. p. 4 è Fusto, la parte della Colonna, ch’è fra la base, e il capitello. Questa V. nella signif.e qui notata manca nella
Cr. e nelle G.te; ed è forza che manchi nel Vocab:° del Baldinucci, poiché neppur si truova nel Dizion. d’Alberti.
Fusato agg. Il P. Bartoli nella sua «Ricreazione del Savio» Lib. I. C.V. ha colonne mal fusate; e ricordami d’aver letto in alcuni
Fusellato, a agg. lib. d’arch.a «colonne bene, o mal fusellate», alludendo al bello, o deforme garbo della curvatura che determina il
profilo de’ fusi, o fusti. Ivi 74 (né fusato ag., né fusellato, nella Cr. e Giunte).
Andare sost. Andamento «I panni» (della statua) «siano con il loro andar di pieghe girati» (sieno avvolti intorno all’ignudo)
Girato, a «talmente che scuoprino lo ignudo di sotto, e con arte e grazia talora lo mostrino, e talora lo ascondino» (così)
«senza alcuna crudezza» C.VIII. p. 76.
Svellato, a agg. «Siano i suoi capelli» (della statua) «e la barba lavorati con una certa morbidezza, svellati» (forse dee leggersi sfilati)
Sfilato, a agg. «e ricciuti» (ne siegue) «che mostrino d’essere sfilati».Vas. ivi C.VIII. Scult. p. 76. Forse così veri, come quelli che
venisser svelti, e svellati.
Di maniera avv. [15] (che in [lingua] prop. dell’Arti è operar di capriccio e secondo la fantasia, senza troppo curarsi del vero; onde si
dice stil manierato) «gli scultori di questa parte» (parla de’ capelli e delle barbe) «non possono così bene contrastare
la Natura, facendo essi le ciocche de’ capelli sode, e ricciute, più di maniera, che di imitazione naturale». (Questa

Termini di arte
295
espress., come che in bocca agli artef.i lombardi cotidianamente, ed acconcia, non so come siasi negletta in tutti i
Dizion.) Vas. C.VIII. p. 76.
Attitudine s. (per l’aptitudo de’ Latini, nel qual senso pare che il celebre Sig. Fr.° Zanotti non abbia osato di adoperarla a tra-
durre aptitudo, ne’ suoi Ragionamenti su la Poetica52) «È necessario che» (la statua) «abbia corrispondenza, e che
Per tutto (non da per tutto, ch’è pur ugualmente ci sia per tutto attitudine,» (che non è l’atteggiamento della Cr.) «disegno, unione, grazia, e diligenza»
tosc.° come per tutto, ubiq. ed ha (non è notata ne’ Less. in questo senso). C. VIII. 76. Vale acconcia disposizione. La Cr. trad.e Aptitudo Attitudine
la Cr. et.) nell’Indice delle V. latine, ma lascia di notarne questo signif.° nelle V. Ital.e V. la pag. seg.te
Scorto sust. «Ciò che si dà di accrescimento» (alle parti) «viene a consumarsi nella grossezza dello scorto, e tornano poi di
proporzione, nel guardarle, giuste, e non nane, ma con bonissima grazia» Ivi C. VIII. 76 (parla dello allungar che
debbonsi le Statue poste in alto, e vedute di sotto in su troppo d’appresso. Ma di questa V. più oltre Scortare v.° in
valore di pinger di scorcio.)
Bozze «apparisca da lontano, il lavoro esser finito, e d’appresso si venga lasciato in bozze» (non terminato. Parla delle
Statue vedute di lontano, e dell’effetto vario per le distanze cagionato).Vas. C.VIII. p. 77.
Scorto «ciò che si dà nell’accrescimento» (intendi nell’altezza «quando le statue vanno in luogo alto, e che a basso non sia
molta distanza da potersi discostare a giudicarle di lontano, ma che s’abbia quasi a star lor sotto; …così fatte statue
si debbon fare di una testa o due più d’altezza») «viene a consumarsi nella grossezza dello scorto».Vas. ivi p. 77.
Figure tonde [16] «E tali figure» (cioè quelle Statue che sono di tutto rilievo) «chiameremo tonde, purché si possano vedere tutte
le parti finite, come si vede nell’uomo girandolo a torno» Vas. C.VIII. 78.
Subbiare v. «Come si subbino,» (le Stat. di marmo) «e si gradinino,» (questo Verbo Grad.e lo adopera anche a p. 81) «e puliscano,
Gradinare v. e impomicino,» (Vas. ha questo V. anche a p. 82) «e si lustrino». Introd.Vas. C. IX. p. 78. Notato, perché ignoro se il
Impomiciare v. Baldinucci n’abbia recati esempli. La Cr. ha Subbia; ma Subbiare e Subbiato senza es.°, né hacci nelle Giunte nulla.
Lustrare v. Solamente ha di Lustrare per ripulire come nel luogo sop. citato.
Attitudine n. (Atteggiamento, Positura, Atto, come dicesi in Lombardia la situazione in cui da’ maestri ponsi l’Ignudo che fassi
ritrarre in disegno dagli scolari) «Modello…è una figura di mezzo braccio, o meno, o più…o di terra, o di cera, o
di stucco; purché» gli scultori) «possan mostrare in quella l’attitudine, e la proporzione, che ha da essere nella figura,
che ci vogliono fare» Vas. C. IX. p. 78.Vedi add.° la pag. preced.te.
Naturale s. «Fare ritratti di naturale (che direbbesi comunemente al naturale) Vas. Introd. C. IX. p. 79.
Armadura n. «una figura…» (parla de’ modelli in cera) «abbia sotto un’armadura per reggerla in se stesso» (equivale a fusto,
sostegno, non ho veduto es.° di questa V. in tal uso.) Ivi. c.s. «o di legni, o di fil di ferro».
Stecchi s. (Per que’ pezzetti di legno che soglion chiamarsi dagli Scultori in creta o in cera Stecche) «col giudicio e le mani
lavorando, crescendo la materia, con i stecchi» (se non è da leggersi con istecchi) «d’osso, di ferro, o di legno, si
spinge in dentro la cera, o con metterne dell’altra sopra si aggiunge» Vas. ivi p. 79.
Fendere v. (Screpolare, metter peli, aprirsi) «E mentre che quella si lavora,» (la creta onde vuol farsi un modello) «perché non
fenda, con un panno bagnato si tien coperta sino a che resta fatta». Ivi p. 79.
Rientrare v. [17] «La terra, che si lavora umida, nel seccarsi rientra» (parla de’ modelli in creta) Vas. C. IX. p. 80. (stringesi e mi-
nora la mole onde, al seccarsi, vengono alterate le proporzioni) Ivi «il modello, non rientrando rimane giusto.» Ivi.
Fendersi v. «Perché la terra» (intende creta) «non abbia a fendersi, bisogna pigliare della cimatura, o borra che si chiami, o pelo;
Fendere v. e nella terra mescolar quella, la quale la rende in se tegnente, e non la lascia fendere». Ivi p. 80. (Tegnente, che ha
Tegnente ag. le sue particelle che stringonsi bene insieme, né screpolan, o metton pelo).
Interrare v. Il Vasari usa di questa V. a significar quella specie di vernice, onde con acqua impregnata di creta stemperataci si
V. qui la p. 4. cuopron que’ panni, che rappresentar debbono su’l modello la forma delle vestimenta, che si voglion dare alla
Statua. Di questo parlando, soggiunge il Vasari, «si piglia il panno, e bagnato, con la terra s’interra non liquidamen-
te, ma di un loto che sia alquanto sodetto, ed attorno alla figura si va acconciandolo, che faccia quelle pieghe, ed
Ammaccature di vesti, o drappi ammaccature» (In questo senso non è da cercarsi in alcun lessico. Io intendo quelle più larghe curvature che fanno
V. p. seg. ammaccato le robe del dosso, quasi larghi angoli entranti, né male sembrami che si chiamin ammaccature) «che l’animo gli
Porge l’animo porge».Vas. C. IX. p. 80.
Tratteggiare v. «Tratteggiano» (la statua) «di maniera per la virtù delle tacche, o denti predetti, che la pietra mostra grazia mirabile»
(Ivi C. IX p. 81). Le tacche lascian sul marmo de’ rilievi paralelli che non disgradano agli occhi; siccome nella bella
testa, che dicesi rappresentar Bruto (ed è nella Galleria del G.D.53) lavoro di Michel Angiolo� ch’è gradinata senza
più, e mostra vera carne.
Lime, forte sottili «Si levan le gradine» (cioè i segni lasciati dalle grad.e sul marmo) «con altre lime sottili, e scuffine diritte, limando
Scuffine diritte che resti piano» Ivi p. 82. (Alb. o piutt.° Baldinucci anzi la Cr. stessa non cita Cellini, interpreta Scuff. Raspa o lima
Gradine da legno. Ne dubito forte Vedi Cellini).
Rilievi [18] «De’ bassi, e de’ mezzi rilievi.» Vas. Tit.° del C. X. p. 82.Vas. alla p. seg. 83 (le statue de’ bassi rilievi) «conviene
bassi, mezzi, stiacciati che si abbassino di mano in mano a proporzione» (intendi dello allontanarsi che mostrano) «tanto che vengano a
V. qui sotto X rilievo stiacciato, e basso» (appresso p. 83) «La seconda specie, che bassi rilievi si chiamano, sono di manco rilievo
assai, che il mezzo» (p. 84 ivi).

52
  Cfr. F. M. Zanotti, Dell’arte poetica. Ragionamenti cinque, Bologna, L. della Volpe, 1768.
53
  Leggasi «Gran Duca».

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Pergamo s.° (secondo gli esempli del Vas. sono, se non erro gli Ambones delle Chiese ant.e crist.e, ne’ quali leggevansi il Vang.°
Ambone n.s. e ne facean due, uno di qua, l’altro di là, fra l’altare e il popolo «in questi» (Bassi rilievi) «si può fare il piano, i casa-
menti, le prospettive…come veggiamo ne’ pergami di bronzo in S. Lorenzo di Firenze.» (Ambone dee aggiungersi,
che manca in tutti i Less., e si truova in troppi Scrittori) sia che significhi pergamo, oppur Tribuna o Apsida, come
altri ha creduto: i Franc. hanno Apside, Ambon; non ne siamo noi senza, se ne mancano i Lessici. (C. X. p. 84. Ivi)
X [vedi sopra] «La terza specie si chiamano bassi, e stiacciati rilievi, i quali non hanno altro in se, che ‘l disegno della figura
con ammaccato e stiacciato rilievo.» e in fine della p. 85. «Imperò chi conoscerà ne’ mezzi rilievi la perfezione
delle figure fatte diminuire con osservazione; e ne’ bassi rilievi la bontà del disegno, per le prospettive, ed
altre invenzioni; e nelli» (bassi rilievi) «stiacciati, la nettezza, la pulitezza, e la bella forma delle figure, che vi
si fanno, gli farà eccellentemente per queste parti, tenere o lodevoli, o biasimevoli, ed insegnerà conoscerli
altrui.» Vas. C. X fine. (Ho notato questo luogo, che meglio de’ preced.ti lascia distinguere la differenza fra
codesti lavori.)
Buttare v. (per Gettare, Fondere) «come si fan le forme per buttar le figure» Vas. Introd. C. XI nel titolo. Nessun Less.° ha
Buttare per jettare; né vuole imitarsi, ma è da notare ne’ Lessici. Ivi, p. 85.Vedi la p. seguente.
Venire v. [19] (riuscir pieni e formati nella fusione) «come mancando pezzi, che non fossero venuti, s’innestino, e commet-
Innestare v. tino» (così) «nel medesimo bronzo» Vas. C. XI. nel titolo p. 85.
Commettere v. «quando vogliono gettare o di metallo, o bronzo figure». Ivi p. 85.
Gettare v. «Fare una statua di terra, tanto grande, quanto quella, che è, vogliono buttare di metallo». Ivi p. 85.Vedi p. preced.
Buttare v. Buttare
Gesso da presa «cominciano con gesso, da fare presa, a formare sopra questo modello parte per parte, facendo addosso a quel
Cavi n.s., Riscontri n. modello i cavi di pezzi, e sopra ogni pezzo si fanno riscontri».
Cavo n.s. «il cavo di quella statua, cioè la forma incavata, viene improntata nel cavo…ed ogni minima cosa, che è nel
medesimo modello». Ivi p. 85.
Assodare v. «Quelle forme di gesso si lascino assodare» (che direbbesi in Lomb. far presa, come dicesi della calce o altra materia
che serve a legar fra loro i sassi e le pietre della fabbrica, quando cotesta materia si è indurita) «e riposare».
Anima n. (solido che riempie o sostiene le parti sovrapposte) «fanno un’anima di terra…la quale anima ha la medesima
forma che la figura del modello, e a suolo a suolo si move per cavare la umidità dalla terra, e questa» (intendi lo
spazio occupato prima dalla umidità) «serve poi alla figura» (cioè lascia luogo al metallo fuso per riempier lo spazio
che rimane fra l’anima e la cava forma). Tutto questo luogo del Vasari si rimane confuso per lo dettato; ma sta la
sposizion mia, anche per ciò che soggiunge l’Aut., che non giova ricopiare. Se altri vuol assicurarne la intelligenza,
vegga l’Op. di Benv.to Cellini.Vas. Introd. C. XI. 86.
Bilicare v. «Così vanno bilicando quest’anima» (v. sop.) «assicurandone la opportuna situazione.» Ivi. (librandola) «e asset-
tando e contrapesando i pezzi; sicché li riscontrino, e riprovino, tanto ch’eglino vengono a fare, che si lasci appunto
la grossezza del metallo, e la sottilità di che vuoi, che la statua sia».Vas. ivi p. 86.
Interrare v. [20] (Rassodarsi come terra asciutta.) Vas., parlando della incrostatura del cavo fra l’anima, e la cappa dov’assi a get-
tare il bronzo, soggiunge, che «l’arteficie comincia a torre della terra sottile con cimatura, e sterco di cavallo, battuta
insieme, e con diligenza fa una incrostatura per tutto sottilissima, e quella lascia seccare, e così volta per volta si fa
l’altra incrostatura con lasciar seccar di continuo finché viene interrando, e alzando alla grossezza di mezzo palmo
in più». Vedi add.°, V p. 1: questo v.° interrare è preso, come ben avverte la Crusca, dal linguaggio di coloro che
purgan l’opere di lana a fine di bene ed ugualmente tingerle, i quali le ricopron di creta, e chiaman questa fattura
Interrato ag. interrare que’ panni che voglion purgare.Vas. Introd. C. XI. p. 87. «Con cenci interrati». Pit.Vas. C. XV. p. 97.
Venti n. (Nell’arte del fonder metalli. V.° usato presso tutti gli Scrittori di questa materia, e ch’è in bocca de’ fonditori
comunemente) «usasi fare certe cannelle fra l’anima e la cappa, le quali si chiamano Venti che sfiatano all’insù».
Vedi Cellini, se non ti basti ciò che aggiungo: Cotesti venti sono canne, le quali comunican con quello spazio
vuoto ch’è destinato a riempirsi dal metallo fuso: coteste canne s’allungan sopra l’altezza della statua da fondersi, e
Sfiatare v. rimangono aperte nella sommità: l’aere cacciato dal metallo liquido ha la uscita libera per gli accennati Venti; che
ricordami d’aver trovato chiamarsi anche Sfiatatoi Voce notata anche in tal signif. dalla Cr. che ne prende esempli
dal Cellini, li quali non bastano ad esporre la cosa.Vas. C. XI. p. 87.
Cappa n. (Termine degli Scult.i e de’ fonditori in metallo) così chiamasi il materiale, o corpo, che ricinge l’anima del getto,
e riman superiore allo spazio che fra esso e l’anima è destinato a riempiersi dal metallo fuso. «L’anima di dentro
regge la cappa di fuori, e la cappa di fuori regge l’anima di dentro.» Vas. C. XI. p. 87.
Cappa del Cammino (Chiamasi in parecchie parti dell’Italia quella parte più larga del cammino che ricuopre la materia ardente e co-
munica con la gola o canna la qual termina nel fummaiuolo.) Forse da ϰαπvόϛ Fumo o Fummo (sembra che qui il
Vas. chiami Forma cotesta cappa che in realtà contiene internamente il Cavo o sia la Forma del Getto.)
Innestare v. [21] «Quando i pezzi» (della forma che si vuol gettare) «s’innestano su la figura» (cioè si connettono insieme). C.
XI. p. 88.
Forma n. «L’artefice sotterra questa forma» (cioè tutto il corpo formato dalla cappa, e da quanto ci ha rinchiuso dentro)
v. add.° «vicino alla fucina» (dove riman fuso il metallo.) «e puntella, sicché il bronzo non la sforzi, e li fa le vie» (cioè al
Buttare v. bronzo) «che possa buttarsi» (cioè gettarsi).
Ellettro «Del metallo ellettro, che è degli altri più fine, si mette due parti rame, e la terza argento.» La Crusca, che scrive
Elettro, non ha altro Elettro fuorché il Succinum o l’Ambra; né ci ha altro nelle Giunte. L’Alberti (ne so donde

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297
abbial tolto) ha: una specie di metallo, la quinta parte del quale è argento, e il resto oro. Forse da i comentatori di
Virg.°; ma penso che la composizione d’Alb. sia tratta da Plinio lo stesso del quale nel parla al L.° 37, c. 2, e 3 ch’è
da vedersi. Pure al L. 8 di Virg., citando Plinio, lo compon come il nostro Vasari; né so d’onde Alb. abbia tratta la
sua compos.e.Vas. C. XI. p. 58.
Innestare V. sop. «Se la figura venisse con mancamenti (parla de’ getti), perché fosse il bronzo cotto o sottile, o mancasse in qualche
parte, restaci ad insegnare il modo dell’innestarvi un pezzo». C. XI. p. 88.
Attuato n.e «facciavi una buca quadra cavandola sotto squadra; di poi le aggiusti un pezzo di metallo attuato» (aptatus) «a quel
pezzo» Ivi C. XI. p. 88.
Ferri per dar compim˜to al Getto «Con ferri appropriati» (a dar compimento al getto) «cioè bulini, ciappole, strozzi, ceselli, puntelli, scarpelli e lime,
Strozzi n. leva dove bisogna; e dove bisogna, spigne all’indentro, e rinetta le bave; e con altri ferri, che radono, raschia, e pu-
Puntelli n. lisce il tutto con diligenza.» C. XI. p. 89. (Nessun Les.° ha Strozzi, né Puntelli, che verisimilmente sono strumenti
da comprimere ed abbassare il metallo, dove occorre ch’esuberi.)
Sardonio n.s. [22] Invece della pietra dura, che nella Crusca truovasi sotto ‘l nome Sarda; che più comunemente chiamasi Sar-
donica, oppure agata sardonica. La Crusca ha Sardonico gemma, che non so se sia la pietra ch’è quivi notata sotto
‘l nome di Sarda, come è verisimile, poiché sarda è tradotta Carneola; e gli esempj di Sardonico, quello di Franco
Sacchetti, ha «Sardonico è bella gemma, e di rosso colore. Ciò che oggidì chiamasi Sardonica, ritiene alquanto del
colore dell’unghia, ed è forse l’Onyx, che trae al color del miele. Che che sia del valore di queste V., debbon elle
aver luogo ne’ nostri Less.i.Vas. C. XI. p. 90. «in quel modo che si lavorano d’incavo i cristalli, i diaspri, i calcidonj,
le agate, gli ametisti, i sardonj». Dice qui il Vasari, che hanno usato molti artefici d’incavare con le ruote le madri
Madri n.s. (per fabbricar le medaglie) «…e il così fatto lavoro fa le madri più pulite».Vas. C. XII. p. 90.
Staffe n. Trattandosi di fondere, mancano in tutti i Lessici, benché questa V., in tale arte, si usi per tutto, dove ha fonditori,
particolarmente di piccoli lavori. Perciò, che ricordami aver osservato nella patria, da giovanetto, chiamavansi
Staffe due cassettine, o scatolette d’ugual misura, le quali riempiute rase di certa rena o composizione, dentro
alla quale si volea fondere, poneasi sul piano dell’una il modelletto di ciò che volea gettarsi, sovraponendo l’altra
scatoletta dalla parte che mostrava la rena, e premendogliela sopra in tal modo, che combaciandosi le due super-
ficie venose, il modelletto l’imprimesse il cavo di se partitamente nell’una, e nell’altra. In questa cavità, fattosi un
canaletto dalla parte superiore, versavasi il metallo strutto, che prendeva la figura conforme al cavo, né occorreva
più altro, che risegare il metallo rimaso del canale, e rinettare il getto. La cassetta doppia era più o meno forte e
spaziosa, a norma di ciò che volea condursi di getto. Benv. Cellini non ne dà una idea che basti a me che non
sono dell’arte; così non m’è chiaro il Vasari. Tutto sarebbe chiariss.° in Firenze, per chi sapesse interrogare, e ve-
dere.Vedi Cellini
Bozza n. [23] «Poi con lo stucco…debbono far sopra l’ossa predette la prima bozza di stucco ruvido» Vale abbozzo. (La
Crusca ha un es. in questo signif.°, ed altro es.° a significare un primo scritto, che vuol correzione) Vas. Introd. C.
XIII. p. 92.
Bozzato ag. Il primo stucco grosso, e bozzato» Ivi (manca la V. ne’ Less. tutti).
Colla n.s. «per appiccar insieme» (i pezzi del tiglio, ond’è fatta la statua, che non s’è potuta condurre d’un pezzo solo) «in
Tenere v. modo che è» (il tiglio) «tenga, non tolga mastrice di cacio, perché non terrebbe» (si è detto della colla, che tiene,
cioè ch’è tenace; ma non de’ pezzi che la colla appicca fra loro) «ma colla di spicchi» (intendo colla di agli, che
Spicchio n. so essere tegnente in sommo grado; comeche spicchi, né Spicchio non si truovi ne’ Lessici in valor d’aglio, ma
solamente a significarne una di quelle porzioni, che quasi altrettanti lobi lo compongono) «con la quale» (colla
di spicchi) «strutta, scaldati i predetti pezzi al fuoco, gli commenta, e gli serri insieme».Vas. Introd. C. XIV. p. 93.
Ciregia s. «noccioli di ciregie, e meliache» (I lessici hanno Ciriegia, e Ciliegia, senza più. Il comun uso dell’Italia ha Cerase.
Ciregia manca dovunque.Vas. Ivi p. 94.
Prendere v. «Maestro Janni Francese, abitando nella Città di Firenze, prese in modo nelle cose del disegno…la maniera Ita-
liana,» (prender la maniera, lo stile, il gusto, non è notato54) «che e’55» (fece) «traforati i panni, che la vestono, ed in
Cartoso, a agg. modo cartosi» (sottili come la carta) «e con bello andare l’ordine delle pieghe» (Il Vas. parla di cotesto Jean, dopo
aver parlato de’ minutissimi intagli in legno, fatti da’ Tedeschi. Il che noto, ad oggetto che non si dubiti d’errore di
stampa nella V. cartosi.Vas. ivi p. 94 (cotesta Statua si conserva nella Chiesa della Nunziata di Firenze, sotto l’organo,
come notasi dall’Editore in fin della pag. 94 citata).
Schizzi, Profili, Dintorni, Lineamenti [24] «I disegni, che sono tocchi leggiermente, ed appena accennati, con la penna o altro, chiamano schizzi…quelli
poi, che hanno le prime linee intorno, sono chiamati profili, dintorni, o lineamenti. Vas. Introd. della Pittura C.
XV. p. 96 (e nella fine d’essa p.) «Nella pittura servono i lineamenti in più modi, ma particolarmente a dintornare
(non manca alla Cr) ogni figura» ivi 97.
Fare agevolezza (Render facile, formula non osservata, o non notata) «tutte queste cose, essendo immobili, e senza sentimento,
fanno grande agevolezza, stando ferme, a colui, che disegna, il che non avviene nelle cose vive, che si muovono».
Introd. C. XV. Pitt. p. 97.
Pittura s. «È un piano coperto di campi di colori in superficie o di tavola, o di muro, o di tela, intorno a’ lineamenti detti di

54
  Corazza intende che non si trova nel vocabolario della Crusca.
55
  S’intenda «egli». Si tratta di «Janni francese» ( Vasari, I, pp. 167 sgg.), ossia Jean de Chenevières, autore della statua di S. Rocco nella SS. Annunziata a Firenze.

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sopra, i quali per virtù di un buon disegno di linee girate circondano la figura» Ivi 97, 98. (L’ho not. ma non vale
né come V. da aggiugnere, né come Definiz. ben fatta.)
Mestica n. «Fatte dunque le mestiche, cioè mescolati insieme questi colori…si va mettendo a’ suoi luoghi i chiari, e gli scuri,
Mezzo, ag. ed i mezzi» (i colori che vengon frapponendosi fra i chiari e gli scuri) «e gli abbagliati de’ mezzi e de’ lumi; che
Abbagliato, a sono quelle tinte mescolate de’ tre primi» (qui sopra nominati). Ivi p. 98.
V. Abbagliare p. 20 (Gli Ant.i, e molti moderni ottimi hanno più volentieri usato il plurale di questo nome a significar ciò che si
Schiene n. noma comunemente schiena. Perciò sembra superfluo soggiunger il luogo del nostro Vas. Ivi p. 99, che scrive «aver
preso in memoria…i muscoli del torso, delle schiene, delle gambe, braccia». L’Ariosto nelle Sat. ha «mal volgerli le
schiene»; e troppi esempli potrebon recarsi; ma è da notare, perché né la Crusca, né i Less. ne fan motto.
Movenza s. «Formi le figure, che hanno ad esser fiere, con movenza, e con gagliardia» (cioè che mostrin movimento). C. XV.
p. 100 e termina: «Se non si sanno fare» (gli Scorti) «loro le movenze e le attitudini» CXVII p. 104. Coteste mo-
venze (V. che manca ne’ Lessici nostri), sono ciò che i pittori e gli scult. lomb.i chiaman Mossa; e neppur questa V.
è notata colla significaz. dell’Arte.
Disegnatojo s. [25] (strumento per disegnare) «E perché» (gli schizzi) «dal furor dello artefice sono in poco tempo con penna,
o con altro disegnatojo, o carbone espressi solo per tentare l’animo di quel che gli sovviene, perciò si chiamano
Schizzi n. schizzi». Introd. C.XVI. p. 100, 101. (questa V. manca in tutti).
Lapis n. «Lapis rosso, che è una pietra, la qual viene da’ monti di Alemagna, che per esser tenera, agevolmente si sega, e
riduce in punte sottili da segnare con essa in su i fogli» (Questa V. manca alla Cr. ed alle G.te; si truova nell’Alberti;
ma, sia di lui, o sia errore del Baldinucci, il lapis ci si dà per pietra molto dura; onde è da correggere). Introd. C.
XVI. p. 101.
Pietra nera (così il Vas. chiama la matita nera) «I disegni…si fanno con la pietra nera, che viene da’ monti di Francia, la qual
è similmente come la rossa» (in Lombardia Lapis carboncino, e carboncino;V. che trovasi nella Cr.a, ma con altro
significato). Ivi p. 101.
Alla pittoresca avv. «Questo modo è molto alla pittoresca».Vas. Ivi p. 101.
Fresco s. «Chi vuole lavorare» (cioè dipingere) «in fresco, cioè in muro» (intendi su l’intonaco di calce ancor fresco). Ivi
Introd. C. XVI. 101.
Rete n. (Li disegni in piccolo) «si ringrandiscono con la rete; la qual è una graticola di quadri piccoli ringrandita nel
Graticola n. cartone, che riporta giustamente ogni cosa. Ivi cioè C. XVI p. 102. (Di queste due V. s’è fatto il verbo Retare de’
toscani, e Graticolare de’ Lombardi; che vale Copiare coll’ajuto della Rete o Graticola. Questi Vocab. sono mal
renduti nel Vocab. del Dis.°)
Sbattimenti n. «Sbattimenti, cioè l’ombre che da un lume si causano addosso alle figure» (non è chiara la spiegazione di questa
V. la pag. seg.te V., e riman anche più oscura, se prosegui a leggere il luogo cit.°. I nostri Pittori mostran d’intendere l’ombreggio
che una fig. fa sopra altra figura del loro dipinto). Ivi p. 102.
Intonaco s. [26] (e così sempre e non intonico, né intonicare) «si va calcando in su l’intonaco della calcina» Vas. Introd. C. XVI
p. 103.
Scortare, e Scorti «Hanno avuto gli artefici nostri una grandissima avvertenza nel fare scortare le figure, cioè nel farle apparire di più
quantità, che elle non sono veramente, essendo lo scorto a noi una cosa disegnata in faccia corta, che all’occhio,
venendo innanzi, non ha la lunghezza, o l’altezza ch’ella dimostra, e tuttavia la grossezza, i dintorni, l’ombre, ed
i lumi fanno parere, che ella venga innanzi, e per questo si chiama scorto». Vas. Introd. C. XVII p. 103, 104. (Vale
scorciare, e Scorcio della Lingua comune. È posto principalmente per la defin.e Hallo la Cr. con esempli del
Borghini Raff.56
Scorti al di sotto in su «Scorti al di sotto in su…come sarebbe a dire in una volta le figure, che guardando in su scortano» (ed a pag. 105
«Chiamansi scorti di sotto in su, perche il figurato è alto, e guardato dall’occhio per veduta in su, e non per la linea
piana dell’orizzonte»).
Abbagliare v. (Borgh. Riposo 173. citato dalla Cr. alla V. Lumeggiare) «questi vada lumeggiando con bianco San Giovanni ab-
v. Abbagliato p. seg. bagliato colla berretta».Veggasi il luogo, perché potrebbe leggersi terretta (Abbagliato, a creder mio, è rimescolato,
ovver temperato, ciò che dicono alcuni de’ nostri Pittori sporcato, poiché perde del suo nativo e vergine colore.
Ma e del verbo, e del participio, avrò luogo di parlare altrove.V. p. 24. (nel senso pitt.°).
Adombrare «Le figure restano più presto dipinte dal colore; che dal pennello, che le lumeggia, e adombra, fatte apparire di
Lumeggiare rilievo, e naturali» (Ha la Cr. lumeggiare, e adduce il luogo del Riposo, che ho trascritto sopra alla V. Abbagliare di
questa pag. 26.)
Sbattimenti «Gli sbattimenti…sono quell’ombre, che fanno le figure addosso l’una all’altra, quando un lume solo percuote
V. p. preced.te addosso a una prima figura, che viene ad ombrare col suo sbattimento la seconda» Vas. Introd. C. XVIII. p. 106. Mi
rimane un sospetto che Vas. non intenda per isbattimento lume reflesso, il qual suole tinger del proprio colore il
colore, su cui e’ ripercuote. Sono da veder altri luoghi.
Abbagliato [27] «il colore troppo acceso offende il disegno; lo abbacinato, smorto, abbagliato, e troppo dolce, pare una cosa
Tenere v. spenta, vecchia ed affumicata; ma lo unito, che tenga in fra lo acceso, e lo abbagliato, è perfettissimo.» Vas. Introd. C.
XVIII. p. 107. (questo abbagliamento è l’effetto ancora cagionato dal grosso dell’aere che si frappone tra l’oggetto,

56
  R. Borghini, Il riposo, Siena, Pazzini Carli, 1787.

Termini di arte
299
e l’occhio, come appar manifesto nelle cose, che vediamo in molta distanza. Di questo è da vedere Leonardo da Vinci,
primo a trattare la Prosp.a aerea.)
Sbattimenti «Dove si contrafacessino lumi di Sole, e di Luna, ovvero fuochi, o cose notturne; perché queste si fanno con gli
sbattimenti crudi e taglienti, come fa il vero vivo.» (l’ho aggiunto a più chiaro intendimento della V. Sbattimento).
Ivi C. XVIII. p. 107.
Muffare v. att. «fa la calce una certa crosterella…, che muffa, e macchia il lavoro».Vas. Introd. C. XIX. p. 108. (potrebb’anche qui
prendersi per verbo n.°, di che sono da scontrarsi altrj luoghi. La Cr. ha soli es. del v.° neutro).
Colla di carnicci (V. p. 23) «bisogna guardarsi di non avere a ritoccarlo» (il dipinto in fresco) «co’ colori, che abbiano colla di carnicci,
o rosso d’uovo» Ivi C. XIX. p. 108.
Dipingere a Tempera ovv.° a Uovo V. «I Pittori che lavoravano a tempera…toglievano un uovo e quello dibattevano, e dentro vi tritavano un ramo tene-
la nota qui sotto ro di fico, acciocché quel latte con quell’uovo facesse la tempera de’ colori; i quali con essa temperando, lavoravano
le opere loro.Vas. Introd. C. XX. p. 109. (la tempera di questa maniera di colorire è l’uovo; l’olio è la tempera de’
pittori a olio, come vedrassi qui sotto a C. XXI.). Appresso, ivi «e questo chiamavano colorire a tempera».
Dipingere a olio È dipingere «macinando i colori con olio di noce, o di seme di lino (benché il noce è meglio, perché ingialla
meno) e così macinati con questi olj, che è la tempera loro, non bisogna altro quanto a essi, che distenderli col
pennello. Ivi C. XXI. p. 112.
Mestica n. «Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallolino» (Alberti ha Giallorino, forse da
Giallolino s. Baldinucci, stroppiatura popolare. La Crusca non ha né l’una, né l’altra di queste Voci) «terre [28] da campane,
mescolati tutti in un corpo, e d’un color solo; e quando la colla è secca, impiastrarla su per la tavola, e poi bat-
terla con la palma della mano, tanto ch’ella venga egualmente unita, e distesa per tutto; il che molti chiamano
l’imprimatura» (così sempre il Vasari). »Dopo distesa detta mestica» (cioè cotesta imprimatura). La Cr.a ha mestica
Imprimatura nel senso add.°, con esempi tratti dal Riposo; non ha né imprimatura, né imprimitura, ch’è secondo ‘l comun
linguaggio de’ Pittori moderni.Vas. Introd. C. XXI. p. 111, 112.
Imporre «seccata questa mestica» (la imprimatura) «lo artefice, o calcando il cartone, o con gesso bianco da sarti dise-
gnando, l’abbozza» (il disegno fatto) «il che alcuni chiamano imporre.» (questo imporre, che manca nel sign.°
pittorico, è ciò che i nostri pitt.i dicono calcare v.°, recato dall’Alberti e dalla Crusca, cogli es. del Riposo. Ha
pure Alberti la V. Calco, nel senso in cui s’adopera anche oggidì da disegnatori, come ivi sta bene espresso.)
Ivi C. XXI. p. 112.
Bere v. (per imbeversi) «vi si dia su due, o tre mane d’olio bollito e cotto continuando di ridarvelo su, fino a tanto che» (il
muro) «non voglia più bere; e poi secco» Ivi. C. XXII. p. 113. I Lessici non hanno V. Direbbesi acconciamente della
carta sugante, ch’essa bee; ma dicesi che suga, come avverte la Crusca alla V. sugare: verbo, che dovrebbe trovarsi, e
non si è notato, nelle Giunte alla Crusca; l’ha però notata bravamente l’Alberti.
Arricciato n.s. «l’artefice o di stucco o di marmo, e di matton pesto finissimo fa un arricciato» (ch’equivale ad Arricciatura) «che
sia pulito; e lo rade col taglio della cazzuola; perché il muro ne resti ruvido». C. XXII. p. 113. D’onde appare che
non è ben certo se l’arricciato sia veramente quella prima incalcinatura rozza, avvegnache sia la prima incalcina-
Intonaco n. tura, cui sovrapponsi l’intonaco.
Pietre serrate (che non sono porose) «lastre della riviera di Genova» (credo lavagne) «che per essere serrate in se, e per avere la
grana gentile, pigliano il pulimento e in su queste hanno dipinto» C. XXIV. p. 116. (avente le parti strette fra loro.
Non ben notato per denso, fitto, la Crusca ha buoni esempli).
Inzuppare v. [29] (per Inzupparsi, ricever la materia liquida sovrapposta, imbersene) «quando la pietra sia ruvida, ed arida, molto
meglio inzuppa, e piglia l’olio bollito, ed il colore dentro». C. XXIV. p. 115.
Mestica «una mano d’imprimatura a olio, cioè mestica». Ivi p. 115.
Vernicare v. «e possonsi, e non si possono vernicare» (ch’equivale a inverniciare) Ivi.
Prosciugare «La pietra non prosciuga, cioè non sorbisce, quanto fa la tavola, e la tela». C. XXIV. p. 116 (nella Cr. l’es. solo non
dice altro, che asciugare.)
Dipingere di chiaro e scuro «Del dipingere di chiaro e scuro di varie terrette» così nel Tit. del CXXV. Indi nel C. stesso «si fanno i campi con
la terra da fare i vasi, mescolando quella con carbone macinato, o altro nero per far l’ombre più scure, e bianco di
trevertino con più scuri, e più chiari, e si lumeggiano col bianco schietto, e con ultimo nero a ultime scuri finite.»
C. XXV p. 116.
Verdaccio È un’altra sorte di verde terra, e nera, che la chiamano verdaccio» Così Vasari sul finire del C. XXV p. 117. (Alb., da
Baldin., reca questo es.°, ma alterato; perciò l’ho tratto dall’Aut.e).
Sgraffito «Pittura, che è disegno, e pittura insieme, e questo si domanda sgraffito». Introd. C. XXVI p. 117. (sovra l’intonaco
di calce colorata dato il bianco, su questo tratteggiano il disegno con un ferro e que’ tratti, scovrendo la calce,
pajon disegnati).
Sbattimentare V. add.° «Il campo…si sbattimenta, cioè ombreggia con acquerello scuretto». C. XXVI p. 118.
Sciarpelloni e Passerotti (Il Diz. Alberti ha tra le sue giunte Sciarpelleria, equival.te a sciocchezza. Il Vas. parlando de’ capricci, onde gli arte-
fici hanno stranamente adornate le loro grottesche, dice «che facevano in quelle…infiniti sciarpelloni, e passerotti»
(che sono stolidezze) C. XXVII. p. 119.
Andari «Furono poi fatto…bellissimi andari» Ivi (Andare e Andari nella pittura sono lo stesso che condotta, andamento
del disegno) C. XXVII. p. 119.
Mettere d’oro a bolo, ed a mordente Vas.Tit. del C. XXVIII. «Questo mordente, che è la maestra» (forse l’Aut. ha scritto mestica, se non ha inteso fune;

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Seccaticcio, a ag. giacché maestra è certa fune che sostien le reti da caccia) «che lo tiene, si fa di colori seccaticci a olio» (seccat.°
agg. manca in tutti) Ivi p. 121.
Minuterie n. [30] «Chi offusca ne’ disegni il musaico con la copia, ed abbondanza delle troppe figure nelle istorie, e con le molte
minuterie de’ pezzi, le confonde» Vas. C. XXIX. p. 121. La Crusca ha questa V., ma produce un es.° solo del Cel-
lini, nel qual es.° minuterie significa solam˜te una specie di lavori più minuti, che fannosi dagli orafi, o argentieri,
quando Vasari l’adopera per minuzie generalm.te.
Tarsìa «Vuole» (il Musaico) «essere fatto con grandissima discrezione, lontano dall’occhio, acciocché lo stimi pittura, e
non tarsìa commessa» (l’ho notato, perché tarsìa commessa è un curioso pleonasmo.) Ivi p. 122.
Tribuna n. Il Vasari parlando de’ musaici, adduce «a Fiorenza in S. Giovanni la tribuna» (qui è il concavo della volta semisferica,
la qual cuopre quel tempio. La dichiaraz. di questa V. nella Crusca riman dubbiosa.) Vas. C. XXIX p. 122.
Mestica n. (per semplice mescolanza) «da un chiaro bianco si conducano i più scuri di mano in mano, in quella stessa guisa,
che si fanno mestiche de’ colori per dipingere ordinariamente» Vas. C. XXIX p. 122 ed ivi p. 123 «se n’empino le
scatole» (de’ vetri colorati, ond’è composto il musaico) «e si tengono ordinati, come si fa i colori, quando si vuol
lavorare a fresco; che in varj scodellini si tiene separatamente la mestica delle tinte per lavorare» Ivi p. 123.
Tratteggiare v. «Quando hanno spianato di sopra tutti i pezzi de’ marmi così chiari come scuri, e come mezzi, piglia l’artefice,
che ha fatto il cartone, un pennello di nero temperato, quando tutta l’opra è insieme commessa in terra, e tutta
Mezzi ag. sul marmo la tratteggia, e proffila,» (ne segna i dintorni) «dove sono gli scuri, a guisa che si contorna, tratteggia, e
Proffilare proffila con la penna una carta, che avesse disegnata di chiaroscuro»;Vas. Introd. C. XXX p. 125.
Spartimenti n. «Pavimenti commessi di varie maniere a spartimenti» (fatti con mattoni di vario colore, che disposti a disegno
formano divisioni aggradevoli) Ivi C. XXX p. 126.
Saldezze n. (Il Vas. parlando de’ marmi che traevansi da’ monti di Pietrasanta, dice che cavandoli) «quanto più si va a dentro, si
trovano maggiori saldezze e vi si vede da cavar colonne di quindici in venti braccia» Vas. Introd. C. XXX p. 126, 127.
Tarsìa [31] «tante varie cose…sono state fatte da’ nostri vecchi di piccol pezzetti di legno commessi, ed uniti insieme nelle
Lavoro di commesso tavole del noce, e colorati diversamente; il che i moderni chiamano lavoro di commesso, benché a’ vecchi fosse
tarsìa.» Vas. Introd. C. XXXI p. 127. (ottimo di tutti gli es.)
Silio n. «Fra Giovanni Veronese» (che migliorò le tarsìe) «lumeggiò con bianchissimo legno di silio le cose sue» (o s’è in-
gannato Vasari, o hanno commesso un errore gli Aut. della Cr. in questa V., che rendono Silio per Fusaggine (e in
Franc. Alberti) Fusain, Bonnet de pretre; il cui legno non è bianco, ma giallognolo pallido, se ha da credersi a M.r
Valmont de Bomare, che ne dà il suo bois de couleur jaunâtre pâle. Però veggasi.) Vas. ivi p. 127.
Sudatojo «ne’ bagni loro, e ne’ sudatoj» La Cr. ha sudatorj, con un es. del Redi57, non ha la V. notata qui coll’es.° del Vas. C.
XXXII p. 129.
Occhi n. «hanno fatto le finestre di vetro, di occhi, e di piastre a similitudine di quelle, che gli antichi fecero di pietra». Qui
Piastre n. occhi vale vetri tondi, o soffiati; li quali vetri così fatti continuan a chiamarsi occhi nella Lombardia, a differenza
de’ vetri spianati che chiamansi ivi comunemente Lastre, e, per quanto sembra a me, sono que’ vetri ad uso delle
finestre, che il Vasari qui chiama piastre: ma né occhi, né piastre si trovan ne’ Dizion.i, nel senso del Vasari, che halle
C. XXXII p. 129. Ancora «e dove le finestre si facevano nel principio semplicemente d’occhi bianchi, e con angoli
bianchi,» (cioè con piastre, o lastre angolate) «o pur colorati, hanno poi imaginato gli artefici, fare un musaico delle
figure di questi vetri, diversamente colorati, e commessi ad uso di pittura» Ivi p. 129.Veggasi la V. di Guglielmo da
Marzalla (come lo nomina qui il Vasari) e credo sia quel Guglielmo del Meda da Marsilia, che trovasi nel pess.°
Abecedario Pittorico, pubblicato da Pietro Guarienti Ven. 175358. 4.° Veggasi il n˜ro Vasari L. 1. P. 3. non ho qui il
modo di osservare.
Grisatojo, e Topo Il Vasari, parlando della maniera onde ridurre le lastre de’ vetri a quel preciso contorno, ch’è necessario per unirne
i pezzi fra loro levatone il superfluo, aggiunge «e con un ferro, che» (gli artefici) «chiamano grisatojo, ovvero topo
si vanno rodendo i dintorni disegnati, tale che e’ vengano giusti da [32] potergli commettere per tutto.» Vas. Introd.
C. XXXII p. 132. (Trovansi queste due V. nel solo Alberti, dove ha Grisatojo, e rimanda a Topo, dov’è vano cercarne
la corrispondenza con Grisatojo.)
Tegghia n. (Vas. CXXXII parlando del colorare a fuoco le lastre per invetriare) «il troppo fuoco violento li farebbe crepare, ed
il poco non gli cuocerebbe. Né si debbono cavare, sinché la padella, o tegghia, dove e’ sono, non si vede tutta di fuo-
co» Ivi p. 132 (è necessario questo es.°, perché gli esempli addotti, e la defin.e della Crusca, non danno altra signifi-
cazione a questa V. che Vaso di rame, ed anche stagnato; ch’è ben’ altro, che le tegghie, usate nelle fornaci de’ vetri.)
Saldatojo «si saldano tutte le commettiture de’ piombi con saldatoi di stagno» Vas. C. XXXII p. 132 (ha detto saldatoi di sta-
gno, perché n’ha di più specie) manca nella Crusca e G.te. Hallo la Ed. dell’Alberti fatta in Nizza. 1780.
Niello n. «Il niello, il quale non è altro, che un disegno tratteggiato, e dipinto su l’argento, come si dipinge, e tratteggia sot-
v. sotto * tilmente con la penna; fu trovato» (Così Vas. Introd. comincia il C. XXXIII a p. 133; ma di questo veggasi quanto
ho notato dall’Op. del Cellini miglior maestro.)
Bulino n. «è un ferro quadro tagliato a unghia, dall’uno degli angoli all’altro, per isbieco.» (che vale a schiancio, a sghem-

57
  Il riferimento è alle Opere di Francesco Redi gentiluomo aretino e accademico della Crusca. Seconda Edizione Napoletana corretta e migliorata, Napoli, M. Stasi, 1778.
58
  Cfr. Abecedario Pittorico contenente le Notizie de’ Professori di Pittura, Scoltura, ed Architettura, di Pellegrino Antonio Orlandi, ediz. con correzioni e aggiunte di Pietro
Guarienti,Venezia, G.B. Pasquali, 1753, pp. 319-320. Guglielmo del Meda fu pittore vetraio di origine francese della prima metà del XVI secolo.

Termini di arte
301
bo) Così Vas. ivi.
* «Quando» (gli artefici) «hanno intagliato, e finito col bulino; pigliano argento, e piombo, e fanno di esso al fuoco
una cosa, che incorporata insieme è nera di colore, e frangibile molto, e sottilissima a scorrere» (questa compo-
sizione è quella che dal Vasari in questo Cap. stesso è chiamata niello. Me n’appello alle Note mie su ‘l Cellini) Vas.
C. XXXIII p. 133 (Vas. si ricorda poi dello zolfo ch’entra nella composiz. del niello, alla seg.te pag. 134).
Torcolo «trovarono il modo del fare le carte su le stampe di rame col torcolo» Ivi p. 134. Qui stampe di rame vuol dire
prop. degli Stamp.i rami incisi, il che mi torna a mente di aver letto in una nota di Mg.r Bottari all’Op. delle V.e,59 stampa in luogo di
copia in rame o legno, impressa; nel qual signif.° non danno es.i i vocabolarj; Monsig.e l’avrà preso dall’uso, e forse
da qualche Aut. toscano: trattasi d’una lingua ch’era sua, e intorno alla quale avea studiato, come mostrano i libri
tosc.i da lui notati e pubblicati.
Tausia [33] «Abbiamo veduto nell’acciajo l’opere intagliate alla tausia, altrimenti detta a la Damaschina, per lavorarsi di ciò
Lav.° alla Damaschina in Damasco, e per tutto il Levante eccellentemente.» Vas. Introd. CXXXIV. p. 135.
Arabeschi «Armadure…lavorate tutte d’arabeschi» (V. migliore di Rabeschi, la qual V. n’è una storpiatura) l’una e l’altra V. è
nella Cr.). «d’oro commessi»; Ivi p. 135
Garbo n. «si dintorna o con garbi di foglie» (ravvolgimenti di bella forma) «o con girare di quel che si vuole, e tutte le cose
Filiera n. co’ fili d’oro passati per filiera» V. ch’equivale a Trafila più comune. Quest’ultima V. ricevuta dalla Cr., con l’autorità
del Segneri, non so perché non sia stata spiegata colla V. toscana filiera; il che parmi da notarsi. Ivi p. 136.
Tratti s. «Piglisi una carta…dove sono tutte le proffilature» (manca ne’ less. tutti, e val Proffili), ed i tratti (Intendi il tratteg-
giamento, i tratti della penna)…ed ivi presso «il proffilato del tutto è incavato per tutto.»

E qui hanno fine le note su la Introduzione. Siegue il


Proemio delle Vite

Pilo «Il fonte, che servì per lo battesimo» (parla del T.° 60 di S. Agn.e in Roma)…» fu tutto adornato di cose fatte molto
prima» (intendi de’ tempi di Costant.°) «e particolarmente di quel pilo di porfido, intagliato di figure bellissime»
(è una grande urna, che fu fatta trasportare da Pio VI nel Museo Pio Clement.°, e voglia Dio non sia già stata
trasportata fuori dell’Italia61) Proem. p. 149. Pilo non ha luogo in alcun Dizion. in qualità di Voce, che appartenga
alle Arti.Vedi p. 3.
Conciòfusseché (Si è notato nella Cr. Conciòsiaché; parmi che debba aggiungersi anche questa V. che ci ha buona analogia, suona
bene, ed è chiarissima) «Conciòfusseché il detto tempio…fu fatto senz’alcun risparmio e con grandissima spesa»
(parla del T.° di S. Donato in Arezzo fuor de le mura. Hallo il Boce G. 2. nov. 7 e G. 3 n. 9, come notò il Mambelli
p. 95, ed. Fer. 1709. Proem. p. 151. Questa62 la Crusca l’ha ottimamente notata a suo luogo, e fornita d’ottimi esempli).
Grotte e Pitture grottesche «Per esser le dette stanze terrene rimaste sotto la terra, le hanno i moderni chiamate grotte, e grottesche le pitture,
che vi si veggono. Ivi p. 154.
Fusi delle Col.e [34] «oltre che i fusi delle colonne, sebbene sono di pezzi, hanno molta grazia, e sono condotti con bella misura».
Proemio delle V. p. 158.Vedi qui a p. 8.
Navata s. «le volticciuole delle due piccole navate» (ivi). Ricordolo per la non buona spieg.ne di questa V. che ne dà l’Alberti,
V. qui * appoggiato alla Cr.a, al § 3 di Nave (che così pure s’è detta bene Navata). Questa V. significa una qualunq. delle 3,
Nave arch.° o 5 parti, in cui riman diviso per lo lungo un tempio, e quivi dentro rimangon coperte sotto al tetto, o alle volte,
che ricoprono l’interna parte del tempio stesso. Pr.° p. 158.
Quarti acuti «con ordine barbaro nelle misure di quelle porte, o finestre lunghe lunghe, e ne’ garbi di quarti acuti, nel girare
degli archi secondo l’uso di que’ tempi». La V. manca in tutti i Lessici. Ivi p. 159.
*Navata «fu gran cosa mettere mano a un corpo di Chiesa così fatto di cinque navate, e quasi tutto di marmo». Parla del
Duomo di Pisa. Ivi Proem. p. 159.
Frontespizio «Accomodò il diminuire del frontespizio molto ingegnosamente». Ivi p. 159 (qui frontisp.Vale la parte che termina
Diminuire s. la facciata, e la facciata stessa frons aedium.)
Tribuna «La volta della tribuna a guisa di pera» (parla il Vas. del tempio tondo di S. Giovanni, ch’è in Pisa di rimpetto al
Duomo; laonde pare che tribuna equivaglia a cupola). Ivi p. 159. Op. d’intorno al 1060.Vedi p. 30 add.°
Migliorare v. «Le quali figure di mano di Nicola Pisano mostrano quanto per lui migliorasse l’arte della scultura» Ivi 161. (non
di mano occorreva, trovandosi nella Cr.a esempli del migliorar neutro, e della espressione di mano applicata ad opere
dell’Arte.
Baronesco, a «Gli uomini di que’ tempi, non essendo usati a vedere altra bontà, né maggior perfezione nelle cose, di quelle
che essi vedevano, si maravigliavano, e quelle, ancora che baronesche fossero,» (cioè villanamente fatte, e senz’arte,
come s’adopera questa V. in Lombardia anche oggidì) «nondimeno per le migliori apprendevano» (V. che, in questo
senso, manca in tutti i Dizion.). Proem. p. 102.

59
  Si tratta dell’edizione delle Vite di Vasari curata da Giovanni Gaetano Bottari nel 1759 (Roma, N. e M. Pagliarini).
60
  Si legga «Tempio».
61
  Il riferimento è all’eventualità che il fonte battesimale possa essere stato portato a Parigi dalle truppe napoleoniche tra il 1797 e il 1798, epoca cui è quindi databile il
documento in esame.
62
  Per questa voce, Corazza si riferisce a M.A. Mambelli, op.cit.

Documenti
302
Gl’innanzi a loro «E sebbene gl’innanzi a loro» (cioè gli uomini vissuti nell’età precedenti) «aveano veduto…e’ non seppono» Vas.
Proem. p. 162 (un cotal motto non ho veduto).
Soppasso agg. [35] (parla dell’oro in foglia dato sul bolo) «e quando egli» (l’oro) «è soppasso, non secco» Vas. Proem. C. XXVIII.
p. 170.Vedi L’Ind. Cellini.
Discorso, a agg. «per le cose discorse innanzi» (cioè delle quali s’è già parlato. E perché non paja locuzion particolare del nostro Va-
sari, eccone es. del Macchiav., che può vedersi nel suo Ragionam.to su la prima Deca di T. Livio Lib. e C. XXIX.63
«per le ragioni sopra discorse, Roma fu la meno ingrata»).Vas. Introd. Proem. alle V. de’ Pitt. p. 164.

Finiscono le osserv. al Proemio, sieg. alla


Lettera di Gio. Bat. Adriani a G.Vasari64

Dubitanza per «Né solo questa dubitanza ma molte delle altre mi si facevano contro» Lettera dell’Adriani p. 168 (q˜sta V. è recata
Dubitazione dall’Alb. come agg., e non ha es.°. G.B. Adriani non è da pospor certo a M. Giorg.65).
Rassembrare v. «ebbero per costume di scrivervi a pié chi essi avevano voluto rassembrare» Lettera sud. p. 174. (usato attivamente,
V. sotto e per ritrarre, come qui, non ha esempio alcuno).
Stanziare v. «Gli Anfizioni» (parlando di Polignoto da Taso) «gli stanziarono, che dovunque egli andasse per la Grecia, fosse
graziosamente ricevuto, e fattogli pubblicamente le spese» (Lettera sud. p. 176) si è notato per lo stanziare ad alcuno,
che vale rispetto ad alcuno.)
Poi «Molti secoli poi» (che vale dopo molti secoli; ed ha es. nel Cinonio Cap. CCI.4). Lettera detta p. 176; e poco ap-
Poscia presso «dodici o tredici anni poscia», ch’è anche più notabile; come che non mi sia avvenuto di trovarlo notato né
da gram.ci, né per entro a’Vocab.i, compresa la Crusca.
Rassembrare v. «Troverassi chi lo invidj sì, ma chi il rassembri nò». Lettera detta p. 177. (chi ne faccia uno uguale. Parla dell’Atleta
V. sopra di Zeusi).
Convenevolezza «In Timante si conobbe una molto benigna natura…che è porta da quelli che insegnano l’arte del ben dire, per
esempio di convenevolezza» (credo che intenda il quod decet aptitudo si liceret). Lettera dell’Adriani p. 180.
Mano «fecero fede dell’eccellenza dell’ingegno, e della mano di lui» (parla della pittura di Timante). L˜ra detta, ivi p. 180.
Fodero «Pamfilo dipinse» Ulisse, come descritto da Omero, in mare «sopra una nave rozza a guisa di fodero» (a ma-
niera di travi o tronchi stretti insieme per caricarli d’alcun peso da valicarsi per acqua. Adriani Lettera a G.°
Vasari p. 181.
Alla mano [36] «fu in oltre piacevole ed alla mano, e per questo oltre modo caro ad Alessandro Magno» (è not.° nella Cr.a, ma
piacerebbemi che si notasse equivaler questa espressione d’uomo alla mano, ad uomo maniero, che val manieroso,
di belle maniere) G.B. Adr.i Lett.a p. 184.
Dar riputazione «Fu Apelle il primo che dette riputazione alle opere di Protogene in Rodi» (Lettera d.a p. 184) Tra le moltissime
espressioni composte del V.° Dare che trovansi ragunate nella Cr., fornite d’esempli, manca questa da me notata,
ch’è pur buona, ed equivale ad accreditare, porre in istima.
Sovrano, a «ne fece il volto, e la parte sovrana del petto» (superiori loco positam, summam pectoris partem. In questo signifi-
cato non è conosciuta questa V. dalla Cr.a). Adr. Lett. p. 185.
A prova «dipinse ancora a prova con certi altri pittori un cavallo; dove temendo del giudizio degli uomini…chiese che se
ne stesse al giudizio de’ cavalli stessi» (vale a gara, e contendendo della superiorità e del valore. In tal senso non è
particolarmente notato nella Cr.a). (e vale a gara).
Ringhiare v. «menati i cavalli d’intorno a’ ritratti di ciascuno, ringhiarono a quel d’Apelle solamente» (cotesto ringhiar de’ ca-
valli, non istà, com’io penso, pel semplice nitrire, che non sarebbe proprio, ma sì ancora per quell’atto di aprir la
bocca e mostrare i denti, ch’esprime affetto o passione). Ivi p. 186.
Persona s. «fu vicino a perderne la persona» (vi ha es. ottimi la Cr. di persona per vita). Ivi p. 186.
Ripensare v. «Ripensando il pericolo» (col 4.° caso è rarissimo) Ivi p. 186.
A opera «Si dice che» (Protogene) «aveva da prima esercitato la sua pittura in cose basse, e quasi aveva lavorato a opera,
dipingendo le navi» (come uomo pag.° a giornata) Lettera Adr. p. 188. (questa formula avverbiale manca nella Cr.a).
Guardare v. «Fece Demetrio guardare che» (Protogene) «non fosse ad alcuno nojato, o offeso» (ordinò che guardasser bene dal
nojarlo) Lettera p. 190. (In signif.° di osservare neutro non ho veduto esempli.)
Scioperare v. «E perché egli non si avesse a scioperare» (non avesse da cessare dalla sua opera, non avesse cagione d’intralasciarla)
«spesso andava a visitarlo» Adr. Lett.a p. 190. S’hanno altri es.i nella Crusca.
Mano [37] «Niuno di lui» (Nicomaco) «in questa arte fu più presto di mano» (non ho veduto es.° alcuno not.° ne’ lessici,
tutto che non manchin molti). Lettera d.a p. 190. (che dicesi anche lesto di mano; ma intendesi per lo più in mal
senso; né di questa espress. ho trovato esempli nella Cr., o nelle Giunte).

63
  Cfr. Delli discorsi di Niccolò Machiavelli segretario della rep. Fiorentina sopra la prima deca di Tito Livio,Venezia, Cosmopoli, 1769.
64
  La lettera, già presente nell’edizione delle Vite del 1568, era stata da poco ripubblicata nell’ediz. senese del 1791. A Giambattista Adriani il Vasari si era rivolto per la sua
profonda conoscenza della storia dell’arte antica.
65
  S’intenda «Maestro Giorgio».

Termini di arte
303
Meniano e Queste V. son da notarsi, perché d’ottima origine lat.a, perché usati in Roma comunemente, e perché significan
Menianino particolarmente (come già presso ai lat.) una specie di ringhiere fatte di tavole, che sporgonsi fuor del muro sovra
la strada, e servono a vedere ciò che si opera.
In iscorcio (che Vasari ha scritto scorto) «volendo mostrare con bella arte la grandezza d’un bue, lo dipinse non per lungo,
ma in iscorcio, ed in tal maniera, che la lunghezza vi appariva giustissima» p. 193 (not.° non inutilm˜te, ma per
tener presente che la dichiaraz di questa V. applicata a Pittura, o Prospettiva ha bisogno d’emendazione. Alberti s’è
accostato al preciso, né so d’onde abbia tratto. La Cr. rimanda al V.° del Disegno. Ignoro qual libro intendano gli
Accad.i di citare).
Giogo «Metteva a giogo un bue, ed un cavallo» (Taverna di Paupa, dov’era espresso Ulisse, fintosi pazzo.) Adr. Lett. p. 193.
Rassembrare Imitar dipingendo, Ritrarre, come add.° in più luoghi. L’Adriani, parlando di Nicia pitt.e «ed il chiaro, e lo scuro
nelle sue opere così bene rassembrò, di maniera che le opere di lui tutte parevano nel piano rilevate». Lett. d.a p.
194. (val figurare, ed hallo in troppi luoghi.)
Stramba s. «Tra le opere» (di Metopane discep.° di Pausia) «è celebre quella» (pittura, in cui) «quella figura neghittosa, che
chiamarono Oeno, che è un pover uomo, che tesse una fune di stramba, ed un’asino drieto, che la si mangia, non
Sparto n. accorgendosene egli». Ha la Cr. questa V.; ma fune di stramba equivalendo a corda fatta di Sparto, ch’è una sterile
pianta, richiedeva questa dichiaraz. che il Vocab.° recasse anche la V. Sparto, che n’è lasciata fuori, e così dall’Alberti.
Spartium hispanicum aut junceum. Genêt d’Espagne. Che che sia questo Sparto (che non consente colle proprietà
indicate da Bomare), questa nota non dee valer ad altro, che per supplire alla mancanza della V. Sparto.
Menar pennelli «niuna mano menò mai più veloce pennello» Adr. Lett.a p. 198.
Dipoi [38] (per dopo) «Fu dipoi molti anni l’ornamento (Adr. Lettera p. 199-200) S. Bart.
Incantare v. «Attalo Re l’aveva incantata un gran numero di denari» (Lettera d.a p. 200) (hallo la Crusca, ma gli es. hanno la
cosa incantata, non il caso del quanto).
Stornare v. «volle che la vendita si stornasse» (non è al tutto superfluo; la Cr. ha esempi di persone stornate, o disviate, e pochi
di cose). Adr. Lettera p. 200.
Rozzo agg. «Marco Agrippa, piuttosto rozzo di simil leggiadrie, che altrimenti comperò due tavole» Lettera d.a 200.
Recare a comune «s’ingegnò di persuadere…che tutte cotali opere» (pitt.e, statue ecc) «dovessero recare a comune; il che era molto
meglio, che…per i contadi e per le ville de’ privati lasciarle invecchiare, e perdersi» (e vale sporle alla pubblica
vista) Lettera Adr. p. 200.
Ritrarre di terra «pare che il ritrarre di terra sia comune a molte arti» (che vale scolpire). La Cr. al v.° ritrarre ha dipingere, o scol-
* pire; ma non ha esempli dello scolpire: varrà questo dell’Adriani, che nella Lettera nominata hallo a p. 201.
Ritratto di terra «Il primo, che si dice aver ritratto di terra, fu Dibutade Sicionio» (Ivi p. 201).
§ Far di terra «Euchira ed Eugrammo maestri di far di terra» (cioè di lavori in creta) ivi p. 202.
* «Il primo che ritraesse gli uomini col gesso stemperato, e del cavo poi facesse le figure di cera riformandole meglio,
si dice essere stato Lisistrato Sicionio (Adr. p. 202).
Ceramico s. «Calcostene fece anco in Atene molte immagini di terra; e dalla sua bottega quel luogo, che in Atene fu poi co-
tanto celebrato, e dove furono poste tante statue, da cotale arte fu chiamato Ceramico» (ϰέραμoϛ terra figuralis, o
piuttosto terra da pignatte a ϰέραμoϛ testa.) Ciò che scrive l’Adriani concorda con ciò che ne dice Plinio: né dee
tralasciarsi questa V. in un Vocab.°, che ne ha tante di conio greco, tutto che abbiam nome equivalente in ital.°
Lettera dell’Adriani p. 203.
§ Far di terra «Prassitele…disse, che quest’arte di far di terra era madre di ogn’altra, che in marmo, o in bronzo faccia figure di
rilievo» Lettera accenn.a p. 203.
Da per se avv. «quest’arte, come che da per se ella sia molto nobile, tuttavia…» Lettera p. 203. Ricordo qui che nobile agg. non è
Nobile agg. ben dichiarato dalla Crusca, non abbracciando il general valore di questa V. ch’equivale al nobilis lat.°.
Ritraere di bronzo [39] «verremo a dire di coloro, che di bronzo ritraendo furono in maggior pregio». Lettera dell’Adriani al Vas. p.
204.V. add.
Maniera «Furono appresso i Greci…in pregio alcune maniere di metallo l’una dall’altra differenti, secondo la lega di quello»
Ivi p. 204.
Corintie Statue così dette dalla qualità del metallo, ond’eran fuse «non ché il metallo di quella o di questa sorte, in questo o
Deliache in quel luogo per natura si facesse, ma per arte mescolando il rame chi con oro, chi con argento e chi con istagno,
Eginetiche e chi più, e chi meno, le quali misture gli davano proprio colore, e più, e men pregio, ed in oltre il proprio nome»
Ivi p. 204 (sarebbe da veder Plinio L. XXXIV ed altrove V. Delo e Sdile)
Il, del «Oltre allo aver fatto» (il cel. Fidia) «nel tempio Olimpico quel Giove dello avorio sì grande» (ricord. la cassa del
noce, il mortajo della pietra, ec.) Ivi p. 204.
Nome «Fu in gran nome l’Ercole, che era a Delfo» (fu in gran rinomanza, fu celebrato assai) Lettera dell’Adr. p. 209.
Apprendersi «S’apprese molto alla maniera di Lisippo, talmente che alcune figure appena si riconoscevano se elle erano dell’uno,
o dell’altro maestro» (attaccarsi alla imitazione) Lettera sud. p. 209.
Essere in bocca «Alcuni dissero, ch’egli» (Telefane Foceo) «non è stato in bocca de’ Greci, perocché egli si diede a lavorare in tutto
per Dario» (vale non essere stato celebrato da’ Greci.) Lettera dell’Adriani p. 210.
Poco poi «Prassitele ancora, avvegnaché nel lavorare in marmo, come poco poi diremo, fusse tenuto maggior maestro…
nondimeno» Ivi p. 210. (Vale come direm fra poco paulo post.) E «una leona» Lett. sud. p. 224 in fine.
Leona n. «Fece ancora» (Ificle) «a nome degli Ateniesi una bella Leona» e poco appresso «imposono a quest’artefice, che

Documenti
304
ritraesse una Leona». Lettera dell’Adriani p. 211 (La Cr. non ha tal V.).
Adorare «Fece una donna che adorava, ed al sacrificio ministrava» (Eufranore) è usato neutro per orava. La Cr. n’ha es.°
del Bocc.°
Ritrarre Furono oltre a questi alcuni altri chiari per ritrarre con iscarpello in rame, argento, ed oro calici, ed altro vasel-
v. add.° e sopra lamento da sacrifici, e da credenze» Lettera dell’Adr. p. 214.
Far di bronzo [40] «Fu quest’arte di far di bronzo anticamente molto in uso in Italia» Lettera dell’Adriani p. 214 (lavorar di
bronzo).
A rispetto di «Quanto fu maggiore il magistero, tanto più a rispetto degli antichi vi parve il difetto del metallo». Lettera d. 217.
(La Cr. ha esempli di tai forme avverbiali).
Figure (in luogo di statue) Ivi p. 217 e 218 parlando di Depeno e di Selli Cretesi, andati in Sicione, a’ quali «fu dato loro
dal Comune di quella Città a fare di marmo alcune figure de’ loro Dei» (poco appresso) «fatti tornare a finire le
incominciate figure». Sarebbe propria espressione da fingo, ma l’uso halla renduta impropria.
Spendio n. «la qual cosa, con molto spendio, e preghiere, finalmente ottennero» Lettera accenn. p. 218. (Hallo la Crusca stessa.
Noto che il di aggiunto a V., che comincian per la Simpura, s’è assai volte levato da ottimi scrittori).
Masso n. «Fendendosi con essi i conj un masso di questo marmo» (forse equivale a saldezza. La Cr. dà a questa V. la significaz.
di Sasso grandissimo radicato in terra; l’uso non bada se radicato, o no: l’Adriani, nell’es.° proposto, parla di cosa
avvenuta ad alcuni che lavoravano a trar marmi dalle Cave di Paro). Pag. 219.
Mano «Aveavi posta l’ultima mano» (ivi)
Eccellentissimo «Eccellentissimo di tutti gli artefici» (Ivi) Alla maniera de’ Latini che a’ superlat. aggiungono la cosa comparata in
Superl.i sec.° caso. N’ha una infinità d’esempli negli Scritt.i nostri che vanno per la maggiore; l’uso par ch’abbia obbliata
questa formula, che certo nol merita. (p. 220)
Rilevare «la parte dello scudo che rileva» quod prominet (Ivi n’ha la Cr. es.) «e nel cavo di drento i giganti che combat-
tevano con gli Dei» Ivi p. 220.
[Rilievo66] «Acciò si sappia l’eccellenza» (di Fidia) «non solo nelle grandi opere, ma nelle minori ancora, ed in ogni sorta di
rilievo, essere stata singolare» Ivi (qui intende minuti, e bassi rilievi d’ogni man.a) Lettera dell’Adr. p. 220.
Pregio «Fece» (Prassitele) «due figure di Venere» (sono due statue) «l’una ignuda, e l’altra vestita, e le vende un medesimo
pregio» (per una istessa quantità di denaro). (La Crusca ha ottimi esempli, ma due solamente; 1 del Bocc.°, il 2.° di
Lor. Martelli, vaglia il 3.° ancora di Scritt. che riman fra’ due. Oggi val solo stima) p. 220.
Appressole [41] «Una Vesta…, e due ministre della Dea appressole» Lettera p. 222 (modo, che fino ad ora non ho più veduto,
né adoperato, né osservato) V. se ci ha […67]
Mano «Si dubitava, di cui fussero mano i quattro Satiri, ch’erano nella scuola d’Ottavia» (è anche da notare la trasposiz.
ne
) Ivi p. 223.
Lavorar di scarpello.V. add. «Briaxi,Timoteo e Leocare…insieme lavorarono di scarpello a quel famoso sepolcro di Mausolo». (Lettera d.a p. 223.)
Studiare in fare «Furono alcuni, che studiarono in fare nell’arte cose piccolissime» (Ivi) maniera lomb.a, o piuttosto Bologn.e (p.
226).
Lavorar di scarpello in argento «Furono alcuni, i quali ebbero gran nome nel lavorare in argento di scarpello» p. 230. Qui scarpello è posto abusi-
vamente per qualunq. di quegli strumenti, come cesello, ed altri, onde si adopera sull’arg.to e l’oro.
Scarpello «Un Acragante, un Boeto, un Mys» (aggiunti ad un) «Mentore, il quale lavorava di sottilissimo lavoro vasi d’argento,
e tazze da bere, ed ogni altra sorte di vasellamento, che si adoperava ne’ sacrificj… e di quel Boeto spezialmente
Bacche n. Centauri, e Bacche (per Baccanti, non notato nella Crusca) «fatti con lo scarpello in Idrie» (qui pure, come
nell’es.° preced.; Scarpello abusiv.te.) Ivi p. 230.
Scarpello «Ebbero gran nome un Acragante, un Boeto, ed un altro chiamato Mys (ivi Vedi add.°)
«Sopra una tazza fece un satiro gravato dal sonno tanto proprio, che ben si poteva dire, che più presto ve lo avesse
suposto che ve lo avesse con lo scarpello scolpito» (si parla di minuti lavori in argento). Ivi p. 230.
Ritrarre «ritraeva di minutissimo lavoro uomini armati, e battaglie molto bene (parlasi di scult. minutiss.e in argento) p. 231
(e poco dopo Zopiro…aveva in due tazze ritratto il giudizio di Oreste nell’Ariopago» Ivi p. 231.

Qui ha fine la lettera di G.B. Adriani

66
  La voce è omessa per errore.
67
  Illeggibile.

Termini di arte
305
Codice Corazza, c. 1640, sez. III, p. LXVI, studi sull’arcobaleno. Napoli, Biblioteca Nazionale

[306]
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saspina, 19 gennaio 1796; ms. 6099, lettera di V. cujus in jusdem rebus gestis meminit Rapha- descrittiva dei manoscritti di Corazza, 20 giugno
Corazza al genero, 25 febbraio 1799. el Trischet Fresneus: agit autem de lumine et 1831.
F.S. Biografie, cart. I, n. 5: appunti vari riguar- umbra (scritto in favella italiana) a. 1603» (nota: Manoscritti e rari:
danti V. Corazza, s.f., s.d. (ma 1790-1810); lettere «Vidi – Mazentae patritii Mediol. liberalitate»), Biblioteca Provinciale, ms. 66: Vincenzo Ferra-
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ottobre e 3 dicembre 1802. suddetto (con numerosi disegni intercalati), ff. calabresi, 1783 ca.; ms. 73: «Corso di Architettura
Casale Monferrato, Archivio Storico Comunale, Ma- mss. nn. 140-161; S.P. 6/13 D 14: nota autografa di Civile di Vincenzo Ferrarese diviso in tre parti 1°
noscritti Bossi, gennaio 1813; S.P. 6/13 D 18 - D 34: lettere Bellezza, 2° Comodità, 3° Solidità», 1783 ca.
Fondo Famiglia Magnocavalli, fsc. 249, lettera di di Gaetano Marini, bibliotecario della Vaticana, Ms. San Martino, 396, cc. 28-29,lettera di V. Co-
V. Corazza a Filippo Gastaldi, 26 settembre 1772. a G. Bossi e copia del codice della Vaticana dal razza a Domenico Cotugno, gennaio 1788.
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[307]
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29 maggio 1782; Id., «Alli Amatori e Professori luglio, 20 agosto, 4 settembre 1779, 20 gennaio Fondo Venturi, Ms. Regg. A 162: apografo del
delle Bell’arti del Disegno e specialmente della 1781, 18 gennaio, 4 ottobre 1784, 24 maggio 1788. Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, già
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Giacomo Quarenghi, 12 giugno 1779; doc. ri- s.d. (1783-84 ca.). «custodia Morei», 1743-66, fol. 1496, s.v. “Licinio
guardante Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, X. AA. 29bis/16: lettera di Vincenzo Carafa prin- Foloniano”, ossia «Vincenzo Corazza da Bolo-
dicembre 1781. cipe di Roccella a V. Corazza, 19 luglio 1782; let- gna».
X. AA. 28/5: traduz. di uno scritto di P. An- tere di A. Comolli a V. Corazza, 18 gennaio e 19 - Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Mano-
drej, ingegnere primario della Marina di Fran- settembre 1788. scritti
cia, dal titolo «Riflessioni sulla Figura della X. AA. 29bis/19: lettera di F. Gastaldi a Corazza S. IV. 4: Francesco di Giorgio Martini (attr.),
Terra», 1785-88 ca. del 2 luglio 1773. Trattato d’architettura civile e militare («Trattato
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scritti vari su temi didattico-pedagogici e in ma- X. F. 28 (altri esempl.: XIV. E. 35; XIV. H. 70): (poi Hammer), già di proprietà del duca di Cas-
teria di astronomia, 1785-88 ca.; Id., n. 6 «quin- Antonio de Beatis, «Itinerario di monsignor Re- sano, s.f., 1717.
ternetti» su «Elementi di Algebra», 1785-88 ca. verendissimo, Illustrissimo il Cardinal de’ Arago-
X. AA. 28/11: V. Corazza, bozze del poemetto na incominciando dalla città di Ferrara», 1517-18.
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con considerazioni in materia di arte, s.d.; let- tre Cose a Lei Analoghe», 1781; Idem, «Ristretto
tera di V. Corazza al principe Domenico Orsi- del Trattato della Misura delle Fabbriche», tratto Accademia dell’Arcadia. Adunanza tenuta dagli Ar-
ni, s.d. (ma 1771). dall’opera di Giuseppe Antonio Alberti (1757), cadi in morte del cav. A.R. Mengs, detto in Arcadia
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Roccella a V. Corazza, 29 giugno 1781 e 29 aprile grafi denominati A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M superficie comuni si dà ancora la misura di tutte le spe-
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vembre 1788. - Parma, Biblioteca Palatina, Manoscritti nella mjisura di esse... Con un appendice del modo di
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125n, 127, 127n, 128, 130, 146, 147, 149, no, imperatore romano, 123n, 124n, 125, Bibiena (vedi Galli Bibiena)
149n, 150n, 160, 162, 162n, 165n 136n, 138n, 166 Biffi, Marco, 68n
Alhazen, 47, 48, 54, 54n, 61, 183, 183n, Aveta, Aldo, 176n Bifulco, Tommaso, 156n
184n, 186n Azara, Joseph Nicolas de -, 133, 133n, 134, Bigotti, Giovan Battista, 104n
Alighieri, Dante, 140n 136, 137, 138 Bijornestahl, Jacob Jonas, 118, 119, 154n
Alisio, Giancarlo, 91n, 94, 157n Azzariti, Francesco, 152n Biondi, Teresa, 111n
Álvarez de Toledo y Beaumont de Na- Bacone, Ruggero, 15, 21, 30n Biraghi, Silvia, 163n, 164n
varra, duca d’Alba, Antonio, viceré di Baiardi, Ottavio Antonio, 76n, 136n Biral, Alessandro, 11n, 13n, 17n, 18n, 21n,
Napoli, 106n Baldi, Antonio, 155 22n, 23n, 24n
Accorsi, Maria Grazia, 111n Alvarez de Toledo, Antonio, duca d’Al- Baldi, Raffaele, 111, 123n, 124n Biringuccio,Vannoccio, 20
Achillini, Claudio, 141 ba, viceré di Napoli, 106, 106n Baldinucci, Filippo, 2, 2n, 68, 89n, 130, Blondel, François, 22, 131, 149n
Acquisti, Luigi, 112n Álvarez de Toledo, Luise, 91n 131, 146, 146n, 162n Blondel, Jacques-François, 146, 146n,
Acton, Harold, 73n, 115n, 142n Álvarez de Toledo y Zùniga, Pedro, vi- Barattieri, Giovan Battista, 159n 147n, 149, 180n
Acton, John Edward, 108, 170 ceré di Napoli, 84, 86n, 87, 91n, 100, 101, Barba, Gaetano, 105 Blunt, Anthony, 35n
Adam, James, 127 102, 103 Barbaro, Daniele, 13, 18, 84, 135n, 136, 145, Boccaccio, Giovanni, 124, 124n
Adam, Robert, 127, 130, 164n Amaduzzi, Giovanni Cristofano, 115n 147n, 159, 159n, 160, 167n Böckler, Georg Andreas, 91
Adams, Nicholas, 82n, 84, 84n Amboise de Chaumont, Charles d’ -, 85 Barberini, Francesco, cardinale, 4, 32, 33, Bodoni, Giambattista, 74, 74n, 124,
Addison, Joseph, 75 Amenta, Niccolò, 121n 34, 35, 35n, 36, 36n, 37, 37n, 38, 38n, 39, 41, Boffrand, Germain, 147, 149
Adriani, Fiammetta, 150n Amirante, Giosi, 86n, 100, 100n, 101n, 42, 43, 43n, 44, 47, 53, 66 Böhm, Johann Georg, 77n, 142
Adriano, Publio Elio, imperatore roma- 102 Barbieri, Matteo, 154n Böhmig, Michaela, 73, 73n, 162n
no, 130n Ammannati, Bartolomeo, 91n Barone, Nicola, 99n Boito, Camillo, 180n
Afán (o Parafán) Enríquez de Ribera, Amodeo, Federico, 168n, 169, 169n, Barone di Brunetto, 99 Bologna, Ferdinando, 98n, 121n
Pedro, duca di Alcalà, viceré di Napoli, 176n, 181n Baroni, Costantino, 185 Bompiede, Giovanni, 104, 107, 108,
99, 100, 103, 106n Amontons, Guillaume, 186 Bartoli, Cosimo, 146, 147n 108n, 109, 109n, 158n
Afan de Rivera, Carlo, 109, 109n, 154, Amoretti, Carlo, 120, 144, 144n, 147 Bartoli, Daniello, 279, 299 Bonaparte, Giuseppe, re di Napoli, 106n
154n, 157, 158, 175, 179, 180n Andrea del Sarto, 142 Bartoli, Gennaro, 143 Bonaparte, Napoleone, 4, 33, 43, 74,
Aghilera, Francesco de -, 99, 100n Andrés, Juan, 74, 76, 76n, 79, 114, 114n Bartolomeo di San Marco, Fra -, 137n 116n, 178
Agincourt, d’- (vedi Seraux d’Agin- Angelini, Piervaleriano, 163n Barucci, Clementina, 172n, 173n, 174n Bonaparte, Paolina, 116n
court) Angelini, Sandro, 163n Basile, Giovan Battista Filippo, 180n, Bongioanni, Fausto M., 187n
Agostini, Amedeo, 50n Angiulli,Vincenzo, 158 Bassi, Elena, 163n Bongiovanni, Giovan Battista, 153n
Agricola, Giorgio, 20 Aniello, Tommaso, detto Masaniello, Basso, Pompeo, 105 Boni, Onofrio, 125n, 133, 133n, 138, 139,
Agrippa, Marco Vipsanio, 135n 104 Batllori, Miguel, 76n 143, 143n, 145n, 147, 153n, 166, 166n
Aierbi d’Aragona, Ercole Michele, Anna Ivanovna Romanova, imperatri- Beauharnais, Eugenio, 75, 142n Bonito, Giuseppe, 173n
principe di Cassano, 95, 95n, 97 ce di Russia, 149 Beauvarlet, Jacques-Firmin, 143 Bono, Giovanni, 157n
Alba, duca d’ - (vedi Alvarez de Toledo, Ansidei, Reginaldo, 113, 113n Beccadelli, Giuseppe, marchese della Bonsignori, Stefano, 39, 40n, 44n, 144
Antonio) Antolini, Giovanni Antonio, 127n Sambuca, 108, 117n, 171n, 173n Borgia, Cesare, 14
Albani, Alessandro, cardinale, 35n, 130, Antonello da Capua, 81, 81n Beccaria, Cesare, 116n, 120 Borromeo, Federico, cardinale, 32, 33,
130n, 145, 133, 136 Antonini, Carlo, 146n Becker, Felix, 173n 36, 38n, 40n, 44
Albergati Capacelli, Francesco, 123n, 124 Aragona d’Avalos, Costanza d’ -, 85 Béhague, contessa di -, 36 Borzelli, Angelo, 25n, 53, 90n, 91, 91n,
Alberti di Villanuova, Francesco, 68, Aragona, Errico d’ -, 25 Belgiojoso, Alberigo, 63n 136, 136n, 142, 142n, 152n, 181, 181n, 183
68n, 69n, 70 Aragona, Luigi d’ -, cardinale, 6, 15, 19, Bélidor (vedi Forest de Bélidor) Bosca, Pietro Paolo, 40n
Alberti, Giuseppe Antonio, 146, 146n, 25, 25n, 26, 58, 65, 67, 85, 85n Bell, Janis C., 42n Bosse, Abraham, 35n, 36n, 48
147n, 169, 169n, 171 Arata, Giulio Ulisse, 180n Bellato, Anna, 124n Bossi, Giuseppe, 32, 43, 43n, 44, 49n, 51n,
Alberti, Leon Battista, 10, 12n, 13, 13n, 16, Arbillaga, Idoia, 76n Bellincioni, Giovanni, 63, 63n 52, 53n, 70n, 74, 75, 75n, 76, 76n, 77, 77n,
17n, 18, 18, 27, 29, 29n, 30n, 35n, 47, 61, Archimede di Siracusa, 9, 11, 14, 15, 21, Bellori, Giovanni Pietro, 35, 97, 98, 129, 78, 78n, 79, 79n, 80n, 95, 112, 123, 123n,
62, 62n, 81, 88, 88, 95n, 97, 149n, 160, 161, 22, 58, 59, 61, 62, 63, 64, 85n, 158n, 183, 130, 146n 133n, 142, 142n
161n, 162, 178, 185 184, 184n, 185, 186 Bellosi, Luciano, 25n Botta, Filippo, 180n
Alberto da Imola, 186 Archinti, Orazio, 34 Bellucci (o Belluzzi, o Belici), Giovan Bottari, Giovanni Gaetano, 124, 129,
Alberto di Sassonia, 46n, 58, 182, 183n, Arconati, Galeazzo, 4, 32, 33, 33n, 34, 35n, Battista, 22, 22n, 86, 86n, 103n 129n, 130, 136n, 144n, 146, 146n, 149,
186 36, 36n, 37, 37n, 38n, 40, 40n, 42n, 43n, Belt, Elmer, 95n, 97n 149n, 152, 153n, 159, 159n, 160, 165n, 173n,
Albertolli, Giocondo,180n 44, 45, 47, 47n, 48, 77n, 78n Beltrami, Luca, 180n, 182, 185 176
Albini, Giuseppe, 181, 181n Arconati, Luigi Maria, 29, 36, 36n, 37, Beltrani, Giovanni, 171, 171n, 172, 172n, Bottazzi, Filippo, 60n, 314
Albrizzi, Luigi, 39, 41n 37n, 38, 41, 45, 55, 60, 63, 63n, 64n, 66, 174n Boubée, Francesco Paolo, 179, 180n
Alcubierre, Rocque Joaquin de -, 109 67, 67n, 98 Bembo, Pietro, 67 Bouguer, Pierre, 54
Aldovrandi Marescotti, Carlo Filippo, Ardinghelli, Maria Angela, 154 Bendidio, Alberto, 26 Boullée, Étienne-Louis, 24n, 164, 175n,
127 Argelati, Filippo, 66 Benedetto XIV (Prospero Lambertini), 325
Alessandro I Pavlovič Romanov, impe- Argentieri, Dario, 52n, 54n, 55n papa, 125, 126n, 168, 170 Bramante, Donato, 5, 13, 14, 18, 78, 78n,
ratore di Russia, 164, 164n Argenziano, Pasquale, 87n Benincasa, Giovan Battista, 6, 102 83
Alessandro il Grande, 140n Ariani, Agostino, 95, 170 Benvenuto, Edoardo, 175n Bramieri, Luigi, 115n
Alessandro VII (Fabio Chigi), papa, 35n Ariosto, Ludovico, 121n, 287, 292 Bernini, Gian Lorenzo, 35, 35n, 146, 146n Branca, Giovanni, 91, 162, 162n
Alfano, Gaetano, 134, 177 Aristotele, 9, 10, 17, 21, 30n, 58, 60, 101, Bernoulli, Daniel, 119, 180n Breislak, Scipione, 116, 116n
Alfieri, Girolamo, 35n, 36, 37, 37n, 40n, 113, 168, 183n Bertola da Novate, 14 Briseaux, Charles-Étienne, 147, 149n,
41 Armani,Vincenzo, 112n Bertola de’ Giorgi, Aurelio, 71n, 111n, 152
Alfieri,Vittorio, 116n, 120 Arrighi, Gino, 184, 184n 113, 115, 115n, 118, 124, 124n, 133, 134n, 140, Brizio, Anna Maria, 10n, 29, 29n, 41n,
Alfonso d’Este, duca di Ferrara, 26 Arrigoni, Francesco, 77n 140n, 141, 141n, 143, 143n 49n, 50n, 52n, 55n, 57n, 58n, 59n, 60n,
Alfonso II d’Aragona, re di Napoli e Arundel, conte di - (Thomas Howard), Besson, Jacques, 56 61n, 63, 63n, 64, 64n, 65n, 66n, 67n, 69n
duca di Calabria, 13, 81, 85n, 99 47 Bettazzi, Beatrice, 111 Bronzuoli, Gaetano, 174n,
Ascione, Emanuele, 150, 152, 152n, 153n, Bettinelli, Saverio, 116, 116n Brugnoli, Pierpaolo, 87n
155n Bianchi, Lorenzo, 117n Brummer, Hans Henrik, 36n
Ashburnham, Bertram, 4 Bianchino, Erasmo, 91 Brunelleschi, Filippo, 9n, 11, 12, 13, 13n,
* Non compaiono nell’indice i nomi di
Astarita, Giuseppe, 109n Bianconi, Carlo, 7, 44n, 72, 72n, 75, 111, 14, 25n, 47, 54, 185
Leonardo da Vinci, di Vincenzo Corazza
e degli editori delle opere citate in nota. Astolfi, Giovanni, 156n 111n, 112, 112n, 113, 127, 127n Bruno, Giordano, 21, 59, 90, 171
Si escludono inoltre quelli presenti nelle Astore, Francesco Antonio, 121, 121n Bianconi, Giovanni Battista, 112n Bryan, Michael, 143n
presentazioni, nelle trascrizioni e negli Attendolo, Ambrogio, 6, 99, 100n, 101, Bianconi, Giovanni Ludovico, 112n, Buccaro, Alfredo, 2n, 151n, 152n, 154n,
elenchi delle fonti. 101n, 102 127n 155n, 156n, 157n, 158n, 163n, 170n, 172n,

[325]
175n, 176n, 177n, 178n, 179n, 181n, 187n, Carlo V d’Asburgo, re di Spagna, 100 Ciotta, Gianluigi, 134n Cuoco,Vincenzo, 75
188n Carlo VI d’Asburgo, imperatore del Sa- Cipriani, Angela, 130n Cuppini, Giampiero, 163n
Buffon, conte di- (Georges-Louis Le- cro Romano Impero, 63n Ciriello, Onidia, 105n Curcio, Giovanna, 139n
clerc), 129 Carlo VIII di Valois, re di Francia, 81, Cirillo, Domenico, 115, 116, 116n, 120, Curioni, Giovanni, 180n, 188
Buonarroti, Michelangelo, 14, 131, 137n, 81n, 83n 171, 174, 174n Cusano, Niccolò, 21, 48, 60, 61, 184
141n,n 142, 143, 144, 146, 147n, 162, 176 Carpi, Francesco, 152n, 179 Cisotti, Umberto, 61n, 182n Custode, Francesco, 105n
Buonazia, Girolamo, 59n Carracci, pittori, 142 Cisternay du Fay, Charles François de d’Afflitto, Eustachio, 117, 118, 122, 122n
Burini, Silvia, 163n Cartaro, Mario, 103, 105 -, 22n d’Agnolo (o d’Angelo), Gabriele, 85
Burke, Edmund, 75, 139, 140, 152 Cartaro, Michelangelo, 103n Clairac de la Mamye, Louis-André de D’Agostino, Salvatore, 2n, 43n, 98n,
Burlington, conte di - (Richard Boyle), Cartei, Sergio, 7 la -, 22n 152n, 154n, 179n
28 Cartesio (René Descartes, detto -), 20, Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), d’Alembert (vedi Le Rond)
Busca, Gabriello, 86, 86n 22n, 23 papa, 89 D’Amelio, Maria Grazia, 91n, 94n
Cabella, Enrico, 77, 77n, 78n Carusi, Enrico, 26n, 27n, 29, 32n, 33n, Clemente XI (Giovanni Francesco Al- d’Apuzzo, Nicola, 180n
Cafaro, Donato Antonio, detto Pigna- 35n, 36, 36n, 37n, 38, 38n, 42n, 46, 46n, bani), papa, 125 D’Arrigo, Agatino, 85n
loso, 99, 103, 103n, 103n 63, 67, 67n, 68, 185 Clemente XIII (Carlo Rezzonico), d’Ayala, Mariano, 99, 99n, 103n, 107n,
Cafaro, Giovanni Leonardo, 103n Casacalenda, duchi di -, 154 papa, 130, 163n, 165, 165n 108, 108n, 109n, 115n
Cagliostro (Giuseppe Balsamo, detto -), Casale, Olga Silvana, 76n, 80n Clemente XIV (Gian Vincenzo Anto- D’Errico, Giuseppina, 152n
116n Casale,Vincenzo, Fra -, 104 nio Ganganelli), papa, 128, 128n d’Oggiono, Marco, 142n
Cagnazzi de Samuele, Luca, 174n Casali, Gregorio, 128, 162n Clérisseau, Charles-Louis, 163n, 164n da Gaeta, Muzio, duca di San Nicola,
Calabrese (Mattia Preti, detto il Cava- Casati, Giovanni, 123n Colecchi, Ottavio, 156n Dal Monte, Guido Ubaldo,
lier -), 142 Cassano, duca di - (vedi Serra di Cas- Collecini, Francesco, 172 dal Pozzo, Cassiano, 4, 27, 31, 32, 33, 33n,
Calcagno, Gian Carlo, 175n sano), Collenuccio, Pandolfo, 122n 34, 34n, 35, 35n, 36, 36n, 37, 37n, 38, 38n,
Califano, Gaetano, 153n Cassella, Giuseppe, 174n Colletta, Teresa, 89n, 100n, 105n, 106n 39, 39n, 40, 40n, 41n, 42, 42n, 43, 45, 46,
Caloprese, Gregorio, 121, 121n Cassiano de Silva, Francesco, 91n, 94 Colombo, Antonio, 19, 19n, 63, 63n 47, 52, 53, 53n, 55, 71, 72, 77
Calvi, Gerolamo, 75n Castellano Lanzara, Maria Giuseppina, Colonna, Francesco, 85 Daly, César, 180n
Calvi, Ignazio, 56n, 182, 185 76n Colonna, Prospero, viceré di Napoli, 87 Daniele, Francesco, 124, 124n
Cameron, Charles, 164, 164n Castellano, Filippo, 107 Commandino, Federico, 59 Dario I, re di Persia,
Camerota, Filippo, 47n, 48, 48n, 50n, 54, Castelli, Benedetto, 63, 63n, 64, 67, 67n, Como, Mario, 170n Daverio, Michele, 77, 78, 78n, 79
90n 158n, 159n Comolli, Angelo, 25n, 28n, 33n, 39, 40n, David, Ludovico Antonio, 42
Cametti, Ottaviano, 159n Castelpagano, duchessa di - (Faustina 68, 68n, 70n, 72, 74, 74n, 97, 97n, 112, de Alessandro, Marino, 104
Campana, Orazio, 103n de Luca), 117 113, 125n, 131, 132, 143, 143n, 144, 144n, 145, de Beatis, Antonio, 6, 25, 25n, 26, 85, 185
Campanella, Tommaso, 21, 90 Castigliano, Carlo Alberto, 180n 145n, 146, 146n, 147, 147n, 148, 148n, 149, de Castello, Matteo, 91n
Campano da Novara, Giovanni, 62 Castiglione, Baldassarre, 137n, 140n 149n, 150, 150n, 151, 152, 152n, 153, 153n, de Cesare, Francesco, 180n
Campolongo, Emanuele, 116, 116n, 117, Castiglione, Gabriele, 103n 154, 154n, 155, 155n, 156, 156n, 157, 157n, de Curtis, Scipione, 91
119 Castiglione, Pietro, 103 158n, 169 de Deo, Emanuele, 156n
Camporesi, Francesco, 165, 166 Castillon (Giovanni Francesco Salve- Condorcet, marchese di - (Jean-An- de Dominici, Bernardo, 89n, 150, 153,
Camuccini,Vincenzo, 75, 75n mini, detto -), 174n toine-Nicolas), 23 153n
Canaletto (Antonio Canal, detto il -), Cataneo, Girolamo, 86n Conforti, Claudia, 64n, 91n, 158n de Fazio, Giuliano, 178, 179, 180, 180n
169 Cataneo, Pietro, 88 Connors, Joseph, 42n de Franceschi, Francesco, 87
Canestrini, Giovanni, 185 Caterina II Alekseevna, imperatrice di Consoli, Gian Paolo, 134n De Fusco, Renato, 176n
Canevari, Antonio, 109 Russia, 73, 120, 163, 164n, 165, 166, 167 Copernico, Niccolò, de Marchi, Francesco, 86n, 87
Cannarella, Giuseppe, 116n Cattaneo, Carlo, 180n Corazza, Domenico, 111n, 125n de’ Martini, Carlo, 123, 123n
Canova, Antonio, 75, 75n, 76, 77n, 78n, Catullo, Gaio Valerio, 124, 124n Corazza, Luigi, 80 de Martino, Niccolò, 107, 154, 176
116n, 165n, 176n Cavagna, Giovan Battista, 105 Corazza, Sebastiano, 111n de Martino, Pietro, 154, 170, 176
Cantone, Gaetana, 86n Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari, Corazza, Sebastiano (jr), 74, 76, 80, 114n, de Matteis, Paolo, 153n
Capano, Francesca, 143n detto il -), 42 115, 115n, 123, 123n De Mattia, Fausto, 7, 11n, 75n, 86n, 98n,
Capasso, Bartolommeo, 105, 105n, 172n Cavallari Murat, Augusto, 143n, 170n Corazzi, Ercole, 95n 99, 99n, 100n, 103, 103n, 104n, 105, 107,
Capece, Ascanio, 103 Caverni, Raffaello, 182, 182n, 186 Cordemoy, Louis-Géraud de -, 146, 147, 107n, 108, 110
Cappa, Scipione, 180n Cavina, Sebastiano, 112n 149n, 150n, 152 de Nicola, Carlo, 162n
Caprara, Francesco, 123n Caylus, conte di - (Anne-Claude-Phi- Cornelio, Tommaso, 94, 170 De Pascalis, Donato Giancarlo, 173n
Caputo,Vincenzo, 123n lippe de Tubières), 143, 143n, 144, 146n, Correggio (Antonio Allegri, detto il -), de Pascalis, Giancarlo, 173
Caracciolo, Domenico, 117, 117n, 172 149 137, 138n, 142, 144, 150n de Rogatis, Francesco Saverio, 116, 116n
Carafa, Ferrante, marchese di San Lu- Ceci, Giuseppe, 89n, 152n Cortese, Nino, 117n, 118, 118n, 119n, 122n, de Rosa,Vincenzo, 103, 116
cido, 91n Celebrano, Francesco, 114 152n de Rossi, Giovan Francesco, 32, 32n
Carafa, Giovanni, duca di Noja, 114n, Cellini, Benvenuto, 25, 25n, 28, 28n, 32, Cortona, da -, Pietro (Pietro Berettini, de Sanctis, Francesco, 181
119, 143, 151, 157, 170, 36n, 39, 67, 68, 69n, 70, 124n detto -), 35, 166n De Sanctis, Riccardo, 107n, 154n, 158n,
Carafa, Vincenzo, principe di Roccella, Cennini, Cennino, 29 Cosenza, Edoardo, 7, 170n, 177n
124, 124n, 141, Cercani, Nicola Maria, 155 Cosenza, Luigi, 5, 188, 188n, 189, 189n de Santis, Pietro Antonio, 99, 101, 102
Caravelli,Vito, 107, 109, 114, 132, 150, 154, Cermenati, Mario, 67, 67n, 182 Cosimo I de’ Medici, granduca di To- de Seta, Cesare, 7, 43n, 87n, 98n, 100n,
154n, 174, 176 Cerruti,Valentino, 182n scana, 86n 104n, 121n, 136n, 142n, 143n
Cardano, Fazio, 15, 60 Cesare, Caio Giulio, imperatore roma- Costantini, Michela, 136n De Tipaldo, Emilio, 75n, 116n, 139n
Cardinali, Francesco, 41n, 59n, 63, 66, no, 56, 88, 165n Costantino, Flavio Valerio Aurelio, im- De Toni, Giovan Battista, 53n, 54n, 55n,
66n, 67 Cesi, Federico, 35, 55 peratore romano, 137n 58n, 75, 75n, 76n, 78n, 79, 79n, 80, 80n,
Cardini, Roberto, 161n Cessart, Louis-Alexandre de -, 108, 159, Costanzo, Francesco, 108, 122n 184
Cardone,Vito, 23n, 100, 100n, 101n 180n Cottrau, Alfredo, 180n De Toni, Giovanni,
Carducci, Giosuè, 122, 122n, 123, 123n Chasles, Michel, 177, 186 Cotugno, Domenico, 116, 116n, 118, 139, De Toni, Nando, 56, 57n, 63, 63n, 67n,
Carletti, Niccolò, 7, 105, 109, 147, 149n, Chastel, André, 15n, 17n, 18, 20, 20n, 25, 139n, 171, 171n, 172, 174, 174n 79, 79n, 80n
150, 154, 155n, 156, 157, 157n, 158, 158n, 26n, 27n, 28, 28n, 30n, 62, 85n Coulomb, Charles Augustin de -, 186 de’ Vegni, Leonardo Massimiliano, 111n,
176, 180n Châtelet, Albert, 154 Crescimbeni, Giovan Mario, 121n, 161 125n, 127, 131, 133n, 143n, 147n, 153, 153n,
Carlino, Niccolò, 153 Chelli, Domenico, 173n Crespi, Luigi, 76n, 125n, 127n 156n, 160, 160n, 162, 162n, 169, 169n
Carlo di Borbone, re di Napoli (poi Chennevières, Philippe de -, 149n Cresti, Carlo, 162n de Villanis, Battista, 25, 26
Carlo III di Spagna), 76n, 99, 104, 104n, Ciaccheri, Giuseppe, 159, 159n, 160 Cristina Alessandra, regina di Svezia, 97 de Vito Piscicelli, Francesco, 108
106, 107, 107n, 109, 119, 134, 136n, 169, Cialdi, Alessandro, 64 Croce, Benedetto, 100, 100n, 115, 152, degli Alberti, Pierfrancesco, 35, 35n
174 Ciardi, Roberto Paolo, 75, 75n, 76n, 77n 152n, 161, 187n Del Gaudio, Rosaria, 103n
Carlo I d’Angiò, re di Napoli, 99 Cicerone, Marco Tullio, 116n, 140n Ctesibio, 185 Del Lungo, Isidoro, 187n
Carlo I, re d’Inghilterra, 47 Cicognara, Leopoldo, 75, 180n Cuciniello, Domenico, 115, 117n Del Monaco, Erminda, 71n

326
Del Monte, Francesco, cardinale, 34 Du Fresne (vedi Trichet Du Fresne) Filippo II, re di Macedonia, 132 Galiani, Berardo, 134, 137, 139, 149n, 150,
del Monte, Guidubaldo, 20, 185 Ducci, Francesco, 76n Filippo II, re di Spagna, 89, 101, 103 152, 152n, 153, 154, 167n
del Pesco, Daniela, 36n Ducros, Abraham Louis, 134 Filomarino della Rocca, Giovanni Bat- Galiani, Celestino, 108, 108n, 118, 152,
Del Pozzo, Luigi, 154n Duhem, Pierre, 182, 182n, 186 tista, 116 170
del Rosso, Giuseppe, 159n, 162n Durand, Jean-Nicolas-Louis, 10, 24, 175, Finotto, Francesco, 173n Galiani, Ferdinando, 7, 108, 116n, 117,
del Tadda, Francesco, 178, 178n, 180n, 188 Fiorani, Francesca, 35, 35n, 36n, 48, 48n, 117n, 118, 118n, 119, 121, 121n, 136, 143, 152,
del Tufo, Giovan Battista, 90n Durazzini, Anton Francesco, 144, 144n 52 170, 171n, 172, 172n, 174, 176
Delfico, Melchiorre, 115, 117, 117n, 120, Dürer, Albrecht, 48, 86, 134 Fioravanti Baraldi, Anna Maria, 127, Galilei, Alessandro, 130
180n Eberhardt, Jurgen, 100n, 101 127n Galilei, Galileo, 21, 34, 55, 59, 60, 63, 87,
dell’Acaya, Giovan Giacomo, 100n, 101, Eiffel, Gustave, 180n Fioravanti, Aristotile, 12n, 13n, 56, 185 87n, 90, 95, 105n, 158n, 182, 186
101n Ejdelman, Natan, 164n Fiore, Francesco Paolo, 13n, 81, 81n, 82n, Gallarano, Donato, 105
della Bella, Stefano, 36n, 74 Elisabetta I Petrovna, imperatrice di 83, 83n, 84n Galli Bibiena, fratelli, 7, 147, 169
della Monica, Giovan Vincenzo, 103, Russia, 163, 163n Fiorio, Maria Teresa, 42n Galli Bibiena, Ferdinando Maria, 125,
103n Epicuro, 133 Firmian, Carlo, 71, 72, 72n 126n, 169
Della Porta, Giovanni Battista, 54, 55, 89, Ercolani, Filippo, 124n Flauti,Vincenzo, 177, 177n Galli Bibiena, Francesco, 125
90, 170, 182, 186n Ercole III d’Este, duca di Modena, 79 Folinea, Raffaele, 180n, 188 Galli Bibiena, Giovanni, 155
della Sambuca, marchese (Giuseppe Erone di Alessandria, 11, 13n, 15, 58, 63, Fontana, Carlo, 94, 94n, 159n Gallo, Antonio, 36, 36n, 37, 37n, 38, 39,
Beccadelli), 183n, 184 Fontana, Domenico, 6, 13, 86, 88, 88n, 40n, 41, 46
della Torre di Rezzonico, Antongiosef- Errard, Charles, 35n, 36, 36n 89, 89n, 90, 91, 94, 103, 104, 104n, 105 Galluzzi, Paolo, 4, 9n, 11, 11n, 14n, 15n, 16,
fo, 118, 118n Escrivá, Pedro Luis, 83, 100, 100n, 101 Fontana, Giovanni, 89 16n, 19, 19n, 25n, 47n
della Torre di Rezzonico, Carlo Casto- Esposito, Rosanna, 104n, 106n Fontana, Giulio Cesare, 89, 103, 103n, Galluzzi, Riguccio, 73
ne, 116n, 118, 151, 174n Euclide, 9, 11, 14, 15, 21, 29n, 47n, 48, 54, 104, 104n Gambardella, Alfonso, 82n, 108n, 109n,
della Torre, Giovanni Maria, 116, 116n 58, 101, 103n, 169, 183, 184, 185 Fontana,Vincenzo, 168 136n, 139n, 157n, 159n, 173n
della Valle, Bartolomeo, 14 Eulero (Leonhard Euler, detto -), 169, Fontani, Francesco, 32, 36n, 74n Gambardella, Raffaello, 158n
della Valle, Guglielmo, 159, 159n, 160, 174n Fontanini, Giusto, 63n Ganay, marchese de -, 36
160n, 162, 162n Eximeno, Antonio, 124, 124n Forest de Bélidor, Bernard, 7, 16, 22, Gandolfi, Ubaldo, 112
della Valva, della -, marchese, 107 Falconetto, Giovanni Maria, 84 22n, 24, 157, 180n Gargallo di Castel Lentini, Tommaso,
delle Piane, Giovanni Maria, 143 Fancelli, Petronio, 112 Formenti, Carlo, 180n 116, 116n
Delli Falconi, Marcantonio, 92 Fantoni, Giovanni, 116n, 118, 124, 124n Fortis, Alberto, 74, 74n, 116 Gargiulo, Onofrio, 116, 116n
Demostene, 119 Fantoni, Pio, 156 Foscari, Giuseppe, 107n Garnier, Charles, 164n
Deramaix, Marc, 161 Fanzago, Cosimo, 104 Foscarini, Marco, doge di Venezia, Garruba, Michele, 151n
Desargues, Girard, Farago, Claire J., 33n, 36n, 42n 160n Garzoni, Tommaso, 10, 10n
Di Biase, Carmine, 111n Farinelli, Leonardo, 71n Foscolo, Ugo, 75, 180 Garzya Romano, Chiara, 151n
Di Biasio, Aldo, 109n, 154n, 158n, 159n Fasano, Angelo, 174n Fossati, Giorgio, 146n Gastaldi, Filippo, 113, 124n, 134, 147, 148,
Di Bonito, Rosario, 91n, 92n Fasulo, Filippo, 110 Foucault, Michel, 180 162
Di Capua, Leonardo, 121, 121n Fava, Bruno, 80n Foullon, Carlo, 114 Gatta, Diego, 76n
di Castiglione, Ruggiero, 115n, 116n, Favaro, Antonio, 17n, 37n, 63, 67, 67n, Francesco di Giorgio Martini, 5, 8, 9, 11, Gatto, Romano, 105n
117n 68, 183n 12, 12n, 13, 13n, 15, 16, 18, 47, 52, 55, 56, 58, Gaurico, Luca, 5, 62, 63, 85, 170, 186
di Costanzo, Angelo, 122n Fea, Carlo, 133n, 136n, 145n, 147, 148, 76, 80, 81, 81n, 82, 82n, 83, 84, 86, 89, 92, Gaurico, Pomponio, 9, 9n, 85, 85n
Di Croce, Alessandra, 133n 162n 94, 94n, 99, 100, 101, 101n, 159, 159n, 160, Gauthey, Emiland, 180n
di Gennaro, Antonio, duca di Belforte, Federico di Montefeltro, duca di Ur- 161, 162, 183n, 187 Gautier, Henry, 157
115, 115n, 117, 120, 124, 139n, 143n, 171n bino, 10, 83 Francesco I di Borbone, re delle Due Gavardi d’Asola, Lelio, 33n, 73
di Gennaro, Domenico, duca di Canta- Federico II Hohenzollern, re di Prussia, Sicilie, 2, 74, 76, 113, 114, 168, 174n, 179 Gaye, Giovanni, 10n
lupo, 115, 115n, 117, 120 120, 149 Francesco I de’ Medici, Granduca di Gazzola, Felice, 139
di Gennaro, famiglia, 118 Fel’ten,Yury, 164n Toscana, 45n Genga, Girolamo, 86n
di Martino, Filippo, 117n Feldhaus, Franz Maria, 11 Francesco I, re di Francia, 14, 18, 25, 26, Genovesi, Antonio, 108, 117n, 119, 120,
Di Mauro, Leonardo, 134n Félibien, André, 146n, 149n 28, 85 121, 121n, 170, 171n, 176
Di Nocera, Ida, 110 Ferdinando I de’ Medici, granduca di Francesco Maria I della Rovere, duca Gentile, Giovanni, 187n
di Palma, Giovan Francesco, 85, 100n Toscana, 34, 73 di Urbino, 101 Gerli, Carlo Giuseppe, 145, 145n
Di Pasquale, Salvatore, 157n, 158n Ferdinando II di Borbone, re delle Due Franchomme, Paola, 7 Gessner, Salomon, 140n
Di Salle, Achille, 109n Sicilie, 179 Francischello (Francesco de Mura, det- Geymuller, Henry, de -, 186
di Sangro, Raimondo, principe di San- Ferdinando IV di Borbone, re di Na- to -), 153n Ghetti, Corinto, 105
severo, 119 poli, poi I delle Due Sicilie, 2, 76n, 106, Franklin, Benjamin, 154, 174n Ghezzi, Giuseppe, 42, 76n
Di Stefano, Roberto, 170n, 176n 107, 107n, 114, 116n, 118, 119, 123n, 125, 136, Franzese, Paolo, 173n Ghiberti, Bonaccorso, 12
Di Teodoro, Francesco Paolo, 64n 142, 143, 150n, 151, 154, 157, 166, 171n, 172 Fréart de Chambray, Roland, 35, 36, Ghiberti, Lorenzo, 20
Diderot, Denis, 22, 86, 86n, 117n, 131n, Fergola, Niccolò, 156n, 170n, 171, 171n, 36n, 72, 97, 98, 149n Ghiretti, Francesco, 60n
180n 172, 174, 174n, 176, 177 Fréart de Chantelou, Paul, 35n, 36, 36n, Ghisetti Giavarina, Adriano, 82n
Diedo, Antonio, 164 Fergola, Salvatore, 179 72, 146 Giacomelli, Raffaele, 31n
Diglio, Carolina, 69n Ferraiolo, Melchiorre, 82 Freron, Elie Catherine, 147, 147n Giancaspro, Mauro, 7
Dillon, Giacomo, 108 Ferrante de’ Medici, 91 Fresne Du Cange, de-, Charles, 86, 86n Giannantonio, Pompeo, 111n, 113n, 114n,
Dionisotti, Carlo, 68n Ferrante I d’Aragona, re di Napoli, 25, 85 Frézier, Amédée François, 131, 147, 149n 122, 122n
Divenuto, Francesco, 167n Ferrante II d’Aragona, re di Napoli, 6, Frisi, Paolo, 109, 147n Giannelli, Basilio, 121n
Domenichino (Domenico Zampieri, 81 Frontino, Sesto Giulio, 12, 13, 15, 88, 94, Giannetti, Anna, 90n, 91n, 100n, 118n
detto il -), 42, 143 Ferraresi,Vincenzo, 173, 173n, 174n 158n Giannone, Onofrio, 153n
Donadio, Giovanni, detto il Morman- Ferrari, Giorgio Emanuele, 86n Fubini, Mario, 123n Giannone, Pietro, 98, 117n, 119, 121, 176
do, 85, 99 Ferrero, Giuseppe Guido, 25n Fuga, Ferdinando, 155, 155n, 173n, 176, Giglio, Raffaele, 116n
Donatelli, Leonardo, 60n Ferri, Luigi, 32n, 187n 177, 179 Gilet, Anne, 165n
Donghi, Daniele, 188n Ficino, Marsilio, 21 Fumagalli, Giuseppe, 63n Gille, Bertrand, 9n, 11, 11n, 13n, 15, 15n,
Doni, Agnolo, 143 Fiengo, Giuseppe, 89n, 103n, 106n, 153n, Fumagalli, Giuseppina, 187n 16, 16n
Doria Roccella, Livia, 123n 154n Fusco Girard, Giovannella, 69n 19n, 20n, 23n, 55n, 187
Doria, Paolo Mattia, 119 Figino, Ambrogio, 33 Fuss, Nicolaus, 174n Gioannetti, Andrea, 124n
Dotoli, Giovanni, 69n Filangieri, Gaetano, 7, 114, 116, 116n, Fusti Castriotto, Jacopo, 86, 86n, 88 Gioannetti, Giuseppe, 124n
Dow, Gerard, 137n 117n, 118-119, 120, 172 Gaetani, Onorato Maria, 138n Giocondo da Verona, Fra – (Giovanni
Dozio, Giovanni Maria, 33n, 36, 36n, Filangieri, Riccardo, 99, 176 Galanti, Giuseppe Maria, 112, 117, 120 Monsignori), 13, 81, 83, 161, 162, 165n
38n, 39, 40, 41, 41n, 42n, 47n, 66n Filarete (Antonio Averlino, detto il Galbiati, Giovanni, 75, 75n, 77n Gioffredo, Mario, 139, 149n, 150, 153, 154,
Du Cange (vedi Fresne Du Cange) -), 29 Galeoto, Mario, 100n 154n,, 155, 158

327
Giordano, Annibale, 156n, 174n Heydenreich, Ludwig H., 29, 30, 30n, Le Camus des Mézières, Nicolas, 139, Maier, Bruno, 123n
Giordano, Giuseppe, 152n 35n, 36n, 186 140, 152 Mainini, Giancarlo, 188n
Giordano, Luca, 98, 142 Heyne, Christian Gottlob, 148 Le Roy, Julien-David, 149n, 180n Maiuri, Antonio, 179
Giorgetti Vichi, Anna Maria, 111n Hittorff, Jakob Ignaz, 180n Lecchi, Giovanni Antonio, 159n Majolo, Ruello, 158n
Giorgio III, re d’Inghilterra, 72, 73 Hochman, M., 33n Ledoux, Claude-Nicolas, 151n, 172, Major, Thomas, 139
Giorgione (Giorgio Gasparini da Ca- Hogarth, William, 141 174n, 175n Malaguzzi Valeri, Francesco, 186
stelfranco, detto -), 142 Holanda, Francisco de -, 84 Leibniz, Gottfried Wilhelm, 158n, 169 Malesci, Luigi, 178, 179
Giovanna II d’Angiò, regina di Napoli, Honnecourt, de-,Villard, 10 Leicester, lord (Thomas Coke), 76n Maltese, Curzio, 159n
162 Hopkins, Andrew, 64n, 91n, 158n Lelli, Ercole, 111, 112, 125, 125n, 126, 127, Malvasia, Carlo Cesare, 127
Giovenale, Decimo Giunio, 116n Houël, Jean-Pierre Louis Laurent, 162, 169 Malvezzi, Floriano, 123n
Girgenti, Paolo, 142, 142n, 143 163n Lenza, Cettina, 139n Mancini, Pasquale Stanislao, 181
Gisolfo, Onofrio Antonio, 103, 103n, Howard, John, 179 Lenzi, Deanna, 125n, 127n, 128 Manfredi, Michele, 124n
104, 104n Hume, David, 141 Leonardi, Giovan Giacomo, 87 Manfredi, Tommaso, 136n
Gisolfo, Orazio, 103n Ignarra, Nicola, 114 Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Mangone, Fabio, 75n, 136n, 173n
Giugno, Francesco, 148, 148n Imperato, Ferrante, 90 Medici), papa, 14, 84, 186 Manlio, Ferdinando (vedi Maglione,
Giulio Romano (Giulio Pippi, detto Imperiali, Giuseppe Renato, cardinale, Leone, Teresa, 95n Ferrante)
-), 166 63n Leoni, Pompeo, 33, 47 Manni, Alessandro, 105
Giura, Luigi, 179, 180 Imperiali,Vincenzo Maria, 116, 116n Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Manni, Paola, 68n
Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, im- Incarnato, Gennaro, 115n Sacro Romano Impero, 125n Manzi, Guglielmo, 27, 31, 32, 32n, 39,
peratore del Sacro Romano Impero, Innocenzo X (Giovanni Battista Pam- Le Prestre de Vauban, Sébastien, 22 40n, 41, 41n, 52, 59n, 77, 79, 86n, 142
171n philj), papa, 34, 35n Lequeu, Jean-Jacques, 175n Manzini, Luigi, 33n
Giustiniani, Lorenzo, 42, 74, 74n, 76n, Intieri, Bartolomeo, 108, 118, 119, 170 Le Rond d’Alembert, Jean Baptiste, Manzo, Elena, 173n
122, 122n Ippocrate di Chio, 61, 186n 5, 22, 23, 86n, 116n, 124, 124n, 131n, 168, Manzoni, Alessandro, 116n, 122
Giustino, Enzo, 7, Ippolito II d’Este, cardinale, 90, 91 180n Mara, Silvio, 71n, 118, 118n
Giusto, Rosa Maria, 125n, 127n, 128n, Irwin, David, 73n Lessing, Gotthold Ephraim, 75, 148 Marani, Pietro C., 14, 14n, 42n
130n, 137n, 176n Isella, Dante, 123n Letarouilly, Paul-Marie, 180n Maratta, Carlo, 98
Gjörwell, Carl Christof, 154n Isocrate, 119 Lhuilier, Simon-Antoine-Jean, 177 Marchese, Luigi, 104
Goethe, Johann Wolfgang, 76, 77, 77n, Iuliano, Marco, 87n Liberatore, Raffaele, 115, 115n, 118 Marchesi da Settignano, Antonio, 5, 81,
98, 139, 142, 142n Jacazzi, Danila, 82n Libri Carucci della Sommaja, Gugliel- 82, 83, 84, 99
Govi, Gilberto, 32, 32n, 38n, 41n, 63n, Jamorini, Giuseppe, 112n mo, 42n, 45, 45n, 59n, 79, 80n, 181 Marchionni, Carlo, 130, 166, 166n, 176
181, 183n Jaoul, Francesco, 180n Ligny, conte di- (Luigi di Lussembur- Marcolongo, Roberto, 25, 25n, 30n, 54n,
Gramatica, Luigi, 34, 35n, 36n, 37, 37n, Jombert, Charles Antoine, 149n go), 14 59, 59n, 60, 60n, 61, 61n, 62, 63, 67, 182,
38n, 40n, 47n Jones, Inigo, 127 Ligorio, Pirro, 91 182n, 183, 183n, 184, 184n, 185, 185n, 186,
Grandi, Guido, 176 Jones, Owen, 180n Lipparini, Giovanni, 112n 186n, 187, 187n
Grasso, Bartolomeo, 178, 179 Jordan, Max, 32, 32n, 36n, 76n, 181 Lippiello, Maria, 155n, 156n, 157, 157n Marconi, Nicoletta, 158n
Gravagnuolo, Benedetto, 95n, 150n, 153n Juvarra, Filippo, 146, 147n Litta, famiglia, 111, 160 Marconi, Paolo, 130, 130n
Gravier, Giovanni, 122n Kamenskaja, Tatjana Davydovna, 35n Livio, Tito Andronico, Marcuccio, Roberto, 79
Gravina, Gian Vincenzo, 119, 121, 121n, Kant, Immanuel, 141 Lo Gatto, Ettore, 164n, 165n Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, re-
161 Kaufmann, Emil, 24n, 175n Lo Vasco, Agata, 76n gina di Napoli, 114, 115, 122, 123n, 125,
Gravina (vedi Orsini di Gravina) Keele, Kenneth D., 19n Locatelli, Carlo, 77n 171n, 172
Graziani, Ercole, 112 Keplero, Giovanni, 54 Locke, John, 117n, 138 Maria Clementina d’Asburgo-Lorena,
Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni), Kieven, Elisabeth, 139n Lodoli, Carlo, 127, 134, 134n, 145n, 146, 114
papa, 91, 128n Kjučarianc, Giulietta, 163n 147, 149, 149n, 150, 151 Maria Luisa di Borbone, principessa,
Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), Klenze, von -, Leo, 164n Lomazzo, Giovan Paolo, 27, 27n, 30, 114
papa, 128n Klotz, Christian Adolf, 148 146n, 186 Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice
Grimaldi, Francesco, 42, 94 Koršunova, Milica Filippovna, 163n Lombardini, Elia, 63, 63n d’Austria, 168
Grimaldi, Francesco Antonio, 173n Krelin, Julij, 164n Lopez Vario (o Varrio), Francisco, 104n Mariano di Iacopo, detto il Taccola, 9,
Grimm, von -, Friedrich Melchior, 165 Kristeller, Paul Oskar, 43n Lorenzetti, Costanza, 136n 11, 12, 12n, 13, 13n, 16, 52, 55, 56, 92, 94,
Grimm, German Germanovich, 163n Kruft, Hanno-Walter, 85n, 131n, 141n, Lorini, Buonaiuto, 20, 21, 56, 94n 94n, 101
Grippa, Giuseppe, 156n 143, 143n, 149 Lossky, Boris, 163n Mariátegui, Eduardo, 101, 101n
Grizzuti, Maria Rosaria, 7, 43n Kyeser, Konrad, 56 Lucano, Marco Anneo, 56, 141 Mariette, Pierre-Jean, 40n, 139, 144, 149,
Grossi, Giambattista Gennaro, 142n, La Hire, Philippe de -, 155n Lucchese, Giuseppe, 105 149n, 159, 159n
152n, 157n, 173n La Vega, Francesco, 136, 136n, 152n Luchese, Matteo, 144n Marin, Brigitte, 43n, 143n
Grunenberg, Carlos de -, 104 Labrouste, Pierre-François-Henri, 175 Lucianelli, Serena, 7 Marini, Gaetano, 77, 78, 78n
Gualdo, Paolo, 87n Lagrange, Joseph-Louis, 7, 158, 177, Ludovico il Moro (vedi Sforza, Ludo- Marino, Bianca Gioia, 155n
Guarini, Guarino, 146, 147n 180n vico) Marino, Giambattista, 141
Guercino (Giovanni Francesco Barbie- Lalande, Joseph-Jérôme Lefrançais de Ludwig, Heinrich, 29, 32n, 36n, 41n, Marinoni, Augusto, 4, 20n, 32n, 46n,
ri, detto il -), 142 -, 118, 154 42n, 181 48n, 58n, 61, 61n, 62, 62n, 67, 67n, 68n,
Guercio,Vincenzo, 113n, 163n Lamberti, Vincenzo, 7, 109, 149n, 150, Luigi XII, re di Francia, 14 77, 77n, 182n
Guerra, Camillo, 188, 188n 152, 153, 153n, 154, 154n, 155, 155n, 156, Luigi XIV, re di Francia, 98 Marliani, Giovanni, 15
Guerra, Guido, 155n 156n, 157, 158, 158n, 171, 171n, 176, 178 Luini, Bernardino, 142n, 143 Marsico,Vincenzo, 7
Guerrieri, Guerriera, 76n Lambertini, Giovanni, 123n Lumbroso, Giacomo, 34n, 35n Marsili, Luigi Ferdinando, 125, 125n, 126,
Guerriero, Luigi, 106n Lambertini, Lucrezia, 123n Lusieri, Gian Battista, 134, 134n 126n
Guglielmelli, Arcangelo, 155n Lanteri, Giacomo, 86, 86n, 99 Machiavelli, Niccolò, 88, 120, 121 Martello, Pietro, 40n
Guglielmini, Domenico, 159n Lapazzaja, Giorgio, 150, 155n Maderno, Carlo, 89 Martinelli,Vincenzo, 112n
Guidi, Francesco Maria, 114n Laperuta, Leopoldo, 178 Maffei, Scipione, 146 Martonucci, Ernesto, 173n
Guido da Vigevano, 15 La Rue, Jean-Baptiste de -, 180n Maggi, Girolamo, 86n, 88 Martullo Arpago, Maria Antonietta,
Hackert, Georg, 143 Laschke, Birgit, 161 Maglione, Ferrante (o Manlio, Ferdi- 175n
Hackert, Jacob Philipp, 134, 142, 142n, Lauberg, Carlo, 116n, 156n, 172 nando), 6, 102, 103 Marulli,Vincenzo, 151n
143n Laugier, Marc-Antoine, 146, 147, 147n, Magnani, Antonio, 114, 114n, 124n, 144, Marziano, Minneo Felice Capella, 123n
Hager, Hellmut, 159n 149, 149n, 150, 151, 152, 173n, 174n 144n Marzucco, Giuseppe, 109, 155
Hamilton, Gavin, 73, 73n Laurana, Luciano, 10 Magnocavalli, famiglia, 134n Masaccio (Tommaso di ser Giovanni di
Hamilton, William Douglas, 73, 73n, 74, Laviano, Antonio, marchese del Tito, Magnocavalli, Francesco Ottavio, 136n Mone Cassai, detto -), 137n
113, 122, 142, 143, 170 153n Mai, Angelo, 111n Mascheroni, Lorenzo, 155n
Hart, Ivor Blashka, 184, 184n Lazzeri, Gerolamo, 124n Maiano, da -, Benedetto, 85 Masi, Girolamo, 116n, 156n
Heussner, antiquario, Le Brun, Charles, 36n Maiano, da -, Giuliano, 81, 83, 85, 99, 160 Masoni, Udalrigo, 180n

328
Massafra, Angelo, 115n Montemiletto, principe di – (Carlo Orsini, Domenico, duca di Gravina, Perrault, Claude, 131, 136, 146, 147n,
Massimiliano I d’Asburgo, 87 Tocco Cantelmo Stuart), 75 cardinale, 113, 113n 149n, 152, 164
Massimo, Camillo, cardinale, 39, 41n Montemiletto, principessa di – (Ippoli- Orsini, duchi di Gravina, famiglia, 113, 153 Perrenot, Antonio, cardinale di
Masuccio Salernitano (Tommaso ta Tocco Cantelmo Stuart), 117 Orsini, Filippo Bernualdo, duca di Gra- Granvelle, viceré di Napoli, 101
Guardati, detto -), 69 Monterey, conte di – (vedi Zùniga y vina, 114, 114n Perronet, Jean-Rodolphe, 23, 108,
Matacena, Gennaro, 151n, 172 Fonseca) Orsini, Pier Francesco, duca di Gravi- 108n, 180n
Mattei, Saverio, 116, 116n, 119, 171, 171n, Montesquieu (Charles-Louis de Se- na, 91 Perrotti, Niccolò, 68
172 condat, barone de La Brède et de -), Orsini, Stefano, 111n, 124, 136, 162 Perugino (Pietro di Cristoforo Vannuc-
Matteucci, Anna Maria, 125n, 130n, 164n 116n, 119 Orsini,Virginio, duca di Gravina, 81 ci, detto il -), 137n
Maurolico, Francesco, 59 Monti, Gennaro Maria, 85n Ossuna (o Osuna), conte di – (vedi Peruzzi, Baldassarre, 35n, 166
Mazenta, Giovanni Ambrogio, 32n, 33, Monti, Giovan Giacomo, 124n Téllez-Girón, Pedro) Pesci, Prospero, 112n
33n, 34, 35, 35n, 36n, 37, 38n, 44, 47n, 67 Montignani, Francesco, 113n, 114, 124n, Ostuni, Nicola, 100n Pesenti, Maria Chiara, 163n
Mazzarella Farao, Francesco, 114n 131 Ottino, Giuseppe, 63n Pessolano, Maria Raffaela, 86n, 100,
Mazzarino (o Mazarino), Giulio Rai- Morachiello, Paolo, 11n, 13n, 17, 17n, Pacca, Bartolomeo, cardinale, 116n 100n, 101, 101n, 102n
mondo, cardinale, 34 18, 21, 21n, 22n, 23n, 24n, 175n Paciaudi, Paolo Maria, 71n, 113n, 116 Petrovskij, Boris, 164n
Mazzeo, Guido Ettore, 76n Morandi, Luigi, 76n Pacioli, Luca, 5, 15, 27, 47, 47n, 48, 48n, Pevsner, Nikolaus, 32, 32n
Mazzi, Giuliana, 10, 10n, 87n, 188n Mordente, Fabrizio, 87, 87n 49, 54, 59, 60, 61, 61n, 62, 80, 85, 146, 184, Pezone, Maria Gabriella, 108n, 109n,
Mazzucchelli, Giammaria, 122n, 124 Mordente, Gasparo, 87, 87n 185, 186 136n, 154n, 158n, 159n, 174n
Mc Mahon, Phipip, 29, 30, 30n, 35n, 36n Morei, Michele Giuseppe, 111n Padelletti, Dino, 181, 181n Piazzi, Giuseppe, 172, 174n
Medrano, Giovan Antonio, 104n, 109 Morelli di Gregorio, Nicola, 124n, 152n, Padiglione, Carlo, 158n Pica, Agnoldomenico, 186
Medici, de’ -, Lorenzo, detto il Magni- 155n Padula, Fortunato, 177, 178n, 179, 180n, Picchiatti, Bartolomeo, 6, 89, 103, 103n,
fico, 76n Morelli, Domenico, 182 181 104, 104n, 105
Medici, de’ -, Giuliano, 186, 186n Morelli, Jacopo, 28n Pagano, Francesco Mario, 115, 117, 117n, Picchiatti, Francesco Antonio, 103n,
Melani, Margherita, 7, 71n Moreni, Domenico, 162n 119, 120, 156n, 172, 173n 104, 104n
Melisurgo, Guglielmo, 179 Morghen, Guglielmo, 77, 143 Paisiello, Giovanni, 166 Piccolomini d’Aragona, Alfonso, 85n
Melzi, Francesco, 4, 18, 20, 25, 26, 26n, Mori, Giovan Battista, 136n Palladio (Andrea di Pietro della Gon- Piccolomini, Alessandro, marchese di
27, 28, 28n, 29, 29n, 30, 31, 31n, 32, 33, Mormando (vedi Donadio, Giovanni) dola, detto -), 127, 135n, 136n, 140n, 146, Deliceto, 85n
33n, 34n, 41n, 43, 48, 50, 52, 53, 57, 58, 67, Mormanno, Andrea, 102 147n, 150n, 153, 159, 159n, 162, 163, 164, Piccolomini, Alfonso II, duca di Amalfi
78n, 85, 186 Mormone, Raffaele, 90n 164n, 166 e conte di Celano, 85, 85n
Melzi, Giovanni Battista, 115n, 116n, 123n Morolli, Gabriele, 112n Pallavicini, Gian Girolamo, 123n Piccolomini, Costanza, duchessa di
Melzi, Orazio, 33, 33n, 73 Morra, principessa di – (Giovanna di Pane, Roberto, 81n, 82n, 85 Amalfi, 85
Memmo, Andrea, 133n, 145, 145n, 146, Gennaro, duchessa di Belforte), 117 Panini, Giovanni Paolo, 163n Piccolomini, famiglia, duchi di Amalfi,
147, 149, 149n, 157, 157n Morris, Robert, 152, 173n Panvini, Pasquale, 124n 6
Mendia, Ambrogio, 179, 179n, 180n Motta, Emilio, 77n Paoli, Paolantonio, 139, 139n, 145n, 148 Piccolomini, Innico, duca di Amalfi e
Mengs, Anton Raphael, 75, 112, 127n, Murat Bonaparte, Carolina, 76n Paolo I Petrovič Romanov, imperatore conte di Celano, 28, 85, 85n, 87
131, 132, 133, 133n, 134, 136, 136n, 137, 137n, Murat, Gioacchino, 2, 76n, 175, 177, 179 di Russia, 164, 164n Piella, Paolo Ignazio, 123n
138, 138n, 139, 141, 142, 144, 146, 150, 152n, Murr, Christophor Theophile de -, Paolo I, papa, 13n Pierantoni, Amalia Clelia, 27, 28n, 29,
163, 165 146n Paolo Uccello (Paolo di Dono, detto 32n, 97n, 181n
Menna, Giovanni, 151n Mussini, Massimo, 159n -), 142 Piero della Francesca, 29, 47, 48, 80n,
Meola, Gian Vincenzo, 114, 114n, 124, Napoleone (vedi Bonaparte, Napoleone) Papa, Gennaro, 155n 134, 147n
124n Napoli Signorelli, Pietro, 87n, 98, 117, Paradisi, Agostino, 123n Piero di Barto Martello, 27
Mertens, Dieter, 139n 117n, 122, 152n, 154, 154n, 155n, 157n, Paráfan Enríquez de Ribera (vedi Afán -) Pietro I il Grande, imperatore di Rus-
Metastasio (Pietro Trapassi), 116n, 117, 158, 158n, 168, 168n, 170, 170n, 171n, Pareto, Raffaele, 163n sia, 163, 164n
124n 172, 174 Parini, Giuseppe, 7, 75, 111, 111n, 124 Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena,
Mezzanotte, Gianni, 163n Natale, Luca Antonio, 104 Parisi, Giuseppe, 107, 110, 157n granduca di Toscana, 113, 143, 143n, 150n
Micara, Ludovico, cardinale, 116n Natali, Giulio, 111n, 116n, 123, 123n, 133n Parmigianino (Girolamo Francesco Pigafetta, Antonio, 185
Michelangelo (vedi Buonarroti) Nauclerio, Giovan Battista, 104, 105 Maria Mazzola, detto il -), 142 Pignatelli, Antonio, principe di Bel-
Middleton, Robert, 164n, 166n Nauclerio, Luigi, 104 Parrino, Domenico Antonio, 95, 97, monte, 173n, 174n
Mignot, Jean, 1, 10 Navier, Claude-Louis, 22, 22n, 24, 159, 97n, 122n Pignatelli, Domenico, principe di Bel-
Milanesi, Gaetano, 32, 59, 59n 180n Parrino, Niccolò, 95, 97 monte,
Milizia, Francesco, 98, 111n, 130, 133n, Neelov,Vasilij, 166 Pascal, Blaise, 158n Pignatelli, Faustina, principessa di Co-
134, 134n, 136, 136n, 140, 144, 144n, Nemorario, Giordano, 9, 15, 18, 59, 183, Pascoli, Lione, 147n lubrano, 154
145n, 146, 149, 149n, 150, 150n, 151, 183n Pasquali, Susanna, 133n, 136n, 139, 139n, Pignatelli, Giovanni, principe di Mon-
151n, 154, 159n, 165n, 166, 167, 173n, Newton, Isaac, 59, 125n, 158n, 168, 169, 145, 145n, 149n, 157n teroduni, 157, 157n
174n, 178, 188 185 Pasqualoni, Pietro, 166, 166n, 172, 172n Pigonati, Andrea, 109, 109n
Miltenov, Petrana, 163n Nicodemi, Giorgio, 75, 77n Pastor, Ludwig, 25, 25n Piljavskij,Vladimir Ivanovic, 163n
Minieri Riccio, Camillo, 117n, 122n, Nicomaco di Gerasa, Patrizi, Francesco, 88 Pimentel d’Herrera, Juan Alfonso, con-
172n Nifo, Agostino, 88 Patte, Pierre, 146, 147, 147n, 151, 173n, te di Benavente,viceré di Napoli, 91,
Minozzi, Flaminio, 112 Nigrone, Giovanni Antonio, 6, 7, 12, 86, 174n, 175 106n
Miola, Alfonso, 42, 42n, 43n, 63n, 75n, 89, 90, 90n, 91, 91n, 92, 92n, 93, 94, 94n, Pavesi, Mario, 33n, 34n, 35n, 39n Pimentel Fonseca, Eleonora, 114n, 115
79 95, 96, 97 Pecchia, Carlo, 172 Pindemonte, Ippolito, 7, 111, 113, 115n,
Miranda, conte di - (vedi Zùniga, Gio- Nigrone, Tommaso, 91, 92 Pecis, Giuseppe, 63n 116n, 118, 165n, 180
vanni de -) Nollet, Jean Antoine, 154 Pedretti, Carlo, 4, 7, 20n, 26n, 27, Pinelli, Giovan Vincenzo, 6, 32, 85, 87,
Missirini, Melchiorre, 176n Nunziata, Anna, 114n 28n, 29, 29n, 30, 30n, 31n, 32n, 33, 33n, 87n
Moccia, Francesco Domenico, 189n Oberty, Luigi, 180 36n, 38n, 39n, 40, 40n, 41n, 42, 42n, Pingeron, Jean-Claude, 74
Moccia, Giovanni Simone, 91 Odescalchi, Baldassarre, 136 43, 43n, 44, 45, 45n, 48n, 50, 51n, 52n, Pio II (Enea Sivio Piccolomini), papa,
Mollo, Gaspare, 86n, 116 Olschki, Alessandro, 90n, 92n 55n, 58, 59n, 63n, 70n, 72, 74n, 75n, 76, 85n
Mollo, Giuseppe, 86n, 87n, 88n Oltrocchi, Baldassarre, 65, 72, 72n, 144n 76n, 77, 77n, 78n, 79n, 85, 85n, 128, Pio VI (Giovanni Braschi), papa, 166n
Moltó Dominguez, Adolfo, 76n Orazio, Quinto Flacco, 116n, 133n 143, 181 Pio VII (Niccolò Maria Luigi Chiaro-
Mommsen, Theodor, 181 Orestano, Francesco, 187n Pedrini, Filippo, 112n monti), papa, 116n
Monaldini, Giuseppe Antonio, 111n Oretti, Marcello, 127, 127n Pélerin, Jean, 48 Piò, Domenico, 112
Monge, Gaspard, 7, 23, 134, 158, 170, 177, Orlandi, Giuseppe, 155, 170 Pelgnalver, Nicola, 124n Piranesi, Francesco, 136
177n, 180n Orlandi, Pellegrino Antonio, 76n Pelli Bencivenni, Giuseppe, 116n Piranesi, Giovanni Battista, 127n, 139,
Montagu, Jennifer, 42n Orloff, Grégoire, 119, 119n Pelliccia, Alessio Aurelio, 102n 163n, 164
Montaiglon, Anatole de -, 149n Orsini, Domenico, duca di Gravina, 113, Percier, Charles, 180n Piretto, Gian Piero, 163n
Montella, Pompeo, 162 113n, 160, 160n, 168 Pericle, 140n Piroli, Tommaso, 136n

329
Piromalli, Antonio, 124n Revett, Nicholas, 180n Sanvitali, Federico, 174n Stanley, George, 143n
Pitagora, 21 Rezzonico, Abbondio, 116, 165, 165n Sanzio, Raffaello, 85n, 131, 132, 135n, 136, Starace, Francesco, 86n, 99n, 100n, 101n,
Piumati, Giovanni, 182 Ricci, Giuliana, 125n 137, 137n, 138n, 140, 140n, 142, 143n, 144, 103n
Planelli, Antonio, 116, 116n Ricciardo, Francesco, 97 144n,146n, 147n, 150n, 162, 165 Stay, Benedetto, 124, 124n
Platone, 10, 15, 18, 21 Riccò, Arabella, 111n Sarconi, Michele, 172, 172n, 173n Stazio, Publio Papinio, 161
Plinio il Giovane (Gaio Plinio Cecilio Riche de Prony, Gaspard, 23, 23n, 24, Savioli, Ludovico, 112n Steele,Valerie, 95n
Secondo, detto -), 161 159, 180n Savasorda (Abraham ben Hiyya, detto Steinitz (vedi Trauman Steinitz)
Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo, Richter, Jean Paul, 29, 29n, 36n, 181 -), 48n Stendhal (Marie-Henri Beyle, detto -),
detto -), 135n Rinaldi, Antonio, 163, 163n Savorgnan, Lucrezia, 123n 75
Poleni, Giovanni, 114n, 146, 155n, 165n, Rivolta, Adolfo, 32n Sbarbi, Pietro, 109 Stigliola, Colantonio, 89n, 103, 103n,
167n, 170, 170n, 176n Rizzi Zannoni, Giovanni Antonio, Scaglia, Giustina, 159n 104, 105
Poli, Giuseppe Saverio, 107, 114, 116, 118n, 143, 143n, 170 Scala, Giovan Tommaso, 6, 88, 101n, 103, Stigliola, Domenico, 105n
174n Robert, Hubert, 163n 103n Stile, Ignazio, 108, 173, 173n
Polibio, 88 Robotti, Ciro, 86n, 87n Scamozzi, Vincenzo, 10n, 94, 125n, 146, Strazzullo, Franco, 89n, 98, 99n, 101n,
Policleto, 111n, 126n Roccella, principe di – (vedi Carafa, 147n, 149n, 159, 160, 160n 102n, 103, 103n, 104n, 105n, 106n, 107n,
Polidoro da Caravaggio, 142 Vincenzo) Schiantarelli, Pompeo, 167, 167n, 172, 109n, 130n, 150n, 155n, 157n
Pollio, Carlo, 108n, 109, 155, 158n Rocco, Benedetto, 153n 173, 174n, 179 Strina, Ferdinando, 114
Pollio, Giuseppe, 106, 109, 109n Rodolfo II d’Asburgo, 87 Schnaase, Carl, 183 Strobino, Giovanni, 185
Polonceau, Antoine-Rémy, 180n Rollin, Charles, 125 Schuster, Fritz, 182, 182n Stuart, James, 149n, 180n
Pomodoro, Giovanni, 103n Ronca, Maria Grazia, 94n, 131n Sciarretta, Antonio, 105 Sulpicio da Veroli, 13
Pontano, Giovanni, 85, 122n, 160, 162 Ronchi,Vasco, 54, 54n Sciarretta, Francesco, 105 Sulzer, Johan Georg, 141, 146, 148, 149,
Pontelli, Baccio, 81, 83 Rondelet, Jean-Baptiste, 175, 180n Scolari, Massimo, 48, 48n 150
Porpora, Giovan Battista, 104, 104n Rosaspina, Francesco, 74n, 115n, 124n, Sconza, Anna, 32n, 33n, 34n Summerson, John, 164n
Porporati, Carlo Antonio, 142, 142n, 143 143, 143n Scotti, Angelo Antonio, 76n Summonte, Pietro, 99
Porta, Carlo, 75 Rosini, Carlo Maria, 80, 124n Scotti, Aurora, 136n Susanna, Tommaso, 107
Portoghesi, Paolo, 89n, 128n Rosselli, Francesco, 51 Selva, Giannantonio, 164 Svetonio, Gaio Tranquillo, 166
Porzio, Camillo, 122n Rossellino, Bernardo, 12n Semper, Gottfried, 164n Tabarrini, Marco, 29, 181
Porzio, Simone, 92 Röttgen, Steffi, 136n Senatore Caprara, Francesco, 123n Taccola (vedi Mariano di Iacopo, detto
Posi, Paolo, 163 Rousseau, Jean-Jacques, 116n, 117n, 124, Serao, Francesco, 154 il -)
Poulet, Pietro Antonio, 109 124n, 139, 146n Seraux d’Agincourt, Jean-Baptiste, 145, Taddei, Carlo Antonio, 73, 111n, 124n
Poussin, Nicolas, 4, 33, 33n, 35, 35n, 36n, Rovetta, Alessandro, 33n 145n, 146, 180n Tadolini, Adamo, 127n
39, 40, 42, 42n, 43, 72, 95n, 97, 98, 137n, Rubens, Pieter Paul, 143n Serassi, Pier Antonio, 111, 111n, 112n, Tafuri, Manfredo, 82n
138, 138n, 176 Rubino, Gregorio E., 173n, 174n 165n, 166 Tailhie, Jacques, 123n, 125
Pozzi, Stefano, 136, 163 Ruffo, Vincenzo, 7, 139, 150, 150n, 151, Seriman, Zaccaria, 149n Taleporovskij, Vladimir Nikolaevic,
Pozzo, Andrea, 147n 151n, 152, 152n, 174n, 176 Serio, Luigi, 116, 116n, 119, 172 163n
Prestinomi, Giuseppe, 36n Rulli, Bernardino, 173 Seripando, Antonio, 25 Tanucci, Bernardo, 116n, 119, 136, 171n
Preti, Girolamo, 141 Ruscelli, Girolamo, 103n Serlio, Sebastiano, 10n, 28, 36n, 87, 125n, Tarallo, Giuseppe, 108
Preti, Ludovico, 124, 124n Russo, Andrea, 60n 135n, 136, 149n, 161, 163, 169 Tarsia, principe di -, 154
Preziado, Francesco, 176 Russo, Giuseppe, 99n, 103n, 104n, 107, Serra di Cassano, duchi, 6, 120 Tartaglia, Niccolò, 21, 86, 94n, 101, 170,
Primaticcio, Francesco, 142 169n, 179n Serra Luigi, duca di Cassano, 42, 75, 77, 183n
Principe, Ilario, 173n, 174n Russo, Maria, 106n 78n, 79n, 95, 142 Tassi, Francesco, 67
Promis, Carlo, 100, 100n, 159, 159n, 160, Rzepinska, Maria, 52n Serra Gennaro, duca di Cassano, 115 Tasso, Torquato, 111n, 165n
160n Sabatelli, Felice, 155, 170n Sesoni, Francesco, 97 Tassoni, Alessandro, 78, 78n
Prony, de - (vedi Riche de Prony) Saccenti, Mario, 111n Severin, Dante, 163n Tassoni, Giulio Cesare, 75
Pugin, Augustus Welby Northmore, Saladini, Carlo M., 173n Severini, Giancarlo, 86n Telese, Raffaella, 75n, 136n, 173n
180n Saladini, Girolamo, 107, 154, 168, 168n, Sforza, famiglia, 13, 56, 185 Téllez-Girón, Pedro, conte di Ossuna
Puglia, Ilaria, 85n 171n, 174n Sforza, Francesco, 14, 77n (o Osuna), viceré di Napoli, 103
Pugno, Giuseppe Maria, 63n Salai, Andrea (soprannome di Gian G. Sforza, Gian Galeazzo, 85n Temanza,Tommaso, 144, 144n, 146, 146n,
Quarenghi, Giacomo, 72, 73, 73n, 78, Caprotti), 25, 25n, 26n Sforza, Ludovico, detto il Moro, 14, 15, 147n, 163, 164, 164n, 165n, 166n, 167n
112, 112n, 130, 136, 159, 162, 162n, 163, Salatino, Piero, 7, 27, 47, 64, 65, 78n, 185 Tenore, Michele, 174n
163n, 164, 164n, 165, 165n, 166, 166n, 167, Saliceti, Natale, 124n Sganzin, Joseph Mathieu, 134 Terrosi, Gian Paolo, 162
167n, 168 Salvator Rosa, 140n Sica, Paolo, 163n Tesi, Mauro, 112, 127
Quarenghi, Giulio, 163n Sambuca, marchese della - (vedi Becca- Sicuro, Francesco, 152n Testi, Carlo Giuseppe, 162
Quatremère de Quincy, Antoine delli, Giuseppe) Simoncini, Giorgio, 174n Teyssot, George, 24n, 175n
Chrysostome, 174n Sanchez de Luna, Errico, 108 Sirri, Raffaele, 117n, 119n, 120, 120n, Theti, Carlo, 6, 20, 21, 23, 86, 86n, 87,
Raffaelli, Giacomo, 75 Sánchez-Gijón, Antonio, 100n 121n, 122, 122n 87n, 88, 101
Raffaello (vedi Sanzio) Sandrini, Arturo, 87n Sisto V (Felice Peretti), papa, 6, 85n, 88, Thevenot, Jean de -, 72
Rambelli, Faustolo, 90n, 92n Sanfelice, Ferdinando, 95, 105, 139, 159n 89, 91, 91n Thieme, Ulrich, 173n
Rameau, Jean-Philippe, 124, 124n Sanfelice, Luigia, 115 Sola Cabiati, famiglia, 36 Thomas de Thomon, Jean-François,
Ramelli, Agostino, 20, 21, 56 Sangallo, da-, Antonio, detto il Giovane, Solimena, Francesco, 95, 98, 142, 153n 166
Ranieri de’ Calzabigi, Simone France- 14, 84, 94, 100, 101n Solinas, Francesco, 34n, 35 Tiberi, Giuseppe, 117n
sco Maria, 116, 116n Sangallo, da-, Giuliano, 83, 161, 187 Solmi, Edmondo, 26n, 62, 67, 182, 184, Ticozzi, Stefano, 149n, 173n
Rascaglia, Maria, 7, 43n, 73n, 74, 80n, Sanmicheli, Michele, 87 185 Timpanaro, Sebastiano, 59, 59n
111, 124n, 131n, 144n, 148n Sannazaro, Jacopo, 118, 160, 161, 161n Soria, Francesco Antonio, 121, 122, 139, Tiraboschi, Girolamo, 87n, 117, 124
Raspi Serra, Joselita, 139n Sansevero, principe di – (vedi di San- 139n, 150, 158, 158n Tirone,Vincenzo, 108
Rastrelli, Francesco Bartolomeo, 163, gro, Raimondo) Soufflot, Jacques-Germain, 175 Tito, Flavio Vespasiano, imperatore ro-
164n, 165, 166 Sansovino (Andrea di Niccolò di Men- Spallanzani, Lazzaro, 79 mano, 135n, 137n
Ravaisson-Mollien, Charles, 32n, 74n, co di Muccio, detto il -), 186 Spampani, Giovanni Battista, 146n Tiziano (vedi Vecellio)
181, 182 Sansovino (Jacopo Tatti, detto il -), 146, Sparti, Donatella Livia, 33n, 34, 34n Toledo, Pedro de - (vedi Alvarez de To-
Regio, Paolo, 91 147n Specchi, Alessandro, 94n ledo)
Regoliosi, Mariangela, Sant’Agostino (Agostino di Ippona), Speckle, Daniel, 87 Toleto, Pietro Antonio, 92
Reiffenstein, Johann Friedrich, 165 140 Sperandio, Francesco Paolo, 111n Tolomeo, Claudio, 54, 168
Reni, Guido, 138n, 142 Santacroce, Antonio, 123n Spina, Giulio, 91n Tommaso di Catania, 102n
Resta, Sebastiano, 51n Santacroce, Paolo, 173n Spinelli di Belmonte, Anna, 117 Torricelli, Evangelista, 64, 158n
Reti, Ladislao, 19, 19n Santafede, Fabrizio, 153n Spinosa, Nicola, 134n Torrini, Maurizio, 181n
Reuleaux, Franz, 19 Sanuto, Marino, 81, 81n, 83 Spirito, Fabrizia, 134n Tortelli, Benvenuto, 6, 99, 101, 101n, 103

330
Toscanelli, Paolo, 14 Valmont de Bomare, Jacques-Chris- Vernacotola, Claudia, 111n Voltaire (François-Marie Arouet), 111n,
Toul (o Tullo), Giovanni de -, 99 tophe, 69n Verri, Pietro, 120 116n, 121, 127, 151, 154, 173n
Traiano, Marco Ulpio Nerva, impera- Valturio, Roberto, 13, 13n, 14, 56, 69, Verrocchio (Andrea del -), 14, 15, 185 Watkin, David, 164n, 166n
tore romano, 137n 88, 101 Vespino (Andrea Bianchi, detto il -), Werner, Otto, 183, 183n
Trauman Steinitz, Kate, 27, 27n, 29, 32n, Vanvitelli, Luigi, 7, 98, 105, 107, 108n, 130, 142n Wheatstone, Charles, 182
35, 35n, 36n, 38n, 39n, 40n, 41n, 42n, 43, 130n, 139n, 151, 153, 153n, 154, 155, 157n, Vetri, Paolo, 182, 182n Wiebeking, Carl Friedrich, 180n
43n, 44, 44n, 45n, 72, 77n, 79n, 95n, 97n, 158, 158n, 163, 170, 170n, 175, 176, 177 Vetromile, Casimiro, 105, 106 Winckelmann, Johann Joachim, 98, 112,
142, 142n Vanvitelli, Urbano, 130 Vezzosi, Alessandro, 4, 42n, 43, 43n, 67n, 126, 127n, 130, 133, 136, 136n, 137, 139, 142,
Travaglione, Agnese, 76n Varignon, Pierre, 59 70n, 75, 76n, 77n, 84n, 95n, 128n 144, 145n, 146, 147, 148, 165
Trichet Du Fresne, Raphaël, 17n, 33n, Vasari, Giorgio, 13, 13n, 25n, 26n, 28n, 31, Vico, Gennaro, 174n Winspeare, Antonio, 136n, 152n
35, 35n, 36n, 40n, 45, 78n, 95n, 97, 144 32, 35, 59, 67, 68, 69n, 70, 70n, 71, 86n, Vico, Giambattista, 21, 108, 114n, 119, 120, Wittkower, Rudolf, 42n, 162n
Trivulzio, Gian Giacomo, 77 130, 146, 146n, 147n, 149, 153, 159n 121n, 169 Wolff, Christian, 158
Troja, Carlo, 172 Vasoli, Cesare, 9n, 20n Vignola (Jacopo Barozzi, detto il -), Zaccagna, Lorenzo Alessandro, 35n
Trombelli, Giovanni Crisostomo, 160 Vauban, de - (vedi Le Prestre de Vau- 10n, 22, 32, 125n, 146, 146n, 147n, 150 Zacchiroli, Francesco, 72, 73, 113, 113n,
Trudi, Nicola, 177, 181 ban) Villard de Honnecourt, 10, 15 116, 116n, 118, 120, 124n
Tucci, Francesco Paolo, 134, 177, 177n, Vecce, Carlo, 4, 7, 20, 20n, 26, 26n, 27, Villari, Sergio, 134n, 136n, 152n Zaccolini, Matteo, 39, 39n, 42, 42n, 94
178n, 180n 29n, 32, 32n, 33n, 36, 48n, 67, 69, 161, 161n Vinci, Gaspare, 134, 177 Zaggia, Stefano, 22n,
Turchetti, Maria Francesca, 115n Vecchione, Bartolomeo, 105 Viola, Francesco, 188n Zammattio, Carlo, 57, 63n
Uccelli, Arturo, 31n, 57, 58, 58n, 185 Vecchione, Luca, 105, 106 Viollet-le-Duc, Eugène Emmanuel, Zampieri, Camillo, 123n
Ugo,Vittorio, 147n Vecellio, Tiziano, 137, 138n, 142, 150n 175, 180n Zanchi, Giovanni Battista, 88
Unterberger, Christiph, 165 Vegezio (Publio Flavio Vegezio Rena- Virgilio, Publio Marone, 113, 115n, 123, Zanella,Vanni, 133n, 162n, 163n, 165, 167,
Urbano VIII (Maffeo Barberini), papa, to), 12, 13, 15, 88, 101 136n, 140, 141, 161 168
32, 34, 35, 71 Velten, Jurij, 165 Vitale, Augusto, 181n Zanetti, Girolamo, 149n
Uzielli, Gustavo, 25, 27n, 32, 32n, 33n, Venditti, Arnaldo, 152n Vitellione, 54, 60 Zannoni, Giovanni Antonio,
36n, 38n, 40n, 41n, 63n, 76n, 181, 182 Venini, Francesco, 44 Vitruvio, Marco Pollione, 10, 11, 13, 15, Zanotti, Eustachio, 128, 162, 162n
Vaccaro, Andrea, 142 Venturi, Franco, 120, 120n, 173n 18, 47, 62, 81, 85n, 94, 101, 106, 112n, 125n, Zanotti, Francesco Maria, 111n, 146n, 154
Vaccaro, Domenico Antonio, 95 Venturi, Giovan Battista, 32, 43, 44, 45, 127, 130, 131, 131n, 134, 134n, 135n, 136, 141, Zanotti, Giovan Pietro, 113n, 123n, 124,
Vairo, Giuseppe Melchiorre, 116, 116n, 45n, 47n, 48, 52, 53n, 54n, 56, 58, 59, 59n, 141n, 146n, 147, 149n, 150n, 152, 157, 158n, 124n, 125, 125n, 147n
118, 139, 139n, 171, 171n, 174, 174n 63n, 66, 75n, 76n, 78, 78n, 79, 79n, 80, 167n, 176, 178, 185 Zenone di Elea, 157
Valcárel, Carmen, 76n, 114n 80n, 184, 185 Vittone, Bernardo, 130, 147n, 152 Zoccoli, Carlo, 109, 158, 159n
Valensise, Francesca, 172 Venturi, Lionello, 137, 137n Vivenzio, Felice, 116n Zonca,Vittorio, 20, 56
Valeriani, Enrico, 130n Venturoli, Angelo, 112n, 127n Vivenzio, Giovanni, 173, 173n, 174n Zuccari, Federico, 32, 74, 74n
Valerio,Vladimirio, 51n, 143, 143n, 170n Verde, Paola Carla, 88n, 89n, 104n Vogli, Giuseppe, 124n Zucconi, Guido, 188n
Valéry, Paul, 20n Verga, Ettore, 32n, 47, 47n, 58n, 63n, 72n, Vogli, Marcantonio, 124n Zùniga, Giovanni de -, conte di Miran-
Valla, Giorgio, 14, 61, 68, 184 74n, 75n, 76n, 77n, 78n, 80n, 95n, 182, Voiello, Giuliana, 146n, 159n da, viceré di Napoli, 89, 103
Vallin de la Mothe, Jean-Baptiste, 182n, 183, 184, 184n, 185, 185n Volpato, Giovanni, 165, 165n Zùniga y Fonseca, Manuel de -, conte
164n, 165 Verin, Helen, 175n Volpicella, Scipione, 25n, 90n di Monterey, viceré di Napoli, 106n

331
ALFREDO BUCCARO
Alfredo Buccaro è professore di Storia dell’Architettura presso la Quest’opera, con la prestigiosa presentazione di Carlo Pedretti, è de-

LEONARDO Il Codice Corazza


Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II e diret- dicata al Codice Corazza, apografo vinciano della Biblioteca Nazio-
tore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della nale di Napoli edito per la prima volta in questa occasione. Il Codice
Città Europea, fondato da Cesare de Seta. È inoltre docente presso nasce da un’imponente iniziativa culturale di Cassiano dal Pozzo,
corsi di master e di perfezionamento dello stesso Ateneo e collabora eseguita entro il 1640 per il cardinale Francesco Barberini e finalizzata
con centri di ricerca nazionali e internazionali. È impegnato sui alla redazione di una silloge antologica degli originali ambrosiani.

LEONARDO
temi della storia dell’architettura e dell’iconografia della città in età Grazie ad una precisa ricognizione documentaria – condotta attra-
moderna e contemporanea, nonché della storia dell’ingegneria, con verso le fonti della sezione Manoscritti e Rari della Biblioteca na-
particolare riferimento alle origini e all’evoluzione della professione poletana, di quella dell’Archiginnasio di Bologna e di altri archivi
nel Mezzogiorno italiano. italiani – Buccaro segue l’intricata vicenda del manoscritto, che nel
Tra i numerosi saggi, ha pubblicato Istituzioni e trasformazioni urbane

DA VINCI
1766 giunge in possesso di Vincenzo Corazza, letterato e scienziato
nella Napoli dell’Ottocento (Ediz. Scientifiche Italiane, 1985), Opere bolognese, attivo prima nella propria città, poi a Roma e infine a
pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario (Electa Napoli, Napoli, presso la Corte borbonica, dal 1784 al 1799 in qualità di
1992), Napoli millenovecento. Dai catasti del XIX secolo ad oggi (con istitutore dei Principi Reali.
G.C. Alisio, Electa N., 2000), Antonio Rinaldi architetto vanvitelliano All’esame degli appassionati studi dedicati a Leonardo da quest’in-
a San Pietroburgo (con G. Kjučarianc e P. Miltenov, Mondadori, tellettuale illuminista e dei conseguenti riflessi sul suo pensiero
2003), Architettura e urbanistica dell’età borbonica. Le opere dello Stato, i IL CODICE CORAZZA critico in campo artistico e architettonico, si affianca nel volume
luoghi dell’industria (con G. Matacena, Electa N., 2004). Ha curato, l’indagine sulla vicenda personale di Corazza e sulle fitte relazio-
tra gli altri studi, Le città nella storia d’Italia. Potenza (Ed. Laterza,
1997), Scienziati-Artisti. Formazione e ruolo degli ingegneri nelle fonti
NELLA BIBLIOTECA NAZIONALE ni con i protagonisti del dibattito culturale e politico del tempo.
Partendo dalla precisa analisi del Codice e dalla sua collocazio-
dell’Archivio di Stato e della Facoltà di Ingegneria di Napoli (con F. De
Mattia, Electa N., 2003), Dalla Scuola di Applicazione alla Facoltà
DI NAPOLI ne nel repertorio delle fonti leonardesche, Buccaro recupera le fila
dell’influenza del metodo vinciano nella formazione dell’identità
di Ingegneria. La cultura napoletana nell’evoluzione della scienza e della professionale dello scienziato-artista e della sua diffusione nel Mez-
didattica del costruire (con S. D’Agostino, Ed. Hevelius, 2003), Ico- zogiorno dal viceregno all’età borbonica.
nografia delle città in Campania (con C. de Seta, 2 voll., Electa N., Gli echi dell’arte e della scienza vinciana, giunti sui lidi partenopei
2006-2008), I centri storici della provincia di Napoli. Struttura, forma, TOMO II già all’alba del Cinquecento, non vi resteranno per caso, ma il loro
identità urbana (con C. de Seta, Ediz. Scientifiche Italiane, 2009). prosperare sarà il risultato di un pensiero condiviso: nel corso dei
Facsimile secoli dell’età moderna e contemporanea essi costituiranno un feno-
meno persistente, fino ad ispirare le scelte e i programmi culturali
della Scuola d’Ingegneria fondata a Napoli da Murat nel 1811, la pri-
ma in Italia in ambito civile. Questa gloriosa istituzione, della quale
ricorre oggi il Bicentenario, rappresenta con la sua storia e i suoi
primati un prezioso patrimonio didattico e scientifico da tutelare e
Il Codice Corazza, edito qui per la prima volta

B uccaro •
valorizzare, una solida tradizione ancor viva, fino ai primi decenni
del Novecento, nell’attività artistica e tecnica dell’ingegnere-architetto:
con la prestigiosa presentazione di Carlo Pedretti, una figura completa, di cui oggi, sempre più, si auspica un recupero.
nasce da un’imponente iniziativa culturale
di Cassiano dal Pozzo (1588-1657), eseguita entro
il 1640 per il cardinale Francesco Barberini
come silloge antologica degli scritti di Leonardo, allora
integri presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano

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NELLA BIBLIOTECA
NAZIONALE DI NAPOLI
CON LA RIPRODUZIONE
IN FACSIMILE
DEL MS XII. D. 79

TO MO I I

FACSIMILE

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Introduzione
finito di stampare
nel mese
di dicembre MMXi
per conto di
cb edizioni

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ESI

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