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INTRODUZIONE AL CONTRAPPUNTO

PROF. LUCA MOSER

“[quest’arte] la quale bellissima essendo, e dilettando naturalmente, allora si fa ammirabile, e si guadagna


interamente l’altrui amore, quando coloro, che la posseggono, e con lo’nsegnare, e col dilettare altrui
esercitandola spesso, la scuoprono e l’appalesano per un esempio, e una sembianza vera di quelle
inarrestabili armonie celesti, dalle quali derivano tanti beni sopra la terra, svegliandone gli intelletti uditori alla
contemplazione dei diletti infiniti in Cielo somministrati” Giulio Caccini, Le Nuove Musiche, Firenze 1601

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1 SUONI E MODI
Innanzitutto va definito lo spazio diastematico (il repertorio di suoni e le scale ovvero i “modi”
utilizzati) in cui si muovono i compositori dai primi esempi di polifonia fino a tutta la polifonia barocca.

1.1 Temperamenti in uso


I suoni utilizzati fino al 1300, sono quelli la cui altezza relativa è determinata secondo la scala
pitagorica, ovvero da una successione di quinte pure che parte dal mi b e giunge fino al sol# : ne derivano
delle terze e seste non pure ma più ampie delle terze pure di un comma sintonico.1
Nel primo Rinascimento (fine '300 inizi '400) i teorici (Ugolino da Orvieto, Henri Arnaut di Zwolle e
altri) - a conferma dell'uso sempre più comune nella prassi musicale delle terze e delle seste - prescrivono di
rendere quasi pure le terze con il # (re-fa# , mi-sol#, la-do#), rinunciando alla purezza delle quinte
corrispondenti.

Ecco lo schema dei suoni utilizzati da tali teorici :

Da metà cinquecento si preferisce avere delle terze pure e le quinte leggermente più strette con i
temperamenti2 cosiddetti mesotonici 3 : si è dunque passati dal preferire le quinte pure (prima polifonia per
quinte e quarte parallele), al preferire invece le terze pure (polifonia cinquecentesca).4

1
Infatti c'è incompatibilità tra terze maggiori giuste e quinte giuste. Per giusto, si intende un intervallo armonico in cui il suono superiore
ha in comune uno o più armonici , perfettamente accordati, cioè senza alcun battimento, con un armonico del suono inferiore. Nei due
esempi: l’accordatura di una terza / le incompatibilità ( ≠ ) tra terze e quinte con intervalli puri.
Es.

2
Per temperamento si intende la definizione delle altezze delle note (operazione corrispondente all'accordatura di uno strumento) che
formeranno le scale in uso, "temperando" (rendendo non giusti con un compromesso accettabile) gli intervalli di quinta e/o terza ,
secondo le necessità presenti nella musica da eseguire
3
Ad esempio si avevano tutte le quinte da mi b a sol # un po' strette e tutte le terze maggiori pure : l'intervallo sol# - mi b era
fortemente dissonante, non essendo una quinta ma una sesta diminuita, e per questo era chiamata "quinta del lupo" per l'"ululato" dato
dai battimenti! Ciò mette in grande risalto il fatto che alcune tonalità non erano assolutamente praticabili : ad es. un accordo di si
maggiore suonava in realtà come si - mi b - fa# . Ecco che nel '700 si cercano temperamenti cosiddetti "circolanti", ovvero che
prevedano la praticabilità di tutte le tonalità , seppur con diversità di colore tra le stesse. Il temperamento "equabile" che prevede il
restringimento di 1/12 di comma per ogni quinta è ovviamente il più "circolante" , perché equipara perfettamente tutte le tonalità con le
sue quinte tutte egualmente ("equabilmente") più strette e le sue terze maggiori tutte egualmente più larghe.

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Il passo successivo sarà quello di “conquistare”, con temperamenti via via più raffinati, sempre più tonalità
praticabili interamente, fino ad arrivare ad una piena enarmonicità di b e # con il temperamento equabile e
quindi ad arrivare alla perfetta circolarità delle tonalità, perdendone però il “colore” caratteristico.

1.2 Sistema modale

Per quanto riguarda invece l'organizzazione scalare del repertorio di suoni, dal canto monodico cristiano
(gregoriano) fino a tutto il periodo della polifonia rinascimentale e barocca vale il sistema modale.
A differenza della tonalità, in cui i rapporti intervallari tra i gradi della scala (ad es. ½ tono tra III - IV e VII -
VIII nella scala maggiore) restano sempre uguali introducendo quindi opportune alterazioni e cambiando
solo la tonica, o nota di inizio della scala, nella modalità restano eguali i suoni di riferimento, corrispondenti
ad una moderna scala diatonica di do con l’unica possibile alterazione del si in si b, mentre le varie scale
modali spostano la finalis (=nota di riferimento del modo): si hanno così finalis sul re (protus), sul mi
(deuterus), sul fa (tritus) e sul sol (tetrardus).
Nel XVI sec. poi vengono aggiunte altre due finalis: la e do.
Per ogni finalis poi si danno un modo autentico ed uno plagale; la finalis è sempre la stessa, ad es. re per il
primo e secondo modo, ma cambia l'ambito della scala : re - re per il primo, l’autentico, e la - la per il
secondo, il plagale.
Con il trattato del 1547 del teorico Glareano, Dodecachordon , si hanno così dodici modi, sei autentici e sei
plagali con i seguenti nomi: dorico/ipodorico, frigio/ipofrigio, lidio/ipolidio, misolidio/ipomisolidio,
eolio/ipoeolio, ionico/ipoionico.
Ecco un esempio di melodia del X sec. (messa Orbis Factor) nel primo modo (autentico) con finalis=re ,
ambitus=re-re.

Ed ecco una melodia della stessa messa (XI sec.) nel secondo modo (plagale) con finalis=re e ambitus=la-la

Diruta, conformemente alla teoria ormai consolidata dei dodici modi, indica nel suo Transilvano del 1609
(seconda parte, libro terzo, pg.2 e 3) gli ambiti dei modi cinquecenteschi con le loro possibili trasposizioni su
altre finalis e con le conseguenti alterazioni in chiave.

4
Vedi ne Il Clavicembalo, Torino 1984, ed. EDT, l'articolo di M.Lindley in cui si affronta una breve storia del temperamento usato dal
'200 in poi per gli strumenti a tastiera.

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Si noterà che il modo autentico è composto da una quinta (diapente) cui viene sovrapposta una quarta
(diatessaron) partendo dalla finalis, mentre il plagale è composto da una quinta partendo dalla finalis cui
viene invece sottoposta una quarta.
Ecco lo schema di Diruta.

La finalis (la breve nera dello schema di Diruta), comune a autentico e plagale , è la nota su cui si conclude
la composizione.
Va anche ricordato come in un brano polifonico ad ogni voce pari corrisponde, come propria
estensione, il modo autentico o il plagale. Diruta, nell'Opera citata, libro III pg. 3 pone nella bocca di
Transilvano questa domanda : "Da che parte conoscerò una Cantilena [=composizione] di quale Tuono sia ?
E la risposta suona : "Dalla parte del Tenore[...] Potete anco conoscerli dalle altre parti ; poiché quando il
Tenore modulerà nelle corde Placali, il Basso modulerà l'Autentiche : Potrete anco conoscerli dal Soprano ,
& dal Contralto ; il Soprano fa l'istessa modulazione del tenore, & il Contralto l'istessa del Basso all'ottava
sopra..."

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Lo stesso Diruta offre poi dei duo – che si riportano di seguito - come esempi dei vari modi,
commentandone anche la caratteristica espressiva. Come si noterà i duo compaiono in varie trasposizioni.
Ecco il commento che ne fa Diruta stesso:

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Come già si è detto e si è visto con Diruta, i modi assunsero ben presto una propria valenza espressiva. Tra
le molte tavole sugli affetti dei modi riportiamo quella di Artusi (L'arte del Contraponto, Venezia 1636) in cui
va notato che il primo/secondo modo corrispondono al modo di do o ionico e l'undicesimo/dodicesimo al
modo di la o eolio , corrispondenti ai nostri attuali maggiore e minore naturale. Va quindi tenuto presente che
gli otto modi antichi corrispondono in questo schema all'intervallo terzo-decimo.

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2 LA CADENZA

La cadenza - detta fin dall’inizio della polifonia per analogia con la chiusa del periodo nel discorso: clausula
- si trova a conclusione di una sezione del brano polifonico e corrisponde ad una interpunzione del testo o
una articolazione metrica dello stesso.
Si legge in un trattato del 1450 ca. di John Hothby “Et [le clausulae musicali] seguitano le clausule delle
parole, che principalmente sono 3. Cioe. Coma [=virgola]. Colon [=punto e virgola o due punti] et periodus
[=punto di fine frase] […] Et come decto: le clausule della cantilena deno essere simile:alle clausule delle
parole: per tal modo che se la clausula delle parole è sospensiva cioe Colon: la clausula della cantilena de
essere da longa dalla voce finale. Et se la clausula delle parole e una subdistintione: cioe una coma
grammatica: la clausula del canto de essere mediocre: non troppo da longa ne troppo appresso alla voce
finale. Ma se la clausula del canto e parieto [= periodus] cioe fine della sententia: la clausula del canto de
essere nella voce finale overo tenore”.5
Come possiamo notare il carattere conclusivo deriva dalla lunghezza della nota conclusiva e dall’essere
essa la finalis del modo o altra nota cadenzale.

Un altro importante elemento che accentua il carattere conclusivo è la perfezione della consonanza finale,
per cui era obbligatoria la cadenza perfetta alla conclusione del brano perché “ se le cantilene finissero
altramente; le orecchie degli ascoltanti starebbono sospese & desiderarebbono la loro perfettione” 6. Ne
consegue che per cesure meno importanti si potranno usare cadenze imperfette, caratterizzate cioè da
consonanze imperfette. Infatti: “Ma quando si vorrà far alcuna distintione mezzana dell’Harmonia et delle
parole insieme, le quali non habbiano finita perfettamente la loro sentenza; potremo usar quelle cadenze
che finiscono per terza, per quinta, per sesta, ò per altre simili consonanze: perché il finir a cotesto modo,
non è fine di cadenza perfetta; ma si chiama fuggir la cadenza”. E più oltre: “… vero è che ancora tali
risoluzioni [cadenze su consonanze perfette] (eccetto nelle cadenze finali, dovendo ogni compositione finire
in ottava o unisono) ma si bene ad arbitrio del compositore si possono sfuggire l’ottava ed unisono, e
procedere dalla imperfetta ad altra imperfetta [dalla terza min. ad altra terza o dalla sesta magg. ad altra
sesta], che producono gratissimo sentire, e tanto più che negli contrappunti a due voci quanto meno
sentonosi unissoni e ottave, tanto più vengono tenuti osservanti. (Banchieri, La cartella musicale, 1614)

5
Citato in F.Tammaro, Con il senso e con la ragione, Torino 2003, ed. Il Capitello, pg. 387
6
Zarlino, Istituzioni armoniche, Venezia 1558, III, 51 pg.148

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Ad accentuare il carattere conclusivo è la presenza, nei modi di re, fa e sol 7, della sub-finalis a distanza di
semitono, cosa che si ottiene eventualmente con l’alterazione ascendente della sub-finalis stessa. Tale
alterazione si rendeva necessaria poiché in tutte le cadenze si doveva avere un intervallo armonico di sesta
maggiore tra le voci esterne che risolve su una ottava o di una terza minore che risolve su un unisono.
La cadenza conclusiva del brano è sempre sulla finalis del modo ma all’interno del brano stesso le varie
sezioni possono concludere anche su altre “corde del tono”.
Eccone l’elenco in Diruta:

Come si può notare non sono indicate le alterazioni che peraltro erano ormai di prassi corrente.
Va ancora rilevato che spesso si evitava la cadenza sul si e si sostituiva con una cadenza sul la o sul do.

Non va inoltre dimenticato il carattere espressivo che le cadenze potevano assumere. Lo ricorda Vincenzo
Galilei che parla di natura “lieta, piacevole, virile” per le cadenze ”nel fine della oratione” e di natura “mesta”
o “lasciva effeminata, inquieta”, “sdegnosa” per quelle “nel mezzo di essa”. 8
Le cadenze irregolari (Pietro Ponzio: “nemiche”) in modi estranei potevano dunque essere introdotte per
sfruttare la caratteristica espressiva del nuovo modo. Si aveva così una uscita dal modo iniziale, per poi
rientrare nelle cadenze regolari.

A seguire una tavola riassuntiva di Artusi sul tale argomento.

7
Per il frigio non è possibile alterare la subfinalis re, perché altrimenti si avrebbe una sesta eccedente o una terza diminuita con il fa.
8
Citato in Tammaro, op. cit. pg. 389.

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3 EVOLUZIONE DELLA MUSICA POLIFONICA

Nella storia della polifonia e più in generale nella musica colta occidentale è possibile ravvisare un
processo evolutivo che integra in una struttura organica sempre più complessa, elementi sempre più
eterogenei. 9 Ne è un esempio la progressiva introduzione nella polifonia, di rapporti intervallari sempre più
complessi o, come vedremo, la progressiva introduzione di moti delle parti sempre più polifonicamente
indipendenti.

3.1 CONSONANZE E DISSONANZE

3.1.1 Consonanze
La trattazione dei rapporti intervallari tra suoni della scala, avveniva nella trattatistica medievale
riguardante la prima polifonia, rifacendosi alla tradizione teorica precedente di origine greca, in particolare
pitagorica. Tali intervalli erano quindi espressi con rapporti frazionari (pari al rapporto della lunghezza sul
monocordo delle corde relative ai due suoni). I rapporti più semplici (2/1 = ottava , 3/2 = quinta, 4/3 quarta),
di maggior affinità tra i suoni, erano considerati consonanti, e furono definiti Consonanze Perfette (Musica
Enchiriadis, sec. IX); rapporti più complessi (5:4 = terza maggiore , 6:5 terza minore 10) furono presto assunti
anche come consonanze, benchè imperfette (fine sec. XI, Trattato di Milano); anche i rivolti delle terze,
sesta maggiore e minore, furono considerati consonanze imperfette (Trattato di Montepellier, inizio sec. XII).
La quarta, dopo essere stata indifferentemente usata con la quinta per organa paralleli, ben presto (fine XII
sec. Discantus positio vulgaris), venne considerata Dissonanza, o comunque Consonanza Mista: dissonante
con il basso e consonante tra le parti superiori, se sotto ad essa si trova una quinta o una terza11
E' evidente dunque la pertinenza , per i teorici medioevali, di un giudizio di maggiore o minore
affinità (vedi i concetti di sunphoniache esprimono una "concordia di suoni" , comunque una
riduzione del molteplice all'unità ) tra i suoni di un intervallo .

fig.1 da "Musica Enchiriadis"

Passando da una prima e più semplice forma di polifonia per moto parallelo di quinte e quarte
(fig.1) già in qualche modo presupposta nella diversità di ambito di voci quali soprano-contralto e tenore-
basso, ad una ricerca di maggior elaborazione e quindi maggior indipendenza delle parti, si eviteranno le
successioni di ottave e quinte (XIII sec. Anonimo XIII ) in quanto intervalli tra suoni troppo affini (per la

9
Anche per la musica, in quanto linguaggio, vale la dialettica, presente in ogni forma di comunicazione, tra quantità di informazione
(direttamente proporzionale allo scarto dalle aspettative generate da processi percettivi e codici linguistici noti) e ridondanza
(direttamente proporzionale alla conferma delle aspettative generate dagli stessi): informazione e ridondanza sono dunque elementi
altrettanto necessari per una reale fruibilità dell'opera musicale in quanto fondante l'interesse dell'opera stessa la prima, e fondante la
comprensibilità del codice, la seconda. In ogni comunicazione infatti, il processo di ripetizione, generando ridondanza, ha come
funzione quella di eliminare i "disturbi" che l'ambiente, in senso lato, crea alla comunicazione stessa. E’ quindi fonte di conoscenza in
quanto ad es. permette di riconoscere e fondare la struttura o il codice su cui è costruito il messaggio. D'altro canto, poiché in un
ambiente complesso, si tende a dare attenzione - per il cosiddetto riflesso di orientamento - ad un evento nuovo piuttosto che ad altri
già noti, una volta chiaro al ricevente il contenuto informativo del messaggio, ogni ulteriore ripetizione - in quanto inutile - ottiene solo il
convergere dell'attenzione su altri eventi o in loro assenza, la caduta dell'attenzione stessa.
Ciò genera una dialettica che, nella storia dell'estetica, si è concretizzata nella ricerca della varietà (la varietas è sempre stata
uno degli obiettivi che si poneva il buon oratore, nei trattati di retorica antichi) pur in stili dati, o nel gioco di ripetizione-varietà dovuto al
continuo tentativo di ricercare nuovi elementi che garantissero l'interesse da parte del fruitore, da integrare in strutture organiche che
garantissero la comprensibilità dell'opera.
10
E' da tener presente che la terza nella scala pitagorica era un rapporto molto complesso e, ricordiamo, dissonante; solo nel '500 con
Zarlino e la sua scala costruita sui rapporti semplici, diventa 5/4 e 6/5 per terza maggiore e minore.
11
(vedi Diruta, Il Transilvano, Venezia 1613, II libro pg.7 : "Molti autori antichi, & moderni dicono, che la Quarta è consonanza perfetta,
& lo provano per via Theorica. Alcuni altri la tengono minor consonanza, & li pratichi [i compositori] la tengono dissonanza; dimodo che
sono diverse le opinioni. Quelli che la tengono perfetta, danno questa ragione, che quando la Quarta haverà la quinta di sotto, sarà
consonanza perfetta, Minor consonanza sarà quando è nella sua semplicità, cioè che non sia accompagnata da altre consonanze.
Quelli che dicono che è dissonante, questo non procede dalla Quarta, che in se sia dissonante, mà dalli accompagnamenti, che li
vengono fatti; si come l'accompagnamento della Quinta la fa perfetta; così l'accompagnamento della seconda la fa dissonante [nel
ritardo 5/4 su 5/3].

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perfezione degli intervalli, cioè affinità dei suoni stessi, come lo stesso anonimo giustifica il divieto) e inoltre
per la necessità della ricerca di varietas, ragione per la quale si eviterà la successione di intervalli eguali
(giustificazione rilevabile ad es., in epoca molto più tarda, in A. Banchieri : "La Cartella Musicale", Venezia
1614: vedi di seguito). Si preferirà dunque far seguire ad una consonanza perfetta una imperfetta e
viceversa: le uniche consonanze che potevano essere date in successione (con un moto parallelo delle
parti) erano le terze e le seste, purchè si alternassero terze o seste maggiori a minori, e quindi in realtà
intervalli diversi.

A.Banchieri, La Cartella musicale, Venezia 1614

E’ interessante come lo stesso divieto di successione di intervalli simili non comprenda la successione di
quinte diverse (una giusta ed una diminuita; ancora Banchieri: “dui quinte differenti si possono praticare”.).
Troviamo conferma alla ricerca di grande varietà di consonanze anche in Diruta (Diruta, Il Transilvano,
Venezia 1609, parte seconda, libro secondo): “Vogliono alcuni, che due terze minori una appresso all’altra di
grado stiano bene, si come anco due seste maggiori. Et io dico che nel contrappunto osservato non si
devono fare. La cagione è questa, che non vi è varietà d’Armonia: questa è la causa che non si possono fare
due quinte, né due ottave una appresso l’altra per non ritrovarsi varietà d’Armonia.[…] La bellezza del
contrappunto consiste nella varietà delle consonanze”
Artusi addirittura raccomanda per i contrappunti semplici (nota contro nota) "Le parti fugano
gl'unisoni e le ottave più che sia possibile, perché rendono le cantilene [=composizioni] poco grate , & di
consonanze prive [cioè terze e quinte, consonanze che non sono solo il raddoppio della prima parte]".
(L'arte del contraponto, Venezia 1636)

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Se dovessimo dunque riassumere in uno schema, il grado di maggior e minore affinità tra suoni
potremmo avere il seguente:

(affinità-unità-ridondanza) (difformità-distinzione-informazione)
unisono / 8a; 5a / 4a; 3+ / 6+; 3- / 6-; 2+ / 7-; 2- / 7+; tritonus interv. ecc/dim -
cons, perfette> <cons. imperf> < dissonanze

3.1.2 Dissonanze
Per quanto riguarda l'uso delle dissonanze, esse erano spesso utilizzate nei rapporti delle voci tra un
punto d'appoggio ritmico e l' altro (vedi fig. 2), mentre in corrispondenza del cambio della nota del tenor
(voce a valori lunghi, spesso su melodia gregoriana, su cui era basato il contrappunto), o comunque più tardi
in corrispondenza con il tactus (vedi paragrafo seguente), si usava la consonanza. Via via l'uso della
dissonanza - ottimo mezzo per introdurre maggior interesse - viene sempre più razionalizzato e compensato
da artifici che ne rendono meno difficile l'intonazione (vedi anche condotta melodica).
Il concetto di accordo come unità armonica di più suoni, non è ancora pertinente fino al XVII sec.;
ancora nel contrappunto rinascimentale è pertinente solo l'intervallo armonico, il bicordo, frutto della
sovrapposizione simultanea di suoni di due condotte melodiche (punctum contra punctum > contrappunto).
Per quanto riguarda il rapporto di cons/diss tra le parti in composizioni con numero di voci superiori a due,
solo nel XIV sec. (Johannes de Muris) si raccomanda che tutti i rapporti che si creano siano consonanti ,
mentre ancora per l'Anonimo XIII (sec. XIII) bastava che le voci fossero consonanti con il tenor, ad es. per
quinte, anche se tra loro nasceva una dissonanza ad es. di seconda.
Una importante conferma della progressiva ricerca di integrazione delle voci stesse in una struttura
sempre più organica.

3.1.2 Considerazioni generali su consonanze e dissonanze

Riassumendo le consonanze venivano così suddivise:


1. Perfette: ottava, quinta e quarta (con le restrizioni sopra ricordate)
2. Imperfette; terza e sesta
Le dissonanze invece erano gli intervalli di seconda e settima più tutti gli intervalli eccedenti e diminuiti.

E' indicativa anche la classificazione, che spesse volte i teorici elaborano, delle consonanze e dissonanze
dal punto di vista del significato psicologico o emotivo. Viene cioè evidenziato il contenuto di conferma delle
attese (consonanza), sorpresa o addirittura straniamento (dissonanza : l'uso espressivo delle dissonanze
viene codificato nei trattati e messo in rapporto alle "parole", cioè al contenuto emotivo del testo).

Di seguito la classificazione di Artusi :

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Interessante anche questa osservazione di Zarlino a proposito della “pienezza” delle consonanze: “Per la
qual cosa intrauiene all’udito intorno li Suoni, udendo le Consonanze prime, quello che suole intauenire al
Vedere intorno ai principali colori; de i quali ogn’altro color mezano si compone: che si come il Bianco & il
Nero li porgono men diletto, di quello che fanno alcuni altri colori mezani & misti … Et si come il Verde, il
Rosso, lo Azuro & gli altri simili più li dilettano, & tanto più si dimostrano a lui vaghi: percioche sono lontani
dalli prinicipali, che non fa il colore, che chiamano Roanno [grigio scuro], auero il Beretino [grigio chiaro];

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delli quali l’uno è più vicino al Nero & l’altro al Bianco, così l’Vdito più si diletta nelle Consonanze, che sono
più lontane dalla semplicità dei suoni”. 12
Val la pena anche richiamare il fatto che ogni intervallo armonico suggeriva un successivo determinato moto
polifonico. Ciò per lo più in base ad una sorta di legge sottintesa che richiedeva il minor percorso possibile
delle voci. Così si esprime Zacconi, 1622: “Nel contrappunto, si passi sempre attraverso la consonanza più
propinqua all’altra cui ci si appresta ad andare. Per esempio: dalla quinta si passi all’ottava toccando prima
la sesta, dalla quinta si passi all’unisono toccando prima la terza, ecc.”

Ecco successioni di intervalli indicate nei trattati:


- L’unisono diverge per andare alla terza, meglio se minore
- Terza minore converge all’unisono (vedi in cadenza)
- Terza maggiore si allarga alla quinta, sesta o ottava
- Sesta minore converge alla quinta, terza o unisono
- Sesta maggiore diverge all’ottava (vedi in cadenza)
-
Addirittura si suggerisce di modificare con alterazioni la terza maggiore in minore per andare all’unisono e la
sesta minore in maggiore per andare all’ottava: ciò è la causa dell’introduzione della alterazione della
subfinalis (la moderna sensibile) per fare cadenza.

Si fa inoltre notare che inizio e soprattutto fine di ogni contrappunto deve prevedere l’uso di intervalli perfetti
tra parti estreme.

3.2 MOTO POLIFONICO DELLE PARTI

Un elemento di grande importanza per la polifonia, nella dialettica varietà/unità -


informazione/ridondanza, è il moto che le parti seguono una rispetto all'altra.
Abbiamo già visto che i primi documenti di polifonia sono organa paralleli per consonanze perfette: il
massimo di affinità pur nella grande scoperta del moto parallelo per intervalli diversi dall'ottava.
Ben presto si scoprirà il moto retto (nella stessa direzione ma con intervalli diversi), il moto obliquo (una voce
ferma ed una si muove) ed infine il più complesso moto contrario (le voci procedono in senso opposto una
all'altra) (sec. XII) (fig.2).

fig.2 Da "Musica Enchiriadis" : sequenza "Benedicta sit"

fig.3 Da "Ad organum faciendum " (fine sec. XI)

Uno schema affine al precedente riguardante questa volta il moto polifonico delle parti, potrebbe essere il
seguente:

(affinità-unità-ridondanza) (difformità-distinzione-informazione)
moto parallelo - moto retto - moto obliquo - moto contrario

Artusi ritiene che il moto contrario è "da contrapontisti più d'ogni altro osservato & havuto caro".

12
Citato in F.Tammaro, Con il senso e con la ragione, Edizioni Il Capitello, Torino 2003, pg.354.

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3.3 MOTO MELODICO DELLE PARTI

Il moto melodico che maggiormente garantisce la facilità di intonazione ai cantori e la chiarezza della
struttura melodica è il moto per grado. 13
Artusi ad esempio raccomanda: “[il compositore] userà ogn'arte acciò le parti vadino modulando
[=procedano melodicamente] più per grado che possibil sia, per esser conforme più alla natura, & al cantor
di molto comodo. Dovendo usar salti, fugga quello di sesta maggiore, & tutti gli altri che sconvenevoli, e
all'udito di molestia sono". E Zacconi: “Fatto il suo contrappunto, si osservi se sia ben cantabile e proceda
con le debite maniere (è bene cantarlo da se stessi), perché se i passi sono strani e difficili da cantare
generano tedio e fastidio.”
Perfino ogni voce ha un proprio modo di procedere; sempre Zacconi: “Si faccia attenzione a produrre
passi appropriati alla voce che deve cantare (un tenore fa passi melodiosi, un basso salti sodi e naturali, il
sopranno assomiglia al tenore ed il contralto al basso).”
Da simili raccomandazioni nasce una tradizione che vuole siano evitati gli intervalli melodici
superiori alla sesta minore e permetta la sesta minore stessa solo al basso. L’ottava è permessa in quanto
intervallo di facile intonazione corrispondente ad un cambio di registro. Saranno dunque proibiti tutti i salti di
tritono e quinta diminuita, di sesta maggiore, di settima, tutti i salti che superano l’ottava.
Si proseguirà per moto discendente dopo un b e ascendente dopo un #, ovvero l’alterazione vuole la
prosecuzione della melodia nel senso dell’alterazione stessa.
Un'altra indicazione che si trae da una analisi statistica delle melodie contrappuntistiche è il fatto che
in presenza di un salto melodico sia raccomandata una successiva inversione di direzione tanto più quanto
più ampio è stato il salto stesso. Ne nasce una caratteristica conduzione melodica a zig-zag o a curvature
regolari. A maggior ragione è vietata dai teorici per la difficoltà di intonazione, la successione immediata di
due salti nello stesso senso, la cui somma dia un intervallo dissonante.

Possiamo riassumere con uno schema analogo ai precedenti i criteri per la scelta degli intervalli melodici:

(affinità-unità-ridondanza) (difformità-distinzione-informazione)
moto per grado / 3a- / 3a+ / 4a / 5a / 6a- / ...... 7a tritonus intervalli ecc/dim.

Per questioni di varietas poi si cercherà di non ripetere note in posizioni ritmiche o melodiche simili: in
battere, su punti di volta della melodia vicini, dopo un salto ... . Da tal ragione poi si suggerisce spesso nei
trattati accademici di contrappunto di non toccare l’apice acuto e grave di una melodia se non una sola volta.

3.4 RAPPORTI TRA MOTO MELODICO E POLIFONICO


Per la complessità tipica del fatto musicale in cui ogni elemento in gioco è in stretta connessione con
gli altri e muta funzionalmente al variare del contesto, si comprende come moto melodico e moto polifonico
interagiscano tra loro favorendo o inibendo particolari soluzioni compositive.
Oltre al moto parallelo su consonanze perfette, si vietava così anche il moto retto su consonanze perfette
per “il sospetto di due quinte e di due ottave”, cosa che diventava palese se il cantante o lo strumentista
diminuiva la parte con “note negre” come ad esempio illustra Diruta nel passaggio diminuito che segue ogni
caso “sospetto”:

13
La Gestaltpsycologie, una famosa scuola psicologica che ha studiato in particolare la teoria della percezione, ha individuato alcuni
procedimenti di organizzazione delle sensazioni che si suppongono innati ed universali; uno di essi è appunto il raggruppamento dei
dati sensoriali in strutture organiche per vicinanza o somiglianza (la Gestalt è appunto una configurazione in cui la funzione delle parti è
determinata dall'organizzazione dell'intero o in altre parole è un tutto irriducibile alla semplice somma dei suoi elementi ma che trae la
propria identità dai rapporti funzionali dei suoi membri). Tale procedimento sembra appunto essere anche alla radice delle
raccomandazioni dei polifinisti al moto melodico per grado.

21
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Artusi riassume con questi esempi il moto da una consonanza imperfetta ad una perfetta:

In questi esempi si vede come il moto contrario come pure il moto obliquo permettano ogni
soluzione.
Nel moto retto viene permesso - solo a più voci per l'effetto di copertura che esse hanno - l'arrivo su
una consonanza di quinta, una voce per grado e l'altra per salto o una voce con salto di terza e l’altra per
salto se la prima riprende la nota che precedentemente aveva l’altra. L'arrivo sull'ottava per moto retto di
salto è sempre vietato. Viene cioè permesso il moto retto in condizioni che rendano meno evidente l’arrivo
sulla consonanza perfetta. 14
Banchieri nella sua Cartella Musicale (Venezia, 1614, pg.90 e segg.) esplicita ulteriormente altri casi
di divieto di successione di quinte specificando ad esempio che nemmeno la presenza di pause, punti di
valore o diminuzioni toglie l’impressione della successione di due intervalli perfetti: “Avisandovi che quattro
semiminime ascendenti o scendenti per grado, con un’altra parte che faccia salto d’ottava o quinta, dui
minime con una semibreve fanno l’istesso errore, come anco gli punti & intervalli di mezza pausa, il primo
che ascende o discende in compagnia chiameremo errore reale, & gl’altri errori per relazione vedetegli”.

14
Sono queste le regole che riguardano i famosi “errori di successione di quinta e ottava o parallelismi di quinta e ottava”. Tali errori,
come vediamo in Banchieri, non sono annullati nemmeno dall’introduzione di note di passaggio o fioriture.
All’atto pratico sarà bene seguire una scaletta di controllo per ogni bicordo che si forma tra due voci, che riassume in modo
accettabile le limitazioni poste al moto polifonico:
Che intervallo si forma?
 Né quinta né ottava = non c’è possibilità di errore
 Quinta o ottava > Da che intervallo provengo?
 Un’altra quinta o ottava >> ERRORE DI SUCCESSIONE DI QUINTE O OTTAVE
 Altro intervallo > Con che moto provengo ?
 Moto obliquo o contrario = non c’è errore
 Moto retto >> ERRORE DI RELAZIONE DI QUINTE O OTTAVE
NB: possibile solo se una parte prosegue per grado ed una di
salto; tra parti estreme deve procedere per grado la parte superiore

22
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E’ comunque frequente la distinzione nei trattati tra contrappunto osservato ove è richiesta la massima
attenzione e precisione e contrappunto commune che si usa ad esempio nel sonar di fantasia. “D’altro canto
il contrappunto osservato è più bello e più vago assai, che non è il contrappunto comune, e la sua bellezza,
& vaghezza nasce da queste osservazioni” (Diruta, parte seconda, libro secondo, pg.3).

3.5 VARIETAS: “in omni contrapuncto varietas accuratissime exquirenda est”


(Tinctoris, seconda metà del ‘40015)

Abbiamo già potuto constatare come la ricerca di varietas sia costante cruccio dei contrappuntisti.
Ne è uno straordinario esempio la seguente tavola di Artusi, ove viene esemplificato in modo chiarissimo
seppur ancora elementare, il procedimento della variazione, così fondamentale nella pratica compositiva di
tutta la musica occidentale. Si tratta cioè di dare contemporaneamente elementi di riconoscibilità, utilizzando
quindi la ripetizione in alcuni parametri, mentre si introducono elementi di novità in altri.

Artusi dunque individua tre livelli di organizzazione del discorso musicale : 1. le corde (= note) o condotta
melodica ; 2. le consonanze (= rapporti intervallari) con le altre parti o struttura armonica; 3. i movimenti (=
valori delle note) o regime ritmico. Se vi è eguaglianza tra due frammenti successivi in uno dei regimi, gli altri
devono essere variati per rendere la compositione "ricca d'inventione et ha dello ingegnoso". Si può ancora
una volta constatare all’opera la dialettica precedentemente ricordata di ridondanza e informazione.

15
Citato in D.De la Motte, Il Contrappunto,Ricordi, Milano, 1991, pg.44

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4 SPECIE DI CONTRAPPUNTO
Girolamo Diruta è il primo trattatista che individua specie diverse di contrappunto al fine precipuamente
didattico di organizzare il suo discorso secondo una graduazione progressiva di difficoltà. Le specie da lui
individuate sono dunque:
- nota contro nota
- canto fermo nel tenore a semibrevi contro “minime sciolte senza ligature e senza punti
- canto fermo nel tenore a semibrevi contro “diverse ligature di buone consonanze”
- canto fermo nel tenore a semibrevi contro “diverse legature de note dissonanti”
- canto fermo nel tenore a semibrevi contro “note negre” (semiminime, crome e semicrome)
- canto fermo nel tenore e “contrappunto sciolto & ligato con tutte le sorti di ligature”
Seguono gli esempi delle prime sei specie.

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Possiamo facilmente riconoscere tale metodo didattico, nelle famose specie con cui ordina la sua trattazione
J.J.Fux nel suo Gradus ad Parnassum del 1725 - un testo che si può ben dire ha fatto la storia della didattica
del contrappunto – dove le specie sono cinque: semibrevi contro semibrevi, semibrevi contro minime,
semibrevi contro semiminime, legature o sincopi, contrappunto fiorito con l’uso delle specie precedenti e di
piccoli gruppi di crome.

4.1 USO DELLE DISSONANZE (NOTE DI PASSAGGIO, NOTE DI VOLTA E


LIGATURE)

Per quanto riguarda l'uso della dissonanza nella condotta melodica, come viene formalizzandosi
nella polifonia tra quattro e cinquecento, esso si può riassumere in tre forme principali:

4.1.1 La nota di passaggio. Si tratta di una nota dissonante tra due consonanze ad
altezza diversa, il cui carattere dissonante viene integrato nella struttura "armonica"
del brano tramite alcuni accorgimenti; deve trovarsi su una posizione non accentata
(nota cattiva contrapposta alla nota buona in battere : "si cacciano sempre nella
seconda parte del tatto [=battuta], e non mai nel primo" Zacconi, Prattica di musica,
Venezia 1622), deve procedere per grado prima e dopo , per facilitarne
l'intonazione. Artusi :

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4.1.2 La nota di volta : si tratta di una nota dissonante tra due note consonanti alla
stessa altezza e segue le medesime regole della nota di passaggio

4.1.3 Il ritardo o “ligatura”: è una nota dissonante in battere, in genere col valore di
metà movimento, la cui dissonanza viene intonata precedentemente con una
consonanza; la risoluzione avviene per grado, in genere discendente, su una
consonanza.

Banchieri, La Cartella Musicale, Venezia 1614.

Altri bicordi dissonanti vengono citati con le loro “soluzioni”, assieme a soluzioni alternative ai bicordi di
seconda e settima (L.Penna, 1672):
- La legatura di seconda si può sciogliere in cinque modi, cioè sono l’unisono, ò con la terza minore, ò
maggiore, terza minore, ò con la sesta minore, ò sesta maggiore

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- La ligatura di quarta “si può sciogliere in tre maniere, cioè ò con la terza maggiore, ò con la terza
minore, ò con la quinta falsa.

Penna indica anche una possibile soluzione del tritono che “si scioglie in uno de due modi seguenti, cioè, ò
con la sesta maggiore, ò con la sesta minore.”

5 ALTERAZIONI 16
Abbiamo ricordato in apertura, quale era il repertorio di suoni di cui disponevano i polifonisti, ed abbiamo
visto come dalle prime sei note diatoniche (ut, re, mi , fa, sol , la) dell’esacordo, più i due suoni alternativi b
quadrum, durum o duralis ( che diventerà il nostro bequadro) e b rotundum, mollitus o mollis ( il nostro
bemolle), si passa via via all’assunzione dei vari altri semitoni cromatici con l’introduzione anche del diesis
(do #, fa #, sol#) e del mi b. Ciò deriva, come abbiamo visto, dalla necessità di trasportare i modi e dalla
necessità di inserire in cadenza la subfinalis alterata.
La prima ragione però per la scelta del si naturale o bemolle stà nella assoluta esigenza di evitare intervalli
armonici di tritono tra le parti, come pure intervalli melodici eccedenti o diminuiti 17. Il si bemolle dunque
veniva utilizzato in tutti i casi in cui era necessario evitare il tritono con la nota fa. E questo in ogni possibile
trasposizione dell’intervallo di tritono.
Ecco come ne tratta ad esempio Ludovico Zacconi nel Libro Primo della sua Prattica di Musica (pg.37):

16
Vedi su tale argomento le chiare pagine del testo citato di F:Tamaro, Con il senso e con la ragione, pg.27 e segg..
17
“Nessuno se ne serve nel canto con un solo salto” Glareano, Dodecachordon, Basel, Heinrich Petri 1547

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Mano a mano che venivano introdotte tutte le alterazioni con la cosiddetta musica ficta 18, era possibile
trasporre l’esacordo su ogni altezza ed era possibile trasformare terze e seste da maggiori in minori, con
l’effetto che ciò aveva dal punto di vista espressivo e del moto delle parti (una terza minore prosegue
sull’unisono ed una sesta maggiore prosegue sull’ottava).
Dal punto di vista melodico, Artusi riassume così la funzione di diesis e bemolle: “Fanno questo un’istesso
effetto ma per contrario motto, percioche il b molle lieva dalla corda acuta un semituono, e lo da alla grave e
sempre discende. Ma il # lo lieva alla grave, dandolo all’acuta, e sempre ascende.”

Con l’introduzione poi delle alterazioni era possibile anche riprodurre l’antico tetracordo cromatico greco che
prevedeva appunto la successione che noi chiamiamo semitono cromatico 19. Il genere cromatico, per la
presenza in esso di toni estranei al modo di riferimento (appunto le note alterate), divenne quindi un genere
molto usato anche dai polifonisti per particolari fini espressivi in genere legati al lamento, all’espressione di
affetti tristi o drammatici. Ne è un ottimo esempio questo incipit di un madrigale di Gesualdo da Venosa sul
testo “moro lasso al mio duolo”

18
“Poiché tale segno [#] è stato adottato per trovare e produrre migliori consonanze e poiché falso [ficta] è un termine che viene
utilizzato per qualcosa di cattivo piuttosto che di buono ciò che è falso infatti non è mai buono): noi pertanto, con tutto il rispetto per gli
altri, diciamo che questa musica deve essere definita colorata [cromatica] piuttosto che falsa …” Marchetto da Padova, Pomeriumin arte
musicae mensuratae, 1321-26, GS III, 135. E da qui nasce l’uso del termine cromatismo.
19
Vedi Tammaro, op. cit., pg.104: “Le scale greche erano formate dalla sovrapposizione di due tetracordi discendenti (ad es. mi-si / la-
mi) e tali tetracordi potevano assumere tre forme: il tetracordo diatonico (ad es. la-sol-fa-mi), il tetracordo cromatico (ad es. la-fa#-fa-mi)
ed il tetracordo enarmonico (ad es. la- fa-mi#-mi con ¼ di tono tra le ultime tre note)”. Ed a pag. 36: “Marchetto [nel Lucidarium] ci
permette di comprendere l’abbinamento fra il termine greco [chroma], che significava appunto “colore”, e quello che noi
chiamiamo “cromatismo”: tenendo presente infatti che cromatico era uno dei tre tipi di tetracordo usati dalla musica greca, in particolare
quello in cui era presente l’intervallo che ancora noi chiamiamo “semitono cromatico”, egli spiegava:”Si dice infatti cromatico da
cromata. In greco ‘croma’ significa appunto ‘colore’; per cui ‘cromatico’ vuol dire ‘colore della bellezza’, perché il tono è diviso in modo
diverso da quello applicato nei generi diatonico ed enarmonico a causa dell’eleganza e della bellezza delle dissonanze””.

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6 PROFILI RITMICI

Riportiamo qui alcune indicazioni su particolari moduli ritmici usati dai polifonisti oltre alle varie combinazioni
delle specie sopra menzionate.

“I contrappunti devono cominciare con movimenti tardi e lenti” (Bismantova, 1677)


“Non si userà mai la semibreve a capo di battuta, ma a cavallo di battuta [con ligatura].”
“Parimenti non si metterà la minima col punto a capo di battuta, ma sul levare di mano.”
“Non pausare mai se non con mezza pausa, affinchè il canto non resti vacuo. La pausa serve ad ordinare il
canto e dare respiro.” (Zacconi, 1622)

Statisticamente si può poi rilevare quanto segue20:


- Il prolungamento di una nota è possibile solo con una nota dello stesso valore o pari alla metà: non
esisteva infatti in origine la legatura di valore ma solo il punto
- Il collegamento tramite legatura di una nota con un’altra di valore maggiore è scorretto
- Non si hanno passaggi improvvisi da valori ampli a valori brevi se non per “imitar le parole”

Ecco dunque alcune delle figurazioni più frequenti, soprattutto nell’incipit dei soggetti o fughe:

 

.  ( . ) .    (queste figurazioni anche a cavallo di battuta, con legatura tra

minima e semiminima che sostituisce il punto)

 (questa figurazione anche sostituendo la prima minima con pausa)

In genere quanto più piccoli sono i valori tanto più per grado procede la melodia, essendo più difficoltoso
intonare intervalli ampli in un tempo veloce. Le rare crome, come abbiamo visto anche nei precedenti
esempi di Diruta, appaiono a due a due per grado congiunto, per lo più come note di volta o fioriture di
ritardi.

Va inoltre ricordato, come affermava già Artusi precedentemente, che il ritmo è una delle fonti più ricche di
varietà. Nella sovrapposizione delle voci poi, la sovrapposizione simultanea di diverse configurazioni ritmiche
nelle parti, da un grande contributo all’identificazione e diversificazione delle parti stesse, ovvero alla
ricchezza polifonica del tutto. Ancora una volta troviamo la varietà che arricchisce l’unità, la varietà e
ricchezza di particolari che arricchisce la struttura generale.
Per tal ragione dunque, ad una parte molto mossa in “note negre”, corrisponderà una parte con movimenti
“più tardi”, a note bianche, dove c’è una ligatura od un punto, interverrà un’altra parte che marcherà il
movimento od una sua suddivisione, e così via …

Ecco un bicinium di Zarlino, ove è possibile analizzare e riconoscere le principali formule ritmiche utilizzate
dai contrappuntisti, notando al contempo quanto sopra ricordato sull’indipendenza e complementarietà
ritmica delle parti.

20
Vedi D.de la Motte, Il Contrappunto,Ricordi Milano, 1991, pg.75

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7 IMITAZIONI, FUGHE E CANONI


Una bella introduzione all’argomento del presente capitolo ci viene da Lorenzo Penna (1684) che nel
secondo libro – cap.VII del suo trattato, dove parla Del contrapunto fugato in generale, afferma: “Questo
contrapunto è molto difficile per l’obligazione, che si ha di fare, che le parti con li veri modi, e Regole si
vadino imitando nel soggetto intrapreso, e restringendosi sempre più nella Fuga proposta [ravvicinando
sempre più le entrate di tale soggetto], vadino le parti frà loro con bell’ordine scherzando, e di nuovo
subentrando con altro diverso soggetto, pare si sfidino le parti l’un con l’altra azzuffarsi insieme à guisa di
valorosi soldati, intenti a colpire, e à ribattere i colpi dell’inimico. Vien detto contrappunto fugato, perché è
composto di fughe. E’ anche chiamato contrappunto imitato, perché una parte imita l’altra nelle fughe
proposte.”
Un bell’esempio di contrappunto fugato lo abbiamo visto nel brano zarliniano dell’esempio precedente.
Uno dei procedimenti più importanti nel contrappunto è dunque l’imitazione, la riproduzione cioè, in voci
diverse a breve distanza di tempo, di un frammento melodico enunciato nella prima voce. Il procedimento è
uno straordinario modo di coniugare ripetizione e unità [ridondanza e informazione], poiché la ripetizione di
un frammento melodico viene inserita in un contesto completamente nuovo dato dal sovrapporsi delle voci.

E’ da notare come il termine fuga abbia assunto significati diversi. Il primo è analogo a quello di soggetto,
ovvero breve frammento melodico ben caratterizzato che è oggetto di imitazione; in questo senso si parla ad
esempio di ricercare a tre fughe, ovvero tre soggetti. Un secondo significato è analogo a quello di imitazione,
ovvero comprende l’intero procedimento imitativo. Un terzo significato, più tardo, è l’odierno, ovvero una
composizione di carattere contrappuntistico-imitativo con una sua struttura ben precisa, caratteristica del
periodo tonale.

Riportiamo una tavola di Artusi che riassume bene la teoria base del contrappunto imitato o fugato.
In tale tavola, Artusi distingue tra fuga sciolta e fuga ligata. Il termine fuga ligata, come viene definito da
Artusi è un sinonimo di canone, ovvero di una breve composizione in cui una melodia viene imitata
interamente in altre parti, spesso con l’aggiunta di artifici complessi, quali il moto contrario, ricordato dallo
stesso Artusi, l’aggravamento (il raddoppio dei valori delle note), la diminuzione (il dimezzamento dei valori
delle note). Va inoltre notato come sia prescritto che il conseguente, l’imitazione, inizi sia all’unisono o
all’ottava, ma anche alla quarta o alla quinta, riprendendo così il fatto che le voci contingue cantano una in
modo autentico ed una in modo plagale, la cui diversità di ambito è compresa appunto in una quarta o quinta
sotto o sopra.
Con l’avvento della tonalità tale rapporto intervallare si trasformerà nella fuga in una modulazione alla
dominante.

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Ritornando al canone, una sorta di gioco enigmistico per musicisti-matematici, si presentava anche in forma
di piccolo indovinello, come nel seguente esempio tratto da Banchieri nella sua Cartella Musicale.

Eccone la risoluzione.

Banchieri peraltro così si esprime a proposito di tale uso in voga tra i contrappuntisti: “Più per curiosità, che
per utilità da infiniti compositori antichi e moderni sono stati e vengono prodotti canoni in diverse e variate
invenzioni, ho detto per curiosità, poi che vaglia il vero, altro non concludo se non vivacità d’ingegno. Di
questi canoni in dui maniere se ne veggono[:] l’una diremmo terminati, e la seconda interminati, quanto a gli
terminati se ne trovano alcuni semplici e altri composti, gli semplici diremmo quelli quando due parti in
consequenza semplicemente si seguitano in dir l’istesso doppo una, due, tre, e più pause con la conclusione
al fine […]; composti similmente potiamo dire quelli quando due parte in consequenza s’obbligano all’istesse
note doppo una, due, tre e più pause, e sopra quelle altre parte vi fanno sopra e sotto contrapunti […];
cannoni poi interminati sono a dirsi quelli, che sotto note musicali obbligano più parte resumendo da capo in
infinito […], interminati vengono praticati ora con parole ancora non solo spirituali e serie, ma parimente
vezzose, e baccanali e perché troppo si ricercaria in voler discorrere sopra tali capricci sia bene entrare in
altro, essendone piena la professione con mille e mille varietà, secreti e lambiccamenti di cervello; a chi
piace componere simili canoni, lodo si quelli, che vogliono si perdi molto tempo a riuenirli, ma più lodo quelli,
che danno le loro dichiarazioni, atteso che gli oscuri non troppo li capiscono, e gli dichiarati ognuno ne gode,
ne si perde tempo a ricercare come dice il proverbio il mare per Ravenna.”

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7.1 FORME DI MUSICA POLIFONICA CON USO DI IMITAZIONE

L’imitazione, come abbiamo già visto nei molti esempi precedenti, è uno dei procedimenti tipici della musica
contrappuntistica.
Nella musica vocale l’imitazione trova massimo uso nella messa e nel mottetto.
Nella musica strumentale, invece, la forma che più fa uso dell’imitazione, anche con procedimenti
particolarmente elaborati come il moto contrario o inverso (ad ogni intervallo ascendente del soggetto o fuga
corrisponde un intervallo analogo ma discendente), il moto retrogrado (il soggetto o fuga viene presentato
partendo dall’ultima nota e tornando indietro), l’aggravamento (i valori delle note del soggetto vengono
raddoppiati) e la diminuzione (i valori delle note del soggetto vengono dimezzati), è il ricercare.
Ecco un Kyrie di Josquin Desprez (1440 – 1521 ca) tratto dalla Missa Ave Maris Stella, in cui è ben evidente
l’uso della imitazione, come pure la derivazione delle fughe dalla melodia gregoriana su cui è costruita la
messa21.
In seguito un bell’esempio di ricercare a quattro fughe di Giovanni Maria Trabaci (1575-1647), tratto da
“Ricercate, Canzone franzese, Capricci, Canti fermi […], Libro I, In Napoli 1603.

21
Ecco la melodia gregoriana su cui si basa la messa:

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8 TACTUS O BATTUTA
Dall’introduzione negli organa polifonici di un contrappunto che procedeva con più note contro una, si è
posto in modo sempre più forte il problema della misurazione della durata di ogni nota e della definizione dei
rapporti di durata, anche e soprattutto per permettere il controllo della sovrapposizione dei suoni, facendo
coincidere le consonanze volute e gestendo ritmicamente le dissonanze in modo da mitigarne la durezza.
Si partì così (sec.XII) da due valori base, uno lungo = la longa, ed uno breve = la brevis. Il loro rapporto
poteva essere perfetto (tre brevi per una longa) o imperfetto (due brevi per una longa). Con il trattato Ars
cantus mensurabilis di Francone da Colonia del 1260 ca, vengono introdotti due nuovi valori: la maxima o
duplex longa (tre o due longhe) e la semibrevis (1/3 o ½ della brevis).
Con Philippe de Vitry ed il suo trattato Ars Nova del 1325 ca., abbiamo l’introduzione di un nuovo valore, la
minima, inferiore alla semibrevis, e la sistemazione dei vari rapporti.
Tutto veniva rapportato con proporzioni matematiche ad una “unità di tempo”, il Tactus o Battuta, che
corrispondeva ad uno di questi valori; possiamo dire che nella scuola di Notre Dame il valore di riferimento
era la longa, nella seconda metà del 1200 la brevis (Petrus De Cruce e Ars nova), dal ‘300 a parte del ‘600
la semibrevis (ma già Adam von Fulda a fine ‘400 parla di possibili tactus alla minima), nel ‘600 si afferma via
via la minima, nel ‘700 alla semiminima. 22
Tale progressivo spostamento del Tactus verso valori più brevi, corrisponde all’introduzione di figure di valore
sempre più brevi come la chroma e semichroma (già in Zarlino 1573) e poi la biscroma in intavolature per
strumento a tastiera di fine ‘500. Contemporaenamente venivano abbandonati i valori più ampli.
Il tactus dunque, corrispondeva al battere e levare della mano del Maestro di cappella e poteva essere
eguale o ineguale, ovvero suddiviso in due parti eguali per la suddivisione binaria e due parti ineguali per la
ternaria in cui il battere era lungo il doppio del levare.
Per quanto riguarda la durata assoluta del tactus si parla nei trattati “del tempo che trascorre tra due passi di
un uomo che cammina con andatura calma” (Hans Buchner, 1525 ca) o “a guisa del battito del polso di una
persona che respira normalmente” (Gaffurio, 1495 ca). L’associazione del tactus al polso si inoltra fino a
metà ‘700: ecco quanto scrive Quantz nel 1752 nel suo trattato per Flauto:”Il mezzo più appropriato per ben
misurare il tempo, e che io considero il più comodo e men dispendioso, ognuno lo ha presso di sé. Esso è il
battito del polso di una persona sana.” [Pg.316]

Ecco la definizione di Battuta data da Banchieri nella sua Cartella Musicale: “All’hora, che il devoto Peregrino
parte dall’amata patria, per trasferirsi alla santa Casa di Loreto, & giunto al primo alloggio ricerca l’Ostiero
[l’uomo alla porta, portiere] della retta via, ecco gli viene risposto, Huomo da bène seguitate la battuta [via],
che non potete errare. Di quivi potiamo dire sia prodotta questa voce di battuta nella Musica, essendo lei
sicura strada in rettamente condurre il Cantore al terminato viaggio della modulazione: alcuni dicono sia
prodotta da Sistole & Diastole, che significa il polso humano, altri dal flusso & reflusso marino, & altri dal
martello dell’Oriolo […], sia come piace, potiamo aggiungere si nomini battuta della percussione che fa il
Maestro di Cappella con mano, bacchetta over fazzoletto. Infinito numero di Musici e Cantori la nominano
Misura, & dicono bene potendosi in ambedue i modi pronuntiarla. Tal voce Misura habbiamo per tradizione,
all’hora che il canto Figurato nominavasi Canto Misurato, soggiungiamo appresso si dica Misura essendo
ella divisibile come (per esempio) la Misura del Brazzolaro, con il quale si misura il Velluto, dividesi in dui
mezi, quatroquarti & otto ottavi numeri soggietti all’Equalità, parimente dividesi in tre terzi, & sei sesti, numeri
soggietti all’Inequalità, così appunto pigliamo per Misura Musicale la Semibreve, nel tempo minore perfetto,
la scorgiamo divisa in dui, quatro, & otto note, & apresso nelle proprotioni di equalità alterate in tre, & sei
note, di maniera, che può dirsi con qual nome più piace. Vero è che il verbo comunemente praticato, in
dicendo il tale batte la battuta, overo batte la Misura, tal verbo è improprio, & per abuso di plebei introdotto,
meglio è dire cosi, moderare, guidare & simili; dicasi però come torna comodo, essendo così per abuso
convertito in uso; & quivi concludendo dico, che battuta, altro non è che una divisione di due capi, il primo
calante alla percussione, & il secondo alzante alla terminazione[…].”

9 SISTEMA DELLA MUSICA MENSURATA


Data la misura di riferimento, ogni altro suono o nota doveva intrattenere, come detto, un rapporto di
proporzione con il valore di riferimento per la battuta.

22
Vedi AA.VV. Il Clavicembalo, E.D.T.Edizioni di Torino, 1984, pg.112 e F.Tammaro, Con il senso e con la
ragione, Edizioni Il Capitello Torino,2003, pg.428 e segg.

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Come riportato ancora nei trattati cinquecenteschi, il sistema di tali rapporti tra figure musicali (longa, breve,
semibreve, minima; i valori minori erano sempre tra loro in rapporto binario), era così articolato:
1. Rapporti tra maxima e longa >>> Modus maximarum (o maximodus) : perfectus/imperfectus
2. Rapporti tra longa e brevis >>> Modus longarum: perfectus/imperfectus
3. Rapporti tra brevis e semibrevis >>> Tempo – Tempus: perfectum/imperfectum
4. Rapporti tra semibreve e minima >>> Prolazione – Prolatio: major/minor

Ognuno di questi rapporti prevedeva una proporzione ternaria o perfetta e binaria o imperfetta. Per cui si
parla ad esempio di maximodus perfetto in cui alla maxima corrispondono tre longhe, di prolatio minor, in cui
alla semibreve corrispondono tre minime, ecc.

Il sistema permetteva una complessità ritmica che vide il suo massimo uso nella polifonia fiamminga quattro-
cinquecentesca. Voci diverse potevano cantare con rapporti diversi tra le figure, permettendo perfino la
creazione di canoni mensurali come nell’inizio del Credo della Missa Prolationum di Ockeghem in cui
soprano e contralto hanno la stessa melodia con gli stessi valori ma con proporzioni diverse tra i valori, lo
stesso avviene per tenore e basso 23.

Come riassume Banchieri nella sua Cartella Musicale (1614), i due modi vennero abbandonati e restarono
solo i segni di tempus, indicati con un uso nuovo dei termini, in parte contraddittorio con l’uso precedente:
“Dagli Musici antichi vari & diversamente furono praticati gli Tempi musicali, & sotto quelli componevansi
infinite proporzioni di Triple, Quadruple, Quintuple, Sestuple, & via moltiplicando; tuttavia perché rendevano
lungo il tempo, & grandissima difficoltà praticargli, gli Musici moderni quelli hanno dismessi, & per maggior
docilità, gli hanno ridotti a dui, l’uno diremmo Tempo perfetto maggiore, & il secondo Tempo perfetto minore
sotto il perfetto maggiore si mandano dui Semibrevi (che fanno una breve per battuta, & sotto il perfetto
minore si mandano dui Minime) che sono una Semibreve per battuta, tanto di note nell’uno & nell’altro come
di Pause.”

Il nostro C, corrispondente a 4/4, il tempo perfetto minore di Banchieri, non è quindi altro che un tempus
imperfectum (= 2 semibrevi ogni breve) ed una prolatio minor (= 2 minime in ogni semibreve; la suddivisione
dei valori inferiori era sempre binaria): quello che Banchieri chiama Tempo perfetto minore.

Ecco la tavola riassuntiva della materia fornita da Artusi nel suo trattato.

23
Citato in De La Motte, op.cit. pg.54

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9.1 Proporzioni

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I cosiddetti segni inditiali posti all’inizio del brano fissavano le proporzioni tra figure per tutto il brano, ma
poteva rendersi necessario, al fine di introdurre maggior varietà ritmica, modificare tali rapporti in una o più
voci.
Vennero così introdotte le proporzioni, segni che – a parità di figura – modificavano il valore della stessa
secondo propozioni matematiche date. Se ad esempio si trovava ad un certo punto il segno 3/2, il
compositore indicava che nello stesso tempo che prima conteneva 2 minime ora ve ne dovevano andare 3. Il
numeratore cioè indicava il numero di note che si trovavano dopo il segno ed il denominatore il numero delle
note che si trovava prima del segno. L’integer valor della nota veniva cioè diminutum o augmentatum
secondo date proporzioni, di cui le più usate erano quelle di genere multiplex come la proportio dupla (2:1) o
tripla (3:1) e di genere superparticulare, in cui cioè il numeratore superava il denominatore di una unità,
come la proportio sesquialtera (3:2)24.
Per ritornare alla proportione precedente si invertivano i termini della frazione per cui ad es. dopo una
proportio sesquialtera si trovava il segno 2:3 per tornare all’integer valor. Tale proporzione veniva chiamata
sub-sesquialtera (subdupla= 1:2, ecc.).

Anche il segno di  , cioè alla breve, indicava una proportio dupla, un tempus imperfectum diminutum,

ovvero la presenza di due semibrevi dove prima stava una semibreve poiché il tactus passava dalla
semibreve “alla breve”.

Da ciò derivano anche i nostri segni di battuta 3/2 o 3/4, ecc.

Ecco una Canzon dopo l’Epistola di Frecobaldi tratta dalla sua famosa raccolta Fiori musicali (1635), in cui si
può notare dopo la prima sezione, una proportio sesquialtera indicata dal segno 3/2 che significa, come
detto, che nello stesso tempo in cui prima stavano due minime, ora ne devono stare 3. Si torna poi al tempo
iniziale.

24
Sesquialtera stà per semiquealtera che indicava l’aggiunta ad un valore della sua metà o in greco hemiolia (hemi=mezzo +
òlios=tutto).

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