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GLI ANTEFATTI
In Russia all’inizio del 1905 si era diffuso un forte malcontento nei riguardi
del regime autocratico zarista: le classi medie rivendicavano riforme
politiche che portassero all’introduzione di un sistema costituzionale, gli
operai vivevano condizioni di lavoro brutali in una fase di forte recessione
economica, i contadini chiedevano una redistribuzione delle terre ancora in
mano ai ricchi proprietari terrieri. I partiti rivoluzionari illegali, inclusi i
socialisti rivoluzionari e il Partito operaio socialdemocratico (che nel 1903 si
era scisso tra la corrente minoritaria dei menscevichi e quella maggioritaria
dei bolscevichi), fecero proprie le istanze delle classi lavoratrici. Sorse anche
un movimento di impronta liberale in favore della monarchia costituzionale
che fondò il “Partito cadetto”, ovvero il “Partito costituzionale democratico”.
Si aggiunse infine la fallimentare guerra russo-giapponese ad aggravare il
dissenso popolare.
LA DOMENICA DI SANGUE
IL MANIFESTO D’OTTOBRE
Rivoluzione russa (1917) L'insieme degli eventi che portarono in Russia alla
caduta dello zar e all'instaurazione, alla fine del 1917, di un regime
bolscevico e successivamente alla fondazione dell'Unione delle repubbliche
socialiste sovietiche (URSS).
LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO
I terribili disagi provocati dalla prima guerra mondiale, cui la Russia giunse
largamente impreparata, uniti all'inefficienza del governo zarista di Nicola II
(con la famiglia imperiale soggiogata dall'ambigua figura di Rasputin)
finirono con l'esasperare la maggioranza della popolazione. Quando, nel
marzo del 1917, nella capitale Pietrogrado (ora San Pietroburgo) una
dimostrazione di protesta contro la carenza di pane degenerò in
insurrezione armata appoggiata da soldati ammutinati, il Consiglio dei
ministri decise di passare il potere a un nuovo gabinetto costituito da
personalità provenienti dalla Duma (la Camera bassa istituita nel 1906 e
fino ad allora riunitasi pochissime volte). Lo zar Nicola II, totalmente isolato,
abdicò e si formò il primo governo provvisorio a direzione moderata, sotto
la guida del principe Lvov.
In assenza del loro leader Lenin, in esilio in Svizzera, i capi della fazione
bolscevica all'interno del Partito operaio socialdemocratico – Molotov e
Stalin – decisero di appoggiare il nuovo regime, almeno sino a quando non
avesse ostacolato gli obiettivi del movimento socialista; nel contempo
promossero la costituzione di una rete di organismi rappresentativi di base
(i soviet) sul modello del Consiglio dei deputati, degli operai e dei soldati
già sorto a Pietrogrado, che si diffusero anche fra le truppe impegnate sul
fronte di guerra, portando in breve a una situazione di caos nell'esercito che
peggiorò la già difficile situazione strategica.
Dal suo rifugio finlandese, Lenin inviò numerosi appelli al Comitato centrale
del Partito bolscevico perché stringesse i tempi della conquista del potere
da parte dei soviet; su proposta di Trotzkij si decise che l'azione sarebbe
avvenuta in concomitanza all'apertura del secondo Congresso generale dei
soviet, programmata per il 7 novembre. La notte del 6 le guardie rosse
occuparono i punti-chiave della capitale, dando poi l'assalto al Palazzo
d'Inverno (dove i ministri del governo provvisorio furono arrestati, a
eccezione di Kerenskij, che riuscì a fuggire) e da lì annunciando il passaggio
del potere in mano ai soviet.
IL DITTATORE
Dopo la morte di Lenin, la guida del paese era nelle mani di una troika
composta da Stalin, Zinov'ev e Kamenev. All'interno del partito, il principale
oppositore di Stalin era Lev Trotzkij che propugnava la teoria della
"rivoluzione permanente" contraria a quella staliniana della "costruzione del
socialismo in un solo paese". Nel 1927, forte dell'appoggio di Zinov'ev e
Kamenev, Stalin riuscì a isolare Trotzkij, ma poco dopo fece un brusco
voltafaccia e si schierò con Nikolaj Bucharin e Aleksej Rykov contro i suoi ex
alleati; Trotzkij, Zinov'ev e Kamenev costituirono la cosiddetta "ala di
sinistra". Con un'abile propaganda, illustrando la propria interpretazione dei
principi di Lenin, Stalin riuscì a far prevalere le sue posizioni e a sconfiggere
i rivali. Tra il 1927 e il 1928 Trotzkij e Zinov'ev vennero espulsi: nel 1929
Stalin era ormai unanimemente riconosciuto come l'unico successore di
Lenin e divenne il leader incontrastato dell'Unione Sovietica.
L’inizio della “Grande purga” ovvero del “Grande Terrore”, come pure è stata
chiamata questa ondata repressiva, fu provocato dal misterioso assassinio
di Sergej M. Kostrikov, detto Kirov, segretario del partito di Leningrado,
avvenuto il 1° dicembre 1934. Esso diede a Stalin il pretesto per scatenare
una serie di inchieste poliziesche in base alle quali, alla fine delle purghe,
nel 1938 finì davanti ai giudici e quindi al plotone d’esecuzione perfino
colui che le aveva avviate, Genrich Jagoda, capo dell’NKVD, la polizia
politica sovietica progenitrice del KGB. Mentre il diffuso clima di terrore
colpiva milioni e milioni di “nemici del popolo”, contribuendo all’economia
schiavistica del regime del Gulag e a mantenere in stato di sudditanza il
resto della popolazione, si calcola, nonostante l’ovvia assenza di dati certi,
che siano state giustiziate più di 700.000 persone, pari al 10 per cento del
totale degli arrestati.
In Italia, per socialisti e cattolici, la Rivoluzione russa, nelle sue diverse fasi,
rappresentò senz'altro uno dei temi di maggior conflitto tra le diverse
posizioni di pensiero, tra chi cioè la interpretava come la "liberazione del
mondo" e chi, al contrario, guardava con timore e paura la caduta del
grande impero zarista. Il regime imposto da Stalin, ma i cui primi segni si
erano visti con Lenin, aveva le caratteristiche di una dittatura tipica del
Novecento, il totalitarismo, in cui chi detiene il potere assume il controllo di
ogni aspetto della vita e utilizza come metodo di controllo il terrore.