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STUDI DI STORIA DELLE ESPLORAZIONI

MISCELLANEA DI STORIA
DELLE ESPLORAZIONI
III

BOZZI EDITORE/ GENOVA

PREMESSA

Anche questo terzo volume miscellaneo, come i due precedent!, raccoglie, accanto a contributi di colleghi, quali gli amici De Negri, Saccone
e Zavatti, i lavori di un gruppo di giovani allievi, i quali,nonostante le
sconfortanti prospettive di una sempre piii lontana e nebulosa possibilita di inserimento nell'ambito universitario e I'altrettanto scoraggiante
insensibilita dimostrata, sia in sede locale, sia in sede nazionale, nei confronti dei programmi da noi proposti, da enti o istituzioni che finanziano I'attivita di ricerca, hanno accettato con lodevole entusiasmo di
collaborare alle iniziative che avevo loro suggerito, come dimostra anche la nostra partecipazione al III Convegno Internazionale di Studi
Colombiani (Genova. 7 - 8 ottobre 1977). dnve abbiamo fyresentato le
seguenti comunicazioni: A. BARAGONA, 11 " Dizionario storico geografico deU'America meridionale" diGiandomenico Coleti;L. FERRUZZI COPPA, "L'Ammiraslio delle Indie" di Alvise Querini; S. FOSSATI
RAITERI, "Breve relacion de los Indios de Chile" (sec. XVIII): S. FRINO ZANOVELLO, Su un serto di sonetti in onore di Cristoforo Colombo; M. PERROTTA, "II Mondo Nuovo" di Giovanni Giorgini; F. SURDICH, L'America nelle "Memorie intomo alle missioni" di Niccolb
Forteguerri.
Un' altra serie di ricerche, relative alia storia dell'esplorazione dei territori polari, e stata invece, prima suggerita e seguita, e poi gentilmente, come sempre, ospitata nella rivista II Polo dall'amico Silvio Zavatti: G. ROSSO, Visita al villaggio eschimese di Kotzebue (Alaska), in
II Polo. XXXIII, pp. 6 - 8: IDEM. Nota sul "Diario" inedito di Umberto
Cagni. Ibidem. XXXIII, pp. 56 - 58; V. PRAT. Felice Pedroni. il fondatore di Fairbanks (1858 - 1910). Ibidem. XXXIII, pp. 9-10; A. GHIONE REPETTO, La carta del viaggio di Francesco Negri (1663 - 1666).
Ibidem. XXXIII, pp. 21 - 25.
Francesco Surdich
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FRANCESCO SURDICH
RIFLESSIONI SUL LOGOCENTRISMO DELLA
CULTURA "OCCIDENTALE"

La storia del mondo occidentale si presenta come una storia di diverse forme di colonizzazione: la donna^^-^^ il povero, il pazzo, il criminale, I'handicappato, il minoritario a qualunque titolo, I'ignorante,
I'infedele, I'eretico e, naturalmente, ogni razza, ogni etnia, ogni cultura ritenuta diversa e quindi automaticamente inferiore, sono stati
fatti oggetto di una feroce ed illimitata azione di asservimento e di conquista, che ha assunto e continua tuttora ad assumere connotati repressivi differenti, secondo gli aspetti specifici e le nuove espressioni fatte
propria di volta in volta dal capitalism.
In questi ultimi secoli in particolare la storia dell'umanita si e manifestata in primo luogo come la storia dell'espansione del mondo occidentale che si e lanciato su tutti i popoli in ondate successive di violenza,
di cupidigia e di oppressione, coinvolgendo e riordinando il mondo intero secondo piani ed in conformita ad interessi propri delle popolazioni europee: ogni popolo e persino ogni individuo, dovunque fosse nato e vissuto, e stato raggiunto ed inserito nell'ordinamento europeo
e negli "ideali" da esso ispirati \i di uomini, differenziati dalle
loro lingue e culture autonome, ognuno dotato di una sua particolare visione del mondo e di un peculiare corpo di usanze e valori, sono stati
costretti in un unico sistema economico e violentemente uniformati nei
loro modi di essere e di vivere: senza integrarsi in nuovi moduli essi si
sono limitati a perdere la loro autenticita, affondando in forme cultural! spurie. Sottomessi ad identici procedimenti di deculturazione, ingaggiati in uguali sistemi di produzione, secondo forme stereotipe di
dominio, tutti i popoli raggiunti da un simile processo sono impoveriti culturalmente, cadendo in condizioni dilaganti di estrema miseria e
disumanizzazione, che sono diventati il denominatore comune dello
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uomo extraeuropeo.
Per ottenere tutto cio I'azione politica e militare, lo sfruttamento economico e I'etnocidio sono stati preceduti e sostenuti, e continuano ad
esserlo, da una capillare attivita di convincimento e di giustificazione,
fondata sulla dimostrabilita teoretica delle scienze esatte e sulle analisi persuasive ed accattivjuiti delle scienze umane. I tentativi di asservimento e I'utilizzazione abusiva della scienza hanno prevalso pertanto
sotto tutti i regimi: la sedicente neutrality, obiettivita e spersonalizzazione della scienza e sempre apparsa null'altro che una commedia,
non solo contraddetta dai fatti, ma assurda perfino nella sua definizione.
Ciononostante le elucubrazioni metodologiche, gli incitamenti ed i
proclami in questo senso non si sono mai attenuati. Per limitarci alio
ambito della ricerca storica, che ci interessa piii direttamente, sara
il caso di soffermarci, a questo proposito, su un recente significativo
intervento di uno degli esponenti piu quotati dell'attuale medievalistica italiana, Mario Del Treppu \, dopo aver opportunisticamente affermato che non esiste bersaglio piu facile dell'obiettivita e che nessun storico oggi potrebbe seriamente pensare di ricostruire le cose
COSI come sono andate (p. 227), e dopo aver sostenuto che noi studiamo sempre di nuovo il passato perfino, fra gli altri motivi, per utilizzarlo nell'azione pratica con cui costruiamo il nostro futuro (p. 229),
preoccupato daUa, per lui, sempre piu dilagante intimidazione intellettuadistica e dal ricatto dell' "impegno" che molti hanno ormai esercitato sull'umana curiosita e sull'amore per il passato (p.228) e dalla
prevaricazione piu o meno violenta esercitata su di esso in nome della contemporaneita (p. 232), per "esorcizzare" questi pericoli tende
a riproporre e ad auspicare, nelle sue affermazioni conclusive, un approccio al passato ancora una volta di tipo sostanzialmente distaccaio,
neutrale ed obiettivo, sia pure attraverso una mistificazione formale
che cerca di far apparire la sua proposta qualcosa di diverso da tutto
cio. Egli parla, infatti, di "conoscenza differenziale", che pone una
distanza, ossia una differenza, tra I'oggetto e I'osservatore, in quanto
per lui "la conoscenza del passato, la conoscenza storica, non e certamente assoluta, valida una volta per sempre, ma non e neanche semplicemente relativa al punto di osservazione, peggio se scelto arbitrariamente" (p. 229): sono affermazioni che si commentano da sole e
nelle quali I'awerbio finale ("arbitrariamente") rivela I'arroganza intellettuale tipicamente logocentrica di chi si sente depositario della
"verita", e quindi anche dei meccanismi piCi corretti per coglierla ed interpretarla, per cui puo stabilire per esempio cosa sia arbitrario o meno.
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e rivela pure la contradditorieta di chi, polemizzando con atteggiamenti di tipo soggettivo, introduce ed utilizza, tuttavia, un criterio di valutazione altrettanto soggettivo.
"Insistere su questa direzione della conoscenza storica che guarda alio
oggetto continua percio Del Treppo e epistemologicamente corretto, e aggiungero moralmente doveroso, quando i pericoli che si celano nel polo soggettivo sono piu insidiosi ed imminenti di quelli che potrebbero insorgere da un'accentuazione dell'aspetto oggettivo e documentario di essa; ed oggi lo sono. Storici, dobbiamo vigilare perche
la liberta della memoria non resti domani solo privilegio dei poeti"
(p. 229): anche il tono da proclamae da crociata di questo passo, nonche il richiamo categorico ad un dovere morale impellente ci appaiono
elementi tipici e caratteristici di chi si sente, sempre nel suo logocentrismo, investito da una missione salvifica, dalla quale sembrano dipendere, come sempre in questi casi, le sorti della "civilta". E le pagine conclusive dell'articolo di Del Treppo riprendono e ribadiscono, accentuando la dose ed il tono polemico, questa impostazione dal sapore tipicamente messianico, con curiose e discutibili (perche fin troppo
facilmente reversibili) accuse, rafforzate, per essere piu efficaci, dal richiamo ad alcuni dei "mostp sacri" della cultura europea (Burckhardt
e Kant), di "manipolazione ideologica"a quanti hanno praticato e continuano a praticare forme di approccio al passato di taglio decisamente
antitetico e con finalita del tutto opposte: "Anche nelle scienze umane
e nella storiografia, egli scrive di fronte alia manipolazione ideologica, solo il rigore della scienza pud assicurare la liberta e la soprawivenza della ricerca, impedire in tutto la profezia del Burckhardt: "voi
tutti non sapete ancora (...) quale tirannia si esercitera sopra lo spirito,
con il pretesto che la cultura sia un'alleata segreta del capitale, che deve
essere eliminato".
Dire sono ancora parole di Del Treppo che la storia non puo non
essere ideologica perche altrimenti essa perde ogni sua fecondita, dire che la storia disimpegnata scade ad erudita, per giunta ignara che anche dietro la filologia e all'erudizione cosi come dietro alia presunta neutralita della scienza c'e I'ideologia (solo che si tratterebbe di
una ideologia reazionaria) e frutto d'una confusione, da troppo tempo
alimentata, intomo alia natura dell' "impegno": troppi richiami ad esso
suonano falsi e capziosi quando presuppongono, o addirittura vengono
esphcitamente fatti in nome della onnicomprensivita della politica.
L'esigenza di obiettivita e diversita che emerge forte e insopprimibile
nel lavoro storiografico, come in ogni altro lavoro di carattere scientifico, non si propone oggi di restaurare nessuna ontologia del dato ester11

no, vero, certo, immutabile, essa e la tensione stessa che dall'intemo


anima quel lavoro[ il corsivo e nostro e tende a sottolineare, come nel
precedente caso della "conoscenza differenziale" il ricorso a formule
apparentemente neutre od oggettive, ma che, per la loro astrazione
ed indeterminatezza, sono poi in effetti riconducibili nella prassi e
soprattutto nei risultati che producono e non potrebbe in nessun
modo essere diversamente a ben precise scelte ed impostazioni
ideologiche j e si pone come sua norma morale. Di tale natura, e solo
di tale natura, e I'impegno dello storico; per lui I'impostazione kantiana potrebbe suonare cosi: opera in modo da trattare la storia sempre
come fine e mai come mezzo". Con buona pace, naturalmente, aggiungiamo noi, di tutte quelle realta sociali e cultural! che hanno subito e
continuano a subire (come vedremo anche nel corso di questo articolo) i "vantaggi" dell'applicazione in campo politico ed economico di
una storiografia che si e autoproclamata la sola veramente capace di
trattare la storia sempre come fine e mai come mezzo, in quanto sicura di saper sempre sollecitare le "tension!" giuste ed i"valori" autentici!
In realta un "ideale di progresso"
(I'equivalente di quelle "tensioni" e di quelle "norme moral!" alle quali fa riferimento Del Treppo)
sempre volutamente astratto ed impreciso, in quanto non mai ben definite nei suoi rapporti con la struttura economica e sociale e col suo
determinarsi storicamente, ha tante volte autorizzato e promosso
il massacro fisico e cultural^
dal momento che la cultura bianca
ha sistematicamente fondato la sua identita sul principio di appropriazione ed assimilazione, esteso, per analogia, dalle persone agli animal!,
alia terra e a tutto cio che essa spontaneamente racchiude e puo offrire: I'Umanita occidentale ha sempre teso ad includere in se il mondo,
ponendosi sommariamente come il suo generatore. Questa cultura ha
infatti concepito e sostenuto I'idea di un diritto che poggia la sua
autonta sulla presunta superiorita dell'uomo sugli altri elementi naturcili, siano essi animali, mineral! o piante, superiorita garantita da una
vera e propria gerarchia posta per legge divina, che, sulla base di una
speciosa e manicheistica distinzione di spirito e materia, ha attribuito
all'uomo una posizione immediatamente successiva alia divinita.
Una volta accettata questa gerarchia, I'uomo veniva a trovarsi in una posizione decisamente privilegiata: superiore per legge e per tradizione
storica ai suoi troppo eterei compagni di viaggio, avrebbe potuto appropriarsene a suo piacimento e passare a buon diritto dalla appropriazione dei prim! strumenti a queUa degli animali, della terra e dei
mezzJ di produzione. 11 contrasto con gli altri uomini sarebbe stato
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risolto in base al metro di una superiorita spirituale e religiosa, applicando il quale sarebbe stata attribuita una facolta assimilatrice ai
discendenti della vera religione ed ai portatori della civilta improntata a tali principi.
La civilta bianca, che, in base a questi meccanismi, arrivo percio a
considerare e a teorizzare se stessa e le proprie elaborazioni come vera
ed unica forma di umanita, non pote di conseguenza non attribuire
caratteri di persistente animalita (^^^ed arretratezza a quanti, uomini
o culture ,avevano elaborate trasformazioni differenti ed autonome,
giustificandone al tempo stesso la negazione e la sostituzione con i valori e le categorie proprie del mondo occidentale.
Questi valori e queste categorie chiaramente operanti gia nel mondo
classico e medievale, ampiamente diffuse ed utilizzate poi all'epoca
delle grand! scoperte geografiche, costituirono il punto di riferimento
anche per quanti, nel corso del XVII e XVIII secolo, diedero vita e consistenza al mito del "buon selvaggio", che pote apparire e fu per molto
tempo considerate come una forma di ingenua esaltazione del "primitivo", ma rappresento invece un ulteriore tipo di approccio strumentale (^)-e logecentrico nei confronti delle popolazioni non europee,
nella misura in cui I'elogie dei costumi esotici rispose molto spesso a
precis! motiv! di penetrazione commerciale e di espansione religiosa
e risulto sempre dialetticamente connesse con un giudizio negative sulla civilta occidentale, posta anche in queste caso a base di ogni forma
di valutaziene: "e sole attraverso la propria cultura che I'Europa percepisce la realta del mondo selvaggio, che in se stessa gli resta estraneo e inaccessibile" ha giustamente esservato Michele Duchet, riferendosi aUa cultura europea del Settecente
Ma queste forme apparentemente ambigue in realta riconducibili pure esse al solito schema di fondo di interpretazione delle culture
"diverse" avrebbero lasciato il pesto, alia fine del XVIII secolo, ad una
impostazione tendente a porre nuevamente il "selvaggio" al di la e al
di fueri di ogni "ragionevole" dimensione storica e culturale, il tutto in
logica e funzionale cennessiene con I'emergere, sulla spinta di ima nascente rivoluzione industriede, di una nuova e piu agguerrita forma
di colonialisme: partendo dall'equazione civilta uguale lavoro, intesa
nel sense di produzione commerciale differenziata in vista del profitto individuale, la civilta venne identificata, in maniera sempre piu esclusiva, con I'Occidente industriale e si venne elaborando e definendo una
tipolegia delle secieta in fimziene del loro liveUe tecnologico.
U risultate fu, ancora una volta, quelle di incrementare la tradizionale immagine del selvaggio barbaro e primitive, legittimandene ampia13

mente lo sfruttamento e lo sterminio, in nome dei "sacrosanti" principi di civilta e di progresso: si sviluppo cosi, sia pure in forme ancora rozze ed approssimative, I'etnologia come disciplina coloniale, strumento ormai necessario per accompagnare e sorreggere la costituzione dei grandi imperi, agevolando in varii modi la trasformazione delle
culture "diverse" in culture "subalteme"e favorendo la negazione di
ogni eterogeneita nella totalita del mondo occidentale.
II Tylor formulo, ad esempio, leggi generali, con pretese di universalita, in base alle quali si poteva stabilire una vera e propria gerarchia etnocentrica delle civilta, per cui cio che appariva diverso dalla
civilta occidentale veniva definite, al di la di ogni dubbio, di livello
inferiore e primitive: mentre le scezzese Lang sestenne che il monoteismo era la forma religiosa piii elementare e genuina, in sostanza la
vera religione, al centrarie dell'animisme, dell'animatismo e del peliteismo, definiti, invece, degenerazioni fantasiose ed irrazionali.
Ma, nella misura in cui aumentarene le conoscenze etnografiche e miglioro man mane il loro livello qualitative, in alcuni studiesi comincio a farsi strada I'idea che questo materiale fosse treppo impertante
per esser usato unicamente al fine di sostenere idee preconcette sui popoli primitivi e su presunte fasi antiche della societa umana. Apparve
infatti sempre piu evidente che queste vasto complesso di informazioni etnografiche poteva essere vantaggiesamente utilizzate con scepi
pratici e di immediata applicazione: gli amministrateri celeniali e i
missienari si resere cento che la lore attivita sarebbe stata facilitata dalla comprensione delle istituzioni sociali e culturali delle popolazioni con
le quali erane a centatte; per cui non fu del tutto casuale il fatte che
alcune fra le prime monografie sulle secieta "primitive" siano state redatte proprio da missionari e funzionari amministrativi in servizio attivo.
"Lo studio della vita selvaggia scriveva rantrepologo Lubbock
ha un'impertanza tutta particolare per nei ingfesi, cittadini di una grande impere che pessiede, in tutte le parti del mondo, delle colonie
i cui abitanti indigeni presentano tutti i liveUi di civilizzaziene: abbiamo studiato le popolazioni delle terre basse come nessun conquistatere aveva mai studiato o comprese una razza conquistata. Noi conosciame la lore storia, le loro abitudini, anche i loro pregiudizi; questa
intima conoscenza ci fomisce la base di quelle indicazieni politiche,
che, sette il titolo di accertezza amministrativa, di riferma in tempo
utile, soddisfano I'opinione pubblica" (^0).
Scriveva a sua volta Cameron, I'ispiratere deU' "indirect rule" in Africa Orientale (1920): "I'antropolegia e divenuta una parte essenziale
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del bagaglio intellettuale degli amministrateri a quasi tutti i livelli dei


servizi coloniali africani. Gli amministrateri lecali possone far molto
per inceraggiare e promuovere tali studi, e bi spera che sara possibile
aumentare e miglierare la preparaziene antrepolegica che e stata
awiata in questi ultimi anni, con la nemina di funzionari qualificati
a posti amministrativi" ^^ ^ )
Di fatte, fra il 1920 ed il 1930, numeresi funzionari divennero membri del Royal Anthropological Institute ed a colore che dimestravano
di interessarsi a questa nuova disciplina, I'amministrazione cemincio
ad accerdare particelari facilitazioni materiali e finanziarie.
In ossequie a questi stessi principi, nel 1915, Clozel, govematore, alle
inizie del secolo, dell'Africa occidentale francese, creava il comitate
di studi storici e scientifici d'Africa occidentale francese e chiedeva
ai suoi cellaborateri di fargli cenoscere in mode estremamente minuzioso e dettagliate i sistemi giuridici sudanesi: "voi dovete egli precisava nell'esercizio delle vestre attribuzioni giudiziarie, studiare con
la massima attenziene i casi d'applicazione dei costumi indigeni. In queste obiettivo, comparate fra loro gli usi che, se variano al prime celpo
d'ecchio nei lore dettagh, nondimene devene presentare, ad un esame
attento, dei punti comuni che permettone di determinare un carattere generale. Vi dedicherete percio a raggrupparli metodicamente, a fermularli con precisione, a dare lore la chiarezza che troppo spesso manca loro. I lavori serviranne piii tardi alia redazione di un codice generale dei costumi che diverra la regola dei tribunali indigeni in materia civUe" (12).
Dopo I'iniziale fase di conquista e di occupazione, le esigenze del colonialisme apparivane ormai condizienate piii dalla soluzione di contingenti preblemi di tipo organizzativo che dalla ricerca di ulteriori legittimazieni storiche della rapina coloniale. Nasceva cosi rantropelogia
sociale '-^^K espressiene anch'essa, sia pure in forme diverse e rinnevate, della discriminazione etnocentrica nei confront! del selvaggio, in
quanto tendeva a negare alle secieta "primitive" una dimensione storica di sviluppo, individuando ed analizzando i fatti social! senza tener
cento del lore ordine nel tempo, per cui la stuttura sociale veniva considerata in quanto generatrice di sistemi che si perpetuane da se stessi.
L'azione discriminante dell'etnelegia, eltre che sul piano strettamente
sociologice, trove nuovi elementi teeretici attingendo anche alle discipline psicoanalitiche e psicologiche piii in generale: in tal mode
I'espulsiene del "selvj^glo" dal consesso degli uomini "civili" si fece
piu sottile e persuasiva, passando dalle superate motivazieni, pittore-

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sche e ingenue, dei viaggiatori del Settecento e daUe successive elaborazioni storicistiche degli etnologi del XVIII secolo, alle piu suggestive ed aggiornate analisi dello psicologismo degli inizi del nostro secolo,
analisi che, in questi ultimi decenni, si sono andate sempre piu raffinando e perfezionando, dal punto di vista metodologico (^^l Questa
penetrazione della ricerca etnologica in strati e dimensioni piu interne
e segrete e stata in grado di offrire alio sfruttamento coloniale nuovi
e piu efficaci strumenti amministrativi e di repressione. Con I'aiuto
di questi strumenti oggi il piii ^giornato ed efficace metodo di etnocidio si chiama liberazione, cioe assimilazione, integrazione, consenso: e
la maschera piii recente del colonialismo, quella che fa ricorso solo raramente alia tradizionale violenza dei conquistatori, in favore di piii sottili forme di appropriazione, quali il ricatto economico, la persuasione
propagandistica, 0 recupero consumistico.
Per mantenere un dominio stabile e penetrante e perpetuare lo sfruttamento dei gruppi subaltemi, I'impresa capitalistica multinazionale
non si serve piii tanto di mihtari d'occupazione edi missionari, quanto
soprattutto della presenza sul posto di "managers" intraprendenti e
di govemi cosiddetti indipendenti.
L'etnologia o, se si preferisce, I'antropologia, si vengono a trovare cosi
sempre piii spesso al fianco dei funzionari governativi, per facilitame
l'azione repressiva e recuperatrice. A partire dagli anni Cinquanta
abbiamo visto, infatti, diffondersi sempre piii, nell'ambito della ristrutturazione neocolonialistica dei paesi occidentali, la figura dell'antropologo coUaborazionista (1^), che fornisce il suo apporto fattivo
alle operazioni antiguerriglia in Asia ed in Africa, che favorisce il piano di acculturazione forzosa degli ultimi indigeni del Rio delle Amazzoni e dell'Orinoco, che, come prevedeva il progetto statunitense
Camelot(i^) del 1964, studia i paesi del continente latino-americano
per determinare la possibilita di reperire "un modello generale di sistema sociale, che renda possibile prevedere e influenzare aspetti politicamente significativi del cambiamento sociale, nell'ambito dello
sviluppo delle nazioni del mondo''^^'^).
Esiste quindi oggi una maggioranza accademica favorevole all'utilizzazione dell'etnologia e dell'antropologia "applicate" alia realta sociale,
certa che la civilta occidentale sia Tunica in grado di irradiare sul mondo, costretto nella dimensione del sottosviluppo, liberta, umanita,
benessere, ecc. , e che compito degh antropologi sia la difesa e la propaganda di questi valori.
Anche quando non e consapevolmente allineata su tali posizioni colonialistiche, l'etnologia nelle sue forme e teorizzazioni piu recenti non
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riesce a liberarsi di quegli schemi e parametri che essa comporta per definizione e quasi costituzionalmente. La nuova etnologia e infatti
neocoloniale perche i suoi mezzi di lavoro, i suoi modi di svolgimento,
le sue conclusioni, al di la di linguaggi e morfologie differenti e di ogni
apparente obiettivita scientifica, sono ancora improntati alia negazione e all'appropriazione dell'altro.
Avendo sempre associate la negazione dell'altro all'estensione dell'io,
I'espansione occidentale si e perennemente posta come un rapporto
con la totalita e su questo rapporto sono state fondate leggi ed istituzioni, si sono sviluppate le sCienze umane e quelle esatte con un unico risultato: la progressiva inevitabile omogenizzazione delle culture
e la loro assimilazione ad un unico modello culturale, quelle occidentale.
L'etnologia, e Tantropolegia e la sociologia sue cemplici, hanno sostanzialmente assunto come modello di riferimento i parametri del sistema
capitalistico. Alia filosofia deU'esclusiene hanno sostituito quella della partecipazione e deU'integrazione ad ogni costo. Un diritto alia vita che si accerda al "selvaggio" a patto che esso rinunci alia sua identita e diventi come noi: la contraddizione, o meglio, la frode insita
in questa operazione risiede sul fatto che I'altro, private della sua persenalita, muere immediatamente.
Affidata alle "cure" di missionari, funzionari governativi ed etnologi
piu o meno"collaborazionisti", 1'integrazione riesce soltanto a distruggere (^^^ o a proletarizzare: ma tale, d'altronde, era, ed e tuttora, il
suo implicito scopo.
Si riconosce agli altri il diritto di essere diversi a patto che tendano a
diventare come noi; si indaga sulla diversita del "foUe" per meglio ricondurlo alia "ragione". E per quel popoli e quelle culture che ostinatamente si oppongono alia cura del consumismo e della socialdemocrazia, persistendo nelle loro tradizioni "diverse", nella ricerca
di un modello di sviluppo diverso da quello preteso ed imposto dai colonizzatori, per essi sono pronte le riserve ed i regimi militari e fascisti,
accompagnati da etno e genocidio.
"Una civilta universale ha scritto Robert Jaulin'i^' non puo essere che una civilta del dialogo, senza di che I'universo umano si disintegrerebbe; e il dialogo e possibile solo se ogni parte, ogni civilta rinuncera alia pretesa di essere la totalita": "... quella che va ripensata - come sostiene Gerard Leclerc^^O) _ ^
percezione del mondo, perche
I'occidente smetta di andarlo a visitare nel turismo delle spiagge assolate
o dei safari (mentre il terzo mondo ci viene incontro sotto la forma
delle bidonvilles delle periferie industriali), e di aiutarlo nel neo-colo17

nialismo che rispetta le spccificita culturali a condizione che i rendimenti


siano buoni e che sussista la divisione ineguale del lavoro internazionale".
Una etnologia ed una antropologia non coloniali dovrebbero percio
procedere innanzitutto dalla messa in discussione dell'intero rapporto
della nostra con le altre civilta e, di conseguenza, della nostra civilta
con se stessa (21): un confronto con la nostra storia politica e culturale, dal quale emerga quanto meno il rifiuto dei linguaggi e delle metodologie di disciphne che, come l'etnologia e I'antropologia sociale, inserite in una precisa collocazione storica o di classe, concorrono ad alimentare il carattere marcatamente contraddittorio delle relazioni
che noi imponiamo, che ci vengono imposte e che noi stessi inevitabilmente rappresentiamo.
'
"II mondo nel quale noi pensiamo, ci ricorda infatti Jean Monod(22)
il mondo che abbiamo il dovere di trasformare, non e la "natura",
non sono gli "altri", ma e un mondo uniforme e totalitario in cui, diffondendo dappertutto la propria immagine, la civilta occidentale tende a rinchiudere I'umanita. Per evitare il rischio di non aver piii da negare altro che noi stessi o, che poi e lo stesso, per conoscere una buona
volta questo mondo in tutta la sua ricchezza e in tutta la sua universalita, e non soltanto per conoscerlo ma per saperlo finalmente abitare,
bisogna sradicare questa istanza di assimilazione negativa che fonda, fin
dall'alba dell'era modema, la nostra relazione con I'universo".
E' questa una via d'uscita inevitabile ed obbligatoria per la "civilta
occidentale". Tunica sua possibilita di salvezza e di soprawivenza, in
quanto, come ha sostenuto Aime Cesaire, la colonizzazione, un rapporto con Taltro impostato su basi imperialistiche, non puo che contribuire a "decivilizzare il colonizzatore, ad abbrutirlo nel senso stretto
del termine, a degradarlo, a risvegliare in lui gli istinti sepolti, Tavidita, la violenza, Todio razziale, il relativismo morale, e... quando nel
Vietnam si taglia una testa o si acceca e in Francia non si batte ciglio,
quando si stupra una bambina e in Francia non si batte ciglio... il veleno viene iniettato nelle vene dell'Europa, e il continente, a passi lenti ma sicuri, ripiomba nello stato selvaggio" (23).
Quanto abbiamo finora detto sulla sistematica tendenza della cultura
bianca ad interpretare ogni realta "diversa" secondo i propri schemi e
le proprie concezioni puo essere facilmente dimostrato e verificato
attraverso numerdsi riferimenti concreti (2^), ma ci e sembrato particolarmente opportune, e significativo al tempo stesso, soffermarci su un genere letterario, la narrativa di fantascienza, quanto mai rivelatore di tale tendenza, aspetto invece che ben raramente e stato finora
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posto in evidenza da quanti si sono occupati ed interessati di questo


tipo di problemi.
Non e, infatti, improprio affermare che in questi ultimi decenni, accanto a quelli gia esistenti, abbia gradatamente preso consistenza il mito
"coloniale" di un nuovo esploratore di frontiere sconosciute, futuro
conquistatore e civilizzatore(2^) di nuovi "selvaggi": Tastronauta, il
pionere dello spazio.
Stelle e pianeti hanno preso il posto delle terre selvagge delle tradizionali esplorazioni geografiche(26), i missili e le astronavi quello delle
diligenze e delle carovane; ma oggi come allora identiche o quasi sono rimaste le giustificazioni della conquista (scientifiche ed umanitarie, di civilta e di progresso, ecc.) dirette a mascherare un atteggiamento
di fondo imperialistico e coloniale.
Intomo alia "conquista dello spazio" e stata costruita ed alimentata una
letteratura demagogica e propagandistica, che si e espressa soprattutto
in certa narrativa di fantascienza (2'^ , ma che si e nutrita e continua a
nutrirsi abbondantemente anche dei contributi di pubblicazioni pseudoscientifiche e, naturalmente, dell'azione persuasiva della stampa (2^',
del cinema e dei mezzi audiovisivi.
Tra i tanti volumi dati alle stampe sulTargomento fermiamo un attimo la nostra attenzione su L'avvcntura astronautica dello scrittore
scienziato tedesco Heinz Gartmann . II libro reca la data del 1957,
ma i termini della trattazione, Tinterpretazione etnocentrica e logocentrica della storia, la mistica della conquista, sembrano riportare ben piu
indietro nel tempo, alle descrizioni romantiche, tanto per fare un esempio, degli eroici pionieri di Cooper o di Irving.
"Quando gli Stati Uniti si puo leggere, infatti, nelTintroduzione
subito dopo la loro fondazione, aprirono alia civilta zona per zona il
continente americano settentrionale, vi era sempre the frontier, il confine che separava le regioni gia civilizzate da quelle selvagge da esplorare, oltre il quale i pionieri dovevano conquistare con duri combattimenti nuovi territori al loro giovane paese. Oggi I'umanita si trova davanti all' "ultima frontiera", invisibile tra Tatmosfera e lo spazio cosmico e ad essa guardano i nuovi pionieri della scienza e della tecnica...
Awentura meravigliosa ed affascinante, che apre prospettive nuove
all'irrequieto spirito dell'uomo"(2^^.
Anche la conquista spaziale comporta i suoi indiani, i selvaggi da conquistare, eliminare, acculturare, convertire, o, nella migliore delle ipotesi, confinare in special! ghetti per meglio estingueme la diversita:
sono i marziani, i lunari, gli extraterrestri di ogni tipo, la cui effettiva
presenza nello spazio non e stata ancora accertata, ma di cui e bene in
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ogni caso diffidare fin d'ora, da cui bisogna stare in guardia e preventivamente difendersi, perche diversi per ipotesi e per definizione dagli abitanti del nostro pianeta e, quindi, inevitabilmente pericolosi...
A questa immagine dell'extraterrestre-selvaggio, che sembra ricalcare
i classici schemi della gran parte della letteratura sulle popolazioni "primitive", se ne puo aggiungere, pero, un'altra piii recente ed aggiornata,
quella dell'extraterrestre espressione e simbolo di una civilta superiore:
la stessa dell'uomo e questo il dato da sottolineare ma sviluppata
in grado elevatissimo; una civilta con cui I'umanita e venuta a contatto
in tempi remoti della sua storia, o che e destinata a raggiungere in im
futuro piu o meno lontano. In entrambi i casi, I'altro (questa volta il
marziano, il lunare, ecc), ancora una volta non esiste come entita individualizzata, bensi in funzione dell'uomo e del mito che di esso lo
uomo stesso non cessa di elaborare in ogni modo, nel tentativo di legittimare come sempre la distruzione e I'appropriazione di qualunque diversita.
Da quando nell'Ottocento I'italiano Schiapparelli e I'americano Lowell
scoprirono su Marte i cosiddetti "canali", lanciando la teoria che soltanto degli esseri intelligenti potevano averli scavati per portare acqua
dai poll all'equatore del pianeta, si e sviluppato un filone letterario e
pseudoscientifico sulla figura dell'ipotetico extraterrestre, concepito
volta a volta come mostruoso irriducibile nemico della nostra "civOta" o come misterioso disinteressato benefattore.
Tra questi due estremi antitetici viene a trovarsi tutta una serie di disposizioni ed atteggiamenti intermedi, accomunati dal fatto che, per
essi, come per la cultura settecentesca ed ottocentesca nei confronti del
"selvaggio", I'approccio con I'extraterrestre e puramente strumentale:
il vero protagonista, il soggetto, resta comunque I'uomo e la sua civilta, sia che esprima odio fino al razzismo od ammirazione fino alia mistica per il presunto abitatore degli altri mondi.
I differenti atteggiamenti e le differenti immagini che ne scaturiscono non sono da attribuirsi ad una realmente mutata disponibilita verso
I'altro , bensi all'evolversi del principio di esclusione, per la tendenza,
piu efficace ed attuale, ad assimilare ogni diversita per annientarla.
Divinita ctonie, malvage e vendicatrici, avrebbero sancito in modo inequivocabile, fin dai tempi piii remoti, i limiti al di la dei quali l'azione e
il pensiero degli uomini sarebbero incorsi in tremende punizioni ultraterrene, garantendo di riflesso la liceita e I'autorevolezza delle sanzioni legislative poste a tutela dell'ordinamento "civile". Per contro divinita celesti, benefiche e propizie, avrebbero alimentato il mito della
origine metafisica della vera "civilta", promettendo ricompense in ter20

mini di etemita agli uomini che fossero vissuti nel rispetto e nel culto
della vera religione.
In entrambi i casi, ed anche nel caso di divinita ambivalenti, identica
e sempre stata la ragion d'essere del "mito di Dio", strumento ed alibi del potere, teso a legittimare esclusioni ed appropriazioni senza
soluzione di continuita. Affiancato dalle speculazioni della filosofia o
dalla mistica letteraria e poetica, integrate o sostituito, talvolta, ma con
effetti non dissimili, dal mito del valore gnoseologico del metodo
scientifico, solo recentemente il "mito di Dio" ha visto offuscarsi la
propria autorita nel delimitare i sacri confini tra barbarie e civilizzaziene.
Dinnanzi all'incapacita delle chiese di resuscitare il miracelo, mentre la
filosofia, seppellita la metafisica, si orienta ad una presa di cescienza del
pensiero e dell'azione umana, e la peesia riduce le sue immagini ad insoddisfatte ricognizioni esistenziali, e il mito fantascientifico, attraverso la propria letteratura, a riproporre era, nella figura dell'extraterrestre, I'immagine dell'essere superiore, indice, nell'anteticita delle sue manifestazioni , dei canoni di civilta da perseguire e della mostruesa eterogeneita da distruggere e asseggettare.
Le prime immagini di extraterrestri elaborate dai precursor! della
letteratura fantascientifica si riferivano ad entita non troppo dissimili
da certi dei infernal! della mitologia tradizionale: i racconti di H. P.
Lovecraft e di E. A. Poe erano prodighi di esseri mostruosi provenienti da altri mondi e penetrati nella profondita della terra in epoche immemorabili, ma pronti a risvegliarsi e manifestare la loro presenza con
immonda esalazione e malefici awertimenti.
Significativo e anche il fatto che, agli inizi del secolo, in assenza di cognizioni circostanziate e scientificamente valide sulla abitabilita degli
spazi interplanetari, gli scrittori facessero ricorso, per le loro descrizioni degli extraterrestri, alle prestazioni reali e simulate di "mediums"
e veggenti, confinando in tal modo nel mondo delle evocazioni e degli
spirit! ogni possibile realta non umana. Occultisti di grido come I'americano Leyson o la francese Blawatsky, diedero alle stampe i risultati dei
loro "viaggi" compiuti in stato di "trance". Leyson descrisse gli abitatori di Marte come giganti pelosi, dalla statura quattro volte superiore a quella dell'uomo, con occhi ai lati della testa e due buchi nelle
guance al posto del naso; per la Blawatsky i marziani erano invece piCi
simili a dei nani, con grande sviluppo del torace, capelli gialli ed occhi
violetti.
Come si puo notare anche da questi limitati esempi, i primi approcci
coll'ipotes! di una possibile realta eterogenea si inserirono immediata-

mente nei canali abituali del rifiuto o del recupero, attraverso quegli
strumenti dell' "escrezione" e dell' "appropriazione"(^0) che ancor
oggi caratterizzano il rapporto col diverso, col selv^gio: confinare
I'immagine dell'extraterrestre nel mondo degli spiriti e nella fantasia
psicopatologica, o materializzarla in ineffabili entita, simboli del male
universale, significa volgere tale immagine negli schemi del logocentrismo, privandola preventivamente di ogni autonoma potenzialita vitale.
II meccanismo di fondo non cambio anche quando il progredire delle
conoscenze spaziali indusse ad abbandonare gradualmente I'immagine tenebrosa ed inquietante dell'extraterrestre manifestantesi per mezzo di spiriti o di psicopatici, a favore di descrizioni considerate piu
scientifiche o piu obiettive, fondate su criteri della logica tradizionale
o del senso comune, che tendevano a considerare gli extraterrestri
piii o meno implicitamente dotati di un determinismo storico ricalcato su quello della terra: "Se i dischi sono i veicoli di geografi marziani
venuti ad osservare la configurazione della Terra, come ha detto chiaro e tondo non so quale scienziato americjino, e come molti con certezza pensano tra se ha osservato Roland Barthes si deve al fatto
che la storia di Marte e maturata con lo stesso ritmo di quella del nostro mondo, e produce geografi nello stesso secolo in cui abbiamo
scoperto la geografia e la fotografia aerea...E' probabile che se a nostra
volta sbarcassimo su Marte quale Tabbiamo costruito non vi troveremmo altro che la Terra stessa, e tra questi due prodotti di una medesima
Storia non sapremmo risolvere qual e il nostro. Infatti perche Marte
sia giunto al sapere geografico bisogna pur che abbia avuto anche lui
il suo Strabone, il suo Michelet, 11 suo Vidal de la Blache, e, facendosi sempre piu vicini, le stesse reazioni, le stesse guerre, gli stessi scienziati e gli stessi uomini che abbiamo avuto noi"(3i).
Barthes fa notare ancora come questa logica esiga che I'extraterrestre
abbia anche le nostre stesse religioni e ricorda, al riguardo, come una
"rivista scientifica", il Progres de Lion, avesse scritto, nel 1954, che i
marziani hanno necessariamente avuto un Cristo e di conseguenza hanno anche un papa, senza di che non avrebbero potuto civilizzarsi al
punto da inventare il disco interplanetario, perche sempre secondo la
stessa rivista, essendo la religione ed il progresso scientifico ben preziosi,
in egual misura, ed inscindibili dalla civilizzazione, una non puo andare
senza I'altro: "e inconcepibile si ritrova ancora scritto nel Progres
de Lion che esseri arrivati ad un tale livello di civilizzazione da poter
giungere fino a noi coi loro mezzi siano "pagani". E'inevitabile che
sieino deisti, riconoscano I'esistenza di un Dio, e abbiano la loro re-

22

ligione".
Si e venuta dunque lentamente formando una nuova immagine dello
extraterrestre, spogliata di ogni individuale e peculiare eterogeneita,
oggetto di nuove appropriazioni, in quanto proiezione della realta
terrestre, reinvestita dal senso comune dei caratteri attinti al mito
dellTdentico, cioe del Doppione.
Perche, come giustamente ha sottolineato sempre Roland Barthes,
"uno dei caratteri costanti di ogni mitologia piccolo-borghese e proprio
questa impotenza a immaginare I'Altro. L'alterita e il concetto che piii
ripugna al "buon senso". Ogni mito tende fatalmente ad im antropomorfismo stretto e, quel che e peggio, a quello che si potrebbe chiamare un antropomorfismo di classe. Marte non e soltanto la terra, e la
Terra piccolo-borghese, il piccolo cantone di mentalita coltivato
(o espresso) dalla grande stampa illustrata. Appena formato nel cielo,
Marte viene in tal modo allineato dalla piii forte fra tutte le appropriazioni, quella dell'identita" (^2)_
Si tende ora a considerare il Marziano come uno sconosciuto benefattore, portatore di civilta in tempi remotissimi, e lo si relega pertanto
nel mitico regno delle civilta perdute (anche per il "selvaggio" della
epoca delle grandi scoperte e per il suo "insolito" modulo culturale
era stato ampiamente ripreso e riproposto il mito dell'eta dell'oro...),
col duplice risultato di confinare I'ipotetica esistenza in una sfera metastorica ed al tempo stesso negargli ogni tipo di eterogeneita, riconoscendo una identica matrice culturale agli uomini della terra ed ^li
abitanti dello spazio: il dato emergente e ancora I'implicita legittimazione, cosmica questa volta, dei canoni della nostra civilta e la contemporanea nagazione di ogni civilta che possa, anche solo per ipotesi,
caratterizzarsi in altro modo.
In un tempo in cui la fiducia nelle divinita tradizionali e nella loro
autorita legittimatrice di ogni attitudine del potere sembra volgere
in declino, la "civilta" difende se stessa ed i privilegi acquisiti dalle
sue classi dominant!, sostituendo al "mito di Dio" il mito dell'extraterrestre, Giudice e Sorvegliante, garante della bonta e della giustezza
delle istituzioni, in quanto egli stesso ne fu I'ispiratore in tempi remoti, simbolo con la perfezione biologica ed intellettiva che ne caratterizza I'immagine, deU'altissimo grado di sviluppo cui pure Tuomo e
destinato a pervenire se non modifica o abbatte i valori tradizionali
ed immutabili della sua "civilta".
Si ripescano nei testi sacri presunte indicazioni in tale direzione, stimolando gli increduli al mistero: la Bibbia, il "popol vxah" dei MayaQuichi, i grandi libri degli dei orientali sono rivisitati dagli archeolo23

ghi della fantascenza in cerca di collegamenti sensazionali e di nuove


rivelazioni. Maestro in questo genere di "mixage" e fautore di una
vera e propria mistica dell'extraterrestre e Peter Kolosimo, autore di
numerosissimi testi ed ora anche di una rivista che porta le sue iniziali sulla copertina, specialista nell'imbastire abilmente legami tra le civilta andine e mesoamericane ed i segni di vita che giungono dallo spazio
interplanetario.
L'ipotetica immagine del marziano viene via via formandosi, nei suoi
scritti, sulla base di deduzioni tratte a partire daU'esperienza e dalla
logica del discorso culturale e scientifico della nostra civilta: I'asserita obiettivita e scientificita dei dati e degli assunti si riduce ad un ennesimo tentativo di limitazione dell'eterogeneo entro i termini di una
possibile omogeneita e di una prevedibile conseguente assimilazione.
Anche la fantascenza sovietica (^3) non si discosta per la verita dai
canoni etno e logocentrici che hanno caratterizzato e caratterizzano
la letteratura fantascientifica piii tipicamente occidentale; anzi essa e
sovente espressione di una vera e propria mistica del progresso tecnologico e scientifico ^^^^ che ha trovato, anche in questo caso, la sua piu
retorica rappresentazione nella figura dell'extraterrestre, elemento catalizzatore nel processo evolutive deUa civilta umana e simbolo vivente del cammino da percorrere e della meta cui I'umanita e destinata
a pervenire.
II paleontologo Ivan Efremov ha immaginato, in Navi di stelle, che miliardi di anni fa una galassia abbia attraversato la nostra e che in quella
circostanza una stella si sia awicinata al nostro sole quel tanto sufficiente per rendere possibile un rapporto tra i due sistemi. Esseri intelligenti scesero cosi sulla Terra, daUa quale I'uomo era ancora assente,
uccisero qualche dinosauro e lasciarono la loro immagine incisa su una
piastra di metallo sensibile alle radiazioni nucleari. Questa lastra venne
scoperta e studiata, insieme al cranio di uno degli extraterrestri, da due
scienziati sovietici dei giomi nostri: "... La solida scatola ossea
abitacolo del cervello era assolutamente simile alia nostra, cosi come
le enormi occhiaie sporgenti daUo stretto ponte osseo della radice del
naso. Interamente umani erano anche la nuca rotonda e ripida e la breve, quasi perpendicolare, parte facciale sovrastata dall'enorme fronte
protesa in avanti. Ma al posto delle ossa nasali il cranio presentava un
intacco triangolare, dal quale sporgeva la mascella inferiore a forma di
becco, leggermente piegata in basso all'estremita anteriore. La mascella inferiore corrispondeva a quella superiore e anch'essa non aveva alcuna traccia di denti. Le estremita articolate erano appoggiate quasi
24

verticalmente nell'incavo su ample apofisi ripiegate su grandi orifizi


rotondi situati ai lati, sotto le tempie...".
Questa descrizione del cranio di un extraterrestre e gia di per se significativa dell'impostazione voluta dall'autore: il cranio, infatti, si presenta sostanzialmente identico a quello dell'uomo, se si eccettua la sorpresa di un apparato mandibolare a forma di becco. Ma I'eterogeneo
morfologico e come sottaciuto, mascherato da una metodologia puntighosamente scientifica, escludente ogni accenno al meraviglioso o al
terrificante. Lo stupore e rinviato ad un livello qualitative piu sottile,
ad una sfera "trascendentale", dove I'analisi tecnica dei fenemeni
cede dinnanzi all'intuizione, creande i presupposti per il mito; e rinviato cioe al momento in cui i due scienziati, riattivando la funzionalita della piastra me tallica, possono osservare I'immagine dell'extraterrestre, nella quale emergono con incredibile tensione non tanto i tratti
inumani della morfologia facciale, quanto la rivelatrice profondita dello sguarde:
"Gli occhi enormi, sporgenti... erano come due laghi racchiudenti I'eterno mistero del sistema dell'universo scrive Efremov , specchi di
una mente e di una volonta ferree; erane due potenti raggi prorompenti
attraverso la barriera di vetre, lanciati su infinite lentananze dello spazio... La mancanza di orecchie e di naso, la bocca a forma di becco e
senza labbra erano in se sgradevoli, ma non potevano cancellare la sensaizione che lo sconosciute essere fosse vicino aH'uomo, cemprensibile e non estraneo..." e questo, manco a dirlo, soprattutto per via della
"forte, ampia fronte sporgente" che "aveva un aspetto tanto intellettuale ed umano".
II mito sta compiendo I'ennesima appropriazione d'identita, anche se
di identita soltanto ipotetica: la proiezione della realta e della civilta
umana nell'immagine di un essere superiore legittimatore e garante
ripropone in forma eroica e pionieristica la mistica del progresso e delI'evoluziene della civilta umana come civilta universale e vincelante.
"Tutto conclude Efremov nell'antice espite del nostro pianeta
denetava affinita di spirito e di pensiero con gli uomini della Terra. In
cio i due scienziati videro una garanzia che gli abitanti delle diverse
"navi di stelle", quando fosse stato vinto lo spazio che h separava,
quando si fosse alia fine verificato I'incontre del pensiero disperse nelle lontane isole planetarie dell'universo, si sarebbero capiti. Agli scienziati sarebbe piaciuto pensare che cio petesse awenire in un pressimo
future, ma la ragione diceva che sarebbero stati necessari ancora millenni di conoscenza per la grande conquista dell'universo".
II finale del racconto e un susseguirsi di luoghi comuni falsamente pre25

gressistici ed ecumenici, dietro ai quali, tuttavia, non e difficile scorgere


i tradizionali motivi deH'euforica e trionfalistica propaganda imperialistica, impaziente di lanciare le sue reti e far scattare i suoi meccanismi
di appropriazione logocentrica, oltre i confini terrestri, verso spazi
sempre piu indefiniti, sempre, naturalmente, affermando e teorizzando
di perseguire il "progresso" e lo "sviluppo della civilta".

Note

(1) "A partire daUa famiglia ha scritto Ch. FOURIER, Teoria dei quattro movimenti ed altri scritti, a cura di M.LARIZZA, Torino, 1972 la societa si costruisce sulla dichiarata inferiorita deUa donna e dei figli, e sul dominio del padre,
dell'uomo adulto: il figlio e inferiore in quanto non e ancora colui che deve diventare; la donna e inferiore costituzionalmente. La morale civile e religiosa ratifica
questa situazione di fatto, attribuendo alia donna una pretesa "natura" che la renderebbe incline ai lavori domestic! e alia castita, gratificandola di una capacita intellettiva inferiore a quella dell'uomo, tenendola nella maggiore ignoranza ed inferiorita possibUi, per poi dichiararla inferiore, adducendo a riprova una effettiva
inferiorita sociale".
(2) Ha riproposto recentemente queste considerazioni J. CHESNEAUX, Che cos'e
la storia. Cancelliamo il passato? , Milano, 1977, pp. 108 e sgg. , riprendendo una
delle piu celebri pagine del Manifesto del partito comunista, dove si legge che con
lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha costretto tutte le nazioni
ad "introdurre in casa loro la cosiddetla civUta", cioe ha creato "un mondo a propria immagine e somiglianza".
(3) M. DEL TREPPO, La liberta della memoria, in Clio, XII, 1976, pp. 189 - 233.
(4) Un "progresso umano" che, nei fatti, ha dimostrato di assomigliare sempre "a
quell'orribile idolo pagano, che non voleva here il nettare se non dai teschi degli
uccisi" (sono le parole conclusive di un articolo pubblicato da Marx sul New York
Daily Tribune dell 8 agosto 1853, dedicato a / risultati futuri della dominazione
britannica in India, Ch. K. MARX - F. EN'GELS, India Cina Russia, a cura di
B. MAFFI, Milano, 1970, p. 118).
(5) " Tutta la fatalita che incombe nelle tragedie di Eschilo ha scritto T. HOUENOU, Le probleme de la race noire, in Action Coloniale 25 marzo 1924 non e
neanche lontanamente paragonabile alia profondita della tragedia africana. In nome della civilta si braccano gli uomini come se fossero belve, si saccheggiano, si
derubano, si ammazzano; e queste infamie sono poi presentate con forbita eloquenza come delle nobili azioni".

26

27

Sono concetti questi espressi anche dall'indiano occidentale Rene Maran nella prefazione al suo famoso romanzo Batouala (Parigi, 1948, p. 11: la prima edizione
apparve nel 1921): "Civilta, civilta: I'orgoglio degli europei e il loro ossario degli
innocenti. 11 poeta indiano Rabindranath Tagore vi ha detto un giorno a Tokio
che cosa siete. Costruite U vostro regno sui corpi...", e, pressoche contemporaneamente, dal tataro S. GALIEV, La revolution sociale et I'Orient, in Zlzn Nacional'-nostey, 2 novembre 1919, citato da A. BENNINGSEN - C. QUELQUEJAY, Les moviments nationaux chez les Musulmans de Russie, Parigi, 1969, p. 211:
"Ci sono voluti decine di milioni di morti tra gli indigeni americani e i neri americani e la scomparsa completa deUa ricca cultura degli Incas perche pocesse nascere
I'America moderna, con la sua "passione per la pace", con la sua cuitura "cosmopolita" del "progresso" e della "tecnica". Gli orgoglicsi grattacieli di Chicago e di
New York e delle altre citta deU'America "europeizzata" sono stati costruiti sulle
ossa dei "pellerossa" e dei negri assassinati da piantatori disumani, e sulle rovine
fumanti delle citta degli Incas".
(6) "...il linguaggio del colono ci ha fatto notare F. FANON, I dannafi della terra, Torino, 1973, p. 9 quando parla del colonizzato e un linguaggio zoologico.
Si fa allusione ai movimenti serpeggianti dell'indocinese, agli effluvi della citta
indigena, alle orde, al puzzo, al pullulare, al brulicare, ai gesticolamenti. II colono, quando vuole descrivere bene e trovare la parola giusta, si riferisce costantemente al bestiario".
(7) La mitica esaltazione del selvaggio con la quale Jean Jacques Rousseau per limitarci ad un esempio fra i piu significativi si oppose ai sostenitori della superiorita dell'uomo civile sulla natura, sugli animali e sugli altri uomini, rappresentava
solo apparentemente una rivalutazione del mondo primitivo: in realta I'intento
del Rousseau era quello di denunciare gli abusi e le perversion! della societa fondata sull'ineguaglianza e di prepararne la transizione alia societa del "Contratto sociale":il selvaggio e la sua esaltazione non erano altro che una pedina del discorso,
un supporto alia tesi sociale, uno strumento dialettico e filosofico.
"II cosiddetto selvaggio ha scritto B. MALINOWSKI, La vita sessuale dei selvaggi della Melanesia nord-occidentale, prefazione di H. ELLIS, Milano, 1968,
p. 410 e sempre stato un giocattolo per I'uomo civilizzato; in pratica un soggetto da sfruttare, in teoria una fonte di brividi sensazionali. I selvaggi sono stati,
per il pubblico dei lettori degli ultimi tre secoli, una riserva di possibilita impreviste nella natura umana; il selvaggio e servito a infiorare questa o quella ipotesi
a prion,diventando crudele o nobile, licenzioso o casto, cannibalesco o umano
asseconda dell'osservatore o della teoria".
(8) Cfr. , a questo proposito, le acute osservazioni di G. GLIOZZI, La scoperta
dei selvaggi. Antropologia e colonialismo da Colombo a Diderot, Milano, 1971;
IDEM, // "mito del buon selvaggio" nella storiografia tra Ottocento e Novecento,
in Rivista di Filosofia, LVIII, 1967, pp. 288 - 335; riprese ed approfondite in forma
sistematica ed organica nel recentissimo saggio Adamo e il nuovo mondo. La nascita dell'antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie
razziali (1500 -1700), Firenze, 1977.
(9) M. DUCHET, Le origini dell'antropologia.

28

I. Viaggiatori ed esploratori del Set-

tecento, Bari, 1976.


(10) Da G. LECLERC, Antropologia e colonialismo,

Milano, 1973, p. 30.

(11) Da G. LECLERC cit. , p. 41.


(12) Da G. LECLERC cit. , p. 37.
(13) Per alcune indicazioni essenziali di carattere generale, cfr. L. MAYR, Introduzione all'antropologia sociale, Milano, 1970; E. E. EVANS-PRITCHARD, Introduzione all'antropologia sociale, Bari, 1971; I.BEATTIE, Uomini diversi da noi.
Lineamenti di antropologia sociale, Bari, 1975.
Non sara inutile sottolineare che questa disciplina conobbe, almeno inizialmente,
il suo maggior sviluppo in Inghilterra, non a caso la nazione che diede vita al piOi
ampio e duraturo impero coloniale.
(14) Per un proficuo orientamento sulle principal! fasi e tendenze della storia dell'etnologia e dell'antropologia, alle quali si e fatto riferimento in queste pagine,
oltre ai testi indicati nella nota precedente, rimandiamo a J. POIRIER, Histoire
de I'etnologie, Parigi, 1969; // concetto di cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica, a cura di P.ROSSI, Torino, 1970; M. HARRIS, L'evoluzione del
pensiero antropologico, Una storia delle teorie della cultura, Bologna, 1971; P.
MERCIER, Storia dell'antropologia, Bologna, 1972; P. CHIOZZI, La sociologia
francese. I. Dalla teoria alia ricerca sul campo; 2. Lo strutturalismo e I'antropologia dinamica, Firenze, 1974; E. SEGRE, L'acculturazione. 1. Formulazioni teoriche e metodologiche di ricerca nelle scuole britanniche e statunitensi (1930 - 1950);
2. La decolonizzazione: ideologic politiche e analisi empiriche, Firenze, 1977; U.
FABIETTI, L'ideologia del primitivo nelV antropologia contemporanea, Bologna,
1977.
(15) n ruolo esercitato da coloni e missionari nei process! di acculturazione e le
scelte neocoloniali delle scienze ufficiali sono stati esemplarmente ricostruiti
(non condividiamo logicamente le accuse di "neoidealismo" mosse alio Jaulin ed
ai suoi seguaci da V. LANTERNARI, Antropologia e imperialismo. e altri saggi.
Torino, 1974, pp. 383 - 384.il fatto che, secondo le accuse del Lanternari, lo
Jaulin abbia privilegiato i fattori puramente culturali a discapito dell'analisi delle
forze politiche ed economiche, non significa che il suo contributo non sia per
questo scientificamente corretto e soprattutto assai utile a far comprendere, proprio attraverso I'attenzione specifica alle realta ideologiche del capitalismo-imperialismo, di quali strumenti si serva chi persegue un particolare obiettivo di natura
politico-economica, che puo venire percio ugualmente ricostruito, denunciato e mascherato anche attraverso I'attenzione alle sue espressioni sovrastrutturali, non
meno rivelatrici ed indicative deUa sostanza e delle caratteristiche, in questo caso,
del fenomeno colonialistico nel suo complesso) da R. JAULIN, La pace bianca.
Introduzione all'etnocidio, Bari, 1972, nei confronti del quale siamo debitori
di alcuni concetti ripresi ed espressi in queste pagine.
"... e ridicolo pretendere egli afferma nelle sue considerazioni conclusive (pp.
534 - 535) che solo i piccoli coloni siano colpevoli e responsabili della distruzione delle civilta indie o deUe continue uccisioni e asservimenti: non solo i colo-

29

ni si comportano in funzione della loro appartenenza alia nostra civilta occidentale, ma i loro "delitti" sono inoltre coperti quando non sono addirittura glorificati, dai poteri "nazionali" da cui dipendono. Servizi diversi e rappresentativi di questi contesti nazionali agiscono accanto a loro, sullo stesso terreno, ad altri livelli,
distinti ma equivalenti, e costituiscono i "garanti" e i centri di integrazione dei coloni: servizi governativi, o degli affari indigeni, o anche missioni, chiese, centri economic! petrolieri americani, ecc".
Su questi problemi vedi anche R. JAULIN, Le livre blanc de I'ethnocide en Amerique, Parigi, 1972; nonche le raccolte antologiche, da lui curate, L'etnocide d travers les Ameriques, Parigi, 1972; e De l'etnocide, Parigi,1972.
(16) II progetto Camelot, elaborato dal S.O.R.O. (Special Operations Research Office) alio scopo di mettere a punto un ulteriore strumento di controllo militare
e politico degli Stati Uniti su buona parte del continente americano, fu sostenuto dall'Esercito e dal Dipartimento della Difesa e condotto con la cooperazione
di altre agenzie governative.
Sul significato del progetto Camelot rimandiamo ad I. HOROWITZ, The Rise and
Fall of Project Camelot. Studies in the Relationship between Social Science and
Pratical Politics, Cambidge, 1967.
(17) C. GALLINI, Le buone intenzioni. Politica e metodologia
culturale statunitense, Rimini, 1974, p. 16.

mil'antropologia

(18) "... si credette di emancipare il selvaggio attribuendogli in senso stretto i nostri diritti e quelli "dell'uomo", mentre con cio stesso si disprezzava il diritto delle
societa", in quanto, "i diritti accordati a un gruppo o ad un uomo chiuso in gabbia
quella gabbia che la civilta bianca e divenuta per tutta I'umanita sono necessariamente illusori e a volta ambigui" (R. JAULIN cit. , pp. 397 e 12).
(19) R. JAULIN cit. , p. 558.
(20) G. LECLERC cit. , p. 153.
(21) "... al termine dei nostri primi millenni di storia e sempre R. JAULIN cit. ,
pp. 24 - 26 dovremmo forse stabilire un rapporto fra la nuova visione relativistica dello spazio (Einstein insisteva molto suUa necessita che i ministri deUa religione avessero una larghezza di vedute tale da abbandonare I'idea di Dio) e la relativita culturale, quest'ansia vera di "altri" rapporti con I'universo, con le storie
umane e vive della natura" (...) "la soluzione relativistica contrapposta dallo
Jaulin alia soluzione "conquistatrice" corrisponderebbe ad un'equazione culturale fondata sul compatibile, e cioe suU'altro, sia esso uomo, civilta o universe;
un altro che ci riconosca nella definizione che di esso e con lui elaboriamo, un altro che non sia pii fondato sul dramma, sulla contraddizione, sui connubi "dolorosi" (schiavo e padrone, "ebreo e faraone"), sulla dipendenza, suUa fuga o sulla negazione".
(22) U. FABIETTI cit. , p. 206.

30

(23) A. CESAIRE, Discours sur le colonialisme, Parigi, 1955, pp. 12 - 13.


(24) In questa direzione abbiamo gia awiato, ad esempio, da alcuni anni, un'ampia
indagine sull'immagine che dell'Africa e soprattutto delTAfricano e delle sue
culture si venne determinando e diffondendo ai piii diversi livelli nel contesto politico e culturale dell'Italia postunitaria.
(25) Si e ormai manifestata da tempo una tendenza a considerare lo spazio "come
un oggetto morto, un mondo inerte abbandonato e disponibile... al quale dovremmo infondere "vita" noi, nella nostra ingenua e insolente pretesa di essere gli
unici depositari della forza e del diritto di vivere" (R. JAULIN cit. , p. 528).
(26) Assai interessante (e per questo mocivo ci siamo permessi la lunga citazione)
risulta questo paraUelismo individuato a proposto da Sergio Solmi fra la fioritura letteraria del romanzo fantascientifico e quella del romanzo cavalleresco, che
dilago in Europa all'epoca delle grandi scoperte geografiche: "Le somiglianze sono significative. Ancora una volta, ci troviamo di fronte ad un folklore internazionale, anche se soprattutto americano (cost come il romanzo cavalleresco fu soprattutto spagnolo). Anche le nuove leggende "atomiche" si elaborano diffusamente in modo rapsodico, per successive addizioni e proliferazioni, con la creazione di
grandi luoghi comuni, di convenzioni tipiche, su cui ogni autore innova a sua volta. Ancora, e di nuovo, una letteratura a fondo eminentemente popolare, impregnata di un diffuso mito coUettivo, accompagna sul piano immaginario una grande
svolta storica. Allora, era la scoperta e la conquista del Nuovo Mondo (storici come
il nostro Olschki e I'americano Irving I. Leonard hanno studiato il rapporto), oggi
e la scoperta dei nuovi mondi che la scienza dell'atomo, I'astronautica, la nuova biologia ci lasciano intrawedere. Come il romanzo cavaUeresco, col suo vagheggiamento deU'awentura e del mistero, costitui la lettura prediletta dei caballeros de conquista, che negli spazi vergini aperti da Colombo sognavano di rintracciare le meraviglie a lungo covate nella raccolta fantasia medievale, quindi sviluppate e diffuse
dalle rapsodie dei narratori loro contemporanei, cosi oggi la science-fiction e la
letteratura prediletta dei giovani tecnici statunitensi e sovietici, che vi ritrovano,
come quel lontani antecessor!, nella loro, un esaltante fermento. (...)
L'isola beata deUe maghe fascinatrici, assente dai portolani dei navigatori, e sostituita, in quesi nuovi racconti di fiabe, daU'universo "laterale" coesistente col nostro
in una diversa dimensione, paradiso segreto cui soltanto possiamo avere accesso
in virtii della prowidenziale distorsione, o warp, spazio temporale, in cui un fortunoso accidente ci fa incorrere. I mostri e i draghi della narrativa cavaUeresca
ritornano con gli esseri deformati e ingigantiti in seguito alle mutazioni di specie
provocate per effetto dei gas radioattivi sprigionati dalle esplosioni nucleari in
disastrose guerre atomiche. Non piii castelli incantati, dove invisibili mani di spiriti servono le vivande o suonano arpe angeUche, ma la casa-automa che, sensibile
ai piu sottili influssi telepatici, adempie spontaneamente ai desideri dei suoi felici abitatori" (Le meraviglie del possibile. Antologia della fantascienza, a cura di
S. SOLMI e C. FRUTTERO, prefazione di S. SOLMI, Torino, 1954, pp. X - XI).
(27) Due ecceUenti raccolte antologiche, che offrono un ampio ed articolato panorama di questo genere di produzione letteraria, sono state preparate per U pubblico italiano daUa casa editrice Einaudi: Le meraviglie del possibile cit.; e II secondo

31

libro della fantascienza. Le meraviglie del possibile, a cura di C. FRUTTERO e


F. LUCENTINI, Torino, 1961.
(28) "... con la partenza di "Apollo 1 1 " la vituperata ode montiana al signor di
Montgolfier si e rivelata un fiore di modestia di fronte al barocchismo linguistico
dei nuovi bardi dell'astronautica...", commentava opportunamente Francesco
Russo su La Stampa del 22 luglio 1969, cogliendo a pieno la caratteristica principale della vera e propria orgia celebrativa che aveva contagiato la pubblicistica
di ogni genere in occasione della piii clamorosa impresa spaziale americana.
Su questo problema rimandiamo ad un nostro precedente lavoro: F. SURDICH,
Contributo ad una bibliografia sulle imprese spaziali, in Nuova Rivista Storica,
LIX, 1975, pp. 6 4 8 - 6 7 4 .
(29) H. GARTMANN, L'avvcntura astronautica. Sognatori - Ricercatori - Costruttori, Milano, 1957, pp. 5 - 6.
(30) Per una definizione dei concetti di "escrezione" ed "appropriazione" in quanto fasi alterne della rapina coloniale, si vedano le pagine che G. BATAILLE, La
critica dell'occhio, a cura di S. FINZI, Rimini, 1972, ha dedicato al problema del
passaggio dall'etero all'omogeneo.
(31) R. BARTHES, Miti d'oggi, Milano, 1966, pp. 37 - 38.
(32) R. BARTHES cit. , pp. 38 - 39.
(33) J. BERGIER, Fantascienza russa, Milano, 1961.
(34) D'altronde la stessa scienza astronautica e il potere politico e militare russo
che I'ha sostenuta e finanziata dimostrano in pratica la messa in mora, da parte
deir "establishment" sovietico, delle analisi marxiane suU'uso capitalistico della
scienza e della tecnologia, con I'assimilazione, nel contesto della "gara" spaziale,
dei modelli di comportamento e di prestigio sociale e dei valori morali (I'ardimento, lo spirito di awentura, la supremazia dei superuomini dai nervi di acciaio,
e c c ) , che sono sempre stati alia base deU'ideologia borghese (G. B. ZORZOLI,
La Luna e il ruolo della scienza, in Problemi del socialismo, n. s. , XI, n. 4, luglioagosto 1969, pp. 689 - 695; M. CINI, // satellite della Luna, in // Manifesto, n. 4,
settembre 1969, pp. 55 -62).

32

CARLO DE NEGRI
CONSIDERAZIONI NAUTICHE SUL "PERIPLO"
DI ANNONE

1 Elementi di base. Le conoscenze geogratiche deH'antichita classica trovano una particolare fonte di informazione in racconti di viaggi
marittimi generalmente correnti sotto il nome di "peripli", taluni dei
quali presentano un aspetto prevalentemente descrittivo dell'ambiente
costiero, in cio awicinandosi agli attuali portolani, mentre altri danno
particolare risalto anche alia navigazione effettuata.
Sottoposti al vaglio della critica storica e singolarmente considerati,
la loro rispondenza alia realta ha spesso dato luogo a lunghe discussioni sia sul complesso sia sui particolari, giungendosi talora a riteneme
qualcuno semphce parto di fantasia.
Cosi tuttora discusso, senza che siintrawedail raggiungimento di conclusion! incontroverse, e il "periplo" di Annone, del quale tratteremo in
questa sede uno speciale aspetto, quello nautico, pero con particolare
riferimento alia storia navale ed aUa geografia storica.
Pensiamo che un esame del racconto sotto tale punto di vista, a
quanto ci risulta tuttora trascurato, possa costituire un contribute valido per stabilire la veridicita o meno del racconto in se od in alcuni
suoi particolari.
Detto "periplo" descrive un viaggio effettuato verso la meta dell'ultimo millennio a. Cr. dal cartaginese Annone lungo le coste deU'Africa
Occidentale; awertiamo pero che tale assegnazione di data e ccntroversa, ma noi riportiamo quella maggiormente accettata.
Annone era uno dei due suffeti, ossia una sorta di magistrato, eletti
annualmente a Cartagine; d'ordine del senate di quella citta, capitano la spedizione di cui il suddetto periplo costituisce la relazione
a noi pervenuta in lingua greca attraverso un codice manoscritto (segn.
398) conservato presso la biblioteca di Heidelberg, nel Baden.

35

Vuolsi che tale relazione del viaggio fosse originariamente immortalata in una stele, scritta probabilmente in punico ed in greco, innalzata nel massimo tempio di Cartagine.
Nella nostra trattazione ci varremo della traduzione, che abbiamo riportato in appendice, del "periplo", fatta in italiano da Del Turco
con note esplicative e di commento: tale traduzione sostanzialmente
concorda, salvo pochi particolari, con quella latina del Miiller
e quella francese del Cazeneuve
per cui riteniamo che possa costituire
un'attendibile base di studio.
II "periplo" venne in genere accettato, sia pure con divergenze di interpretazione su molti punti, ma non mancarono coloro che lo respinsero senz'altro, ed una sintesi della discordanza di opinioni sull'argomento e stata ultimamente fatta dal Richon
Ricordiamo, per organicita di trattazione, che Cartagine venne fondata da genti di Tiro nel sec. IX a. Cr.; I'affermarsi della sua poteriza
tra le colonie fenicie deU'Occidente coincise col declinare di quella
della sua citta matrice insidiata dalle grandi monarchie orientali.
La popolazione di Cartagine era costituita da gente di diversa origine, Fenici ed indigeni libii, per cui i suoi abitanti vengono indicati
come hbofenici, quantunque ai primi si debba I'impronta della civilta della citta. Pertanto nel prosieguo accenneremo a Fenici in genere,
in essi comprendendo pure i Cartaginesi.
Come vedremo il racconto di Annone viene praticamente articolato
in due parti, la prima deUe quali riguarda in senso lato la colonizzazione, mentre la seconda assume I'aspetto della relazione di un viaggio
di esplorazione ed e la pivi discussa; solo alia prima parte quindi ci
dedicheremo in quanto presenta elementi di indagine offrenti una base
per raffronti realistici.
Un'ultima osservazione a carattere generale: I'espansione di Cartagine,
potenza marittima piu che terrestre, fu essenzialmente improntata
a ragioni commerciali ed in funzione di esse vennero effettuate le conquiste territoriali, singolarmente poco estese ma molto diffuse e sparse su parecchie coste.
2I bastimenti.
II testo del "periplo", cosi come a noi giunto, inizia con la notizia che Annone si spinse oltre le Colonne d'Ercole, per
fondare citta libofenicie, al comando di una flotta di 60 navi a 50 rematori, sulla quale erano imbarcati 30.000 coloni, uomini e donne, con
vettovaglie ed ogni occorrente attrezzatura.
Procederemo ad un esame critico di questo passo, che e quello di maggior interesse ai nostri fini, analizzandolo alia luce del principio di ba36

se della storia navale secondo U quale le risultanze dell'indagine possono essere accettate solamente se esse presentano una rispondenza
nautica.
Ammettendo in via ipotetica il complesso di 30.000 coloni, essi avrebbero dovuto essere imbarcati nel numero medio di 500 per bastimento;
cio oltre agh accennati 50 rematori, ed ai marinai, che possiamo stabilire in una ventina di altre persone al minimo, per cui su di ogni unita avrebbero dovuto trovarsi non meno di 570 persone.
La presenza dei marinai e da ritenersi indispensabile per la manovra
delle vele, certamente presenti, delle ancore, delle imbarcazioni di servizio per prendere terra, e peraltro li ritroviamo sempre nella marina
remica in aggiunta ai vogatori.
Si deve anche accennare alia necessaria presenza di timonieri, di calafati, di remolari, di scandagliatori, per cui la ventina di persone cui ci
siamo riferiti puo ritenersi, nel suo complesso, un minimo magari criticabile per difetto.
Ci proponiamo ora di vedere se esistevano reali possibilita di trasporto di 570 persone per bastimento, ed una risposta negativa infirmerebbe il valore del passo del "periplo", se non di tutta I'opera.
L'accenno ai vogatori indica che si trattava di bastimenti sottili, ossia
costruiti per rispondere prevalentemente alia necessita della propulsione remica , pero certamente prowisti anche di una conveniente attrezzatura velica, usata ogni qualvolta se ne presentava la conveniente possibilita.
Per questo tipo di legno, munito di coperta e di dimensioni che avrebbero consentito almeno un notevole cabotaggio, possiamo ritenere che
la larghezza fosse non p i i di un quinto della lunghezza massima.
Procedendo semplicemente alia ricerca di ordini di grandezza, prendiamo per base un bastimento di 30 metri di lunghezza, ossia di quella
generalmente ammessa per grossi legni deH'antichita , avente corrispondentemente sei metri di larghezza.
Con la considerazione elementare che lo scafo deve assottigliarsi a prua
ed a poppa, e pure ammettendo una parte maestra, ossia centrale, assai lunga, in base ai dati di cui sopra possiamo calcolare che la coperta misurasse, in cifra tonda, 150 metri quadrati.
Ma tale superficie non era quella a disposizione dei passeggeri; per
giungere a quest'ultima dai 150 metri quadrati occorre anzitutto
detrarre quella destinata ai rematori, ossia indispensabile per la voga.
Come abbiamo visto, il testo parla di 50 vogatori, ognuno dei quali
doveva azionare un remo la cui lunghezza si puo calcolare sui sei metri
in funzione di un bordo libero (ossia la fiancata della nave tra linea di

37

galleggiamento e la coperta) di 40 centimetri al minimo.


Per i nostri calcoli ci siamo basati su dati relativi alle galee, bastimenti
invero di molto posteriori a quelli di Annone, ma che presentavano
problemi di propulsione rimasti invariati per secoli, anzi per millenni.
La migliore agibilita del remo, che sostanzialmente e una leva di secondo genere, si aveva quando il peso della parte estema al bastimento era
bUanciato da quella dell'intema
cio si otteneva in genere facendo
sporgere i remi per 2/3 fuori del bordo.
Nel caso di un remo di sei metri, due di essi sporgevano in coperta; assegnando ai vogatori, 25 per banda, una distanza di 90 centimetri (8),
avremo 90 metri, in cifra tonda, da togliere ai suddetti 150.
Un'ulteriore diminuzione, almeno 20 metri quadrati, si avrebbe per lo
spazio da lasciare libero, indispensabile per le manovre di bordo.
Concludendo, si puo quindi dire che rimanessero disponibili circa 40
metri quadrati di coperta.
Inammissibile ci appare I'ipotesi di una sistemazione della gente nella
stiva, e cio per molteplici ragioni: le condizioni di vita, soprattutto per
un viaggio in zone tropicali; la necessita di occupare la stiva stessa
con le prowiste, specialmente I'approwigionamento idrico ed i materiali necessari alia spedizione; e, infine, pure il fatto che comunque
non si aviebbe avuto lo spazio sufficiente per 500 persone.
Valga in proposito il fatto che il Merrien^^)accenna, in base alle norme regolanti nel Medioevo I'imbarco dei pellegrini a Marsiglia diretti in Terrasanta, ad una superficie di cm. 185 x 65, ossia mq. 1,20
circa, richiesti per due passeggeri; il riferimento alia coppia e dovuto
al fatto che, onde economizzare lo spazio, per dormire i viaggiatori si
dovevano disporre a due a due ma con la testa dell'uno contro i piedi
dell'altro, e non faccia a faccia.
Pure I'ipotesi che si trattasse di passeggeri trasportati accoccolati aU'orientale e sbarcati a terra ogni sera, in quanto i bastimenti effettuavano una navigazione diuma e costiera, non regge alia piu elementare critica, anche in rapporto al fatto che in sostanza si trattava di un viaggio
di esplorazione, in terre incognite, dove I'atterraggio poteva riuscire
rischioso e problematico.
Comunque l'accenno ad una possibile navigazione costiera si deve intendere anche per un procedere semplicemente in vista della terra,
ma su quest'argomento ritomeremo in seguito.
In ogni caso anche U numero dei passeggeri accoccolati poteva calcolarsi al massimo a 200 persone per bastimento.
Noi abbiamo contemplate il caso di im bastimento pontato, ma le no38

stre considerazioni sarebbero anche valide, ed a maggior ragione, per un


legno privo di coperta, certamente pero non usato in questa circostanza.
Per completezza di trattazione vogliamo pure considerare il caso dello
impiego di biremi, intese come bastimenti portanti due ordini sovrapposti di remi.
E' un tipo di bastimento che sappiamo presente nella marineriadei Fenici, ma pensiamo fosse un legno esclusivamente da guerra^^^^ ; in rapporto alia storia navale trattasi dell'unico tipo di bastimento ad ordini sovrapposti di remi sicuramente esistito.
Incidentalmente notiamo che devesi ritenere erroneo il significato di
bastimento a tre, quattro, cinque ordini di remi, dato rispettivamente
alle parole trireme, quadrireme, quinquireme; i termini stavano, e stanno, piu precisamente ad indicare legni con tre, quattro, cinque vogatori per remo, o meglio per banco.
Talora anche il termine bireme ebbe significato analogo nel senso di
due vogatori per remo o per banco.
In ogni caso delle biremi fenicie tratteremo in modo alquanto particolareggiato, anche perche apparentemente possono presentare una molto
maggiore possibilita d'imbarco di gente, rispetto ai legni ad un solo ordine di remi.
Di queste biremi fenicie, che pure vennero adottate dai Greci, sono
giunte a noi alcune rappresentazioni in base alle quali il De Luna ^^^^
ritenne di poter assegnare a tali bastimenti le seguenti dimensioni di
massima:
lunghezza in chiglia
m. 20
larghezza massima
m. 6
puntale (altezza dalla
chiglia alia coperta)
m. 4
pescaggio
m. 1,5
In base a tali dati e da osservare anzitutto che doveva trattarsi di bastimenti di notevole dislocamento, necessitanti di infrastruttiire portuali e quindi non adatti a viaggi di esplorazione.
La loro struttura rispondeva invece all'impiego bellico, dato che in battaglia i vogatori della linea superiore si trasformavano in combattenti
e quelli della linea inferiore, trovandosi dalla coperta superiore riparati dalle offese nemiche, potevano continuare a remare assicurando cosi
la manovrabilita, sia pure rallentata, del bastimento.
Proseguendo in una particolare disanima, possiamo ritenere che per
fiancata vi fossero 13 vogatori sulla coperta superiore e 12 in quella in-

39

feriore, sempre tenendo cosi fermo il numero di 50 vogatori per bastimento indicate nel "periplo".
Calcoliamo che la coperta piii bassa emergesse dall'acqua 40 centimetri, come nel caso precedente, e quella superiore emergesse invece due
metri; corrispondentemente I'altezza della stiva risulterebbe tra m. 1,50
e m. 2, mentre sui due metri si ^girerebbe I'interponte ossia lo spazio
tra le due coperte.
Sono dati che trovano perfetta rispondenza nautica, e risultano quindi
pienamente accettabili. Essi sono pero semplicemente intesi a fornire
cifre orientative e pertanto non e stato tenuto conto, nel determinarli, dello spessore del materiale ligneo impiegato per la costruzione delle
due coperte, dell'altezza della chiglia, ecc...
In base alle cifre suesposte, e considerando ancora la lunghezza massima
di 30 metri, si possono calcolare, in aggiunta ai mq. 150 del caso precedente, qui pero assegnati alia coperta superiore, altri mq. 110 per la coperta inferiore, con un totale quindi di mq. 260.
Anche qui passiamo a calcolare le deduzioni che si debbono portare
a quest'ultima cifra per avere la superficie a disposizione dei viaggiatori.
I vogatori della coperta superiore dovevano owiamente usare remi piii
lunghi di quelli considerati nel caso precedente e quindi necessitavano,
unitariamente, di uno spazio maggiore, che possiamo fissare a m. 2,50
per 0,90, ossia a mq. 2,25, dando un totale, per 26 persone, di mq.68
circa.
Si potrebbe qui obiettare che i remi della coperta superiore dovevano essere assai lunghi, una decina di metri circa, risultando quindi di difficile maneggio a causa del loro elevato peso, e che con i suddetti m. 2,50
sporgenti verso I'interno non rispondevano alle condizionni di equilibrio, presupposto di buona agibilita, gia messe in evidenza.
Circa la prima obiezione notiamo che il Fincati ^^^^ riusci a stabilire, riferendosi alle galee venete, che un remo limgo circa 11 metri pesava al
massimo una sessantina di chili e poteva venir azionato da vm solo uomo; circa la seconda obiezione, quella dell'equilibrio, osserviamo che
talora neUe galee il peso della parte estema del remo veniva equilibrate con quelle dell'intema, appesantendo quest'ultima con I'aggiunta
di piombe.
Proseguendo nella nostra analisi, dobbiamo calcolare uan detraziene di
almeno ima ventina di metri quadrati da lasciare liberi per la manovra
di bordo; sono quindi 88 metri quadrati da togliere ai 150 complessivi,
per cui la superficie utUizzabile per i passeggeri si riduce a mq. 62.
Circa la coperta inferiore la detrazione per i 24 vogatori puo calcolar40

si a mq.43, ma anche qui vi e, inoltre, da togliere la superficie indispensabile per la manovra, pure valutabile a mq. 20; di conseguenza i metri
quadrati usufmibUi dai passeggeri si riducono a 57.
Con le due coperte abbiamo complessivamente mq. 119 per il trasporto dei coloni, ed anche qui sono troppo pochi per imbarcame 500.
Anche nel caso della bireme sono valide le osservazioni critiche (viaggiatori in stiva, accocolati, ecc.) fatte in rapporto ad ipotesi gia avanzate per cercare di spiegare la cifra di 500 persone per bastimento riportata
nel "periplo".
Rammentiamo ancora che con i nostri calcoli abbiamo semplicemente
teso a stabilire ordini di grandezza di cifre, le quali possono pero farci
senz'altro concludere che il numero di 500 persone per bastimento e
impossibUe, per cui la cifra di 30.000 coloni riportata dal periplo appare errata.
Ma le cifre stesse ci diraostrano che neppure le 3000 persone menzionate da taluni autori, ai quali era risultata I'inverosimiglianza delle 30.000
indicate nel "periplo"stesso, potevano essere imbarcate sulla flotta di
Annone. Nella realta sarebbero state, soprattutto per motivi igienici,
poco piu di mille, forse 1200 al massimo.
Qui si puo trarre un'altra considerazione, che puo anche infirmare il
valore del "periplo" come fonte veridica: le 1000/1200 persone trasportate sarebbero state, nel complesso, in numero troppo esiguo per popolare tutte le colonie risultanti dal "periplo" stesso.
Ammettendo al "periplo", magari in via ipotetica, una base di veridicita, puo sorgere una domanda, quella della ragione per la quale la spedizione di Annone venne effettuata con bastimenti sottili anziche
rotondi. La scelta puo apparire anche strana in quanto e accertato che
proprio ai Fenici si deve il primo impiego, o meglio la scoperta, dei bastimenti rotondi, i quali, si noti, costituirono in ogni tempo lo stmmento piu valido per i viaggi di esplorazione ^^^K
II problema comporta molteplici elementi di valutazione, tra loro collegati, nell'ambito della storia navale e della geografia fisica, nonche
della storia delle esplorazioni.
Gia abbiamo accennato che il bastimento sottile era costruito per rispondere prevalentemente alle necessita deUa propulsione remica; di
conseguenza aveva un bordo libero, ossia la parte della fiancata tra la
linea del galleggiamento e la coperta, assai basso, risultando quindi,
anche per le sue forme strette ed allungate, non troppo adatto alia navigazione con mare agitato; ed in proposito nell'antichita e nel Medioevo disposizioni di legge proibivano la navigazione dei legni sottili nel41

la cattiva stagione.
Inoltre la fonte di energia, data dalla forza dell'uomo, disponibUe per
la voga si esauriva rapidamente, per cui nei lunghi percorsi i rematori venivano impiegatialtemativamente a squadre, con la conseguenza che essi
non venivano impiegati contemporaneamente, onde quella che modernamente potrebbe definirsi la velocita di crociera del bastimento risultava assai ridotta
.
I bastimenti sottili erano quindi provvisti anche di una conveniente armatura velica, che usavano in ogni favorevole occasione.
II bastimento rotondo rispondeva invece alle necessita della propulsione velica e risultava di bordo libero molto piu alto, possedendo inoltre
una maggiore larghezza che ne aumentava ancora le qualita nautiche.
E' da aggiungere che il bastimento rotondo presentava il vantaggio di
valersi di una fonte di energia, il vento, praticamente inesauribile e
gratuita, e di consentire una grande capacita di carico impossibile, a
parita di lunghezza, nel bastimento sottile, il quale richiedeva inoltre
un equipaggio relativamente molto piu numeroso, complicando cosi il
problema delle prowiste di bordo.
Tutti questi fattori spiegano perche i viaggi di esplorazione dell'epoca
delle grandi scoperte geografiche vennero effettuati con bastimenti costruiti per procedere a vela.
Ma nel caso specifico del viaggio di Annone I'apparente anomalia della
scelta del bastimento sottile, quando gia i Fenici ne possedevano di
rotondi, e certamente dipesa da una condizione particolare data dalla
difficolta, per non dire dell'impossibUita, che altrimenti avrebbe presentato il viaggio di ritomo.
A questa conclusione siamo giunti considerando anzitutto che nell'antichita nei maggiori bastimenti si usavano vele quadre, e non latine od
a tarchia, ma sull'argomento ritomeremo in maniera piu particolareggiata in seguito.
La vela quadra presenta I'inconveniente di non essere molto adatta
alia navigazione di bolina, necessaria quando il vento spira in senso
contrario a quello della rotta da seguire.
Nell'andata gli Alisei, venti costanti da NE, risultavano favorevoli per
procedere verso il Sud, ma al ritomo costituivano un fattore negative
per risalire edle Colonne d'Ercole.
E' un problema che ebbe a presentarsi ai Portoghesi nei secoli XIV eXV,
quando intrapresero 1'esplorazione delle coste africane alio scopo di
stabilire una nuova via per le Indie Orientali.
Tale problema venne risolto nel modo migliore con I'uso di bastimenti a vele latine, le caravelle, le quali consentivano di stringere maggior42

mente il vento e quindi di viaggiare di bolina con maggiore facilita.


Le caravelle seguivano al ritomo una rotta, detta "volta", che consentiva loro di procedere verso NO tagliando gli Alisei: giunte all'altezza
delle Azzorre, facevano vela alia volta dell'Europa
Questo non era pero possibUe ai bastimenti di Annone, per la mancanza
di un sistema velico corrispondente: da cio la necessita di procedere lungo la costa, a remi, valendosi di particolari situazioni di cui diremo.
Sviluppando I'argomento, dobbiamo anzitutto richiamare, per il necessario inquadramento, qualche dato sul regime dei venti e delle correnti lungo le coste marocchine e sahariane, cioe dove il racconto
del "periplo" puo trovare una qualche rispondenza alia realta ed ha dato luogo a discussioni meno ample.
Gli Alisei sono venti che dalle fasce subtropicali di alta presione spirano verso la zona equatoriale di bassa pressione.
Nel settore atlantico dell'emisfero boreale, cioe in quello che a noi interessa, essi si riscontrano in vicinanza della costa tra 5 e 30 in invemo,
e tra 15 e 35 , in estate, di latitudine Nord, con forza media stimata
tra il terzo e il quarto grado della scala Beaufort; provengono da NE
con costante regolarita.
Gli Alisei erano di particolare ausUio nella navigazione a vela, tanto
che dagli Inglesi ebbero il nome di "trade-winds", ossia venti del commercio.
Di minore determinazione ma pur sempre elemento favorevole, procedendo verso Sud, puo considerarsi la corrente delle Canarie, che da Capo
S. Vincenzo a Capo Yubi ha direzione S o SSO, per deviare poi verso
il largo, acquistando, nel suo procedere, maggiore velocita, sino a raggiungere due nodi aU'ora nel caso di forti venti da Nord. Si ritiene pero
che in genere essa non superi U mezzo nodo di velocita oraria.
Lungo la costa il regime dei venti che abbiamo visto in precedenza e
modificato dalle brezze di mare, che spirano cioe dal mare verso terra,
le quali generalmente durano da tre a quattro ore dopo il sorgere del
sole ad un'ora prima del tramonto.
Risulta pertanto che un bastimento risalente la costa verso Settentrione verra investito dal vento di fianco e non frontalmente, per cui avra
una molto maggiore possibilita di procedere.
Ed e un procedere possibile, in rapporto a quanto abbiamo detto circa I'armatura velica delle navi di Annone, inadatta alia navigazione di
bolina, solamente a bastimenti a remi.
Dobbiamo qui fare un parallelo tra Annone ed i Portoghesi: pure questi ultimi usarono nelle loro prime esplorazioni lungo le coste deU'Africa Occidentale, e prima delle caravelle, un bastimento sottile, il "bari43

nel" o "varinel" (^^^


Ci siamo naturalmente limitati a schematizzare la situazione, senza
scendere a particolarita locali possibili, anzi certe, lungo la costa tra
Capo Spartel e Capo Yubi,
In queste notizie di interesse nautico ci siamo valsi di recente fonti ufficiali francesi, certamente le piii particolareggiate nella materia, (^'^^
ma non abbiamo tenuto conto della deviazione verso NO dell'Aliseo di
NE a causa delle brezze di mare, in quanto il fenomeno riportato nelle
istruzioni ai naviganti ^^^^necessariamente si osserva alquanto al largo
ed in ogni caso non avrebbe potuto recare vantaggi di sorta ai bastimenti di Annone.
Riteniamo inoltre che gli elementi climatici considerati, attuali, fossero
uguali anche al tempo di Annone^^^^.
Sotto un particolare punto di vista si potrebbe anche dire che la rotta
di Annone, e la conseguente sua scelta di bastimenti sottUi, venne condizionata dal fatto che egh non conosceva la vela latina, particolarmente rispondente alia navigazione di bolina.
Riteniamo utile, sempre per completezza di trattazione, accennare anche al problema della conoscenza di tale vela nell'antichita, riferendoci
alle piii recenti risultanze dell'indagine.
In senso affermativo ebbe a pronunciarsi il Casson^^^^ provocando
un dibattito al quale intervennero sia il La Roerie^^^^ sia il Lebaron
Bowen jr. ^^^^ pure trattando delle vela a tarchia
Senza approfondire, per ragioni di spazio, I'argomento, si puo concludere che, se mai, vela latina e vela a tarchia furono nell'antichita di uso
strettamente locale e limitate a scafi minori, comunque con una assegnazione di epoca, in base alia documentazione prodotta, di parecchio
posteriore a quella del viaggio di Annone, con tutta probabilita la meta
dell'ultimo millennio avanti Cristo.
Troppo pochi, anzi limitati alia sola indicazione di 50 vogatori, sono gli
elementi del "periplo" per consentire una esatta individuazione dei bastimenti di Annone.
Si puo solamente avanzare I'ipotesi che, secondo la terminologia greca,
si trattasse di "monere", cioe ad un solo ordine di remi, e precisamente
di "pentacontere", ossia con 50 remi, ciascuno mosso da un vogatore.
E' un tipo di bastimento assai conosciuto, il quale ebbe larga diffusione
tra la gente mediterranea, per un naturale scambio di conoscenze favorite dai contatti marittimi.
44

3 La navigazione di Annone.
Su questo argomento abbiamo gia
dovuto alquanto soffermarci, considerandolo quale elemento determinante per la scelta, da parte di Annone, di bastimenti sottili anziche
rotondi; qui ritomiamo sulla materia, ma da un punto di vista pivi generale, coll'intento di verificare se dal "periplo" emergano elementi nautici, i quali possano servirci di ausilio, siti nel documento menzionato.
Per fare cio ci varremo anche di elementi storici a carattere generale,
awertendo che limiteremo la nostra indagine al percorso per raggiungere I'ultima colonia menzionata dal documento, Ceme, e in quest'ultima localita ci soffermeremo anzi in un paragrafo a se stante.
Una prima constatazione probabile e quella che, trattando delle rotte,
nel periplo si fa riferimento solamente a tre punti cardinal! (E, S, O),
ed il Nord non vi ricorre in quanto mai si presentano situazioni in cui
sia necessario citarlo, e manca assolutamente ogni accenno a rombi
intermedi (SO, SE, ecc).
Si puo quindi pensare che tali rombi o non fossero noti, il che appare
strano, o non venissero usati dai Fenici, magari per la mancanza di una
adeguata stmmentazione per determinarli; piu facile risultava infatti lo
stabUire I'Oriente e I'Occidente semplicemente in base al corso del sole.
Di conseguenza nel caso specifico e riferendosi alia navigazione lungo le
coste deU'Africa Minore,rindicazione " S u d " portata dal "periplo" deve
piii realmente riferirsi al Sud-Ovest.
Un elemento di larga massima, ma comunque da tenersi in considerazione, per la localizzazione delle unita geografiche menzionate nel "perip l o " potrebbe essere dato dalla valutazione del possibUe percorso coperto dai bastimenti in una giornata, U quale risulta a sua volta in funzione deUa velocita oraria sviluppata.
Molteplici pero sono i fattori che possono avere influenza sulla velocita, e nel caso nostro manchiamo inoltre di una tratta certa aUa quale
fare riferimento come parametro.
Possiamo quindi solamente trattare, ed a carattere generale, deUa velocita dei bastimenti dei tempi di Annone, riportando U punto di vista
espresso suU'argomento da taluni autori.
Riferendosi esplicitamente al "periplo", lo Zeni ^^^^ valuta un percorso giomaliero di circa 65 chUometri, per 12 ore di supposta navigazione
diuma.
Per considerare tale cifra ed inserirla opportunamente neUa nostra trattazione occorre, ammessa senz'altro in via ipotetica una navigazione
esclusivamente diurna, tenere presente che Annone deve logicamente
45

aver effettuato a viaggio nella buona stagione, quando il giorno solare


doveva presentare una durata di luce superiore alle 12 ore: per rimanere nell'ambiente in cui si suppone che Annone abbia operato, abbiamo
alia lat. 30 N il giorno piii lungo della durata di 13h 56'.
Ma per una valutazione completa occorrerebbe tener conto pure del crepuscolo (meglio dell'alba e del crepuscolo), e si arriverebbe ad una novantina, al massimo, di chilometri al giorno.
Tutto sommato, la cifra dello Zeni corrisponderebbe, per 14 ore di luce,
ad una velocita oraria di Km. 4,5 solamente.
Siamo, percio, come si vede, nell'ordine di grandezza dei 100 chilometri
al giomo ammesso dal Del Turco ^^^^
Ma a quest'ordine di grandezza giunge sostanzialmente anche il Vars ^ ',
sulla scorta di dati desunti da Erodoto; da Marciano, il quale propende per una distanza media di 1200 stadi percorsi in 24 ore; calcolando lo stadio di 185 metri, si hanno corrispondentemente 222
chilometri, ossia 111 nella mezza giornata.
Noi pensiamo pero che la navigazione di Annone sia stata assia piii
in quanto trattavasi di un convoglio, il quale doveva regolare la propria
andatura sulla base di quella del bastimento meno veloce.
Comunque noi abbiamo inteso riferirci semplicemente ad un ordine di
grandezza di cifre sufficientemente verificato.
In ogni caso il problema della valutazione delle distanze e complicate
dal fatto che, come gia abbiamo accennato, Annone effettuava certamente una navigazione costiera, intesa non come rotta parallela alia
costa, bensi semplicemente come rotta in vista della costa stessa, particolarmente tra capo e capo e tagliando gli archi dati dai golfi secondo
la loro corda.
Ci proponiamo ora di vedere se le localita della rotta costiera rilevabile
dal "periplo" possono trovare ancora una qualche rispondenza nello
ambiente geografico-fisico attuale, e la prima notizia in proposito (punto 2) e queUa della fondazione della citta di Timiaterio, ai cui piedi
si sarebbe trovata una grande pianura.
Larache, con la sua cittadella, potrebbe presentare una certa quale
analogia con Timiaterio, evidentemente edificata su di una eminenza
in quanto ai suoi piedi trovasi, come abbiamo visto, una grande pianura.
In effetti tale pianura esiste, ed in essa scorre il fiume Lucus, alia cui
foce, sulla riva sinistra trovasi appunto Larache.
Per ima valutazione globale e da rilevare che la foce del Lucus poteva
costituire un porto naturale non disprezzabile.
46

Timiaterio venne raggiunto dopo due giorni di navigazione dalle Colonne d'Ercole, dalle quali Larache dista circa 140 chilometri.
Abbiamo qui un altro elemento di coincidenza tra le due localita, in
quanto la distanza di 140 chilometri e effettivamente percorribile in
due giorni in base all'ordine di grandezza delle velocita rilevato per
il convoglio di Annone.
II racconto riporta poi che navigando verso Occidente ( ma il tempo di
percorrenza non e indicate), la spedizione giunse a Solunte, promontorie libico coperte di alberi.
Le attuali istruzioni nautiche accennano ad una coUina boscosa, alta
100 metri, sorgente presso la costa a 27 miglia (circa 50 chilometri)
piii a Sud, ma a rigore non corrisponde ora ad un promontorio vero e
proprio.
Proseguendo ancora (punto 2) il "periplo" riporta che i naviganti, dopo
avere eretto a Solunte un tempio a Nettuno, di nuovo volsero verso
Oriente per mezza giornata sinche giunsero ad una palude non lontana
dal mare, plena di grosse canne, nella quale erano elefanti ed altre bestie
che pascolavano.
In dubbio si puo porre I'erezione di un tempio vero e proprio, dato il
tempo di costmzione che avrebbe richiesto, mentre si puo senz'altro
accettare la presenza degli elefanti, in quanto si sa di una loro diffusione in Marocco anche in tempi storici.
Ancora al presente la costa a Sud,meglio a SO. della coUina porta alle
spalle, sino a Medhia^numerose lagvme, e quindi vi sarebbe una sostanziale corrispondenza tra I'ambiente geografico di allora e quello attuale.
Secondo la carta n. 1228 dell'Ammiragliato Inglese la lunghezza complessiva di tali lagune o stagni si aggirerebbe sui 46 chilometri, ma dalI'atlante (ed. 1905) dello Stieler (carta n. 69) risvdterebbe alquanto
maggiore, grosso modo sui 65 chilometri, raggiungendo il Sebii.
Di difficile interpretazione puo invece apparire l'accenno ad una navigazione di mezza giomata verso Oriente: una ipotesi che si puo validamente avanzare per spiegare la cosa e quella dell'ingresso del convoglio in tali stagni, magari per effettuare I'approvigionamento idrico dei
bastimenti, ossia per risolvere un problema sempre ricorrente in modo
grave nei viaggi dell'antichita.
Possibilissima, anzi certa, e una variazione dell'ambiente costiero considerato, awenuta in tempi storici, particolarmente per un processo
involutivo delle lagune costiere le quali hanno la tendenza a colmarsi<27); quindi in passato le condizioni di navigabilita vi dovevano
essere migliori.
Dato U poco pescaggio delle navi sottili antiche, che per quelle qui con47

siderate pensiamo non superasse il metro e mezzo, I'ingresso e la navigazione nelle lagune non appare inverosimile, anzi e senz'altro ammissibUe.
Del resto anche la lettura del testo del "periplo" suffragherebbe I'ipotesi che abbiamo avanzato, in quanto dice che la spedizione giunse "ad
una palude", e non nei pressi della stessa.
Circa la mezza giornata di navigazione, magari apparentemente eccessiva per un percorso certamente breve, possiamo pensare ad un riferimento a tutto il convoglio, il quale certamente dovette procedere in linea
di fila lungo il canale di accesso alia laguna.
Troviamo poi, al punto 5, che la spedizione, passata oltre la palude per
una giornata di navigazione, popolo di coloni le citta vicine al mare, precisamente le fortezze di Carico, Gitta, Acra, Mehta, Arambi.
Sono localita la cui identificazione risulta ora impossibile, ed in ogni caso riesce difficile il dire se si trattasse di citta vere e proprie o di semplici fortezze, ma doveva trattarsi comunque di insediamenti preesistenti.
Partendo dal concetto dianzi espresso di una navigazione nella laguna,
riteniamo che la spedizione abbia nuovamente proceduto in mare aperto dalla foce del Sebu, e da li debbasi calcolare il giomo di navigazione
indicate dal documento; successivamente, come vedremo in seguito, la
spedizione giunse al fiume Lisso, a nostro parere identificabile con lo
attuale Oum er Ribia, pertanto sul tratto di costa tra i due corsi di
acqua, valutabile a Km. 250 circa, avrebbero dovuto trovarsi le suddette
cinque localita.
Effettivamente avrebbe dovuto pero trattarsi di una tratta minore, tenuto conto della giomata di navigazione effettuata prima di incontrare
le localita in questione.
Ma ben strano, nel quadro di un'espansione fenicia, apparirebbe il raggmppamento di tanti centri o fortezze in uno spazio relativamente
breve, in quanto contrastante col sistema dei punti di scambio, necessariamente distanziati, in quanto tra loro non dovevano esistere elementi concorrenziali.
Ma a complicare ogni tentative di identificazione delle cinque localita
sta la lettura stessa del teste stesso.
Tali localita vengono dette vicine al mare, e non sul mare, poi, al punto
6 si dice che da qui la spedizione presegui con le navi sine al fiume Lisso.
II qui potrebbe riferirsi ad Arambi, I'ultima delle cinque localita nominate, la quale figurerebbe come porto d'imbarco, f)ertante a rigore non
vicine al mare ma sul mare stesso.
48

L'accenno alia prosecuzione con le navi confermerebbe non solo I'ipotesi di un porto d'imbarco, ma anche quella che la spedizione, per sue
particolari finalita, abbia effettuate un percorso terrestre toccante localita prossime al mare, ma sul mare propriamente non poste; altrimenti
l'accenno stesso sarebbe pleonastico.
In altri termini e da pensare che una parte della spedizione abbia
eseguito uno sbarco, effettuando per le sue finalita un percorso terrestre
e tomando poi ad imbarcarsi piu a Sud.
La conoscenza di tali finahta potrebbe riuscire di valido ausilio in un
tentative di localizzazione, ma: I'ignoranza delle finalita stesse rende la
cosa impossibile.
Al punto 6 il racconto riporta che la spedizione giunse al grande fiume
Lisso, avente la sorgente in Libia.
E' accenno implicito ad un fiume dal corse assai lungo, ed a tale caratteristica corrisponde I'Oum er Ribia, che sbocca in un golfo tra la Punta
di Azemour e il Capo El Jadida (Mazagan); alia sua foce, in riva destra,
e ora una cittadina pure deneminata Azemour.
Trattasi del fiume piu importante del Marocco, lunge circa 600 chilometri, nascente nel Medio Atlante, cioe in quella terra di grandi montagne alia quale ci accenna nel successive punto 7; la sua portata varia
tra i 40 ed i 2000 mc/sec.
Una barra impedisce ora I'accesso dal mare ad Azemour.
Dal fiume Lisso la spedizione, secondo quanto segna al punto 8 il "periplo", navigo verso Mezzogiomo lungo il deserto per due giomi, e poi
volse ad Est per un giomo, giungendo ad un golfo in cui si trovava una
isoletta che venne colonizzata e chiamate Ceme.
A parte il problema della localizzazione di Ceme, del quale tratteremo
in seguito, queste passo e a nostro awiso uno dei piii chiari del racconto
e spiegabile in mode che potrebbe dirsi elementare in base a censidarazioni nautiche, quantunque taluni autori lo abbiano considerate ceme
uno dei piu centroversi del racconto di Annone.
Dalla foce del Lisso Annone raggiunse a forza di remi il largo, dove spiravano gh Alisei che prese in poppa, venendo trasportato verso SO, e
poi volse ad Est nuovamente valendosi della voga^^^^.
Pensiamo che cosi Annone abbia raggiunto Mogader, nei cui pressi riteniamo si debba cellocare Ceme.
Abbiamo infatti piii volte espresso I'idea che Annone seguisse una rotta
costiera, piii precisamente in vista della terra, e questa condizione ebbe
certamente a verificarsi anche nel caso che qui direttamente trattiamo.
Le Istmzioni Nautiche Francesi, cui gia in precedenza ci siamo riferiti,
riportano che la rotta diretta Capo Spartel-Capo Juby passa, oltre che
49

in altre tratte, in vista della terra tra Capo Mazagan, vicino al Oum er
Ribia, e Capo Sim, per circa 70 miglia, ossia 130 chUometri.
Capo Sim e poco oltre Mogador, e da esso la costa volge decisamente a
Sud, venendo cosi perduta di vista dal navigatore al largo; logico risiJta
quindi U pensare che a tale altezza Annone abbia deviato verso Est,
giungendo cosi nei pressi di Mogador.
Abbiamo ancora da trattare del punto in cui Annone parla della navigazione lungo il deserto.
La fonte francese che abbiamo piCi volte citata accenna a dune che seguono in gran parte la costa, e cio puo spiegcure U riferimento all'ambiente
desertico, rimasto invariato nel tempo, che troviamo nel "periplo".
Dobbiamo pure rilevare che i tempi di percorrenza riportati nel racconto trovano larga rispondenza nelle possibUita nautiche.
L'accettazione di quest'ultima constatazione comporta implicitamente
I'ammissione di una navigazione nottuma da parte dei Libofenici, che
ricorre invece espUcitamente in un punto successive, U 16 , del racconto; cola si> accenna al fatto che, dopo aver navigato per quattro giomi,
scorsero di notte una terra plena di fuochi, con un fuoco piii alto U
quale di giomo si rivelo essere un altissimo monte chiamato "Carro degli
Dei".
Riferiamo U testo sempUcemente come dichiarazione dei Fenici dello
esercizio della navigazione anche nottuma; del resto si sa che U valore
orientativo deUa Stella Polare e conosciuto sin dalla piu remota antichita.(29)

In ogni caso ci asteniamo, come abbiamo premesso, dal trattare in modo approfondito del viaggio di Annone oltre Ceme.
Un argomento che potrebbe coUegarsi aUa rotta di ritorno della spedizione di Annone e dato dall'ipotetica conoscenza deUe Azzorre da parte dei Fenici.
Infatti, ammettendo tale conoscenza, potrebbe anche supporsi che gia
i Fenici seguissero la rotta deUe "volta", poi praticata dai Portognesi
due mUlenni piu tardi. Le nostre deduzioni sulla rotta di ritomo del
"periplo" potrebbero essere cosi magari poste in discussione, a prescindere dal fatto che le abbiamo basate, come fattore determinante sul tipo dei bastimenti impiegati.
A favore deUa conoscenza stessa si suole portare I'asserito ritrovamento
di alcuni reperti archeologici, i quali sarebbero pero andati poi dispersi, a Corvo ed a S. Michele; deU'argomento tratta ampiamente U Gaffarel ^^^^ , ma in senso negative, penendoli anzi in dubbio, pure avan50

zando I'ipotesi che le Azzorre fossero le Isole Cassiteridi, un arcipelago


dal quale i Fenici traevane lo s t ^ n o , del quale pero alle Azzorre non vi
e traccia.
La localizzazione delle Cassiteridi e pero un problema a parte, del quale tuttora si discute^^-^^ pure essendovi la propensione ad identificarle con le Isole ScUly, in InghUterra.
Un autore oortoghese, U Madeiros, giunge a definire gli asseriti ritrovamenti come parto di fantasia
, e recentemente U Morisen (33)neppure li cita, pur trattando delle Azzorre.
Ad ogni modo anche uno dei piii strenui assertori dei Fenici alle Azzorre, I'Herrmann^^^) ritiene che essi vi fossero giunti circa U 320 a. Cr. ,
cioe assai dope U "periplo", per cui nei nostri riguardi la materia e
comunque sorpassata.
4 La localizzazione di Ceme. Come gia abbiamo accennato, al punto 8 del "periplo" e fra I'altro detto che la spedizione, dopo aver navigato lungo U deserto per due giomi verso Sud e poi per un giomo verso Est, trove nel recesso di un golfo un'isola avente cinque stadi di perimetro che venne colonizzata e chiamata Ceme.
Osserviamo pero che U MiiUer^^^^ dopo aver riportato nella traduzione dal greco al latine la cifra "due", la fa seguire tra parentesi dalla
cifra " 1 2 " , ed in neta ne spiega U perche: partendo dal concetto di localizzare Ceme molto a Sud, treva che i due giomi di navigazione sono
troppo pochi, e pensa quindi ad un errore del teste cosi come a noi e
pervenuto.
La cifra 12 appare poi anche nella traduzione del "periplo" fatta dal
Cazeneuve nel 1885 (36) .
Sostanzialmente riteniamo che I'ipotesi del maggior tempo di percorrenza sia stata avanzata sotto la spinta deUa necessita di ottenere una
quadratura di cifre partendo dal presupposto, ammesso a priori magari
con troppa facUita, dell'identificazione di Ceme con terre troppo lontane, e particolarmente con I'lsela di Heme nel Golfo del Rio de Ore,
ma su questo ultimo argomento ritomeremo ampiamente in seguito.
Secondo la narrazione, Ceme fu I'ultima terra colonizzata: si potrebbe
dire che a Ceme finisca U viaggio di asserita colenizzazione e si inizi quelle di esplorazione vera e propria, del quale pero non ci eccuperemo
che indirettamente.
La localizzazione di Cerne esulerebbe, a rigore, dalle finalita della nosta trattazione, ma ce ne eccuperemo lo stesso in quanto essa puo fornirci elementi di valutazione circa I'idoneita dei mezzi navali al viaggio
intrapreso da Annone.
51

Seguendo il racconto, Ceme dovrebbe essere I'ultimo elemento geografico di sicura localizzazione nella rotta seguita, per cui ci si presenta
un ulteriore motivo per trattare anche questo argomento.
Lungo la costa sahariana si protende verso S-SSO la penisola di Rio
de Oro o di El Dajla, lunga circa 23 miglia marine, che termina col Capo
Dunford (lat. 23 38' N) e forma un golfo, pure denominate di Rio de
Oro, sul quale si trova la cittadina di Villa Cisneros; in fondo a tale
golfo vi e I'isola Heme.
Aggiungiamo che, secondo il portolano francese, a Villa Cisneros la marea varia tra m. 0,80 e m. 1,90; il mare coprirebbe talvolta I'istmo della penisola di Rio de Oro e, con la bassa marea, I'isola di Heme si troverebbe talvolta in secco.
Sedotti dall'assonanza, taluni voUero vedere, come il Del Turco ^^"\
nell'attuale Heme la Ceme di Annone, appoggiandosi ad elucubrazioni
fUologiche e giungendo pure ad asserire che entrambe le isole presentavano un perimetro di eguale lunghezza.
Pensiamo che un'indagine basata su dati numerici debba farci respingere senz'altro tale conclusione, e questo proprio partendo dai cinque
stadi di perimetro, ad un dipresso 900 metri, indicati da Annone: ad
un tale perimetro si puo fare corrispondere una superficie tra i 6000
ed i 7000 metri quadrati, ossia tra i 6 ed i 7 ettari.
Riteniamo qui superfluo il disquisire se il perimetro si riferisca all'alta
od alia bassa marea, in quanto, suUa base dei dati numerici di comparazione che riporteremo in seguito, cio e irrilevante ai fini di ogni tentative di identificazione di Ceme con Heme.
Negli anni 1947 e 1948 I'lnstituto Espaiiol de Oceanegrafia promosse,
per redigere una carta per la pesca, ossia Tunica attivita economica di
qualche rilievo lungo la costa di quello che fu U Sahara Spagnolo, una
campagna di ricerche condotta dalla nave idrografica "Malaspina".
Con tale campagna vennero cerretti anche molti errori, gia notati in
rilievi cartografici, peraltro non pubblicati, dell'esercite spagnolo, che si
trevavano nella cartografia nautica spagnola della zona, vecchia pero
di quasi un secolo.
In base alle ricerche della "malaspina" venne compilata, nel 1950, una
carta in scala 1:500.000 (^8) in tre fogli, U secondo dei quali comprende pure il Golfo di Rio de Oro, dove I'isola Heme, di forma gresselanamente ellittica, si puo calcolare con dimensioni massime di
Km. 3,5 ed 1,5, per cui si dovrebbe assegnare all'isola stessa una superficie di almeno 4 chilometri quadrati, ossia 400 ettari centre i sei o sette
gia visti per la Ceme di Annone; sono, owiamente, semplici ordini di
pandezza, ma molto prebatori.

52

Inoltre Heme e alta, rocciosa, ed, essendo molto ben visibile dal mare,
serve di riferimento ai naviganti, venendo in proposito citata da tutte le
istmzioni nautiche cemprendenti I'ex Sahara Spagnolo.
A rendere chiaramente I'idea del paesaggio geografico di Heme riteniamo che valga la pena prendere in considerazione una fotegrafia dell'isela pubblicata da una rivista spagnola(^9).
I dati numerici e la visione dell'ambiente geografico comprovano gia
di per se la discordanza tra Ceme ed Heme, ma in proposito vi e un altro elemento, questo indiretto e di minore censistenza, pure emergente dal "periplo".
Sempre al punto 8, la narrazione di Annone riporta che Ceme distava
dalle Colonne d'Ercole quanto queste ultime da Cartagine.
Anche questo passe puo dare luogo a discussione, in quanto non e
chiaro se il riferimento fosse relative ai tempi di percorrenza oppure ad
una effettiva distanza nautica, peraltro allora impossibile a determinarsi
con attendibUita a causa della mancanza di ogni stmmentazione.
A maggior cemplicazione sta il fatte che doveva trattarsi per buona parte di una navigazione costiera, da intendersi ceme effettuata in vista
della terra, pero non rasentando la riva, ma tra cape e capo, sempre che
tale condizione di visibilita venisse a verificarsi.
Dobbiamo quindi procedere con appressimazioni successive, partendo
anzitutto daUe distanze nautiche secondo le rotte dirette, desunte dalle
tavele dell'Ammiragliato Inglese.
Da La Goletta (praticamente Cartagine) a Punta di Eurepa si hanno
Km. 1475, da quest'ultima ad Heme Km. 1755, con una differenza
di Km. 280, praticamente del 19 per cento.
Con questa differenza, e sempre ammettendo un'eguale lunghezza di
percorso, si arriverebbe nella zona di Cape Juby, in ogni caso senza serpassare verse Sud il Cape Bejador.
Ma, proprio lungo le coste atlantiche deU'Africa Occidentale, la rotta
costiera, cioe queUa di sicuro in gran parte seguita da Annone, particolarmente si stacca da quella diretta sopra considerata ed in base aUa
quale abbiamo tentato la prima comparazione.
Da Capo Startel a Punta Dumford abbiamo une svUuppo costiero di
circa Km. 2000, centre Km. 1650 deUa rotta diretta; sono si badi, sempre cifre approssimative e solamente intese a fornire elementi erientativi.
Nel quadre deUa comparazione deUe distanze Colonne d'Ercole-Cartagine e Colonne d'Ercole-Ceme, e, ripetiame, avendo Annone seguito
una rotta magari parzialmente costiera, ma comunque piii lunga di quella diretta gia citata, egU dovette incontrare ancora piu a Nord la lecali-

53

ta dove asseri di avere trovato Ceme; anche con criteri prudenziali


e di tutta larghezza, si puo ritenere che non abbia raggiunto Capo Nun.
Ci troviamo, di conseguenza, ancora piu a Nord di Capo Bojador, e considerando globalmente il "periplo", uno degli elementi che potrebbero
essere portati in discussione per infirmame la veridicita e proprio quello dell'implicito doppiamento di tale Capo.
II Capo Bojador (2607' N-19 29' 0), preceduto e contomato da scogli
sui quali il mare frange continuamente, costitui sempre un grave ostaco10 alia navigazione costiera deU'Africa Occidentale, tanto che solo nel
1433 i Portoghesi riuscirono a superarlo, nel quadro delle loro esplorazioni atlantiche.
Possono quindi avanzarsi dubbi non solo sul fatto che Annone lo abbia
superato coi mezzi di cui disponeva, ma anche, e piu, sulla possibUita
di mantenere legami regolari con una colonia posta a Meridione del Capo stesso, quale avrebbe dovuto essere la Ceme del Golfo di Rio de
Oro.
DaUe approssimazioni successive passiamo all'indagine dell'ambiente
geografico, per vedere se esistano isolotti i quali presentino reali possibilita di identificazione con la Ceme del "periplo".
Escludiamo alcuni isolotti rocciosi, perche piCi propriamente grandi
scogli, a Nord di Ifni e nei pressi di Agadir, e passiamo invece a considerare I'isolotto di Essouia, a Mogador (carta n. 3257 dell'Ammiragliato Inglese).
Mogador non e citta antica, essendo stata fondata nel sec. XVIII, ma nelI'isolotto di Essouia sono stati trovati reperti archeologici ^ \a
cui dei cocci con lettere a caratteri fenici e dei resti di ceramica di sicura provenienza del Mediterraneo Orientale, e quindi certamente trasportate da mercanti.
L'isolotto dista da terra circa un chUometro, e, secondo i dati rilevabi11 daUa carta, avrebbe dimensioni massime di m. 750 e m. 580 circa;
prossimo gli e un altro isolotto molto piii piccolo, quello di Fairoum.
Risulta subito che con tali dimensioni non puo esservi concordanza con
i cinque stadi di perimetro assegnati nel "periplo" a Ceme, e cadrebbe il vdore probatorio, ai fini deU'identificazione, dei suddetti reperti archeologici.
Dobbiamo pero rilevare che U MiiUer ('^^^avanza I'ipotesi che i cinque
stadi fossero effettivamente 15, ma e per noi di maggior rilievo la considerazione di possibUi movimenti epeirogenetici (bradisismi). Per la
zona di Mogador manchiamo di studi sicuri, che esistono pero per aree
vicine, tanto da poterci consentire una generalizzazione delle conclusioni.
54

Per I'Africa Occidentale spagnola Hemandez Pacheco ("^^^scrive che


neUa zona da lui studiata, la costa ebbe nei tempi storici ad innalzarsi tra i due ed i tre metri; e assai probabile che non si sia trattato di un
fenomeno localizzato, ma che si sia pure esteso, magari con minore ampiezza, al Nord, dove l'isolotto di Essouia si trova.
Di Ceme si ha pure menzione in un altro periplo^'*^) ^ queUo dello
Pseudo ScUlace.
Non e compito nostro I'entrare in discussione suUa persona dello ScUlace o suUa sua opera, da taluni ritenuta anche apocrifa, ma per i nostri
fini riteniamo sufficiente dire che essa e molto posteriore a quella di
Annone
e che I'autore quando tratta di localita a lui non troppo note, ne indica la distanza in giomata di navigazione, mentre negli
altri casi le fomisce in stadi.
Nel suo periplo, trattando in sostanza del percorso di Annone, ScUlace
riporta le seguenti distanze:
Colonne d'Ercole - Capo Hermes
gg. 2
Capo Hermes - Capo Soleis
gg. 3
Capo Soleis - Ceme
gg. 7
complessivamente
gg-12
Pure U racconto di ScUlace e lacunoso, forse anche in misura maggiore
di quanto non lo sia queUo di Annone; ad esempio in altra parte del suo
scritto, per la navigazione da Cartagine alle Colonne d'Ercole parla di
giomi e di notti, mentre per I'Atlantico menziona solamente giomi,
per cui si potrebbe pure avanzare I'ipotesi che si trattasse di una navigazione esclusivamente diuma, ma la cosa puo riuscire controversa.
II nostro interesse e pero limitato a Ceme, dove, sempre secondo ScUlace, i Cartaginesi si sarebbero recati con navi onerarie, sbarcando ed
alzando le loro tende. E' questo un particolare che coincide con la
mancanza di costmzioni murarie neU'isolotto di Essouia rUevata dagli scavi archeologici.
Del carico sbarcato a Ceme i Cartaginesi avrebbero fatto scambio
con gli Etiopi, trasportandolo nel vicino continente.
Anche nel periplo di ScUlace troviamo validi elementi a favore della
identificazione di Ceme con I'isola Essoquoira di Mogador.
Riteniamo di avere Ulustrato I'argomento di Ceme con sufficiente
larghezza, ma, circa U periplo di ScUlace, occorre una precisazione che si
riferisce al campo navale.
II MiiUer, neUa sua traduzione in latino del testo greco deUo ScUlace,
scrive che i Cartaginesi giungevano a Ceme con navi onerarie, che taluni autori definirono poi rotonde.
55

Nell'antichita la nave oneraria era il bastimento da carico che in genere


era rotondo, ma poteva anche essere sottile.
Rotondo, cioe costruito per la propulsione velica, era se destinato alle
merci di massa, mentre quelle pregiate si valevano di bastimenti sottili,
ossia rispondenti anche alle necessita della propulsione remica.
E' una situazione che vedremo persistere ancora nel Medioevo, ad esempio con le cocche che trasportavano dal Mediterraneo I'allume in InghUterra, mentre per le droghe suUa stessa rotta venivano usate particolari galee.
SuUa scorta di quanto abbiamo detto circa i tipi di bastimenti usati da
Annone, ed in merito aUe ragioni della loro scelta, possiamo ritenere
pure che i legni cartaginesi menzionati da ScUlace fossero sottUi.
Ricordiamo infine che, a favore dell'identificazione Essouia-Ceme ,
sta pure quanto abbiamo detto trattando di Annone, precisamente in
rapporto al punto 8 del "periplo".
5 Le finalita del "periplo ". In ultimo passiamo ad esaminare lo
scopo del racconto tramandatoci da Annone, o megUo U perche della
sua ampia diffusione, rammentando in proposito che, per immortalare lo scritto, questo venne addirittura inciso su di una stele.
E' un punto di vista certamente particolare, in quanto apparentemente si stacca dal nostro, basato dichiaratamente su elementi nautici e
navali, ma che pure dobbiamo considerare in quanto puo spiegare lo
ambiente in cui gU elementi stessi vennero determinandosi.
Risulta subito che la divulgazione di uno scritto del genere urta con U
criterio invalso neU'antichita e neU'eta di mezzo di tenere segrete le
rotte seguite, che costituivano infatti un geloso patrimonio dei pUoti.
La divulgazione del "periplo" appare ancora piii strana se la riferiamo
ai Cartaginesi ed ai Fenici in genere, gente dedita ai traffici, i quali possono ritenersi lo scopo principale della loro politica espansionistica,
che non avevano interesse di sorta a rendere note le fonti di approvvigionamento deUe merci commerciate ed i mercati praticati.
Non si osserva poi nel mondo fenicio, del quale sappiamo piii di riflesso attraverso la storia di altri popoli che in base a fonti dirette, lo spirito speculativo dei Greci, che potrebbe, in un certo senso, spiegare una
divulgazione del genere.
Scopo deUa spedizione di Annone e, dichiaratamente, la fondazione
oltre le Colonne d'Ercole, sulla costa africana, di colonie libofenicie, ma
e accertato daUa storia che i Cartaginesi frequantavano i Udi del Marocco, I'antica Mauritania, in epoca sensibUmente anteriore a quella assegnata al "periplo" ed altrettanto risulta anche da reperti archeologi56

ci(45) .

Abbiamo cosi un primo elemento che diminuisce U valore geograficostorico del "periplo". Si potrebbe ad ogni modo avanzare I'ipotesi che
Annone abbia recato semplicemente un nuovo apporto di gente a colonie gia esistenti, magari fenicie se non proprio cartaginesi, e sotto questo aspetto la pubblicita del documento potrebbe rappresentare semplicemente una tentata dichiarazione di presa di possesso o, meglio, la
precostituzione di un diritto di occupazione.
L'aver dato al viaggio I'apparente finahta della fondazione di nuove
colonie suffragherebbe tale ipotesi, in quanto U falso scopo andrebbe
a mascherare una situazione preesistente nella quale Cartagine aveva interesse ad inserirsi.
Molteplici sono gU elementi che possono ulteriormente portarsi a favore deUa tesi che abbiamo avanzato.
Anzitutto I'esagerata cifra di 30.000 coloni riportata aU'inizio del
"periplo" che sarebbe servita a comprovare la fondazione delle nuove
colonie, le quali invece gia esistevano; si puo quindi anche pensare che
la cifra stessa non rappresenti un errore del copista, come taluni ebbero a ritenere, ma sia una voluta alterazione della verita, rispondente
ad un preciso fine politico.
Ma la lettura del "periplo" puo dare luogo ad altre istruttive considerazioni in argomento.
Fra le localita abitate menzionate dal testo una sola, Timiaterio, risulta citta fondata ex novo (punto 2); per Carico, Gitta, Acra, Mehta,
Arambi, si accenna al popolamento con coloni di citta, pertanto preesistenti, prossime al mare (punto 5).
In quanto a Ceme (punto 8) e sempUcemente detto che trattasi di una
isoletta scoperta e colonizzata dalla spedizione; deUa fondazione di
una citta, o comunque di un insediamento umano non vi e cenno.
Riteniamo qui opportuna una parentesi, di carattere generale, rUevando
che la lettera del "periplo" e in contrast col suo spirito. Infatti I'enunciato, lo spirito, dichiara lo scopo del viaggio, ossia la fondazione di
citta Ubofenicie, mentre U racconto, ossia la lettera, ne dice effettuata
una sola, queUa di Timiaterio.
Avremo quindi che la spedizione praticamente verme meno al suo scopo, e sotto questo aspetto non vediamo percio la ragione per la quale se
ne sia tramandata la memoria, almeno nel testo a noi giunto.
Cio infirma, naturalmente, I'ipotesi che abbiamo in precedenza avanzata di un fine poUtico del racconto stesso, che sarebbe risultata anzi controproducente.
Sono in ogni caso argomenti, che come abbiamo premesso, esulano
57

dalla nostra diretta trattazione, e li abbiamo accennati solo per opportuna conoscenza.
Ritomando al nostro diretto argomento, occorre tener presente che le
colonie cartaginesi godevano di una larga autonomia amministrativa e
che su di esse Cartagine esercitava solamente quello che, con termine
modemo, si definirebbe un "protettorato". E' possibile che Annone si
sia recato in Atlantico per riaffermare tale vincolo, forse allentatosi o
non esercitato a seguito di eventi verificatisi altrove e che avevano maggiormente impegnato la madre-patria.
Sono dell'epoca le lotte dei Cartaginesi con i Focesi di Marsiglia e lo
inizio dei contrast! con i Greci di Sicilia; un raffronto sicuro non e pero
possibile, dato che manchiamo di una data certa del viaggio di Annone.
Convenzionalmente abbiamo diviso il racconto del viaggio di Annone
in due parti, la prima delle quali termina con la scoperta, se tale puo
dirsi, di Ceme; la seconda parte, ossia quella relativa al viaggio oltre
Ceme, e la piii discussa dal lato geografico e si puo considerare anche
come un riempitivo inteso a mascherare U vero fine della spedizione.
Pensiamo che tale seconda parte del viaggio sia stata in gran parte
compilata con racconti recepiti e magari travisati, ma non in seguito
a dirette prese di conoscenza.
Unico elemento realistico di questa seconda parte del viaggio, alia quale peraltro solo accenniamo, e dato dalle tre pelli di gorilla trasportate da Cartagine quali spoglie di donne pelose.
La narrazione relativa (punto 18) accenna ad un'isola piena di uomini
selvatici, gorilla, ma il corpo peloso e assegnato solamente alle donne,
ed anche questo particolare puo stare a comprova di una conoscenza
indiretta.
In ogni caso U racconto trova rispondenza con le credenze degli indigeni, i quali consideravano, e forse ancora considerano, il gorilla un uomo della foresta, e non sempUcemente una scimmia antropomorfa.
L'area di diffusione del gorilla, animale che venne scientificamente conosciuto solo nel secolo scorso, e ora limitata ad alcuni paesi del golfo
di Guinea (Camemn, Congo, Dahomey, Gabon, Nigeria, e c c ) , ma si
deve ritenere che in passato fosse alquanto piu estesa.
Dobbiamo anche accennare, per completezza di trattazione, che se viene ammessa la presenza dei Fenici nel Golfo di Guinea, precisamente
nel Benin, vi e anche la tendenza ("^^^ a coUegarla ad una via terrestre,
certamente favorita daUe migliori condizione cUmatiche di cui in passato godeva U Sahara, daU'Africa Mediterranea; la biblica Ofir venne
anche individuata con Ifi in Nigeria.
58

Possiamo pertanto concludere sostenendo che U racconto del "periplo"


di Annone deve per lo meno essere ridimensionato in relazione al suo
possibUe apporto, in genere esagerato, aUe conoscenze geografiche
deH'antichita classica.

59

(12) L.FINCATI, Le triremi, Roma, 1881, pp. 20 - 21.


(13) Per la mancanza di idoneita dei bastimenti alia navigazione d'altura falli probabilmente la spedizione dei fratelli Vivaldi. E' da notare che per le spedizioni
d'altura i Vichinghi usavano, invece del "drakkar", lo "snakkar", relativamente
molto piu largo.

Note

(14) I vogatori venivano aggruppati in quattro o sei squadre, delle quali solo due remavano contemporaneamente, per una banda. Si calcola che i rematori potessero
esser tenuti sotto sforzo solo per poche ore, quattro al massimo.
(15) Per maggiori ragguagli sull'argomento vedasi G. FERRO, / navigatori
ghesi sulla via delle Indie, Milano, 1974.
(16) Cfr. I'opera citata alia nota precedente, nonche A. JAL, Glossaire
Parigi, 1840.

(1) ANNONE, // Periplo, a cura di L. DEL TURCO, Firenze, 1958.


(2) C. MULLER, Geographigraeci

(n)Instructions

minores, I,Parigi, 1855.

(3) Histoire du Maroc, Casablanca, 1967, p. 26.


(4) L.RICHON, Quelques mots sur le periple de Hannon, in Le petit
n. 6, ott. 1971.

perroquet,

(5) In contrapposto, i bastimenti costruiti invece per rispondere alle necessita della
propulsione velica erano detti rotondi o tondi, od anche di alto bordo.
(6) Esistevano certamente nell'antichita bastimenti la cui lunghezza si aggirava sui
35/40 metri, ed in proposito si possono citare le triere greche. II limitato numero
di vogatori, e quindi di remi, solo 50, dei bastimenti di Annone potrebbe magari
fare propendere per legni minori, inferiori ai 30 metri di lunghezza da noi presi
come parametro.
(7) Questa condizione di equilibrio si rileva, fra I'altro, in J. DE LA GRAVIERE,
Les derniers jours de la marine a rames Parigi, 1855, pp. 189.
(8) Sulla base dei dati riportati da J. S. MORRISON e R. T. WILLIAMS, Greek
oared ships, Cambridge, 1968, p. 58.
(9) J. MERRIEN, La vie quotidienne
p. 165.

des marins au Moyen

Age, Parigi, 1969,

(10) L. BASCH, Phoenician oarded schips, in Mariner's Mirror ,L, 1964, riporta
un disegno di bireme fenicia, che dice legno mercantile, ma riteniamo che "si tratti
di assegnazione non fondata e discutibile.
(11) J. C. DE LUNA, La mar y los barcos, Madrid, p. 51, definisce il tipo di origine greca, ma perfezionato dai Cartaginesi.

60

portonautique,

nautiques. Afrique, Cote Quest, Parigi, 1959.

(18) Cfr. I'opera citata alia nota precedente, nonche: Africa Pilot, Londra, 1953,
I, pp. 6 0 - 6 1 .
(19) Cfr. S. GSELL, Histoire ancienne de I'Afrique Noire, Parigi, 1920.
(20) L. CASSON, Fore-and-aft sails in the ancient world, in The Mariner's Mirror, XLII, 1956.
(21) L.GULLEX. LA ROERIE, Fore-and-aft sails in the ancient world, in The Mariner's Mirror, 1956.
(22) R. LEBARON BOWEN JR., The earliest lateen sail, in The Mariner's Mirror,
XLII, 1956.
(23) La vela a terchia, quadrata o rettangolare, e legata all'albero e tenuta distesa
da un'asta che si diparte dalla parte inferiore dell'albero medesimo e va all'angolo
superiore, verso poppa, della vela stessa.
(24) C. G. ZENI, Con i remi e con le vele, Milano, 1963, pp. 295 - 296. L'autore
propende pero, nonostante il chiaro accenno ai vogatori contenuto nel "periplo",
per bastimenti rotondi.
(25) L.DEL TURCO cit. , p. 34, nota 5.
(26) J. VARS, L 'art nautique dans I'antiquite, Parigi, 1887, p. 14.
(27) Cfr. E. DE MARTONNE, Abrege degeographie phisique, Parigi, 1932, p. 245.
(28) Questa manovra di allargamento venne pure effettuata da Thor Heyerdahl,
quando nel 1970 lascio Safl con la barca di canne "Ra" per iniziare il viaggio che

61

doveva portarlo alle Piccole AntUle.


(29) Cfr. P. CELERIER, Histoire de la navigation, Parigi, 1968, p. 11.
(30) P. GAFFAREL, L'histoire de la decouverte de I'Amerique, Parigi, 1892,
I, pp. 5 0 - 56.
(31) L'argomento venne trattato, ma senza nessun riferimento alle Azzorre, da J.
RAMIN, Le probleme des Cassiterides, Parigi, 1956.

Appendice

(32) C. A. MADEIROS, A ilha de Corvo, Lisbona, 1967, pp. 80 - 81.


(33) S. E. MORISON , The discovery of America The northern voyages: 500/
1600, Oxford, 1971.
(34) P.HERRMANN, Sette sono passate e I'ottava sta passando, Milano, 1962,
p. 459.

Periplo di Annone, re dei Cartaginesi, lungo le terre libiche poste oltre le Colonne
d'Ercole, che egli per memoria consacro nel tempio di Cronos.

(35) C. MULLER cit. , pp.6 - 7.

1 I Cartaginesi deliberarono che Annone guidasse una spedizione per mare oltre
le Colonne d'Ercole e fondasse citta libofenicie.

(36) Cfr. I'opera citata alia nota n. 3. La trad, di Ph. Cazeneuve e pure riportata
da C. COQUERY, La decouverte de I'Afrique, Parigi, 1969.
(37) Cfr. I'opera citata alia nota n. 1, p.36.

2 Dopo aver superato, con le navi, le Colonne d'Ercole, navigammo oltre per due
giomi e fondammo una prima citta che chiamammo Timiaterio: a pie di essa vi
e una grande pianura.

(38) F. NAVARRO - F. LOZANO, Carta de pesca de la costa del Sahara desde


el Cabo Juby al Cabo Barbas, Madrid, 1950.

3 Di poi trasportati (dalle navi) verso Occidente, arrivammo a Solunte, promontorio libico coperto di alberi.

(39) L. LOZANO REY, Sobre el fomento de la producion de las aguas marinas y


salobres eonfinadas; en el litoral de Espana y en el de sus Territorio de Soberania y
de Protectorado, in Boletin del Institito Espanol de Oceanografia, n. 74, 10/1/1956.

4 Qui eretto un tempio a Nettuno, di nuovo navigammo verso I'Oriente per


mezza giornata, finche giungemmo ad una palude posta non lontana dal mare,
piena di numerose e grosse canne: vi erano anche elefanti ed altre bestie che pascolavano, moltissime.

(40) Histoire du Maroc cit. , p. 19.


(41) G. MULLER, cit. , p. 7.
(42) J. F. HERNANDEZ PACHECO, Caracteristica del zocolo continental del
Africa Ocidental Espanola, in Boletin del Instituto Espaiiol de Oceanografia, n. 69
6 70(10/10/1955).
(43) Cfr. trad, di C. Mufler cit. pp. 91 - 95.
(44) P. FABRE, La date de la redaction du Periple de Scylax, in Les etudes classiques, ottobre 1965, dice il periplo redatto dopo il 361 e prima del 375 a. Cr.
Da notare pure che il Fabre ritiene I'opera dello Scillace autentica e valida.
(45) Cfr. A. A. V. V., Histoire du Maroc cit. , pp. 19 -20.
(46) Cfr. R. THEVENIN , Les pays Ugendaires, Parigi, 1949, pp. 36 - 37.

62

5 Passati oltre la palude per una giornata di navigazione, popolammo di coloni


le citta vicino al mare, chiamate la fortezza di Carico, e Gitta, e Acra, Melita e
Arambi.
6 Di qui proseguendo suUe navi giungemmo al gran fiume Lisso, che scorre dalla Libia. Presso questo fiume i Lissiti, uomini nomadi, pascolavano le greggi; presso
gli stessi, divenuti amici, rimanemmo qualche tempo.
7 Piii in alto di questi abitavano gli Etiopi inospitali, occupanti una terra popolata di animali selvatici, divisa da grandi montagne, dalle quali si dice che scorra il
Lisso, e che intomo alia zona montana abitino uomini di singolare forma, i trogloditi: e i Lissiti li dicevano pii veloci dei cavalli nel correre.
8 RUevati da costoro degli interpreti, navigammo lungo il deserto verso Mezzogiomo per due giorni, poi di nuovo verso Oriente per un giorno. Qui trovammo nel

63

recesso di un golfo una piccola isola, avente un circuito di cinque stadi, che noi colonizzammo chiamandola Ceme. Congetturammo dalla navigazione (fin qui compiuta) che questa era situata dalla parte opposta di Cartagine; infatti il cammino
per mare da Cartagine alle Colonne d'Ercole e uguale dalle stesse a Cerne.
9 Da qui giungemmo ad un lago navigando attraverso un gran fiume che si chiama Crete; quel lago aveva tre isole piii grandi di Cerne. Partendo da esse, dopo un
giomo di navigazione arrivammo nella parte piii interna del lago, sopra il quale si
elevano grandissimi monti, pieni di uomini selvaggi, vestiti di pelli di bestie, i quali colpendoci con le pietre ci scacciarono, impedendoci di sbarcare.

tra isola p i e n a d i u o m i n i selvatici. M o l t i s s i m e erano le d o n n e c o n c o r p i p e l o s i :


gli i n t e r p r e t i le c h i a m a v a n o g o r i l l a . Pur inseguendo gli u o m i n i n o n p o t e m m o p r e n d e r l i p e r c h e c i sfuggivano t u t t i , a r r a m p i c a n d o s i sui d i r u p i e d i f e n d e n d o s i c o n i
sassi. P r e n d e m m o t r e d o n n e , m a a m o r s i ed u n g h i a t e n o n volevano seguire q u e l l i
che le avevano c a t t u r a t e . D o p o averle uccise le s c u o i a m m o e p o r t a m m o le p e l l i
a Cartagine. D o p o n o n n a v i g a m m o p i u o l t r e , m a n c a n d o c i le vettovaglie.

10 Da qui navigando arrivammo ad un altro fiume grande e spazioso che era pieno di coccodrilli e di ippopotami. Poi di nuovo tornando indietro arrivammo a
Cerne.
11 Di la navigammo verso Mezzogiorno per 12 giorni costeggiando la terra abitata tutta dagli Etiopi che ci sfuggivano e non rimanevano ad attenderci: parlavano
una lingua incomprensibile anche ai Lissiti che erano con noi.
12 Poi nell'ultimo giorno approdammo presso monti grandi e selvosi. Vi erano
anche legni di alberi odorosi e di vario genere.
13 Navigando intomo a questi (monti selvosi) per due giorni, arrivammo ad una
grande foce nel mare: dall'una e dall'altra parte di essi vi era una pianura in terraferma. Di qui di notte vedemmo fuochi che brillavano a tratti ora piii ora meno
da ogni parte.
14 Poi rifornitoci di acqua navigammo piii oltre, vicino alia costa per cinque
giomi finche arrivammo in un gran golfo che gli interpreti dissero che si chiamava
"como di Espero". In esso vi era una grande isola, e nell'isola un lago simile al mare
nel quale vi era un'altra isola, nella quale scesi per un giomo, non vedemmo altro
che boschi, e di notte molti fuochi accesi, e udimmo suono di flauti, molte grida
e battere di cembali e di tamburi. Allora la paura ci assail e gli indovini ci ingiunsero di lasciare I'isola.
15 Navigando rapidamente oltrepassammo una regione infuocata coperta
di fumo. Da questa grandissimi torrenti infuocati si gettavano in mare. La terra era
impraticabile per il calore.
16 Celermente dunque di la spaventati ci allontanammo con le navi. Dopo
aver navigato per quattro giomi scorgevamo di notte la terra piena di fuoco: in mezzo vi era un fuoco alto, maggiore degli altri, che ci sembrava toccasse le stelle. Questo di giomo si rivelo un grandissimo monte chiamato "Carro degli Dei".
17 Di la avendo costeggiato per tre giorni torrenti di fuoco arrivammo in un golfo chiamato il Como di Noto.
18 NeU'intemo vi era un'isola, simile alia prima avente un lago e in questa un'al-

64

65

LUISA FERRUZZI COPPA


IMMAGINI DELLA CIVILTA' AZTECA NELLE
RELAZIONI DEI "CONQUISTADORES" E DEI
LORO CRONISTI

II violento scontro di culture rappresentato dall'espansione europea


nel Cinquecento costituisce una tematica di notevole interesse, che
non si e limitata a concretizzarsi, soprattutto negli ultimi anni, nei
contributi di studiosi europei
ma si e anzi arricchita di una nuova
dimensione, grazie al recupero ed all'analisi di qualsiasi genere di testimonianze in particolare resoconti e cronache lasciateci dai
"vinti" (2).
Restringendo le nostre considerazioni all'ambito dei cronisti spagnoli
della Conquista, ci e parso particolarmente stimolante I'esame della visione che dell'indigeno ci hanno trasmesso specificamente i Conquistadores. Essa costituisce infatti la testimonianza piu diretta dell'impatto fra i due mondi, in quanto, non filtrata da strutture filosofiche o letterarie, rappresenta, per I'eco che le imprese dei Conquistadores seppero
suscitare, una immagine assai efficace dell'idea che gli Europei di quel
tempo si formarono delle popolazioni americane.
Concordiamo con il Gliozzi nel ritenere che questa rappresentazione
dell'indigeno americano muti, nelle opere di diversi relatori, a seconda
dei mutati interessi coloniali, spesso privati, che spinsero il Conquistador o il suo cronista a presentare all'Europa, e in particolare alia
Corona Spagnola dalla cui autorita dipendeva, il "selvaggio" secondo
differenti prospettive
Infatti ad un'iniziale rappresentazione elogiativa delle grandi civilta
con cui i Conquistadores sono venuti a contatto, rappresentazione che
tende a far risaltare I'imponenza delle loro conquiste, segue la rappresentazione dell'indigeno "bestia bruta" da ridurre necessariamente in
schiavitu; sempre "bestia", ma con qualche tratto umano, sara infine
I'immagine del "selvaggio" riconducibile al periodo delle "encomien-

69

das" e dello svHuppo della penetrazione missionaria .


Poiche non ci e possibile, in questa sede, analizzare ciascuno di questi
momenti per ciascuna area della Conquista, ci limiteremo ad esaminare il primo aspetto delle relazioni dei Conquistadores, cioe il momento
elogiativo, che circoscriveremo ulteriormente al mondo azteco.
La nostra scelta risponde al preciso intento di sottolineare le peculiarita di alcune fra le relazioni che per prime ebbero larga diffusione
negli ambienti culturali europei: questo spiega la preferenza per il
momento elogiativo e conseguentemente quella dell'area di conquista,
in quanto e noto che le cronache spagnole relative al mondo azteco
sono per la maggior parte improntate su toni di stupore e ammirazione.
Per meglio comprendere la personalita e il retroterra culturale e sociale dei Conquistadores
da cui scaturi un certo tipo di visione dei
nuovi mondi alia quale sono riconducibili le relazioni di cui ci occuperemo, ci sembra assai significativa questa autopresentazione di Diaz,
soldato e cronista al seguito di Cortes:
"Ho gia parlato di noi, i soldati che partimmo con Cortes, e se si vuol
sapere qualcosa della nostra persona, noi siamo 'hildagos', anche se
alcuni non possono valersi di lignaggio cosi chiaro, perche e noto che
in questo mondo gli uomini non nascono tutti eguali, ne in generosita ne in virtu. Ma lasciando da parte cio, oltre alia nostra antica nobilta, con le azioni eroiche o altri fatti che noi abbiamo compiuti durante le guerre, lottando giorno e notte, scrvendo il nostra Re e Sovrano, scoprendo queste terre e andando fino a conquistare questa Nuova
Spagna e la grande citta di Messico e altre numerose Provincie, essendo
cosi lontani dalla Castigha, setiza avere altro aiuto che quello di Nostra
Signore Gesii Cristo, che e il vero soccorso e aiuto, nai ci siamo nobilitati molto piii di prima...'"
1 Conquistadores sono dunque cadetti di famiglie di media e piccola
nobilta (quando la nobilta non e addirittura immaginaria), nati e cresciuti fra i miti, gli ideali e le ambizioni deU'aristocrazia decaduta: la
America diviene pertanto per ognuno di essi un'occasione di riscatto
e di rivincita.
A questi personaggi, pronti e decisi a tutto, si contrapporra un impero,
quello azteco, dUaniato da attriti, inimicizie e complotti di ogni genere,
debole soprattutto nelle regioni periferiche: la mancanza di coesione
favorira percio Cortes, che avra al suo fianco Indios schierati contro
altri Indios
Certo senza queste debolezze che minavano dalFintemo il regno di
Montezuma, le forze spagnole non sarebbero risultate sufficient! ad
70

affrontare quella che Franco Marenco ha definite "la fase adulta delI'awentura imperiale"
Un'awentura, quella dei Conquistadores, quasi sospesa fra sogno e
realta: gli indigeni hanno un grande regno, ma si rivelano deboli ed insicuri, non distinguono il cavaUo dal cavaliere, non conoscono le armi
spagnole e non sanno combattere per uccidere. I cavalieri barbuti venuti dal mare sono fatalisticamente accettati; rappresentano il ritorno di Quetzalcoatl, che forse nasconde grandi calamita. E' destine che
gli Indios siane vinti: troppi p r e s ^ terribili li hanno preawertiti.
Gli stessi Conquistadores cercane nella loro impresa le tracce di un disegne prewidenziale. Dalle relazioni che essi stessi, in particolare
Cortes e Diaz, scriveranno, emerge lo stupore di fronte alia civilta
con cui vengono a contatto e nello stesso tempo la constatazione della sua debolezza.
Nei loro scritti gioia e stupore si affiancano alle ample descrizioni di
citta, case, piazze, mercati. Essi si sentono improwisamente e inaspettatamente protagonist! di una vicenda che li proietta in un mondo
fantastico^^^):
"Vaste citta, edifici e templi smisurati sorgevano dall'acqua, tutti fatti di pietra, come negli incantesimi della storia di Amadigi. I soldati
si chiedevano se quello non fosse tutto un sogno. Non sorprenda che
10 scriva in questo tono: tutto era cosi meraviglioso che mi mancano
le parole per descrivere questa prima visione di cose che non avremmo
potuto figurarci neanche in sogno" (^1).
Analogamente, al loro arrivo a Cempoala, i soldati di Cortes rimasero
talmente sbalorditi di fronte alia magnificenza dei giardini aztechi,
che si soffermano in una preghiera di ringraziamento a Dio:
"Non avevamo mai visto un paese cosi bello, fiorito che pareva un giardino, con le strade piene di uomini e donne, ringraziando il Signore che
ci aveva fatto scoprire un sito cosi delizioso"
Agli occhi degli Spagnoli bramosi d'oro, le case appena imbiancate
apparivano come i palazzi d'argento delle fiabe:
"Vedendo i muri delle case tutti bianchi e luccicanti al sole, perche
si vede che erano stati da poco dipinti, tomarono di corsa a dirci che
le facciate delle case erano d'argento; donna Marina e Aguilar dissero
che doveva trattarsi di gesso o di calce, e noi ci mettemmo a ridere,
pensando che nella loro frenesia tutto quello che era bianco lo scambiavano per argento"
11 paragone con la Spagna del tempo va quasi sempre a svantE^gio
di questa: "Quando hace una comparacion scrive Cortes es casi
siempre Mexico y no Espana quien Ueva la meyor parte" (^'^^

71

L'anonima Relatione d'alcune cose della nuova Spagna ci offre un pittoresco quadro di citta dell'impero dei mexica:
"Vi son grandi citta, e specialmente quella di Tlascala che in alcune cose assomiglia a Granata e in altro a Segovia (...): e Signoria e governata
da alcuni Signori, ancorche in certo modo si habbia rispetto ad uno che
e U maggior Signore, che tiene e teneva un Capitano Generale per la
guerra, ha bel paese di piacevoli montagne ed e provincia popolosa
e vi si raccoglie molto pane. A sei leghe lungi da questa v 'e un 'altra citta piana e molto bella, che assomiglia a Vagliadolil, nella quale io vi
contai cento e novanta torri fra meschite e case di Signori, che similmente e signoria e governata da 27 uomini honorati, tra i quali tutti havevano in riverenza e rispetto un vecchio che passava i 120 anni, che era
portato in lettiga: il paese e sito bellissimo, e di molti arbori fruttiferi e spetialmente di cerase e pomi, e produce molto pane"
Ma la bellezza di questa citta e solo un vago riflesso della imponenza
di Tenochtitlan: in essa sorgono templi e palazzi meravigliosi, con
giardini ricchi di laghetti, giochi d'acqua, bagni inte^liati nella roccia,
sculture e pitture murali. La "citta di Tenoch" e la metropoli piu
sontuosa che gli indigeni d'America abbiano costruito, perche gia predestinata dal Dio Huitzilopochtli a diventare la capitale suprema:
"Qui noi ci faremo signori di tutti i popoli sono parole di Huitzilopochtli ai suoi fedeli delle loro proprieta, dei loro figli e delle loro
figlie; qui essi dovranno servirci e pagarci i tributi; in questo luogo
sara costruita la famosa citta destinata a diventare regina e signora di
tutte le altre, dove un giorno tutti i Signori e tutti i Re dovranno venire
qui a prestare omaggio, come si conviene alia capitale suprema" ^^^^ .
Lo stesso Cortes, che non e solito abbandonarsi ad entusiastiche descrizioni, ma si limita ad annotare fatti d'arme, tuttavia nel presentare
Tenochtitlan, con i riti ed i costumi della sua gente, sottolinea che riferime le meraviglie e cosa impossibile. Ci sono "cosas tan meravillosas que por escrito non se pueden significar si non son vistas"^^').
La rapita meraviglia del Conquistador di fronte aUa "estupenda vision"
che e per lui il Messico acquista una sua peculiare importanza in relazione alia consueta freddezza e quasi impassibilita dimostrata in genere da Cortes anche di fronte a cose e fatti sorprendenti.
Non ci sembra, pertanto, azzardato ipotizzare che I'ammirazione per
il grande impero azteco si ricolleghi in ultima anahsi ai progetti espansionistici di Cortes: e probabile che quando riferisce le bellezze della
capitale Tenochtitlan egli abbia gia in mente di fissarvi il centre delle
nuove province; la citta ricostruita dagli spagnoli sara, entro cinque anni, "la mas noble e popolosa ciudad que haya en lo poblado del mun-

72

do, y de mejores edificios"


D'altra parte anche I'impressione avuta dai soldati alia vista di Tenochtitlan dovette essere enorme se, ricordando quel momento, Bemal
Diaz de Castillo ne parla, a distanza di cinquant'anni, come se lo avesse
vissuto da appena un giorno:
"Noi eravamo ammutoliti tutti per lo spettacolo che avevamo davanti,
e non credevamo ai nostri occhi. (...) Come contare la moltitudine di
uomini, donne, bambini che gremivano le strade, i tetti delle case e le
canoe nei canali per vederci? Mentre scrivo, quello spettacolo straordinario mi torna davanti, come se I'avessi visto soltanto ieri"^^^^
Anche gli Aztechi non rimasero insensibili alio spettacolo offerto loro
dagli Spagnoli; questi ultimi, anzi, sparando colpi di cannone, avevano
letteralmente terrorizzato i mexica:
"Col rumore e col fumo testimoniano gli Informantes de Sahagun tutti gli indiani rimasero li come pazzi (...) e furono colpiti da
orrore mortale" (^0)
La loro costemazione aveva raggiunto il culmine dell'eccitazione,
tanto che molti di loro passarono la notte svegli a ripensare alia "spaventosa visione":
"Era come se avessero mangiato funghi allucinogeni, o avessero visto
una spaventosa visione. Tutto era dominate dal terrore, come se tutti si fossero persi d'animo. E quando cadde la notte, cosi intensa era
I'ansia e tutti erano cosi pieni di paura da non riuscire ad addermentarsi"(2i).
I cronisti spagnoli riferiscono anche dei depositi di granoturco, fagioli
e pepe, portati come tributo, ed altri magazzini pieni di armature,
molte delle quali riccamente cesellate e ornate d'oro e di pietre preziose; non sfuggono ai loro occhi incantati i pittori, gli intagliatori e le
ottime artigiane dei lavori in piume. Ai cronisti non sfugge neppure la
ricchezza dei mercati, come si deduce da questa descrizione relativa a
Tenochtitlan:
"Sono della citta di Temistitan Messico grandissime e bellissime piazze,
dove si vendono tutte le cose e spetialmente la piazza maggiore, che puo
essere cosi grande, che sarebbe tre volte la piazza di SalamEinca e sono
all'intemo di essa tutti i portici: in questa piazza sono communalmente
ogni di a comprare e vendere venticinque mila persone, e U di del
mercato vi sono da quaranta a cinquanta mila persone. Ha il suo ordine,
cosi in essere ogni mercantia separata al luogo suo, come nel vendere,
perche da una banda della piazza sono coloro, che vendono I'oro, e
daU'altra sono quel, che vendono pietre di diverse sorti legate in oro in
forma di vari uccelli, e animali. Dall'altra parte si vendono gli specchi.
73

dall'altra penne e pennacchi d'ogni colore da lavorare, e cucire in veste


per portare alia guerra e nelle loro feste. D'altra parte cavano le pietre
da' rasoi, e ne fanno le spade e rotelle, che e cosa meravigliosa a vederle
che di qua da noi non si puo intendere. Dall'una banda vendono i
pannini, e dall'altra le scarpe, e dall'altra i cuori acconci di cervi ed altri
animali, concieri di testa fatti di capelli che usano I'indiane, et dove
galline e polli e ova e qui vicino, lepri, conigli, cervi, cotornici, oche
ed anatre" (22).
Con le sue piazzemaestose, i suoivasti mercati, le case, i giardini e le sue
strade che "attraversano U lago, e entrano pel mezzo della citta e nel
mezzo si vengono a congiongere insieme, in modo che si potrebbe dire, che sono tutta una" (^3) ^ Tenochtitlan appare talmente vasta ai
Conquistadores che essi non riescono a valutame le precise dimensioni,
come ammette lo stesso Cortes, in un suo scritto a Carlo V:
"Dawero, mio Signore, la grande citta di Tenochtitlan costruita al centre di questo grande lago salato, a due leghe da qualsiasi punto della terraferma, cui e unita da quattro strade rialzate, e vasta quanto Siviglia e
Cordova, e in quanto all'insieme e talmente immessa che ancora non
sono riuscito a scoprire le dimensioni esatte del regno di Montezuma"(24).

Altrettanto meritevoli di essere lette con particolare attenzione sono


le numerose notizie tramandateci dai cronisti spagnoli relativamente a
Montezuma II: esse infatti non si limitano ad offrirci un quadro, seppur vivacissimo, del modus vivendi del sovrano, ma ci permettono anche di cogliere la "cornice magica"^^^) nel cui ambito la conquista si svolse. Sia le fonti spagnole sia i testi indigeni concordano nel puntualizzare la saggezza e I'intelligenza del sovrano azteco.
Cosi Diaz ci presenta "il grande ivlonteziuna":
"Era un uomo di circa quaranta anni, di alta statura (...) e di colorito olivastro; aveva i capelli non molto lunghi(...t e poca barba nera,
ben curata; viso piuttosto allungato e allegro, occhi vivaci, e nel viso
e nel portamento rivelava bonta e, quando era necessario, anche severita. (...) Aveva molte donne, tutte figlie di Signori, e due cacicche che
erano sue legittime spose (...); non aveva il vizio della sodomia. La roba che si metteva un giorno non se la metteva che quattro giomi dopo"(26).

Sia Diaz, sia lo stesso Cortes ci offrono vivaci ritratti dell'ambiente di


corte: i Conquistadores restano letteralmente sbalorditi da tutto I'apparato che circondava Montezuma.
Dopo essersi soffermato con precisione suUe ricche portate offerte
al sovrano per il suo barohetto (27), Diaz annota con evidente stupore

74

che, solo per 0 pranzo dei servitori, venivano preparati "piii di mille
piatti e piu di duemila boccali di cioccolata montata a schiuma, come si
usa in Messico, e un'infinita quantita di frutta"(2S).
Anche la presentazione degli appartamenti di Montezuma appare ricca di elementi descrittivi, alcuni reali, altri presumibilmente fantastici. Nella Relatione d'alcune cose della Nuova Spagna si legge fra
I'altro che persino i corridoi del palazzo reale erano cosi ampi da ospitare facilmente trenta uomini a cavallo che giocassero fra loro:
"Era cosi grande [la casa di Montezuma, n.d.a] ,con tante stanze e appartamenti, e con giardini alti e bassi, che era cosa maravigliosa a vederla, e io entrai piii di quattro volte in la casa del Gran Signore (...) e
mai la finii di vedere tutta. Vera una sala cosi grande che vi potevano star dentro senza dar fastidio I'un I'altro, piii di tremila persone.
Et era si grande che nel corridoio di essa casa, v'era una gran piazza,
che haverebbono potuto giuocare al giuoco delle canne, come in altra
grande piazza, trenta huomini a cavallo" ^29).
Cortes nella sua seconda relazione dalla Nuova S p ^ a , ci parla delle
donne e uomini mostn'^si che circondavano la persona di Montezuma:
"In una picciola parte di questo palazzo teneva huomini e donne
mostruose, nani, gobbi, contraffatti in gran copia e altri huomini di
grandissima bruttezza, e ogni sorte di mostro haveva le sue stanze
separate, et erano huomini eletti ad haver cura delle loro infermita"(30).

Grazie a Dona Marina (^^), Cortes ha la possibilita non solo di parlare con gli indigeni, ma anche di conosceme la politica e la mentalita. E' appunto da Dona Marina che il Conquistador viene informato
della fatale debolezza dell'impero azteco e dell'atteso ritomo di Quetzalcoatl: venendo cosi a sapere di essere scambiato per il dio esiliato, sara in grado di sfruttare i vantaggi psicologici della inaspettata e
particolarissima situazione.
I testi indigeni insistono molto su questo fatto (^2); anche fra i cronisti spagnoli non mancano accenni al riguardo, che si possono notare
gia in Colombo.
Nel suo diario di bordo leggiamo:
"Essi ci dimandavano se eravamo venuti dal cielo; fuwi un vecchio
che inoltrossi fino alia mia barchetta, mentre gli altri chiamavano,
con quanta voce avevano, tutti gli abitanti, uomini e donne:
"Venite a vedere, dicevano, gli uomini discesi dal cielo; recate loro
da mangiare e da bere"^^^^
Diversi anni piu tardi testimoniaDon U'Alva CortesIxtililxochitl^^'*^ :
75

"I mercadanti che tomavano dalle fiere di Xilanco, di Utua e di Champoton, luoghi siti nelle marine, recano I'annuncio dello approdare
dei cristiani. Vedevansi dunque avverate le profezie degli antichi che
avevano predetto come questo paese dovesse venire in potesta dei
figli del Sole. Alcuni segni del cielo mettevano terrore altresi negli animi degli abitanti che vedevano approssimarsi tempi di miseria e di persecuzione"^^^).
Montezuma ha cercato di respingere Cortes, ma i doni del principe
azteco abbagliano il Conquistador che giustamente ii interpreta quali
segni di debolezza
"II primo oggetto donato scrive Diaz fu una ruota simile ad un sole, grande quanto una ruota di carro, con diversi dipinti; era tutta d'oro
e magnifica a vedersi. Poi furono portate anatre d'oro di stupenda lavorazione, tanto che parevano vive; quindi molti oggetti a forma di tigri,
leoni e scimmie, tutti di finissima lamina d'oro, lavorata magnificamenteasbalzo"(37)
Le cronache spagnole ci offrono una precisa idea dell'angoscia di
Montezuma nel riferire piu volte i tragici tentativi del sovrano azteco
di venire a patti con i Conquistadores: il monarca dei mexica era letteralmente disposto a tutto pur di far desistere Cortes dall'avanzare verso Messico:
"Ci fece sapere che voleva essere vassallo del nostro grande imperatore (...); desiderava anche conoscere quale tributovolevamo peril nostro
Re e che era disposto a darci tutto I'oro che chiedevamo, a patto che
non andassimo a Messico ..." ^^^^.
Tuttavia restavano sempre a Montezuma forti dubbi sulla identita
dei Castigliani: cosi da un lato era ansioso di conoscerli, giacche era
giunto il momento, preannunciato dai codici, del ritomo di Quetzalcoatl e degli dei, e d'altra parte cercava di respingerli poiche temeva
che fossero in realta dei popolocas, ossia volgari awenturieri.
Ai modemi puo essere difficile comprendere le incertezze di Montezuma, ma per le sue convinzioni religiose I'apparizione sulla terra di divinita in veste di uomini rientrava nel credibile ^^^^.
Sotto questa particolare prospettiva, assai significative risultano pertanto le prime parole rivolte a Cortes dal principe azteco:
"Signore nostro, tu ti sei affaticato, ti sei stancato: hai raggiunto ormai la tua terra. Sei arrivato alia tua citta del Messico. Qui devi sedere
sul tuo trono (...) AI tuo riparo, sotto la tua protezione e ora posto U
tuo popolo (...)" (40) .
Dal momento in cui i Conquistadores erano sbarcati in Messico, era
iniziato per Montezuma un lungo periodo di incubo superstizioso.
76

Viceversa Cortes e i suoi potevano contare sulla superiorita delle armi,sui


pochi cavalli che avevano terrorizzato gli Aztechi e sulle teorie militari degli indigeni, che, abituati a combattere per catturare vittime da
sacrificare, non sapevano schierare efficacemente le loro forze. Cortes
aveva inoltre dalla sua parte Totonachi e Tlascalani, acerrimi nemici
degli Aztechi, disposti ad approfittare dell'occasione per distruggerli.
Era dunque inevitabile che il soggiomo degli Spagnoli in qualita di ospiti della capitale azteca sfociasse in una cruenta battaglia: dopo il colpo
di mano con cui venne imprigionato Montezuma, il massacro compiuto da Pedro de Alvarado in un momento di assenza di Cortes fa capovolgere la situazione che risulta inaspettatamente a sfavore degli Spagnoli.
Gli Aztechi, fino ad allora passivi, ritrovano in Cuitalahuac, fratello delI'imperatore, un nuovo capo, e sferrano continui attacchi ai conquistadores. Diaz che ha partecipato al combattimento, scrive:
"Notammo la loro ferma decisione a combattere ma, in realta, mi sento incapace a descriverla, perche ne cannoni ne moschetti ne balestre
erano in grado di fermarli: era inutile uccideme trenta o quaranta in
un corpo a corpo ogni volta che contrattaccavano, perche continuavano a combattere con rinnovato ardore" (^^^
Malgrado le pesanti perdite seguite alia "noche triste" del 30 giugno,
Cortes persevera tuttavia nella sua idea di conquistare Messico aizzando indigeni contro indigeni.
Quando il 28 dicembre Cortes si spinge per la seconda volta contro
Messico, puo contare oltre che su un esercito forte di ben centomila unita, su un nuovo aUeato, il vaiolo, che ha decimate la popolazione azteca.
Pare che lo stesso Cortes abbia offerto ai mexica superstiti di arrendersi senza combattere, ma il nuovo capo, Cuitalahuac, non vuole scendere a patti:
"Per niun modo volevano arrendersi, e rispondevano che un sol che vi
rimanesse, haveva da morir combattendo" ('^2).
Tuttavia assai presto, con una breve e sanguinosa battaglia, cade I'ultimo baluardo dell'antico impero azteco. Alia strenua difesa segue,
per il popolo azteco, la rassegnazione della sconfitta:
"SuUe strade giacciono dardi spezzati.
I capelli sono sparsi.
Scoperchiate le case,
Tinte di rosso hanno le mura.
Vermi pullulano per strade e piazze.
E sono le pareti macchiate di cervelli.
Rosse sono le acque come se le avessero tinte,
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Se le bevevamo erano acque al salnitro''^^"^^.


Alia fine la citta, vinta, e abbandonata: ancor piu disperato e il canto
di dolore dei soprawissuti:
"In questo modo fini U popolo messicano, il Tlatelolca. Abbandono la sua citta. E fu li, in Axamac, che ci rirovammo tutti. Ormai non
avevamo piu scudi, non avevamopivi clave e non avevamo piii niente da
mangiare, non mangiammo niente. E per tutta la notte cadde su di noi
la pioggia"

Note

(1) Della ormai vasta bibliografia sull'argomento, ci limiteremo a ricordare i contributi di J. H. ELLIOTT, The Old World and the New (1492 - 1650), Cambridge,
1970; B. KEEN, The Aztec Image in Western Thought, New Brunsvick - New Jersey, 1971; G. GLIOZZI, La scoperta dei seluaggi. Antropologia e colonialismo da
Colombo a Diderot, Milano, 1971; IDEM, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita
dell'antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie
razziali (1500 - 1700), Firenze, 1977; E. GARIN, Le civilta extaeuropee nella cuitura dell'Europa modema: miti, influenze, problemi, in La musica occidentale e
le civilta musicali extraeuropee. Atti della tavola rotonda organizzata in occasione
del XXXIV Maggio Musicale Fiorentino. Ente autonomo del teatro Comunale di
Firenze. Quademo n. 2, Firenze, 1971 (ora anche in Rinascita e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Bari, 1975, con il titolo Alia scoperta
del "diverso":i selvaggi americanie i saggicinesi); S. LANDUCCI, / filosofi e i seluaggi (1580 - 1780), Bari, 1972; R. ROMANO, / Conquistadores. Meccanismi di una
conquista coloniale, Milano, 1974: D. RIBEIRO, Le Americhe e la ciuiltd, Torino, 1975; J. MEYER, Les Europeens et les autres de Cortes d Washington, Paiigi,
1975; A. GERBI, La natura delle Indie Noue. Da Cristoforo Colombo a Gonzalo Fernandez de Oviedo, Milano - Napoli, 1976; A. PROSPERI, America e apocalisse, in Critica Storica, XIII, 1976, pp. 1 - 61.
(2) Fondamentali, in tal senso.sono i contributi di M. LEON PORTILLA, II rovescio della conquista. Testimonianze azteche, maya e inca, Milano, 1974; IDEM,
Quetzalcoatl. Cortes en la conquista de Mexico, in Historia Mexicana, XXIV,
1974, pp. 13 - 35; nonche lo studio di N. WACHTEL, La visione dei uinti. Gli
Indios del Peril di fronte alia conquista spagnola, Torino, 1977.
(3) G. GLIOZZI, La scoperta dei selvaggi cit. , p. 3 - 1 8 .
Sul diverso improntarsi delle relazioni spagnole durante le diverse fasi della Conquista, vedi pure S. ZAVALA, Los intereses particulares en la conguista de Nueva
Espana, Madrid, 1933, e J. ZORAIDA VASQUEZ, La imagen del Indio en el
Espahol del siglo XVI, Citta del Messico, 1962.
(4) "Ancora una volta il lavoro obbligatorio fu giustificato con la tesi che gli india-

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79

ni erano per natura oziosi e inclini a pessimi vizi, e sebbene I'esperienza dimostrasse il contrario, si continue a sostenere che la convivenza ispano - indiana risultante dalla assegnazione della manodopera favoriva la attivita missionaria e civilizzatrice" ( R. KONETZKE, America centrale e meridionale, I, La colonizzazione ispano portoghese, Milano, 1958, p. 172).
Questo motive e stato svolto ampiamente pure da S. ZAVALA, La encomienda
indiana, Madrid, 1935; IDEM, De encomiendas y propriedad territorial en algunas
regiones de la America Espafiola, Citta del Messico, 1940.

(10) J. MEYER cit. , p. 108, puntualizza efficacemente questo peirticolare stato


d'animo dei Conquistadores:"Si Ton veut comprendre les Conquistadores, que
Ton relise I'eternel roman, qui de 1345 au XVle siecle, synthetise toutes les a-spirations d'un peuple (...). Les Conquistadores sont d'autres Amadis, d'une epoque
qui, des Pyrenees au detroit de Gibraltar, a heroise I'heroisme, excelle dans les
prouesses, vegu hors du commun et de la vie quotidienne.
Le parfait chevalier lutte necessairement contre le geants, les monstres, visite
fles enchantees, se coltine avec le Diable, sous toutes ses formes".

(5) Sui problemi che sono scaturi ti dalla evangelizzazione delle nuove terre, nonche
sui metodi con cui I'opera e stata svolta, cfr. L. HANKE, The Spanish struggle for
Justice in the. conquest of America, Filadelfia, 1949; A. YBOT LEON, La Iglesia
y los eclesiasticos espaholes en la empresa de Indios, Barcellona, 1954 - 1963;
P. BORGES, Metodes missionales en la cristianisation de America, Madrid, 1960.

(11) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 168.


I tratti della mentalita del futuro Conquistador sono d'altronde facilmente rintracciabili nei romanzi cavallereschi che ebbero larga diffusione nella Spagna del
XVI secolo. A. LEONARD, Los libros del Conquistador, Citta del Messico, 1953,
che ha studiato specificamente I'influenza esercitata da questa letteratura nella formazione della personalita dei Conquistadores, sottolinea come I'apparente storicita di tali racconti, nonche I'enorme allargamento deli'orizzonte mentale europeo
seguito alle grandi scoperte geografiche, abbiano rawivato I'immaginazione dei lettori, spingendo i piii audaci a cercare meraviglie e tesori di cui veniva affermata
cosi verosimilmente I'esistenza.
Ci sembra tuttavia un po' arduo ritenere che i romanzi di moda possano aver in
tanta misura influenzato lo spagnolo medio nel paul-ire alia conquista di mondi
nuovi; ci sembra viceversa piii probabile che la fortuna di un certo genere letterario sia specchio di una mentalita diffusa, fatta propria anche dal Conquistador,
per la quale il problema fondamentale di ogni individuo era quello di imporsi nella scala dei valori sociah.

(6) Fra le molteplici testimonianze, dirette e indirette, che ci sono servite come fonti per la puntualizzazione dell'atteggiamento assunto dai Conquistadores nei confront! dell'indigeno d'America, abbiamo attinto, oltre che al classico testo di B.
DIAZ DE CASTILLO, La conquista del Messico, a cura di F. MARENCO, Milano, 1968; anche alle relazioni comprese nella coUezione di F. C. MARMOCCHI,
Raccolta di viaggi alia scoperta del Nuovo Continente fino ai di nostri, Prato,
1840 -1841, da cui abbiamo ricostruito i testi di F. HERNANDEZ, G. di GRlGIALVA, F. CORTES, F. D'ALVA IXTLIXOCHITL, Viaggi.lettere,
relazioni
e memorie relative alia scoperta e alia conquista del Messico, nonche le storie di
MONTESINOS, VELASCO, TOROZOMOC, Viaggi, lettere, relazioni e memorie
relative alia scoperta, alle antichitd e alia storia delle bellissime e vastissime regioni del Peru di Quito e del Messico. Dalla raccolta ramusiana abbiamo tratto i testi
delle relazioni di F. CORTES, Seconda e terza relatione della Nuova Spagna al Serenissimo et Invittissimo Imperatore Carlo V; di F. di ULLOA, Relatione dello
scoprimento che nel nome di Dio va a far I'armata dell'Illustrissimo Fernando Cortese, Marchese di Valle; nonche la Relatione d'alcune cose della Nuova Spagna,
e della grande citta di Temistitan Messico. Fatta per un gentil'huomo del Signor
Fernando Cortese.
Relativamente alle testimonianze azteche sulla conquista abbiamo esaminato
sia il testo in nahuatl degli Informantes de Sahagun, Codice Fiorentino, trad, di
A. M. GARIBAY; sia a Manoscritto 22 della Biblioteca Nazionale di Parigi, noto
sotto il titolo di Unos Anales Historicos de la Nacion Mexicana, redatto da anonimi
autori di Tlatelolco intorno al 1528, le cui parti piii significative sono state riprese da M. LEON PORTILLA, // rovescio della conquista cit.
(7) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , cap. 27.
(8) P. CHAUNU, L'America e le Americhe. Storia del continente
americano,
Bari, 1969, p. 94, rileva opportunamente che "I'avanzata dei Conquistadores semina alle spalle una serie di guerre civili, nelle quali saranno gli sconfitti ad alimentare, a cose fatte, I'avanzata di nuove conquistas".
(9) F. MARENCO, introduzione a B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 41.

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(12) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 99.


(13) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 99.
A. JARA, Economia mineraria e storia ispano - americana, in Rivista storica italiana , LXXVII 1965, p. 9, mette in rilievo il carattere ossessivo assunto dalla ricerca di bottino: "La tendenza metallifera, assai acuta e netta in tutta la documentazione e nei testimoni dell'epoca della Conquista, e un trattocomune di essa. E' un
clima, uno sfondo, piu ancora; un'ossessione.
(14) H. CORTES, Cartas de relacion, in R. IGLESlA.cit. , p. 25.
(15) Relatione d'alcune cose della Nuova Spagna. Delle citta che vi sono e delta
maniera d'alcune d'esse, in G. B. RAMUSIO, Delle navigationi et viaggi, Venezia
1561, III, p. 257 B.
(16) Codex Ramirez, Citta del Messico, 1944, pp. 36 - 37.
(17) H. CORTES, Cartas de relacion, in R. IGLESIA cit. , p. 97.
(18) H. CORTES, Cartas de relacion cit. , in R. IGLESIA cit. , p. 187.
A. GERBI, La natura delle Indie Nove cit. , pp. 121 - 131, affianca I'atteggiamento di Cortes a quello di Colombo: entrambi ansiosi di dimostrare alia Corona Spa-

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gnola come I'America sia un buon investimento, imprimono alle loro relazioni
un tono di giustificazione al proprio operare. Cortes in particolare, pur incentrando il suo racconto principalmente su imprese belliche e astuzie diplomatiche,
si e reso subito conto dell'alto grado di civilta raggiunto dagli indigeni e ne rende
partecipe I'imperatore. Gli Indios, pur con tutti i loro "difetti", non sono per
Cortes ne inetti ne codardi, ne imbecilli, ma al contrario, "es gente de tanta capacidad que todo lo entienden y conocen muy bien".
(H. CORTES, Cartas de relacion cit. , in R. IGLESIA cit. , p. 192).

nosceva bene sia il putum sia il nahuatl ed imparo in breve tempo anche lo spagnolo. Convertitasi al cristianesimo e battezzata col nome di Marina, rimase sempre fcdele al Conquistador, di cui divenne anche la compagna.

(19) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , pp. 169 - 170.


"Trois sentiments dominent; un profond degout devant certains aspects des cultures qu'ils decouvrent, une admiration stupefaite devant les realisations urbaines de
I'empire azteque, la certitude de vivre un reve eveille, mais sans retour possible"
(A. MEYER cit. , p. 110).
(20) Informantes de Sahagun, Codice Fiorentino cit. , lib. XII, cap. 17.

(33) Narrazione dei quattro viaggi intrapresi da Colombo per la scoperta del Nuovo Continente dal 1492 al 1504, corredata da varie lettere e documenti eslratti
dagli archivi della Monorchia Spagnola e pubblicati per la prima volta da Don
M. F. di Navarrete, in F. C. MARMOCCHI cit. , I, p. 165.

{21) Ibidem, lib. XII, cap. 17.


(22) Relatione d'alcune cose della Nuova Spagna cit. Delle piazze e mercati, in
G. B. RAMUSIO cit. , III, p. 258 B.
(23) Di Fernando Cortese la Seconda relatione della Nuova Spagna, in G. B. RAMUSIO cit. , III, p. 239 B.
(24) Di Fernando Cortese la Seconda relatione della Nuova Spagna, in G. B. RAMUSIO cit. , p. 239 B.
(25) Cfr. M. LEON PORTILLA, // rovescio della conquista cit. , pp. 22 - 24.
(26) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 175.
(27) In B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 176, si legge fra I'altro che "ogni giorno
gli preparavano galline, tacchini, fagiani, pernici, quaglie, anitre domestiche e salvatiche, cervo, cinghiale, uccellini, colombi, lepii, conigli e molte altre specie di
uccelli e di animali".
(28) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 177.
(29) Relatione d'alcune cose della Nuova Spagna. De casamenti, in G. B. RAMUSIO cit. , III, p. 259.

(32) Sia la narrazione degli informatori indigeni di Sahagun, sia il testo anonimo
di Tlatelolco sono incentrati suUa serie di presagi e prodigi funesti che gli antichi
messicani, e in particolare Montezuma, affermavano di aver visto a partire da una
decina di anni precedentemente all'arrivo degli uomini di Castiglia.

(34) Fernando d'Alva Cortes Ixitlilxochitl era nativo di Texoco e discendendo in


linea diretta dai sovrani di quel regno (era figho della regina NezahujJpilli) conserve una rispettabilissima posizione. Grazie alia sua dimestichezza con gli antichi
geroglifici e aUa sua conoscenza delle lingue messicana e spagnola, occupo il posto
di interprete presso il Vicere. Ci ha lasciato per iscritto la Historia Chichimeca,
opera che abbraccia la storia dei Toltechi e dei Texocani dalle origini al crollo
dell'impero per opera di Cortes. Pur con molti difetti ( imprecisa cronologia,
imparzialita), i suoi scritti, che comprendono anche delle Relaciones, risultano
tuttora utili in quanto riportano una cospicua mole di documenti originali dell'Anahuac, che difficilmente avrebbero potuto essere conservati e tradotti. Le opere
dello storico texcocano sono state tradotte in lingua italiana da C. M. Bustamante.
(35) Memorie di Don d'Alva Cortes Ixtlilxochitl, pubblicate e dedicate al Governo Supremo della Confederazione Messicana da C. M. Bustamante, versione di
F. Scifoni, in Viaggi, lettere, relazioni e memorie cit. , pp. 303 - 304.
(36) Gli Informantes de Sahagun, Codice Fiorentino cit. , lib. VI, cap. II, ci lasciano la testimonianza dei vinti e confermano I'angoscia di Montezuma e di tutto
il suo popolo: "Montezuma, sentendo che gli 'dei' molto indagavano suUa sua persona, si sentiva pieno d'angoscia. Stava per fuggire, aveva voglia di fuggire; desiderava nascondersi fuggendo, stava per fuggire. Cercava di nascondersi. Voleva sottrarsi loro, voleva sfuggire agli 'dei' ". Ma infine "non fece altro che aspettarii,
Non fece altro che rassegnarsi: domino infine il proprio cuore, si rinchiuse in se
stesso, si preparo a vedere e ad osservare quello che sarebbe successo" (Informantes de Sahagun Codice Fiorentino cit. , lib. XIII, cap. IX).
(37) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 90.

(30) Di Fernando Cortese la Seconda relatione della Nuova Spagna, in G. B. RAMUSIO cit. , III, p. 242.

(38) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 139.

(31) Dona Marina, nota anche come "la Malinche", era di origini nobili, ma questo
non le risparmio la schiavitii. Dotata di vivissima intelligenza svolse un ruolo assai
prezioso non solo come interprete di Cortes, ma anche come consigliera. Essa co-

(39) II problema, assai complesso, e stato chiarito dall'antropologo C. LEVI STRAUSS, Razza e storia, in Razza, storia e altri studi di antropologia, Torino,
1967, pp. 104 - 105: "L'umanita cessa alle frontiere della tribCi, del gruppo lin-

82

83

guistico, talvolta perfino del villaggio; a tal punto che le popolazioni cosiddette
primitive si autodefiniscono con un nome che significa "gli uomini" (o talvolta
con maggiore discrezione diremmo "i buoni", "gli eccellenti", "i completi")
sottintendendo cosi che le altre tribu, gli altri gruppi o villaggi, non partecipino
della virtii o magari della natura umane, ma siano tutt'al piii composti di
"cattivi", di "malvagi", di "scimmie terrestri" o di "pidocchi". Si arriva spesso
al punto di privare lo straniero anche di questo ultimo grado di realta facendone
un "fantasma" o una "apparizione". Hanno pero luogo curiose situazioni in cui i
due interlocutori si lasciano vicendevolmente I'ultima parola. Nelle Grandi Antille, pochi anni dopo la scoperta dell'America, mentre gli Spagnoli spedivano
commissioni d'inchiesta per stabilire se gli indigeni fossero o no dotati di un'anima, questi ultimi si occupavano di immergere i prigionieri bianchi sott'acqua
per verificare, con una sorveglianza prolungata, se il cadavere fosse o meno soggetto a putrefazione".
(40) Informantes de Sahagun, Codice Fiorentino cit. , lib. XII, cap. 16.
(41) B. DIAZ DE CASTILLO cit. , p. 240.
(42) Di Fernando Cortese la Terza relatione dalla Nuova Spagna, in G. B. RAMUSIO cit. , III, p. 279 B.
(43) Manoscritto anonimo di Tlatelolco cit. , in M. LEON PORTILLA cit. , p.55.
(44) Ibidem, p. 58.

84

ALESSANDRO BARAGONA
IL NUOVO MONDO NELLE "RELAZIONI UNIVERSALI"
DI GIOVANNI BOTERO

Collegate alia pubblicistica storico-geografica del '500, relativa alia


diffusione delle conoscenze sul mondo extraeuropeo, le Relazioni
Universali di Giovanni Botero, godettero, verso la fine del X V I secolo, di una notevolissima "fortuna" ("^^.
Pur non disconoscendo I'indubbia superiorita di quest'opera, per
ordine e completezza della trattazione, rispetto ad altri lavori dello
stesso genere e periodo storico condividiamo appieno il giudizio, espresso su di essa, da Federico Chabod che afferma come le Relazioni"' non si presentano piu come opera che abbia aperto nuovi orizzonti alia scienza geografica e statistica; e passano, sotto questo riguardo,
dal piano delle opere creative, originali, al piano delle opere di compilazione, o, con altre parole, dei manuali. Ma, da tal punto di vista,
e certo che I'opera boteriana costituisce un buon compendio di quanto, alia fine del '500, si sapeva della terra e dei suoi abitatori"
.
Al Nuovo Mondo e dedicata specificamente la Parte Quarta e proprio
le considerazioni sul continente americano saranno quelle aUe quali
Botero dedichera ulteriori attenzioni, nelle edizioni successive alia
prima, utihzzando parte delle nuove conoscenze che di volta in volta
I'Europa continuava a ricevere dalla sua piu importante e recente
scoperta.
Per dar vita alia sua immagine dell'America I'autore delle Relazioni
dovette awalersi di un cospicuo numero di fonti, dato che egli attingeva, nella quasi totalita dei casi, non a dirette esperienze, ma piuttosto alle relazioni e alle opere altrui.
Gia nelle Cause della grandezza delle citta, nella Ragion di Stato e per
compilare I'epistola al Cardinal Antonio Carafa De Catholicae Religionis Vestigiis (1586) il Botero dimostra (e d'altronde lo dichiara

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esplicitamente) di conoscere il Ramusio, Hernandez de Oviedo, Pietro


Martire d'Anghiera, Lopez de Gomara, Cieza de Leon, le lettere dei
padri della compagnia di Gesii
; nonche le valutazioni, di carattere
piii generale rispetto aUa tematica americana, ricavate dalle opere
storico-geografiche del loro tempo, dal Guicciardini al Maffei, dal
Bodin al Pigafetta(^). Occorre, poi, non dimenticare come il benese avesse anche la possibilita di utilizzare le informazioni ricevute
da numerosi ambasciatori che incontro durante la sua permanenza
alia corte di Roma e, successivamente, a quella di Madrid.
Restano, in ogni modo, gU scritti del padre gesuita Jose de Acosta
la fonte principale, spesso esclusiva, da cui Botero desume il maggior
numero di notizie e al quale costantemente ricorre anche per cio che
conceme I'interpretazione della realta del Nuovo Mondo
. E ' possibile parlare, in questo caso, addirittura di dipendenza del Botero dall'Acosta, confortati dal giudizio dello Chabod, che scrive come
"egli si decide ad aggiungere nell'opera sua le considerazioni generali sul Nuovo Mondo solo quando ha, sul tavolo di lavoro, aperto dinnanzi a se il volume dell'Acosta, dov'e possibile trovare, ad un tempo,
domanda e risposta"
.
L a scoperta dell'America viene sentita e presentata dal Botero, al pari
dei maggiori e piu noti autori del tempo, con toni estremamente trionfalistici ed esaltanti, concorrendo anch'egli a creare attomo ad essa il
clima dell'impresa grandiosa e sensazionale nella quale si puo soprattutto scorgere un segno dei grandi destini della religione cristiana. Botero,
infatti, ne parlava come di "impresa veramente heroica, e degna d'essere preferita, non che pareggiata, alle piu celebri e piu famose prodezze
de gli antichi" affermando ancora che "dalla predicatione degli Apostoli
in qua, niuna cosa e stata piu grande e piii ammirabile"
.
Identica esaltazione si ritrova nella presentazione degli uomini che
portarono a compimento la scoperta e la successiva conquista del Nuovo Mondo. Colombo, secondo il Botero,"avanz6 quante prodezze
fecero mai gli antichi heroi", perche "non fu mai huomo che mostrasse maggior costanza d'animo" del navigatore genovese; Francisco Pizarro, "cosi pronto ne' bisogni de gli amici, e cosi largo nel
donare" fu "amorevolissimo verso i suoi compagni, e creati... cosa
che arguisce grandezza d'animo", e ripeteva spesso ai suoi soldati e
capitani "che non sapevano quel che fosse voler bene a un creato".
Heman Cortes "aiuto poi sopra modo il progresso della predicatione,
e dell'Evangelio" tanto che nessuno piu di lui ebbe "cura della conversione de'popoli, ne piu zelo della gloria di Dio". Egli infatti, "rompeva
per tutto gl'Idoli, rovinava le Chiese loro: e commandava a tutti i suoi

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Luogotenenti, che facessino il medesimo nelle terre de i lor govemi.


E perche i popoh imparassino da lui la devotione, e riverenza, che si
deve alle cose sacre, e a' ministri loro, baciava I'abito a tutti i Religiosi", inoltre "non contento egli di dare a' bisognosi quel che haveva
procurava di dar loro anche quel che non h a v e v a " .
Riunendo, poi,, in un giudizio complessivo, la condotta dei Conquistadores, Botero, trattando Delle buone qualita de' conquislatori del
Mondo Nuovo, scriveva che "non sara fuor di proposito, che noi diciamo anche quattro parole delle buone qualita dei primi conquistatori dell'America, affin che s'intenda, come eghno ancora corressino,
per la parte loro, non solo aU'amphatione dell'Imperio del Re Cattolico, ma anche alia conversione de gl'Infedeli, e al struggimento delI'idolatria, e del Regno del Demonio"
.
Ora, pur se il Botero evidenziera, condannandoli, alcuni degli "eccessi" compiuti dagh Ispano-portoghesi nei confronti delle popolazioni
indigene del nuovo continente, occorre sottolineare come egli resti
legato, nei motivi di fondo, ad un'interpretazione della realta, costituita dal contatto tra i due mondi, sostanzialmente tradizionalista
e colma di retorica: salva infatti, e giustifica, nella sua globalita, la
impresa della conquista giudicandola, anzi, non solo in modo estremamente positive, ma, soprattutto, quale prodotto esclusivo della volonta di Dio.
Proseguendo sulla via indicata dall'Acosta, Botero ribadisce la legittimita dell'impiego della forza verso i selvaggi, prima ancora che per otteneme la conversione, per ridurli a uno stato di umanita che permetta loro di accostarsi al cristianesimo. In base a cio, afferma, sbagliano
tutti coloro "tra' quah regna un'opinione, indegnissima del nome
Christiano,che non si possa servire insieme a Marte (come essi dicono)
e a Christo, essere buon soldato e buon Christiano come se fosse mai
stato al mondo miglior maestro delle virtu proprie del soldato". II
veloce corso dell'Evangelizzazione, infatti, per il benese, "fu non poco aiutato dai soldati" tanto che "hor gl'indiani deditissimi al culto
deUi loro Dei, e per natura, e per consuetudine, essendo restati senza
Idoli, e senza Guache; perche la furia de i soldati, e il torrente della
guerra haveva rotto, e abbattuto ogni cosa, andarono facilmente alle
chiese, e s'accomodarono a quella religione, alia quale erano invitati,
e confortati da i predicatori Cristiani massime che ella era infinitamente piii heve, e piii soave, che I'idolatria passata"(^). Appare qui,
in modo estremamente esplicito e significativo, come U Botero accetti
ed intenda il metodo "di predicar I'EvangeUo".
E ' ancora all'Acosta, e precisamente alia suddivisione in categorie

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dei popoli barbari presentata dal gesuita nel De procuranda Indorum


salute, a cui egli si rifa,come aveva gia messo in evidenza il Romeo ^^^\
per fomirci un quadro globale degli abitanti del Nuovo Mondo. Quest! vengono classificati sulla base della "fierezza" che, definita "una certa bestialita", e distinta in vari gradi.
II primo riguarda il sentimento religiose e comprende un ampio ventaglio di realta che va da "quelli che non hanno notitia di divinita,
ne gusto di religione... che vivono affatto senza Dio: e sono con tutto
cio dediti alle stregherie, e a incantesimi... tali sono i Cicimechi e i
Brasili", a coloro "che tengono il Creatore dell'universo per supremo,
ma non per solo Dio, come i Cuzcani". II secondo grado di "fierezza"
e relative al cibo: "alcuni sono fieri perche non seminano, ne attendono agricoltura: ma mangiano come animaU, cio che la terra da se produce... segue, che da nutrimento salvatico precede anche cemplessione, e natura salvatica"; altri "sono fieri perche mangiano carne humana, 6 indifferentemente, 6 di nemici solamente presi in guerra come i
Popaianesi, e i Messicani".
II terzo livello di questa classificazione "consiste nella nudita" che puo
essere "di piQ maniere. Perche alcuni non havendo sentimento d'honesta (che fu la prima cagione, che indusse Adamo a cuoprirsi) non si
cuoprono ne anco le parti, che ci rendono different! di sesso altri si
velano ben comunque le vergogne, ma nel resto vanno nudi... Alcuni
vanno vestiti affatto, ma di pelli di fiere, o di vitelli marini il che pero
non tanto arguisce fierezza, quanto rozzezza".
Nel tipo di abitazione consiste "il quarto modo di fierezza". I piii barbari "non hanno altra stanza, che le spelonche, o i cavi degh alberi";
le popolazioni nomadi "se bene non hanno habitanze ferme quanto
al luogo, le hanno pero ferme quanto alia forma"; ma "arrivano alia perfetione della politia" soltanto quelli che "non solamente hanno habitanze ferme, quanto alia forma, ma anche quanto al luogo" vivendo
questi ultimi "in Terre e in Citta".
L a quinta ed ultima "maniera di fierezza" si identifica nel govemo.
I "Barbarissimi vivono affatto senza legge, e senza capi"; altri si organizzano gerarchicamente soltanto in guerra; infine vi sono coloro che hanno capi "in pace, e in guerra, e questi si govemano a RepubbHca, come
Tlascala, e Ciololla: o a Monarchia; questa o va per elettione, come nella nuova Spagna, o per successione come nel Peni"^^^) .
Da questa classificazione delle popolazioni americane formulata dal
Botero emerge abbastanza chiaramente come solamente coloro che
posseggono uno stabile ordinamento civile possono considerarsi fuori
dalla cerchia della "barbarie". Questo concetto veniva ristretto, nella

opera boteriana, a tutti quel popoh che vivevano staccati dalla "dritta ragione" , la quale, se non si identifica piii, come nella prima meta
del '500, esclusivamente nella civilta crisitana ed umanistica, si concreta, pur sempre, in un panorama ideologico proprio della cultura europea.
A tal proposito appare interessante il confronto tra le posizioni del
Botero e quelle del Montaigne, esempio tipico del radicale contrasto
tra cultura francese e italiana. Nel pensiero di Montaigne il concetto
di barbarie andava scomparendo, eliminando cosi qualsiasi discriminante tra barbari e civili, nella famosa frase "chacun appelle barbarie
ce qui n'est pas de son usage" ^^^^. Per Botero quel concetto, benche
Hberato da ogni diretto legame con le civilta antiche, viveva sotto
forma di una devianza dalla retta ragione e dal comune uso dei popoli intendendo con cio niente altro che D non presentare modelli
di vita europea.
Con questi presupposti appare logica conseguenza, nella costruzione
boteriana, U rifiuto del primitivo che rappresenta un primo passo
verso quella complessa teoria dello sviluppo delle societa umane, formulata nella nota concezione dell'incivilimento, che non puo non avere,
come dato di base, la condanna dello stato presociale.
Ritomano, anche qui, motivi acostiani: Botero, al pari del gesuita,
esprime giudizi estremamente lusinghieri nei confronti dei "grandi
imperi" americani. Ne ammira le imponenti opere pubbliche, come le
strade dei peruviani dei quali loda, altresi, le leggi agrarie per le quali,
egli afferma, "mi pare che costoro avanzassino di gran lunga e i compartimenti de' terreni fatti da Licurgo e le leggi agrarie de'Romani".
Elogia la lingua dei popoli del Michoacan "tanto copiosa e ricca di vocaboli... che quel che se ne intendono la preferiscono alia latina".
Esalta, soprattutto, I'antico regno e U tipo di govemo, la sapienza
e la virtu dei principi messicani.
E ' da tutti questi sparsi element! che U Botero parte per tratteggiare,
in modo chiaro e preciso, il processo di formazione della "societa civile".
Dal piu complete stato asociale, secondo I'autore delle Relazioni,
si usci per opera di "alcuni huomini di maggior capacita e discorso"
che indussero gli abitanti alia vita comune: e, da quest'ultima, sorsero le istituzioni e le sue leggi.
Parallelamente si svilupparono I'agricoltura e il commercio, le airt! e
le industrie, e, ultime, "le lettere e le scienze, massime speculative, come frutti della pace, della sicurezza, dell'abbondanza e dell'otio"
I popoli del Perii, ad esempio, "vivevano prima per le baize delle mon-

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tagne, nudi, rozi, bestiali; mangiavano cio che la terra produceva, e


anche came humana. Sotto I'Impero dell'Inga appresero, con la civilta, diverse arti. Lavoravano, e coltivavano i terreni: seminavano, raccoglievano, e riponevano i lor grani, legumi e radici. Attendevano alle
rainiere d'oro, d'argento, e di rame: allevavano grossi arn^ienti, e greggi
d'animali; li tosavano e tenevano conto della lana; fabbricavano tappeti, e panni, co' quali non solo si vestivano, ma s'adornavano ancora;
fabbricavano terre, e casamenti d'importanza, Tempii e CastelH. Havevano Tempii, e Sacerdoti, e Sacrifitii, divisione di gradi, e distintione
di sangue: forma di Giustitia, e di ragione, maniera di leggi, e di statuti".
Tutto cio dimostra, afferma ancora il Botero, come "sotto un gran
Monarca i popoli si raffazzonano, e si ripuliscono; e si esercitano
neU'humanita; i Superiori per saper govemare, i suditi per saper ubidire, e mettere in essecutione quel, che loro vien comandato e a Principi torna bene introdurre negli stati loro le arti per cavarne, utile e
commodo, e di favorire le virtvi, per essere serviti con piii grandezza,
e decoro e la possanza, si come desta i Principi a pensieri generosi,
e ad altre imprese, cosi eccita anche i sudditi ad essequirle, e a metterle in effetto" (^^^.
Emerge qui, compiutamente, un concetto di "civilta" che, superato il
mito e I'utopia dell'eta dell'oro, osserva si con sempre maggiore attenzione le piii complesse formazioni politico- sociali del Nuovo Mondo, ma tende inevitabilmente a confermare e a rafforzare valori tradizonali attraverso una interpretazione conservatrice dell'insieme delle
societa d'oltre oceano che vengono giudicate tanto piii favorevolmente quanto piii esse si awicinano al modello europeo. Numerose osservazioni, presenti nelle Relazioni
universali, ci confermano, d'altronde, come in Botero rimanga saldissima I'idea della superiorita dell'Europa che, piu piccola, sembra tuttavia nata "per signoreggiare I'Africa e I'Asia e I'America"
.
Al di la deUe valutazioni parziali resta, quale dato incontrovertibile,
come i popoli e le realta recentemente scoperte non interessano il Bo-,
tero se non per portare nuovo alimento e ulteriori conferme ai principi teorici da lui enunciati nella Ragion di Stato e tutta la rappresentazione boteriana del Nuovo Mondo e gravata dalla costante ed esclusiva preoccupazione di presentare un'interpretazione di questa relata americana che "sia funzionale, come sempre, alle nuove teorie che
I'Europa aveva partorito.

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Note

(1) L a prima edizione della prima parte delle Relazioni universali venne stampata in Roma nel 1591 e la prima edizione completa, in quattro libri, dedicata a Carlo Emanuele I di Savoia, vide la luce a Bergamo nel 1596. L a quinta parte delle
Relazioni stesse, conclusa dal Botero nel 1611, si legge in C. GIODA, La vita e
le opere di Giovanni tSotero, III, Milano, 1895.
Luigi Firpo s. v Botero in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 1971,
X I I I , pp. 352 - 362, ci informa di un centinaio di edizioni e traduzioni in latino
(Helmstadt 1596), tedesco ( Monaco 1596), inglese ( Londra 1601), spagnolo
(Gerona 1603) e polacco (Cracovia 1609).
Pochissimi, per I'importanza che I'opera ha avuto nel suo tempo, e sempre estremamente limitativi, rispetto alia tematica globsde, i lavori su questo scritto del
Botero. Tra i piu significativi segnaliamo qui: S. B A T T A G L I O N E , Frammenti inediti delle "Relazioni universali" di Giovanni Botero in // Subalpino, I I I , 1838, I ,
pp. 17 - 24; L . POZZI, La "Ragion di Stato" e le "Relazioni universali" di Giovanni Botero, Casale, 1881; G. BIGONI, Note e appunti su Botero e sulla quinta
parte delle "Relazioni universali" in Rivista geografica italiana, II, 1895, pp. 302 -8,
355 - 68; P. PINTON, Le "Relazioni" del Botero nella storia della geografia in
Bollettino della Societa geografica italiana, V , 1859, pp. 43 - 8; A. MAGNAGHI,
Le "Relazioni universali" di Giovanni Botero e le origini della statistica e dell'antropogeografia, Torino, 1906.
(2) F . CHABOD, Giovanni Botero in Scritti sul Rinascimento, Torino, 1967,
p. 430. Resta questo il lavoro fondamentale sulla psicologia, metodo scientifico
e su molti aspetti del pensiero del Botero. Ricordiamo, su quest'opera, la notevole recensione di C. MORANDI, in Bollettino storico - bibliografico subalpino,
X X X V I , 1934, pp. 617 - 625.
(3) P. M A R T I R E d'ANGHIERA, De Orbe novo decades, Alcala, 1530; G . H E R NANDEZ de O V I E D O , Summario de la naturale et general historia de I'Indie
Occidentali, Venezia, 1534; P. C I E Z A de L E O N , La prima parte dell'Istorie del
Peru, Roma, 1555; G. B. RAMUSIO, Delle navigationi et viaggi, Venezia, 1556;
F . L O P E Z de GOMARA, La Historia generale delle Indie Occidentali, Roma,

93

1556.
(4) G . P. M A F F E I , Historiarum Indicarum libri XVI, Firenze, 1588; J . BODIN,
/ sei libri della Repubblica, Genova, 1588; A. P I G A F E T T A , Notizie del Mondo
Nuovo con le figure de paesi scoperti, Roma, 1894; F . G U I C C I A R D I N I , Storia
d'ltalia, a cura di C. Panigada, Bari, 1929.
(5) Jose de Acosta, le cui opere godettero di grande fortuna verso gli ultimi anni
del X V I secolo, fu autore di un De natura novi orbis libri duo et de promulgatione Evangelii apud barbaros, sive de procuranda Indorum salute libri sex, Salamanca, 1589. L a composizione dell'opera e, comunque, precedente: il De procuranda Indorum salute e del 1576, mentre il De natura novi orbis venne scritto
poco prima del 1583. Ma lo scritto piii importante del padre gesuita fu la Historia natural y moral de las Indias, Siviglia, 1590.
(6) F . CHABOD cit. , p. 423.
(7) G. B O T E R O , iJetazioni universali, Venezia, 1602, parte I V , p. 20.
(8) Ibidem, pp. 28 e sgg.
(9) /6idcm,p. 27.
{10) Ibidem, p. 37.
(11) R. R O M E O , Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Milano - Napoli, 1954.
(\2) Ibidem, pp. 43 e sgg.
(13) M. de MONTAIGNE,
pp. 242 - 243.

Essais, a cura di A. Thibaudet, Parigi, 1950, I , 31,

(14) G. B O T E R O , op. cit. , pp. 69 - 70.


(lb) Ibidem,'p. 16.
(16) Ibidem, parte I, pp. 1 - 3.

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SILVIO ZAVATTI
L U I G I B E R T O N I O S.J. MISSIONARIO N E L P E R U '
(1555 - 1 6 2 8 )

Su questo missionario marchigiano, vissuto a lungo in Peru, di cui


studio alcune lingue aborigene, si conoscono poche, contrastanti e
non sempre corrette notizie. lo stesso, in un mio lavoro ^^Mo segnalai con un nome non suo, ma usato da altri autori, e lo dissi nato
a Fermo.
Luigi (e non Lodovico) Bertonio nacque a Roccacontrada nel 1555
o verso quell'anno. L a citta di Roccacontrada muto il proprio nome,
nel 1816, in quello attuale di Arcevia: si trova in provincia di Ancona
e conserva ancora, in buona parte, la struttura urbanistica medievale.
Nell'Archivio della Collegiata di S. Medardo si conservano i registri
delle nascite e dei battesimi, ma hanno inizio pochi anni dopo la data
di nascita del Bertonio: non ho potuto, quindi, ricavare il giomo e il
mese della nascita e nemmeno controUare I'anno. II P. Edmondo
Lamalle S. J . , direttore dell'Archivum Romanum Societatis lesu,
mi ha confermato che il Bertonio nacque in Arcevia, "secondo le
Enciclopedie (e secondo i nostri d o c u m e n t ! ) " .
L'Archivio Comunale di Arcevia, molto mai conservato, potrebbe
riservare forse delle sorprese, ma ho avuto modo di visitarlo molto
in fretta. Segnalo la Busta B, che ha per titolo Memoric arcevicsi:
sono sei fascicoh redatti nei secoli X V I I I e X I X e riguardano memorie
sugU uomini illustri e i document! del luogo. Non avendo potuto
consultarh, non posso dire se contengono notizie sul Bertonio. Debbo
aggiungere, pero, che nessuno in Arcevia, nemmeno gli storici locah, hanno mai sentito parlare di Luigi Bertonio.
Nel 1574, il 29 ottobre, a Roma, entro nella Compagnia di Gesii e,
terminati gU studi, fu trasferito (1581) alia provincia del Peru. Per

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quarant'anni fu missionario fra gli Indios, principalmente nell'insediamento di Juli, lungo le sponde del Lago Titicaca. Negli ultimi anni
della sua vita fu insegnante nei collegi di Arequipa e di Lima. Mori
nella capitale il 3 agosto 1625. Risiedendo a J u l i , fra tribii famose
per la purezza del loro idioma, studio la lingua aymara, che illustro
in molte opere ed uso in pubblicazioni rivolte alle popolazioni indigene ('^^ .
Non sembra che U Bertonio abbia scritto relazioni e lettere, ma puo
darsi che qualche Archivio conservi quedcosa del genere perche non e
pensabile che un missionario non abbia dato informazioni su popolazioni e luoghi allora pochissimo noti. Ma anche se cio fosse, gli studi
linguistic! compiuti sono piu che sufficienti a tramandare la gloria
di quest'uomo che fece conoscere un aspetto importante della cultura aborigena del Peru.
Questa nota ha il solo scopo di stimolare qualche giovane studioso
a svolgere ricerche piu approfondite sul Bertonio e a questo fine si forniscono altre indicazioni bibliografiche
.

Note

(1) S. Z A V A T T I , Esplorotori e viaggiatori marchigiani, in Bollettino della Camera


di Commercio, Industria, Arligianato e Agricoltura di Macerata, ottobre 1971,
pp. 5 - 8.
(2) Lettera del 6 ottobre 1976.
(3) La bibliografia sul Bertonio e quanto mai scarsa. Si Cfr. : Enciclopedia Ita
liana, Roma, 1949, V I , p. 796 (autore Giuseppe Castellani S. J . ) ; Enciclopedia
cattolica, I I , p. 1479 (autore Edmondo Lamalle S. J . ) ; U. IMPERATORI, Civilta italiana nel mondo. Nell'America Latina, Roma, 1940, ( a p. 37 si legge
ed il marchigiano Ludovico Bertonio, che, dopo aver condotto accuratissimi studii dell'idioma "Aymara", pubblico interessanti opere nell'idioma stesso.").
L'opera fondamentale nella quale si trovano ripetute citazioni sul Bertonio sono i
Monumenta Historica Societatis lesu che si cominciarono a pubblicsire a Madrid
nel 1894. L'Istituto Storico della Compagnia ne continue poi I'edizione a Roma.
Nella seconda serie, dedicata alia storia delle missioni, vi e una sezione di Monumenta Peruana, pubblicata dal P. Antonio de Egaria. Fra il 1954 e il 1974 ne sono
usciti sei grossi volumi, che coprono il periodo compreso fra U 1565 c il 1599,
cioe quello precedente all'attivita missionaria del Bertonio. Nei volumi I V , V
e V I U Padre Luigi Bertonio e ricordato a piu riprese, ma non vi sono riprodotte
sue lettere o relazioni perche non ne sono state trovate. Bisognera attendere la pubblicazione del volume VII per sapeme, forse, qualcosa di piu.
(4) Per la bibliografia dell'opera linguistica del Bertonio, cfr. il monumentale repertorio: P. R I V E T - G. CREOUI-MONTFORT. Bibliographic des langues aymara
et
feicua,Parigi,1951.Quisenedauneleneoquantopiijpossibilecompleto:
Arte breve de la lengua aymara, Roma, 1603 (ma in realta, forse, 1608 :ristampato a Julf
nel 1612); Arte y gramatica muy copiosa de la lengua aymara, Roma, 1603; Vocabulario de la lengua aymara, Julf, 1612, voU. 2 (queste due ultime opere fondamentali furono riprodotte in fac-simile da J . Platzmann, Lipsia, 1879); Confesionario muy copioso en dos lenguas, yamard y espanola, Julf, 1612. Con I'aiutodi
un Indio di Juli il Bertonio adatto ai bisogni degli indigeni I'opera di Alonso de Villegas. Libra de la vida y milagros de Nuestro Senor Jesu Christo, en dos lenguas.

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99

aymara y romance, Julf, 1613; Historia de los quatro Evangelios en lengua aymara con varias reflexiones para exortar y instruir d los Indios, ecc. sacada de un libra
antiguo que ahara son 160 anas did d luz el P. L . Bertonio, 1760.

MARISA P E R R O T T A
(5) Alia bibliografia data nella nota 3, bisogna aggiungere N. SOTWEL, Bibliotheca
Scriptorum Societatis lesu, Roma, 1676; G . M. M A Z Z U C C H E L L I , Gli scrittori d'ltalia, Brescia, 1753; E . T O R R E S SALDAMANDO, Las antiguos Jesuitas del Peru,
Lima, 1882, pp. 77-78; C. S O M M E R V O G E L , Bibl. de la C. de Jesus, Bruxelles,
1890, I , coU. 1392 - 1394; VIII, coll. 402 - 404; T. MEDINA, Bibliotheca hispanaamericana, Santiago del Cile, 1900, vol. II, pp. 30-31 ; J . E . U R I A T E e M. L E C I N A ,
Bibl. de escritares de la Comp. de Jesus... de Espana, Madrid, 1925, vol. I , pp. 477478; M. MENDIBURU, Diccionario histdrico-biogrdfico del Peru, 2" ediz. a cura di
E. SAN C R I S T O V A L , Lima, 1932, vol. I l l , pp, 50-56.

Ringrazio vivamente il Padre Edmondo Lamalle, Direttore dell'Archivio Romano


della Compagnia di Gesu, per i preziosi aiuti prestatimi.

100

D A L L A CINA D E L M A F F E I A L L A CINA D E L G E M E L L I
C A R E R I : U N ' IMMAGINE C H E NON M U T A

" E ' stato scritto che "se gli uomini del X V I secolo hanno scoperto I'America, quelli del X V I I hanno avuto la ventura di scoprire la Cina". L a
tesi, a prima vista sconcertante, ha scritto Eugenio Garin ha un suo
significato profondo: I'Europa nel Seicento non scopre un nuovo continente, ma si rende conto dell'esistenza di una civilta piu antica della
propria, diversa ma non meno ricca, anzi degna di essere innalzata a modello soprattutto dal punto di vista dei costumi e dell'organizzazione
politica"(l).
II X V I I secolo e caratterizzato, infatti, nella cultura europea, da una riconsiderazione secondo rinnovate prospettive della Cina
, intesa e
descritta non piii come il mitico e favoloso Catai poliano, bensi come un
modello di civilta per il nostro continente
. Furono soprattutto le
relazioni dei Gesuiti ad esercitare un'influenza determinante a tale
riguardo: i loro scritti proposero la nuova immagine di una Cina saggia,
industriosa e organizzata in modo cosi efficiente da assurgere a modello, accanto se non al di sopra del mondo classico.
In questa prospettiva vanno percio rilette e riconsiderate tutte le relazioni che in quel periodo affrontarono un simile argomento e a tale scopo si e rivolta la nostra attenzione al sesto libro delle Istorie delle Indie Orientali del gesuita Giampietro Maffei
e al quarto libro del
Giro del mondo di Gianfrancesco Gemelli Careri
L'esame parallelo di queste due opere, ugualmente important! per gli
influssi che determinarono nella cultura italiana di quel tempo, ci e
parso particolarmente significativo ed interessante, perche, appartenendo esse a due epoche different! ed essendo state compilate da autori d!
diversa formazione e sensibilita, potevano rivelare I'eventuale evoluzione verificatasi, nel corso d! piii d! im secolo, nel modo di considerare e

103

presentare gli aspetti piu significativi della civilta cinese. Ulstoria delle Indie Orientali si colloca, infatti, aU'inizio della letteratura sinologica
di estrazione gesuitica, mentre I'opera del Gemelli Careri, apparsa proprio alia fine del Seicento, e interessante soprattutto perche venne letta
e citata da molti scrittori settecenteschi che si occuparono della Cina
.
L'interesse del Maffei appare rivolto soprattutto a porre in evidenza,
con notevole abbondanza di riferimenti e di particolari
le caratteristiche politico-amministrative del govemo dei Ming, per cui risulta
quanto mai ampia ed esauriente la parte dedicata all'analisi dell'apparato burocratico della monarchia cinese, scelta questa, d'altra parte, del
tutto omogenea e rispondente, a prescindere dalla situazione complessiva pur orientata nello stesso senso
alia concezione ed alia "forma
mentis" di un gesuita della fine del '500, membro cioe di im ordine fondato sul rispetto della gerarchia e di rigide norme.
Egli sottolinea, pertanto, a piii riprese, il grande senso di subordinazione e di rispetto della gerarchia che poteva permettere I'organizzazione efficiente di un cosi vasto impero:

"Oltre a questo egli


spedisce uomini sufficienti con ampia potesta per tutte le
parti del regno a vedere e a considerare tutte le cose presenzialmente"(ll).

II visitatore, giunto a destinazione, compiva la sua ispezione e:


"

secondo che richiede il bisogno altri orna di lodi e gli tira a piii alti gradi; altri
o priva del grado, o punisce con piii gravi pene", per cui "con questa paura principalmente i magistrati e i giudici sono tenuti a segno"(12).

II servUismo politico di pochi uomini garantiva, dunque, il mantenimento di un regime rigidamente autoritario.
Furono adottate altre misure per contrastare la cormzione dei pubblici poteri, come evidenzia sempre il Maffei:
"e questi acciocche siano voti d'odio e d'amore per essere tra gente non conosciuta, e seguitino nel giudicare la diritta ragione, non sono nativi del paese, dove amministrano la giustizia" (13) inoltre:
"Tutte le cose si spediscono palesemente; il trattare a solo a solo e parlare di segreto
sono vietati, per non dar adito alle scelleratezze ed alle fraudi che si fanno
in occulto"(14) .

"Per tutto egli annota e grandissimo numero de' magistrati minori: ma i maggiori in ciascheduna metropoli sono cinque
Tra questi
il primo luogo di dignita e d'imperio ritiene il Tutan. Questo quasi come vicario del re e proposto a tutta la provincia
A questo vanno tutte le cose gravi, e di grand'importanza;
....ed awisa sovente il re per lettere di tutto lo stato delle cose. II secondo luogo dopo costui tiene il Poncasio, il quale ha la cura dell'entrate pubbliche e del fisco regio
Seguita poi I'Ancasio, il quale con un consiglio d'uomini eletti non solamente
giudica
le liti civili, ma ancora fa i processi delle cose criminali
Di poi I'Aitan govemale cose della guerra, scrive gli eserciti, prowede I'armate... All'Aitan e soggettoil Luitisio, chetienerultimoluogo,ilqualesimilmenteeperitodeUaguerra... "(9).

Per rafforzare I'efficienza del loro Impero i Ming non solo rinunciarono
p. qualsiasi piano di conquista, ma ritirarono anzi le tmppe da alcuni territori:

In questa maniera il re:

Essi si limitarono a consolidare I'autorita sugli stati tributari da tempo


asserviti e a mantenere i contatti con la Malesia e le Isole del Sud: anche questo appare un comportamento, e come tale viene sottolineato, da suggerire ed indicare alle nazioni europee di quel tempo, troppo
spesso impegnate in guerre di conquista, che sul piano intemo minavano la saldezza ed efficienza delle stmtture politiche ed amministrative.
Sono schemi e posizioni, alle quali, a piii di un secolo di distanza,
sembra uniformarsi ed aderire in linea di massima pure Giem Francesco Gemelli Careri
la cui analisi dell'organizzazione pohtico-amministrativa della Cina appare ugualmente molto dettagliata.
Anch'egU, infatti, ci elenca in modo analitico le principaH autorita, distinte secondo il loro ordine gerarchico:

"e awisato continuamente di tutto lo stato delle provincie e delle azioni de'governatori, perciocche vi sono i corrieri di maniera ordinati, che ogni mese di qualsivoglia provincia sono portate le lettere alia corte. Questi corrieri
corrono velocissimamente, e quasi volano, e ad ogni posta awisano innanzi la venuta loro e con
isquille
, owero
con comi acciocche siano subito messi in punto i cavalli freschi, owero apprestate le navi per passare i fiumi"(10).

I govematori delle province , inoltre, non potevano sottrarsi al controllo


regio:

"
e gli annali....fanno certa testimonianza che I'imperio di quella nazione fu gia
molto pill largo e ampio, che oggi non e. Ma perche restavano troppo aggravati dalla
grandezza e dalle forze proprie...quasi traendosi sangue di loro volonta, overo togliendo alle biade il soprabbondante rigoglio, si ritirarono per se stes-si dentro a questi confini
"(15).

104
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"I mandarini di tutto ITmpero si distinguono in 9 ordini: ed ogni ordine e diviso


in 9 gradi
I Mandarini del I ordine sono consiglieri del Consiglio di Stato del
Re, che e il piii grande onore, e la piii alta dignita, a cui possa giungere un letterato dell'Imperio
Questi Consiglieri non han numero determinato, ma ora son piii,
ed ora meno, secondo che place all'Imperatore, che U sceglie a sua volonta fra'
Mandarini di altri tribunali
"(17).

Uguale attenzione viene riservata anche ai principali tribunali:


"II I di questi tribunali si chiama Lupu: la sua carica e di prowedere a tutto I'imperio di Mandarini, e d'essaminare i loro meriti e difetti
I I I I tribunal supremo
si dice Hupu che significa Gran Tesoriero del Re....11 3 Supremo Tribunale si chiama Lipu che sovraintende a'Riti, alle cerimonie alle scienze e arti
II 4 Supremo
Tribunal si chiama Pimpu, che ha direzione della guerra, e delle armi di tutto I'imperio
II 5 Supremo Tribunal si chiama Himpu, che e la camera criminale di tutto
I'imperio
II V I Supremo Tribunal si dice Compu, o Tribunal dell'opre pubbliche"(18).

A questo proposito viene messo in evidenza come, per evitare che gli appartenenti a ciascun tribunale potessero ordire delle ribellioni o dei tradimenti tali da pregiudicare I'intero assetto organizzativo, erano state
previste delle misure adeguate a limitame I'autonomia ed il potere:
"Questi sono i 6 supremi Tribunali, che reggon tutta la Cina,.... ma percioche
ogn'un di lor in particolare se sarebbe stato troppo potente, i Re gli hanno per tal
guisa stabUiti, e distribuiti loro gli impieghi
che niuno e assoluto nell'affare di
sua giurisdizione, ma tutti dipendono I'un daU'altro"(19).

Particolare rilievo viene dato dal Gemelli Careri anche alle misure adottate per contrastare la corruzione dei pubbhci poteri e il pericolo di
ribellioni:
"Tutti i mentovati Mandarini esercitano la carica per 3 anni, quali finiti, passano ad
altra migliore, purche i loro mali portamenti non fiano d'impedimento. Niuno ha
governo nella citta o provincia, ov'e nato, accio la giustizia non vacilli, per gli interessi, ed amor de parenti..."(20).

Accanto a queste pagine, nelle quali viene proposto un ampio panorama


delle peculiarita del sistema amministrativo e burocratico della monarchia cinese, ben piu interessanti per il nostro discorso ci appaiono quelle
nelle quali il Gemelli Careri esprime al riguardo un esplicito giudizio, introducendo un paragone con la situazione europea del suo tempo:
"Merita gran pregio la Cina egli afferma per I'eccellenza del suo governo...
La conoscenza, la distinzione, e la subordinazione di questi ordini e si perfetta,

la sottomissione, e venerazione degli ultimi verso i primi, e I'autorita di quelli sopra


questi e si grande: ed in fine la potenz^ sovrana del Re sovra gli uni e gli altri e si
assoluta; che non e comparabile al nostro governo, o che sia secolare o Ecclesiastico"(21).

II Gemelli Careri, pero, pur dimostrando di apprezzare I'assetto istituzionale esistente in Cina, awerti^^^^, al contrario del Maffei, la corruzione sulla quale si fondava I'organizzazione dell'Impero, minato alia
base dai Mandarini, che non si facevano scrupolo di anteporre i propri
interessi al bene comune e amministravano la giustizia non secondo le
leggi, ma secondo i denari che venivano loro corrisposti:
"Se i mandarini nel giudicare i processi facessero il loro dovere secondo le leggi, e
I'intendimento del Re, la Cina sarebbe il piii felice paese del mondo, e meglio governato; ma coloro quanto sono attenti osservatori delle formalita esteriori riferite,
altrettanto internamente son maligni, ippocriti, e crudeli. I loro artifici, e furberie
sono si gran numero, che bisognerebbe lungo tempo a narrarli, essendo ben raro un
mandarino esente dall'avarizia, e corruzione, perche non considerano la giustizia o
ingiustizia della causa, ma coloro, che lor danno piu danajo, o presenti; non pensando d'altro che di soddisfare alia loro sacrilega cupidigia, come tanti ingordi lupi..."(23).

Concetto questo ribadito in un'altra circostanza:


"n bello si e che quantunque vi siano tante belle, e buone leggi, per impedire, e castigare le baratterie de'Mandarini
pure la loro malvagita, ed avaritia truova il modo di ricevere il danajo, con tanta segretezza
"(24).

L a sua critica, tuttavia, non appare rivolta alle istituzioni, ma al cattivo


funzionamento delle stesse, imputabile agh uomini deputati a rappresentarle, per cui anche il viaggiatore calabrese si uniforma nella sostanza
all'allor diffuso atteggiamento di ammirazione per la civilta cinese.
Un'altra tematica, a proposito della quale le pagine sulla Cina lasciateci
dal Maffei e dal Gemelli Careri sembrano riflettere, a piii di un secolo di
distanza, un atteggiamento pressoche simile, almeno nelle sue componenti di fondo, e quella della situazione economica dell'impero cinese,
della quale entrambi ci offrono una visione eudemonistica, un ritratto
idillico-descrittivo, inserendosi nel filone dei celebratori della fertilita
della terra cinese, completamente estranei, come ogni uomo del loro
tempo, ai fattori sociah, tecnici, produttivi, indispensabili per giungere
ad una esatta comprensione di qualsiasi struttura socioeconomica.
L'approccio del Maffei con la realta economica si commenta infatti da

106
107

solo attraverso le sue

stesse pagine, dalle quali abbiamo cercato di

estrarre le parti piii significative:


"Questa regione, perche per la maggior parte si contiene dentro a'termini del
mondo temperato, e col suo seno puro ed aperto riceve i raggi del sole per loro
natura vitali, ha I'aria molto salutifera, e gode la dolcezza della piii pura aura, ed ha
il terreno molto fertile, sicche produce ogni sorte di biade, e rende il frutto due e
tre volte ranno"(25).
"I monti e i colli sono vestiti di pini e di viti, per le campagne e per le pianure seminano risi, orzi, grano ed altre biade
Alcuni paesi mancano d'ulivi, ma invece
di essi vi sono piante, che somministrano umore, che fa il medesimo effetto che I'olio.Vi sono ancora grassi pascoli da nutrire le greggi, ed in giardini molto ben
coltivati ed ornati vedresti e I'altre frutte del nostro emispero, e poponi saporitissimi, susine e fichi soavissimi ed ottimi, e melarance e cedri e limoni molto eccellenti, vari di forma e sapore. Oltre a questo vi sono chiare fontane e fiori; le rose
hanno bellissimi colori e spirano soavi odori
: vi corrono fiumi
copiosi di
pesci e molto ameni, le cui ripe sono vestite di verdi arboscelli, ed hanno attorno
fertili campagne. Le marine hanno molti stagni
onde si puo
estrarne tutte le
cose che sia di bisogno
le paludi e i boschi hanno gran copia di uccelli e di fiere.
Hanno miniere d'oro, d'argento e di ferro elettissimo, e di altri metalli ancora"(26).
Ci troviamo di fronte, come ha evidenziato lo Zoli ^^'^\ delle immagini stilizzate, ireniche, a delle descrizioni di paesaggi paradisiaci, a delle
incantevoli vedute, immerse in spazi temporaU immoti e silenti, ben lontane pero ded cogliere e proporre la vera immagine delle cose.
Alia stessa genericita ed approssimazione di analisi e valutazione si devono le parole di lode per I'industriosita dei contadini cinesi:
"AUa fertilita del terreno, che per sua natura e meravigliosa, s'aggiunge I'industria
de'coltivatori, che e grandissima
; ed in tanta turba non e permesso ad alcuno lo
stare in ozio: che I'infingardaggine e castigata....dai costumi e dalle leggi pubbliche.
Onde i lavoranti non lasciano pure un palmo di terra senza coltura"{28).
Con Uguale slancio ammirato ed acritico al tempo stesso ci viene proposto pure un ritratto dell'industriosita dei Cinesi, che, secondo il Maffei:
"Non lasciano andar male nulla per negligenza, che possa servire a qualche cosa;
degli escrementi, ed altre brutture si servono ad ingrassare il terreno; de' cenci vilissimi per far la carta, e finalmente adoprano I'ossa de'cani ad intagliarle e ridurle in
varie rigure"(29).
Egli tende a piu riprese a presentarci la Cina come il migliore dei mondi
possibili, in cui tutti lavorano e contribuiscono alia prosperita individuale e coUettiva:

108

"Non si trova quasi nessuno che si stia per le piazze ozioso


cando il pane"(30).

overo che vada mendi-

Siamo di fronte ad un ritratto dai toni stereotipati, che nulla lascia trasparire deUa ben piii complessa e contradditoria realta umana e sociale del mondo cinese, che tuttavia sembra ugualmente emergere, in
maniera casuale e quasi impercettibile, in alcuni passi dedicati agli espedienti messi in pratica dai Cinesi per soprawivere:
"Vi sono di queUi, che
allevano grandissimi branchi d'uccelli da ingrassare, e
massimamente di anitre
e le genti del paese...tratte dal guadagno, corrono subito
con reti e con giacchi, e ..fanno grandissime prese (di grandissimi branchi
di pesci) "(31).
Anche il Gemelli Careri sembra ignorare o preferisce ignorare gli
aspetti meno esaltanti dell'organizzazione socioeconomica del mondo
cinese, riproponendo le consuete osservazioni superficiali e di maniera:
"Tanto grande spazio di paese, sembra aU'amenita del terreno, all'abbondanza di
frutta, e alia deliziosa cultura, tutto un giardino. Cio awiene perche la Cina partecipa, per quanto le torna in bene, di tutte le differenze di climati, senza avere, o la
barbarie dell'uno estremo, o la troppa moUezza deiraltro".(32)
" L a quantita d'oro, ch'ella ha
e tale che
vien comperato egli medesimo per
mercanzia. A riguardo dell'argento, la quantita che i Cinesi ne hanno accumulata,
dee essere immensa
Si truovano altresi in Cina molte miniere di rame, ferro,
stagno, e ogni sorte di metalli
L a seta e la cera bianca della Cina sono due cose,
che meritano essere notate. La prima e la migliore del mondo e ve n'ha tale abbondanza, che gli Antichi chiamarono la Cina, il Regno della seta
Quanto alia cera, e la piii bella, e bianca di qualunque altra,
e si raccoglie in tal quantita,
che basta per tutto I'imperio
A riguardo della carne, del pesce, frutta et altri
cibi, basta dire che hanno tutti quelli che abbiamo in Europa, e molti altri
perche quanto all'abbondanza, si scorge dal basso prezzo
(hanno) le cinque
principali sorti di grano; cioe riso, formento, avena, miglio, piselli, e fave....varie
sorti di legumi; come fagiuoli, ceci
sei sorti di carne di animali domestici, che sono il cavallo, il bue, il porco...il cane, il mulo, e la capra cento sorti di frutta;
cioe pere...poma, nespole, sorbe, persiche, uve, melaranci, noci, castagne, melegrane, cedri, limoni, lazzeruole, pinnocchi, pistacchi
fichi d'India. ananas vivas....
Sono ottimi in Cina i melloni d'ogni spezie, le zucche, i cedruoli, le rape, i ravaneTU
... i cavoli, finocchi, cipoUe, agli, borraggini, ed altre erbe, che abbiamo in Europa...
La cacciagione poi e assai abbondante
diverse sorti di animali volatili, quadruped!
diverse sorti di cervi, daini, tigri, cinghiali, alci, lepri, conigli
"(33).
EgU si limita ad osservare:
"

in tutto I'imperio non vi e un piede di terreno inutile"(34)

109

Note
e ancora:
"Sembra molto strano a Cinesi I'udire, che i nostri campi, per un sol parto I'anno
divengano magri, e molto piii che ci convenga lasciargli un'anno intero oziosi,
perche ripiglin sugo
"(35).
II numero dei poveri, a dimostrazione che non tutto funzionava alia maniera che la gran parte dei dati e delle immagini proposte dal Gemelli
Careri sembravano suggerire, doveva, pero, essere alto, se il govemo aveva adottato prowedimenti contro i vagabond!:
"Tutti i ministri
te"(36).

prendono cura di estirpare i vagabondi, castigandoli severamen-

Ancor piii rivelatori, per chi avesse voluto coglieme il significato, di una
situazione sociale tutt'altro che armonica, avrebbero dovuto essere
gli espedienti e I'industriosita cui ricorrevano per soprawivere molte
famigUe cinesi e delle quali il Gemelli Carreri dimostra di essere informato:
"
dentro la sola citta di Pekin vi sono piii di 10 m famiglie, che non hanno altro
mistiere, per vivere, che vendere zolfanelli per accendere il fuoco: altrettante, che
vivono col raccogliere solamente per le strade, e dalle spazzature, stracci di drappi di seta, e di tela di cottone, e di canape; petacci di carta, ed altre cose simili, che
poi lavano e nettano, evendonoad altri che I'adoprano, per diversi usi profittevoli"(37).
In un altro passo leggiamo ancora che:
"altri per procacciarsi il vitto, insidiano la vita a pesci, non solo con quantita e diversity di reti, ma adoperano eziandio uccelli. Tendono reti agli uccelli per fame
preda e con astuzia catturano le oche silvestri"(38).
Risulta piu che evidente da queste poche citazioni che entrambi gli
autori di cui ci siamo occupati tralasciarono, come la quasi totalita
dei loro contemporanei, di analizzare in chiave critica le reali condizioni
sociali, politiche ed economiche della Cina, rimanendo ancorati ad una
visione di quel mondo artificiosamente e strumentalmente piegata e ricondotta entro gli schemi di un "mito" funzionale alle esigenze dell'ampio dibattito allora in corso, nell'ambito della cultura europea, sui modelli ideali di oj^anizzazione politico-sociale.

(1) E . G A R I N , Le civilta extraeuropee (in particolare I'Oriente e I'America) nella


cultura dell'Europa moderna: miti, influenze, problemi, in La musica occidentale
e le civilta musicali extraeuropee. Atti della tavola rotonda organizzata in occasione
del X X X I V Maggio Musicale Fiorentino. Ente autonomo del Teatro Comunale
di Firenze. Quaderno n. 2. Firenze, 1971, p.40; ora anche in Rinascita e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Bari, 1975, p. 346, con il titolo
AUa scoperta del "diverso ": i selvaggi americani e i saggi cinesi.
(2) Per un'ampia e aggiornata rassegna della storiografia dell'influenza del "mito cinese" sulla cultura europea, cfr. S. Z O L I , // mito settecentesco della Cina in Europa e la moderna storiografia, in Nuova Rivista Storica, L X , 1976, pp. 335 - 336,
dove, pur essendo il discorso rivolto al Settecento, vengono ugualmente segnalati
numerosi testi che riguardano anche il secolo precedente.
(3) Ha scritto sempre il Garin che si realizza tra il '600 e il '700 "il trapasso sfumato dalla Cina di Marco Polo alia Cina dei Gesuiti, ossia dall'antico miraggio
alia scoperta di una realta conturbante". ( E . G A R I N cit, pp. 41 - 42).
(4) G . P . M A F F E I , Le Istorie delle Indie Orientali, Genova, 1829.
(5) G . F . G E M E L L I C A R E R I , Giro del mondo, Napoli, 1699.
(6) II problema della "fortuna" del Gemelli Careri nell'ambito della cultura italiana
ed anche europea del Settecento meriterebbe senz'altro un'indagine a se stante. A
titolo puramente orientativo ci si puo rifare alle indicazioni reperibili nell'opera di
M.DUCHET, Origini dell'antropologia. I. Viaggiatori ed esploratori del Settecento,
Bari, 1976.
(7) Indicativo e il soffermarsi dell'autore sull'istituzione degli esami letterari.
(8) "L'ideale politico-sociale dell'Italia del Cinque-Seicento ha efficacemente sottolineato Rosario Romeo e proprio quello della regolamentazione autoritaria

111
110

dall'alto, diretta a garantire ad ognuno la sua funzione specifica nel quadro di un


corpo sociale e di un ordine morale i cui lineamenti si vorrebbero fissati una volta
per sempre". (R.ROMEO, Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Milano, Napoli, 1954, p. 96). E una dimostrazione di questa tendenza
si puo cogliere nfiWHistoria de la China del Mendoza e nell'utilizzazione che ne fece nelle sue opere politiche il Botero, come si puo desumere dall'artlcolo diG. BRUNA B O G L I O L O , Una fonte sconosciuta del Botero: L ' "Historia de la China" di
Juan Gonzales de Mendoza, in Miscellanea di storia delle esplorazioni H, Genova
1977,pp. 4 9 - 78.

(23) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, I V , p. 239, cap. V I I , lib. II.


(24) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, I V , p. 280, cap. V I I I , lib. I I .
(25) G.P. M A F F E I cit., lib. V I , p. 6.
(26) G.P. M A F F E I cit., lib. V I , pp. 6 - 7.
(27) S. Z O L I , La Cina e I'etd dell'illuminismo in Italia, Bologna, 1974, p. 149.

(9) G.P. M A F F E I cit. lib. V I , pp. 28 - 29.


(10) G . P . M A F F E I cit. lib. V I , p. 35.
(11) G.P. M A F F E I cit. lib. V I , p. 36.
(12) G.P. M A F F E I cit. lib. V I , p. 37.
(13) G.P. M A F F E I cit. lib. V I , p. 28.

(28) G.P. M A P F E l cit. , lib. VI, p.6.


(29) G.P. M A F F E I cit., lib. VI, p. 21.
(30) G.P.MAFFEI cit., lib. V I , p. 20.
(31) G.P. M A F F E I cit., lib. V I , p. 24.
(32) G . F . G E M E L L I C A R R E R I cit. , IV, p. 398, cap. V, lib. III.

(14) G.P. M A F F E I cit. lib. V I , p. 31.


(33) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit., I V , p. 384. cap. V , lib. III.
(15) G.P. M A F F E I cit. lib. V I , p. 5.
(16) Per quanto riguarda i contributi monografici sul Gemelli Careri cfr. soprattutto
D. G H I R L A N D A , G.F.Gemelli Careri e il suo viaggio intorno al mondo, Verona,
1899; A.MAGNAGHI, // viaggiatore Gemelli Careri e il suo Giro del mondo, Bergamo, 1900; F.NUNNARI, Un viaggiatore calabrese della fine del sec.XVH, Messina,
1901; P.DE V A R G A S , Le Giro del Mondo de Gemelli Careri, en particulier le recit du sejour en Chine.Romanou verite, in Revue Suisse d'histoire, 1955,pp. 417451; S.ZOLI, Le polemiche sulla Cina nella cultura storico, filosofica, letteraria italiana della prima metd del Settecento, in Archivio storico italiano, C X X X , 1972,
pp. 409 - 416; G . V I V E N Z A , // viaggio intorno al mondo del giurista calabrese
Gianfrancesco Gemelli, in Economia e storia, X X I , 1974, pp. 86 - 97.
(17) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, I V , p. 231, cap.VII, lib. I L
(18) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, I V , p. 242, cap. V I I , lib. I I .
(19) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, IV, p. 249, cap. V I I , lib. I I .
(20) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, I V , p. 280, cap. V I I I , lib. I I .
(21) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit, I V , pp. 231 - 232, cap.VII, lib. I I .
(22) L'atteggiamento del Gemelli Careri e pienamente spiegabile se si considera
che si erano ormai diffuse maggiori e piii circostanziate informazioni sulla situazione politico-amministrativa della monarchia cinese.

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(34) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit., I V , p. 309, cap. X , lib. I I .


(35) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit., I V , p. 400, cap. V , lib. I I I .
(36) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit., I V , p. 360, cap.II, lib. III.
(37) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit., I V , p. 310, cap. X , lib. 11.
(38) G . F . G E M E L L I C A R E R I cit., IV, p. 358, cap. I I , lib. I I I .

SALVATORE SACCONE
CONSIDERAZIONI SUL CONTRIBUTO DEI GESUITI
ALLA CONOSCENZA D E L L E INDIE ORIENTALI

L'attivita missionaria dei Gesuiti si estese oltre i confini del puro apostolato evangelico e sconfino in campi diversi, consentendo alio storico, attraverso le relazioni dei padri medesimi, un'analisi piu profonda
e completa di paesi e popoli da loro awicinati. Tali relazioni rappresentano una fonte d'informazione indispensabile alia conoscenza o alI'approfondimento di notizie su popolazioni molto lontane, come quelle del Tibet o del continente americano.
Venne approfondita I'analisi etnologica delle genti con le quali i padri
venivano a contatto e la loro esperienza servi ai govemi euroepi per affrontare il complesso problema delle relazioni tra coloni e popolazioni indigene. I regnanti d'Europa , compresa I'importanza e I'efficacia
dell'attivita dei Gesuiti, ne sollecitarono piu volte I'intervento a sostegno deUa loro politica coloniale. I padri diventarono cosi diplomatici, esploratori e cartografi, e notevole fu il loro contributo alia storia delle esplorazioni geografiche. I loro resoconti si basavano sulla
cognizione diretta dei luoghi di permanenza durante I'apostolato
missionario ed erano compilati da personaggi dotati di un'elevata preparazione culturale. Ne e un esempio, fra i tanti, la prima relazione
sul regno della Cocincina del gesuita Cristoforo Borri, apparsa a Roma
nel 1631(1).
Per il Tibet le fonti relative all'attivita svolta dalla Compagnia di Gesu
sono piuttosto scarse (2), ma rappresentarono comunque, per lungo
tempo, le uniche notizie sicure che giungessero in Europa.
1 / Gesuiti in India.
La presenza dei Gesuiti nelle Indie Orientali
si puo collegare con I'origine e lo sviluppo dell'impero portoghese^^^.
Giovanni III del Portogallo invitava il suo ambasciatore a Roma, Garcia

117

de Mascarenhas, a chiedere al papa Paolo III I'invio nelle Indie Orientali di alcuni uomini appartenenti alia Compagnia di Gesu appena
fondata e "com'era d'attendersi, U Mascarenhas non duro niuna fatica per muovere i padri a consentire all'offerta, che anzi li trovo pronti
ad accettarla quando il Papa cosi gradisse" ^^'> .
L'incarico fu affidato
a padre Francesco Saverio, "il piu geniale e il piu efficace missionario
che la chiesa cattoHca abbia mai avuto"^^), che inizio la sua attivita di apostolato a Goa, la "Roma delle Indie orientali" .
La sua missione e quella dei suoi immediati successori non ebbe pero
un vero e proprio carattere esplorativo, in quanto essi si limitarono
a visitare luoghi gia conquistati dai Portoghesi. Tuttavia le numerose
lettere da loro inviate in Europa, tradotte e stampate poi in varie
lingue^^), rappresentarono una fonte preziosa per I'approfondimento
delle conoscenze di quelle popolazioni.
II collegio di San Paolo, con sede a Goa, coordinava le varie missioni gesuitiche delle Indie Orientali. Fondato nel 1541, aveva inoltre il
compito di accogliere i giovani dell'India e degli altri domini portoghesi
e di istruirli nelle lettere lusitane e latine. Successivamente, nel 1548,
quando il govemo e I'amministrazione del Collegio, affidati all'inizio
al personale laico, passarono definitivamente alia Compagnia di GesCi,
il Collegio medesimo divenne la sede principale dell'Ordine nel continente asiatico
I padri Gesuiti fondarono poi delle stazioni missionarie che venivano
periodicamente visitate dal cosiddetto Padre Visitatore
e che dipendevano sia giuridicamente, sia economicamente dalla sede centrale, cioe da Goa. A Goa, infatti, il re del Portogallo inviava il denaro,
che successivamente veniva inoltrato alle varie stazioni missionarie periferiche.
I Gesuiti che seguirono Francesco Saverio compresero che era necessario mutare indirizzo alia loro opera di evangelizzazione e cercarono di accattivarsi la simpatia delle caste piu alte, come fece padre
Roberto De Nobili^^^) , che tento per primo la conversione dei bramani. La conversione deUa classe piu elevata si propose infatti lo scopo
di estendere e rafforzare la penetrazione in atto presso le altre mission!, come in Cina e nel Tibet, rivelandosi nella maggior parte dei casi abbastanza fruttuosa.
21 Gesuiti e la scoperta del Tibet.
Date le sue caratteristiche orografiche e climatiche, il Tibet fu sempre una regione non facilmente
accessibile e percorribile; per circa due secoli venne esplorato prevalentemente da missionari (^^^ ed entro nella storia dell'Europa moder-

na in occasione di un'ambasciata di padri gesuiti alia corte del Gran Moghul, Akbar. Infatti, I'imperatore Akbar (1556 - 1605)(12)^ "assetato
di sapere e curioso di tutte le filosofie e di tutte le religion!, raduno
aUa sua corte sagg! e dottori di tutte le scuole e di tutte le fedi alio
scopo di promuovere tra di loro pubbliche dispute" ed invito quindi,
nel 1579, anche i rappresentanti della religione dei Portoghesi (^3) .
Un episodic relativo a due padri gesuiti che negano I'assoluzione ad alcuni mercanti cristiani che avevano defraudato il govemo del Gran
Moghul fu appreso dall'imperatore, che, restandone favorevolmente
impressionato, mando, sempre nel 1579, un'ambasciata a Goa con
I'invito ai Gesuiti di recarsi alia sua corte. Furono destinati alia missione (^'^M tre padri Rodolfo Acquaviva, Francesco Henriques e Antonio Monserrate, che giunsero alia corte di Akbar, i primi due il 28
febbraio 1580, ed il terzo, a causa di una malattia, il 4 marzo. Con questa missione, i tre religiosi diedero un primo contributo alle conoscenze di quelle terre lontane e del Tibet in particolare, che fino ad allora
era conosciuto solo attraverso le citazioni di qualche geografo della
antichita, di missionari francescani del XIII e XIV secolo e dello stesso
Marco Polo (^^^ .
Alia partenza per la corte di Akbar, Antonio Monserrate, lo storico
della missione ^1^) ,ricevette dal padre provincial Vincenzo Ruj,
l'incarico di annotare tutte le caratteristiche di quel luoghi come i
fiumi, i costumi e le usanze religiose degh abitanti. Giuseppe Toscano
fa notare che la prima chiara e precisa descrizione dell'Himalaia fu data appunto dal Monserrate, il quale affermava che "detta catena e altissima e difficile a scalarsi, ma che, una volta giunti sulla sua sommita, e pianeggiante e abitabile"^^'^^.
Altre mission! dei Gesuiti si susseguirono alia corte di Akbar. Nel
1594 I'imperatore chiese ed ottenne dal superiore di Goa I'invio di alcuni missionari, che giunsero a Lahore, capitale dell'impero, il 5 maggio
1595 (1^). I padri Girolamo Saverio, Emanuele Pinheiro e Benedetto de Goes, component! la missione, intrapresero pertanto molti
viaggi al seguito dell'imperatore, che desiderava averl! costantemente
al suo seguito, e fu proprio nel corso di uno di que! viaggi che sentirono parlare di cristiani con chiese, sacerdoti e vescovi esistenti in un
paese di nome "Tebat" (^^^.
Girolamo Saverio, in una sua lettera del 1598, affermava che: "se si
parte da Lahore, anzitutto si incontra il Casmir che e un regno dello
stesso Akbar. Di qui, tirando dritto verso il regno Tebat, il cui re e
amicissimo d! Akbar, muniti di sue lettere commendatizie, si arriva
facilmente alia citta di Caygar: di li alia prima citta d! Xatai, abitata

119
118

da Cristiani la distanza e di poche miglia"^^"). Queste osservazioni,


risultanti nella maggior parte dei casi esatte, dimostrano, come affermo Sven Hedin^^^) , che il Saverio dovette essere in contatto con
mercanti che effettivamente percorsero quelle zone. La notizia, fomita dallo stesso Saverio, dell'esistenza del regno del Catai, abitato
da molti cristiani, costitui un incentivo per nuove missioni in quel
territorio. E ' importante ricordare che in quel tempo vi erano idee
confuse riguardo alia situazione geografica del Catai e si tendeva ad
identificare in genere i cristiani dell'antico Catai con i cristiani del Tibet. Intomo al Mille, la zona settentrionale della Cina fu chiamata Khitai o Cathay, dalle popolazioni dell'Asia centrale che vi si recavano per
scopi commerciali^^^). Giovanni del Plan del Carpine, Guglielmo di
Rubruk e Marco Polo furono i primi che parlarono di Catai: gia il
Rubruk, fomendo all'Europa la notizia del "Grande Regno del Catai",
ne propose I'identificazione col popolo dei "Seres", cioe con la Cina ( 2 3 ) .
II padre Matteo Ricci avanzo la stessa ipotesi, che divenne poi certezza quando raggiunse Pechino e comunico la sua tesi ai confratelli,
affinche nelle carte geografiche non comparisse piii il Catai al. di fuori
dei confini della Cina, ma nella Cina stessa. Anche Benedetto De
Goes (24) e Diogo d'Almeida (2^) sostennero la diversita dei due regni, ma i padri deU India non credettero subito alia distinzione fra
Tibet e Cina ed il problema rimase ancora insoluto per diversi anni,
tan to che fino al 1635 il Tibet fu chiamato Catai.
In quel momento, motivo dominante dei Gesuiti fu soprattutto quel10 di portare aiuto ai cristiani che vivevano in quelle zone. Da cio scaturi, I'impresa del padre Antonio de Andrade, scopritore del Tibet,
che fu favorito daUa benevolenza di Jahangir, figlio di Akbar, succe^
duto al padre nel 1605(^6). Nella sua lettera datata 8 novembre
1624 e pubblicata a Lisbona col titolo Novo Descobrimento do Gram
Cathayo ou Reinos de Tibet, il de Andrade si preoccupava d'inviare
in Europa informazioni precise riguardo la situazione geografica del
Tibet, descrivendo il suo viaggio, la sua permenenza in quella zona e
11 suo ritomo.
In questi termini il padre superiore della provincia di Goa, Francesco
de Vergara, comunicava I'impresa al Generale di Roma: "ora abbiamo
avuto un'altra Missione con la scoperta che il padre Antonio De Andrade, Superiore della Missione del Moghul, ha fatto del Tibet, regno
che confina con la Cina; della scoperta di quel regno, mando a Vostra
Patemita la relazione" (2"^). II padre superiore parla giustamente
di Tibet e d'altra parte anche nella relazione completa del de Andrade,

120

riportata dal Toscano, non e stato rilevato una sola volta il termine
Catai.
Sorge a questo punto un interrogativo riguardo al titolo con cui la relazione venne pubblicata in Europa. Si puo accettare cio che sostiene U Toscano: "Quello pero che e certo e che esso riflette la mentalita di molti missionari dellTndia, alcuni dei quali, come vedemmo,
continueranno a chiamare il Tibet, Cataio, ancora per un decennio" (28) .
Comunque, Antonio de Andrade acquisi una conoscenza geografica
del Tibet abbastanza esauriente. Infatti, secondo il missionario, questo
territorio comprendeva i regni di Guge, Ladakh, Maryul, Rudoc, Utsang
ed altri due situati ad Oriente, ai confini con la Cina. Distinse anche un
Piccolo Tibet ed un Grande Tibet, classificazione che verra ripresa da
Ippolito Desideri, che fu pure lui nel Tibet nel 1715 e che diede un contributo notevole alia maggior conoscenza della regione.
Anche il viaggio di Francesco de Azevedo diede risultati proficui
per la comprensione geografica ed etnica del Tibet; I'occasione gli
venne offerta dal padre de Andrade, che era stato nominato superiore
a Goa. Di questo viaggio interessante, il de Azevedo lascio una relazione, scoperta poi dal Wessels(^^), indirizzata al padre Antonio
Freyre(20) , procuratore delle missioni dell'India in Portogallo. Essa
e formata di due parti: la prima, contiene il viaggio da Goa ad Agra;
la seconda da Agra a Leh e ritomo. Francesco de Azevedo fu anche il
primo europeo a riferire il vero nome del Tibet: "Bod"('^^).
Nella storia degli esploratori del Tibet, importante fu pure l'attivita
dei gesuiti Giovanni Griiber ed Alberto d'Orville, che compirono la prima traversata degli altipiani tibetani provenendo dalla Cina. In particolare, al Griiber va il merito di aver lasciato un'importante relazione
e una carta geografica ^be mostro agli Europei il vero volto del Tibet (32).
Un apporto definitivo alia scoperta del Tibet fu dato dal padre Ippolito Desideri, che giunse a Lhasa il 18 marzo 1716, dopo un viaggio
piuttosto tormentato. Vi si stabili per diversi anni e pote quindi, anche per Tottima conoscenza della lingua locale, raccogliere numerose notizie suUa regione e sui suoi abitanti (33). Infatti la sua relazione si rivelo un trattato esauriente e completo dei modi di vita, delle
abitudini e della rehgione dei tibetani e in particolare della loro organizzazione ecclesiastica (34). \\, a proposito di questo missionario, afferma che
"nel Desideri, la Chiesa aveva avuto il suo piu
grande Missionario del Tibet, e il mondo il suo primo e forse piu grande tibetanista" ( 3 ) .

121

Note

R Lib OK
(1) F . S U R D I C H , Fonti sulla penetrazione europea in Asia, Genova, 1976, pp.
69 - 74.
(2) S. C A S T E L L O PANTI, Nuovi documenti su Ippolito Desideri, in Miscellanea
di storia delle esplorazioni I, Genova, 1975, p. 155.

Kolaaour

(3) R. A L B E R T I N I , Verso le terre incognite, Venezia, 1967, pp. 127 e sgg.

(4) P. TACCHI V E N T U R I , Storia della Compagnia di GesCi in Italia, Roma, 1950,


II, p. 333.
(5) R. F . M I L L E R , // segreto della potenza dei Gesuiti, Milano, 1931, p. 194.
(6) F . B O R T O N E , P. Matteo Ricci S. J. , il Saggio d'Occidente, Roma, 1965, p.72.

^umaua

NEPAL

(7) M. SCADUTO. L'epoca di Giacomo Lainez, il Governo 1556 1565. Roma,


1964, pp. 376 e sgg; E . R A D I U S , / Gesuiti, storia della Compagnia di Gesu da
Sant'Ignazio a Teilhard de Chardin, Torino, 1967, pp. 125 e sgg; M. B A T L L O R I , Note suU'ambiente missionario nell'Italia del Cinquecento, in Problemi di
vita religiosa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno di Storia della Chiesa
in Italia (Bologna 2 - 6 settembre 1958), Padova, 1960, pp. 83 - 89; F . MARTIN E L L I , / Gesuiti, I'Esercito del Papa, Milano, 1969, p. 441.
(8) Documenta Indica, Roma, 1944, I , 8 -10.
(9) A. VALIGNANO, // cerimoniate per i missionari del Giappone, introduzione
e note di G. S C H U T T E , Roma, 1946, p. 25.

ITiNERAul
,

COD' s:'.o

(10) Roberto de Nobili, nato a Montepulciano nel 1577, fu in India dal 1605 al
1645. Dopo un breve soggiorno a Roma, ritorno in India dove mort nel 1656
(cfr. S. S O M M E R V O G E L , Bibliotheque de la Compagnie de Jesus, Lovanio, 1960,
II, col. 250).

-V. E t PZEVET-O

(Da G.Toscano, La prima Missione Cattolica nel Tibet, Panna, 1951.)

123

(11) J . C H A R P E N T I E R , The Liuro do Seita dos Indios Orientals of father Jacobo Fenicio S. J . , Uppsala, 1933, pp. X X X V I I - X X X V I I I .
(12) Su Akbar, il Gran Moghul, v. G . R O B E R T S O N , Ricerche storiche suU'India
Antica, sulla cognizione che gli antichi ne avevano e su i progressi del commercio
con questo paese, Firenze, 1835, pp. 351 e sgg. ; P. M E I L E , Storia dell'India,
Milano, 1958, pp. 50 e sgg. ; K . M. P A N I K K A R , A Survey of Indian History,
Calcutta, 1960, pp. 165 e sgg. ; G . BORSA, La nascita del mondo moderno in
Asia Orientale, Milano, 1977, pp. 60, 69, 113, 114, 120, 135 e 138.
(13) G . BORSA cit. , p. 60. Per queste vicende v. D. B A R T O L I , Missione al Gran
Mogor del Padre Ridolfo Acquaviva della Compagnia di Giesu, sua vita e morte
e d'altri quattro compagni descritta dal Padre Daniello Bartoli della medesima
Compagnia, Roma, 1663.
(14) G. TOSCANO, La prima Missione Cattolica nel Tibet, Parma, 1951, p. 3.
(15) P. HERMANN, Das Land der Seide und Tibet im Lichte der Antike , Lipsia,
1938; L . P E T E C H , // Tibet nella geografia musulmana, in Rendiconti delVAccademia dei Lincei, Classe storico - filologica, 1947, pp. 55 - 70; H. Y U L E , Cathay and
the Way Thither, being a Collection of Medieval Notices of China. New edition
by H. C O R D I E R , Lbndra, 1915 - 1916.
(16) H. HOSTEN, Mongolicae Legationis Commentarius, or the First Jesuit Mission to Akbar, by Fr. Anthony Monserrate S. J., in Memoirs of the Asiatic Society of Bengals, Calcutta, HI, 1914, pp. 513 - 704.
(17) G. TOSCANO cit. , p. 14.
(18) E . ROSA, / Gesuiti. Dalle origini ai nostri giorni, Roma, 1957, p. 80; P. M.
D ' E L I A , Fonti Ricciane, Roma, 1942,1, pp. 391 - 430.
(19) J . H A Y , De rebus Japonicis, Indicis et
versa, 1605, p. 863.

Peruanis Epistulae recentiores, An-

nome Diogo di Almeida, uomo di credito, diede all'Arcivescovo la seguente notizia e informazione: la Cristianita di cui si diede la notizia nella Corte del Moghul,
non deve essere quella del "Catai"(come dapprima si penso senza altro maggior
fondamento del non aver conoscenza di altra cristianita situata da quelle parti,
oltre i Regni del Moghul, se non di queUa del Catai) ma un'altra, piii vicina alle
terre del Moghul, e con cui ha piii commercio, che chiamano "Thibete" ove questo Portoghese risiedette due anni.
Egli dice che questo Regno del Thibete e al di la di quello del Guiscumir da poco
tempo assoggettato dai Re del Moghul, e che fra questo Regno e quelle del Thibete non vi sono che alcune catene di montagne altissime".
Su Diogo de Almeida vedi L . P E T E C H , A study on the chronicles of Ladakh,
Calcutta, 1939, pp. 172 - 175.
(26) P. M E I L E cit. , pp. 55 e sgg.; G . R O B E R T S O N cit. , pp. 350 e sgg. Su Antonio de Andrade v. C. WESSELS, Early lesuit Travellers in Central Asia L'Aia
1924, pp. 4 3 - 6 8 .
(27) C . B E C C A R I , Rerum Aethiopicarum Scriptores occidentals
XVI ad XIX, Roma, 1913, X I I , p . ^ 3 .

inediti a saeculo

(28) G . TOSCANO cit. , p. 43.


(29) L a relazione del viaggio viene riportata in Italiano da G. TOSCANO cit. ,
pp. 223 e sgg. , il quale ricorda come, prima che il Wessels la scoprisse e ne inserisse il testo nella sua opera, i dati che noi avevamo a questo riguardo erano assai
scarsi, se si eccettuano gli accenni fornitici da I . D E S I D E R I , Difesa della Compagnia di GiesH in ordine alia Missione del Tibet, Roma, 1728, p. 4, e da J . C O R D A R A , Historiae Societatis Jesu. Pars sexta, complectens res gestas sub Mutio Vitellescho, I , Roma 1750; II, Romal859.
(30) L . P E T E C H , / missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Ippolito Desideri S.
J., in // Nuovo Ramusio. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti fra I'Europa e I'Oriente, Roma, 1954, II, parte V , p. 223.
(31) I Tibetani non chiamavano la loro terra Tibet, ma "Bod yul", cioe "contrada
di Bod". Cfr. L . P E T E C H , // Tibet nelle Geografia musulmana, in Rendiconti
delVAccademia dei Lincei, Classe Storico - filologica, 1947 pp. 55 - 70; M. BUSSAG L I - L . P E T E C H - M. M U C C I O L I , Asia Centrale e Giappone, Torino, 1970,
p. 239.

(20) G. TOSCANO cit. , pp. 22- 23.


(21) S. H E D I N , Southern Tibet, Stoccolma, 1917 - 1922, III, p. 55.
(22) P. M. D ' E L I A cit. , I , p. 420.
(23) Sinica Franciscana, I , Itinera et relationes fratrum minorum saeculi XIII
XIV, a cura di A. VAN D E N W Y N G A E R T , Firenze, 1929, p. 236.

(24) In una lettera del 1606 il de Goes affermava: "D Catai dista un mese di viaggio dal Tabete" (cfr. P. M. D ' E L I A cit. , II, p. 430).
(25) Riporto da G. TOSCANO cit. , p. 36,un passo che riguarda Diogo d'Almeida: "Dopo la partenza, come si afferma, di Benedetto de Goes, un Portoghese di

124

(32) S. Z A V A T T I , Dizionario degli esploratori e delle scoperte geografiche, Milano, 1967, p. 136.
(33) C . PUINI, // P. Ippolito Desideri e i suoi viaggi in India e nel Tibet, in Studi
Italiani di Filologia Indo - Iranica, III, 1899, pp. I - X X X I I I ; IDEM, Viaggio nel
Tibet del P. Ippolito Desideri, in Rivista Geografica Italiana, VII, 1900, pp. 562 582; I D E M , // Tibet (geografia, storia, religione, costumi) secondo la relazione
del viaggio di Ippolito Desideri, 1715 - 1721, in Memorie della Societd Geografica
Italiana, Roma, X , 1904, pp. 361 - 370.

125

(34) L . P E T E C H , / missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Ippolito Desideri


J. cit. ,11, parte V I , libro I I I , cap. I , Del Gran Lama capo della religione.
(35) G. TOSCANO cit. , p. 290.

126

GIULIA BRUNA BOGLIOLO


ALCUNE L E T T E R E DALLA CINA D E L L ' AGOSTINIANO
SIGISMONDO MEYNARDI DA SAN NICOLA

L'epistolario "familiare" di Padre Sigismondo Meynardi da San Nicola, che raccoglie lettere inviate dal religioso a parent! e confratelli durante la sua attivita missionaria in Cina (1738 - 1767), e conservato
nell'Archivio dei PP. Agostiniani Scalzi del convento dei Santi Monica e Massimo a Torino.
Intomo agli anni '60 le 75 lettere che lo compongono, quasi tutte autografe, sono state trascritte e raccolte dai chierici dello Studentato Teologico dei PP. Agostiniani Scalzi, i quali, in occasione della Pasqua 1964 ed
in concomitanza con la ordinazione sacerdotale di Padre Eugenio Cavallari, hanno divulgato il loro dattiloscritto nelle Case dell'Ordine: la cortese disponibilita di Padre Cavallari ci ha consentito I'utilizzazione
di tale documento.
L'epistolario di Padre Sigismondo rappresenta un interessante contributo alia conoscenza dell'attivita missionaria in Cina nel trentennio
che va dal 1738 al 1767, essendo uno dei pochi document! disponibili di fonte non gesuitica.
II carattere non ufficiale delle lettere che compongono l'epistolario
garantisce, almeno in parte, I'assenza di reticenze e di mistificazioni
ad uso propagandistico ^^^e rivela la personalita dell'autore nella sua
ingenua credulita e nel suo generoso ma inconcludente attivismo,
inquadrandolo cosi nella epoca e nell'ambiente suoi propri.
A questo proposito pare utile tracciare le linee essenziali dell'attivita
missionaria di Padre Sigismondo, attingendo alle notizie autobiografiche riportate nelle lettere.
Padre Sigismondo lascio I'ltalia in compagnia del confratello Padre
Serafino nel settembre 1736, diretto al porto de L'Orient. Imbarcatisi sul "Principe di Conti" il 18 dicembre dello stesso anno, i due mis-

129

sionari iniziarono la lunga traversata alia volta della Cina. II viaggio si


concluse il 20 luglio del 1737 a Macao, dopo una breve sosta al Capo
di Buona Speranza (cfr. lettere III - IV). Nei sei mesi trascorsi a Macao,
in attesa del beneplacito imperiale per proseguire alia volta di Pekino, egli ebbe i primi contatti con la cultura cinese e si dedico con impegno
alio studio della lingua (cfr. lettere V - IX).
Ottenuta I'autorizzazione, Padre Sigismondo, in compagnia del confratello Padre Serafino e due Gesuiti, riprese il viaggio alia volta di Pekino, dove giunse I'S aprile 1738 (cfr. lettera XI).
Airarrivo di Padre Sigismondo in Cina i rapporti tra missionari e potere centrale erano piuttosto difficili e delicati: la politica antistraniera
deirimperatore Hung-Li (1735 - 96) aveva favorito persecuzioni anticristiane che erano sfociate nell'uccisione di missionari e di fedeli. Padre Sigismondo, incurante dei pericoli, svolse con zelo la sua attivita di
apostolato, sia nei sobborghi, sia nella capitale, sempre coadiuvato
da Padre Serafino, che gli fu fedele compagno fino alia morte awenuta
nel 1742 (cfr. lettera XIX).
Nel 1741. Padre Sigismondo venne chiamato a lavorare nei Palazzi Imperial! con I'incarico di sorvegliare la costruzione di strumehti musical!
e di inventame de! nuovi (cfr. lettera XVIII). Dal 1749 in poi ebbe
"I'ufficio perpetuo" a servizio dell'Imperatore: questa carica gli valse
grande stima presso Hung-Li, che lo premio con svariati doni. (Cfr.
lettera XXXIX, riportata in appendice).
Nel 1752 inizio, nonostante I'awersione dei missionari della capitale
e la mancanza dell'autorizzazione imperiale, la costruzione di una chiesa, che venne ufficialmente consacrata nel 1755 alia presenza "di diversi
missionari e del nostro Signor Vescovo, con predica di un Padre Gesuita tedesco e Messa cantata da un altro Padre Gesuita francese".
Nonostante la malferma salute ed i gravosi impegni di corte. Padre Sigismondo si dedico con abnegazione alia sua attivita apostolica fino alia
morte, awenuta a Pekino il 29 dicembre 1767.
L'epistolcurio "familiare" di Padre Sigismondo rivela quali fossero le
difficolta di apostolato di chi, come lui, non aveva alle spalle la copertura delle alte gerarchie ecclesiastiche ed operava nella sostanziale indifferenza dei superiori.
Nelle lettere ricorre sovente la nota della mancanza di denaro e del misero stato in cui egli svolgeva la sua attivita di missionario.
L'awersione alia costruzione della chiesa e la totale assenza di sowenzioni da parte dell'Ordine attestano inoltre la scarsa partecipazione dei
confratelli alle sue iniziative apostoliche: le divergenze ed i contrast!
tra Padre Sigismondo e gli altri religiosi di stanza a Pekino traspaiono
130

apertamente dalla lettera XXV, in cui egli tratta della questione dei riti,
assicurando la sua fedele osservanza alle disposizioni pontificie contenute nel Ex quo singulari.
Nonostante le sue affermazioni di principio, nella pratica pero Padre Sigismondo seguiva gli stessi metodi di evangelizzazione dei Gesuiti e,
come loro, era convinto dell'utilita della sua presenza a Corte, sia pure
in veste di costruttore di carillons. A differenza dei Gesuiti egli aveva
tuttavia intuito I'opportunita di ricercare non tanto una clamorosa
ma instabile conversione dell'Imperatore, quanto piuttosto la diffusione
del Cristianesimo negli strati piii poveri della popolazione.
Tuttavia il suo attivismo ed il suo zelo apostolico non furono sufficient!
a garantire ai suoi sforzi risultati stabili e duraturi, a dispetto degli
entusiastici resoconti che egli stesso periodicamente inviava ai suoi superiori.
Del resto la convinzione che il successo della propria missione potesse essere valutato sulla base del numero dibattezzatie della fondazione
di nuove Cristianita , costituisce uno degli equivoci in cui cadranno i religiosi europei in Cina, e non soltanto Padre Sigismondo.
L'epistolario costituisce, come abbiamo osservatoin precedenza,un prezioso documento sull'attivita missionaria degli Agostiniani in Cina negli
anni che vanno dal 1738 al 1767, fornendo, seppure in modo occasionale e frammentario, alcune notizie sui difficili rapporti tra i vari ordini e
suUe persecuzioni in atto in quel perido.
Le lettere "familiari" di Padre Sigismondo presentano, inoltre, materiale utile per altre verifiche: le puntualizzazioni di carattere geografico
o le annotazioni folkloristiche costituiscono altrettanti moment! di.interesse per ulteriori approfondimenti.
Per tutto questo complesso di considerazioni abbiamo percio ritenuto
opportuno ed utile riportare in appendice le lettere piu significative
fra quelle da noi utilizzate ed analizzate, facendole precedere da una
breve presentazione che ne chiarisca la collocazione aU'intemo della raccolta e ne individui i temi piii interessanti.

131

Note

V
Questa lettera, indirizzata al fratello Francesco Meynardi, appartiene
ad un gruppo che Padre Sigismondo scrisse durante il suo soggiorno macaese. In essa il religioso riferisce di aver compiuto un ottimo viaggio, per manifesto volere divino. Pensa che lo studio della lingua cinese
e dell'arte della miniatura dovrebbero facilitargli I'ingresso e la permanenza in Cina.
AL M. ILL.re M. REV.do SIG. P.ron
IL SIG. AVOCATO D. FRANCO MEYNARDI

(1) S. MEYNARDI DA SAN NICOLA, Epistolario: parte prima. Lettere originali


inviate a Torino, Edizione di "Vinculum", Roma, 14 marzo 1964. Conserveremo
nelle nostre citazioni la numerazione delle lettere che compare in questa raccolta.
(2) L'epistolario "ufficiale" di Padre Sigismondo, anch'esso conservato presso
I'Archivio tji Torino, al quale non ci e stato possibile accedere, potrebbe offrire una
documentazione piCi ricca ed articolata, ma forse meno genuina: esso comprende
le lettere che il religioso inviava periodicamento al suo procuratore di Macao ed alia
S. Congregazione di Propaganda Fide, negli anni dal 1742 al 1767.

132

Carissimo Fratello
Supongo havrete ricevuta altra mia scritta dal Capo di Buona Speranza e spedita
per mezzo di Nave Olandese che indi partiva per Europa dove vi davo notizia
del felice arrivo fatto a cotesto luogo li 14 Marzo e della partenza del medesimo
sul principio di Aprile e veramente fu li 4 Aprile con vento favorevole e prosperoso
finalmente li 20 Luglio siamo gionti al fine della navigazione molto felice, mentre
il Capitano piu volte mi disse in questo viaggio veduti molti sucessi miracolosi,
il che noto nel suo giornale e mai havrei fatto viagio si aventuroso. Io I'atribuisco
primo a Dio, poi alle Orazioni vostre e di tutti di Casa, come de nostri Religiosi. Altro non hebbimo partiti dal sudetto Capo di travaglioso che il Venerdi S.o in cui
il mare era molto infuriato con moto tale della Nave che la notte piii volte ci sbalz6 dal letto benche fosse fatto come una Cassa, senza pericolo pero per la bonta
delle Navi alia mattina andassimo sopra a cantar le Litanie de S.i come e solito il
Sabato S.o et in subito si muto il Vento, aquieto il Mare e felici seguimmo il nostro
viaggio ed il df seguente celebrassimo tutti la S. Messa conforme eravamo soliti in
tutte le feste e giorni di distinzione. Fin hora siamo stati costi in Macao Citta pre.ssidiata da Portoghesi habitata pero da Cinesi, liberamente in proprio habito religioso, aspettando il placet Imperiale per portarsi pubblicamente a Pekino e sono da
8 giorni che e gionto al Vicere di Cantone che debba procurare la spedizione, et
accompagnarci qualche Mandarino. Credo al fine di questo mese sara la nostra partenza. In questo tempo ho ateso ad imparar la Lingua Cinese quale e dificile ma gustosa, e comincio a farm! intendere, ed intendere li altri, h o atteso pure ad Imparare a Miniare, il che mi riesce alquanto bene, con la grazia di Dio, e di questo I'imperatore di Cina estremamente gode, come di horologi. Credo incontrero il suo genio, col aiuto di Dio.
In questo viagio mi sono dimenticato affatto del Male di testa ed ho aquistata buona salute, non e pero cosi il mio Compagno che da due ultimi mesi di navigazione
gode poca salute. Questo e quanto hora mi occore di scrivervi; non scrivo in particolare a Sig.ra Madre, quale credo in buona Salute, ed alii altri Amici e Parenti lasciando a Vol I'incombenza di fare con essi loro le mie parti.
Ricordatevi di Me nelle vostre Orazioni e S.i Sacrifici che io non manchero far lo
stesso, come sempre ho fatto, si di voi come di Sig.ra Madre, Zio Sorella e di tutti
altri quali saluterete a mio nome. Tra li altri non vi dimenticate di far li miei saluti

133

al Sig.Costa al quale non Scrivo e darii nova della buona salute e buon progresso
nelle conversion! di Mon.re Ilario suo di V.S. M. lU.re
Macao li 1410bre 1737
Affet.mo Fratello
F. Sigismondo da S.Nicola
Ag.no Scalzo Miss.o

XII
Padre Sigismondo informa il fratello sulle accoglienze che gli sono state
tributate alia Corte Imperiale, sulla sua missione, sul clima e sulle credenze religiose del popolo cinese. Nei suoi giudizi ingenui e superficiali.
Padre Sigismondo ricalca gli errori di valutazione comuni ai religiosi europei: intolleranza, eurocentrismo, pretesa superiorita in campo dottrinale.
Al M. lU.re e M. Rev.do Sig. P.rone Col.mo
n Sig Avocato D. Francesco Meynardi
Carissimo Fratello
Nel scorso 1737 da Macao vi diedi notizia del felice mio arrivo a quella citta doppo
sette mesi di Navigazione con perfetta salute il che pure replicai nel scorso Gennaro
da Cantone notiziandovi la licenza da questo Imperatore Tartaro Cinese ottenuta di
portarsi publicamente in questa Citta di Pekino dove egli di continuo fa dimora. Li
28 Gennaro da Cantone Citta Capitale di questa Provincia e frontiera meridionale di
Cina doppo visitati il Vicere e Gente de Tartari, novamente si siamo imbarcati su di
un barco Cinese verso Pekino per fiume, doppo un Mese di viaggio per aqua habiamo proseguito il viaggio in Lettiche per piii d'uno altro mese finalmente a 8 d'Aprile gionssimo in Pekino e passati tre giorni fummo in Palazzo a presentare all'Imperatore un Regalo Europeo consistente in 23 cose diverse, il che fu molto gradito et
intieramente ricevuto, il che qui e molto stimato, rende maggior favore quando
piu cose ritiene e noi fummo regalati di un lauto banchetto. Doppo alcuni giorni
novamente fummo chiamati e 1'imperatore ci regalo a ciascuno una veste longa
in Cinese chiamata Paozo che va fino a piedi con maniche di Damasco di colore
ceruleo con fodera di pelle di sorci di Moscovia e colarino di pelle di zibellino,
di piu un altra veste chiamata Quazo che va fino ai Ginocchio avanti aperta con le
maniche il tutto Quasi a forma di Dalmatica. quale pure e di Damasco di-colore Paonazzo con fodera di pelle di Armelino, ultimo di una Pezza di Damasco. Nel sudetto
regalo il P. Serafino presento una miniatura in Avorio fatta per viaggio della V.
SS.ma col Bambino quale fu molto gradita e doppo varie interrogazioni del come de
Colori del tempo e per fame altre , furono deputati 2 Mandarini che li provedessero il necessario per fame altre di vari disegni dati dal medesimo Imperatore quali
tutte furono gradite e novamente regalo un altro pezzo di Damasco. Io pure passato
qualche tempo per ordine del Imperatore fui chiamato per far concertare vari

Cembali et Organi venuti d'Europa, quali terminati I'lmperatore disse che voleva un Cembalo nascosto in una piccola saccola che usano li Tartari longa cinque
Palmi, quale da se suonasse del quale io feci il dissegno e presentai all'Imperatore e fu gradito, per cid fu determinato un Mandarino Capo d'Eunuchi per provedere
il necessario e li artefici come io avrei detto. Fin hora pero non ho cominciato, sto
aspettando novo ordine del Imperatore, mentre me ne sto in Casa quieto ad Imparare la Lingua difficile e curiosa per esser tutta monosillabi e di costruzione tutto
contraria alia Europea. Con I'aiuto di Dio in 3 Mesi I'ho imparata tanto che adesso
francamente vado fuori ad aministrare li Sacramenti Confessare Batezzare e il tutto
pero occultamente, e con molto pericolo se fossi scoperto, essendo permesso che
li Europei qui stiano ma sotto gravissime pene proibito che li Cinesi si facciano Cristiani. II Diavolo non lascia di fare le sue parti, ultimamente dovendo io andare in
una Casa ad amministrare li Sacramenti ad alcune donne ivi radunate a quest'effetto, un'altra donna Cristiana attizzata dal Demonio si lascio intendere che aspettava che v'andassi per dame parte a Mandarini, il che io saputo, e fatta dimandare in
compagnia del suo marito Cristiano la ridussi a buon stato, si che fu la prima a venire a Confessarsi in detta Casa e dimandar perdono a Cristiani dello scandalo dato
con le sue cattive parole. Altri casi simili spesso succedono, ma fin hora non m'hanno dato fastidio, e spero con I'aluto di Dio che in I'awenire non mi daranno molestia. In Casa habbiamo la Chiesa coperta dove li Cristiani vengono ad Udire la messa ma per le Donne, bisogna andare in qualche Casa di Cristiani nascostamente
come pure per li Villaggi e luoghi fuori di Pekino dove da 4 anni non havevano veduto Missionario e per conseguenza dimenticati quasi di Dio, si che mi bisogna
travagliare gia che Iddio m'ha fatta la grazia di imparare la Lingua. II P. Serafino
fin hora pocco profitto fa nella lingua e credo sia per li 44 o 48 anni che tiene, onde
devo ringraziare Iddio d'esser venuto giovine altrimenti avanzato in eta e moralmente impossibile impararla, et accomodarsi in questo paese. II clima e come il Piemonte circa il caldo e freddo solo ha di differenza che Primavera, et Autunno quasi non
si vedono passando in men d'nn mese dal molto freddo al molto caldo, et al contrario. La Cina da questa parte Settentrionale abonda di grano, pero non nella quantita
e raddopiato raccolto del riso che abonda la parte Meridionale. Vi sono li frutti
come in Europa a riserva de Merangoli et Olive. Uva si trova tanto che potiamo fare Vino per la Messa, pero e Uva che non ha forza, sicche per far vino bisogna cuocerla al fuoco e di 100 Lib. ridutta a 40. La Parte Meridionale dove e Cantone non
ha grano ne vino ne frutti Europei peroe abondantissima di Riso Merangoli et frutti sinici
molto gustosi a Cinesi. Questo e quanto posso hora notiziarvi di questo Paese. Un
altro anno che havero maggior cognizioni vi dard notizia de suoi costumi e religione
che veramente e cosa deplorabile vedere tanta gente in Impero si vasto e tanta varieta di deita ridicole, sette di diverse sorti, altre di Stregoni, altre di Superstiziosi,
insomma tutte regolate da Cecita e colpabile ignoranza del vero Dio, che in questi
paesi e stato bastantemente publicato per la quantita de Missionari qui venuti: la
principale setta e quella de Stregoni.
In quest'anno ho ricevuta nissuna delle Vostre lettere che suppongo habbiate inviate, forse per non esser bene ricapitate. Se dessiderate sicuramente mandarle, procurate che giongano a Pariggi e siano rimesse alia Casa della Compagnia delle Indie de
Sig.i Francesi, o pure in Casa di Monsig.e Nunzio di Pariggi con la sopra coperta diretta a me e per ricapito al Revend.mo P.Procuratore Gen.le di Propaganda Fede esistente in Macao. In questa maniera e lettere et ogni altra cosa sara sicura. Non e
pero cosi facile il mandare in Europa altre cose che lettere per 11 gran carico et

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imbarazzo che hanno le Navi al ritorno. Dovete pero avertire che dette lettere e bene che al principio di Novembre almeno siano a Pariggi.
Non scrivo in particolare alia Sig.a Madre et altri per non fare plico molto grande
spero pero che Voi saprete fare le mie parti prima con la Sig.a Madre e poi con tutti
li altri per quali ogni settimanan almeno una volta ho sempre celebrata la S.a Messa.
Mi raccomando a Vostri S.i Sacrifizi et orazioni e con tutto I'affetto mi dico
Di V.S.M. ni.re M.Rev.da
Pekino a 14 9bre 1738
Mi credeva di poter scrivere al nostro P. Provinciale ma per diverse occupazioni sopragiontemi e impossibile pero vi prego andarlo a ritrovare e fare con esso lei le mie
parti e con li altri Religiosi che Conoscete.
Affet.mo et Oblig.mo servo fra.Uo
F.Sigismondo da S.Nicola
Ag.no Scalzo Miss.o Ap.lico

XX
Comunicando I'avvenuta nomina del Vescovo di Pekino, Padre Sigismondo si augurache abbiano fine le dispute dottrinaliper la questione
dei riti. Denuncia la corruzione di numerosi religiosi di altri ordini e riferisce, con una certa dovizia di particolari, un esorcismo di cui e stato
minis tro.
AL P.PROVINCIALE DI TORINO
M. Rev.do P. nel Sig.re Oss.mo
Li 7 del corrente ho ricevuto una lettera del P. Raimondo da S. Vincenzo aUora
Provinciale in data del 7 Genaio 1739 dalla quale intendo non lasciju-e i miei religiosi fratelli di codesta Provincia di tenermi presente nelle loro orazioni e S.Sacrifici,
del che ne rendo infinite grazie a tutti et in particolare a V.P.M.Rev.da come nostro
superiore, sperando che per I'avenire non lasciassero di farmi tale carita, essendo
quelle che piii abbisogno in questa parti massime trovandomi privo della compagnia
e savi consigli de P.Serafino di S.Gio. Battista, per esser passato a miglior vita a 9
agosto del scorso 1742comepergiaviadiFrancianescrissidistintamentea V.P.M.Rev.da
adesso mi ritrovo solo de Missionari della S.Congregazione solo un vecchio della
Congregazione di S. Vincenzo de Paoli di anni 70 che pure e stato richiamato a Roma. In questi paesi alia fine il Re di Portogallo ha ottenuto il Vescovo Gesuita da
Sua Santita pero con condizione che il Vescovo faccia il giuramento solenne di ubbidire la S.Sede, et il Re Nominante e stato sigurta dell'obbedienza. Dio voglia che
alia fine siano terminate tante dispute o per meglio dire tanti scandal!, mentre la S.
Legge da noi predicata secondo il S.Vangelo e molto differente da quella che predicano gli altri Missionari nella Cina, avendo troncato quasi tutti li digiuni, S.Feste,
Sacramental!, superstizioni permesse non poche; ne a togliere tali abusi e bastata la
Bolla Solenne "Ex ilia die" di Clemente XII, ne lo esser stati tutti scomunicati per
questo e per la morte dell'Em. di Tournon. Si spera che con questo messo del Re
di Portogallo, che qua li mantiene, si dara fine ad ogni cosa. Dio lo conceda. In dicembre scorso Iddio mi ha fatto la grazia di aprire una nuova cristianita in un'Al-

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dea, dove mai vi fu Cristiano e di primo lancio ne ho batezzati venti come di gia
ben istrutti, lasciandone molti ad istruirsi et imparare le orazioni; lasciando percio
ivi uno de Catechisti. Per la S.Pasqua andero a battezzarli. E' distante detto luogo
due giornate, cioe venti leghe di Francia. Ne giorni passati Iddio ha fatto vedere
la forza del Santo Battesimo a questi nuovi Cristiani. Mi e stato riferto in questi
contomi esservi una donna d'anni trenta ossessa dal demonio da due mesi, e mi fu
dimandato rimedio. Io la ho fatta condurre in casa d'un capo di Cristiani, e con
precetti e acqua santa fatto tacere il demonio fu istrutta nella santa Legge e imparo facilmente le orazioni. Quando era in pace desiderava il santo Battesimo; quando
pero era travagliata smaniava e gridava che doveva essere annegata nell'acqua del
Battesimo, pero diceva in questi pochi giorni che mi restano faro peggio di prima,
e rompeva ogni cosa, pero dandoli il cristiano per mio ordine 1'acqua santa subito si
acquietava. Cosi duro sedici giorni dopo de quali fattala condurre alia chiesa delle
donne la battezzai. Gli Cristiani non ardivano star presente per paura de sbattimenti che faceva, pero al primo esorcismo si mise in ginocchio e tremando non fece pazzia alcuna, finche ricevuto il Santo Battesimo si trovo totalmente libera come e
fino al presente. II marito e figli doppo pochi giorni si battezzarono come pure alcuni gentili che veduto il successo risoluti di abbracciare la S.Legge sono dal mio
catechista istrutti, e fra pochi giorni saranno battezzati.
Spero che la S. Congregazione inviera Missionari non potendo io solo assistere alia chiesa di Pekino e questa di Haitian, e a Cristiani di fuori: pero se Dio si volesse
servire di qualcuno della nostra Provincia bisogna siano pronti a patire da chi meno
pensa e religiosi d'orazione, che e molto necessaria non bastando in queste parti sola santa Marta: soprattutto pero bisogna esser molto pacific! essendo di gran scandalo a neofiti il veder un Missionario in collera, e si perde molto. Questo e uno de motivi per cui il suddetto vecchio Missionario di 70 anni viene richiamato, e nuovamente raccomandandom! all! suoi santi Sacrifizi ed orazioni come pure degli altri
religiosi con tutto lo ossequio mi raffermo
Di V.P.M.R.
Pekino Haitien a 16 Gennaro 1743
Umil.mo Div.mo et Oblig.mo Servo
F. Sigismondo di S.Nicola
Ag.no Scalzo
Missionario indegnissimo

XXV
Padre Sigismondo affronta, ancora una volta, il problema della disputa
dottrinale sui riti, condannando apertamente i religiosi che non seguono
le disposizioni pontificie ed assicura la sua stretta osservanza alia Costituzione papale "Ex quo singulari". Accenna, poi, brcvemente al progresso della missione agostijuana nel Tonchino e ribadisce il dcsiderio,
gia espresso in precedenza, di trasferirsi in quel territorio.

137

AL VICARIO GENERALE DEGLI AG.NI SCALZI


Rev.mo Padre
leri li 14 corrente mese ho ricevuto un piego di V.P.Rev.ma diretto al P.Serafino, felice memoria, o in sua vece a me con le accluse copie della Costituzione "Ex
quo singulari" e I'annesso precetto di osservanza in riscontro di che per tre vie
cioe di Francia, Portogallo et Inghilterra trasmetto a V.P.Rev.ma la presente mia
con il giuramento annesso assicurando V.P. deUa mia sicura et assoluta obbedienza
et osservanza perfetta di detta Costituzione. Di gia in mani del Nostro Vescovo Pekinense ne ho fatto tale giuramento, et gia dall'anno scorso assicurata la S.Congregazione dalla quale non solo ebbi I'ordine di osservarla, ma bensi ancora di informare circa il modo da altri Missionari tenuto circa detta osservanza; si che V.P.
Rev.ma possa con tutta sicurezza assicurare la S.Congregazione e I'Em.mo Prefetto che a oontino da me fu messo in esecuzione quanto mi venne imposto, avendo
gia solenementfc publicata detta Costituzione a Cristiani di mia cura, et in linguaCinese spiegata, anzi da gia che sono in Cina sempre ho fatta osservare la prima Costituzione "Ex ilia die" del che la S. Congregazione ne fu da altri fatta consapevole e prima
che si spedisse la ultima Costituzione ne ricevei lettere di lode, e altra lettera a nome
di Sua Santita che animava Ii miei Cristiani a perseverare nella suddetta osservanza.
Ben sa la S. Congregazione non avere che dubitare de nostri religiosi, ma bensi di
altri di altro Corpo quali sebbene tutti abiano fatto il giuramento, pero V.P.Rev.ma
sappia che costi trovano certe epikeije nella osservanza de Pontificij decreti troppo
disconvenienti ad un cattolico non che Missionario. Circa I'amministrazione de Sacramenti li Sacrosanti Riti da S. Chiesa instituiti con li Sacramentali, come nel Rituale etc. qui sono rigettatl come scandalosi, e chi li osserva come per grazia di Dio
io fin hora ho fatto, e deriso etc.Cosi per giusto giudizio di Dio questa Cristianita di
Cina va sempre diminuendo e solo si accrescono le ricchezze immense dei Missionari.
Piu decorosa alia nostra religione e di maggior gloria a Dio e la Missione di Tonkino,
alia quale scrissi piu volte all'Em. mo Patre concedermi di passare a causa di continue infermita, piu volte gia mortali che costi patisco; di chegia in altra mia nello
scorso 8bre pregai V.P.Rev.ma ottenermi tale licenzaparendomi ivi con maggior decoro dell'abito nostro e frutto spirituale potere servire a Dio, et alia S. Congregazione di che nuovamente supplico la P.V. Rev.ma e gia circa di questo Mons. Ilario e il
P. Lorenzo Maria da Tunkino ne scrissero alia medesima Congregazione. Con che mi
raccomando alle orazioni di V. P. Rev.ma e de miei Religiosi Confratelli e supplicandola della sua Paterna Benedizione con tutto 1'ossequio mi protesto.
Di V.P. Rev.ma
Umil.mo et Oblig.mo servo e Suddito
Pekino Haitien a 15 9bre 1744
p Sigismondo da S. Nicola
Ag.no Scalzo Miss. Ap. Ind.mo

XXXV
Padre Sigismondo ragguaglia il fratello sulla persecuzione in atto in Cina. Descrive le torture e le calunnie di cui sono vittime i missionari
ed i cristiani e mette in risalto i pericoli da lui stesso corsi. Conclude
riferendo le proprieta taumaturgiche di alcuni oggetti da lui inviati e
ne descrive brevemente I'uso.
138

AL FRATELLO D.F.MEYNARDI
Carissimo Fratello
In quest'anno ho ricevuto una vostra carissima de' 20 Sbre 1745 con la notizia funesta della morte della Sig.ra Madre, e sorella. Per le quali, non ho lasciato, n^
lascio di far li dovuti suffragi, et anco da miei cristiani ho procurato si faccino. Sperando che gia non ne avra di bisogno, ma che sara gia con Dio in cielo, unico riflesso, che ci puo consolare in queste mortali vicende. L'anno scorso al solito vi scrissi,
ma non so se avra ricevuta a causa deUa guerra, che ci priva delle lettere de la sacra
congregazione, amici, parenti, e t c in quella mia vi davo notizia della terribile persecuzione suscitata in quest'imperio di Cina contro la S.Legge et europei con strage
grande de' cristiani, e Missionari. Nella provincia di Fokien furono presi 4 PP. Domenicani Spagnoli chiamati P. Gioakino Royo (questo ne giudizi et esami ebbe 10
schiaffi con la sola delle scarpe di cuoio, e bastonato due volte), P. Gio. Alcover
(questo sofri molti strapazzi e tormenti, e fu il primo preso da Gentili), Padre Francesco Diaz (trenta schiaffi, e due volte la tortura, che quasi da alle chiavichie de
piedi, che si rompono le ossa in piccole parti. Resto storpio), P. Francesco Serrano
Superiore (questo ebbe 60 schiaffi, una volta bastonato, e una volta la tortura). Con
questi quattro fu preso Monsig. Pietro Sanz Castigliano Domenicano, con il quale
ebbi la fortuna di abitare da sette mesi.Questi riconosciuto per capo, ebbe molto
piii da soffrire, e nelli esami ebbe 90 schiaffi come sopra con scarpe di cuoio quadruplicate, delli quali li 25 che ebbe dal Vicere, o suoi ministri li fecero gonfiare la faccia, che non piii si vedeva forma, ne occhi.
Fatti li processi et esami, e trovati innocenti delle accuse che li davano, non ostante
in Vicere impegnato tanto fece apresso I'lmperatore che alia fine furono condannati
ad essere decolati come maestri di nova legge, e perturbatori del popolo e leggi delI'lmperio. Cosa orribile e a leggere le iniquita e calunnie che gia ministri posero in
boeca a Mons. Sanz uomo dotissimo e santo prima che martire. Questi a 26 Maggio
del corrente fu gloriosamente in publico decapitato per la S.Fede alle ore 4 doppo
mezzodi di eta di 70 e piu anni. Li altri 4 secondo la sentenza dell'Imperatore in ottobre dovevano essere decapitati. Ma per essere distanti, fin ora non ho notizia che
sia eseguita di gia la sentenza. Con questi alcuni cristiani dovevano pure essere strangolati, et altri esiliati, (esser decapitati e piii ignobile che strangolato). Alcune vergini che in comunita come Monache vivevano furono prese, e con tormenti obbligate a confessare che con li missionarii avevano cattivo comercio, ma sempre furono
costanti, infine fu fatta una sperienza con la quali si conoscono se sono vergini, o
no, quale si fa costi con un tubo in bocca e dal suono si conosce (non so chiaramente come si faccia); si trovarono tutte vergini, e confusi li csluniatori. Fu data
sentenza che fossero obligate a maritarsi, ma esse stanno costanti in piu tosto morire. Di questo pure fin ora non si sa I'esito. Ho ricevuta una breve relazione come furono presi detti PP. in Fokien scritta dal P.Serrano Superiore o sia V.Provinciale de
PP. Domenicani Spagnoli, dalla carcere di Tu-len Capitale della Provincia di Fokien,
della quale invio copia al nostro P.Provinciale. Da esso potrete vederla.
Questo in succinto il successo nella Provincia di Fokien in quest'anno. Nelle altre
provincie di Cina, dividendosi quest'impero in 14, inclusa la Tartaria. Sebben non
vi siano stati missionarii e cristiani uccisi, non vi sono pero mancati martiri.Quattro
cristiani sono morti nella tortura. Nella Provincia di Sciansi fu preso un P. Francescano Italiano per nome Giovanni Battista da Bormio, quale doppo longa carcere e

139

patimenti, avendo convertito li medesimi sbirri e custodi di carcere et altri malfattori comprigioni, finalmente fu esiliato fuori di Cina, e ne confini vicino a Macao,
ebbe 32 schiaffi e due volte la tortura a piedi, restandone stroppio; presentemente
sta in Macao a curarsi li piedi. Questa tortura de piedi e tale, che come dipoi de 4
cristiani sopra, alle volte muoiono, altri li cascano li piedi totalmente e restano con
le gambe tronche.
In questa Provincia di Pekino li Missionarii occulti sono stati perseguitati, ma essendo di tutto da me avisati per espressi, sono stati liberi, et uno fin ora sta da me
chiuso in casa senza che nessuno li cristiani lo sappiano; sono in tutto 4 francescani inviati dalla S.Congregazione, ne meno li Gesuiti europei ne sanno notizia. Circa
poi li Missionari publici pure abbiamo avuto molto da soffrire e sempre siamo in
timore di esser totalmente scacciati come fu nel Giappone vicino alia Cina, per conseguenza nazione di genio stesso.
Fra li altri, due di noi siamo stati per li tribunali, un P. Gesuita Portoghese venuto
meco; et in quelli per esser accusati di andare fuori nei paghi in missione, ma essendo andato I'affare aU'Imperatore li perdono.
Dopo in vari luoghi di mie cristianita furono presi li cristiani, bruciate le S. Immagini, candelieri e quanto avevo aggiustato in diversi Oratori. Ne paghi li cristiani
messi a tormenti confessarono chi fosse il Missionario e col divino aiuto sono stati
costanti ne tormenti, ne li Prefetti hanno potuto obbligarli a rinnegare. La confessione di questi non mi ha dato molestia, mentre li ministri in Pekino sapendo che I'lmperatore aveva perdonato al Gesuita Portoghese non mi molestarono per questo capo. Successe pero che altro europeo della Provincia di Kensi fuggendo li persecutori che lo cercavano, fuggi a Pekino e come Missionario della Congregazione direttamente venne a me, conoscendomi per lettere, per averli da piii anni somministrato denaro e quanto li da la S. Congregazione. Stette alcuni in fine, vedendo non
potendo ritornare a sua Missione, si risolse di andare a Macao, per il che li diedi un
servo che avevo in Chiesa, che con il suo lo accompagnasse a Macao. Fu preso per
strada, e si esso che li servi confessarono venire da Pekino, da me essere stati piii
mesi, per il che fu subito inviato a Pekino. Avisati li Ministri et Imperatore, volevano li Ministri che io subito fossi preso et esaminato, ma non ho tanto merito appresso Iddio. L'Imperatore ordino che a quel Europeo (che si chiama P. Urbano
da Canzio Boemo) si facessero altri esami, e pure si inviasse a far esame nella Provincia dove stetti sette anni et in Pekino fin avute le notizie nulla si facesse, si che
fm ora detto Padre sta in carcere con li due Cristiani. Tutti tre stanno nella Provincia di Kensi ne sapiamo come finira il negozio. Di giorno in giorno sto apettando
il Vescovo di Kensi che e Francescano, e non potendo piii stare tra tanti patimenti
vuole venire a rifugiarsi da me come Casa della S. Congregazione avendo io cura di
tutti li Missionari della medesima occulti. Pero non e senza pericolo anche della
vita si dell'albergatore, che delli hospiti. II tutto a gloria di Dio, sia fatta la S. Volonta.
In tutte le altre Provincie di quest'impero vi e la persecuzione nello stesso modo;
alcuni Missionari per li patimenti si sono infermati, e morti; altri costretti sono ritornati a Macao, dove alcuni sono gionti felicemente, altri per via scoperti hanno
avuto a che soffrire.
Questo e in breve lo stato in cui si ritrova I'afflitta Cristianita di Cina. Potrete immaginarvi come intemamente io possa star contento non solo a causa comune, ma anco a causa de Missionari della S. Congregazione di altre Provincie Meridionali

140

che in tali circostanze tutti ricorrono a me e mi bisogna trovar modo di assisterli


tutti, non essendovi in Pekino altro Missionario della S. Congregazione che un P.
Carmelitano novamente venuto, e non ancora pratico. Un vecchio Missionario della
Congregazione di S. Vincenzo nel scorso inverno passo a miglior vita. De PP. Gesuiti
Missionari costi a Pekino, anche tre sono passati all'altra vita. Ringrazio Iddio,
che in queste circostanze mi ha dato salute sufficiente, essendo in quest'anno solo
una volta stato molestato da dolori che neUi scorsi anni piii volte mi ridussero alI'estremo.
Pregate Iddio per me, che io faro lo stesso per voi sebbene con questi gentili in coteste circostanze non si possa far niente co mezzi umani che per via di argento e regali,
(per il che mi sono ridotto all'estremo senza speranza di aiuto da poveri Cristiani
etc. ne in quest'anno ricevo lettere della S. Congregazione gia aspettate da tre anni
con qualche soccorso insieme), pure piii necessarie sono le vostre orazioni pregando
Iddio che puo immutare corda Hominum, conceda a questa afflitta Missione e Cristianita, e desolati Missionari cio che e a maggiore sua gloria, per la quale unicamerite ancora si mantengono alcuni Missionari in quest'imperio. Salutate tutti li parenti
et Amici in comune e particolare, et alle loro orazioni raccOmandate e me, e questa
Missione.
In quest'anno con occasione che li PP. Gesuiti inviavano alcune bagatelle al loro P.
Generale ho aggiunto in una cassettina alcune scatole d'inchiostro per voi, P.David e P. Felice Maria, conforme sopra di esse vedrete scritto; come pure alcune
borzettine cinesi, alcune pietre cordiali che servono per infiniti mail, fiacchezze di
cuore etc. la dose e H peso d'un quatrino. In oltre vi sono pietre contro veleni,
chiamate pietre di serpente, quali in luogo morsicato da animali velenosi fatta uscire una goccia di sangue vi si applica, e subito si attacca e succhiato il veleno da se
cade, bisogna subito metterla in latte (di donna e migliore) ove lascia il veleno, e
si conserva per altre volte. Lo stesso effetto ha a piaghe, o carboni owero ulcere velenose. Le altre pietre sono per il mai caduco o a ragazzi, male chiamato della bruttura simile al caduco. Applicate al cuore sopra la carne guarisce il male,e si spacca la
pietra, quale pure serve spezzata. Nelle borzette troverete alcuni pannetti d'argento
grossi come nociuole. Questi sono U regalo che il primo giorno dell'anno questo Monarca regala ad ogni Europeo, cioe una borzetta con due di quelli pani dentro, onde
li mando per curiosita. La cassettina con le robbe de PP. Gesuiti andera a Genova
diretta al P. Provinciale di detta Provincia, al quale il P. David potra scrivere e facilmente avere. Benche sia cosa da nuUa la mando a voi e al P. David, e P. Felice
Maria in attestato di riconoscenza, e accio vi ricordiate di pregare Iddio per me. La
mala scrittura si deve parte alia mano parte alia fretta di scrivere dovendo scrivere a
lungo alia S. Congregazione in poco tempo che resta di inviare alle navi Inglesi che
sono giunte a Macao. Addio, arivederci. Dove? almeno in Paradiso che Iddio ci conceda.
Pekino a 4 novembre 1747
Aff.mo et Oblig.mo V. Servo e Fr.
F. Sigismondo da S.Nicola
Ag.no Scalzo Miss. Ap.lico

141

1
XXXVI
Di argomento simile alia precedente, questa lettera e diretta al Padre
Provinciale di Torino. Padre Sigismondo descrive le sofferenze subite
dai missionari e dai cristiani coinvolti nella persecuzione, fornendo nomi e particolari e soffermandosi sulle vicende dei cristiani della sua piccola comunita e sue personali. Ripone nelle preghiere e nell'aiuto divino le sue speranze e si dichiara rassegnato ad accettare la divina volonta.
AL P.PROVINCIALE DI TORINO
M.Rev.do P. nel Sig. Oss.mo
Spero che la presente mia ritrovera piii felice viaggio per giungere alia P.V. che abbiano ritrovate, lo suppongo, scritte si dalla S. Congregazione che da V.P. o antecessor! attese le guerre passate, e la pace che spero si sara gia stabilita. Ogni anno
non ho lasciato di adempiere al mio obligo inverso a Superiori di questa nostra
Provincia con darle ragguaglio del mio stato. In quest'anno con piii fervore et modo
possibile prego la P.V. di raccomandare alle orazioni de PP. miei Religiosi fratelli
si me, che questa tribolatissima Missione e Cristianita, che in quest'anno ha sostenuto, e sostiene tuttora la persecuzione piii crudele che sia stata giammai in quest'impero e gia li 26 maggio del corrente ha dato alia Chiesa di Dio un Vescovo
Martire nella persona di Mons. Pietro Sanz Spagnolo Vescovo Mauro Castrenze Domenicano Vic. Apostolico di Fokien, d'eta settuagenario e piii col quale ebbi la fortuna per sette mesi di convivere, et apprendere li suoi SS. document! come maestro
vecchio in questa Missioned! Cina. Nel principio di dicembre devono essere parimenti decollati altri quattro PP. Domenicani della medesima nazione e suoi Commissionari nella Provincia di Fokien secondo la sentenza data da quest'Imperatore. Dal
Superiore di questi PP. chiamato Franco Serrano ho ricevuta lettera scntta dalla carcere, della quale a V.P. invio una copia. Mi promise in appresso diffusa relazione, la quale nel venturo anno inviero. In tutte le 14 Provincie della Cina nello stesso tempo insorse per comando occulto e segreto dell 'Imperatore la persecuzione con parimenti e tormenti indicibili de Cristiani, obbligandoli a forza di tormenti a rinnegare schiaffeggiandoli con li Crocifissi di Ottone etc Fra li altri un Cristiano di mio distretto dame batezzato con tutta la famiglia, madre etc. essendo accusato al Prefetto e Governatore
di quella Citta discosta da Pekino una giomata, in vece di fuggire,venne subito a ritrovarmi per ricevere li SS. Sacramenti, indi esortato, o per meglio dire, aiutato ad animarlo (essendo prontissimo), a soffrire per Gesu Cristi, ritorno a casa sua dove preso et incatenato, presentato al Governatore, mai fu possibile co tormenti di farli dire
esteriormente una parola controla S. Fede; adirato, il Giudice,sentendocheesso diceva
confidare nell'aiuto di Dio,lG pose al tormentocheconsistenelchiuderllal coUo tra due
tavole che unite fanno una quadrata larga e longa da 5 a 6 piedi, della grossezza di 4
dita, di peso da 130 libbre si che con essa bisogna dormano senza potersi coricare
e inclinar il capo ne poimo accostar la mano alia testa per mangiare etc. Sopra di essa
tavola davanti li fece af figger una imagine di Gesii Cristo da me datali, et in questo stato
lo fece stare 40 giorni nella pubblica strada senza darli cibo o altro, in questo tempo per

142

via di alcuni Cristiani lo feci mantenere aiutandolo con la mia poverta, col dar anche
denaro a sbirri accio lo permettessero. Doppo 40 giorni nuovamente esaminato, et
in vece di rinnegar predicava aUo stesso Giudice, quale adirato li fece dar la tortura a
piedi che casco come morto a terra, ma subito il Giudice non avendo autorita di
vita e morte, con medicine lo fecero rinvenire restando co piedi stroppi, e sempre
piii costante, alia fine fu lasciato andar libero.
In altro luogo due totalmente morirono fra tormenti, in altro pure due altri. Questi
con la loro costanza ci rallegrano in queste miserie restando per altro afflittissimi
di tanti altri, che non potendo resistere per liberarsi rinnegano, benche esteriormente, ritomando subito a penitenza.
In questo stato si ritrova la Cristianita di Cina da un anno e piu, et io pure ho avuto bastanti molestie e travagli, essendo stato piii volte accusato si da Cristiani ne
tormenti, che da un Europeo Francescano Tedesco, che fuggendo la persecuzione
si ricovero da me, (come pure hanno fatto altri, e presentemente ne ho due, un Vescovo della Provincia di Kensi che ivi fuggitivo giunse, et altro che da un mese sta
nascosto da me) questo dico essendo pio partito per ritornarsene fu preso in viaggio,
e nelli esami dopo esser stato da me, et aiutato con argento e servi doppo un mese
partito. Questo basto a suscitare grande incendio ricorrendo li Ministri aU'Imperatore contro di me che occultamente nascondevo li Europei che non avevano nome a Palazzo. L'affjire non e ancora finito, ne so come andera; non ostante in questa casa ne ho due come dissi, ne posso a meno di assisterli si per esser Casa della
S. Congregazione, si per esser intensione della medesima che per questo fine tiene li
Missionari publici per assistere li occulti onde avendo io cura delli affari de la
S. Congregazione non posso a meno di assisterli ad ogni pericolo essendo scoperti.
Quanto piii sono li pericoli e miserabile lo stato della Missione tanto piii sono necessarie le orazioni, nelle quali e nel divin aiuto unicamente confido, con rassegnazione al suo divino volere.
E' gionto a Macao il P. Paolino Genovese ma non so se in quest'anno potro ottenerii
I'ingresso publico come desidera la S. Congregazione, temendo che forse tutti ne
saremo scacciati, sia fatta la Divina Volonta.
Per fine con tutto I'ossequio mi protesto.
Di V.P. Rev.da
Pekino a 6 novembre 1747
Umil.mo et Oblig.mo Servo
F. Sigismondo da S.Nicola
Ag.no Scalzo Miss Ap.lico

XXXVII
A due anni di distanza dalle lettere precedenti. Padre Sigismondo
traccia un consuntivo della persecuzione anticristiana che sembrava
stesse allora volgendo al termine.
AL P.PROVINCIALE DI TORINO
M.Rev.do P. nel Sig. Oss.mo
Gia da 4 anni non recevo alcuna lettera di V.P.M. Rev.da o qualunque altro no-

143

stro Religioso della Provincia, ne da Roma eccettuate le annue lettere dell'Em.mo


Card. Prefetto che in quest'anno intendo essere il Card.Valenti dal quale ho ricevuta una lettera nell'anno scorso et antecedenti ho scritto la persecuzione che
gia da quattro anni travaglia cotesta afflitta Missione di Cina coUa cattura di molti
missionari e cristiani de quali gia sette hanno avuto la corona del martirio cioe
cinque Domenicani spagnuoli, il primo Vescovo chiamato Pietro Martire Sanz
quale pubblicamente fu decolato, un suo successore Vescovo eletto di nome Francesco Serrano, tre altri uno Emanuele Diaz e I'altro Francesco Alcover I'ultimo
Gioakino, a questi si aggionsero in altra provincia due Giesuiti, un portoghese et un
italiano, infiniti cristiani furono tormentati, alcuni morti nei tormenti, altri esiliati con tutta la familia. Insomma tutto il vasto imperio della Cina sconvolto,
adesso pero pare che vi sia qualche calma. A sudetti Missionari maritrizzati si puo
aggiongere un Padre Francescano tedesco Missionario della S. Congregazione, che
fugendo e perseguitato fuggiva qua e la, finalmente da me si ricovero per alcuni
mesi, ma non potendo soffrire le miserie risolse partire per Europa, cosi partito
verso Macao fu fatto prigione con due cristiani che lo accompagnavano, et esaminato mi tiro anche io nel laccio si che vense ordine a Pekino di prendermi, e gia
ero in strada per presentarmi, ma Iddio non mi fece la grazia, perche fu rimandato
lo scritto al Vicere de la provincia con ordini segreti quali non si poterono fin ora
sapere. Si che fin ora non si sa se il detto Padre sia vivo, o pure come li altri ucciso
in carcere; se avro occasione comoda inviero la relazione della persecuzione de Padri Domenicani e loro martirio da essi scritta, con alcune loro reliquie pero poche
essendo dopo morte state abruciati li loro corpi, ma da nostri sacerdoti cinesi raccolte. Altro non m'occore che raccomandarmi con fervore alle orazioni di V.P. e de
nostri religiosi confratelli sperando che col mezzo di qualche particolar loro divozione Iddio concedera qualche calma alia persecuzione presente od almeno a me
grazia e forza, e virti per regere e me e i cristiani e neophiti a gloria di Dio, e per
fine con ogni dovuto ossequio pregandola della paterna benedizione mi raffermo.
Di V.P.M.R.
Pekina 26 9bre 1749
Umil.mo e Dev.mo Servo
F. Sigismondo da S. Nicola Ag. Scalzo

XXXVIII
Lettera scritta al fratello lo stesso giorno della precedente, alia quale rimanda per le notizie sulla persecuzione. Accusa ricevuta di due lettere
con la notizia della morte della madre e della sorella.
AL FRATELLO D. F. MEYNARDI
Carissimo Fratello
Ho ricevuta una delle vostre lettere inviata per via di Francia et non so per che via
tutte due pero conformi, cioe con la notizia della morte della nostra Sig.ra Madre
et altre particolari notizie del vostro stato e parenti, non lascio di fare la mia obligazione co dovuti sufragi per la sig,:'>ra Madre e Sorella e pregare Iddio che mi con-

144

ceda migliore salute a sua maggior gloria. Circa poi le notizie di Cina altro non posso
scrivere che miserie per la tutt'ora durante persecuzione che gia ha coronato di Martirio sette e forse otto Missionari, diversi Christiani con indicibili patimenti delli altri Missionari e Neophiti. Pregate Iddio conceda tranquillita alia Missione, e virtii
a Missionari e Neophiti per oprare a sua maggior gloria; veramente tra tanti travagli
non pocca consolazione ci e stata la costanza e virtii di molti Cristiani e Cristiane
in tormenti grandissimi ne quali diversi lasciarono la vita. Non ho tempo di scrivere
al P. Felice Maria et altri, solo scrivo al P. Provinciale al quale accludo la presente
lettera per Voi. Addio, pregate per me et io prego per voi; in ogni cosa sia fatta la
Divina volonta.
Di V.S.M. Ill.M. Rev.da
Pekino a 26 novembre 1749
Aff.mo Fratello
F. Sigismondo da S. Nicola

XXXIX
Padre Sigismondo racconta al fratello il tentativo di un amhasciatorc
portoghese di propiziarsi I'lmperatore, offrendogli un ricco dono.
Parla della sua vita a Corte e delle "bagatelle" da lui costruite per I'lmperatore.
AL FRATELLO D.F. MEYNARDI
Carissimo Fratello
Ho ricevuto d'Europa una unica lettera, quale e vostra, et e la terza che mi avete
scritta l'anno scorso; le altre due, come pure le lettere di Roma e de nostri Religiosi
che mi notificate, non sono gionte fin ora. Non ostante 26 navi Europee gionte a
Cantone de vari regni d'Europa. Tra quali una di Lisbona con sopra un Ambasciatore che viene con prezioso regalo per vedere di ottenere da questo Monarca qualche
avantagio per la S. Religione nelli passati anni tanto perseguitala. Si spera che
questa ambasciata possa avere qualche vantagio mentre in questi tempi non esistono
li mali Ministri tanto nemici della S. Religione. L'Imperatore avuta notizia di essere
giunto tale ambasciatore ne mostro gran contento, e ordino che un Grande fos.se
a Macao ad incontrarlo, gia parti, si aspetta sul fine di febraio o principio di marzo a
Pekino. Di dove circa agosto partira per ritornare in Europa. Con tale occasione
spero che potro farvi tenere sicuramente qualche coserella di Cina.Del resto in
quest'anno sto bastantemente bene di salute eccettuati alcuni dolori di capo che di
quando in quando mi molestano per due o tre giorni. Sempre piu sono occupato
oltre I'officio di Missionario, che come si quieta la persecuzione maggiore campo si
apre di travagliare./Da un anno e pid I'lmperatore mi occupa in diverse bagatelle che
hanno origine dalli horologi, ma mi rompono il capo per eseguirli, gia alcuni sono
finiti con aiuto di Dio assai bene e di gusto grande dell'Imperatore che con queste
cose si affeziona a noi Europei sempre piu in quest'anno, e pare che sia un sogno la
persecuzione passata.
22 Europei sono in Pekino, 5 siamo nel interiore del Palazzo, cioe 3 pittori, un ho-

145

rologiaro et io, che parte horologiaro parte non so che devo fare, quanto Ii viene in
capo; artefici e materiale non mancano, idee all'Imperatore sono in abbondanza
v'abbisogna chi le eseguisca, animo alii Europei.
Ha voluto una casa Europea, tra li Europei non vi sono architetti, bisogna farsi, cosi
fabrico un Palazzo sontuosissimo di villeggiatura circondato da giochi diversi di
aque fontane labirinto etc. Noi 5 Europei siamo occupati in esso la spesa e grandissima essendo tutto mura, ringhiere, colonne di pietra bianca che al marmo di Carara. Voreste sapere le bagatelle da me fatte per I'lmperatore nel anno scorso
in luglio fino adesso sono: un teatro Europeo piccolo di cinque piedi con in mezzo
una fontana, nel lembo di quale sono le dodici hore, in aqua si getta un'anatra
grossa come un passaro di legno; va nuotando e col becco segna I'hora che e; dalle scene escono dodici persone di un palmo di altezza ognuno, in una mano tiene
una campana, nell'altra un picciol martello, e a vicenda toccano una suonata di
musica cinese. E questo ad ogni hora. Un altro e una figura alta quattro piedi vestita, che per via di ruote che tiene nello stomaco muove le braccia e mani e con due
martelletti che tiene uno per mano suona quattro suonate, due europee e due cinesi, battendo sopra 16 campane che sono disposte sopra d'un tavolino che sta avanti, sospese una sotto I'altra in due filze otto per parte; move li occhi e con la testa
segna la battuta. Altro sono due piccole figure che giocano un gioco di scacchi a
modo Europeo. L'ultimo, che sta per finirsi, sono due galli sopra di una pietra che
awicinandosi alia tavola dove sono, sopra della quale vi e un porno granato, questo
si apre in due, dentro lascia vedere I'ora e minuto corrente. 11 gallo maggiore si alza, alza la testa, batte le ali, apre la bocca e canta tante volte quanti sono li quEurti.
Mi direte buon Missionario che si impiega in bagatelle; dico io lo stesso, e avrei vergogna a scriverlo, ma il fine e quello che mi obbliga di occuparmi in offici tanto
diversi di Missionario, e artefice di bagatelle, e con questo secondo come li altri
con le pitture si tiene I'lmperatore in qualche modo obligato a dissimulare e permettere che faciamo quello che mai lasceremo di fare se non o fatti morire o esiliati di Cina. Li Cinesi pure che vedono I'lmperatore occupato con li Europei sono piu
riservati in accusare. II tutto pero e come Dio permette a sua maggior gloria, per la
quale vedendo le circostanze presenti, dover occuparsi in bagatelle. In esse mi sono
posto, con questo di non lasciare il principale, con che riposo non ho tutto il giorno
e piii della meta della notte, impiegando parte di detto tempo con Cristiani, parte
con Dio e parte con gentili; pare che sia volonta di Dio. Perche con titolo di tali
cose moltissimi mi vengono a cercare e non volendo ne pensandovi si trovano ad esser instruiti della S.Legge.
Pregate Iddio per me che m i assista e dia forza e spirito da poter bene fare il mio
obligo a sua maggior gloria quale solo si cerca in Cina. Addio. Salutate tutti quelli si
ricordano di me, aUe orazioni di tutti mi raccomando. Addio.
Pekino a 24 9bre 1752
Aff.mo et Oblig.mo V. Servo e Fr.
F. Sigismondo da S. Nicola
Ag.no Scalzo Miss.Ap. Ind.mo

146

LIII
Comunica al fratello la cattura ed ilproccsso di un cristiano e del padre
carmelitano scalzo Giuseppe da Santa Teresa, e racconta la loro liberazione awenuta grazie ad un suo intervcnto corruttore nei confront! del
giudice. La lettera fornisce alcune interessanti osscrvazioni sul funzionamento della magistratura cinese e, piii in generale, sulla struttura di
quella burocrazia e delle sue funzioni.
AL FRATELLO D. F. MEYNARDI
Carissimo Fratello
In questo anno pure credo che saro privo di vostre lettere non venendo le solite
navi di Francia a causa della guerra che si dice esser tra essa e I'lnghilterra, sicche
li loro litigi privano anche noi della consolazione di sapere reciproche nuove, pazienza. Devo pero awisarvi che in simili guerre non mancano mai navi europee di qualche nazione di venire in Cina, e quasi tutte passano al porto di Cadice in Spagna, sicche inviando ivi lettere sono sicure sempre di venire. Spero che con I'aiuto di Dio
state di buona salute del che ogni giorno lo prego se e a sua maggior gloria; io in
quest'anno per grazia di Dio sono stato bastantemente sano eccettuate le solite abituali infermita di emicrania perche di quando in quando nostro Signore mandami per risvegliarmi. Le mie occupazioni al solito, anzi sempre piii occupato si per
li Cristiani, che per grazia di Dio si aumentano, e quasi ogni domenica e fe.ste ne battezzo alcuni adulti a la chiesa senza contare le donne e ragazzi di latte che nelle case particolari battezziamo parte io parte un sacerdote cinese che studio a Napoli,
et adesso lo ho per aiuto per andare dove non posso io per causa dei gentili. In quest'anno non fu persecuzione di conseguenza, solo in Pekino fu un principio che io,
parte con amici, parte con denaro ho as.sopita. II caso fu che avendo il P. Giuseppe M. di S.Teresa carmelitano scalzo che sta nella chiesa di Haitien (dove io sto per
esser vicino al giardino dell'Imperatore dove sta quasi tutto l'anno, et io devo ogni
giorno andarvi eccetto le feste nelle quali sempre sto in Pekino, dista detto luogo
una lega o cinque miglia) battezzato un legnaiuolo, e dopo qualche tempo un giovine discepolo suo, li parenti cugini gentili essendone awisati per forza volsero riavere la scrittura fatta secondo il costume del Paese di stare col maestro tre anni, al
che U neofito per non disputare acconsenti, e cosi richiamarono il loro cugino a casa e volsero che rinunziasse alia S. Religione e piii volte e maltrattato accio faces,se
superstizione sempre stette saldo soffrendo battiture e ne giorni di digiuno senza
mangiare perche espressamente altro che carne non U davano. Finalmente lo cacciaj o n o di casa e accusarono al giudice del criminale il maestro che era della religione cristiana e aveva indotto il loro cugino ad abbracciarla aggiungendo molte calunnie et enormita solite nelle accuse contro li Cristiani. Subito furono spediti sbirri
e presero il maestro appena uscito dalla chiesa di Pekino e incatenato fu condotto in
carcere. Essendo io subito awisato feci venire il discepolo giovine di 18 anni che
stava nella nostra casa di Haitien, e esortai ad es.ser costante perche non poteva fugire di essere preso e vedendolo bene risoluto di soffrire, per dismentire in parte
I'accusa, (essendo bastante pratico del modo di trattare ne tribunali Cinesi) Io e-

147

sortai ad andare a constituire da se stesso al tribunale senza spettare d'esser preso,


accetto di buona voglia promettendoli di aiutarlo, e esortandolo a far speciale divozione a Nostra Signora. Cosi fu, si presento al giudice, che resto stupito, non essendovi quasi tale esempio.
Subito chiamati li accusatori, intese le accuse et esaminato il Maestro, nego le calunnie e disse esser e voler morir Cristiano, fu schiaffeggiato, e tormentato ma sempre costante, fino che il discepolo da se stesso disse al giudice che il Maestro non aveva colpa in esser esso Cristiano, che da se stesso aveva voluto esserlo, avendo udita
la S. Legge esser santa. II giudice lo interrogo cosa fosse la Religion Cristiana; al che
rispose assai bene, spiegandoli li 10 Comandamenti.
II fine fu che anche esso fu tormentato e battuto volendo che assolutamaento rinonciasse, ma altra risposta non diede che voleva morir Cristiano. Cosi passaroli li
due primi esami, stando sempre in carcere senza che potessero parlarsi ne tra loro e ne con altri, ma con dennari ho ottenuto di inviare un Catechista che li
conforto e animo ad esser costanti, fra tanto per via d'amici e con spesa di denaro
bastante, ottenni che la causa non passasse al tribunale supremo. Dal quale li anni
passati uscirono teribili editti contro la S. Religione, ma che lo stesso giudice fosse piii mite e terminasse la causa da se.
Cosi di nuovo chiamati in giudicio e interogati circa le accuse senza parlare della Religione U giudice li dichiaro innocenti, ma li accusatori di nuovo instando il giudice
diede definitiva sentenza che piii non parlassero, e che se non trovavano la Religione Cristiana buona, restassero gentili, che se li obligava a rinunziare sarebbe cosa
sola di bocca e non del cuore. Pero per dar soddisfazione aUi accusatori ordino, che
in awenire il discepolo non dovesse piii abitare col Maestro per non esser pervertito, e cosi furono liberi. Grjizie a Dio. Contro la aspettazione di tutti li Europei
che per sperienza hanno veduto tante persecuzioni et editti terribili infinita di Cristiani carcerati e maltrattati e sempre per simili accusazioni da principio di poco;
perche il costume de TribunaU Supremi di Cina e che mai vogliano operare se non
secondo li casi et editti antecedenti de quali ne conservano sempre le autentiche,
et ad ogni caso riferendo all'Imperatore I'accusa e sentenza allegano editti sentenze
di molti anni su le quali fondati non ponno far altrimenti.
Non tanto li amici Gentili e denaro spero speso circa a 45 scudi (che per averli ho
venduto alcune cose e vestimenti), ma nostro Signore e la Vergine SS.ma ci hanno
aiutato, e mosso il cuore del giudice di terminar la causa e non inviarla al tribunale
supremo secondo il costume, con pericolo di esser esso deposto se ne fosse accusato. Et ora non solo li due Neofiti sono sempre ferventi, ma uno de cinque accusatori di gia e battezzato, et due altri de cugini del giovine, gia piu volte sono venuti
alia Chiesa per instruirsi deUa S. Religione. Vi scrivo questo accio sappiate che oltre le occupazioni di Palazzo, e I'assistere alii Cristiani, di continuo vengono imbrogli, o per parte de Gentili, o di discordie de Cristiani fra loro per affari domestici, che mai finiscono senza I'intromessa del Missionario, o per qualche altro accidente che possa esser con disturbo per la Cristianita, al che bisogna sempre che il
Missionario stia in guardia per prevedere le male conseguenze senza di che poi difficile e il rimedio. Come pure in quest'anno mi accadde.
Dovete sapere che per il buon governo in tutti li capocroce deUe strade di Pekino
vi sono piccioli corpi di guardia, con alcuni soldati di guardia giorno e notte; ma
non ostante sempre succedendo disordini per il popolo innumerabUe. Li Regoli
e grandi dell'Imperio chiesero che I'lmperatore ordinasse di aggiungerne altri di

148

distanza in distanza neUe strade grandi al che lo Imperatore annui; di 4 Chiese 3


de Gesuiti, e la da me edificata, questa sola e in una strada grande per dove passa
sovente I'lmperatore; essendo quelle de PP. Gesuiti in parti piii ritirate, benche
piii grandi, non saprei dire se a caso o per odio contro la Religione fu determinato
di fare un corpo di guardia giusto accanto alia porta della mia Chiesa senza che mai
I'abbia penetrato.
Un giorno a caso o per meglio dire Dio cosi voile, essendo I'lmperatore a caccia,
io non andai al solito a Palazzo ma venni a Pekino per Confessare e Celebrare in
casa privata per le donne. Ritornato a casa ecco che 4 Mandarini, ossia intendenti
delle fabbriche pubbliche vennero con li artefici per fame li fondamenti, e sentendo
che stavo in casa mi fecero awisare che ivi fabbricavano. Li invitai a casa e bonamente li pregai di mutar il luogo, ma uno di essi piii risoluto disse che era fatto,
che subito facevano li fondamenti e partirono lasciando li artefici al lavoro di che io
afflitto, per le conseguenze che sarebbe stato difficile a Cristiani venire alia Chiesa,
massime in tempi di accuse contro la S. Legge; cosi frequenti.
Risolsi di andare dal Regolo fratello dell'Imperatore, che governava in quel tempo,
invece dell'Imperatore che era andato in Tartaria alia caccia per 40 giorni. Quel Regolo appunto 15 giorni prima era venuto a vedere questa Chiesa con tutto il suo corteggio. Di che gia ero stato a ringraziarlo al suo Palazzo. Cosi andai, li esposi in verita la causa che mi faceva aver ricorso al suo favore. Benche paressi troppo ardito in
voler oppormi che si edificasse nella strada publica, ne fui con le mani vuore secondo il costume del Paese. II Regolo mi ascolto, et essendo di naturale buono et amico
delli Europei, mi disse che era tardi, che gia cominciato era difficile, non ostante
farebbe quanto potrebbe. Ritornai a casa parte in speranza parte no; ma il giorno seguente ne viddi I'effetto, per ordine suo fu trasportato circa 50 passi piii lontano, e
lasciata libera la porta della Chiesa d'un travaglio perpetuo.
Mai finirei se volessi scrivervi quante istorie passano; per ora queste bastino accio
sempre preghiate Iddio a darmi spirito di operare a maggior gloria sua per aumento
spirituale di queste Cristianita addossatemi, perche senza special aiuto di Dio
tante occupazioni e disturbi, con si poco fondo di spirito che sempre in vece di
aumentarsi, si dissipa, poco di buono posso fare.
Addio, pregate sempre per me che io faccio lo stesso. La carta manca et e mezzanotte.
Pekino a 10 9bre 1757
Aff.mo vostro Fratello
F. Sigismondo da S. Nicola
Ag.no Scalzo
Missionario Apostolico
Salutate tutti parenti amici nostri Religiosi e quanti di me si ricordano, alle orazioni
di tutti mi raccomando.

LXX

Padre Sigismondo traccia un rapido consuntivo della sua attivita missionaria, fornendo anche una statistica dei battesimi amministrati. Scritta a
due anni dalla morte, questa lettera costituisce in un certo senso un

149

bilancio della sua attivita di apostolato.


AL FRATELLO D.F. MEYNARDI
Carissimo Fratello
La presente invio diretta in Cantone ad un Sig. Sueco Monsieur Grillo quale m'assicura di farvi tenere, e mi ha obligazione per alcune cognizioni ad esso molto utili delle quali mi aveva pregato, cosi spero che sicura vi arivera. Non saprei cosa scrivervi di novo, perche sempre occupato si nello Spirituale che nel temporale come li
anni scorsi, quasi lo stesso dovrei scrivere. In quantoal mio personale quest'anno I'ho
passato con miglior salute pero con meno forze e molto detrimento della vista.
Dal P. Damascene mio compagno religioso veramente di virtii fisiche e Morali ho
la consolazione di passarmela con perfetta armonia e di gia mi aiuta in udire le Confessioni ne giorni di concorso, essendoli molto difficile I'imparare la Lingua perfettamente. Fuori pero che e il piii penoso ancora non puo darmi aiuto. Col aiuto di
Dio spero che si fara col tempo. L'altro P. Francescano venuto l'anno scorso pure
con me passa con armonia et unione e viviamo tutti tre come fratelli pero per I'aiuto di
Missionario dubito che potra anche col tempo essere , per essere uomo di eta
di 50 anni, e trova grandissima difficolta ad imparare la Lingua, ne essendo di eta
puo farla da ragazzo come feci io, in pochi mesi giorno e notte bene o male sempre
star discorendo con Cinesi vecchi giovani e ragazzi, si che in mezzo anno fui capace di amministrare. Adesso piCi difficolta ho a parlar Europeo che Cinese.
In quest'anno ho ricevuto 4 vostre lettere delli anni passati che mancarono. In tutte mi domandate cosa faccio etc. Gia su questo punto vi ho scritto piii volte, che e
cosa ridicola la vita che faccio, paio un Comediante che mutata scena fa altro personaggio. Ora faccio I'ufficio di Confessionario o alia Chiesa o nelli Oratori privati come pure Matrimoni, non v'e giorno fisso, cosi uscito da Palazzo verso la sera
bisogna far il Missionario di nuovo, secondo le occorrenze, e piii volte succede che
fino alia sera non si trova U tempo per il pranzo ma si digiuna, essendo poi io gia
da 10 anni e piii accostumato al solo pranzo, et alia sera un pezzo di pane e una
tazza d'acqua, il cenare mi e fastidioso, cosi il digiuno va al giorno seguente e con
questo vivo piu sano senza aggravar lo stomaco. Vino non ne bevo se non nei giorni
solenni un bicchiere, ne faccio qua che puo passare, e serve per le Messe essendone
sicuro, ogni anno li Signori Europei da Cantone mi regalano vino di Spagna ma per
le Messe non sono sicuro essendo sovente con acquavite, cosi ne faccio per le Messe, l'altro lo conserve quando li altri Missionari favoriscono di visitare.
In quest'anno ho battezzato 85 tra adulti che piccoli, la maggior parte pero adulti tra quali essendo andato fuori nelle Missioni alcune giornate lontano, ho avuta
la consolazione della conversione d'una famiglia che per molt; anni con commercio
col diavolo era in reputazione di guarire infermita e altre calamita. Essendo io ivi
abbrucio li libri e scritti e figure che aveva in casa e dawero si convert! pero differii di darli il S. Battesimo avendo in quel occasione battezzato dodici adulti tra
uomini e donne, indi per la S. Pasqua li maschi di quella famiglia vennero a Pekino
e ricevettero il Battesimo. La madre principale poi in altra uscita in Missione in aprile fu battezzata e molto fervorosa, anzi esorta li altri Gentili a farsi Cristiani. Ho pure battezzato un Bonzo d'una specie che anche partecipano molto di stregoni,
per 15 anni ha fatto quel mestiere, che qua li fa adorare con titolo King-sien che
vuol dire uomini immortali, e non sono altro che ingannatori e stregoni, questo

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pure e fervoroso Cristiano. Pregate Iddio che illumini con Sua Grazia tanta moltitudine di infedeli accecati dall'idolatria, e molti dall'ateismo, e supplire con le vostre
orazioni alle qualita che mi mancano per far bene il mio ufficio. Io pure prego Iddio per voi e per tutti queUi che si ricordano di me, sperando che il ricordarsi sara
congiunto con raccomandarmi a Dio, che e quello ho di bisogno.
Salutate tutti e spero che si rivedremo in Paradiso.
Pekino a 29 7bre 1765
Aff.mo et Oblig.mo Fratello
F. Sigismondo da S. Nicola
Ag.no Scalzo Miss. Ap.lico

151

FERRUCCIO GIROMINI
MISSISSIPPI 1823

Giacomo Costantino Beltrami nacque a Bergamo


dove rimase,
laureandosi prima in giurisprudenza ed esercitando poi la professione,
fino al 1814. In quell'anno prese la prima grande decisione della sua
esistenza: si ritiro a vita privata nei propri possedimenti del marchigiano, dedicandosi con calma a quegli studi appassionanti di storia e di
etnografia cui prima non aveva potuto attendere come desiderava.
Fu proprio in questo periodo, e in tali argomenti immerso, ciie egli
maturo la seconda grande decisione, la piu importante. Preannunciando infatti queU'intuizione metodologica che avrebbe guidato I'opera
e il pensiero degli etnologi e degli antropologi a venire, Beltrami si accorse che uno studio in questo senso non e complete se svolto solo
"a tavolino", non e concluso se non viene verificato "sul terreno";
e fu cosi che decise di partire, per quelle stesse terre che gia aveva imparato a conoscere dalle pagine dei libri e dai racconti dei viaggiatori.
Era I'anno 1821, ed e bene notare che Beltrami aveva gia superato la
quarantine ma la sua eta non lo spaventava: ne avremo evident!
e ripetute riprove in seguito.
Sosto dapprima in Francia e in Inghilterra, incominciando cosi a familiarizzarsi con le diverse hngue e con la stessa disposizione psichica
del viaggio per il viaggiatore, si sa, le categorie di superfluo e di indispensabile sono ben diverse che per il sedentario poi, una volta rodato, attraverso I'Atlantico e infine pose piede sul continente americano, cui il suo nome restera legato per sempre.
Fu qui infatti che Beltrami, all'eta di quarantaquattro anni, diede il
meglio di se stesso: dopo brevi ma utili vagabondaggi nelle zone civilizzate, aggregandosi poi a una spedizione militare e proseguendo infi-

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ne per conto proprio, il nostro risali la corrente del Grande Padre


delle Acque, il Mississippi, e, attraverso zone ancora inesplorate e non
prive di grossi pericoli, giunse a scoprime le fonti, primo uomo bianco a vederle.
Una grande impresa, il cui contributo tuttavia non fu importante solo dal punto di vista storico e geografico, ma soprattutto da quello
etnografico, di descrizione cioe della vita e dei costumi americani,
tanto indigeni quanto importati.
Dalle lettere che egli scrisse in francese all'amica contessa Compagnoni, un vero e proprio diario della spedizione
ancora oggi ci si puo
infatti rendere conto del suo entusiasmo operative e insieme della sua
coscienziosita di descrittore. Se egli stesso gia scrive, al suo primo incontro con gli indiani, di essere di natura un po' pirroniana^^^, di avere cioe sempre dubitato di cio che leggeva e di voler verificare tutto
personalmente, tale testimonianza da sola serve a qualificarlo in maniera positiva. Quando poi qua e la attesta delle difficolta di reperire notizie sicure e del suo caparbio atteggiamento al proposito, o quando
arriva addirittura a sezionare una puzzola per ricercare all'intemo della
bestiola I'origine della sua sgradevole particolarita, ogni dubbio cade
e ci si puo veramente permettere di considerare "scientifico" il suo
atteggiamento.
Cosi si potra dire che Beltrami non fu solo un osservatore curioso ed
attento, ma anche acuto; e, ancora, modesto, o perlomeno cosciente dei propri limiti, in quanto si rendeva conto della molteplicita del
reale e dell'impossibilita di conoscerlo a fondo in ogni sua manifestazione, delegando in questa manier^ il giudizio definitive all'esperto e contemporaneamente evitando di sputare sentenze e fare affermazioni gratuite .
Se infine vogliame ancora rimarcare la sua estrema attenzione nel definire geograficamente i territori attraversati, sia fomendene una descrizione sommaria, non orfana deUe denominazioni indigene, sia,
quand'era possibile, tentandene una quasi sempre esatta locazione
suUe coordinate, non si puo che rimanere ammirati di fronte al notevole numero di qualita che caratterizzarone questo esploratore, e insieme non ci si puo rammaricare che la sua fama ancora oggi non sia
all'altezza del suo effettivo valore.
Ma tomiame ai viaggi. Dope aver curate I'ediziene del diario - epistolario, Beltrami, evidentemente non ancora stance di vita awenturosa, scese al Messico e lo giro in lunge e U largo, senza venir meno
un'altra volta al suo presupposto di viaggio inteso come serie di esservazioni scientifiche
156

Poi, dope una puntata all'isola di Haiti, I'inevitabile rientre in Europa; e a Filottrano, dolce ereme delle Marche, la revisione dei suoi
scritti, la sistemazione dei materiali e degli eggetti raccelti oltremare
e gelosamente collezionati; e infine la vecchiaia, che non si puo fare
a meno di immaginare come dedita al ricordo e alia rievocazione di quel
gloriosi momenti vissuti tra i monti e le foreste dell'America.
Mori nel 1855, all'eta di settantasei anni.
Fu veramente Beltrami a scoprire le fonti del Mississippi? La questione fu contreversa per lunge tempo
tanto che la contea in cui si
trovane le sorgenti, oggi parte del territerio del Minnesota, fu dedicate aU'esploratore italiano solo dopo la sua merte: nel 1866. II suo
nome e infatti ancor oggi Beltrame County.
Tuttavia, per capire a fondo I'importanza della sceperta, e bene ricordare brevemente le tappe anteriori deU'esplorazione del Mississippi.
Prescindendo dalla scoperta del fiume stesso e dalle primissime superficiali osservazioni degli Spagnoli, si puo dire che il merito deU'esplorazione di quelle regieni, presto cenosciute come Bassa e Alta Louisiana, va principalmente ai Francesi. Ma poiche gli insediamenti piii
important! erano stati effettuati nel nerd del paese, le prime spedizioni si diressero al sud, partendo dai bacini dei grandi affluent! oriental!, quali il Wisconsin, I'lllinois e I'Ohie.
Fu proprio giungendo dall'Illinois, ad esempio, che nel 1682 il signore de La Salle raggiunse U Mississippi e lo percorse fin quasi alia sua
foce, morendo poi qualche anno dopo mentre tentava di ritrovare le
stesso grande fiume, stavelta daUa parte del mare. A La Salle successe
il signer D'Iberville, il quale invece nel 1699 riusci a reperire la foce
e a risalire il fiume per circa 400 miglia, fino al punto dove oggi serge la citta di Natchez e dove egli allora cestrui un fortino che chiamo Rosalia.
Ma mentre nella calda regiene meridionale gli slanci awenturesi terminarone presto, estacolati anche dall'immobUismo politico che vi regnava , al nord le cose stavano ben diversamente. II commercie delle
peUicce infatti, suddiviso tra diverse compagnie rivali, era il miglior
incentive per la ricerca di nueve e piu veloci vie d'acqua. E anche se
le forze degli esplorateri erano principalmente tese alia scoperta del
favolose passaggio a Nerd-Ovest, e di conseguenza ci si dirigeva ad
Occidente, soprattutto lunge il Missouri, cienonostante la zona veniva per forza di cose esplerata un p6 tutta^^K
Le tappe forse piii famose di questa corsa al Pacifico furono quella
che nel 1793 ebbe per pretagenista Alexander MacKenzie, le scezze157

se che per primo attraverso nella regione del Canada I'intero continente, e soprattutto la grande spedizione dei due capitani Meriwether
Lewis e William Clark, i quali, partiti con 43 uomini da St. Louis
il 14 maggio 1804, risalirono temerariamente I'inesplorato corso superiore del Missouri e, oltrepassato lo spartiacque continentale, scesero
lungo il Columbia fino a bagnarsi nella salata acqua dell'Oceano. La
spedizione fu di ritomo nel 1806 e U diario dell'impresa, pubblicato
con scalpore nel 1814, influenzo in parte anche Beltrami, e per lo spirito e per il metodo.
Nel 1805, mentre Lewis e Clark remavano contro la corrente del Missouri, il Govemo degli Stati Uniti nomino Zebulon M. Pike capo di
un'altra spedizione, col compito di trovare le sorgenti del Mississippi.
Ma era invemo, i ghiacci rendevano difficile un'osservazione accurara e Pike, che sempre per conto del Govemo avrebbe coscienziosamente esplorato I'anno successive i lontani territori del Kansas e del
Colorado, fisso le sorgenti molto piu a valle di quanto avrebbe dovuto (9) .
Un ulteriore passo avanti fu effettuato nel 1819, quando la spedizione di Schoolcraft credette di poter situare le fonti al Lago del Cedro
Rosso TRed Cedar Lake); e sebbene la vera meta non fosse ormai molto distante da li, tuttavia questa errata congettura venne riconfermata I'anno successive dal generale Lewis Cass, allora govematere del
Michigan. Si devette quindi aspettare I'italiano perche il Mississippi
svelasse il sue luoge di nascita effettivo. E non e da escludersi che
I'impresa sia riuscita a Beltrami e non invece agli esplorateri "ufficiali" proprio perche egli la attuo da solo e per piacere personale.
In case di ufficialita, infatti, le difficolta vengeno ad essere spesso
piia numerose dei vantaggi. E' chiaro innanzitutto che maggiere e il
numero dei partecipanti, maggiere e il sespetto che si crea tra gli indigeni; inoltre, prevedere gli ostacoli e prowedere al sostentamente
per molti e ben piii problematico che per pochi; ed e infine palese
che piii si e, piu e difficile mettersi d'accerde, essendo questo veramente il colpo di grazia per la celerita della spedizione stessa, gia ampiamente cempromessa dagli altri impediments Ecco quindi che Beltrami non si dimostrera I'ultimo arrivato neanche per coraggio, resistenza e capacita organizzative.
Abbiame visto prima come nel 1805 le acque di entrambi i grandi
fiumi nerdamericani fossere seicate contemporaneamente da due diverse spedizioni, quella di Lewis e Clark sul Missouri e quella di Pike
sul Mississippi. Ebbene, anche il 1823, I'anno cioe in cui il nostro pretagenista cempi la sua impresa, e importante per un'altra grande awen-

158

tura. In quell'anno infatti, guidata dal giovane ma gia espertissimo


cacciatore Jedediah Snnth, parti la spedizione che avrebbe aperto
la strada maggiormente famosa degli anni a venire: con la sceperta del
passaggio piii agevole attraverso le Montagne Recciose, il South Pass,
nasceva la celebrata pista per I'Oregon^^^^. Grazie ad essa si sarebbe
scritta una nueva pagina della storia degli Stati Uniti; con essa finiva I'epoca delle esplerazioni e iniziava I'epoca dei pionieri.
Forse I'accostamente fra questi due awenimenti, quasi contemporanei, e un po' azzardato, forse non esisteno precisi coUegamenti ideali,
eppure mi sembra che la coincidenza andasse ugualmente sottolineata, perche in fondo anche la definitiva sceperta del luoge eve nasceva il mitico Grande Padre delle Acque contribui prebabilmente a chiudere
un'era e ad aprime un'altra: vinta la selvj^gia e orgogliosa natura
della sua terra, I'americano si apprestava cosi a sottometterla, definitivamente.
Vedremo era quale itinerario Beltrami segui per giungere alia sua meta e quali mezzi ed awenimenti accompagnarono il suo viaggio.
La prima lettera scritta all'amica contessa risulta spedita dalla confluenza fra il Mississippi e I'Ohio, che Beltrami aveva prese a navigare
fin da Pittsburgh, in Pennsylvania. E benche i primi civilizzatori anglefoni il dettor Wood e il quasi mitico awenturiero Simon Kenton
avessero aperto questa strada solo cinquant'anni prima, la civilta bianca
stava gia impadronendosi visibilmente delle rive dell'Ohio. Fino a St.
Louis quindi, poco a monte della suddetta confluenza, il viaggio era ancora relativamente sicuro.
Come si arrivava dunque a St.Louis dall'Est, nel 1823? Non certo su cemode strade, perche, come sottolinea il nostro attento osservatore, le
rivalita di interessi tra gli Stati della giovane Unione rendeva sospettosi i
vari govemanti su chi se ne sarebbe awantaggiato in maggior misura e
cosi, stoltamente, si preferiva non incoraggiare ancora lo sviluppo della
rete stradale. I piii disertavano quindi le selvagge mulattiere e affellavano invece i caratteristici battelli detti steam-boats.
Variopinti e rumoresi, carichi di merci come di individui di tutte le razze , questi battelli a vapore erano I'imbarcazione piu comoda e diffusa
sui grandi fiumi della regione
:il viaggiatore vi mangiava abbondantemente, vi dormiva sonni indisturbati, vi faceva allegre conoscenze; gustava insemma tutti quel "comforts" cui malauguratamente era ancora
abituato e che ben presto, nel sue vi^gie verso Ovest, avrebbe dovuto
dimenticare.
Beltrami, poi, pote godere di tali comedita piu a lungo di quanto allo159

ra non capitasse normalmente. Per la prima volta, infatti, uno steamboat risaliva la corrente del Mississippi fino a 2.200 miglia dalla sua
foce, attraccando alia banchina dell'avanzato Forte di St.Anthony
(oggi Fort Snelling, nel punto dove le acque del Minnesota vanno a confondersi con quelle del grande fiume). Benche all'epoca oltre 100 di
questi battelli a vapore viaggiassero suUa corrente del Mississippi, nessuno di essi si era mai spinto cosi a monte, e I'impressione che fece sui
pellirosse della zona fu dawero notevole.
II "Virginia", questo era il suo nome, si areno un paio di volte su banchi di sabbia inconveniente che in questi casi sempre ci si aspetta, ma
mai si riesce a prevedere in tempo e non fu molto veloce, ma, tenendo presente che misurava quasi 7 metri in larghezza e oltre 35 in lunghezza, che pescava di circa 2 metri, e che portava un carico di oltre
2.000 quintEdi, possiamo considerare anch'esso come un coraggioso e
spericolato eroe.
II pretesto per questa impresa nautica I'aveva fomito il generale Clark,
che aveva il compito d'ispezionare le installazioni militari poste sulle
rive del fiume: Beltrami cosi aveva colto di buon grado I'occasione che
gli si presentava e si era accodato alia spedizione. Per due mesi I'italiano soggiomo a St.Anthony, a stretto contatto con la rude e multicolore popolazione della frontiera, e fu per lui un periodo denso di esperienze e di annotazioni; finche gli si ripresento un secondo caso similmente fortunato. II maggiore Long doveva compiere un'altra spedizione
militare nel nord e permise anche alio strano viaggiatore di aggregarsi
alia sua colonna, meta della quale avrebbe viaggiato a cavallo lungo le rive del fiume St.Peter e I'altra meta sulle acque dello stesso, a bordo di
cinque canoe indiane.
La canoa di fabbricazione indigena era naturalmente U mezzo di trasporto piu veloce e piu maneggevole che si potesse desiderare per viaggi del genere. Snella ed elegantissima, essa aveva lo scheletro composto
di sottili liste di legno leggero ed era ricoperta da resistenti fogli di
scorza di betulla. Tali fogli venivano cuciti I'uno con I'altro e le giunture erano rinforzate con una speciale coUa di resina, impermeabile e
resistente al calore: il risultato era un'imbarcazione molto leggera per
poter essere trasportata facilmente a mano e nello stesso tempo molto resistente, tanto agli urti quanto al tempo. Un vero gioiello di tecnica
nautica.
Cosi, un po' su questi canotti, un po' sul cavallo che si era comprato a
Fort St.Anthony, Giacomo Beltrami viaggio con la missione militare,
incontrando indiani e studiando la natura7) finche la colonna non si fermo per una tappa piu riposante in una zona ancora quasi completamen160

te selvaggia: al Lago Traverso, presso le sorgenti del St.Peter. Oltre ^ l i


indiani, solo alcuni commercianti di pellicce vivevano lassii, ed erano
ormai mezzi pellirosse anch'essi, per abitudini come per aspetto.
Ma U maggiore Long aveva una missione da compiere, e la colonna riprese presto la marcia, approfittando della clemenza del cielo estivo.
Cosi, superato un breve porfagf? (^2', le canoe presero a scendere la
corrente del Red River, in pieno territorio Sioux, finche giunsero alia
meta finale e Long rivelo finalmente le sue consegne. Erano a Pembenar, colonia commerciale inglese della Compagnia della Baia di Hudson,
e I'esercito degli Stati Uniti era giunto fin lassii per prendeme possesso
ufficialmente per conto del Govemo. In questa maniera anche un italiano pote assistere alio spostamento dei confini.
Quando pero Beltrami chiese a Long le coordinate del luogo, il maggiore per segreto professionale, o temendo una spiata rifiuto di dargliele, cosicche U troppo curioso e testardo straniero dovette cercare di calcolarsele da solo, fissando la latitudine a 50"Nord. Oggi sappiamo che I'ex colonia inglese si trova nello stato del North Dakota
(diviso tramite il Red River dal territorio del Minnesota), poco a sud del
definitive confine col Canada, che e posto esattamente sul 49"parallelo.
Beltrami quindi aveva sbagliato di poco.
Adesso che gli ordini erano stati eseguiti, i militari erano in grado ormai
di prendere la strada del ritomo; I'intraprendente viaggiatore europeo,
pero, non poteva certo rassegnarsi a lasciare I'awentura dietro le sue
spalle. Tanto piii che le sorgenti del Mississippi non dovevano essere lontane, in direzione sud-est e in fondo perche era venuto fin quassu se
non proprio per inseguire il suo sogno di sempre, quello appunto di scoprire le lontane sorgenti?
Cosi vicino alia meta, non poteva rinunciare. 1 mesi di viaggio inoltre lo
avevano ormai temprato, anche spiritualmente, e I'ignoto non lo spaventava! Fu cosi che Beltrami ingaggio come interprete un mezzosangue
che trafficava nella zona e come guide due indiani Chippevv'a che andavano nella sua stessa direzione; vendette il cavallo che reputava ormeii
inutile e parti con i suoi tre compagni di viaggio.
Dopo cinque giomi di marcia sfibrante nelle paludi e nelle foreste, ecco il primo inconveniente: giunti sul Voleuse, un immissario del Bloody
River, I'interprete si rifiuto di proseguire. Beltrami doveva scegliere:
avrebbe potuto tomare indietro con lui, ma gia i due Chippewa avevano
tirato fuori la loro canoa da un nascondiglio nel canneto e si apprestavano a partire. Aveva deciso: vi sali anch'egli e, salutato il mezzosangue, si
mise a remare seguendo la corrente.
1 due indiani pero si facevano ogni giomo piu sfuggenti: volevano
161

raggiungere il loro villaggio sul Lago Rosso al piii presto possibile,


e complottavano di lasciare solo il bianco. Una notte, inoltre, la piccola spedizione venne attaccata da una banda di Sioux, tradizionali nemici
dei Chippewa, ma la presenza dello strano bianco riusci fortunatamente
a mettere in fuga gli assalitori. Questo episodio tuttavia fece decidere
definitivamence i due indiani: avrebbero proseguito via terra, per una
strada piu sicura e piu veloce; il bianco facesse come voleva. E Beltrami,
sdegnosamente, li mando per la loro strada con parole di rimprovero.
"Credo, Contessa, che voi sentiate meglio ch'io non possa esprimere
la situazione orribile in cui mi trovavo in questo momento critico: io
stesso tremo, come voi , tutte le volte che ci penso. Fortunatamente
allora non ne fui spaventato. Sfortuna a noi se in tali circostanze lo
scoraggiamento si impadronisce della nostra anima" ^ ' scrisse poi,
ammirevolmente, all'amica.
Eccolo quindi che riparte da solo. La canoa gli si rovescia ed egli, con
tutto il carico, finisce in acqua. Ma non si scoraggia: rimette tutto
a posto e riprende faticosamente il viaggio. Si ciba della selvaggina che
la sua precisa mira gli procaccia, oppure dell'avena e del riso selvatici che crescono lungo le rive del Fiume Insanguinato. Accende il fuoco
con stereo di bufalo, usando il legno di zakatagana come esca, la preferita dai pellerosse della zona. Dorme bagnato all'addiaccio; si difende notte e giomo dai violenti attacchi di pulci, zanzare, tafani, formiche rettili di ogni specie; neppure i furiosi acquazzoni estivi riescono a fermarlo. Solo prosegue senza paura e dira poi di non essersi mai sentito bene e in forze come in questo periodo, scrivendo anche
di aver capito allora perche i "selvaggi si ritengono piii felici dei popoli civUi e ad essi superiori" (''^^ .j
Un mattino, pero, incontra finalmente due canotti di indiani, ed e felice dell'awenimento. Meravigliandoli col suo strano aspetto e ancor
piii col suo ombrello rosso ^^^^, il Signore delle Acque perche tale
doveva essere parso loro in un primo momento parla a tutti cortesemente e a tutti dona fazzoletti colorati e stoffe e coperte, riuscendo
infine a convincere un vecchio ad accompagnarlo fino al Lago Rosso.
II peggio e cosi passato.
Risalite con la sua guida le ultime miglia del Bloody River, Beltrami
giunse un paio di giomi dopo al Red Lake e, benche le acque del lago fossero in tempesta, il poter finalmente riposare al coperto di una
capanna chippewa fu per lui veramente un grosso sollievo, non minore certo di quello procurato da pranzi succulenti: came di cane, una vera leccomia, e le parti piii prelibate del bisonte, la gobba e la lingua.
Perche nel frattempo egli era diventato un'attrazione per gli indiani
162

che li vivevano miseramente, ed era un onore mangiare e fumare col


Grande Guerriero Bianco anche se spesso era proprio lui che doveva fomire cibo e tabacco.
Approfittando della povera ma gradita ospitalita, Beltrami sosto al Red
Lake per qualche giomo e nel contempo si dedico all'esplorazione
della zona, mai calcata prima da mocassini bianchi. Con tutta la solita precisione, traccio una mappa e registrb accuratamente tutti i nomi indigeni dei fiumi e dei laghi, permettendosi anche di chiamare
otto laghetti comunicanti fra loro con i nomi di battesimo dei figli
dell'amica Contessa Medici Spada, nomi italiani: Alessandro, Lavinio,
Averardo, Federica, Adele, Maddalena, Virginia, Eleonora.
Ma I'ansia di ritrovare il Mississippi era troppo grande. E solo pochi
giomi dopo, accompagnato stavolta da un altro chippewa e da un altro
interprete sanguemisto, I'instancabile esploratore riprese il suo cammino. Scopri altri fiumi e altri laghi, sbizzarrendosi nel dar loro nomi
italici e mitologici; remo a lungo sulla canoa Indiana, arranco tra il fango, i rovi e gli sterpi; affondo nelle Terre Tremanti, la vasta zona paludosa dove il terreno solido quasi non esiste e, quemdo c'e, sembra davvero galleggiare sull'acqua; continue imperterrito al fianco delle sue
guide; finche, il 28 agosto, arrive infine alia meta agognata.
Su un ample pianero, con in mezzo un piccolo lago a forma di cuore,
il cui perimetro misurava solo tre miglia, si trevava finalmente il centre
idrografico piu alto e piii importante del Nordamerica: "Vagando con
10 sguardo intomo si vedono le acque scendere a Sud verso il Golfo
del Messico, a Nord verso il Mare Glaciale, ad Est verse I'Atlantico
e ad Ovest verso il Pacifico"^^^*.
11 lago non riceveva visibilmente acqua da alcuna parte, ma era alimentate da sorgenti sotterranee. Alia base del pianero, sul lato nord filtravano le acque che fermavano le fonti piii meridionali del Bloody River e sul late sud quelle che erano le sorgenti piii settentrionali del
Grande Padre delle Acque. Beltrami, commosso, voile dedicare tutto
cio al sue grande e sfortunato amore giovanile, la contessa Medici
Spada: chiamo lo specchie d'acqua "Lago Giulia" e le due scaturigini "Sorgenti Giulie del Fiume Insanguinato" e "Sorgenti Giulie del
Mississippi".
"Questo famoso Mississippi, il cui corso, a quel che si dice, e di 1.200
leghe, e che vede navigare sulle sue acque navi e steam-boats delta grandezza di una fregata, non e alia sorgente che un mscelletto di acqua
cristallina che si nasconde fra i giunchi e il rise selvatico..."
Cio
che era piii premeva all'infaticabile viaggiatore era di essere il primo
a percorrerlo interamente, fino alia sua foce. E cosi riparti.
163

Seguendo la corrente, arrivo al Lago della Tartaruga, e al Lago Jeromine, e al Lago Monteleone; risali il corso del primo affluente, il Fiume degli Aironi, e raggiunse altri due laghi che chiamo Torrigiani
e Antonelli, ritrovandosi poi nuovamente a Turtle Lake; riprese la
discesa e, passando attraverso una vasta zona acquitrinosa, giunse al
grande Lago del Cedro Rosso, quello stesso che Schoolcraft aveva erroneamente considerate quattro anni prima come padre del Mississippi, e che si trova invece piu a valle di oltre cento miglia dalle fonti
piu settentrionali e circa 40 miglia piii ad est di quelle occidentali,
poste presso il Lago della Cerva (Doe Lake). Beltrami annotava tutte
queste notizie di carattere geografico e, non senza orgoglio ed emozione, proseguiva il suo viaggio, esplorando con cura anche i territori circostanti, facendo sempre nuovi ed interessanti incontri con uomini
ed animali, perdendo e trovando sempre nuove guide, sempre nuovi
interprets
A questo punto pero, anche se le prime violente piogge autunnali ingrossavano il fiume, e i frequentissimi fulmini rosolavano uomini e cose,
e le rapide erano via via piu temibUi, e gli incontri con bande di Indiani non sempre rassicuranti, tuttavia piii si scendeva a valle minori erano i pericoli e piii era vicina la civilta. Tanto che per Beltrami si rese
necessaria una toilette piii accurate del solito: un bagno nel fiume,
una rasatura (o meglio una raschiatura) senza specchio ne sapone,
una rassettata a casacca e pantaloni di pelle di alee, una rapida pulita
al cappello di scorza d'albero. Ed eccolo nuovamente presentabile...
Fort St. Anthony era un'altra volta davanti ai suoi occhi e questo voleva dire che I'awentura ormai volgeva veramente al termine. Infatti,
dopo la festosa accoglienza di chi lo credeva morto e dopo I'owio
relax, il resto del viaggio tomo nei limiti della normalita, se cosi si puo
dire. Scese fino a St. Louis su un keel-boat con alcuni cadetti di West
Point, si riposo qualche giomo a St. Charles sul Missouri e riprese infine il Mississippi fino a New Orleans: aveva veramente percorso il fiume
per tutta la sua lunghezza, oltre 5.000 chilometri. Come promesso.
Concludendo I'ultima lettera all'amica contessa, Beltrami scrivera :
"La mano della prowidenza mi ha condotto al termine di un'impresa
che osavo appena concepire, solo e contrastato in tutti i modi. Non posso impedirmi di gettare al fiume un'occhiata di soddisfazione e di
orgoglio: malgrado tutta la sua maesta pare che, davanti a me, sia meno fiero" (1^) .
Durante il soggiomo a New Orleans, nel 1824, si occupera di dare alle
stampe U suo diario; poi, non ancora pago di fatica e meraviglie, partira per il Messico. Ma questa e un'altra storia
.
164

Da sempre grande crogiolo di razze e di tipi umani fra i piii eccentrici ed inusuali, I'America, tradizionale terra promessa di awenturieri,
emarginati e fiduciosi, ancora oggi e un caso a se, un paese dove puoi
incontrare chiunque e dove la molteplicita di usi e costumi e ovunque
presente, carattere ormai precipuo. Forse proprio in cio sta uno dei
grandi problemi americani, la ricerca di omogeinizzazione. La quale
ricerca spesso si tramuta addirittura in vera ansia: la mancanza di tradizioni comuni e insieme I'estrema diversificazione delle culture qui a
contatto finiscono col favorire una inconscia ma sociologicamente potentissima spinta alia massificazione piii totale, tanto nel comportamento sociale quanto in quello cultvurale. Ed e logico che le contraddizioni, economiche e no, esplodano negli Stati Uniti piii violente che
altrove.
Nel 1823 tuttavia il Nordamerica non era ancora divenuto meta di milioni di emigranti, europei o cinesi, portoricani o ebrei, non era ancora
quel che e oggi. Solo le tre grandi potenze coloniali dell'epoca lo avevano popolato dei loro uomini: la Francia al Nord e nella Bassa Louisiana, la Spagna al Sud e in genere lungo il Golfo del Messico, e I'lnghilterra quasi ovunque ^^^^ .
Nel 1823 erano anche gia trascorsi quasi cinquant'anni da quando
gli abitanti delle colonie nordamericane avevano vinto la loro guerra
di liberazione nei confronti della madrepatria, e quindi gli Stati Uniti erano una nazione ancora relativamente giovane, con molti problemi e non solo razziali da risolvere. Primo fra tutti, il problema del
mantenimento deU'ordine, neUe citta dell'Est come sulla frontiera occidentale.
La popolazione degli Stati Uniti, lo abbiamo visto, oltre a non essere
affatto omogenea per tradizioni e costumi, era anche in continue
aumente e, di conseguenza, sempre in movimente. Si sbarcava infatti nei porti della costa orientale e s'incominciava subito ad entrare in
familiarita con la vita americana, ben piii "libera" di quella europea,
nelle zone dei vari angiporti; e si sa che tali zone sono turbolente
da sempre. Poi si partiva verse I'intemo, per monti e piani deserti e
lungo strade deserte anch'esse, completamente liberi di fare tutto cio
che si voleva: nei sempre piti sconfinati territori dove arrivavano i bianchi, non sempre giungeva anche la legge. Oppure, quando essa c'era,
riguardava principalmente il commercie e I'amministraziene territeriale: divisiene in Stati e Territori, appunto, e relative assegnazioni
di Govematori, Giudici ed Esattori Erariali, con nomine provenienti
dal Govemo centrale di Washington.
Anche questo tuttavia aweniva sole negli insediamenti maggiori, pe165

sti principalmente lungo le vie di comunicazione fluviale, e soprattutto ancora molto distanti gli uni dagli altri; di modo che tutto il territorio non urbanizzato ed era veramente tanto finiva con I'essere
completamente abbandonato a se stesso, favorendo cosi il sorgere
di quel mito di un'America libera selvaggia e soprattutto anarchica
che tanta fortuna avrebbe avuto in seguito.
Lo stesso Beltrami, proveniente da un'Europa allora piii che mai reazionaria e poliziesca, puo affermare con evidente soddisfazione: "In America non s'incontra mai quella odiosa Polizia che vi ferma e molesta
quasi ovunque altrove: e se qualche Americano svolge indagini per proprio conto, cio e, al massimo, per sapere: se siete ricco; se siete grande o modesto (perche e falso ch'essi siano indifferenti ai titoli); quali siano le vostre opinioni politiche; quale fine vi abbia portato in America e una infinita di altre bagatelle che dan piuttosto I'idea del pettegolezzo da comare che non di una inchiesta" ^^^^. Ecco quindi
quel mondo tutto sommato un po' provinciale, bonaccione e rozzamente schietto che restera indissolubilmente legato alia figura dell'Americano medio fino ai nostri giomi.
Beltrami e comunque entusiasta, puo concludere ottimisticamente:
"Si vive liberi, in America, e indipendenti come I'aria che si respira" (2^) . Un'affermazione che i fatti, purtroppo, si premureranno di
smentire con sempre maggior ostinazione nella storia successive.
Gia allora, d'altronde, v'era chi non la pensava alia stessa maniera.
Quando infatti la spedizione del maggiore Long incontro una banda
di indiani Sioux e I'ufficiale tenne loro il solito discorso di circostanza, magnificante grandezza potenza e generosita del Grande Padre
Selvaggio che sta a Washington, del Govemo tutto, degli svariati milioni di americani e di tutte le loro ricchezze, Beltrami dice che fra
i Sioux "alcuni danzavano, altri avevano un'aria ironica; tutti fecero
il volto scuro quando sentirono che la spedizione andava a tracciare
i confini piu lontani dell'Impero americanos pare che gli Indiani non
gradiscano troppo che si vada a padroneggiare nelle loro terre "^^ >.
Lo stesso italiano tuttavia riconosce anch'egli I'accademicita e la millanteria di questi magniloquenti discorsi e finisce per sbilanciarsi dicendo
che "gli Americani, quanto a modestia, non la cedono punto alia loro madrepatria" ^^"^^ . Anzi, il nostro gentiluomo non perde un'occasione per sparlare della "perfida Albione", che pare stargli sullo stomaco quanto agli ex-coloniali americani; ed e tutto dire. Non solo d'immodestia egli I'accusa, ma anche di avidita ed avarizia, manifestando spessissimo tutto il disprezzo possibile per il suo Govemo, i suoi abitanti, le
sue Compagnie commerciali. Quando parla dell'Inghilterra Beltrami ha
166

sempre il dente awelenato.


Nei confronti dell'America e degli Americani, il nostro cronista si dimostra invece molto piCi obiettivo: ne parla bene quando e il caso, ma non
esita a tirar frecciate quando lo richiede I'occasione. Riconosce ad esempio che la loro benevolenza nel trattare gli stranieri e spesso sporcata da
un contegno eccessivamente immodesto e da un'affettazione troppo
fredda e antipatica. Apprezza I'amicizia e la gentilezza di alcuni, ma ha
parole di fuoco per quella classe di usurai e barattieri che infesta letteralmente le regioni americane. Dipinge Ln maniera quasi idilliaca il suo
incontro con una tipica famiglia yankee ^^^^ , che viveva in una capanna
sul fiume dedita alia coltivazione del mais e all'allevamento del bestiame; apprezza la semplicita, il coraggio e la pazienza di padre madre e
figli (26) ^ ma rileva nel contempo la mancanza di spirito associativo e
I'esasperato individualismo dovuto aU'interesse smodato.
"Gli americani temono sempre che la terra abbia loro a mancare, per
quanto non coltivino che la diciottesima parte di quella che possiedono
attualmente" (^7) scrive stupito. La teoria del manifest destiny della
nazione americana, di popolare tutto il continente di uomini liberi,
se non ancora nata ufficialmente, gia pero era sotterraneamente diffusa.
Molta comprensione Beltrami mostra invece nei confronti dei canadesi
e della durissima vita cui essi sono sottoposti. Gia terribilmente provati
dal clima quasi artico, questi infelici sono totalmente in mano alia perfidia delle compagnie commerciali inglesi, dice I'italiano, le quali praticamente impediscono loro di guadagnare quel tanto da permettersi di
lasciare gli avanzati insediamenti settentrionali in cambio delle pellicce da essi raccolte nei mesi di caccia, le compagnie pagano infatti con
fazzoletti, calze, camicie, eccetera, rendendo cosi impossibile il risparmio e meno che mai I'accumulazione di capitale.
A cio si aggiunge che proprio per questi motivi gli americani trattano i
canadesi alia stregua di ignoranti paria: "Non so se lo siano dawero
interviene quasi dispiaciuto il viaggiatore ma io so che son molto cortesi e servizievoli, o per lo meno io li ho sempre trovati tali, anche nelle
classi meno evolute"
Fiu che con canadesi veri e propri, in verita, Beltrami ebbe a che fare
soprattutto con queUa "sottospecie" di abitanti del Canada che venivano detti bois-brules (legni bruciati). Lo strano nome derivava dal colore deUa loro pelle, piu scura ancora di quella dei pellirosse, in parte
per n sangue indiano che scorreva nelle loro vene, e principalmente
per la continue esposizione all'aria e alle intemperie del nord (29)
Costorono furono le pedine piu piccole, ma enche le piii importanti, di
167

cio che va sotto il nome di Guerra delle Pellicce, quello scontro cioe
che impegno a lungo nelle foreste del Nord gli uomini e i mezzi delle grandi compagnie rivali, inglesi e americane. I bois-brules erano le
pedine piCi importanti, perche nessuno meglio di loro conosceva i
territori di caccia, nessuno sapeva meglio mirare, nessuno aveva miglior adattabilita ai rigori del clima e alio squallore di tale vita povera e isolata : senza di essi, in pratica, il commercio delle pellicce non
avrebbe. potuto esistere. Erano pero anche le pedine piii piccole, proprio perche di loro non si curava nessuno, ed anzi i responsabili del
commercio li tenevano apposta nell'ignoranza e nella miseria piii nera;
altrimenti, se solo avessero avuto una minima possibilita, avrebbero abbandonato la tristezza delle loro residenze subartiche e avrebbero scelto una vita migliore, forse altrettanto barbara, ma senz'altro piii gratificante.
Beltrami dice accoratamente di loro : "Sono esseri ne civili, ne selvaggi, che non hanno ne le risorse dei primi ne quelle dei secondi e hanno
invece tutti i difetti di entrambi" (^) ; e nel contempo accusa gli interessi inglesi di aver promosso e favorito questo mostruoso e quasi fantascientifico esperimento di incrocio razziale, per aver sempre a disposizione manodopera fresca e numerosa, di individui quasi subumani
un investimento che costa poco e rende molto.
L'unico raggio di luce in questo tenebroso scorrere dei mesi e portato,
secondo I'italiano, dall'opera paziente e misericordiosa dei missionari.
Cappuccini italiani e spagnoli, gesuiti francesi, pastori anglicani e numerosi altri ordini sacerdotali furono infatti parte integrante della colonizzazione e della vita quotidiana delle regioni nordamericane, con i
pregi e con i difetti che I'opera missionaria comporta. Dando per scontata la buona volonta che sempre animo il pensiero e I'azione di questi impavidi religiosi, non bisogna pero dimenticare che, accanto alI'indubbio aiuto materiale che essi portarono alle popolazioni da loro visitate, sul piano morale U loro paternalismo sorti presto effetti
deleteri, soprattutto sulle culture indigene.
Infatti I'ingenuo ma indiscriminato innesto di pensiero occidentale
che si opero su di esse fini sovente per depauperarle di quanto di piii
sincero esse conservavano nelle loro tradizioni, I'auspicata acculturazione trasformandosi purtroppo in triste e mortale deculturazione. I
fini potevano anche essere buoni, ma spesso i mezzi furono scelti male.
Le conseguenze furono quindi assai spesso disastrose.
Abbiamo citato prima la Guerra deUe Pellicce: vediamo allora un po'
piu diffusamente di che cosa si tratto. Le prime imprese commerciali
che si occuparono delle pelli furono naturalmente inglesi, e sono famo168

sissime tuttora: la North-West Company e \a Hudson's Bay CotJipany,


le quali in breve s'ingrandirono a dismisura per divenire vere e proprie
potenze commericali.
Dopo pero che gli abitanti delle colonie si ribellarono al potere inglese
e vinsero U confronto, presto naturalmente nuove compagnie nacquero
anche negli Stati Uniti. Nel 1807, due ex-membri della spedizione di
Lewis e Clark tomarono nelle regioni da loro esplorate e vi fondarono
i primi stabUimenti della Rocky Mountain Fur Conipany , la Compagnia delle Pellicce delle Montagne Rocciose. Loro compagno in questa impresa fu il geniale uomo d'affari Manuel Lisa, il quale due anni
dopo, associandosi stavolta a Wilham Clark, Andrew Henry e Pierre
Chouteau, fondo la ben piii nota Missouri Fur Company .
Sulla costa settentrionale del Pacifico nel frattempo, zona d'influenza
russa, John Jacob Astor, un altro famoso e ricco commerciante creatore
nel 1808 deWAmerican Fur Company, fondo nel 1810 una nuova impresa, col nome questa di Pacific Fur Company. E come stazione di
smercio fu costruito alia foce del Columbia un fortino cui venne dato
nome Astoria e che gia nel 1813 subi I'attacco e la conquista da parte della potente Compagnia inglese del Nord-Ovest.
Questa tuttavia era praticamente pari in forza alia sua piii diretta rivale, la connazionale Compagnia della Baia di Hudson, e la guerra con essa infatti duro anni ed anni senza esclusione di colpi: finche nel 1821
finalmente ci si accorse che era controproducente scannarsi tra inglesi
quando chi ne traeva vantaggio erano solo gli Stati Uniti, che riuscivano
cosi ad assicurarsi indisturbati il miglior commercio. Fu ad ogni modo
solo per diretto intervento del Parlamento inglese che si riusci infine a
comporre la questione e a far fondere una volta per tutte le due forti
compagnie in una unica, ancora piu gigantesca. E' proprio su queste e
per suo tramite naturalmente sulla stessa Inghilterra che Beltrami
non si stanca mai di scagliarsi, accusandola di tutte le malefatte; e con
plena ragione, perche i metodi da essa usati erano sovente proprio da rapina.
Ancora una volta tuttavia il nostro esploratore si dimostra osservatore
obiettivo e non manca di riconoscere i demeriti anche degli americani.
Ma leggiamo che cosa dice: " la Missouri Fur Company ha inventato
una nuova forma di sfruttamento dei paesi indiani, che e un altro attentate alia proprieta di queste popolazioni... ha assoldato un gruppo di
uomini per esercitare direttamente la caccia laddove essa e piii redditizia, per usurpare quindi, e distruggere, il solo mezzo di esistenza che
rimane a questi infelici, ai quali Mister Morse vorrebbe dare in cambio
quella Bibbia ch'essi vedono profanata ad ogni istante" (^^>. Come se
169

la caccia agli animali da pelliccia non fosse sempre e ovunque una lesione al diritto di liberta e di proprieta degli Indiani...
Fu propno uno di questi episodi (e Beltrami ne fa cenno) che provoco la
reazione violenta della nazione Arikara, i cui guerrieri attaccarono e
sconfissero sanguinosamente nel 1823 i trappers della Compagnia; e
quando il colonnello Leavenworth, che li inseguiva con una spedizione
punitiva, infine li raggiunse, "compreso forse dall'ingiustizia dell'impresa, invece di vendicare il sangue e il nome americani, accordo loro la pace; e per il momento la guerra esiste solo sui giomali, fra lui e gli agenti
della Compagnia" (^2)
11 commercio delle pelli non era comunque Tunica forma di attivita lucrative che si potesse ritrovare in queste regioni; ad esempio gia cominciava a diffondersi tra gli ancora pochi bianchi della zona un primo tentativo di aUevare bestiame. Non certo pecore, perche il rigido clima invemale non le avrebbe risparmiate, ma con i buoi, le mucche, e naturalmente i cavalli, gli esperimenti erano gia a buon punto. Non si tratta ancora owiamente di attenti incroci tra buoi di razza Longhom e puri
Hereford, finezze cui ci hanno abituati i successivi grandi allevatori del
Sud-Ovest degU USA, bensi di mere scorte di came: viva, cosi si conserve; e se si riproduce tento meglio. Ad ogni modo, une novite per le zone,
perche i pellirosse teneveno al massimo qualche cavello, me non allevaveno elcun eltro enimele: endevano a caccia, invece.
Poiche comunque sull'Alto Mississippi gh unici bianchi che avessero une
residenze fissa, tale cioe da permetter loro I'allevemento, ereno encore
solemente i militari, i bovini li si poteva incontrare in prossimita dei forti e non altrove. I soldati della frontiera, inoltre, quando non erano impegneti in azioni di guerra o di pattugliemento, poteveno enche dedicersi e proprio agio alle coltivazione delle terre circostanti o meglio
venivano obbligati ad occuparsene, temendo molto gli ufficiali i dannosi effetti che I'ozio poteva evere sui loro uomini. Note Beltrami: "I terreni rendono fino al 40 percento di fmmento e piii del triplo di meis:
ogni ufficiele, ogni compegnia, ogni impiegeto he il suo orto, e potrebbe avere una fattoria se avesse breccie per coltivarle" (^^^ .
Ma deH'agricoltura di queste regioni non si puo certo dire che fosse organizzeta od intensive, al contrerio di quento comincieva ed awenire
nell'Est. In particolare, Beltrami perle di elcuni stati che egli he attraversato per giungere a St.Louis venendo dalle Nuova Inghilterra; gli sta,ti della valle dell'Ohio: Ohio, Kentucky, Indiane, Illinois.
i_ "E' un oaese le cui terra, arricchita da depositi vegetali accumuleti della creazione del mondo, e tevorita da un clima che distribuisce convenientemente il freddo e il caldo, promette una ineseuribUe sorgente di
170

prodotti di Cerere, di Flora, di Pomona, e dello stesso Bacco, poiche la


vite vi attecchisce spontaneamente e sembra invitare la mano dell'uomo
alia sua coltivazione".
"Un paese che ha una prodigiosa quantita di fiumi rende vanteggiose
I'industria consentendo tanto fecilmente le importazione e la esportazione, per mezzo di facUi comunicazioni, estese a territori immensi: un
paese che, per quanto in mezzo aH'acque, gode per una straordinaria eccezione di un clima salubre..." ^^'^^ .
Quando poi, al termine del suo viaggio, Beltrami giungera in Louisiana,
vi potra invece ammirare le vaste e famose piantagioni di zucchero, cotone, mais e riso ("il paese e troppo umido e caldo per il fmmento"),
quelle stesse piant^oni che, innaffiate dal sudore del popolo nero, vedrenno nascere il blues e piii terdi, grazie ell'inesauste vitelita della culture afroemericena, anche il primo jazz .
L'italiano e sempre attento nel notere lo stedio di civilta dei paesi che
attreversa, se siano dediti all'agricoltura o sottoposti ad un primo processo di industrializzazione; tuttavia, provenendo da un'Italia che ancora
quasi non sapeva cosa fosse un'Industrie, cosi egli vede le cose: "L'economie terriere rimene solide e, perlomeno, de sempre di che sfemersi,
mentre I'economie industriele subisce fasi alteme, come la luna: decline, o cambia posto, e cosi lascie spesso nella miseria lepopolezioni ch'essa he ammasseto in quantite troppo grandi, e educato a nuove esigenze,
per il lusso e i vizi che naturalmente trascina al suo seguito dovunque
pessi" (^^'. Un discorso poco progressista, e senz'altro aristocratico, ma
purtroppo anche lungimirante.
Non si creda d'altronde che in queste regioni dell'intemo 1'industrializzezione avesse compiuto pessi de gigente: si ere encore nel 1823, e le
prime "Industrie" altro non erano che botteghe d'artigiani appena ingrendite in cui il lavoro ere steto un po' piii rezionalizzato. E' il caso ad
esempio della strana occupazione degli abitanti il villaggio di Herculanum, sul Mississippi, poco piii a valle di St.Louis. Caratteristiche di questo villaggio erano delle strane torri che sorgevano sul circostante terreno roccioso, dall'elto delle quali, dice Beltrami, "si getta del piombo fuso che, raffreddandosi rotolando per I'aria, si arrotonda e cade in pioggie di perle, vale a dire in pallini. 1 fori grandi o piccoli del setaccio da
cui vien fatto passare il piombo boUente danno il calibro che si desidera"(36).

Un sistema efficece ma ancora primitive, come si vede, e per certi versi


simile a quello con cui gli indiani nelle miniere di Dubuques e altri bianchi in different! miniere sfruttate per concessione govemativa solevano
trettere ancora il piombo: per ridurlo in Ungotti, infatti. lo fondevano
171

direttamente i n buchi appositi scavati nel t u f o .


Un altro esempio d i sfruttamento non propriamente industriale, ma
quasi, ci viene offeri;o ancora dagli indiani; dai loro zuccherifici, per la
precisione. Ecco dunque la lavorazione, che sara anch'essa poi ripresa
dai bianchi: a primavera s'incidevano alia base i tronchi degli alberi da
zucchero e se ne raccoglieva la Unfa i n recipienti d i scorza d i betulla;
si faceva poi bollire i l t u t t o i n grandi caldaie finche I'acqua non fosse evaporata e i detriment! non si fossero depositati sul fondo. Alle pareti
della caldaia rimaneva attaccato lo zucchero.
Un misto d i necessita e d i ingegno stavano cosi gettando le basi d i una
industriahzzazione veramente potente, quella che avrebbe portato gh
Stati U n i t i al primo posto nel mondo i n questo campo. Effettivamente pero, e questi esempi ce lo confermano, un'ipotesi tanto ottimistica nel 1823 avrebbe fatto sorridere m o l t i .
Non t u t t a la realta degli Stati U n i t i era questa, owiamente.
Gh Stati dell'Est, colonizzati da piii tempo, si presentavano del t u t t o
different! da quell! dell'Ovest, p i u giovani ma anche p i i i viv! e p i u percorsi da ferment! progressist!, tanto da manifestare sovente i l loro acceso dissenso dalle posizioni della Nuova Inghilterra ( 3 7 ) . ^ chiaro che !
problem! d i una regione poco popolata e ancora quasi selvaggia sono
ben divers! da queUi d i una zona urbanizzata
Lo stesso Beltrami, scendendo la corrente dell'Ohio e risalendo p o i i l
Mississippi, incontra alcuni agglomerati urban! d i diversa importanza e
ci tramanda al riguardo alcune notiziole d i un certo interesse.
La prima citta d i cui i l nostro viaggiatore ci parla e Pittsburgh, ex F o r t
Duquesne al tempo de! francesi, ed ex F o r t Pitt alia conquista britannica, venendo cosi una volta per t u t t e dedicata al Primo Ministro inglese e
geniale stratega nel Nordamerica, William Pitt. A que! tempi essa occupava effettivamente u n punto d i grande importanza strategica: la confluenza del Monongahela River con I'Alleghany River, le cui acque, confondendosi, formano I'Ohio (che i n lingua algonchina significa " b e l flum e " ) ; proprio per questo motivo era stata teatro d i violent! scontri per
il suo possesso al tempo delle guerre franco-inglesi.
Nel 1823 Pittsburgh contava gia 12.000 abitanti, cifra enorme per que!
tempi e per quella regione, e soprattutto era una citta caratterizzata da
una notevole attivita commerciale e in pieno processo d i industrializzazione, regnandovi ormai dawero la macchina avapore: "L'attrezzatura
degli stabilimenti d i chiodi e cosi potente ch'io vidi fabbricame, orologio alia mano, circa trecento al m i n u t o ; e quella delle fonderie d i ferro
riduce, in un tempo forse anche minore, u n blocco grezzo d i metallo i n
una sbarra, purificata, d i qualsivoglia dimensione"
Una citta ricca,

172

q u i n d i , ma anche gia afflitta da un tipico male del f u t u r o : lo " s m o g "


che v i regnava, i n f a t t i . rendeva tristi anche le giomate piii limpide.
Seguendo I'Ohio, Beltrami incontra Wheeling, grande rivale della precedente "ma essa e ben lontana dall'aver t u t t i i vantaggi d i Pittsburgh
dove i l commercio si sviluppa in ogni settore e dove I'abbondanza d i
carbon fossile facilita i l sorgere delle m a n i f a t t u r e " ("^O) e Marietta, citta intellettuale dove prosperano biblioteche e tipografie.
Proseguendo ancora, ecco Cincinnati, i l piCi importante centre commerciale e industriale dell'Ohio, superiore i n cio ancora oggi alia capitale
Columbus. Pare che i l nome le derivasse dalle particolari v i r t i i del suo
fondatore, Wergenton, che si stabUi i n quel luogo verso la fine del X V I I I
secolo e che per carattere ricordava appunto i l modesto e industrioso
generale romano Cincinnato. A soH trent'anni dalla sua fondazione, la
citta contava ben 12.000 abitanti e gia era u n porto fiorente e movimentato. " E ' la nostra Geneva, i n piccolo, e i suoi d i n t o m i sono ugualmente illeggiadriti dalle ridenti ville e case d i campagna''^"^^^: zone residenziali per i ricchi commercianti che I'abitavano, i discendenti dei qual i renderanno la citta u n centro conserviero d i came suina tanto importante che ancora adesso viene allegramente definite Porkopolis.
Inoltre, se oggi Cincinnati e sede d i una rinomata universita, anche allora, che p i i i ci si addentrava nel continente piCi I'istruzione era rara,
un'Accademia e un Museo la ponevano automaticamente all'avanguardia i n questo campo; e 500 allievi non erano a quel tempo cifra da
poco. Anche se, nota scandalizzato i l " p r o v i n c i a l e " italiano, le classi d i
studio erano miste: maschi e femmine assieme. "Nonostante i l rispetto
dovuto ai costumi degli American!, e sempre da temere che I'occasione
la vinca suU'austerita: ed io ho constatato sempre che. dove la malizia
tace, la natura trova u n linguaggio anche p i u seducente" ^^^^ . Pedagogia
e psicologia erano discipline i n pratica ancora da inventare: da allora,
evidentemente, molta acqua e passata sotto i p o n t i .
Lasciata cosi alle sue spalle Cincinnati e i suoi " i m m o r a l ! " metodi educativi, Beltrami si ferma stavolta nel p o r t o d i Louisville, K e n t u c k y .
Ne allora, ne p o i , questa cittadina f u m o l t o i m p o r t a n t e : solo 6.000 erano i suoi abitanti nel 1823, e ai giorni nostri ancora non ha raggiunto i l
mezzo milione d i anime. Ma se oggi essa e nota p i u che altro per le sue
manifatture d i tabacco (addirittura u n quarto delle sigarette prodotte
negli USA proviene da q u i ) , al passaggio d i Beltrami le ragioni della sua
fama non si prestavano certo a venir propagandate sui depliants turistic i : le letali esalazioni delle vicine paludi uccidevano i n f a t t i ogni armo
centinaia d i cittadini, cola accorsi dietro al solito miraggio d i trovare
I'oro. Effettivamente oro se ne trovava, ma ancor p i u facile era imbat-

173

tersi nella m o r t e .
Proprio per queste ragioni Louisville divenne meta pure di numerosissim i medici, piu o meno fanfaroni ed i m p r o w i s a t i , cui non pareva vero
di poter sperimentare su t a n t i febbricitanti i p r o p r i intrugli, spesso miracolosi solo per i loro inventori. A i suoi cittadini Louisville offriva dunque contemporaneamente malattie e medici : i mali della natura con i
mali della civilta.
Proseguendo lungo i l corso dell'Ohio, le rive si presentavano come ancora semideserte, i n appena accennata fase d i colonizzazione: v i si poteva allora osservare la vera nascita dei p r i m i agglomerati urbani nella
cornice delle primitive distese naturali, awisaglie del West. Scrive infatt i i l nostro viaggiatore '-i^e localita che portano segnata I'impronta della mano dell'uomo contrastano i n misura sconvolgente con quelle dove
la natura e ancora alio stato selvaggio. Le citta e i villaggi piii ridenti sono separati gli uni dagli altri, a w o l t i i n una buia solitudine: i campi e le
praterie, i cui verdi mantelli v i arrestano e v i incantano, sono i n t e r r o t t i
da lugubri boschi, da foreste impenetrabili. Le caparme, le baracche, le
fattorie, i gruppi d'abitazioni, seminati qua e la, rompono lo scenario
con intermezzi cosi commoventi che anche I'animo p i u freddo non saprebbe restarvi i n d i f f e r e n t e "
A t t e n t o reporter
Beltrami non si lascia sfuggire I'occasione d i v i sitare una d i queste baracche, e nota meravigliato che mentre I'estemo
e veramente da bidonville (tronchi d'albero orizzontali cementati con
terra e p ^ l i a , e t e t t o in pezzi d i legno taghati a cono), I'interno si presenta al contrario arredato f i n troppo lussuosamente; tanto che non si
puo n o n cedere alia tentazione d i trame una morale: "la decadenza d i
questo popolo potrebbe essere altrettanto rapida della sua ascesa" ('*^l
Intuizione premonitrice delle mollezze consumistiche?
Ma lasciata la via dell'Ohio e r ^ g i u n t a I'altra direttiva della civUizzazione, i l Mississippi, ecco all'orizzonte un'altra citta che e vero tripudio
d i vita e d i civilita, isola bianca i n territorio gia (ancora) pellirosse
ecco Saint Louis.
Fondata sotto i francesi ( i l suo primo nome f u Pain-Court) e a lungo rimasta p o i sotto i ! duro tallone spagnolo, St.Louis nasce a nuova vita dopo la cessione della Louisiana agli Stati U n i t i , raggiungendo presto un
invidiabile splendore. Beltrami naturalmente, da buon repubblicano,
non esita ad attribuire tale rinascita alia illuminata liberalita del governo statunitense: "nuove strade, un nuovo mercato, grandi magazzini
generali, Industrie attivissime, giardini ridenti, i l t u t t o d i data recente,
testimoniano che la citta e d i m o l t o aumentata da quando fa parte d i
uno Stato le cui leggi non distinguono che i l merito, e d i un Govemo

che non chiede se non quanto serve ai bisogni indispensabili, reali, ben
riconosciuti dallo Stato, e la cui amministrazione esecutiva e sorvegliata
da un Senato, da u n Congresso, e dalla gelosia d i u n popolo diffidente e
sospettoso"
La sviolinata oggi pare indubbiamente eccessiva, ma
se ricordiamo la situazione europea e quella italiana i n particolare
dello stesso periodo, anch'essa ci diviene pienamente comprensibile.
T o m i a m o ad ogni modo a St.Louis, e al suo fiorentissimo commercio.
Alia confluenza del Mississippi col Missouri, occupando quindi una posizione d i primaria importanza sulle vie mercantili, la citta divenne i n
breve un centro dawero imponente per lo scambio delle merci. Cosi, acquistando e fomendo pellicce e vettovagliamenti d i ogni genere (era i n
pratica I'ultimo mercato veramente importante prima del nulla della
frontiera), St.Louis si arricchi velocemente d i merci denaro e abitanti,
fomendo una occupazione sicura a chiunque andasse a cercarla.
Per dare un'idea del suo giro d'affari, si puo dire con Beltrami che " i l
movimento d i cui e al centro sparge m o l t o lontano i suoi benefici, p o i che richiama da Nuova Y o r k , da Filadelfia, da Baltimora, gli articoli d i
provenienza europea e quelli delle Indie orientali, attraverso gli Appalachi e I'Ohio, e contemporaneamente fa giungere dalla Nuova Orleans
t u t t o quanto I'America meridionale offre d i necessario" (*''\
Una citta facoltosa; e altrettanto si puo dire dei suoi 7.000 abitanti, i
quali potevano cosi permettersi vita d i societa e lussi impensabili altrove
suUa frontiera: da grandi banchetti a balli sontuosi a dame ingioiellate e
vestite all'europea. Qualche miglio piii i n la si era gia in plena prateria.
Nel viaggio d i andata del Beltrami, St.Louis f u I'ultimo vero avaraposto
d i civilta; a F o r t St.Anthony i n f a t t i si respirava ormai solo I'aria della
frontiera (^^^
Prima d i ritrovare qualche altro insediamento urbano vero e p r o p r i o ,
dobbiamo cosi attendere che i l nostro eroe viva la sua awentura e, scoperte infine le tanto cercate sorgenti, ridiscenda i l Mississippi.
Eccolo dunque giungere a Memphis; ma la citta che un secolo dopo sarebbe divenuta la maggiore del Tennessee e uno dei principali centri
commerciaU e d i comunicazione deUa regione centrale degU USA, nel
1823 altro non era che un piccolo villaggio sempre esposto al reale pericolo d i violente inondazioni ("^^^ .
La stessa citta d i Natchez, che pur a quel tempi era d i discreta importanza ( " i l primo luogo che, dopo St.Louis, offre tracce d'una civilta
avanzata"), nel 1823 aveva a che fare con le forze d i s t m t t r i c i della natura: la c o l p i quell'anno una violenta epidemia d i febbre gialla, che si
porto via quasi un decimo della sua popolazione (^0). Yxima della pestilenza, gU abitanti d i Natchez erano p i i i d i 5.000.

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Oltrepassata anche la graziosa cittadina d i Baton Rouge, allora come


adesso ridente e poco affoUata (al passaggio d i Beltrami i l Govemo vi
stava allestendo, nel quadro delle fortificazioni per la difesa strategica
della zona, grandi caserme atte ad ospitare u n gran numero d i soldati: la
piazza d i New Orleans andava attentamente sorvegliata), I'italiano i n contra finalmente I'ultima grande citta degli Stati U n i t i prima del suo
viaggio i n Messico, quella citta i n cui dara alle stampe i l suo diario e
dove potra assaporare un p o ' della gloria che gli spetta: New Orleans.
Fondata dai Francesi nel 1718, e owiamente dedicata p i u tardi a FUippo
d'Orleans (U suo nome originale f u i n f a t t i La Nouvelle Orleans), rappresento forse I'unico caso d i citta che non decadesse i n maniera eccessiva
sotto i l dominio spagnolo. Ancora oggi, anzi, sua principale attrazione
e i l cosiddetto Vieux Carre, i l quartiere cioe che ha mantenuto architettura e costumi caratteristici del periodo coloniale francese e spagnolo.
Anche q u i pero U clima insalubre delle paludi del delta mieteva quasi
ogni anno le sue v i t t i m e . Tuttavia cio non imped i mai all'insediament o d i ingrandirsi sempre piii e d i divenire anche un grande centro d i v i ta e d i divertimenti. I I suo carattere cosmopolita i n f a t t i europei i n
gran numero, centroamericani, meticci, creoli favori sempre i contatt i sociali, tanto aUegri e spensierati quanto intellettuali. Gia allora, e
con poco p i i i d i un secolo d i v i t a . New Orleans ospitava 45.000 abitanti;
e fara dire a Beltrami: " E ' p i u brillante d i ogni altra citta d'America
ch'io abbia visitato... Uno straniero che v'entrasse la notte crederebbe di
veder una grande capitale: vi si trovano strade illuminate con r i f l e t t o r i e
movimento intenso d i fiacres che le percorrono. E' straordinario come
una citta appena uscita dall'infanzia offra gia una parte dei diversivi delle Capitali europee in fatto d i divertimenti p u b b l i c i : corse d i cavalli, sale d i spettacolo, concerti, balli, e c c , e case da gioco d i ogni specie. Dent r o la breve cerchia della citta si calcolano fino a sei case da gioco pubbliche, vale a dire quattro piCi che a Parigi"
.
Ecco allora che, dall'Europa civile alia vita selvaggia dell'intemo e d i
nuovo aO-'european way of life d i New Orleans, i l cerchio d i Beltrami si
chiude. Ormai I'aspetta i l Messico.

Note

(1) L a presente breve nota biografica non pretende di essere esaustiva; per ulteriori
approfondimenti, si rimanda percio a R. R A I N E R O , s. v.
Beltrami,
Giacomo
Costantino
in Dizionario
Biografico
degli Italiani, R o m a , 1 9 6 6 , V I I I , p p . 6 3 - 7 0 ;
G . R O S A , Della vita e degli scritti di G.C. Beltrami da Bergamo, Bergamo 1 8 6 1 ; ed
infine E . M A S I , G.C.Beltrami
e le sue esplorazioni
in America,
F i r e n z e , 1 9 0 2 . Quest'ultimo studio, in particolare, essendo I'autrice una pronipote del Beltrami stesso,
si presenta fondamentale per I'inusitata ricchezza di notizie di prima mano riguardanti I'esploratore, m a e insieme anche eccessivamente encomiastico. Per una trattazione piii estesa, aggiornata e obiettiva dell'argomento, si veda inoltre M . P A T R O N E , G.C.Beltrami:
contributo
per una nuova critica, Tesi di laurea in Storia delle
esplorazioni geografiche discussa alia F a c o l t a di Lettere e Filosofia dell'Universita di G e n o v a , A n n o A cca d e mi co 1 9 7 2 - 1 9 7 3 . (relatore prof. Francesco S u r d i c h ) .
( 2 ) T u t t o I'epistolario (11 lettere) venne stampato a cura di Beltrami stes.so una prima volta nel 1 8 2 4 a New Orleans, col titolo La Decouverte
des Sources du Mississippi et de la Riviere Sanglante. T r a d o t t o in inglese, fu incluso piu tardi nel maggiormente comprensivo Pilgrimage in Europe and America,
leading to the Discovery
of
the Sources of the Mississippi and Blooy River
(comprendente pure le 4 lettere,
sempre indirizzate alia contessa Compagnoni, che erano state gia edite a Filadelfia
nel 1823 c o m e Deux mots sur des promenades de Paris a Liverpool),
c h e , pubblicato a L o n d r a nel 1 8 2 8 , venne tradotto infine in italiano da L u c i a n o Gallina c o m e
La Scoperta
delle Sorgenti del Mississippi
nel 1 9 5 5 , a cura delle E d i z i o n i D o c u menti L o m b a r d i di Bergamo. Proprio di tale traduzione m i sono servito per le frequenti citazioni deUe lettere. Un'edizione piu recente, sempre a cura di L . G A L L l N A , e uscita per i tipi dell'Istituto Geografico De Agostini ( G . C . B E L T R A M I ,
Alle sorgenti del Mississippi, Novara 1 9 6 5 ) .
V a n n o infine citate almeno una delle opere critiche suH'attivita di esplorazione
del Beltrami edite nel secolo scorso ( G . P E N N E S I , C. Beltrami alia ricerca delle
sorgenti del Mississippi,
in Bollettino
della Societa
Geografico
Italiana,
giugno
1 8 8 6 ) e I'ottimo studio di W. B R A G H I E R I G I A C O M I N I , G. C. Beltrami
"pellegrino" alle sorgenti del Mississippi,
Bergamo, 1 9 5 5 , cui si rimanda per approfondimenti ulteriori.

176
177

( 3 ) L a tendenza a riferirsi alia storia e alia cultura del m o n d o greco e r omano era assai diffusa nel Beltrami, naturalmente imbevuto della cultura allora imperante in
E u r o p a , gia romantica ma ancora molto classicheggiante.

(14) Ibidem,

( 4 ) Egli stesso d'altronde si definisce scherzosamente non viaggiatore celebre, ne scrittore di professione, bensi "passeggiatore
senza pretese... che scrive queste lettere
sulle ginocchia e in mezzo ai deserti, come Cesare scriveva i suoi commentari suUa
sella fra i tumulti del c a m p o . . . " ( G . C . B E L T R A M I , La scoperta cit., p . 2 0 7 ) .

( 1 6 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperta

( 5 ) L a monografia che tratta di questa nuova esperienza, Le Mexique ( 2 voU., pubblicati a Parigi da Crevot, nel 1 8 3 0 ) aspetta ancora di venire riscoperta. V e d i anche
oltre; nota n . l 9 .
( 6 ) Per un accurate resoconto della polemica, vedi M . P A T R O N E

cit., pp.70 - 102.

( 7 ) II malgoverno francese della Compagnia delle Indie duro fino al 1 7 6 3 , quando


c o l Trattato di Fontainebleau la Louisiana venne ceduta alia Spagna, padrona ancor
peggiore. Solo nel 1 8 0 3 la regione, che misurava 2 . 1 5 8 . 0 0 0 k m q . , fu acquistata per
gli Stati U n i t i dall'allora presidente T h o m a s Jefferson.
( 8 ) L'affascinante storia delle esplorazioni sul continente americano, da Cristoforo
C o l o m b o fino alia spedizione di L e w i s e C l a r k , e raccontata con incredibile ricchezza di particolari in B . D E V G T O , The Course of Empire, Boston 1 9 5 2 (trad. it.
La corsa all'impero, Bologna 1 9 6 3 ) .
Si vedano anche J . B . B R E B N E R , The Explorers of North America. 1492 - 1806,
New Y o r k 1 9 5 5 ; e S . E . M O R I S O N , The European Discovery
of America. The Northern Voyages A.D. 500 - 1600, New Y o r k 1971 (trad. it. Storia della scoperta delI'America,
vol.1, Milano 1 9 7 6 ) .
( 9 ) Cfr. M . P A T R O N E c i t . , p p . 3 3 - 3 6 .
( 1 0 ) The Oregon Trail, Boston 1847 (trad, i t . : La pista per I'Oregon,
Bologna,
1 9 5 9 ) , p r i m a opera del futuro grande storico F r a n c i s P a r k m a n , e I'interessantissim a narrazione dell'approccio dell'autore c o n il mondo ancora semiselvaggio della
frontiera, descritto qui senza compiacimenti ne ipocrisie.
( 1 1 ) A c c a n t o agli steam-boats,
e naturalmente alle canoe indiane, altri tipi di imbarcazioni percorrevano le acque fluviali: soprattutto keel-boats, barconi da trasporto,
e fleam-boats,
zatteroni c o p e r t i ; m a anche, fin dove lo permettevano i fondali, grossi tre alberi. S u l Mississippi questi ultimi giungevano fino a 4 0 0 miglia da] delta, fino
cioe al porto di Natchez.
( 1 2 ) V e n i v a detto portage, c o n parola francese, il tratto di strada a terra che si doveva effettuare passando da u n corso d'acqua ad u n altro; il che solitamente c o m portava il trasporto a m a n o delle merci e delle imbarcazioni.
( 1 3 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperiacit.,

178

p.l66.

p. 1 6 9 .

( 1 5 ) Conser/ato tuttora, tra altre suppeiiettiii ed altri i n d u m e n t i , nel Museodi Storia


Naturale di Bergamo.
c i t . , p. 1 7 7 .

( 1 7 ) /6(dcm, p . 1 8 3 .
(18) /b/dem,p.236.
( 1 9 ) Questo nuovo viaggio, improntato particolarmente a una ricerca di tipo elnologico, fu prodigo per Beltrami di insperati successi anche in campo archeologico.
Di notevole importanza fu ad esempio il ritrovamento da parte dello stesso bergamasco di u n manoscntto del X V I secolo, VEvangeliarium
Aztecum di Bernardino di
Sahagun (pubblicato poi a Milano nel 1 8 6 0 ) .
n resoconto del viaggio, anche i n questo caso epistolare ( 1 3 lettere), e contenuto in
G . C . B E L T R A M I , Le Mexique c i t . , di cui T u n i c a copia superstite in Italia viene
conservata nella Biblioteca Comunale di Bergamo. Per u n rapido ma esauriente c o m pendio dell'opera, si veda M. P A T R O N E cit., p p . 143 - 1 7 2 .
( 2 0 ) Per quanto riguarda I'ltalia, i primi compatrioti di Beltrami giunsero negli Stati Uniti in pratica contemporaneamente a lui. T r a il 1 8 2 0 e il 1 8 3 0 , infatti, gli i m migrati italiani i primi di un'ondata che piu tardi si sarebbe dovuto contenere
furono solo 4 3 9 . Poi, e naturale, il flusso migratorio gradatamente aumento, tanto
da arrivare nel decennio 1 8 8 0 - 1 8 9 0 a 3 0 7 . 0 0 0 unita , e nel decennio successivo ad
oltre 6 0 0 . 0 0 0 ; mentre negli anni 1 9 0 0 - 1910 si arrive adirittura a superare i 2 m i lioni. I n definitiva, il Servizio americano per I'lmmigrazione certifica che, se dai
1 8 2 0 al 1 9 7 0 il numero totale degli immigrati negli Stati U n i t i ammonta a 46 milioni, di questi gli Italiani che hanno preso la cittadinanza americana sono stati in tutto
5.150.000.
( 2 1 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperta
(22) Ibidem,

c i t . , p. 7 9 .

9. 7 9 .

(23) /6idem,p. 138.


(24) Ibidem,

p. 1 4 0 .

( 2 5 ) II termine yankee
lee.

pare derivare da una deformazione indigena di english:

ying-

( 2 6 ) " M i han detto che gli Y a n k e e s quando si separano dalla casa p a t e m a non ottengono che una brigUa, un giogo, una scure e una zappa; e un patrimonio simbolico con il quale percorrono qualche volta 3 o 4 mila miglia fino a che hanno
trovato da impiegarlo utilmente; i genitori non sanno piii nulla dei figli e viceversa"
( G . C . B E L T R A M I , A;/a Scoperta c i t . , p. 2 2 2 ) .

179

( 2 7 ) Ibidem,

p. 2 2 0 .

pp.404 - 406.

(28) Ibidem,

p.

( 3 9 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperta

70.

( 2 9 ) PoichS la terminologia in questo campo si presta spesso ad essere malamente


confusa, e il caso di specificare i significati particolari di alcuni termini. Trapper era
il cacciatore di pellicce che catturava le prede esclusivamente c o n trappole; mentre
il mountain man, che viveva prevalentemente ad ovest della linea Mississippi-Missour i , andava a caccia col fucile. II coureur de hois era invece indifferentemente " t r a p p o lato r e " o cacciatore, m a di lingua francese, e soprattutto senza licenza: in pratica
u n bracconiere. Veniva invece detto bourgeois (o all'inglese, 6oss) qualunque tipo di
padrone, principale, o superiore del mestiere. II bois-brHle, infine, era u n meti cci o,
generalmente frutto di un matrimonio fra u n cacciatore bianco e un'indiana, il
quale seguitava il lavoro del padre e serviva magnificamente da interprete.
( 3 0 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperta

cit., p. 1 7 2 .

( 4 0 ) / 6 i d e m, p. 2 1 .
(41) Ibidem,

p. 2 2 .

(42) Ibidem,

p. 2 3 .

(43) Ibidem,

p. 2 7 .

( 4 4 ) I n un'altra occasione, a proposito della sua minuziosita nel ricercare e nel descrivere, Beltrami dira quasi scusandosi: " D ' a l t r o n d e u n europeo n o n viene m a i due
volte a fcir certe gite, cosi! da l o n t a n o : e I'ultimo che viene qui ne sa sempre piii degli a l t r i " (Ibidem. , p. 1 4 2 ) .

(31) /6;dem,p. 212.

(45) 76idem,pp. 4 0 - 4 1 .

(32) /6/dem,p. 212.

( 4 6 ) / 6 i d e m, p. 4 1 .

( 3 3 ) Ibidem',

( 4 7 ) /&idem,p. 4 4 .

p. 8 5 .

( 3 4 ) /6idem, p. 3 1 .
A titolo informative, riportiamo qui di seguito le cifre riguardanti la popolazione di
questi Stati nel 1 8 2 3 : il confronto c o n quelle odierne n o n potra che essere sbalorditivo . II K e n t u c k y , annesso all'Unione gia nel 1 7 9 2 , contava 6 0 0 . 0 0 0 abitanti, mentre il piii giovane Ohio ( 1 8 0 3 ) ne aveva quasi 7 0 0 . 0 0 0 ( u n incremento impressionante, se pensiamo che nel 1 7 9 0 la sua popolazione era di solo 3.000 anime, e d i 4 3 . 0 0 0
gia nel 1 8 0 5 ) . L ' I n d i a n a e I'lllinois invece ( 1 8 1 6 e 1 8 1 8 ) , piu avanzati neU'interno,
erano allora abitati rispettivamente da 1 5 0 . 0 0 0 e 6 0 . 0 0 0 individui. E altri c o n t i nuamente ne arrivavano.
L a popolazione totale degli Stati U n i t i nel 1 8 2 0 ammontava a 9 . 6 3 8 . 4 5 3 abitanti:
solo trent'anni prima era meno della meta. Nel censimento del 1 9 7 0 fu invece calcolata di 208 milioni.
( 3 5 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperta

cit. pp. 30 - 3 1 .

( 3 6 ) / 6i d e m , p. 4 0 .
( 3 7 ) Nel 1 8 2 3 facevano parte dell'Unione i seguenti Stati (in ordine di ammission e ) : Delaware, Pennsylvania, New Jersey, Georgia, C o n n e c t i c u t , Massachussets, Mar y l a n d , S o u t h Carolina, New H a m p s h i r e , Virginia, New Y o r k , North C a r o l i n a , R h o de I s l a n d , V e r m o n t , K e n t u c k y , Tennessee, O h i o , L o u i s i a n a , Indiana, Mississippi, I l linois, A l a b a m a , Maine e Missouri. Solo ventiquattro, q u i n d i , sui cinquantuno odierni.

cit., p . l 8 .

( 4 8 ) Questa avanzata postazione aveva come fine principale di impedire un'eventuale ingerenza britannica sul c o m m e r c i o locale, oltre naturalmente al c o m p i t o di
sorvegliare le tribii indiane ed assicurare la tranquillita ai p o ch i coloni della z o n a .
" C o s t r u z i o n i militari di questo genere c i spiega B e l t r a m i altrove farebbero la
fortuna degli imprenditori... qui esse servono solo a riempire un p o ' le tasche dei
militari c h e , al momento del congedo, se ne vanno m o l t o me n o poveri di quando sono arrivati; e il G o v e m o , affidando la costruzione ai rispettivi comandanti, fa a meno d'una caterva di ingegneri c h e , spes.v> costruiscono e ricostruiscono per meglio
intendersela c o n i f o r n i t o r i " (Ibidem, p. 1 4 2 ) .
( 4 9 ) F u solo dopo la grande crisi del 1 9 2 9 , e grazie alia nuova politica e co n o mi ca di
F r a n k l i n Delano Roosevelt (il New Deal), che I'intera z o n a fu risanata u n a volta per
tutte. C o n la canalizzazione del fiume, infatti, le c u i acque imbrigliate divenivano
grande fonte di energia elettrica, l a situazione dell'intera valle cambio radicalmente.
L a grande impresa fu opera d e l l ' E n t e per l a Valle del Tennessee (Tennessee
Valley
Authority):
Cfr. W. M I L L E R , Nuova Storia degli Stati Uniti, R o m a , 1 9 6 6 , p p . 4 2 5
-426.
( 5 0 ) I n quelle stesso anno anche C u b a e New Orleans vennero sconvolte dalla febbre giaUa: fu un'epidemia di estensione notevole.
( 5 1 ) G . C . B E L T R A M I , Alia Scoperta

cit., p. 228.

( 3 8 ) U n a acuta trattazione di questi problemi si p u o trovare nel paragrafo " P e r c h e il


We-st e politicamente r a d i c a l e ? " di W . P . W E B B , Le Grandi Pianure, Bologna 1 9 6 1 ,

180

181

FRANCESCO S U R D I C H
IL "VIAGGIO DA LIMA A D ALCUNE TRIBU'
B A R B A R E D E L PERU' ... "
D I GIUSEPPE E M A N U E L E CASTRUCCI

" L a Chiesa in colonia e una Chiesa di bianchi,


una Chiesa di stranieri. Non chiama I'uomo colonizzato alia via del Signore, ma alia via
del bianco, alia via del padrone, alia via delI'oppressore. E com'e noto, in questa faccenda
ci sono molti dannati e pochi eletti".
( F . F A N O N , / dannati della terra )

" I I missionario scrive Robert Jaulin


fa parte di una societa d i
cui ha quasi sempre i d i f e t t i , le manie, i bisogni e gli ideali ( . . . ) .
Aspirare alia verita e bello, ma bisogna stare a t t e n t i ad imporla agli alt r i con prudenza e rispetto ( . . . ) .
Sia ben chiaro che non intendiamo affatto criticare I'attivita missionaria in quanto tale, e men che mai trinciar giudizi sul valore e I ' u t i l i ta deUa religione. Vogliamo semplicemente far notare che a volte
I'insegnamento missionario fallisce lo scopo e distrugge piu che non
edifichi, perche m o l t o spesso non ci si cura minimamente d i adattarlo alle culture tradizionali.
La societa India ha una morale e una cultura che le hanno consentit o d i mantenersi sana e vitale ( . . . ) .
E' indubbiamente sciocco e presuntuoso sottovalutarli in partenza e
pretendere d i " c i v i l i z z a r l i " inculcando loro le nostre concezioni e la
nostra morale, visto che essi non sanno che farsene.
N o n si deve inoltre ignorare i l fatto che raramente queste imprese d i
"moralizzazione" danno b u o n i risultati e che, per realizzare mutam e n t i d i una certa importanza, esse si appoggiano in genere piu sulla
superiorita tecnologica della nostra civUta che sulla fondatezza e sulla quantita della nostra morale effettiva".
Sono affermazioni queste sostenute daU'etnologo francese che affon-

185

dano la loro attendibilita nell'esperienza da l u i vissuta presso i Mot i l o n i dell'America Latina, grazie alia quale ha p o t u t o verificare direttamente le implicazioni della politica occidentale d i "acculturazione"
degli indi ed i l ruolo esercitato in tale contesto dai coloni ed i n particolare dai missionari. Egli ci ha saputo cosi offrire, attraverso un saggio
ampiamente documentato e stimolante, una interessante chiave d i lettura, assai utile e funzionale per rileggere, valutare ed interpretare, secondo una prospettiva rovesciata rispetto ai p i u tradizionali canoni
storiografici, le numerose e svariate testimonianze lasciateci i n ogni
epoca dai missionari che entrarono i n contatto con le cosidette popolazioni " p r i m i t i v e " . Ben pochi degli studiosi che le hanno sistematicamente analizzate ed utilizzate si sono preoccupati, i n f a t t i , d i andare al
d i la degli element! apparentemente " o g g e t t i v i " che esse sembravano proporre e presentare, senza curarsi d i cogliere ed evidenziare
innanzitutto la mentalita, I'atteggiamento, i f i n i e gli scopi in riferimento ai quali le singole esperienze erano state d i volta i n volta vissute, rifluendo poi necessariamente, i n maniera piii o meno esplicita,
come elementi condizionanti nella struttura della relazione col fungere
da veri e propri criteri d i valutazione ed interpretazione d i t u t t o quanto
veniva trasmesso e raccontato.
Assume percio un certo significato i l recupero e la riproposta d i qualsiasi testimonianza capace d i rivelarci le forme ed i criteri d i intervent o dei missionari occidentali i n realta cultural! del t u t t o diverse dalle
l o r o . E' questo anche i l caso, simile a m o l t i a l t r i , dato i l ruolo modesto ed anonimo avuto nel complesso da questa figura, ma proprio per
cio ancora piCi emblematico ed indicativo d i una situazione generale,
dell'itinerario biografico e spirituale del francescano spezzino Giuseppe Emanuele Castrucci, che all'incirca fra i l 1835 ed i l 1850 opero
nel settore peruviano del B i o deUe Amazzoni.
Giuseppe Emanuele Castrucci
nasce a Vernazza, u n borgo delle
"Cinque T e r r e " , i n provincia d i La Spezia, i l 17 gennaio 1813 e viene battezzato quattro g i o m i p i i i tardi nella chiesa parrocchiale d i S.
Margherita^^^ . Rimasto orfano d i padre all'eta d i dodici anni^^^ ,
entra, cinque anni p i u tardi, nell'ordine francescano, venendo accettato
"presso i l convento d i S. Maria della Pace" d i Genova i l 20 marzo
1830
e vestendo I'abito monacale nel convento d i S. Maria del
Monte i l 25 aprile successive, dove, ad u n anno esatto d i distanza,
fara la solenne professione dei v o t i
Per i l periodo compreso t r a i l 1831 e la data della sua partenza per
I'America Meridionale, awenuta presumibilmente fra i l 1835 ed i l

186

1836 O , manca qualsiasi notizia, anche se e facile immaginare che


egli dovette compiere gli studi necessari a svolgere la sua successiva attivita d i apostolato, studi che, tuttavia, paradossalmente, secondo lo
schema di quel tempo (ma non solo d i allora . . . ) vertevano sulla nostra tradizione religiosa e culturale, come si puo desumere anche da alcune dotte citazioni delle quali e infarcita la sua relazione, incapace
quindi d i f o m i g l i gli strumenti necessari per una vera comprensione
d i quelle culture completamente diverse con le quali sarebbe poi entrat o i n contatto.
Ben poco sappiamo anche del primo periodo, compreso fra i l 1835 - 36
ed i l 1845, da l u i trascorso i n Amazzonia, perche la sua relazione
comprende i l resoconto dettagliato della sua attivita e dei suoi viaggi solo a partire dal 29 agosto 1845, quando, dal p o r t o d i Callao, riprese la sua opera d i evangelizzazione dopo un'interruzione causata da una
"grave malattia"(^) .
La sua stessa relazione, tuttavia, contiene nell'appendice, alcuni document!, fra cui uno rilasciato i l 30 giugno 1845 e sottoscritto dai piii
autorevoli personagg! d i Callao ( i l govematore, !1 sindaco ed i l giudice), ! quali attestavano genericamente che i l Castrucci aveva tenuto
una "condotta religiosa, caritatevole ed esemplare... i n t u t t o i l tempo
che egli fece dimora i n questa citta... sino a quando fece r i t o m o dalle
mission! d i Maynas a questo porto alio scopo d i ristabilirsi i n salute"
; ed un altro, redatto i l 28 lugHo dello stesso anno, nel quale i l
console generale d i Sardegna nel Peril, Luigi Baratta, sosteneva, dopo
aver affermato d i averlo conosciuto personalmente, che padre Castrucci aveva eseguito "con la condotta p i u morigerata ie incombenze della
chiesa d i Callao, dove f u destinato, durante i diversi anni che la serv i " (10) .
Dall'agosto 1845 al novembre 1851 siamo invece in grado d i seguire
con estrema esattezza, grazie alia sua stessa testimonianza, t u t t i i suoi
spostamenti compiuti neU'ampia zona dell'Amazzonia occidentale,
delineata approssimativamente dai f i u m i Pastaza, Tigre e Napo, affluent! d i sinistra dell'alto corso del Rio delle Amazzoni; zone a quelI'epoca ancora pressoche sconosciute ^^^^ , come pure, logicamente, le popolazioni, fra le quali gli Zaparo ed i Givaro, che le abitavano,
per cui, nonostante ! l i m i t i d i impostazione generale su! quali avremo
occasione d i soffermarci, le informazioni da l u i trasmesseci possono
risultare i n alcuni casi ancor oggi di un certo interesse ed u t i l i t a , sopratt u t t o se si tiene conto che egli visito una zona d i particolare importanza nel campo dell'etnologia dell'America Meridionale: i n f a t t i , nel
grande triangolo geografico, d i cui essa fa parte, compreso fra I'Orino-

187

CO e i due grandi affluent! d i destra e d i sinistra del Rio delle Amazzon i , cioe i l Madeira ed i l Rio Negro, e le catene andine a ponente, si localizzano, oltre alle famiglie linguistiche proprie del settore, anche la
maggior parte d i lingue non ancora classificate od isolate deH'America
meridionale (^^^ .
Lasciata, nel giugno del 1 8 5 1 , la provincia d i Maynas, teatro della sua
attivita, dopo p i u d i q u i n d i c i anni d i permanenza neU'Amazzonia peruviana, padre Castrucci si imbarca alia volta d i Lisbona su i m brigantino portoghese i l 27 novembre 1 8 5 1 , accompagnato da " u n maschio
d i circa sedici anni ed una femmina presso dodici anni"^^^^, u n i c i
due superstiti, ma ancora per breve t e m p o , d i sei fanciulli della t r i bii degli Zaparo, che egli voleva condurre con se i n Italia per educarli
alia religione cattolica e rinviarli successivamente nella terra d i origine a svolgere opera d i proselitismo presso le l o r o t r i b i i (^"^^.
Oltre ai fanciulli indigeni i l missionario p o r t o con se i n Europa dell'interessante materiale etnografico, cioe a r m i , ornament! ed utensil! i n
genere, i n uso presso le popolazioni amazzoniche da l u i visitate. Egli
conservera sempre con cura questo materiale che, un anno prima della sua m o r t e , venne, fra I'altro, presentato a La Spezia i n occasione
dell'Esposizione Circondariale, navale, industriale, agricola, artistica
e didattica promossa dalla locale Societa d i Incoraggiamento^'^^) .
Dal novembre 1 8 5 1 , data del suo imbarco per far ritorno i n Europa,
v i sono quasi due anni d i silenzio, cioe f i n o all'aprile 1853, quando
"reduce dalle mission! neUa A m e r i c a " sappiamo che fece dono al Santuario della Madonna d i Reggio, sovrastante i l paese d i Vernazza, d i
"due auree corone trasportate a bella posta da quelle region!" (^^^ .
Nel giugno dello stesso anno muore a Vernazza la fanciulla Zapara,
ultima superstite d i quel gruppetto d i sei indigeni che, come abbiamo
visto, padre Castrucci intendeva portare dall'Amazzonia i n Italia:
dal relativo atto d i m o r t e , rogato i n data 5 giugno 1853, che si conserva presso I'Archivio parrocchiale d i Vernazza
, si ricava come i l
nostro missionario risiedesse allora presso i l convento d i S. Francesco.
Questo atto d i morte contiene anche u n altro dato interessante: i n esso egli si firma " F r . Emmanuele Castrucci", ultima testimonianza
della sua appartenenza aU'ordine francescano, poiche i n seguito comparira soltanto come semplice sacerdote.
Sappiamo, i n f a t t i , che dopo i l r i t o m o daU'America meridionale, egli si
allontano dalla comunita francescana, come si puo desumere anche da
una brevissima nota apposta i n calce al suo " c u r r i c u l u m " conservato
nei registri dell'Ordine, dove si legge per I'appunto: "Redux ex America

188

habitum dimisit per breve p o n t i f i c i u m . . . " ^ ^ ^ ^ . Del t u t t o ignote sono


le cause d i questa scelta e n o n e neppure possibile avanzare alcuna ipotesi attendibile al riguardo sulla base delle informazioni i n nostro possesso. Egli non riacquisto tuttavia lo stato laicale, ma rimase nel seno
della chiesa fino alia sua m o r t e , esercitando sempre le f i m z i o n i sacerdotal! (1^) .
Nel marzo 1865 gli muore la madre settantenne, rimasta nel frattempo
vedova anche del secondo marito (^^K Egli trascorrera gli u l t i m i anni
della sua vita a Marinasco, dove morira I'S marzo 1888(^1). I n questa localita, sovrastante i l golfo d i La Spezia, possedeva una casa ed una
discreta estensione d i "terreno coltivato e boschivo i n comoda e bella
posizione" (^2) _ N o n si sa pero se e quando egli abbia ricevuto quest! beni i n eredita o 1! abbia acquistati; i l catasto terriero ci rivela solo che egli ne era gia proprietario nel 1880 ( ^ 3 ) .
Sul lungo soggiomo d i padre Castrucci a Marinasco ci ha lasciato i n vece alcune notizie I'arciprete D o n Manlio B o t t o , parroco della pieve
d i S. Stefano dal 1919 al 1 9 6 4 ( 2 4 ) . Questi, che della vita del
Castrucci ha senza dubbio raccolto testimonianze dirette, c i r i p o r t a
quello che d i l u i aveva maggiormente c o l p i t o gli abitanti del luogo,
i quali erano soliti indicarlo come " i l frate del M o n t e " dal nome della
localita i n cui abitava.
Egli, nella casa d i sua proprieta, aveva eretto una piccola cappella, sul
m u r o estemo della quale aveva collocato u n orologio da torre che
batteva le ore e che si diceva fosse d i sua fabbricazione. T u t t e queste
notizie trovano la conferma nel testamento olografo d i padre Castmcc i , compilato nel 1 8 9 5 , nel quale si fa cenno sia alia cappella, dedicata
alia Madonna d i Reggio. dove avrebbe v o l u t o essere sepolto. sia alr "orologio da campanile" ^^''^.
Queste ed altre curiosita avevano creato a Marinasco e d i n t o r n i u n alone d i leggenda a t t o m o alia figura del " f r a t e del M o n t e " : l o confermerebbero anche le affannose ricerche compiute dopo la sua m o r t e , alia ricerca d i un eventuale tesoro, dai nuovi proprietari della casa. Ma
gli oggetti veramente preziosi per i l Castrucci eran quelli che componevano la sua raccolta d i materiale etnografico e che egli n o n d i m e n t i c6, nel suo testamento, d i raccomandare alle cure degli eredi: " V o g l i o
che t u t t i gli oggetti e quadri rari del m i o Museo vengano conservati
in mia memoria nello stesso luogo ove esisteraimo al tempo d i mia
morte".
Tuttavia, dopo la scomparsa del " f r a t e del M o n t e " , i l materiale costituente i l suo personale " m u s e o " n o n trova la sistemazione voluta dal
suo proprietario: viene disperso (^^^ e manomesso dagli eredi f i n o

189

a quando i pochi oggetti superstiti, circa una trentina, vengono recuperat i dalla famiglia d i Vincenzo Zanazzo, vicino d i casa ed amico del Castrucci, e donati nel 1902 al Museo Civico d i La Spezia '^'^K
Del Castrucci esiste t u t t o r a a Marinasco I'antica abitazione, accanto alia quale e a mala pena riconoscibile la struttura della cappella. Nel cim i t e r o della stessa localita non v i e p i u traccia della sua t o m b a e t r a gli
abitanti del luogo i l ricordo del "frate del M o n t e " si e completamente
estinto da anni.
D i quel poco che ancora rimane del Castrucci, sappiamo che a La Spezia, i n zona La Chiappa, che fino al 1906 ha f a t t o parte della vasta
pieve d i Marinasco, esiste una via a l u i dedicata.
Ma, al d i la dei pochi elementi biografici desumibili dalle f o n t i d'archivio, la personalita e la mentalita d i questo missionario e la maniera simile a quella della gran parte dei suoi confratelli nella quale
egli visse e realizzo la sua vocazione trapelano i n maniera esplicita
ed emblematica al tempo stesso dalle poche pagine del v o l u m e t t o ,
stampato a Genova nel 1854(2^^, comprendente i l resoconto pressoche giomaliero della sua attivita i n terra d i missione relativamente
al periodo compreso fra i l 1845 ed i l 1 8 5 1 .
Si tratta d i un vero e proprio diario d i viaggio, redatto al r i t o m o i n
patria, sulla base dei r i c o r d i personal!, sostenuti probabilmente da
alcuni appunti presi nel corso della sua spedizione ^ ^ ^ l L o schema
del racconto e la suddivisione del materiale corrispondono alle varie
tappe riproposte meccanicamente i n ordine cronologico e corredate
d i volta i n volta dalle piii essenziali osservazioni suU'ambiente geografico e sulle caratteristiche cultural! delle varie zone attraversate e delle diverse popolazioni colle quali egli era entrato in contatto, con particolare riguardo, logicamente, agU aspett! concement! la situazione
religiosa ed i n p r i m o luogo alio stato dell'evangelizzazione.
La struttura narrativa e q u i n d i estremamente schematica e monotona,
contrassegnata e scandita com'e soprattutto dall'elencazione continua
ed insistente dei pericoli corsi e delle d i f f i c o l t a d i ogni genere incontrate. E' tuttavia ugualmente possibile desumere, soprattutto dalla prefazione e dal p r i m o capitolo dedicato specificatamente alia natura ed agli
scopi dell'opera, quaM furono le concezioni che alimentarono e caratterizzarono i l suo approccio con le culture indigene e quali convinz i o n i , trasmesse e p o i riproposte nel suo racconto, e quindi passibili d i
diventare emblematiche ed orientative per m o l t i a l t r i , egli seppe e voile ricavare dalla sua esperienza.
I n p r i m o luogo emei^e Taffermazione categonca cne "nel nuovo ivaondo

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la civilta cammina e progredisce d i pari passo che la Religione Cristiana, eminente maestra e guida della vita sociale"(^0)^ grazie appunto alI'azione infaticabUe d i quei"benefattori dell'umanita", che sono i missionari: "...se la parte civilizzata dell'America sostiene i l Castmcci
trovasi ora i n uno stato d i crescente floridezza, se ne debbe, p i i i che
ogni altra causa, saper buon grado ai benefici ed indefessi propagatori
della fede d i Gesii Cristo, ! quali affrontando mille rischi e travagli nei
t e m p i andati si posero assai d i proposito ad instruire ed illuminare
spiritualmente que'popoli colla parola e la luce divina del Santo Evangel i o , ritraendoli pel tal modo dalla originaria l o r o brutalita, ed attraend o l i verso u n civile consorzio nell'intendimento pietoso e magnanimo d i
fame altrettanti seguaci del Salvatore, ed eredi della beatitudine sua"
^.
La funzione civilizzatrice dei missionari viene posta anzi al d i sopra
della stessa azione dei conquistatori europei, i l . c u i m o l o e tuttavia valutato i n t e r m i n i positivi: "...sebbene le societa delle europee nazioni, che
hanno quivi fondato vasti d o m i n i i , e v i posseggono considerevoli tenimenti,
abbiano m o l t o cooperato nell'intendimento loro sociale alia
civilta degli American!, n o n potrassi mai i l bene da essi apportato a costoro porsi a confronto con quello d i gran lunga maggiore che derivo e
si sparse dagli zelanti A p o s t o l i della Fede Cattolica. Che anzi se gli
stessi europei recarons! al nuovo continente con umanitari e m i t i propositi, era f m t t o della d o t t r i n a d ! C r i s t o " ^^^^ .
I I mancato inserimento nel "consorzio delle civil! n a z i o n i " per quelle
popolazioni rimaste ancora, secondo i l Castmcci, ad uno stadio p r i m i t i ve e attribuibile percio a que! colonizzatori che n o n hanno saputo o vol u t o osservare i principi della religione cattolica, i n quanto " i p o p o l i
d'ordinario seguono i p r i n c i p i ! religiosi e morali d i coloro, che l i conquistano; q u i n d i asseriamo, che se gli Europei fossero stati meno ambiziosi, e p i l l moderati nel cercare i l l o r o materiale interesse, e ne p i i i che
i l principio ortodosso cattolico avessero eglino professato ed i n t r o d o t t o
i n quel p o p o l i n u o v i e facili aUe impression! del vero, essi sarebbero p i u
universalmente risorti pel lume Evangelico, e s'assiderebbero al consorzio delle civil! nazioni"^^^).
Questa sicurezza del Castmcci, che sembra n o n ammettere smentite e
che viene sistematicamente ribadita, i n forme p i u o meno esplicite. d u rante t u t t o i l resoconto della sua attivita d i evangelizzazione, nell'identificare i n maniera automatica la figura del missionario con quella d i
u n propagatore d i civilta, rivela gia chiaramente i l tipo d i r a p p o r t o , tendente, nella migliore delle ipotesi, ad u n ipocrita patemalismo, raesso i n
a t t o da l u i , come dalla quasi t o t a l i t a dei suoi confratelli, nei c o n f r o n t i
delle popolazioni indigene, fatalmente considerate, e quindi awicinate e

191

trattate, con t u t t e le prevedibili conseguenze, come realta d i f a t t o infer i o r i sul piano culturale e morale.
Tale e i n f a t t i i l giudizio che d i esse viene esplicitamente f o m i t o quando
gli indigeni americani vengono presentati " b u r b e r i e schivi nell'aspetto",
con appena " u n indizio d i raziocinio, e poco p i i i d'un istinto come nella
specie belluina", dediti ad una " v i t a monotona che non promette gran
fatto belle d o t i e svUuppo d i gentilezza e d'intelligenza, anche se
quasi immediatamente queste affermazioni vengono, per altri aspetti,
rettificate e corrette col sostenere che " g l i a t t i generosi,che vicendevolmente si prodigano (^^^ ne manifestano 1'indole assai nobile e la mente
svegliata", per cui alia f i n fine si possono considerare " d i mente acuta
e disinvolta, amanti dell'istmzione, e percio socievoli ed inchinati a civilta".
D'altronde questa oscillazione, nel giudizio sugli indigeni, fra aspetti decisamente negativi ^^^^ ed altri lati che sembrerebbero indicare una loro
tendenza, p i i i o meno stmmentalizzabile, alia "civilizzazione", appartiene all'immagine tradizionalmente offerta e sostenuta al riguardo dalla gran parte della letteratura missionaria, che poteva giustificare e quind i continuare ad alimentare la sua azione, sottolineando da un lato uno
stato d i a b b m t t i m e n t o spirituale e morale delle popolazioni " p r i m i t i v e " ,
che rendeva necessario, anzi doveroso, u n immediate intervento, ma
cercando d i evidenziare dall'altro anche quelle attitudini potenzialmente orientate verso I'accettazione dei valori che sarebbero stati loro proposti ed imposti ^^^K quasi ad automatica garanzia sia d i una profonda
possibilita d i colonizzazione, sia d i un positivo risultato dell'opera di
conversione, che doveva trovare i n cio u n ulteriore motive d i stimolo ed
incoraggiamento ^^^^
A quest'ultimo scope sembrano rispondere pure le ricorrenti indicazioni
sugli ulteriori vantaggi che, attraverso I'inserimento d i quelle popolazioni i n un nuovo sistema d i valori e q u i n d i anche i n un diverse contesto p r o d u t t i v o , potrebbere derivare a quelle iniziative d i colonizzazione che sono state quasi sempre precedute e preparate dall'attivita d i
evangelizzazione.
"...I'America ci i n f o r m a pertante i l Castmcci si puo dire un tesoro
immense della natura, ove non sole s'ammirane i n properzioni straerdinarie gh alberi, i f m t t i , i f m m e n t i , ed i metalli preziosi...
Le sue miniere d'oro e d'argento a citare u n esempio appaieno inesauribUi, poiche nonostante le quantita meravigliese, che fu ne' t e m p i trascorsi esportata i n Europa ed i n Asia, d i que' ricchi metalli, pure eggigiemo trovansi produttive, e per nulla d i m i n u i t a I'apparenza e la speranza d i ritrevare in abbendantissiiha copia, la quale anzi smisuratamente

192

ora piii che i n altro tempo s'allarga per la novella scoperta de'terreni
auriferi deUa Califomia, eve tanta parte del vecchie e del nuovo Continente con avidita, ed entusiasmo si rivolge e travasa"'^^).
Questa celebraziene delle ricchezze dei t e r r i t o r i americani, che non
aspetterebbero altre se non d i essere messe adeguatamente a p r e f i t t o
(cosa della quale non sono stati capaci i suoi abitanti "abbandonati i m meritatamente alia propria barbaric" (29), per cui andrebbero, proprio
per queste, cenvertiti, " e d u c a t i " e "civUizzati") si arricchisce addirittura, per essere p i u convincente e persuasiva, d i citazioni letterarie e d i richiami d i maniera perfino al paradise terrestre, un " t o p e s " questo
spesso ricorrente nella letteratura edeporica:
" L a pianura di Lima e meravigliosamente fertile ed amena; e la dolcezza del suo clima ne rende sane e dilettoso i l soggiomo. Nen si provano
qui gli eccessi del caldo e del freddo, nen pioggie soverchie, e ne'venti
centinuati.
. . . . i l terreno, eve germogliane rigorose e senza alcun umano cencorse
varie specie d'erbe nutritive e t u t t e u t i l i . . . .
Per poco che I'ueme veglia pertar I'attenzione a queste preziose e rident i prerogative accorge non essere t u t t o parte d i fervide fantasie I'espressiene del poeta: q u i
Non fallaci mai fiorir gli olivi,
e 1 mel dicea stillar dall'elci cave,
e scendere giu da lor montagne i rivi
con acque dolci e mormorio soave:
e zefiri e rugiade i raggi estivi
temprarvi s i , che nullo ardor vi e grave,
e qui gli elisei campi e le famose
stanze delle beate anime pose!

A me parve piii ch'altro un paradiso terrestre ^^^^, ne cosi presto m'uscira d i mente la cara immagine sua"
Immagini del genere diventavano invitanti e persuasive non solo per altri
missionari, ma anche e soprattutto per quanti, come era gia a w e n u t e e
come continuo a verficarsi, volevano proporsi e realizzare uno sfmttamente delle risorse natural! ed umane d i que! t e r r i t o r i . E proprio a queste riguardo non ci sembrano del t u t t e casual! le differenze esistenti
fra I'edizione piii ridotta deUa relazione d i padre Castmcci, apparsa
in lingua spagnola a Lima nel 1849, e quella p i i i ampia, i n lingua italiana, apparsa a Genova nel 1854 (''2'.
L'edizione in lingua spagnola riguarda i l viaggio compiuto da Callao al
villaggio d i Andeas nel 1845 e le due missieni successive tra gli Zaparo
e i Ghivaro, compiute rispettivamente nel 1846 e nel 1848, e cempren-

193

de inoltre alcuni cenni d i carattere generale sulla geografia fisica della provincia d i Maynas. Analoga suddivisione presenta pure la seconda opera pubblicata a Genova cinque anni piCi tardi, anche se I'argomento viene approfondito e ampliato col resoconto dei viaggi successivi fino ad arrivare al 1 8 5 1 .
Ma la principale differenza non consiste nel p i u o meno lungo periodo dell'attivita del Castrucci preso i n considerazione, bensi nella ben d i versa impostazione, i n quanto nell'opuscolo pubblicato a Lima i l Castrucci non intona i l suo resoconto, e quindi I'esposizione dei dati e
degli episodi, ai f i n i d i natura propagandistica che intende invece perseguire esplicitamente con la sua seconda pubblicazione e che spiegano
pure la scomparsa nella, per i l resto, p i i i ampia e completa edizione italiana, della maggior parte delle osservazioni contenute nel paragrafo
conclusive dell'edizione spagnola, dal t i t o l o poco invitante "Penalidades que sufren los misioneros en las montanas"
V i si puo leggere, fra I'altro: "....privado del pasto social, acompanado
de las perpetuas intemperias de lluvias y truenos, amenazado continuamente de.las fieras y reptiles, molestado por las espinas, mosquitos,
zancudos, murcielagos que impiden el transito de un lugar a o t r o ;
y sobre t o d o , privados de alimentos salubres, constituye al sacerdote en
un estado el mas infeliz... Nada en este mundo seria capaz de compensar
estas fatigas y trabajos. Solo la esperanza de agradar a Dios, y esperar el
f r u t o que le tiene depasado en la otra v i d a "
Ma se alcune d i queste osservazioni appaiono qua e la anche nel resoconto p i i tardo. sia pure smorzate nel tono e sparpagliate e diluite
sempre i n u n contesto sostanzialmente diverso e ben meno decisive,
completamente dimenticata e scomparsa e invece la denuncia dello
stato d i decadenza ed abbandono nel quale erano state r i d o t t e , a suo
parere, le missioni nel territorio amazzonico. Riproponendo le cose i n
questi t e r m i n i , sarebbe stato difficile persuadere nuovi adepti, obiettivo
che, per sua stessa ammissione
i l Castrucci si proponeva d i ottenere
con l'edizione italiana della sua relazione: m o l t o p i i i opportune sarebbe
stato, e non solo per invogliare a partire nuovi missionari, far balenare
I'immagine, sospesa tra la realta e la rievocazione letteraria, d i u n
ennesimo "paradiso terrestre".

Note

(1) R. J A U L I N , La pace bianca. Introduzione


alVetnocidio, Bari, 1972,
pp. 41 - 43. Su questo saggio ci siamo abbondantemente soffermati nel nostro
articolo compreso aU'inizio di questa stessa Miscellanea.
(2) Assai scarne erano finora le notizie biografiche a nostra disposizione sul
Castrucci (cfr. Saggio bio-bibliografico degli scienziati di Lunigiana, a cura del Comune di La Spezia, La Spezia, 1929, p. 151; U. FARALL!,/<a/iani nel Peru, Roma,
1941, p. 24; C. B O N F I G L I , Missionari illustri, in Orizzonti Missionari, La Spezia,
X L , 1970, supplemento al n. 4, p. 30, per cui abbiamo ritenuto opportune riferire, anche nei dettagli, i nuovi dati che siamo riusciti a reperire).
(3) Archivio parrocchiale di Vernazza, Liber Baptizatorum ab anno 1 759, p. 180.
(4) D padre Giuseppe mori all'eta di 65 anni (Archivio parrocchiale di Vernazza,
Liber defunctorum ab anno 1762, p. 186) lasciando una vedova, Giovanna Ciuffardi, originaria di Bracelli, localita dell'entroterra spezzino, di soli trenta anni,
che passera a seconde nozze il 15 apriie 1830 con Angelo Galleno, nativo di Vernazza (Archivio parrocchiale di Vernazza, Liber matrimoniorum ab anno 1753, p . l 5 4 ) .
Sappiamo inoltre, dal suo testamento, che il Castrucci ebbe almeno un fratello,
Michele, e due sorelle, di cui una di nome Margherita.
(5) Archivio francescano ligure, Juvenum receptiones, vestitiones,
mors et desertio ab anno 1819 ad 1888, parte I, p. 45.

professiones,

(6) Archivio francescano ligure. Libra delle vestizioni della provincia riformata,
1752 1819. Vestitiones novitiorum, pp. 4 - 5. In tale circostanza "adsumpsit nomen fratrem Emmanuelem".
(7) Se ne puo dedurre la data approssimativa da un'affemnazione dello stesso Castrucci, il quale, parlando, nella sua relazione, del suo ritomo in Europa, awenuto
nel 1851, sostiene di aver trascorso "piu di quindici anni di dimora in America"
(Viaggio da Lima ad alcune tribii barbare del Peru e lungo il fiume delle Amazzoni
del sacerdote Giuseppe Emanuele Castrucci di Vernazza missionario apottolico,
Genova, Stabilimento tipografico Ponthenier, 1854).

194

195

(8) Viaggio da Lima cit., p. 14.


(9) Viaggio da Lima cit., p. 107.
(10) Viaggio da Lima cit., p. 108.
(11) Proprio in quegli stessi anni diversi tratti percorsi dal Castrucci vennero esplorati pure daGaetano Osculati, la cui relazione (G. O S C U L A T I , Esplorazioni nelI'Amazzonia Equatoriale, a cura di G. BOTTONI, MUano, 1929) conferma I'attendibilita e I'esattezza di gran parte delle informazioni fornite dal missionario
spezzino.

coraggiamento. La Spezia, 1887 p. 7.


n Corriere di Spezia (17 settembre 1887) ci fornisce la descrizione dettagliata del
materiale esposto da padre Castrucci: "Armi, vesti (cosi per dire, cioe quel corti
grembiali di cui appena si coprono in parte quei selvaggi), collane di denti di animali, e c c , ed infine rappresentata in quadri tutta la storia delle vicende, deUe gesta e
dei pericoli di lui in quelle missioni".
Tra gli espositori fuori concorso, il Castrucci ricevette un "diploma di commemorazione e ringraziamento" di secondo grado {L'Esposizione di Spezia. Elenco dei
premiati, in // Lavoro, La Spezia, 29 - 30 ottobre 1887).
(16) S. G A V I N O , Cenni storici sul Santuario di Nostra Signora di Reggio presso il
borgo insigne di Vernazza delle Cinque Teree, La Spezia, 1887, p. 39.

(12) R. B I A S U T T I , Le razze e ipopoli della Terra, Torino, 1967, I V , pp. 640 - 641.
(17) Archivio parrocchiale di Vernazza, Atti di morte 1853, registro I I , foglio 1.
(13) Viaggio da Lima cit., p. 78.
(14) E ' lo stesso Castrucci a ricordarci questo episodio con un breve resoconto che
si commenta da solo: "Non potrei passare sotto silenzio quanto pati I'animo mio
nel vedere deluse le mie speranze, e senza frutto le mie fatiche e le spese certo straordinarie per i tenui miei mezzi, quando i sei fanciulli Neofiti della tribii de' Zappari
mi deperivano sotto ai miei occhi. Era mia intenzione di trasportare in Italia e collocare in Roma tre fanciuUi ed altrettante fanciuUe, affinche educati largamente nei
principi della nostra divina Religione, tornassero quindi alia loro patria, perche vi divenissero tanti Apostoli; ma due mi morirono durante il mio viaggio in questa Citta,
due fui costretto a raccomandarli gravemente malati alia carita ed assistenza di buoni fedeli presso Avara del Rio-Nero; e due altri, cioe un maschio di circa dodici anni,ed una femmina di presso dodici attraversarono meco I'Atlantico in uno stato di tisi
incoata; sicche il primo fini i suoi giorni a Lisbona, e la seconda spiro in Vernazza
mia patria fra le braccia deUa diletta mia Madre. lo non saprei attribuire ad una causa speciale il deperimento quasi simultaneo di codesti fanciuUi; il cui morbo si mostro ributtante ad ogni cura la piu industriosa ed assidua; non sono pero lontano
dal credere, che il concorso di molte circostanze abbia congiurato alia perdita di
quegli innocenti. Essersi tolti in una eta troppo inoltrata per essi alle loro abitudini,
al genere di cibi, al clima, alle affezioni domestiche, a tuttocio, ch'aveva gia formato il loro temperamento fisico e morale puo aver conferito ugualmente a d'un malore, che si svfluppo co'sintomi d'una polmonia piu o meno lenta, e del pari micidiale. Anime beate, ch'ora godete nel seno di Dio i frutti della redenzione del suo divin Figliuolo, guardate con occhio pietoso la vostra patria infelice, intercedete
presso il Padre delle misericordie la etema salvezza di lei, e fate che questo mio
povero scritto infiammi Sacerdoti piii di me fortunati ad intraprendere a suo favore apostoliche fatiche; giacche per vostro mezzo io non sono stato degno d'ottenere un fine si santo nella mia intenzione..." (Viaggio da Lima cit., pp. 76 - 79).
(15) "Don G. Castrucci, gia missionario fra i popoli selvaggi d'America, ha esposto
una bellissima collezione d'armi, vesti ed altri arnesi in uso in queUe remote contraae" , scrivono E . R O S E L L I N l - h:TSRASSU,msorao-at
i^pezia. Una visitaall'Esposizione Circondariale, navale, industriale, agricola, artistica e didattica, agosto-settembre 1887, La Spezia, 1887. L a notizia trova conferma anche nelle Guida alia
Esposizione di Spezia, agosto-settembre 1887, compilata a cura della Societa d'in-

196

(18) Archivio francescano ligure, Juvenum receptiones cit., parte I I , p. 44.


(19) Cfr., a questo proposito, I'Archivio della pieve di Marinasco, Registro delle
messe di Don B. Scopesi, marzo 1888.
(20) Archivio parrocchiale di Vernazza, Atti di morte 1865, foglio n. 6.
(21) Archivio deUa pieve di Marinasco, Registro degli atti di morte,
atto n. 29.

1888-1892,

(22) Archivio della pieve di Marinasco, Lettera di Don M. Botto al circolo missionario di Sarzana, inserita nel fascicolo Le Missioni.
(23) Comune di La Spezia, Vecchio catasto terriero, depositato presso I'Ufficio
Tecnico Erariale, registro n. 5, part. n. 364.
(24) Archivio della pieve di Marinasco, Lettere di Don M. Botto cit.
(25) Archivio della pieve di Marinasco, Testamento olografo di G.E. Castrucci, inserito nel fascicolo Le Missioni.
Secondo le sue ultime volonta, erede di tutti i suoi beni avrebbe dovuto essere un eventuale nipote che avesse intrapreso la carriera ecclesiastica; in caso contrario ogni
sua proprieta sarebbe passata alia Congregazione di Propaganda Fide ed al Santuario di Reggio in Vernazza. Sappiamo, sempre per testimonianza di Don Botto
(Archivio della pieve di Marinasco, Lettera di Don M. Botto cit.),che un nipote del
Castrucci frequento le scuole salesiane di L a Spezia, ma poi tronco gli studi e
mori demente. ancora in giovane eta. all'ospedale della stessa citta, verso il 1920.
Cosi i beni del "frate del Monte "poterono passare ai due enti previsti dal testamento,
dopo, pero.una lunga disputa legale tra questi e gli eredi naturali (notizie riguardanti
tale disputa sono conteute nel carteggio intercorso tra Don Botto e la Congregazione di Propaganda Fide, carteggio inserito sempre nel fascicolo Le Missioni che si conserva presso I'archivio della pieve di Marinasco). Un atto di vendita del 1959 tra la
Congregazione e privati testimonia 1 'avsenuto passaggio di proprieta secondo le dispo-

197

sizioni testamentali del Castrucci (Conservatoria dei Registri immobiliori, presso


I'Ufficio del Registro di Sarzana, vol. 1347-91, atto n. 301).
(26) A questo proposito, il parroco di Marinasco, Don Botto, ci ha lasciato una curiosa testimonianza: "Di questa singolare raccolta egli scrive faceva pur parte un'asta, detta comunemente di legno-ferro per la sua pesantezza, che si dice fosse I'asta di
una lancia, passata da diverso tempo in proprieta deUa chiesa parrocchiale di Marinasco, dove e servita come "arundine" per il "Lumen Christi" fino alia recente riforma iiturgica del sabato santo" (Archivio deUa pieve di Marinasco, Lettera di Don. M.
Botto cit.).
(27) Queste notizie sono contenute in una annotazione apposta all'elenco degli oggetti della collezione del Castrucci donati al Museo Civico di La Spezia (Inventario
del Museo Civico dal 1886 al 1931, I, nn. 4590-4621. Cfr. anche G. PODENZANA,
Cenni storici sul Museo Civico della Spezia e le sue collezioni, estratto da // Comune
della Spezia, 1931, nn. 4-6; R. FORMENTINI, La raccolta di etnografia esotica nel
Civico Museo, estratto da La Spezia, 1959).
(28) Viaggio da Lima cit. Come ci informa lo stesso Castrucci, una parte delle sue memorie, quelle relative alle vicende riguardanti il periodo compreso fra il 1845 e il
1848, erano state gia stampate sul giornale Commercio di Lima e nel 1849 era appar.sa una loro edizione in lingua spagnola (Viaje practicado desde el Callao hasta las
misiones de las dos tribus de infieles Zaparos y Givaros, Lima Imprenta de Justo
Montoya, 1849), che aveva conosciuto "un incontro assai lusinghiero" Viaggio da
Lima cit., p. 109). Questa edizione spagnola, suUe cui differenze rispetto a quella
italiana ritomeremo nella parte conclusiva di questo articolo, venne tradotta e pubblicata nel 1860 nei primi tre fascicoli della rivista Cronaca delle Missioni Francescane di Roma da Marcellino da Civezza (M. DA C I V E Z Z A , Saggio di bibliografia
storica, etnografico sanfrancescana, Prato, 1879, p. 109): non ci e stato pero possibile confrontare la traduzione curata da Marcellino da Civezza con l'edizione originate, di cui I'unico esemplare, per quanto ne sappiamo, esistente in Italia e queUo
che si conserva neUa Biblioteca Civica di La Spezia; confronto che avremmo effettuato volentieri incuriositi (ne spieghiamo i motivi piu avanti, alia nota n. 42) dal fatto
che Marcellino da Civezza afferma, nel suo repertorio, di aver smarrito nel corso di un
viaggio da Genova a Roma l'edizione spagnola sulla quale aveva condotto la traduzione.
(29) "... rovistando il mio memoriale, e richiamando alia mente quanto osservai...",
afferma, ad un certo punto il Castrucci (Viaggio da Lima cit., p. 60), prima di fornire
alcuni dati relativi ai Morrati.
(30) Viaggio da Lima cit., p. 1.
(31) Viaggio da Lima cit., p. V I I I .
(32) Viaggio da Lima cit., pp. VIII - IX.
(33) Viaggio da Lima cit., p. X V L

(34) Questa caratteristica positiva di quelle popolazioni indigene viene nuovamente


rilevata anche poco dopo, quando il Castrucci afferma che "conservano nella comunita relazioni di mutuo soccorso, ed un filo di principio umanitario, quantunque e
qui subito il tono muta bruscamente registro infelicemente corrotto ed abbrutito
da una cupa ignoranza" (Viaggio da Lima cit., p. V I I I ) .
(35) A questo fUone sono riconducibili le pagine nelle quali paragona i Givaro alle
"belve, cui tanto somigliano" (Viaggio da Lima cit., p. 39), e quelle nelle quali accenna, in maniera decisamente superficiale, aU'antropofagia degli indigeni residenti
lungo la riva del fiume Mayorunas: "Sono antropofagi, usando di mangiare la came
non di queUo che assassinano, e dei morti nemici, ma dei propri parenti ed amici.
Gl'infermi al punto di morte consigliano i parenti a cibarsi deUe loro cami, affinche
non siano cibo di vermi; appena avutone da lui I'invito, gli si awentano sopra, I'ucci'
dono, ne lessano la carne, e quindi ne fanno, incredibile a dirsi, un allegro pasto"
(Viaggio da Lima cit., pp. 64 - 65).
I riferimenti all'inferiority dell'indigene americano sono anzi allargati ed estesi, ad un
certo punto, pure alia fauna (!!) di quel territorio, con considerazioni di questo tenore: " L a natura vivente dell'America e meno attiva, molto meno varia, e puossi dire
anche meno forte di quella del nostro Continente, essendone minore il numero assoluto e relativo, ed avendo neU'individuo uno svUuppo meno pronunziato, ove togliamo la razza umana, di cui non e discorso. In America non vi ha un animale che
possa paragonarsi all'Elefante, al Rinoceronte, alio Ippopotamo, al Dromedario, aUa
Giraffa, al Bufalo, e simili" (Viaggio da Lima cit., pp. 84 - 85).
(36) Gli indigeni coi quali era entrato in contatto sono da lui presentati, infatti, come
"pieghevoli alia fatica" ed "industri, e interessati per la prosperita del proprio paese"
(Vwg^'o da Lima cit., p. VIII).
(37) A queste stesse esigenze (ma anche, nello stesso tempo, alia necessita emersa e
sostenuta fin dai primi approcci col Nuovo Mondo, di giustificare la conoscenza, da
parte di tutte le popolazioni della Terra, della tradizione biblica: cfr., al riguardo, il
saggio di G. G L I O Z Z I , Adamo e il Nuovo Mondo. La.nascita dell'antropologia come
ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali (1550- 1700). Firenze, 1977) sembra poter rispondere pure I'esplicito riferimentoalla "soprawivenza"
presso quelle popolazioni "selvaggie" di alcune tradizioni non estranee (o perlomeno
interpretate in questa chiave dai nostri missionari) al Cristianesimo (cfr. Viaggio da
Lima cit., p. 9), come, ad esempio, queUa del diluvio universale, verificata da Padre
Castrucci nella zona vicina a Pevas, popolata dalla famiglia o tribu Orecchiona: "Dicono che I'uomo fosse formato d'una piccola pietra, che dopo siasi corrotto; e che
quando la prima generazione si corruppe Dio facesse lavorare una casa di legno, ingiungendo ad alcuna schiatta di chiudervi un piccolo numero di figli, e che fatto questo facesse piovere tanto, che le acque arrivassero fino alle nuvole, e che qualche tempo dopo seccate le acque, fece uscire quei richiusi per ripopolare la terra" (Viaggio
da Lima cit., p. 65).
(38) Viaggio da Lima cit., p. V I . Cfr. anche le pp. 81 - 83.
(39) Viaggio da Lima cit., p. 83.
(40) n corsivo e nostro.

198
199

(41) Viaggio da Lima cit., pp. 5 - 6.


(42) D problema delle esigenze ed opportunita che sovraintendevano alia pubblicazione delle relazioni riguardanti I'attivita missionaria ci interessa gia da tempo ed in
questa ottica abbiamo sempre rivolto una particolare attenzione al confronto fra le
diverse redazioni o stesure della stessa relazione, come anche aUe diverse edizioni o
traduzioni. Vedi F . SURDICH, Le cinquecentine liguri relative alle grandi scoperte, in
// libro nella cultura ligure tra Medioevo ed Eta Moderna. Atti del II Convegno Storico Savonese, I parte, Savona, 1975, pp. 115 - 133 (anche in Atti e memorie della Societa Savonese di Storia Patria, n.s., I X , 1975 pp. 115 - 133); I D E M , L'attivitd
di padre Cristoforo Borri nelle Indie Orientali in un resoconto inedito, in Fonti sulla
penetrazione europea in Asia (Studi di storia delle esplorazioni, 3), Genova, 1976,
pp. 67 - 122; IDEM, L'America nelle "Memorie intorno alle missioni" di Niccold
Forteguerri, comunicazione letta in occasione del III Convegno Internazionale di
Studi Colombiani, Genova, 7 - 8 ottobre 1977, attualmente in corso di stampa negli
Atti del Convegno stesso.
(43) Viaje practicado cit., pp. 42 - 44.
(44) "lo feci per far nascere in altri il desiderio di recarsi in luoehi dove e messe abbondante e gli operai sono pochi" {Viaggio da Lima cit. 7.); ed ancora; "Me felice se
per essa relazione potessi giungere a muovere I'altrui pieta, ed animare un quaJche zelante Ministro per trionfo della Religione, e la salvezza di tante anime, e muovere i
pietosi cristiani a coadiuvare in quelle parti I'opera divina delle conversioni alia fede (Ibidem, p. 104).

200

SILVIO Z A V A T T I
I L GENOVESE G E R M A N O E Y N A R D
M I S S I O N A R I O N E L NORD-OVEST C A N A D E S E

Al di fuori di coloro che studiano le vicende dell'ordine degli Oblati


di Maria Immacolata, nessuno conosce la vita del padre Germain Eynard: i fuggevoli cenni contenuti in un'opera molto nota^^^ non sono
certo sufficienti a fomirci un quadro della sua attivita.
Ma, a questo riguardo, ho avuto recentemente la fortuna di poter usare
del materiale completamente inedito, che mi e stato messo a disposizione da due Archivi ecclesiastici ^^K Esso e pero talmente vasto che formers I'oggetto di un mio lavoro di piu ampio respiro: si tratta di 25 lettere conservate nell'Archivio romano e di 24 lettere e una relazione, in
due parti, conservate nell'Archivio canadese.
In questo primo contributo non prendero in considerazione le 49 lettere, che pur sono di grande interesse, ma soltanto la relazione, che presento tradotta ed arricchita di note per una piu corretta interpretazione. Tutti i document! sono scritti in bella calligrafia, anche se con caratteri molto piccoli, e in un francese perfetto, come si addiceva a una
persona di vasta cultura. Le carte sono state ben conservate e si leggono
con facilita, escluso in alcuni punti sbiaditi dal tempo. Inoltre alcune
lettere dell'Archivio canadese sono incomplete o si ignora il loro destinatario.
Emile-Marie-Germain Eynard nacque a Genova il 21 maggio 1824 da
genitori originari di Embrun (Hautes-Alpes) ^^K Non si sa per quail ragioni gli Eynu-d abitassero a Genova e fino a quale anno il giovane
Germain vi si fermasse: forse fino all'eta di dieci anni o poco piu. La sua
famiglia ritomo, infatti, a Embrun e Germain comincio i suoi studi classic! nel seminario della cittadina e 1! termino nel Collegio dell'Universita con molto onore: infatti ottenne i diplomi di baccelliere in Lettere e

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quelle in Scienze. Questo successo gli apri le porte della famosa Scuola
Politecnica di Parigi, dove si laureo in ingegneria. Vinse subito un concorso nazionale ed entro a far parte deH'Amministrazione delle Acque
e Foreste.
II passaggio da un piccolo seminario di provincia all'Universita di Parigi,
10 avevano spinto all'ateismo, ma nel 1847 la lettura deWopeia Etudes
philosophiques sur le Christianisme di Auguste Nicolas ('^^ lo fece ritomare alia fede. In quell'anno si trovava nel Dipartimento della Mosella e viveva nella cittadina di Longl.lyon^''^ dove era stato invitato a
sostituire un funzionario del suo Ministero.
Nel 1849, all'eta di 25 anni, decise pertanto di abbandonare il mondo
e farsi religiose. Seppe resistere ai consigli di quanti cercarono di distoglierlo facendogli balenare una rapida e onorata carriera, e domando
al Vescovo di Metz di ammetterlo ai corsi superiori nel Seminario.
Accolta la domanda, Eynard frequento un anno di filosofia e tre anni
di teologia.
Rimasto orfano dei genitori e non avendo piu nessuno che lo tenesse legato alia Francia, espresse piu volte il desiderio di essere assegnato alle
Missioni. Nel 1853 chiese ed ottenne di iniziare il noviziato negli Oblati, a Notre-Dame de I'Osier. II1 novembre 1854 pronuncio i voti e il 24
maggio 1855 fu consacrato sacerdote. Dalla primavera 1856 al 3 ottobre dello stesso anno fu a Notre-Dame de Clery.
11 fondatore degli OMI, Mons. de Mazenod, lo incarico di dare lezioni di
matematica, fisica e chimica al giovane marchese Adhemar de Poterat,
che frequento poi I'Accademia militare di Saint-Cyr e divenne ufficiale di cavalleria. Quando il Padre Eynard venne assegnato alle missioni
estere, il padre del marchese voile partecipare alle spese per I'acquisto
del suo corredo. Da Clery U Padre fu inviato in Inghilterra per apprendervi la lingua inglese e sei mesi dopo parti per le missioni dell'estremo
Nord canadese.
Si imbarco, nella primavera del 1857, col Padre Frain e il Fratello Kearny, diretto a York Factory (Baia di Hudson), dove giunse con due mesi
di ritardo a causa di una difficile navigazione. Non potendo raggiungere I'lle-a-la-Crosse, si diresse a Saint-Boniface (Manitoba), dove arrivo alia meta di ottobre. Eynard e i suoi c o m p e l passarono I'invemo nella
missione del Fiume Rosso e nel giugno 1858 il padre e il fratello ripresero il viaggio per il Mackenzie ed Eynard raggiunse, alia meta di agosto,
la sua missione di San Giuseppe, nell'isola di Orignal, nel Grande Lago
degli Schiavi
II Padre Grollier ne era il superiore e lo coadiuvava il Fratello Perreard. II Superiore era pero spessissimo assente e dell'effettiva direzione
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della missione era di fatto incaricato il P. Eynard. Egli rimase quindici


anni in quel posto e fu un periodo di sofferenze continue, sia a causa
del clima durissimo, sia per I'inesperienza, sia per le distrazioni che erano la norma di Eynard, ma soprattutto perche, pur conoscendo bene
la lingua degli Indiani Montagnesi in mezzo ai quali operava, la pronunciava maUssimo e quando parlava nella cappella si accorgeva che tutti
ridevano alle sue spalle. Nonostante tutto questo, U P. Eynard passo la
maggior parte degli invemi con le racchette ai piedi, dormendo nella neve, e presto la sua opera nelle Missioni di San Giuseppe (vicino a Fort
R e s o l u t i o n ) , di Sant'Anna (lungo la Riviere-au-Foin), della Prowidenza (sul fiume Mackenzie) e di San Michele (Fort Rae). Nel 1869
venne chiamato aUa missione della Nativita (Lago Athabaska)
dove
mori il 6 agosto 1873 in un tragico incidente.
Padre Eynard era solito alzarsi molto presto (in estate fra le 3,30 e le
4), andava nella cappella a pregare e poi si recava a fare il bagno nelle
acque fredde del lago. Questi bagni gli facevano molto bene ed era un
nuotatore eccellente. Essendo, pero, molto timido e fortemente miope,
non voleva farsi notare dai Montagnesi e faceva il bagno alle prime ore
del mattino.
Quel giomo fece la stessa cosa: lascio U libro delle meditazioni nella
cappella e ando al lago. Si spoglio e nascose gli abiti in una piccola conca fra le rocce. Trovarono il suo corpo sotto mezzo metro d'acqua, vicino aUa riva, con le braccia incrociate e il volto sereno:forse una sincope lo aveva ucciso al primo contatto con I'acqua gelida
Diamo un quadro riassuntivo degli spostamenti missionari del Padre Eynard.
Missione della Nativita (Forte Chipewyan), 58"'42'N, lll'lO'W. 1863 1864; 1867 -1873. Vi erano i Montagnesi.
Missione Nostra Signora dei sette dolori (Forte di Fond-du-Lac), 59*20'
N, 102W. 1864,70,71,72,73 (vi andava per alcuni mesi). La tribu era
quella dei mangiatori di caribu.
Missione San Giuseppe (Forte Resolution), 61'08'N, 113*50'W. 1858 1863; 1865 -1869. La tribu era quella dei Coltelli Gialli.
Missione San Michele (Fort Rae), 62'58'N, 116''W. 1859,60,61,63 (per
alcuni mesi ogni anno). Vi era la tribu dei Fianchi di Card.
Missione Nostra Signora della Prowidenza (FortProwidence), 61*20'N,
117 55' W. Vi risiedette per tutto il 1865. Vi era stanziata la tribu
detta degli Schiavi.
II Fort Chipewyan (58'42'N, lll'lO'WO) venne fondato al principle
del XIX secolo dalla Compagnia del Nord-Ovest ^^^\n lo scopo di
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farlo diventare come infatti divento un grande centro per il commercio delle pellicce provenienti dall'estremo Nord. Fu costruito sulle
alture che delimitavano a Nord il Lago Athabaska ed e circondato da
belle pianure e, a Sud, da una fitta foresta di abeti. L'inverno vi e rigidissimo e dura, in media, sette mesi.
II Forte divenne anche il centro di incontro del principale contingente
delle tribii dei Montagnesi (l^) e cio spiega I'interesse dei missionari,
che lungo le rive del lago eressero le missioni della Nativita e di Nostra
Signora dei sette dolori.
Padre Eynard non fu un esploratore e nemmeno uno studioso come lo
furono e lo sono moltissimi missionari oblati ed il fatto potrebbe apparire strano in un uomo che era stato educate a severi studi scientifici e che doveva avere il gusto e il piacere della ricerca. Dalle sue note
biografiche e risultato evidente, pero, il fatto che si trattava di un essere tutto preso dal sacro fuoco della fede ritrovata, timido ed estraneo
a tutto cio che non fosse la preghiera e la cura delle anime. E' evidente
anche che i suoi superiori commisero un errore di valutazione: Eynard
andava bene in un eremo e non in una missione dove Tattivita e i contatti con gli indigeni erano preminenti e richiedevano un approfondimento continuo della psicologia di quella gente, dei loro costumi, della loro lingua.
P. Eynard appartiene a quel genere di missionari per i quali tutti erano
"selvaggi" e tutto andava distrutto e cancellato in nome di un rinnovamento che si poteva invece ottenere per vie diverse e senza aprire la
strada, sia pure inconsciamente, al genocidio culturale perpetrate a fredde dai colonizzatori canadesi.
Detto questo, va aggiunto, pero, che I'Eynard fu un attento osservatore, precise nelle sue descrizioni e lungimirante nelle sue previsioni. Tutte queste qualita sono evident! nella relazione che qui si riproduce
tradotta.
E' composta da 12 cartelle manoscritte, di cm. 33 x 22, di lettura
quasi sempre facile. II titolo e Storia della Missione di San Giuseppe.
Gran Lago degli Schiavi e risulta divisa in due parti: la prima, compUata
il 21 novembre 1861, consta di 8 fogli e la seconda, con la data del 6 dicembre 1862, e di quattro fogli. Non c'e I'indicazione del destinatario,
ma poiche tutte le lettere dell'Archivio canadese sono inviate a Mons.
Alexandre-Antonin Tache, OMI^^^^ non c'e dubbio che anche le due
relazioni siano rivolte aUo stesso.
L'ingenuita di Padre Eynard e disarmante, come profonda e la sua umilta. Si accende soltanto quando c'e da battere sul traguardo un ministro
protestante e si ha rimpressione certamente spiacevole che invece
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di una predicaziene di fede si trattasse di una gara sportiva. II pensiero


di noi medemi si ferma con sbigettimento sui traumi cultural! e psicologic! che gli indigeni dovettero subire da queste predicazioni contrastanti che sembravane avere come scopo finale una statistica di battezzati, o di cresimati, piu o meno lunga per farsi dispetto uno con I'altro.
Lascia poi atteniti, anche alia luce del modemo pensiero missionario, la
volonta di Padre Eynard di far cessare ogni pratica sciamanica che egli
giudicava fente di perdizione e di peccato.
Si e accennato all'ingenuita del missionario ed essa balza evidente piu
che mai in un episodie. Cera carestia ed egli doveva scegliere fra i piu
bisognosi per dare il poco pesce disponibile, ma non si accorge di confessare che ha aiutato due famiglie che gli sono state raccomandate e un
indigene buon cattolice! Nessuno pensa che fesse malafede, specialmente in un mistico come Eynard, ma semplicemente ingenuita.
Dei sue! viaggi non ci paria. Si diffonde sulla celtivaziene degli orti
che assicuravano prodetti preziesi per la missione, ma I'agricoltura
non riscuoteva alcuna simpatia da parte degli Indiani che erano cacciatori e raccoglitori.
La punteggiatura e quella originale, salvo lievissime modificazioni indispensabili per la comprensiene del teste.

207

Questa missione situata sull'Isola dell'Orignal separata dalla terraferma da un piccolo canale naturale occupa all'incirca il punto centrale del Grande Lago e si trova quasi sul 63 "di latitudine settentrionale e il 112*di longitudine dal meridiano di
Parigi.
La storia della sua fondazione risale aU'anno di grazia milleottocentocinquantuno.
Fu nella primavera di quell'anno che il R.P.Faraud (14) incaricato da Mons. Tache
venne per la prima volta ad annunciare la Buona Novella alle nostre popolazioni.
Interrotto per un anno nella sua opera apostolica dall'opposizione dei capi del paese, pote riprenderia soltanto nel 1854 e da queU'anno datano le prime nascite spirituali dei nostri selvaggi. Una lettera di quel Padre inclusa negli Annali della Propagazione della Fede e in data 8 dicembre 1856 indica a sufficienza tutto cio che ebbe
a soffrire quell'intrepido missionario nei suoi diversi viaggi intrapresi per fondare
questa missione. Nel suo cammino, mezzo gelato e gia intirizzito a causa di un'improwisa e terribile recrudescenza del freddo, obbligato a marciare in continuazione per due giorni, nonostante la mancanza di prowiste; a causa della continuazione
del freddo tutto pieno di reumi e ridotto a gettarsi su una slitta che tre cani trascivano sopra dei ghiacci ammucchiati in disordine e a dighe, facile a rovesciarsi e malconcio ad ogni passo; ecco alcuni inizi durissimi.
Avendo in seguito I'lsola dell'Orignal come sede deUa missione, gli rimaneva un com-"
pito non meno penoso: quelle della casa; ecco il missionario trasformato in carpentiere. L'acqua era ancora tutta coperta di pezzi di ghiaccio che essa trascinava; non importa, e in quell'acqua gelata che il caro Padre non esito ad immergersi
per raccogliere un bulbo aiutato dai suoi selvaggi. Probabilmente fu in questi bagni
prolungati che il R. Padre ha contratto quei dolori che finirono per toglierlo al
Nord. Ma prima di aver costruito questa casa il R.P. aveva gettato gia le fondamenta
della nostra cristianita istruendo e ricevendo nel seno della propria Chiesa, a piu
riprese, circa trecento selvaggi, accorsi da quasi tutte le sponde del grande lago; cosa questa che mi spiega le 260 capanne di cui fa menzione e che si riducono oggi a
un centinaio. II R.P. oggi Mons Grandin (15) designate un istante per prendere cura
di questa missione ha soggiornato due volte abbastanza a lungo presso Beaulieu(16),
nel fiume del Sale, (17) dove ha istruito e battezzato parecchi nostri indigeni.
Fu soltanto nel 1858 che ci siamo definitivamente stabiliti in questa missione posta sotto la protezione di San Giuseppe. II R.P.Eynard e U Fr. Perreart partiti col
R.P. Vegreville, con la squadra delle scialuppe della Speranza, lasciarono passando
il loro compagno di viaggio all'Isola-a-la-Crosse (18), sua destinazione. Al Grand
Portage a la Loche abbiamo raggiunto U R.P.Clut (19) e U Fr. Kearney (20) che ci
avevano preceduti con la squadra di Bruce; a Athabaska (21) li lasciammo cosi sul
nostro cammino. Infine dopo circa due mesi e mezzo di navigazione raggiungeramo
il posto assegnatoci dal nostro superiore Mons. Tache. In questa navigazione non
siamo stati esenti da nessuno degli incidenti ordinari. Non appena entrato il R.P.
Vegreville, la barca, avendo fatto uno scarto, se ne andava alia deriva con una rapidita spaventosa col timone in avanti in una violenta rapida, talora nei laghi Bouf
e dell'isola a la Crosse, vi era una tempesta orribile che, riempendo d'acqua la nostra
barca, minacciava di inghiottirla; altre volte soltanto a costo di lunghi sforzi con la
pertica si riusciva a .sfuggire al disopra di rocce che avevano circondato la nostra
barca. II 12 agosto, febui di Santa Chiara, ebbi la gioia di celebrare per la prima volta i santi misteri nella piccola cappella della nostra missione primogenita di San
Giuseppe ed abbracciammo il nostro nuovo superiore che ci aveva preceduti di due

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settimane. La casa costruita dal R.P. Faraud si presentava ancora aperta a tutti i
venti; senza porte ne finestre, ne pavimento superiore, ne malta di fango, alcuni
magri piatti vicino a came secca e giallastra come I'esca ci annunciavano il'regime
del Nord. Si dovevano fare molti lavori urgent! per rendere abitabile la casa. II
Fratello Perreart si mise coraggiosamente all'opera aiutato assai lentamente dal nostro assoldato Pierre Beaulieu; scavo una fossa e raccolse del legno per costruire una
cucina. Poco a poco vedemmo, col lavoro del fratello, la no.stra residenza prowista
di porte, fmestre (opera del P. Faraud), poste solamente, e intonacata. Quanto al
tetto soltanto intonacato dovemmo rassegnarci a vedere la nostra ca.sa inondarsi di
acqua fangosa; inconyeniente passeggero che doveva sparire durante il nostro lungo
inverno e al quale non si poteva owiare e lo fu che nella primavera seguente
con delle cortecce di abeti.
Pero appena arrivati, un viaggio urgente; i selvaggi e i meticci occupati nei diversi
posti della Compagnia lungo le sponde del Grande lago e a Fort Simpson (22) richiedevano da molto tempo i soccorsi della religione; un buon numero di bambini
dovevano essere battezzati. Un ministro protestante stava per precederci anche a
Fort Simpson; era necessario prevenirlo. II R.P.GroUier, evidentemente piu capace,
parti dunque per il forte dove ebbe la consolazione di vedere tutti i selvaggi, segretamente predisposti dalla grazia divina, venire a disporsi sotto il nostro santo stendardo della croce; tanto che il ministro anglicano, per non essere un testimonio semplicemente passive dei trionfi deUa vera Religione, prese, si dice, un piccolo selvaggio e le battezzo a forza. Stesso successo per il R.P. Grollier al forte della Grande isola. Di ritomo verso la meta di settembre, il R.P. pote dare ancora una piccola missione qui e fare cominciare la pesca di autunno che, prima i venti e poi i ghiacci
spesso rotti, interruppero per molto tempo e rese pochissimo. Qui cominciarono le
piccele prove che Die ci riservava. Non avevamo un cacciatere e i selvaggi si erano
mostrati avari della loro came. Per oltre un mese dunque quando il lago si copriva
alia notte di ghiaccio che si rempeva poco dopo. Tunica risorsa per noi e i nostri dipendenti fu il pesce alTepoca della deposiziene delle uova venti volte, cosi, gelato
e scongelato, che alia fine aveva un lezzo da uccidere le mosche che sarebbero seprawissute al freddo. Due barili di patate che il commesso Signor J.Prudent ci dono
vennero molto a proposite per aiutarci a nascondere il gusto del pesce e furono bene amministrate per molto tempo. La pesca sotto il ghiaccio ci diede il pesce fresco
e gli ami ci pertarone le trote che bollite al mattino e alia sera formarono Cesi il
nostro invariabile paste; soltanto a mezzogiorno si friggevano. Soltanto la demenica un solo paste a mezzogiorno di carne secca interrompeva la nostra continua
quaresima. Questo regime rigoroso quasi fino alia festa di San Giuseppe; senza
dubbio il Nostro Santo Patrono, sentendo pieta, ci invio tre e quattro orignali. Ma
era, se Toso dire, troppo tardi per il nostro povero Fratello Pareart; gia molte volte,
a meta del suo lavoro, era venuto a dirmi tutto spossato e ansante: "sento che le
mie ferze diminuiscono". Invano gli dicevo di ripesarsi, non potevamo cambiare il
regime alimentare ed e cio che gli sarebbe servito. Aveva prima lavato e ripulito
tutto il pavimento superiore, fatto poi delle porte c dei catenacci di legno per le
nostre piccele camere da letto, che non occupammo, a causa del freddo, perche
tutto Tinvemo ci coricammo sul pavimento della grande sala. Ci fece in seguito due
tavoli e quattro sedie. Furono le sue ultime epere; era aUa fine delle sue forze, ben
presto fu obbligato a mettersi a letto e una domenica ascelto anche la messa dal suo
letto. Era colpito da sbocco di sangue, da costipazione e da un profondo dlsgusto
per ogni cibe del Nerd, soprattutto n pesce. Avevamo avuto un gran numero di

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lingue di caribu che ci riservavamo per le domeniche e i viaggi, ma le sacrificammo


volentieri per risvegliare il suo appetite; cio fu anche per circa 20 giorni, credo, il
suo solo nutrimento e la sua prowista per il viaggio che fece per andare a Athabaska
dove speravamo che risorse maggiori potessero ristabilire la sua salute rovinata.
Da due o tre anni il Signor Clarke, il gerente del Fort Rae,aveva offerto i suoi cani
e la sua carretta per portare U missionario che volesse visitare i suoi dipendenti e i
suoi selvaggi. II R.P. Grollier ed io giudicammo che non bisognava lasciarsi sfuggire
una COS! bella occasione, soprattutto in presenza di un ministro che minacciava di
visitare quel posto prima di noi. II R.P.GroUier, dunque, va ai primi di marzo sul
ghiaccio per recarvisi; passo molti giorni ed anche notti circondato da numerosi selvaggi; il loro numero sail fino a 1200. Numerosi bambini furono battezzati e tutti
quelli che vide, soprattutto i capi, si mostrarono soUeciti di abbracciare la nostra
Fede, nonostante la severita di cui R. P. fu obbligato a far spesso uso per correggerli dalla loro corruzione e dalla loro passione per Tinkanze, specie di pratica superstiziosa o anche talismano per mezzo dei quali sperano di preservarsi o di guarire
da malattie. Di ritomo qui con gli ultimi ghiacci, questo stesso Padre pote far qui
una buona missione alia quale assistette regolarmente una numerosa assemblea
di selvaggi, che termino col battesimo di parecchi adulti e bambini. Fra questi anche
un adulto ridotto da tre anni a camminare sulle ginocchia e sulle mani; i suoi freddi e inerti (manca evidentemente la parola "arti") gli rifiutavano assolutamente ogni servizio. Per quanto miserabile fosse soprattutto per un selvaggio che cost non
poteva n6 cacciare, ne viaggiare, rideva sempre ed era assiduo alia preghiera. Dopo il
suo battesimo. lo vedemmo poco a poco camminare con delle stampelle, imbaldanzirsi talvolta fino ad abbandonarle; I'ho rivisto por. camminava senza stampeUe.
Durante I'invemo altri selvaggi ci portarono una volta un povero vecchio che, per
vedere il prete, aveva fatto un lungo viaggio a testa seoperta, in un freddo di circa 40*
In primavera, fin da quando il ghiaccio e la neve sparirono da sopra la terra, tentammo di vangare un orto in un ripiano che dominava la casa: il suolo si componeva di
un leggero strato di terra vegetale su uno strato di sabbia profonda; l'acqua delle
nevi ne ricopriva una grande parte; a mezzo di un lungo fosso conducemmo l'acqua
in un bacino inferiore. Durante I'invemo il Sig.J. Pmdent.non contento di offrirci
dei semi di cavoli del Siam e un posto nel suo orto per seminarli,ci autorizzo a prendere sulla sua parte di letame tutto quelle che ci serviva per concimare bene la nostra terra; ma la cattiva volonta dei nostri dipendenti ci impedi di apprefittarne.
Avevamo anche scoperte nel posto del vecchio forte, non lontano dalla missione, un
altro luogo che sembrava fertile, nonostante fesse pieno di pietre. D vecchio Beaulieu che sopraggiunse anime alcuni Montagnesi e le sue genti al lavoro e sgressare,
tagliare dei picchetti e delle palizzate, piantarli poi interne all'orto e infine seminario fu questione di due giorni; verse il 10 giugno tutte le nostre seminagioni erano finite. Avevamo gia acquistato daUe stesso Beaulieu una mucca con la sua giovenca;
I'una e I'altra non tardarono ad arrivarci sopra un carretto.
Quanto prima il lago si trovo abbastanza libero da permettere alle barche di circelare; approfittammo di questa occasione per inviare il Fratello ad Athabarska dove
domandavame nelle stesso tempo che lo rimpiazzassero con un altre fratello. In assenza di ogni fratello, il R.P. Eynard fu nominate cuoco e lattaio della missione di
San Giuseppe. BLsogna confessare che, poco abUe nelTarte culinaria, questo cuoco
improwisato fece digiunare piu di una volta i due R. Padri. La nostra cucina nen era
tuttavia molte cemplicata; consisteva invariabilmente nel far boUire e arrestire il
pesce e qualche volta la came secca e servire caldo. Nell'agoste seguente il R.Grol-

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Her riceveva una missione per il Forte Good-Hope e la Compagnia si prese il carico
della sua pensione. NeUe stesso tempo un nuovo Padre non ancora Oblate e un altro fratello, il R.P. Gascon (23) e il Fr. Kearney arrivarono il prime dal Lago Manitoba(24) e I'altro da Athabaska. Era urgente visitare il Forte Rae; benche poco
avanti nelle studio del Montagnese, questo compile fu affidato al P.Eynard che
avrebbe dovute partire con le barche; ma per fare una piij ampia conoscenza con i
nuovi arrivati o piuttesto per gioire un poco di piu della loro compagnia e metterli un poco al corrente, il suddetto Padre parti in canea di scorza soltanto alia fine di
Agosto. Si reco prima alia Grande Isola dove, a mezzo di interpret!, fece una piccola
missione ai selvaggi, in piccolo numero, che vi si trovavano e che mostrarono ottime disposizieni; non furono dimenticati i meticci occupati dalla Compagnia. Verse il dodicesimo giorno di settembre, s'imbarcava per fort Rae. La i selvaggi erano in
gran numero; ma apparivane soltanto la sera per reimbarcarsi la mattina. La maggior
parte non comprendeva quasi il Montagnese e le storpiavano parlandolo e inoltre
vedevano U prete per la prima volta; avevano cosi delle debolissime nozioni di religione.
II passaggio del R.P. Grollier non era stato infruttuoso, parecchi non facevano e
non conservavano piii I'inkanze e vivevano abbastanza regolarmente. Li istruii come potei e portai gli ultimi Sacramenti ad alcuni poveri ammalati. Ben presto si dovette pensare al ritomo, perche i ghiacci apparivane e circondavano la baia, ma nessun selvaggio voleva incaricarsi di condurmi, infine due giovani accettarono e il 4 ottobre 1859 m'imbarcavo in un piccolo e stretto canotto di corteccia dopo che il
vente ebbe rotte e allentanato il ghiaccio che al mattino copriva tutta la baia e
minacciava di tagliarmi la via del ritomo. Spesso fermato dai venti e dalle piegge
prima e poi dalla neve e djii ghiacci, impiegai 13 giorni a fare un viaggio di 5 e quando arrival il mio canotto tutto circondato e a meta rotto da grossi ghiacci era pieno
d'una acqua gelata che saliva a vista d'occhie nonostante i miei sforzi per gettarla
e attribuisco a una protezione speciale del nostro buon Patrono I'esser sfuggito a
una morte inevitabile, tanto i ghiacci si estendevano lontano e il canotto si riempiva
velocemente.
Durante I'assenza del P.Eynard, il R.P.Gascon e il F. Kearney mandarene avanti alacremente U cempimento di una cestruzione destinata a servirci da cucina che il R.
P. Grollier aveva fatto alzare e circondare; fecere poi con tronchi di legno tondi e a
coda di rondine una casa a due cempartimenti per i due dipendenti di cui I'uno,
Leuison Lanier,ci era arrivato dal Fiume Rosso col R.P.Gascon. Disgraziatamente
aveva gia dissipate i 15 luigi di merce che aveva preso al Fiume Rosso, e ci arrivo
come nude con una numerosa famiglia, fummo dunque obbligati a passargli i suoi
salari di L. 10 che la Compagnia si e impegnata a pagare trattenendogliele: cio che
ha fatto.
Questa volta avevamo preso un cacciatere che fornendoci di animali aiuto potentemente la costmzione, perche la pesca autunnale era ben misera. Ma all'inizio delI'invemo, essendo diventato inabile alia caccia per cecita, ne prendemmo un altro
che prima di allora non aveva mai cacciato. II Signor Haristy gerente del forte voile
aiutarlo sebbene avesse 60 anni e fosse considerate soltanto un buon cestmttore.
I nostri due orti avevano date, credo, circa 16 barili di patate e quattro o cinque barili di rape; per I'orzo era stato un cempleto fallimento. Bisogna rendere giustizia
al R.P. Gascon e al F. Kearney che fecere la raccelta con la piCi scrupolosa esattezza, cesi bene che si sarebbe potuto prendere una dozzina di patate alia volta nella mane e inghiottirle senza sferzo.

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A.D.MI 1860. II vecchio Beaulieu venne a farci visita ai primi ghiacci e il R.P.Gascon, per iniziarsi al Montagnese, mi domando di andare a trascorrere tre mesi da loro
al F. del Sale. Io non ne avevo molto meno bisogno di lui, ma pensai che ne aveva
piii diritto di me e mi dispiaceva dargli un dolore. II buonuomo Beaulieu, anche
se buon cristiano, non era un maestro molto bravo per i novizi; ma poiche Mons.Tache mi aveva detto che le miserie e le privazioni della vita del Nord erano prove
sufficienti, lo lasciai partire con una piccola prowista di cattiva carne secca che non
pote mangiare in cammino (non ce n'era altra). Del resto queste prove non gli mancarono in viaggio e durante la permanenza al Fiume del Sale. Era appena arrivato da
due mesi, che domando di andare a fare la missione a Fort Rae; ero designate io
per quella missione e conveniva che vi ritornassi avendola gia visitata, ma lo vedevo
disgustato della vita del Nord, e temevo di far perdere cosi un soggetto prezioso per
le nostre missioni; d'altra parte vi doveva costruire ed era stato specialmente incaricato delle costruzioni. Trascorse la due mesi e mezzo, la missione della Grande Isola fu trascurata, considerate che tutti vi digiunavane, ci dissero. 11 R.P. aiutato
dagli interpret! ebbe la fortuna di istruire molto bene un buon numero di caccia tori;
piii di 100 bambini e adulti furono battezzati e piu di 20 matrimoni furono benedetti.
Durante questo inverno il P. Eynard faceva il catechismo e la scuola da 3 a 4 volte
la settimana in Francese al forte, dove egli prendeva anche delle lezioni di Montagnese dalla Signora Sauvet, e qualche volta il catechismo in Montagnese ai rari selvaggi
rimasti into'rno al forte. A primavera fece la missione. Ma prima ci si era occupati
degli orti. II Sig. Hardisty, gerente del forte, ebbe la bonta di prestarci un pezzo di
terreno nel suo orto per seminarvi delle patate. II F. Kearny e il P. Eynard, non potendo attraversare sul ghiaccio, ne in canotto, perche il lago rimase a lungo pieno
di ghiacci gaUeggianti, facevano ogni giorno il giro della baia, attraversando il piccolo canale, per andare a vangare al forte. Lo stesso Sig.Hardisty mise mano alia vanga
per piii di mezza giornata, per aiutarci. Un altro buon modo d'agire fu che egli si
affretto, a mia richiesta, a concedere le feste ai suoi dipendenti e a dar loro regolarmente pesce al venerdi; cio che non hanno fatto ne il Sig. J. Prudent, ne il Sig. Mackenzie; quest'ultimo ha tuttavia accordato fino ad oggi le feste ai suoi dipendenti
e sembrerebbe disposto ad accordarle ancora. In primavera lo scioglimento dei
ghiacci ci porta la sospensione della pesca e le miserie che ne sono la conseguenza.
Un ministro era venuto qui alia stessa epoca del R.P. Gascon a prendere al forte
Simpson il posto del Sig.Hunter e lavorava attivamente a decattolizzare i poveri selvaggi di quel forte e annuncio il progetto, che esegui in parte, di visitare tutte le nostre missioni. Ma egli venuto solo, verso la fine di Giugno 1860 si porto al Grand
Portage a la Loche a incontrare sua moglie e i suoi figli. Si trovo, dunque, qui con
gli equipaggi delle barche dei forti, Rae, Simpson, del Liard e della Grande Isola;
ebbe I'audacia di cercare di riunire i nostri selvaggi che erano in gran numero, ma
nessuno voUe ascoltarlo. II R.P.Gascon, avendo avuto sentore delle sue mene, mi impegno a celebrare la messa il giomo seguente, domenica, al forte stesso, cosa che
feci ed avemmo la consolazione di avere la totalita dei selvaggi, anche quelli del
forte Sympson (sic). QueUi del forte Halquet non avendo sentito, credo, la campaneUa. se ne vennero tutti tristi a pregarmi di ricominciare la messa per essi: era, si sa,
una cosa impossibile, ma ebbero una buona istmzione che la Signora Sauvet spiego.
L'autunno seguente lasciammo il F. Kearney solo, incaricato del temporale della
missione, mentre il R.P.Gascon ed io vogp.vamo in direzioni opposte verso le missioni che ci erano state assegnate; U R.P.Gascon fondava la missione del forte di Liard

212

ed io mi portavo dapprima alia Grande Isola. La le famiglie molto numerose dei meticci mi diedero I'occasione di fare il catechismo ed anche un poco di scuola, mentre i selvaggi sempre in pochi si mostravano molto impsizienti di ricevere il battesimo che non concessi che agli infermi e ai bambini, essendo pochi quelli sufficientemente istruiti. II 26 Agosto partivo per il Forte Rae. Li, seguendo cattivi consigli,
commisi un errore che poteva avere delle funeste conseguenze; mi imbarcai sulla
barca della Compagnia, senza attendere I'autorizzazione. Pero una lettera di scuse
che inviai al capo del distretto lo riparo. Questo stesso capo aveva assicurato il R.P.
Grollier di lasciare libero il gerente del forte Rae di fare cio che voleva per costruire,
ma si era in seguito ritirato formalmente con una lettera. Inoltre per lo stesso errore, le buone intenzioni del gerente del Forte si erano sensibilmetne raffreddate nei
miei riguardi; d'altra parte, protestante com'era, sembrava che avesse voluto anche
chiamare il ministro inglese da lui e la missione si annunciava dunque molto difficile e la costruzione almeno rimandata. Ma tutto fu affidato alia nostra buona Patrona che senza dubbio ottenne il cambiamento che si verified. Infatti il 14 settembre 1860 mi imbarcavo nella barca di questo gerente per il lago del Brochet a un
giorno di vela dal Forte e dove i selvaggi, donne e bambini, infermi e vecchi avevano
promesso di trovarsi: ma per otto giorni interi che noi attendemmo fra la neve, a
ghiaccio ed anche la fame, vidi soltanto una famiglia di cui battezzai i bambini, invece di cinque-seicento battesimi che contavo di fare. Alcuni giorni dopo noi vi ritornammo con I'interprete, lui per trattare la carne e io per vedere e istruire i cacciatori in numero di sessanta che avevano portato la loro came. Durante i tre giorni
che continuo la trattativa, potei istruirli un poco, ma erano troppo preoccupati
dal timore di essere presi dal ghiaccio e pochi si facevano un'idea un po' conveniente del beneficio della Religione che volevo portare.
Penavo molto per confessare, non avendo una stanza per me, di modo che quando
arrivava un gruppo di selvaggi o che dovevo confessare i meticci, ero obbligato a
domandare a un selvaggio o a un meticcio la sua casa per quasi tutto un giorno e
a tame uscire tutti. Giunsi nondimeno a confessare generalmente tutti i selvaggi
che si mostravano assai docUi.
La costruzione che avevamo dapprima pensata come assicurata mi ritoraava alia
mente. Ne parlai dunque al Sig. Clarke. Impossibile per il momento perche tutti i
dipendenti erano impiegati nella pesca, ma promise di occuparsene e mantenne la
parola, perche la primavera seguente tutti i tronchi erano tagliati e squadrati per una
casa larga 25 piedi su trenta di lunghezza e Testate appresso era montata e ritta
sulla punta che forma la baia, vicino a una terra eccellente per orto, area che avevamo scelta col R.P. Gascon.
Di ritomo da San Giuseppe, appresi con meraviglia che il Fratello Kearney nella
sua devozione per la missione si era messo a pescare con i dipendenti e continuo ad
andarvi coi piii grandi freddi per tutto l'inverno. Gia il F. Pereart che passava per
intrepido contro il freddo aveva dovuto rinunciarvi, dopo cinque o sei tentativi. Ero
ritomato ai primi ghiacci, dopo un viaggio a piedi di quattordici giorni. II mio caro
novizio mi aveva prevenuto da molto tempo; anche lui aveva avuto dei guai in missione e maggiori dei miei; ma lungi dal sentire indebolito il suo coraggio davanti
a queste dure prove, bmciava ora al desiderio di essere aggregate a noi. Anche da
parte mia lo desideravo vivamente e avevo ricevuto pieni peteri per accogliere i suoi
voti.
A.D. 1861. n santo glome dell'Epifania 1861 fu scelte per prenunciare i suoi voti,
dopo un ritiro di otto giorni che il Capodanno non interruppe. Trascorremme

213

dunque tre mesi deU'inverno insieme e il nuovo oblato incaricato delle funzioni
prescritte dal regolamento le adempiva con grande gioia della piccola comunita.
A capo di due mesi ripartiva per la sua dura missione e un mese dopo il P. Eynard
si metteva in cammino sul ghiaccio verso il F. Rae dove aveva la consolazione di
trovare questa volta una maggiore voglia di confessione e di battesimo fra i selvaggi;
ma pochissimi, nel numero d'altra parte piccolo di selvaggi che vide durante il suo
soggiomo di un mese, erano abbastanza preparati o abbastanza sicuri e, sempre impazienti di partire, non poteva istruirli convenientemente. II sei maggio il P. Eynard riparti sugli ultimi ghiacci, istruiva un poco e battezzava passando 11 giorno seguente cinque o sei vecchi infermi, e, attraversando ancora il lago, si portava alia
Grande Isola. Questa volta i selvaggi vi si trovavano riuniti in numero superiore a
100 e cio per due settimane per degli affari che volevano regolare col capo del distretto del quale attendevano I'arrivo. Ne confessai la maggior parte e li vidi molto
attenti. II R.P.Gascon che giunse al suo ritomo dal forte del Liard mi aiuto molto
per i giorni che resto battezzando e dando anche delle istruzioni ai selvaggi degli altri forti che vi si trovavano riuniti con le barche. Uno dei loro capi era stato battezzato e sposato dal R.P.Faraud. Ripartimmo, il R.P. Gascon ed io, insieme per
San Giuseppe dove ci attendeva una riunione di circa 200 selvaggi piu impazienti di
vedere Mons. Grandin, che avevo loro annunciate, che di vedere noi. Ci mettemmo
subito all'opera; quasi tutti si confessarono e lo domandarono anche con insistenza;
benche ci sia ancora molto da fare, si sente che lo spirito religioso e qui ben piu
avanzato.
Una ventina furono ammessi alia Santa Tavola, ma una grande parte digiunando parecchi giorni non pote attendere I'arrivo di Monsignore. Arrivo infine e i selvaggi si
strinsero intomo a lui per ascoltarlo predicare e cantare. Ventitre poterono ancora
comunicarsi di sua mano e ricevere il Sacramento della cresima. E' giusto cosi che
parlassimo un poco della nostra gioia di averlo; era la nostra preoccupazione incessante di ogni giorno. Povero Vescovo del Nord, fummo lontani da fargli Taccoglienza che meritava il suo rango e la sua devozione; venire a visitarci fra tanti pericoli
e guai! Avevamo decorato la nostra cappella del nostro meglio; durante la nostra assenza il F. Kearney aiutato dal dipendente Pierre era giunto a rivestire il tavolo e a
farle ugualmente una graziosa volta. Per festeggiare la sua venuta, il F. Kearney tolse dalla sua riserva il suo manzo o meglio la sua vacca e i volatili salati, come le sue
lingue di karibii (sic): sui 70 bariU di patate raccolte neU'autunno scorso, il Fratello
aveva avuto cura di conservare le piii belle per Monsignore. La nostra gioia fu breve; dopo 15 giorni, Monsignore aveva fretta di fondare una missione alia Grande Rapida del F. Mackenzie (25), o meglio di prendeme possesso piantandovi la croce, e
di prendere le sue misure per i suoi giri vedendo il capo del distretto. Prima della
sua partenza facemmo uno scambio di fratelli conversi: il F. Bois-Rame venuto
con Monsignore fu fermato qui a causa della sua convalescenza e il F. Kearney meglio abituato al Nord fu inviato verso Good Hope al suo posto. In Agosto il R. P.Gascon riparti per le sue missioni, mentre noi stringevamo la mano di sfuggita al R.P.
Seguin (26) che si dirigeva verso fl forte Good Hope.
n R.P.Eynard e il F. Bois-Rame rimasti soli fecero la raccolta delle patate che raggiunse i 140 barUi. II gerente del forte avendo rifutato I'orto del forte per I'anno seguente, vangarono nel luogo scelto da Monsignore e tutti d'accordo sul bordo delI'acqua e davanti aUa missione un pezzo di terra equivalente ampiamente a quella rifiutata; questa terra molto superiore a quella dei due antichi orti, plena dapprima
di meianconia e di rami ancora verdi o di enormi tronchi marciti nella terra, sem-

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brava anche tanto buona quanto quella del forte.


Dimenticavo di dire che in un momento di grande penuria, U R.P. e il Fratello, col
mio consenso dato tuttavia precedentemente, avevano ucciso la vecchia mucca che
da molto tempo non dava piii latte. Restava la giumenta, Beaulieu venendo ci ha
offerto di prenderla per figliare e di rimandarcela e noi abbiamo accettato con riconoscenza. La pesca questo autunno e stata ancora piii misera degli anni passati: il
gerente e venuto in nostro aiuto cambiandoci 200 pesci fradici con altrettanti freschi. E' piu di un mese che la pesca e interrotta dai ghiacci che si spezzano. II nostro cacciatore ci aveva portato dall'estremita del lago 350 libbre di carne seccata;
siamo stati obbligati, poco a poco, a darla tutta ai nostri dipendenti.
Fatto a San Giuseppe, Isola dell'Orignal, Grande Lago degli Schiavi il 21 novembre 1861.
G. Eynard miss.rio
O.M.L
STORIA DELLA MISSIONE DI SAN GIUSEPPE
seguito
ANNO D.MI 1862. Verso il 6 aprile avemmo la visita del nostro amatissimo pastore
Mons.Grandin che se ne ritornava dopo aver soggiornato successivamente questo inverno nei forti Good-Hope, Sympson e della Grande Isola. Furono per il Fratello e
per me giorni di sole troppo presto trascorsi e interrotti da due viaggi che fummo
obbligati a intraprendere, il F. ed io, ciascuno per proprio conto, di modo che non
resto alcuno a far compagnia a Monsignore. II F. se ne andava a raccogliere della carne; il cacciatore aveva finalmente ucciso alcuni animali. Io andavo ad amministrare
i sacramenti a parecchi selvaggi gravemente ammalati che mi chiamarono in loro
aiuto. Si trovavano riuniti vicino a B.te Malleville creata dal gerente, port Master,
per la carne a Fondo del Lago. Questo bravo e devoto selvaggio mi supplicava di
non lasciarli morire senza sacramenti e senza battesimo. Partii dunque, dopo tuttavia che Monsignore stanco e ferito ancora dai suoi lunghi viaggi nel Nord si fu offerto pero a questo scopo : vi andai per tre giomi. Perre B. Ceaulieu]mi accompagnava per riportare la carne che mi prometteva. In tre giomi dunque quasi sempre
correndo in compagnia dei dipendenti del forte che dovevano riportare la carne e
I'arenaria per il gerente, arrivammo all'estremita del lago o al fondo. Vi trovai riuniti
in una grandissima casa, dimora di B.te Malleville, una quarantina di selvaggi, donne,
uomini e bambini. Fui assai felice di amministrare la Santa estrema unzione a parecchi, far fare la 1" comunione a un anziano selvaggio di mia conoscenza che trovai
sufficientemente istruito e con buone disposizioni, ascoltai la confessione di tutti i
battezzati e buon numero di coloro che non lo erano ancora; tutti desideravano
vivamente di confessarsi, ma tutti non si mostrarono altrettanto solleciti per la preghiera e I'istmzione. Cinque o sei per le loro eccellenti disposizioni mi facevano
rimpiangere di non potere restare per battezzare alcuni e far partecipare gli altri
per la prima volta ai SS. sacramenti, dopo che li avessi istruiti, ma avevo soltanto
due giomi appena. Partii dunque dopo avemi battezzati soltanto 7 ancora, di cui
uno in agonia. Ritornando affrettai il passo per giungere a tempo a ricevere il S. Sacramento il giovedi Santo dalla mano di Monsignore ed ebbi questa fortuna. La presenza di Monsignore assistito da un Padre getto un lampo di luce insolito su queste
belle cerimonie della Settimana Sante e della grande festa di Pasqua. Tutti quelli

215

che erano al forte gia comunicati, furono ammessi alia S. Tavola, furono una quindicina di persone. II martedi sera Monsignore partiva per il forte Rae. Alia sua partenza il P. Eynard riprese i suoi catechismi e la sua scuola ancora per alcuni giorni,
fino a quando il ghiaccio fu buono e il F. riprese la sua pesca con gli ami.
Fin dal 28 maggio, essendo la neve completamente sparita al disopra degli orti e
dalle vicinanze ed essendo generalmente filtrata attraverso la sabbia e inondata la
nostra cantina, ne togliemmo in fretta le nostre patate gia in parte bagnate.
II 7 maggio cominciammo a seminare: orzo, piseUi, cavoli del Siam, rape e patate;
le rape soltanto ebbero buona riuscita e un buon numero divennero mostruose.
Monsignor Grandin era partito il giorno dopo Pasqua per fare una missione al forte
Rae. Molti selvaggi si mostrarono avidi di intederlo, ecc. Per non divagare, non mi
diffondero. Diro soltanto incidentalmente che il Sig. Clarke gerente di questo forte
ebbe la gentilezza di fare trasportare la grande casa costruita per la missione, dall'estremita della baia, vicino al forte e cio a richiesta di Monsignore; i figli dei meticci e i selvaggi si troveranno cosi piu vicini per essere istruiti dal missionario.
Poiche il forte Resolution si trovava senza scorte e senza tabacco, un buon numero
di selvaggi ci hanno portato la loro came secca; buona o cattiva, ci era di grande bisogno come si vedra in seguito.
L'impegno di P.ferre] Beaulieu finiva soltanto alia fine di maggio, ma egli voile partire fin dalla fine di aprile e noi non ci siamo opposti; ero stanco della cattiva
volonta di questo dipendente. Anche due selvaggi ci lasciarono verso la stessa epoca,
di modo che ci ritrovammo soli, il fratello ed io. Era il momento del disgelo; andammo dunque due volte ancora a visitare le nostre reti coi canotti e le ritirammo poiche lo stato del lago non permetteva di tenderne. Ridotti a noi due, il Fratello ed io,
per vangare H nostro nuovo grande orto e seminario con un alto o due grandi strati di terreno forte, ci mettemmo bravamente all'opera e tutte le nostre patate
si trovarono gia seminate prima di quelle del Forte.
Verso giugno i selvaggi cominciarono ad arrivare per la missione, nella speranza
di ascoltare Monsignor Grandin; cosi vennero in buon numero e non si fecero attendere. Al mattino istraivo i bambini e alia sera gli adulti e nel rimanente tempo ricevevo le confessioni. Ogni giorno ero interrotto per trattare cagnolini a lungo pelo,
pelli di caribu, ecc. e dare anche un po' di prowiste a credito a quelli che mi sembravano realmente sprowisti e che conoscevo come poveri.
La nostra pesca aveva ricominciato ad essere ben meschina, anche i selvaggi non vivevano assolutamente che di pesca agli ami soprattutto.
Monsignore arrivo finalmente verso la meta di giugno e i nostri selvaggi in numero di
oltre 150 (38 alloggiamenti nell'isola della Missione) si portarono in fretta alle sue
esortazioni. Fece circa 90 battesimi, rivalido o benedisse 20 matrimoni e diede la
cresima a 35 uomini, donne e giovani adulti che ricevettero anche N.S. per la prima
volta. La maggior parte dei selvaggi pero si era dimostrata dapprima poco disposta
per la missione, perche si erano stabiliti al forte, volevano venire soltanto la domenica, avevano giocato due notti, avevano perduto molte prowiste, avevano anche altercate e si erano picchiati. A seguito della minaccia che feci di non ammettere
alia comunione e alia cresima nessuno di coloro che perseverassero a rimanere al
forte, vennero quasi tutti ad accamparsi suU'isola. Soprattutto gli anziani o i capi
mi assecondavano con tutto il loro potere. Due bigami ostinati, di cui uno che non
aveva smesso di fare degli inkanze anche dopo la predicazione del vangelo nel paese, cedettero e si offrirono di riparare i loro scandali e furono battezzati.
Attendevamo di giomo in giomo il R J . Gascon che doveva ritornare dal forte del

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Liard. Arrivo infine, avuto la sua parte di guai, quelllnverno e mi sembra che essi
avessero devastate un poco il suo corpo e il suo vise, ma il cuore rimaneva fortemente attaccate all'opera che aveva intrapresa e dope aver potuto appena scambiare qualche parola amichevele neU'imbarazze del suo arrivo e della sua partenza quasi immediata con il Fratello e due dipendenti, mentre anche Monsignore ci lasciava,
s'imbarco in un grande canotto pagato 27 (27) piu (cosa inaudita) per andare a
fondare la missione della Prowidenza alia Grande Rapida.
Dimenticavo di dire che Monsignor Grandin terminava la sua missione col piantare
una grande croce su una coUina della nostra isola nel nostro cimitero. II nostro nuovo dipendente Pepin, vero canadese, era arrivato prima di Monsignore; non era venuto solo, ma in compagnia di sua moglie, dei suoi cinque figli e una vacca e un tore.
Rimasto solo alia partenza di Monsignore, private dell'aiuto di un fratello converse, non potei iniziare alcuna costmzione, ne chiesa, ne hangar (28), ne ghiacciaia.
Durante U mese di luglio e la meta del mese d'agosto il forte rimase senza gerente
e senza uomini, con due soli pescatori per far vivere un gran numero di bambini con
le loro madri e le genti si trovarono ridotte a una grande carestia, non avendo
spesso che 3 o 4 pesci per 18 persone in una sola abitaziene. Non potendo dare a
tutti, scelsi quelli che mi sembrarono piu bisognosi: le famiglie Sauve e Laferte
che mi erano state particelarmente raccomandate e verso le quali avevo molti obblighi. Diedi anche a un buon numero di selvaggi, soprattutto ai malati, fra cui un
buon selvaggio che, avendo ferito un orso nere, si era trovate esposto senza difesa al suo furore e uno chiamato Benjamin Kaottinf che considere il migliore amico della missione fra i selvaggi.
Ebbi sufficiente came secca per mandare due volte a prendere delle cortecce, per una 1'
volta circa 400 e la 2"500; per pagare il vecchio Beaulieu, la sua famiglia e le persone in due viaggi che hanno fatto per la missione, una 1*volta per cendurre la vacca
e il tero e la 2" per del sale per dare il prestito in carne 2 volte la settimana generalmente ivi cempresa la domenica; per dare anche regolarmente il prestito a tutte
le mie persone per un buon mese durante il quale la pesca fu quasi nulla tanto alia
Missione che al Forte.
Le barche ci ripertarono Monsignore accompagnate da un nuovo Padre, U R.P.
Petitet (29). Era un venerdi 8 agosto. Potei offrire a Monsignore soltanto del pesce secco: ancora per la svista del mio piccolo cuoco quel po' di farina che doveva dissimularlo fu dimenticata. Fummo importunati da una lunga visita di sua Riverenza[parola incomprensibile'] nuovo ministro destinato per U forte Yucon, mentre
noi avevamo tante cose da discutere e le nostre lettere da aprire.
La Missione ricevette i ventune colli spediti da F. Rosso per la 1 "volta al gran complete. Grazie alle cure del R J*. Lestane il the, lo zucchero e le balle di mercanzie ci
giunsero in buono stato, eccetto il tabacco in cui mancavano circa 25 libbre e il cello del file per le reti aperte, ma il file nen e stato probabilmente inzuppato. Alcuni articoli riportati anche senza dubbio per errore suUz fattura senza prezzo mancavano nei colli e nelle casse.
II giomo dopo, sabato, Monsignore riparti col nuovo padre per ricongiungersi al
P. Gascon alia Grande-Rapida. Quella missione, non avendo ricevuto assolutamente
nessun coUo, doveva essere rifomita e approwigionata a carico e a spese delle due
altre piii vicine di Good Hope e di San Giuseppe. Divisi dunque con essi di tutto
cuore e largamente il nostro modesto avere: mercanzie, utensili da falegnameria, accette, patate, the, rape, chiodi, ecc. 11 R.P. Petitot venuto a questo scopo con la barca del forte Simpson, se ne ritomo con 15 colli fomiti dalla Missione di San Giusep-

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pe, dopo avere, per 20 giomi, rallegrato la solitudine di P. Eynard coi suoi canti e le
sue notizie della Patria.
Per questo autunno tre forti gelate consecutive e il dente delle vacche hanno quasi
annullato il nostro raccolto di patate: 14 barili di patate ne hanno dati soltanto 33,
anche se molto piccole. La nostra pesca fu abbastanza buona: grazie alle attenzioni
di P6pin, abbiamo raccolto 3000 bei pesci all'isola Verde, che aggiunti a circa 1000
qui ci promette ampiamente pesce a sufficienza per i nostri cani quest'inverno, se
Q Buon Dio vuole conservarsi quelli che ci restano, perche ne abbiamo perduti gia 6
dei migliori, morti arrabbiati.
n nuovo gerente, il Sig. Lockhart, che dapprima si era dimostrato nostro nemico, e
diventato un vero amico, almeno lo credo.
Mi rimane poco da dire di interessante; la nostra rimessa conserva ancora 3 caribu,
rigurgita di trote (sene sono prese fino a 30 in un giomo, ma non tutte sono buone).
Fra i miei dipendenti, sono molto contento di Pepin e di sua moglie; sono dei buoni lavoratori e curano gli interessi della Missione; dei miei due dipendenti selvaggi,
uno va bene e lavora abbastanza per un selvaggio, I'altro e un mendicsmte e un ladro
del quale mi sbarazzero a tempo scaduto.
Ecco press'a poco le notizie della missione che, poco important! che siano, interesseranno Monsignore e i nostri PP. e FF. se ne giudico dalla loro amicizia; tale e
il compendio del mio diario (30).
San Giuseppe 6 dicembre 1862
G. Eynard mis.rio
O.M.I.

Note

(1) P. DUCHAUSSOIS OMI, Aux glaces polaires. Jndiens et Esquimaux, Parigi,


1930. n Padre Eynard e ricordato particolarmente alle pp.217 - 220. Nell'edizione
italiana (Ai ghiacci polari. Indiani ed Esquimesi, Firenze, 1942) le pagine a lui dedicate sono 197 - 200.
(2) Archivium Generate O.M.L, Roma, e Archives de I'Archidiocese de Saint Boniface, Saint-Boniface, Manitoba, Canada. Ringrazio vivamente i due Archivist!, Padre Edward Carolan, OMI, e Abbate Renfi Peeters.
(3) Cittadina della Francia sud-orientale, nel Dipartimento delle Hautes-Alpes, a
870 metri sul mare, in un promontorio che domina la riva destra della Durance. Vi
si trova oggi un importante bacino idrico artificiale. E' situata ad Est di Gap. Per
breve tempo fu sotto la Signoria dei Savoia.
(4) Jean-Jacques-Auguste Nicolas (1807-1888) fu un notissimo filosofo cattolico
francese. L'opera qui ricordata fu pubblicata nel 1842 - 1845.
(5) Cittadina della Francia nord-occidentale, a Nord-Ovest di Metz.
(6) Bacino lacustre canadese del Distretto del Mackenzie. Ha una forma irregolare e si prolunga verso E^t nella Christie Bay, sparsa di molte isole granitiche. Ha
una superficie di Kmq 21.500 e il suo emissario e il Mackenzie, che esce da Providence e sfocia nel Mare Glaciale Artico. Fu scoperto nel 1771 da Samuele Heame.
Le sue acque sono ricchissime di pesci bianchi e nella regione si trovano ricchi giacimenti di zinco e di piombo (Pine Point).
(7) Pierre-Henri Grollier nacque a Montpellier il 30 marzo 1826. Ordinate sacerdote
nel 1851, I'anno dopo fu inviato alia Nativita. Imparo subito e bene il montagnese e compi molti viaggi; nel corso di uno di essi si smarri e lo salvarono gli Indiani,
dopo che per soprawivere aveva mangiato un mocassino. Colpito da asma, non ebbe
piu tregua. Durante un altro viaggio fu colpito daUo scorbuto e dalla cancrena e si
fece strappare da Beaulieu tutte le unghie dei piedi. Mori fl 4 giugno 1864, e riposa
nel cimitero di Good-Hope.

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219

(8) Cittadina canadese sul Gran Lago degli Schiavi, a 61*11'N e 113 041'W.
(9) II lago Athabaska e un bacino lacustre canadese nel Saskatchewan nord-occidentale. Vi sbocca il fiume omonimo. E' lungo 310 Km, largo 50 e ha una superficie di
Kmq 11.400. Emissario del lago e il Grande Fiume degli Schiavi, che sbocca nel
Grande Lago degli Schiavi, dal quale come si e detto, esce il Mackenzie.
(10) Cfr. Notices necrologiques des membres de la Congregation des Oblats de Marie Immaculee, Parigi, 1874, II, pp.423 - 429. Nell'Archivio Generale degli OMI, a
Roma, si conservano quattro fogli dattiloscritti con altre notizie biografiche sul Padre Eynard. II dattiloscritto porta questo titolo:"Le R.P.Emile Eynard 1821 - 1873".
Come nome si usa il primo del missionario e I'anno di nascita e sbagliato.
(11) Col Trattato di Parigi del 1763 la Francia dovette abbandonare il Canada, ma
molti Francesi vi rimasero. I commercianti di pellicce, che si erano addentrati sempre piii nel cuore dell'immenso territorio, riuscirono a impadronirsi del traffico indiano che andava verso la Baia di Hudson, ma, nel 1783, reputandosi a ragione troppo deboli per contrastare gli Inglesi, si riunirono in una potente Compagnia che ebbe il nome di Nord-Ovest. Segui un periodo di lotte anche sanguinose fra gli Inglesi
e Francesi, fino a quando, nel 1821, la Compagnia della Baia di Hudson e la Compagnia del Nord-Ovest si fusero e unirono i loro capitali. L'annuncio delTaccordo giunse molto tardi a molti posti stanziati al Nord e le lotte fra i due awersari continuarono ancora per lunghi mesi.
(12) Montagnesi (montanari). Uno dei tanti gruppi che formano la grande famiglia
degli Algonchini e che un tempo occupavano uno spazio immense nelTAmerica
del Nord. I Montagnesi erano stanziati, coi Naskapi, nel Labrador meridionale,
ma varie tribu erano sparse anche aU'intemo del Canada settentrionale. Erano cacciatori e raccoglitori e credevano in un "signore dei caribu".
(13) Mons. A.-A. Tache fu il secondo vescovo di Saint-Boniface dal 1853 al 1871
e poi arcivescovo dal 1871 a 1894. Nacque il 23 luglio 1823 a Riviere-du-Loup
(Quebec) e mori il 22 giugno 1894. Fu consacrato vescovo a 26 anni.
(14) Henri-Joseph Faraud nacque a Gigondas (Vauclause) il 17 giugno 1823. Prima
di essere ordinate sacerdote (lo fu 1'8 maggio 1847) raggiunse S. Bonifacio (Canada) e nel 1848 fu inviato nelle missioni del Nord. Viaggio in lungo e in largo, a
piedi, con le racchette, in canotto. semore instancabile. Nel 1862 fu consacrato
Vescovo e Vicario apostolicodell'Athabaska-Mackenzie.Dopo la nomina ritorno in
Francia per cercare uomini e mezzi, e poi fu veramente un vescovo "volante" per le
sue missioni. Getto nuove basi amministrative e fu anche un buon medico, specialmente con I'omeopatia. Mori dopo una lunga agonia il 26 settembre 1890.
(15) Vital-Justin Grandin nacque nel 1829 e mori nel 1902. Studio nel seminario
delle Missioni Estere di Parigi, desideroso di andare in Cina, ma per una leggera balbuzie i suoi superiori lo fecero dimettere dal seminario. Entro allora negli Oblati e
nel giugno 1885 parti per il lago Athabaska.Tre anni dopo fu consacrato vescovo.
Fu un lavoratore instancabile e la stampa di tutto il mondo lo esalto come un santo.
E' in corso la causa di beatificazione.

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(16) Pierre Beaulieu, un vecchio meticcio, morto nel 1872 ad un'eta imprecisata,
ma sicuramente ultracentenario. Aiuto moltissimo i missionari. Era dotato di una
forza eccezionale e prima di convertirsi al cristianesimo era stato un violento e un
sanguinario.
(17) Vaiaggio del Nord-Ovest canadese, a 60'07'N e 112*14'W.
(18) Lago canadese nel Saskatchewan centro occidentale.
(19) Isidore Glut nacque a Saint-Rambert-sur-Rhone I'll febbraio 1832. Nel 1857
fu consacrato sacerdote e Tanno dopo fu inviato nella missione della Nativita sul
Lago Athabaska, della quale, nel 1862, fu nominate Vescovo. Fece lunghi viaggi
e prese parte anche al Concilio Vaticano I. Mori il 31 luglio 1903 e il suo corpo
e sepolto nel cimitero della missione del Piccolo Lago degli Schiavi
(20) Joseph Kearney nacque il 15 luglio 1834 a Coal Island (Irlanda). Compi gli
studi classic! e voile farsi sacerdote. Attratto, pero, dalla missione del "fratello"
abbandono gli studi e nel 1857 si imbarco a Liverpool su un veliero che, dopo due
mesi di navigazione, lo porto a Port Nelson (York Factory) nella Baia di Hudson.
Dopo un tirocinio in varie missioni, nel 1861 ando col Padre Seguin a Good Hope,
dove rimase ben 50 anni. Mori il 1 ottobre 1918.
(21) Cittadina canadese dell'Alberta centrale, sul fiume omonimo.
(22) Villaggio canadese sul F. Mackenzie, nelTomonimo distretto sud-occidentale,
a61''52'Nel21'21'W.
(23) Zephirin Gascon nacque in Canada nel 1826. Segui Mons. Tache, che nel
1859 lo invio alia Missione di San Giuseppe, al Gran Lago degli Schiavi. Compi
molti viaggi e fondo varie cristianita. Era magrissimo e gli Indian! lo battezzarono
Yaltri-gon, cioe il "pregante magro". Mori a San Bonifacio, all'eta di 87 anni, il 3
gennaio 1914.
(24) Lago del Canada centro-meridionale, che da il nome alia provincia omonima.
(25) Fiume del Canada settentrionale lungo Km 4045. Nasce dal Gran Lago degli
Schiavi e con direzione NNW sfocia nel Mare di Beaufort. E' navigabile per la maggior parte del suo corso e le sue valli sono ricche di foreste e di prodotti minerari.
(26) Jean Seguin nacque a Ennezat, vicino a Clermont-Ferrand, il 27 noveinbre
1833. Rimase nelle missioni del Nord per 41 anni. Mori in Francia, dove era stato inviato I'anno prima per curarsi la quasi cecita che I'affliggeva, I'll dicembre
1902.
(27) Evidentemente il Padre Eynard ha dimenticato di indicare con quale tipo di
moneta era stato pagato il canotto.
(28) Si deve intendere una tettoia un po' pnmitiva, sotto la quale si conservavano
attrezzi, prowiste, ecc.

221

(29) Emile Petitot, esploratore, etnografo, missionario francese, nato nel 1839,
morto a Mareuil-le-Meaux (Francia) il 20 maggio 1917. Dal 1862 al 1883 visse nel
Nord-Ovest del Canada fra le tribii indiane del Mackenzie e nel lebo prese contatto con gli Inuit (eschimesi). Esploro la regione situata a NW del Gran Lago degli
Schiavi e del Gran Lago degli Orsi e quella presso la foce del Mackenzie. Lascio parecchie opere e molti contributi scientifici che oggi, pero, hanno perduto un poco
della loro importanza a causa di varie affermazioni ingenue ed awentate.
(30) NeUe Missioni tenute dagli OMI c'e Tobbligo di scrivere un diario. Ne ho
consultati alcuni e li considero fonti insostituibili di informazioni.

222

ROSARIA RUSCICA
IL CONTRIBUTO DI LUIGI BALZAN ALLA CONOSCENZA
DELLA BOLIVIA SETTENTRIONALE

Luigi Balzan
, con una sowenzione della "Societa Geografica Italiana", compi un lungo viaggio d'esplorazione nelle regioni centrali del
Sud America, partendo da Asuncion il 30 dicembre 1890 e facendovi ritomo il 4febbraio 1893. Attraverso U Paraguay, I'Argentina, il Cile ed il Peru, egli raggiunse D cuore della Bolivia settentrionale dove esploro le Yungas (il versante orientale delle Ande) e la regione percorsa dal Beni e dal
Marmore, due fiumi appartenenti al bacino del Rio delle Amazzoni.
L a relazione di questo viaggio venne pubblicata, tra il 1891 ed il 1894,
sul Bollettino della Societa Geografica Italiana
e fu, poi, raccolta
in volume da Amaldo Fraccaroli nei 1931, con il titolo Viaggio d'esplorazione nelle regioni centrali del Sud America.
Al di la della minuta descrizione delle varie tappe dell'itinerario e delle
pagine di piu stretto cu-attere naturalistico, la parte per noi piu interessante di questa relazione e certamente quella concemente le condizioni
di vita deUa Bolivia nord-orientale, dalla quale risulta una tragica realta
intessuta di sottosviluppo e di violenza. Da quelle pagine emerge infatti il quadro di una zona ancora primitiva e povera, anche se dotata di risorse, che spesso non potevano essere valorizzate, per I'inesistenza di
vie di comunicazione imputabile al govemo, interessato soltanto alia
zona mineraria del paese, il che rendeva i prodotti locali non competitivi sul mercato ed era la causa di un'agricoltura ridotta quasi al livello di
pura sussistenza. Questo mondo aspro ed arretrato, in cui vigeva il piu
spietato sfruttamento deUa popolazione indigena e la legge del piu forte, richiamava il clima della frontiera americana ed il mondo dei cercatori d'oro.
L a relazione di Balzan ci da modo di conoscere come reagisse un uomo
di formazione ottocentesca messo a contatto con una realta cosi tragi-

225

ca ed e anche una preziosa testimonianza della posizione di un "progressista" (in qualche modo gia consapevole dei tragici effetti, per gli indios,
nei contatto coi bianchi) della fine dell'Ottocento, quando ancora vigeva una fiducia, tutta positivistica, nella validitadiprincipi, quali I'integrazione nella vita modema e la lotta contro I'analfabetismo, oggi riconosciuti come veicolo d'oppressione se non di autentico genocidio culturale.
Balzan si mostro infatti e proprio questo aspetto rende oggi particolarmente interessanteunarilettura delle sue note di viaggio dotato di una liberta di giudizio e di un'apertura mentale considerevoli per quel tempi di
trionfante colonialismo, nei quali dominava il mito della superiorita delI'uomo bianco. Egli considero negativamente un'economia fondata sulla
monocoltura ed i meccanismi della predicazione missionaria, condanno apertamente e decisamente gli abusi e la crudelta dei bianchi nei confronti
degli indios, anche se, e sarebbe pretendereunpo'troppo da un uomo del
suo tempo, non arrivo a mettere in dubbio i fondamenti di un sistema basato su uno sfruttamento di rapina nei confronti delle risorse degli indios
della Bolivia.
Insomma Balzan si rese conto delle spaventose condizioni di vita degli
indios, ma non fu mai sfiorato dall'idea dell'esistenza di una cultura India soffocata dall'uomo bianco e colpita da una crisi d'identita; leggendolo si ricava I'impressione che gli indios fossero ormai inevitabilmente inseriti nei sistema di vita dei bianchi, anche se in una posizione di assoluta inferiorita e spesso di effettiva schiavitii.
Balzan si limito a registrare e a condannare anche energicamente
la triste condizione degli indios, non comprendendo che all'origine di
essa erano le modicazioni deWhabitat e del loro modo di vivere, segiiite
al traumatico contatto coi bianchi.
Nonostante questi limiti oggettivi, dipendenti dall'epoca in cui visse, la
sua relazione conserva pero ancor oggi una sua triste attualita, poiche ci
testimonia che i moduli di comportamento dei bianchi nei confronti
degli indios non sono mutati neppure durante i decenni successivi al suo
viaggio in Bolivia.
A tutt'oggi in Sud America gU indios vengono sfruttati dai proprietari
terrieri e dalle compagnie minerarie e petrolifere a capitale^straniero e,
come un tempo, gli autori di delitti a danno degli indios non subiscono
sanzioni ed azioni giudiziarie: anzi, si sono avuti talvolta interventi degli
eserciti ordinati, quindi, dalle autorita per sterminare tribu che,
con la loro presenza, impedivano il pieno sfruttamento di certe zone.
II neo-colonialismo, con i condizionamenti imposti ad economia e politica dagli interessi stranieri, come ci testimonia Balzan, era gia vivo in
Bolivia alia fine dell'ottocento, mediante le monocolture della china

226

e della coca, lo sfruttamento del caucciu e delle risorse minerarie* da


allora, in Bolivia come nei resto del Sud America, ha soltanto perfezionato i suoi sistemi.
Per quanto riguarda I'opera dei missionari, di cui Balzan aveva gia acutamente individuato i limiti, solo negli ultimi anni si e creata, almeno nei
piu aperti di essi, la consapevolezza che I'insegnamento missionario ha
nei passato, piu distrutto che costruito, non essendo stato adattato in
qualche modo alle culture tradizionali. Per esempio, la concentrazione
degli indios nelle mission! ha provocato un forte calo della popolazione
soprattutto in conseguenza dell'impatto con malattie per cui gli indios
non disponevano delle adeguate difese immunitarie. In essi oggi si e
fatta strada anche la convinzione che, almeno, una parte della cultura
India debba essere salvata dalla completa distruzione.
Tuttavia, come nei secolo scorso, le missioni, nonostante i loro limiti
finiscono per costituire in alcuni casi un b2Lluardo contro il totale sfruttamento degli indios e del loro territorio da parte dei bianchi. Inoltre,
e proprio nei momento in cui la societa india comincia a disgregarsi
al contatto coi bianchi ed i suoi membri perdono fiducia in se stessi e
nella loro cultura, che le missioni assumono una certa utilita, a patto
che i religiosi non considerino piu I'evangelizzazione lo scopo essenziale
della loro attivita e che non mirino pertanto alia completa distruzione
della cultura indigena; Essi dovrebbero limitarsi, come gia auspicava Balzan, ad insegnare agli indios lo spagnolo, indispensabile come mezzo di
comunicazione coi bianchi, e quel poco della nostra civilta che puo essere loro di vera utilita, mettendoli, inoltre, in guardia dal voler imitare
gli aspetti piu deteriori del nostro sistema ai vita e dal divenire schiavi
di bisogni inutUi e dannosi, come i fucUi e gli alcolici, da cui sono purtroppo attratti.
Balzan trascorse oltre un mese nelle missioni Mosetenes del Beni e quasi
una settimana in quelle Guarayos del dipartimento di Santa Cruz. Ebbe
cosi modo di conoscere a sufficienza e di fomime, percio, un quadro
preciso anche a noi le condizioni e la vita delle missioni boliviane sul
finire dell'Ottocento. Si trattava di missioni non molto anticne, la loro
fondazione risalendo non oltre i primi anni del secolo X I X .
Le missioni del Beni erano ancora organizzate, grosso modo, sul modello di quelle gesuitiche del Sei-Settecento, come se il tempo per esse si
fosse fermato. II missionario era circondato da una grande deferenza
(ad esempio, bisognava rivolgerglisi secondo im cerimoniale prestabilito) e godeva di un potere assoluto, poiche il cacique ed i mandones, da
lui stesso nominati, si limitavano a trasmettere i suoi ordini agli altri

227

indiani.
L a giomata nelle missioni era rigidamente regolata e si snodava tra il
colpo di tamburo che alle otto chiamava al lavoro e la campana che, dodici ore piu tardi, suonava il silenzio. Celebrata la messa, il missionario
comunicava i suoi ordini mediante i mandones e il cacique che, alia sera, gli rendevano conto del lavoro svolto durante la giomata.
I neofitos (cosi erano chiamati gli indiani delle missioni del Beni) dovevano lavorare, altemativamente, una settimana per la missione,occupandosi delle colture e del bestiame, ed una per proprio conto, per lo
pill cacciando e pescando.
Le mancanze venivano punite a colpi di fmsta, ma per le colpe piu gravi esisteva una cella, che, secondo il conamento un po' ambiguo di Balzan, era certamente una "pena poco umana ed evangeiica ma (ed e
doloroso il confessarlo) anche Tunica utile con questa gente dal momento che si vuole privarli della liberta dei boschi e ridurli a vivere socialmente"(3).
Queste missioni costituivano un vero e proprio microcosmo, un mondo
chiuso in ee stesso con scarsi contatti con I'estemo. Infatti i neofitos
risalivano, solo due volte I'anno, il Bopi sino ad Irupana, per comprare, tra Taltro il sale che andavano a rivendere a Reyes. Invece al tempo
del "boom" della china sul Beni, le missioni avevano svolto, con notevole profitto, una loro fimzione economica, trasportando quel prodotto. I
neofitos compravano quanto loro occorreva (cotonine, coltelli...) dal
missionario, il quale si rifomiva a la Paz, in cambio di prodotti del suolo e del ricavato della vendita del sale.
Balzan ci offri dei Mosetenes un quadro ricco di notazioni etnologiche,
descrivendoci molti degli aspetti della loro vita quotidiana, dall'alimentazione (basata sulla mandioca e le banane arrostite ed integrata dalle
cami che si procurava cacciando) aUa caccia ed allarpesca, dall'abbigliamento (vestito tipico era il tipoi, confezionato, per lo piii, con le cotonine inglesi che avevano invaso i mercati del terzo mondo, sostituendo i manufatti locali) agli omamenti, dalle abitazioni ai lavori delle
donne, dai giochi dei bambini alia musica, dal linguaggio ai matrimoni,
che si celebravano molto precocemente per impedire, secondo Balzan,
disordini nelle missioni.
Secondo Balzan i Mosetenes non erano molto robusti a causa dell'insalubrita del clima caldo-umido, del forte consumo di chic ha, dei matrimoni fra consangulnei. Questa loro debolezza trovava riscontro nell'altissima mortaMta infantile ed in una maggiore ricettivita aUe malattie
epidemiche, come il vaiolo che, nei 1887, aveva devastate le missioni,
all'intemo delle quili erano assai diffuse la malaria, la tosse, le malat-

228

tie della pelle e la dissenteria.


Balzan condanno apertamente il funzionamento delle missioni, nei cui
ambito i religiosi avevano instaurato con gli indiani un rapporto puramente patemalistico, e la loro inutUita ai fini di un'autentica socializzazione degli indios, in vista di un loro futuro inserimento nella vita sociale e produttiva della Bolivia.
Infatti i missionari non si preoccupavano di far apprendere agli indios
10 spagnolo, limitandosi ad insegnare loro a pregare ed a cantare, ma pochissimo a leggere ed a scrivere; insomma, non fomivano loro gli stmmenti necessari a difendere se stessi ed i loro interessi, una volta che fossero entrati in un piCi stretto contatto col mondo dei bianchi.
L"'anticlericale" Balzan non poteva certo apprezzare quel continuo
pregare dei neofitos, persino ad ogni tocco di campana.
Inoltre era perfettamente consapevole della penetrazione solo superficiale degli insegnamenti dei missionari negli indios e scriveva: "In quanto ai neofitos, credo che dalla permanenza dei missionari fra loro, essi
non hanno appreso che a pregare: nessuna industria, nessun sentimento
morale. Se scomparisse I'idea dell'infemo tomerebbero forse ad essere i selvaggi d'altri tempi"
.
Unica eccezione positiva, il missionario tirolese che reggeva la missione
Guarayo di Yotaii, cercando di farla progredire: costui aveva chiamato
dei maestri perche insegnassero agli indiani vari mestieri, desiderando
che "si facessero uomini che non avessero bisogno di vendersi come
schiavi, il giomo che essi, i frati, fossero mandati via" (5). Questo timore trovava il suo fondamento nei fatto che i bianchi si mostravano osti11 alle missioni, essendo desiderosi di impadronirsi dei Guarayos, per poterli liberamente vendere, come altri gruppi indiani, ai padroni di gomales.
Tuttavia le missioni, anche se emarginavano gli indios, continuavano a
svolgere, nei loro confronti, quel molo di protezione contro le mire di
feroce sfruttamento da parte dei bianchi, che era gia stato dei Gesuiti
nei Sei-Settecento.
Balzan considero con interesse la situazione agricola del nord-est della
Bolivia, soffermandosi, tra I'altro, sulla coltivazione della coca, praticata nelle Yungas. che ben s'inseriva in quella linea di tendenza verso la
monocoltura
, di cui gli premeva sottolineare gli effetti negativi e
che aveva gia dato cattivi risultati con la china
.
L a coca era diventata, al posto della china, I'interesse dominante dei
proprietari delle fincas deDe Yungas, tanto che Balzan commento amaramente: "non vedono piu in la di essa"
.
L a zona, vivendo esclusivamente sul conmiercio della coca, doveva im-

229

portare tutto il resto.


I dipendenti delle fincas non venivano retribuiti in denaro, ma in natura, a seconda delle giomate lavorative effettuate. Banane ed alcune radici fatte seccare costituivano, insieme a poca came secca, tutta I'alimentazione dei peones (soprattutto negri, mentre pochi erano gli Aymara) e dei mayordomos (fattori), i quali ricevevano stipendi estremamente miseri.
Sulla produzione della gomma Balzan scrisse una vera e propria relazione, in quanto nella barraca Sant'Antonio, situata sul basso Beni, ebbe
modo di conoscere in tutti i particolari I'estrazione e la lavorazione della gomma, che veniva ricavata da una Siphonia delle Euphorbiacee.
Trovato il gonial, vi si aprivano le estradas che serpeggiavano da un albero di gomma all'altro, partendo dal centro, ove sorgevano il desfumador e le capanne del sorvegUante e dei mozos, ognuno dei quali era addetto ad una estrada. Nei periodi di ottobre-gennaio e maggio-agosto,
quando le piogge non le inondavano, i mozos lavoravano a picar le estradas, cioe praticavano dei tagli nella corteccia degli alberi e poi vi attaccavano le tichelas, contenitori di latta per raccogliere la gomma. L a
gomma liquida veniva, quindi, solidificata nei desfumador, mediante un
denso fumo, assai nocivo per i polmoni del mozo. In settembre,'i mozos preparavano le piants^oni, che fomivano mandioca, banane, riso e
granoturco a quanti lavoravano nella barraca, mentre nei mesi di febbraio, marzo ed aprile venivano impegnati nei raccolti e nei viaggi sul flume.
Balzan colse molto bene la terribile condizione di vita dei gomales, scrivendo: "L'uomo e calcolato una macchina, e tanto piu si apprezza
quanto piu e giovane, perche si calcola che ha meno probabUita di
morire" (^)I mozos veniveino retribuiti con una paga oscillante tra i 10 ed i 15
pesos (da 25 a 27 lire), ma alcimi gomeros li pagavano con marche di
metallo, che, poi, cambiavano in denaro scontando il 10 p)ercento;
oltre al vitto, ricevevano ogni mese dal padrone merci varie per un valore di 40 o piii pesos. II padrone, facendo leva su "la mania dell'indigeno di voler tutto cio che vede, senza far questione di prezzo, perche poco se ne intende" (1^) , induceva i mozos a contrarre sempre
nuovi debiti, che con quelle paghe non avrebbero mai potuto saldare, legandoli, cosi, sempre piii al lavoro nella barraca, ove vivevano come
schiavi.
II cibo del mozos era scarso e poco variato, limitandosi ai prodotti che
essi stessi coltivavano nelle piantagioni della barraca; solo raramente,
veniva loro distribuito del charqui (came di bue salata e seccata al sole.

che veniva importata da Reyes), molto diffuso e favorito dai padroni


era il consumo deWaguardiente e della chicha. Frequenti erano le malattie: daUa malaria alia dissenteria, daUe oftalmie pumlente alle piaghe,
favorite dalla scarsissima igiene.
In tali condizioni e poiche, inoltre, molti uomini erano stati portati,
con I'inganno o con la forza, da altre zone a lavorare nei gomales, erano frequenti i tentativi di fuga. Per coloro che venivano ripresi, vi era
la punizione della guasca, una corda di cuoio con cui si somministravano, in genere, dai cento ai duecento colpi. I padroni cercavano in ogni
modo di evitare la possibilita di fughe, impedendo ai mozos di allontanarsi, anche solo per cacciare (oltrettutto, non erano infrequent!
i casi di furti di mozos tra i padroni di barracas vicine); talvolta ricorrevano al sistema di tenere in ostaggio la famiglia di quel mozos, ritenuti
poco sicuri, che erano costretti a condurre nei viaggi sul Beni.
Se le condizioni di vita e di lavoro erano estremamente dure per gli indigeni i gomeros bianchi, abbrutiti dall'isolamento e dal tipo di vita,
conducevano anch'essi un'esistenza dura. I gomeros, nonostante che il
prezzo della gomma fosse rimunerativo ^^^^ , erano quasi sempre pieni
di debiti, a causa di un generalizzato alcolismo (si spendevano, in pochi
giomi, cifre altissime per gli alcolici) e di un'altrettanto diffusa tendenza al gioco, spesso di forti somme.
Sul Beni la legge non aveva alcun potere e vigeva il diritto del piii forte:
le frequenti controversie, che sorgevano per question! di occupazione
dei gomales o di donne, piuttosto rare nella zona, o di gioco, venivano
spesso risolte a colpi di Winchester.
Per la difficolta di condurre a Reyes i colpevoli di un crimine (occorreva circa un mese per andare e tomare) ed, inoltre, perche spesso le autorita di quelle localita avevano lasciato fuggire gli accusati o li avevano liberati, col pretesto che il crimine era awenuto in un'altra provincia,
sul Beni si preferiva farsi giustizia da se, in modo estremamerite barbaro.
In quanto alle frequenti uccisioni di mozos, originate da tentativi di fuga o da minime mancanze, esse non venivano punite, non essendo considerate reati, ma fatti d'ordinaria amministrazione.
Ai gomeros erano imputabili lo spopolam-ento, causato dalle razzie, di
numerosi villaggi del Beni, del Mamore e del Madre de Dios, ed il forte aumento della mortalita precoce negli indiani che lavoravano nelle estradas, sia per le fatiche ed i maltrattamenti sia per le malattie, la malaria in primo luogo. V i era un vero e proprio commercio di indios per
rifomire di manodopera i gomeros. Oltre che al caso del prefetto di Trinidad, Balzan accenno ai giovani delle tribii Araona e Toromona del Madre de Dios, venduti per 800 e 1000 lire, ed ai Maropa di Reyes, con-

230
231

dotti per lo piii con I'inganno, ubriacandoli, a lavorare nei gomales del
Beni.
L a posizione di Balzan, in merito alia condizione dei mozos del Beni, fu
di aperta condanna per gli abusi, gli inganni e gli atti di barbarie compiuti nei loro confronti dai bianchi, anche se scrisse: "Non cerchero
certamente di difendere gli Indiani impiegati nei lavori della gomma.
Rovinati dai bianchi e dai preti, pieni di vizi, non sono capaci ne di energia per sapersi difendere, ne di gratitudine in generale per chi h tratti bene, e sono sempre pronti ad abbandonare un padrone per prenderne un altro forse peggiore. Comprendo, benche mi ripugni il castigo
della guasca, dato che non vi e altro mezzo di castigare; ma non comprendo gli inganni e gli atti di barbarie che si commettono dai bianchi
su questo fiume" ^^^^ .
Talvolta i gomeros, in preda all'alcool, facevano somministrare ai mozos centinaia di colpi per puro divertimento. L a violenza impregnava
tutto: era divenuta un qualcosa di naturale, di quotidiano, cosicche
anche i bambini piu piccoli ne erano contaminati
Quanto agli impiegati delle barracas, si trattava, quasi sempre, di indivi-"
dui poco raccomandabUi, awenturieri degni di un bagno penale, ma,
proprio per questo, convenivano ai gomeros, essendo pronti a bastonare
i mozos senza pieta. I mozos bianchi erano pochissimi e, secondo Balzan, dovevano essere dei pazzi o dei delinquenti ricercati, poiche avrebbero potuto vivere meglio e guadagnare di piii in paesi piii "civUizzati".
A meno di una quindicina d'anni dall'inizio dei lavori nei gomales
del Beni, Balzan denunciava uno sfruttamento intensive di rapina estremamente miope, tutto teso alia realizzazione di aiti profitti immediati, senza quasi alcuna preoccupazione per la conservazione delle plante(14).
Cosi, in pochi anni, i gomales piCi prossimi al fiume erano gia quasi
esauriti, per I'avidita e la rapacita Aei gomeros che si trovavano pertanto
costretti a cercare la gomma "a qualche lega dalla sponda e spesso a
passare la pampa fino a trovare qualche bosco che corrisponda agli affluenti del Madre de Dios sulla sinistra o del Biata o del Genesuaya sulla destra" (^^^, col pericolo di un conflitto con i gomeros del Madre
de Dios, per question! di proprieta sui gomales.
II bacino del Beni esportava soltanto gomma; altri prodotti, come il cacao, abbondante e d'ottima qualita, non erano esportabili per I'alto costo dei trasporti, che li rendeva non competitiv! sul mercato intemazionale. Parimenti, I'alto costo dei trasporti (bisognava risalire le rapide),
oltre che in denaro, anche in vite umane (gli equipaggi venivano decima-

232

ti dalla malaria), unito aU'esosita dei commercianti, rendevano le merci


assai care sul Beni.
Se era molto pesante la condizione degli indios che lavoravano nei gomales, non era certo facile la situazione di quell! che vivevano nei centri
abitati, svolgendo i lavori piu umil! e gravosi. Gli indios visti da Beilzan
a la Paz lavoravano come fleteros (trasportatori con asini, muli o lama),
aparapitos (facchini) o pongos (servi per i bass! servizi di casa). Questi
ultimi venivano affittati come bestie: prima del divieto delle autorita lo
si era fatto apertamente, con annunci sui giomali.
L a manodopera Indiana era molto a buon mercato. Cosi, a Reyes (dove lavoravano nelle chacras di canna e granoturco o come boyeros),
erano rari gh indiani liberi, trovandosi quasi tutti in una posizione di
schiavitii nei confronti dei loro padroni, a causa dei debiti contratti con essi (in conseguenza delle paghe di fame ricevute), che non riuscivano a pagare nei corso d! tutta la loro vita.
Balzan colse e descrisse gli indios pure in momenti-chiave della vita associativa, durante i mercati e le feste, da quelle religiose al camevale. E gli si trovo, infatti, ad assistere a varie feste, tra cui quella della Trinita a Trinidad, culminante in una primitiva e spesso tragica corrida ^-^^^ .
Non nutrendo, probabilmente, un grande interesse per queste forme
d'espressione degli indios, Balzan, pur concedendovi un certo spazio,
non diede la giusta importanza alle feste, che rappresentavano gli unici
moment! di sfrenamento ed oblio e quindi anche d! genuina ed autentica creativita culturale, nei corso di un'esistenza quotidiana molto
dura. Non riuscendo a comprendere quelle musiche, prese le distanze,
ora ironico, ora annoiato e disturbato dalla monotonia dei suoni e delle
danze che le accompagnavano, mostrandosi, una sola volta, interessato
alia danza dei macheteros, vista a Trinjdad.
Sostando, per periodi piu o meno lunghi, in centri bolivian! dalle dimension! diverse, Balzan ebbe modo di farsi un'idea del sistema di vita
delle persone cosiddette "civili". Ne risulto un'immagine certo non lusinghiera per i bolivian!, soprattutto per quell! che vivevano nelle zone
pill remote dell'intemo. Egli riconobbe ai bolivian! una sola buona qualita, I'ospitalita generosa verso il forestiero, che egli stesso sperimento
nelle soste, spesso molto lunghe, per motivi di forza maggiore, del suo
viaggio, essendo ospite di privati, per la mancanza di locande. Per il
resto, non fu certo tenero verso le abitudini locali, dall'alcolismo
quasi universalmente diffuso ed a Reyes, adirittura, ostentato all'oziosita (17), ed ai costum: sessuali molto hberi, almeno secondo la morale vittoriana del tempo.
L a condanna di Balzan si fece molto dura nei confronti dei detentori

233

del potere, clero ed amministratori locali, e delle loro frequenti connivenze.


"Non parlo del clero di questi paesi, egli disse perche bisognerebbe scriveme un volume" ^^^^ , e come esempio ricordo una funzione religiosa della settimana santa, svoltasi ad Exaltacion de la Cruz e conclusasi, in modo a dir poco insolito, col sacerdote che aveva insultato
le donne presenti.
L a presenza del clero secolare, subentrato ai Gesuiti dopo che questi
erano stati allontanati dal paese nei 1767, aveva significato per gli indios
un peggioramento delle loro condizioni di vita. In merito, Balzan cito
I'esempio della fallita rivolta del 1887 dei Mojos della zona de Trinidad
ribellatisi a causa delle violenze perpetrate a loro danno
dai bianchi con la complicita del clero , i quali erano stati sorpresi
nella chiesa di Trinidad e presi a tradimento. Amara e decisa fu a questo proposito la condanna di Balzan: "Bella cosa questa prendere a tradimento nella chiesa quegli infelici, che alia fine non agivano che in loro difesa, mentre attendevano a quelle pratiche, che noi bianchi, civilizzatori, abbiamo loro imposto! E che moralita quella di certi preti,
che carita cristiana!"
In quanto agli amministratori , Balzan segnalo il caso "esemplare" del
prefetto di Trinidad, uomo religiosissimo che non mancava mai a messe e processioni ^"^^^ e "che diceva che alFinfuori della religione cattolica non vi era civilizzazione possibile" (^i), il quale aveva venduto ad
un gomero del Beni, per 80.000 lire, cento uomini del territorio da lui
cimministrato i cui interessi avrebbe, quindi, dovuto tutelar^ ed aveva fatto prelevare dalle truppe coloro che, non volendo pan-ire, si erano rifugiati nella chiesa.

Note

(1) Luigi Balzan (Badia Polesine, 1865 Padova, 1893) studio Scienze naturali ali'Universita di Padova ed insegno Fisica e Scienze naturali al "Colegio Nacional" di Asuncion del Paraguay. In tale veste egli raccolse esemplari zoologici
per il "Museo Civico di Scienze Naturali di Genova" e pubblico un trattato scientifico dal titolo Revisione dei pseudoscorpioni del bacino dei fiumi Parana e Paraguay.
Notizie relative alia vita di Balzan sono reperibili in: L . B A L Z A N , Viaggio di esplorazione nelle regioni centrali del Sud America, Milano 1931, pp. VII - X I X (introduzione di A. F R A C C A R O L I ) ; C . T O M A S E L L I , Luigi Balzan, pellegrino tra due oceani, Torino 1933, pp. 1 - 16, 144 - 10; Bollettino della Societd Geografica Italiana, ottobre-novembre 1893, pp. 919 - 20.
Lettere inedite di Balzan indirizzate a Raffaele Gestro e a Giacomo Doria sono
conservate in un fascicolo del fondo Doria presso il "Museo Civico di Scienze Naturali di Genova"
Manca uno studio approfondito e critico delle relazioni di Balzan; infatti gli scritti pubblicati durante il fascismo erano pervasi da un tono apologetico e non uscivano dall'ambito del generico compianto e dell'enfatico elogio dell'esploratore perito in giovane eta.
(2) Con questa collocazione: Bollettino della Societd Geografica Italiana, 1891,
pp.452, 561, 725, 911; 1892, pp. 232, 495, 570, 991; 1894, pp.61, 695.
(3) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p.l61.
(4) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 195.
(5) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 340.
(6) Con il sistema deUa monocoltura una zona veniva a trovarsi, con conseguenze
facUmente immaginabili dal punto di vista economico, completamente esposta ai condizionamenti del mercato in temazionaleedallevariazioni diprezzo,cheinessosiproducevano . La concorrenza della china prodotta a Giava, a condizioni piii vantaggiose,

234

235

segno la decadenza della zona boliviana interessata a tale produzione, cosi come
sarebbe, poi, accaduto col caucciu malese, meno costoso di quello sudamericano.
(7) Con la coltivazione della china, iniziata neUa zona poiche si pensava ad un imminente esaurimento della china spontanea, si perdettero somme enormi, per la
mancanza di vie di comunicazioni rapide.
(8) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 103.
(9) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 255.
(10) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 222.
(11) n prezzo della gomma era soggetto a frequenti ed improwisi cambiamenti,
dipendenti dalle oscillazioni sul mercato internazionale.
(12) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 297.
(13) Balzan citava il gioco di alcuni bambini, uno dei quali raffigurava un mozo
in fuga, che veniva ripreso e punito con la guasca, per ordine del figlio del padro-*
ne, un bambino di soli quattro anni.
(14) L a durata di un albero, e quindi di un'estrada, dipendeva dalla distanza a cui
si coUocavano le tichelas. In media, dopo circa tre anni, si lasciava riposare Vestrada per alcuni anni, prima di picarla nuovamente. Alcuni, pero, collocando le tichelas
troppo vicine o facendo saltare la corteccia, invece di limitarsi ad inciderla (e provocando, cosi, una ferita difficile da sanare), rovinavano irrimediabilmente le piante.
(15) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 295.
(16) I tori, ricoperti da gualdrappe ornate di monete d'argento di cui gli indios
dovevano impadronirsi, venivano lasciati liberi sulla piazza, se non correvano venivano castrati e I'ultimo toro veniva squartato vivo dagli indios. L'autorita faceva distribuire, davanti alia chiesa, Vaguardiente che doveva rendere piii coraggiosi gli indiani.
(17) Gli estancieros di Reyes dedicavano il loro tempo aU'aguardiente, al gioco,
ai combattimenti di galli ed alia maldicenza (molto diffusi erano i libelli).
(18) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 317.
(19) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 324.
(20) Balzan ne conto ben quaranta in quattro mesi e commento: "le festivita
religiose non erano rare: il prete parroco deve ben raccogliere!". Secondo Balzan,
i preti avevano favorito I'alcolismo degli indios per meglio dominarli.
(21) L . B A L Z A N , Viaggio cit., p. 325.

236

G R A Z I E L L A BARENGHI
I L CONTRIBUTO DI EDOARDO Z A V A T T A R I
A L L A CONOSCENZA D E L L ' A F R I C A O R I E N T A L E

1 7 viaggi.
L'appellativo di "Giramondo", con il quale amava qualificarlo Giotto Dainelli, ben definisce la personality di Edoardo Zavattari. (D
"Medico e naturalista, specialista in medicina tropicale, dotato di una
notevole resistenza fisica" (sono parole sue), svolse la sua attivita di
studioso della natura, intesa nelle sue varie manifestazioni, compiendo
numerosi viaggi durante tutta la sua vita.
Egli riteneva di poter trarre concretamente dei frutti e di poter approfondire con buoni risultati i suoi studi solo vivendo direttamente a contatto con animali, piante, fenomeni naturali, genti, che costituivano
I'oggetto delle sue ricerche, e non studiandoli in condizioni artificiali,
"tra le pareti di un laboratorio".
I primi viaggi intrapresi nei paesi europei, per presenziare a congressi
e riunioni scientifiche di medicina tropicale, gli offrirono la possibilita di crearsi le basi per la sua attivita di ricerca, compiuta in seguito nei
paesi tropicali.
Dopo la prima guerra mondiale si reco, infatti, nell'Africa settentrionale, nelle isole del Capo Verde e nelle isole Canarie.
Durante Testate del 1925 visito Dakar, quindi la Senegambia, la Guinea francese, la Guinea portoghese, la Sierra Leone, la Costa d'Avorio,
il Dahomey. Si addentro quindi, per la prima volta, nelTimmensa foresta tropicale, risalendo per un tratto il corso inferiore del Niger, passo
poi a visitare il Camerun e concluse il suo viaggio nei Gabon.
Trascorse cinque mesi nei paesi del Golfo di Guinea e i risultati dei suoi viaggi e
delle sue ricerche furono ricche di collezioni zoologiche, osservazioni
biologiche, ecologiche ed etnologiche, studi e ricerche suUe malattie
tropicali e gli agenti patogeni, quali glossine e tripanosomi.

239

Nei 1927 visito i territori settentrionali della Tripolitania e nei 1929


compi I'esplorazione della Cirenaica. Come primo biologo italiano,
nell'estate del 1930, incomincio I'esplorazione della terza provincia
libica, il Fezzan, esplorazione che porto a compimento soltanto nei
1935.
In questo arco di anni visito ed esploro il Fezzan, spingendosi fino alia
lontana oasi di Gat; visito poi le oasi di E l Gatrun e Tejerhi ed infine,
completando cosi la ricognizione del territorio sahariano^^) riconquistato dalle truppe italiane nei 1930, raggiunse I'ancora inesplorata oasi
di Marada, I'arcipelago di Cufra e I'oasi di Gialo.
In seguito alle notizie che Zavattari riporto al suo ritorno in patria riguardo la Libia, il patrimonio antropico, faunistico, floristico di questa terra, e in seguito alia sua acuta ed approfondita analisi dei caratteri
biogeografici del Fezzan
, la Societa Geografica Italiana promosse altre spedizioni aventi come scopo I'esplorazione di questo territorio
del Sahara italiano.
Sempre in questo periodo Zavattari prese parte anche ad una missione
scientifica organizzata dal Ministero delle Colonie alio scopo di studiare la patologia del bassopiano occidentale eritreo; a questa spedizione,
guidata dal prof. U . Gabbi, egli partecipo assumendosi il compito di ricercare materiale zoologico e parassitologico.
In tre mesi di ricerche nei territorio compreso fra il Gasc e U Setit, egli giunse ad important! risultati, ma soprattutto rilevo in Eritrea la presenza dell'"Anopheles Gambiae", la terribile zanzara portatrice della
malaria.
Quando le mire espansionistiche dell'Italia si rivolsero all'Etiopia, il "giramondo" Zavattari mise al servizio del regime la sua esperienza di esploratore e naturalista, il suo amore per i viaggi e per la vita dei tropici, la sua capacita di awicinarsi, con mentalita di scienziato e sensibilita di poeta, ai fenomeni imponenti della natura come al piu piccolo degli insetti e delle piante.
Infatti, dal febbraio al luglio del 1937, si svolse la spedizione da lui organizzata e guidata nei paese dei Borana, una regione dell'Etiopia meridionale, ai confini con il Kenia, la Somalia e i laghi Equatorial!. E r a
questa una regione sconosciuta e che, per la sua natura di paese tropicale presentava, per I'esploratore, difficolta e ostacoli, ma anche interessanti novita, fenomeni ignoti ed affascinanti, font! per studi e ricerche,
possibilita di apportare iimovazioni utili soprattutto in campo sanitario
e, ai tempo stesso.di rivivere la semplicita e il piacere di una vita nella
natura incontaminata.
Tutte queste missioni in Africa Orientale, promosse dal fascismo, ave-

240

vano pero lo scopo principale "eseguire sono parole dello stesso Zavattari una ricognizione generale del territorio alio scopo di tracciare un quadro biologico complessivo, vale a dire precisame le condizioni
general! entro le quali s! svolge la vita e quindi valutame la componente floristica, faunistica, antropica, sanitaria, al fine di definime le caratteristiche ambientali in funzione delle possibilita di esistenza delle popolazioni sia bianche che di colore".
Un'altra spedizione in Africa orientale, organizzata da Zavattari per incarico dell'Accademia d'Italia, fu definita "missione biologica SaganOmo", perche ebbe come scopo I'esplorazione della zona compresa fra
il corso di questi due fiumi, sempre in territorio etiopico, al confine con
Kenia, ed ebbe inizio nei 1939. Ma, essendo scoppiato, nell'estate di
quello stesso anno, il conflitto fra Inghilterra, Francia e Germania, per il
conseguente irrigidimento diplomatico dell'Italia nei confronti dei suoi
vecchi alleati nella prima guerra mondiale, anche la missione Zavattari
dovette subire un arresto e si concluse prima del previsto.
I risultati ottenuti furono comunque notevoli ed assai important!, anche
se, essendo stata soppressa, nei 1944, la Reale Accademia d'ltalia, venne
vietata la pubblicazione dell'intera opera di Zavattari, con la relazione
completa e dettagliata di questo viaggio, del quale possiamo essere infatti informati solo attraverso il testo di alcune sue conferenze.
II mancato riconoscimento dell'importanza di questa sua spedizione
rappresento una delusione per Zavattari: notevoli, infatti, erano state
le scoperte compiute, compresa quella della vera natura del cosidetto
Lago Stefania.
Nei 1949 egli aveva pero gia ripreso i suoi viaggi in Asia e in Africa. Nelle estati del 1949 e del 1950 visito infatti il Golfo Persico. Fra U 1951 e
il 1957 compi numerosi viaggi in India.
Nei 1953 fu in Eritrea, per il congresso estafricano di medicina ed igiene tropicale, tenuto all'Asmara dal 30 marzo al 5 aprile; quindi visito
Ceylon, il Golfo del Bengala, il Pakistan.
Nei 1955 percorse le regioni dell'Africa orientale, partendo da Mombasa
e concludendo il suo viaggio al Capo di Buona Speranza.
Ritomo in Asia ne) 1957, visitando la Malesia, I'lndonesia, le Filippine
e la Cina. Intanto, in questo stesso anno, porto a termine la ricognizione
delle isole Pelagie, nei Mediterraneo meridionale, iniziata nei 1955. Nei
1958 ritomo nei paesi del Golfo di Guinea, queUi che avevano tenuto
a battesimo la sua vita di "giramondo" e biologo tropicale.
I suoi studi, le sue ricerche, le sue scoperte nacquero e si alimentarono
percio, sempre, dal vivo e reale contatto con 1'ambiente e i popoli che
desiderava studiare, perche: " E ' solo esplorando il paese sono sem-

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pre sue parole che e possibile penetrame e comprendeme le reali condizioni e le piii tipiche caratteristiche, e possibile tratteggiame il quadro
vivo e reale, quale scaturisce soltanto dallo studio condotto sul posto".
2 Immagini di vita nei Sahara nelle relazioni di Edoardo Zavattari
sui suoi viaggi in Libia.
Dai suoi viaggi in Libia Zavattari riporto interessanti notizie sugli usi e i costumi di alcune tribii del deserto, in
particolare dei Dauada, una tribu fezzanese che viveva quasi isolata in
prossimita dello Uadi-el Agial.
Con le sue ricerche ed i suoi studi egli riusci, infatti, a spiegare, attraverso la scoperta di una consuetudine di questo popolo, il motivo per cui
esso non aveva nessun contatto con le altre tribii. 11 cibo principale dei
Dauada era il duda, un verme che le donne pescavano in piccoli laghi salati, ricchi di un minerale che si chiama "natron", non lontano dal loro
villaggio.
Sulla natura di questo verme erano state avanzate delle opinioni contrastanti dagli studiosi e dagli esploratori precedent!.
Mentre gli esploratori piu antichi avevano sostenuto che si trattasse di
un crostaceo, il Duveyrier, "il grande illustratore dei T u a r e g " e d
altri avevano affermato trattarsi della larva di una piccola mosca. Zavattari, studioso anche di entomologia, verifico che, in realta, il duda era
un piccolo crostaceo, 1' "artemia salina", presente, in enormi quantita,
nelle acque di quel laghetti.
Di questo crostaceo i Dauada facevano anche oggetto di commercio.
Apparentemente questa constatazione sembro non presentare nessun altro risvolto di natura etnologica, tuttavia permise di spiegare la condizione di isolamento in cui i Dauada si erano venuti a trovare dopo il
loro insediamento presso quel laghi.
Poiche le donne delle tribu sahariane vicine ad essi non praticavano assolutamente la pesca di tale verme, anzi la consideravano, con il suo
commercio, "un lavoro spregevole", qualunque legame, e, il matrimonio, in particolare, con i Dauada, era loro vietato; e siccome le genti di
altre "cabile", o tribii, evitavano i contatti con i Duada, essi vissero
sempre abbandonati a se stessi ed isolati.
Particolarmente significative e suggestive sono anche alcune impression!
che lo Zavattari riporto dal suo approccio con la natura e con la vita del
deserto: "II Fezzan egli scrive sintetizza nell'accentuazione piii palese e piii fortemente marcata tutto quanto di piu desertico si trova sulla superficie terrestre, che supera per la pandiosita e la tragicita del suo
squallore ogni altro deserto del nostro pianeta". ^^^^

EgU sottolineo in particolare, con discutibili considerazioni, che ci possono ricordare la sua adesione alle teorie razziste allora in auge , come
I'atmosfera ed il clima del deserto possano influenzare la psicologia del
Sahariano ed il suo modo di vita: " L a calma del giomo nei deserto, infatti, opprime la mente che, rimasta come oppressa sotto il peso del sole, rimasta come assopita dall'uniformita del terreno, rimasta come assente per la mancanza di sensazioni variate, si rawiva alia frescura della notte, e solo allora e in grado di formulare pensieri e giudizi".
Secondo Zavattari, il Saharianoe per natura un contemplative;il mondo
che lo ctrconda non gli offre grandi variazioni, tanto uniforme, piatto
ed incolore il deserto si presenta ai suoi sensi, estremamente vivi, solo
come forma; I'uomo del deserto tenderebbe, allora, a ricordare la forma
delle cose viste, non il colore o qualche altra caratteristica, poiche gli
verrebbe a mancare"lo stimolo che porti la sua mente a spaziare in campi decisamente diversi". ^^^^
II Tuareg o il Dauada o qualsiasi altro figlio del deserto ricordano, egli
sottolinea, un sasso visto nell'immensa distesa di sabbia e lo saprebbero
riconoscere a distanza di tempo. Ma tutto questo fa si che essi si abituino difficilmente al "diverse" e che il loro soggettivismo "facilmente digradi in una specie di ostilita centro il resto del mendo".(i3)
Tra i Tuareg egli scopri una societa di tipo matriarcale, nella quale la
donna, anziche lavorare nei campi o compiere mansioni pesanti, accudiva alia casa ed ai figli, stava a vise scoperte, (mentre era I'uomo ad
avere il vise velato) ed in qualche modo era considerata un essere superiere, o almeno, importante; ed incontro uomini dalla ricchissima e viva religiosita, i quali, awertendo di continuo, nella pace del deserto, il
sense dell'infmito e la paura deU'igneto, prevavano piii degli altri il bisogno di credere in im'entita superiore e trascendente: "D Sahariano si
modella sopra il deserto, su di quello forgia il suo carattere e plasma la
sua psiche, cosi da divenire perseverante, inflessibile e mde".
Z La spedizione nei Paese dei Borana. Al tempo della spedizione Zavattari, il Paese dei Borana era presseche sconosciuto, ma la sua importante posizione di territorio di confine, via di comunicazione fra le regioni dei laghi equatoriali, la Somalia e la cesta sull'Oceano Indiano, ne
rendevano sempre piii necessaria ed urgente I'esploraziene, soprattutto
dopo la nostra conquista dell'Etiopia. F u cosi organizzata una spedizione, affidata a Zavattari, con lo scopo ufficiale e dichiarato di studiare
I'ambiente floristico, faunistico e antropico di quel territorio, ma con
I'ebiettive, al tempo stesso, di compieie pure una "valutazione, saggiamentevagliata,delle molteplici possibilita di ogni sviluppo ulteriore".

242
243

La spedizione sbarco a Mogadiscio il 20 febbraio 1937.


Dopo una decina di giomi di sosta, necessari per ulteriori preparativi, il
3 marzo. i suoi component! partirono, facendo tappa a Baidoa, Lugh-Ferrandi, Dolo, Bogolmagno e Filtii, localita che furono visitate senza soffermarsi a lungo.
Da Lugh-Ferrandi essi seguirono la riva destra del Giuba fino a Dolo,
quindi, costeggiemdo il Daua Parma fino a Malca Dida, penetrarono nella foresta tropicale, proseguendo poi verso occidente, lontano dal fiume, fino a Bolgomagno, nella plana somala meridionale, dove Zavattari
noto le ricche coltivazioni dei territori circostanti.
Entrarono cosi in una Valletta disseminata di pozzi, a quattrocento metri sul livello del mare, e con qua e la qualche "tucul".
I component! della missione constatarono che si trattava di un paesaggio desertico dal punto di vista antropico. Trovarono, pero, abbondante
materiale faunistico, che sarebbe stato oggetto di raccolta e di studio.
Passato Bogolmagno si delineava il "Tavoliere Borana", caratterizzato
da ricca vegetazione a savana e pascoli estesi.
Filtii fu un'altra tappa, situata a circa millecentocinquanta metri d'altezza, in cui sostarono, prima di raggiungere, I'S marzo, Neghelli, la
sede dell'intendenza del govemo dei Galla e Sidama, e che sarebbe diventata la base da cui partire e a cui ritomare, dopo I'esplorazione del
territorio circostante; Neghelli era inoltre im centro nevralgico da cui si
dipartivano le strade verso i territori meridionali abitati dai Galla e Sidama e la via che portava alia costa.
II 15 marzo partirono aUa volta di Manca Guba, passaggio obbligatorio
per raggiungere i territori sud-occidentali dell'Etiopia. Nei corso di
questo viaggio incontrarono, sulla sinistra del fiume, alcuni "harisc" e
"tucul" ed un piccolo presidio militare.
Ritomati a Neghelli, il 21 marzo, dopo due settimane di sosta, piuttosto
fmttuosa in quella zona,(^^) ripresero il viaggio alia volta di Meta Gafersa, un villaggio posto a millesettecentocinquanta metri d'altezza, composto anch'esso di "tucul" e "harisc" sparsi sul fianco di xm monte che
domina la sottostante pianura di Arero, popolata da grandi mammiferi,
che costituirono per loro ricco materiale di osservazione. Fermandosi a
Meta Gafersa, che costituiva anch'essa una base mUitare, Zavattari ebbe
moao di osservare il tipo di vita cne conducevano quegli indigeni, ^''^^
i loro costumi, le loro abitudini e di approfondirne anche la psicologia
individuale, di studiare il tipo di societa che erano riusciti ad edificare,
le loro tradizioni cultural! e religiose.
II 14 aprile la spedizione ripartiva, con destinazione Javello, che si trovava a milleottocentosettanta metri, in una vallata chiusa ad occidente

244

ed a settentrione da catene di monti e di fronte alia quale, verso oriente


e verso mezzogiomo, si distendeva la savana.
Questa parte del tavoliere Borana era morfologicamente assai varia, dal
momento che in essa si alternavano zone pianeggianti, zone di alt! rilievi e zone depresse: il paesaggio si prestava, percio, mirabUmente, nella
sua ricchezza e varieta di aspetti, di manifestazioni, di color!, ad un attento studio delle sue diverse ed interessanti caratteristiche.
II 2 maggio Zavattari, Cufodontis e Maestri, sempre scortati da guide indigene o da Ascari, si rimisero in viaggio per raggiungere un altro centro
del tavoliere Borana, Mega.
Per arrivare alia valle di Mega si doveva attraversare la savana, venendo
a contatto con la sua intensa vita animale, fino a Dubuluc, poi si saliva per r^giungere I'esteso anfiteatro che abbracciava Mega alta, a ottocento metri e, piii in basso. Mega bassa, centro carovaiiiero e nodo in
cui si incrociavano le strade che univano il Kenia col centro dell'Etiopia.
Insieme con i Borana, i Conso ed i Burgi, a Mega bassa vivevano, in
piccoli nuclei, anche alcuni Amhara, gli antichi dominatori dell'Etiopia
sud-occidentale, i quali praticavano il commercio soprattutto del sale,
ricavato da due saline situate vicino al loro villaggio.
II 10 maggio, dopo aver affrontato un viaggio definite da Zavattari
"uno dei piii faticosi e disastrosi della nostra campagna"(^^\ro, su di un poggio, posto a millecentodieci metri di altezza, Moyale, al
confine fra Kenia ed Etiopia, che era allora segnato da un piccolo torrente: il paesaggio che si offriva ai loro occhi e che sarebbe stato oggetto delle loro escursioni e ricerche era quello tipico della savana dell'Africa equatoriale, arido o a boscaglia xerofila.
Potendo anche visitare la Moyale inglese, posta su di un poggio di fronte, essi raccolsero abbondante materiale, soprattutto fra la fauna acquatica, che viveva nei pozzi disseminati nella zona.
Si concludeva cosi il viaggio di esplorazione nei Paese dei Borana.
Infatti, superando contrarieta ed ostacoli vari incontrati nei viaggio di
ritomo, il. 29 maggio Zavattari, Cufodontis e Maestri erano nuovamente
a Neghelli.
Le numerose osservazioni compiute da Zavattari e dai suoi compagni di
viaggio, durante la loro spedizione nei Paese dei Borana, furono raccolte in quattro volumi pubblicati nei 1940 dall'Accademia d'ltalia e
grazie ad essi e possibile tracciare im quadro piuttosto dettagliato di
quel territorio e delle sue popolazioni.
Posto ad un livello medio di circa mille metri sul mare, il tavoliere bora-

245

na costituisce la parte sud-occidentale dell'altopiano somalo.


Morfologicamente si presenta molto vario, dal momento che verso sud
e verso il mare va degradando, mentre si eleva notevolmente di fronte
all'acrocoro etiopico e presso la regione dei laghi Galla.
Infatti e dopo Bogolmagno che il terreno, prima pianeggiante, comincia a salire, assumendo anche il tipico aspetto e la tipica vegetazione del
paesaggio montano, con rilievi che si altemano ad ample conche e vallate, boschi di conifere, estese praterie, tali da creare quell'orizzonte che
gli abissini chiamano "woina dega", od "orizzonte dei boschi mesofUi",
il quale, elevandosi sempre di piu, diventa solo "dega", cioe "prateria".
E ' questo il paese delle genti Galla.
Piii a nord iJ paesaggio montano e solcato da una ricca rete idrografica,
che alimenta anche una vegetazione assai lussureggiante, dove vive vma
fauna decisamente etiopica. I n questo territorio abitano genti appartenenti al ceppo degli Arussi e a quello dei Sidama.
II Daua Parma e il solo fiume che scorre quasi completamente nei Paese dei Borana; gli altri, che scorrono in parte in questo territorio o ne
bagnano i confini, sono il Sagan e il Ganale Doria.
Per quanto riguarda la climatologia del Paese dei Borana, le osservazioni compiute dalla missione Zavattari sono assolutamente concordant!
con quelle rilevate durante la seconda spedizione del Bottego.
Infatti, tenendo conto che nei Paese dei Borana la stagione delle piogge
non coincide ne con quella dell'altipiano etiopico ne con quella dell'altipiano somalo, bensi, anche dal punto di vista della condizione climatologica, questa regione costituisce fra le altre due una fase di transizione, bisogna tenere presente che, mentre nei territori piii orientali le
piogge incominciano prima, piii intemamente e a settentrione cominciano a fine giugno. Quindi, mentre nelle zone elevate il clima del Paese
dei Borana e molto simile a quello dell'Italia insulare, sotto i mille metri esso e decisamente un clima tropicale.
Tenendo costantemente presente che, morfologicamente, il Paese dei
Borana offre due aspetti opposti, una zona montana ed una pianeggiante, ricordiamo che anche la vita vegetale e quella animale presentano opposte caratteristiche, in perfetta corrispondenza con I'ambiente fisico.
Mentre nelle verdi macchie dei boschi di conifere e ginepri vive una fauna tipicamente montana, nelle valli e nella zona pianeggiante, dove
prevalgono la savana prateria e la savana bosc^lia, vivono grossi felini,
scimmie, antilopi, rosicanti, giraffe, zebre e numerose specie di uccelli.
Manca, dunque, nei Paese dei Borana, tranne che nelle sottili fasce
lungo i fiumi, il caldo orizzonte deDa foresta tropicale vera e propria,
quello che gli Abissini chiamano "quoUa".

246

Le popolazioni che Zavattari ed i suoi compagni incontrarono, durante


il loro viaggio nei Paese dei Borana, appartenevano al grande ceppo
Galla, quali i Borana e i Giam Giam, o al ceppo nilotico quali i Conso, i
B u i ^ e i Darasa. Zavattari, nella valutazione dell'elemento demografico, non tenne in nessun conto i piccoli nuclei di Amhara, che vivevano
nei villaggi e che pure erano stati, all'inizio del Novecento, i primi conquistatori del paese. Oltre alle genti locali ed indigene, nei villaggi piu
important! come Javello, Mega, Neghelli e Moyale, vivevano in armonia con gli altri piccoli gruppi Somali, che praticavano il commercio
dei prodotti del suolo e di manufatti, viaggiando continuamente da e
verso la costa.
Sempre tenendo conto della base culturale ed ideologica su cui si fondava I'interesse, pur molto vivo, che Zavattari nutriva per queste genti, vediamo come egli ci descrive la loro vita, i loro usi e costumi:
"Di belle forme, alt! e slanciati, con corpo flessuoso e robusto, con lineament! assai fini e affatto negroidi, la pelle di colorito bruno cioccolato non molto scuro e per nulla tendente al nero"(^^\ Borana vestivano mantelli (fute) variopinti, adomandosi di coUane e braccialetti, e altri ornament! i quali spesso stavano ad indicare che colui che li
portava aveva ucciso un nemico o un grosso animale.
Gli uomini erano pastori ed allevatori, e "sdegnosi di ogni lavoro manuale" lasciavano i lavori piii pesanti alle donne, "onde costantemente
accade di incontrare coppie di Borana, racconta Zavattari di cui
I'uomo cammina spedito e porta come suo unico bagaglio lalancia o il
bastone, mentre la donna si trascina curva sotto il peso della legna o
delle prowiste, o delle masserizie; od anche accade di vedere I'uomo a
cavallo del ciuco e la donna carica trotterellargli a fianco"
II Borana era nomade, quindi abituato a vivere all'aperto e a dormire
ai pied! di una pianta, se viaggiava solo; se invece compiva viaggi lunghi, portando con se la famiglia, si costruiva una capanna dove sostava.
Al villaggio, dove rimanevano le donne e dove il Borana praticava il
commercio, vi erano le vere e proprie dimore, capanne a pianta circolare,
i "mundul", che costituivano le case vere e proprie, o a pianta rettangolare, gli "harisch", che costituivano invece le botteghe o i magazzini.
L a pianta del "mundul" era circolare perche, non offrendo mai, per la
sua forma, un'ampia superficie ai raggi solari, I'intemo deUa capanna si
riscaldava meno. Le case piii spaziose erano divise in piii vani: in quello principale si trovava U focolare, negli altri c'erano i giacigli.
Mentre i ricchi potevano usufruire di un giaciglio comodo, coperto
di pelle di antilope o di zebCi e che essi chiamavano "hanghereb",
i poveri dormivano su una specie di tavola infissa nella parete e coperta

247

di paglia; in genere, nella capanna, insieme agli uomini, razzolavano le


galline, e vivevano pure gli zebii ed il ciuco.
Esisteva poi un altro tipo di abitazione, molto primitive, e che i nostri
esploratori incontrarono soprattutto nella plana presso i pozzi di Ueb
e di Uacille, dove i pastori facevano abbeverare le bestie: un piccolo
"mundul" col tetto a calotta fatto di rami e di stoppie e con attomo
delle palizzate o zeribe.
L'alimento dei Borana consisteva prevalentemente in carne, latte e focacce di cereali che essi acquistavano dai Conso e dai Burgi (mais, dura,
taf); facevano inoltre largo consumo di droghe econdivano ogni bevanda col "berbere".
II Borana parlava la lingua Galla, non certo pura, ma corredata di neologism! e dialettismi. Usava il calendario lunare, diviso in dodici mesi:
I'anno incominciava a birra (ottobre) ed ogni mese aveva una durata di
ventisette giomi. Otto anni erano per il Borana un'epoca, detta "gada",
che prendeva il nome dall'Abba Gada, o padre dell'epoca.
L'inizio della tradizione Borana corrispondeva al nostro 1578. Infatti
nei 1937 essi consideravano trascorsi quarantacinque gada (trecentosessanta anni) dall'inizio della loro ada (tradizione).
L'organizzazione sociale del popolo Borana era piuttosto complessa e
gerarchica. Infatti, esistevano varie e successive classi d'eta attraverso
le quali il giovane doveva passare, superando obbligatoriamente stadi
intermedi che duravano qualche anno, per poter raggiungere la plena
maturita civile e politica. ^^^^
II Borana, pagano e feticista, adorava un dio chiamato Uaca, simbolo
del cielo e che spesso identificava in qualche specie animale, ma soprattutto nei serpente. II sommo sacerdote, o "callii", custodiva il serpente
sacro, presiedeva a riti e cerimonie religiose che si svolgevano nelle "foreste sacre" (guadamoggi) che, come a Javello, erano spesso rappresen^
tate da una grande pianta solitaria. Questi riti venivano celebrati di notte, alia presenza della coUettivita, mentre era assolutamente proibito,
pena la morte, I'accesso agli estranei.
I Giam Giam, all'aspetto molto simili ai Borana, con i quali avevano in
comune anche la lingua, furono incontrati da Zavattari nella zona compresa fra Neghelli e la pianura di Arero.
Egli si rese conto deUa poverta della vita che queste genti conducevano,
vivendo ai margini dei boschi, in capanne molto primitive, radunate a
gruppi di cinque o sei.
I Giam Giam non avevano dimora fissa e sicura.in quanio, per ricercare
nuovi pascoli o per paura di infiltrazioni straniere, abbandonavano spes-

248

so le loro capanne, a volte semplicemente per addentrarsi nelle parti piCi


nascoste ed inesplorate della boscagha.
Essi vivevano allevando il bestiame necessario a procurare loro il latte e
la came e coltivando pezzetti di terra a cereali; la loro abilita nella caccia li rendeva famosi, soprattutto per il loro coraggio nell'affrontare i
grossi fehni.
Un'organizzazione sociale molto primitiva e non gerarchica, per cui ogni
tribii aveva il suo capo, una forma molto semplice di paganesimo ed
una concezione pohgama, erano le altre note caratteristiche della gente
Giam-Giam.
Le altre tribii che popolavano il Paese dei Borana e le regioni vicine, al
tempo della spedizione condotta da Zavattari, appartenevano alle genti
Conso e Burgi.
I Conso, infUtrandosi verso occidente e verso il meridione, avevano introdotto nei Paese dei Borana, insieme con i Burgi, con i quali formavano un gmppo abbastanza omogeneo, una economia agricola molto sviluppata. Per questo motivo, Zavattari li trovo in pacifica e proficua
convivenza con i Borana, i quali potevano avere cosi i prodotti della
terra loro necessari.
Zavattari ed i suoi compagni poterono compiere delle interessanti osservazioni di natura etnologica in un villaggio Conso, nella conca di Javello.
Era un villaggio di "mundul", i quali avevano intomo campi di cereali e
piccole "sciambe" (orti). In esso viveva una cinquantina di persone.
Zavattari aveva presente gli scritti del Puccioni sui caratteri antropologici dei Conso^^^^ e defini sempiicistica e confusa la sua versione, che attribuiva ai Conso I'appartenenza ad un sottogmppo di genti Galla.
In realta, i dati antropologici, le valutazioni somatiche, lo studio dei riti
funebri (I'inumazione dei morti rannicchiati e tradizione nilotica) e dei
graffiti presenti nelle pareti deila loro casa, permettono di inserire i
Conso nei grande ceppo delle genti nilotiche.
L a loro stessa vita implicava una organizzazione sociale ancora piu complessa di quella dei Borana e delle abitazioni piii sicure e meglio attrezzate. Ogni "mundul" aveva il suo caratteristico orticello, (coltivato a
pomodori, berbere, e altre verdure), la zeriba, (recinto che racchiudeva lo zebii, il quale serviva per tirare I'aratro, per altro molto rudimentale), I'asino, le pecore e le galline; e, non lontano, i campi seminati a
mais, taf, dura ed altri cereali.
L'attivita lavorativa dei Conso era cosi suddivisa: all'uomo spettava soltanto il lavoro dei campi; mentre ogni altro lavoro, anche piu faticoso,
come quello di attingere acqua ai pozzi, che, tra I'altro, erano molto

249

lontani dal villaggio, spettava alia donna. Essa non soltanto doveva macinare i cereali con la macina a mano, che consisteva in una grossa pietra
con la quale si schiacciavano i cereali, ma era costretta a spingere pure la
macina del "mulino pubblico" che si trovava nei villaggio, a disposizione della popolazione: essa faceva girare questa macina per mezzo di un
braccio di legno, legato al quale si trovava una cinghia che la donna si legava intomo cdia testa.
Intelligenti, socievoh, "gioviali ed accoglienti", i Conso trascorrevano
parecchio tempo riuniti a conversare o a giocare una specie di dama, che
ci e stata cosi descritta dal Zavattari: "In una tavola di legno, sono scavate due file paraUele di dieci cellette ciascuna. In ognuna di queste cellette i giuocatori pongono cinque sassolini, poi, con una grandissima rapidita, tolgono da determinate cellette alcune pietre che spostano in altre, in modo che, a partita ultimata, alcune cellette rimangono vuote e
altre piene. Confesso che ho cercato di farmi spiegare il procedimento
del giuoco, ma che non sono riuscito a comprenderlo". (^^^
A Zavattari interessava anche conoscere i caratteri nosografici del paese
attraversato
A questo riguardo, pero, non essendo il Paese dei Borana una "entita geografica definita"e subendo pertanto influssi di ogni genere daUa regione piii vasta nella quale si trova inserito, non fu
possibile alio studioso tortonese pervenire ad affermazioni categoriche,
anche a proposito della situazione sanitaria di quel territorio. Oltre tutto, in questo compito, Zavattari non pote neppure servirsi dei bollettini nosografici del tempo, che fomivano notizie imprecise.
Considerando I'irregolare distribuzione della popolazione, che viveva
soprattutto nella zona montana, Timportanza determinante, anche da
questo punto di vista, del clima e della presenza od assenza di corsi
d'acqua, paludi e pozzi, le malattie piii frequenti accertate erano la malaria, nei territori intomo ai fiumi, ed U vaiolo, che colpiva soprattutto
gli individui ai quali mancava la piii elementare norma d'igiene e che vivevano in promiscuita con le bestie.
Nelle zone montane, dove il clima umido e piovoso presentava forti
sbalzi di temperatura fra il giomo e la notte, frequenti erano le malattie
reumatiche e dell'apparato respiratorio.
Zavattari constato negli indigeni incontrati e curati, "una minima reazione di fronte agli eccitamenti estemi", ma, "viceversa e in opposto
con questo, una facilita veramente eccessiva di abbattimento di fronte
alle malattie interne". E d ancora: " V i e, nei sistema nervoso di quelle
genti, una specie di squilibrio fra quella che e la reazione ad uno stimolo
estemo e che e, in fondo, estremamente limitata, e la reazione ad un dolore intemo che e invece formidabilmente intensa e a sfondo depressi-

250

VO"(25).
Egli verifico, inoltre, che i medicament! offerti agli indigeni ammalati,
sia che fossero veramente efficaci, sia che fossero del tutto inattivi, senz'altro per una questione di autosuggestione, provocavano effettivamente delle reazioni positive negli organism!.
Come si puo dedurre anche dalle frammentarie indicazioni che abbiamo
finora fomite, le conclusion! e i risultati che il nostro esploratore ed i
suoi collaborator! raggiunsero furono senz'altro molto important!, sia
dal punto di vista della conoscenza di un paese ancora inesplorato e d!
una gente ancora pressoche sconosciuta nei ventesimo secolo, sia dal
punto di vista del materiale raccolto e che fu, per lungo tempo, oggetto
di studio e di osservazione. ^^^^
Ma, al di la degh indubbi merit! scientific! della spedizione, e pur sempre necessario tenere presente, analizzando le relazioni di Zavattari, il
clima storico-politico nei quale si svolse questo viaggio, U cui scopo
principale era quello di fissare le basi conoscitive per la realizzazione di
un insediamento coloniale. Questo serve a spiegare il valore ed il significato che egli stesso attribui alia conoscenza ed alio studio delle genti
incontrate: "II fattore uomo deve essere considerate ai fini della valutazione dell'ambiente biologico generale, essenzialmente in funzione
dell'attivita da esso svolta, in relazione aUe possibilita che Q paese gli
offre". (27)
" I Borana, i veri padroni della savana, sono i nomadi per eccellenza, di
conseguenza il nomadismo ha modellato costumanze e mentalita delle
genti Borana. Essi hanno scavato la terra, per trovarcil'acqua, hanno precisatole loro linee di migrazione. hanno, insomma, esoresso da quel paese, tutto quanto poteva essere tratto e I'hanno posto al loro servizio,
al servizio di quel patrimonio, che e la ragione stessa della loro esistenza". (28)
Confrontando poi il genere di vita condotto dal Borana, e quello del
Tuareg, "il signore del deserto", I'esploratore accenna alla"mentalita
racchiusa e introspettiva, tipica delle popolazioni del deserto" ed alia
"vita oltremodo avara e quasi inesistente, nei Sahara, che, quindi, affina e rende ancora piii mde il popolo che la dove ricercare"; mentre, a
proposito della vita del Borana, dice "meno avara, ma pur tuttavia dura e discontinua, la vita nella savana, e che rende le genti, che in essa
debbono soggiomare, del tutto conscie delle grandi difficolta che debbono superare. I Borana hanno una cerebralita meno differenziata
e meno complessa, non harmo quel groviglio di elaborazione interiore e
di estrinsecazione esteriore della psiche, che caratterizza le popolazioni

251

dell'Africa sahariana, ma, nulla di meno, hanno in comune parecchi


comportamenti e non poche costumanze, che sono I'imprescindibile
portato della necessita di modellarsi su di un ambiente similare, e di rispondere quindi agli stessi stimoli con le medesime reazioni".(^9)
Fermamente convinto che nei "Paese dei Borana gli Italiani non potranno svolgere che una semolice funzione direttiva" ( ^ \i
si impose di esamiriare e studiare il problema demografico di tale regione: " E ' necessario studiare in tutti i suoi aspetti il problema sociale e
demografico di quelle genti, e necessario migliorame le condizioni sanitarie, accrescere la natalita e proteggere I'infanzia, e necessario che
quelle genti aumentino numericamente e si rafforzino fisicamente,
perche quanto maggiore e la potenzialita deUe popolazioni, altrettanto
maggiore e la potenzialita del Paese". (^^^
Non certo quindi per puro spLrito umanitario Zavattari prospettava alcuni miglioramenti nelle condizioni di vita di questa gente "pacifica e
pienamente sottomessa al dominio italiano". ^^^>
Erano necessarie strade e "un minimo di conforto e di possibilita di
relazioni e. di scambi con le altre regioni, che e assolutamente richiesto
per la vita di un bianco, il quale, per di piii, essendo il padrone, deve assolutamente porsi su di un piano di superiorita di vita materiale, sia pure
in forma piii benevola e piu umana che come tale deve per cio avere una
casa e mezzi di sussistenza che gli diano la plena indipendenza e la totale sicurezza del futuro". (^^^ L o scopo primario era infatti quello di ottenere: "un aumento di popolazione in un ambiente economicamente
buono, che crea come conseguenze onesti desideri ed oneste abitudini
che soUevano il tenore di vita". (^'^^
D'altronde Zavattari cosi richiamava lo scopo reale della spedizione, il
suo vero obiettivo: "L'indirizzo da me perseguito vuole soprattutto
mettere la ricerca scientifica al servizio di quelle che sono le finalita
ultime ed essenziali della conquista coloniale, il potenziam.ento cioe dei
territorio d'oltremare posseduto, al fine di possedere quella plena unicita fra madrepatria e colonia, quella assoluta corrispondenza di interrelazioni economiche e interdipendenze politico-commerciali fra metropoli e paese conquistato, che sono indispensabili per la grandezza e
la potenza della Nazione colonizzatrice".^^^'
i La missione biologica Saga-Omo.
I territori situati fra I'alto corso
del Giuba e le rive del lago Rodolfo costituirono nei 1939 la meta del
secondo importante viaggio di esplorazione di Edoardo Zavattari nell'Africa Orientale.
Anche con questo viaggio egli intendeva coUaborare al programma di

espansione coloniale promosso dal govemo italiano, approfondendo la


conoscenza del territorio ancora inesplorato, delle sue risorse naturali,
delle possibilita che poteva offrire lo sfmttamento delle sue popolazioni: "II nostro lavoro sono sue parole trascendeva da una pura ricerca per trasfondersi in un campo piii aderente alle necessita immediate
e future del nostro divenire imperiale; per cio le missioni da me guidate
avevano nei mio pensiero lo scopo di fomire attraverso ad una esplorazione scientifica una conoscenza abbastanza precisa di quelle regioni di
confine (I'Etiopia italiana ed il Chenia britannico), avevano prevalentemente lo scopo di raccogliere, coordinare, vagliare gli elementi
biogeografici, antropici e nosografici necessari per conoscere quali sono
le condizioni da quel territorio possedute, quali le possibilita da esso
profferte, quali le deficienze alle qiiali occorrerebbe sopperire". (^^)
Questi furono , piii precisamente, i molteplici scopi della missione, che
si svolse fra I'aprile e I'ottobre del 1939:
1 Raccolte e osservazioni botaniche e zoologiche;
2 Osservazioni e misurazioni suUe popolazioni e raccolta di dati e oggetti etnografici;
3 Raccolta e coordinazione delle notizie sugli usi giuridici e il diritto
consuetudinario delle popolazioni, per stabilire la loro organizzazione
sociale;
4 Ricerche ed osservazioni mediche e parassitologiche, necessarie per
fissare le condizioni sanitarie del paese;
5 Osservazione e raccolta di dati meteorologici, mineralogici, fisici e
topografici;
6 Studio complessivo delle condizioni generali di vita ai fini di una valutazione della sua abitabilita, delle sue risorse naturali di origine animale e vegetale, in relazione soprattutto a quelle che possono essere le
possibilita di vita tanto per le popolazioni indigene, quanto,ed eventualmente, per quelle metropolitane." (^^^
L'importanza dei territori da esplorare dipendeva principalmente dal loro valore politico-militare, in quanto rappresentavano "la fascia difensiva meridionale deU'Impero".
I component! la spedizion^^^) partirono dallltalia il 24 marzo 1939 e
raggiunsero Mogadiscio I'S aprile; U 26 arrivarono a Mega, nei Paese dei
Borana, dal quale ripartirono alia volta di Tertale, dove sostarono 26

252
253

giomi, visitando E l Banno, E l Dire ed E l Meti.


II 25 maggio, accompagnati da una scorta di "dubat", si diressero verso
il fiume Sagan, che trovarono in plena.
II campo base da cui sarebbero partiti per I'esplorazione fu stabilito a
Gondaraba, un fortino che si trovava a dodici chilometri circa oltre il
Sagan. Per circa un mese rimasero a Gondaraba ed esplorarono la zona
circostante, 0 corso inferiore del Sagan ed il bacino della Stefania, compiendo studi sugli Arbore, popolazione che viveva sulla riva destra del
fiume, vicino alio Stefania.
II 26 giugno, dopo aver reclutato portatori fra gli Arbore, la missione si
diresse verso le montagne che separano la regione del bacino Stefania e
quella del lago Rodolfo e sosto alcuni giomi a Gongabaino e ad Asile,
prima di ripartire per la valle del Caschei, un torrente che in quel periodo era completamente asciutto, nei paese delle genti Sciangalla. In quella zona si fermarono fino ad agosto, compiendo ricognizioni, raccogliendo piante e varie specie di animali e studiando gli usi ed i costumi
degli indigeni Sciangalla; si inoltrarono poi fino a Murle, sulle rive delI'Omo.
Nei mese di agosto, la missione raggiunse la zona circostante le rive del
lago Rodolfo, in territorio abitato dai Gheleba, ponendo il campo base
sulle rive di un altro torrente prosciugato, I'Olo.
Compiendo studi sulle popolazioni locali ed esplorazioni sulle rive del
lago, sul basso corso dell'Omo, fino alia sua foce, trascorsero, in questa piccola regione dell'Africa Orientale, un mese, raggiungendo i risultati sperati, attraverso una completa e soddisfacente conoscenza delI'ambiente naturale ed antropico.
Ma lo scoppio della guerra anglo-franco-tedesca li costrinse ad interrompere le ricerche ed a rientrare anticipatamente in Patria. (^^
Nonostante non sia apparsa un'opera completa che illustrasse dettagliatamente I'esplorazione intrapresa da Zavattari e dai suoi compagni nella regione compresa fra il Giuba ed il Lago Rodolfo, a causa della soppressione della Reale Accademia d'ltalia, la quale nei 1941 e nei 1943
aveva tuttavia pubblicato due vrJumi illustranti le raccolte zoologiche, ^'^'> Zavattari fomi notizie ed informazioni sul viaggio e sul paese
attraversato ed i popoli incontrati, nelle conferenze che tenne a Roma
ed a Vienna ed in alcuni articoli da lui redatti,^^^) per cui possiamo
tracciare ugualmente on quadro abbastanza complete del territorio da
lui visitato e dei risultati raggiunti.
L a regione compresa fra I'alto corso del Giuba e le rive del lago Rodolfo e costituita da un tavoliere ondulato, solcato dai fiumi Ganale e
Daua e dai loro affluenti "largamente scavato dai bacini del lago Rodol-

fo e Stefania". Questa terra costituisce I'estremo lembo meridionale delI'Altopiano Somalo. A separare questa regione, nella quale giacciono i
bacini Stefania e Rodolfo con i loro immissari, Sagan ed Omo, dal T a voliere Borana, si ergono i monti vulcanici che caratterizzano il Tertale, "montuoso, irto di costoni, di dirupi e di forre, intagliato da valloncelli, da pianori e da dossi, solcato da innumerevoli piccoli rivi che si
disperdono e si esauriscono non appena raggiungono le pareti piii basse".
Infatti, dopo essersi ben documentato sulla natura dello Stefania, che
Teleki, Bottego, Donaldson Smith ed altri avevano descritto come
un'estesa massa d'acqua, Zavattari giunse alia conclusione che si trattasse di "un bacino che s'impaluda durante il periodo delle piogge e si
dissecca all'epoca del secco"(45)^ tanto che propose di definirio non piii
"lago", bensi "Paludi Stefania".
L'esploratore tortonese constato, durante il suo viaggio, che anche il
lago Rodolfo stava prosciugandosi: "la porzione settentrionale del lago,
in corrispondenza soprattutto delle foci dell'Omo, sta cambiando radicalmente di forma".
L'Omo, U fiume che con imponenza riversa le sue acque impetuose e cariche di detriti nei lago Rodolfo, "convoglia migliardi di particelle in sospensione coUoidale, che conferiscono all'acqua una caratteristica opalescenza ranciata, che sotto i raggi dorati del sole, si riflette e si rifrange in una gamma infinita di luci dai piii vividi colori". ^^''^
L a trasformazione del delta di questo fiume e I'interramento del lago
Rodolfo prospettavano gravi problemi di natura politica: "Infatti, secondo una convenzione, fortunatamente ancora prowisoria, il confine
fra I'Etiopia e il Chenia taglia il Lago Rodolfo a cinquanta chilometri
circa a valle delle foci deirOmo;cosicche di questo immense bacino all'Etiopia, e quindi all'Italia, non resta che una minima zona". (*^)
Edoardo Zavattari, preoccupato delle manovre politiche che questa
situazione avrebbe provocato, soprattutto da parte dell'InghUterra, che
possedeva la colonia del Kenia, si limito a constatare le difficolta che,
di conseguenza, si prospettavano per I'ltalia: "Che del valore di quel territori gli inglesi siano edotti, lo dimostra la continua insistenza con la
quale, gia fino dal tempo del Negus, hanno tentato, e tentano ancora, di
spostare sempre piii a settentrione il confine cosi ancora impreciso; lo
ha dimostrato la cura con la quale hanno seguito gli spostamenti della
nostra missione, attraverso a quello spionaggio palese o larvato, volontario o inconscio di cui sono insuperabUi e incomparabili autori gli indigeni, che con le loro migrazioni continue, con il loro petulante e perenne parlottare e narrare tutto quanto hanno visto o sentito, diffondo-

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no con la rapidita del baleno, tanto la piu importante e riservata notizia,


quanto il piii significativo e banale incidente".^'^^^
Nei territorio compreso fra i due bacini idrografici sopra accennati, la
natura offriva boschi che punteggiavano le pendici del Tertale, boscaglia xerofila, nella maggior parte del paese attraversato; distese di acacie
spinose e vaste praterie nella savana, intomo alio Stefania ed al lago Rodolfo; boschi rivieraschi e lussureggianti foreste lungo i corsi del Sagan
e dell'Omo, mentre la riva orientale del lago Rodolfo era spoglia di vegetazione e bmlla.
II Tertale separava terre nelle quali vivevano due gmppi etnici assolutamente different!: ad oriente i Borana, i Conso ed i Burgi; ad occidente
gli Sciangalla ed i Gheleba, popolazioni assai primitive, appartenenti al
gruppo etnico nilotico, inferior!, come grado di civilta, rispetto ai Conso ed ai Burgi.
Un gmppo di genti Arbore (non piii di tremila persone) fu incontrato
dagli esploratori italiani nella regione bagnata dal Sagan e limgo le rive
dello Stefania. Essi, che erano in continua guerriglia con i vicini Borana,
secondo Zavattari, avevano forse con quest'ultimi legami di parentela,
"giacche si direbbe che queste genti siano il risultato di un incrocio
molto antico fra nilotici e galla, benche con i primi mostrino, soprattutto nella organizzazione e nei costumi, affinita decisamente maggiori". (^)
Gli Arbore incontrati erano socievoli ed attivi lavoratori, aUevavano il
bestiame e coltivavano i campi; anche lungo le rive e sulla foce del fiume essi seminavano il sorgo, col quale producevano ima specie di pane
che, con il latte e la came, costituiva il loro alimento principale. GU
Sciangalla furono definiti da Zavattari: "forti, muscolosi e robusti, di
un colore molto oscuro quasi nero, a caratteri somatici spiccatamente
negroidi"
; essi si dimostravano poco socievoh e spesso ostUi al
bianco o alio straniero. Non usavano indumenti e si adomavano di oggetti mutilanti; le loro abitazioni erano rozze, prive di arredamento e di
ogni utensile. Non conoscevano I'artigianato, ne possedevano, secondo
Zavattari, alcuna, se pur arcaica, tradizione culturale. "Razziatori e guerrieri, grandi allevatori di bestiame", mangiavano came cmda, latte e farina di sorgo. I loro villaggi erano sparsi sui monti di Amar Cocche, di
Gongabaino e di Asile, nella plana posta lungo i corsi del Caschei e del
Seghido.
Lungo le rive dell'Omo e, a Nord, vicino al lago Rodolfo, vivevano invece i Gheleba, che, "se pure estremamente arretrati", sono ritenuti da Zavattari assai meno selvaggi e ostili"^^^) degli Sciangalla.
Essi avevano, tuttavia, alcune affinita con gli Sciangalla, soprattutto per

quanto riguarda gh usi ed i costumi. Come gli Sciangalla, avevano, infatti, I'abitudine di here sangue ancora caldo che traevano dalle bestie
appena uccise, oppure dall' animale ancora vivo a cui avevano inciso
una grossa vena nei collo.
II loro unico patrimonio erano le mandrie di zebu, pecore, capre e piccoli asinelli che allevavano e conducevano al pascolo nelle praterie.
Non erano, tuttavia, solo pastori, ma anche agricoltori; le rive dell'Omo venivano infatti da loro coltivate a cereali (soprattutto la dura).
Erano suddivisi in varie tribii: sulla riva orientale ed in prossimita della foce dell'Omo, Zavattari ed i suoi compagni incontrarono villaggi abitati dai "Gheleba del Coro"; a settentrione, lungo la sponda orientale
del basso Omo, vivevano i "Gheleba Nargi", mentre sulla riva nord-occidentale del lago Rodolfo e la riva occidentale del corso inferiore dell'Omo abitavano i "Gheleba Scir".
All'epoca del viaggio di Zavattari, queste tribii erano in guerra con un
popolo Keniota, i Turcana, ed erano molto ostili verso i colonizzatori inglesi, per cui Zavattari H defini: "grati e fedeli sudditi degli italiani". (^3)
I risultati piCi interessanti dal punto di vista geografico a cui giunse Zavattari nei corso della sua spedizione furono la ricognizione del lago Rodolfo e la risoluzione del problema del lago Stefania.
Zavattari, osservando le cartine nelle quali i suoi predecessor! (Teleki,
Donaldson Smith, Bottego, ecc) avevano rappresentato il bacino del lago Stefania, trovo che i contom! da ess! indicati risultavano piuttosto
approssimativ! e contradditori erano pure i dati relativi alia longitudine
alia quale si trovava questo bacino.
II fatto era che i contomi del bacino " per una condizione generale di
dinamismo endogeno, che abbraccerebbe tutta la regione posta fra lo
Stefania e il Rodolfo" (^^) si andavano modificando abbastanza velocemente. Del resto, dalle osservazioni compiute sulla riva settentrionale
del lago Rodolfo, Zavattari e compagni rilevarono una modificazione
anche del perimetro di quel lago, soprattutto in corrispondenza della
foce dell'Omo: "Baie, promontori sono del tutto scomparsi; il delta del
fiume si e precisato in tre rami distinti che si protendono nei lago, la
costa ha assunto un andamento semicircolare e assai regolare, la riva
e di molto avanzata, I'intiero contomo e del tutto mutato". (^^>
E le cause di questo mutamento sarebbero, secondo Zavattari, "un'evaporazione molto intensa non controbilanciata da un corrispondente apporto di acque, e un processo di interramento progressive dovuto all'enorme massa di materiali fluitati dalle acque dell'Omo e degli altri immissari e depositati al loro sfociare nei lago". ^^^^

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Questi processi di trasformazione dei contomi dei due bacini non avevano solo importanza dal punto di vista fisico e geografico, bensi anche politico, in quanto, dopo la conquista italiana dell'Etiopia, era indispensabile stabilire i confini del territorio occupato, e per quelli meridional! s'lmponeva la risoluzione del problema in questi due Dacini, dal
momento che: " L a convenzione relativa ai confini fra Etiopia e Chenia,
stipulata fra I'lnghilterra e il Negus Menelik I I nei 1897, stabiliva che la
linea di confine va daU'insenatura dell'estremita meridionale del L E ^ O
Stefania, donde prosegue direttamente ad occidente fino al lago Rodolfo. Cosicche, dovendosi procedere ad un'ulteriore delimitazione dei
confini fra Impero Italiano e colonia del Chenia, si rendeva necessaria
una precisazione accurata del bacino dello Stefania". ^^'^^
Per questo motivo gia nei 1938 U govemo italiano aveva incaricato il
tenente colonnello Pietro Piacentini di compiere rilievi aerofotogrammetici sul bacino Stefania, ma i risultati di questa missione non furono
pubbUcati, (^^^ per cui Zavattari ed i suoi compagni non erano al corrente dei rilievi gia compiuti.
Essi giunsero alia conclusione che il lago Stefania era asciutto ed il profile del perimetro diverse da quello illustrate dalle cartine consultate:
"Non esistono i due grandi cemi diretti a Nord che abbraccerebbero,
per cosi dire, il corse terminale del Sagan, e che si spingerebbero cosi
profondamente verso le pendici dei monti di Amar Cocche da lambirle
quasi e da includervi il territorio dei Gondaraba, giacche tutta quella
plana non presenta tracce che dimostrino che essa sia il fondo di un lago
da poco scomparso". (^^^
Inoltre nella zona di Gondaraba non poteva esserci stato un bacino lacustre, in quanto gU esploratori, poco lontano da quel fortino, rinvennero
i resti di un villaggio Arbore abbandonato in seguito ad un'invasione da
parte di una tribii nemica. Trovarono poi, in quella stessa zona, numerose tombe, per cui stabilirono che il terreno dovesse essere stato asciutto, poiche sarebbe stato improbabile che gli indigeni avessero seppellito
i loro morti nell'acqua. Nei centro del fondo umido del bacino emergevano dei rilievi, come isolotti, che gU indigeni denominavano "gurmo" o
"thabal", rivestiti qua e la da qualche macchia di vegetazione, ed alia
base dei quali riboUivano poUe d'acqua solforosa, a cui gli indigeni attribuivano proprieta terapeutiche. Gli esploratori deila missione Sagan-Omo
avevano riscontrato gli stessi fenomeni nell'isola dei Coccodrilli, nei
centro del lago Rodolfo.
Zavattari presumeva che nei bacino non vivesse microfauna, tuttavia
constato che, per qualche tempo, e cioe nei periodo della pioggia, quando i fiumi erano in plena, molti uccelli acquatici, che vivevano numero-

sissimi sulle rive del lago Rodolfo, si trasferivano sullo Stefania "a darvi una parvenza di vita che e pero del tutto transitoria". (^
II lago Donaldson, rUevato da Donaldson Smith e Bottego sulla riva settentrionale, al tempo della spedizione Zavattari, era completamente
scomparso: "si e andato accentuando constato Zavattari lo spostamento della riva del lago verso mezzogiomo". ^^^^
Secondo Zavattari, le cause del prosciugamento di questo bacino erano
principalmente:
1 Un fenomeno generale di disseccamento progressive che ha celpito
molti bacini lacustri africcmi.
2 Un processo di colmatura per apporto di grandi masse alluvienali da
parte degli immissari.
3 Forse anche fenomeni tettonici. (^2)
Tutto cio lo portava a concludere: "Si potrebbe pensare che un vero lago, almeno per quanto riguarda tempi recenti, non sia mai sussistito, ma
che si sia piuttosto in presenza di un oscillante e sterminato acquitrino,
che in alcune stagioni eccezionalmente piovose, per un abnorme apporto di acqua, si trasformi in uno stagno cosi gigantesco, da offrire I'immagine di un lago permanente e reale.
E che questa ipotesi possa avere un buon fondamento, deporrebbe a
mio parere, la presenza delle grosse conchiglie di ampullaria che, calcinate dal sole e disseminate ovunque a milioni, stanno a testimoniare
la presenza di acque da poco scomparse; giacche le ampullarie sono animali che per nascere. crescere e riprodursi, debbono stare quasi costantemente sommersi". ^^^^
Durante questa spedizione furono definite pure le foci del fiume Sagan,
il quale, anziche versare le proprie acque nei bacino Stefania, in realta
si disperdeva in tanti piccoli rami, prima di raggiungere il cosidetto lago.
5 Considerazioni conclusive.
"Si e ripetuto per molti anni e si ripete
tuttora ha scritto Zavattari che I'Europeo e andato e va in Africa
per fini altamente umanitari e sinceri, che, spinto da un profondo sentimento d'amore si reca fra i popoli del continente nero per redimerii, per
elevarli, per sottrarh alle barbarie e renderli partecipi delle sue grandi
conquiste. Meschine e pietose menzogne. II bianco e andato e va in Africa perche cio toma a lui conveniente, perche cio e necessario per la sua
esistenza; per I'europeo I'Africa e il paese delle ricchezze immense e
dei tesori favolosi, che occorre carpire e sfruttare, il rimanente e retorica, sono disquisizioni filcsofiche e morali ben congegnate e megUo ancora presentate, che se avessero veramente costituito il primo movente
di tutta I'opera espUcata dal bianco, gli avrebbero anche insegnato ad

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evitare di regalare ai neri tanti malanni e tante sventure, che essi non avrebbero forse mai conosciuto"
Pur essendosi recato piii volte in Africa a cercare, per il govemo italiano, che lo aveva inviato al comando di missioni ufficiali, quella ricchezza che sapeva non essere un mito, e ad esplorare e studiare le terre, i
pascoli, i fiumi, le montagne da sfmttare, i paesi da popolare, gli uomini
da sottomettere, Zavattari seppe cogliere ed analizzare con notevole
acume scientifico la flora e la fauna, nonche gli usi e costumi e tutti
quel fenomeni ancora sconosciuti coi quali venne a contatto nei territori da lui attraversati.
II suo interesse si rivolse sovente anche alle tradizioni etniche e rehgiose
di quelle popolazioni, alle origini ed alle cause di certi miti. Egli spiego,
ad esempio, i motivi che avevano condizionato il valore mitico che i popoli di colore assegnavano agli animali; motivi prima sovrapposti e poi
differenziati, uno immanente ed uno trascendente: I'aspetto immanente era legato alia considerazione dell'animale dal punto di vista della sua
utilita, per motivi contingent! (la fame, il lavoro, I'abbigliamento e Tornamento, le malattie o la distmzione dei raccolti); I'aspetto trascendente circoscriveva, invece, I'animale in una sfera extranaturale, attraverso
creazioni di miti, fantasie, superstizioni, simboli, culti.
Cosi il callii, sommo sacerdote dei Borana, era il depositario della sapienza e della onnipotenza divina, rappresentata nei serpente sacro, che
nessun mortale aveva il diritto di vedere e che infondeva, secondo la credenza popolare, nei ministro del culto, la capacita della divinazione, il
diritto del comando, l'autorita del govemo delle genti ^^^K
Riferendosi all'esperienza africana del Livingstone,Zavattari rammentava
spesso le parole rivolte dal capo di una tribii Beciuana all'esploratore inglese: "Se un uomo si fa avanti con parole benevole e cortesi puo anche
disarmato passare attraverso ai peggiori e piii temibili popoU dell'Africa intera"*^^\n quanto, secondo lui, tali parole "aimosirano che la
conquista coloniale e im problema squisitamente biologico e profondamente spirituale, giacche confermano che questa conquista la si compie
soltanto conoscendo gli animi e sapendo capirli, conoscendo i mali del
corpo, e sapendo lenirli, conoscendo le condizioni della vita e potendo
mutarle, conoscendo la natura e sapendo sfruttarla"
E d in effetti, leggendo molte pagine lasciateci da Zavattari, si ha I'impressione di trovarsi di fronte ad un uomo dalla ricca personalita e dalI'intelligenza viva, un uomo amante di tutto cio che e manifestazione di
vita, uno scienziato attento e profondamente interessato, assai spesso in
contraddizione con i principi del colonialismo, che pur condivideva nella loro essenza o in funzione dei quali praticamente operava ed agiva.

260

come abbiamo visto in precedenza.


Cosi, accanto a passi che celebrano in maniera addirittura ammirata il
mondo africano: " L a sconfinata foresta che rivela un'esuberanza invano altrove cercata, il brulicare di migliaia di esseri che pullulano per ogni
dove in una vita lussureggiante e quasi spasmodica, il nero che si appalesa in alcune manifestazioni cosi vicino, in altre cosi lontano da far ritenere impossibile il poter colmare il hiatus che ce ne separa, che mostra un'anima cosi complessa, piCi complessa di quanto non si creda, e
cosi impenetrabile, suscitano un senso di ammirazione illimitata e di
profondo sgomento, appalesano I'immensita e la complessita dei problemi che da quella constatazione naturalmente scaturiscono" (^^^ ; altri brani sottoUneano e ribadiscono invece la superiorita della "civilta"
bianca: "Superstiziosoe bambino, spesso coraggioso e temerario, ma il
piu delle volte timoroso e impacciato di fronte ad ogni fenomeno di cui
subito non sa trovare la ragione, convinto di vivere continuamente sotto rinfrangibOe influsso di forze soprannaturali ed occulte, il nero
riconosce nei bianco 1'essere di lui di gran lunga piu intelligente e potente, I'essere che lo libera dall'incubo e lo rende sicuro, e al quale puo
fiducioso affidare la vita, perche capace di tali imprese e di tali ardimenti, di cui nemmeno gU riesce di supporre la remota possibilita o I'esistenza reale" (^9) .
Profondamente convinto, infatti, della inconcUiabilita dei due tipi di
esistenza, quella del bianco e quella del nero, credeva, tuttavia, che
le leggi e le sanzioni imposte da un govemo coloniale dovessero assolutamente rispettare le esigenze e i caratteri dei popoli e degli ambienti ai
quali sarebbero state applicate: accettare e rispettare, almeno in un
primo momento, le tradizioni secolari alle quaU I'uomo africano era legato, anche se erano ritenute sbagliate e superate, era secondo lui im
passaggio obbligato al qude la conquista coloniale doveva sottostare
(fece notare, ad esempio, che fatti ritenuti in Italia assolutsunente illegali e perseguibOi con pene gravissime, come I'aborto, erano, presso certe tribii, normal! e leciti).
Nonostante cio, la convinzione della superiorita intellettuale e spirituale
dell'uomo bianco, maturata ed accettata nei clima politico ed ideologico dell'imperialismo fascista, impedu-ono a Zavattari di mettere pienamente ed oggettivamente a fuoco le reali condizioni umane, culturali ed ambientali delle genti di colore, tanto da fargli pronunciare simili
verdetti:
"II nero reso, per un utopistico e teorico sogno di elevazione sociale, padrone di se stesso e dell'opera sua, diviene ancora piii schiavo delle sue
piii basse e piii bestiali passioni, tramuta la sua vita, che ha pur sempre

261

una sua poesia e una sua fondamentale missione, nella parodia nauseante e grottesca della vita dell'uomo civile"

Note

(1) Edoardo Zavattari nacque a Tortona il 21 ottobre 1883.


Nei 1908 consegui la laurea in Medicina a Torino e nei 1911 la laurea in Scienze naturali, sempre a Torino, mentre due anni dopo, nei 1913, si specializzo in medicina
tropicale a Londra presso la London School of Tropical Medicine. Partecipo alia prima guerra mondiale come ufficiale medico e fu inviato in Albania. Si dedico in seguito a viaggi di studio e di esplorazione fino all'eta di settantacinque anni. Visse
gli ultimi anni a Genova, dedicandosi ancora a studi e ricerche, anche di carattere
storico.
Mori a Genova il 17 febbraio 1972. (Per ulteriori notizie rimandiamo a G . SCORT E C C I , Edoardo Zavattari, in luUa Dertona, X I X - X X , 1971-72, pp. 146 -164, testo della commemorazione tenuta a Roma il 24 maggio 1972 nella sede sociale della
Societa Geografica Italiana e ripetuta 1*8 febbraio 1973 alia Societa Ligure di Lettere e Scienze).
(2) "Queste sono le sue entusiastiche impression! al ritorno dalla sua prima esperienza africana: "L'Africa e sempre un grande, insondabile, affascinante mistero che
conquista chiunque si affacci alia sua soglia, che awince I'Europeo cost intensamente che egli se ne sente ammaliato, se ne sente conquiso, si sente stringere I'anima
dalla brama di svelarlo, prova di esso una nostalgia profonda quando se ne allontana".
E . Z A V A T T A R I , Nei Golfo di Guinea, impressioni di viaggio , Pavia, 1926, p. 4,
(conferenza tenuta all'Universita popolare di Pavia il 26 febbraio 1926).
(3) F u il primo a studiarne le CEiratteristiche different! da regione a regione, annotando, ad esempio, le diverse condizioni biogeografiche e sanitarie del Fezzan e delI'Oasi di Gat.
E . Z A V A T T A R I , Fezzan e Oasi di Gat. Ambiente biologico generale, in // Sahara
Italiano. Parte I: Fezzan e Oasi di Gat, Roma, 1937.
(4) Analisi svolta nella conferenza tenuta dallo Zavattari presso la sede dellTstituto Geografico militare di Firenze, alia presenza del Duca Amedeo di Savoia ed avente per titolo: // Fezzan. Come I'ho visto, come I'ho studiato, come potrebbe essere studiato. Pavia, 1932.

262

263

(5) E . Z A V A T T A R I , Cinquant'anni di operositd scientifica 1908 - 1958. Studi,


ricerche, problemi di Biologia Tropicale. Roma, 1959,
(6) Dal Giuba al Lago Rodolfo, conferenza tenuta I ' l l marzo 1940 alia Reale Accademia d'ltalia.
Von Djuba Fluss zum Rudolfsee, Geographisch-biologische Reisen und Entdeckungen in sudlichen Aethiopien,conferenza tenuta a Viennna I ' l l febbraio 1941, per
invito della Societa Geografica di quella citta.
(7) E . Z A V A T T A R I , Cinquant'anni cit., p. 66.
(8) E . Z A V A T T A R I , Sul Duda, il cosidetto verme commestibile dei Tuareg del Fezzan, in Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze Lettere ed Arti, LXV,
1932.
(9) E . Z A V A T T A R I , // Fezzan, come I'ho visto, come I'ho studito, come potrebbe
essere studiato, Pavia, 1932, p. 8.

(21) Le notizie raccolte a Moyale da Zavattari, circa il sistema borana dei gada e dei
suoi riti, cosi come lo stesso esploratore le aveva ricevute, senza commentarle ne
spiegarle, ci aiutano a capire quanto complicate fosse il sistema giuridico e sociale di
questo popolo. (Cfr. E . Z A V A T T A R I , Missione biologica nei Paese dei Borana cit. ,
I, pp. 349- 361).
(22) N. PUCCIONI, Le popolazioni indigene della Somalia italiana. 1937; I D E M ,
Africa nord-orientale e Arabia. Indagine antropometrica sulla posizione sistematica
degli etiopici, Pavia, 1929.
(23) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I . , p. 379.
(24) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , cap. V I I I , "Le condizioni sanitarie", nei quale I'esploratore offre una ricca documentazione, anche fotografica, sulle malattie che colpivano le genti del paese da lui attraversato.
(25) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , p. 415.

(10) E . Z A V A T T A R I , // Fezzan, cit., p. 8.


(11) E . Z A V A T T A R I , // Fezzan, cit., p. 13.
(12) E . Z A V A T T A R I . // Fezzan, cit., p. 19. La funzionalita di simili giudizi di valore sulle capacita inteUettualidell'uomo del deserto per quanti volessero, sulla base di
simili affermazioni, sostenerne, con intenti imperialistici, I'inferiorita naturale nei
confronti del colonizzatore, e estremamente evidente.

(26) Infatti i tre ricercatori riportarono in patria, pronti per essere analizzati:
15.000 animali di 1.500 specie e varieta, di cui 200 ignote alia scienza; 3.500 campioni di piante di 739 varieta e specie, di cui 120 nuove per la scienza; alcuni crani
umani, piante medicinali e alimentari; ed una estesissima documentazione fotografica.
(27) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , p. 460.

(13) E . Z A V A T T A R I , // Fezzan, cit., p. 19.

(28) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , p. 464.

(14) E . Z A V A T T A R I , / / Fezzan, cit. , p. 19.

(29) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , p. 466.

(15) E . Z A V A T T A R I , Nei Paese dei Borana, in Bollettino della Reale Societd Geografica Italiana, serie V I I , vol. I l l , 1938, p. 10.

(30) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , p. 502.


(31) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica, cit., I , p. 502.

(16) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica nei Paese dei Borana, I , Condizioni biogeografiche ed antropiche, K o m a , 1 9 2 3 , p.oz: " L a conca di Neghelli ci ha formtoun
terzo circa delle novita scientifiche che abbiamo riportato".
(17) Essi appartenevano ai gruppi Giam-Giam, Uraga e Borana, i primi agricoltori, e
gli ultimi pastori, per cui, in quel villaggio vigeva un'economia di tipo misto, considerando anche la presenza di piccole botteghe, nelle quali si vendevano tabacco,
stoffe e utensili.
(18) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica cit., I , p. 66.
(19) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica cit., I , p. 334.

(32) E . Z A V A T T A R I , Le caratteristiche biogeografiche del Paese dei Borana, in Bo


nifica e colonizzazione, X V I , p. 322.
(33) E . Z A V A T T A R I , Le caratteristiche cit., p. 311.
(34) E . Z A V A T T A R I , Le caratteristiche cit., p. 315.
(35) E . Z A V A T T A R I . Le missioni biologiche del centro studi A.O.I, della Reale Accademia d'ltalia nei territori meridionali deU'Impero, Roma, 1939, p. 158.
(36) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Logo Rodolfo, estratto dalla Pubblicazione Romana, Firenze, 1941, pp. 32 - 33.

(20) E . Z A V A T T A R I , Missione biologica cit., I , p.338.


(37) E . Z A V A T T A R I , L a mfesione biologica Sagan-Omo, (1939 - XVIII).
esplorati e risultati preliminari, Roma 1940, p. 262.

Territori

264
265

(38) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 30.


(39) Edoardo Zavattari, Italo Architetti, Marcello Ricci, Oreste Maestri, Rinaldo
Corradi.
(40) II ritorno, forzatamente anticipate, non impedi pero ai membri della spedizione di portare in patria raccolte botaniche, zoologiche, antropologiche ed etnografiche, Ira cui:
1 circa ventimila campioni di piante fanerogame e crittogame, qualche migliaio
di alghe, campioni di legni, di semi, di frutti, di piante medicinali ed alimentari.
2 oltre mUlecinquecento vertebrati, circa cinquantamila insetti, tremila altri invertebrati, comprese alcune centinaia di parassiti, un ingente numero di strisci di
sangue per la ricerca degli emoparassiti;
3 circa quattrocento oggetti etnografici, piante di villaggi e di abitazioni, grafiti
su cortecce e su pietre, trecentocinquanta scheda antropometriche, ventidue crani
umani, alcune maschere prese sul vivo, manufatti litici, campioni di sabbie, di rocce, di acque e di legni fossili, raccolte mediche, mineralogiche, circa cinquemila
fotografie ed un film.
E . Z A V A T T A R I , La missione biologica Sagan-Omo, Territori esplorati e risultati
preliminari. In Scienza e Tecnica, I V , 1940, pp. 262 - 263.
(41) a E . :^AVATTARI, Missione biologica Sagan-Omo, Reale Accademia d'ltalia,
Centro studi per I'Africa Orientale Italiana, V I I , Zoologia, -1- (Mammalia, Aves,
Reptilia, Amphibia, Pisces);
b E . Z A V A T T A R I , Missione biologica Saga-Omo, Reale Accademia d'ltalia, Centro Studi per I'Africa Orientale Italiana, X I I , Zoologia, - V I - (Myriapora, Arachnida, Tartigrada, Crustacea, MoUusca).
(42) Oltre a quelli gia riferiti nelle note precedent! ricordiamo pure: E . Z A V A T T A R I , Le caratteristiche della flora nei territoriposti fra I'Alto Giuba e il Lago Rodolfo, inIllustrazionecoloniale,Rassegna d'espansione italiana, X X I I I , 1941, p. 69.
(43) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 15.
(44) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 21.
(45) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 23.
(46) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 23.
(47) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 23.
(48) E . Z A V A T T A R I , D a ; Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 24.
(49) E . Z A V A T T A R I , )a/ Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 25.

(52) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 28.


(53) E . Z A V A T T A R I , Sudditi deU'Impero: I Gheleba del Lago Rodolfo
liad'Ol&emare,V, 1940, p. 326.

in L'lta-

(54) E . Z A V A T T A R I , / laghi Stefania e Rodolfo (A.O.L), secondo i risultati della Missione Zavattari, estratto dalle Memorie deU'Istituto di Idrobiologia Dott.M.
De Marchi,!, Atti del Convegno di Idrobiologia e Limnologia di Milano Milano,
1942, p. 80.
(55) E . Z A V A T T A R I , /Lag/ii Stefania e Rodolfo (A.O.I.) cit., p. 81.
(56) E . Z A V A T T A R I , / Laghi Stefania e Rodolfo (A.O.I.) cit., p. 81.
(57) E . Z A V A T T A R I , La risoluzione del problema cit., p. 324.
(58) Un articolo che riassumeva i risultati ottenuti dalla ricognizone compiuta dal
Piacentini fu compilato da V . MARIANI, // Lago Stefania e il confine fra I'Impero
d'Etiopia e la colonia del Chenia, in Illustrazione coloniale, X X I I , 1940.
(59) E . Z A V A T T A R I , / Laghi Stefania e Rodolfo (A.O.I.) cit., p. 79.
(60) E . Z A V A T T A R I , / Laghi Stefania e Rodolfo (A.O.L) cit., p. 78.
(61) E . Z A V A T T A R I , La risoluzione del problema del lago Stefania cit., p. 322.
(62) E . Z A V A T T A R I , / laghi Stefania e Rodolfo (A.O.I.) cit., p. 79.
(63) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al lago Rodolfo cit., pp. 22 - 23.
(64) E . Z A V A T T A R I , Nei Golfo di Guinea cit., p. 23^.
(65) E . Z A V A T T A R I , Uomini, Bestie, Dei, in Razza e Civilta, I I , Roma, 1941.
(6o) E . Z A V A T T A R I , Ambiente
1941, p. 20.

biologico tropicale e problemi medico legali, I V ,

(67) E . Z A V A T T A R I , Ambiente biologico tropicale e problemi medico legali, I V ,


1941, pp. 2 0 - 2 1 .
(68) E . Z A V A T T A R I . Nei Golfo di Guinea cit., p. 4.
(69) E . Z A V A T T A R I , Scienze biologiche e conquista coloniale, Pavia, 1928, p.6.
(70) E . Z A V A T T A R I , Scienze biologiche cit., p. 16.

(50) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 27.


(51) E . Z A V A T T A R I , Dal Giuba al Lago Rodolfo cit., p. 27.

266

267

Indice

Premessa

FRANCESCO
Riflessioni

SURDICH

sul logocentrismo

della cultura

"occidentale"

CARLO DE NEGRI
Considerazioni nautiche sul "Periplo " di Annone

33

L U I S A F E R R U Z Z I COPPA
Immagini della civilta azteca nelle relazioni dei "Conquistadores" e dei loro cronisti
ALESSANDRO BARAGONA
// Nuovo Mondo nelle "Relazioni Universali" di Giovanni
Botero
SILVIO ZAVATTI

67
67

Luigi Bertonio

95

S. J.

Missionario nei Peril (1555

1628)

85

MARISA PERROTTA
Dalla Cina del Maffei alia Cina del Gemelli Careri: un'immagine che non muta
S A L V A T O R E SACCONE
Considerazioni sul contributo dei Gesuiti alia conoscenza
delle Indie Orientali
GIULIA BRUNA BOGLIOLO
Alcune lettere dalla Cina dell'agostiniano Sigismondo Meynardi da San Nicola

101

115

127

269

F E R R U C C I O GIROMINI
Mississippi 1823

153

FRANCESCO SURDICH
// " Viaggio da Lima ad alcune tribii barbare del Peril ..."di
Giuseppe Emanuele Castrucci

183

SILVIO ZAVATTI
II genovese Germano Eynard
canadese

missionario nei Nord-Ovest

201

ROSARIA RUSCICA
// contributo di Luigi Balzan alia conoscenza della Bolivia
settentrionale

223

G R A Z I E L L A BARENGHI
II contributo di Edoardo Zavattari alia conoscenza dell'Africa Orientale

237

Indice

269

I.
270

Finito di stampare nei mese di aprile 1978


dal " Centro Stampa - RoEzano "
Via Milano - Rozzano (Mi)

Composizione testi: Anna Palli, con macchina IBM


"compositrice elettri

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