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L’ambiguo mito della “città ideale” costituisce uno dei temi più affascinanti
e suggestivi di tutto il Rinascimento, che si manifesta attraverso una molte-
plicità di astratte elaborazioni urbanistiche e solenni rappresentazioni pit-
toriche, nonché in pochi episodi concreti, assai diversi tra loro, ma tutti ac-
comunati dall’istanza di dover manifestare il prestigio del signore locale at-
traverso un’opera assolutamente moderna benché legittimata dall’autorità
dell’antico, in una parola: umanistica.
Nel corso di tutto il Quattrocento, infatti, gli architetti e i vari studiosi in-
traprendono una costante e quasi frenetica attività di confronto tra il De ar-
chitectura di Vitruvio e i superstiti edifici romani (o presunti tali), adottan-
do un rinnovato rigore filologico che si traduce in una vera e propria “rina-
scita” della classicità.
Allo stesso tempo, la scoperta delle regole scientifiche della prospettiva fa-
vorisce la presa di coscienza della strada come “veduta” e della piazza come
entità, sviluppando una nuova figuratività in cui i volumi architettonici so-
no pensati come elementi di misura dello spazio prospettico che contribui-
scono a definire.
Lo stesso sistema classico degli ordini architettonici è utilizzato per visua-
lizzare gli schemi matematici per il proporzionamento degli edifici che,
estendendosi a tutto il contesto circostante, definiscono un luogo urbano
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Ortogonalità e radiocentrismo
Il conflitto tra le diverse interpretazioni del testo vitruviano accompagna il di-
battito teorico sulla città per tutto il Quattrocento e quando, nel secolo suc-
cessivo, si consolida l’involuzione autoritaria nella conduzione politica, gli ar-
chitetti tendono a interpretare il trattatista latino alla luce delle nuove esigen-
ze derivanti dai progressi nel campo della tecnologia militare, sviluppando nu-
merosi progetti in cui la “città ideale” tende paradossalmente a coincidere con
la città fortificata realmente costruita e ad assumere, quasi esclusivamente, la
tipologia stellare. Nei primi trattati, invece, si moltiplicano tutte le possibili
varianti planimetriche sempre in bilico tra esegesi rigorosa e il tentativo di
rettificare gli sgraditi angoli irregolari che, inevitabilmente, si formano a ri-
dosso delle mura (nel caso di una maglia stradale ortogonale), o addirittura
in tutto il tessuto urbano (nel caso di strade a raggiera), fino agli esiti più ma-
turi in cui i quartieri saturano solo la parte centrale del perimetro urbano,
lasciando un pomerio più o meno esteso a raccordare i contrapposti sistemi
e Filarete, Pianta
di Sforzinda, in
Trattato di architettura,
1461-1464, Firenze,
Biblioteca Nazionale
Centrale, cod.
Magliabechiano,
f. 47r.
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Dentro il capolavoro
Scuola italiana
La città ideale (Tavola di Urbino)
1480-1490, Urbino,
Galleria Nazionale
delle Marche.
La composizione è
dominata dal grande Le facciate dei palazzi
edificio centrale a pianta sono movimentate da ordini
circolare con copertura architettonici sovrapposti,
conica, ornato da un mentre il primo a destra
doppio ordine di presenta anche una ortodossa
semicolonne corinzie concatenazione di semicolonne
e inquadrato trabeate che inquadrano
tra due ali di palazzi. pilastri centinati.
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natello, Paolo Uccello, e a Piero della Francesca (a sua volta autore del De pro-
spectiva pingendi, 1490 circa): la prospettiva centrale. Come nelle tre Tavole ur-
binati, nella Flagellazione e nell’Annunciazione di Piero, o nei noti pannelli li-
gnei intarsiati, le case e le figure poggiano su di un saldo reticolo prospetti-
co, che scandisce la terza dimensione definendo una vera e propria “volume-
tria del vuoto” in cui l’aria stessa sembra assumere peso.
L’intervento sulla piazza è completato con l’invito a cardinali e maggiorenti a
edificare a Pienza le loro dimore, con la realizzazione di un ospedale, di un al-
bergo, di dodici nuove case a schiera (destinate agli sfrattati degli edifici de-
moliti, che recentemente sembrano essere state identificate nella periferia
nord-orientale), e infine la piazza del mercato, quasi un centro commerciale
alle spalle di quello direzionale costruito intorno alla piazza rosselliniana.
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f Luciano Laurana e
Francesco di Giorgio
Martini, Palazzo
Ducale, cortile
d’Onore,
1465-1477, Urbino.
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Mentre all’interno del palazzo si discute sulla forma che deve assumere una
“città ideale”, sulla prospettiva, sull’eredità storica e morale degli “uomini il-
lustri”, l’edificio si sviluppa intorno al suo nucleo gotico in forme moderne
con il concorso di numerosi architetti, coordinati dallo stesso duca sulla scor-
ta delle istruzioni di Alberti. Gli edifici si articolano in una struttura archi-
tettonica, urbana e paesaggistica che costituisce una vera opera d’arte collet-
tiva, così complessa, unica e straordinaria che non sarebbe stata possibile se
non si fossero incontrati qui, per un periodo felicemente lungo, architetti, ar-
tisti, letterati e intellettuali umanisti.
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a quello più intimo e organico della città vecchia, alla quale, però, appare ma-
gistralmente connesso mediante raccordi del tracciato stradale e accorgi-
menti planimetrici felicissimi, quasi come se la zona rinascimentale fosse un
naturale sviluppo di quella precedente senza soluzione di continuità, seppur
con una netta diversità di impostazione.
La concreta erezione degli edifici lungo la maglia stradale così definita, peral-
tro, è rinviata al momento in cui l’incremento demografico lo avesse richie-
sto, separando di fatto la realizzazione degli assi stradali da quella del tessuto
edilizio; un metodo molto simile, quindi, a quello degli attuali piani urbani-
stici, che ha fatto di Ferrara “la prima città moderna europea” secondo la de-
finizione di Bruno Zevi.
L’eccezione leonardesca
Mentre i suoi contemporanei si cimentano in un’organizzazione dello spa-
zio urbano secondo rigorosi schemi geometrici dal contenuto intellettuali-
stico, Leonardo da Vinci concepisce la sua “città ideale” in base a un’inequi-
vocabile istanza funzionalista, incentrata sulla separazione dei tipi di traffi-
co e su attente disposizioni igienico-sanitarie, la cui motivazione deriva ve-
rosimilmente dalla terribile pestilenza che, tra il 1484 e l’anno successivo,
ridusse di circa un terzo la popolazione milanese.
e Castello Estense,
XIV-XVI secolo,
Ferrara.
f Palazzo Schifanoia,
XIV-XV secolo,
Ferrara.
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