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La Russia all’inizio del novecento rappresenta uno stato arretrato guidato da una

monarchia autocratica appoggiata alla chiesa ortodossa e alla nobiltà. La gran parte
della popolazione era composta da contadini poveri che praticavano un tipo di
agricoltura intensiva senza l’utilizzo di tecnologie più all’avanguardia, anche se una
prima industrializzazione ci fu, che però si concentrò nella costruzioni di fabbriche
attorno a Pietroburgo e da ciò nacque anche una classe operaia che non godeva di
alcun diritto o tutela.

A rappresentare gli interessi del popolo sono presenti 2 partiti: un partito socialista
rivoluzionario, che conta sull'approvazione e l’appoggio dei contadini ed un partito
socialdemocratico che è invece rivolto direttamente agli operai.

Nel 1903 il partito socialdemocratico si divise, dando vita ad altri 2 partiti


contrapposti:

I bolscevichi e i menscevichi. I quali vogliono entrambi realizzare una rivoluzione


comunista, con la differenza che i primi sono convinti che questo sia già possibile,
mentre i secondi ritengono necessario il rovesciamento della monarchia da parte
della borghesia.

Il capo dei bolscevichi è Nikolaj Lenin che sostiene che la rivoluzione nascerà a causa
di e verrà guidata da un gruppo di rivoluzionari di professione,per poi estendersi a
tutti i lavoratori, così da permettere la formazione del nuovo Stato comunista.

Nel 1905 scoppiò infatti una ribellione di operai e gente comune che rivendicava
qualche forma di partecipazione politica. La ribellione si estese ad altre aree del paese
e nelle fabbriche nacquero dei consigli dei lavoratori detti soviet che guidarono
l’opposizione al regime.

Data la situazione lo zar è costretto a concedere delle mini riforme, tra cui la più
importante fu l’elezione di un’assemblea di rappresentanti delle diverse classi sociali,
detta Duma, ma con risultati pressoché inefficaci data la continua imposizione dello
zar e dei ceti più agiati.

La partecipazione della Russia alla Grande Guerra si rivelò un disastro date le pesanti
sconfitte subite e la vita dei cittadini non fece altro che peggiorare. Finché nel
febbraio del 1917 inizia una vera e propria rivoluzione contro la guerra e lo zar a cui si
unirono persino le truppe mandate da Nicola II stesso, che fu costretto a lasciare la
carica.

Da questa situazione nasce così un governo provvisorio, sostenuto da partiti


direttamente collegati alla borghesia, infatti questi partiti miravano alla nascita di una
monarchia parlamentare ed erano a favore della guerra. Dato il loro orientamento
durarono poco vista l’opposizione dei partiti socialisti e dei soviet che volevano una
riforma agraria e la fine della guerra.

Nelle elezioni per formare la Duma i bolscevichi rivoluzionari (anche se la loro


organizzazione interna rimase salda ed erano determinati a conquistare il potere) non
ottennero la maggioranza e infatti emerse un fronte moderato guidato da socialisti
rivoluzionari e menscevichi, col sostegno dei contadini.

Lenin, esiliato in Svizzera, rientrò in Russia e assunse la guida dei bolscevichi per poi
richiedere alcune richieste molto definite: il passaggio del potere ai soviet dei
lavoratori,l’uscita dalla guerra e la confisca dei latifondi per la redistribuzione delle
terre ai contadini. Con questi obiettivi nell’ottobre del 1917, Lenin e i suoi rovesciano
il governo provvisorio e impongono in Russia la dittatura del partito bolscevico, il
partito assume il nome di Partito comunista e da qui decide di ritirarsi dalla guerra e
di chiedere la pace alla Germania.

Le forze monarchiche, favorevoli al ritorno degli zar, non accettano la presa di potere
da parte del bolscevichi e decidono nel 1918 di dare inizio a una guerra civile con
l’appoggio degli Stati dell’Europa occidentale, intimoriti per via della diffusione del
pensiero comunista.
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La guerra civile continua fino al 1921, dove in una prima fase le forze antibolsceviche
(nominato fronte dei “bianchi”) sembravano prevalere fino a quando “L’Armata rossa”
guidata da Trotsky non si impone (ovvero i rivoluzionari). Lenin insieme ai suoi impone le
rigide leggi del “comunismo di guerra”, dove lo Stato ottiene il monopolio su tutti i beni
privati, a cominciare dalla produzione agraria.

Nel 1919 il Partito si pone alla guida dei partiti rivoluzionari di tutta Europa e fonda a Mosca
un’internazionale comunista, detta in russo Comintern, alla quale possono accedere solo i
partiti comunisti decisi a distruggere ogni tipo di regime borghese e moderato. Tra questi è
presente anche il Partito Comunista Italiano fondato da Antonio Gramsci nel 1921.

Dopo la fine della guerra civile, lo stato comunista rivela i suoi limiti ed il paese è allo
sbando, c’è bisogno di una riforma economica. Quindi Lenin concede alcune aperture
all’economia privata e di mercato (i contadini ad esempio possono vendere autonomamente
parte del raccolto), questa politica è detta Nep ovvero “Nuova Politica Economica” ed aiutò
la Russia a rimettersi in piedi anche grazie alla formazione di una classe di contadini
possidenti.
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Nel 1922, per scelta degli stessi comunisti, l’impero russo diventa l’Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche (URSS), una federazione di repubbliche autonome ma guidate dallo
stesso partito comunista del posto, sottoposto a sua volta dal rigidissimo Partito comunista
russo. Finché nel 1924 Lenin non muore creando una breccia interna nel partito.

Qualche anno prima nel frattempo la Germania è vittima di un tentativo di rivoluzione


comunista, repressa però dalle forze moderate della Repubblica di Weimar,che prende il
nome dalla città in cui venne approvata la costituzione. Lo stesso fallimento avviene in Italia
e in Ungheria.
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Dopo la morte di Lenin, Stalin viene nominato segretario del partito e dopo nel 1924 impone
una vera e propria dittatura con l'obiettivo di trasformare la società contadina in una
industriale. In modo da riuscire nelle sue intenzioni, abolisce la Nep e costringe i contadini a
lavorare nei kolchoz (aziende agricole dove la terra è di tutti e bisognava produrre il
quantitativo imposto dallo stato). I contadini più ricchi però vengono mandati invece nei
gulag, campi di lavoro forzato in Siberia.

Il programma di Stalin è diviso in piani quinquennali, per far sì che l’industria pesante
aumenti e ciò accade ma la riduzione dell’industria leggera penalizza la popolazione la quale
non ha i beni più elementari. Con Stalin la disoccupazione scompare, l’analfabetismo si
riduce e il sistema sanitario è gratuito per tutti ma ad un prezzo. Stalin era noto per
l’eliminazione di collaboratori, funzionari e alti ufficiali dell’esercito che egli considerava
nemici e questo fenomeno è detto “purga”.

Tra il 1936-39 le purghe diventano un mero strumento di terrore, dove grazie al KGB cittadini
scelti a caso vengono fatti fuori. Stalin trasformò lo stato Socialista in uno stato totalitario,
esercitando il dominio assoluto in politica, economia, cultura ed eliminando ogni forma di
autonomia individuale.

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