Sei sulla pagina 1di 11

Gli ultimi fogli del manoscritto Alcobaça 286

(Biblioteca Nacional di Lisbona)*

Il manoscritto 286 Fundo Alcobaça della Biblioteca Nacional di Lisbona fu stu-


diato per la prima volta nel 1953 dal paleografo statunitense Henry Hare Carter, che
pubblicò parte del suo contenuto nella rivista Romance Philology1. Il suo interesse
verteva sul vocabolario latino-portoghese che occupa i primi 36 fogli, completo di
numerose glosse e note a margine e di mano pienamente trecentesca, per la precisione
databile attorno alla metà del secolo. Carter tuttavia non si soffermò sugli ultimi fogli
del manoscritto (36v-38), i quali, come già si evince dal catalogo del fondo alcoba-
cense pubblicato nel 1930, trasmettono un breve trattato di versificazione latina, che
comprende alcuni esempi di versi in lingua portoghese2. L’operetta fu trascritta dal
fi lologo belga Jean-Marie d’Heur nel 1983, sul primo numero della rivista Pluteus;
quest’ultimo, in verità, aveva già dato notizia del trattato in un suo volume di dieci
anni prima, in tre succinte pagine in cui egli metteva a confronto l’opera con il trat-
tato comunemente denominato Arte de trovar, trasmesso da uno dei più importanti
canzonieri di lirica galego–portoghese, il codice B (altresì detto “Colocci-Brancuti”,
conservato anch’esso alla Biblioteca Nazionale lisbonense)3.
Di fatto, nessuno ha più voluto tornare su questo breve compendio di arte versifi-
catoria, che pure offre non pochi dati d’interesse per tracciare un panorama ancora
tutto da investigare, quello che riguarda la cultura poetica e retorica nel Portogallo di
metà Trecento; un’epoca generalmente considerata di “transizione” dell’espressione
lirica, giunta ormai al suo occaso l’esperienza trobadorica e ancora lontana la rina-
scita testimoniata dal Cancioneiro di Garcia de Resende.

*
Il presente lavoro s’inserisce nell’ambito delle attività di ricerca svolte per i progetti La
corte poética de Alfonso X. Autores y textos (II) [FFI2011-25899], fi nanziato dal Ministerio
de Economía y Competitividad spagnolo, e TraLiRO (Repertorio informatizzato della
tradizione manoscritta della lirica romanza delle origini), fi nanziato dal MIUR nell’ambito
dei progetti FIRB 2010 [RBFR10102K_002]. Un ringraziamento speciale va alla Dott.ssa
Michela Scattolini, autrice della expertise paleografica di cui in questa sede si propongono
soltanto i dati salienti.
1
Carter (1953).
2
Anche il catalogo di Amos (1988) fornisce poche notizie sugli ultimi fogli del codice.
3
Un’edizione facsimile del manoscritto è stata pubblicata presso i tipi dell’Imprensa Nacional/
Casa da Moeda nel 1982; lo studio più completo del manoscritto dal punto di vista codicologico
è invece fornito da A. Ferrari (1979).

117
CILPR 2013 – SECTION 14

Veniamo anzitutto alle principali caratteristiche codicologiche del manoscritto,


per il quale si cercherà di apportare qualche dato in più rispetto alle concise descri-
zioni fornite dai cataloghi (soprattutto per ciò che concerne i ff. 36-39).
Formato:
In-8°, membranaceo.
Foliazione: moderna, a matita, al recto dei fogli (ff. 1-40); al f. 20r il numero, in cifre
arabe, è invece vergato in inchiostro scuro (apparentemente coevo al ms. o comun-
que più antico del resto della foliazione). Al f. 39r accanto alla foliazione moderna a
matita (39) compare nuovamente tale numerazione a inchiostro, che segna però (erro-
neamente?) la cifra 30 (ma non è escluso che si tratti di un 9 con la gambetta erasa).
Struttura:
2 ff. di guardia + 40 ff.: gli ultimi due ff. numerati sono di fatto altrettanti fogli
di guardia. Tanto i due fogli di guardia iniziali quanto i due fi nali (= ff. 39-40) sono
evidentemente materiali di riuso. La prima guardia è particolarmente usurata e reca
svariate righe di scrittura (non decifrabili) al verso; la seconda era completamente
coperta di scrittura al recto, ma il contenuto è stato asportato tramite rasura e non è
più intelligibile, mentre il verso era originariamente lasciato in bianco e ora reca la
segnatura originale e il titolo apposto durante la catalogazione:
{Cod. 404}
-- Alcobaça --
Rudimenta
Grammaticae
Delle due guardie fi nali, l’ultima (f. 40) pare essere servita come coperta di que-
sto o di un altro manoscritto, giacché al verso porta ampi segni scuri compatibili
con bruciature o usura da appoggio; sempre al verso, inoltre, sono parzialmente visi-
bili alcuni schizzi di volti umani di profi lo affiancati da scrizioni sparse. Al recto la
metà superiore della pagina è fitta di scrittura: il testo è in latino, di soggetto reli-
gioso, e le singole frasi – o i singoli segmenti testuali – sono delimitate da linee nello
stesso inchiostro usato per la scrittura. Più in basso e in carattere più grande, si legge
«Amen» seguito da alcune parole in portoghese, delle quali si decifra con sicurezza
soltanto il verbo fazer. Il penultimo foglio di guardia, ovvero il n° 39, contiene cinque
righe di scrittura in latino nella parte alta della pagina, le prime due profondamente
rasurate per fare spazio alla doppia foliazione; seguono la scritta «seguyda», e più in
basso alcuni versi in portoghese. Questi ultimi sono divisi in riquadri, uno per quar-
tina; le prime tre quartine sono state cancellate mediante rasura. Il margine esterno
è anch’esso scurito, da una bruciatura o forse dall’uso, in modo forse leggermente
più pesante rispetto agli altri fogli del codice. La legatura non è originale (il codice è
stato parzialmente restaurato, ma non in epoca recente).

118
MARCENARO

Fascicolazione:
2 ff. di guardia + 40 ff. numerati:
[legatura molto allentata prima e dopo il fasc. I, fra i fasc. II e III, IV e V]
I. ff. 1-8 (quaternione)
II. ff. 9-16 (quaternione)
III. ff. 17-24 (quaternione)
IV. ff. 25-32 (quaternione)
V. ff. 33-40 (struttura incerta, 1+1+2 binioni+1+1 oppure otto fogli avulsi cuciti
insieme per fare un quaternione). Sembra certo che i ff. 33, 34, 39 e 40 provengano da
pelli diverse, come mostra la consistenza molto differente al tatto. Al f. 37 (il primo
dei due che con il f. 38 contiene il trattatello latino) la pelle appare particolarmente
incurvata, con irregolarità che possono provenire da una lavorazione sommaria o
forse da una raschiatura mal eseguita. Il f. 39, che contiene i versi in portoghese,
è affl itto da una pesantissima arricciatura che non trova riscontro in nessun altro
foglio del manoscritto. Per dimensioni, coloritura, usura, ecc. non è impossibile che
i ff. 39 e 40 provengano da una medesima pelle e forse da una medesima unità codi-
cologica.
È ora utile soffermarsi sul contenuto del trattato di versificazione (come s’è appena
visto, altresì detto Rudimenta grammaticae da un ignoto catalogatore del XVII
secolo). Trascritto da una sola mano, con grafia piuttosto regolare, presenta numerosi
punti di difficile leggibilità dovuti alle macchie di umidità e all’usura del manoscritto.
La materia è trattata in forma molto compendiosa e non si ravvisano modelli precisi
di riferimento al di fuori della generica influenza dei trattati di versificazione allora
più in voga. Alcuni passi possono infatti richiamare i precetti leggibili in opere di
ritmica latina come il De rhytmico dictamine (con i rifacimenti detti ‘del Maestro
Sion’ e ‘dell’Arsenal’) e il Regulae de rhytmis, nessuno dei quali, però, appare oggi nel
fondo manoscritto proveniente dal monastero lusitano, e che in generale non risul-
tano particolarmente frequentati in area iberica. In ogni caso, al di là della parziale
comunanza, com’è ovvio, delle tipologie ritmiche trattate, troviamo alcuni versi latini
che riecheggiano quelli leggibili nelle opere appena menzionate (in particolare, l’in-
vocazione «O tu Magister Martine | omnium gramaticorum | flos verusque logicorum
| es vere doctor doctrine» è ricalcata su quella del Rhytmico Dictamine e dei suoi vari
rifacimenti «Vale, doctor, flos doctorum | gemma, decus clericorum | cetum vincis
nam proborum | rithmicando», ecc). Vi è poi un passo che D’Heur preferisce lasciare
con un punto interrogativo – nonostante la sua perfetta leggibilità – riguardante i
rimuli equicomi, categoria così descritta così nei due trattati appena menzionati:
Equicomi rimuli sunt quando prima et secunda clausula concordant inter se et tercia
et quarta concordant inter se [et deviant a primis et quinta et sexta concordant inter se et]

119
CILPR 2013 – SECTION 14

cumprimis et deviant a secundis. Et septima octava concordant inter se et cum secundis et


deviant a sextis4,
e che appare soltanto nelle citate fonti mediolatine, peraltro con scarsa frequenza.
Le parti più curiose del nostro trattato sono però quelle in cui la norma latina
sconfi na nel campo della lingua romanza, mediante due rapide ma importanti cita-
zioni di versi in portoghese in luogo dei più consueti brani tratti, in maggior parte, dal
repertorio innologico, che pure non mancano nel nostro trattato (stella maris...). La
prima, negli ultimi righi del f. 37v, pare citare un brano di una cantiga de amor, ben-
ché non si riscontrino corrispondenze con il corpus dei trobadores a noi pervenuto,
come esempio per dimostrare l’analogia fra versificazione latina e romanza nel caso
dei transformati rimuli (vale a dire le rime baciate):
Que plazer me oje mostrou Deus
quando eu fui destes olhos meus
a tan louvada senhor veer
por que ja non quero viver.
sobre toda ben talhada
ben sen falha mesurada.

L’esemplificazione condotta su di un testo volgare si ripete qualche rigo dopo, con


la menzione di quattro versi alternati tra latino e portoghese, dei quali il secondo
risulta di non facile comprensibilità e rimanda a un registro piuttosto scurrile:
Questio ad disputandum
e antre as putas leteradas
ponitur ad determinandum
en todo ben leteradas.

Proseguendo nella lettura, troviamo un altro punto interessante, nel quale nuo-
vamente appare un termine tradotto in portoghese. Si tratta del vitium retorico del
cacemphaton, sconveniente sia sul piano fonetico sia semantico, tradotto qui come
caçefeton («item caçefeton non debet poni in rimulis ut ‘ca ca orraca’ graece»). Asso-
ciato al caçefeton, troviamo uno dei “difetti” dell’arte compositiva più frequentemente
citati in questo tipo di trattati, lo iato, defi nito però qui in maniera piuttosto generica
(«Item nota quod vocalis post vocalem non admititur in diversis distincionibus si fue-
rit similis vel dissimilis secundum artem»). Da una rapida disamina delle principali
fonti di poetica latina, tanto di età classica, quanto medievale, notiamo come la figura
del cacemphaton sia contemplata più volte, ma piuttosto raramente rispetto agli altri
vitia della composizione, come barbarismo, solecismo o pleonasmo, e soprattutto in
epoca medievale; inoltre, la sconvenienza di questa figura è data, tanto in Donato
quanto, ad esempio, in Matteo di Vendôme, più dall’ambiguità sul piano semantico
data dall’accostamento di determinate espressioni (ad esempio, «Arrige aures, pam-
phile»), che non dall’aspetto fonetico.

4
Mari (1899 [1971]), 17.

120
MARCENARO

Vi è però un altro trattato di area lusitana, questa volta redatto in volgare, che
menziona il cacemphaton fra gli errori più comuni in cui un poeta può cadere,
assieme allo iato: stiamo parlando dell’Arte de trovar, la già citata Poetica che apre
il manoscritto B della tradizione trobadorica galego-portoghese, e che si suppone
copiata nello stesso periodo del nostro trattatello alcobacense. Anche l’Arte considera
il cacemphaton come una cattiva pratica linguistica, che introduce nel dettato poetico
termini che “suonano male in bocca”:
Erro acharan os trobadores que era ũa palabra a que chamaron ‘caçefeton’, que se non
deve meter na cantiga, que é tanto come palavra fea, e soa mal na boca. E algunas vezes tange
en ela caçorria ou lixo, que non conven de ser metudo en boa cantiga 5.

Se la supposizione per cui l’antigrafo del codice B in cui l’Arte è contenuta coinci-
derebbe con il “Livro das cantigas” che Don Pedro de Barcelos lasciò in testamento
nel 1350 a Alfonso XI di Castiglia, è allora assai probabile che l’Arte, collocata in
B prima della silloge poetica, avrebbe potuto essere stata redatta nel medesimo
ambiente signorile in cui Don Pedro, figlio bastardo di re Don Denis, ebbe proba-
bilmente l’occasione di confezionare la raccolta di cantigas. Come notò a suo tempo
Giuseppe Tavani, la natura compendiosa dell’Arte – benché l’opera sia acefala e
quindi sicuramente più estesa di come la si conosce oggi – e il suo riferimento piutto-
sto puntuale alle cantigas la distanzia dai grandi trattati di poetica trobadorica elabo-
rati in Provenza, Catalogna o in Italia come le Razos o le Regles de trobar o le stesse
Leys d’Amors. Si tratterebbe, piuttosto, di una sorta di breviario ad uso e consumo
dei lettori di cantigas, posta in apice a una raccolta con la quale Don Pedro, uno
degli ultimi trovatori galego-portoghesi, intendeva preservare un patrimonio cultu-
rale ormai destinato ad esaurirsi e a lasciare spazio a nuove esperienze poetiche come
quella testimoniata dal Cancionero de Baena.
Ora, le pur scarne corrispondenze fra le due operette richiamano senz’altro l’at-
tenzione, così come la presenza di versi in volgare nel trattato alcobacense, redatto in
latino. Anzitutto, la comune traduzione portoghese del cacemphaton e la sua associa-
zione con lo iato sembrano portare verso un terreno di conoscenze condivise, in un
ambito culturale piuttosto omogeneo in cui la volontà di fissare alcune norme relative
alla versificazione rispondeva ad esigenze pratiche, e non era certo inquadrabile come
esercizio di erudizione da condursi sulle fonti più note e studiate. Fonti che pure non
mancavano nella biblioteca del monastero cistercense di S. Maria de Alcobaça, cen-
tro culturale di grandissima importanza secondo forse solo al cenobio domenicano di
S. Cruz de Coimbra. La maggior parte dei trattati di grammatica, retorica o poetica
provenienti dal monastero lusitano è copiata attorno alla metà del Trecento, epoca in
cui all’interno dello scriptorium alcobacense sorse un notevole interesse verso opere
di questo tipo. Solo due fra i trattati di retorica o poetica presenti nel Fundo Alcobaça
della Biblioteca Nazionale di Lisbona risalgono al XIII secolo, un Graecismus e un

5
Arte de Trovar, VI, 2 (ed. Tavani 1999, 53).

121
CILPR 2013 – SECTION 14

codice contenente due versioni delle Derivationes di Alexandre de Villedieu, a fronte


di molti esemplari databili al secolo successivo. Il crescente interesse verso la gram-
matica e la retorica, del resto, va collegato alla nascita dell’Estudio Geral, promossa
dal sovrano portoghese Don Denis nel 1288-89, nel quale s’impose rapidamente il
paradigma imperante della scolastica, e perciò lo studio dell’aristotelismo; in questo
contesto, sappiamo che molti volumi aristotelici e scolastici copiati in Alcobaça veni-
vano utilizzati in campo universitario, come dimostrano le note di prestito di alcuni
volumi, alcuni dei quali estremamente usurati come il nostro 286. Il rapporto fra S.
Maria de Alcobaça e l’Estudio Geral proseguì lungo tutto il XIV secolo e anche oltre;
sappiamo, ad esempio, che il monarca lusitano Dom Duarte chiese nel 1431 numerosi
volumi alla biblioteca di Alcobaça per elaborare il suo Leal Consilheiro. Lo stesso
Duarte nella cui biblioteca – lo si ricordi – apparivano un Livro das trovas del-Rey
Don Denis e un Livro das trovas del-Rey Afonso: un estimatore della lirica trobado-
rica galego-portoghese, dunque, che forse poteva avere la necessità di un supporto
didascalico che lo aiutasse a comprendere le linee guida di uno stile poetico oramai
concepito come arcaico e non più rispondente al rinnovamento poetico della cultura
letteraria portoghese del XV secolo. Un ruolo simile era svolto anche dal monastero
di S. Cruz de Coimbra – città dove l’Estudio risiedette temporaneamente – benché
la produzione di questo scriptorium sembri riguardare più sia opere letterarie (fra
cui ricordiamo una curiosa e poco studiata traduzione del Libro de Buen amor)6,
sia opere storiche e “ufficiali” rispetto all’afflato propriamente didattico dell’abbazia
alcobacense. In quest’ultimo ambito, è inoltre certo che i due monasteri praticassero
un interscambio delle opere da copiare o tradurre, come avviene nel caso del Voca-
bolario e della Grammatica di Papias trasmesse dal ms. Alcobaça 424-426, che un
codice proveniente da S. Cruz (n° 30 della Biblioteca Municipal di Porto) utilizza
come modello da riprodurre.
Se la presenza del caçefetom tradotto in portoghese nel trattato latino sembra
dimostrare che l’ignoto redattore non conoscesse l’esatto corrispondente greco (e
nemmeno la sua traslitterazione latina), la menzione di versi portoghesi – non è dato
sapere se inventati o tratti da fonti a noi sconosciute – indica la sicura conoscenza
della lirica d’amore galego-portoghese. Il primo esempio citato, infatti, richiama in
pieno il lessico e i temi della cantiga d’amor (Dio che mostra la dama al poeta, il
distacco degli occhi personificati, la volontà di morte e la descriptio puellae), mentre
il secondo inserto è più difficile da interpretare, ma il sintagma putas leteradas si atta-
glierebbe bene al registro basso visibile in tante cantigas de escarnio galego-porto-
ghesi. Non è insomma da escludere che nello scriptorium alcobacense girasse qualche
esemplare di lirica trobadorica e che essa potesse costituire, oltre al semplice diletto,
anche oggetto di studio. In questo senso, l’accostamento del trattato alla coeva Arte
de trovar, nel contesto di un recupero delle fonti liriche nell’ambito cortese di Don

6
Si trova nel ms. 786 della Biblioteca Municipal di Porto (fondo Santa Cruz n° 43). Si tratta di
una traduzione parziale, che consta delle strofe 60-130 con omissione delle nn. 75, 104, 121-
122, ed è databile alla prima metà del XV secolo.

122
MARCENARO

Pedro de Barcelos, mostra quanto il patrimonio culturale testimoniato dai trobado-


res si fosse ormai defi nitivamente allontanato dalle corti castigliane di Alfonso X e
Sancho IV e fosse stabilmente approdato in Portogallo, e quanto la necessità di pre-
servare e trasmettere un patrimonio lirico così importante comportasse un lavoro di
raccolta e sistemazione organica dei materiali poetici in sillogi più estese (il Livro das
cantigas, appunto); il monastero alcobacense potrebbe così costituire un pezzo di un
mosaico ancora tutto da ricostruire, per il quale il manoscritto 286 ha ancora in serbo
un ultimo elemento di non poca utilità.
Nel recto del f. 39, infatti, né Carter né d’Heur diedero peso alla presenza di
alcuni versi in portoghese, suddivisi in quattro strofe e trascritti da una mano diversa
da quella del trattato, probabilmente posteriore e assai più trasandata e imprecisa.
Dall’analisi diretta compiuta sul manoscritto risulta che questo foglio e il seguente
(cioè la guardia) sono stati inseriti in un secondo momento: lo dimostra la fascicola-
zione e la dimensione leggermente inferiore dei due fogli in analisi, oltre alla qualità
decisamente più scadente della pergamena impiegata. Il penultimo foglio di guar-
dia contiene 5 righe di scrittura in latino nella parte alta della pagina, le prime due
profondamente rasurate per fare spazio alla doppia foliazione: benché resti davvero
poco da leggere, la menzione di un cane, di un morboso vulnere e il nome Gaufri-
dus hanno richiamato la mia attenzione su un episodio della Vita di S. Goffredo di
Amiens, vescovo della città francese vissuto fra la seconda metà dell’XI secolo e i
primi due decenni del successivo, nella quale si narra che il santo scampò a un tenta-
tivo di avvelenamento, grazie a un cane che mangiò il pezzo di pane velenoso che a
lui era riservato; ciò costituirebbe un’ulteriore conferma della provenienza estranea
del foglio, benché a questo punto dell’indagine sia opportuno fermarsi alla mera con-
gettura. La diffusione della Vita, trasmessa da due manoscritti tardi7, non ha infatti
fi no a oggi mostrato una diffusione transalpina, e trovare un esemplare della Vita
di un santo tutto sommato marginale, esclusa dalle più note raccolte agiografiche di
area iberica, costituirebbe una pista da approfondire in tutt’altra sede. A questa parte
seguono la scritta «seguyda» e, più in basso i versi in portoghese, divisi in riquadri,
uno per quartina; le prime tre quartine sono state cancellate mediante rasura e poco
si può rinvenire anche dall’analisi con lampada di Wood (si riescono a distinguere con
più chiarezza soltanto il terzo verso della terza quartina rasurata, esto faria de grado,
l’ultima parte del successivo, esto fezesse e le prime parole dell’ultimo, non seria).
Propongo qui un’edizione interpretativa del frammento visibile:
pero tiro em deus bem
que sem duvida esto seria
et nem doutras8 ende rem

7
Si tratta della Vita S. Godefridi, composta da Nicola di Soissons, contenuta in due manoscritti
conservati rispettivamente alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (XV secolo)
e alla Koninklijke Bibliotheek di Bruxelles (XVI secolo). L’unica edizione della Vita può
leggersi negli Acta Sanctorum (Novembris, tomo III, n° 64).
8
Lezione di difficile interpretazione, che qui risolvo in forma provvisoria ed estremamente
dubbiosa.

123
CILPR 2013 – SECTION 14

de † o compiria
Santa Maria averey chamada
quanto min aja de negar
e della tenho de seer guardada
por d<> eu aver de louvar
non sey homen no mundo
que tal vegada aja [...]9
que sempre non seja ajudado
de tam \gram/ nobre dona
por rem deseiaria o que digo
oraçom com preçes faria
se esto comprido ouves[s]e
por seer tirado de rogar
et tornado a meu †.

Visto lo stato gravemente corrotto delle prime tre strofe, non è facile stabilire se si
tratti di una composizione unitaria o se, invece, si tratti piuttosto di quartine slegate,
intese come semplice esercizio di versificazione; ciò che è certo è la totale assenza di
riscontri sia con la lirica dei trovatori galego–portoghesi, sia con la posteriore produ-
zione testimoniata dal Cancioneiro Geral. Sembra comunque possibile rilevare un
tema generale, una sorta di reprobatio dell’autore – probabilmente un monaco o uno
studente – verso il Signore e Santa Maria, in una forma metricamente approssimativa
e verosimilmente abbozzata, non certo copia di una composizione preesistente. Il
significato della nota seguyda, che pare della stessa mano responsabile dei versi, è
ancora da chiarire – si ricordi però che nella terminologia poetica del tempo il verbo
seguir significava ‘imitare’ un testo preesistente, fi no ad indicare il vero e proprio con-
trafactum – ma, in ogni caso, credo che queste quartine non siano contemporanee al
frammento latino e che siano state trascritte quando la pergamena era già stata legata
al codice; ciò mi pare piuttosto evidente dalla posizione dei versi, che lasciano un
notevole spazio dopo le poche righe in latino, oltre che dalla migliore qualità dell’in-
chiostro. Non ho ancora una spiegazione convincente per la rasura delle prime tre
quartine, a meno che non contenessero versi che l’ignoto compositore decise di cas-
sare poiché non soddisfacenti.
L’interesse che la breve composizione ricopre, ad ogni modo, riguarda il contesto
in cui essa fu concepita e redatta. L’autore di queste ‘cuadras’ potrebbe essere uno
studente che si esercitava nella composizione poetica, oppure un monaco alcobacense
che si dilettava a comporre, forse citando qualche testo che conosceva. Non possiamo
neppure affermare che lo sconosciuto autore applicasse i principi del trattato di ver-
sificazione dei fogli precedenti, poiché l’abbozzo di schema rimico desumibile da ciò
che è rimasto presenta una semplice struttura a rime alternate (anche imperfette, se
la nostra trascrizione è corretta), senza particolari affi nità con le tipologie metriche

9
Sebbene non si ravvisi una regolarità nell’uso dei rimanti, pare qui che l’ignoto rimatore non
abbia completato il verso, che difetta inoltre di significato (il cong. pres. di P3 aja fungerebbe
infatti da ausiliare a un qualche participio).

124
MARCENARO

descritte nel trattato. In questo senso, sovviene un altro esempio assai simile, benché
più tardo e più completo rispetto al nostro frammento, visibile in un altro codice
alcobacense. Nelle ultime carte del ms. 213, infatti, una mano probabilmente contem-
poranea alla confezione del codice (databile al XV secolo) trascrive un inno mario-
logico con versi alternati in portoghese e latino; segno che tale pratica non fosse del
tutto estranea nell’ambiente dello scriptorium alcobacense10.
La pratica delle scritture marginali, del resto, è testimoniata da altri esempi di area
portoghese, come il codice n° 43 della Biblioteca municipale di Porto, proveniente dal
monastero di S. Cruz de Coimbra e risalente al XIII secolo, nel quale, in uno spazio
bianco del f. 117v si legge: «Quem esta cantiga leea | se me deseja prazer | me ajude a
dizer | tristis es anima mea». Si tratta quindi a mio avviso di un esercizio di versifica-
zione per mano di uno studente, o comunque di un lettore di poesia, che a quel tempo
non poteva essere che quella dei trovatori galego-portoghesi; è pur vero che, com’è
noto, la cosiddetta lirica ‘galego-castigliana’ annovera autori di provenienza e lingua
galega che potrebbero combaciare con la cronologia in cui situiamo il frammento
poetico (si pensi ad autori come Macias, Juan Rodriguez del Padrón, Alfonso Álva-
rez de Villasandino): ma è altrettanto evidente che i richiami contenuti all’interno del
trattato si rifanno senza dubbio alla lirica di stampo trobadorico, che rappresentava
ancora un modello autorevole fi no agli ultimi decenni del XIV secolo. In ogni caso,
il frammento poetico non s’inserisce in nessuna delle direttrici che segnano il per-
corso poetico che va dagli ultimi trobadores galego–portoghesi ai poeti testimoniati
nel Cancioneiro de Baena: se davvero quest’epoca è connotabile come di “silenzio”
poetico – come lo defi nisce il compianto Alan Deyermond in un celebre articolo del
1982 – ciò avviene soprattutto sul versante della poesia di stampo religioso, di fatto
marginalizzata e ininfluente sulla cultura letteraria portoghese del tardo Medioevo,
dopo la grande esperienza delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso X.
Tutto ciò è comprensibile nell’ottica di una circolazione di cantigas galego–porto-
ghesi in un ambito monastico votato, dagli ultimi decenni del Duecento fi no a tutto il
secolo successivo, non solo a trasmettere illustri opere del passato, ma anche a costru-
ire veri e propri supporti didattici per la rinnovata cultura universitaria promossa dal
regno di Don Denis, il più prolifico fra i grandi re trovatori dell’Europa romanza. Il
terreno era quindi più che mai fertile per mantenere il legame con una cultura poetica
a quell’epoca già pienamente “portoghesizzata”; se, da un lato, Don Pedro provve-
deva a risistemare il materiale poetico raccolto in un Livro compiuto e, dall’altro,
voleva tramandare la fama dei più nobili lignaggi portoghesi nel Livro de Linhagens,
centri monastici come S. Maria de Alcobaça partecipavano all’ambizioso progetto
culturale iniziato durante il regno dionigino e proseguito dai suoi successori, specia-
lizzandosi come centro di copiatura, trasmissione e – come dimostra il manoscritto
286 – creazione di strumenti pratici per la comprensione e l’esercizio della poesia, sia

10
Il testo è pubblicato da Leite de Vasconcellos (1922, 96-98).

125
CILPR 2013 – SECTION 14

mediante la copiatura di trattati esistenti, sia mediante la creazione di nuovi, come


appunto il breve trattato alcobacense e l’Arte de trovar. È in questo contesto storico-
culturale, dunque, che dobbiamo ricercare i pezzi mancanti per illuminare le cospicue
zone d’ombra che caratterizzano la lirica portoghese nel periodo che va dalla metà
del XIV secolo alla metà del seguente.

Università degli Studi di Milano Simone MARCENARO

Bibliografia
Acta sanctorum novembris tomus III: quo dies quintus, sextus, septimus et octavus continentur /
collecta digesta illustrata a Carolo de Smedt, Francisco van Ortroy, Hippolyto Delehaye,
Alberto Poncelet et Paulo Peeters, Bruxelles, Apud Socios Bollandianos / Societé Belge de
Librairie, 1910.
Amos, Thomas L., 1988. The Fundo Alcobaça of the Biblioteca Nacional, Lisbon, Collegeville,
Minnesota, Hill Monastic Manuscripts Library, 3 voll.
Carter, Henry Hare, 1953. «A fourteenth-century latin-old portuguese verb dictionary»,
Romance Philology 6, fasc. 2-3, 71-105.
D’Heur, Jean-Marie, 1973. Troubadours d’oc et trobadours galicien-portougais. Recherches sur
quelques échanges dans la littérature de l’Europe du Moyen Âge, Paris, Fund. C. Gulbenkian.
D’Heur, Jean-Marie, 1983. «Un art poétique latin et portugais du XIV siècle», Pluteus 1, 129-133.
Deyermond, Alan, 1982. «Baena, Santillana, Resende and the silent century of Portuguese court
poetry», Bulletin of Hispanic Studies 59/3, 198-210.
Ferrari, Anna, 1979. «Formazione e struttura del Canzoniere Portoghese della Biblioteca Nazio-
nale di Lisbona (Cod. 10991: Colocci-Brancuti)», Arquivos do Centro Cultural Português 14,
27-142.
Mari, Giovanni, 1899 [1971]. I trattati medievali di ritmica latina, Milano, Hoepli (rist. anast.
Bologna, Forni).
Tavani, Giuseppe, 1999. Arte de Trovar do Cancioneiro da Biblioteca Nacional de Lisboa. Intro-
dução, edição critica e facsimile, Lisboa, Colibri.
Vasconcellos, José Leite de, 1922. Textos arcaicos para uso de Aula de Filologia portuguesa da
Faculdade de Letras da Universidade de Lisboa / coordenados, anotados e providos de un
glossario pelo J. Leite de Vasconcellos. – 3a edição ampliada, Lisboa, Teixeira.

126
MARCENARO

Biblioteca Nacional de Lisboa, Ms. Alcobaça 286, ff. 38v – 39r

127

Potrebbero piacerti anche