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QUALITÀ DEI PRODOTTI VEGETALI

Concetto di qualità
Il concetto di qualità è molto ampio e comprende diversi fattori tra i quali rientra anche l’immagine
del prodotto stesso in quanto colpisce per prima il consumatore al momento dell’acquisto.
Rappresenta un concetto segmentato e dinamico in quanto cambia in relazione agli utenti e nel
tempo. Un esempio è la maggiore sensibilità alla sostenibilità delle produzioni.
A questo bisogna aggiungere il fatto che negli ultimi decenni si è assistito a una forte
diversificazione dei prodotti e dei mercati dipendente, quest’ultimo, dalla regione geografica (clima)
in quanto si rimodulano le scelte sulla base del clima e del suo cambiamento.
Anche il consumatore ha subito una diversificazione e questo ha reso meno rischioso introdurre un
prodotto nel mercato. Visualizzando i dati
del consumatore post-pandemia si può
vedere come prediliga l’aspetto salutistico
per quanto riguarda la scelta del prodotto.
Oltre a questo anche l’origine e i processi
contano sempre di più.
I canali d’acquisto sono diversificati con
un aumento dell’acquisto di prodotti
online. Questo comporta adattamenti
qualitativi, come per il packaging ad
esempio, in quanto bisogna compensare
la mancanza di un contatto fisico che
determina una mancanza di aspetti
sensoriali come il profumo e fisici come la
consistenza. Per quanto riguarda il
packaging oggi il consumatore richiede
che questo sia riciclabile al 100%. È
importante ricordare come le scelte del
consumatore influenzino tutta la filiera e
questo determini una differenziazione
degli investimenti sulla base di questi;
cercando di ampliare anche verso il
mercato estero.
Si introducono anche delle innovazioni di processo che portano maggiore attenzione all’aspetto
della conservazione del prodotto in modo diminuire lo spreco e sodisfare l’esigenza del
consumatore di acquistare prodotti con un maggiore periodo di conservazione.

Oltre a quanto riportato si ha inoltre la ricerca di una uniformità del prodotto mentre si è assistito a
una divergenza tra il mercato al dettaglio e Ho.Re.Ca con effetti su tutta la filiera dovuti a
caratteristiche diverse tra i due soggetti.
Per andare incontro alle esigenze la misurazione delle qualità fisiche “misurabili” hanno preso il
sopravvento quelle organolettiche in termini di importanza. Ciò perché risultano più facili da
misurare ma meno “utili” in senso generico. Le caratteristiche organolettiche sono fortemente
legate alla soggettività dell’individuo e più complicate da valutare. Da considerare come questo
può portare a un danno del mercato guardando alla qualità dei prodotti che vi sono introdotti.

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Nuovo paradigma della qualità

Deriva dal fatto che oggi il consumatore si chiede qual è il costo ambientale che sta dietro ai
caratteri, estetici soprattutto, del prodotto. Ad esempio la presenza in commercio di frutta
esternamente identica determina che vi sia stata una cernita precedentemente e quindi anche uno
scarto. Questo avrà portato al consumo di energie rappresentate da trattori che si spostano nei
campi ma anche dal trasporto nelle fasi successive. A questo è legata l’introduzione
dell’etichettatura ambientale dei prodotti.

Concetto di qualità

Formalmente la qualità viene definita come: “Proprietà che caratterizza una persona, un animale o
qualsiasi altro essere, una cosa, un oggetto o una situazione, o un loro insieme organico, come
specifico modo di essere, soprattutto in relazione a particolari aspetti e condizioni, attività, funzioni
e utilizzazioni.”
Dal punto di vista merceologico rappresenta la qualità della merce come somma delle sue
proprietà intrinseche e d estrinseche mentre dal punto di vista tecnico è rappresentata dall’insieme
delle caratteristiche che rendono un oggetto adatto all’uso o alla funzione a cui è destinato. È
quindi un concetto dinamico a seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare.

La qualità quindi può essere definita come:


 La qualità è ciò che piace;
 La qualità è qualsiasi caratteristica o proprietà di un bene od alimento che serva a
determinarne la natura e a distinguerlo dagli altri;
 La qualità è la misura di molteplici caratteristiche che indica di quanto un prodotto, venduto
ad un determinato prezzo, si avvicina alle aspettative dei consumatori disposti ad
acquistare quel prodotto a quel prezzo;
 La qualità è l’attitudine di un prodotto o di un servizio a soddisfare le necessità degli
utilizzatori;
 La qualità è un concetto basato su alcune proprietà di un prodotto che determinano il suo
grado di rispondenza per un uso ben determinato e definito;
 La qualità è finalizzata alla valorizzazione e quindi all’induzione al consumo con finalità
nutrizionali e un riguardo alle proprietà nutraceutiche.

La qualità presenta quindi un duplice orientamento in quanto ritroviamo una qualità “product
oriented” e una “consumer oriented”. Il punto dove queste due si incontrano è definito un evento.

Qualità come concetto dinamico

Qualità è la rispondenza delle caratteristiche di un alimento (o di un bene) a precisi standard che


vengono definiti dall’utilizzatore: «Fitness for use» o adeguatezza all’uso (ESAME).
Nel definirla bisogna valutare l’importanza che questa rappresenta per tutti gli attori della filiera.
Questo porta alla presenza di diversi punti di vista che determinano diversi criteri per i quali viene
valutata la qualità:
 Frutticoltore: la qualità è rappresentata da un’elevata produzione abbinata a pezzature
elevate. Questo porta a un maggiore ricavo.
 Impiantista: la qualità è data dalla resistenza a stress biotici e abiotici (meccanici) oltre che
dall’elevata conservabilità del prodotto.

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Trasportatore: qualità la abbiamo dalla conservabilità del prodotto, dalla resistenza a stress
meccanici e dalla facilità di manipolazione del prodotto.
 Consumatore: considera l’apparenza, il profilo nutrizionale, il gusto, la conservabilità e la
sicurezza del prodotto intesa come il rispetto di standard di sicurezza e l’assenza di
patogeni ad esempio.
Per raggiungere la qualità bisogna unire tutti gli aspetti.

Qualità orientata al produttore

Pro
 La qualità è misurabile in maniera veloce e affidabile utilizzando, in genere, strumenti
analitici semplici come un rifrattometro per quantificare i solidi solubili in gradi Brix oppure
la degradazione dell’amido.
 Sempre più si cerca di prediligere strumenti non distruttivi per effettuare le analisi come
un’analisi dell’immagine.
 Vuole vedere quanto più rapidamente possibile gli effetti di trattamenti che lui effettua come
nel caso di un diradamento; utilizzato per migliorare l’aspetto nutrizionale del prodotto e
aumentarne la taglia.
 In linea generale tende ad enfatizzare gli aspetti esteriori (quali-quantitativi) del prodotto. Si
parla in questo caso di effetti predittivi.

Contro
 La variabilità biologica rappresenta un limite ed è un aspetto .
 non ricercato da parte del produttore. Tuttavia questa è comunque presente e,
generalmente, derivata da aspetti ambientali (gelate primaverili ad esempio).
 Tra i diversi parametri, quelli più difficili da misurare hanno un peso inferiore rispetto agli
altri nel determinare le scelte - Utilizzando questo approccio si tende a favorire quelle
tecniche agronomiche e trattamenti che mantengono gli aspetti esteriori piuttosto di quelli
interni (gustativi/sensoriali, salutistici, ambientali etc.)

Qualità orientata al consumatore

Pro
 Rende necessaria la comprensione dei gusti del consumatore.
 Si guarda alla valutazione della percezione della qualità da parte del consumatore
utilizzando tecniche e analisi sia a livello di laboratorio che sensoriali. In realtà questo può
essere limitato dal fatto che la qualità rispetto al consumatore è un aspetto molto
eterogeneo.
 Si focalizza sugli aspetti gustativi del prodotto.

Contro
 I consumatori non sono una categoria omogenea.
 Gli attributi sono più difficili da misurare e rendono quindi la valutazione più complessa.

Segmentazione della qualità

È rappresentata da prerequisiti quali la sicurezza alimentare, la


qualità intrinseca del prodotto e la tutela ambientale

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Qualità intrinseca del prodotto

Rappresenta le maggiori attenzioni utili a valorizzare un prodotto. È rappresentata da:


 aspetti normativi;
 marketing;

Aspetti normativi

Norma per raggiungere un livello qualitativo minimo (“minimo di qualità commerciale”) che renda
possibile effettuare una valutazione qualità/prezzo e possa fornire al consumatore un minimo di
garanzie sul prodotto che acquista.
Il regolamento di riferimento è il Reg. UE 543/2011 modificato dal 428/2019: qui nell’Allegato I è
riportata la norma di commercializzazione generale per tutti i prodotti a eccezione di 11 (mele,
agrumi, kiwi, lattughe, indivie ricce e scarole, pesche e nettarine, pere, fragole, peperoni dolci, uve
da tavola, pomodoro da mensa) che sono riportati in schede tecniche specifiche.

Le norme di commercializzazione generale riportano aspetti come:


 Caratteristiche minime: aspetti sul consumatore ma anche su altri attori;

 Caratteristiche minime di maturazione:


“I prodotti devono essere sufficientemente, ma non eccessivamente, sviluppati e i frutti devono
avere un grado di maturazione sufficiente, ma non eccessivo.”
“Lo sviluppo e lo stato di maturazione dei prodotti devono essere tali da consentire il
proseguimento del processo di maturazione in modo da raggiungere il grado di maturità
appropriato.”
Questo è importante in quanto alcuni frutti vengono raccolti troppo precocemente, prima
che abbiano superato lo stato fisiologico di maturation (diverso dal ripening) determinando
quindi l’incapacità di superare tutti i processi di maturazione. La ripening (= maturità) è
raggiunta nel momento in cui i frutti acquisiscono la capacità di completare autonomamente
il suo programma di sviluppo ( ripening) anche se staccato dalla pianta madre. Aspetto
rilevante per le drupacee.
 Tolleranza: “In ciascuna partita è ammessa una tolleranza del 10 % in numero o in peso di prodotti
non rispondenti ai requisiti qualitativi minimi. All'interno di tale tolleranza i prodotti affetti da
marciume non superano il 2 % del totale.”

Gestione della Qualità Totale (Total Quality Management TQM)


Il concetto di qualità totale è associato alla/e certificazioni di qualità oggi utili a fidelizzare il
consumatore. Si parla di:
 UNI: quale ente nazionale;
 EN: per gli enti europei;
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 ISO: per enti internazionali.

Si considera alla base ella qualità totale:


 Priorità al consumatore;
 Ogni operazione fa parte di un processo;
 È un processo senza fine ovvero è sempre possibile migliorare in quanto il mercato è un
dinamico e quindi varia;
 La qualità viene prodotta, non solo controllata;
 È possibile effettuare una prevenzione attraverso una pianificazione;
 Trasparenza nei confronti del consumatore per quanto riguarda i passaggi che influenzano
la filiera produttiva: si applica la blockchain per la rintracciabilità.

Segmentazione dei consumatori

Aspetto molto importante in quanto le scelte effettuate si orientano al consumatore. Vengono


identificate cinque tipologie di consumatori quali:
 Curiosi;
 Concreti;
 Edonisti;
 Maturi;
 Acerbi;
definiti sulla base di percezione, consapevolezza, accessibilità e dell’aspetto digitale.
È aumentata l’attenzione ai servizi associati al prodotto: si parla di tecnologie di conservazione in
relazione anche ad una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente. Questo dovuto dal fatto
che si cerca sempre di migliorarsi e di evolversi. L’aspetto negativo di ciò è dato dal fatto che
questi possono andare a sovrastare la qualità intrinseca stessa del prodotto.
Tra i servizi che interessano il prodotto ritroviamo:
 selezione;
 sanitizzazione;
 calibratura;
 lavorazione;
 conservazione;
 confezionamento;
 etichettatura;
 comunicazione;
 informatizzazione;
che rientrano in tutto ciò che si fa per far sì che il prodotto rispetti le aspettative (del cliente).

Caratteristiche dei servizi

 Qualità del sistema e del processo produttivo: interessa


la presenza di certificazioni. Queste possono essere
suddivise in “cogenti” e in “volontarie”.
 Provenienza territoriale: fa riferimento alla qualità
ambientale.
 Fair Trade;
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 Convenienza: intesa anche come comodità d’uso.

Temi della qualità


 Eliminare le oscillazioni qualitative: intesa come uniformità del prodotto. Questo può portare
a problematiche legate ad aspetti organolettici.
 Valutazione della qualità organolettica: è
variabile. Attraverso i marchi si ha
un’assunzione di responsabilità in merito. Ad
esempio le pere IGP dell’Emilia Romagna.
Sono un mezzo per fidelizzare il consumatore.
 Valorizzazione del territorio.
Bisogna tuttavia considerare che i marchi, al giorno
d’oggi, sono una normalità e che quindi è necessario
andare oltre.

Attributi della qualità

 Qualità misurata (aspetto intrinseco)


 Qualità percepita
 Qualità certificata
 Qualità regolamentata

Qualità misurata

Si utilizzano parametri che possiamo valutare attraverso l’utilizzo di strumenti, anche semplici, fino
a utilizzare quelli più evoluti: spettrofotometro portatile, DA meter (valuta lo stato di maturazione
delle pesche e delle mele, utile per la raccolta), il NIR. L’obbiettivo è quello di standardizzare e
classificare i prodotti rispettando di valori soglia presenti (DA meter, il calibro delle mele a 65 mm
per determinare quali scartare). Tutto ciò garantisce un linguaggio comune ovvero compreso allo
stesso modo da tutti gli attori, aspetto fondamentale per gli scambi commerciali.
Rientrano anche valutazioni effettuate a occhio nudo, senza l’utilizzo di strumenti, per la bontà
delle aspettative ad esempio.
Ci si sta spostando sempre più verso l’utilizzo di strumenti non distruttivi come sensori del calibro o
analisi iperspettrali che utilizzano lunghezze d’onda d’interesse per valutare la qualità.
Ad esempio abbiamo la RGB (analisi d’immagine): suddivide l’immagine nei 3 canali e individua
l’imbrunimento.
Un altro strumento non distruttivo (utilizzabile anche in maniera distruttiva) è la spettroscopia Vis-
NIR: utilizza uno spettro, definito iperspettrale, che
comprende una parte minima dell’UV fino ad arrivare
all’infrarosso utilizzando lunghezze d’onda comprese tra
250 nm e 2500 nm. Viene utilizzato, ad esempio, per
quantificare i solidi solubili del melone e la loro
distribuzione all’interno del frutto.

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Altri esempi sono l’utilizzo
delle firme iperspettrali
ovvero tratti specifici dello
spettro di assorbimento (es.
300 nm – 1500 nm) utilizzati
per effettuare delle
distinzioni tra i prodotti
ottenuti come per gli
apsaragi ottenuti in regime
di coltivazione vìconvezionale rispetto a un regime biologico. Ciò è possibile attraverso il confronto
di più spettri distinguendo i diversi picchi di assorbimento  definite “firme iperspettrali”. A questo
è possibile associare un sensore creato specificatamente per le lunghezze d’onda di interesse e
che autonomamente distingue i prodotti.
Il DA meter è stato sviluppato su quest oconcetto. Utilizza una differenza di assorbanze tra una di
riferimento, che non varia, e la seconda che è quella misurata e che determina il risultato. Oltre alle
pesche e mele è stato sviluppato uno strumento identico per tutti quei frutti la cui maturazione
rapprresenta un apsetto fondamentale per ottenre lotti uniformi.

Qualità percepita

È più difficile da valutare in quanto riguarda il consumatore. Bisogna considerare che può differire
dalla qualità misurata. Questo determina un rischio di ottenere un prodotto sottoperformante con
conseguente minor ritorno economico. Nel tempo si è data maggiore importanza alla lunga
conservabilità del prodotto rispetto alla sua qualità percepita. Lo stesso per quanto riguarda gli
aspetti visivi in quanto più facili da introdurre (vedi Mendel) rispetto a un aspetto organolettico in
quanto controllato da più geni. Per aspetto visivo legato al genetico si parla della forma, colore,
dimensione, presenza o assenza di semi (tipico delle clementine).
L’aspetto organolettico ha determinato una certa prudenza dal punto di vista normativo in quanto
difficile da quantificare e quindi da porre dei limiti; ad oggi ci si concentra ancora su paramentri
visivi.
Altro aspetto da considerare è la qualità nutrizionale dove ritroviamo varietà più antiche, meno
“belle”, che danno un prodotto migliore rispetto a quelli delle varietà moderne.

La qualità percepita è un’aspetto multimediale e difficile da caratterizzare; definita come “tentativo


di mediazione tra le caratteristiche intrinseche del prodotto e le preferenze del consumatore che,
per determinarne il valore, utilizza anche segnali (o cues) dipendenti dall’ambiente e dalla
situazione di consumo» (Steenkamp, 1989)”. Per questo motivo vengono utilizzati dei modelli per
renderla più oggettiva  modelli attitudinali multiattributo che hanno rilevante importanza per il
marketing.
A questo scopo si ètrovato un modello di lavoro nel Total Food Quality Model, creato nel 1996.
Questo presenta 2 dimensioni quali la dimensione pre-acquisto, riferita alle aspettative del prodotto
e quella post-acquisto che permette di verificare se le aspettative siano state rispettate. Questo è
importante, ad esempio, per gli attributi ricerca, legati agli aspetti organolettici del prodotto, i quali
non possono essere accertati prima dell’acquisto.
A livello di pre-acquisto si ritrovano:
 Indicatori di costo;
 Indicatori estrinseci;
 Indicatori intrinseci.

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Le due dimensioni del modello sono
rappresentate da:
1. Criterio temporale (pre o post
acquisto);
2. Modalità di percezione della qualità.

Il modello prevede che se le caratteristiche


del prodotto soddisfano le aspettative ci
saranno acquisti futuri.
LIMITE: il modello non considera i processi
per ottenere il prodotto; a questo scopo si
introduce un secondo modello, Modello di
Becker, che rappresenta come le
caratteristiche qualitatice siano collegate tra
di loro.
Riporta, ad esempio, i fattori legati a un
aspetto qualitativo fisico del prodotto.
Considera come il prodotto influenzi il costo
stesso. Introduce una relazione tecnico-
economica tra attributi processo e attributi
prodotto. Il consumatore è in grado di notare
questi aspetti grazie alle sue esperienze
pregresse di acquisto, al livello di
conoscenza del prodotto e all’etichettatura
che introduce aspetti di rintracciabilità; anche
rivolta ai processi.

Mercato consumer-driven

Rappresenta aspetti che il consumatore valuta e che quindi coincidono, o possono coincidere, con
le loro richieste. Si ritrovano il gusto e l’apparenza, gli aspetti legati al processo, la salubrità del
prodotto e il convenience inteso come praticità d’uso anche in relazione al packaging e alla sua
gestione dei rifiuti, alle necessità fisiche e mentali necessarie per consumare tale prodotto (vedi
prodotti pronti al consumo o pronti da cuocere).

Qualità certificata

Ha lo scopo di combattere la “disumanizzazione” delle produzioni intesa come la mancanza di


contatto umano tra il consumatore e il venditore/produttore. Sono quindi necessarie per fidelizzare
il consumatore conferendo rassicurazioni sulla sicurezza del prodotto stesso, anche aspetti di
sicurezza obbligatori, importanti, soprattutto, per il prodotto venduto sfuso. Si parla anche di aspetti
legati all’identità territoriale e al regime produttivo. Oltre alle certificazioni obbligatorie si entra
nell’ambito delle certificazioni volontarie: volutamente vengono seguiti dei paramentri. Ultimamente
l’aspetto della volontarietà è sovrastato da un obbligo implicito di seguire tali parametri in modo
tale da non porsi in condizioni di svantaggio rispetto ai competitori (vedi GlobalGAP).

Qualità regolamentata

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Attraverso le norme si:
 regolano i rapporti tra produttore, operatore commerciale e consumatori;
 definiscono le categorie minime e commerciali, le tolleranze e le prescrizioni di
etichettatura;
 consentono l’identificazione del prodotto, della sua natura, della sua origine, delle sue
caratteristiche commerciali;
 consentono l’esecuzione dei controlli di conformità (derivanti dalla presenza di criteri di
qualità misurabili) e dispongono le informazioni obbligatorie.

Criteri di uniformità
 concetto applicato a tutti gli attributi primari della qualità (dimensione, forma, colore,
maturità, compattezza, ecc.);
 concorre a determinare il valore della produzione e quindi il successo dell’impresa
agraria;
 definisce lo scarto, questi conservano comunque un certo valore, vedi ad esempio le mele
scartate se il calibro è inferiore a 65 mm;
 indica al consumatore che il prodotto è già stato selezionato;
 indispensabile per i prodotti preconfezionati;

Gli aspetti legati all’ottenimento della conformità possono essere interni alla pianta o di gestione
dell’impianto.
 Interni alla pianta:
 Caratteristiche del genotipo (o anche del portinnesto). Gli alberi da frutto sono propagati
per via vegetativa, in modo da mantenere la stabilità genetica, e impiantati su un
portainnesto adattato all’ambiente: questo può aumentare la produttività o aumentare la
riproduzione vegetativa con diminuzione della produzione dei frutti.
 Efficienza dei processi di impollinazione fecondazione, in particolare nelle specie dioiche o
nelle cultivar autosterili. Le piante dioiche sono quelle che non sono in grado di
autoimpollinarsi. A questo scopo si utilizzano nei meleti dei meli, posti ad esempio ogni 10
alberi produttori, dei meli che producono molto polline. Questo permette di intervenire sulla
dimensione e produzione dei frutti da parte dell’albero. Un aumento della dimensione
determina anche un aumento del numero di semi, fino a un massino di 10, che possiamo
ritrovare all’interno del frutto. Con abbastanza polline e un numero elevato di semi (?)
aumenta la dimensione. Si parla di fecondazione. La presenza di semi può portare alla
formazioni di frutti con una dimensione non omogena dovuta al fatto che in presenza di
questi il frutto si accresce maggiormente nell’area dove sono concentrati e meno dove non
ritroviamo i semi.
 Fenomeni di competizione e relazioni sink-source. La sink-source sono fenomeni di
competizione tra organi della pianta. Un esempio è la competizione tra gli organi che
producono assimilati fotosintetici e chi invece ha necessità di accumularli (come il frutto ad
esempio). Se ci sono troppi frutti sull’albero si instaura una competizione tra frutti e parte
vegetativa oltre che una tra frutti e frutti che determinano una riduzione dell’accrescimento.
Per questo motivo si procede a un diradamento. In questo modo ottengo la dimensione e la
qualità che ricerco. Ad esempio la presenza di pigmenti, metaboliti secondari, deriva dalla
presenza di metaboliti primari.
 Epoca di raccolta. Interviene sulla eterogeneità della maturazione. Più è omogenea minori
saranno i costi per l’azienda in quanto meno dilatato sarà il periodo della raccolta. In
genere si effettuano 2 o 3 stacchi per la raccolta; nelle piante (o alberi) arboree sono di più.
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 Gestione dell’impianto:
 Modelli di impianto e forme di allevamento. Si utilizzano degli impianti con le arboree a
parete per ottenere un’esposizione alla luce omogenea e di conseguenza una
pigmentazione omogenea.
 Architettura della chioma (disponibilità di energia radiante e sistemi di potatura). Se troppo
folta può determinare un autombreggiamento e quindi una minore efficienza
fotosintetizzante. È quindi necessario valutare una giusta esposizione anche per evitare
una bruciatura del frutto.
 Gestione del suolo e delle risorse (nutrizione idrica e minerale). Influisce sull’uniformità. Un
eccesso di azoto nella fase di maturazione influisce sulla colorazione.
 Tecnica di raccolta. Bisogna garantire che il frutto sia raccolto in maniera uniforme. Questo
introduce il problema della manodopera in quanto si cerca di robotizzare la raccolta: può
risultare complicato in relazione alla suscettibilità del frutto a danni meccanici ad esempio.

 Fattori esterni, relativi al sistema produttivo e al territorio:


 Qualità ambientale e andamento stagionale. Fa riferimento alle condizioni pedoclimatiche e
come la pianta è in grado di adattarcisi.
 Interazione genotipo-ambiente. importante trovare la giusta coltura e varietà che si adatti
all’ambiente. questo risulta utile per migliorare la produzione.
 Capacità tecnica/imprenditoriale
 Presenza/assenza di servizi di assistenza tecnica. È rappresentata da consulenti che
consigliano il produttore.
Questo aspetto è trasversale e interessa diversi aspetti. Troviamo ad esmepio la concimazione, i
trattamenti contro gli infestanti, i “regolatori di crescita” come composti chimici diradanti (non
presenti in tutti frutti). Si utilizzano quelli che simulano l’attività naturale in forma di ormoni o di
precursori. Un esempio è la gestione dell’etilene per scalare la maturazione e la raccolta quindi. È
utilizzato in quanto interviene nella cascola fisiologica ovvero nella perdita naturale dei frutti. L’ACC
è un precursore dell’etilene. Altre problematiche sono relative ai processi produttivi del composto:
si procede con lo sviluppo in bioreattori per la produzione usando Fusarium ingegnerizzati in modo
tale da ottenere prodotti conformi. Per gestire il colore si utilizzano i giasmonati; per il diradamento,
oltre all’etilene, anche auxine e citochinine.

Standard qualitativi odierni

Si tratta principalemente di aspetti definiti a livello europeo che vengono quindi recepiti a livello
nazionale. Tra le qualità regolamentate quella merceologica risulta la più semplice da
regolamentare. I prodotti sono normati a livello generale a differenza delle 11 categorie normate a
livello specifico. L’ente principale preposto alla definizione e vigilanza della qualità (come standard)
dei prodotti ortofrutticoli è l’Agecontrol.

Schede tecniche dell’ortofrutta:


sono presenti per ogni prodotto ortofrutticolo. Ritroviamo diverse parti.
1. Nome della specie con nomenclatura binomiale;
Riferimenti normativi;
Caratteristiche minime;
Requisiti e informazioni specifiche: ad esempio la maturazione per le mele.

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2. Categorie di qualità con i limiti di tolleranza. Questo riguarda l’aspetto e il colore. Sono
informazioni riportate nei documenti presenti tra il produttore e il soggetto succesivo della
filiera. Si riportano le specificità dei difetti;
Tolleranze di qualità: anche per prodotti venduti sfusi. Saranno minori per i prodotti di
categoria extra.
Informazioni sul calibro: come si misura e le tolleranze.

3. Modalità di etichettatura: cosa riportare e come riportarlo;


Presentazione;
Quali imballaggi utilizzare.

Scheda tecnica – criteri di colorazione delle mele


Nelle schede tecniche c’è poco dettaglio per quanto riguarda la colorazione delle mele. Questo è
dovuto anche dal fatto che vi sono migliaia di varietà nel mondo. Ritroviamo la seguente
distinzione:

Ottenere una colorazione adeguata è fondamentale per avere un valore redditizio del prodotto. A
causa del cambiamento climatico è sempre più difficile ottenre il colore; meno problematico in
montagna. Il colore infatti viene ottenuto sulla base del:
 Escursione termica in fase di maturazione;
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 Esposizione solare: si procede con una potatura dei rami che riducono l’esposizione solarre
per aumentare l’esposizione solare e quindi la pigmentazione da antociani. Questa
procedura viene deinita “potatura verde”. Gli antociani, metaboliti secondari, derivano dai
metaboliti primari; una loro carenza determina una carenza di metaboliti secondari.
Nel 2022 le temperature elevate hanno determinato che la raccolta a novembre avvenisse con
prodotti posti nelle condizioni non ottimali di ottenimento della colorazione. La radiazione luminosa
permette di aumentare la fotosintesi e quindi la produzione di metaboliti primari. Inoltre il contatto
degli UV-B con la buccia induce uno stress della stessa che si riflette nella produzione di antociani
come composto di difesa. Se durante la notte le temperature rimangono abbastanza alte questo
porta a un aumento della respirazione della pianta che si riflette in una aumento del consumo dei
fotosintetizzati del giorno detrminando una diminuzione dei metaboliti primari e quindi anche di
quelli secondari. Si può ovviare utilizando cultivar che acquisiscono il colore più facilmente oppure
utilizzare sostanze ormonali. Queste regolano la trascrizione dei geni Mid che determinano la
trascrizione di geni che codificano per la produzione di antociani. Si tratta di germonati (?);
composti naturalmente prodotti ma che possono essere aggiunti. Bisogna considerare che il
periodo di produzione deegli antociani è ristretto e quindi il range temporale per aggiungere questi
composti è altrettanto ristretto. In ogni caso questo approccio permette di aumentare la produzione
di mele (esempio) che rientrano nella categoria extra. Ciò ha importanti risvolti economici per il
produttore che ottiene dai 5 cent./kg delle mele verdi (= senza colorazione) a 70 cent./kg di quelle
di categoria extra. In realtà il passaggio principale è quello da seconda categoria a extra con un
introito che passa da 25 cent./kg a circa 70 cent./kg.

Difetti

Con riferimento alle mele ci possono essere diverse fitopatie e fisiopatie. Tra questi ritroviamo la
ticchiolatura causata da Venturia inaequalis. Per valutare la presenza di mele con questa
problematica si utilizzano in azienda dei sistemi autimatizzati che lavorano per selezione
d’immagine. Le mele vengono fatte fluire in un centro di smistamento e classificate sulla base
dell’acquisizione dell’immagine. A questo punto possono essere condotte in bins o verso il
packaging previsto (confezionamento) a seconda del difetto individuato. Ci possono essere fino a
50 classi di suddivisione anche se è l’operatore a decidere quante e quali classi applicare. Le
tempistiche di questa fase devono essere contenute per permettere alle mele di arrivare in cella
quanto prima possibile considerando che la maturazione prosegue. Per lo spostamento dei frutti si
utilizza acqua al fine di evitare danni fisici. Le mele, una volta entrate, vengono lavate, asciugate e
messe in fila. Questo permette di avere una velocità di processamento che sia adeguata alla
qualità del prodotto ovvero entrano nel sistema di acquisizione di immagini in maniera
numericamente adeguata. Durante il trasporto si acquisisce l’immagine valutando la presenza di
difetti superficiali e le dimensioni. Importante mantenere e assicurare l’integrità del prodotto. Il
potenziale di questi macchinari è praticamente infito in quanto possono essere utilizzati per
misurare qualsiasi parametro. A seguito della valutazione il frutto viene coinvogliato in una
determinata cassetta e quindi confezionato.
Per i kiwi questo sistema non utilizza l’acqua come mezzo per il trasporto dei frutti in quanto, data
la peluria superficiale, ci può essere la possibilità di un assorbimento di umidità con conseguenti
problemi nella conservabilità.
Questo rapresenta gli importanti sforzi che sono effettuati dalla filiera in termini di mantenimento
dei criteri di uniformità; tuttavia bisogna ricordare come questi non sempre rappresentino un
sinonimo di qualità complessiva del prodotto.

Regolamenti

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Nascono da organismi internazionali e vengono poi calati a livello nazionale. È possibile che vi
siano leggere variazioni nel passaggio ma è obbligatorio mantenere e rispettare l’obiettivo
principale del regolamento stesso.
Nel regolamento 543/2011 all’articolo 3 ritroviamo che “Gli ortofrutticoli cui non si applica una
norma di commercializzazione specifica devono essere conformi alla norma di
commercializzazione generale. Tuttavia, i prodotti si considerano conformi alla norma di
commercializzazione generale se il detentore è in grado di dimostrare che sono conformi ad una
norma applicabile adottata dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite
(UNECE)”.
L’UNECE è il primo ente normatore che norma aspetti commerciali quali gli standard (fa parte delle
nazioni unite).
 I parametri regolamentati sono gli stessi del regolamento europeo;
 Quando viene approvato uno standard internazionale per un prodotto, lo stesso prende il
posto di quello europeo e lo sostituisce. In questo modo si evitano contrasti tra le
legislazioni.
 Se lo standard internazionale regolamenta un prodotto che non rientra negli 11 specifici
della Ue è permesso nel libero rapporto cliente/fornitore applicare lo standard
internazionale (norma generale) invece di quello generale della Ue (ad esempio, per
albicocche e ciliegie). Possono quindi decidere quale standard applicare sulla base della
loro convenienza (UNECE, UE o nazionale).

Standard internazionali
l’approvazione degli standard richiede l’unanimità. Questo porta a un iperburocratismo dato
l’allungamento delle procedure. Un esempio è il fatto che un prodotto trasformato in Italia abbia il
marchio Made in Italy quando la materia prima non sia di origine italiana (Italia terzo paese UE per
fatturato dall’agroalimentare). Intervengono anche nell’ambito varietale dei prodotti: se non vi è
l’obbligo di riportarla questo può condurre a una commercializzazione abusiva del prodotto stesso.

Le regole imposte dall’UNECE e dall’UE sono suffienti a garantire una qualità minima accettabile
che renda tutelato il consumatore. Più difficile per un prodotto sfuso; a questo proposito risulta
importante variare i parametri qualitativi con cui si opera la scelta sulla base della stagionalità e
dell’andamento della stagione (esempio più o meno gelate durante l’annata).

Valorizzazione tramite marchio


(marchio in generale; non marchio d’origine)

È un meccanismo valido per tutelare il consumatore e valorizzare l’operato del produttore. Si parla
di marchi “varietali” e di “geuppi varietali omogenei”.
 Chiquita: primo marchio internazionale, dal 1944 (ESAME);
 Melinda: primo marchio a livello nazionale (ESAME).

Oggi ci sono molti marchi in circolazione; molti sono legati alle mele. Per utilizzare un determinato
marchio è necessario rispettare delle regole e attenersi a determinate restrizioni (aspetto
economico). Oggi ci sono molti marchi, troppi, il che può confondere il consumatore e farlo sentire
quindi meno rassicurato.

Marchio:

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 Consorzio di gestione: è la struttura che cura l’immagine. Presidia regole e procedure dalla
coltivazione alla commercializzazione. Ci sono diverse tipologie di marchi con regole più o
meno stringenti: quelli “club” per le mele Pin Lady hanno un controllo molto spinto in termini
di licenze di coltivazione. Stabilisce anche i controlli: se un azienda non rispetta quanto
richiesto viene eliminata dal consorzio.
 Controllo del catasto: importante per la corrispondenza della royalties (se presenti).
 Documenti: di parla di disciplinari post-raccolta e produzione; comprende anche la
rintracciabilità.

Criticità legate all’uso dei marchi

 La nascita del marchio deriva da studi effettuati a monte; è necessario quindi confrontare
che i caratteri e usi del prodotto siano quelle che si vogliono raggiungere mediante lo studio
a monte.
 È necessari oaccettare delle regole che possono essere più o meno stringenti.
 Ci sono dei costi di gestione del consorzio per cui è necessario che i prodotti siano
sufficeintemente remunerati. I guadagni possono essere ridotti per i consumatori
soprattutto se il marchio comprende una regione geograficamente molto ampia: si assiste a
un aumento dei costi determinato anche dal maggior numero di macchinari necessari.
(Cherry vision).
Quando il consorzio va a regime i costi vebìngono ammortizzati attraverso investimenti che
sono fondamentali per avere un proseguimento nel futuro.

Qualità e territorio: IGP, DOP e STG

Si parla di marchi d’origine: provengono da regolamenti europei. È necessaria una vocazionalità e


territorialità del prodotto. Lo scopo è quello di valorizzare il prodotto sulla base di un insieme di
proprietà.
Nel regolamento CEE 2081/1992 ritroviamo:
 DOP: (Denominazione di Origine Protetta) identifica la denominazione di un prodotto la cui
produzione, trasformazione ed elaborazione devono aver luogo in un’area geografica
determinata e caratterizzata da una perizia riconosciuta e constatata.
 IGP: (Indicazione Geografica Protetta) indica un prodotto il cui legame col territorio è
presente in almeno uno degli stadi della produzione, della trasformazione o
dell’elaborazione del prodotto. Inoltre, il prodotto gode di una certa fama.
I prodotti STG sono normati dal Reg. UE 509/2006, 1151/2012 e sucessivi dove spiega che fanno
riferimento a una modalità di produzione legata al territorio e/o tradizione e comprovabile.

Prodotti di Montagna: sono normati nel Reg. 1305/2013 e riporta le aree montagnose che rientrano
in questo tipo di produzioni.

Gli scopi dei marchi di origine sono di


 Salvaguardare la qualità dei prodotti agricoli e alimentari;
 Incoraggiare la diversificazione delle produzioni scoraggiando l’uniformità delle produzioni;
 Proteggere i consumatori e i produttori da frodi e scorrette imitazioni;

Registrazione di una denominazione

L’iter specifico è riportato nel Reg. 510/2006 e recepito con il D.M. dell’11 novembre 2006.
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1. I rpoduttori devono afferire a una forma di associazionismo.
2. Viene presentata un’”istanza di registrazione” al Ministero dell’agricoltura, della sovranità
alimentare e delle foreste. La documentazione da presentare è corposa e specifica:
 Atto costitutivo e statuto dell’associazione. Il costo in genere è abbastanza basso,
circa 100-150€.
 Delibera assembleare dalla quale risulta la volontà dei produttori di presentare
istanza di registrazione
 Disciplinare di produzione
 Relazione tecnica
 Relazione storica
 Relazione socio-economica
 Le tre relazioni dimostrano il legame con il territorio e il fatto che le denominazioni portino
benefici sociali e territoriali;
 Cartografia dettagliata: rappresenta le aree dove può essere coltivato il prodotto per
ottenere la denominazione.
 Ricevuta del versamento del contributo destinato a coprire le spese a norma dell’art.
18 del reg.(CE) 510/2006
 Dichiarazione che attesti la veridicità delle informazioni fornite
Il disciplinare di produzione è il documento più importante in quanto contiene indicazioni
fondamentali:
 Nome del marchio
 Descrizione del prodotto
 Zona geografica di riferimento: sono riportati i comuni dove è possibile coltivare il prodotto;
 Elementi che dimostrino l’origine
 Descrizione del metodo di ottenimento: a partire dalla coltivazione fino a tutte le procedure
successive;
 Elementi che dimostrino il legame fra la qualità e l’origine u Autorità di controllo
 Regole di etichettatura

3. Si presenta la domanda di registrazione:


 Fase Regionale e Nazionale
 Prima fase ministeriale
 Seconda fase ministeriale
 Fase Comunitaria
 Esame da parte della Commissione
 Pubblicazione e registrazione comunitaria

 ASSEGNAZIONE MARCHIO DOP O IGP

Pregi
Garantisce la rintracciabilità e la commercializzazione a livello europeo in quanto derivante da un
regolamento approvato a livello europeo. Ciò significa che può utilizare tutti i sistemi di supporto
previsti a livello europeo.

Criticità:
 GDO: le denominazioni di origine penalizzano le loro etichette;
 Resistenza da parte dei produttori
 Importanti forme di controllo che tuttavia non annullano la presenza di frodi.
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 I soli aggiornamenti del disciplinare possono richiedere molto tempo, anche anni.

Forme di certificazione volontarie

Essendo volontarie sono legate a dei consorzi.

GlobalGAP: introdotta alla fine degli anni ’90 su iniziativa della GDO per offrire prodotti di qualità e
sicuri. È definita una certificazione modulare in quanto è possibile accettare anche solo
determinati moduli, ad esempio quelli legati all’etica del prodotto, con i costi di iscrizione e
mantenimento che variano sulla base dei moduli accettati.
L’applicazione può interessare la singola azienda o più aziende agricole riunite assieme; questo
porta a una elevata frammentazione in quanto vi sono molte aziende che utilizzano il marchio.
Può risultare poco sensata la presenza d iqeusto tipo di marchi se si guarda alla normativa di base
che prevede già la gli aspetti di qualità. Ad esempio per i prodotti BIO è necessario pagare per
ottenre il marchio ma i requisiti qualitativi che riteoviamo nel regolamento sono implicitamente già
inseriti nel GlobalGAP. Nonostante questi aspetti il GlobalGAP è molto diffuso.

Criticità
 Agisce su quelli che sono dei prerequisiti della qualità; prevede che ci siano dei controlli
andando così a colmare delle lacune istituzionali;
 Mescola diversi obiettivi sulla qualit intrinseca ed estrinseca;
 È estesa a livello animale e vivistico
 Prevede aggiornamenti ogni 4 anni in maniera piuttosto capillare; questo contribuisce ad
aumentare i costi
 Sbilanciata, per aspetti etici, sugli aspetti della coltivazione a sfavore delle fasi successive;
quelle produttive.

Esempi simili al GlobalGAP


 Il BRC (“British Retailer’s Consortium”, nato nel 1998 in UK) diventa poi GSFS 5: Global
Standard Food Safety;
 QS (Qualität und Sicherheit) è operativo in Germania;
 IFS (“International Food Standard”) nasce nel 2000 tramite accordo dei retailers tedeschi e
francesi;

Conclusioni: le certificazioni interessano aspetti rindondanti; già presenti a livello normativo. Non
aggiungono una ulteriore valorizzaiozne o risolrse aggiunitve.

Certificazioni ambientali

EMAS e ISO14000: nascono per il rispetto dell’ambiente dal punto di vista idrico ed energetico. Si
parla di Life Circle Assessment (LCA), Water Footprint e Carbon Footprint.
 LCA: è una valutazione del ciclo di vita per attuare una Politica Integrata dei Prodotti. Sono
utilizzati dei metodi oggettivi per quantificare i carichi energetici, ambientali e l’impatto per
avere il prodotto sullo scaffale. Prevede una valutazione a 360° per avere l’impatto finale di
qualsiasi prodotto. L’applicaizone è normata dall’ISO14040.

Sempre in riferimento al LCA è stata introdotta, a partire dal 01/01/2023 l’etichettatura ambientale:
nella definizione dei criteri ambientali di riferimento per un dato gruppo di prodotti (etichette
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ecologiche di tipo I: Ecolabel), o come principale strumento atto ad ottenere una Dichiarazione
Ambientale di Prodotto: DAP O EPD (etichetta ecologica di tipo III).

Risvolti
 Attraverso il LCA posso rendermi conto dell’aspetto energetico riguardante un prodotto e
posso, di conseguenza, promuovere degli efficientamenti del processo;
 Ha un risvolto nell’ambito del marketing del prodotto;
 È importante la pianificazione strategica per il fatto che non sempre gli efficientamenti sono
rapidi;
 Necessaria una spinta politica per gli efficientamenti.

Problematiche legate al LCA

Valutare il LCA è costoso, anche se per un singolo prodotto. A questo scopo si utilizzano i “LCA
semplificati” a seguito di una valutazione reale del LCA: attraverso un database posso effettuare
delle stime.

Carbon Footprint

Ad oggi non è molto diffusa; la ritroviamo per i vini. Determina l’impatto ambientale del prodotto sui
cambiamenti climatici in termini di emissione di gas serra sul prodotto o sul processo associato.
È espressa in tonnellate di CO 2 equivalente (ton CO2 eq.) dove la CO2 ha valore pari a 1. Nel
protocollo di Kyoto ritroviamo gli altri gas serra che interessano questa misura: metano (CH 4),
ossido nitroso (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), esafloruro di zolfo (SF 6). Si
considerano questi gas a partire dal campo fino al prodotto finito sullo scaffale.

“Made Green in Italy”


Il Ministero dell’Ambiente ha avviato nel 2011 un programma per effettuare una valutazione
ambientale per la Water Footprint (vedi consumo di carne nelle risorse idriche). Anche in questo
caso si tratta di una valutazione effettuata per il singolo prodotto. Interessa:
 Efficientamento;
 Aumentare la consapevolezza del consumatore;
 Promuovere il Made in Italy.

Criticità delle certificazioni ambientali

Data la presenza di certificazioni obbligatorie, marchi di origine, certificazioni volontarie, marchi


ambientali ecc… i marchi stessi diventano troppi. È quindi consigliabile cercare di semplificare le
certificazioni.

Aspetti etici

Riguarda la presenza del caporalato, presente in tutto in tutto il paese. A questo scopo sono nate
delle certificazioni come SA 8000 (“Social Accountability 8000”, responsabilità sociale) e Grasp
(“GlobalGap Risk Assessment on Social Practice”): siamo nel campo dell’etica del lavoro e della
responsabilità sociale. Il GRASP è specifico della GlobalGAP. L’aspetto etico è richiesto dal
mercato e dal consumatore soprattutto anche se dovrebbe essere un diritto garantito.

Certificazioni di processo
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 Biologico;
 Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata: ha l’obiettivo di diminuire l’uso di
pesticidi e aumentare il rispetto per l’ambiente. Sono utilizzati dei loghi.
Dal punto di vista normativo ci sono molti altri aspetti come, ad esempio, i capitolati di fornitura
che sono utilizzati come mezzo che rapporta il produttore al distributore. Possono essere utilizzati
per creare un vantaggio competitivo rendendoli più stringenti.

Pera IGP Emilia Romagna – caso studio

Negli ultimi anni sono nati molti marchi di produzione, anche al fuori delle pere.
Il disciplinare deve avere una flessibilità relativa al prodotto. Non è un'unica pera ma l’IGP è
riservata solo a 8 cultivar. Da poco è stato emesso il nuovo logo. Rischio di sparore a causa di
alcuni problemi come la cimice asiatica. La pera è un frutto molto delicato, soprattutto agli stress
meccanici. Prestare attenzuione anche nel dopo raccolta.

Le ultime due cultivar sono parentali della cascade. Non tutte hanno la stessa rilevanza economica
nell’ambito igp. Sono pere anche moloto differenti tra loro.
Caratteristiche dell’atto dell’immissione al consumo (da disciplinare): difficoltà nella gestione della
raccolta e del post- raccolta. Le pere arrivano al conusmo dopo molto tempo, anche un anno di
conservazione. Si ricerca che la pera arrivi in commercio in condizioni qualitative ottimali.
Le caratteristiche riportano aspetti esteriori, calibro. Per il calibro si utilizza il diradamento che
icalca quello delle pomacee (variando alcune proporziini).
Tenore zuccherino e durezza sono seguito di misurazini ben precise. Il tenore zuccherino, grado
brix, è raggiuntio se ci sono state tecniche atte a raggiungere tale grado: epoca di raccolta. Lo
stesso per la durezza: non eccessivamente rammollito la maniopolazione non la degrada;
facilmente consevabie e non immediatamente deperibile.
Sapore: aspetto sensoriale.

Contiene le indicazioni delle zone di produzione a livello di comune.l’areale va dalle coste


adriatiche fino alla provincia di modena e reggio emilia.

Condizioni dei terreni, sesti di impianto, densità di impianto (piante/ha)  dipendono gli aspetti
quaalitattivi.
Pratiche colturali; lotta fitosanitaria;inidcazioni gneriche sulla conservazione (mai sotto i 4 gradi).

Tipologie di confezioni che possono esere utiizzate conp resenza della bollinatura: per almeno
70% del prodotto in bins.

Commercio: solo tra il 10 agosto e il 31 maggio.


Info in etichetta: stabilito dal disciplinare; va oltre quelle obbligatorie.
Prevede l’organismo di controllo, autorizzato dal ministero. C’è anche un meccanismo di
autocontrollo che deve adottare ogni azienda che aderiscece al marchio.

Centr idi condizionamento: specifica, con strutture idonee. Necessaria la documentazione per
accertare il livello sanitario. Possibili visite di sorveglianza ogni 15 giorni.
Oltre 220 aziende zocie della pera dell’emilia romagna igp.

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Il consorzio è molto attivo: si è attivato per portare aventi un progetto con cnr: lo scopo era quello
di rendere maggiormente cinsaspevoli i vonsumtori cu quello che andavno ad acquistare. Utilzzata
una csrtina per consiglire il consumatore sulle caratteristihe del rpodotto che vuole acwuistare.

Angolo di u: avvicinarsi al 90 ci si avvina al giallo; sopra i 90 si va verso il verde.


Altri aspetti sensoriali che hanno contribuito a creare la cartina da apporre al momento
dell’acquisto.

Legarsi a un disciplinare può essere limitante: per queto sono state creat nuove segmentazioni che
vanno oltre il disciplinare  categoria di qualità “selezione”. Si contraddistinguono per caratt
organoloettichemigliori: due gradi brix in più; prodottio può pastoso. Questo porta a costi maggiori
e altri problemi: è una pera più delicata da trattare, più il la con a maturazione.

Tracciabilità

Sono elementi imprenscinbili (ssieme alla rintraccibiilità) per il consumatore e il produttore


Insieme di processi informativi che seguono il prodotto lungo la filiera ortofrutticola: segue il
prodotto fino all’acquisto al dettaglio.
Normate da Reg. CE 178/2002. La prescrizione di legge a cui il sistema produttivo hs aderito ma
la sua fruibilità dell’insieme delle info generate non è affatto garantito. Il governo evoluto dei
processi di lavorazione presenta ancora un margine per adottare una leva competitiva per
sistinguersi sul mercato. Rendere fruibili queste info può dare un aspetto aggiuntivo. Non lo fanno
tutti perché non è facuile farlo. Le info fornite devono essere reali e autentiuche.
Un porodotto è sempre tracciato per legge ma difficilmentrerintracciabile per il conusmatore.

Tracciabilità:
Requisiti della tracciabilità:
Devono essere chiari per rispettare le dichiarazioni di legge e avere misure adatte a ogni prootto
specifico.

Nel reg 178/2002 è definita la tracciabilità:


La rintracciabilità permette di risalire alle fasi precedenti
Il 178/02 è un riferimento importante che cope alcune carenze prima del reg stesso. Prevede una
adeguata etichettatiura e identificazione per agevolarne la rintraccibilità.

Dal pinto di vista tecnico gli strumenti utilizzati per tracciabilità e rin oltre che per l’idedntificazione
dei prdotti:
 DNA barcoding
 Blockchain: calata in altre situazioni

Codice a barre: diversi tipi


- Ean: scansionato dai registratoredi cassa. Lunghezzs di 13 cifre. Obbligatorio
nell’agroalomentare. Non usato in usa e canada che usano l’upc
- Upc: h auna cifra in meno e quindi contiene meno informazioni
- Code 39: non alimentare
- Code 128
- Itf: per i trasporti
- Pdf417: utilizzato nella documnìetazine ufficiale. Codice bidimensinale. Nato nel 1991
- Qr code: fino a 4000 caratteri alfnumerici. Usato molto per i link

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- Data matrix: non decodificabile dai telefoni
- Gs1 datametrix

RFID: UTILIZZA UN TAG ELETROMAGBETO (stasponder). Ha una determinata frequenza. A


seconda del trasponder, sollecitato dal lettore del tag, fa si che il tag venga alimentato dalle onde
radio il chip trasmette le info al lettore le info mantenute nel chip stesso. Non occupa spazio in
quanto memeorizza in maniera elettronica.
Possono essere passivi: forniscono info quando sollecitati;
tag attivi: alimentati da una batteria interna (più voluminosi) e possno trasferire attivamente le
informazioni.
Necessito del lettore se rfid è passivo. Interperetate le frequenze radio devono essere decodifcate
da un software che le interpreta e ne econsernete una fruibilità.
Esempio: possono trasferire info wuando dei prodotti sono scaduti e far si che vengano rimossi più
facilmente.
Possono portare vantaggi alla supply chain garantendo un approviggionamento ottimale. Altro
esempio sono lo svilippo di aromi sgradevoli nei prodotti ortofrutticoli. Uso sensori che midurano la
produzione di etanolo e acetadeide tradmessi da un rfid al produttore se le consentrazioni sono
eccessivamente elevate. Altra applicazione è il controllo della T e far si che il tag, se attivo,
memorizzi le info rispetto.
WSR: reti informatiche. Rappresentata dai rfid. Info sotccate nei nodi della rete. È ciò che sta
dietro i vari sensori. Possano comunicare tra loro e con la rete, trasferendo info.

DNA barcoding: codice a barre distintivo per ogni specie. Tecniche nolecolar ecodificate a livello
internazinale. Usano precise sequenze di DNA come dei codici a barre. Si usano specifiche
sequenze nucleotidiche che siano distintive, possibilmente, prr ogni varietà. Per i prodotti animali si
usano geni mitocondriali (cox 1 per citocromo ossidasi 1). Per le piante almeno due regioni
geniche dei cloroplasti: cod enzima ruvbsico e per subunità de una RNA polimerasi. La faccenda
per le piante è complessa. Si ricercano comunque sequenze cloroplastiche.
Il nome deriva da una sewunaeza nucleotidica lunga quanto volgiamo: per ogni posizione psso
avere 4 diversi basi  attraverso la variazione deinucloetidi possono ottenete sewuenze per ogni
specie.

Il concetto di rintraccibilità non può prescidere dall’etichettatitra. Dal 1169/2011 ci sono alcune
orescrizioni per l’etichettatura e le respnsibilità dei vari operatori. All’art.1 è definità l’etichetta.

Nell’etichetta di prodotti freschi isogna riportare:

Lo sfuso ha meno richieste

La resena di etichettuara ha effettivamente la funzionaltà di rintraccibilità. Al conusmatore non


serve; non è in grado di risalire alla sotia del prodotto. Bisogna mettersi nell condizioni di capire le
sue esigenze.

Definizione di un sistema di tracciabilità


La filiera ortofrutticola è molto complessa. Non tutte le fasi sono sempre presenti.
Si tratta di fasi anche molto a monte della filiera:
 Produzione sementi: che il semenziere consegna al vivaista.
 Produttore mezzi tecnici: fertilizzanti, concimi, trattamenti antiparassitari.

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 Vivai: c’è un aspetto specifico per loro. Necessarie garanzie sanitarie di tal prodotto per
malattie virali in genere. Ho diversi livelli di certificazione per questo. Fondamentale la
partita che varia quando una delle 6 caratteristiche di produzione (Specie, Varietà, Lotto di
seme, Data di semina, Imballo, Metodo di coltivazione (convenzionata, integrata, biologica)
variano.

Produzione agricola: non è detto che tutti i produttori siano adatti per generare una etichettatura
adeguata; se nefa carico il soggetto immediatamente a valle.

Condizionamento: processi effettuatu sul prodotto già in camapgna. Pulizia, cernita, ceratura,
conservazione, atm controllata.

Trasformazione: l’indicazione di origine non è obbligatoria per i prodotti trasformati.

Il conusmatore modern ha diritto all’accesso allle informazione sulla qualità. Si stanno memttendo
appunto nuovi standard per trelazionare il prodotto e tutte le info genrate riguardanti quel ordotto.
Packaging, anche quello smaltito. Il qr code è quello più utilizzato. Può soddisfare l’esigenza di
quella che è la riduzione di fiducia dei sonsumatoi che vedono il mercato innondato di marchi. Utili
per tutelare da contraffazione e da hacker in quanto sono informazini stoccate.

Lo scetticismo generale è il problema da risolvere. Il consumatore è convonto che attori intermedi


nella filiera possa essere soggetto a possibili ocntraffazioni de lprodotto stesso.
Per superare questo problema si può utilizzare la tecnologia blockchain. I consumatori non i fidano
delle informazioni riportate in etichetta. Ad esempio il 30% crede che l’etichetta bio abbia solo un
aseptto commerciale.
La blockchain è nata per rintracciare le transazioni dei bitcoin. Inventata nel 2008.
Hli intermediari sono dei computer, collegati tra loro in nuemro talmemte alto da garantire che
l’informazine venga decentralizzata e che il recupomoero delle informazioni sia impossbile in qunto
son ocifrate e codificate.

È fatta in maniera distribuita in maniera da evitare blocchi; i vari pezzisono ditruibi sudiversi
databesa.

 Decentralizzazione: stoccata su più nodi in maniera ridondante, anche se un blocco è


rubato possono comunuqe avere le info.
 Tracciabiltà
 Disintermediazione: non ci sono intermediari tra le informazioni
 Trasparenza e verificabilità: legata alle successive. Una volta scritti i dati non possno
essere modificati senza l’approvazione di tutta la rete.
 Programmabilità dei trasfrimenti: programma determinate azioni a seguire di eterminate
consizioni come la scadenza de lprodtto.

Si parla della “trust machine”: questa archittettura permette di avere i dati sempre a sisposizone e
sicuri

Vanatggi pratici della blockchain:

L’obiettivo è quell odi una blockchain pubblica, eppurate dagli effetti di una gestione privata.
In quelle pubbliche chiunque può doventare un attore della rete (blocjkchaina permissionless).
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Quelle permission: l’accesso alla rete è ristretto a un gruppo ristretto di partecipanti.
Ci sono anche forme ibride.
Futuroi dell’applicazione della blockchain: interagisce anche con l’internet of things e tutti gl iattori
che possono interafire con la filiera. Il tutto integrato da sistemi di intelligenza artificiale per
l’efficientamento dei processi.
Ad oggi: siamo 5 come numero di progetti. Il settore dell’agrifood rappresenta il 6% dei progetti.
I primi utilizzi sono stati sulle arance

Vegetali 08/03/2023

Ognuno ha le sue peculiarità importati per stendere il disciplinare. Il reg europeo specifica le info
obbligatorie ma non dove riportarle nel disciplinare stesso. Il primo articolo è uguale per entrambi
in quanto riporta la denominazione del prodotto.
Disciplinare della pesca dell’Emilia Romagna: due sezioni: pesca e nettarina.
Nell’art.2 ho molte varietà: polpa gialla a maturazione precoce ecc… (vedi disciplinare). È
consentito l’utilizzo di altre cultivar se è mantenuto il processo produttivo.
Questo ha determinato che, un mese fa, che sia stata riportata una domanda di modifica del
disciplinare di produzione che interessa tutto il disciplinare. Ad esempio si richiedono modifiche
nell’elenco delle varietà. Altre modifiche riguardano i parametri delle pesche. La modifica è stata
richiesta il 3 febbraio; dopo 3 mesi verranno approvate se non ci sono obbiezioni prima.
L’art.2 riporta anche le caratteristiche qualitative all’atto dell’immissione in consumo.
Art.3: zona di produzione: indicate le province e i comuni all’interno delle province.
Art.4: tratta la prova dell’origine.
Art.5: metodo di ottenimento
Art.6 riporta il legame con la zona geografica.

Disciplinare della pera dell’Emilia Romagna:


Nell’art.2 ho le 8 varietà. Le caratteristiche qualitative all’atto dell’immissione in consumo sono
all’art.8.
Art.3: zona di produzione: indicate le province e i comuni all’interno delle province.
Art.4: formule di coltivazione.
Art.6 indica l’organismo di controllo
Non è presente l’articolo che specifica la zona geografica (previsto a livello europeo).

Processi metabolici primari nei prodotti vegetali

Hanno una relazione con i determinanti della qualità di un prodotto.


Il metabolismo è un insieme di reazioni biochimiche all’interno delle cellule. A noi interessano i
metabolismi che possono portare benefici qualitativi ma anche problemi nel post raccolta. Lo
studio del metabolismo primario sarebbe da contestualizzare sulla base del prodotto e dell’organo:
cambia la modalità di stoccaggio e utilizzo dell’energia tra i diversi organi (alcuni organi
consumano energie altri la producono).
La fotosintesi fissa il carbonio e, in generale, i processi respirativi consumano energia. La
fotosintesi avviene nelle cellule che hanno la clorofilla.
Le foglie sono l’organo che fotosintetizza ma anche organo di stoccaggio di carbonio (fissato); sarà
meno di quella stoccata in un frutto.

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Un fusto e un peduncolo ha una capacità fotosintetica minima. Il peduncolo è uno stock a breve
termine mentre il fusto a medio-lungo termine: le rende disponibili in primavera quando va incontro
al germogliamento.
Ogni organo ha un bilancio tra carbonio fissato e organicato.
Ogni organo negli stadi di sviluppo vede cambiare il suo comportamento come sink o come
source. Foglia in accrescimento: i fotosintato usati per il suo accrescimento. Quando totalmente
accresciuta i fotosintati sono indirizzati verso altri sink più importanti. Il frutto li richiama da altri
source per accrescersi. Quando il frutto è staccato dalla pianta non avrà un flusso di fotosintati ma
sarà comunque vivo: usa i fotosintati stoccati in precedenza. Il ritmo di deperimento degli organi
dipende dalla quantità di carbonio stoccato: le foglie ne avranno poco (mesofilo fogliare) e quindi
vita più corta. I frutti ne stoccano di più, anche i semi stoccano carbonio (come zuccheri o lipidi).
I fattori che influenzano il bilanciamento e le modalità di sintesi e utilizzo sono varie per ogni
organo. Influenzati da fattori endogeni ed esogeni. Tra quelli esogeni abbiamo la temperatura che
è quello che incide maggiormente.
Funzioni di fotosintesi e respirazione (slide). La luce non interessa la respirazione.
Fotosintesi permette di accumulare carbonio organicato facendo aumentare il peso della pianta. La
respirazione porta a diminuire il peso in quanto consuma il carbonio. le perdite di peso non sono
auspicabili per il prodotto in quanto ne deriva il suo valore commerciale.
Respirazione:
 Rilascio energia immagazzinata sottoforma di ATP messa a dispostone dei processi
cellulari.
 Formazione scheletri di carbonio usati per i vari metabolismi. Esempio per produrre
metaboliti secondari.
 Usa sostanza di riserva, consuma ossigeno. Sono effetti indesiderati che vorremmo poter
controllare come l’utilizzo di sostanze di riserva. Anche il calore vitale sarebbe da
controllare (dall’uso delle sostanze di riserva).

 Perdita riserve energetiche: problematico per gli organi che hanno poche riserve (foglie e
fiori).

 Quando nel prodotto calano le riserve energetiche: diminuisce il suo valore nutrizionale.
Varia a seconda del prodotto: i substrati di respirazione sono diversi: a seconda dell’organo
dove è stato stoccato il carbonio. Questo porta a effetti diversi della respirazione.

 Se la respirazione è elevata aumenta la CO2 nell’ambiente circostante e diminuisce


l’ossigeno: attenzione degli operatori nelle celle per un potenziale ambiente ipossigenato.

 Essendoci energia come calore vitale derivante dalla respirazione è opportuno il corretto
dimensionamento dei luoghi di stoccaggio e anche un controllo della T.

2 processi respiratori:
1. In qualsiasi momento a prescindere della presenza di luce: dark respiration  stocchiamo i
prodotti al buio. La reazione della respirazione usa glucosio (o altro substrato), ossigeno
per produrre acqua in eccesso, energia (fissata come ATP e emessa come calore). Nel
complesso l’energia generata perdiamo il 46% sottoforma di calore.
La velocità dipende dal substrato: il glucosio è quello più facilmente respirabile, dalla
disponibilità di ossigeno e dalla T.

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Durante l’ossidazione di un substrato non sempre parte dal glucosio e si conclude con i
prodotti finali. Ci possono essere composti intermedi usati per produrre amminoacidi,
pigmenti ecc… i prodotti intermedi sono definiti scheletri di carbonio.

L’equilibrio tra disponibilità substrati e richieste energetiche è quello che regola la velocità
di respirazione: maggiore è la richiesta di energia e metaboliti maggiore sarà la
respirazione. Risente anche della presenza della fotosintesi (ritmo giorno/notte); è un
aspetto dinamico.
3 step:
 Glicolisi
 Ciclo Krebs
 Catena trasporto elettroni
Glicolisi: conversione in acido piruvico (3C) di substrati di partenza come glucosio.
Ciclo Krebs: (mitocondri) piruvato ossidato a CO2. L’ossigeno non è necessario ma ne è
influenzato a causa di un meccanismi feedback: l’ossigeno è utilizzano successivamente nella
catena di trasporto  regola il ciclo di Krebs in quanto non ha senso procedere con il ciclo se non
c’è ossigeno che può essere utilizzato come accettore successivamente.
Sistema di trasporto elettroni: nelle membrane mitocondriali. Trasferisce potere riducente
all’ossigeno producendo acqua. L’idrogeno lo trova dai composti del ciclo di Krebs. Attraverso
passaggi di ossidoriduzione formiano acqua. Il gradiente di protoni è utilizzato per produrre energia
come ATP. Se ne producono 38 (2 dalla glicolisi).
La presenza di anaerobiosi pone problemi: se l’ossigeno scende sotto una certa soglia si blocca il
ciclo di Krebs e il piruvato si accumula. Viene convertito a lattato o etanolo. Indesiderato per i
composti ortofrutticoli. Dipendono da una serie di fattori come anche la durata della conservazione.

2. fotorespirazione: attiva solo in presenza di luce. È una fotosintesi ossidativa. Il carbonio


fissato in zucchero, parte si muove con questa via. Meno interessante anche se si stima
che 30-50% degli assimilati di carbonio nelle foglie possa essere persa con questo
meccanismo. Lo stoccaggio avviene al buoi quindi porta a ridurne l’interesse.
Gli step sono:
 quasi tutte le specie vegetali usano la via C3. Glicolato viene prodotto ma non
metabolizzato nel cloroplasto. Portato nei perossisomi  glicina. Nel mitocondrio è
usata per formare serina liberando CO2 (da qui deriva la definizione di
fotorespirazione). La serina nei perossisomi è convertita in glicerato convertito poi in
C3.
Perdite di peso dovute alla respirazione derivano dal fatto che il carbonio viene respirato e viene
persa acqua in respirazione.
La perdita non è uguale per tutti i prodotti. Non dipende solo dalla composizione biochimica dei
prodotti ma anche dalla capacità di scambiare gas in relazione alla composizione epidermica: le
cuticole possono limitare lo scambio di gas; altre superfici lo favoriscono.
Il calcolo considera il glucosio come principale substrato. Si perdono 180g di glucosio con 260g di
CO2 prodotta. Misurando la CO2 prodotta stimo il glucosio bruciato.

La respirazione è misurata: dato che richiede substrati e produce prodotti di reazione  quantifico
il substrato consumato o i prodotti di reazione. Si consuma ossigeno e consuma glucosio. Prodotta
CO2 e calore. Tuttavia l’ossigeno è difficile da misurare perché è presenta circa al 21% nell’aria e
misurare i suoi cambianti è più difficile rispetto alla CO 2 che è a 400 ppm, essendo poca è più
facile.

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Complicato misurare l’acqua prodotta in quanto anche la matrice di partenza ne contiene. Anche il
consumo di substrati sarebbe difficile così come la produzione di energia: ATP difficile e anche il
calore.
Sui misura quindi la CO2 per misurare i processi respirativi. Metodi diversi per farlo. La valutazione
della respirazione ci da informazioni su come conservare il prodotto e posso prevedere la perdita
di peso. Prevedo anche l’ossigeno che consumerà e il calore vitale prodotto dalla respirazione.
Decido quali tecnologie utilizzare e quindi quale sarà il costo che ne deriva.
Due sistemi per raccogliere i campioni di gas da reazioni di respirazione:
 sistema statico: prodotto in un contenitore chiuso. Lo lascio per consumare
l’ossigeno e quantifico la CO2 prodotta in un determinato tempo conoscendo il
volume del contenitore, il peso del prodotto, la composizione aerea di partenza.
Calcolo

Attenzione al
lasso di tempo che non sia eccessivamente lungo: fa sì che l’aria nel contenitore
aumenti troppo la CO2 che andrà a influenzare la respirazione stessa. L’accumulo di
CO2 è lineare all’inizio; verso lo 0.2% esercita un’azione inibitoria. È lo svantaggio
principale del sistema; attenzione per prodotti con respirazione molto sostenuta.
 Sistema dinamico (o a flusso): prevede che nel contenitore venga fatto flussare un
gas di composizione nota e all’uscita venga quantificata la CO 2 del gas in uscita.
Supero il limite del sistema chiuso. Ho svantaggi legati a prodotti che respirano a
ritmi bassi dato che devo abbassare il flusso per avere un gas in uscita con
abbastanza CO2 di respirazione da poter essere rilevata dai miei strumenti. Devo
trovare il flusso ideale.
All’inizio della misurazione devo attendere un tempo per far sì che si raggiunga un
livello di equilibrio, stimato a gas in uscita pari 3 volte il volume del contenitore
prima di fare la misurazione.
Calcolo CO2. In ml/kg peso
fresco/ora.

Prelevato il gas misuro la CO2 con


 Gas cromatografo. Elevato investimento iniziale e per le manutenzioni.
 Celle a infrarosso: elevato costo iniziale ma poca manutenzione richiesta.
 Sensori paramagnetici: più adatti all’ossigeno
 Elettrochimici
 Titolazioni
 Colonnine kitagawa: costo basso, usa e getta. Flusso i gas attraverso la colonnina
e grazie a un indicatore colorimetrico quantifico.

Pro e contro dei due sistemi


Sistemi chiusi
Pro
 è facile da costruire;
 tempi ridotti per i prelievi (non devo aspettare).
Svantaggi:
 calo ossigeno e accumulo di CO 2 nella camera che altera la respirazione. Viene rallentata.
L’inibizione in frutti che producono etilene può essere anche più accentuata. Posso usare

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composti che assorbono CO2 e etilene come permanganato di potassio; hanno comunque
un limite di potere assorbente.
Sistemi dinamici
Pro
 possibili tempi lunghi di misurazione
 posso vedere l’andamento della respirazione e variare l’atmosfera per migliorare le
condizioni.
Svantaggi:
 richiede esperienza
 tempo per la messa a punto
 il gas che fluisce deve essere umidificato
 (slide)

Esempio di calcolo melone (slide):


per le perdite di peso assumo che il substrato sia glucosio e

perdita di peso fresco 3g/giorno. Io ricerco il calo di peso secco.


Valuto il calore vitale.
Il BTU è usato per dimensionare i sistemi di condizionamento.
Posso quantificare il contenuto di acqua metabolica.

Fattori intrinseci e esogeni che regolano la respirazione:


lì uso per migliorare i metodi post-raccolta. La respirazione è correlata anche alla velocità di
deperimento.

Intrinseci
 specie e anche il genotipo: non tutte le varietà di pesche (esempio) respirano allo stesso
modo. Necessari studi specifici e anche sistemi di conservazione specifici. Le atmosfere
controllate e le temperature variano in base alla varietà del prodotto. Considero l’epoca di
raccolta, le fisiopatie derivanti dal post-raccolta
 l’organo considerato: la foglia ha poco carbonio stoccato  a parità di velocità il consumo è
molto più veloce.
Esempi slide
 stadio di sviluppo: interessa il tessuto dopo la raccolta. Cellula di organi che crescono
velocemente presentano una velocità di respirazione maggiore rispetto a quelle di organo
che hanno cessato di accrescersi; dipende dallo sviluppo dell’organo. Quello più complesso
lo ritroviamo nei frutti: si accrescono durante lo sviluppo ma non è detto che
l’accrescimento sia abbinato a uno sviluppo. L’uva si sviluppa in maniera importate quando
smette di accrescersi. (SVILUPPO È DIVERSO DA CRESCITA). Si guarda caso per caso
senza generalizzare.
Per i frutti ho due modi di respirazione (durante lo sviluppo):
- climaterici: picco di respirazione quando prossimi alla maturazione “climaterio
respiratorio”. Si può avere in diversi momenti ma sempre verso la fine dello sviluppo. Lo
stadio di sviluppo è decisivo per determinare il tasso respirazione. Ho respirazione
basale, aumento climaterico, picco climaterico e fase post-climaterico. Il climaterio
respiratorio è diverso per ogni frutto: le mele lo hanno meno accentuato. I fichi lo
presentano più ni ritardo.
- non climaterici

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Elenco dei climaterici e non climaterici:

drupacee: ciliegie non climaterici; nettarine, pesche, prugne lo sono. A livello genomico hanno in
comune il 98% del genoma e anche il posizionamento dei geni nel genoma stesso.

Etilene

I frutti climaterici presentato anche un “climaterio etilenico”. La presenza di CO2 può determinare la
presenza di etilene. È l’unico ormone gassoso che controlla i meccanismi di maturazione. È una
sindrome perché coinvolge molti processi: cambiamento colore, cambio composizione zuccherina,
rammollimento, sviluppo aromi, produzione di composti bioattivi. La maturazione dipende molto
dell’etilene.
Risente negativamente della presenza di CO2: effetto molto più negativo nei climaterici rispetto a
quello dei non climaterici.
La posizione del climaterio etilenico varia: nella banana precede quello
respiratorio, nel mango viene dopo. I due processi hanno una relazione, non
ancora bene chiara. Entrambi richiedono ossigeno. L’etilene stimola la
respirazione in maniera concertazione dipendente: se diamo etilene ai climaterici
anticipiamo il climaterio respiratorio. Il controllo avviene dopo i casi in cui
forniamo l’etilene; aumenta anche il picco.
Nei non climaterici non anticipiamo il picco respiratorio ma aumenta di molto la
sintesi di etilene.

 Substrato respiratorio: substrati primari. Amidi o zuccheri. Anche


lipidi. Avocado stocca carbonio come lipidi  substrato primario saranno lipidi.
I substrati secondari sono usati in organi che stoccano quantità piccole di primari.
Sono acidi organici, amminoacidi, proteine o altri composti. Canalizzati con costi
energia maggiori nella respirazione.
Quantifico il substrato respiratorio con in quoziente respiratorio. È pari a 1 quando il
substrato è glucosio (o carboidrati più in generale). È CO 2 prodotta/ossigeno
consumato. Quando è inferiore a 1 il substrato saranno lipidi. Per substrati secondari il
quoziente è circa 1,3.
Oggi è meno utilizzato come parametro.

Si tratta di una stima per stabilire il substrato e non un a misurazione perché la


respirazione è complessa; usa un insieme di substrati tra loro. È difficile intuire in
maniera precisa attraverso il quoziente.

 Contenuto idrico nei tessuti: i processi metabolici diminuiscono di efficienza al


diminuire del contenuto dell’acqua. Rilevante per i semi  li essicco per limitare i
processi di respirazione. All’aumentare dell’umidità aumenta la respirazione.
Nella frutta fresca la quantità di acqua non è quasi mai limitante. Inoltre è un
determinate di qualità: conferisce turgore ed è importante per evitare avvizzimento.
Nei frutti carnosi il cambiamento di respirazione del post raccolta si verificano al
variare della quantità di acqua ma questo solo quando la perdita è molto importante 
non posso usare la perdita di acqua per quantificare e controllare la respirazione.
 Rapporto superficie/volume: proprietà geometriche del prodotto. Influenza la superficie
che si espone agli scambi gassosi. Assumendo una dimensione sferica all’aumentare
delle dimensioni carbonio è un decremento del rapporto: la superficie aumenta con il
quadrato mentre il volume per funzione cubica.

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La pezzatura è molto rilevante: non solo per
l’omogeneità ma anche per il post raccolta. Maggiori
dimensioni determinano minor respirazione e quindi
minori costi per controllare la respirazione.
Altro fattore che dipende anche da caratteri ambientali e che ha
dei riflessi sul profilo dei nutrienti abbiamo i fattori pre raccolta.
Influenzano la respirazione del prodotto dopo la raccolta. La
nutrizione minerale è quello che incide maggiormente. Il calcio è il
principale: non ha una valenza solo per il contenuto ma determina
anche segnali nelle cellule che possono portare a effetti secondari
nella respirazione. Se ricco di calcio ho il prodotto ricco di calcio
ma influisco la respirazione post raccolta. In generale i tessuti
vegetali poveri di potassio e calcio hanno minor tenore di
respirazione.
Guardando la respirazione delle mele in relazione alla quantità di calcio: dal preclimaterio al post
climaterio le mele con minor ca nella buccia respirano di più rispetto a quelle che ne hanno di più.
Anche l’azoto influenza la respirazione: alte concentrazioni è correlata a maggiori livelli di
respirazione. Si cerca, nelle mele, di non effettuare concimazioni azotate anche per la colorazione
(mele pigmentate). L’effetto di N nelle mele si evidenzia soprattutto quando il calcio è più basso.
Tanti altri effetti preraccolta come trattamenti che riguardano spostamenti  si va in fattori
esogeni.
Contenuto in fosforo: due cultivar di cetriolo  dai grafici si vede che a circa 3 giorni si osserva un
climaterio respiratorio più significativo quando il contenuto in fosforo era più basso.

Fattori esterni- respirazione


Tra gli stress più comuni e che si cercano di evitare ci sono quelli meccanici  stress da ferita
stimolano le cellule interessate dalla lesione. Già gli egizi usavano le ferite per stimolare la
respirazione.
Stress nelle radici posso avere un riflesso nella respirazione del frutto: ci sono delle relazioni
radice-frutto. Anche uno stress della chioma (foglie) può avere effetti.
L’aumento della respirazione nei tessuti feriti è classificato a seconda dell’agente che determina lo
stress:
 Respirazione da ferita
 Respirazione indotta da infezioni (muffe e patogeni)
Non è definitiva in quanto quelle meccaniche sono molto variabili. Sullo stesso tipo di tessuto
posso avere diversi tipi di ferite contemporaneamente.
Altra classificazione: sullo stress meccanico che presenta o meno lesioni superficiali. Quelli che
determinano lesioni superficiali possono generare, misurando la CO 2 a livello della ferita, può farci
sovrastimare la respirazione in quanto la ferita porta a liberare la CO 2 presente negli spazi.
Soprattutto se lo facciamo a ridosso dello stress meccanico. Si parla di ferita anche da distacco del
prodotto dalla pianta madre (peduncolo) porta a sovrastimare. Devo far passare del tempo per
normalizzare l’uscita di CO2 e far sì che il tessuto venga cicatrizzato e misurare quindi
correttamente la CO2.
Grafico infezione patogeno-ferita meccanica: ho un burst respiratorio maggiore per l’infezione
(qui). Misure effettuate a intervalli orari ma è probabile che andando a restringere le misurazioni
avremmo avuto il picco di CO 2 determinata dalla ferita stessa. Ad esempio nelle mele avviene già
dopo 15 minuti il distacco. Anche vento, pioggia e grandine oltre che insetti possono comportare
stress meccanici che determinato un picco di respirazione. Questo riduce la qualità con
caratteristiche qualitative significativamente inferiori anche se il danno non è visibile.

28
L’aumento della respirazione dopo la ferita è dovuto al fatto che
prende substrati mettendo a disposizione scheletri di carbonio e
energia con la finalità di ottenere composti secondari utili alla
risposta come lignina, suberina e fitoalessine (contro i patogeni
quest’ultime). La finalità è quella di mettere a punto meccanismi
che contrastino la lesione.
In alcuni casi la ferita le cellule sottoposte a ferite vengono de-
differenziate (identità meristematica) e producono un callo:
formazione cellulare che proliferano in maniera incontrollata
senza differenziarsi dopo la divisione. Accade soprattutto nei tessuti vegetativi quindi come fusti.
Vanno a rimarginare la ferita. Dipende dal tessuto e dallo stadio di sviluppo.

Temperatura
Le relazioni biologiche si velocizzano di 2 o 3 volte con aumento di T di 10°C. È usato per
calcolare il Q10, adimensionale. Rapporto tra velocità di reazione a una T maggiore di 10 gradi a
quella misurata rispetto alla velocità di reazione alla T. si usano T consone (0-10 o 5-15). Non
varia in maniera lineare perché scendendo o salendo eccessivamente abbiamo fenomeni che
modificano l’andamento del q10. Sotto lo 0 ho fenomeni di congelamento che ledono le cellule e
aumenta il tasso respiratorio; ci sono eccezioni. Le alte T provocano denaturazione enzimatica e
ridurre i tassi di respirazione. Importante usarlo dove varia in maniera simil lineare e
modellizzabile. È usato spesso per la respirazione ma anche per l’intero metabolismo.
Le eccezioni riguardano la respirazione nei tuberi di patata che diminuisce al diminuire della T ma
sotto i 10 gradi aumentano gli zuccheri perché salgono le attività delle alfa amilasi. Il q10 è
compreso tra 1.5 e 2.5 per la respirazione.
Al diminuire del q10 aumenta la velocità di deterioramento e diminuisce la shelf life  posso usarlo
per stimarla a una determinata T. Per mantenere un prodotto vicino alle caratteristiche di raccolta
l’uso delle basse T per ridurre i cambiamenti dovuti ai metabolismi è fondamentale; anche la
produzione di etilene.
Ogni volta che si effettua tale valutazione bisogna notare che la T di stoccaggio è importante per
modificare la velocità dei metabolismi ma è fondamentale la T interna del prodotto, generalmente
più alta dovuta al calore vitale della respirazione. Influenza il mantenimento dell’umidità del
prodotto stesso. Il q10 varia in maniera diversa per prodotti diversi. Per le mele abbiamo un
cambiamento progressivo per gli intervalli di T. i broccoli hanno un aumento repentino; anche 10
volte la respirazione della mela a 25-27°CARBONIO. nelle arance è debole fino ai 10°CARBONIO
salvo poi aumentare repentinamente.
Al diminuire di 10°CARBONIO nella mela bisogna diminuire molto di più per avere il dimezzamento
della temperatura: diverse strategie di frigo conservazione.
Fragole: q10 pari a due. Diminuendo di 10 gradi la T la shelf life raddoppia.

Composizione atmosfera
Influenza la respirazione e la velocità dei metabolismi. Devo valutare, nella atmosfera di
conservazione. L’ossigeno, la CO2 e l’etilene. Inquinanti come diossido di zolfo, ozono e propilene
che possono avere effetti negativi se superano determinate soglie. In pre raccolta la composizione
può essere variabile. Dopo la raccolta i prodotti sono raccolti in poco spazio e stoccati in aree con
flusso minore rispetto al campo e quindi abbiano una riduzione degli scambi gassosi. Questo porta
a ridurre l’ossigeno interno e aumentare la CO 2  rallenta la respirazione. La disponibilità di
ossigeno per la respirazione può variare a seconda diversi fattori fisici tra cui:
Boundary layer: microclima che si determina in prossimità di un oggetto. Il suo spessore dipende
dalle caratteristiche della superficie dell’oggetto. Influisce sulla velocità degli scambi gassosi:

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maggiore è lo spesso e minori saranno gli scambi gassosi. La presenza di peluria per le pesche
nettarine determina un maggiore spessore.
La presenza del layer deve essere valutata per ogni prodotto. Le nettarine e la pesche lo hanno
diverso influenza la strategia di conservazione.
L’effetto della concentrazione di ossigeno nel post raccolta è un fenomeno studiato già nell’800
quando si notò il rallentamento della maturazione in presenza di poco ossigeno. Quando
l’ossigeno interno, disponibile per la respirazione, quest’ultima diminuisce (meno substrato) fino a
raggiungere il punto di estinzione. Siamo attorno al 3-5% di ossigeno. Qui abbiamo che la
respirazione aerobica vien bloccata a partire da ciclo di Krebs; si avvia la fermentazione
anaerobica. Lo osserviamo con l’effetto Pasteur: aumento della “respirazione”  non lo è in realtà.
Aumenta la CO2 prodotta ma deriva dalla fermentazione anaerobica. Il punto di estinzione è il
punto più basso di livelli di ossigeno a cui non è rilevabile la presenza di etanolo.
L’effetto è dovuto alla cessazione del ciclo di Krebs in quanto NAD e NADP sono stati convertiti
nelle forme ridotte (?).
Per mantenersi viva è importante l’ATP. Dato che se ne produce poca con la fermentazione si
aumenta la glicolisi dato un aumento della trascrizione dei geni intervengono nella glicolisi. Se ne
produce 2 contro i 38 della respirazione.
Viene prodotto etanolo o acido lattico (?). L’etanolo usa in NADH prodotto dalla glicolisi. Pasteur
vide una diminuzione del consumo di zuccheri in aerobiosi contro l’aumento in anaerobiosi.
Questo si ripercuote: per massimizzare la conservabilità devo valutare la respirazione nei diversi
intervalli di disponibilità di ossigeno evitando di scendere sotto il punto di estinzione che può
portare alla produzione di composti indesiderati come etanolo e acetaldeide. Ci si avvicina ma
senza scendere sotto; aumento l’efficienza del processo di conservazione.
La fragola respira volta il pomodoro. In entrambi i casi abbiamo un aumento della respirazione
all’aumento della T. nel pomodoro è più contenuta quando siano attorno al 3% di ossigeno. Ho in
generale una serie di vantaggi che derivano dall’utilizzo di basso ossigeno nella conservazione dei
prodotti ortofrutticoli:
 Meno etilene prodotto: se non c’è ossigeno non viene prodotto: richiede una ossidazione
per ossidare il precursore CC in etilene. Si accumula il precursore in anossia. Comporta
che se lo riportiamo in disponibilità di ossigeno abbiamo importanti produzioni di etilene
dato l’accumulo del precursore. All’inizio si pensava che fossero i microrganismi in
superficie a produrre etilene.
 Riduco la respirazione aerobica  meno acqua e quindi meno traspirazione; meno calore
 meno evaporazione
 Riduco la traspirazione: riduco le perdite di umidità
 Meno ossidazione enzimatica: imbrunimento; meno degradazione della clorofilla
 Stabilizzo la perdita di consistenza: prolungo la croccantezza nei frutti. Effetto secondario
 Stabilizzo la perdita di zuccheri, acidi organici e vitamine e altri prodotti che determinano la
qualità nutrizionale
 Riduzione di fisiopatie: come il riscaldo superficiale. Attenzione alla durata del trattamento
 Ridotti i processi di senescenza
 Riducono infezioni batteriche, fungine e anche attacchi di insetti

Guardando alle mele: molto studiate. Negli anni è diminuita la percentuale di ossigeno nella
conservazione grazie alla messa a punto di nuovi metodi oltre alla normale atmosfera controllata
 Fvk (slide)
 Stress iniziale
 Modifica dinamica in base al comportamento delle mele

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Gli ambienti a basso ossigeno no sono usati per tutti i prodotti. Per prodotti che hanno basso
tempo tra raccolta e commercializzazione non le utilizzano  costi inutili. Se rapporto tra costi e
benefici è troppo alto escludo questa tecnologia.

Solitamente la respirazione controllata è abbinata al controllo della T; basse concentrazioni di


ossigeno. Effetto combinato tra i due parametri.

Effetti collaterali CO2: abbassando l’ossigeno devo porre attenzione a evitare accumuli di CO 2. In
ambienti a atmosfera controllata e bassa T devo introdurre un’adeguata ventilazione. Voglio
evitare la produzione di acetaldeide e etanolo da eccesso di CO 2. Percepito da punto di vista
organolettico.
Per il packaging e l’atmosfera controllata in ciliegie: molto deperibile  sintomo come perdita di
consistenza, decolorazione a livello del peduncolo, generale disidratazione e decadimento da
patogeno fungini. Conservarle a bassa percentuale di ossigeno e introducendo CO 2 per ridurre la
respirazione mantenevano inalterate consistenza e colora. È poi emerso che queste condizioni
possono determinare lo sviluppo di aromi indesiderati (da etanolo e acetaldeide).

A pressioni parziali a 25°C ho accumulo importante di etanolo a pressioni basse. Posso abbattere
l’etanolo solo con la percentuale più bassa. Il quoziente respiratorio aumenta sotto 1kPa dovuto
alla fermentazione.
Quindi per le ciliegie si fa fatica a prolungare la shelf life con l’atmosfera controllata ma l’unico
modo è farlo abbassando la temperatura.

Studio perdita consistenza pesche da attività enzimatiche di eso e endopoligalatturonasi:


idrolizzano la parete e rammolliscono il prodotto. In ultra low oxygen la consistenza è mantenuta.
Questo perché fino a 48 ore l’attività degli enzimi è praticamente azzerata. L’etilene è mantenuto
basso fino alle 72 ore.
Basso ossigeno per 48 ore abbassano la sintesi etilene. Tra primo e secondo stacco si ha una
differenza: quelli che rimangono in pianta hanno dato inizio a processi irreversibili.

Comportamento delle comodity in relazione alla presenza di CO 2: ci sono prodotti in cui una certa
concertazione non ha influenza sulla velocità di respirazione; altri possono essere influenzati di
molto. È importante quindi valutare l’aumento della CO 2; il controllo a feedback della CO2 sulla
respirazione varia per prodotto.

Disidratazione: determinano un deperimento qualitativo come effetti fisici (avvizzimento) ma anche


fisiologici e economici.
Confronto mele transgeniche con convenzionale: se uso costrutto antigenico che incide su
poligalatturonasi andandole a silenziare controlla studio. Limito la perdita di acqua. Quelle
transgeniche non mostrano perdita di peso come quella di riferimento. Oltre alle poligalatturonasi ci
sono altri enzimi che incidono. Le poligalatturonasi sono diverse e controllate da più geni; nello
studio ne sono state silenziate solo alcune. Il silenziamento porta a una maggiore conservazione
del frutto; come una migliore resistenza agli stress meccanici.
Il tasso di perdita acqua (moli/secondo) dipende da:
 Permeabilità di superficie: misurata empiricamente
 Superficie evaporante
 Differenza di pressione parziale tra frutto e ambiente: quando a sfavore dell’ambiente il
frutto tende a perdere acqua.

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Il tasso ha diversa entità al cambiare del prodotto e della temperatura di conservazione. Anche
l’umidità relativa: più è bassa maggiore è la differenza con l’ambiente e quindi a maggiore sarà la
perdita di acqua. Perdita di peso = perdita di valore economico.
La perdita d’acqua determina degli effetti secondari e indesiderati che variano a seconda della
perdita d’acqua:
oltre il 3% è la soglia di rischio; sotto:
 0.5%: le pectine ne risentono in quanto vengono degradate dalle pectinasi. Cellule meno
incollate tra loro e prodotto più molle.
 1% accelero quindi la maturazione. Minor capacità cicatrizzante
 2% perdita turgore. Per le cellule rappresenta ino stress idrico che aumenta l’ormone acido
abscissico ABA che gestisce gli stress  può provocare un aumento della maturazione
Più suscettibili ai danno da freddo

 3%: riduzione fisiopatie (positivo)


Membrane perdono proprietà meccaniche: ho proteine di scambio che perdono di integrità.
 Oltre perdo aromi, vitamine, pigmenti. Prodotto flaccido e deperimento qualitativo quasi
totale.
Gli effetti della perdita posso essere fisicamente valutati con la risonanza magnetica nucleare.
Nell’esempio la struttura è influenza anche dalla velocità con cui avviene la perdita oltre che dalla
quantità persa. Alcune perdite d’acqua possono essere più tollerabili se diminuiamo la velocità con
cui avvengono  diminuisco la T. il massimo di perdita può oscillare tra il 5 – 10%; per altri (a
foglia) perdite minori sono già deleterie. Se un prodotto è più consistente posso tollerare fino al
10%

Permeabilità
Cambia tra frutti ma anche tra cultivar. Molto visibile nelle mele. Pink lady produce molta cera
epicuticolare. Minor perdita di acqua rispetto altre varietà. Devo valutare varietà per varietà per
stimare empiricamente la permeabilità del singolo prodotto.
Anche le caratteristiche pedoclimatiche e pratiche di campo possono variare la permeabilità.

Nella tabella dei coefficienti di permeabilità si denota che possono variare molto.

Si aggiunge anche lo stadio di sviluppo. La deposizione della cere epicuticolari per le mele dipende
molto dallo stadio di sviluppo. Diminuisce la permeabilità con il proseguire della maturazione dato
dall’aumento delle cere. La permeabilità aumenta leggermente dopo la raccolta, in conservazione.
Devo effettuare la raccolta quando la quantità di cere nella pianta è massima. La degradazione
delle cere porta all’untuosità delle mele (greasiness).

14/03/2023
Superficie evaporante: altro fattore che incide sulla perdita di acqua. Per stimare la superficie
evaporante non è così banale, date le differenti forme. Per quelli con forme regolari si è cercato di
modellizzare per ottenere correlazioni tra il peso e la superficie evaporante. La capacità predittiva
sfiora anche ottimi livelli (R2 fino 0,96). Per ottenere modelli previsionali che utilizzino il peso devo
evitare il caso della mela considerando un range troppo ristretto di pesi. Bisogna contemplare una
variabilità elevata nel parametro predittore.
Un altro parametro, molto rilevante, è la differenza tra pressione di vapore tra frutto e ambiente.
Negli spazi intracellulari si presume sia satura. In genere l’umidità di conservazione è inferiore alla
saturazione. Eccezione per i semi, granaglie e altri prodotto soggetti a disidratazione pre-
conservazione. Il vapore si sposta verso l’esterno: forza trainante data dalla differenza tra

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pressione parziale del frutto e ambiente. per misurare l’umidità relativa e regolarla per sfavorire
l’instaurarsi della fora trainante, per diminuire la differenza si utilizza uno psicrometro: due
termometri affiancati. Posti in corrente d’aria; uno dei due ha un bulbo umidi: rivestito da una garza
che pesca in un recipiente pieno d’acqua, mantenuto umido per capillarità. Questo termometro,
data l’umidità della garza e all’aria, l’evaporazione assorbe calore e il termometro misura un T
minore dell’altro. Quello a bulbo secco misura una T che dipende dall’umidità dell’ambiente:
maggiore è l’umidità più calore viene assorbito e quindi più vicina sarà la T misurata al bulbo
umido.
Umidità relativa misurata con le carte psicrometriche: nelle linee curve abbiamo la T a bulbo
umido; nell’asse orizzontale quella a bulbo secco. Dove si incrociano abbiamo l’umidità relativa.
Uso un nomogramma per determinare il deficit che ci serve per la conservazione. Leggo il valore
sull’intercetta. Si assume che la T del prodotto sia uguale a quella ambientale. Valutazione poco
affidabile se la uso per prodotti con umidità molto bassa.
Considerando i fattori che determinano la perdita d’acqua:
Tipo di prodotto:
 superficie del prodotto
 vie di fuga (ad es. peduncolo, lacerazioni)
 anatomia della superficie (discontinuità, cere, rugosità, peluria etc.)
 stato fisiologico del prodotto: tendenza varia in base allo stadio di maturazione
 genotipo (ad es. Granny vs Golden): accumulo diverso di cere sull’epidermide
Fattori ambientali:
 umidità
 velocità di circolazione dell’aria
 temperatura
 pressione atmosferica

diagramma per ridurre le perdite: minimizzare la permeabilità del frutto, la forza trainante o
eventualmente cercare di suddividere le parti per caratteristiche diverse sulla base della loro
tendenza a perdere acqua: chi la perde più facilmente vien emesso prima sul mercato.
Le mele che di conservano di più sono quelle che hanno caratteristiche di superficie che gli
permette di essere conservate più a lungo.
Evitare danneggiamento fisico; limitare il peduncolo; mantenere a refrigerazione: mantenere alta
l’umidità per ridurre la forza trainante; mantenere una corretta aereazione in modo che anche i
prodotti più interni possano favorire dell’aereazione e limitare quindi l’accumulo di etilene. La
ventilazione non deve superare la soglia per cui si genera una forza trainante eccessiva.
Oltre alle cere naturali dei prodotti si possono utilizzare cere edibili o polimeri (film) individuali usati
per confezionare i frutti. Ricerca necessaria per sostituire l’uso della plastica come packaging.
Importanti le condizioni di coltivazione, la cultivar, la data di raccolta (cambia la quantità di pere
che si accumulano). Hanno anche numero di lenticelle diverse: aperture che permettono uno
scambio gassoso incontrollato.

Sviluppo e maturazione dei frutti


Bisogna tutelare i parametri che determinano la qualità e controllarli. Il consumo di frutta ad oggi
viene sempre più incoraggiato. Studi coorte hanno evidenziato la relazione tra il consumo di
prodotti ortofrutticoli e la diminuzione di malattie croniche. L’OMS consiglia un consumo di almeno
400g di frutta o verdura al giorno. Considerare però l’apporto zuccherino che determinano.

Lo sviluppo e maturazione

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Osservando i prodotti più commercializzati troviamo: banane, pomodoro, mele, uva e arance. Negli
anni 81 erano circa la metà dei consumi mentre oggi sono circa un terzo. Il calo risente
dell’introduzione nel mercato di frutti tropicali derivanti dalla globalizzazione. Questi richiedono una
catena di conservazione molto rilevante. A livello europeo l’attenzione per i frutti tropicali è sempre
maggiore per quanto riguarda la loro qualità.
I prodotti le cui comodity sono più in alto, considerando il loro export netto questo non rispecchia la
loro produzione: prodotti molto ma esportati poco. Per il pomodoro viene esportato poco perché è
molto deperibile  la deperibilità incide in maniera molto significativa. Dietro al concetto di
deperibilità abbiamo la maturazione. Per ridurre lee perdite del post raccolta da deperibilità
bisogna cercare di ridurre lo sviluppo delle caratteristiche di deperibilità durante la maturazione.
Per cercare di contenere le perdite bisogna
caratterizzare i processi che determinano
queste perdite. La maturazione è un insieme di
processi. È irreversibile e geneticamente
programmata e finemente regolata e
programmata. Il segnale di inizio maturazione
arriva in corrispondenza della maturazione dei
semi. Il frutto assume quindi caratteristiche che
non scoraggiano più l’attacco dei patogeni (es. è
verde e si confonde con il fogliame: i frutti non
sono maturi per essere dispersi altrove). Tutti i processi devono essere regolati e coordinati in
maniera molto fine, a livello fisiologico e biochimico. I maggiori cambiamenti che troviamo sono il
cambiamento di colore: accumulo o aumento della biosintesi di pigmenti non fotosintetici. Questi
variano a seconda delle specie (arancio, giallo, viola). Molte sfumature ma raccoglibili in 4
pigmenti. Anche il cambiamento della consistenza: l’obbiettivo è quello di essere ingerito. Abbiamo
i processi di rammollimento derivanti dalla degradazione delle pareti mediati da pool enzimatici.
Cambia il gusto aumentando il contenuto di zuccheri e diminuzione degli acidi organici, tranne il
limone. Sviluppo di aromi volatili per attirare i predatori anche a lunga distanza.

La presenza di un frutto è una caratteristica delle angiosperme: “contenitore di semi”. Definizione


di frutto più corretta. Specie che coprono le zone tropicali fino a quelle temperate, fono a quelle
subpolari. Specie con ampia variabilità filogenetica. Nelle angiosperme possiamo descrivere più di
150 tipologie di frutti. Nel 18 secolo è stato coniato il termine frutto: come ovario contente i semi. In
realtà non derivano sempre dai tessuti ovarici: fragola (accrescimento del ricettacolo), mele, fichi,
ananas: la parte edule deriva dalla fusione di diverse parti dei fiori. Frutto: unità di dispersione dei
semi; il suo scopo ecologico. Non solo nelle angiosperme troviamo questo tipo di frutti ma parlando
di frutti intendiamo solo le angiosperme.
A noi interessano i frutti carnosi indeiscenti. Ci sono anche quelli secchi: deiscenti o indeiscenti.
Deiscenza: fenomeno che interessa le strutture che a maturità si aprono per favorire la dispersione
dei semi. Deiscenti lo sono i legumi ad esempio.
Apocarpico/sincarpici: carpelli, se le strutture che formano l’ovario siano uniti tra loro (?). le
solanacee sono sincarpici.
Schizocarpi: in cui un ovario sincarpico si sviluppa in un frutto che si divide a maturità simulando
un frutto derivato da un gineceo apocarpico.
Frutti aggregati: lampone (aggregazione drupeole), fragola (aggregazione dei ricettacoli).

Per una classificazione più rigorosa è sconsigliato basarsi solo su aspetti funzionali: possibili esseri
tassonomici. Oggi si usano le tecniche di sequenziamento del DNA per mettere in relazione i frutti
tra loro. Il carattere frutto carnoso non si è evoluto in una specie ancestrale trasferito alle specie

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seguenti; è emerso in maniera indipendente durante l’evoluzione di diverse tipologie di specie. Non
c’è un frutto carnoso ancestrale ma la caratteristica è emersa casualmente in diverse specie. Nelle
solanacee troviamo un a presenza trasversale di un frutto a bacca.
Una volta che il ramo evolutivo delle solanacee ha preso una via indipendente ha portato con sé
anche il carattere bacca.
Questi studi sono utili anche per usare le classificazioni ottenute per le variazioni a cui il frutto è
andato incontro. Posso avere delle “traiettorie di sviluppo” diverse tra frutti appartenenti, esempio,
all’insieme delle bacche.

Tipologie di frutti carnosi


Esame saper mettere le etichette
Drupe: pesche, albicocche, ciliegie, susine, olive .frutti carnosi con endocarpo lignificato.
L’endocarpo contiene il seme. Polpa, a maturazione, che avvolge l’endocarpo lignificato. Il
mesocarpo è circondato da un esocarpo ovvero la buccia.
Pomo: mele e pere. Ovario circondato da un impanzio carnoso. L’impazio è il ricettacolo. L’ovario è
il torsolo, carnosa che circonda i semi. La parte carnosa si chiama cortex. La buccia si chiama
epidermide: deriva da una parte che è vegetativa quale il ricettacolo.
Agrumi: frutto è esperidio: bacca circondata da una buccia coriacea. Questa in realtà nasconde il
vero frutto ovvero la parte bianca, definita mesocarpo. Viene scartata durante il consumo.
Consumiamo i carpelli: tessuti dell’ovario che derivano dal seme. Sarebbe l’endocarpo: sempre
contenitore di semi: qui carnoso e edule. L’esocarpo contiene ghiandole con olii essenziali, estratti.
Bacca: gineceo = ovario, sincarpico con carpelli fusi= senza separazione. Semi avvolti da
tegumenti lignificati immersi in una massa carnosa. Il mesocarpo prende gran parte dello spazio e
diventa la parte edule. Nel pomodoro non c’è e troviamo una “parte aerea”.
Frutti aggregati: come il lampone quale aggregato di drupeole: dentro ho piccoli endocarpi
lignificati. Fragola: i singoli ricettacoli che stanno sotto gli acheni= frutto vero e proprio ma non
sono la parte che si accresce. Sono i ricettacoli che si accrescono e si fondono.

Fiore drupacea: quello peloso è l’ovario che andrà a ingrossarsi e i tessuti dei petali sono persi,
nella mela l’ovario (supero) è immerso nel ricettacolo; le parti che lo circondano sono quelle che si
ingrosseranno e rappresenteranno il frutto consumato; l’ovario (infero) rimane nel torsolo.

Frutti veri e frutti falsi: dalla definizione dei frutti ovarici, poi sostituita. Da dove deriva la parte
edule.
Mangostano: frutto arillo: parte esterne del seme che si accresce assieme e si espande il funicolo:
prolifera e avvolge completamente il seme diventando la parte commestibile.
Fico: da accrescimento del ricettacolo ma ha i fiori avvolti al suo interno.

Lo sviluppo del frutto si avvia nel momento in cui avvien la fecondazione: quando il polline si
sposta. In seguito al germogliamento del polline.
Abbiamo il tempo zero dello sviluppo del frutto abbiamo una serie di segnali per l’accrescimento
del frutto. I segnali sono diversi (ingrossamento ricettacolo o ovario). Pei i frutti partenocarpici lo
sviluppo avviene anche in assenza di fecondazione.
Nell’uva da tavola ci sono semi veri e propri: bacche che derivano da partenocarpia e quelle
stenospermocarpiche: troviamo filamenti.

Nello studio dello sviluppo dei frutti abbiamo delle specie modello: per quelli carnosi si utilizza il
pomodoro. Le modalità di accrescimento dei frutti sono varie: primo fenomeno è la divisione
cellulare

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In tutte le direzioni: anticlinale che periclinale (si accrescono di più)
Solo anticlinali (allungamento): per i legumi  frutto con accrescimento minore. Si è cercato di
selezionare fagiolini con divisioni anche periclinale per avere il contenitore dei semi con una pola
più spessa.
La fase si conclude in pochi giorni o settimane: a seconda dell’entità delle divisioni cellulari
dipendono le dimensioni finali del frutto. La dimensione dipende principalmente dalla quantità di
cellule. Con il diradamento rimuovo i frutti prima che questa fase sia finita per permettere un
maggiore accumulo di cellule e avere quindi frutti con maggiori dimensioni finali del frutto. Questa
fase può essere seguita in alcuni frutti (generalmente si ha espansione delle cellule) si ha
endoreduplicazione: le cellule che hanno finito di dividersi durante il successivo differenziamento: il
DNA continua a replicarsi ma non ho una mitosi completa e quindi le cellule non si dividono. Ogni
cellula può arrivare fino a 20n (avendo il 2n come base). Il metodo comune per monitorare lo
sviluppo del frutto considero l’accrescimento. Osservando come si accrescono posson stilare delle
cinetiche di accrescimento e poi di maturazione. Posso modellizzarle secondo modelli diversi.
Mele secondo sigmoidee semplice:

misuro il frutto dalla fecondazione in poi.


Nella pesche trovo doppia sigmoidee più o meno accentuata
Pesche precoci

Tardive:

Nella mela, la fase successiva a 2 abbiamo la distinzione cellulare e poi accrescimento.

Nella pesca: prima sigmoidee abbiamo distensione e accrescimento cellulare. Nella seconda
abbiamo ancora distensione e accrescimento. Nel mezzo abbiamo una fase statica. Procede poi
con la maturazione.
Nell’uva la fase statica è rappresentata dall’invaiatura: si assume che sia l’inizio della maturazione;
prima che il frutto termini di accrescersi completamente.
Doppia sigmoidee ma traiettorie di sviluppo differenti

Ciclo di sviluppo di un frutto


Trovo accrescimento e maturazione.
A= antesi; fioritura.
Terminata l’espansione; il pomodoro assume le sue dimensione finali quando è mature green: può
terminare, se completato questo stadio, la maturazione anche se staccato dalla pianta. Qui cessa
di accrescersi. Successivamente ho la maturazione vera e propria: accumulo carotenoidi e
licopene; avvengono in corrispondenza di accumulo di etilene.
Differenza tra maturazione e maturità
In realtà un frutto staccato dalla pianta non avrà mai le stesse caratteristiche di un frutto che viene
lasciato attaccato
La maturazione prima si identificava con la senescenza e quindi un processo passivo (di
spegnimento). In realtà si è visto che se un frutto che inizia a maturare lo tratto con un inibitore
della sintesi proteica quello non maturava: si ha quindi che non è un processo passivo. Quando
avviava la maturazione veniva prodotta una grande quantità di mRNA.
I regolatori dello sviluppo di un frutto sono gli ormoni (5) si occupano di coordinare i processi di
sviluppo del frutto.

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Auxine e citochinie citochinine?: proliferazione cellulare
Gibberelline: anche prima della fine della divisione. Ne abbiamo 5 attive. Alcune sono prodotte a
inizio sviluppo che intervengono nella divisione. Altre nell’espansione.
Blocco di tutti gli ormoni e si avvia la maturazione: etilene e acido abscissico. Le auxine devono
diminuire per consentire la maturazione.
La pianta investe molta energia in termini metabolici per i frutti.
Esempio mela:
guardando l’espressione genica: il suo genoma deriva da 4 ancestrali fusi tra loro. Ci sono circa 60
mila geni (diverse copie identiche). Tramite il sequenziamento degli mRNA si vede il cambiamento
dell’espressione genica. 3 cambiamenti importante:
1. Dopo fecondazione
Poi calo dell’espressione
2. Al termine della crescita cellulare: grossa variazione dell’espressione. Mentre la cellula si
divide non ha identità propria. Solo quando termina di dividersi e si differenzia abbiamo la
grande espressione genica.
3. Dopo un altro calo un altro principale cambiamento lo abbiamo a livello della maturazione.
Tutti gli ormoni nella mela mostrano variazioni nella concentrazione durante lo sviluppo del frutto,
nel cortex.
Molte delle variazioni le abbiamo prima del t4 ovvero prima dell’espansione cellulare. Completa
l’acquisizione dell’identità di frutto con il termine della maturazione.
Modalità di degradazione dell’amido: fino a metà sviluppo lo accumula e poi inizia a degradarlo.
Posso usarlo per capire quando la mela sta maturando.

15/03/2023
Grape berry development
Lo sviluppo del frutto si avvia solo in seguito alla fecondazione. Lo vedo confrontando gli ovari che
stanno per diventare bacche a seguito di una fecondazione manuale con degli ovari a cui è stato
tolto le antere (non possono essere impollinati). Vedo un accrescimento dovuto all’accrescimento
cellulare. Ci sono cellule all’interno, verso gli ovuli fecondati, che sono le prime che vanno incontro
a divisione cellulare. Dopo circa 1 mese ho una differenza nello spessore degli strati tra quello
fecondato e quello non fecondato. La fase a destra si parla dell’invaiatura dove le bacche
prendono il colore (trasparente per quelle non pigmentate e viola per quelle pimentate).
Mutante di vite che non sviluppa polpa e i semi protrudono: escono dalla polpa stessa. Questo
mutante ha una mutazione a livello del promotore del gene che interessa lo sviluppo del frutto.
Questo gene fu in primis trascurato perché interessa molti aspetti: sviluppo del fiore circa i pesticilli
fiolari. Vedendo però lo sviluppo della bacca: dopo la fecondazione l’espressione di questo gene
crolla e ha inizio l’accrescimento. Nel mutante continua a essere espresso. Un fattore di
trascrizione può influenzare notevolmente i caratteri. Nel mutante vinee espresso ancora come
fosse un fiore, non avremo il cambiamento d’identità in frutto  deriva da inserimento di
trasposone nel genoma: i trasposoni sono attivati e spostati da stress o dal passaggio di
generazioni. Inserito nel gene pistillata determina che la sua espressione non si spenga come ci si
aspetta. Nelle piante figlie la mutazione rimaneva anche nelle piante della progenie ma con
presenza di bacche normali: deriva dal comportamento del trasposone se si inserisce o meno nel
promotore. Anche se esce rimane comunque la traccia nel promotore. Si è riuscito a capire che a
monte di tutto c’è il fattore pistillata. Quando non c’è alcuni geni si spengono mentre altri si attivano
e arriviamo alla maturazione e sviluppo del frutto.

Ripening = maturazione

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Altro momento con picco di espressione genica, importanza pratica. Osserviamo diversi
cambiamenti:
 Colore: diventa più attraente;
 Cambia la consistenza: proprietà fisico meccaniche che la influenzano. Differenza nelle
pareti e turgore cellulare;
 Metabolismi: aumentano gli zuccheri e diminuiscono gli acidi organici;
 Aumenta il bouquet aromatico: sostanze volatili.
Questo facilita l’attacco dei patogeni: biologicamente porta a liberare i frutti e quindi è un aspetto
positivo per la pianta. Le pareti cellulari sono meno dure e possono penetrare meglio.

Cambio colore: nella banana cambia dal verde al giallo  definiamo gli stadi colorimetrici. La
variazione è dovuta principalmente a uno smascheramento dei carotenoidi: il giallo è già presente
ma viene coperto dalla clorofilla. Decade la clorofilla e si smascherano i carotenoidi: giallo.

Non tutti i frutti vengono consumati a maturazione tecnologica.

Nell’insieme portano a attributi positivi ma anche negativi:


Positivi:
Degradazione Clorofilla
Accumulo di Carotenoidi
Sintesi Antociani
Idrolisi amido
Accumulo zuccheri
Perdita acidità
Sviluppo aromi/flavour
Softening/Perdita consistenza: positivo ma anche negativo se eccessiva e comporta conseguenze
in conservazione e manipolazione che diverrà sempre più complessa. Importante che non sia né
troppo veloce che troppo lenta.

Negativi:
Softening/Perdita consistenza Ø Decadimento Antiossidanti
Aumento proteine allergeniche: aumentano durante la maturazione
Suscettibilità ai patogeni
Deterioramento esteriore: intacca la qualità visiva

A seconda del frutto e dei parametri qualitativi richiesti posso consumare il frutto a diversi stadi del
suo sviluppo:
zucchine: se troppo grandi perdono caratteristiche ottimali. In commercio trovo quelle allo stadio
successivo alla divisione cellulare. In orto domestico le si lasciano di più.
Mele e pere: quando mature
Susine, pesche, albicocche: lo stesso. Se raccolte troppo presto non abbiamo le richieste
qualitative richieste.
Ciliege e pomodori :consumate dopo il picco di maturazione.

Maturazione fisiologica; di raccolta e di consumo


Fisiologica: come sindrome fisiologica di maturazione.
Due meccanismi fisiologici di maturazione
 Climaterici: picco di respirazione in corrispondenza o poco prima o poco dopo del picco di
produzione di etilene. Prima sussiste un sistema diverso di produzione.
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 Non climaterici: respirazione è a un livello basale; non ci sono picchi.
Il climaterio respiratorio ed etilenico sono un traino per processi più o meno correlati a seconda
delle specie e delle varietà.
Tutti i processi nei frutti climaterici possono essere soggetti a un maggiore o minore controllo da
parte dell’etilene ma non posso dire che ci sia una perfetta correlazione; rimane comunque un
fattore scatenante. Il fatto che non siano perfettamente sovrapponibili dipendono dal frutto. Non è
detto che il picco etilenico corrisponda al massimo della perdita di consistenza (esempio).
Banana: quando aumenta l’etilene si degrada la clorofilla e si sintetizzano gli zuccheri, tuttavia il
loro massimo è in fase post climaterica.
Esame 4-5 esempi per tipologia

Etilene
Molecola molto piccola e unico ormone vegetale gassoso. Prima maturazione e senescenza
erano un semplice processo passivo di deperimento. Avvengono questi processi ma si è visto che
la maturazione è un insieme di eventi di processi altamente e attivamente coordinato. Per la prima
volta con cicloecsemide, si è visto che inibendo la sintesi proteica si inibiva anche la senescenza.
Più tardi, usando precursori radioattivi, si è visto che venivano incorporati in nuovi mRNA: vuol dire
che venivano prodotti nuovi mRNA e quindi c’era un processo di espressione. Negli ultimi 30 anni
con le nuove tecniche di biologia molecolare si è caratterizzato molti altri geni che controllano
questi processi.
Si parla di una complessità di processi. L’etilene rappresenta un segnale scatenante di controllo di
questi processi molto significativo: imprescindibile nei frutti climaterici e limitatamente in quelli non
climaterici.
Essendo un gas si diffonde  è attivo nel sito di sintesi in quanto gas: dove deve agire viene
prodotto. Gli altri ormoni sono prodotti e poi trasportati. Essendo mobile, caratteristico degli ormoni,
è rilevante. Attraversa i tessuti per diffusione e questi lo percepiscono: determina una risposta di
questi. Si sposta verso l’esterno. Quanto le caratteristiche di una buccia sono rilevanti per la
diffusione dell’etilene: se poco permeabile contiene meglio l’etilene all’interno.
L’identificazione dell’etilene risale all’inizio del secolo scorso ma preceduta da pratiche
inconsapevoli che lo usavano per ottenere specifiche modifiche nel prodotto. In Cina si bruciava
incenso per aumentare la maturazione delle pere: bruciando libera etilene.
Nell’antico Egitto per far maturare i fichi venivano praticate delle incisioni nella buccia: le ferite
provocano un aumento della respirazione e della sintesi di etilene.
La scoperta risale alla fine dell’800, nel 1896. Da Dimitri Neljubow: si rese conto che le plantule
appena germinate di pisello vicino alla sua lampada a gas crescevano in maniera anomala. La
alterava in maniera specifica: tripla risposta nelle semenzali:
1. Diminuisce la crescita per allungamento;
2. Aumenta quella radiale;
3. Acquisisce la forma ad uncino
Grazie alla tripla risposta è stato possibile individuare dei mutanti e da questi i ricettori dell’etilene.
Quelle che non rispondono alla lampada hanno trovato il recettore mutato, quello specifico
dell’etilene. Si identifico l’etilene come agente causale ma non vuole dire che le piante fossero in
grado di produrlo. Dopo 40 anni (anni ‘30) Richard Gane scoprì che i frutti producevano etilene. Il
problema dell’epoca era l’assenza di un sistema abbastanza sensibile per captare l’etilene. Era
una procedura complessa con composti che lo assorbivano per poi isolarlo. Negli anni ’50 due
studiosi ormonologi misero a punto una metodologia basata su gas cromatografia 1 milione di volte
più sensibile. Con i rilevatori di fiamma. Usarono la tecnica per dire che la produzione di etilene
aumenta con la T (picco ai 30-35°C). Importante trovare la colonna giusta che separi la molecola
giusta. Iniettore con estremità in silicone: con la siringa la inietto nel silicone. Con il gas carrier la

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miscela è trasportata in colonna, impaccata o capillare, con una matrice in grado di interagire con i
composti della miscela rallentandone la corsa. Alla fine della colonna i composti saranno ritardati a
seconda delle loro caratteristiche chimiche. Tempi di diluizione diversi. Al temine ho un rilevatore di
fiamma a idrogeno, la cui acqua non influisce nella rilevazione. La fiamma ionizza le molecole del
gas in uscita, dona una carica. Il voltmetro misura la carica inviando il campo elettrico a un
software che determina la concentrazione.
Per l’etilene ho la stufa a 70°C con 100 Pa. Colonna da 40 nm l’etilene ha tempo di ritenzione di
3,5 minuti. Quantifico con uno standard a concentrazione nota e posso quindi ottenere quella del
campione. Il LOD della gas cromatografia è di circa 1 milione. Si usa la tecnica dello spazio di
testa per quantificarlo: frutto in un contenitore sigillato e incubato per 1 ora (mele) (kiwi diverse
ore). Per avere una quantità sufficiente per il gas cromatografo. Se un frutto respira tanto ma
produce poco etilene ho molta CO 2 che inibisce la produzione di etilene. Uso un sistema più
sensibile con LOD più basso. Tra questi, specifici per l’etilene, che all’inizio necessitava di un laser
ma che oggi usiamo un led : laser fotoacustic. Convoglio con flusso continuo che passa nel
prodotto che voglio misurare la concentrazione di etilene, flusso di aria pura. Il flusso si porta dietro
l’etilene del frutto è convogliata nella canna d’organo: il flusso qui viene colpito da un raggi laser a
una specifica lunghezza d’onda: lo fa risuonare in quanto vibra  colta da nano microfoni nella
canna d’organo (amplifica la risonanza) che captano la vibrazione: il segnale viene trasformato in
digitale mediante l’utilizzo di specifici software.
Siccome l’aria cromatografica costa molto, si può purificare l’aria ambientale ma non posso usare
profani in quanto possono interferire con la misurazione stessa.
All’inizio non si riuscì a stabilire un rapporto causa-effetto ma poteva essere una conseguenza
della maturazione. Tuttavia nelle banane il picco di etilene avviene prima del picco di respirazione
e di tutti gli altri processi  etilene causa della maturazione.
Se mettevo una mela in assenza di ossigeno per quattro ore riportandola in aerobiosi queste
producono molto più etilene di quelle che non erano state in anossia. Questo è dato dall’accumulo
del precursore che in assenza di ossigeno non può determinare l’ossidazione che porta all’etilene.
I due enzimi chiave sono molto instabili e rare. Inoltre essendo una molecola molto piccola poteva
essere prodotta da decine di metabolismi: difficile identificare quale lo produceva. L’osservazione
delle mele restringeva ai metabolismi che richiedono ossigeno. Diversi decenni dopo la scoperta si
scoprì come le piante producevano l’ormone. Più tardi fu identificato il precursore: ACC. È
l’immediato precursore dell’etilene. ACC è prodotto da una reazione enzimatica da metionina
convertita in solfoadenosilmetionina e poi in ACC da ACCsintasi (ACCs). Enzima chiave perché è
l’enzima limitante: la quantità potenziale di etilene deriva dall’attività di questo enzima.
L’ossidazione dell’ultimo passaggio non è limitante ma dipende dalla disponibilità di substrato.
Il secondo enzima che converte ACC in etilene è l’ACC ossidasi (ACCo).
Nella biosintesi rientra anche il ciclo di Yang. Consiste nel riciclare in parte uno dei prodotti di
scarto della produzione di etilene che porta alla produzione ex novo della metionina.
La produzione di etilene determina anche acido cianidrico
e CO2. La maturazione influenza la ACC sintasi e l’ACC
ossidasi.
Acido indolacetico è una auxina che influenza la
maturazione. Altri promotori nel riquadro affianco.
Nel momento in cui un enzima è limitante l’evoluzione ha
determinato che i geni che codificano per quell’enzima si
duplicassero: più possibilità di regolazione. Di conseguenza anche per ACCs viene codificato da
una famiglia multi genica. Identificati gli enzimi si è cercato di bloccare l’attività degli enzimi.
Pomodoro transgenico con costrutto antisenso per silenziare il gene dell’enzima ACCo. Quelli dalle

40
piante silenziate ,producendo meno etilene, avevano un rammollimento molto rallentato con in
pomodori comunque rossi.
ACCs è il principale punto di regolazione della biosintesi in quanto limitante. Codificato da 9 geni
con espressione diverse nei diversi organi e nello stesso organo nel tempo. Regolazione di
trascrizione che decide quale gene è espresso è quindi quale enzima è presente. È una proteina
instabile in quanto soggetta a trasformazione post traduzionale. Funziona come dimero: due
monomeri ACCs che si uniscono a formare un enzima attivo. Il fatto che sia un dimero comporta
che la proteina attiva sia costruita da un omo-dimero ma anche da etero-dimero: monomeri
codificati da geni ACCs diversi che formano un dimero attivo. L’attività enzimatica finale dipende
anche dal tipo di etero dimero che si forma. Essendoci 9 ACCs possiamo formare 45
conformazioni dimeriche diverse. Di queste 45 combinazioni di dimeri solo 25 hanno attività
enzimatica: con 9 geni ogni cellula è in grado di avere 25 livelli di attività enzimatica di partenza.
Ho 25 livelli diversi di etilene.
Ho tre famiglie di ACCs. Alcuni hanno residui di serina in carbossi terminale. Il tipo 3 non ha
residui. Le serina posson essere target di fosforilazione. La presenza di questo sito comporta un
aspetto identificato grazie a mutanti eto che sovrapproducono etilene come se ACCs non fosse
regolato: tripla risposta costante. In questi mutanti la mutazione si può presentare in due forme
differenti. La caratteristica di questi enzimi è che sono molto instabili: difficili da purificare perché
naturalmente soggetti a continuo turnover proteolitico. Nel c terminale degli ACCs con le serine ho
una porzione di amminoacidi riconosciuta da un sistema di poliubiquitinazione: riconoscono le
proteine da portare a degradazione. La proteina rimane per tempi più o meno lunghi in base al loro
turnover. ACCs hanno turnover molto alto e quindi distrutti rapidamente. ACCs è molto importante
e quindi se voglio che scompaia velocemente basta spegnere il gene e quella rimanente è
velocemente degradata. Questo rende il sistema molto efficiente; se non voglio che ci sia più
etilene: spegne il gene e la restante viene degradata.
ACCs con le serine sono soggette a una continua degradazione. Nei mutanti eto la proteina che
riconosce gli ACCs era mutata: ACCs non più riconosciuti e distrutti e quindi producevano molto
etilene.
L’importanza della fosforilazione deriva dal fatto che quando le serine sono fosforilate i gruppi
fosfato danno ingombro sterico che non fa riconoscere le sequenze proteiche che quindi non sono
più distrutte.
Quelle che non hanno le serine non sono degradati e quindi hanno un turnover molto lungo
(degradate meno frequentemente).
Tre livelli di controllo:
1. 25 livelli di produzione;
2. Presenza di serina;
3. Possono esser degradati.

A fosforilare gli ACCs ci sono delle chinasi specifiche: ho gli ACCs fosforilati stabili  tanto ACC e
quindi tanto etilene.
Sistema di poliubiquitinazione: le code di ubiquitine rappresentano la proteina da degradare: il
proteosoma le riconosce e le degrada nei singoli amminoacidi. La ferita determina una
fosforilazione della serina negli ACCs: aumento della produzione dell’etilene. Lo stesso per
l’attacco dei patogeni.

Quando il climaterio raggiunge il picco l’etilene diminuisce perché magari sono fosforilati gli ACCs.
A noi interessa l’etilene per il suo effetto su alcuni fattori ma in realtà sono molti di più.

Effetti dell’etilene

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 Stimola la produzione di sostanze chimiche indesiderate e sostanze da stress
 Accelera il processo di maturazione e di perdita di consistenza
 Induce la comparsa di alterazioni (es. maculatura ferruginea in lattuga)
 Induce la formazione di sostanze chimiche che provocano sapori amari (es. isocumarina in
carota)
 Induce la formazione di metaboliti da stress (es. ipomeamarone in patata dolce:
furanoterpenoide, epatotossina)
 Stimola il germogliamento della patata
 Induce l’abscissione di foglie e fiori
 Provoca l’indurimento dell’asparago: indice la produzione di lignina
 Riduce la shelf-life dei fiori recisi

Nei frutti climaterici ci sono dei


processi attivati in
maturazione che possono
essere, a seconda della
specie e cultivar, più o meno
dipendenti dall’etilene. Etilene
dipendenti: ingiallimento della
buccia nel melone;
colorazione della polpa del
pomodoro. Nel melone il
colore della polpa non dipende
dall’etilene. Abscissione del peduncolo; tutti i processi di distacco cellulare sono regolati
positivamente dall’etilene.
A livello di attività enzimatica: le eso-poligalatturonasi le controlla positivamente nella pesca ma
indipendenti nel melone.

Processi etilene indipendenti


Il sistema di percezione dell’etilene è importante: deve essere percepito e il segnale trasdotto.

Sistema 1 e 2
Due sistemi per la sintesi di etilene che chiamano in causa l’ACCs.
1: biosintesi nella fase pre-climaterica. Etilene è in quantità basale; ha azione inibitoria nell’enzima
ACCs quantità dell’etilene bassa.
Quando si decide di maturare: cambiano gli ACCs e i suoi meccanismi regolazione. L’etilene
prodotto ora stimola gli ACCs. Da processo autocatalitico a autoindotto. Questo determina il
climaterio etilenico. Questo cambiamento è dovuto al fatto che cambiano gli ACCs espressi. Nel
pomodoro è bene caratterizzato: nel sistema 1 abbiamo ACCs 6 e acs1a con attività catalitica
molto bassa e sono molto instabile :degradati velocemente. A un certo punto lo sviluppo decide di
maturare: cambia il tipo di geni ACCs espressi: ACCs 4 e ACCs 2  codificano per ACCs ad alta
attività catalitica e alta stabilità  l’etilene ha la capacità di aumentare l’espressione di questi geni.
Si crea un ciclo che porta ad aumentare l’etilene prodotto. Se vogli alterare la sintesi di etilene
devo considerare questo sistema. La posso alterare chimicamente, la sintesi, e anche la
percezione.
Durante lo shift da sistema 1 a 2 è evidente il cambiamento della sintesi di etilene, può arrivare fino
a 100 volte nel sistema 2 rispetto al 1. Lo vedo correlando la produzione di etilene con la
disponibilità di .
Può esserci un leggero shift temporale tra ACCs e il picco massimo della produzione di etilene.
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Pigmentazione banana: la biosintesi di etilene anticipa il climaterio respiratorio.

Fattori che influenzano la biosintesi di etilene


Sono diversi i fattori:
 Specie e genotipo e anche il portainnesto
Genotipo: si parla di frutti climaterici e non climaterici. Gli studi hanno fatto emergere che
macroscopicamente posso vedere una differenza tra la fisiologia di questi due tipi di frutti ma
andando nel dettaglio la differenza tra presenza di picchi nei climaterici e assenza nei non
climaterici questa differenza non è così ampia. Si ritrovano pattern genetici che si attivano che
hanno molte similitudini.
Confronto tra bacca d’uva e pomodoro. Fa la differenza il sistema di misurazione dell’etilene. Mi
determina possibili differenze nella produzione di etilene. Il climaterico e non climaterico è una
distinzione fatta per comodità e per le differenze che ci sono nel piano pratico. Emergono
informazioni che induco a rivedere le differenze tra queste due tipologie di frutti: misurazione
dell’etilene, espressione genica.
Nella stessa specie abbiamo varietà diverse (= minime differenze geniche) che presentano picco
etilenico rispetto ad altre che non presentano il picco (presente nelle mele). Queste differenze
possono essere minimali. Per alcune cultivar solo una differenza in termini di diverse parti del frutto
che producono etilene possiamo determinare una differenza. Ad esempio tra chi lo produce a
livello epidermico rispetto a chi lo produce a livello non epidermico.
Tutti i frutti hanno un programma genetico di base e questi posson avere diversa sensibilità nei
confronti dei diversi fattori che le possono controllare. Questi fattori hanno peso diverso nello
sviluppo e quindi anche nella produzione di etilene.
Frutti tropicali producono oltre 100 microlitri/kg peso fresco/ora. Lo si misura così in quanto lo
otteniamo mediante il metodo dello spazio di testa. Utilizzando questo metodo si usano contenitori
con volume in eccesso rispetto al prodotto che vogliamo misurare. Lo spazio di testa è lo spazio
vuoto attorno al mio prodotto e si considera nullo il volume del prodotto all’interno del contenitore
assumendo che il frutto stesso sia un continuum dell’atmosfera stessa del contenitore.
Nelle diverse cultivar di melo possiamo ritrovare molte differenze nella produzione di etilene: la Fuji
ne produce poco rispetto alla Gala che ne produce molto di più. Fuji non produce il climaterio
etilenico.
Effetto del portainnesto: usando diversi portainnesti. Usato il clone Fuji Aztec che presentano una
colorazione più a macchie rispetto alle vecchie Fuji. I livelli di etilene che ne derivano sono diversi
in quanto diversi sono i portainnesti usati. L’etilene varia anche fino a 5 volte. Il portainnesto è
l’interfaccia tra la cultivar e il terreno  cambio il porta innesto in base al terreno oltre che
determinare un diverso vigore vegetativo. La diversa produzione etilene deriva dal fatto che le
radici producono ACC che è un precursore mobile. Se l’etilene si limita a diffondere passivamente
il suo precursore segue un meccanismo che ne determina il trasporto. Si presuppone che i diversi
portainnesti producano ACC in quantità diverse che poi viene trasportato. Se stacco il frutto che
presenza accumulo di ACC questo viene convertito in etilene.
Stadio di sviluppo: varia durante lo sviluppo ma non solo in base allo sviluppo e stadio di
maturazione. Tutti gli organi della pianta sono in grado di produrre etilene, così come per gli altri
ormoni vegetali. Negli animali non è così. Nelle piante ogni singola cellula di ogni singolo tessuto
potenzialmente possono produrre qualsiasi ormone. Tutti gli organo hanno una produzione di
etilene basale che può aumentare fino a 100 volte. La maturazione è una fase ma anche la
senescenza.
Abscissione: distacco di un organo o parte di esso dalla pianta madre. Il carico fruttifero negli alberi
dipende dal livello di abscissione che gli alberi sono in grado di portare avanti naturalmente 

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cascola fisiologica. Gli alberi si liberano da soli di parte dei frutti perché sanno che non possono
sostenerli tutti. La cascola avviene in genere entro la prima settimana di giugno.
La cascola dipende da quando si avvia il processo di fecondazione: chi è fecondato dopo è un
frutto meno forte e la pianta se ne libera. Lo stesso per frutti attaccati da patogeni. L’abscissione
comprende anche una produzione di etilene. Nel melo è semplice misurare una produzione
differenziale di etilene: i fritti laterali più piccoli sono quelli che producono più etilene di tutti 
quelli che si staccheranno naturalmente dalla pianta. Avviene a livello del peduncolo con distacco
tra le cellule.
Ne rimangono comunque troppi quindi si effettua un diradamento. Rispetto ai laterali i frutti centrali
non producono etilene o molto poco quando la loro dimensione è simile a quella dei laterali in
quanto è destinato a persistere nell’albero: ha iniziato ad accrescersi prima e quindi è più grosso.
Oltre a questo, essendo più grosso, attira più fotosintati e quindi si accrescerà di più.
Si vuole trovare un metodo per fare in modo che tutti i laterali abscindano mantenendo quelli
centrali più grossi. Ci sono dei diradanti chimici: naturalmente poco impattanti. Un esempio sono
delle citochinine. I diradanti applicati a maggio non sono poi presenti ad agosto/settembre.
A oggi si ricercano diradanti ormone simile per avere un metodo di produzione sostenibile
attraverso l’utilizzo di funghi all’interno di bioreattori. Questo permetterà di usarli anche nel
biologico. Diradante a base di gibberelline che deve essere utilizzato l’anno precedente: in quanto
inibisco le gemme che portano alla formazione dei fiori e riduco così i fiori stessi e di conseguenza
anche i frutti prodotti. Il problema è dato dalla gelate: possono determinare una ulteriore perdita di
fiori che praticamente azzerano la fioritura. Nei meleti c’è una fioritura scalare. Per contrastare le
gelate si disperde acqua sopra chioma per proteggerle. Nelle drupacee temperature di poco sotto
allo zero porta alla perdita dei fiori.
Per le drupacee non ci sono metodi chimici di diradamento. Si usano delle frustate degli alberi che
rimuovono in maniera aspecifica i fiori o anche attraverso metodi manuali che però sono molto
costosi.
Per il pesco la produzione è simil doppio sigmoidee. La fese di crescita statica è prolungata in
quanto la cultivar è tardiva.
Stress meccanici: come le ferite che determinano uno stress che porta ad aumentare la
produzione di etilene. La ferita anche minima alla raccolta può portare ad aumentare la sintesi di
etilene. Bisogna mettere le mele in frigoconservazione per limitarne la produzione.
Si parla di fattore albero: fintanto che il frutto è attaccato all’albero la maturazione viene
posticipata. Rientra anche l’etilene. Anche le auxine, nelle fragole. Prodotte dagli acheni e la
fragola non matura; quando smettono di produrle la fragola matura.
Temperatura: importante così come lo è per la respirazione. Influisce quindi sulla conservabilità.
Guardano all’effetto combinato di una ferita e della temperatura sulla sintesi etilene: fatta la ferita la
biosintesi di etilene è ritardata fino ai 35°C. Si usano trattamenti con shock termici in post raccolta
per ritardare la maturazione e quindi aumentare la conservazione dei frutti. La soglia di stress
termico, sopra i 35°C, possiamo avere lo stress termico che uso per ritardare la maturazione. Sotto
i 42°c gli effetti dello stress termico sono reversibili: aumento di respirazione, diminuzione della
respirazione di etilene, trascrizione per la produzione di proteine heat shock  chaperonine che
evitano che alcune proteine vengano denaturate dalle elevate T. Altri geni vengono spenti. La
degradazione proteica in generale viene accelerata per mettere a disposizione nuovi aa per le
proteine heat shock. Aumentano le ROS aumentando lo stato ossidativo nelle cellule.
Tornando sotto i 42 °C ritorna tutto alla normalità.
Sopra i 45°C alcuni aspetti della risposta immediata cambiano: perdita della situazione per cui
diverse proteine sono prodotte da un singolo mRNA.
Lo stress non riesce a reagire e produce poco heat shock protein.

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I ros sono prodotti in quantità elevate. Sono aspetti irreversibili. Riportando a T normali solo pochi
aspetti rientrano ma, oltre una certa soglia, abbiamo una necrosi. Si tratta di sbilanciamenti
metabolici determinati dall’assenza degli enzimi necessari per portare avanti questi metabolismi.
La soglia dipende dalla specie; da condizioni pre raccolta come lo stato nutrizionale. Ci sono delle
soglie per ogni specie che però non sempre assicurano l’assenza dell’irreversibilità.

Due casi per cui la cellula riesce a rientrare dallo stress termico o per temperature molto elevate
abbiamo una distruzione irreversibile dei tessuti.

L’etilene ha bisogno di ossigeno:


tenore di ossigeno e CO2: l’ultimo passaggio, determinato da ACCo, produce CO2 quindi a
seconda dell’ossigeno e della CO2 ho una produzione diversa. In pomodoro al 20% do CO2 la
ripresa della produzione di etilene è lenta ma raggiunge poi quella dei pomodori non trattati. Si
denota dal grafico che un’ora dopo la raccolta il livello di etilene è maggiore, derivante dalle ferite
prodotte in raccolta. Il ritardo che osserviamo nella produzione di etilene corrisponde un ritardo
nella pigmentazione e nella cinetica di rammollimento.

In alcuni casi sono usati dei generatori di etilene. È presente un liquido e un misuratore di etilene.
Lo uso per accelerare la maturazione e uniformarla. Molti frutti climaterici sono raccolti sono
ancora maturi e indotti a maturare con l’etilene esogeno; ad esempio con la banana. A 15-18°C,
umidità relativa alta, etilene sotto le 250 ppm, max 2 giorni di trattamento, circolazione dell’aria per
mantenere l’etilene in maniera uniforme e evitare l’accumulo eccessivo di CO2.
Anche per il kiwi: siamo a 100 ppm. Si usa l’etilene per avviare i processi di rammollimento e avere
kiwi in commercio non eccessivamente croccanti. Per evitare l’imbrunimento e della polpa
traslucida devo mantenere la CO2 sotto l’1%.
Pero: alcune cultivar sono poste a basse T per avviare la maturazione quando si ha la necessità.
Sono sottoposte a 100 ppm di etilene per 24 ore e poi di nuovo poste a basse T. Anche qui
andiamo a uniformare la maturazione.
Agrumi: per il degreening degli agrumi degradando la clorofilla.

L’etilene appartiene a una famiglia di composti chimici che presentano similarità in modo da
poterlo sostituite. Le piante però hanno sviluppato sistemi specifici per il riconoscimento. In
laboratorio di usa il propilene che ha però un’attività del 130% meno intensa. Monossido di
carbonio che però non è utilizzato in quanto tossico.

Manipolazione biosintesi e azione dell’etilene


Controllo biosintesi: l’AVG è un formulato non più consentito nell’UE. Inibitore che agisce
specificatamente nei confronti dell’ACCs. Anche LAOA ha questo effetto ma usato solo a livello
sperimentale.

Stimolo sintesi: composti che rilasciano etilene. CEPA: assorbito dal tessuto vegetale e convertito
in etilene. Il problema di questi trattamenti è che sono difficilmente controllabili. La conversione in
etilene dipende dal molti fattori che possono determinare un’efficacia nulla.

Percezione dell’etilene: si cerca di inibirla. L’argento nitrato ha effetto ma è tossico. Il composto


importante è l’1-MCP. Messo a punto a fine anni ‘80 con la finalità di trovare un composto che
fosse in grado di inibire i recettori dell’etilene che funzionano in presenza di un metallo.

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È fondamentale la presenza di almeno un recettore per avere l’attività dell’ormone. Per definire un
ormone questo deve avere un recettore. Ormone + recettore ci dà una risposta biologica. Il
recettore dell’etilene è stato il primo recettore vegetale scoperto.
Individuato il recettore in quanto un mutante dello stesso non reagiva allo stimolo dell’etilene.
Recettore è saturo l’etilene 1: etr1. Anche altre componenti della catena trasduttiva del segnale
dell’etilene.
Per determinare la risposta dobbiamo avere che tutti i passaggi avvengano; se ne manca anche
solo uno abbiamo una mancata risposta all’etilene.
Altri mutanti che presentano la risposta all’etilene: ctr1

Etr1: prima proteina recettoriale identificata. Studiata la sequenza della proteina si vide che era
simile ad altri recettori negli animali. Localizzata nelle endomembrane ovvero nel sistema del
reticolo endoplasmico  non sono nella membrana plasmatica ma all’interno della cellula. La
mutazione è dominante: basta che una pianta abbia un allele mutato per far sì che questa sia
etilene resistente/insensibile. È dominante per il fatto che il recettore funziona normalmente come
regolatore negativo. È un recettore che funziona come dimero: ho bisogno di due etr1 per avere il
recettore funzionante.
Quando non c’è etilene il recettore attivo mantiene spenta la risposta all’etilene. Quando questo si
lega al sito di legame determina delle modifiche allosteriche e il recettore non funziona più. La
risposta all’etilene si avvia. Da questo comprendiamo perché la mutazione etr1 è dominante: è
mutata nella sito di legame dell’etilene  il recettore non può legare l’etilene. In eterozigosi l’allele
normale lega l’etilene che quindi disattiva il recettore. Quello mutato, che non si può legare,
continua a mantenere la risposta silente. (l’etilene blocca il ruolo negativo). Il recettore mutante,
non legando etilene, continua nella sua attività di silenziamento. Si definisce la mutazione etr1
dominante: basta un allele mutato perché domini.
La regolazione negativa ha un risvolto anche sulla sensibilità: quanti più recettori sono presenti
tanto maggiore etilene sarà necessario per disinnescarli tutti. La sensibilità all’etilene diminuisce
all’aumentare dei recettori perché ne servirebbe molto di più per inattivarli tutti. Fintanto che non ho
saturato tutti i recettori con l’etilene non avrò la risposta. Per avere la risposta all’etilene devo
inattivare tutti i recettori.
Risvolto pratico nella determinazione del sesso delle cucurbitacee. I fiori normalmente presentano
come ermafroditi imperfetti: non ci sono fiori maschili e femminili. Quelli femminili sono dovuti che
gli stami abortiscono e il fiore diventa femminile. Quando si sviluppano questi fiori presentano
un’espressione di geni ACCs che codificano per enzimi molto attivi  aumenta molto la
produzione di etilene. Nel pistillo è sviluppato un numero di recettori è molto maggiore: l’etilene
può saturerei gli stami ma non il pistillo  molte cellulare programmata. Il pistillo si sviluppa
mentre gli stami abortiscono e il fiore diventa femminile.

Diversi domini: quello che lega l’etilene presenza domini transmembrana. Ci possono essere 3
domini transmembrana o 4 domini a seconda della specie.
Dominio gaf: consente ai recettori di formare dimeri.
Attività estidinchinasica.

Le due sottofamiglie presentano peculiarità: sottofamiglia 1 abbiamo un dominio ricevente e l’altro


no.
Si possono formare etero dimeri

Diversi recettori: ognuno ha una forza di trasmissione diversa  risposta diversa e più o meno
sensibile.

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La sottofamiglia 1 ha i recettori più sensibili e con ruolo maggiore.

Recettore del pomodoro “never ripe”: la mutazione fa sì che non maturi mai.

Dominio recettoriale: parte del recettore che si lega all’etilene è presente nel transmembrana a
perché l’etilene si muove principalmente in ambiente lipofilico. Se il dominio recettoriale è presente
dentro le membrana è più probabile che intercetti l’etilene.

Trasduzione: non c’è solo il recettore ma anche altri elementi. Riuscendo a bloccarli tutti si
potrebbe eliminare l’effetto.
Assente l’etilene: il recettore è attivo per regolare negativo la risposta attraverso ctr1 nel settore
ricevente. Ha attività chinasica: fosforila una coda un ‘altra proteine nelle membrane; con coda
rivolta verso il citoplasma  quando si avvicina a ctr1 questo la fosforila. La rende riconoscibile dal
sistema di poliubiquitinazione (componente comune per le ubiquitine e una parte specifica per la
parte che deve riconoscere) e la coda viene distrutta. Si blocca il segnale.
Con etilene presente il recettore si disattiva e anche ctr1 che non fosforila ein2. Un enzima
specifico taglia la coda che ha un segnale che le consente di entrare nel nucleo  attiva fattori di
trascrizione che a loro volta attivano i geni della risposta all’etilene. Ogni passaggio ha altri
meccanismi di regolazione che è soggetti alla regolazione di altri fattori. Tutta la fisiologia
dell’etilene è controllata a livello di sintesi ma anche a livello di trasduzione.

22/03/2023
1-MCP
Ricerca esplosa a metà degli anni ‘90. Melo principale sulla ricerca.
Meccanismo d’azione: chiarito nel tempo.
In assenza di etilene i recettori: etr1 interagisce con ctr1  regolazione negativa della risposta.
Mantiene libero il sito di legame per 1-MCP: il sistema rimane esposto al legame.
Quando si aggancia al recettore: modifiche allosteriche mascherando il sito di legame per l’etilene.
1-MPC non si lega nello stesso sito dell’etilene ma rende comunque non disponibile quello per
l’etilene. L’etilene non può più sbloccare il sito recettoriale. 1-MCP continua mantenere attiva la
regolazione negativa della risposta.
Questo legame è irreversibile: se la cellula o il sistema è saturo e impedisce all’etilene di trovarne
uno libero per tornare ad avere la risposta all’etilene la cellula deve generare nuovi recettori.
Richiede tempo  è una variabile nel rallentamento della maturazione tra le diverse specie. La
reazione all’1-MCP non è la stessa per tutti i frutti. La differenza è data dalla capacità di rigenerare
i recettori.

Aspetti legislativi:
iter “facile”. Inizialmente fu autorizzato per le ornamentali (nei fiori recisi). Poi introdotto nei prodotti
alimentari, studi fatti dall’epa. Non è stato consultato un comitato scientifico in quanto i dati era
presenti dall’epa. Rivisti i LMR. Tra il 2006 e 2007 si è iniziato ad usarlo in maniera estensiva. LMR
< 20 microgrammi/kg o 0,02 mg/kg. Vicino al LOD delle strumentazioni.
Essendo usato come gassoso, ne momento in cui lo togliamo e arieggiamo nuovamente è
praticamente impossibile che ne rimanga in maniera residua. I parametri di sicurezza sono stati
ben caratterizzati. LC50 (cerca) molto basso. Studi tossicologici lo hanno definito sicuro.

Applicazione:

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1-MCP come polvere, all’inizio, in quanto complessato con ciclodestrine. Ottenevo il gas mettendo
la polvere in acqua. La T dell’acqua è fondamentale oltre che la quantità per avere una certa
quantità di 1-MCP. Siamo generalmente sopra ai 20°C.
Oggi: formulazioni in compresse.

L’assorbimento dipende dal prodotto: pesche assorbono fino al 90% di 1 ppm di 1-MCP a 20°C in
circa 20 ore.
Evidenziato come l’aumento della respirazione e quindi della CO2 in ambienti chiusi non
interferisce con l’azione dell’1-MCP (del suo legame con il recettore).
Affinità neo confronti dell’etilene di circa 100 volte: 100 volte la quantità di etilene per competere
con l’1-MCP  posso usare 1-MCP a concentrazioni molto bassa. Inoltre la produzione di etilene
non sarai mai sufficiente a determinare la maturazione di tutto il lotto dei frutti.

Effetti 1-MCP:
oltre alla maturazione e dell’utilizzo nei fiori, nei prodotti alimentari può avere casi anche molto
differenti: pomodori a grappolo  per far sì che non si stacchino dal grappolo si usa 1-MCP.
Inibisce l’azione dell’etilene sull’abscissione: tra frutto e peduncolo si instaurano meccanismi di
separazione cellulare geneticamente programmato (rilascio del frutto da parte della pianta).
Importante conoscere la quantità e le tempistiche di applicazione.
Esempio – albicocca: effetto dell’1-MCP dipende dal dosaggio. Maggiore è il dosaggio maggiore
sarà la capacità di mantenere la consistenza più a lungo.
Piano sperimentale: raccolte e messe in cella refrigerate (rallento i processi). Dopo 30 giorni poste
per 12 ore:
 In aria
 In 1-MCP
 In etilene
Differenze nella shelf life: etilene stimola la produzione di etilene mentre 1-MCP la riduce. La
consistenza è mantenuta con 1-MCP. Il cambiamento di colore è ritardato sia nella polpa che nella
buccia.
Consistenza: guardando i tessuti della polpa è evidente che a 4 giorni dal trattamento con 1-MCP
le strutture della pareti cellulari sono praticamente identiche al tempo zero. Nel controllo e con
etilene abbiamo una degradazione dei polimeri varietali e quindi un distacco cellulare.
Pectine della lamella mediana: usato anticorpo che mettete fluorescenza per la pectina: a 4 giorni
con etilene non la troviamo più mentre con 1-MCP la troviamo dopo 4 giorni.

Differenze tra 1-MCP nei frutti:


tra mele e pesche: nella mela tratti con 1-MCP e se la rimetti in aria per 2 settimane rimane come
all’inizio (il trattamento rimane per due settimane); effetti ancora dopo 20 giorni.
Nella pesca se tolgo 1-MCP ricomincia subito a generare recettori e a essere sensibile all’etilene:
dopo 20 giorni si è già ricongiunto con il controllo. Nelle pesche l’uso di 1-MCP è meno diffuso che
nelle mele.
Ananas – uso packaging con atmosfera controllata: cambiamenti nella produzione di etilene
all’interno del packaging di ananas di quarta gamma nel corso di 0 giorni di refrigerazione:
 In aria: maggiore produzione di etilene;
 In atmosfera controllata: 5% CO2 e azoto  effetto fino a 6 giorni;
 1-MCP in aria che 1-MCP in MAP: dopo 10 giorni l’effetto della produzione di etilene è
evidente anche dopo 10 giorni. Basta anche senza MAP per limitare lo sviluppo di etilene.

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Banana: applicazione estesa di 1-MCP: trattamento combinato con etilene e 1-MCP. Prima del
trattamento i è ottimizzata la concentrazione di 1-MCP per evitare effetti indesiderati: se andiamo a
0,6 ppm la banana non riesce, rispostata in aria, a maturare in maniera uniforme anche se
facciamo trattamenti con etilene.
Nello studio 16 ore a 0,4 ppm. Dopo rieffettuato il trattamento oppure aggiungendo 1 ora di etilene
prima del trattamento con 1-MCP per 16 ore. Osservato il cambiamento del colore durante i giorni.
L’etilene 1 ora allinea e avvia i processi di maturazione ma non è sufficiente a far sì che siano
evidenti ma con 1-MCP li blocchiamo. Riportato in aria il frutto trova una situazione metabolica
pronta per avviare la maturazione (es. ACCs in maturazione, ecc…). se effettuiamo i pretrattamenti
con etilene la maturazione è più uniforme, evito le sfumature di colore.
Anche sulla consistenza, respirazione e produzione di etilene questo trattamento combinato
(etilene + 1-MCP) ha un’efficacia visibile.

Attività enzimatica – banana:


nel controllo attività di ACCs ha un picco rispetto ACCo  annulliamo con i trattamenti (lo
ritardiamo).
I trattamenti con 1-MCP non sono casuali ma studiati frutto per frutto per evitare gli effetti
indesiderati  sull’accumulo dei composti indesiderati: solo con 1mco annullo la produzione di
esteri, alcoli e aldeidi: contribuiscono a conferire l’odore di banana. L’1-MCP abbatte gli esteri. Se
pretratto con etilene il profilo di emissione dei volatili rispetta il profilo, seppur più basso, del
controllo.
Si è cercato di evidenziare se ci fossero correlazione tra i diversi indici fisiologici e le emissioni di
volatili: correlazione voltatili totali:
 Direttamente correlati al color index
 Inversamente all’angolo di yu: la banana diventa più gialla;
 Inversamente anche all’accsintasi.

Applicazione packaging – banana: il packaging contiene 1-MCP.

Effetti indesiderati 1-MCP


Alcune varietà di mele non riescono a sviluppare completamente il loro aroma tipico se vengono
trattate con 1-MCP anche se riposte in aria. Durante la maturazione delle mele il profilo aromatico
è dato da esteri acetato e butirrato (aumentano in maturazione). Con 1-MCP abbiamo più alcoli e
aldeidi a discapito degli esteri.
Su pere e susine può dare problemi nella ripresa del percorso di maturazione: rammollimento non
omogeneo  presenza di indurimento della polpa.
In banana: risposta a maturare dopo 1-MCP può mostrare ingrigimento della buccia. Non
raggiunge la colorazione tipica ma mantiene uno sviluppo irregolare del colore rispetto a una
banana non trattata. Anche qui asincronie di maturazione: polpa matura e buccia ancora verde
oppure maturano solo alcune zone. Importante la ventilazione durante il trattamento per far sì che
raggiunga tutti i frutti senza aumentare la concentrazione di 1-MCP ma restare nei limiti che si
sono prefissati e agendo con l’epoca di raccolta e il pretrattamento con etilene.

Sin dall’inizio si iniziò a dibattere sull’effetto di 1-MCP nelle proprietà nutraceutiche: emerse
discrepanze a seconda del caso: sulle mele riscontrata alcuna variazione nella capacità
antiossidante e nella produzione di ascorbato. Altro studio, con metodologie diverse, si è ottenuto
che le mele trattate con 1-MCP avevano una maggiore capacità di detossificazione dei ROS oltre
che maggior livello di flavonoidi. L’acido clorogenico, principale flavonoide delle mele, si riduceva
del 24%.

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Alto caso - kiwi: mantenimento della consistenza migliore con cloruro di calcio, meno per 1-MCP.
Lo stesso per composti fenolici e detossificanti. Kiwi 1-MCP non ha effetti significanti.
Gli effetti in generale sembrano migliori piuttosto che negativi ma bisogna guardare i singoli casi.
Pero non si ha aumento dei composti bioattivi.
Fragole: 1-MCP tende a far diminuire gli antociani, polifenoli totali, sintesi etilene e attività PAL.

Nel tempo sono stati messi a punto formulati di 1-MCP per effettuare trattamenti in campi: usati sul
melo negli USA e tra poco permessi anche su pero e ciliegie. L’utilità del trattamento in campo mi
permette di differenziare le epoche di raccolta. Lo uso per incastrarmi con le capacità logistiche
dell’azienda e gestire così la raccolta. Ritardo la raccolta di circa 2 settimane.
Le mele durante la maturazione accumulano e poi degradano amido: attraverso il colorante che
attacca l’amido e lo rende blu: nel controllo l’amido è più degradato rispetto al trattamento con
harvista (1-MCP in campo).

Pareti cellulari e cambiamenti della texture


Frutti carnosi maturano cambiando aspetti organolettici che ne favoriscono il nostro consumo e
ecologicamente disperdono i frutti. Molti studi per caratterizzare i processi, fino al dettaglio
molecolare per capire i geni interessati.
Per il cambiamento della texture i loro determinanti molecolari gli studi non sono riusciti ancora a
determinare i geni che interessano questo cambiamento. Possiamo misurare i pigmenti, gli
zuccheri; per la texture è difficile trovare una correlazione con il cambiamento e le cause. La
pigmentazione ha meccanismi trasversali di regolazione tra i frutti; per la texture ogni frutto ha le
proprie peculiarità.
Texture ESAME: insieme di forze di tensione, resistenza alla compressione ed estensibilità che
contribuiscono a determinare caratteristiche come farinosità, succosità, croccantezza,
sciolevolezza. Posso definirla con diverse misurazioni: forza di tensione, resistenza alla
compressione (resistenza penetrometrica). Penetrometro, durometro più adatti es. alla ciliegia.
Tutte queste misure riflettono strutture molecolari diverse e interazioni diverse tra loro.

Cellula vegetale: la maggiore perdona di consistenza dipende da un disassemblaggio della parete


cellulare. Avvolge esternamente le cellule può andare incontro a fenomeni di depolimerizzazione
(in monomeri), solubilizzazione dei costituenti zuccherini soprattutto. Perdita della forza
biomeccanica della parete che si rilassano  nell’insieme il tessuto rammollisce. Qui parete
cellulare primaria.
Nella lamella mediana: ci sono altre modificazioni. Anche nella membrana plasmatica (più interna
rispetto alla parete). È un sito di reazioni oltre essere una barriera verso l’esterno. Nella membrana
abbiamo proteine che sono più o meno libere si muoversi, a seconda della fluidità. Possono
interagire tra loro, funzionare con trasportatori ioni o altre molecole. Presenza di recettori (no
etilene).
Lipidi di membrana: steroli, sfingolipidi e glicerolipidi. Li separo con una centrifuga e li vedo al
microscopio come piccole vescicole.
APOPLASTO E SIMPLASTO: rivedi
Simplasto: continuità tra citoplasmi delle cellule, garantita dai plasmodesmi che li mettono in
continuità.
Apoplasto: continuità tra le pareti cellulari che avvolgono le cellule. Sorta di spugna data la
presenza di una soluzione che le mette in continuità.
I soluti si possono muovere liberamente tra apoplasto e simplasto o uno solo dei due.

50
Lamella mediana: colla che tine unite le diverse cellule. Sottile strato di polisaccaride quali le
pectine. Parete primaria (più esterna nella cellula) è un tessuto di feltro (filamenti schiacciati tra
loro che posson trattenere molta acqua) e la lamella è un gel colloso che le tiene assieme. È
formato da pectine con struttura molecolare che sono piuttosto rigide quando sono maturano.
Vengono poi degradate.
Parete primaria da sola solo nelle cellule giovani. Poi si aggiunge la secondaria.
Parete primaria: microfibrille di cellulosa (15-40%V del peso secco della parete primaria). Dispersa
in matrice di emicellulosa. Anche pectine.
Parete secondaria: più cellulosa e meno pectine. Anche lignina e suberina. La parte edule è di
interesse che non contenga pareti secondarie. Ha una funzione principalmente strutturale e in
alcuni casi di protezione.

Tipologie della parete: a seconda dei polimeri parietali ESAME


3 tipologie. Occhio a PREVALENTEMENTE
1. Dicotiledoni o mono: la matrice glicanica prevalentemente da pectine e emicellulosa;
2. Pectine non prevalenti e emicellulose
3. Eccezioni e intermedie: ananas (dicotiledone).
Tra primaria e secondaria diminuisce la pectina e aumenta la cellulosa.

Le componenti interagiscono tra loro. Si crea una struttura che può avare diverse caratteristiche
biomeccaniche a seconda della loro composizione: più rigida se c’è più lignina e cellulosa nella
secondaria.

Funzioni della parete ESAME:


 Protezione protoplasma: è la cellula assieme alla membrana;
 Pressione osmotica: se alta evita che esploda;
 Piccole molecole: abbastanza da poter passare attraverso i polimeri della parete.
 Forza meccanica: a seconda della composizione;
 Nella parete: la cellula può decidere di intervenire se vuole far espandere la cellula.
 Patogeni: iniziano a distruggere la parete  rilascio monomeri come gli zuccheri: segnale
per le altre cellule che è in atto un attacco patogeno e mettono in campo i meccanismi di
difesa.
 Troviamo glucani (zuccheri): accumulo sostanze di riserva.

Componenti parete:
cellulosa: catene di beta glucani legate con 1-4 e tenute assieme tra loro da legami a idrogeno.
Nell’insieme ho la microfibrilla. Assemblata a livello della membrana plasmatica dove sono inseriti
enzimi che formano una “rosetta”. Contemporaneamente formano le singole catene e grazie alla
rotazione della rosetta le catene sono avvolte e formano le microfibrille. Le rosette ruotano attorno
a tutta la cellula e si arrotolano in tutte le direzioni possibili.
Emicellulose (o xiloglucani): simile alla cellulosa in quanto sempre 1-4 beta glucano ma con
sostituzione casuali di xilosio o altri zuccheri.
La microfibrilla è sufficientemente stretta da formare una struttura cristallina. Il livello di
cristallizzazione può variare e risentire di diversi fattori.
Le emicellulosa, costituite da xiloglucani (ma anche mannani e glucomannani). Sono ubiquitari in
tutte le piante terrestri ma in alcune specie troviamo emicellulose particolarmente arricchite (tratto
tassonomico).a seconda dei raggruppamenti, anche ristretti, possiamo trovare emicellulosa con
sostituenti che rappresentano un tratto tassonomico molto rappresentativo di una specie.

51
Pectine: gruppo eterogeneo di polisaccaridi, acidi o neutri. Come catene con doversi gradi di
ramificazione. Formano gel (pectici). Collante tra cellule. Acido galatturonico è il principale
monomero. Usato anche nell’industria alimentare. Con la maturazione intervengono pectasi o
pectinasi che riducono il grado polimerizzazione  rammollimento e rilascio monomeri.

Omogalatturani: monomeri di acido galatturanico che può avere un alto grado esterificazione
Ramnogalatturani di tipo 1: a. galatturonico intervallato da ramnosio (carena principale). Catane
laterali che differenziano il tipo 1 dal 2 per la loro complessità.
Tipo 2: catena centrale solo di galatturonico ma catene laterali molto complesse.
Xilogalatturani: scheletro di acido galatturonico e con sostituenti laterali di xilosio.

Con gruppi carbossilici non metilati possono formare legami con ca e mg e possono formare
eggbox nelle zone con metilazione circa zero. Determina un alto livello di gelificazione. Il Ca è lo
ione più presente. L’esterificazione avviene nell’apparato di Golgi. Golgi si producono pectine e
cellulose. Nel reticolo endoplasmatico rugoso:

Parete:
1. Cellulosa e xiloglucani;
2. Polisaccaridi pectici;
3. Proteine strutturali: 4 tipologie
HRGP: estensine: nel floema, nel cambio e sclereidi: granulosità della pera  cellule morte
che formano parete secondaria e lignina. La lignina rimane dopo che muoiono.
PRP: ricche di prolina; localizzate nello xilema, fibre e cortex;
GRP: rocche di glicina; localizzate nello xilema
AGP: ricche di arabinogalattani.
Estensine: formano, grazie a legame tra tirosine, maglie che imbrigliano le microfibrille di cellulosa
 le irrigidiscono determinandone un grado di libertà più basso. La briglia è formata grazie a
tirosine che legano una estensina con l’altra.

Proteine di parete – funzioni:


 La rinforzano
 Difesa patogeni
 Recettori solubili: presente il loro ligandi formano un complesso che traduce un segnale
Coinvolgimento nella maturazione non ancora chiarito del tutto. Arabinogalattani in pomodoro: i
geni che codificano per 5 di queste proteine di riducono in maturazione. Uva – HRGP aumentano, i
geni, durante la maturazione. Non ancora chiara l’intervento nella maturazione.

Molto complessa la parete cellulosa: ho trama tra xiloglucani e cellulosa immersa in matrice
pectica gelificata. Nella matrice sono presenti delle proteine. Ci possono essere composti fenolici
che intervengono con i polimeri parietali modificandone le proprietà meccaniche.
La composizione varia tra specie e stato di sviluppo dei diversi organi.

Appunti 23/03/2023
Le interazioni di legame a idrogeno: tra singole catene di cellulosa; tra emicellulosa e cellulosa; tra
xilani e cellulosa.
Ponti di ca: si inseriscono se non ci sono metilesterificazioni. Estensine stesse
Legami glicosidici: con acido ferulico; in genere con entità che si aggiungono ALLE ALTRE
CATENE LATERALI
Tra le due tirosine delle estensine che imbrigliano le fibrille di cellulosa.

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I legami sono interessati da attività enzimatica: perdita di consistenza e rammollimento: rende più
appetibile il frutto ma ne limita la conservazione; controllarlo.

Softening: il rammollimento costituito da cambiamenti della texture che portano a rammollimento


come risultato un’azione combinata: nello spazio e nel tempo di diversi enzimi che modificano la
parete che agiscono su pectina, emicellulosa e cellulosa.
Nel pomodoro da industria questi processi devono essere controllabili e sincronizzabili.
..> aspetto della deperibilità.
La perdita di consistenza è un’attività regolata, non causale. Nei climaterici l’attività degli enzimi
idrolitici è fortemente controllata dall’etilene che non vuole dire che se aumenta l’ormone aumenta
l’attività. Target genici primari che attivano a cascata i secondari  nel tempo ho attivazione
sequenziale non sincronizzata col picco climaterico. Se con 1-MCP blocco la percezione di etilene
blocco la catena di concertazione degli enzimi.

Fattori che controllano la perdita di consistenza non riguardano solo l’aspetto enzimatico.
Ritroviamo:
 Caratteristiche biomeccaniche
 Tessuto (composizione e caratteristiche)
 Della cuticola: visto per pomodoro
 Dimensione e livello e modalità di impacchettamento delle cellule: più piccole e ordine e più
impacchettate danno maggiore croccantezza e resistenza
 Attività enzimatiche: legate anche all’adesione delle cellule: sia da quanto sono incollate
ma negli spazi intercellulari possano trovare anche dell’aria  livello dei adesione parziale.
 Macro e microarchitettura della parete: tipo di polimeri presenti e dalle loro interazioni.
 Distribuzione e dinamiche di ioni e metaboliti: calcio il più importante. Nei metaboliti:
polifenoli possono interagire nei polimeri della parete modificandoli.
 Livello di idratazione: pressione di turgore  migliore idratazione abbiamo cellule più rigide.

Non in tutti i frutti la perdita di consistenza avviene con la stessa cinetica:


 drupacee: la perdita varia dal 70 al 90% durante una settimana di shelf life; sono i frutti più
deperibili. Hanno diverse criticità e bisogna stabilire una data di raccolta che permetta di
maturare anche se staccati; se si aspetta troppo abbiamo gli effetti dell’etilene. Si cerca un
compromesso. Nel post raccolta si ricercano in genere gli aspetti organolettici.

Il rammollimento ostacola anche il trasporto e stoccaggio dei frutti.


Se più deperibile si presta anche maggiormente all’attacco dei patogeni:
 caratteristiche tecnologiche
 deperibilità
 attacco patogeni
 studi per contrastare la perdita di consistenza per soddisfare tutti questi aspetti

Possibili soluzioni – pomodoro


Hanno prodotto linee transgeniche silenziando un gene che codifica per la maggior isoforma di
pectatodiasi che contribuisce maggiormente alla perdita di consistenza. Depolimerizza la parete. Si
evince che il pomodoro normale dopo 40 giorni presenta un grado di deperimento maggiore
rispetto a quello silenziato. Lo vedo come perdita di peso che come consistenza del frutto.
Quest’ultima evince che una riduzione della pectatoliasica influisce positivamente su questi due
parametri.
53
La soppressione del gene ha diminuito la suscettibilità ai patogeni: guardo ai diametri delle lesioni;
come espressione di due geni che codificano per proteine prodotte per contrastare l’attacco dei
patogeni; minor presenza di DNA dei patogeni.

Silenziare un gene determina variazione nell’espressione anche di altri geni: nella parete sono
prodotti anche recettori. Se manca l’enzima mancano anche i prodotti di reazione che determinano
che, normalmente, l’espressione dei geni di difesa dei patogeni sia maggiore. (dpi = giorni dopo
inoculazione).
Per il consumatore la caratteristica di consistenza è uno dei maggiori parametri valutato all’atto
dell’acquisto. Altri parametri organolettici non vengono valutati. Le proprietà della texture è il
parametro valutato più direttamente.

Guardando a tutti gli eventi metabolici che portano a una modifica della texture:
ELENCO SLIDE
 perdita pressione di turgore: passiva o attiva  l’acqua si sposta passivamente per osmosi
o per richiamo di evaporazione ma le cellule possono regolarla attivamente: cambio
turgore.
 Anche cambiamenti a livello delle membrane possono risultare in cambiamenti della
texture. Sono costituite da lipidi ma può essere soggetta a interventi attivi da parte della
cellula. In caso si stress termici la cellula cambia la composizione per tutelarne l’integrità
variando la fluidità.
 Modifiche relazione tra simplasto e apoplasto. Interessa l’accumulo di zuccheri nella bacca
d’uva
 Degradazione dell’uva: polimero che presenta caratteristiche meccaniche diverse dai suoi
monomeri.
 Modifiche della struttura e dinamica delle pareti cellulari: distacco monomeri zuccherini, la
loro solubilizzazione.

Tutte le componenti della parete sono coinvolte durante il rammollimento. Il disassemblaggio di


questa rete strutturale prevede l’azione sinergica e programma di diverse classi di enzimi:
glicosilidrolasi  idrolizzano gli zuccheri.
Ogni classe interviene secondo una sequenza temporale stabilita e geneticamente programmata e
altamente regolata; partendo il tutto dalla trascrizione.

La similarità tra le diverse tipologie di frutto (mele e pere) possono comportare dinamiche simili in
rammollimento. Tuttavia possono sussistere dinamiche significativamente diverse. Nella mela
abbiamo circa il 25% diaria negli spazi cellulari contro il 5% delle pere. Ognuno ha una
composizione delle pareti. Diversa consistenza e diversa perdita di consistenza.
Possiamo identificare due tipologie di rammollimenti
 Rammollimento veloce: soft melting. Ci sono alcune pesche che lo sono e altre che non lo
sono (stony hard)(minor qualità organolettica)
 Cinetica più lenta in maturazione: firmer crisp. La mela è uno di questi.
Nella mela abbiamo un contenuto alto di emicellulose e cellulosa mentre è basso n lignina (rispetto
alla pera ad esempio). Basse anche le proteine.
Le emi e cellulose fa sì che si instaurino interazioni forti tra loro  essendo prevalenti e per
attaccarle enzimaticamente ci vuole pi tempo perché vengano attaccate.

Cambiamenti della parete durante la maturazione


54
I polimeri che la compongono variano in base alla specie e varietà.
 Abbiamo un’idratazione della parete nel momento in cui parte la perdita di consistenza;
 Abbassamento del pH della parete (si acidifica); ogni enzima ha un optimum di pH per
l’azione catalitica. L’acidificazione attiva alcuni enzimi di parete;
 Si riduce il turgore cellulare: l’acqua è richiamata dalle pareti;
 Nella parete iniziano a essere stoccati zuccheri: l’aumento di questi soluti richiama acqua
per osmosi;
la dissoluzione della lamella mediana diminuisce l’adesione tra cellule. Anche la ridotta
adesione tra cellule fa sì che queste possano scivolare più facilmente tra loro favorendo un
rammollimento.
Le pectine vengono depolimerizzate: nei soft melting vengono degradate per prime al
contrario dei secondi. Una parte dei poliuronidi (possono essere anche mono in base al
grado avanzamento) si solubilizzano; non lo sono a prescindere in quanto posson
interagire con altri componenti della parete  non ho automaticamente una
solubilizzazione degli zuccheri al momento della degradazione. Quando vanno in soluzione
posso misurabili quantificandoli  quantifico i poliuronidi solubilizzati per quantificare la
degradazione delle pectine. Tramite estrazione su orate acquosa.
Con la parete in parte depolimerizzata aumenta la porosità e quindi quello che c’è
all’interno si muove con maggiore facilità: proteine sono libere di spostarsi e possono
trasmettere il loro segnale  libero segnali e
Per il pomodoro il grado di metilesterificazione delle pectine diminuisce drasticamente
quando passiamo da mature green (90%) al red ripe fruit che è del 35%. Dovuto a
pectimetilesterasi che rimuovono i gruppi metilici che sono stati attaccati dalle metilesterasi
durante lo sviluppo del frutto: in sviluppo voglio che la parete sia rigida e protetta  la
protezione è data dai gruppi metilici. Le petimetilesterasi le de-esterificano e lo staccano
dal C6 dell’acido galatturonico. Demetilati iniziano ad avvenire cambiamenti: cambio pH,
composizione ionica, interviene il ca. ora le catene che costituiscono la pectina posson
essere attaccate da poligalatturonali e pectatoliasi.
Spesso si è tentato di caratterizzare i processi di rammollimento tentando di cambiare i
meccanismi di trascrizione genica degli enzimi proteolitici. Le differenze di sequenza
posson farci capire le differenze si sintesi  ma non associabili a un diverso grado di
attività catalitica: diversa disponibilità di substrato e condizioni come diverso pH  hanno
optimum diversi. Attenzione ad associare le caratteristiche geniche a quelle biochimiche.
XEH E XET: stesso enzima che cambia attività catalitica in base al substrato.

In sviluppo le pectine sono demetilate. Esempio dalla solfometiladenosina; le metiltransferai


le trasferiscono alle pectine.
In maturazione abbiamo le pectinemetilesterasi che portano a demetilazione e innescano i
processi di degradazione. Le pectine posson essere soggette a meccanismi di
degradazione catalitica enzimatica:
 Poligalatturonasi: no attaccano i poliuronidi delle pectine se sono metilati. Iniziano a
smembrare le pectine solo dopo pectinmetilesterasi.
- Esopoligalatturonasi: staccano i monomeri alle stremità delle catene;
- Endopoligalatturonasi: agiscono anche all’interno delle catene stesse;

 Pectatoliasi le attaccano anche se sono metilate. Abbiamo le eso e endo.

Abbiamo anche attività enzimatiche non ancor specificate:


55
la cellulosa può essere attaccata da endoglucanasi che smembrano le catene ma deve essere
approfondita e caratterizzata.
Emicellulose: una stessa categoria di enzima che svolge due attività catalitiche diverse sulla base
del substrato:
- Xiloglucanoendo SLIDE
- Xilogluc trans SLIDE: staccano gli zuccheri nelle ramificazioni della catena
Glicosidasi: agiscono a livello degli zuccheri delle ramificazioni

ESPANSINE: NON HANNO UN substrato definito ma pare abbiamo un’azione nel rammollimenti:
si pensa che distruggano legami idrogeno tra microfibrille rendendo i filamenti più mobili tra loro.

Classificazione dei frutti


Se soffrono o meno di cambiamenti da depolimerizzazione dei polisaccaridi. Nella mela si
evidenzia che in presenza di perdita di consistenza vi sia una depolimetizzazione delle pectine,
posso misurare i poliuronidi. Distinzione varietale e temporale  soggetti o meno a
depolimerizzazione nel breve termine.

Gli enzimi prodotti per degradare i polimeri della parete vengono attivati in maniera sequenziale e
altamente regolata: in pomodoro ho attivazione sequenziale. BR: BREAKER inizia a acquisire la
colorazione rosse.
Il climaterio (picco di etilene e respirazione) è nella fase PK. Le attività enzimatiche non sono
sincronizzate al PK: pectimetilestrasi piccano al PK, poligalatturonasi aumentano anche oltre il
climaterio etilenico (difficile distinguere eso da endo). Galattanasi e galattossidasi; quest’ultime
diminuiscono e poi riaumentano. Endoglucanasi all’inizio diminuiscono, non è detto che ve ne
siano poche ma comunque sono insufficienti.
L’etilene è il regolatore principale ma nell’attività enzimatica è varia: disponibilità substrato e
condizione chimiche della parete  pH.

Cambiamenti della parete


Nel pomodoro in maturazione aumenta la trascrizione di SLIDE elenco.
Quantificando il galattosio nella frazione solubile posson stimare la depolimerizzazione parietale.
Un pomodoro mature green rispetto al picco di etilene l’espressione dei geni sarà maggiore nel
secondo caso, tuttavia non posso correlarla con l’attività catalitica.

Molti studi nei processi di depolimerizzazione del pomodoro. Negli anni ’80 Don Grierson ,
introdotta la possibilità di ottenere piante transgeniche, ottenne per primo un alinea con ridotta
attività di poligalatturonasi. Prima linea con enzima di parete silenziato. Nelle linee transgeniche
l’RNA che codifica per poligalatturonasi era ridotto del 99%. C’era un residuo di enzima. Il
pomodoro silenziato ha una deperibilità molto inferiore al pomodoro normale.

Nel pomodoro sono stati fatti studi sul ruolo delle cuticole: conferisce proprietà biomeccaniche e
regola la traspirazione e quindi il turgore cellulare. Difficile quantificarla direttamente ma posso
vedere la quantità.
Strutture epidermiche le cui cellule estrudono cere e cutina  rendono lucida e idrofobica.
Due genotipi:
 Lecero (slide): mutante per acidi grassi che estendono la cutina. Perde acqua molto in
fretta

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 cultivar (non mutante): perde pochissima acqua e mantiene il turgore cellulare con
consistenza e integrità durante la conservazione, maggiore CCUMULO DI cere.
Nell’attacco da botrite (patogeno opportunista) hanno una resistenza

Zuccheri e acidi organici


importante conoscere la composizione:
 valore nutrizionale, nutraceutico
 aspetti organolettici come gusto e aroma ma anche il colore e consistenza
 caratteristiche di salubrità: presenza di alcaloidi, micotossine o altri composto come
proteine allergeniche per alcuni soggetti
 aspetto tecnologico: prodotti in commercio da trattamenti di temperatura che devono avere
degli effetti noti sulla compassione dei frutti.
 Esigenze di base: portano a voler conoscere i vari processi metabolici che portano a
senescenza, rammollimento, ecc…
 Schede tecniche

Composizione:
 Acqua
 Carboidrati: fino a un quarto del peso fresco
 Proteine: 1-8%
 Lipidi e acidi organici in percentuali minori

Ogni costituente influisce nelle caratteristiche, apparenza (pigmenti), ecc…


Il valore quantitativo non riflette necessariamente quello qualitativo degli alimenti.

Proteine:
nei legumi e noci dove si arriva fino al 30%. Quelle vegetali stanno acquisendo sempre maggiore
importanza nella dieta delle persone e degli italiani. Per motivi di salute e/o di carattere etico.

Lipidi: molto ridotta con accezioni per avocado, olive e altri prodotti di nicchia. In generale sono
molto ridotti. Non c’è colesterolo in quanto vegetali.

Durante la maturazione dei frutti carnosi questi costituenti possono andare incontro a cambiamenti
SLIDE
Guardando ai carboidrati: i cambiamenti interessano il gusto e l’aroma
Carboidrati:
a un certo punto non possiamo più ridurli per idrolisi: SLIDE
aldosi: gruppo aldeidico come funzione terminale dello zucchero
chetosi: gruppo chetonico nella catena carboniosa
VEDI SLIDE ELENCO.

 Monosaccaridi: glucosio e fruttosio rilevanti. Anche sorbitolo.


 Disaccaridi: saccarosio
 Oligosaccaridi: più complessi come il raffinosio  saccarosio + .Trealosio 6 fpsfatpusato
come zucchero segnale quando le piante fosforilano: durante lo stress.
 Polisaccaridi: anche amido

57
Quantità: dipende dal metabolismo specifico, tendenza all’accumulo/non accumulo. Nelle piante il
saccarosio è il disaccaride più importate in quanto è il principale zucchero trasportato: da foglie ai
frutti, dove si accumula, lo zucchero è trasportato come saccarosio. Possiamo trovare anche il
sorbitolo per il trasporto in mele, pere e drupacee.
Mela: accumula principalmente saccarosio;
pera: principalmente fruttosio;
datteri: non c’è saccarosio.

Può avere significato nullo se non si considera che dal punto di vista organolettico lo zucchero
assume valore se lo mettiamo in relazione agli acidi organici. Questi ci consentono di percepire la
dolcezza in maniera più o meno gradevole.

Il contenuto di zuccheri cambia con la maturazione: nell’uva, durante l’invaiatura, si accumulano


pigmenti e zuccheri con la bacca più deformabile. Cresce a doppia sigmoidee: nella fase lag
abbiamo l’invaiatura e produzione di zuccheri (GRAFICI SLIDE).
Varia anche a seconda del genotipo: uva da tavola  glucosio e fruttosio nel tempo può cambiare.
A maturazione l’ultima è quella con più zucchero. La bacca d’uva accumula principalmente
fruttosio e glucosio. La percezione della dolcezza viene influenzata principalmente dal fruttosio.
Ricercherò uva da tavola con più fruttosio.

L’accumulo degli zuccheri dipende:


 Quale zucchero arriva all’organo (trasportato). Non è detto che quello che arriva sia lo
stesso che entra nelle cellule;
 Come viene metabolizzato
Accumulo:
 Zuccheri complessi prima della maturazione e poi smembrati
 Accumulano direttamente mono o disaccaridi in maturazione.
In ogni caso si aumentano i livelli in maturazione.

Appunti 28/03/2023
Le modalità con cui i diversi organi accumulano zuccheri sono differenti. Difficile classificarle in
questo dipendono da molti fattori. Organo source (producono) e sink (li stoccano).
Il tipo di zucchero e le modalità di accumulo dei diversi zuccheri introducono ulteriori variabili.
Si può semplificare separando i frutti:
 Tipo di zucchero trasportato: accumulo in base allo zucchero che gli arriva. In realtà quello
trasportato.
 Tipo di metabolismo a cui vanno incontro gli zuccheri nell’organo: non è una costante nel
tempo  anche per aspetti ecologici. Un frutto per portare a maturazione i semi al suo
interno è meglio che sia più duro all’inizio.
Per gli zuccheri il metabolismo dei carboidrati: difficilmente un frutto non maturo accumula
zuccheri semplici.
Considerando solo il frutto ho:
1. Accumulano zuccheri complessi prima della maturazione (amido): quando si instaura la
maturazione li trasforma in zuccheri semplici. Mela, banana, kiwi (climaterici).
2. Accumulano mono o disaccaridi durante la maturazione. Un esempio è la bacca d’uva. Non
si parla di zuccheri/frutto ma quantità di zuccheri/peso fresco. L’uva attira molta acqua che
quindi va a diluire il contenuto della bacca d’uva; ad un certo punto questo fenomeno cessa
e cambia la modalità di accumulo.
Tra i carboidrati complessi accumulati l’amido è quello di maggior interesse.
58
Amido:
le percentuali di composizione cambiano in base al prodotto.
 Amilosio (20%): circa 200-1000 glucosio con legami alfa 1-4. Stesso monomero della
cellulosa ma i monomeri hanno tutti lo stesso orientamento.
 Amilopectina: catene laterali con legami alfa 1-6. Legame che avviene ogni 20-25
molecole.
Comporta differenze significative nei prodotti trasformati.
Amido: sintetizzato nel cloroplasto  amiloplasti quando lo accumulano: perdono parte della loro
capacità nella fotosintesi. Questo amido può essere condotto nel citoplasma, metabolizzato e i
monomeri canalizzati nei vari metabolismi come la glicolisi.
Parlando di consistenza: tra i determinanti rientra anche l’amido e le sue modalità di degradazione
(somiglianza amido - cellulosa). Contribuisce alle proprietà fisiche. Anche negli ortaggi da foglia
dove l’amido conferisce croccantezza.

Enzimi coinvolti nel metabolizzare l’amido


I monomeri che costituiscono l’amido è il glucosio: come ci arrivo dall’amido.
1. Alfa amilasi
2. Beta amilasi
3. Amido fosforilasi

1 e 2 idrolizzano alfa 1-4 ma non liberano glucosio ma miscele di maltosio e glucosio per le alfa
amilasi mentre solo glucosio per le beta. Le maltasi idrolizzano il maltosio in glucosio. Quindi
amilasi assieme a maltasi idrolizzano completamente l’amido in glucosio. Usare l’Enzyme code è
importante per riconoscerli.
L’amido fosforilasi: attacca il legame alfa 1-4 e origina glucosio monofosfato.

All’interno dei metabolismi: si usano le mappe di kegg (SLIDE)  riassumono un metabolismo


collocando gli enzimi usando il loro codice. Si possono collocare tutte le informazioni che derivano
dalla genetica.

Si possono in realtà identificare 4 tipologie di prodotti sulla base dell’accumulo degli zuccheri:
A: HP  zuccheri fosfati; frecce bianche: uso diretto. Frecce nere/ grigie  conversione.

1-Ortaggi da foglia (transitory starch):


preraccolta: durante il giorno ho fotosintesi con produzione di zuccheri, parte è stoccata come
amido. Nella notte vengono respirati o trasportati dalla foglia. Al mattino si trova povera.
Post raccolta: deperimento veloce, mancato accumulo di carboidrati.
La presenza di amido è transitoria: raggiunge il picco alla fine del periodo di luce

2 - storage strach  organi che accumulano amido (patate).


L’amido naturalmente viene convertito in zuccheri semplici quando inizia il germogliamento.
Avviene nel post raccolta, anche se lo scoraggiano.

3 - accumulo diretto di zuccheri semplici: non climaterici. L’amido non si accumula mai, si
accumulano solo zuccheri. Nel post raccolta vengono respirati e diminuiscono.

4 - trasistory-storage starch: accumulo di amido e zuccheri, usati per accrescere il frutto. In


maturazione l’amido è degradato e viene usato.

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Negli ortaggi da foglia l’amido presente è limitato  quando stacco la foglia che per mantenersi
vitale lo inizia a usare: essendo bassa determina una shelf life corta. Teoricamente raccogliendoli
alla fine del periodo di luce questi avrebbero una shelf life maggiore e presenta caratteristiche
qualitative migliori  l’amido conferisce croccantezza.

Nei frutti che accumulano alti livelli di amido siamo quasi al 50% del peso secco di amido:
principalmente dei frutti climaterici. Logicamente: hanno un climaterio respiratorio  per avere
qualcosa da respirare lo devono accumulare. Nel pomodoro l’amido arriva quasi alla metà del C
necessario alla respirazione.
Parte della CO2 della respirazione può essere rifissata nuovamente facendo sì che almeno il 10-
15% dei carboidrati nel frutto maturo sia derivati dalla rifissazione del C derivante dal processo di
maturazione. A un certo punto l’efficacia della rifissazione del carbonio andrà a calare e ci si avvia
verso la senescenza  zuccheri utilizzati come indice di raccolta: trovo fase ottimale per ottenere
un frutto più conservabile e che riesca ad evolvere le caratteristiche migliori dal punto di vista
qualitativo.
L’accumulo transitorio di amido è un vantaggio evolutivo: mantengo questo livello di amido. Una
certa presenza consente al frutto di superare momenti di stress biotico o abiotico. Può anche
garantire stock di scheletri carboniosi per alimentare metabolismi importanti per la qualità:
pigmenti, aromi, ecc…
Altro vantaggio evolutivo: stoccando il C come amido lo rende inerte dal punto di vista osmotico.
Se le cellule parenchimatiche accumulassero zuccheri semplici questi richiamano acqua  le
cellule si espandono ma a un certo punto esploderebbero. Con l’amido non si generano problemi
di tipo osmotico  questi frutti sono sink più forti perché possono continuare ad accumularli.

Quelli che accumulano quelli semplici sono non climaterici: non hanno picco respiratorio. Il poco
amido accumulato vinee degradato e metabolizzato precocemente in maturazione e altri zuccheri
derivano dal metabolismo degli acidi organici: gluconeogenesi.

Caratteristiche strutturali dell’amido


Dettate prevalentemente da proporzione amilosio/amilopectina  determinano:
 Consistenza: dalla struttura cristallina dell’amido. Quando questa è degradate si va incontro
al rammollimento (non solo dalla degradazione delle pareti cellulari).
 Nei tuberi: molto importante. L’amilosio è resistente alla digestione. Simula la fibra nella
nostra digestione. Approcci biotecnologici per spostare l’approccio verso l’amilosio.
Nelle patate fritte l’amilosio conferisce miglior fragranza rispetto all’amilopectina che
richiama acqua e quindi determina un prodotto flaccido.
ELENCO PRODOTTI TECNOLOGICI SLIDE: enzimi metabolici, trasportatori di proteine,
regolatori di enzimi o trasportatori di zuccheri o proteine.

Vedo la velocità di accumulo rispetto alla maturazione. La


maturazione può procedere rapidamente o meno a seconda della
velocità con cui vengono degradati substrati che generano zuccheri:
 Amido: banana e mela;
 Acidi organici: arance (accumulano poco amido).

60
Mela: posso avere varietà diverse con comportamenti diversi tra loro  Royal gala vs Fuji.
I valori cerchiati sono la quantità di etilene: Fuji fa poco etilene; gala ne
produce. Nono stante la quantità prodotta sia differente la velocità di
degradazione dell’amido è indipendente dall’etilene. Avviene anche
quando i livelli di etilene sono ancora basali.
È invece correlata alla colorazione di fondo: gli zuccheri ottenuti
dall’amido sono usati per produrre colore dalla mela. La colorazione di
fondo è il risultato della messa a disposizione di scheletri carboniosi
dalla degradazione dell’amido.

Fruttosio ha accumulo costante durante il ciclo di sviluppo; glucosio si


accumula all’inizio e poi rimane costante. Il saccarosio si accumula
dopo: dall’idrolisi dell’amido viene ricostituito.
La mela di quelle che viene degradato dall’amido viene in parte utilizzato: è in fase di
accrescimento.

Progressione di degradazione dell’amido in Pink lady: le mele iniziano a mostrare un pattern più
chiaro. La degradazione avviene dal centro all’esterno; dal peduncolo verso il basso.

Banana
I carboidrati totali rimangono costanti. Dopo il climaterio etilenico crolla l’amido e aumentano gli
zuccheri.

Kiwi
L’aumento degli zuccheri è correlato alla perdita di consistenza. L’amido è metabolizzato con
produzione degli zuccheri  determina un rammollimento. Nel frutto immaturo ci sono amiloplasti
nelle cellule parenchimatiche molto densi; si accumula amido anche nelle pareti. A frutto maturo
abbiamo piccoli residui di amido.
Degradato soprattutto per attività alfa amilasica. Negli ultimi 30 giorni di sviluppo aumenta
significativamente  aumento dell’attività alfa amilasica.
Questa degradazione è strettamente correlata all’azione dell’etilene per il kiwi. 1mcp lo rallentano
mentre con l’etilene la aumento. 1mcp miglior mantenimento della consistenza.
Dopo l’attività alfaamilasica: si instaurano attività che interessano le pareti  beta galattosidasica.
La degradazione dell’amido inizia con attività alfa amilasica e poi si interessa la parete.

La seconda tipologia di frutti  accumulano zuccheri semplici. Bacca d’uva: conversione diretta
del saccarosio a esosi (zuccheri semplici). Nella maturazione l’accumulo è molto rapido, dopo
l’invaiatura (fruttosio e glucosio) e diminuisce l’acidità non solo perché sono trasportati.
Il saccarosio che deriva dal sistema vascolare va incontro a metabolismi per far sì che sia
accumulabile come fruttosio e glucosio  invertasi: idrolizza il saccarosio nei suoi monosaccaridi,
ho diverse tipologie di invertasi: ogni tipo ha un optimum di pH per svolgere l’attività
 Invertasi acide: pH 3-5. Vacuolari e di parete
 Invertasi neutre: SLIDE

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Il saccarosio può essere metabolizzato anche da saccarosio sintasi: va della direzione dei
monomeri ma anche del disaccaride: saccarosio  fruttosio + UDP glucosio.
Saccarosio:
 Dai plasmodesmi arriva alla cellula parenchimatica;
 Trasportato nell’apoplasto (siamo nella parete) e poi all’interno come glucosio;
 Trasportato nell’apoplasto (siamo nella parete) e qui incontra un’invertasi  monosaccaridi
vengono portati nella cellula.
Se il saccarosio passa nei plasmodesmi questa cellula non può accumulare saccarosio senza
accumulare acqua. Nella cellula può essere scisso da
 Invertasi;
 Saccarosio sintasi (Susy);
oppure scisso da saccarosio sintasi di membrana nelle rosette che sintetizza la cellulosa: l’enzima
mette a disposizione i monomeri per produrre la cellulosa dalla rosetta.

I monomeri posson essere usati anche per produrre callosio: usano per tappare i plasmodesmi;
per isolarsi.
I monomeri sono usati per la glicolisi; portati nei plastidi per produrre amido; portato nel vacuolo e
metabolizzati da enzimi vacuolari.

Cambiamento di trasporto dell’uva ESAME:


la bacca si accresce: nelle prime fasi di accrescimento (divisione espansione cellulari): tutte le
cellule parenchimatiche sono libere nel plasmodesmo. Richiama acqua e aiuta le cellule a
espandersi.
A un certo punto il plasmodesmo, dopo l’invaiatura, iniziano a essere tappati da callosio.
Successivamente la bacca inizia a accumulare molto glucosio e fruttosio.
Prima: floema e arrivano gli zuccheri (50 m mol). La concentrazione è uguale in quanto si richiama
acqua.
Dopo: vediamo zuccheri da 20-30 volti più concentrati del floema. Non richiama acqua ma non
esplode  le cellule parenchimatiche si isolano: l’acqua non passa più. Accumulano zuccheri
attraverso il sistema di parete.
Guardando all’attività delle invertasi acide: invertasi di parete e invertasi cellulare. Quella cellulare
crolla e aumenta l’attività di quelle di parete (extracellulari). Qui osservo un aumento di fruttosio e
glucosio e di saccarosio sintasi.
Particelle d’oro – anticorpo per invertasi: l’enzima si sposta dal vacuolo alla parete  descrive che
per poter accumulare zuccheri questi non passano attraverso i plasmodesmi ma attraverso la
parrete: da simplastico ad apoplastico. Nelle parete vengono scissi e da qui cis sono trasportatori
che trasportano i monomeri senza portare con se l’acqua. Se non fossero isolati l’acqua
seguirebbe gli zuccheri e le cellule esploderebbero.

Quindi:
all’inizio la cellula diluisce gli zuccheri: nel mentre si accresce  usa gli zuccheri che arrivano
(attraverso il simplasto).
Poi deve maturare e accumula zuccheri: isola le cellule parenchimatiche dall’esterno e fa sì che
questi si tirino dentro solo gli zuccheri che derivano dalla scissione del saccarosio.

Si può trasporre questo metabolismo anche a altri frutti diversi dalla bacca d’uva.
Nel contempo le cellule parenchimatiche hanno trasportatori dell’acqua i cui geni, durante la
maturazione , non venga trasportata l’acqua.

62
Accumulo saccarosio
Nella pesca arriva il saccarosio attraverso i plasmodesmi.
I solidi solubili (saccarosio qui) aumenta. Le attività enzimatiche (sorbitolo ossidasi: sorbitolo in
glucosio) non sono assolutamente correlate all’andamento del saccarosio.

È difficile distinguere quello che avviene prima e dopo la raccolta. I cambiamenti dei carboidrati del
post raccolta possono essere di un tipo o opposti:
 Perdita generale di zuccheri dovuti alla respirazione.
 I frutti che accumulano amido: viene degradato per produrre zuccheri e altri scheletri
carboniosi;
 Conversione zuccheri a amido: non ricercato  perdita di dolcezza; poco adatti al
consumo.
 accumulatori di saccarosio: scisso nei due monomeri;
 aumento della cellulosa: genera caratteristiche dal punto di vista fisico non del tutto
desiderabili. A meno che la cellulosa non sia in un contesto con degradazione di polimeri
parietali  vengono in questo caso degradate;
 solubilizzazione dei monomeri dei polimeri parietali, deriva dalla loro degradazione.
Ogni caso è specifico.

Perdite dovute a respirazione – patata dolce


Effetto delle temperature sull’accumulo di zucchero: i 10°c sono sufficienti per instaurare i processi
degradatici che fanno crollare gli zuccheri. La respirazione della patata dolce brucia in fretta gli
zuccheri, saccarosio soprattutto.
 effetto genotipo e epoca di raccolta:
 il saccarosio nel momento in cui effettuiamo una raccolta ritardata crolla, dopo 3 settimane
di conservazione. Importante non raccoglierle troppo tardi.
 Aumento dei livelli di fruttosio nel post raccolta (alto potere dolcificante). Se raccolte troppo
presto non accumulano fruttosio.
 Nelle patate con 5 mesi di sviluppo l’attività amilasica alla raccolta è più alta; dopo 3 mesi di
conservazione vedo un picco di attività amilasica in quelle raccolte dopo: demolito l’amido e
rilasciati zuccheri.
Dopo la conservazione le patate con più zuccheri hanno anche maggiore attività. Nella cottura
determina un maggior rilascio di zuccheri.
Consistenza: minor concentrazione di amido minore viscosità.

Altre patate: le T basse di conservazione che posson instaurare una degradazione dell’amido può
essere un problema: una bollitura e una frittura (T alte) possono andare incontro a reazione di
degradazione che porta alla produzione di acrilamide (cancerogena), imbrunimento e amarezza 
attenzione a non porre le patate normale a T troppo basse.

Prodotti che accumulano riserve come grassi: non c’è il colesterolo. Diversa distribuzione
dell’accumulo degli acidi grassi nei diversi prodotti. Dipende dalla saturazione.

Avocado: rispecchia anche l’oliva. trovo prevalentemente dei trigliceridi; circa il 20 % del peso
fresco sono trigliceridi e sono quasi il 90% dei lipidi totali. Gli acidi grassi del glicerolo: palmitico,
oleico e linoleico. Palmitico VEDI INSATURAZIONI. Principale il linoleico, metà il palmitico e sua
metà il l’oleico (?).
Il linoleico in prematurazione: quando nel grafico cambia siamo nel climaterico. Il linoleico crolla e
cresce l’oleico; costante il palmitico.
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Acidi organici
Guardiamo a quelli caratterizzanti.
Generalmente l’acidità nei frutti viene attribuita al rilascio di protoni da parte di acidi organici.
L’acido organico caratterizzante sono quelli più comuni: citrico, succinico, tartarico, ecc… IN
soluzione acquosa rilasciano protoni che contribuiscono a dare acidità. La forma anionica
contribuisce a dare sapore caratteristico (non acidità). A seconda dell’acido: rilascio protoni
(acidità), quantificato per titolazione, e la forma anionica che conferisce il sapore caratteristico
ESAME.
L’acidità assieme al contenuto zuccherino determina una forte influenza sulla qualità alla raccolta:
principali parametri tecnologici su cui baso la raccolta (l’importanza tra i due varia in base al frutto,
li considero nell’insieme). Ogni frutto ha il suo pool di indici per la raccolta. In genere di utilizza
l’indice più facile da valutare; l’acidità è quasi sempre uno dei principali valutati alla raccolta.
Nella raccolta dell’uva da vino è molto importante.

Metabolismi - acidi organici


Guardando a quelli caratterizzanti e/o quelli prevalenti. Altri possono non essere importanti per
l’acidità.
Acido chinico e acidi fenolici da acido shikkimito;
acidi malico dal fosfoenolpiruvato;
citrico, isocitrico e succinico dal piruvato;
acido ascorbico dà il tartarico SLIDE

Ossalico, malico, ascorbico quelli che ci interessano di più.

 Acidità è importante nell’uva perché da freschezza nei vini, il malico dà asprezza, non
gradita. L’acidità è una caratteristica che supporta tutto il resto: gli zuccheri senza acidità
potrebbero risultare sgradevoli.
 Contribuisce a definire il pH generale (diverso dall’acidità).
 Si parla in genere di acidità titolabile; diversa da quella libera.

Variazione del pH nei prodotti ortofrutticoli:


varia di 5 unità di pH: da 2 verso quelli basici delle olive. Tra 4 e 5 trovo la maggioranza dei frutti.
Non è semplice stabilire il giusto grado di acidità di grado zuccherini  si stabiliscono degli
standard per non procedere causalmente.
TAB SLIDE – nettarine a pasta gialla. Si vede come quando aumentano zuccheri e acidità l’indice
di gradevolezza aumenta. Quando aumentano gli zuccheri e l’acidità diminuisce il giudizio di
gradevolezza ne risente. A parità di zuccheri aumenta la gradevolezza. L’acidità quindi deve
essere sempre presente per avere una buona valutazione. Tuttavia alla fine la pesca deve essere
sempre dolce per essere gradevole.
Sono numerosi i fattori che contribuiscono la gradevolezza. Se cambia anche solo un fattore
abbiamo un cambiamento di molti altri parametri che magari non sono misurati nello studio.

Acidi caratterizzanti: mela, pera, uva, banana e fragola  malico prevalente tranne nell’uva.
Nell’uva è maggiore il tartarico. Nella fragola prevale il citrico. Sapere l’acido prevalente: quando
titolo devo sapere a che acido riferirmi: il malico è di-protico. Il citrico è un acido tri-protrico.
Calcolando la titolazione gli ioni OH devo sapere quanti protoni rilascia l’acido.

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Nell’uva: l’acido malico va incontro a degradazione in acido piruvico ad opera dell’enzima malico.
L’acido malico è massimo all’invaiatura e degradato: canalizzato nella respirazione. Con
l’invaiatura cala l’acidità totale.
 Aumento del volume cellulare: quando la bacca accumula zuccheri, nella seconda fase di
crescita, la bacca accumula acqua e diluisce tutto il contenuto.
 Acidi organici sono diluiti in quanto non sono più sintetizzati.
  se li misuro li vedo minori in questo diluiti

Banana:
con la maturazione l’acido ossalico viene decarbossilato. È maggiore allo stadio verde della
banana. Questo determina molta astringenza. Col progredire della maturazione vinee
decarbossilato e perso. Il malico diventa quello prevalente.

Agrumi:
non accumulano amido: i processi maturazione vengono portati più avanti possibile in pianta 
altrimenti problema che vengono usati gli acidi organici e aumentano gli zuccheri. Desiderabile fino
a un certo punto: voglio anche che sia acida. L’acido citrico quando stacco il frutto dalla pianta
viene usato per produrre zuccheri. Il calo di acido è accettabile fino a un certo punto  guardo al
rapporto zuccheri/acido. In tutti gli agrumi succede questo tranne i limoni. L’acidità del citrico
cresce con la maturazione e supera tutti gli altri agrumi.
A seconda della varietà possono raggiungere livelli percentuali dell’acidità anche a 10 volte tanto
degli alti agrumi (> 4%).

Pigmenti
Cibi funzionali: alimenti che forniscono anche benefici aggiunti dal punto di vista fisiologico 
composti nutraceutici. Contrastano lo stress ossidativo. Neutralizzano i ROS  antiossidanti.
Molto presenti nei prodotti vegetali: diverse classi (polifenoli, clorofille).

La sezione dei vegetali è caratterizzata dalla variabilità di colore. Nei suggerimenti delle diete
rientra anche la variabilità di colore.

Colore: il miglioramento genetico è andato ad agire prevalentemente per mostrare colori sempre
più intensi. Interessa il consumatore in quanto influisce nella concezione di qualità.

Ha una valenza per i benefici della salute. Suddivido i pigmenti in:


1. Clorofille: principalmente negli ortaggi da foglia. Anche nel kiwi
2. Carotenoidi
3. Flavonoidi: antociani i principali
4. Betalaine

Ogni pigmento ESAME – TAB SLIDE. A seconda del compartimento cellulare ne deriva un diverso
grado di solubilità.
Cromoplasti quando perdono clorofille e acquisiscono una consistenza caroteinoida.
Carotenoidi: Sasumature clade

Solubili in acqua : flavonoidi e betalaine.

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Betalaine: dalla barbabietola: in alcune varietà. Derivano dall’indolo e n elle loro molecole sono
presenti zuccheri (glicosilate) ed è presente N, assente nelle antocianine. Hanno colori identiche
(giallo - viola). Le betalaine sono un sostituto degli antoniniani in alcuni prodotti. Bietole e fichi
d’india.

Betacianine: rosso-viola. 4 gruppi a seconda delle loro caratteristiche chimiche. A seconda dei
diversi gruppi.
Betaxantine: giallo arancio. Fichi d’india interessanti per l’ambito alimentare.

Elenco delle betalaine presenti in natura.

Biosintesi: presente un anello indolico. L’origine (pathway) è quello dell’acido shikimico (ESAME:
precursori e pathway). Posso avere reazioni spontanee (spon). Poi soggetto a diverse modifiche.

Interesse e caratterizzazione: la caratterizzazione della pathway biosintetica ha reso possibile


ingegnerizzare dei fiori per far acquisire delle colorazioni non tipiche della specie. Nei pomodori si
è reso possibile accendere i geni della betalaine e rendere fucsia i pomodori.

Clorofille e carotenoidi
Le loro cinetiche di accumulo derivano da un antagonismo. Diversi effetti benefici per entrambi.
Clorofille, alcuni derivati metabolici presenti dalla digestione  prevenzione del cancro.
Spettri di assorbanza e carotenoidi: la clorofilla B si sovrappone a quello dei carotenoidi 
clorofille possono mascherare i carotenoidi. Un frutto verde in realtà può avere dei carotenoidi.

Biosintesi clorofille: complesso; oltre 100 reazioni. La maggior parte nel cloroplasto, che poi
accumula le clorofille. Minimo nel mitocondrio. Servono proteine che trasportano i precursori. Ne
abbiamo 19 che trasportano. A noi interessano le fasi coloroplastiche.
Precursore nel cloroplasto: gluttamil-tRNA. Fusone tra acido glutammico e tRNA. ESAME. Nel
cloroplasto ho sviluppo finale di clorofilla a e b. ogni passaggio è soggetto al controllo della luce
ma anche ormoni: accrescimento dei frutti e organi in generale. Riflesso nella regolazione della
biosintesi delle clorofille.

Carotenoidi
Ho caroteni e xantofille.
Caroteni contengo C e H.
Beta carotene

MANCA UN PEZZO - SLIDE

I carotenoidi con il beta ring: hanno fattori pro vitamina A  vitamina A sviluppo della vista;
divisione e differenziamento cellulare; sviluppo delle ossa. Il fabbisogno giornaliero è stimato in
5000 unità internazionali. Una unità internazionale: 0,3 microgrammi di retinolo o 0,6 microgrammi
di beta carotene.

Ci sono popolazioni che soffrono i carenza di vitamina A  si nutrono di monocolture che


forniscono amido (riso). Queste carenza interessano un terzo dei bambini al di sotto dei 5 anni. Si
cerca di aumentare nelle monocolture, che rappresentano la fonte primaria nutrizionale di queste
popolazioni, la capacità di produrre vitamina A.

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Nel riso  “golden rice”: nella parte della cariosside le cellule che sono presenti e fanno
accumulare l’amido: non sono più attive quelle che interessano l’accumulo di beta carotene. Presi
due geni per fitoemesintasi e la carotenedesatturasi (da un batterio del suolo) --< introdotti nel riso
accumulandola dove la pathway del riso era spenta.
Nel golden rice di 1 generazione: era comunque pochi i caroteni prodotti. Considerare però che per
il 50% della popolazione il riso è consumato e in parte minore rappresenta la fonte principale.
Quello di 2 generazione: quasi 40 μg/g.
Albicocco hargrand: ha un quantitativo è praticamente pari alla patata dolce di beta carotene. Un
frutto ha 10 mg di betacarotene che è circa 3 volte il fabbisogno. L’anguria ne accumula molto ma
ha anche luteina  vedi attività pro vitaminica di tipo a.

Una albicocca normale ha circa 2000 unità internazionali di vitamina A / 100g. per il fabbisogno
sarebbero circa 5 al giorno da consumare.

Negli ortaggi:
da foglia prevalentemente. Rilevante il beta nel coriandolo e negli spinaci. Quello totale di
carotenoidi è maggiore nello spinacio.

Biosintesi carotenoidi: le varietà sono diverse.


Alimenta la biosintesi la pathway del metileritrolofosfato che fornisce il precursore
geranilgeranildifosfato. Il principale è il licopene da cui derivano gli altri.
L’importanza dei carotenoidi va oltre il colore  portano all’acido abscissico: ormone importante.
ESAME: pathway, primo precursore.
Pesche e pomodori: nel pomodori il licopene è il carotenoide principale: prodotto precocemente.
Nelle pesche il panel è più complesso.

Regolazione biosintesi:
 Enzimaticamente: licopene ciclasi è importante. Per non fermarsi al licopene il licopene
ciclasi è fondamentale  tutto ciò che ne aumenta l’attività e l’espressione genica porta a
un maggiore accumulo di carotenoidi.
ESAME: esempio di frutto che ha quantità importante di beta carotene e/o luteina  TAB SLIDE.
Anche il kiwi ha quantità importanti di carotenoidi.

Altri fattori:
 Etilene: in molti frutti l’etilene, come nel pesco, se applichiamo 1mcp se valuto
l’espressione dei geni quali pathway degli isoprenoidi vedo che questo fa diminuire
l’espressione dei geni di questi enzimi  blocco sintesi di carotenoidi.

Antagonismo clorofilla e carotenoidi:


etilene: indice anche la degradazione delle clorofille oltre che produrre carotenoidi. Nella banana
l’etilene aumenta la maturazione e l’acquisizione della colorazione gialla  da degradazione della
clorofilla e/o che vengono prodotti nuovi carotenoidi.
Con cicloeximide: se la applico posso bloccare la degradazione della clorofilla: contrasta l’effetto
dell’etilene.

Appunti 04/04/2023

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pigmento: localizzazione cellulare, solubile o meno in acqua; metabolismo da cui deriva; enzima
chiave se presente.

La degradazione delle clorofille è regolato attivamente tramite la produzione attiva di enzimi. Se


andiamo a inibire la sintesi proteica blocchiamo anche la sintesi di clorofille.
Nel caso studio ella banana: sono trattati assieme clorofilla e carotenoidi: la loro presenza è
correlata. Nelle prime fasi della maturazione sia le clorofille che carotenoidi sono degradati; poi
aumentano solo i carotenoidi: quindi prima vengono smascherati ma successivamente sono
prodotti attivamente.

Sempre in banana: xantofille e caroteni  non ci sono variazioni significative dei carotenoidi totali.
Calo xantofille aumento dei caroteni che poi rimangono costanti. Bisogna considerare il genotipo e
collocare le quantificazioni dei pigmenti nei confronti del climaterio etilenico. Il climaterio etilenico è
un buon riferimento per la sintesi dei pigmenti; utili per fare paragoni.
Nella mela: i carotenoidi aumentano solo quando diminuisce la clorofilla.
Nella buccia di arancia l’aumento di carotenoidi è molto più graduale.
Hanno cinetiche diverse in frutti diversi ma anche nei tessuti di uno stesso frutto ci sono differenze:
nel pompelmo: nella buccia e nella polpa i carotenoidi diminuiscono  l’effetto di ingiallimento è
dovuto molto di più alla produzione di clorofille rispetto alla produzione di carotenoidi.
Nelle pesche: due genotipi diversi (polpa gialla e polpa bianca): in quelle a polpa gialla sono
sintetizzati nuovamente vicino alla maturazione; nella bianca calano.
Buccia e polpa di arancia: iniziale calo e aumento in maturazione ma maggiore per la buccia.
Nel pomodoro: il licopene ha andamento che risente molto della presenza di etilene  picco nelle
fasi finali di maturazione dato dall’etilene.

Questi processi risentono anche di altri fattori che li regolano. A seconda del prodotto possono
avere effetti positivi o negativi:
 Banane e agrumi portano a effetti positivi (la perdita di clorofilla),
 Nel broccolo è negativo,
 Negativo nei prodotti a foglia,
 Negativo in mele come granny smith che perdono la loro tipica colorazione verde
 Lo sviluppo di colorazione rossa (antociani) è un tratto desiderato. Se lo hanno le granny
smith è un tratto penalizzante.
 Sviluppo di clorofille da esposizione luminosa nelle patate.

Molti i fattori che controllano la pigmentazione nel post raccolta:


 Luce;
 T;
 Etilene e 1mcp  asincronismo tra caratteristiche di maturazione della polpa e della
buccia;
 Citochinine: ormone endogeno dai quali si hanno formulati chimici per rallentare i processi
di senescenza. Nella senescenza fogliare: maggiori citochinine ottenute da
sovraespressione del gene di produzione ritardano la senescenza fogliare  ritardo nella
risposta alla senescenza dovuta al ritardo delle invertasi (scinde il saccarosio). Nel
momento in cui la foglia sta andando in senescenza le piante tendono a tentare di
recuperare tutto il possibile prima che vadano in contro a morte cellulare. Per svuotarle le
proteine sono degradate in aa e portati via. Per spostare i carboidrati usano come zucchero
mobile il saccarosio: in senescenza noi quindi aumentiamo le invertasi e quindi la pianta
usa quegli zuccheri primari che alimentano il metabolismo e quindi continua a produrre
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energia e metaboliti (mantiene più attivo l’organo)  ritardiamo la senescenza (che avviene
in quanto cala l’effetto delle citochinine).
In termini applicativi le citochinine sono usate nell’uva da tavola: “sitofex”. Applicate in pre
raccolta portano a:
 Migliori caratteristiche nel frutto: ne aumentano le dimensioni;
 Maggiore resistenza della buccia: più resistenti all’attacco di patogeni fungini e anche minor
permeabilità con mantenimento del turgore cellulare;
 Ritardo di senescenza nel rachide: parte del grappolo che raccorda il rachide (anche nei
peduncoli)  ringiovanimento dei peduncoli porta a ridurre il numero di bacche che
abscindono. Le citochinine nel mentre sono metabolizzate. Porta a livelli qualitativi più alti
con maggiore shelf life del prodotto e minor perdite in post raccolta.

Antociani
Classi che rientrano nel mondo complesso dei polifenoli; antocianine sono dei flavonoidi. La
struttura di base degli antociani (slide) si ricavano tutti gli antociani di base considerando che i
sostituenti in R, R’,R’’ fanno sì che si producano le 6 antocianine di base. La base è il
tretraidrossiflavinium (slide).
Gli antociani vengono prodotti nei frutti durante le fasi finali di sviluppo: nella buccia con funzione di
protezione ma anche nella polpa. Con la maturazione (dall’invaiatura) vengono accumulate le
antocianine.
Nella fragola: le clorofille e carotenoidi sono degradati, a un certo punto c’è un forte aumento degli
antociani in prossimità della maturazione.

La biosintesi è complessa. Abbiamo 3 rami principali. Molti enzimi agiscono su tutti e tre i rami. A
monte c’è il punto regolativo della sintesi nell’enzima calcone sintasi: a valle produce, con calcone
isomerasi, della naringenina (precursore delle antocianine). Il calcone sintasi è il più importante.

Nelle arance sono importanti gli antociani: la gradazione antocianica è molto variabile. Ha portato a
uno studio per vedere a cosa sono correlati i diversi livelli di antociani.
ai livelli di antociani la maggiore
correlazione è con l’espressione della
calcone sintasi: maggiore è l’espressione
maggiore è l’attività catalitica e quindi
maggiori sono i livelli di antociani. Iniziano
ad aumentare circa correlata ai livelli di
espressione della calcone sintasi.
Considerando i livelli di antociani i n
diverse varietà di osserva lo stesso una
correlazione tra questo enzima e il livello di
antociani  è l’enzima limitante.
La calcone sintasi è l’enzima chiave anche se agiscono diversi enzimi nella sintesi. I fattori che
regolano la sintesi sono diversi. Normalmente la calcone sintasi è quello limitante ma gli altri
enzimi possono essere soggetti a alcuni fattori:
 Colorazione antocianica in melo è quella che conferisce la sfumatura rossa. Può dipendere
da genotipo, fattori endogeni, ecc… In realtà la buccia di tutte le mele ha il potenziale di
produrre sfumature rosse. Lo so vede anche nelle golden “faccetta rossa” (carattere
qualitativo desiderato). A parità di fattori ambientali non tutte presentano la faccetta; si
pensa che la nutrizione minerale e azotata porti alla colorazione. Non bisogna eccedere
con nutrizione azotata in quanto può portare a un’eccessiva sintesi proteica.

69
 Anche il potassio: se si eccede si rischiano fisiopatie nel post raccolta.
La faccetta rosa nelle granny è da evitare; abbassa lo standard qualitativo.
Le varietà a buccia rossa vogliamo che il livello di antociani sia molto alto e il più esteso possibile
per la superficie del frutto.
Nella Fuji: ci sono cloni striati a altri “slavati”.
Negli anni si è cercatosi isolare cloni con colorazione antocianica più estesa ma non è semplice;
entrano le condizioni ambientali adeguiate.

Nel melo
Fattori ambientali
 Luce: per fissare carbonio da utilizzare nei metabolismi: UV di tipo B: ha un duplice valore
 supporta la fotosintesi ma è utile anche per generare stress foto-ossidativo della buccia
che si difende producendo antociani. La quantità di luce dipende dalla cultivar. Nella varietà
a maggior interesse commerciale necessitano di molta luce (Pink lady)  si effettuano
delle potature verdi.
Quindi la luce per la fotosintesi e lo stress della buccia (antociani proteggono i tessuti
epidermici).
La luce ha importanza diversa nelle diverse fasi: in raccolta è necessaria più luce associata a T
maggiori
 Nella T: si parla di sbalzo termico. Notti fresche per non bruciare i fotosintati del giorno ma
produrre scheletri di carbonio da usare nei metabolismi secondari.
Non per tutte le varietà vanno bene le stesse T: per alcune basta scendere sotto i 20°c per altre
sotto i 15 o sotto i 10.

C’è la possibilità che t eccessivamente alte nel giorno annullino l’effetto delle T basse nella notte.
Si è visto che sopra i 32°C che l’effetto viene annullato.
 Giusto equilibrio tra T e luce;
 Nutrizione di minerali: non eccedere in nutrizione azotata in maturazione; evitare eccessi di
potassio che portano a fisiopatie in post raccolta coma la butteratura amara.
In ogni caso si è visto che la nutrizione conta solamente se ci sono delle carenze; se non
presenta carenza l’eventuale aggiunta non aumenta la pigmentazione antocianica.
Nei fattori endogeni (che dipendono da attività esogeni)

 Calibro dei frutti: alberi eccessivamente carichi portano pigmentazione antocianica scarsa
 troppi frutti da nutrire e il metabolismi secondario viene messo in secondo piano dalla
pianta. Anche qui ci sono varietà più o meno sensibili.
il calibro quindi influisce anche nella pigmentazione e nella qualità.
 Stress: biotico (insetti) e abiotici (idrico) possono intaccare la fotosintesi e influenzare
quindi i metabolismi secondari.
 Portainnesti: sembrano non avere effetti nella pigmentazione antocianica.

Giasmonati: la pianta li produce nella buccia al momento di produrre pigmentazione antocianica,


regola i metabolismi. E applichiamo quelli di sintesi nelle mele aumentiamo la pigmentazione
antocianica. Un trattamento in post raccolta porta ad acquisire una colorazione più intensa e più
uniforme. In realtà si tende a non usare fitoregolatori
in post raccolta perché è difficile registrare il
trattamento stesso.
In pre raccolta c’è una problematica: in Pink lady a 5
settimane prima della raccolta prevista sono stati
70
fatti dei trattamenti settimanali. Le frecce rosse indicano i trattamenti più vicini alla raccolta (T4). Le
frecce nere sono i trattamenti fatti prima. Nel mezzo c’è il controllo. Se le applicazioni sono fatte
nel momento sbagliato hanno un effetto negativo.
Le misurazioni con lo da-meter ha evidenziato che sotto certi valori, a una certa degradazione
della clorofilla, si otteneva una situazione negativa. Il problema era stabilire quando era la raccolta:
i frutticoltori non sempre usano gli stessi parametri per la raccolta: considerano anche fattori
esterni come la logistica e la disponibilità della manodopera.

Altri esperimenti con trattamenti in post: dato luce con fitrone per generare lo stress, giasmonati,
poi a bassa T per rallentare la respirazione e generare gli antociani. Più lunga è l’esposizione alla
luce maggiore è la produzione. l’esperimento è stato fatto dopo che sono state stabilizzate un
mese in cella. Se lo faccio dopo 3 mesi di stabilizzazione la sintesi di antociani è minime perché
sono stati usati i metaboliti che servono alla sintesi del pigmento. In genere usare le basse T
aumenta la pigmentazione.
Altro effetto del trattamento è una riduzione della marcescenza nelle mele trattate più a lungo con
luce: effetto sterilizzante della luce ma anche perché i giasmonati sono usati come induttori della
resistenza.
Il problema rimane il tempo di trattamento che sono troppo lunghi.

Regolazione genetica della colorazione nelle mele


Caso studio più importante per la pigmentazione antocianica fino a selezionare genotipi con la
polpa colorata. Nel grafico slide è testata l’espressione genetica con un una mela che ha
colorazione bianca e una colorata  aumentano tutti i
geni nelle biosintesi, non solo la calcole sintesi ma
anche UFGT.

Le regolazione è innescata dal gene myb10 che


codifica per fattore di trascrizione della biosintesi di
geni per gli antociani. Hanno straformate cellule di
melo e fatte sovraesprimere in maniera costitutiva. Si
vede un callo antocianico dovuto alla cianidine-3-
galattoside.
La glicosilazione in diverse produzione può portare alla
formazione di altri antociani. (la cianidine-3-galattoside
è quella che deriva dal gene MYB).

Indici di maturazione
Zuccheri, acidità, etilene, amido, colore, consistenza (ESAME: quali sono e come si misurano)

Residuo secco rifrattometrico (zuccheri)


Si usa uno strumento ottico: rifrattometro che si basa sul principio fisico della rifrazione della luce
da parte di solidi solubili in soluzione. Non solo zuccheri ma anche sali, proteine, acidi organici.
All’aumentare in soluzione dei composti cresce l’indice di rifrazione: la luce viene deviata di più.
Il rifrattometro ottico nell’oculare presenta una scala numerata: una porzione di quadrante è bianca
e una azzurra. Più aumenta la rifrazione più la parte azzurra diminuisce. Si misura in gradi Brix: g

71
di zuccheri in 100g di soluzione. Misurando l’indice misuro tutto quello che c’è in soluzione tuttavia
lo uso per misurare in prodotti che hanno maggiormente zucchero in soluzione. È una stima e non
una quantificazione dell’aumento degli zuccheri per usarli come indice di maturazione.
I rifrattometri hanno una scala ottimizzata per una T di 20°C; altrimenti devo compensare la stima.
Eventualmente posso usare rifrattometri digitali che misura la T ed effettua una compensazione in
automatico.

Titolazioni (acidità titolabile)


Diversa dall’acidità totale. È quella che quantifico tramite una titolazione. Espressa in % o g/100
mL. Per quantificarla sono necessari materiali di laboratorio (slide).
In titolazione si neutralizzano i protoni che gli acidi organici caratterizzanti rilasciano nel succo.
Ogni frutto è caratterizzato da un acido organico. La soluzione basica usata è solitamente
idrossido di sodio; con gli OH neutralizzo gli H. Per capire quando la soluzione è neutralizzata si
usa un indicatore di pH quale la fenolftaleina. Quando neutralizzata gli oh introdotti sono pari agli H
neutralizzati.
Devo sapere anche il tipo di acido caratterizzante: dalla quantità di protoni che questo acido
rilascia dipende la mia titolazione e quindi la quantità di acido: per l’acido citrico, triprotico, servono
3oh per neutralizzarlo.

Consistenza
Tutti i processi che portano alla variazione di consistenza: rammollimento. Sono quantificati
usando diversi strumenti ma principalmente il penetrometro. Costituito da un putale che penetra un
tessuto e a seconda della resistenza che il frutto oppone si stabilisce la consistenza
penetrometrica. Il puntale deve entrare fino a un determinato livello. Ci sono puntali diversi per
frutti diversi. Si rimuove la buccia in quanto può modificare la valutazione. Si misura in N o kg/cm2.
È una misura soggetta al problema della variabilità  svolgere diverse verifiche su diversi frutti,
almeno 10-20 e due misure su due facce opposte del frutto.
Ci sono strumenti più complessi che valutano la texture oltre la penetrazione. Texture analyzer che
presentano sonde in grado di restituire diversi aspetti.
Altri strumenti: durometro. Ha una punta che non penetra il tessuto ma riesce a misurare la
durezza del tessuto senza fare misurazioni distruttive. In realtà è una misurazione distruttiva in
quanto, pur non essendo visibile, si altera il frutto. Si usa per piccoli frutti. La durezza è quantificata
in shore: da 0 (durezza minima) a 100 (estremità non penetra: durezza massima).

Etilene
Picco etilenico nei frutti climaterici determinante per stabilire il periodo sviluppo. Si misura tramite
gas cromatografia con tecnica dello spazio di testa del becker chiuso con il frutto. Dallo spazio di
testa prelevo e introduco nel gas cromatografo. Ottengo il valore in ppm.
Nelle slide c’è la formula per il calcolo di etilene.

Amido
In alcuni frutti viene degradato in maturazione. Per stimare la degradazione si usa un colorante
che si lega all’amido e conferisce una colorazione viola-blu scuro. Soluzione a base di iodio ioduro.
Si taglia la mela in maniera equatoriale. Si immerge per 1 minuto, si lava per rimuovere l’eccesso e
si valuta la colorazione della polpa. Mela bianca se tutto l’amido è degradato.
Si possono usate diverse scale: “scala di Laimburg”  10 gradazioni diverse (da 1 a 5).

Appunti 05/04/2023
Colore

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Spettrometria sul visibile. Riguarda strettamente i pigmenti che sono legati alla maturazione. Sono
anche associati a proprietà nutraceutiche. Il colore viene descritto attraverso uno spazio
colorimetrico: quello RGB non è in grado di descrivere la totalità dei colori. In ambito scientifico si
utilizza lo spazio L*a*b. Lo spazio colorimetrico serve per dare una descrizione oggettiva del
colore. La percezione nostra del colore può risentire di diversi fattori e per questo si usano degli
strumenti: cambiando la sorgente luminosa (calda, fredda), componente soggettiva, dimensioni di
un oggetto, angolo di osservazione  angolo con cui una cassetta di frutta è riposta un uno
scaffale del supermercato, lo sfondo ha la capacità di far variare la nostra percezione del colore.

 spazio colorimetrico L*a*b.


Si usano strumenti quale il colorimetro  costituito da 3 sensori filtrati: il filtro consente di
percepire separatamente rosso, verde e blu per poi convertire i 3 valori nello spazio colorimetrico
L*a*b.
 L: luminosità. Varia da 0 a 100. Lo 0 è il nero, il 100 è il massimo.
 a e b sono le coordinate di cromaticità collocate in un cerchio. Variano da -60 verde a +60
rosso per A; -60 blu e +60 giallo B.
L’angolo di Hue dà un riassunto della tinta: varia da 0 a 90,180,270 ecc…
Per collocare le 3 coordinate assieme le immaginiamo come una sfera dove ogni punto è
descrivibile attraverso le coordinate.
Spettrofotometro: strumento più potente che può essere usato come colorimetro. La differenza sta
nel fatto che invece che avere 3 sensori già calibrati qui abbiamo un sensore spettrale che copre
tutto lo spettro visibile con un intervallo di lunghezza d’onda di 10 nm. Proietta una luce flash sulla
superficie e misura la riflettanza. Posso determinare l’angolo di visuale (lo imposto)  simula
come cambia la percezione del colore cambiando l’angolo di visuale. Posso cambiare anche il tipo
di sorgente luminosa: quella standard è il D65. Tramite il sensore spettrale ha misurato la
riflettanza e costruisce lo spettro di riflettanza e ricava i parametri L*a*b attraverso delle
integrazioni sullo spettro. Importante in quanto si avvicina di più alla misura del colore assoluto:
due spettrofotometri diversi calibrati possono dare una misura dello stesso colore molto più vicina
rispetto a quella che possono dare due colorimetri  danno misure molto più riproducibili. Dal
colorimetro non ricavo informazione oltre i parametri L*a*b.
Avendo tutto lo spettro posso ricavare informazioni ulteriori.
Uso la variazione di colore come indice di maturazione: non solo per l’epoca di raccolta ma anche
per uniformare lotti di frutta che la selezionano.
Guardando allo studio sull’epoca di utilizzo dei giasmonati si può vedere come il T4 presenta nella
lunghezza d’onda degli antociani presenta la maggiore assorbanza (complemento della
riflettanza). Per le clorofille la situazione si rovescia nettamente. Con queste informazioni posso
sviluppare indici ad hoc  da-meter.
Da-meter
Valuta lo stadio di maturazione in diverse tipologie di frutti. Lo strumento standard è nato per
pesche e mele e valuta la differenza di assorbanza tra 2 lunghezze d’onda: massimo assorbimento
della clorofilla di tipo A e una di riferimento che non varia durante la maturazione  stima della
clorofilla rimasta: è degradata in maturazione. Attorno a 1,2 ci si avvicina al momento della
raccolta.
Con altre lunghezze d’onda specifiche: kiwi meter e cherry meter.
Il valore a cui si stabilisce per cui è opportuno raccogliere non è univoco; cambia a seconda del
frutto, della specie a seconda quindi del genotipo. All’inizio lo si usa in parallelo ad altri strumenti
per capire quando è corretto effettuare la raccolta nel genotipo.
Tabella con principali indici di maturazione.

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Fondamentale che è una misura non distruttiva. È quindi possibile anche effettuare le misure in
giasmonati senza distruggere alcun frutto. Per il futuro si ricercano misure non distruttive.

La liste degli indici di maturazione si amplifica se guardiamo alla vastità di cosa possiamo
quantificare: un esempio è il NIR.

Vitamine e minerali
Componenti che definiscono la qualità sensoriale, nutrizionale e salutistica (nutraceutica) dei
prodotti vegetali Antiossidanti/vitamine: Vitamina C (acido ascorbico o L-threo-hex-2-enono1,4-
lactone) ´ Vitamina E (tocoferoli)
Definiscono la qualità nutraceutica. Si parla di superfoods che in realtà solo esclusivamente delle
trovate commerciali. Un esempio sono le bacche di goji che in realtà non hanno un contenuto così
elevato di vitamina C. Le arance sono ricche di vitamina C ma non sono le più ricche in realtà. Le
bacche di goji sul peso secco (che differisce da quello fresco) si denota che 22-100 mg/p.s. per le
bacche contro le arance che sono tra 270-400 mg/p.s.. Essendo diluito nelle arance dovrei
consumare più arance per arrivare al contenuto delle bacche  paragone non attendibile.
Altro esempio è l’erba di grano: noi non metabolizziamo le clorofille, ci interessano solo i
componenti legati alle clorofille.

L’aspetto che può essere difficile per effettuare dei paragoni è la capacità antiossidante: riportata
come capacità antiossidante e contenuto totale di polifenoli. Maggiore per i mirtilli, mirtillo rosso le
prugne nere.

Vitamina C – acido l-ascorbico


Ascorbato prende il nome dalla malattia che si presenta nei soggetti con alimentazione carente
della vitamina C  scorbuto: tipica dei marinai che non potevano consumare prodotti freschi.
Indispensabile assumerla con la dieta in quanto non riusciamo a sintetizzarla. Anche cavie da
laboratorio non lo producono.
Quando la assumiamo ne manteniamo una piccola riserva nelle ghiandole surrenali.
Quantitativamente come mg/100 peso fresco:
 Peperoni e peperoncini sono ricchi di vitamina C.
 Kiwi ESAME
 Cavoletti di Bruxelles
 Rucola ESAME

Noi non produciamo l’acido ascorbico perché manchiamo dell’enzima gulano-lattone-ossidasi: non
possiamo completare la biosintesi che ha come precursore primario il d-glucosio 6 fosfato.

L’acido ascorbico è un acido organico presente in quantità rilevanti a seconda del frutto. Non è mai
un acido caratterizzante per il quale vale la pena fare il conto nell’acidità titolabile. Posso derivare
processi biosintetici diversi : ossalico (banana matura) e malico (uva) (?).
Soggetto a ossidazione in deidroascorbato: importante per i ros  chiama in causa il glutatione.
Viene ossidato nella riduzione dei lipidi di membrana ossidati e per mantenere le cellule a uno
stato redox ottimale. Questa conversione a deidroascorbato procede anche nel post raccolta.
Solitamente quando quantifico la vitamina C si parla di quella totale: ascorbato+ deidroascorbico.
Ai fini nutraceutici non c’è differenza  viene convertito nell’epitelio intestinale a ascorbico per
essere trasportato; ha un minimo costo energetico. Il deidroascorbato ha un’attività vitaminica
leggermente inferiore.

74
Nel post raccolta gli effetti: con la conservazione diminuisce la vitamina totale perché diminuisce
l’acido ascorbico  kiwi da fresco: 64 mg che dopo 6 giorni a 10°C rimangono 2/3 di ascorbato in
favore di una conversione in deidroascorbato.
Altri fattori che regolano l’accumulo di vitamina C:
 Aumento in maturazione e poi decadimento verso la senescenza. Esempi: aumento da
albicocca verde a quella a piena maturazione. Nella mela matura inizia già a mostrare un
decadimento.
 Effetti della temperatura nella perdita d’acqua nel cavolo riccio: a 20°C viene persa più
acqua e di conseguenza maggiore vitamina c viene persa (mantenere T basse e ambienti
umidi).
 Stress da ferita: intaccano lo stato ossidativo delle cellule fa sì che ci sia una perdita di
vitamina C.

Contenuto: varia con lo stadio di maturazione e a seconda del frutto  valuto aumento e
potenziale perdita. In conservazione ho comunque un calo: agisco sulle atmosfere controllate e la
temperatura. Evitare stress meccanici che portano al consumo di acido ascorbico.

Vitamina E
È una classe di composti diversi. Strutturalmente è una molecola con anello funzionale fenolico
con catena laterale isoprenica. Solitamente la vitamina E è sintetizzata nei tessuti versi. Possiamo
avere diverse forme: tocoferoli e tocotrienoli. all’interno di ogni classe ho α,β,γ,δ. Ognuna ha
diversa attività biologica che viene rapportata a 100, e diversa capacità antiossidante.
Previene la perossidazione lipidica  ritarda l’invecchiamento cellulare. L’alfa tocoferolo
(soprattutto) protegge le membrane.

Biosintesi: deriva dall’omogentisato. Composto che tramite l’attività catalitica di diversi enzimi
ottengo le due vie metaboliche che portano alla formazione delle due tipologie.

Fattori che influenzano il contenuto


Differenza tra bollitura e sbollentatura. La bollitura sembra quella che conserva meglio.

Interessante avere alti livelli di vitamina  studio per ingegnerizzare le piante per aumentare il
contenuto. I target enzimatici si focalizzano su:
1. HPPD
2. HPT
3. HGGT
Nelle piante ingegnerizzate: ad esempio nella soia il target è il seme che non essendo tessuto
verde non la accumulerebbero naturalmente. Generalmente le piante la trasportano nei semi,
soprattutto per le oleaginose.

È suscettibile al calore, alla luce, all’esposizione all’aria. La cottura industriale la degradano quasi
totalmente (solo i componenti minerali sono stabili in tutte le condizioni).

Minerali
Potassio, calcio, magnesio, rame, ferro…  quello più abbondante nei prodotti vegetali freschi è il
potassio: 2000 mg raccomandati/giorno che raggiungiamo con l’avocado cin g, 1/6 in 100 g di kiwi.
È anche il principale minerale presente nelle nostre cellule: un adulto di media statura ha circa 200
g di potassio.
Le fonti principali di potassio tra i vegetali freschi o minimamente trasformati SLIDE.

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Fibre
Si parla di carboidrati complessi: solubili e non solubili. Hanno un altro valore rispetto all’energia
che ricaviamo.

Ci sono altre vitamine di interesse

Componenti aromatiche

Emettono diversi VOCs durante lo sviluppo: l’emissione di composti volatili deriva da stress biotici
e abiotici. Concorrono a determinare il gusto. Importante conoscere come massimizzarli e
conservarli nel post raccolta (T, umidità)  condizioni che possono sfavorire questi stress e
migliorare il profilo aromatico. L’interesse di alcuni VOCs nel post raccolta va oltre il profilo
organolettico: interesse nei composti volatili in quanto marcatori fisiopatie, stress biotici e abiotici
 messa a punto di sensori specifici: valuto nel post raccolta se si stanno sviluppando degli stress
fungini ecc…
Differenza tra taste e flavour: flavour  risultato finale tra caratteristiche gustative, odore e
consistenza (percezione totale).
Definizione:
Gusto (equilibrio tra dolcezza e asprezza o acidità, e bassa o nulla astringenza) e aroma
(concentrazioni di composti volatili attivi in termini di odore). Sebbene il gusto e l'aroma siano ben
integrati nel loro contributo al sapore complessivo, l'aroma è spesso considerato un ruolo
dominante nel sapore".
"La ricerca sulla qualità del sapore deve includere sia i costituenti non volatili che quelli volatili che
contribuiscono al gusto e all'aroma di frutta e verdura".
Il gusto è qualcosa di molto complesso. Anche alcuni componenti minerali possono concorrere a
determinare una differente percezione organolettica. L’astringenza è data dai composto fenolici.
Valutando il residuo secco rifrattometrico li valuto tutti ma gli zuccheri sono la parte prevalente e
che quindi assumiamo come totali.

Aromi volatili: diverse classi di composti: esteri, alcoli, aldeidi e chetoni metabolizzati da sistemi
complessi, più o meno immediati rispetto a quello primario.

Composti organici violatili: molecole carboniose caratterizzate da basso peso molecolare, basso
punto di ebollizione e bassa solubilità in acqua. Devono avere una minima lipofilicità ma anche una
sufficiente idrofilicità  percepibili dai nostri recettori. La solubilità in acqua deve essere sufficiente
per aderire al muco della parete dei recettori.
Alta pressione vapore: diffondono facilmente nella fase gassosa. Essendo molecole segnale per la
pianta  devono spostarsi velocemente nell’aria: segnalare rapidamente l’attacco dell’erbivoro
(che scatena questo segnale) per mettere in campo sistemi di difesa.

Emettono composti volatili da tutti i loro organi. Solitamente sono prodotti da stimoli ambientali.
Agiscono a concentrazioni molto basse; la soglia di percezione varia di alcuni ordini di grandezza.
Vanno dai 50 ai 200 Da (molecole piccole). Scarsamente ramificate, possono presentare strutture
cicliche sature o insature  gruppi funzionali ma anche azoto e zolfo.
Ruolo biologico:
 Deterrenti da predatori;
 Attrazione per i predatori: ruolo ecologico dei frutti;
 Segnale: alle altre piante di un attacco patogeno.

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Esempi:
s-linalolo (monoterpenolo): repellente dell’afide verde del pesco.

Di solito i VOCs sono stati affinati dalle piante per caratteristiche che si adattino alle condizioni 
gruppo tassonomico specifico ha le sue.

Isoprene: garantisce alle piante di superare stress abiotico (alte T) che potrebbe diminuire la
fotosintesi  si introduce nei tilacoidi.

Interazioni tri-trofiche: sviluppo dei composti per attirare predatori che attirano dei parassiti dei
predatori stessi  interazioni a 3.

Nei frutti garantiscono la dispersione dei semi; segnale che annuncia il completamento della
maturazione. Durante la maturazione possono presentare attività antimicrobiche.
Funzioni ampie che riflettono la loro complessità.

Composti che caratterizzano i frutti (tab. slide):


banana: isoamilacetato: dà l’aroma di banana.

Mela: posso distinguere cultivar in base alla tipologia di estere “” (slide). Cultivar con epidermide
non colorata  steri di acido acetico. Quelle con epidermide colorata  estri di acido butirrico.

Soglia di percezione di questi composti:


intervallo di variabilità dell’ordine di 105.
Queste variabilità vanno considerate.

Punto di vista metabolico: hanno diverse


derivazioni. Precursori:
 Acetil coa
 Piruvato
 Fosfoenolpiruvato
 Eritrosio4fosfato

Le pathway sono state caratterizzate isolando le cellule secretorie e confrontandole con quelle non
secretorie.
Tutte le vie biosintetiche sono ben connesse con il metabolismo primario  importante che la
situazione energetica della cellula secretrice sia ottimale per avere la produzione di composti
aromatici.

Aromi che derivano dai carboidrati


1. Furanoni e pironi
2. Terpenoidi
3. Apocarotenodi

Furanoni e pironi:
derivano da esosi e pentosi. Non noti bene gli enzimi coinvolti. Abbiamo il furaneolo con
precursore il ruttosio-1,6-bifosfato, metabolizzato in fragola in metossifuraneolo; in pomodoro e
melone anche in norfuraneolo e omofuraneolo

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Fragola: l’enzima o-metiltransferasi che metabolizza il furaneolo in metossifuraneolo.

In vivo: funzionano come feromoni per alcuni insetti; come molecole segnale attirando i predatori
verso i frutti (dispersione dei semi); per l’uomo rendono i cibi più attrattivi.
Effetti secondari per batteri: mutagenici solo in vitro;
attività antiossidante e antitumorale.

Terpenoidi SLIDE RIVEDI:


sintesi da acetil coa nel citosol tramite la pathway dell’acido
e nei plastidi tramite il piruvato.
Oltre 50 mila terpenoidi: alcuni non volatili e hanno una valenza fisiologica importante 
gibberelline, acido abscissico (valenza ormonale.)

Dalla pathway citoplasmatica: sesquiterpeni, ubichinone


Dal metileritrolofosfato:

le due non sono isolate

è noto che ci sono enzimi chiave: terpene sintasi  enzimi molto diversificati che hanno diverse
attività. Garantisce variabilità nei composti terpenoidi possibili. Maggior responsabilità della
diversificazione della sintesi di terpenoidi. Sono monofunzionali o bifunzionali  questi ultimi da
fusione di diversi geni ancestrali. Non tutti i terpenoidi sono il risultato del catabolismo delle
terpene sintasi  mentolo da altre reazioni enzimatiche.

Aromi terpenoidi (volatili): a 5,10,15,20 atomi di C. i C5 e C10 sono i più importanti (slide a destra).

Appunti 12/04/2023
Terpenoidi nei frutti:
 Buccia di arancia: usata per aromatizzare diverse sostanze. Il potere aromatizzante da
mono e sesquiterpeni da ghiandole presenti nel flavedo. Tra gli oli essenziali abbiamo
limonene e alfa e beta sinensale.
 S-linalolo: tutta la frutta fresca (pesche, mango, papaia, ecc…).
In realtà tra quelli prevalenti ci sono quelli che derivano dagli acidi grassi
 Aroma di uva moscata: combinazione di monoterpeni slide  nell’insieme conferiscono
l’aroma di moscato. Nell’uva sulla base dei monoterpeni sono possibili delle classificazioni.

Moscati:
 Intensamente aromatici: monoterpeni sui 6 mg/L
 Aromatiche (non moscate): 1-4 mg/L
 Neutre: non dipendono dia terpeni per il loro profilo aromatico. L’aroma speziato è dovuto al
rotundone, sesquiterpene.

Nelle erbe alimentari:


 Basilico: fenilpropanoidi, monoterpeni e sesquiterpeni. La diversa presenza di
fenilpropanoidi differenziano le diverse varietà di basilico.
Secondo le varietà: ocimene (che prende il nome dal basilico stesso).

78
Gli aromi si localizzano nei tricomi ghiandolari presenti nelle foglie  sulla superficie delle
foglie troviamo i tricomi, capitati ad esempio, che contengono questi aromi. Se distrutti
rilasciano la componente volatile.
Nel basilico abbiamo 3 classi di composti responsabili:
 Fenilpropanoidi: da biosintesi dei composti fenolici
 Monoterpenoidi
 Sesquiterpenoidi

Studio: in 5 diverse specie di basilico: tra i 3 composti vedi che variano anche significativamente
tra le specie: i monoterpenoidi variano da meno del 2% fino al 90%. A livello macroscopico sono
specie che possono assomigliarsi molto.

Caratterizzare questi aspetti nelle specie di basilico può aiutare a selezionarne di nuove: aiuta i
programmi di selezionamento genetico. Per le piante aromatiche e officinali l’interesse nei
determinanti strutturali e biochimici è importante per il business industriale.
Dal punto di vista strutturale: differenza tra superficie fogliare giovane e matura nel diverso mix di
tricomi:
 Capitale e pelatate: sono tricomi ghiandolari, secernono oli essenziali
 Pelosi: non secernono
Anche nella stessa tipologia di tricomi le 5 pecie sono morfologicamente diversi. Ci sono anche
differenze qualitative e quantitative: presenti con densità e dimensioni diverse tra i tricomi.
Guardando all’espressione genica: alcune specie hanno % molto basse di fenilpropanoidi mentre
altri le hanno molto alte. Si è cercato di identificare i geni chiave delle vie biosintetiche che portano
alla sintesi di questi aromi. A partire dal precursore quale la fenilalanina. Per la via che caratterizza
nei plastidi e citoplasmi la produzione di terpenoidi ci si è occupati di due enzimi specifici (slide).
Nelle slide ci sono i profili di espressione per la biosintesi di fenilpropanoidi.
Queste differenze le troviamo anche per i geni chiave (nome slide)  differenze significative.
Quelle dell’assetto genetico possono fare da marcatore per selezionare specie che abbiamo un
profilo aromatico ricercato; usate per il miglioramento genetico.

Altra classe che deriva dai carboidrati: apocarotenoidi, detto anche norisoprenoidi  derivano dai
carotenoidi: presenti nei plastidi. In alcune specie incidono di più o di meno a seconda del prodotto
di interesse. Nel pomodoro e nel cocomero il partener di accumulo dei pigmenti carotenoidi è
fortemente correlato al profilo aromatico (sono i precursori).
Biosintesi apocarotenoidi: intervento di una famiglia di enzimi CCD  diossigenasi che tagliano i
carotenoidi tramite reazione di ossidazioni: originano gli apocarotenodi. Enzimi diversi posson
avere substrati promiscui o specificità di substrato  ampia possibilità di produzione di
apocarotenoidi tra loro.
Li possiamo trovare in diversi organi vegetali  dove abbiamo plastidi attivi con pigmenti che
possono essere convertiti.

Le soglie di percezione sono abbastanza basse. Il tipico aroma che conferiscono è fruttato e
floreale. Esempi nella slide.

Nei frutti gli apocarotenoidi, derivando dai carotenoidi e che aumentano i n maturazione, anche gli
apocarotenoidi aumentano in maturazione (20 volte nel pomodoro), soprattutto quelli elencati nella
slide. Nel pomodoro il beta ionone è il secondo volatile più importante e ha una soglia di
percezione molto bassa  0,007 ppb. Sono stati identificati i geno che codificano per i CCD della
sintesi di questi composti.

79
Promiscuità di substrato – melone: l’enzima codificato daCmCCD1 ha una promiscuità che
produce: SLIDE. Lo stesso enzima usa gli stessi substrati per produrre apocarotenoidi diversi 
profilo variegato.

Altri esempi: acido abscissico è un norisoprenoide.


 Beta damasc: frutta tropicale;
 Beta ionone: nota floreale, anche nei vini;

Aromi da acidi grassi


Quantitativamente sono quelli che troviamo di più nelle piante. Ubiquitari tra le piante e in alcuni
casi anche ad alte concentrazioni.
Le vie enzimatiche possono essere 3
1. Lipossigenazione: aromi costituiti da alcoli e aldeidi C6 e C9 che danno aromi dell’erba
fresca tagliata. Le piante producono questi composti a seguito da stress da ferita  ruolo
nei meccanismi di difesa e resistenza del patogeno. Diversi attributi verdi che derivano da
volatili di questa via. Le note sensoriali specifiche, guardando l’indice di correlazione R2,
abbiamo amaro, pungente.
Gli enzimi chiave che intervengono abbiamo come precursore l’acido alfa linoleico e
linolenico abbiamo enzimi: a monte le lipossigenasi, idroperossidolaisi, isomerasi e infine
delle alcol deidrogenasi  specifiche che a seconda del substrato lo trasformano nel
corrispondente alcol. Le lipossigenasi sono le più importanti: sono delle ossigenasi, usano il
ferro come precursore e catalizzano la ossidazione in risposta a stress di tipo biotico.
Indotte da attacchi di patogeni per produrre volatili per difendere le piante e ghiandole. Le
troviamo in diversi scompartimenti cellulari. Tipo 1: nessun peptide di transito ne plastidio,
simili tra loro, tipo 2 hanno una estensione terminale di proteina, sono nel plastidio;
similarità al 35%.
Nel pomodoro 5 geni per lipossigenasi sono espressi maturazione: specificità differenti tra
loro. Lo sviluppo dell’attività delle lipossigenasi è diversa tra loro, indotta da ferita. I tempi di
rilascio possono essere diversi tra loro. Nel giro di 5 minuti ci possono essere cinetiche di
rilascio diverse tra loro. Per esanale e metilbutanale: il secondo è prodotto all’istante; il
primo presenta una cinetica di produzione più lenta e più variabile nella parte finale.si può
ipotizzare la causa della variabilità: quei frutti sono in stadi di maturazione leggermente
diversi e quindi hanno diversi tempi di risposta nella produzione tra i diversi frutti.
La via delle lipossigenasi è controllata da diversi fattori: l’anossia le inibisce. Nel grafico è
mostrato l’effetto a tempi diversi successivi all’anossia sul rilascio di esanale e butanale in
pomodori macerati. Nei campioni in anossia i due composti sono presenti in quantità
minore per il tempo che sono stati tenuti in anossia.
Altri fattori: bassa temperatura  inibisce la produzione di aromi che dipende dalle
lipossigenasi. Nel grafico abbiamo un mantenimento per 3 giorni a 6°C e poi riportati a
21°C; misurazione fatta dopo 1 e 3 giorni. Sono si raggiunge il livello del controllo; sono
l’etanolo non ha differenze con l’etanolo. Anche temperature alte inibiscono la sintesi.
Anche a T non troppo alte comunque porta una maggiore difficoltà dell’ossigeno a entrare
nelle cellule  minor produzione data dalla minor presenza di ossigeno per le
lipossigenasi.
Gli enzimi nel mezzo: ci sono informazioni molto scarse sui loro step enzimatici che
catalizzano. Tramite studi: silenziando le HPL in patata si ha un aumento delle
lipossigenasi e una diminuzione dei volatili c6.

80
Alcoldeidrogenasi: intervengono nelle aldeide a 6 o 9 atomi di C convertendo negli alcoli
corrispondenti. Gli enzimi sono prodotti in maniera preferenziale nei diversi frutti. Posso
migliorare il profilo aromatico nel pomodoro conoscendo la correlazione tra gene, attività
dell’enzima e importanza nel profilo aromatico del composto. Geni ADH specifici
convertono le aldeidi C6e C9. Dal polline del gelsomino sono stati isolati i giasmonati
Giasmonati:
derivano da attività lipossigenasica dell’acido giasmonico. Oltre all’azione ormonale, con recettori e
catena trasduttiva simile all’etilene, hanno anche un aroma caratteristico che è quello del
gelsomino. Il metil-gesmonato è usato dalle piante per avvertire che è in corso un attacco da parte
dei predatori  mettono in campo delle strategie di difesa

Nelle piante ci sono alcune lacune dal punto di vista biochimico.


2. Alfa ossidazione: agisce su acidi grassi da 13 a 18 C che sono degradati enzimaticamente
ad aldeidi, rilasciando CO2.
Durante lo sviluppo dei frutto e in risposta ad attacchi prevalentemente biotici. Intervengono
perossidasi e aldeidi deidrogenasi e ulteriori meccanismi di ossidazione e fino a ottenere un
composti di 12 C
3. Beta ossidazione: rimozione successiva di unità di acetil coa; poi innescati altri
metabolismi. Non si sa come funzioni per gli acidi grassi insaturi. Avviene nel mitocondrio e
gliossisoma: classe dei perossisomi. Beta perché si ossida il carbonio 3, ovvero quello in
posizione beta.

Rilevanza delle vie alfa e beta per il profilo aromatico:


 Determinano aromi di burro e formaggio: acidi alifatici fono a 10 C;
 I prodotti di queste vie sono substrati importanti per altri aromi: aldeidi o alcoli di media
lunghezza;
 Le aldeide tramite alcoldeidrogenasi poi convertite in alcoli.

Composti aromatici da AA
essendo a catena ramificata danno aromi a catena ramificata.

 Isoamilacetato: banane e pere; estere


 2-metilbutilacettato:
 metil2metilbutanoato
 ultimi 2 assieme: molene SLIDE

Il catabolismi degli amminoacidi richiede la rimozione del gruppo amminico e carbossilico. Il


sotolone è il tipico aroma del caramello se concentrato; fieno se meno concentrato. Deriva
dall’isoleucina.

 Derivati dalla leucina: caratterizzano la fragola e il pomodoro;


 da fenilalanina: SLIDE

Studio – pomodoro:
modello per lo studio dei composti volatili. Sovra espresso per aa-decarbossilasi. La quantità di
questi 3 volatili concorre a un effetto piacevole o meno a seconda che siano presenti a basse o
alte concentrazioni. Ad esempi alta porta all’odore sgradevole dei residui della produzione della
conserva.
via biosintetica a partire dalla fenilalanina:
81
la fenitilammina, quantificandola nelle diverse linee transgeniche, troviamo che sono molto più
presenti dove è sovra espresso ADC1 rispetto a ADC2.

A seconda dell’aminoacido di partenza abbiamo diversi derivati:


 contenenti zolfo: da metionina e cisteina. Caratterizzano l’aglio, la cipolla, la patata bollita,
le verze cotte. Quando il tessuto vegetale viene danneggiato i precursori dei volativi
vengono a contatto con la alinasi vengono convertiti nei successivi prodotti che danno
origine a questi prodotti, evaporizzano velocemente.
I precursori arrivano fino al 5% del peso secco. Si pensa che abbiano un ruolo biologico:
difesa contro i patogeni ad esempio per i bulbi che devono essere difesi in inverso
Possono essere usati anche per trasportare zolfo e carbonio
 ammine biogene volatili: indolo da precursore del triptofano (?)
 glucosinolati: caratteristici delle crucifere: come la senape e il crwcione. Precursori
aromatici dei glucosinolati. Sotto l’azione di alcune come le tioglucosidasi producono aromi
volativi come isotiocianati (slide)  difesa e attrazione per i predatori. Hanno anche
proprietà nutraceutiche: antitumorali e pesticidi.
 Glicosidi cianogenici: cianogenesi è un processo che deriva da attività glicosidasica che
rilascia acido cianidrico e aldeidi / chetoni.
 Composti fenolici, che derivano dalla fenilalanina, abbiamo diversi composti volatili: nel
basilico abbiamo i fenilpropanoidi. L’aroma più usato al mondo quella la vanillina  secreta
dai semi contenuti all’interno delle bacche di vaniglia. La vanillina di sintesi non è ben
strutturata e aromatica come quella che si deriva dai semi della bacca di vaniglia.
Quella commerciale è prodotta industrialmente da guaiacolo, eugenolo e lignina  richiama ai
baccelli delle bacche di vaniglia ma non dai semi.

Sugli aromi c’è un interesse crescente industriale e commerciale. La maggior parte viene ancora
estratta dalle piante ma riuscendo a ingegnerizzare dei microrganismi si possono abbassare
notevolmente i costi di produzione.

Allergeni
Il sistema immunitario è dinamico, soggetto a un processo di maturazione nel tempo. Può
cambiare il suo comportamento nei confronti di una proteina.

Allergie e intolleranze sono diversi.


Allergia: reazione ipersensibile, con soglie molto basse, con sintomatologia che appare
rapidamente in relazione all’esposizione. Dal punto di vista biochimico sono mediate della IgE.
Intolleranze: mediate da altre Ig. La sintomatologia può richiede anche alcuni giorni per
manifestarsi.

Reazioni allergiche
Risultato di diversi step:
4. Sensibilizzazione: per rispondere con una risposta allergica il sistema immunitario deve
venire a contatto per produrre le IgE.
5. Fase effettrice: presenti le IgE e quindi infiammazione con rilascio di mediatori di
infiammazione tra cui istamina e prostaglandine. Sulla base del sito dove agiscono i
mediatori abbiamo sintomi diversi.
6. Sintomi: orticaria, sindrome orale allergica, intestinali, disordini respiratori, fino allo shock
anafilattico.

82
Avere delle IgE nel sangue verso un allergene non è indicativo che il soggetto sia allergico nei
confronti di un allergene.
Multivalenza: presenza di diverse zone di una proteina riconoscibile da una IgE. Essenziale per
essere un allergene per essere tale.

Allergeni che sensibilizzano l’apparato respiratorio:


al primo contatto sensibilizzante l’allergene vinee a contatto con le mucose nasali: cellule che
assorbono l’allergene per poi presentarla ai linfociti di tipo T. Questi rilasciano delle interleuchine
che agiscono sui linfociti B che fabbricano le IgE, anticorpi veri e propri. IgE vengono legate dai
mastociti  presentano le IgE fino a quando non vengono a contatto con l’allergene e lo
riconoscono.
I mastociti possono migrare in altri tessuti. Al riconoscimento degranulano ovvero producono
granuli che contengono i mediatori infiammatori.
Due IgE legano lo stesso allergene: dato dalla multivalenza dell’allergene, altrimenti non avviene la
risposta.

Istamina: agisce come valo dilatatore; nel naso porta a colare.

Per una sensibilizzazione nella barriera intestinale:


allergeni introdotti attraverso il cibo e lo stomaco li processa  una proteina tal quel nell’alimento
potrebbe mascherare l’allergene e resa visibile dallo stomaco. Al contrario enzimi pectici
potrebbero degradare l’allergene.
Le proteine allergeniche passano la barriera intestinale e la proteina legata la cellula B che la
presentano alla T. Le cellule B rilasciano le (video slide)

Due classi di allergie:


 Allergie tipo 1: dovute al fatto che la stessa molecola che genera l’allergia è quella nei
confronti dei quali siamo stati sensibilizzati: sensibilizzazione e effettrice da stessa
molecola. Raro negli adulti. Sensibilizzate nel tratto gastrico. Nei bambini come atopica:
manifestazione nei luoghi del corpo a lontano da dove il corpo è stato a contatto 
orticaria.
 Tipo 2: reazione allergica generata da molecola diversa da quella responsabile della
sensibilizzazione  reattività crociata: IgE generate in sensibilizzazione possono
conoscere una proteina diversa con epitopi uguali o simili a quella della sensibilizzazione.
Prevalente negli adulti. Un esempio è la sensibilizzazione da polline di betulla e allergia nei
confronti delle mele; non è automatico che si diventi allergici alle mele in quanti è un
aspetto soggettivo.

Appunti 13/04/2023
Statistiche: definite come la malattia epidemica del 21° secolo.
 incidenza e prevalenza sono situazioni temporalmente diverse:
 prevalenza: persone che in quel momento hanno quella condizione
 incidenza: persone con una malattia in un determinato arco di tempo.

Prevalenza delle allergie alimentari: 5-8% nei bambini e 1-4% negli adulti. Incidenza annuale: 20-
40% degli adulti nei paesi sviluppati. Questo range è ampio in quanto l’origine delle allergie è
variegata.
In USA circa 200 persona all’anno muoiono a causa di allergie. Importante per l’aspetto delle cure.

83
 Linea azzurra tratteggiata: ricoveri ospedalieri in UK da allergie alimentari dal 1990 – 2000.
Da 5 casi/milione fino a quasi 30 casi/milione  quintuplicati in 10 anni.
 2012 – 2017: il numero di pazienti con allergie alimentari gravi e ricoverati in ospedale sale
da 3500 a 5500 in 5 anni.
Interpretare i dati: sono il risultato di:
1. Allergie alimentari in aumento
2. Migliorato la nostra capacità di diagnosticarle: sintomi che anni fa venivano classificati in
altro modo.
Difficile dire chi influisce maggiormente; agiscono entrambi. Nel tempo anche il personale sanitario
è stato istruito a utilizzare i mezzi per la diagnosi.

Perché le allergie alimentari sono aumentate:


 Ipotesi dell’igiene: facendo meta analisi e cercando un metodo di normalizzazione si
suggerisce che la riduzione di malattie contagiose evoluta come risultato di crescente
utilizzo di pratiche igieniche sembra abbia determinato un aumento di malattie atopiche.
 Esposizione ad agenti ambientali molto forte in passato che ha favorito la risposta delle IgE
a proteine prima innocue;
 Post – covid: con le mascherine si è ridotta l’esposizione ad agenti ambientali.
Bisogna sempre considerare che sono molteplici i fattori che possono influenzare l’incidenza delle
allergie:
 stile di vita;
 fattori ambientali;
 inquinamento: polveri sottili come vettore di sviluppo di nuove allergie;
 dieta: correlata fortemente a un fattore geografico
 fattore geografico – esposizione ambientale: riguardo alle allergie di 2 tipo. La
popolazione centro nord europea è molto più esposta al polline di betulla e di conseguenza
può esercitare una sensibilizzazione primaria e determinare una fase effettrice.
In Italia: si vede una differenza tra nord (allergie 2 tipo) contro il sud (tipo 1).
 rapporto medico – paziente: se consolidato consente di avere una panoramica più ampia
nello sviluppo di allergie.

Ereditabilità delle malattie allergiche:


le statistiche: entrambi genitori allergici  70-80 % di allergia nel figlio; solo un genitore siamo al
30-60%; nessun genitore al 13% nel figlio. Non è detto che i sintomi, le proteine che determinano
la risposta allergica e la localizzazione coincidano con il genitore.

Stile di vita:
valutate 3 allergie: alimentare, cutanea e respiratoria tra popolazione sotto o sopra la soglia di
povertà. Colpiscono maggiormente le fasce benestanti della popolazione.

Allergene: sostanza in grado di produrre una reazione allergica con caratteristiche di multivalenza;
Aptnene: monovalente; da reazione allergica se collegata a una molecola più grande quale una
proteina. Gli zuccheri ad esempio sono epitopo solo con legame alle prot.
Epitopo: lineari o conformazionali
 lineare: dipende dalla sequenza proteica: anche se denaturata l’epitopo rimane.
 conformazionale: epitopo dipende dalla conformazione della proteina. Denaturazione o
digestione pectica la degrada. Alcuni possono essere smascherati dalla denaturazione e
quindi esposti.
84
Si parla di famiglie di allergeni con strutture conservate piuttosto che di funzioni conservate.
Improntanti anche la stabilità a processi termici, chimici e alla digestione (annulla o espone
epitopi).

Nomenclatura: fa riferimento alla specie botanica (nomenclatura binomiale) + numero.


 “Major” o “minor” quando in un sistema di test viene superata o meno la soglia del 50%
di pazienti che reagiscono all’allergene.
si antepone alla sigla r,s,n (slide); r soprattutto in allergeni ricombinanti usati per fare dei test.

Essendo che alcune proteine possono essere ricomprese in ampie famiglie multigeniche o ci
possono essere diversi alleli  la nomenclatura si è evoluta:
 Isoallergeni: entità sequenza aa >60%. Proteine con dimensione simile, identiche funzioni.
Si aggiunge al nome un suffisso numerico.
 Varianti: entità >90%. Sono degli isoallergeni in quanto sopra il 60%. Si utilizza un ulteriore
suffisso numerico oltre a quello degli isoallergeni.
 Forme alleliche: lettera maiuscola dopo il nome dell’allergene

In riferimento al gene che codifica un allergene  corsivo.

Cibi allergenici
Ci si limita a quelli che generano maggiormente reazioni allergiche. In UE sono 14 allergeni; USA e
Canada sono 8.
In UE:
1. Glutine

La lista è nell’allegato 2 del regolamento 1169/2011 con lista delle sostanze e prodotti che
causano allergie o intolleranze (non sono suddivisi). Nei 14 sono definiti ulteriori dettagli riguardo il
singolo allergene come i loro ibridi, prodotti trasformati con le loro eccezioni.

Per ogni alimenti gli allergeni sono differenti. Nel latte:


 Siero: alfa e beta lattoglobulina. Beta resistente alla proteolisi;
 Caseina: termostabile, epitopi lineari

Pesce:
gad c1 è il gene.

Uovo:
 Albume soprattutto
la cottura riduce molto l’allergenicità delle uova.

Crostacei e molluschi: tropomiosina. Responsabile di reazioni crociate tra diversi crostacei.

Vegetali: legumi e frutta secca.


 Arachidi (principale): proteine di stoccaggio some 7S e 11S
 Soia: ricca di proteina. Bet v1 simile al polline di betulla  tipo 2
 Castagne: endochitinasi (enzimi)  coinvolti nella sindrome lattice – frutto: allergici al
lattice soggetti anche alle castagne
Cereali:

85
frutta fresca: non presente nei 14. Spesso allergie associate al polline di betulla e quindi di tipo 2.
Spesso si parla di sindrome orale allergica. Si parla di frutti ella famiglia delle rosacee
(prevalentemente). Qui troviamo quasi sempre gli stessi tipi di allergeni:
 LTP che in vivo trasportano
Tra allergeni di pesco e albicocco troviamo allergeni simili in quanto affini sono le specie
Nell’uva: le TLP le usa per difendersi dai patogeni.
Kiwi: si trovano quelle dei frutti e in aggiunta altre specifiche per il kiwi. Cistein proteasi:
denominata “actinidina” come allergene.
Spesso gli allergeni sono rappresentati da proteine che le piante usano per difendersi.
Sedano: almeno 6 allergeni.
Lupini:

Solfiti: possono essere presenti naturalmente, come nel vino, ma possono essere aggiunti in
produzione per la conservazione. Rallentano i processi di imbrunimento e perdita di colore; usati
anche antibatterici e antifungini. Utilizzo consentito in determinate tipologie di alimenti ma non in
quelli freschi. Presenti nella frutta disidratata.

Strumenti diagnostici
Si sono evoluti in maniera spinta negli ultimi 3 decenni. Inizialmente e attualmente la maggior parte
sono strumenti per allergie di tipo 1: anamnesi e studi sierologici.
Per le allergie di secondo tipo è difficile in quanto devo ricercare proteine ad azione crociata. Si
usano allergeni ricombinanti: produco in vitro le proteine che mi servono, conoscendo la sequenza,
e introducendo il gene in un vettore per produrre la proteina.
Metodi in vivo: sono semplici
 Oral challenge: provocazione orale. Si dà al paziente allergico una quantità ridotta e sotto
controllo medico dell’allergene per verificare che ci sia un’allergia a quell’alimento. Il
principale è il DBPCFC: un preparatore di cibi introduce in un panino dove introduce un
allergene uno senza allergene. Il medico che somministra che il paziente non sanno dove
sia l’allergene (doppio cieco). Nell’altro panino c’è il placebo. Si procede con il test di
provocazione.
 SPT (Skin Prick Test) – test cutanei: si usa una lancetta con la quale si preleva da un
preparato contenente un allergene ricombinante o direttamente dall’alimento (prick by
prick) e lo si mette a contatto con il paziente.
Si misurano le dimensioni del ponfo che si determina a seguito della puntura con la
lancetta. C’è sempre il controllo positivo dato dall’istamina (per vedere che non sia istamina
resistente).
 Uso di modelli animali: suini principalmente in quanto hanno risposta simile a quelli umani

In vitro
 Uso di allergeni specifici fissati su una matrice dove si passa il siero del paziente, che
contrine o meno le IgE specifiche. Quando le IgE conoscono un allergene sulla superficie ci
si legano. Poi si usano IgE per le IgE umane che sono coniugate a un enzima che converte
un substrato dato emettendo fluorescenza. Posso anche misurarla dando quindi una forma
semi quantitativa.
 Immuno-blotting: in gel di poliacrilamide si separano le proteine di un estratto vegetale.
Trasferisco le proteine su una membrana fissandole. Qui ci passo il siero del paziente per
vedere quali allergeni sono riconosciuti. Importante sapere il peso molecolare
dell’allergene.

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 Allergen microarrays: metodologia simile all’immunocap ma con centinaia di allergeni
spottati su vetrini, con spot molto piccoli. Sia aggiunge il siero con le IgE sul vetrino  si
legano agli allergeni che conoscono e vengono poi evidenziati dove c’è stato
riconoscimento tra allergene e IgE. Vengono spottati anche per fare una calibrazione e
vedere se ci sono o meno IgE.

Bioinformatici:
 Si sposta una finestra di 80 aa lungo una sequenza di una proteina. Quando raggiungiamo
una affinità di 35% o almeno di 6 aa identici quella proteina viene definita come allergene
 scopro nuovi allergeni.
Per epitopi conformazionali questo approccio è più limitato.
Per quelli conformazionali si entra in ambiti molto complesso quel quello del modello 3D  avendo
la sequenza conoscere come si posiziona nello spazio.

Protezione dei consumatori


 I pazienti non consumi i cibi verso cui sono allergici: costo maggiore in termini di salute. Se
allergici a molti alimenti non consumano quelli che possono essere essenziali in una dieta.
 Si cerca di identificare dei cibi ipoallergenici: varianti di alimenti che però non siano
allergenici.
Gli allergeni nascosti sono una problematica fondamentale nel quale si sono evolute molto le
normative. Guardare anche al pattern di sensibilizzazione rispetto al livello geografico.
La normativa europea è quella più stringente. Ci sono ancora punti da migliorare:
 “tracce di frutta a guscio”: meglio specificare quale. È una barriera per i consumatori.
 “tracce”: poco indicativo. La soglia per un consumatore allergico può essere molto diversa.
Industria alimentare:
messo a punto metodi di sanificazione che ha portato ad aumentare i costi. Abbinato si sono
evoluti dei metodi di controllo qualità.
 Metodologie biochimiche: rilevazione diretta della proteina allergica
 Metodologia molecolare: rilevo in maniera indiretta  vedo contaminazione del DNA della
specie allergica ma non so se è presente. Si tratta di PCR.
Si parla di:
 Selettività
 Riproducibilità

In genere si usa un approccio di tipo confirmatorio: PCR associata ad altri metodi per vedere se
presente. MS molto usato.

Uso di biotecnologie: hanno diversi utilizzi:


 Produrre allergeni ricombinanti selezionando e identificando i geni di interesse;
 Studio delle basi molecolari dell’allergenicità;
 Nuovi metodi di rilevamento;
 Messa a punto di cibi allergici ipoallergenici;
 Esplorare la biodiversità a disposizione: date a oltre 10 mila varietà di mele posso esplorare
la loro diversa allergenicità
 Studio di fattori che determinano la produzione di allergeni

Mettendo assieme le tecniche omiche si arriva alla “nutrigenomica”

87
Allergeni nelle piante
Sono poche le famiglie che raggruppano gli allergeni nei vegetali. 10 famiglie proteiche che
rappresentano circa l’80% degli allergeni nelle piante (slide). Le prolammine sono le più importanti;
le profiline sono presenti in tutte le piante e hanno la funzione di legarsi all’actina.

Prolammine: famiglia più importante di allergeni. Costituite da proteine di stoccaggio nei semi. Alto
contenuto di prolina e butamina. Trovo anche LTP (trasporto lipidi),inibitori di alfa amilasi e altre
proteine. Nel complesso hanno bassa similarità nella loro sequenza ma con struttura alfa elica
molto simile tra loro. Presentano 8 cisteine in posizioni conservate  formano ponti disolfuro.
Problemi principali: molto stabili termicamente che della degradazione proteolitica.
Ritroviamo le albumine 2S: stoccaggio nei semi di molti dicotiledoni; formano etero-dimeri tra loro
(non sono da sole).

LTP: molto piccole. Funzionano come trasportatori di lipidi: cavità idrofobica che si forma grazie a
4 ponti disolfuro tra le 8 proteine presenti. Solitamente si accumulano negli strati epidermici dei
frutti (buccia)  sono cutinizzati: costituiti da insieme di acidi grassi che sono portati dalle LTP. Per
gli allergici basta sbucciare il frutto. Resistenti alla proteolisi, pH, slide. Appartengono alla classe
PR-14. Le troviamo in molti prodotti vegetali (slide).
Nella nomenclatura: avendo la A come iniziale del secondo nome si aggiunge una seconda lettera.

Inibitori di amilasi e proteasi: proteina di difesa che scoraggiano l’attacco di insetti inibendo la
digestione del substrato da parte dell’insetto stesso.
Hanno dei ponti disolfuro. Allergeni in seguito che ingestione o inalazione.

Prolammine: glutenine e gliadine sono proteine di riserva; costituenti del glutine.


Cupine: funzionalmente diverse tra le piante ma ubiquitarie. Possono legare ormoni.
Termotolleranti.

Profiline: nel citoplasma, come partner dell’actina. Regolano le dinamiche del citoscheletro durante
le divisioni cellulare, anche come segnale. Si trovano solo nelle piante che portano fiore. Identità
tra loro dal 70 all’80%. Sono in tutti gli eucarioti ma quelle delle piante hanno evoluto
caratteristiche che le fanno diventare anche allergeni. Sensibili alla denaturazione termica e
digestione gastrica  difficile trovarle come allergeni maggiori, di solito sono come aggiuntivi.

Bet v1: nel polline abbiamo 7 diverse; 13 loci genici. Tutte le dicotiledoni e alcune monocotiledoni.
Trasportano ormoni quali le citochinine. L’espressione dei geni che le codificano è sotto il controllo
di stress come ferita, patogeni o altro. 4 famiglie all’interno pr-10; mmpl (slide)

Ipotesi di allergenicità
1. Scenario 1: la caratteristica di allergenicità fosse intrinseca in una proteina ancestrale
comune tra diverse proteine. Poi evoluti e differenziato in proteine diverse. La famiglia delle
prolammine è a supporto di questo scenario
2. Scenario 2: allergenicità emersa tardivamente e casualmente solo in alcune famiglie
proteine. Un esempio è quello delle profiline delle piante.

Altri allergeni:
 CCD: zuccheri come determinanti allergenici.
 Pesca: pemacleina

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CCD: n-glicane che nelle piante e glicoproteine di insetto funzionano come determinanti
monovalenti di allergenicità. Troviamo IgE che si legano ai determinanti zuccherini nel 15-30% dei
pazienti che hanno un’allergia.
Presi singolarmente abbiamo sintomi poco rilevanti. Ma coniugati a una proteina fanno sì che
questa assuma la proprietà di multivalenza e acquisti la capacità di allergene.
Gli zuccheri più importanti: fucosio (insetti) e fucosio + xilosio (piante). Si dibatte sulla soglia di
conferimento della capacità allergica dei glicoallergeni rispetto al singolo allergene proteico.

Le strutture di n-glicani delle piante sono importanti  fucosio + xilosio. Per un n-glicano rilevante
nella reazione allergica è importante anche la catena: può mascherare il fucosio e rendere meno
allergico quel complesso.
Capire se il glicano viene riconosciuto in toto da una IgE o riconosciuti separatamente.
Per far sì che un determinante carboidrato sia allergenico deve avere la multivalente: cross link tra
due IgE sui mastociti che riconoscano l’allergene. Impossibile se ho un solo ccd + zucchero senza
fucosio o xilosio o ccd+ccd con catena lunga che li maschera. La multivalenza la abbiamo su art
con 2 epitopi glucosici o due ccd con proprietà per dare multivalenza (vedi meglio slide).

Appunti 18/04/2023

Allergeni – caso studio del melo


Aspetto multidisciplinare nello studio di un allergene nei frutti: ambito immunologico, allergologico,
aspetti legati alla biochimica (in quanto le proteine sono allergeni). Considerare anche l’interazione
con altre molecole che ne possono cambiare l’allergenicità.

Allergeni della mela:


3 dei 4 allergeni identificati erano proteine patogeno-correlate: proteine che nel frutto possono
essere prodotte o indotte in seguito alla sovraespressione dei geni corrispondenti dovute a cause
biotiche o abiotiche. Ci sono 17 classe di proteine patogeno-correlate nei meccanismi di difesa.
Sono meccanismi costitutivi, non specifiche per patogeno ma è la prima difesa messa in campo
dalle piante. Si tratta in genere di proteine ad attività enzimatica. La loro funzione difensiva sta nel
fatto che cerca di attaccare componenti che sono nel patogeno stesso.
I target di queste pr-prottein sono vari. Nel melo sono i pr-10 con attività simil ribonucleasica:
distruggono il DNA di un patogeno. Alcune sono indotte da un patogeno altre sono già presenti.
Si è visto che hanno dei ruoli biologici importanti; sono diversificati e derivano dal numero di geni
che codificano per le pr-10. Sono proteine piccole, resistenti alle proteasi.
Rientra anche bet v1: allergene del polline di betulla.
Le pr-10 sono proteine di difesa per le piante ma possono generare reazioni allergiche negli
umani: sindrome orale allergica principalmente. Irritazione delle mucose orali.
Hanno attività antimicrobica; fungicida; antivirale. Hanno un ruolo nello sviluppo del polline. Ruolo
nella crioprotezione.
Struttura tipica con delle “firme” soprattutto nel loop4, nel beta-sheet. Una volta che si ripiega la
proteina presenta una cavità dove si possono legare dei ligandi  soprattutto alcuni ormoni.
Trasporta quindi ormoni quali le citochinine: sono proteine che danno fastidio al soggetto allergico
ma sono fondamentali per la pianta. Le citochinine permettono il controllo e promozione cellulare,
regolano l’allocazione dei nutrienti (forza di sink), stimolano l’attività vegetativa: mette in crisi i frutti
e l’albero risponde mollando i frutti in eccesso.

Studio: silenziare mal d1, uno dei principali allergeni della mela per i nord-europei in quanto ci
sono più betulle. Il problema stava nel fatto che le linee transgeniche producevano pochi frutti. Si

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tratta di un prodotto che trasporta citochinine e quindi fondamentale per la produzione di frutti da
parte dell’albero
 ancora oggi non è ben chiaro quali siano gli epitopi che determinano le reazioni allergiche.

Allergeni slide
1. Mal d4 non è una pr-proteine

Tra i fattori che influenzano l’allergenicità nelle mele:


2. Attività polifenolossidasica (chimica): ossidano i polifenoli in più stadi  o-difenoli e poi
chinoni che rappresentano l’imbrunimento delle mele. Quando tagliamo le polifenolossidasi
entrano in contatto con i loro substrati.
Questo imbrunimento può dare fastidio  silenziati i geni delle polifenolossidasi: “Arctic
Apple”: non presenta imbrunimento.
Problema: i fenoli ossidati si legano a mal d1 e ne mascherano gli epitopi  le mele che si
ossidano di più sono anche quelle meno allergeniche.
Dopo diversi anni non è stato provato che abbiano un potenziale allergenico maggiore rispetto alle
altre.

Studio: su 24 varietà di mele con genotipi più o meno antichi e più o meno recenti: pre e post
“green revolution”. Si è valutata
l’allergenicità separatamente per
buccia e polpa (in quanto differente).
Procurato i sieri dei pazienti allergici
per mal d1 o mal d3, allergie tipiche
per centro nord Europa e area
mediterranea. Ottenuti degli anticorpi
policlonali per quantificare la proteina
e i sieri per determinare quanta della
proteina dava allergia.
Messo assieme i dati attraverso un’analisi dei componenti principali: mettono assieme le variabili
tra loro correlate e le si fa confluire in una variabile  componente principale.

A destra le varietà pre revolution; a sinistra quelle più nuove data dalla maggiore allergenicità delle
varianti più nuove rispetto quelle più antiche. Quelle più in alto sono più allergiche per mal d1 e
quelle sotto per mal d3.
Si è andato a vedere se questo rispecchia la realtà: alcune varietà del gruppo di quelle meno
allergeniche contro alcune di quelle più allergeniche. Dopo prick test sui pazienti si è ottenuto che
le varietà più antiche sono quelle che hanno dimostrato minore allergenicità. Il numero in tabella è
stato normalizzato sul controllo positivo ottenuto sull’istamina.
Aspetti negativi sono che tra quelle meno allergeniche le mele hanno poco mercato in quanto
meno attraenti per il consumatore.
Guardando al profilo fenolico: le mele più antiche sono quelle che hanno il miglior profilo fenolico;
anche per questo si ossidano più velocemente. In passato quindi si sono selezionate delle mele
più allergeniche.

Fattori pre-raccolta che influenzano la qualità

Pre-raccolta:
fattori che influenzano l’aspetto (dimensione, forma, colore, difetti):

90
1. Fattori legati all’albero e alle inibizioni correlative: carica dei frutti, posizione del frutto nella
chioma e/o nell’infiorescenza, alterazioni della crescita). ESAME: fattori endogeni sono luce
e temperatura (?).
Solo il diradamento è considerabile fattore esogeno nella carica dei frutti.
Relazione carica fruttifera e peso: all’aumentare della carica diminuisce il peso dei frutti. Il modo in
cui l’albero risponde a una variazione del carico dei frutti: risposta netta o meno  la Pink lady non
risponde molto al diradamento; Fuji risponde molto al diradamento. Rientra anche l’apporto
nutrizionale dei frutti: meno ce ne sono più i frutti sono dolci: gli assimilati della fotosintesi sono
divisi tra meno frutti. (diradamento è esogeno).si diradano anche quelle che rispondono meno:
2. Migliora la qualità
3. Riduce l’inibizione dell’induzione floreale: per specie arboree. Quando iniziano ad esserci i
frutti che si stanno differenziando e che stanno sviluppando le gemme che l’anno dopo
daranno i fiori e i frutti. Queste si sviluppano anche in base a fattori ormonali legati alla
presenza dei frutti  più frutti sono presenti nell’albero maggiori sono le gemme che si
stanno differenziando (?). Riducendo i frutti riduco l’inibizione dei frutti sulle gemme che si
stanno differenziando. Elimino l’alternal bearing (alternanza di produzione).
La specie che trae maggior vantaggio dal diradamento è il melo:
 Manuale: in realtà piccole
Importante la tempestività nel diradamento: il momento in cui i semi all’interno dei frutti esercitano
l’inibizione delle gemme è quando i frutticini sono piccoli  intervengo prima che i semi inibiscano
le gemme, se troppo tardi l’inibizione è già avvenuta.
In realtà: gran parte della pezzatura alla raccolta è determinata dal numero di divisioni cellulari che
ho all’inizio dello sviluppo. Devo cercare di rimuovere i frutti prima che si concluda la divisone. Per
questo nel melo si interviene molto presto:
Diradamento chimico: quando il frutto centrale è di 5-6 mm. Con NAD, NAD più tardi, BA verso i 10
mm e Brevis fino ai 20 mm. Il grosso del diradamento deve avvenire prima dei 12 mm. È selettivo:
elimino i frutti più piccoli . si basa sul fatto che il frutto al centro è quello che si sviluppa per primo.
Quello al centro è più forte. Alle auxine (primi due) ci sono delle diverse sensibilità  spingo la
capacità di attrarre assimilati: quello al centro ne chiama di più. La BA stimola la crescita del
germoglio penalizzando i frutti. Generalmente a usando tutti i prodotti chimici faccio cadere in serie
un frutto più piccolo. Col Brevis blocco la fotosintesi. In genere si fanno almeno 2 o 3 trattamenti
diradanti. In genere si usa il NAD (auxina). La difficoltà sta nel prevedere l’effetto finale.
 Se i laterali sono simili al centrale ci sarà una minore gerarchia: quello centrale avrà meno
capacità di attrarre assimilati in maniera preferenziale.
Poi si fanno rifiniture a mano; per dare maggiore sicurezza nell’eliminazione dei frutti.
 Meccanica: attraverso dei pettini rotanti che distruggono i fiori. Questo non è selettivo.

Alternanza e qualità di produzione  aspetti da considerare sempre.

La Fuji reagisce molto al diradamento. La diversa capacità di reagire al diradamento lo si vede nel
profilo genetico e anche nella conservabilità del frutto. La Pink lady si riesce a conservare molto
più a lungo.

Effetti del diradamento sulla qualità alla raccolta:


 Trattamento precoce
 Trattamento tardivo: effetti importanti
sulla cascola ma con dimensioni
importanti del frutto.

91
Gli alberi che diradi di più porta i frutti che maturano prima in quanto la maturazione è un processo
che consuma energie e in questo caso sono maggiormente distribuite. Si ottenne più zuccheri e
più amido, e quindi anche più zuccheri in quanto derivano dalla sua degradazione. Per le drupacee
c’è il problema che non ci sono dei diradanti chimici: quelli presenti hanno azione causticante nei
fiori ma non si parla di azione specifica. Possibile quella meccanica e quella manuale che però
determina un costo elevato della produzione. sta per essere registrato un diradante a base ACC
quale precursore dell’etilene: applicato in fioritura, in assenza di foglie che altrimenti porterebbe a
un effetto necrotizzante.
Nel melo, il prodotto a base ACC, lo si applica fino ai 25 mm. Essendo identico a quello della
pianta non rimangono residui finali.

Diradamento albicocco: attenzione al rapporto zuccheri/acidi che non deve sbilanciarsi troppo
verso i primi.

Appunti 19/04/2023
Diradamento – effetti colore: considerando le mele con pigmentazione antocianica superficiale:
alberi con carico più sopportabile riescono a far sviluppare la colorazione in maniera migliore. Gli
antociani derivano dal metabolismi secondari che però dipendono da quelli primari.
Aspetti che riguardano la qualità visiva: pezzatura e colore.

Altri aspetti visivi: il diradamento, a seconda della fase in cui sono effettuati, possono determinare
effetti sulla forma del frutto: nella mela Golden: anche in relazione al corimbo ovvero posizione
dell’infiorescenza. Non solo in relazione a quanto è in grado di attrarre assimilati  il vantaggio si
può tradurre anche in termini di inibizioni correlative ovvero le interazioni che sussistono tra i vari
organi: il frutto centrale ha un vantaggio sugli altri frutti e anche sulla produzione di ormoni  sulla
base di come sono prodotti questi ormoni gli altri frutti possono subire effetti sulla forma dei frutti,
soprattutto per trattamenti effettuati sul fiore.
Non sempre un diradamento rimuove i frutti laterali, può essere che cascoli un frutto centrale 
ottengo un frutto che era laterale nel corimbo e quindi con una forma atipica.

Pezzatura – qualità: in ambito qualitativo è trattata in maniera approfondita. Sono date delle
disposizioni stringenti con precisazioni sul
 “calibro”: slide
Se viene definito come diametro o come peso  ne derivano diverse tolleranze:
diametro: 5 mm per la categoria extra
peso: differenze a seconda del peso

A determinare importanti differenze: posizione del frutto nella chioma: importante per il frutticoltore
a partire dalla pianta fino ai trattamenti che vengono effettuati. La ricerca è una più accentuata
possibile omogeneità che si avvicini agli standard qualitativi maggiori.
Quelli più in alto nella chioma sono quelli più esposti alla radiazione luminosa: maggiore
colorazione e ben fornito nell’apporto di fotosintati  si accresceranno di più e con parametri
composizionali migliori.
Quelli che si posizionano più in basso avranno delle caratteristiche peggiori.
Una potatura verde in prossimità della raccolta può aiutare una raccolta; anche la scelta di
allevamento aiuta: forme “a parete” aiutano a una migliore esposizione della radiazione e
favoriscono un trattamento con fitoregolatori.
Per i trattamenti diradanti: le parti alte sono quelle più difficili: un carico di frutti eccessivo nelle parti
alte della pianta possono portare a delle rotture, si procede in genere con diradamento manuale. Il

92
trattamento con giasmonati ha effetti differenti tra i frutti che si trovano più all’interno rispetto a
quelli esterni.
I frutti meno colorati vengono lasciati di più sull’albero per favorire una
maggiore colorazione considerando che possono avere accesso a un
migliore nutrimento.
I frutti in cime sono quelli che prendono meglio colore ma ne abbiamo
pochi in cima. Si tentò di usare dei teli riflettenti  costosi ed effetti
limitati.

Condizioni climatiche – aspetto frutti


Nella crescita si modifica la lunghezza relativa quale
lunghezza/diametro. Risente molto dalle condizioni ambientali:
 T notturne nelle prime fasi di crescita del frutto: se alte
bruciano molti fotosintati accumulati nel giorno; se basse fanno
crescere molto il frutto  differenze nel quadro ormonale. Il
quadro ormonale cambia quindi e può presentarsi in momenti
diversi per uno stesso frutto.
Il rapporto si stabilizza molto presto nella mela.

Parametro importante: definite elle forme ideali/accettabili per le mele  influenza il valore
economico dei frutti.
Messi a punto dei trattamenti ormonali con gibberelline per influenzare la forma del frutto, riducono
anche la rugginosità del frutto. Vengono poi eliminate alla fine. Porre attenzione in quanto ci
possono essere delle deformazioni che derivano da un trattamento fatto male o anche dalla
distribuzione dei semi nel frutto.

Effetto luce diretta:


 Faccetta rossa: dipende anche da fattori nutrizionali;
 Nella stessa varietà: importanti effetti sulla pigmentazione del frutto. Quello scolorito non
può essere indirizzato all’industria.
 Parametri desiderabili
 Ustioni o Sunburn: in diverse tipologie di frutti. Possono portare anche a marcescenze dove
l’esposizione risulta eccessiva. Soluzioni con reti ombreggianti o reti antigrandine
fotoselettive.
Gelate primaverili: lasciano segni diversi dalle gelate tardive. Studi finalizzati a capire se i frutti con
questi difetti estetici valesse la pena destinarli all’industria come scarto o considerarli ancora per il
consumo fresco  emerso che:
 In prossimità della lesione della gelata primaverile ci sono differenze composizioni nella
parte gelata: meno flavonoidi e antocianine; più diidrocalconi;
 La polpa: più fruttosio, acidi idrossicinnamici slide
Le gelate tardive si posizionano più all’estremità calicina del frutto.

Possibili soluzioni: irrigazione soprachioma: sfrutta le basse temperature per far sì che queste
disperdano la loro energia per contrastare gli 0°C piuttosto che contro le temperature sotto zero
dell’ambiente. Si cerca di conservare le strutture nel ghiaccio  limito i danni ma non li azzero.

Incidenza dei fattori ambientali – difetti visibili:

93
si tratta anche delle fisiopatie. Si possono determinare in pre raccolta che post raccolta 
interazione di fattori pre raccolta con il difetto del post raccolta. Alterazioni fisiologiche che
dipendono dal momento della crescita in cui intervengono fattori ambientali.
 Nella fase finale di crescita – T eccessive: per pesco  imbrunimenti nel mesocarpo.
Eliminati alla selezione per la messa in commercio.
 Vitrescenza nelle pomacee: partono dai tessuti ovarici o aree traslucide anche in zone
diverse. Sono il risultato di gradienti di temperature che alterano la permeabilità delle
membrane e quindi fuoriuscita dai tessuti  sorbitolo che viene riversato nell’apoplasto.
Soprattutto in estati calde con stress idrici.
 Pesche – scatolatura: alterazioni interne e quindi visibili solo al consumo. Mancanza di
aderenza tra endocarpo e meso carpo: la polpa non aderisce all’endocarpo lignificato.
 Split pit: non sempre presente. Esternamente uguale alla scatolatura. È una spaccatura
dell’endocarpo: seme ammuffito in quanto l’endocarpo non è ben saldato e non protegge il
seme  sviluppo di muffe.
Riconducile alle varietà precoci di pesco e nettarine; anche susine. Nelle varietà precoci
perché la lignificazione si verifica altrettanto precocemente ma non si completa con una
tempistica adeguata a evitare che la spinta del mesocarpo vada a disturbare la
lignificazione dell’endocarpo.
 possibili soluzioni:
 Agire opportunamente nell’epoca di diradamento: se lo posticipo il mesocarpo cresce più
lentamente e dà maggiore tempo all’endocarpo di accrescersi e quindi non si danneggia
dal mesocarpo
 Evitare irrigazione dopo diradamento: evita che il mesocarpo spinga troppo nel mesocarpo.
Cracking: nelle ciliegie. Da eccessi di precipitazioni. Da contatto diretto acqua – buccia che
indebolisce quest’ultima determinando spaccature.
 Soluzioni: reti antipioggia.

Screpolature: altro difetto.

Alterazioni da fattore interno  stato nutrizionale: risente da fattori esterni quali la concimazione.
Spaccature: da squilibri nutrizionali. Il più importante è il potassio, assieme a calcio e magnesio.
Grafico accumulo potassio.

Butteratura amara: squilibrio nutrizione minerale: contenuto basso di Ca  rapporto K e Mg / Ca:


 >30: rischio di comparsa maggiore
Altri fattori che aumentano il rischio della butteratura:
 Rapporto foglie/frutti: se alto (tante foglie)
 Crescita vegetativa intensa: correlato a quello sopra.
Si tratta di tacche necrotiche che rientrano nella buccia: tollerabili nei frutti di seconda categoria e
possibilmente presenti nelle categoria superiori in maniera limitata.

Carenze di magnesio:
determinanti per l’uva: disseccamento del rachide.

Nutrizione azotata: attenzione agli eccessi; soprattutto per pomacee  aumento dell’incidenza del
riscaldo superficiale.
Se apportata troppo in prossimità della raccolta  riduzione della pigmentazione nelle mele
pigmentate e conservabilità minore.

94
Un eccesso porta a:
 Riduzione del colore: con entità diverse  10-20%
 Riscaldo più frequente: raddoppia nella frequenza
 Producono più etilene: maturano più velocemente
 Suscettibilità: in alcune varietà a peronospora e Botrytis

Risentire di diversi fattori:


 Posizione del frutto;
 Della carica del frutto
 Dei nutrimenti del suolo
 Dell’apporto idrico

Sono influenzati:
 Colore
 Composizione del frutto

Epoca di raccolta:
 Se troppo immaturo: scarsa pigmentazione
 Se troppo maturo: presente ad esempio della farinosità.

Fattori genetici – interna all’albero


 Legata alla cultivar e portinnesto per le arboree
 Partenocarpia
 Efficienza di impollinazione dei fiori

Efficienza di impollinazione dei fiori: sviluppo dei semi in maniera non omogenea, differenza nella
forma. Siti ovarici che presentano semi oppure no. Lo sviluppo dell’embrione richiede degli ormoni:
 Sviluppo attivo: l’embrione se li produce: citochine e auxine. Sono anche esportati nei
tessuti in prossimità dei semi: ricettacolo della mela attorno ai tessuti ovarici. La cortex
risente di questi ormoni e di conseguenza ne risente anche il suo accrescimento 
sviluppo cellulare e di conseguenza la polpa in prossimità dei semi si accresce in maniera
diversa rispetto a quelle in prossimità dei loculi ovarici privi di semi.
Difetto simile al trattamento con gibberelline  uguale ma in questo caso è un fattore
endogeno.
 l’asimmetria può essere data da:
 Casualità: mancanza di impollinazione e fecondazione;
 Ovuli abortiti e quindi non fecondati anche se sono stati impollinati.
In ogni caso il numero dei semi dipende dall’impollinazione.
Impollinazione: chiedi definizione data a lezione

la presenza del numero di semi:


 Forma: regolare o meno
 Disfacimento: sulla sua incidenza
Nella mela possiamo avere non più di 10 semi: 2 ovuli con 5 loculi ovarici. Raro averne 10. Meno
semi possono determinare una variazione dalla forma e quindi meno frutti con forma accettabile.
Cambia anche la frequenza con cui avvengono i fenomeni di disfacimento interno (pre e post
raccolta).
Il numero dei semi ha un effetto diverso in base alla cultivar.
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Fattori pre – raccolta – gusto, sapore, aroma, consistenza

 Fattori genetici: (sopra): sul profilo aromatico. Gli esteri volatili nel melo variano durante la
maturazione ma anche nel post raccolta.
 Epoca raccolta - Mele Gala – raccolte in 3 settimane: una sola settimana di differenza di
raccolta dei frutti incide negativamente nei composti. Anche se eccessivamente tardiva:
possibile diminuzione del contenuto di questi composti
 Altitudine: variandola cambia la T, l’esposizione alla luce e qualità della luce: aumentando
l’altitudine varia la schermatura ai raggi UV. Golden risentono molto agli UV. La
pigmentazione antocianica dipende molto dall’UV-B e quindi ritroviamo più frequentemente
la faccetta rossa.
In termini di peso fresco: quelle da altitudine hanno un peso maggiore e sono molto più
uniformi. Anche l’acidità titolabile e i gradi Brix sono migliori nelle mele che sono coltivate a
maggiore altitudine.
In termini aromi totali le mele conservate più a lungo presentano molte di più. Quelle coltivate a
quota maggiore presentano la qualità maggiore già alla raccolta. Le differenze in termini di
altitudine con la conservazione vengono limate.
 Nutrizione e fertilizzazione: effetto sulla consistenza dei frutti. Concimazione con CaCl  si
riporta l’effetto di 4 o 8 applicazioni nelle mele poi conservate. Le 4 applicazioni
determinano una variazione minore. La disponibilità di Ca determina una differenza nella
consistenza. Il Ca interagisce con i polimeri di parete  variazione strutturale che si
traduce in una variazione della consistenza.
 Disponibilità idrica: in termini sensoriali. Nel grafico la disponibilità è presentata come %
dell’evaporazione totale. Nel 94% è il punto dove ci si avvicina di più alla quantità
realmente necessaria alla pianta. Apporto idrico in relazione alla qualità finale della
produzione
 Rapporto frutti/foglie: s.s. totale e solidi solubili sono molto correlati tra loro. Misurati a tre
livelli di carico fruttifero. Gli zuccheri variano di 3 punti percentuali da meno frutti a più frutti.
Lo stesso anche per la diminuzione dell’acidità titolabile e della sostanza secca totale.
Maggiore è la disponibilità di assimilati migliore è lo status nutrizionale  sviluppo di
caratteristiche migliori come zuccheri e acidi organici che si traduce in disponibilità di
scheletri di carbonio per composti aromatici.

Uva – produzione alcol: minore è la produzione maggiore è il contenuto zuccherino e quindi l’alcol
ottenuto dalla fermentazione.

Appunti 26/04/2023
Esercitazioni: 16/05 17/05 24/05 25/05 01/06. Indici di maturazione.
19/05 visita didattica

Post-raccolta

Si affrontano problematiche che molto spesso sono il risultato di qualcosa che è successo nel pre
raccolta ed è sfuggito ai controlli con ricadute qualitative e quantitative. Le perdite quantitative
hanno un riflesso dagli stadi iniziali della filiera: direttamente per il frutticoltore in quanto parte della
produzione presenta dei difetti.
Bisogna considerare però la filiera fino al consumatore  diversi aspetti che possono determinare
un calo nella qualità.

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In post raccolta le problematiche possono determinare anche una diminuzione di valore calorico e
nutrizionale.

Dal punto di vista pratico le perdite che si verificano nel post raccolta sono date da cambiamenti
non attesi del prodotto e che escono dai canoni delle schede tecniche e dei disciplinari.
La perdita quantitativa rappresenta una perdita di cibo; quella qualitativa in materia organolettica:
 Colore,
 Carboidrati
 Aroma
 Idratazione
 Consistenza

Allontanandosi dal problema queste perdite hanno riflessi secondarie in quanto vi è un


investimento di materiali, energia, denaro, forza lavoro per ottenere un prodotto che viene poi
scartato. I prodotti scartati devono essere immessi in percorsi che portano alla loro distruzione o a
utilizzi secondari come quelli dell’industria della trasformazione.
La food security rappresenta il problema della disponibilità di cibo che viene intaccata dalle perdite
in post raccolta.

La deperibilità riguarda una certa categoria di prodotti; rispetto a cereali e oleaginose e


proteaginose:
 Alto contenuto di acqua
 Dimensioni unitarie: maneggiare pomodori rispetto a cereali è differente. Si passa da circa
1 g della granaglia fino a diversi kg per i cocomeri.
 Alti livelli di respirazione: confrontandoli in termini energetici (J) siamo a circa 10 volta
sopra quelli della granaglia
 Consistenza: dipende dall’idratazione del prodotto  determina un’elevata suscettibilità a
stress meccanici
 Deperibili: minore durata della conservazione. La granaglia può superare anche un anno.
Per i prodotti deperibili si arriva al massimo a un anno
 Suscettibilità ad attacchi di patogeni: anche per la granaglia ci può essere questo problema
con la presenza di micotossine.

Percentuali di perdite
Dipende dalla suscettibilità del prodotto e dalla capacità di combattere gli attacchi che portano alla
perdita. Per le fragole si parla del 15% mentre per le patate si arriva al 5% massimo; queste hanno
un elevato contenuto di amido rispetto alle fragole che hanno invece un elevato contenuto di
zuccheri e un profilo acidico che consentono uno sviluppo microbico. Guardando alle cause delle
perdite:
 Arance: molto le cause fisiologiche rispetto ai danni fisici;
 Pesche: molto suscettibili ai danni fisici
 Fragole: oltre ai danni fisici abbiamo anche gli attacchi dei patogeni
 Mele – lattuga: le cause fisiologiche sono quelle maggiormente responsabili di perdite in
post raccolta.

Deperibilità e conservabilità (tabella slide): classifica secondo la loro deperibilità relativa e il


potenziale di conservabilità in aria in condizioni ottimali (non si considera in tabella l’atmosfera
controllata). Viene rappresentato in settimane:

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 Deperibilità alta: drupacee, bacche (mirtilli, lamponi, ecc…), ortaggi da foglia (lattuga),
broccoli, funghi (difficili da tra trattare in post raccolta),
 Deperibilità bassa: frutta secca
 Nel mezzo: prodotti con problematiche risolvibili

Classificazione sul tipo di organo: riportate le principali cause di perdita nel post raccolta e di
deperimento qualitativo:
 Radici: danni meccanici
 Vegetali da foglia: avvizzimento, ingiallimento, velocità elevate di respirazione
 Frutti consumati immaturi (rispetto alla maturazione fisiologica): sovramaturazione alla
raccolta. Difficolta per un metodo non distruttivo che valuti il livello di maturazione.
 Frutti consumati maturi: stress da sfregamento è la principale causa; importante il
maneggiamento alla raccolta.

Nel complesso il problema principale delle perdite in post raccolta è il fatto che abbiamo a che fare
con prodotti vivi  ha necessità di energia e quindi deve respirare. La respirazione stessa è uno
fattori interni che porta a delle perdite. I normali metabolismi che continuano ad essere attivi nel
prodotto vegetale porta a bruciare substrati, a produrre co2, calore latente. Anche tutti i processi
enzimatici attivi al momento della raccolta portano a cambiamenti attivi a livello enzimatico 
cercare metodi per rallentarli.
Può avvenire inoltre
 un cambiamento morfologico dei prodotti (disidratazione) oltre che cambiamenti del colore
 senescenza

tra i fattori esterni ritroviamo:


 temperatura: anche la bassa temperatura può provocare danni: da freddo e da
congelamento
 danni fisici: dalla raccolta alle fasi successive
 patogeni
 composizione dell’atmosfera
 luce
 gravità: frutti ammassati nei contenitori  sono prodotti per ottenere un riempimento che
non porti a questi danni fisici
 roditori

stress meccanici – fattori esterni


danni superficiali da attrito. A differenza di quelli da ammaccamento questi sono carico delle cellule
epidermiche (ovvero strati superficiali). Lo stress da impatto causa una crepa che si osserva sulla
superficie.
Altri effetti sono le ammaccature: possono risultare visibili già dall’esterno per mele e pere senza
pigmentazione oppure meno visibili per mele con pigmentazione in superficie, fino a divenire quasi
invisibile.

Le perdite della filiera


Ogni passaggio può essere soggetto a delle perdite (schema slide). Ad esempio nella selezione ci
possono essere degli sfregamenti che possono poi introdurre in filiera dei prodotti che dovrebbero
essere scartati. Ogni passaggio comporta uno stoccaggio. Nel trasporto bisogna considerare

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anche gli eccessi di calore e gli eccessi di freddo. Anche il consumatore può determinare una
perdita se non conserva correttamente il prodotto.
Le fasi quindi da considerare sono varie. Tutte necessitano dei controlli al fine di mantenere dei
livelli qualitativi per limitare le perdite. Ad esempio per il pomodoro il mercato secondario prevede
la trasformazione o l’alimentazione animale. nei paesi avanzate per il pomodoro le perdite non
possono superare il 25% mentre in quelli in via di sviluppo sono ammesse dal 25 al 50%.

Tabella circa una prospettiva globale della produzione e delle perdite nei paesi meno sviluppati: si
arriva a perdite stimate anche dell’80 – 100%. Soprattutto per produzioni importanti come le
banane.

La metà delle perdite sono attribuibili al consumatore.

Regole per mantenere la qualità nel post raccolta (ordine di importanza):


 stabilizzare rapidamente e in maniera efficiente le temperature: portare il prodotto a una
temperatura a lui ottimale che poi venga mantenuta per un tempo adatto a mantenere
intatte le caratteristiche del prodotto.
 Agire sull’umidità relativa: incide sulle perdite d’acqua. Ha effetti anche sull’attacco dei
patogeni
 Evitare danni meccanici: contenitori che permettano di contenere senza problemi il prodotto
ma anche la struttura del contenitore stesso. Utilizzare mezzi di trasporto adeguati
 Mantenere il prodotto pulito e isolato da patogeni
 Tempestività di questi trattamenti

Temperatura
La velocità con cui portiamo il prodotto a quella
ottimale deve essere massima. La velocità
dipende anche dalla dimensione del prodotto.
Nel grafico è rappresentata la differenza tra
temperatura interna rispetto a quella dell’aria
circostante  bisogna sapere per quanto
tempo bisogna mantenere quella temperatura
per raggiungere quella ottimale al centro.
Raddoppiare il diametro porta quasi a triplicare
il tempo per raggiungere la stessa temperatura.

Pre-cooling
Si basa su aria forzata o su una cella
refrigerata. Quello più efficiente è l’hydro-
cooling ovvero usando acqua
Hydro-cooling: importante la qualità dell’acqua. Ha un’efficienza diversa a seconda degli spazi
interni: per il peperone è più facile raffreddare lui rispetto all’aria attorno ai limoni.

Costi ambientali delle perdite post-raccolta


Oltre al fatto quantitativo bisogna pensare a tutto l’investimento che viene fatto per ottenere quel
prodotto: terreni utilizzati, prodotti chimici (con riflessi nei consumi per il loro ottenimento), energia
usata a partire dal trattore all’energia elettrica per la cella e tutti gli input che mettiamo nella filiera.

Etilene – perdite post-raccolta

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Lungo la catena di approvvigionamento si ha una forbice di 60-80 kg di prodotto/pro-capite che
viene perso. L’origine di queste perdite include diverse fonti: consumatori finali, mense e
supermercati arrivano quasi al 65% delle perdite totali.

Circa il 50% delle perdite (come cibo complessivo) interessano i prodotti di origine vegetali  tra le
cause principali troviamo l’etilene.
Bisogna quindi cercare di ridurre i livelli di etilene:
 Abbassando la temperatura di conservazione
 1-MCP
Non c’è un livello sicuro sotto il quale si può pensare che l’etilene non causi problemi. Si era posta
la soglia dei 100 ppb con riferimento alle mele.
La fonte di etilene che può rappresentare la perdita di prodotto non sempre può essere data dal
prodotto ortofrutticolo in se.
Tra i diversi passaggi nella filiera ritroviamo:
 Gas di scarico: mezzi di trasporto e altri mezzi di movimentazione.
 Frigo domestico: da altri prodotti che producono etilene
Si arriva anche a livelli che superano il limite dei 100 ppb.

Cinque principali candidati alle cause di perdite in post – raccolta


 Acquistare un prodotto in quantità eccessive
 Mense: perdite maggiori rispetto ai supermercati dove la perdita è il non venduto
 Utilizzo di etichettature che possono determinare conseguenze che portano allo scarto:
“consumare entro …”  prodotti ancora edibili che vengono scartati
 Perdite da selezione fatta in campo: dipende dalla capacità e dal livello tecnologico che si
adotta

Fisiopatie nel post – raccolta


Possono determinare perdite molto rilevanti. Una delle caratteristiche principali valutate dal
consumatore  assenza di difetti. Possono essere dati da:
 Fattori biologici
 Fattori ambientali
 Materiali estranei e sostanze chimiche che danno difetti
 Fattori fisiologici
 Danni meccanici
 Aberrazioni genetiche

Qualsiasi stress a cui vanno incontro i prodotti ortofrutticoli possono determinare degli scadimenti
qualitativi. Lo stress è qualsiasi fattore esterno in grado alterare i fattori biologici

Può dare:
 Danno primario: diretto o indiretto. Diretto: tensione plastica diretta con manifestazione
rapida degli effetti  danno da freddo, da impatto. Danno indiretto: si manifesta in tempi
successivi (accumulo di pigmenti)
 Danno secondario: l’agente di stress induce indirettamente il danno e lui non è la causa
diretta del danno. La perdita d’acqua causata dalle alte temperature.

Tra gli agenti esterni in primo luogo abbiamo la temperatura: le basse temperature portano a:
 Danni da gelo

100
 Danni da freddo

Danni da congelamento
Sono dovuti a malfunzionamenti o errori nella scarsa circolazione dell’aria all’interno della cella
dove si accumula aria troppo fredda in alcuni punti. Anche la natura dei contenitori dove avviene lo
stoccaggio può determinare una cattiva circolazione. Può avvenire anche nel frigo domestico una
cattiva circolazione.
Nelle pere un imbrunimento interno può derivare da temperature troppo basse di conservazione.
L’imbrunimento è dato dalle polifenolossidasi che vengono a contatto con i loro substrati quali i
polifenoli.

Danni da freddo
Dipendono anche dalla durata dello stress. Può essere che sia reversibile se le risposte allo stress
rientrano aumentando la T del frutto. Cambiamenti nella composizione delle membrane: le basse
temperature portano a un irrigidimento e quindi la pianta cambia la composizione per ridurre un
irrigidimento. L’enzima PEP carbossilasi è controllato dalla temperatura.
Se si supera il tempo di mantenimento dello stress si manifestano i sintomi.
 Disfacimento interno
 Perdita di colore
 Presenza di tacche superficiali
 Incapacità a maturare
 Avvizzimento
 Decadimento
Si manifestano quando riportiamo il frutto a temperature normali

I danni possono dipendere anche dalle cultivar: più o meno suscettibili.

Appunti 03/05/2023

Wooliness (lanosità) o mealiness (farinosità): si sviluppa nelle pesche e nelle nettarine a basse T
(0-5°C). classica manifestazione di stress dovute a basse temperature. Anche qui la
manifestazione dei sintomi si hanno quando si porta dalle condizioni di conservazione a quelle di
vendita.
Sintomi: iniziale decolorazione della polpa: nelle pesche gialle diviene più pallido. Si ha inoltre degli
imbrunimenti nel mesocarpo che partono dal nocciolo. Successivamente la polpa comincia ad
avere una consistenza farinosa e la pesca perde le sue caratteristiche aromatiche.
La patologia si manifesta principalmente verso la fine del periodo commerciale di vendita (agosto e
settembre).

Fisiologia del Wooliness – sviluppo sintomi: si misura la percentuale di succo libero  centrifugato
della polpa e lo quantifico: se se ne libera poco il frutto sta diventando lanoso. Il succo libero cala
fino a raggiungere la consistenza cuoiosa. Quindi farinoso  lanoso  cuoioso.
Nei metabolismi: diminuisce la respirazione e biosintesi di etilene. Quest’ultimo aspetto ha riflesso
in processi che intervengono nella maturazione dell’etilene. Problemi che sono relativi a uno
squilibrio tra pectinmetilesterasi (rimangono costanti) e poligalatturonasi (crollano). Questo
sbilanciamento enzimatico lo si vede a partire dal mesocarpo interno. Le poligalatturonasi crollano
principalmente nel mesocarpo interno rispetto alle pectinmetilesterasi che rimangono stabili. Se si
adotta una refrigerazione in atmosfera controllata, invece che a condizioni atmosferiche, l’attività
poligalatturonasica aumenta e quella pectinmetilesterasica diminuisce. Questo sbilanciamento ha
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come riflesso che le pectine e emicellulose subiscono una degradazione irregolare. Le pectine
vengono solamente de-esterificate (non ci sono le pectinmetilesterasi)  non cala il grado di
polimerizzazione. Le pectine sono quindi più disponibili a reagire con gli ioni Ca e quindi
richiamano più acqua  formazione di un gel pectico. Questo gel non è solubile.
Ci sono poi larghi spazi intracellulari e presenza di spazi  farinosa.

Ruolo etilene: se tratto con 1-MCP in conservazione a basse T si inaspriscono gli sviluppi di
questa fisiopatia. Se annullo la produzione di etilene le poligalatturonasi non vengono indotte (in
quanto sotto il controllo dell’etilene)  si evolve la fisiopatia.

Non attacca tutte le varietà allo stesso modo:


 Varietà resistenti:
 Mediamente suscettibili:
 Suscettibili:

Per prevenire lo sviluppo in nettarine e pesche:


1. Delayed storage: mantenere per un paio di giorni i frutti a 20°C prima di riporli a 0°C.
2. Atmosfera controllata

Il grafico mostra il tenore di frutti sani: se sono applicate entrambe le tecniche entrambe si
presentano efficaci ma il l’atmosfera controllata si presenta più efficace nel lungo periodo.

Le due tecniche combattono la fisiopatia in maniera diversa: in uscita dalla conservazione l’attività
delle PG è alta mentre le PA sono basse. Guardano l’espressione dei geni: il delayed storage non
ha effetto genico sulle PG ma ha effetto nell’attività.
L’atmosfera controllata reprime l’espressione genica è bassa e poi riprende. L’attività enzimatica è
più bassa ma poi riprende  anche con conservazioni di 6 settimane (il delayed non ha effetti così
prolungati).
Si utilizzano i due in base alle necessità: considerare che l’atmosfera controllata ha effetto anche
nell’espressione genica.

Valutazione strumentale: ci sono pochi strumenti per la valutazione dei disfacimenti interni:
 NIR
 Risonanza magnetica nucleare: poco pratico
 Raggi X: poco pratico

Relazione:
la parte dell’1MCP riportarla con stile “Materiali e metodi ecc…”

Seminario “I problemi della filiera ortofrutticola dal campo alla distribuzione”

oggi la qualità è un insieme di parametri che vanno messi insieme. I parametri considerati sono
diversi a seconda del settore della filiera in cui viene considerata.
In campo: l’innovazione varietale è il principale fattore nell’ortofrutta  si cambia nel tempo la
varietà offerta ai consumatori. Un esempio è l’introduzione della pesca piatta nel mercato oppure
l’uva da tavola senza semi all’interno. Importante anche l’esclusività: oggi la varietà non è per tutti.
Alcuni prodotti si possono commercializzare se presenti all’interno di gruppi. Questi sono pensati
per creare del valore aggiunto al prodotto. L’agronomo si occupa di controllare la qualità e
dell’epoca di raccolta.
102
Altro aspetto importante la sostenibilità: nel settore agricolo è vista come l’assenza di utilizzo di
prodotti chimici  difficile oggi.

Ottimizzazione dei processi produttivi: dimostrare che hai usato poca chimica, pochi input
energetici. Dimostrare buona qualità di prodotto.

Innovazioni di processo: gestione dell’acqua in maniera attenta. Ci sono poi altri aspetti.

Condizionamenti da gestire: delle volte per il consumatore il parametro discriminate per la qualità è
il prezzo  oltre un certo prezzo non compra. Il distributore cerca di lavorare sul basso prezzo.
Porta a influenze e modifiche nei capitolati di acquisto.
Problemi nella manodopera: dopo il covid non ci sono più lavoratori. Anche per questo si ricercano
varietà che abbiano al massimo due raccolte  varietà più facilmente gestibili.

Difficile coniugazione tra input tecnologici. L’obiettivo dell’agricoltore è fare la PLV (Produzione
Lorda Vendibile); legato ad impianti intensivi. Bisogna coniugare modelli produttivi iperintensivi e
innovazione tecnologica con la sostenibilità. Deve essere sostenibile anche per l’agricoltore che fa
reddito (si parla minimo di € 50 000 a frutteto).

Acqua: diventato negli ultimi anni il fattore discriminante. Dai campioni rappresentativi si è visto
che: negli ultimi anni per la frutta estiva il calibro del prodotto è sceso di un punto. A questo
bisogna associare che una temperatura maggiore dei 40°C è sempre più presente durante l’estate.
Da questo derivano anche forte insolazioni  “colpo di sole”. Importante scadimento qualitativo.
Per questo la maggior parte dei frutteti risulta coperto da teli di materiale plastico. Un ciliegeto
senza teli antipioggia il 50% delle ciliegie risulta crepato.

Qualità e sicurezza: le leggi italiane sui residui sono le più restrittive in Europa. Nonostante questo
si punta comunque a livelli ancora più bassi dei limiti. Si parla di “candidati all’eliminazione”.

Valore nutraceutico dei prodotti: altro elemento discriminante che il consumatore gradisce vedere
 qualità dischiarata al consumatore.

Qualità ambientale ed etica: oggi la certificazione è un pre-requisito.


LCA: prossimamente verrà introdotta la dicitura di quanta CO2 viene prodotta o risparmiata nella
produzione.

Regolamento Global – GAP: “norme di buone pratiche agricole”. Presentano degli adempimenti. Si
affianca il GRASP.

Parametri di qualità: la sostanza secca ha aumentato la propria importanza; soprattutto per i kiwi.
In generale i parametri di qualità sono i soliti. Considerare poi che le tendenze cambiano anche
rapidamente. Si sono viste delle modifiche per quanto riguarda sia i kiwi che le pesche. Un
esempio è il prodotto sub acido delle nettarine  permette anche una raccolta leggermente
anticipato data la poca acidità.

Oggi è il consumatore che cerca un prodotto e quindi pretende che il consumatore lo abbia.
Altre linee: “Quattro residui”  linee che hanno che hanno al massimo quattro residui di prodotti
chimici.

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Magazzino:

Seminario - Metodi non distruttivi per determinare la qualità

Clorofille 670 e 720 nm (differenza nel picco di assorbanza)

Seminario composti bioattivi: non hanno una definizione specifica. Sono quelli in piccole quantità
che hanno la funzione di promuovere la salute.
I composti non sono essenziali per il nostro organismo. Introdurli però aiuta il nostro organismo a
raggiungere un buono stato di salute. Non sono fitonutrienti  non si tratta di nutrienti.
Composti bioattivi: non essendo essenziali per la vita il corpo li identifica come composti tossici in
quanto non ne ha bisogno  cerca di liberarsene il prima possibile.

I composti nella maggior parte dei casi non vengono assorbiti dal nostro organismo: nello stomaco
e nel fegato avvengono delle modifiche.
Glucosinolati: li ritroviamo principalmente nelle crucifere. Ritroviamo lo zolfo al loro interno. Doppio
legame con lo zolfo e un gruppo R.

Con pH neutro si formano isotiocianati. Con pH acido otteniamo nitrile.

Polifenoli:
1. Flavonoidi:
2. Non flavonoidi:

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