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1. La rivoluzione
La popolazione russa era formata da 100 milioni di contadini, i quali erano organizzati in comunità
di villaggio, chiamate mir, le quali erano comproprietà territoriali che amministravano i terreni
agricoli dividendoli in quote tra le famiglie dei coltivatori. Il pagamento delle tasse era esteso in
modo solidale a tutto il mir, in questo modo si era sicuri che tutti pagassero.
Tra il 1895 e il 1900 si raddoppiò la produzione di carbone, ferro e acciaio. Inoltre si consolidarono
le industrie a Mosca (tessile), San Pietroburgo (metallurgica), nel comprensorio petrolifero di Baku
e nel distretto minerario degli Urali.
Lo zar Alessandro II Romanov abolì la servitù della gleba nel 1861.
La Russia conservava un regime autocratico e reazionario. Cominciarono ad affermarsi i primi
partiti politici: il Partito costituzionale democratico, o dei Cadetti, formato da borghesi e nobili
progressisti; i socialisti rivoluzionari, radicati nelle campagne e promotori di rivolte contadine; il
Partito socialdemocratico, fondato nel 1898 e seguito principalmente da operai, i quali volevano
una rivoluzione.
Nel 1905 la Russia perse contro il Giappone, al quale dovette cedere l’isola di Sachalin e la Corea.
Questa sconfitta fece aumentare i moti di protesta già cominciati all’inizio dell’anno. Lo zar, per
reprimere le rivolte, ordinò di sparare sulla folla. Per questo perse seguito e fu costretto a
concedere delle riforme: istituì un Parlamento, la Duma, la quale poteva essere convocata e sciolta
a seconda della volontà dello zar, diventando così un’assemblea consultiva di poco valore.
Il primo ministro Stolypin varò anche una riforma agraria, che prevedeva la frantumazione del mir a
vantaggio di una maggiore proprietà individuale. Nacque così il ceto dei contadini ricchi, i kulaki.