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CARLO CATTANEO
SCRITTI STORICI
E GEOGRAFICI
A C U R A DI
VOLUMEI
FIRENZE
FELICE LE MONNIER
- . ...
I
i
I
'i
SCRITTI S T O R I C I
E GEOGRAFICI
A CURA DI
GAETANO SALVEMINI e ERNESTO SESTAN
VOLUME PRIMO
FIRENZE
FELICE LE MONNIER
1957
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
N° 1458
AVVERTENZA
A dar ragione, compiutamente, del contenuto
di questi quattro volumi, avremmo dovuto in-
titolarli : Scritti storici, geografici, etnografici, an-
tropologici; e, forse, non sarebbe bastato. Ci
siamo spaventati ;e abbiamo preferito accon-
tentarci del titolo più breve, che è quello che è.
Chi ha appena un po’ di conoscenza della sva-
riatissima produzione del Cattaneo, nei campi
più disparati dello scibile, dalla storia alla po-
litica, dalla filosofia alle scienze della natura,
dalla linguistica all’economia e alla tecnica, sa
quanto spesso sia difficile incasellare i suoi
scritti in questo o quell’altro dei generi tradi-
zionali. I1 Cattaneo stesso aveva piena consa-
pevolezza di questo suo estroso evadere dagli
schemi soliti, che gli veniva dalla sue straordi-
naria facoltà di ricondurre a un nodo centrale
idee e nozioni appartenenti ai campi più lontani
della conoscenza. Che cosa è il celebre scritto
su L e interdizioni israelitiche? un saggio di
storia, di economia, di .diritto? I1 Cattaneo lo
disse « scritto istorico » (cfr. la prefazione al
II volume di Alcuni scritti, p. XXVI, qui ripub-
blicata nel II volume, p. 121, sotto il titolo
cattaneano, di Frammenti d'isteria universale).
VIII AVVERTENZA
Totale 175
che dicesi facciano all’incirca 960 anime. La più
parte degli abitanti erano cattolici, ma molti di-
sertarono negli ultimi anni, come D’Amato meco
si lagnava.
«V’è inoltre un altro casale, con 40 ovvero
50 abitanti, posto rasente le mura occidentali di
questa città presso la residenza britannica e detto
Mengalagure. V’è nel centro una cappella e una
casa parocchiale, e il D’Amato la visitava sul finir
d’ogni anno, ed in t a l occasione io lo presi a co-
noscere nel 1830.
GIUSEPPE D’AMATO DI NAPOLI 5
« Aveva egli allora 73 anni, e mi fe’ meraviglia
il vedere quanto vivide in lui fossero le rimem-
branze della sua patria. Egli mi descrisse Napoli,
ed un famoso capolavoro di scultura che vi si
ammirava, con un fervore così giovanile e una vi-
vacità di gesti che mi rese stupefatto. La cara
Italia era sempre il discorso favorito per lui. E
quando udì per la prima volta la, Signora,.... suo-
nare il cembalo proruppe in lagrime, e pianse
come un fanciullo per una mezz’ora, pur sempre
implorando ch’ella non desistesse dalla musica.
« Evitava la corte, nè mai, potendo fare altri-
menti, si accostava ai grandi. Viveva tra i suoi
come uno de’ suoi, ed era singolarmente venerato.
Vestiva pantaloni con una tunica di cotonina ne-
ra, e calzava i sandali birmanici. Trovava inco-
mode le calze, e le fuggiva anche nella fredde sta-
gione. Si divertiva disegnando, dipingendo, e
coltivando i giardini, e quando era in villa facen-
dosi condurre su un carro tirato da buoi. Diceva
di non essere mai stato infermo un giorno, ma
quando lo conobbi volgeva al decadimento, però
passeggiava molto e non usava occhiali.
« I l distretto in cui viveva fu già infestato da
malandrini ; ed egli co’ suoi lumi nella medicina
potè giovare assai al suo popolo, e quantunque il
villaggio in cui soggiornava venisse più volte po-
sto a ruba egli non fu mai insultato fuorchè una
sola volta da un ladro che non lo conosceva e che
fu tosto represso dagli altri della sua banda. LO
scorso anno il dottor Richardson viaggiando alle
frontiere di Manipùr, udì lungo il cammino i più
commendevoli racconti sulla costui carità e be-
neficenza. I Birmani d’ogni classe lo veneravano,
e quando all’avvicinarsi dell’esercito inglese, uno
zelante satellite pensò di metterlo ai ferri, il re
6 CATTANEO SCRITTI STORICI I
. . . .
8 CATTANEO SCRITTI STORICI I
.
SCOPERTE DEL CAPITANO OWEN 19
su una immensa pianura. Gli Arabi lo rimomtano
per sette giornate con grosse barche d a tonnel-
late 150 ; al di là le rapide correnti li fermano, ma
i canotti degli indigeni si spingono avanti per un
mese di viaggio. Quelle acque sono però infestate
d a ippopotami e crocodili fieri e numerosi. Lo
stesso si dica dell’altro gran fiume navigabile det-
t o Livùma.
Gli Arabi vogliono che questi due fiumi e un
altro ancora, sieno gli emissarj del gran lago in-
teriore, indicato nelle vecchie carte, col nome di
Maràvi ; e detto da’ suoi litorani Nassa, O Niassa,
cioè il mare. Intanto l’esistenza di questo lago è
provata. Un mese di viaggio attraverso le terre
dei Dengarèko, dei Ncùtu, dei Msagàra, e dei
Miao o Mujai, conduce a Kelingo capitale di que-
sti ultimi, Quattro giorni di ulterior cammino at-
traverso a fertili colli, conducono alle falde delle
alte montagne di Njesa t u t t e sparse di case iso-
late. Dal giogo di N’jesa chi riguarda verso occi-
dente, vede espandersi al suo sguardo a gran di-
stanza un immenso lago il cui estremo si confonde
coll’orizzonte, e la lucida superficie è t u t t a semi-
nata d’isolette. Gli abitanti dicono che vogando
cinque o sei ore per giorno, e sostando ogni notte
in un’isola, si vorrebbero due lune a raggiungere
l’estremità opposta del lago; ma la larghezza’ si
percorre i n t r e giornate di remeggio. Le acque
sono dolci ; libere d a ippopotami e crocodili, piene
di pesci e frequentate da uccelli acquatici. T r a i
litorani chiamati t u t t i dai loro vicini Muniassa
cioè Gente marina, i più vicini sono i Mucamango
i quali sono simili ai Moviza che vivono dalla
parte opposta di quel continente e fanno con loro
un vivo traffico. E qui giova rammentare ciò che
scrisse il colonnello e professore Lacer da-Almeida
20 CATTANEO - SCRITTI STORICI -I
fin da molt’anni addietro : « Quantunque l’impe-
rio di Cazembe sia nel cuore dell’Africa, egli non
è così barbaro come i geografi d a gabinetto so-
gliono dipingere queste regioni ; m a la sua cultura
potrebbe compararsi a quella in cui si trovarono i
Messicani e Peruviani; i quali a mia credenza
erano più civili e mansueti che non fossero a quel-
l’epoca gli stessi Spagnuoli )). Tutte le tribù che
non vivono fra le arene e le paludi della costa,
conoscono i vantaggi dell’industria, del commer-
cio e dell’ordine sociale ; ove si eccettui quella dei
Mdòa presso la quale si divorano tuttora i nemici
uccisi i n battaglia.
La più parte di quelle popolazioni non sono
della stirpe Negra, come vogliono i geografi. Gli
stessi M i a i e i Ciaga, che sono pur neri, non lo
sono come i popoli della Guinea, e non hanno le
guance prominenti e il naso compresso dei Man-
d i n g h i , o dei Gialofi. La loro fronte è spaziosa, e
la fisonomia franca e generosa. Moltissime tribù
sono brune di colore, e di belle e vigorose membra.
I Vambunghi, vicini dei Miai, sono detti dagli
Arabi il popolo bianco e passano presso ai negri
come i più begli uomini del mondo. Una delle loro
donne si vende a l mercato di Zanzibar per tremila
talleri.
Tra i Negri i meno rozzi sono i Miai; servono
d a commessi ai mercanti Arabi, tessono panni
operati colle fibre delle foglie di palma e fanno
cotonine rigate ; ma sogliono vendersi schiavi vo-
lontarj agli Arabi che però li trattano con molta
umanità. Le tribù non negre aborrono la schia-
vitù.
F i n dai tempi di Arriano, gli a r a b i stabiliti
qua e là, sul litorale e imparentati coi più ricchi
indigeni, vi facevano il commercio dell’avorio,
SCOPERTE DEL CAPITANO OWEN 21
della tartaruga e degli schiavi. Quando v i giun-
sero pel Capo di Buona Speranza i Portoghesi,
rimasero stupiti della opulenza e ricchezza di quei
mercatanti che vestivano mussole fine e stoffe di
seta, e abitavano case simili a quelle degli Spa-
gnuoli o vogliam dire di stile moresco.
Ma i Portoghesi a quel tempo avari e fanatici
e più solleciti a mietere che a seminare, non solo
non volsero a stabile vantaggio le splendide loro
venture, ma distrussero ogni prosperità di quelle
marine. Davanti a i loro passi fuggiva ogni sicu-
rezza, ogni fidanza, ogni commercio. Le loro co-
lonie caddero facile preda degli Imami di Musca-
te, i quali regnando sul continente Arabo vicini
alla, Persia e all’India divennero signori di tutto
il commercio.
Circa ottant’anni sono l’usurpazione del trono
produsse lo smembramento di quell’imperio. Que-
sto evento si rinnovò nel 1807. I1 Sultano Bader,
colto da una pugnalata del suo cugino Seïd-Saïd,
saltò per salvarsi da una finestra, trovò un ca-
vallo e si rifuggiva a l campo de’ suoi fidi; ma in
quell’atto venne raggiunto e trafitto dalla lancia
di uno schiavo. Seïd-Saïd regna a Muscate. Assa-
lito dai settarj Vaabiti nel 1809 egli era per soc-
combere, quando le piraterie di quegli audaci set-
t a r j provocarono la vendetta, degli Inglesi e così
il Sultano si trovò poderoso soccorso. La sua po-
tenza si stende su 4000 miglia di marina, a inco-
minciare dalle foci dell’Eufrate ; ma molte isole
e porti dell’Arabia e dell’Africa gli resistono tut-
tora come a d usurpatore. Egli è però principe
intraprendente e riformatore ; ha un esercito ad-
destrato all’europea, d a Sipoi mandatigli dall’In-
d i a ; e la sua. flotta conta. sei fregate, una nave
d a 84, ed una da 64 cannoni. Risiede d a t r e anni
22 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
cesi sono del 1340 ; presso gli Inglesi del 1343, alla
battaglia di Crécy ; presso gli Anseatici del 1360.
Nel 1376, nella famosa guerra di Chioggia tra
Veneti e Genovesi, pare che le bombarde riceves-
sero qualche maggior perfezione da Fra Bertoldo
Schwarz, al quale venne poi attribuita l’inven-
zione primiera della polvere, antica allora di due
secoli per lo meno. Tutto questo simiglia alla
prima scoperta e alle successive applicazioni del-
la potenza del vapore, le quali richiesero pure
due secoli, e si propagarono per lenta imitazione.
Se l’uso delle bombarde, degli schioppi, degli
archibusi ebbe luogo prima che altrove in Lom-
bardia, è ragionevole la congettura che qui siansi
inventati. E per verità i vecchi cronisti spagnoli
non le chiamano bombarde, ma lombarde, e tor-
m e n t u m longobardum. E l’istorico Mariana sog-
giunse: ( ( P e r tal modo le appellano i nostri Cro-
nisti, credo dalla Lombardia, d’onde vennero la
prima volta in Ispagna; o perchè quivi furono in-
ventate )). I1 Dizionario dell’Accademia Spagnola
dice che bombarda venne dal greco bombos pel
suo fragore, « m a più naturalmente dall’essere
venute d i L o m b a r d i a ) ) . Ora, senza disturbar la
lingua greca, rimbombo e schioppo e archibuso
sono voci native d’Italia, e proprie dei Lombardi,
che dicono appunto buso e schioppo anche dove
il rimanente d’ Italia dice bugio e buco e scop-
pio. L’asserzione del padre Gaubit, che il Chan
Kubilai si valesse della polvere nella conquista
della China meridionale, s’oppone alla testimo-
nianza indiretta, di Marco Polo ; il quale era quel-
l’accorto osservatore che tutti omai riconoscono,
e fu molto famigliare di Kubilai, e n a r r a che suo
padre Nicolò e suo zio Matteo contribuirono alla
presa, di Siang-yang-fu, insegnando macchine da
DELLA MILIZIA ANTICA E MODERNA 56
.
DELLA MILIZIA ANTICA E MODERNA 61
la ferma disciplina militare fino al punto di
porre seco lui la rassegnazione degli eserciti mec-
canici tanto a l disopra dell’impeto, e, diciam pu-
re, dello zelo, il quale accompagna sempre l’in-
telligenza svegliata e l’animo cittadino. Chi è
rassegnato sotto la pioggia del foco, non ha sem-
pre il vigore elettrico di riannodarsi e risurgere
dalla sconfitta, di raddoppiare le marce, di vol-
gere in facezia le più dure privazioni, di reggere
a l tragitto dei deserti e delle montagne gelate.
Nel disastro di Russia i soldati meridionali ser-
barono mente più serena e contegno più militare,
e ressero al gelo più d’altri, ch’erano figli di più
rigido clima. Poteva parere un coraggio di rasse-
gnazione quello ch’egli cita dell’esercito inglese a
Waterloo; ma non era possibile che non vi si
fosse infusa per esempio e per contatto l’esalta-
zione morale degli ufficiali, i n cui bollivano t u t t e
le ambizioni d’un patriziato il quale doveva mo-
strare a d una superba e poderosa nazione d’essere
degno di governarle, e di dominar seco lei t a n t a
parte della t e r r a e del mare. E codesto dominio
marittimo non fu acquistato col coraggio di rasse-
gnazione; poichè a d Aboukir e Trafalgar si vide
risplendere bensì nei vinti, ma non nei vincitori ;
i quali solo nell’ardimento e nello slancio dell’as-
salto ritrovarono la vittoria. Onoriamo dunque la
rassegnazione che more a l suo posto; ma non ne-
ghiamo l’efficacia d i quell’impeto generoso, che
scaturisce dalle intime condizioni civili, e solo sa
compiere sul campo e su l’oceano i più sublimi ar-
dimenti.
Trattandosi di libro nel quale l’arte militare
è sottoposta alla politica e all’istoria, , oserem-
mo indicare all’autore una parte dell’argomento
ch’egli non h a peranco tocca, e forse riserva ad
62 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
. . ..
DELLA CONQUISTA D’INGHILTERRA 66
a lato le viene l’altre opinione pure universale
e pure erronea, che la lingua inglese nascesse
primamente dalla miscela, dell’anglosassone colla
francese. Poichè quando dalla lingua inglese si
espungesse tuttociò ch’è francese o latino, ciò che
rimarrebbe è tanto ancora diverso e per infles-
sione e per costruzione e per accento dalla lingua
degli Anglosassoni e degli antichi Scandinavi, che
ben si vede come quelle lingue di corsari e di
soldati, le quali erano già scritte non a l t u t t o
senz’arte, avessero subito una profonda mutazio-
ne nel propagarsi lentamente come favella par-
l a t a e commerciale, fra le stirpi indigene. Le quali
allora tenevano i n armi t u t t a la parte occiden-
tale dell’isola, e dovevano formare le plebi r u -
stiche e urbane anche lungo la costa orientale, e
sempre rimasero tronco principale e fondamento
della nazione britannica, e di lunga mano più
ancora dopo la congiunzione di Galles, di Corno-
vallia, della Scozia e dell’Irlanda.
La conquista di Guglielmo fa serie con quelle
di Clodoveo. di Carlomagno. di Canuto, d’Araldo
Crinito, di Tancredi Altavilla, degli Ensiferi, dei
Teutonici, dei Crociati, dei Veneti, dei Genovesi,
dei Castiliani, dei Portoghesi, degli Aragonesi, dei
Polacchi. E non rappresenta il conflitto di na-
zioni con nazioni; ma il continuo incremento
d’una confraternita religiosa e patrizia, che si
venne tessendo a poco a poco coi frammenti pro-
miscui delle genti romane, celtiche, germaniche e
slave. Fra le quali è vana opera degli scrittori
l’andar distribuendo con mano o arrogante o vile
un costante ed assoluto nome di vinti e di vinci-
t o r i ; dacchè ve n’ebbe degli uni e degli altri in
ogni stirpe e i n ogni lingua ; e quella nazione che
si affetta di chiamare appunto dei vincitori, ebbe
5. - CATTANEO. Scritti storici. I.
66 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
Dell’evo antico.*
.. - . .”
‘DELL’EVO ANTICO 136
munii dei valorosi Seichi, il linguaggio vulgare
s’accosta più di t u t t i gl’idiomi viventi alla sacra
lingua sanscrita; mentre quanto più si discende
verso mezzodì, il linguaggio dei popoli e il loro
aspetto si vanno facendo sempre più diversi. E le
sacre leggende additano sempre quelle gelide alpi
come la terra ove risiedono gli Dei ; e il peregrino
viene da lungi a purificarsi nei sacri laghi, e de-
porre 1’offerta su gli alti gioghi, d’onde appena osa
levare lo sguardo a quella folla di nevose creste,
che si stendono all’ultimo orizzonte, e su cui nel
suo fervore egli vede il dio Indra ordinatore del
mondo, che nel puro etere, avvolto in ammanto
ceruleo cosperso d’occhi, si posa su l’arcobaleno.
I popoli dell’India non hanno il nobile diritto
di posseder terra, ciò che il sagace Romagnosi ri-
feriva alla spoliatrice conquista braminica ; e chia-
mava egoismo villereccio quel loro vivere in co-
munità, le quali fanno tanti modi isolati, ove per
corso d’anni nulla si muta. I campi si coltivano
come cosa comune, e coi frutti prima si pagano
le gravezze, poi si alimenta il bramino, il prefet-
to, l’astrologo, il fabbro, il falegname, il lavan-
daio, il medico, il maestro, il musico ed a l t r i ;
poi si divide fra gli aratori la povertà rimanente.
Tutti i mentovati officii toccano a ciascuno, se-
condo la sua casta ; e le famiglie miste si conside-
rano come impure e destinate ai più abietti ser-
vigi, l’infimo dei quali si è quello di scorticatore
e di carnefice, tanto abborriti, che chi si tratte-
nesse secoloro un istante, verrebbe espulso come
infame dalla sua casta. T r a le prosapie più con-
culcate sono i Paria ; e lo erano quei Zingari, che,
stanchi forse di tanto obbrobrio, si dispersero a
cercare men odioso vivere in Europa. Tutto quel
riparto di caste, di territorii e di comunità ram-
136 CATTANEO - SCRITTI STORICI -I
DELL'EVO ANTICO 137
138 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
stende una mesta nube sii le fatiche e le miserie
della vitti presen t e.
140 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
>.:
150 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
i
quiste, e sollevando l e colonie greche dell’Asia.
I Persiani fecero atroce scempio dei sollevati:
arsero molte città, trasportarono nei deserti del-
l’Arabia gli abitanti, condussero nei loro serragli
le donzelle, fecero eunuchi i giovanetti; poi collo
stesso furore corsero sull’isola d’Eubèa, e di là,
DELL’EVO ANTICO 157
tragittando lo stretto, si gettarono sull’Attica ;
ma le loro moltitudini, t r a t t e fra, le paludi di Ma-
ratona dall’immortale Milziade, furono disfatte
da un pugno d’Ateniesi. Pochi anni dopo, la
Persia adunò di nuovo le sue forze, gettò un ponte
sull’Ellesponto; e per sette giorni e sette notti i
battaglioni barbari si versarono su la terra d’Eu-
ropa. I n quella splendida pompa, militare, in cui
si vedevano tutte le strane vesti e armature del-
l’oriente, sfolgorava le corte dello stesso monar-
ca e il sacro carro del Firmamento, tratto dagli
otto candidi corsieri. Le genti bellicose della
Tracia, della Macedonia, della Tessalia, della Reo-
zia si sottomisero atterrite ; ma trecento Spartani
morivano alle Termopile, piuttosto che cedere
palmo di terra a d un milione di nemici. La piena
sboccò nell’Attica; i Focesi erano fuggiti sui di-
rupi del Parnasso ; gli Ateniesi, per sublime con-
siglio di Temistocle, lasciarono la città alle fiam-
me nemiche, portarono le famiglie in un’isola,
poi salirono t u t t i su le navi, deliberati di vincere
o morire ; e nello stretto di Salamina sgominarono
tutte quelle forze che la potenza dei Persiani e la
gelosia dei Fenici avevano potuto trarre dalle
marine dell’Asia. La giornata di Platea distrusse
anche l’esercito terrestre, e compì il trionfo della
forza morale su la materia militare.
Sulva da quell’assalto, Sparta non curava più
le guerre asiatiche, e non amava quei lontani in-
viluppi; ma il commercio ateniase voleva riven-
dicare i porti greci dell’Asia Minore; e con esso
stavano t u t t i i popoli naviganti delle isole. La
libertà ionica secondava il felice impulso della
vittoria e del tempo ; l’antica possidenza dorica
vi ripugnava, perchè sentivasi t r a t t a sopra un
terreno non suo, in una causa di mercatanti. Ma
168 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
l’ardor bellicoso degli Ateniesi e r a tale che le
isole stesse non potendovi tener pari, anteposero
melaccortamente di contribuire a quelle imprese
col denaro, rimanendosi tranquille ai loro traffi-
chi. E così d’alleate s’accostarono a tributarie,
e gli Ateniesi a poco a poco di mercanti si fecero
soldati. Vantando che il loro valore assicurava
appieno i loro amici, profusero il sacro denaro
federale a munir di mura la loro città ed il suo
porto, e ornarla di templi marmorei, di porte e
fontane e portici e teatri e orti di dotte delizie;
poi superbi della forza e bellezza. della patria, e
della ragionevolezza ed eleganza del vivere, inso-
lentivano coi collegati ; riscotevano aspramente
il contributo; e ritenevano per forza coloro che,
stanchi di quei nuovi modi, volevano uscir della
lega. Pericle, per farsi partigiani, favoriva i po-
veri e gli oziosi; e per condurre col voto loro la
cosa pubblica, introdusse il costume di pagar le
giornate che i cittadini consumavano nei comizii,
e perfino di pagar loro col pubblico denaro l’ in-
gresso agli spettacoli. Così mentre una spropor-
zionata eleganza succedeva nel popolo all’indu-
striosa semplicità che lo aveva fatto potente, esso
diveniva una colluvie di mercenarii, che i n guer-
ra e in pace dovevano vivere alle spalle dei fede-
rati. Quindi noi crediamo fermamente che a que-
sta estinzione del vero spirito mercantile, e non
a l soverchio suo sviluppo, si debba la degenera-
zione del popolo ateniese; e non sappiamo acca-
gionarne con Leo l’amor delle ricchezze, ma bensì
l’ambizione militare, che non le faceva ricercar
più nella natural fonte del commercio e dell‘in-
dustria, ma nell’oppressione dei federati. E se la
riflessione filosofica tralignò presso alcuni i n so-
fisticheria, ciò f u perchè quando i popoli furono
DELL’EVO ANTICO 159
guasti, vollero cercare nei sofismi una giustifica-
zione che non potevano più trovare nell’austera
verità e nella sincera coscienza, e si sforzarono
di nobilitare sotto forma di dottrina il disprezzo
che avevano dei principii. Ma egli è ben certo che,
se qualche puro e sublime sentimento si udì an-
cora entro le mura d’Atene, si udì nelle severe
adunanze degli Stoici e negli studiosi consorzii di
Socrate e di Platone, la cui repubblica è infine uno
specchio ideale della prisca città spartana.
Per alcun tempo gli Spartani tollerarono la po-
tenza ateniese, perchè nel frangente delle guerre
persiane avendo essi posto le armi in mano ai
Perieci, ai Messeni ed agli stessi Iloti, e avendoli
condutti a militare fuor de’ confini, li avevano
poi trovati dopo il ritorno indocili e riluttanti.
Ma repressi colla crudeltà quei moti intestini, si
opposero apertamente a d Atene. Nel corso di
quelle guerre, che si dissero d e l Peloponneso,
Atene, divenuta affatto militare, cangiò il go-
verno di popolo in un predominio di conduttieri
e di soldatesche. E: la dura Sparta, involta in
lunghe imprese marittime fra popoli trafficanti,
sfuggì al rigore delle sue instituzioni : e mentre le
continue guerre consumavano i suoi combattenti,
abbandonò i suoi feudi militari all’urbitrio dei
testamenti e delle donazioni, che misero in poter
di poche donne due terzi della possidenza mili-
tare, e ridussero l’altiera cittadinanza di Lic urgo
ad un’umile poveraglia intorno ad un branco
d’epuloni ; e tuttavia coll’antico simulacro del
nome spartano, colle flotte non sue, e con bande
di mercenarii, tiranneggiò le città greche, e le
emunse avidamente. E Atene e Sparta uscirono
così d a quelle lugubri guerre a l tutto trasforma-
te, e prive d’ogni principio nativo. D’allora in
160 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
. -
DELL’EVO ANTICO 167
un centennio; poichè si compie quando l’ultimo
dei nati nel secolo precedente è disceso al mondo
sotterraneo: gli Dei ne dànno l’annuncio coi por-
tenti augurali, e i popoli lo festeggiano coi giochi
secolari. Quando gli Etruschi cominciarono a scri-
vere i loro annali, erano già chiusi sette secoli
dell’èra loro assegnata. Tutto questo ordine di
case pare straniero e solitario nel mondo occiden-
tale ;gli Etruschi si ripetono in doppia serie di co-
lonie nell’alta e nella bassa I t a l i a ; m a la loro
aspra lingua non sembra parlarsi nè sul Tevere
nè sul Po: forse, crederemmo noi, è una lingua
sacra, e straniera, colla quale si celebrano i sacri
riti e s’inscrivono i monumenti, ma che il po-
polo non intende. S e l l a regione del Po la poste-
rità non ritrova le loro reliquie se non in una
città cerchiata dalle lagune dell’Adriatico, al qual
mare ella lascia, in perpetuo il suo nome; quelle
loro colonie sembrano stabilimenti di navigatori,
che penetrano pei fiumi in terre inculte; le loro
imprese sono nelle isole e sui mari: la tradi-
zione popolare li fa venuti dalla Lidia. Non v’è
traccia che le loro instituzioni abbiano radice
nelle Alpi; e se dovessimo ammettere con Leo e
con altri suoi concittadini la venuta dei Tuschi
dalle Alpi alla Toscana, allora dovremmo distin-
guere i Tuschi dagli Etruschi, e riguardar quelli
come invasori terrestri, che vanno a trapiantarsi
nel grembo d’una popolazione marittima che ha
già compiuto l’èra sua. Nè, contro l’indelebile te-
stimonio della linguistica, possiamo ammettere
con Leo affinità d’origine t r a i Liguri e i Veneti,
tanto dissimili anche d‘animo e d’intelletto e di
modi ; nè distaccare i Corsi dal loro cespite asso-
lutamente toscano, per avvicinarli a d un’origine
iberica, della quale, fra tutte le genti italiche,
i
.. ... .. . ... , . . . .. . .. .
168 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
-
CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
-
DELL’EVO ANTICO
strati non v’era omai più privilegio a favore dei
patrizii. M a in breve si formò dai patrizii e dalle
più potenti famiglie popolari un corpo di nobili,
nel cui cerchio era difficile penetrare a chi fosse
uomo nuovo. Le feste pubbliche, dopo la prima
guerra punica, vennero date a privata spesa degli
edili; e siccome l’edilità era il primo passo alle
alte magistrature e al senato, chi non era ric-
chissimo ne rimase indirettamente escluso. Per.
farsi strada, molti s’indebitarono enormemente,
e si posero in necessità, di rifarsi, volgendo gli
, onori in fonte d i smisurato lucro. L’estorsione e
la venalità vennero imposte dal lusso degli eletti
e dalla corruzione degli elettori. Tiberio Gracco
tribuno volle limitare le possessioni dei Grandi,
e dimandò che le terre demaniali venissero date
in usufrutto ai poveri soldati, i quali però non le
potessero vendere, e le perdessero se le lasciavano
inculte; ciò chiamossi la legge agraria. Ma i po-
tenti, che per mille modi indiretti si godevano le
terre dello Stato, si opposero; e infine vennero
alla violenza, e uccisero il tribuno. Suo fratello
Caio continuò la l u t t a ; tentò introdurre nella
cittadinanza romana gli alleati latini; e per raf-
frenare le depredazioni, tolse a i senatori e diede
ai cavalieri l a giurisdizione sui delitti di S t a t o ;
ma egli pure fu ridutto a tale che si diede la
morte. I poderi demaniali già ripartiti alla plebe
furono ricompri o richiamati ; e i poveri a poco a
poco, per vivere, mercantarono il loro voto ai po-
tenti. Invano Mario, per ritornarli indipendenti,
introdusse l’uso del voto secreto, e accettò nelle
sue legioni anche i più poveri, e levò su le terre
demaniali un contributo a loro favore. Soprav-
venne l’irruzione dei Cimbri e Teutoni, che Mario
sperperò gloriosamente. Allora fatto console per
176 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
I
titudini veniva represso con vendette e ruine. La
=-
-
-
cadente cultura romana era ancora troppo ele-
gante ed elevata pei barbari vulghi delle provin-
cie, e troppo scientifica e positiva per dominare
quell’ammasso informe di culti, che d’ogni parte
del mondo confluirono in Roma, quasi a darsi re-
ciproca mentita. L’arido congegno amministra-
tivo escludeva ogni sentimento generale, ogni po-
polare affezione ; nè involgeva tampoco, come gli
antichi sacerdozii, un nesso qualsiasi colla natura
=
e col cielo. =
-
propagatosi dagli imi a i sommi, e dai sommi di-
scendendo imperioso ed armato sulle masse, ag-
gregò le genti nella comunanza d’una sola fede. -
-
-
DELL’EVO ANTICO 181
.--
182 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
tificale, lacerata in sè dalle più sanguinose di-
scordie, si vendicava con somma atrocità dell’av-
versa opinione dei popoli ; Alessandro Janneo,
dopo aver ucciso i suoi fratelli, traeva al patibolo
ottocento Farisei. I Farisei invocavano le armi
degli Arabi; i Sadducei chiamavano un luogo-
tenente di Pompeo; i Farisei, Pompeo stesso; il
principe Aristobulo i P a r t i ; t u t t o il peso delle
prepotenza militare cadeva su la disciolta e con-
vulsa nazione. Erode, all’ombra delle insegne ro-
mane, vendicava sul sinedrio le sanguinose mise-
rie della sua famiglia,, godeva d’insultare ai co-
stumi popolari colle pompe dei teatri romani; e
moriva dolente e disperato t r a i furori della plebe
che atterrava i suoi monumenti. I suoi figli, fra, i
quali Augusto spartiva il paese, continuavano la
guerra alle consuetudini del popolo, che tumul-
tuava ferocemente, incapace a un tempo di resi-
stere e d’obbedire. La lutta tra il popolo ebreo e
la potenza imperiale, che voleva stabilire nel tem-
pio il culto dei Cesari, terminò nel più spaven-
tevole esterminio. Ma quando la signoria della
forza sul sentimento sembrava dover essere eter-
na, dall’abisso di quella sventura e di quella di-
sperazione si svolse il principio intimo che man-
cava all’unità imperiale, e col quale soltanto ella
poteva fondere le avverse e ripugnanti naziona-
lità, che la conquista aveva strette a d una sola
catena. I1 libro degl’Israeliti diviene il libro del
mondo romano; e l’antica istoria si chiude da
Leo con quella del popolo israelita.
.--.-
_I .I
208 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
. .
228 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
1 Vedi la Basvilliana :
E sbattuti dall’aspra onda crudele,
Cadaveri e bandiere, e disperdea
L’ira del vento i gridi e le querele.
CATTANEO . SCRITTI STORICI - 1
aggregando a l regio demanio. Me i feudatari e la
numerosa progenie dei cavalieri anche dell‘infimo
ordine sono esenti dall’ordinaria giurisdizione ;
e i Sardi hanno mille volte più care queste misere
distinzioni che la comune prosperità.
E perciò le terre inculte ingombrano tre quar-
ti dell’isola ; e gli ubertosi seminati, raramente
sparsi tra ignude sodaglie, mostrano ad un tem-
po i doni di Dio e l a cecità degli uomini. I terri-
torii si sogliono dividere in t r e o quattro parti,
una delle quali, detta la vidazzone, attorniarsi con
siepe secca; e i proprietarii, o quelli a cui il co-
mune l’affitta, possono seminarla, ma per un solo
anno; e dopo la raccolta deve ritornar pabarile,
cioè riaprirsi alla pastura libera e selvaggia ( p a -
bulum), come l e lande della prisca Scizia. E così
l’agricultura compie in t r e o quattro anni il suo
miserabile viaggio, senza prati, senza rotazione,
senza letami, senza stalle. I1 contadino, errante
quasi come il pastore, vende le braccia a giorno ;
o appigionando un campo per l‘annata, comincia
coll’indebitarsi della semente al monte granario,
o a l signore del fondo; o al tempo della mèsse,
pagato l’affitto e la decima e le imposte, appena
salva un tozzo per la fame. Così, mutando terra
a d ogni tratto, perde molte ore per trascinami
a, piede o a cavallo dal casale alla deserta vidaz-
none. Da ultimo crebbe il numero dei poderi ser-
rati; anzi alcuni si prevalsero della legge che
promove la chiusa delle terre, per cingere vasti
spazii, e arrogarsi un affitto dai poveri che prima
vi traevano gratuitamente. Ma frattanto è gran
ventura che chi lavora non venga. turbato ogni
anno d a un’irruzione di barbari. Le famiglie pa-
storali che pochi anni addietro (1824) facevano
DELLA SARDEGNA ANTICA E MODERNA 241
, I ,
. .. . .
DELLA SARDEGNA ANTICA E MODERNA 247
possidenza, all'industria, all'agricultura, fanno
la parte più vitale della nostra società. I1 corpo
degli studenti è fornito i n gran parte da fami-
glie così povere, che sotto il nome di maioli sono
costretti a collocarsi servi presso i signori, che
lasciano loro qualche intervallo per la scuola.
E si vedono studiar le lezioni nel vestibolo dei
palazzi, o alla porta delle chiese o delle case ove
hanno accompagnato le loro signore, istituzione
che rende spregiato i l nome dei liberali studii.
Le scuole letterarie sono tenute tanto in Cagliari
quanto i n Sassari dai gesuiti (472 allievi), e dai
frati delle scuole pie (1323). L'istruzione nelle
campagne quasi ignota: quella delle donne si
riduce i n pochi monasterii. Una genia di scrivani
pubblici si noleggia alle corrispondenze episto-
lari, ministra di dissensione e d'intrigo.
I1 clero, i n proporzione di popolo, è circa il
doppio che fra noi, quindi povero; le sue rendite
si valutano u n millione di franchi. per un quarto
appartengono all'ordine vescovile. Le undici dio-
cesi dell'isola non sommano alla popolazione del-
Ia sola diocesi di Milano. La città vescovile di
Ales non ha mille anime (989) ; quella di Galtellì
poco più di ottocento (845). Le parrocchie (391)
sono d'ingovernabile vastità, ragguagliandosi per
termine medio ad una superficie di 70 chilometri.
Gran parte dei curati si fa supplire da vicarii
annui poverissimi, e nondimeno tenuti a dare
l'ospitalità, per difetto d'osterie. Ma le città han-
no molti canonicati e beneficii collegiati (450). I1
Della Marmora osserva, che t r e quarti delle fu-
miglie agiate devono il principio della fortuna a
qualche prebendato : il che dimostra ancor mag-
giore la povertà delle altre classi. I f r a t i sono
più di mille (1105), tra gesuiti (60), domenicani
248 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
.
.... .
CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
-^.-._I-_ I
DI ALCUNI STATI MODERNI 267
cremento delle tante colonie vi farà surgere,
manderà nei porti inglesi un nuovo stuolo di
vele, darà, nuove ali alla prodigiosa produzione
della sua industria, trarrà dall’inesauribil t e r r a
nuove masse di ferro e di carbone, svilupperà
nuove legioni di macchine a vapore. Queste già
sommano i n Inghilterra alla forza di quattro-
centomila cavalli. Qual è la nazione, le cui ma-
nifatture siano p o v o c a t e da 250 milioni di di-
retti o indiretti consumatori d’ogni nazione e
d’ogni clima‘? E tale immensità di consumi an-
cora non basta a tener dietro al mostruoso svi-
luppo dell‘industria britannica. Essa prevale s u
tutti i popoli nelle a r t i che richiedono grand’uso
di macchine e di foco. Essa dalle sole miniere del-
l’isola ricava l’annuo valore di cinquecento mi-
lioni di franchi, di cui due quinti i n ferro. La
libertà concessa alla preparazione del sale, in
paese che abbonda di combustibile per la bolli-
tura, e ha molto salgemma e fonti salse, può sop-
piantar tutte le saline solari dell’Europa meri-
dionale e le pesche marittime della settentrionale.
I lucri di tanto commercio, di tanta industria,
di tanto dominio si riversano sul suolo della, ma-
drepatria, che in pochi anni f u solcato da mille
o cinquecento miglia di strade ferrate e tremila,
miglia di canali, quasi t u t t i opera di libera in-
dustria privata. Il Canale Caledonio unisce nella
Scozia i due mari, con un varco capace di dar
passo alle fregate. Uno dei ponti di Londra costò
sedici milioni ; il passo sotterraneo del Tamigi
stupefece l’Europa ; cinquanta milioni si spesero
in argini lungo la marina; centinaia di milioni
nelle darsene di Londra, di Hull, d i , Leith, di
Bristol, di Liverpool, ove sui meri certificati di
deposito le merci si girano colla, celerità d‘una
268 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
.,
DI ALCUNI STATI MODERNI 269
bia e della Malesia e delle repubbliche spagnole
d’America, le quali popolate solamente lungo le
marine, e separate ancora all’interno da vaste
solitudini, sono, a guisa, d’isole, congiunte solo
per mare. Tale è il numero dei valenti navigatori,
che le leggi inglesi non s’ingeriscono a prescrivere
esame, nè imporre patente ai capitani.
I bisogni d’una popolazione manifattrice e
mercantile, chiusa entro un recinto di dogane che
respinge le vittovaglie straniere, esagerò il va-
lore dei produtti campestri, ed accrebbe le forze
e l’ardimento dei coltivatori, che si allargarono
su le lande inculte dei comuni, e asciugarono con
macchine e colatoi sotterranei le paludi della co-
sta orientale. I n alcuni territorii il numero dei
cavalli e degli altri bestiami è fino a venticinque
volte maggiore che non fosse ottant’anni addie-
tro, quando molte di quelle città non conosce-
vano ancora macelli, e facevano nei porti di mare
provviste di carni salate. Mentre nel 1727 i citta-
dini d’Edinburgo accorrevano a vedere nei loro
campi per la prima volta una mèsse di frumento,
in sì breve intervallo il produtto della pastorizia
e dell‘agricultura britannica giunse a tale che
supera d’assai quello delle manifatture.
I.
272 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
. .. ...
RITORNO DEL CAPITANO ROSS 305
ove vedevano le acque rapidamente congelarsi in-
torno a loro, sicchè appena ebbero tempo di tor-
narsene indietro per la stessa via, dopo aver toc-
cato il 78°4’, l’estrema latitudine australe finora
raggiunta dall’uomo. Lo scandaglio indicava in
quei luoghi un fondo di 570 metri di fango molle
azzurriccio. Non poterono avvicinarsi al polo ma-
gnetico più di 176 miglia; ma fecero così copiose
e minute osservazioni, che il suo posto ne rimane
determinato egualmente, come se lo avessero ve-
ramente visitato.
L a stagione intanto si faceva più rigide, il
ghiaccio si faceva più minaccioso ; onde il 14 mar-
zo ripassarono il circolo polare, dirigendosi verso
quei luoghi ove il capitano Wilkes aveva annun-
ciato un Continente Antartico. Ma, nel bel mezzo
dello spazio indicato gettarono lo scandaglio al-
l’enorme profondità di mille metri; e quindi ve-
leggiarono intorno a quel punto scorrendo ottanta
miglia i n varie direzioni i n un tempo chiaro, e
così accertarono che i l continente di Wilkes era
stato un sogno, e un mondo di nebbie e di ghiacci.
Volti a occidente, toccarono il punto ove il dotto
tedesco Gauss aveva calcolato doversi trovare il
polo magnetico, e parimenti poterono accertarne
l’errore. Per tal modo compiuta la prima cam-
pagna tornarono nella Diemenia, senza avere un
sol uomo sulla lista dei morti, e nemmeno degli
infermi.
Nella seconda campagna, essendo ristorati i
marinai, racconcie le navi, e regolati diligente-
mente gli arnesi scientifici col confronto degli
osservatorii fissi dell’Australia, dopo aver rilevato
in Sidney e nella Baja delle Isole la momentanea
corrispondenza delle perturbazioni magnetiche in
quegli antipodi e i n Europa, si volsero a levante
20. - CATTANEO.Scritti storici. I.
306 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
PROSPETTO
DEI LAVORI INTRAPRESI.
P a r t e I. - N a t u r a inorganica.
Primo aspetto geografico. - Studii topografici
antecedenti; carte e mappe. - Posizione, confi-
gurazione. Catene alpine e pre-alpine; loro di-
rezione ; punti di massima e minima altitudine :
acclività delle basse ed alte pianure, e di tutte
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 315
le grandi valli, dalle confluenze dei fiumi fino alle
gole alpine.
A s p e t t o geologico. - Zona delle antiche emer-
sioni serpentinose e granitiche : zona delle emer-
sioni porfiriche ; rocce trasformate ; passaggio al-
la zona jurassica ; zona cretacea ; colli terziarii ;
diffusione erratica ; lembo alluviale. Succinti ceri-
ni su la direzione, inclinazione, ampiezza. e alti-
tudine dei singoli terreni, le miniere, l’età ri-
spettiva! delle formazioni, e il loro concatenamento
coi terreni delle regioni finitime.
Stato meteorico. - Influenza complessiva della
latitudine, longitudine, altitudine, ed esposizione.
Ghiacciai perpetui, laghi profondi; e loro in-
fluenze. - Direzione, durata e intensità dei venti
i n rapporto alle linee dei monti e delle valli. -
Calore massimo, minimo e medio, per anni, sta-
gioni e mesi, sua continuità e variazione; e rife-
rimento alle regioni circostanti. -- Oscillazioni ba-
rometriche ; quantità e distribuzione delle piogge
e delle nevi; numero dei giorni nevosi, piovosi,
ventosi, nuvoli e sereni ; siccità e umidità ; nebbie,
i brine e rugiade ; grandini, turbini, trombe, ter-
P a r t e V. - Ordine pubblico.
. . .. .. .. . .. . .
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU L A LOMBARDIA 321
ambrosiane. Notizie sul rito ambrosiano, sul rito
patriarchino ; antica estensione della Metropoli
milanese ; e viceversa, antica giurisdizione d’altre
Metropoli i n Lombardia, ; notizie istoriche sulle
singole diocesi ; privilegio del pallio episcopale di
Pavia; privilegii di S. Barbara, di Mantova, ecc.
Numero dei protestanti. - Numero degli israe-
liti, e annesse istituzioni di soccorso e d’istru-
zione in Mantova.
.
XIV.
Notizie naturali e civili su la Lombardia.”
I.
Le Alpi Retiche, che dividono la nostra valle
adriatica da quelle dell’Inn e del Reno versanti
a più lontani mari, sono un ammasso di rocce
serpentinose e granitiche, le quali emersero squar-
ciando e sollevando con iterate eruzioni il fondo
del primiero oceano, in quelle remote età geolo-
giche, che sembrano ancora un sogno dell’imma-
ginazione. - F u quello il primo rudimento della
terra d’Italia.
Gli antichi sedimenti del mare, parte s’ina-
bissarono e confusero in quelle voragini roventi,
aggiungendo mole a mole ; parte riarsi e trasfor-
mati, ma pure serbando traccia delle native stra-
tificazioni, copersero i fianchi e i dorsi delle emer-
sioni consolidate. Il torbido mare accumulò suc-
cessivamente altri depositi, che si collocavano in
giacitura orizzontale presso a i sedimenti anteriori
già sollevati e contorti; e mano mano che la
vasta opera delle emersioni si andava inoltrando
e dilatando, sollevati e raddrizzati anch’essi, si
atteggiavano in tutte le discordi inclinazioni, che
Il
Ma nel seno stesso della valle cisalpina, quella
parte che noi descriviamo sortiva forme sue pro-
prie, per le quali si distinse e dalla parte subap-
pennina, e dalla Venezia, e dal Piemonte. La ca-
tena delle Alpi, partendo dal M. Stelvio, scorre
a occidente fino al Gottardo; e quivi con subito
angolo si volge poco meno che a mezzodì fino al
M. Rosa. Con altro simil angolo si dirama dallo
334 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
IV.
I primi uomini che si sparsero per questa ter-
ra transpadana, vi si avvennero in due ben dissi-
mili regioni di pari ampiezza, l’una montuosa,
l’altra campestre. Le Alpi sublimi. nevose, inac-
cesse,abbracciavano un labirinto d‘altre catene
di poco minore altitudine ed asprezza, entro cui
stavano alte e recondite valli. fra loro disparate,
chiuse a l piede da laghi o da passi angusti, che
nei tempi primitivi, quando non v’era arte di ca-
pitani, opponevano impenetrabile serraglio alle
ordevaganti. - La regione campestre, arida e
sassosa nella parte superiore, più sotto era piena
di scaturigini e di ghiare acquidose, interrotta
da dorsi di basco, asciutta ed aprica lungo gli
alti greti dei maggiori fiumi, ma in preda alle
libere inondazioni nelle basse règone, e fra le
curve dei Ioro serpeggiamenti.
Come vediamo tuttavia nelle sparse reliquie
della vegetazione virginea, surgevano nude le vet-
t e alpine, ammantati di pascoli naturali i larghi
dorsi della regione calcare, irte di selve conifere
le somme pendici, più sotto frondose di faggi e
di betulle, poi di quercie, d’aceri e d’olmi, che
ampiamente scendendo univano i monti a i colli
e all’altipiano, vestito d’eriche e sparso di rara
340 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
V.
Chi furono i primi abitatori dell’Insubria?
E’ vano il credere che l’Europa ne’ suoi secoli
selvaggi fosse altrimenti dalle terre che tali ri-
mangono fino a i nostri giorni. L’Europeo trovò
l’America e l‘Australia i n quello stato in cui
pare che l’Asiatico trovasse l’Europa. Qui pure,
prima delle grandi nazioni dovevano essere i pic-
coli popoli, e prima dei popoli le divise tribù.
E ogni tribù che abitava una valle appartata e
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 341
una landa cinta di paludi e interrotta d i fiumi,
ebbe a vivere primaniente solitaria di lingua e di
costume, nell’angusto cerchio che le segnavano
intorno le tribù nemiche. L’indagare a quale ap-
partenesse delle grandi nazioni che si svolsero poi
nel seno dei secoli e delle lente preparazioni isto-
riche, è proposito falso e inverso ; è come investi-
gare da qual fiume derivino i ruscelli, che al con-
trario cadono dai monti a nutrire i fiumi. Quindi
sarebbe tempo ora mai, che non si andasse fanta-
sticando se provennero dai Celti, o dagli Illirii,
o dai Traci quelle primitive genti, le quali furono
lungo tempo avanti che l‘incivilimento orientale,
penetrando colle sue colonie, coi sacerdozii, coi
commercii, colle armi della conquista e colle mi-
serie degli esilii e della servitù, propagasse lungo
t u t t i i mari e i fiumi d’Europa quell’arcana unità
linguistica, che con meraviglia nostra ci annoda
all’India e alla P e r s i a ; la quale, con inferiori
ordini d’unità sempre più divergenti. costituì nel
corso del tempo ciò che noi chiamiamo la stirpe
celtica, la germanica. la slava. Se v’è in Europa
un elemento uniforme, il quale certo ebbe radice
nell’Asia, madre antica dei sacerdozii, degli im-
perii, delle scritture e delle a r t i , v‘ha pur anco
un elemento vario ; e costituisce il principio delle
singole nazionaIità; e rappresenta ciò che i po-
poli indigeni ritennero di sè medesimi, anche nel-
l’aggregarsi e conformami a i centri civili, disse-
influenza.
minati dall’asiatica Le varie combina-
zioni fra l’avventizia unità e la varietà nativa si
svolsero sulla t e r r a d’Europa ; non approdarono
già compiute dall’Asia. Le grandi lingue si dila-
tano i n ampiezza sempre maggiore di paese: e
danno a popoli d i diversa e spesso inimica origi-
ne, il mendace aspetto d’una discendenza comune.
342 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
VI.
T u t t i gli scrittori, mentre parlano di colonie
approdate in Italia dall’Oriente, e di tribù ven-
turiere discese t r a t t o tratto dalle Alpi, dicono
pur sempre che l’Italia ebbe più antichi abita-
tori. E per dinotare che parlavano lingue pro-
prie, e non riferivano l’origine ad alcuna delle
grandi nazioni allora fiorenti o fiorite prima, li
dissero aborigeni (Italiac
cultores p r i m i abori-
genesfuere.Just.) ; li dissero abitatori di monti,
frugali, forti, agresti, duri all’armi, duri come
VIl
.
344 CATTANEO - SCRITTI STORICI -I
nostra patria s’intesse ai primordii dell’arti bel-
le ed a i simboli dell’intelligenza nascente.
Quegli antichi Orobii, Leponti, Isarci, Vennii,
Camuni, Trumplini, che ascrivono alle nostre
valli, sono ombre senza persona; gli scrittori
nulla aggiunsero al nudo nome. Dissero solo che
avevano fondato la città di Barra, madre di Co-
rno e Bergamo e d a lungo tempo perita. Forse
era all’uso italico sovra ameni colli, presso Ba-
ravico e Bartesate, appiè del Monte Baro, tra
l’Adda e il Lago Eupili; e la prisca Como era
forse intorno a l poggio del Baradelio; e Berga-
mo, pur sovra un colle, se non trasse il nome
dalla madre patria, lo trasse forse d a quel Dio
Bergimo, al quale nelle sue valli si posero tante
iscrizioni votive. Ma quali pur si fossero quelle
vetuste genti, giova notare con quali popoli si
posero in successiva intima connessione, nel tra-
passo che fecero dallo stato d’isolate tribù a quel-
la vasta orditura di cose, che le rese membra
d’una gloriosa nazione. Solo dopochè siasi anno-
verato quanto in esse penetrò d‘adottivo e stra-
niero, potrà forse per eliminazione chiarirsi in
qualche modo ciò che vi rimase di proprio e di
nativo.
VIII.
Abbiamo già visto come il nome dei LIGURI si
nasconda nella notte dei tempi. Quei poggi del-
I’Appennino ligure, che noi chiamiamo la Collina,
si stringono ben presso la riva del Po, contro la
foce della nostra Olona; ambo le rive del Ticino
erano popolate a b antico d a un popolo ligure
(antiquam gentem Laevos Ligures i n c o l e n t e s c i r -
ca, Ticinum a m n e m . Liv.) ; antica stirpe ligure si
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 345
IX
Gli ETRUSCHI, le cui memorie cominciavano
milleducento anni avanti l’era nostra, si diceva-
no venuti dalla Lidia; ma Dionisio, nato in
quelle parti, li giudicò diversi da qualunque altra
gente per lingua e costume. Onde, forse non ven-
ne dall’Asia il popolo etrusco, ma solo il con-
sorzio sacerdotale, che ammaestrò le ingegnose
tribù aborigene, e piegò ad uso loro le forme in-
dubbiamente orientali della scrittura etrusca, la-
sciando sopravvivere dei costumi nativi tutto ciò
che non ripugnava alle grandi iniziazioni sociali.
Compiuto l’ordinamento delle dodici repubbliche
di Toscana, la Lega etrusca, progressiva allora
come vediamo oggidì le nazioni che riempiono di
loro colonie l’America e l’Africa, spinse le armi
al di qua dell’Appennino fino all’Adige e alle Al-
pi, fondando altre dodici città. -- Ma se ciò è
vero, non si può spiegare come la terra toscana
dischiuda tanto tesoro di sculture, di pitture e
d’iscrizioni, e nulla di ciò si scopra f r a noi.
Forse il dominio etrusco fu qui poco più che mer-
cantile e fluviale, onde Adria, isola delle lagune
e città più marina che terrestre, ha bensì qual-
che reliquia di vera città etrusca; ma Mantova
e Felsina e le altre, per opposizione degli abori-
geni o per altrui rivalità, non vennero a quella
coltura ed eleganza onde fiorirono le interne sedi
della toscana potenza. E in vero, pare istoria di
rivalità moderne quella ove leggiamo : « E se l’un
popolo (l’etrusco) tentava spedizioni verso qual-
che gente, l’altro (I’umbro) si studiava impedirla ;
onde avvenne che i Tirreni avendo mandato un
esercito contro i Barbari litorani del Po, e aven-
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 349
X.
La civiltà era dunque surta per noi tremila
anni sono, fra il commercio dei Liguri, degli
Umbri, dei Veneti, dei Pelasghi, degli Etruschi.
L’arte di murare, ignota allora oltralpe, la pit-
t u r a , la modellatura, l’uso di convivere nelle
città con gentili costumi e pompe eleganti e
spettacoli ingegnosi, di contrassegnare con mo-
numenti le vicende della vita pubblica e privata,
di decorare con veste religiosa i provvedimenti
intesi a l progresso dei popoli, avrebbero i n poche
generazioni elevato a quasi moderna cultura il
nostro paese ; e la navigazione tirrena l’avrebbe
congiunto a tutte le genti civili. La cultura del
frumento era diffusa tra noi col culto di Saturno ;
i colli erano adorni di viti; e già il commercio
recava a i barbari d’oltremonte questi dolci f r u t t i
delle civiltà. Ben altra sarebbe l‘istoria d’Euro-
pa, e t a n t i secoli non sarebbero trascorsi sterili
e ciechi alle genti del settentrione, se gli Etruschi
avessero propagate sin d‘allora lungo il Reno e il
Danubio quel loro vivajo di città, generatrici di
città. I1 principio etrusco era diverso dal roma-
no, perchè federativo e moltiplice poteva amman-
sare la barbarie senza estinguere l’indipendenza ;
e non tendeva a ingigantire un’unica città, che
il suo stesso incremento doveva snaturare, e ren-
der sede materiale d’un dominio senza nazio-
nalità.
XI.
Erano già corsi seicento anni dai primordii
dell’era etrusca, e mancavano ancora altrettanti
ai primordii dell’era cristiana, quando una grave
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 351
e durevole calamità fermò il corso del nostro in-
civilimento, e differì di quattro secoli lo sviluppo
dell’intelligenza umana f r a noi. Prima che la
consuetudine colle città etrusche avesse terminato
d’ingentilire i circostanti aborigeni, cominciò a d
inoltrarsi fra noi un altro principio sacerdotale,
che dalle arcane sue sedi nell’Armorica e nelle
Isole Britanniche dominava vastamente una fa-
miglia di nazioni, varie di lingue e d’origine, ma
t u t t e simili nell’inculto costume, e comprese da-
gli antichi sotto il nome di Celti.
I Druidi non ergevano, come gli Etruschi, i
loro altari in suntuosi recinti di città consacrate,
ma nei recessi di vietate selve; e non volgevano
la religione a sollievo ed ammaestramento della
vita, ma col terrore di secrete dottrine traman-
date da boccaa
bocca, e con riti crudeli, incate-
navano i popoli a u n a prima forma d i improgres-
siva civiltà. Immolavano vittime umane ; ora ar-
dendo vivi i proscritti e i prigionieri entro masse
di fieno e di legna, disposte a qualche forma, d i
simulacri colossali (foeni colosso .... defixo ligno.
Strab.), ora consegnandoli a furibonde sacerdo-
tesse, che li scannavano sopra certe caldaje di
rame, e ne raccoglievano i n nefande patere il
sangue. Altre maghe, t u t t e dipinte di nero. sca-
pigliate, nude, con faci i n mano, celebravano riti
notturni; altre, che si chiamavano le Sene, face-
vano vita solitaria sugli scogli del mare, pronun-
ciando nel furore delle tempeste temuti oracoli.
Le vite si redimevano col sacrificio d’altre vite;
e i Druidi ne facevano mercato coi guerrieri ar-
ricchiti dalla vittoria; onde nelle selve sacre si
accumulavano grandi tesori, che giacevano al-
l’aperto custoditi dal terrore del luogo o som-
mersi nelle temute acque dei sacri stagni (BY
352 CATTANEO - SCRITTI STORICI -I
ieeaic ilipvatg. Strab.). T u t t a la dottrina druidica
instillava il disprezzo delle morte; e teneva le
menti così fisse nel pensiero d’un’altra vita i n
tutto simile alla terrena, che alcuni davano a pre-
stito, con patto d‘essere pagati nell’altro mondo
Alla morte dei capitani si abbruciavano col ca-
davere i cavalli; e talora i seguaci prediletti
(servietclientesquos ab iis dilectos esse consta-
bat,unû cremabantur. Caes.) ; talora le spose, per
affettato sospetto di veleno. Ne tenevano anche
più d’una; e avevano sovr’esse e sulla prole di-
ritto di vita e di morte (Inuxores.... in liberos
vitaenecisque .... p o t e s t a t e m . Caes.), e per provare
la loro fedeltà, i gelosi e fanatici guerrieri ta-
lora legavano l’infante a una tavola, e lo getta-
vano t r a i gorghi d’un fiume: r se periva, lo ave-
vano per giudizio divino di non legittima origine,
e pugnalavano la novella madre; la quale gia-
ceva, durante la stolta prova, nella più tremenda
angoscia. I1 padre non si curava altrimenti dei
figli, nè si degnava ammetterli al suo cospetto,
finchè non avessero età d a comparirgli innanzi
armati; onde era quello un vivere senza alcuna
domestica dolcezza.
I combattenti decapitavano s u l campo i ne-
mici caduti. e ne ostentavano i teschi confitti
sulle lance, o appesi al petto dei cavalli. Ogni
casa nobile li serbava i n un’arca, nè a peso d’oro
ne consentiva mai il riscatto (neque si quis auri
pondus offeret. Strab.) ; e ogni generazione si pre-
giava di recare altri cranii ad ingrossare quel
tesoro di barbara gloria. I teschi più illustri,
legati in oro, stavano nei templi ad uso delle sa-
cre bevande. Alle porte delle case s‘inchiodavano
teste di lupi e d’altre belve; onde agli Itali e ai
Greci, i quali solevano rimovere religiosamente
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 353
dalle città ogni avanzo di morte, se ponevano il
piede in un casale di Celti, pareva d’entrare in
uno squallido ossario.
Vivevano di pastorizia o d’instabile agricul-
t u r a , senza c i t t à senza privato possesso, in clani,
o comunanze di famiglie, ripartite numerica-
mente sulle terre, come un esercito sotto le in-
segne, col debito di conferire certe misure di
grano e d i birra e certo numero d i montoni e
di porci alla mensa del brenno, ossia principe.
Dimoravano all’aperta, e per lo più lungo le ac-
que, i n tugurii rotondi, costrutti di tavole e gra-
ticci e terra pesta e con acuto tetto di strame;
non si curavano di suppellettili, dormivano sulla
paglia ; mangiavano a tavole rotonde assai basse.
sedendo sopra manipoli di fieno, coi loro scu-
dieri seduti in altro circolo dietro a i signori;
bevevano in giro a piccole e frequenti riprese,
in una sola conca di terra o di metallo; appena
conoscevano il pane ; mangiavano molta carne ;
e ciascuno « ne prendeva a due mani un gran
pezzo, e lo addentava come un leone » (lisovt~dos
zarc Xseaiv cipyotd~aic aleovtes 6% p d q , xa2
&no&ixvovts~. Posid. ap. Ath.) : dopo il convito si
provavano in duelli, che spesso erano mortali, nè
altra pare l‘origine dei gladiatori che tardi s’in-
trodussero fra i Romani. Sulle persone loro
facevano pompa d’armi dorate, dì collane e brac-
cialetti d’oro, di tracolle lavorate i n argento e
i n corallo, strascinando a l fianco destro lunghe
sciabole, talvolta di rame temprato ; portavano
saii vergati di splendidi colori, e grandi scudi
quadrilunghi con imprese gentilizie rozzamente
dipinte o intagliate; e sopra gli elmi affiggevano
figure d’augelli o di fiere, o alte corna di bufali
o di cervi, e grandi pennacchi ondeggianti; nu-
354 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XII.
Ma se i Celti non amavano chiudersi nelle
città, non si può dire che le odiassero e distrug-
gessero con quello stolto furore che mille anni più
tardi si vide nei Vandali e negli Unni. Scorrendo
velocemente f r a città e città, forse perchè non
sapevano come espugnare quei recinti di pietra
(Gens ad o p p u g n a n d a r u m urbium
artes
rudis ....
segnis intactis a s s i d e r e t muris. Liv.), andavano
a sorprendere genti lontane, e tornarano onusti
di preda. Quando poi le terre giacevano desolate
e derelitte, allora qualche tribù dimandava di
potersi accasare con patti di pace su quegli spa-
zii, che altri inutilmente possedeva (egentibus
agro quem latius possideant quam colant .... par-
t e m finium concedant. Liv.). E così le antiche
città italiche rimanevano come isole solitarie in
mezzo a lande, sparse di barbari casali; e pote-
vano udir senza spavento dalle mura le strane
voci e i cantici di guerra. Laonde, quando gli
Etruschi, dopo aver lunganiente conteso ai Galli
le nostre pianure (cumEtruscis.... inter Apenni-
num Alpesque SAEPE exercitus gallici pugnavere.
Liv.), si ritrassero nelle castella alpine, non solo
Mantova, Adria, Ravenna, Arimino rimasero
salve, ma forse libere, o per noncuranza cavalle-
resca dei barbari, o per condizione di pace, o per
qualche antico nodo di religione o di sangue che
i nostri aborigeni avessero già con quelli dell’al-
t r o declivio delle Alpi. Mantova si conservò di-
visa i n t r e stirpi, tra le quali la più potente ri-
mase quella degli Etruschi (Mantua tres habuit
356 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XIII.
Le orde galliche, varcato con zattere il Po,
stabilite le tribù dei Boi e dei Senoni intorno
a Bononia e Sena Gallica, corsero lungo l’Adria-
tico, spogliarono persino le città italo-greche,
penetrarono pei monti i n E t r u r i a ; colla stra-
nezza delle armi e Ia furia degli assalti abbaglia-
rono le legioni; e accampate nelle vie deserte di
Roma e sui monti d’Alba e d i Tibure, e andando
e venendo per la via gallica, devastarono il La-
zio per diecisette anni. Ma nel calpestare quel-
l’angusta striscia di t e r r a non sapevano che vi
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU L A LOMBARDIA 357
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NOTIZIENATURALI E CIVILI S U LA LOMBARDIA 365
1 BIANCHI-GIOVINI,
Idee
su
le cause
della decadenza
dell’Imperio Romano, Milano, 1844.
366 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XVI .
Intanto nella città si faceva sempre più ardua
l’esazione dei t r i b u t i ; e colla miseria cresceva i l
fremito degli eserciti affamati, e l’acerbità e la
disperazione del fisco. I magistrati municipali
ebbero a rispondere del proprio pei cittadini in-
solventi ; furono armati di t u t t i i diritti del fisco,
ma occupavano terre deserte e case cadenti; si
ostentò povertà per fuggire i gravosi onori. Al-
lora il fisco li conferiva per forza; prendeva i
beni dei magistrati, poi quelli delle mogli, poi
citava gli eredi; un collega doveva pagare per
l’altro; chi si recava i n a l t r a città, veniva cerco
e ricondutto. Alcuni si facevano soldati, e il fisco
lo vietò. I n poche generazioni quelle magnifiche
signorie, che ripetevano con decorosa moderazio-
NOTIZIE SATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 367
. .
370 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XVII.
Ma in quelle città disfatte stava il germe
d’una nuova e più intima associazione, che nel
nome d’un solo Dio e nella parola d’un solo li-
bro aspirava a ricongiungere tutte le nazioni
d’Europa. Quando l‘antico patriziato f u estinto,
e fu tronca la tradizione dei riti familiari, confi-
scata la terra sacra, gettato alla fornace il bron-
zo dei simulacri e il marmo dei templi, sola ri-
mase fra quella spaventevole dissoluzione la
società dei Cristiani, che i n Occidente era piccola
e oscura, e ristretta a pochi borghesi, forse di
patria orientale e i più di greco nome. L’antica
sapienza, civile in mezzo a tanta miseria pubblica
doveva smarrirai; non poteva più dire come nel
mondo vi fosse un principio regolatore delle uma-
ne cose. Ma nella contemplazione d’un ordine so-
vrumano, le sventure divenivano prove e occa-
sioni di virtù; e un’intera vita d’indegno dolore
diveniva parte e condizione d’un’immortale esi-
stenza. Si diedero intieramente a questi pensieri
t u t t i i più fervidi intelletti. Milano, sede impe-
riale, e fino all’arrivo d’Attila meno misera delle
altre città d’Italia, albergava Augustino nativo
dell’Africa, e Ambrosio nativo delle Gallie ; i
quali, e per dottrina, e per nome, e per virtù,
appena si accostarono alla società dei Cristiani,
ne divennero i più autorevoli capi, Felice, Bas-
siano, Stefano, Filastrio reggevano la nuova fra-
tellanza i n Como, i n Lodi, in Cremona, i n Bre-
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 371
scia ; le famiglie fuggitive la disseminarono fra
i palustri ricoveri della pianura e nelle interne
montagne. Ma f u mestieri di quattrocento anni
per troncare del t u t t o le tradizioni aborigene ;
alla fine del secolo V I I I il culto d i Saturno so-
pravviveva ancora nell’estrema Val Camonica (in
curteHedulio); e le tribù dell’etrusca Mantova
ebbero una propria congregazione episcopale solo
al principio del secolo IX.
XVIII.
La religione celtica aveva le sue sedi nelle fo-
reste, la romana nelle mura dei inunicipii: e nei
municipii le successe la cristiana; il vincolo mo-
rale fra le campagne e le città si conservò adun-
que ad onta dell‘occupazione barbarica. Al risur-
gere della civiltà t u t t i i popoli. i cui sacerdoti
erano ordinati a Milano, a Brescia, a Pavia, di-
vennero i Milanesi, i Bresciani, i Pavesi. Queste
minute nazionalità cancellarono ogni vestigio
delle più antiche divisioni ; nè più l’alpigiano si
segregò dalla pianura, come a l tempo degli Oro-
bii e dei Reti. Pavia divenne capo delle popola-
zioni che dal basso Ticino salivano sino a i gioghi
degli Appennini ; Milano, dalle campagne del PO
sparse il suo rito ambrosiano fino a i ghiacci del
Gottardo : Conio penetrò vastamente per le valli,
dalle fonti del Rodano fino a quelle dell’Adige; e
quivi si trovò in confine con Brescia, ch‘ebbe le
XIX.
Molti dissero che i Romani ammolliti doveva-
no coll’innesto dei barbari rifondersi a nuova
virilità. Ma quando vennero i barbari, nessuno
poteva più dire d’esser Romano; ogni lusso era
estinto, e la gente indurita al disagio. E la forza
militare d’un popolo non risiede nei muscoli, ma
nel consenso, nelle tradizioni, nella disciplina ;
al che la presenza dei barbari nulla giovava, es-
sendochè la milizia rimaneva privilegio dei po-
chi, e i molti non potevamo dunque agguerrirsi.
E i Goti, fuggiaschi innanzi alla ferocia degli
Unni, divennero arbitri dei nostri destini, per-
chè la legge bizantina faceva privilegio di stra-
nieri la milizia, onde non si sapeva più come un
uomo potesse divenire un soldato. I Goti, padro-
ni dell’Italia e delle cento sue fortezze, non sep-
pero conservarla, e i n sessant’anni il loro nome
era estinto ; i n Gallia soggiacquero a i Franchi ;
in Ispagna fuggirono innanzi agli Arabi, e per-
dettero ogni cosa in un giorno. - I Longobardi
entrarono chiamati : e tuttavia non ebbero mai
forza d’occupar le marine, e di superare le na-
scenti difese di Venezia e le mura inermi d i
Roma; e il loro dominio che cominciò col cranio
di Cunimundo, ebbe fine con una misera scena
di viltà.
Oltralpe i duchi presero nome dai popoli o
dalle vaste t e r r e ; ma i capitani longobardi s’in-
titolarono dalle c i t t à : duchi di Spoleto, di Ve-
rona, di Brescia; i l che f u credere che vivessero
entro le mura urbane; soggiorno che doveva am-
mansare il costume, e contribuiva,, come le sedi
episcopali, a conservare importanza ai inunicipii.
E questi sulle nostre pianure erano così vicini
374 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XXI.
I n quel secolo le città d’Italia tornano a d es-
sere stanza di popolo armato. L’uso delle armi
ravviva il senso dell’onore, soffocato dall’oppres-
sione bizantina e longobarda ; l’onore genera tut-
te le virtù; gli uomini sentono di poter compiere
un pensiero; e hanno l’audacia di concepirlo; le
menti aspirano a tutto ciò ch’è bello e grande.
Già Venezia colle ricchezze del suo commercio
fonda San Marco; il milanese Anselmo Baggio,
vescovo di Lucca e poi pontefice, edifica, in dieci
anni quel duomo. Pisa più gloriosamente fonda
il suo, colle spoglie degli Arabi che ha cacciati d a
Palermo. Tutto ciò avvenne una generazione pri-
ma delle Crociate, le quali non furono dunque
la causa del risurgimento europeo, come la turba
dei ripetitori va tuttora scrivendo, ma ben piut-
tosto uno dei più pronti effetti, e il primo eser-
cizio d’una forza che si espande. - Il principio
vero del risurgimento f u nel legittimo possesso
della milizia popolare.
Nel 10951 Urbano Il adunò sui nostri confini
il concilio di Piacenza, e a l cospetto di duecento
vescovi e di quattromila sacerdoti fece giurare
la crociata a trentamila guerrieri. La canzone
del passaggio, il grido d‘ultreja, risonò per le
nostre città. - L‘anno seguente egli raccolse in
Arvernia il concilio di Clermonte. Già in quella
prima crociata (1096) si videro le famiglie mila-
nesi dei Selvatici e dei Ro, e quella dei Rocj d’an-
tico nome ricordato nelle lapidi romane ; Ottone
Visconti conquistò allora in Oriente l o scudo del-
.
378 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XXII.
Quando Federico I, fatto re di Germania
nel 1152, ebbe adunata la Dieta in Costanza, due
cittadini lodigiani si fecero nel mezzo con una
croce di legno s u le spalle, e gettandosi a’ suoi
piedi, invocarono giustizia contro Milano, lo qua-
le, dopo avere omai d a quarantadue anni distrut-
ta la loro città, opprimeva i cittadini dispersi
nella campagna, Federico desideroso di ridurre
a obbedienza Milano, quando venne a convocare
la Dieta Italica, sul piano di Roncalia alla foce
della Nura nel Po, fece umilianti comandi a i con-
soli milanesi Oberto Dell’Orto e Gerardo Negro,
i due famosi autori dei libri del diritto feudale.
Con quelle altiere intimazioni e colle più altiere
risposte si accese una guerra di trent’anni. -
Tortona f u presa per sete; i pallidi e consunti
guerrieri vennero accolti in Milano, che mandò
le milizie di quattro porte a rialzare a sue spese
la smantellata città. Nel mezzo dell’opera gli al-
leati imperiali assaltarono i lavoratori ; alcuni
capitani si rifuggirono dal combattimento in una
chiesa. I consoli milanesi imposero loro una no-
bil pena, affiggendo i loro nomi disonorati alle
porte del duomo. - La piccola Crema arrestò
t u t t a la potenza dei feudatarii Germani e Italici
per sei mesi ; e cadde con t u t t i gli onori dei prodi
sventurati. - Sotto il castello di Carcano, nel
Piano d’Erba, Federico rovesciò e prese lo sten-
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 381
dardo sacro dei Milanesi; ma prima di sera era
fuggitivo in Como, le sue tende erano prese; i
suoi alleati, prigionieri. - Intando un incendio
distrusse i viveri, accumulati i n Milano per re-
sistere all’assedio ; Federico con centomila com-
battenti girò vastamente t u t t a la campagna, tron-
cando gli arbori, ardendo l e case, mutilando
chiunque apportasse viveri alla città, ch’era di-
vorata dalla più aspra fame. Alla fine i cittadini
domati uscirono dalle mura ; s’avviarono a l cam-
po di Federico, che, ritrattosi a venti miglia di
distanza, aveva lasciato fra l‘esercito e la città
il vuoto spazio della desolata campagna. Prima
trecento cavalieri depongono al SUO piede le spa-
de e le insegne; poi viene lo stuolo dei perso-
naggi consolari ; poi il carro del sacro stendardo ;
poi t u t t i i combattenti, emunti dal lungo digiu-
no, colla croce su le spalle. Al suono delle trombe
municipali, il vinto stendardo cade, lo sventurato
popolo si atterra ; i capitani vincitori restano
attoniti e commossi al pianto. I1 solo Federico
non si muta; comanda che i vinti colle loro mani
abbattano ampiamente le mura, perchè vuole en-
trami con tutto l’esercito in ordine di battaglia.
Avventa le soldatesche contro la vuota c i t t a ; e
salve solo le chiese di Dio, fa di tuttociò che ap-
partiene agli uomini u n cumulo di ruine. I citta-
dini si spargono pei campi in tugurii di paglia.
Dopo che per cinque anni ebbero sofferto i più
gravi disagi, apparve un giorno fra i loro poveri
tugurii un frate del convento di Pontida, seguito
da squadre d’armati delle vicine città. Veniva a
ricondurli entro le mura e a rialzarle. - Tre anni
dopo, la potenza e la perseveranza di Federico
erano finalmente domate sul campo di Legnano ;
era, seminata di cadaveri t u t t a la landa tra l’Olo-
CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XXIII.
Negli anni seguenti, le famiglie tribunizie dei
Marcellini e dei Cotta, continuarono a d estirpare
la feudalità; abolirono le tariffe che sembravano
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 383
vendere la. licenza dell’omicidio ; persuasero ai
valvassorì di rinunciare i loro squallidi feudi ai
capitani, per Farsi liberi uomini del comune; in-
vasero i feudi del Nonferrato e della Savoja; e
nel mezzo di quelli, costruirono la rocca di Cu-
neo, asilo a i fuggitivi. Federico Il riaccese la
guerra contro le città lombarde; trasse in Lom-
bardia le tribù arabe della Sicilia e dell’Apulia.
I nostri intrepidi padri le affrontarono a Cam-
porgnano ; allagarono di notte il campo nemico ;
lo avvilupparono fra un labirinto di fossi. - In
quegli anni si videro generosi fatti. I1 popolo
milanese, dolente dei soprusi feudali non peranco
estinti, ricusava di prendere le armi contro i
Pavesi, che devastavano i poderi dei capitani. I
giovani cavalieri escirono senza il popolo e re-
spinsero i predatori ; ma nell’ebbrezza della vit-
toria non serbando gli ordini della prudenza mi-
litare, furono raggiunti dai nemici nel ritorno,
e messi alle strette. A quell’annunzio il popolo,
immemore d’ogni altra cosa, corse alle armi, e
giunse in tempo a salvarli (an. 1242). - Panera
Bruzzano, il più alto e più forte dei nostri cam-
pioni, sfidato sul campo a singolar tenzone dal
re Enzo, figlio di Federico, lo vinse e lo fece
prigione. Ma i Milanesi. senza far vendetta dei
prigionieri slealmente uccisi, lo lasciarono libero,
a patto che non portasse le armi contro la loro
città. - Voleva il popolo abolita la legge che
stabiliva a sette lire e dodici soldi il valore della
vita d’un plebeo ucciso da un feudatario. Uno dei
signori da Landriano aveva ucciso a t r a d i m e n t o
il suo creditore Guglielmo Salvo. I1 cadavere san-
guinoso, scoperto sotto un mucchio di paglia,
portato a Milano, ed esposto sulle piazze, accese
di furore il popolo, che cacciò t u t t i i capitani;
384 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XXVI.
Verso i principii del dominio dei Visconti
(an. 1311), troviamo fatta la più antica menzione
dell’uso delle bombarde, ossia delle artiglierie,
colle quali i Bresciani si difesero contro l’impe-
ratore Enrico di Lussemburgo. Nel 1331 se ne
fece uso all’assedio di Forlì; nel 1334 i n quello
di Bologna, la più antica memoria presso i Fran-
cesi è del 1340; presso gli Inglesi, del 1343, alla
battaglia di Crecy ; presso gli Anseatici, del 1360.
Circa 65 anni dopo l’assedio di Brescia, l’arti-
glieria. prendeva nuova perfezione dalla mano di
Bertoldo Schwartz, che ne fu poi detto inventore.
Dei Visconti i più furono d’animo grande;
alcuni pochi furono d’abietta e quasi delira cru-
deltà. Ottone e Matteo, fondatori di quella po-
tenza, furono perseveranti e destri nelle avversità
delle guerre e degli esilii. Marco, prode cavalie-
ro, vinse gli Angioini sotto Genova, il catalano
Cardona sul Po, Enrico di Fiandra sull’Adda.
Azzone, signore di dieci città, e in aspetto omai
di regnante. favorì le arti, chiamò Giotto a di-
pingere il suo palazzo, fece il ponte di Lecco,
a forse il maggiore che allora fosse, coperse le cloa-
che, inalzò la torre delle Ore. -- Quando un po-
deroso esercito di mercenarii, congedato dal Si-
gnor di Verona, si prese a condottiero il ribelle
Lodrisio Visconti, e venne devastando orribil-
mente il paese fino a Parabiago sull’Olona ; colà,
quasi su le medesime campagne ov’era caduta la,
potenza di Federico imperatore, si combattè sulle
nevi una delle più sanguinose battaglie del medio
ero. Gli stranieri avevano già ucciso uno dei ge-
nerali milanesi, e preso l’altro, ch’era Luchino
Visconti, quando la cittadinanza, agitata dal pe-
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 389
.
390 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XXVII.
I1 più grande dei Visconti f u quel Gian Ga-
leazzo, che primo si chiamò Duca, ed ebbe l'ani-
mo di porre le fondamenta del nuovo Duomo,
la più mirabile delle costruzioni cristiane ; nè
pago di ciò, vi aggiunse quell'altra meraviglia
della Certosa di Pavia. - ll venturiero Giovan-
ni d'Armagnac comparve a quei tempi sotto Ales-
sandria con diecimila cavalli e molte fanterie, e
insultò Jacopo dal Terme chiuso nella fortezza.
Ma il valoroso capitano lo avviluppò, lo disfece,
e i n pochi giorni prese l'esercito e il conduttiero,
che ferito, e accorato di tanta ignominia, morì.
Galeazzo pervenne a dominare trentadue città,
fra cui Genova, Pisa, Siena, Perugia, Assisi, No-
cera, Spoleto, Bologna, Parma e Piacenza, la
Terraferma, Veneta fino a Feltre e Cividale, t u t t e
le pianure del Piemonte; era quasi il regno dei
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU L A LOMBARDIA 391
Longobardi, ma. pieno di ricchezze e di vita. In-
fine egli intraprese a stringere del tutto la re-
pubblica, fiorentina, occupando con dodici mila
cavalli e diciottomila fanti t u t t i i passi dell’Ap-
pennino e dell’Arno. Voleva dopo la vittoria com-
parire ei medesimo in Firenze, incoronarsi r e
d’Italia, quando la morte dissipò t u t t i i sogni
di quella grandezza.
Più magnanimo che assennato, egli non vide
con quali interni vincoli si stabiliscono i regni;
e morendo divise il dominio a t r e figli minoren-
n i ; nè lasciò loro a l t r a sicurtà che la fede dei
conduttieri. Tosto fu messo in brani lo S t a t o ; i
Cavalcabò si fecero signori a Cremona, i Benzoni
a Crema, i Rusca a Como, i Sacchi a Bellinzona,
i Vignati a Lodi, i Suardi a Bergamo, i Malatesti
a Brescia, i Terzi a Reggio e Parma e Piacenza;
Facino a Novara e Tortona e Alessandria ; Siena,
tornò libera; il Monferrato ebbe Vercelli; e la
vedova di Galeazzo, per amicarsi i Veneti, cedè
loro Verona, Vicenza, Feltre, Belluno ; e allora
cominciò il dominio veneto in Terraferma, e
un’era novella per quella repubblica. I1 solo Ja-
copo dal Verme ebbe pari il valore e la fedeltà.
La discordia penetrò nella famiglia ducale e nel
consiglio secreto ; Bucicault, luogotenente di
Francia a Genova, chiamato, occupò Milano, spo-
glia i cittadini, falsò le monete, e venne discac-
ciato. I1 giovine duca., libertino e crudele come
Nerone, fu pugnalato da uno stuolo di patrizii.
Allora Filippo Visconti, sposando Beatrice Ten-
da, vedova del conduttiero Facino, acquistò le
sue armi e le sue fortezze; e tosto con mirabile
velocità riebbe Vercelli, Como, Lodi, Crema, Ber-
gamo, Brescia, Parma, Piacenza, Genova, Sa-
vona, Imola, Faenza e Forlì. - Bisogna che le
392 CATTANEO - SCRITTI STORICI -I
città una volta assoggettate o si facessero pro-
pense a quel dominio, più aspro che maligno, e
veramente benevolo all'umile industria e ai lon-
tani commerci, o fossero a t t r a t t e dalla vasta
mole; le amministrazioni erano pur sempre mu-
nicipali; e pareva migliore un principe grande
e lontano, che un vicino e bisognoso oppressore.
XXVIII.
Era appena trascorso un secolo, dacchè aveva
cominciato la tarda libertà degli Svizzeri; e già
le loro fanterie di bronzo palesavano la debolezza
delle soverchie cavallerie dei conduttieri. Dopo
che Carmagnola e Pergola ebbero ricuperate a
Filippo Visconti le valli della Toce e del Ticino,
le armi loro furono troppo vicine alle svizzere. I1
primo incontro in quelle anguste gole riescì ar-
duo agli uomini d'arme; ma Carmagnola, capi-
tano d'alto intelletto, fatti smontare i suoi, li ri-
condusse alla prova, e ne uscì vittorioso; ancora
oggidì presso la Chiesa Rossa d'Arbedo si addi-
tano le tombe dei vinti Svizzeri.
I1 più splendido momento del dominio dei Vi-
sconti si fu quando, vinti e fatti prigioni nella
pugna navale di Ponza (an. 1435) i due re Al-
fonso d'Aragona e Giovanni di Navarra dalla
flotta di Genova, la quale portava allora l'inse-
gna del serpente, gli illustri prigionieri furono
addutti nel castello di Milano; dove il nostro
duca, con più cortesia che a r t e di stato, li pose
i n libertà, e li onorò con feste suntuose. - Lan-
guiva allora d a molti anni, nel carcere di Monza,
il giovine cavaliero Venturino Benzone, che ave-
va, militato nell'esercito del Carmagnola, già di-
venuto nemico di Filippo, e passato al comando
, NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 393
XXIX.
XXX .
XXXI.
XXXII.
11 ducato era salito a mirabile floridezza colle
arti della lana. della seta, dei metalli, e soprat-
t u t t o delle armature; oltre a’ suoi mercanti e
banchieri, stabiliti in Francia e i n Germania,
possedeva il porto di Genova e si giovava d i quel-
lo di Venezia ; l’America si scopriva a quei giorni,
il Capo di Buona Speranza non era ancora gi-
rato; e la linea dei nostri laghi e del Reno era
la gran via del commercio dall’Oriente alle Fian-
dre, ove facevano scala t u t t i i popoli del setten-
trione. - Nel condurre entro la fossa della città
i marini del Verbano, discesi pel Ticino e pel
Naviglio, il triviale ripiego d’una chiusa per su-
perare il soverchio pendio delle acque aveva a
poco a poco f a t t o trovare la mirabile invenzione
delle conche; per t a l modo il Lario per l‘Adda,
e il Verbano pel Ticino, si riunivano sotto le
mura della città. - Nell‘architettura civile s‘in-
troduceva allora la varia e signorile maniera bra-
mantesca, che può dirsi propria di quel secolo e
del nostro paese, e sola forse fra t u t t e le varietà
di quell’arte si mostra pieghevole i n t u t t o al
moderno costume. Fioriva la pittura con Gauden-
zio Ferrari, coi Luini, con t u t t a la scuola di
Leonardo, che dipingeva allora la sua Cena, e
architettava la cupola delle Grazie. Le famiglie
dei P i a t t i , dei Calchi, dei Grassi fondavano scuo-
le di lettere e di scienze, dove l‘insegnamento del
calcolo e della geometria diveniva un sussidio
alla potenza industriale. D’ogni parte fiorivano
le lettere italiane c latine; e nelle nostre chiese
si vedono i sepolcri degli esuli greci, che diffon-
devano colla loro lingua la varietà e libertà del-
l‘antica, filosofia.
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU L A LOMBARDIA 401
XXXIII.
Ma gli Sforzeschi, già pericolanti per l'usur-
pata eredità dei Visconti, accrebbero il pericolo
colle discordie, vollero spogliarsi anche fra loro ;
e trassero sopra il loro cupo e sopra la divisa
Italia la più spaventosa tempesta. L'Italia era
piena di forze e d'ingegni ; per tutto ciò che nella
milizia di mare e di terra è arte, superava di
l u n g a mano tutte l e nazioni; ma ogni cosa era
instabile e arbitraria ; ogni principe aveva dise-
gni suoi ; ogni capitano, che avesse una bandiera
di soldati, non viveva senza speranza di conse-
guire coll'arte o colla forza un principato. La
rete d'una politica inestricabile. inviluppò mani
e piedi alla nazione, che fu da inetti nemici bar-
baramente spogliata e insanguinata. Lo Stato
sforzesco era una raunanza di municipii senza
nodo di consenso : anche le menti migliori pensa-
vano alla propria città, nessuna alle altre, nes-
suna allo Stato. E sempre risurgeva la fatale
difficultà d'un governo, che, non avendo radice
nelle ti adizioni e nelle opinioni, non nutriva
fiducia nei sudditi li amava più divisi che una-
nimi ; più inermi e dappoco, che guerrieri e riso-
luti ; riponeva sempre i l sommo della speranza
nelle castella e negli uomini comprati. E gli Sviz-
zeri, comprati da Ludovico il Moro, a Novara lo
vendettero a’ suoi nemici. ln pochi anni tutte le
città vennero saccheggiate e contaminate ad una
a d una. Lodi in trent'anni circa f u presa qui?{-
dici volte : P i i saccheggiata d a Svizzeri, da Spa-
gnoli: f u campo di battaglia tra Spagnoli e Ve-
neti. I e famiglie seminude fuggivano a Crema.
Durante la lega di Cambray, i Cremaschi, dispe-
rando della fortuna di Venezia, accettarono pre-
26. . CATTANEO Scritti s t o r i c i I
402 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
,
NOTIZIE NATURALI E CIVILI su LA LOMBARDIA 405
XXXVI. .
Fra tante sventure, Mantova sola era un'isola
di pace e di sicurezza. Fin dai tempi della lega
lombarda (an. 1188) Pitentino aveva costrutto la
diga di Porto sollevando le acque del lago a di-
fesa e salubrità : e aveva aperto colla chiusa di
Governolo un facile accesso alle navi del Po :
Mantova, piccola Venezia, resi va per due mesi
ad Ezzelino, che si vendicò estirpantlo l e vigne e
uccidendo i contadini. Stava alla difesa il ri-
sconte Sordello di Goito, quegli che da giovi-
netto, appresa in Provenza l'arte del trovatore,
1 Y. NICOLINI, Delle Istorie Bresciane. Il Martinengo
stesso lasci0 scritta l'istoria della fatale congiura, per
rimovere i suoi figli dall’ingerirsi mai di troppo alte cose
con forze private.
2 Per svista tipografica, l787, nell'edizione originale
del 1844 [N. d. E . ] .
408 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XXXVIII. i
,
Il Senato invase in breve tutte le minori giu-
risdizioni. Permise ai trafficanti di deviare dal
foro mercantile, e con ciò solo estirpò la fede
pubblica, atterrò la potenza della cambiale e del
contratto, tutto l’edificio del credito. Sottopose
le a r t i a tasse ineguali, e coll’estimo del merci-
monio insinuò il cavillo fiscale i n tutte le vene
dell’industria ; poi, per temperarlo, ricorse al-
l’uso e all’abuso dei privilegi, e conturbò tutto
l’ordine dei guadagni e della speculazione. Quan-
do vide surgere gigante la miseria pubblica, e
assidua la carestia, punì di morte l’esportazione
dei grani ; avvilì l‘agricultura ; e fece primo pen-
siero e arte suprema di governo il fornir di pane
estimato e pesato la plebe della città. - Le fa-
miglie, che all’uso antico d’Italia continuavano
anche nel colmo delle ricchezze un decoroso e no-
bile commercio, umiliante al confronto del più
squallido capitano spagnolo, impararono a sprez-
412 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
- -
414 CATTANEO - S C R I T T I STORICI - I
XXXIX.
Al principio del secolo XVIII era mirabile il
fermento che si vedeva nelle nazioni. La Russia
si era desta dal sonno dei secoli; la Prussia, era
un regno ; la stirpe britannica surgeva a inaspet-
t a t a potenza, fondava u n imperio nelle Indie, e
un altro e più glorioso i n America. I1 ducato di
Milano si era finalmente distaccato dal cadavere
spagnolo, e ricongiunto all’Europa vivente. I do-
minii austriaci, varii di lingua, e dissociati di
civiltà, cominciarono a d essere uno Stato, e pos-
sedere un principio d’amministrazione e d’unità.
Ma se lo spirito del secolo e l’animo della Regnan-
t e additavano le grandi vie del ben pubblico e
della prosperità, gli esperimenti erano ardui.
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 415
Nelle provincie germaniche, slave e ungariche
rara, la popolazione, r a r e le città, poche tracce o
nessuna d’incivilimento più antico, isolata la po-
sizione s u le frontiere di nazioni barbare. I n
Fiandra v ’ e r n o città lavoratrici e ubertose cam-
pagne, e vicinanza di nazioni progressive; ma lo
spirito dei popoli era, provinciale, tenace, diffi-
dente. La, Lombardia, che già sentiva l’aura del
tempo che veniva, e nella sua miseria era pur
sempre una terra di promissione, e aveva un po-
polo di mente aperta e d’animo caldo e sensitivo,
parve a i zelatori del bene come uno di quei campi
eletti, i n cui l‘agricultore f a prova di qualche
novella semente. È un f a t t o ignoto all’Europa,
ma è pur vero: mentre la Francia s‘inebbriava
indarno dei nuovi pensieri, e annunciava, all’Eu-
ropa, un’era nuova, che poi non riesciva a com-
piere se non attraverso a l più sanguinoso sovver-
timento, l’umile Milano cominciava un quarto
stadio di progresso, confidata a un consesso di
magistrati, ch’erano a l tempo stesso una scuola
di pensatori. Pompeo Neri, Rinaldo Carli, Cesare
Beccaria, Pietro Verri non sono nomi egualmen-
te noti all’Europa, ma, t u t t i egualmente sacri
nella memoria dei cittadini. La filosofia era stata
legislatrice nei giureconsulti romani ; ma f u quel-
la la prime volta che sedeva amministratrice di
finanze e d’annona. e d‘aziende comunali; e quel-
l’unica volta degnamente corrispose a una nobile
fiducia. Tutte quelle riforme che Turgot abbrac-
ciava nelle sue visioni di ben pubblico, e che in-
darno si affaticò a conseguire fra l’ignoranza dei
popoli e l’astuzia dei privilegiati, si trovano re-
gistrate nei libri delle nostre leggi, nei decreti
dei nostri governanti, nel fatto della pubblica e
privata prosperità.
416 CATTANEO - SCRITTI STORICI - I
XL.
S’intraprese il censo di t u t t i i beni, dietro un
principio che poche nazioni finora hanno com-
preso. Si estimò i n una moneta ideale, chiamata
scudo, il valor comparativo d’ogni proprietà. Gli
ulteriori aumenti di valore che l’industria, del
proprietario venisse operando, non dovevano più
considerarsi nell’imposta ; la quale era sempre a
ripartimi sulla cifra invariabile dello scudato.
Ora, la famiglia che duplica il f r u t t o de’ suoi
beni, pagando tuttavia, la stessa proporzione d’im-
poste, alleggerisce d’una metà il peso, in para-
gone alla famiglia inoperosa, che paga lo stesso
carico, e ricava tuttora il minor frutto. Questo
premio universale e perpetuo, concesso all’indu-
stria, stimolò le famiglie a continui migliora-
menti.: Tornò più lucroso raddoppiare colle fati-
che e coi risparmi l‘ubertà d’un campo, che pos-
seder due campi, e coltivarli debolmente. Quindi
il continuo interesse ad aumentare il pregio dei
beni fece sì che col corso del tempo e coll’assidua
cura, il piccolo podere pareggiò in frutto il più
grande ; finchè a poco a poco tutto il paese si rese
capace d’alimentare due famiglie su quello spa-
zio che in altri paesi ne alimenta una sola. Qual
sapienza e fecondità i n questo principio, al pa-
ragone di quelle barbare tasse che presso culte
nazioni si commisurano ai frutti della t e r r a e agli
affitti delle case, epperò riescono vere multe pro-.
porzionali, inflitte all’attività del possessore !
11 censo eliminò per sua natura t u t t e quelle
, immunità, per- le quali sotto il regime spagnolo
un terzo dei beni, come posseduto dal clero, non
partecipava a i pubblici carichi, e li faceva pesare
in misura insopportabile sulle altre proprietà. -
I1 censo divenne fondamento anche al regime co-
ni nostri divennero tanti piccoli
, che, sotto la tutela dei magi-
strati, decretano opere pubbliche, e ne levano
sopra sè medesimi l’imposta. Non si videro più
quelle stentate prestazioni d’opere, di bestiami,
di materiali, ch’erano spavento dei contadini, e
strumento d’oppressione e di corruttela. Si pre-
parò un mirabile sviluppo di strade, con un prin-
cipio di manutenzione che interessò il costruttore
alla massima, solidità e semplicità di lavoro. Ma
non è questo il luogo d’annoverare tutte le ri-
forme che s’intodussero da quei filosofi: il ri-
parto territoriale, il riscatto delle regalie, l’abo-
lizione dei fermieri, la tutela dei beni ecclesia-
stici, la riforma delle monete.
Dalla metà, del secolo in poi si attivò un’im-
mensa divisione e suddivisione di beni ; il numero
dei possidenti e degli agiati crebbe nella propor-
zione stessa in cui crebbero i frutti. Si cominciò
a sciogliere i fedecommessi, che univano nelle
famiglie la. noncurante opulenza, dei primogeniti
con la povertà, l’umiliazione, la forzata carriera
dei cadetti e delle figlie. Si abolirono le mani
morte ; si rimisero nella libera contrattazione i
loro sterminati beni ; si alienarono i pascoli comu-
nali ; si riordinarono le amministrazioni de’ mu-
nicipii ; si rivocò l’educazione pubblica, a mani
docili e animate dallo spirito del secolo e del go-
verno; si abolirono i vincoli del commercio, la
schiavitù dei grani, quasi tutte le mete dei com-
mestibili, e i regolamenti che inceppavano le arti.
La subitanea apparizione delle novelle merci in-
glesi e francesi scosse il nostro torpore, fomen-
tato dalle proibizioni spagnole, e risuscitò per noi
la vita industriale. Si apersero strade; si sop-
27. - CATTANEO, Scritti storici. I.
418 CATTANEO - SCRITTI STORICI * I
XLIV.
Le circostanze naturali che vogliono questa
varietà nel modo di coltivar le terre, la vogliono
anche nel modo di possederle. Nella pianura, ir-
rigua un podere che non avesse certa ampiezza
non si potrebbe coltivare con profitto, perchè ri-
chiede complicate rotazioni, culture molteplici,
difficili giri d’acque, e una famiglia intelligente
che ne governi la complicata azienda ; quindi ogni
podere forma un considerevole patrimonio. La fa-
miglia che lo possiede è già, troppo facoltosa per
appagarsi di quella. vita rurale e solitaria, in
NOTIZIE SATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA 425
XLVII.
Per effetto di tuttociò, la pianura lombarda è
la più popolosa regione d’Europa. Essa conta per
ogni chilometro di superficie 176 anime, mentre
la pianura belgica ne ragguaglia solo 113. E se si
comprende nel computo anche la parte alpina, an-
cora si hanno 119 abitanti, dove la Francia ne
conta solo 64, e nella sua parte meridionale, che è
più meridionale della Lombardia, soli 50. La po-
polazione specifica nelle Isole Britanniche e nel-
l’Olanda giunge solo a due terzi della nostra ; nella
Germania alla metà ; nel Portogallo e nella Dani-
marca a un terzo ; nella Spagna a un quarto ; nella
Grecia a un ottavo: nella Russia a un decimo. -
I1 nostro popolo adunque per effetto di principii
amministrativi a l tutto suoi, come quelli del censo
perpetuo, delle sovrimposte comunali, e della ser-
vitù vicendevole d‘acquedutto. fecondò in tal modo
la sua terra, che sovra lo spazio dove la Francia
nutre una famiglia, ne nutre all’incirca due, pur
pagando a proporzione di superficie la stessa som-
ma d’imposte. - Le nostre comuni rurali hanno
maggior numero di scuole; e il traffico e l’indu-
stria s’intreccia più intimamente a t u t t i gli or-
i dini d’agricultura e di rotazione, sicchè non ab-
biamo turbe d’ industrianti, che non tengano
qualche ferma radice nel terreno della patria. I1
ferro, la seta, il cotone, il lino, le pelli, il zuccaro
sono oggetti di grandiosa manifattura. I1 lavoro
de! ferro, i n ragione all‘ampiezza del paese, porge
tra Como, Bergamo e Brescia una cifra non me-
diocre, otto milioni di franchi; Milano e Como
contano più d’otto mila telai di seta, e novanta,
mila fusi di cotone; la sola Olona anima 424 rote
motrici.
XLVIII.
I l povero riceve una più generosa parte di soc-
corsi che altrove. Nel 1840 si contavano 72 ospi-
tali ; i n un triennio s’aggiunsero altri 6 ; altri 7 si
stanno edificando; e sono aperti a tutti, senza
patronato, senza favore, alla sola condizione del-
l’infermità e del bisogno. Il patrimonio stabile
di questi ospitali ha un valore venale di duecento
milioni. I1 solo ospitale di Milano ricetta nel corso
d’un anno 24 mila infermi; Parigi, che h a una
popolazione più che quadrupla, ne ricetta ne’ suoi
ospitali solo il triplo. Londra ne ricetta quanto
Milano; epperò, a proporzione di popolo, là si
soccorre un infermo, dove qui se ne soccorrono
dieci. I1 povero è sovvenuto di medici, di medi-
cine e di chirurghi anche nelle sue case, non solo
nella città, ma nelle più remote campagne. La
metà incirca dei medici e dei chirurghi, e t r e
quarti delle levatrici, hanno stipendio dai comu-
ni. a sollievo delle famiglie povere. I1 numero dei
medici è in ragguaglio di uno sopra 13 chilome-
tri quadri di paese, mentre nel Belgio ogni me-
dico h a un doppio campo di vigilanza. Questo
esercito sanitario di medici, di chirurghi, di spe-
ziali, di veterinari, di levatrici, somma a poco
meno di cinque mila persone. - I n pari misura
il paese è provvisto d’ingegneri, i quali nella sola
città di Milano ammontano a circa 430, mentre
il corpo d’acque e strade in t u t t a la vastità della
Francia ne conta solo 568; il che agevola ogni
opera d’acque e di strade. I1 numero grande delle
classi istrutte, poste in assiduo contatto colla
popolazione, esercita una benefica influenza a ri-
movere i pregiudizii, e insinuare un setto senso
d’utilità,
Gli abitanti delle città sono quattrocentomi-
la; e molti oppidi e borghi di sei, di otto, di die-
cimila abitanti, benchè non abbiano nome d i cit-
tà, contano numerose famiglie civili ; la possidenza
è diffusa i n t u t t e le classi; onde, ogni cosa consi-
derata, è forse questo il paese di Europa che offre
il maggior numero di famiglie civili in propor-
zione all’inculta plebe.
Avvertenza . . . . . . . . . . . . . . . . Pag . v
I ........ Giuseppe D’Amato di Napoli . . . . . . 3
II..... - Lordure raccolte sulle strade d’Italia dal
signor dott . Gutzkow . . . . . . . . . 9
III .... - Levicende della Brianza e de’ paesi cir-
convicini . . . . . . . . . . . . . . 12
IV.... - Scoperte del capitano Owen sulle coste
orientali dell’Africa . . . . . . . . . . 17
V...... - Scoperte del capitano Back sui lidi del-
l’oceano Polare . . . . . . . . . . . . 25
VI .... - Costumi degli antichi Egizi . . . . . . . 30
VII ... - Della milizia antica e moderna . . . . . 34
VIII . - Della conquista d’Inghilterra pei Normanni 64
I X .... -Dell’evo antico . . . . . . . . . . . . . 125
X ..... -Della Sardegna antica e moderna . . . . 188
....
XI - Di alcuni stati moderni . . . . . . . . . 255
X I I .. - Ritorno del capitano Ross dalle regioni an-
tartiche . . . . . . . . . . . . . . . 302
naturali e civili su la Lombardia . 309
STAMPATO A FIRENZE
NEGLI STABILIMENTI TIPOGRAFICI
« E. ARIANI » E « L’ARTE DELLA STAMPA »
CASA EDITRICE FELiCE LE MONNIER - FIRENZE
BIBLIOTECA NAZIONALE
EDIZIONE DELLE OPERE DI
CARLO CATTANEO
a cura del Comitato Italo-Svizzero
L. 1500
PREZZO