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1 Norme giuridiche circa il segreto professionale

Rivelazione di segreti d’ufficio


Art. 326 c.p.: “Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio
che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della
sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete o ne agevola in
qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Rivelazione di segreto professionale
Art. 622 c.p.: “Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o
della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa ovvero lo
impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con
la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione. Il delitto
è punibile a querela della persona offesa”.
Giuste cause di rivelazione del segreto professionale
Circostanze nelle quali la rivelazione trova una giustificazione legale, deontologica o
morale:
-disposizioni di legge (norme imperative);
-autorizzazione del titolare del segreto, una volta reso edotto dell’opportunità della
rivelazione;
-autorizzazione del legale rappresentante del minore e dell’incapace nell’interesse di
questi ultimi.
Norme scriminative o permissive che giustificano la rilevazione del segreto
professionale
-caso fortuito o forza maggiore (art. 45 c.p.);
-violenza fisica (art. 46 c.p.);
-errore fatto in buona fede (art. 47 c.p.);
-errore per altrui inganno (art.48 c.p.);
-consenso del soggetto o di chi ne abbia la legale rappresentanza (art. 50 c.p.);
-rispetto di un proprio diritto o adempimento di un dovere imposto dalla legge o da
un ordine -legittimo della pubblica autorità (art. 51 c.p.);
-legittima difesa (art. 52 c.p.);
-stato di necessità (art. 54 c.p.).
Trasmissione del segreto (segreto ripartito tra più persone)
Consiste nel rendere partecipi del segreto altre persone o enti interessati allo stesso
caso, a loro volta vincolati al segreto per ragione di professione o di ufficio.
Il passaggio di notizie è reso necessario da motivi sanitari organizzativi o
amministrativi.
La trasmissione si attua con il consenso implicito o esplicito dell’assistito e nel suo
esclusivo interesse.
La conoscenza delle notizie trasmesse rimane circoscritta nell’ambito dei servizi
sanitari e assistenziali interessati.
La trasmissione avviene tra persone tutte abilitate a conoscere il segreto e tutte
vincolate ad esso.

2 Legge 180/1978. Legge di riforma psichiatrica


La legge 180 del 13 maggio 1978, meglio nota come legge Basaglia, impose la
chiusura dei manicomi e regolamentò il TSO (trattamento sanitario obbligatorio)
istituendo servizi di igiene mentale pubblici.

Essa si basava sulle nuove e “più umane” concezioni psichiatriche promosse e


sperimentate da Franco Basaglia presso il manicomio San Giovanni di Trieste e portò
con se una vera e propria rivoluzione culturale e medica.

« La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la


ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la
ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia
in malattia allo scopo di eliminarla.
Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere » Franco Basaglia
Il manicomio fino ad allora era nient’altro che un luogo di contenimento fisico, un
luogo di istituzionalizzazione, una sorta di lazzaretto dove ammassare i devianti e
tutte le paure della società riversate su di essi, un luogo dove si applicava ogni tipo di
contenzione e pesanti terapie farmacologiche e invasive (come ad esempio
l’elettroshock).
L’idea che questa legge portava con se era quella di ridurre le terapie farmacologiche
e la contenzione, riconoscendo appieno i diritti e la necessità di una miglior qualità di
vita dei pazienti che alla chiusura dei manicomi sarebbero stati seguiti e curati da
ambulatori territoriali.
Ma pazienti che per anni erano stati annullati e istituzionalizzati tutto d’un tratto non
potevano essere lasciati “a piede libero” e allo sbaraglio in quella società che da
sempre aveva cercato di ammutolirli e annientarli togliendo loro ogni diritto; la
chiusura dell’ultimo manicomio in Italia è avvenuta solo nel 1999 proprio perché
prima era necessario costruire e consolidare la rete di servizi ambulatoriali nel
territorio.

La chiusura dei manicomi ha portato, oltre allo sviluppo dei vari CSM (centri di
salute mentale), a due effetti diametralmente opposti: da un lato la nascita di nuove
case di cura private e dall’altro, nelle zone più povere, la nascita di una sorta di nuova
classe sociale costruita dai “matti de istituzionalizzati” non più seguiti da nessuno e
lasciati a vivere come dei barboni nei bassifondi delle città.

La 180/78, nonostante le critiche e le varie proposte di revisione, è attualmente nel


trentennale della morte del suo promotore la legge quadro che regola l’assistenza
psichiatrica nel nostro paese.

Ogni anno circa 800mila italiani sono assistiti nei Dipartimenti di salute mentale,
significa che circa venti milioni di persone, in quarant’anni, sono state curate e
seguite senza essere rinchiuse nei manicomi. È la stima degli esperti della Società
italiana di psichiatria (Sip), in occasione dei quarant’anni di vita della legge 180, la
cosiddetta “legge Basaglia”, la riforma della psichiatria che ha sancito la chiusura dei
manicomi e ha ridato dignità e diritti alle persone.
Le patologie più diffuse
Secondo i dati della Sip, su circa 800mila persone assistite ogni anno nei dipartimenti
di salute mentale (pari all’1,5 cento della popolazione adulta), circa il 20 per cento
degli utenti ha problemi di schizofrenia o altri disturbi mentali dello spettro autistico,
il 31 per cento ha disturbi dell’umore (soprattutto depressione maggiore e disturbo
bipolare), il 13,5 per cento degli utenti soffre di disturbi nevrotici (disturbo ossessivo
compulsivo, stress post traumatico, di panico o da ansia).
Ma sono in aumento gli utenti con disturbi della personalità (circa il 7 per cento), altri
disturbi psichici e che fanno uso di sostanze (circa il 18%), da quelle tradizionali
quali alcol, eroina, cocaina, cannabis, alle nuove dipendenze, per esempio, da
cannabinoidi e psicostimolanti sintetici. Secondo le stime degli esperti, nel nostro
Paese la prevalenza delle persone affette da disturbi mentali in un anno è all’incirca
dell’8 per cento, il che significa che l’assistenza pubblica, complice anche lo stigma
che ancora esiste verso il disagio mentale e chi ne soffre, intercetta solo una parte
degli utenti.

Scarse risorse
L’aumento delle malattie mentali in questi anni è stato inversamente proporzionale
alle risorse stanziate per affrontarle. Oggi l’Italia è al ventesimo posto in Europa sia
come numero di psichiatri sia come spesa per la salute mentale, a fronte di cifre
doppie o triple in Paesi come Francia, Germania e Regno Unito. Il budget medio
nazionale per la salute mentale è circa il 3,5 per cento della spesa sanitaria
complessiva, anche se per la Conferenza Stato Regioni la percentuale da destinare
alla salute mentale dovrebbe essere pari al 5 per cento del Fondo sanitario nazionale.
Ma solo tre aree del Paese, Emilia Romagna e Province autonome di Trento e
Bolzano, raggiungono questo standard, ben 15 Regioni sono al di sotto del 3,5 per
cento.

6% in meno del personale / previsto Carenze che si ripercuotono sul personale


insufficiente. «Sono circa 31mila gli operatori che lavorano nei servizi di salute
mentale, possono sembrare tanti ma non lo sono se si considera che lo standard
previsto per legge è di un operatore ogni 1.500 abitanti ma la media nazionale
effettiva è di 0,94, ovvero il 6% in meno del personale previsto -sottolinea
Carpiniello - . In 14 Regioni si è al di sotto dello standard, soprattutto nel centro sud,
in tre regioni si registra addirittura una carenza di personale del 50 per cento.
In alcune Regioni, per esempio, la carenza di psicologi è pressoché assoluta,
mancano anche medici, assistenti sociali ed educatori della riabilitazione. Si tratta di
una carenza grave - denuncia il presidente della Sip -.
La cura nella salute mentale si basa sulla relazione terapeutica e, a differenza di altri
comparti della sanità, non c’è bisogno di tecnologie ma di risorse umane con una
formazione specifica. È stato un atto di civiltà abolire i manicomi, ma dovrebbe
essere un altrettanto atto di civiltà garantire le cure migliori, in strutture adeguate e
con personale in numero sufficiente.

Non abbiamo bisogno di nuove leggi ma di un nuovo Progetto obiettivo nazionale per
la Salute mentale con vincoli di osservanza, per le Regioni, per superare le troppe
differenze tra aree del Paese, soprattutto al Sud dove si registrano le maggiori
criticità».

3 La contenzione
La contenzione può essere definita come un particolare atto sanitario-assistenziale
effettuato attraverso mezzi chimici-fisici-ambientali utilizzati direttamente
sull’individuo o applicati al suo spazio circostante per limitarne i movimenti.
Si possono distinguere quattro tipi di contenzione:
-contenzione fisica: applicazione presidi sulla persona o uso degli stessi come
barriera nell’ambiente che riducono o controllano i movimenti;
-contenzione chimica: somministrazione farmaci che modificano il comportamento
come tranquillanti e sedativi;
- contenzione ambientale: attuazione di cambiamenti apportati all’ambiente in cui
vive un soggetto per limitare o controllare i suoi movimenti;
- contenzione psicologica o relazionale o emotiva: ascolto e osservazione empatica
del soggetto che si sente rassicurato e potrebbe ridurre l’aggressività.
Si definiscono mezzi di contenzione fisici e meccanici i dispositivi applicati al corpo
o allo spazio circostante la persona per limitare la libertà dei movimenti volontari.I
mezzi di contenzione fisica si classificano in:
-mezzi di contenzione per il letto (per esempio spondine);
-mezzi di contenzione per la sedia (per esempio corpetto);
-mezzi di contenzione per segmenti corporei (per esempio polsiere, cavigliere);
-mezzi di contenzione per postura obbligata (per esempio cuscini anatomici).
Secondo una revisione sistematica del 2007 le spondine, applicate o corredate al letto,
sono strumenti di sicurezza utilizzati per ridurre il rischio di scivolare, rotolare o
cadere accidentalmente dal letto.
Non sono una forma di contenzione se usate per proteggere il soggetto dalla caduta
accidentale dal letto, o se usate per i pazienti immobilizzati.
Se invece sono usate per contrastare la volontà di un paziente di alzarsi dal letto sono
da considerare una forma di contenzione.
Tuttavia le spondine in genere non circondano completamente il letto cosicché non
potrebbero impedire di trattenere il paziente a letto contro la sua volontà.

4 Alternative all'uso della contenzione


Per contenzione delle persone assistite si intende l’atto sanitario-assistenziale di
natura eccezionale, applicabile solo quando tutte le altre misure alternative si sono
dimostrate inefficaci che, attraverso l’utilizzo di dispositivi, farmaci, tecniche in
qualche modo limita la libertà e la capacità di movimenti volontari o di
comportamenti della persona allo scopo di controllarla o di impedirle di recare danni
a sé o ad altri.

La contenzione non è raccomandata perché causa conseguenze dirette, per la


pressione esercitata dal mezzo di contenzione, e indirette. Le conseguenze indirette
comprendono tutte le possibili conseguenze dell’immobilità forzata (lesioni da
pressione, aumento della mortalità, cadute, prolungamento dell’ospedalizzazione).

Inoltre in letteratura non ci sono prove che l'uso della contenzione riduca il rischio di
cadute e secondo alcuni studi la contenzione può essere causa diretta di morte e
sembra vi sia una relazione tra durata della contenzione e comparsa di danni indiretti
in quanto i soggetti sottoposti a contenzione per più di quattro giorni hanno un’alta
incidenza di infezioni ospedaliere e di lesioni da decubito.

La contenzione quindi deve essere applicata solo ai casi strettamente necessari,


sostenuta da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali da parte
del personale infermieristico, dopo aver corretto le cause scatenanti e adottato ogni
possibile strategia assistenziale alternativa a essa.
La formazione di tutti gli operatori sanitari sui rischi e i problemi associati all’uso
della contenzione è la prima strategia efficace per limitarne l'uso. Nei corsi di
formazione l'obiettivo principale dovrebbe essere far comprendere agli infermieri
quali sono i rischi della contenzione, dovrebbero quindi essere affrontati temi come:
- l’impatto della contenzione fisica;
- i diritti e l’autonomia degli anziani in casa di riposo;
- i miti e i pregiudizi legati all’uso della contenzione fisica;
- aspetti etici e legali della contenzione fisica;
- esiti avversi e problemi comportamentali specifici(cause e gestione) tra cui
l’agitazione, il vagare, il rischio di caduta, i problemi di postura e i metodi alternativi
alla contenzione.
Molti programmi per ridurre l'uso della contenzione prevedono una riorganizzazione
generale di tutto il centro. All'arrivo del paziente gli infermieri dovrebbero valutare
sempre quali sono i fattori che potrebbero aumentare il rischio di dover ricorrere alla
contenzione.
In particolare sono fattori che possono aumentare il rischio di dover ricorrere alla
contenzione:
- l'età avanzata della persona;
- la presenza di patologie cognitive (per esempio la demenza, anche lieve);
- l'afasia;
- l'incontinenza fecale e/o urinaria;
- la storia di cadute;
- la ridotta capacità motoria;
- patologie di tipo psichiatrico;
- problemi di udito o difficoltà visive.
Una volta individuati i soggetti a rischio è importante capire la storia della persona e
riuscire a instaurare una buona relazione. Si è visto infatti che una buona relazione tra
paziente e infermiere può ridurre l'aggressività, uno dei motivi principali che portano
all'uso della contenzione.
Le linee guida raccomandano di predisporre un gruppo di lavoro dedicato con
infermieri esperti che collabori con i familiari per definire un piano individualizzato
che abbia come obiettivo quello di evitare l'uso della contenzione.
Al riguardo sono interventi che si sono rivelati utili:
- organizzare attività nelle ore serali per i pazienti che si svegliano di notte e sono
soliti andare in giro;
- inserire nei programmi di assistenza quotidiana anche un programma di attività
fisica;
- organizzare, per le persone con deficit cognitivi, attività distraenti come radio,
televisione, attività ludiche;
- organizzare un percorso protetto (eventualmente anche all'esterno) per le persone
che vagano;
- incoraggiare l'ascolto di musiche rilassanti melodiche così da tranquillizzare le
persone più agitate;
- proporre una passeggiata come attività distraente.
Inoltre per aumentare la sicurezza dell’ambiente e ridurre la necessità di contenere
sono interventi utili:
- utilizzare materassi invece dei letti veri e propri per ridurre il rischio di caduta ed
evitare l'uso delle spondine;
- migliorare l'illuminazione e posizionare gli interruttori in modo che siano
facilmente raggiungibili;
- predisporre un sistema antisdrucciolo e organizzare la camera in modo tale che non
vi siano intralci;
- predisporre dispositivi di allarme o telecamere per le persone che hanno la tendenza
a vagare (wandering);
- mettere a disposizione strumenti come l'orologio o il calendario così da aiutare le
persone disorientate a mantenere il contatto con la realtà.
I pazienti devono essere rivalutati di continuo per riuscire a identificare i sintomi che
possono rendere necessarie indagini ulteriori e per dare modo al gruppo di lavoro di
comprendere i nuovi bisogni della persona e rispondere alle esigenze nel modo più
adeguato.

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