Sei sulla pagina 1di 124

In omaggio il calendario 2019 di Franco Matticchio

28 dic 2018/10 gen 2019 n. 1288 • anno 26 internazionale.it 4,00 €


Ogni settimana Editoriale Portfolio Fumetto
il meglio dei giornali Mito Buenos Aires Considerazioni
di tutto il mondo argentino ai margini a matita

Storie
Martín Caparrós
presenta
Ricardo Piglia
Alan Pauls
Samanta Schweblin
Rodrigo Fresán
Selva Almada
Mariana Enríquez
Rep
Juan José Becerra
Pola Oloixarac
Dani Yako
Patricio Pron
Beatriz Sarlo
Alberto Breccia
e Juan Sasturain

D
ART
SETTIMANALE • PI, SPED IN APDL
CHF • PTE CONT
• UK
DCB VR • AUT
• CH CHF • CH CT
• BE
•E

Un’illustrazione
di Lorenzo
Mattotti
28 dicembre 2018/10 gennaio 2019 • Numero 1288 • Anno 26
“La luce delle stelle non viene dallo spazio,

Sommario ma dal tempo”


RicaRdo Piglia a Pagina 14

la settimana
buon anno

Giovanni De Mauro
Tornare presto a
LoReNzo MATToTTI

In omaggio il calendario 2019 di Franco Matticchio


28 dic 2018/10 gen 2019 n. 1288 • anno 26 internazionale.it 4,00 €
Ogni settimana Editoriale Portfolio Fumetto
il meglio dei giornali Mito Buenos Aires Considerazioni

Londra. Avvistare
di tutto il mondo argentino ai margini a matita

Storie una balena.

PIeRLuIGI LoNGo
Martín Caparrós
presenta
Ricardo Piglia

Cambiare
Alan Pauls
Samanta Schweblin
Rodrigo Fresán
Selva Almada
Mariana Enríquez
Rep
Juan José Becerra

quartiere per far


Pola Oloixarac
Dani Yako
Patricio Pron
Beatriz Sarlo
Alberto Breccia
e Juan Sasturain

inta di cambiare
città. Avere la
RicaRdo Piglia maRiana PatRicio PRon
risposta pronta. enRíquez
Meno Netlix, più vita vera. Andare 12 La musica 84 Qualcosa va
di Pesic 40 Il carrello salvato
a Granada e vedere l’Alhambra. all’angolo
Disegni di Angelo Disegni di Chiara
Fare inalmente il cambio di Disegni di Emiliano
Monne Dattola
stagione 2. Raddoppiare le Ponzi
percentuali. Andare al Nyege Nyege. alan Pauls beatRiz saRlo
essere presente. Fermare l’ago sul 18 Prima di svanire Fumetto 90 Senza origine
68. Produrre meno riiuti. Trovare il Disegni di Leila 47 Considerazioni Disegni di Pierluigi
tempo. Suonare un pezzo a quattro Marzocchi a matita Longo
mani con YT. Cominciare la mattina Rep
andando in bicicletta. Cancellarmi samanta Fumetto
schweblin Juan José beceRRa 99 Perramus
da Facebook. Cercare il buon
proposito per il 2020. Scoprire le 22 Un posto in città 54 La guerra Juan Sasturain
Disegni di Gabriella di Beltrán Alberto Breccia
Americhe. Migliorare le percentuali.
Giandelli Disegni di Francesca
Riuscire a fare un bel viaggio.
Bere più acqua. Fare bene la
Ghermandi le rubriche
RodRigo FResán
diferenziata. Smettere di pensare 11 Editoriale
28 Il grande bugiardo Pola oloixaRac
stia facendo sempre rumore. Disegni di Marco 64 Rivolta sociale 119 L’oroscopo
Ricordare agli altri di fare il buon Ventura Disegni di Stefano 122 L’anno
proposito. Rallentare. Coltivare i Ricci del New Yorker
semi buoni. Diventare selva almada
impermeabile. Lavorare più a 34 Vita fuorigioco PoRtFolio Il prossimo numero
maglia. Leggere almeno dieci Disegni di Guido 72 Buenos Aires di Internazionale
classici del femminismo. Dare Scarabottolo ai margini
uscirà l’11 gennaio
forma ai pensieri. Correre. Trovare Dani Yako 2019
più spazio. Sabotare i condizionatori
d’aria. Trovare tranquillità. Articoli in formato
Imparare di nuovo la chiave di basso. mp3 per gli abbonati
Far sentire la mia voce. Scoprire
quant’è bello camminare. Fare i disegnatori di questo numero
bingo. Due vodka martini… e poi
internazionale.it/sommario

precisamente sette minuti e mezzo Chiara Dattola vive a Milano. Nel 2017 ha illustrato Cerca cerca (Franco Cosimo Panini). Francesca
dopo altri due, e poi ancora due ogni Ghermandi è nata e vive a Bologna. Tra i suoi libri, Cronache dalla palude (Coconino Press 2010).
cinque minuti inché uno di noi non Gabriella Giandelli è nata a Milano nel 1963. Nel 2013 ha pubblicato Lontano (Canicola). Pierluigi
Longo è nato a Tripoli, in Libia, e vive a Milano. Collabora regolarmente con La Repubblica. Leila
perde i sensi. Chiudere vicende
Marzocchi è nata a Bologna nel 1959. Nel 2016 ha pubblicato l’ultimo volume di Niger (Coconino).
annose. Leggere un libro al mese.
Angelo Monne, graico editoriale e illustratore, è nato, vive e lavora a Dorgali (Nu). Emiliano Ponzi
Spegnere il rumore. Tenere insieme vive a Milano. Nel 2018 ha pubblicato La grande mappa della metropolitana di New York (Fatatrac).
vulnerabilità e resistenza. esplorare. Stefano Ricci, nato a Bologna nel 1966, ha pubblicato Mia madre si chiama Loredana (Quodlibet
Come ogni anno, questi sono i buoni 2016). Vive ad Amburgo. Guido Scarabottolo è un graico e illustratore nato nel 1947 a Sesto San
propositi della redazione di Giovanni. Tra i suoi libri, Smarrimenti (La Grande Illusion 2016). Marco Ventura è un illustratore
Internazionale. e i vostri? u nato a Milano nel 1963. Insegna all’Istituto europeo di design.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 9


Editoriali

Mito argentino
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto

Il numero delle storie è a cura di Giulia Zoli


Direttore Giovanni De Mauro Martín Caparrós per Internazionale
Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Editor Giovanni Ansaldo (opinioni), Daniele I racconti di questo numero sono stati scelti nia, con una musica tutta diversa, nella tradizione
Cassandro (cultura), Carlo Ciurlo (viaggi, visti
dagli altri), Gabriele Crescente (Europa), Camilla da Martín Caparrós, giornalista e scrittore di Rodolfo Walsh e riscrive il suo racconto più fa-
Desideri (America Latina), Simon Dunaway
(attualità), Francesca Gnetti (Medio Oriente), argentino. Il suo ultimo libro uscito in Italia moso, Quella donna, raccontando il peronismo, i
Alessandro Lubello (economia), Alessio
Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino è Amore e anarchia (Einaudi 2018). suoi simboli e la sua donna totemica come un
(Europa), Francesca Sibani (Africa), Junko Terao
(Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura, grande equivoco, la confusione che continuano a
caposervizio)
Copy editor Giovanna Chioini (web, Ci hanno sempre detto che le crisi stimolano la rappresentare.
caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco
Romano (coordinamento, caporedattore), creatività: è un mito fondamentale, e i miti esisto- A proposito di quella donna: se qualcosa è de-
Giulia Zoli
Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa no per essere rispettati. Se davvero fosse così, cisamente cambiato nella scena letteraria argen-
Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web)
Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio), l’Argentina, da decenni travolta da una crisi inar- tina è che ora sembra dominata da giovani donne.
Marta Russo
Web Annalisa Camilli, Andrea Fiorito, Stefania restabile, non avrebbe rivali quanto a creatività. Quattro di loro si danno appuntamento in queste
Mascetti (caposervizio), Martina Recchiuti
(caposervizio), Giuseppe Rizzo, Giulia Testa In fondo noi argentini ci crediamo, e cerchia- pagine. Samanta Schweblin vive a Berlino e la sua
Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli,
Alberto Emiletti mo di rispettare questo mito. L’Argentina non of- rilettura del fantastico argentino l’ha portata tra i
Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci,
Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara fre grandi possibilità ai giovani: la certezza di de- inalisti del Booker prize. Selva Almada riprende,
Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori
sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. terminate impotenze, del fatto che la maggior invece, un costumbrismo rurale austero e rarefat-
Sara Cavarero, Francesca Rossetti, Bruna
Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei parte dei loro sforzi andrà a sbattere contro qual- to che dipinge le ombre della provincia argentina:
columnist sono di Scott Menchin Progetto
graico Mark Porter Hanno collaborato che muro, che non otterranno niente senza lotta- l’entroterra. Mariana Enríquez sprofonda nei me-
Gian Paolo Accardo, Gabriele Battaglia,
Elisabetta Bartuli, Cecilia Attanasio Ghezzi, re. Perciò i più entusiasti immaginano vite da ar- andri di ciò che è sinistro, nel degrado urbano di
Francesco Boille, Sergio Fant, Anita Joshi, Fabio una società che si sente cadere. Pola Oloixarac,
Pusterla, Alberto Riva, Andreana Saint Amour,
tisti: la possibilità di fare nonostante il paese,
Francesca Spinelli, Laura Tonon, Guido Vitiello,
Marco Zappa
contro il paese, fuori dal paese, in un paese che residente a San Francisco, transumante e colta,
Editore Internazionale spa
Consiglio di amministrazione Brunetto Tini
non è mai quello che dovrebbe essere. Ecco per- rilegge con ironia la storia delle politiche patrie.
(presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot
(vicepresidente), Alessandro Spaventa
ché l’Argentina brulica di teatri e gruppetti musi- Juan José Becerra e Patricio Pron sono due
(amministratore delegato), Giancarlo Abete,
Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro,
cali, ma anche, per antica tradizione, di scrittori narratori dalle vite molto diverse: Becerra, argen-
Giovanni Lo Storto
Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma
di tutti i generi. tinissimo cinquantenne; Pron, sui quaranta, che
Produzione e difusione Francisco Vilalta
Amministrazione Tommasa Palumbo,
Ma al di là di questa varietà, non c’è nulla di ha alle spalle anni vissuti in Germania prima di
Arianna Castelli, Alessia Salvitti
Concessionaria esclusiva per la pubblicità
più caro alla letteratura argentina del racconto: stabilirsi in Spagna. In un certo modo le loro sto-
Agenzia del marketing editoriale
Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312
hanno scritto racconti tutti gli autori più noti, Bor- rie si rilettono nei rispettivi testi: Becerra mette
info@ame-online.it
Subconcessionaria Download Pubblicità srl
ges, Arlt, Cortázar, Ocampo, Bioy Casares, Saer, in scena, in forma di farsa, ciò che ultimamente
Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, Walsh, Piglia. Racconti, come spesso ripete Ro- gli argentini chiamano la grieta (la crepa), le loro
37131 Verona
Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) drigo Fresán, soprattutto fantastici. Si sarebbe perentorie divisioni politiche, mentre Pron tema-
Copyright Tutto il materiale scritto dalla
redazione è disponibile sotto la licenza Creative tentati di risalire anche all’altra tradizione argen- tizza le tribolazioni di chi vive nelle province eu-
Commons Attribuzione - Non commerciale -
Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. tina, quella della psicanalisi da quattro soldi, per ropee e non accetta nemmeno di scrivere il nome
Signiica che può essere riprodotto a patto di
citare Internazionale, di non usarlo per ini immaginare che i grandi scrittori argentini si rifu- della propria città natale: nel suo testo, Rosario si
commerciali e di condividerlo con la stessa
licenza. Per questioni di diritti non possiamo gino nel fantastico per scappare dalla realtà o da trasforma in *osario, una tomba imprecisata.
applicare questa licenza agli articoli che
compriamo dai giornali stranieri. ciò che si suppone tale; ma lasciamo perdere. Inine, una chicca squisita: Beatriz Sarlo, fra le
Info: posta@internazionale.it
Tuttavia, in questa antologia il fantastico è un intellettuali argentine più rispettate degli ultimi
ramo della realtà: si potrebbe dire che la realtà decenni, ci ofre un raro testo di crónica, osserva-
Registrazione tribunale di Roma
n. 433 del 4 ottobre 1993 argentina è abbastanza fantastica di suo, e non zioni di strada su musicisti di strada.
Direttore responsabile Giovanni De Mauro
Chiuso in redazione alle 20 di venerdì c’è bisogno di ulteriori fantasticherie. Anche Dani Yako situa le sue immagini in stra-
28 dicembre 2018
Pubblicazione a stampa ISSN 1122-2832 Si comincia con un omaggio: l’anno scorso è da. Con il suo furioso bianco e nero percorre Bue-
Pubblicazione online ISSN 2499-1600
morto Ricardo Piglia, l’ultimo dei mohicani, per nos Aires con una piccola macchina fotograica
PER ABBONARSI E PER
INFORMAZIONI SUL PROPRIO quella malattia crudele che è la sla. Anche se non che gli permette di vedere senza essere visto. In
ABBONAMENTO
poteva parlare né muoversi, ha continuato a scri- questa serie i corpi sono esclusi dalla vista, coper-
Numero verde 800 111 103
(lun-ven 9.00-19.00), vere; ha scritto La música con gli occhi, guardan- ti, nascosti: emarginati.
dall’estero +39 02 8689 6172
Fax 030 777 23 87 do, lettera dopo lettera, la tastiera di un computer Inine, Miguel Repiso, Rep, uno dei grandi fu-
Email abbonamenti@internazionale.it
Online internazionale.it/abbonati che riconosceva la direzione del suo sguardo. mettisti argentini, propone una selezione delle
LO SHOP DI INTERNAZIONALE Contiene talmente tante metafore – dello scritto- strisce che pubblica da trent’anni sul quotidiano
Numero verde 800 321 717
(lun-ven 9.00-18.00)
re, dell’Argentina, della cazzo di vita – che è me- Página 12. E con lui, un classico senza tempo: Per-
Online shop.internazionale.it
Fax 06 442 52718
glio non deinirne nessuna. ramus, in cui Alberto Breccia e Juan Sasturain sin-
Imbustato in Mater-Bi
I due scrittori più decisivi della mia generazio- tetizzano magistralmente alcuni tra i luoghi me-
ne, Alan Pauls e Rodrigo Fresán, partecipano con no comuni della loro patria.
racconti diversi. Pauls tematizza la diicoltà di Sono tentativi: in fondo, modi dell’argentini-
essere ciò che sono molti argentini – migranti – e tà. Dovrebbero, per essere coerenti, fallire. Non
il fatto che questa ricerca comporta, anche, una sempre ci riescono. Quindi, falliscono. E trionfa-
forma di dissoluzione. Fresán s’inserisce con iro- no. u sc

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 11


Ricardo Piglia Disegni di Angelo Monne

La musica
di Pesic
tava facendo giorno quando il commissa- rivo di Croce con la pietra (“il calcinaccio”) che era

S rio Croce sentì un arpeggio nell’aria, co- caduta dal cielo. La posarono su un tavolo e capirono
me una musica. Poi, in lontananza, vide che era una calamita: sentirono le loro cinture metalli-
un bagliore, forse il falò di un vagabondo che tirare, le forbici per la tosatura del vecchio Soto
o un fuoco fatuo nei campi. “Confronto non si aprivano, le monete scivolavano sulla tavola e
quello che non capisco”, pensò. La realtà perino gli scarabei rinoceronte e una mantide religio-
era piena di segnali e di tracce che a volte era meglio sa furono attratti dalla pietra e ci restarono attaccati.
non notare. Da mesi viveva provvisoriamente nella
casa mezzo abbandonata di un fattore
della tenuta dei Moya, in attesa che si A terra, in mezzo a
“Si possono fare dei soldi con questo aggeggio”,
disse Iñíguez.
“In un circo”, azzardò Soto.
risolvesse la pratica della sua pensione e un cerchio di cenere, “Alla roulette, a Mar del Plata...”, pro-
gli arrivassero i soldi. c’era una pietra seguì Ibáñez. “La muovi e la pallina si
Il bagliore si era spento di colpo, ma grigia. Somigliava a ferma sul numero che vuoi tu”.
restava un chiarore in fondo alla valle. un uovo di struzzo, “Fa un ischio”, disse Soto, ascoltan-
Le mucche si erano avvicinate al recinto ed era tiepida. do con una mano sull’orecchio.
e muggivano, spaventate da quella luce Arrivava dai conini “È la legge di gravità”, disse Croce,
così bianca. Il cielo era sereno, e in aria dell’universo. Un “le cose pesanti vanno verso il basso...”.
vide un uccello – un tordo, pensò – che se I clienti della bottega lo ascoltavano, af-
aerolite, decise
ne stava in un punto isso, sbattendo le fascinati. “Chissà in che epoca ha co-
ali senza muoversi.
Croce minciato a cadere e a che velocità. Sem-
RICARDO PIGLIA
Scese lungo il letto del iume in secca brava una iammata nei campi...”.
è stato uno scrittore e
e prese una scorciatoia tra gli alberi. Cuzco lo seguiva, “Ad accenderla è la frizione nell’atmosfera”, buttò
critico letterario. È
morto a Buenos Aires
annusando le sue tracce con un guaito, il pelo ispido, lo lì Ibáñez.
il 6 gennaio 2017. Ha sguardo vitreo. “Bisogna dirlo a qualcuno”, disse Madariaga.
scritto, tra gli altri, i “Andiamo”, gli disse Croce. “Tranquillo, Cuzco”. “Certo. Dammi il telefono”, disse Croce.
romanzi Respirazione All’improvviso il cane si mise a correre e cominciò Doveva capire. Chiamò Rosa, la bibliotecaria del
artiiciale (Sur 2012) e ad abbaiare e a scavare. A terra, in mezzo a un cerchio paese, e lei gli disse che si sarebbe informata. Croce
La città assente (Sur di cenere, c’era una pietra grigia. Croce si chinò e la chiese un gin, il primo del giorno era sempre il miglio-
2014), e i saggi osservò; si rialzò, la guardò dall’alto, si chinò di nuovo re. Magari la pietra avrebbe cambiato la sua sorte.
L’ultimo lettore e mosse la mano aperta in aria, senza toccarla. Somi- Rosa richiamò dopo un po’. Aveva parlato con Te-
(Feltrinelli 2007) e
gliava a un uovo di struzzo, ed era tiepida. Quando la ruggi, del museo di scienze naturali di La Plata, e sì, era
Critica e inzione
prese in mano, parve che l’uccello immobile in aria un aerolite, dovevano analizzarlo. Gli disse anche che
(Mimesis 2018). Il
titolo originale di
fosse stato liberato. Si allontanò gracchiando verso i gli oggetti extraterrestri sono di chi li trova e non del
questo racconto è La pioppi. La supericie della pietra era rugosa e molto pe- proprietario del luogo in cui cadono. A Croce piacque
música. La traduzione sante; l’oggetto arrivava dai conini dell’universo. Un questa distinzione e anche la parola extraterrestre.
è di Francesca aerolite, decise Croce. “Dice che ti ofrono una ricompensa, vogliono sa-
Rossetti. Alla bottega dei Madariaga tutti festeggiarono l’ar- pere cosa vuoi”.

12 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 13
Ricardo Piglia

“In che senso cosa voglio...”. prendere, e vorrebbe che tu parlassi con il detenuto”.
“In cambio. Soldi no. Qualcosa...”. “Perché?”.
“Non saprei”. Si mise a pensare. “Un telescopio”. “Nessuno lo capisce, parla croato...”.
Rosa scoppiò a ridere. “E io cosa posso farci?”.
“E cosa te ne fai di un telescopio?”. “Vai a trovarlo, povero ragazzo. È nel carcere di
“Per vederti da lontano...”. Azul”.
“Ma sentilo... puoi chiedere qualsiasi cosa”, prose- A mezzogiorno salì in macchina e si diresse verso
guì lei. “Nell’universo non esiste la proprietà. Pensa- sud. Lo consultavano come se fosse ancora in servizio,
ci”, disse, e riattaccò. lo chiamavano commissario, ma lui era un ex commis-
Un baratto, anche quello gli piacque. A volte, in sario in pensione, in ritiro, eppure lo chiamavano co-
tempi di siccità, nel paese non c’era un soldo e allora il munque al telefono della bottega dei Madariaga, come
maestro era pagato in galline, Croce mangiava senza se fosse il suo uicio. “Sì, certo, come no”, pensava, “un
pagare al ristorante dell’albergo, Rosa riceveva uno uicio di alcolici...”. La similitudine lo fece sorridere.
stipendio in medicinali per i dolori alle ossa. Aveva “Il mio uicio”, pensò. Poteva mettere una bandiera e
sempre voluto avere un telescopio. Di notte, nei campi, un ritratto del generale San Martín e arrestare tutti,
si vede bene il irmamento. La luce delle stelle non vie- tranne gli ubriachi e quelli che vendevano whisky di
ne dallo spazio, ma dal tempo. Soli remoti, morti mi- contrabbando. Aveva lasciato l’aerolite nelle mani di
gliaia e migliaia di anni fa. Pensarci lo calmava quando Rosa, in biblioteca.
non riusciva a dormire e in testa gli ronzavano presen- “Fa’ attenzione, attira tutti i metalli...”, le aveva
timenti e brutti pensieri. Con il telescopio magari le detto.
notti sarebbero diventate più brevi e avrebbe potuto “Me ne sono accorta”, aveva risposto Rosa. “Mi tira
imparare qualcosa sull’universo. il ginocchio. Mettilo lì, da quella parte”.
Lo distolse dalla rilessione una telefonata del dot- Aveva un ginocchio in alluminio, ma camminava
tor Mejía, un avvocato di La Plata che si stava occupan- senza zoppicare, bella e leggiadra, e con il bastone gli
do della sua pratica di pensionamento. Volevano una mostrò il punto dello scafale dove sistemare la pietra.
mano per la storia del marinaio jugoslavo che aveva La osservarono per un po’.
ucciso una prostituta che lavorava in un locale nottur- “Brilla”.
no di Quequén. Croce aveva letto qualcosa su quella “Scintilla. Sembra che sia viva”, disse Rosa.
storia. A volte Croce dormiva con lei. Dormiva per modo di
“Messian, il difensore d’uicio, non sa che pesci dire: passavano la notte a parlare, a chiacchierare, a be-

14 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


re mate. Ogni tanto inivano a letto. A Rosa non piace- farla breve.
va che li vedessero insieme. Nessuno vuole essere vi- Lo jugoslavo parlò per un po’ in croato e Croce lo
sto con un poliziotto. ascoltò con attenzione, come se lo capisse. Poi tirò
“Ma io sono un ex poliziotto, sono in pensione”. Lei fuori carta e matita e a gesti gli chiese di disegnare la
rideva, s’illuminava. “Mica per quello, Croce... è che scena. Pesic fece un riquadro, poi un altro accanto,
sei proprio brutto”. uno in basso e uno a ianco, come chi disegna una vo-
In carcere lo stava aspettando l’avvocato d’uicio, liera o quattro tavoli da biliardo visti da sopra.
magro e solerte, fumando nervosamente. Quando en- Nel primo riquadro tracciò delle righe, e bisognava
trò gli fece un riassunto del caso. immaginare (dal berretto) che fosse un marinaio se-
La sera dell’8 maggio 1967, dopo essere sbarcato a duto a un tavolo con due donne, a cui aveva disegnato
Quequén, Sandor Pesic, insieme ad altri tre marinai i capelli, e diverse bottiglie.
della nave Belgrado, venuta a caricare grano ai silos “Nina e Rafaela”, pensò Croce.
del porto, andò a bere qualcosa al bar Elsa, un cabaret Nel secondo c’era il marinaio riverso a terra, con
nella zona più malfamata del porto. Restarono lì per dei punti neri al posto degli occhi e accanto la scritta
un po’ a bere birra con le ragazze. Poi i suoi compagni “zzz”, nel linguaggio universale dei fumetti.
se ne andarono, ma Pesic restò perché gli piaceva star- “Era ubriaco e si era addormentato, o gli avevano
sene al coperto, sotto la luce, seduto a un tavolo, “co- fatto perdere i sensi colpendolo”.
me uno del posto” disse l’avvocato, e concluse, ama- Nell’altro disegno, accanto alla igura dell’uomo a
reggiato: “Ho vinto la lotteria con questo individuo”. terra, c’era una porta chiusa e un fumetto che diceva
“Deve pensare che individuo sia un termine giuridi- “toc, toc”. Pesic lo guardò
co”, pensò Croce mentre passavano i posti di guardia “Mentre dormiva aveva sognato o sentito qualcuno senza capire.
e le celle e attraversavano i corridoi. “Avrebbe potuto che bussava alla porta”, dedusse Croce. Croce gli mostrò il
dire un individuo di sesso maschile”, pensò Croce. Nell’ultimo disegno si vedeva una delle donne a secondo disegno e
“Ma un ragazzino disgraziato sarebbe meglio”. terra e Pesic che era trattenuto sottobraccio da due uo- Pesic riattaccò a
Pesic, solo e alticcio, senza parlare spagnolo, assi- mini forzuti.
parlare senza
stette quella notte a una lite tra due intrattenitrici, Ni- “Mentre eri addormentato o svenuto, hanno bus-
fermarsi facendo
na Godoy e Rafaela Villavicencio, e un cliente. Sicco- sato alla porta”, disse Croce.
me la lite stava salendo di tono, Pesic decise d’interve- Pesic lo guardò senza capire. Croce gli mostrò il gesti con la mano,
nire per calmarli, ma fu raggiunto da un colpo alla testa secondo disegno e Pesic riattaccò a parlare senza fer- forse nella
che lo lasciò incosciente. Quando si riprese, Nina gia- marsi facendo gesti con la mano, forse nella speranza speranza che lui lo
ceva morta a terra e l’altra donna gridava e piangeva che lui lo capisse. Impossibile. capisse.
chiedendo aiuto. L’uomo, il cliente, non c’era più. La Allora Croce si portò le mani giunte al volto e chiu- Impossibile. Allora
polizia arrestò Pesic quando rientrò sulla nave. Era se gli occhi. Croce si portò le
fuggito, impaurito, in mezzo alla folla. Lo arrestarono, “Stavi dormendo?”, chiese. mani giunte al
la Belgrado partì e lui restò solo, in questo paese sper- Pesic negò con la testa, speranzoso. volto e chiuse gli
duto. “Come no? Prima è entrato uno e poi l’altro”, disse occhi
Croce mostrando prima un dito e poi due. “O è stata
l processo fu dichiarato colpevole una sola persona a bussare due volte?”.

A dell’omicidio di Godoy e condannato


a vent’anni di prigione. Tra le tante
persone presenti, Pesic era l’unico
senza precedenti penali. Rafaela,
unica testimone di quanto era suc-
cesso quella notte, depose in cinque occasioni e ogni
volta dette una versione diversa. Ascoltando la sen-
tenza, il marinaio si prese la testa tra le mani e comin-
ciò a piangere mormorando nella sua lingua.
Pesic disse di no con un gesto. A un tratto Croce ri-
cordò che nei Balcani per dire di sì scuotevano la testa
da un lato all’altro, e per dire no muovevano la testa su
e giù.
“Ah!”, disse Croce. “Sì”.
Il ragazzo sorrise per la prima volta. Poi mostrò un
dito, e dopo due dita.
Un uomo aveva bussato due volte. Strano.
“Ti ha svegliato o lo hai sentito nel sonno?”, chiese
L’avvocato d’uicio stava preparando l’appello e Croce.
non sapeva da dove cominciare. Pesic fece dei gesti incomprensibili, ma poi chiuse
“Magari lei, Croce, trova qualcosa, chissà...”. gli occhi, e Croce ne dedusse che aveva sentito bussare
“È meglio che vada da solo”, disse il commissario. mentre dormiva.
Lo jugoslavo era un ragazzo biondo, con il volto “Se hanno bussato alla porta due volte, era un se-
magro e gli occhi celesti. Avrà avuto diciott’anni, cal- gnale. Allora il crimine è stato pianiicato e non è il ri-
colò Croce, diciannove al massimo, ed era seduto sul- sultato di una lite casuale. E hanno usato Pesic come
la branda, con la schiena poggiata al muro. Nell’incavo capro espiatorio. Prima gli hanno fatto perdere i sen-
della inestra aveva messo una foto in cui sorrideva e si...”. Croce aveva parlato a voce alta, come gli succe-
suonava la isarmonica accanto a una ragazza con i ca- deva a volte quando pensava tra sé e sé, e Pesic lo guar-
pelli sciolti che lo baciava sulla guancia. Davanti alla dò spaventato.
fotograia aveva sistemato una candela e dei iori, co- “Non capisci un’acca, mi sa”, disse Croce.
me se fosse un altare. Il ragazzo si coprì la faccia e si mise a piangere. Cro-
“Ciao, sono il commissario Croce”, disse Croce per ce gli posò la mano sulla testa.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 15


Ricardo Piglia

Sulla parete in fondo alla cella c’era una scritta in- “Ti ricordi cos’hai sognato?”, chiese Croce, e dise-
cisa nel muro. “Piscio sangue. Sono José Míguez. Sbir- gnò gofamente un fantoccio addormentato (zzz) e poi
ri di merda”. C’erano croci che segnavano il passare un fumetto che gli usciva dalla testa con delle nuvole,
del tempo e il disegno primitivo e brutale di una donna un albero, una casetta con un camino fumante. Il fu-
nuda a gambe aperte. “La morte bussa sempre due metto era disegnato con una linea fatta di punti che
volte”, pensò Croce all’improvviso. sembrava tremare in aria.
Pesic era il condannato per antonomasia, coinvolto Pesic prese il foglio e disegnò una scala circolare e
in una storia sinistra, in un porto miserabile, in un pa- una scimmia su un albero che nel riquadro seguente
ese sconosciuto. era scesa e camminava trascinando le braccia verso
Croce ragionò: “Starà pensando: ‘Sono il naufrago una porta chiusa sullo sfondo. Guardò Croce, e poi di-
di tutti i naufraghi, morirò solo in questa cella immon- segnò la porta dall’altro lato e il toc toc a ianco. Restò
da’”. Ma era innocente? Al momento dei fatti dormiva, fermo un istante, dopo indicò la ragazza della foto e
non poteva ricordare niente, ma la sua salvezza era in chiuse gli occhi.
quel sogno. “Ha sognato lei”, dedusse Croce. Ma la scala e la

16 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


cile. “Hanno bussato prima e non dopo. Ha sentito il “Hanno bussato
rumore nel sonno, ed è a quel punto che l’assassino è prima e non dopo.
entrato. In un crimine c’è sempre una pausa, tutto si Ha sentito il
ferma e poi riprende. È quello che è successo: qualcu- rumore nel sonno,
no è entrato e ha ucciso la ragazza. Capito?”. ed è a quel punto
“Più o meno”, disse l’avvocato guardando i disegni.
che l’assassino è
“Ma io come lo dimostro?”.
entrato. In un
“Per fortuna non sono più un poliziotto”, pensò
Croce mentre si allontanava. Non riusciva a smettere crimine c’è sempre
di pensare al ragazzo chiuso nella cella. “Non ha nes- una pausa, tutto si
suno con cui parlare”, pensò uscendo dal carcere, ferma e poi
mentre saliva in macchina e metteva in moto. La stra- riprende. È quello
da era quasi deserta. “Cosa posso fare per lui?”, pensa- che è successo:
va mentre guidava e scendeva la sera. La luce delle qualcuno è entrato
case perdute nei campi brillava lontana, e all’orizzonte e ha ucciso la
si sentivano abbaiare i cani, uno e poi un altro più lon- ragazza. Capito?”
tano e un altro ancora. “Quelli che non escono mai dal
carcere sono i cristiani come questo”, pensava Croce
entrando nel paese. Attraversò la strada principale e
ricambiò il saluto di quelli che l’avevano salutato dai
tavoli dell’hotel Plaza.
Alla ine si fermò con la macchina davanti alla bi-
blioteca e suonò il clacson. Rosa uscì e si appoggiò al
inestrino.
“So quello che voglio in cambio della pietra caduta
dal cielo”.
“Bene”.
“Una isarmonica... mi piacerebbe una Hohner”.
Rosa scoppiò a ridere. “Sì”, disse Croce. “Adesso inve-
ce di risolvere casi li metto in musica”.
Le notti d’estate, quando le alte inestre del carcere
restavano aperte, si sentiva la isarmonica di Pesic che
suonava le lontane melodie del suo paese. Quando
arrivava l’inverno, il dolce suono della musica si perce-
piva solo nei corridoi della prigione, e i detenuti erano
felici di poter vivere al ritmo di quelle strani canzoni
nell’aria.
L’8 settembre 1972, quasi cinque anni dopo la visita
di Croce, in Spagna furono arrestati due malviventi
argentini, Carlos Farnos e Juan Hankel, che confessa-
rono la loro responsabilità nell’omicidio della prosti-
tuta di Quequén. Il caso fu riaperto. In efetti Farnos si
trovava sul luogo, e Hankel aveva bussato due volte
alla porta per entrare.
Il governatore Oscar Bidegain ridusse la pena di
Pesic, e lo jugoslavo lasciò il carcere di Azul per buona
condotta nel settembre del 1973. Aveva ventisei anni.
scimmia? Aspettò, ma Pesic si era ormai ritratto nella Aveva passato anni in prigione per un crimine che non
sua caverna personale e guardava isso nel vuoto, tor- aveva commesso. Uscendo dichiarò che voleva solo
vo e silenzioso. Allora Croce raccolse i disegni e lo sa- tornare quanto prima nel suo piccolo paese natale,
lutò con un’espressione di compassione. Trebigne, in Jugoslavia. I quotidiani scrissero che
“Li porto al difensore”, disse. l’unico oggetto personale che portò con sé fu “la sua
Fuori aspettava l’avvocato. Attraversarono gli stes- isarmonica”. Nel suo spagnolo stentato e australe,
si corridoi da cui erano entrati. disse che ringraziava “il fratello argentino” che gliene
“L’hanno fregato”, disse Croce. “Ha fatto un sogno aveva “fatto omaggio”.
o ha visto qualcosa mentre dormiva. Una scimmia, “Fatto omaggio. Dove avrà imparato quest’espres-
una scala”. Gli mostrò i disegni. “Nel sogno ha sentito sione, quel povero Cristo?”, pensò Croce. Uscì in cor-
bussare due volte. In realtà era l’assassino che veniva tile con il mate in mano. Era notte fonda e le stelle bril-
dalla strada. Ha bussato due volte per avvisare. Ma lavano in cielo. “Peccato non avere un telescopio”,
chi?”, disse Croce, e restò sovrappensiero per un po’, pensò mentre vedeva sfavillare le Tre Marie nell’oscu-
come ogni volta che si trovava davanti a un caso dii- rità insondabile. u

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 17


Alan Pauls Disegni di Leila Marzocchi

Prima
di svanire
i sono giorni in cui pronuncia la prima derà più gioco della gente che vede parlare da sola per

C parola alle sei di sera, e dalla sua bocca strada con la stessa impunità di prima.
sgorga qualcosa di precipitoso, lo scarto Comincia a dimenticare in fretta, molto prima di
di una lingua primitiva che per colmo di quanto si aspettasse, perino molto prima di quanto
disgrazia non padroneggia e solo dopo pensassero quelli che gli avevano detto, mentre lui
diversi secondi assume un aspetto so- ascoltava incredulo, che non ci avrebbe messo molto a
noro dignitoso. Passa il giorno assorto, in uno stato di dimenticare. Semplicemente, certe immagini non lo
concentrazione che pensava esistesse solo nei romanzi assalgono più. Dà per scontato che siano lì, da qualche
tedeschi che leggeva e invidiava trent’anni fa, e ora li parte, ma da un po’ non gli vanno più incontro e lui ci
ricorda a malapena e lo inquietano un po’. Davanti a pensa sempre meno, sempre più iaccamente, come se
questo fango informe dove naufraga il la distanza che lo separa dal luogo in cui
linguaggio dopo che per ore non è stato Certe immagini non sono coninate diventasse ogni giorno un
usato con nessuno, non gli è diicile im- lo assalgono più. Dà po’ più grande. Finché un giorno chiude
maginare cosa lo afascinasse all’epoca per scontato che la porta e getta le chiavi lontano, come in
di quelle storie opache, piene di perso- siano lì, da qualche un famoso racconto che si svolge in una
naggi slegati, aidati al caso di una vita parte, ma da un po’ casa di calle Rodríguez Peña, in pieno
episodica e disarticolata, pur essendo non gli vanno più centro della città che ha deciso di abban-
ancora lontano dal capirle del tutto. Per incontro e lui ci donare per sempre per dare un taglio de-
esempio, la velocità con cui l’eroe solita- pensa sempre meno, initivo – almeno questa è stata la sua in-
rio passa all’azione e, nell’impossibilità tenzione – all’odio, alla tristezza, alla de-
ALAN PAULS sempre più
di articolare una frase, uccide il primo solazione che gli provocava.
è uno scrittore e
sconosciuto in cui s’imbatte. Facciamo
iaccamente Non dimentica mai un asciugamano
critico letterario nato
a Buenos Aires nel
per dire: la cassiera di un cinema. L’eroe a terra, pulisce il piccolo cerchio turchese
1959. È autore di Il compra il biglietto, vede il ilm, l’aspetta all’uscita, sale che il tappo del dentifricio lascia sulla mensola di vetro
fattore Borges (Sur nel suo appartamento, vanno a letto, la strangola. Sco- del bagno, prima di andarsene liscia sempre le pieghe
2016), un manuale di pre, nonostante tutto, che esiste un antidoto all’auto- del copriletto, toglie bicchieri e piatti appena capisce di
istruzioni per matismo criminale dei solitari: accompagnare tutto ciò non doverli usare più. Scopre, poco dopo essere arriva-
orientarsi nella che si fa da soli durante il giorno con un commento a to, che la considerazione e lo scrupolo con cui tratta i
letteratura di Jorge voce bassa, una specie di trasmissione bisbigliata. Il luoghi dove gli capita di trovarsi, le camere che occupa,
Luis Borges. Il suo solitario ritrasmette a se stesso ciò che fa mentre lo fa, i tavoli a cui mangia, non hanno niente a che vedere con
ultimo romanzo
dal vivo. Sembra ridicolo, ma si chiede se questa pratica il rispetto, come vuole far credere a una donna per evi-
pubblicato in Italia è
di raccontarsi tutto sussurrando, senza che i suoni sgor- tare che continui a diidare di lui, o con la generosità,
Storia del pianto (Sur
2018). Il titolo
ghino davvero dalle labbra, con un’articolazione desti- come gli dice un’altra donna, in tono di complimento,
originale di questo nata a una sorta di orecchio nascosto, collocato in qual- prima che lui le spieghi con fermezza che se, come cre-
racconto è Borrado. che angolo della bocca, non sia in verità quello che se- de, è incinta, si tolga subito dalla testa l’idea di tenerlo;
La traduzione è di para la gente sola da un ampio ventaglio di omicidi re- ma con una vocazione più misteriosa: cancellare le
Francesca Rossetti. pentini e inspiegabili. In ogni caso, sa che non si pren- tracce che lascia nel suo passaggio per il mondo.

18 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 19
Alan Pauls
Se c’è qualcosa da ricordare, per il resto, è poco. La piuttosto inquadrature piatte, supericiali, senza tem-
città che detesta e che, se ci pensa bene, ha sempre de- peratura né sfumature, che gli si presentano diretta-
testato, è una città pretenziosa, volgare, crudele, che mente in bocca, senza passare dalla memoria o dall’im-
vive a stento, stringendo la cinghia ogni volta di più, di maginazione, in uno stato di privazione massima. Non
quel che resta di un capitale a lungo dilapidato. Una cit- sono accompagnate da nessuna emozione, niente che
tà fatua, mediocre, che non sente di risplendere mai evochi l’esperienza a cui dovettero essere legate un
così tanto come quando disprezza tutto ciò che attenta tempo. Sono come carte con cui giocare a suo piaci-
alla sua famosa eredità europea, l’odore di fritto, la mu- mento, numeri che combina come gli gira, monete che,
sica per strada, gli accenti stranieri, i colori sgargianti, raccolte, gli ofrono un sollievo modesto ma grato: ave-
le uniche cose in realtà di cui dovrebbe inorgoglirsi. re i soldi spiccioli per pagare un biglietto dell’autobus,
Niente di rilevante da mostrare, nessun’attrazione, eso- per esempio, o fare la carità. Briciole, mozziconi di siga-
tismo zero, a meno che per esotismo non s’intendano retta, luci accese, gocce, grai, appunti, segni di bic-
A volte, di quelle immagini di miseria invernale di famiglie intere chieri sul legno, bottoni caduti, macchie, porte chiuse
mattina, si guarda di indigenti che cercano di dormire sotto la luce high male, profumi, smorie, la traccia leggera, quasi bene-
allo specchio tech dei bancomat. vola, lasciata da una scarpa su un tappeto: al contrario
e fatica a Ci sono due cose che scopre allo stesso tempo dei ricordi – improvvisi, inutili per eccellenza – tutto è a
riconoscersi in all’estero. La prima: il piacere di mentire. La seconda: sua disposizione, tutto gli torna utile.
in un paio di mesi è invecchiato di più di quanto non fos- Dopo un po’ ha mentito così tanto, ha sfruttato così
quel viso pieno
se invecchiato in anni di vita nella città che odia. La pri- tanto, quando doveva mentire, i resti insipidi della città
di nuovi solchi
ma, a dire il vero, è una riscoperta. Mente in da piccolo. che non smette di dimenticare, che è quasi come se fos-
nati nel sonno. Ha mentito sempre, sempre male, senza fede e con una se tornato a viverci (vive senza vivere, come si vive nel-
È come se certa indolenza aristocratica, come se lo facesse per le scene di un sogno, con quel contrasto diicile da de-
qualcuno ogni soddisfare una richiesta del mondo, che reputa triviale inire ma inconfondibile che esiste a volte, nei ilm, tra
notte, quando lui e non condivide, e in fondo come se giudicasse se stes- il personaggio che guida e il paesaggio che vediamo si-
dorme, so un caso eccezionale, fuori dalla portata della verità e lare dal vetro posteriore della macchina).
approittasse per della menzogna. Ma scopre che l’oblio può essere una Ogni menzogna mette in moto una macchinazione
chinarsi sul suo scuola della menzogna, la migliore. Si rende conto che dove l’ingannato è al tempo stesso vittima e destinata-
volto e scriverci man mano che comincia a dimenticare mente meglio, rio. È necessario che la inzione non s’interrompa, che
qualcosa in una con più voglia, e festeggia ogni menzogna che escogita resti fedele alle coordinate che l’hanno ispirata, tutte
ed entra in circolo come chi celebra il miracolo di inil- rubate dalla città che desidera lasciarsi alle spalle: un
lingua sconosciuta
zare un ilo in un ago al buio. incidente automobilistico a un certo incrocio, un pezzo
Poi si sorprende a cancellare anche le tracce lascia- di cielo plumbeo, il negozio religioso che chiude da un
te da altri. In un bar, un pomeriggio, pulisce con un giorno all’altro, la bambina che si stacca dalla mano
tovagliolo il rossetto lasciato sul bordo della sua tazzi- della madre e comincia ad attraversare da sola il viale,
na da una donna di un tavolo vicino. Sale su un taxi e il cane morto con il muso riverso sul marciapiede.
con l’angolo di una mano spazza via la mezzaluna di Invecchia. A volte, di mattina, si guarda allo spec-
polvere impressa sul sedile in inta pelle nera dalla chio e fatica a riconoscersi in quel viso pieno di nuovi
scarpa del passeggero precedente. Torna a casa poco solchi nati durante il sonno. È come se qualcuno ogni
dopo che la donna delle pulizie se n’è andata. Ispezio- notte, quando lui dorme, approittasse per chinarsi sul
na tutto con attenzione, senza afrettarsi, meno per suo volto e scriverci qualcosa in una lingua sconosciuta.
scoprire un errore o una negligenza che per identiica- A guardarle con attenzione, queste piccole pieghe della
re il minimo indizio che riveli che lei è stata lì durante pelle tremano appena, come formiche, e potrebbero
la sua assenza. formare una calligraia.
Vive in luoghi sempre più puliti, più depurati. Le
oco a poco, quasi senza rendersene con- uniche tracce che tollera, solo perché non ha modo di

P to, si caccia deliberatamente in situazio-


ni che lo obbligano a mentire. Avventure
clandestine, piccoli furti, promesse
mancate che deve giustificare, atti di
compiacenza superlui. Con suo stesso
stupore le menzogne si inanellano sulle sue labbra con
luidità, aumentando il senso momentaneo di vertigi-
ne. Niente nei suoi interlocutori fa sospettare che so-
spettino, mai. La cosa strana è che i nomi propri, i pae-
cancellarle, sono quelle che si moltiplicano sul suo
volto.
Mente così bene che tutto gli diventa impossibile. I
suoi conoscenti, le vittime dei suoi imbrogli, non lo
coinvolgono più nei loro piani. Alcuni lo cancellano dal-
le loro rubriche telefoniche. Per giustiicarsi del fatto
che non lo chiamano, decidono d’immaginarlo sempre
fuori, in viaggio, di ritorno nella città che si era lasciato
alle spalle e le cui strade tristi, inospitali, sono da tempo
saggi, le strade, gli aneddoti, le musiche – tutti i mate- il vero teatro della vita che si è inventato.
riali di cui sono fatte le fandonie che improvvisa senza Cominciano a seccarglisi i polpastrelli delle dita. È
esitare, guardando le sue vittime negli occhi, come se come se la pelle si ispessisse, acquistasse una consi-
recitasse un testo provato mille volte – vengono dalla stenza ruvida e si squamasse appena, quanto basta per-
città che odia, e sono gli stessi che non ha smesso di di- ché lui, toccando qualcosa, qualsiasi cosa, o sfregando
menticare da quando è arrivato nel suo nuovo luogo. un polpastrello con l’altro, come quando fa il gesto che
Non sono più ricordi, tecnicamente parlando; sono signiica “soldi”, noti la pelle che si stacca e quasi senza

20 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


proporselo cerchi di sopprimerla alla radice, mordic- sa città e meritano il nome dimenticato di compatrioti.
chiandola con i denti o grattandosi con le unghie di con- Nell’ultima immagine che svanisce – la vede svanire –
tinuo. Nel giro di due o tre giorni, la pelle si squama co- è giovane, molto giovane, e torna a camminare nella
me un pezzo di cuoio vecchio. Ha i polpastrelli in carne sala dei modellini del museo di scienze naturali, il luo-
viva per una settimana. go modesto e mal riscaldato scelto per passare le sei
Smette di comprarsi vestiti. Poi smette di lavare ore al giorno che aveva detto a suo padre di trascorrere
quelli che ha e che si disfano mentre li usa, si strappa- a studiare nella facoltà a cui si è iscritto all’inizio
no quando si gira per strada, quando crede che qualcu- dell’anno, spinto da un entusiasmo che non consentirà
no lo chiami o quando allunga la mano verso una tazza a nessuno di chiamare falso, e dove da allora non ha
di cafè. È attento al suono che fa il tessuto quando si mai più messo piede. Per la millesima volta si ferma
lacera, ma decide di smettere di usare un capo solo davanti alla sua scena preferita e legge a voce bassa la
quando sorprende uno sconosciuto a guardare con didascalia stampata in basso in giallo: “Un leopardo
stupore il buco che gli si è appena aperto nei pantaloni trascina su un albero il maiale selvatico che ha caccia-
o su un gomito del maglione. Un’evenienza che, consi- to, difendendo la sua preda dalla iena maculata che
derando la tolleranza estrema che la città dove ha cer- cerca di strappargliela. Una iena striata, due marabù e
cato asilo mostra per l’eccentricità dei suoi abitanti, si un giovane avvoltoio testabianca aspettano per aggiu-
presenta raramente, in generale con gli stranieri, i dicarsi qualche avanzo”.
quali forse provengono in maggioranza dalla sua stes- Ci mette poco a trasformarsi in un mostro. u

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 21


Samanta Schweblin Disegni di Gabriella Giandelli

Un posto
in città
ia suocera vuole che le compri m’incammino da quella parte. Devo riabituarmi a que-

M
dare?”.
una scatola di aspirina. Mi dà
due biglietti da dieci e mi spiega
come arrivare alla farmacia più
vicina.
“Davvero non ti dispiace an-
sta città.
Prima di trasferirci in Spagna abbiamo liberato
l’appartamento dove abitavamo in aitto e abbiamo
imballato tutto ciò che non ci saremmo portati dietro.
Mia madre ci aveva portato degli scatoloni dal lavoro,
quarantasette scatole di vino californiano, di Mendo-
Faccio no con la testa e vado verso la porta. Cerco cino, che avevamo riempito via via che ne avevamo
di non pensare alla storia che mi ha appena racconta- bisogno. Nelle due occasioni in cui Mariano ci aveva
to, ma l’appartamento è piccolo e bisogna schivare lasciate sole, mia madre mi aveva di nuovo chiesto
così tanti arredi, mensole e credenze cariche di so- qual era il vero motivo per cui ce ne stavamo andando,
prammobili e ornamenti che è diicile pensare ad al- ma né l’una né l’altra volta ero riuscita a risponderle.
tro. Esco dall’appartamento e mi ritrovo Un camion dei traslochi aveva portato
nel corridoio buio. Non accendo la luce, Non conosco tutto in un deposito. Mi torna in mente
preferisco che arrivi da sola quando le il quartiere perché sono quasi certa che nella scatola
porte dell’ascensore si aprono e m’illu- e non voglio con la scritta “bagno” c’è un blister di
minano. telefonare aspirine. Ma adesso, di ritorno a Buenos
Mia suocera ha fatto l’albero di Nata- a Mariano, quindi Aires, non siamo ancora andati a ritirar-
le e l’ha appoggiato sul camino. È un ca- osservando le. Prima dobbiamo trovare un apparta-
minetto a gas, di pietra artiiciale, e lei il traico localizzo mento, e prima ancora dobbiamo rimet-
insiste a portarselo dietro ogni volta che il viale più vicino tere insieme almeno una parte dei soldi
cambia casa. L’albero di Natale è alto che abbiamo perso.
SAMANTA e m’incammino
SCHWEBLIN come un nano, spelacchiato e di un fal- Poco fa mia suocera mi ha raccontato
sissimo verde chiaro. È addobbato con
da quella parte questa storia tremenda, ma me l’ha rac-
è nata a Buenos Aires
nel 1978 e vive a qualche pallina rossa, due ghirlande do- contata con orgoglio e mi ha detto che
Berlino. Il suo ultimo rate e sei piccoli Babbi Natale che pendono dai rami qualcuno dovrebbe scriverla. È precedente al suo di-
libro pubblicato in come una specie di club degli impiccati. Mi sofermo a vorzio, precedente alla vendita della casa e all’aiuto in
Italia, Distanza di guardarlo varie volte al giorno o ci penso mentre faccio denaro che ci ha dato per la Spagna. Poi le si è abbassa-
sicurezza (Fazi 2017), altro. Penso che mia madre comprava ghirlande molto ta la pressione, le è venuto quel terribile mal di testa e
è stato candidato al più folte e vaporose, e che gli occhi dei Babbi Natale mi ha spedita a comprarle l’aspirina. È convinta che mi
Man Booker prize
non sono dipinti esattamente sulle orbite oculari, dove manchi mia madre, e non capisce perché non voglio
international. Il titolo
invece dovrebbero stare. chiamarla.
originale di questo
racconto è Seiscientos
Quando arrivo alla farmacia che mi ha indicato, Vedo una farmacia a un isolato di distanza, sul cor-
centímetros scopro che è chiusa. Sono le dieci e un quarto di sera e so, aspetto di arrivare al semaforo per attraversare. È
cuadrados. La adesso mi tocca cercarne una di turno. Non conosco il chiusa anche quella, ma fuori c’è l’elenco delle farma-
traduzione è di Sara quartiere e non voglio telefonare a Mariano, quindi cie di turno. Se riesco a capire bene dove sono, c’è
Cavarero. osservando il traffico localizzo il viale più vicino e quella dall’altra parte di Santa Fe, dopo i binari della

22 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 23
Samanta Schweblin

stazione Carranza. Sono altri quattro isolati e mi sono to con il marito, e gli aveva chiesto il divorzio. La casa
già allontanata abbastanza. Non sarebbe male se arri- era grande, e non riusciva più a gestirla. Se ne occupa-
vasse Mariano, chiedesse a sua madre dove sono e lei va la donna delle pulizie, e lei non aveva nemmeno
dovesse spiegargli che mi ha mandata a comprarle idea di cosa ci fosse negli armadi o di cosa mancasse in
l’aspirina alle dieci e mezza di notte in un quartiere che cucina. Quando si sedevano a tavola, i igli si diverti-
non conosco. Dopodiché mi domando perché dovreb- vano a guardarla mangiare. Se c’era il pollo, rosicchia-
be essere una cosa positiva. va smaniosa le ossa, se c’era il dolce, divorava una
La prima cosa che mi ha raccontato mia suocera è doppia porzione e beveva l’acqua con la bocca piena. È
che era in piedi in mezzo al tinello di casa sua. Suo ma- che sono tanto sola, pensava tra sé, e i miei igli credo-
rito era al lavoro, ma sarebbe tornato presto. Anche i no solo al padre.
suoi quattro igli erano via, uno a lavorare con il padre, All’incrocio imbocco la prima strada, ma è un vico-
gli altri a studiare. La sera prima aveva di nuovo litiga- lo cieco, e la stessa cosa succede all’isolato dopo. Cer-

24 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


co qualcuno a cui chiedere. Trovo una donna che mi il commesso avvicinarsi tra le vetrine illuminate. Le
guarda con sospetto. Mi dice che due isolati più in là si avrà aperto squadrandola dall’alto in basso, immagi-
può andare sull’altro lato dell’avenida Santa Fe attra- no, seccato che qualcuno entrasse in negozio così, ba-
verso i sottopassi della metro. gnato fradicio. Dentro, l’aria condizionata andava a
Comunque, quel giorno mia suocera era in piedi in mille e le soiava dritta sulla nuca.
mezzo al tinello, si guardò le mani e decise la mossa “Voglio vendere questo anello”, disse lei.
successiva. Prese cappotto e borsa, uscì di casa e salì Pensava che avrebbe fatto fatica a silarlo perché era
su un taxi ino a calle Libertad. Diluviava, ma sapeva ingrassata parecchio, ma era fradicia e l’anello uscì sen-
che se quel che voleva fare non l’avesse fatto in quel za problemi.
preciso momento non l’avrebbe fatto mai più. Quando L’uomo lo posò su una piccola bilancia elettronica.
scese dal taxi si bagnò i sandali, l’acqua le arrivava alle “Posso darle trenta dollari”.
caviglie. Suonò il campanello di un compro oro e vide Lei si prese qualche secondo prima di rispondere.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 25


Samanta Schweblin
Poi disse: “È la mia fede nuziale”. A quel punto ha detto che le era scoppiato un forte
E l’uomo rispose: “Il valore è quello”. mal di testa, che si sentiva frastornata, e mi ha chiesto
Scendo in metropolitana e prendo un sottopasso se me la sentivo di andarle a prendere l’aspirina.
per attraversare. Davanti ai cartelli con le indicazioni, Un altro treno se ne va dalla stazione. Il barbone mi
al bivio, riconosco il posto e mi ricordo di esserci stata guarda e dice: “Anche lei non ne prende nessuno?”.
altre volte. A destra, scendendo altre due rampe, c’è la “Ho bisogno delle mie scatole”, dico, perché all’im-
banchina, a sinistra l’uscita. Forse perché penso che ci provviso mi tornano in mente, ed è così che scopro
sia qualche farmacia nella metropolitana, o perché quello che voglio, il motivo per cui sono ancora seduta
voglio ricordare ancora un po’ la stazione, scendo ver- su questa panchina.
so destra. Perdo tempo perché mi aiuta ad andare Ma mia suocera ha detto qualcos’altro. Una cosa
Ho pensato che avanti, è un mese e mezzo che non ho assolutamente molto sciocca, che non sono più riuscita a togliermi
dovevo stare ad nulla da fare. Quindi me ne vado verso la stazione. Ho dalla testa. Mi ha detto che quando era uscita dal nego-
con me una tessera ancora valida, sta arrivando un tre- zio con i suoi trenta dollari non poteva tornare a casa.
ascoltarla, che era
no. Le ruote stridono fastidiosamente e le porte si Aveva i soldi per un taxi, ricordava l’indirizzo, non ave-
mio dovere perché va nient’altro da fare, ma semplicemente non poteva
aprono tutte insieme. Sulla banchina c’è poca gente,
vivevo a casa sua e perché il servizio termina alle undici. Qualcuno si af- farlo. Aveva camminato ino all’angolo, dove c’era una
mi sentivo in colpa faccia dal primo vagone, forse un addetto alla sicurez- fermata del bus, si era seduta sulla panchina di metal-
che non avesse più za che si chiede se ho intenzione di salire. Quando il lo ed era rimasta lì. Aveva guardato la gente. Non vole-
il suo anello da treno riparte, mi siedo su una delle panchine, che è li- va pensare a nulla, non ci riusciva, e nemmeno a trarre
trenta dollari. bera. Nella stazione cala il silenzio e allora qualcosa si una qualche conclusione. Poteva solo guardare e re-
Perché insisteva a muove, poco più in là. È un vecchio seduto per terra. spirare, perché quello il suo corpo lo faceva automati-
cucinare per noi Un barbone, con le gambe ridotte a due moncherini camente. Un tempo indeinito si compiva in maniera
poco sopra il ginocchio. Guarda il cartellone pubblici- ciclica, il pullman andava e veniva, la fermata restava
tario di uno shampoo, oltre i binari. vuota, e si riempiva di nuovo. La gente in attesa era
Mia suocera accettò i soldi, mi ha detto che uscì dal sempre carica di qualcosa. Avevano la loro roba nelle
negozio accarezzandosi l’anulare. Fuori aveva smesso borse, nei portafogli, sotto braccio o in mano, appog-
di piovere, ma l’acqua era ancora alta e i sandali ba- giate a terra tra i piedi. Erano lì a controllare le loro
gnati le facevano male ai piedi. Qualche giorno dopo cose, e in cambio le loro cose li sostenevano.
avrebbe speso i dollari che aveva in tasca per un paio di Il barbone si arrampica sulla mia panchina. Non
sandali nuovi che non avrebbe mai avuto il coraggio di capisco come ci sia riuscito, e mi spaventa che si possa
indossare, ma sarebbe rimasta sposata per altri venti- muovere così in fretta. Puzza come una discarica, ma
sei mesi. Me l’ha raccontato in tinello, mentre si dava è gentile. Tira fuori dalla borsa uno stradario.
lo smalto alle unghie. Mi ha detto che non ha bisogno “Vuole le sue scatole”, dice, e apre lo stradario, poi
dei soldi della Spagna, e che glieli possiamo restituire me lo porge, “ma non sa come arrivare”.
quando vogliamo. Ha detto che le mancano tanto i Anche se è un vecchio stradario, riconosco sulla
suoi igli, ma sa che hanno le loro cose da fare, e sicco- cartina le stazioni della metropolitana della città. Da
me non vuole assillarli non chiama tutte le volte che le Retiro a Constitución, e dal centro ino a Chacarita.
viene voglia di farlo.
Ho pensato che dovevo stare ad ascoltarla, che era ia suocera dice che ricorda tut-
mio dovere perché vivevo a casa sua e mi sentivo in col-
pa che non avesse più il suo anello da trenta dollari.
Perché insisteva a cucinare per noi, a stirare il bucato
ogni volta che facevamo la lavatrice, perché con me era
stata sempre molto buona. Mi ha detto anche di aver
chiesto alla vicina del C gli annunci economici e che
aveva dato un’occhiata per vedere se ci fosse qualche
nuovo appartamento in cui traslocare, perché nemme-
no questo secondo lei era abbastanza luminoso.
M to, ha ogni dettaglio stampato
in testa talmente bene che po-
trebbe descrivere ogni singola
cosa che ogni persona aveva
con sé. Invece lei aveva le mani
vuote. E non stava andando da nessuna parte. Mi ha
detto che era seduta in seicento centimetri quadrati,
così ha detto. Ci ho messo un po’ a capire. È diicile
pensare a mia suocera che dice una cosa del genere,
L’ho ascoltata perché non avevo niente di meglio anche se è proprio ciò che ha detto: era seduta in sei-
da fare, e l’ho guardata perché ero seduta davanti cento centimetri quadrati e quello era lo spazio occu-
all’albero di Natale. E alla ine mi ha detto che adorava pato dal suo corpo nel mondo.
parlare con me, così, come due amiche. Che quando Il barbone mi aspetta. Abbassa un attimo lo sguar-
era una bambina, nella cucina di casa sua si parlava di do e scopro che sulle palpebre sono disegnati un paio
tutto, che le sarebbe piaciuto che sua madre fosse an- d’occhi, come quelli dei Babbi Natale dell’albero. Do-
cora viva. È rimasta in silenzio per un po’, così ho pro- vrei alzarmi, lo so. Una volta al deposito riconoscerò il
vato a riaprire la mia rivista, ma ha detto: “Quando cartone che mi serve. Ma non riesco a farlo. Non riesco
chiedo qualcosa a Dio, lo faccio così: Dio, tu fai quello nemmeno a muovermi. Se mi fermo, non potrò evitare
che puoi”, e ha fatto un lungo sospiro. “Davvero, non di vedere quanto posto occupa davvero il mio corpo. E
chiedo niente di preciso. Ho ascoltato tanto le persone se guardo la cartina – adesso il barbone me l’avvicina
e ho capito che non sempre chiedono quello che è me- di più, per vedere se mi è d’aiuto – scoprirò che, in tutta
glio per loro”. la città, non c’è un posto che io gli possa indicare. u

26 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Rodrigo Fresán Disegni di Marco Ventura

Il grande
bugiardo
“Soltanto i giovani hanno momenti simili”. Perché quello che ascolterà è, prima di tutto, una buo-
Joseph Conrad, La linea d’ombra na storia.
Avevo cinque anni, e la mia casa aveva diciassette

P
roveniva da una stirpe di mitomani di stanze. Un parco copiato da qualche palazzo francese
successo, niente gli era proibito. Le sue e una schiera di otto domestici, tra cui si annoverava
menzogne avevano una consistenza ve- un tutore nato a Leeds, mi mantenevano comodamen-
ridica, la sua realtà spesso diventava te appartato da quella che, con il tempo, capii essere la
dubbia e nessuno godeva di quel para- realtà delle cose. Un immenso ritratto dei miei genito-
dosso più di lui, protetto ri dominava la sala da pranzo. A volte,
dalla forza del suo cognome, che si muo- Ed è questo quando uno di loro entrava nella mia ca-
veva tra i corridoi invisibili di una festa cameratismo mera per recitare una manciata di do-
con la sicurezza di chi sa di essere iglio implicito che mi mande che erano sempre le stesse, non
dell’irrefutabile. spinge a raccontarle potevo evitare di chiedermi se non fosse
Mi si avvicinò e mi fece la stessa do- quanto segue con gli una delle igure del quadro che, grazie ai
manda di tanti altri: “Lei è scrittore, giu- stessi modi di chi le beneici di una scienza oscura, aveva ol-
sto?”. Ma dopo il suo discorso (perché fu fa un favore o un trepassato i limiti della cornice dorata e
un discorso che non ammetteva interru- passeggiava ora senza fretta per la casa,
regalo. Perché
zioni e neanche le richiedeva) mi portò disposta a coprire il posto sempre vuoto
in territori a me ignoti e, poco a poco, la
quello che ascolterà dei miei veri genitori.
terrazza dove ci trovavamo e la luce del- è una buona storia Ricordo che c’erano feste e risate e,
le lanterne cinesi si fece più difusa, ri- una sera, ci fu perino un ballerino russo
servando la sua nitidezza per il resto degli onesti invi- che levigò con i suoi piedi volanti il marmo rosa del
tati, mentre lo scrittore e il bugiardo sfoderavano torce grande salone; vidi sollevarsi la sua testa coronata da
come cowboy a mezzogiorno. due corna e un lauto che risplendeva tra le sue mani.
RODRIGO FRESÁN Così parlò il bugiardo: Lo vidi girare dall’alto, in mezzo alle colonne delle sca-
è uno scrittore e So bene che la mia fama mi precede, per cui non le, dal primo piano, e tremai pensando che quel diavo-
giornalista nato a cercherò neanche di convincerla che quello che sto per lo sarebbe rimasto a vivere in casa mia, nella stanzetta
Buenos Aires nel raccontarle è vero. Dopotutto, il suo mestiere ha più di vuota in fondo al corridoio.
1963. Il suo ultimo un punto in comune con il mio. Entrambi mentiamo, Per fortuna il diavolo se ne andò, e la stanzetta fu
libro pubblicato in entrambi facciamo di ciò che è inesistente un’arte an- occupata da Mónica. Ed è di Mónica che parlerò ades-
Italia è I giardini di
che se, è ovvio, le nostre muse ispiratrici non si salute- so, perché Mónica è la protagonista di questa storia.
Kensington
rebbero se s’incontrassero per strada. Ma in fondo, Non lo sapevo allora, ma credo di averlo intuito da quel
(Mondadori 2006).
Il titolo originale di
come ho detto, siamo uguali. Ed è questo cameratismo luogo remoto che presto sarebbe stata la mia adole-
questo racconto è El implicito che mi spinge a dirle tutto come se fosse la scenza.
único privilegiado. verità e nient’altro che la verità, a non insistere sulla Mónica avrà avuto al massimo quattro anni più di
La traduzione è di legittimità delle mie parole e a raccontarle quanto se- me la mattina in cui arrivò a casa, portandosi dietro
Francesca Rossetti. gue con gli stessi modi di chi le fa un favore o un regalo. una valigia così leggera che sembrava piena di elio.

28 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 29
Rodrigo Fresán
Mio padre andò a prenderla alla stazione e ce la pre- pisce scoprire che la amo e la odio, e non capisco bene
sentò con una combinazione di rispetto e vergogna. perché la sogno tutte le notti. Sogno cose che fatico a
Mia madre si mise a odiarla quasi subito. Odiò la sua ricordare il giorno dopo, sogno Mónica e una luce am-
bellezza diversa e selvaggia, l’aristocrazia non com- brata che sembra aver verniciato la supericie dell’aria
prata dei suoi gesti e, lo seppi con gli anni, la odiò so- da una parete all’altra. Mi risveglio sollevato e furioso
prattutto per quello che era. Mónica era la conseguen- per aver aperto gli occhi. Mento con grazia, fumo di
za reale di un’astrazione commessa da mio padre tem- nascosto e attribuisco le mie occhiaie agli incubi pieni
po prima con una donna di provincia. Ora la madre di di mostri che non faccio più da due anni.
Mónica era morta, e la notizia era trapelata sotto for- La versione psicologista della questione sarebbe
ma di una lettera vagamente minacciosa scritta a mio che odiavo Mónica perché Mónica era l’unica cosa ge-
padre dal sacerdote del paese. Tra i meandri di una nuinamente vera in quella casa straripante di probe
scrittura spigolosa e piena di parole dal retrogusto spa- antichità e acquerelli autenticati.
gnolo si diceva che era arrivato il momento di prende- Ma non mi soddisfa. Una persona non spia chi odia
re delle misure per evitare uno scandalo di dimensioni attraverso i buchi delle serrature, non cade in estasi
considerevoli. davanti alla più leggera delle sue nudità, non crede di
impazzire quando scopre in uno dei suoi cassetti la fo-
to di un uomo a cavallo che indossa l’uniforme e sorri-

C
ome avrà capito, amico mio, crebbi tra
le menzogne e mi nutrii di loro ino a de con tutti i denti.
diventare chi sono. Non c’è giorno in Sono sicuro che fu la gelosia a posare la pietra fon-
cui, ripassando la storia familiare, non damentale della mia prima vendetta. Fu così facile,
salti alla luce un’imprecisione sospet- così semplice, che considero quest’atto infame la pie-
ta, un inciampo perfettamente invisi- tra angolare di tutti quelli che sarebbero venuti dopo.
bile per tutti quelli che ignorano lo squisito metodo di Mi limitai a rubare l’anello preferito di mia madre e a
questa disciplina. Io avevo cinque anni e stavo impa- nasconderlo gofamente in quel maledetto cassetto
rando. Ero un novizio e come tale accettai l’arrivo di del comodino di Mónica, lo stesso in cui sorrideva
Mónica e il presunto motivo della sua presenza. Sareb- quell’infelice a cavallo. Fu tutto, e fu abbastanza. Do-
be stata una sorta di dama di compagnia per me e solo po cena mi raggiunsero le grida, i pianti e il rumore di
Mónica – la per me. Avrebbe giocato a quello che avessi voluto. Sa- troppe porte che si chiudevano.
Mónica che io rebbe venuta in giro con me in macchina e la sua pre- Quella notte, come avrà immaginato, sognai Móni-
senza avrebbe messo deinitivamente ine al silenzio ca. La osservai mentre schivava innumerevoli pericoli,
avevo conosciuto,
impermeabile di Ramos, l’autista. Sarebbe stato un la vidi venire meno senza sapere che la colpa era mia.
la vera Mónica, La vidi senza vestiti, con le braccia aperte e le anche
giocattolo infrangibile. Me l’avevano regalata, e lei lo
la mia ossessione – accettò con una dignità che superava la resistenza di ondeggianti, mentre camminava verso di me senza
tornò a casa un qualsiasi marchingegno meccanico. muovere i piedi. Piangeva in silenzio e mi sorprese
paio di giorni Non è superluo afermare, arrivati a questo punto, scoprire le sue lacrime ferme sui bordi del sorriso più
dopo, quando in che io cambiai guadagnando centimetri di altezza e voluttuoso che avessi mai visto.
un delirio che il paese fece lo stesso, forse in senso proporzional- L’improrogabile necessità di chiederle perdono e il
anestetizzato mente inverso. Ma qui s’intromette nel racconto una dolore di un’erezione che si riiutava di abbandonarmi
confessai la mia persona che non sono io, e che sono io diverse decine mi svegliarono nel bel mezzo della notte. Mi mossi per
colpa per il furto di anni dopo. la casa al buio, indovinai la mappa verticale delle scale
dell’anello insieme Sappia che all’epoca ero una sorta di idiota illumi- e aprii la porta della sua stanza senza bussare.
nato. Brillante nelle lingue, specialista di Salgari e au- Giaceva sul letto. Nuda e perfetta. Il suo corpo
a tante altre cose
tenticamente sottodotato in quanto a consapevolezza sembrava emettere un debole rilesso bluastro. Cam-
di ciò che accadeva oltre le cancellate che isolavano la minai verso di lei come chi cammina sul fondo del ma-
mia casa. Le sembrerà incredibile, ma i quotidiani mi re, e il suo splendore la rese diversa ai miei occhi. Il suo
erano negati per ragioni tanto strane quanto inviolabi- volto sembrava un altro, senza cessare di essere lo
li. Ricordo che comprai il mio primo giornale durante stesso. Era il volto di una santa. Era come se ino a quel
una fuga di iniziazione nei cabaret della zona del Bajo momento avessi conosciuto solo il bozzetto dell’arti-
con degli amici di famiglie irreprensibili come la mia. sta e, all’improvviso, mi fossi imbattuto nell’opera i-
Tornammo alle prime luci dell’alba. La notte ci brucia- nita. Toccai la sua spalla e sussurrai il suo nome senza
va ancora negli occhi e io comprai la mia prima copia ottenere alcuna risposta. La immaginai suicida tragi-
della Nación mantenendo un precario equilibrio gene- ca, l’eroina di un melodramma da quattro soldi, e mi
rosamente alcolico, in bilico sui miei vent’anni. pensai come un cattivo con i bai da Meistofele. Non
Ritengo utile questo chiarimento per spiegare la ricordo il momento in cui mi misi a piangere, ma ricor-
mia ignoranza su certi temi relativi ai principali eventi do l’emozione che mi assalì come un’onda quando
nazionali, come amano dire i telegiornali, che forse l’avvolsi con le braccia e le gambe e riempii la sua boc-
(ma su questo non metterei la mano sul fuoco) mi ca di baci. A un certo punto sentii che qualcosa, un fuo-
avrebbero fatto agire in un modo diverso se li avessi co tiepido, si fondeva nel mio basso ventre, ma non per
conosciuti. questo mi fermai. La baciai con furia, come un princi-
Ma sto andando troppo avanti. Ora la casa è la stes- pe azzurro deragliato davanti alla fredda sensualità
sa, ma io ho undici anni e Mónica ne ha sedici. Mi stu- della sua Biancaneve.

30 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Fu allora che entrarono mio padre e mia madre. Mónica – la Mónica che io avevo conosciuto, la vera
Mia madre gridò ino a perdere i sensi, non senza pri- Mónica, la mia ossessione – tornò a casa un paio di
ma colpirmi con uno schiafo che mi palpita ancora giorni dopo, quando in un delirio anestetizzato con-
sulla guancia nei giorni di umidità. Mio padre mi tra- fessai la mia colpa per il furto dell’anello insieme a
scinò via da quel letto e mi torse il braccio ino a rom- tante altre cose. Alcuni anni dopo mi iniziò ai misteri
permelo (non lo sapemmo ino a quando non si goniò, del sesso senza che glielo dovessi chiedere, anche se
la mattina dopo), poi si fece da una parte per consenti- mi sembra che mio padre ebbe un qualche ruolo in
re l’ingresso di quattro uomini in uniforme che misero quella storia. Finì per sposarsi con un dipendente di
il corpo in una cassa e lo portarono via per sempre. Ri- banca. Se ne andò di casa e non la rividi più. Mia ma-
viste e quotidiani futuri mi avrebbero fatto sapere del- dre mi disse che morì investita da un autobus all’uscita
la paladina dei poveri, del suo eterno e segreto transito di un ballo di carnevale, ma io ci leggo più un suo desi-
di reliquia religiosa in diversi ossari europei, della sua derio che un fatto certo. Il dettaglio dell’autobus puzza
resurrezione come musical deluxe e della grandezza di terrore da grande signora che, sicuramente, non po-
della mia blasfemia. teva concepire un destino più umiliante di morire sot-
to le ruote di un veicolo diretto a Villa Crespo.

I
n ogni caso, come ho detto, io allora non sape- Bugie. Sono così belle, non è vero? Mi piace pren-
vo niente di tutto questo, perché che senso derle tra le dita e vederle controluce. Mi piace vederle
avrebbe avuto saperlo. Neanche quando ri- brillare. Mi piace quando mi illuminano con i loro se-
cordo tutto questo pronuncio per me stesso il greti impliciti. Perché dietro a una bugia ben imbastita
silenzio assordante del suo nome innomina- si nascondono le verità migliori... Ma entriamo, en-
bile. Ma dato che lei è venuto da così lontano, triamo. La nostra ospite dirà qualche parola e poi po-
e dato che magari lei è estraneo all’isteria della nostra tremo godere, come se fossimo innocenti, di questa
storia, lo farò per un’unica volta: Eva Perón... Evita... falsa orchestra di Glenn Miller senza Glenn Miller che
Sono sicuro che le dice qualcosa... massacrerà In the mood per la centesima volta. u

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 31


Selva Almada Disegni di Guido Scarabottolo

Vita
fuorigioco
a ferita era una chiazza rosa e madreper- che muoveva il busto e stringeva i pugni. Si notava l’an-

L lacea sul ginocchio. Emilio ci passò sopra sia per essere rimasto fuori dal campo. Il bambino lo
un po’ di ovatta intrisa di acqua ossigena- guardò e sorrise. Gli mancava un dente.
ta e la supericie si coprì di bollicine. Con
un movimento delicato allungò la gamba Adesso immergeva le mani nell’acqua torbida di sa-
di Manu, avvicinò la bocca e ci soiò so- pone e tirava fuori la spugna e la passava sulla schiena
pra. Era così vicino che sentì l’odore dolciastro della di sua madre. La pelle era così delicata che aveva sem-
carne viva. Senza scostarsi e senza smettere di soiare, pre paura di strapparla come si strappano le vecchie
alzò lo sguardo verso il bambino e gli
chiese: “Fa male?”. La ferita
lenzuola, consumate, al minimo sfrega-
mento. La scorsa estate, nella parte inale
Manu fece no con la testa. I capelli su- di Manu nell’arco di quella schiena, erano comparse due
dati, un po’ lunghi, gli si appiccicavano di pochi giorni chiazze rosse. Escare. La ferita di Manu
sotto le tempie e sul collo. Aveva gli occhi si sarebbe ricoperta nell’arco di pochi giorni si sarebbe rico-
lucidi perché un po’ gli faceva male, in di pelle nuova. perta di pelle nuova che avrebbe subito
efetti. Se ci fosse stata sua mamma non Invece le ferite ripreso il colore del resto del corpo sotto-
avrebbe avuto il moccio al naso, come si di sua madre posto a ore di gioco al sole. Invece le feri-
dicevano tra loro, come diceva l’allenato- avevano impiegato te di sua madre avevano impiegato setti-
re, quel cretino. mane a cicatrizzarsi, e intere bustine di
settimane a
“Ci siamo quasi”. zucchero che lui versava quotidianamen-
Si mise la gamba del bambino sulla
cicatrizzarsi te sui buchi nella carne, lei prona sul let-
coscia e rovistò nella cassetta del pronto to, docile come una bambola.
soccorso, appoggiata sulla panca di legno, per prendere Oggi era silenziosa, lo sguardo perso sulle piastrelle
SELVA ALMADA garze, cerotto a nastro e mercurocromo. Manu seguiva colorate della parete. Le ossa delle ginocchia, puntute,
è una scrittrice e i suoi movimenti. Una volta medicata per bene la ferita, sbucavano dall’acqua tiepida. Stava curva in avanti, si
poeta nata a Villa gli diede una piccola pacca sulla caviglia. abbracciava le gambe con le braccia, coprendosi i seni.
Elisa nel 1973. Il suo “Ecco fatto, campione. Ora resta qui. Per oggi gli Siccome non parlava, lui non sapeva chi fosse quel gior-
ultimo libro, Chicas allenamenti sono initi”. no nell’universo di sua madre. Di certo non era Emilio,
muertas (Random Con esagerata lentezza, il bambino appoggiò di il iglio cinquantenne e scapolo che si occupava di lei. Se
House 2014), è nuovo la gamba a terra e si girò con cautela per guarda- oggi lei avesse un iglio, non sarebbe più grande di Ma-
un’indagine sugli re i compagni che correvano in campo. nu.
omicidi irrisolti di tre
Emilio rimise tutto a posto e chiuse la cassetta, poi si Le mise una mano a visiera sulla fronte rugosa, su-
ragazze avvenuti in
posizionò a sua volta sulla panca in modo da osservare bito sotto l’attaccatura dei capelli indeboliti dagli anni.
Argentina negli anni
ottanta. Il titolo
cosa stava succedendo al di là della rete. I bambini con Con l’altra strinse la spugna inzuppata d’acqua e le ba-
originale di questo le magliette verdi e bianche, a righe verticali, gli scarpi- gnò la testa. Quando tutti i capelli furono umidi, ci ver-
racconto è Of side. La ni, le calze ino alle ginocchia. Stava cominciando a sò un po’ di shampoo e massaggiò con delicatezza. Il
traduzione è di Sara imbrunire e i lampioni intorno al campo si accesero au- cranio era così piccolo. Ripeté l’operazione della mano
Cavarero. tomaticamente. Con la coda dell’occhio osservò Manu, sulla fronte e della spugna bagnata per togliere tutta la

34 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 35
Selva Almada

schiuma. Prese un asciugamano e gliene passò un an- le diede un bacio sulla fronte – profumava di rose – e le
golo sul viso perché nessuna traccia di sapone arrivasse disse “a domani”. Rimase su un ianco, con gli occhi
agli occhi, issi sui quadratini turchesi, sulle fughe gri- aperti che ora issavano la carta da parati. Certi giorni
gie. era come sospesa. Lo angosciava vederla così, sem-
Inginocchiato sul pavimento, accanto alla vasca da brava di maneggiare un barattolo vuoto.
bagno, si guardò intorno. Le maniglie in pvc bianco, Si sedette un po’ in cortile. Faceva molto caldo. Ac-
issate alle pareti, dappertutto: accanto al lavandino, cese una sigaretta e la fumò al buio. Meglio non accen-
accanto al wc, nel box doccia e nella vasca da bagno. dere la luce o sarebbero arrivati in massa gli insetti.
Le aveva montate tutte lui, da solo. Era sempre stato Durante una pausa dell’allenamento, mentre por-
bravo a fare queste cose. Guardò in alto. Il soitto era tava acqua ai bambini, aveva visto Maidana, l’allena-
rovinato e nero di mufa. Avrebbe dovuto grattare, tore, avvicinarsi trotterellando alla panchina su cui
stuccare e imbiancare tutto, ma ora che erano nel pe- Manu era ancora seduto. Maidana aveva parlato ad
riodo del campionato interregionale non aveva tempo alta voce, per farsi sentire da tutti.
per nient’altro. Quando non era al club, si occupava di “Fa’ vedere, pappamolla… ma se non ti sei fatto
sua madre. Nelle ore in cui era a casa, se ne occupava niente. Dai, forza, torna in campo. Non è comportan-
sempre lui. Per il resto del tempo, si alternavano due dosi da femminucce che si vince”.
signore. Attraverso la rete metallica aveva visto che lo pren-
Non parlò nemmeno quando la mise a letto, dopo deva per un braccio e lo tirava su di peso dalla panchina.
averla asciugata, pettinata e averle fatto indossare la Si era avvicinato in fretta.
camicia da notte. E non gli rispose nemmeno quando “Lascialo stare, Maidana, si è fatto un bel buco nel

36 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


ginocchio”. “Emilio, certo, come va”.
Maidana l’aveva squadrato mettendosi l’orlo della Le chiese di Manu e lei rispose che era fuori a gioca-
maglietta nei pantaloncini poi, senza staccargli gli oc- re con i vicini.
chi di dosso, ci aveva inilato anche la mano e si era af- “Come va il ginocchio?”. Lei rimase in silenzio, co-
ferrato le palle. me se stesse di nuovo cercando di capire a cosa si rife-
“Ma cosa ne vuoi sapere tu, acquaiolo. Avanti, non risse. “Oggi durante gli allenamenti si è fatto male. Gli
fate le signorine, dobbiamo vincere, cazzo”. ho messo una benda”.
Lo chiamava così, acquaiolo, ogni volta che voleva “Ah, non ne ho idea. Sono appena arrivata. Sono a
farlo sentire una nullità. Anche se lui era il preparatore pezzi. Ma non si preoccupi troppo, i bambini si sbuccia-
atletico della squadra. no le ginocchia di continuo”.
Si sentì un po’ ridicolo, balbettò qualche altra stupi-
Entrò in cucina e si servì un bicchiere di Terma gas- daggine e riagganciò.
sata. Erano passate da poco le dieci e mezza. Guardò il Il giorno dopo, prima degli allenamenti, gli cambiò
telefono appeso alla parete. Lo issò per un po’, inché la medicazione. La ferita stava guarendo bene. In fondo
non si decise e digitò il numero di casa di Manu. era solo un graio. La pulì di nuovo con acqua ossigena-
Sperava che rispondesse lui, ma all’altro capo sentì ta e mercurocromo. Il liquido fucsia macchiò la pelle
la voce della madre, Diana. Era una ragazza simpatica. del ragazzo. Poi coprì il cerotto con una benda elastica,
Si era appena separata e lavorava come operaia in un perché non si staccasse durante gli esercizi.
impianto di trasformazione avicola. Manu gli disse che non gli faceva per niente male e
Lei ci impiegò un attimo a capire chi fosse. che aveva giocato come sempre. La benda vecchia era

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 37


Selva Almada
sporca di terra. per poi massaggiarle la schiena.
“Ieri sera ti ho telefonato a casa per sapere se stavi “Ne ha otto. Se non mi conoscesse, lo direbbe mai
bene. Te l’ha detto tua mamma?”. che è mio iglio?”.
Manu si strinse nelle spalle e inarcò la bocca con gli
angoli in basso. Una rughetta gli divise il mento a metà. “No, penserei che è suo nipote”.
No, non gli aveva detto niente. Lei scoppiò a ridere.
“Fatto”. “Gli piace il calcio?”.
Disse tirandosi su. Il bambino sorrise e alzò la mano “Ah, sì. È un bravo giocatore. E credo che con il
per dare il cinque a Emilio, prima di andarsene trotte- tempo potrebbe entrare in una squadra importante”.
rellando verso il campo. Lui sorrise. Povera mamma. Era sempre stato un
Gli ultimi che erano usciti avevano lasciato i vestiti morto, in campo. Passava più tempo in panchina che a
buttati sulle panche dello spogliatoio. Le magliette e le rompere le zolle del prato con gli scarpini Sacachispas,
scarpe da strada, i pantaloncini. Emilio si mise a racco- che passavano ancora come nuovi a un altro bambino,
Fu lì che gli tornò gliere i vestiti e a piegarli. a mano a mano che gli cresceva il piede. Ma gli era
in mente il padre Arrivò in campo che stavano già giocando. Appog- sempre piaciuto guardare il calcio. Lo affascinava
di Manu. A volte giò la fronte contro la rete e agganciò le dita ai rombi l’agilità dei corpi che si prodigavano dietro un pallone,
veniva alle partite. vuoti creati dal il di ferro. In quel momento, Manu pas- gli adduttori goni per la tensione, i polpacci tesi come
Stava nel gruppo sò la palla a un compagno, che segnò. I bambini si ab- corde, i capelli grondanti sudore, le mascelle serrate, i
bracciarono e a lui l’urlo scappò involontariamente. denti stretti. Quegli stessi corpi che si abbracciavano,
di padri che si
“Bravo, Manu!”. si saltavano sulla schiena, ogni volta che la palla iniva
facevano
Quando sentì il suo nome, il bambino cercò con lo in rete. L’urlo che sgorgava dalle gole e grattava e la-
coinvolgere sguardo. Lui alzò i due pollici e Manu rispose alzando la sciava in bocca un retrogusto di sangue.
parecchio. Troppo. mano inché un altro compagno, arrivato da dietro, gli “Non so da chi abbia preso questo talento, perché il
Da bordo campo saltò a cavalcioni sulla schiena. Anche Maidana lo sen- padre…”.
urlavano ai igli tì e guardò verso di lui, rigido, con le mani sui ianchi. Sua madre lasciò la frase sospesa, invitandolo a
come fanno gli “Avanti! Tirate fuori le palle che siamo solo all’ini- chiedere notizie del suo ex marito e a ofrirsi inine di
ultrà zio!”. consolarla.
All’urlo dell’allenatore, i bambini interruppero i fe- “Fatto, Iris, abbiamo inito. Si sente bene?”.
steggiamenti e tornarono alle loro posizioni. Lei si voltò, tenendo la testa appoggiata agli avam-
Fu lì che gli tornò in mente il padre di Manu. A volte bracci.
veniva alle partite. Stava nel gruppo di padri che si face- “Divinamente. Lei non ha due mani: ha due mira-
vano coinvolgere parecchio. Troppo. Da bordo campo coli”.
urlavano ai igli come fanno gli ultrà. Spesso inivano Mentre lui si puliva con l’asciugamano, lei sparò
per azzufarsi tra loro, sfanculandosi a vicenda, ognuno l’invito.
insultando il iglio pappamolla dell’altro. Quando vin- “Un giorno potremmo andare al campo da calcio.
cevano una partita, gli stessi si ritrovavano a bere vino e Mio iglio, lei e io. A volte credo che abbia bisogno di
a festeggiare come se i gol li avessero segnati loro. Da un po’ di compagnia maschile, poverino, sta tutto il
quando si era separato dalla moglie, il tizio era meno giorno qui con me”.
assiduo. Ma quando c’era si faceva notare. Emilio aveva “Certo, sarà un piacere, Iris”.
l’impressione che a Manu facesse paura. Quando c’era Quella notte, Emilio si sdraiò sul letto angusto, con
suo padre, sembrava un fantasma in campo. la inestra aperta, l’abat-jour accesa, le pale del venti-
latore a soitto che gli ronzavano sul corpo. Le pareti
assaggiò con cura le gambe di erano tappezzate di poster dei suoi giocatori preferiti

M sua madre. I vecchi, come i


bambini, hanno le ossa fragili.
Lei era raggiante e di ottimo
umore. Chissà quanti anni ave-
va, quella mattina. Una trenti-
na. Una giovane donna appena separata, il corpo sodo,
senza altra traccia di maternità che quella orribile ci-
catrice nel ventre da cui avevano fatto uscire lui. Quan-
do stava così, le piaceva civettare. A trent’anni lui,
di tutti i tempi. I più vecchi avevano già gli angoli in-
gialliti e le punte scollate. Su un tavolino aveva diversi
trofei. Non li aveva vinti lui, li comprava alle aste. Gli
piacevano quelle coppe arrugginite, di un dorato che
negli anni aveva perso lucentezza. Erano piccole glo-
rie di un passato a cui non aveva preso parte.
Pensò a sua madre, rinchiusa in un passato dove
anche lui era sfocato, come una foto venuta male.
Manu gli faceva venire in mente lui da piccolo, an-
cinquantenne, doveva sembrarle vecchio e poco attra- che se Manu era più sveglio. Ora i bambini erano più
ente, ma non aveva importanza, il gioco della seduzio- svegli. Sì, Manu avrebbe fatto strada, pensò sbadi-
ne, la conquista di un uomo, la eccitava. gliando.
Emilio invece si sentiva a disagio, ma allo stesso Lui era rimasto fermo lì, nella cameretta della sua
tempo era contento di quei momenti in cui la madre si infanzia, nella sua casa natale, a prendersi cura della
sentiva felice, viva in modo quasi rabbioso. Lui non si madre. Prese la cornice sul comodino. Nella foto in
era mai sentito così. bianco e nero aveva nove anni e guardava tutto serio
“Quanti anni ha suo iglio?”. verso la macchina fotograica. Come se già a quell’età
Chiese mentre la aiutava a mettersi a pancia in giù avesse perso la speranza. u

38 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Mariana Enríquez Disegni di Emiliano Ponzi

Il carrello
all’angolo
uancho era ubriaco quella sera, e passeg- vanti all’auto di Horacio. Quel pomeriggio faceva cal-

J giava spavaldo sul marciapiede, anche se do, ma l’uomo indossava un vecchio maglione verda-
ormai nessuno del quartiere si sentiva mi- stro. Doveva avere una sessantina d’anni. Lasciò il car-
nacciato, e nemmeno un po’ nervoso, per rello accostato al marciapiede, si avvicinò alla macchi-
via della sua presenza intossicata. A metà na e, proprio dal lato che mia madre vedeva meglio, si
isolato, come tutte le domeniche, Horacio abbassò i pantaloni.
stava lavando la macchina, in pantaloncini e sandali, la

con la partita a tutto volume. All’angolo,


i galiziani del bazar bevevano mate, con Fu mamma che lo
Lei ci chiamò urlando. Ci avvicinammo e spiammo
pancia tesa e prominente, i peli grigi sul petto, la radio tutti e tre dalle fessure delle persiane, mio fratello, papà
e io. L’uomo, che non indossava le mu-
tande sotto i calzoni luridi, cacò sul mar-
il bollitore per terra, tra le due sdraio che vide per prima. ciapiede, merda molle, quasi diarroica, e
avevano tirato fuori perché c’era un bel Ancora più ubriaco in gran quantità; la puzza arrivò ino a
sole. Di fronte, i igli di Coca bevevano di Juancho, arrivava noi, sapeva tutto di merda e alcol.
birra sulla porta di casa e un gruppo di dall’angolo con Poveraccio, commentò nostra madre.
ragazze fresche di doccia e un po’ troppo Tuyutí, in mezzo Che tristezza, guarda come ci si può ri-
truccate chiacchierava davanti alla porta alla strada, con un durre, disse nostro padre.
del garage di Valeria. Poco prima, mio carrello del Horacio era sbalordito, ma si vedeva
padre aveva provato ad augurare buon che stava cominciando a scaldarsi, per-
supermercato
pomeriggio ai vicini e a fare due chiac- ché aveva il collo pieno di macchie rosse.
chiere con loro, ma era tornato dentro
stracolmo di roba Ma prima che potesse reagire, Juancho
come sempre, a testa bassa e leggermen- attraversò di corsa la strada e diede uno
te contrariato, perché erano brave persone ma non ci si spintone all’uomo che non aveva ancora fatto in tempo
MARIANA
poteva scambiare una parola, come ripeteva ogni do- a rialzarsi né a tirarsi su i pantaloni. Il vecchio cadde sul-
ENRÍQUEZ menica pomeriggio. la propria merda, che gli imbrattò il maglione e la mano
è una scrittrice e Mia mamma spiava dalla inestra. Le trasmissioni destra. Mormorò solo un “oh, no”.
giornalista nata a della domenica l’annoiavano, ma non aveva voglia di “Bastardo del cazzo!”, gli urlò Juancho. “Pezzo di
Buenos Aires nel uscire. Guardava dalle fessure delle persiane socchiuse merda, iglio di puttana! Tu non ci vieni a cacare nel no-
1973. In Italia ha e di tanto in tanto ci chiedeva un tè o dei biscotti o stro quartiere, razza di coglione!”.
pubblicato Quando un’aspirina. Io e mio fratello di solito la domenica resta- Lo prese a calci mentre era per terra. Anche lui si
parlavamo con i morti vamo a casa; a volte, la sera, se papà ci prestava la mac- sporcò i piedi di merda, aveva un paio di ciabatte di
(Caravan Edizioni
china, andavamo a fare un giro in centro. gomma.
2014) e Le cose che
Fu mamma che lo vide per prima. Ancora più ubria- “Alzati, schifoso, alzati e pulisci il marciapiede di
abbiamo perso nel
fuoco (Marsilio 2017).
co di Juancho, arrivava dall’angolo con Tuyutí, in mez- Horacio, qui non ci vieni a rompere il cazzo, tornatene
Il titolo originale di zo alla strada, con un carrello del supermercato stracol- da dove sei venuto, iglio di una gran puttana”.
questo racconto è El mo di roba, e faceva del suo meglio per spingere tutta la E continuò a prenderlo a calci, sul petto, sulla schie-
carrito. La traduzione spazzatura che aveva accumulato, le bottiglie, i cartoni, na. L’uomo non riusciva ad alzarsi; sembrava non capi-
è di Sara Cavarero. le guide telefoniche. Instabile sulle gambe, si fermò da- re cosa stava succedendo. Di colpo scoppiò a piangere.

40 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 41
Mariana Enríquez

Che esagerazione, disse mio padre. Non può umi- ancora abbassati.
liare così quel povero disgraziato, commentò mia ma- “Razza di stronzo, la dottoressa qui ti sta salvando il
dre, e andò verso la porta. Noi la seguimmo. Quando culo, ma il carrello lo lasci qui. Pezzo di merda, quello
arrivò sul marciapiede, Juancho aveva tirato su l’uo- che hai fatto lo devi pagare, in questo quartiere non si
mo, che piagnucolava e chiedeva scusa, e stava cer- fanno cazzate”.
cando di mettergli in mano la canna da giardino con Mamma provò a dissuadere Juancho, ma era ubria-
cui Horacio aveva lavato la macchina, perché pulisse co e fuori di sé e urlava come un giustiziere, e negli
tutta la sua merda. La puzza era insopportabile. Nes- occhi non aveva più né bianco né nero né rosso, come
suno si azzardava ad avvicinarsi. Horacio disse “Juan- i colori dei pantaloncini che indossava. Si mise davan-
cho, lascia perdere”, ma a voce molto bassa. ti al carrello e impedì all’uomo di spingerlo. Io ebbi
Mia madre intervenne. La rispettavano, e in parti- paura che scoppiasse un’altra rissa – che Juancho rico-
colare Juancho, perché lei gli dava sempre qualche minciasse a picchiare, a dire il vero – ma l’altro sembrò
moneta per il vino quando gliele chiedeva; gli altri la riprendersi. Si tirò su la cerniera dei pantaloni – non
trattavano con deferenza perché era kinesiologa, ma avevano i bottoni – e se ne andò verso Catamarca,
tutti pensavano che fosse un medico e la chiamavano sempre camminando in mezzo alla strada; lo seguim-
dottoressa. mo tutti con lo sguardo, i galiziani mormorando che
“Lascialo in pace. Che se ne vada e basta. Puliamo era allucinante, i igli di Coca ridacchiando, le ragazze
noi. È ubriaco, non sa quello che fa, non c’è bisogno di sulla porta del garage di Valeria ridendo nervose, alcu-
picchiarlo”. ne a testa bassa, le altre come se si vergognassero. Ho-
L’uomo guardò mia madre e lei gli disse: “Signore, racio imprecava sottovoce. Juancho prese dal carrello
si scusi e se ne vada”. Lui sussurrò qualcosa, lasciò la una bottiglia e la lanciò dietro all’uomo, però il vetro si
pompa e provò a spingere il suo carrello con i pantaloni schiantò sull’asfalto lontano da lui. Spaventato dal ru-

42 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


quello non si fece vedere, e nessuno sapeva cosa fare Cominciò
delle sue cose. Quindi rimasero lì, e un giorno si presero quindici giorni
tutta la pioggia, e i cartoni umidi si aprirono facendo un dopo l’arrivo del
cattivo odore. C’era dell’altro che puzzava in quello carrello. Magari
schifo, probabilmente cibo andato a male, ma lo schifo era cominciato
impediva che qualcuno pulisse. Bastava stare alla larga,
prima, ma fu
camminare rasente le case e non guardare. Nel quartie-
necessario
re c’erano sempre cattivi odori, da quello del limo che si
accumulava lungo i marciapiedi, verdastro, a quello del l’accumulo di
Riachuelo, quando il vento soiava forte, soprattutto disgrazie perché il
all’imbrunire. quartiere
Cominciò quindici giorni dopo l’arrivo del carrello. percepisse che la
Magari era cominciato prima, ma fu necessario l’accu- sequenza era
mulo di disgrazie perché il quartiere percepisse che la strana. Il primo fu
sequenza era strana. Il primo fu Horacio. Aveva una ro- Horacio
sticceria in centro, e le cose gli andavano bene. Una
sera, mentre controllava la cassa prima di chiudere, en-
trarono dei rapinatori e gli portarono via tutto l’incasso.
Cose che succedono in periferia. Ma quella stessa sera,
quando andò al bancomat a prelevare, dopo la denun-
cia – inutile, come nella maggior parte dei furti, soprat-
tutto perché i due bastardi erano incappucciati – si ac-
corse di non avere uno spicciolo sul conto. Telefonò alla
banca, fece un gran casino, prese le porte a calci, mi-
nacciò di accoppare un impiegato e arrivò ino al diret-
tore della iliale e poi a quello generale. Ma non ci fu
nulla da fare: i soldi non c’erano, qualcuno li aveva pre-
levati, e dall’oggi al domani Horacio era caduto in mise-
ria. Vendette l’auto. Gli diedero meno di quanto avesse
sperato.
I due igli della Coca persero il lavoro che avevano
nell’oicina del corso. Senza preavviso; il proprietario
non gli diede nemmeno una spiegazione. Lo riempiro-
no d’insulti e lui li cacciò a pedate. Come se non bastas-
se, alla Coca non arrivava la pensione. Per una settima-
na i igli cercarono un altro lavoro, poi diedero fondo a
tutti i risparmi per comprare birra. La Coca si mise a
letto annunciando che voleva morire. Non c’era nessu-
no che le facesse credito. Non avevano nemmeno più i
more, il poveraccio si voltò e urlò qualcosa d’incom- soldi per l’autobus.
prensibile. Non capimmo se parlasse un’altra lingua I galiziani dovettero chiudere il bazar. Perché non si
(quale?) o se semplicemente biascicasse per via della trattava più solo dei igli della Coca, o di Horacio; im-
sbronza. Ma prima di mettersi a correre a zigzag, per provvisamente, nell’arco di pochi giorni, tutti i vicini
scappare da Juancho che lo inseguiva sbraitando, inirono sul lastrico. La merce del chiosco scomparve
guardò mia mamma, perfettamente lucido, e annuì misteriosamente. Al tassista rubarono l’auto. Il marito
due volte. Disse qualcos’altro, girando lo sguardo e ri- di Mari, l’unico a lavorare in famiglia, un muratore, cad-
uscendo ad abbracciare tutto l’isolato e oltre. Poi de da un ponteggio e morì. Le ragazze abbandonarono
scomparve dietro l’angolo. Troppo sbronzo, Juancho le scuole private perché i genitori non potevano più pa-
non lo seguì. Si limitò a urlare ancora per un bel po’. gare la retta: il padre, dentista, non aveva più clienti, la
Tornammo in casa. I vicini continuarono a parlare sarta nemmeno, al macellaio un cortocircuito bruciò
di quella scena per tutto il pomeriggio e la settimana tutte le celle frigorifere.
successiva. Horacio usò la pompa, brontolando tutto il Nell’arco di due mesi nessuno aveva più il telefono,
tempo, pezzi di merda, pezzi di merda. a causa delle bollette non pagate. Di lì a tre mesi, dovet-
Da questo quartiere non ci si può aspettare niente di tero attaccarsi ai cavi della luce perché non potevano
diverso, disse mia madre, e chiuse le persiane. più pagare l’elettricità. I igli della Coca cominciarono a
Qualcuno, probabilmente lo stesso Juancho, spinse rubare, e uno di loro, il meno esperto, fu preso dalla po-
il carrello all’angolo di Tuyutí e lo lasciò lì davanti alla lizia. L’altro una sera non tornò a casa; forse l’avevano
casa abbandonata della signora Rita, che era morta ammazzato. Il tassista si avventurò a piedi ino all’altra
l’anno prima. Pochi giorni dopo nessuno ci faceva più parte del corso. Lì, disse, le cose andavano molto me-
caso. All’inizio sì perché speravano che il poveraccio – glio. Per tre mesi i negozi dall’altra parte del corso fece-
che altro poteva essere? – tornasse a prenderselo. Ma ro credito. Ma poi smisero.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 43


Mariana Enríquez
Ascoltammo il Horacio mise in vendita la casa. carrello, è colpa del vecchio, dobbiamo andarlo a cerca-
piano di papà, che Tutti chiudevano con vecchi lucchetti, perché non re, avanti stronzi di merda, quello ci ha fatto una ma-
non sembrava avevano i soldi per allarmi o serrature più eicaci; dalle cumba”. In Juancho la fame si notava più che negli altri,
molto sensato. case cominciarono a sparire televisori, radio, stereo e perché non aveva mai avuto niente, e viveva delle mo-
Mamma espose il computer, e si vedevano vicini che, in due o tre, porta- nete che racimolava ogni giorno suonando alle porte (e
vano via elettrodomestici su carretti per la spesa oppure gli davano sempre qualcosa, per paura o per compas-
suo, un po’ meglio,
direttamente a braccia. Vendevano tutto alle case d’aste sione, vai a sapere). Quella sera diede fuoco al carrello
ma niente di che.
e ai mercatini dell’usato dall’altra parte del corso. Ma e i vicini guardarono le iamme dalle inestre. Juancho
Accettammo gli altri vicini si organizzarono e, quando quelli cercava- aveva ragione. L’avevano pensato tutti che fosse il car-
quello di Diego: no di buttargli giù la porta di casa, brandivano coltellac- rello. Qualcosa che era lì dentro. Qualcosa di contagio-
mio fratello ci o pistole, se ne avevano. Cholo, il verduriere all’ango- so che aveva portato dalla villa, la baraccopoli.
riusciva sempre a lo, spaccò la testa all’ex tassista con il grosso spiedo che
pensare in modo usava per la carne. All’inizio, alcune donne si organiz- uella sera mio padre ci riunì in sala da
più semplice e
distaccato
zarono per spartire tra tutti il cibo rimasto nei congela-
tori; ma quando si resero conto che alcune mentivano e
accantonavano viveri per le loro famiglie, la buona vo-
lontà se ne andò a quel paese.
La Coca si mangiò il gatto, e poi si suicidò. Bisognò
andare alla sede dell’Obra social del corso perché ve-
nissero a prendere il corpo e lo seppellissero gratis.
Qualche impiegato di lì volle andare più a fondo, la gen-
te gli raccontò cosa stava succedendo, e arrivarono i
Q pranzo per parlare. Disse che dovevamo
andarcene. Che si sarebbero accorti che
noi eravamo immuni. Che Mari, la no-
stra vicina, sospettava qualcosa perché
era piuttosto diicile nascondere l’odo-
re di cibo, anche se cucinavamo facendo attenzione a
non far uscire, da sotto la porta, né il fumo né l’aroma
mettendo delle guarnizioni. Che prima o poi la fortuna
avrebbe smesso di proteggerci e che quella storia sa-
cameraman con le telecamere per registrare la sfortuna rebbe inita male. Mamma era d’accordo. Diceva che
localizzata che aveva portato tre isolati del quartiere l’avevano vista saltare sul tetto di dietro. Non poteva
alla miseria nera. esserne sicura, ma aveva sentito gli sguardi. Era suc-
Volevano sapere, soprattutto, perché i vicini che abi- cesso anche a Diego. Raccontò che un pomeriggio,
tavano più in là, solo a quattro isolati per esempio, non aprendo le persiane, aveva visto alcuni vicini correre
si mostravano solidali. Per un po’ Horacio raccontò, ma via ma altri che lo avevano osservato con aria di sida;
dopo dieci minuti tirò fuori dai pantaloni un coltello, lo cattivi, ormai fuori di testa. Non ci vedeva quasi nessu-
puntò al collo di uno di loro e gli rubò la telecamera e no, perché ce ne stavamo rinchiusi, ma per continuare
tutta l’attrezzatura, e si sarebbe anche tenuto il furgone a far inta di niente, prima o poi saremmo dovuti usci-
se i reporter non fossero scappati via terrorizzati. re. E non eravamo né magri né smunti. Eravamo spa-
Vennero gli assistenti sociali, e distribuirono provvi- ventati, ma la paura non somiglia alla disperazione.
ste, ma non fecero altro che scatenare nuove guerre. Ascoltammo il piano di papà, che non sembrava
Dopo cinque mesi, nel quartiere non ci entrava nem- molto sensato. Mamma espose il suo, un po’ meglio,
meno la polizia, e quelli che andavano ancora a guarda- ma niente di che. Accettammo quello di Diego: mio
re la tv sugli apparecchi esposti nelle vetrine dei negozi fratello riusciva sempre a pensare in modo più sempli-
di elettrodomestici del corso dicevano che nei telegior- ce e distaccato.
nali non si parlava d’altro. Ma presto rimasero isolati, Andammo a letto, ma nessuno riuscì a chiudere
perché quelli del corso li cacciavano via appena li rico- occhio. Mi girai e rigirai nel letto, dopodiché bussai
noscevano. alla porta di mio fratello. Lo trovai seduto a terra. Era
Rimasero, dico, perché noi invece continuavamo pallidissimo, eravamo tutti messi così per la carenza di
ad avere la televisione e l’elettricità, il gas e il telefono. sole. Gli chiesi se pensava che Juancho avesse ragione.
Dicevamo di no e vivevamo rinchiusi come gli altri; se Fece di sì con la testa.
incontravamo qualcuno, mentivamo: ci siamo man- “Mamma ci ha salvati. Ricordi come l’aveva guar-
giati il cane, ci siamo mangiati le piante, a Diego – mio data quell’uomo prima di andarsene? Ci ha salvati
fratello – hanno fatto credito in un negozio a venti iso- lei”.
lati da qui. Mia madre aveva trovato il modo di conti- “Finora”, dissi io.
nuare ad andare al lavoro saltando sui tetti (cosa non “Finora”, disse lui.
facile in un quartiere dove le case erano tutte basse). Quella notte, sentimmo odore di carne bruciata.
Mio padre poteva prelevare i soldi della pensione dal Mamma era in cucina; ci avvicinammo per chiederle
bancomat, e pagavamo le bollette online, perché ave- se era impazzita, mettersi a cuocere una bistecca ai
vamo ancora internet. Non ci saccheggiarono; forse ferri a quell’ora, se ne sarebbero accorti tutti. Ma lei
per via del rispetto verso la dottoressa, o perché erava- tremava accanto al piano di lavoro.
mo grandi attori. “Questa non è carne qualsiasi”, ci disse.
Fu Juancho che, dopo aver rubato dell’alcol in un Aprimmo appena le persiane, e guardammo in alto.
grande chiosco lontano dal quartiere, mentre si beveva Vedemmo che il fumo arrivava dal terrazzo della casa
il suo vino in bottiglia seduto sul marciapiede cominciò di fronte. Ed era nero, e aveva un odore diverso da ogni
a urlare e a imprecare. “È quel carrello di merda, il car- altro fumo conosciuto.
rello del poveraccio”. Per ore gridò, per ore camminò “Che vecchio poveraccio iglio di puttana”, aggiun-
avanti e indietro, menando colpi a porte e inestre, “è il se mia madre, e scoppiò a piangere. u

44 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Fumetto

Considerazioni
a matita
Rep
Con delicatezza, ironia e a volte insolenza, Rep racconta nelle sue strisce la vita
politica argentina e s’interroga sull’assurdità della condizione umana

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 47


Fumetto

48 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 49
Fumetto

50 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 51
Fumetto

Rep, il cui vero nome è Miguel Repiso, è un disegnatore e vignettista argentino nato a Buenos Aires nel 1961.
Ha cominciato a pubblicare le sue vignette sul quotidiano Página 12 dal primo numero, nel 1987.

52 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Juan José Becerra Disegni di Francesca Ghermandi

La guerra
di Beltrán
eltrán è il prodotto più eminente delle come l’ambulanza che corre verso un incidente, sulla

B
doba.
scienze umane di Laboulaye. La sua discussione di variazioni campestri sulle donne, le au-
eminenza però non comprende la fa- to da corsa, le bestie da fare arrosto e qualche altra
ma, perché se nel paese non risveglia- espressione della noia della pampa che trova la sua
no interesse né Adorno né Gramsci, né grazia e il suo formato funebre nella ripetizione.
Durkheim né Spencer, né Adams né Per fortuna adesso è mezzo sbronzo, e si confonde
Scheler, iguriamoci un epigono di tutti loro che vive in quel brulichio di sedentari immersi in un pozzo di
delle lezioni impartite all’Università nazionale di Cór- alcol in cui si è trasformata la festa annuale dei Beltrán
al Club social Carlos Gardel. Ha appena
Tuttavia, La voz de Laboulaye aveva Ha argomentazioni divorziato, e il ricordo dello spleen matri-
pubblicato un breve testo con tanto di storiche e logiche e moniale lo conforta, nonostante sia triste
foto quando Beltrán vinse il premio Kó- perino una retorica per aver perso la metà di quel poco che
nex per gli studi umanistici, e un altro – passabile, ma nel aveva potuto mettere da parte dopo aver
più corto – quando la casa editrice indi- paese non lo impartito un milione di ore di lezione.
pendente Ayuntamiento pubblicò i suoi capiscono. Quello Sandro, il cugino di Beltrán, ascolta
Ensayos reunidos, una raccolta di saggi il che dice entra da un Billie Jean e si alza dalla sedia come spin-
cui oggetto di analisi era la disugua- orecchio della to da una molla arrugginita. La reazione,
glianza in America Latina, l’ossessione nella sua scompostezza, ha un che di po-
comunità ed esce
pubblica di Beltrán. stumo. Qualcosa scatta in Sandro ogni
Non c’è chiacchiera da cafè o riunio-
dall’altro volta che sente i primi accordi della can-
ne familiare in cui non tiri fuori l’argo- zone: qualcosa di oscuro, frutto di una
mento, come se dissotterrasse un mostro che tutti si magia nera, che l’euforia suscitata attorno a sé per la
riiutano di vedere perché quel mostro è un po’ come sua mancanza di ritmo non riesce a cancellare. Qual-
uno specchio. Ovviamente Beltrán ha ragione, e dalla siasi cosa sia quel mistero, si trasforma in una felicità
JUAN JOSÉ sua ha argomentazioni storiche e logiche e perino una di uomo triste, di contrasti che risplendono dentro di
BECERRA retorica passabile, ma nel paese non lo capiscono. lui e che trovano in quello spettacolo l’espressione più
è uno scrittore e Quello che dice entra da un orecchio della comunità deprimente attraverso il divertimento.
giornalista nato a ed esce dall’altro come un soio d’aria pura. Trascina le espadrillas con la suola di gomma,
Junín nel 1965. Il suo Ma così come insiste a predicare nel deserto ideo- scuote le mani come rami d’albero in preda a venti mu-
ultimo romanzo è El logico di Laboulaye, è anche un uomo dagli afetti im- tevoli e imprime un movimento pendolare al sedere e
artista más grande del
perturbabili, una caratteristica che inisce per impri- alla pancia, rendendo instabile il centro di gravità del
mundo (Seix Barral
mere alle discussioni la giusta tensione evitando che si suo corpo che, sul punto di cadere, si alza.
2017). Il titolo
originale di questo
tronchino rapporti. All’improvviso fa marcia indietro, I denti, fuori posto dalla nascita, contribuiscono a
racconto è La guerra e i suoi discorsi monograici sulla distribuzione della creare la maschera di una commedia che vira verso la
de dos hombres. La ricchezza e il disastro culturale prodotto dalle econo- satira in cui cadono, triturati, i ballerini professionisti
traduzione è di mie senza valore aggiunto, a cui Laboulaye si ascrive e lo stesso Michael Jackson. Perché Sandro non rispet-
Francesca Rossetti. in dalla sua fondazione, si spostano a tutta velocità, ta niente di ciò che evoca la musica: e quello che rispet-

54 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 55
Juan José Becerra
ta meno è la jacksonmania, il moonwalk che le sue
espadrillas si riiutano di emulare.
Beltrán si è messo a pensare a questo episodio dopo
la festa, cominciata alle dieci di mattina e inita alle die-
ci di sera. Si è messo a pensare allontanandosi sempre
di più dalla formulazione di un giudizio. La sua memo-
ria gira in cerchio. “Il pensiero è movimento”, dice la
voce di Beltrán, citando qualcuno che non sa più chi sia.
Il primo danno di leggere così tanto è la smemoratezza,
la confusione dei nomi. Si consola dicendosi, come un
cavallo che doma se stesso, che qualcuno l’ha detto, e
che non importa più chi sia stato.
Gli è piaciuto molto suo cugino che ballava contro la
canzone di Michael Jackson, negando la igura di Jack-
son e quella coreograia cristallizzata dagli imitatori.
Ogni volta che Sandro balla Billie Jean, il ballo è sempre
diverso. Balla sempre un’altra cosa, scivolando verso
un processo di distruzione del trionfo. Non sa ballare,
ma il suo ballo è un’arte. Sandro balla e Billie Jean entra
in crisi, e con lei l’industria dell’intrattenimento, pensa
Beltrán nella solitudine del bar dell’hotel Mediterrá-
neo, che dà sul iume della ruta 7 da cui vanno e vengo-
no camion in iamme nella notte.
Ordina un’altra birra. L’obiettivo è spezzare la soli-
tudine. Si dice che il mondo cambia quando si avvicina
qualcuno, ed è quello che prova Beltrán, che ringrazia
la cameriera e si mette a issare lo schermo nero del te-
levisore. Ma l’idea di rilettere sull’oggetto vuoto, di
dare un senso a quel rettangolo da cui, secondo Beltrán,
sgorgano le acque relue dell’intrattenimento politico
che avvelena Laboulaye, all’improvviso viene meno.
Le luci alte di un suv proiettano un liquido argentato
sui vetri del bar dell’hotel. O è solo un’immaginazione
ottica di Beltrán, in preda ai fumi dell’alcol? Si aprono le
porte del suv e poi quelle del bar. L’energia impiegata in
entrambe le azioni, che si fondono per la velocità super-
sonica a cui avvengono, ha l’impeto messianico di una
violazione di domicilio.
Entra Ballesteros, si siede a un tavolo, prende il tele-
comando e mette su El mejor domingo, il programma
che tutta Laboulaye segue. “Non può essere”, dice Bel-
trán. È una frase concepita per negare qualcosa che già una silata di donne bellissime, commedie di carità,
è, e a cui Beltrán si aferra per qualche secondo di tran- raccolti record, fondi immobiliari, prestiti agevolati
sizione, in cui chiude gli occhi. Il risultato di questo ri- della banca nazionale, esenzioni iscali, brogli conta-
iuto al quadrato è l’inesistenza temporanea di Balleste- bili, quantità di glifosato suicienti a sigurare mezza
ros. Quando li riapre, lo vede. Sta teso al bordo del tavo- Laboulaye e una logica sconcertante per qualsiasi re-
lo, forse per ascoltare meglio Jorge Santiago, il condut- gime, salvo per quello dell’economia capitalista, che
tore di El mejor domingo, che spara contro i suoi detrat- moltiplica esponenzialmente tutte queste cose igno-
tori e difende senza mezzi toni i proprietari terrieri. rando la legge dei rendimenti decrescenti.
“Cosa c’è in un nome?” o “cosa c’è in un uomo?”, si Un demonio linguistico si agita nei corridoi cere-
chiede Beltrán. Crede che una delle due frasi sia una brali di Beltrán, da cui evade una hit della letteratura
citazione di Shakespeare, ma non ha mai avuto il pia- di sinistra: “Ti riassumo la mia teoria in questa singola
cere di leggerla. Diciamo che gli è rimasta appiccicata espressione: abolizione della proprietà privata”. La
nei suoi andirivieni per i corridoi dell’università che voce di Beltrán, veicolo fatiscente dove viaggiano co-
uniscono scienze sociali e lettere e ilosoia. Diciamo me possono Marx ed Engels, rimbalza come la gom-
che gli è arrivata come un pettegolezzo. E in Balleste- mapiuma contro il soitto del bar. Beltrán crede che
ros, cosa c’è? Possedimenti, pianure ininite, innume- l’hotel Mediterráneo stia tremando davanti alla sua
revoli capi di bestiame vivi o nelle celle frigorifere, sida, e nella sua immaginazione si accendono scintil-
crociere alle Bahamas con partenza da New York, 4x4 le prerivoluzionarie. Ma quello che sente Ballesteros è
impenetrabili all’occhio umano (e fango di proprietà un rumore di cose vecchie che si rompono in aria, un
che copre le carrozzerie come un Golem avvolgente), rumore incomprensibile ma suiciente perché il suo

56 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Per Beltrán non
esiste potere più
grande di quello di
avere un segreto. A
parlare sono buoni
tutti, invece tacere
è un’arte nascosta,
nota soltanto a chi
ce l’ha. Ragion per
cui tace, in stato di
superiorità

corpo reagisca voltandosi e ritrovandosi davanti Bel- di poter testimoniare la loro esistenza, e la cameriera
trán. del Mediterráneo non poteva sapere che la gentilezza
Passano alcuni secondi in cui la memoria di Balle- di Ballesteros era il cavallo di Troia su cui viaggiavano
steros si carica di dettagli legati a Beltrán. La carica è gli eserciti dell’ironia.
negativa. Quando torna da quel viaggio, un viaggio nel Ballesteros sapeva al livello più profondo, quello
senso sbagliato delle cose, piega la testa come le bestie dell’intuizione, quanto potesse essere colpito Beltrán
che non trovano lo spazio mentale per quello che ve- nel sentirsi chiamare Beltranito, un’allusione incelabi-
dono, e gli dice: “Beltranito! Allora, come va questa le alla sua condizione di iglio di Beltrán, leggendario
ilosoia? Sei sempre in carcere?”. fattore alle dipendenze di Ballesteros che quest’ultimo
Alcuni minuti più tardi, quando la situazione inì aveva sfruttato senza pietà inoculandogli ogni giorno,
fuori controllo e arrivarono i poliziotti, la cameriera dall’alba al tramonto, il placebo della falsa amicizia.
dell’hotel Mediterráneo raccontò alla polizia che, a Fu altrettanto eicace chiedergli della ilosoia, un
suo parere, Ballesteros si era rivolto a Beltrán con tono modo per evitare di chiedergli della sociologia, ovvero
gentile, quasi afettuoso, per cui le era sembrato in- della politica, un ambito in cui Beltrán considerava
comprensibile l’atteggiamento di Beltrán. Tipico mi- Ballesteros un carneice strutturale.
raggio della percezione. Cosa possono saperne i testi- Domandargli se era ancora in carcere aveva diversi
moni di quello che succede, pur “trovandosi sul luogo signiicati, e Beltrán li colse tutti. Perché cos’altro signi-
dei fatti”? Trovarsi sul luogo dei fatti è l’unica cosa che icava fargli quella domanda se non mettere in discus-
possono dire a loro favore, ma è un vantaggio senza sione il suo lavoro per i laboratori di sociologia dell’uni-
valore. I fatti sono fenomeni inarrivabili per chi crede tà penitenziaria di Laboulaye che, per inciso, aveva

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 57


Juan José Becerra

smesso di fare da anni? Quello che stava dicendo Balle- sto a Gonzalo Sardi, il pilota automobilistico che aveva
steros era che lui non era mai andato più in là dell’inse- la metà dei loro anni, di condividere qualche ora di ses-
gnare Gramsci nell’ostracismo delle celle. Era ancora lì, so all’Hilton di Puerto Madero durante un viaggio dei
a fallire, a sprecare saliva pronunciando termini del loro mariti negli Stati Uniti per l’US open.
gergo rivoluzionario, parlando all’aria e sentendo nelle L’incontro non era avvenuto per cause non meglio
vene l’indiferenza dei delinquenti, per i quali lui era un precisate, ma il desiderio c’era stato, e aveva siorato la
nemico alla pari di Ballesteros o di monsignor Arregui, disperazione. Beltrán lo sapeva perché aveva ascoltato
il vescovo velatamente nazista di Laboulaye. “Sei anco- (e aveva ancora) l’audio in cui la moglie di Ballesteros
ra in carcere?” signiicava: “Sei ancora sepolto sotto le diceva all’emissario che aveva contattato il pilota: “Di’
stesse macerie ideologiche, senza avanzare e senza ne- a Gonzalo che quello che faremo non sarà mai succes-
anche retrocedere, mentre io, lo Zorro Ballesteros, che so. Hai capito? Vogliamo solo scoparlo, poi chi si è visto
sono nato milionario, continuo ad accumulare ricchez- si è visto. Non registriamo niente, nessuno ne saprà
za senza muovere un dito?”. niente. Figurati: lo Zorro mi ammazza. Ma deve essere
Beltrán avrebbe potuto far scendere dal piedistallo sabato prossimo, tra le tre e le sei, oppure niente. Io, Vi-
Ballesteros. Bastava ricordargli quello che gli avevano cky Gallo e lui. Non mi dire che non è meglio di vincere
raccontato di sua moglie. L’aneddoto si era difuso per una gara”.
tutti i iumi di Laboulaye che trasportano i pettegolezzi Per Beltrán non esiste potere più grande di quello
(ed era arrivato in tutti i porti, meno quello di Balleste- di avere un segreto. A parlare sono buoni tutti, invece
ros). Quello che gli avevano raccontato era che sua mo- tacere è un’arte nascosta, nota soltanto a chi ce l’ha.
glie, insieme alla moglie del Mono Gallo, aveva propo- Ragion per cui tace, in stato di superiorità. Ma poi c’è

58 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


vò i fatti con curiosità e riconobbe in quegli abbracci il
iorire dell’amore isico tra due uomini che la polizia
fece fatica a separare. Erano incollati dal cemento
dell’attrazione (l’attrazione dell’odio).
Ma il danno più grande che subirono fu l’incertezza
reciproca del risultato. Chi aveva vinto? La cameriera
disse che avevano inito pari, che nei venti minuti del-
la zufa prima aveva prevalso l’uno e poi l’altro, e alla
ine non si era imposto nessuno. Quando lo venne a
sapere Julio Derch, che promuoveva gli spettacoli che
arrivavano a Laboulaye da Buenos Aires, gridò di feli-
cità commerciale: “Venti minuti! Ma è uno spettacolo
lungo!”.
Derch cominciò a muoversi. Parlò con il sindaco Sa-
laberry. Gli propose di montare una gabbia ottagonale
nel deserto come quelle per i combattimenti di arti
marziali miste e di tirarci dentro Beltrán e Ballesteros.
Nel deserto o nella zona dei Bañados de la Amarga, per Beltrán
promuovere il turismo. Si potevano attrezzare aree di immaginava
ristorazione, costruire moli per la pesca, piazzare scher-
la lotta
mi pubblicitari, organizzare concerti. “Sto parlando
contro Ballesteros
della tua rielezione”, disse Derch.
Salaberry sospirò e poi incamerò tutto l’ossigeno del come una
mondo. La prima cosa che provò fu una volgare espe- possibilità legale
rienza di perdita che, nonostante tutto, gli fece male per prenderlo a
(era la goccia che svuotava deinitivamente il vaso dopo botte, ma anche
quattro anni di gestione senza successi); poi tornò a vi- per creare una
vere aggrappandosi alla parola rielezione. “Rielezione coscienza
è risurrezione”, disse a Derch. Chiamò subito il suo re- sociale sulle
sponsabile culturale, l’ingegnere Fazzano, un composi- disuguaglianze
tore di sonetti che per anni aveva riempito le bibliote- a Laboulaye
che di Laboulaye di libri autopubblicati.
Fazzano, Derch e Salaberry presero un cafè all’Au-
tomobile club argentino al chilometro 483. Parlarono
in nome della loro vocazione più profonda e nascosta,
quella di organizzatori di grandi eventi. Salaberry dis-
se che bisognava mettere a punto i dettagli dello spet-
tacolo perché per quanto si trattasse di una commedia
della violenza, le cose potevano sfuggire di mano se le
redini del comando non erano salde e corte (di tutte le
metafore usate dagli abitanti di Laboulaye per sostitu-
un’altra forza che lo trattiene, ed è quella che gli dice ire i modi più diretti di riferirsi alla realtà, la metà allu-
che il suo problema con Ballesteros non è personale: è deva ai cavalli).
politico, e quindi economico. Tacque e chiese agli altri se gli sembrava una buona
“Tutto bene, Ballesteritos. E tu? Sempre intento a idea che l’arbitro del combattimento fosse Néstor Pi-
rubare ai poveri, come tuo padre e tuo nonno?”, disse tana, l’uomo che aveva diretto la inale di Russia 2018.
Beltrán. Ballesteros sorrise davanti all’aggressione Fazzano disse che non era sicuro che Pitana sapesse
come se entrasse in una festa di cui sarebbe stato il qualcosa di lotta libera. “Il punto non è sapere, Fazza-
protagonista. “Rubare ai poveri? Io?”, disse Balleste- no. È l’autorità”, rispose Salaberry.
ros, prendendo aria per assumere l’iniziativa. Beltrán Derch si occupò ossessivamente della logistica.
non gliene lasciò tempo: “La tua fortuna inirà. Siamo Bisognava noleggiare spalti per 25mila spettatori, cor-
in una guerra di posizione. La guerra di movimento sta rispondenti al numero di abitanti che aveva Laboula-
per arrivare. È questione di tempo, e mi piacerebbe ye, e alcuni schermi giganti a led nel caso fossero arri-
sapere da cosa ti maschererai quando arriverà. ‘Guer- vate persone dai paesi attorno. Poi chiese, guardando
ra di posizione’ e ‘guerra di movimento’. Sono concet- Salaberry negli occhi, dove brillavano i suoi afari di
ti di Gramsci. Cercali su Google”. stato, se il comune avrebbe aidato la costruzione del-
Si presero a cazzotti. Volarono sedie e tavoli, piatti e la gabbia ottagonale alle aziende metallurgiche di La-
bicchieri, posaceneri da terra e vasi da iori. Nel frat- boulaye, o se invece avrebbe chiuso l’afare con quella
tempo gridavano parole dalla punta arrugginita: “la- di Bell Ville, a cui aveva già concesso diversi appalti
drocinante”, “plutocrate”, “manigoldo rurale”, “sotto- diretti.
proletario”, “lurido”, “bolscevico”. La cameriera osser- Salaberry sciolse i nodi che legavano i suoi occhi a

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 59


Juan José Becerra
La televisione e i quelli di Derch, che tornò alla carica dal ianco: “Va folla si diresse verso i Bañados de la Amarga. Dai droni
quotidiani di bene. Questione musica. Bisogna pensare a una co- della polizia era visibile la portata dell’evento. La pol-
Buenos Aires lonna sonora. Io direi: inno nazionale per l’apertura, vere del deserto si levava in mulinelli conici, e la lagu-
avevano pompato qualcosa dei Metallica quando arrivano gli avversari e na riletteva il colore del cielo, che a volte era celeste e
lo spettacolo per We are the champions per la proclamazione del vincito- altre volte grigio. C’erano cameramen dei canali na-
re”. “Non ti stai dimenticando qualcosa?”, disse Sala- zionali e a mezzogiorno più di centomila persone a
settimane,
berry. Alla memoria di Derch si presentarono Los Ca- occhio e croce si aggiravano nei pressi della gabbia e
all’inizio dandogli
stores, il quartetto di musica folclorica a cui apparte- degli schermi, un fatto che preoccupò le forze di sicu-
un proilo da circo nevano due cugini di Salaberry, che cantavano “Zam- rezza federali.
creolo e in seguito ba de Laboulaye”. “Ah, sì, cazzo, come ho fatto a di- Alle sei di sera Salaberry pronunciò un discorso
aggiungendo, per menticarmi dei The Castors? Ovviamente bisogna scritto da Fazzano che, come la pallina di un pendolo,
noia o bisogno di chiamarli. Io direi di farli suonare alla ine, così chiu- chiamava in causa con la stessa forza la memoria sto-
audience, strati diamo con dei versi di unione e ce ne torniamo tutti rica del paese e la sua rielezione. Ricordò (come se ce
sempre più spessi felici a casa, siete d’accordo?”. ne fosse bisogno) che fu Sarmiento a dare al paese il
di dramma sociale Fazzano fu l’emissario incaricato da Salaberry di nome dell’amico Édouard Laboulaye. “Dire Laboula-
convincere Ballesteros e Beltrán. Ballesteros lo accol- ye è dire libertà. Ma non libertà che si declama, bensì
se nella galleria di La Dorita e accettò subito “per amo- libertà che si fa”, disse Salaberry, raccontando ai ra-
re del circo”. Aveva bisogno di imprimere un tocco pop gazzi del luogo, e rimproverando alcuni per la loro
alla sua igura ributtante. Disse anche: “Lotterò come ignoranza, che Édouard Laboulaye fu la persona che
un gentiluomo”. Fazzano accolse i suoi aforismi con ebbe l’idea che il governo francese regalasse agli Stati
fastidio e tirò fuori un sonetto inedito ispirato a Balle- Uniti La Liberté éclairant le monde che si erge alla foce
steros, intitolato Narciso cae al lago, Narciso cade nel dell’Hudson. “E noi abbiamo la nostra”, disse Salaber-
lago. ry alzando gli occhi appannati da un inizio di cataratta
in cui si leggeva emozione verso una replica goniabile
l primo tentativo di convincere Beltrán fu fal- della statua della Libertà a scala naturale, legata a ter-

I limentare. La seconda volta fu necessario of-


frirgli dei soldi (in nero, perché non voleva
macchiarsi con un contratto d’opera irmato
da Salaberry) e fargli vedere che l’evento
avrebbe portato dei beneici secondari, come
quello di promuovere una sua candidatura a sindaco
per l’opposizione, dove i partiti di sinistra languivano.
Accettò, ma introdusse una clausola all’ultimo mo-
mento: Derch avrebbe dovuto dare all’evento una por-
ra con pali da cinque metri.
La televisione e i quotidiani di Buenos Aires aveva-
no pompato lo spettacolo per settimane, all’inizio dan-
dogli un proilo da circo creolo e in seguito aggiungen-
do, per noia o bisogno di audience, strati sempre più
spessi di dramma sociale. Riuscirono a rispettare il ti-
tolo dell’evento solo per qualche giorno. Poi sostitui-
rono “La lotta della libertà” con “La guerra della liber-
tà” e più tardi con “La guerra nazionale”, ma solo negli
tata nazionale, e ancor meglio internazionale, se pos- ultimi giorni, quando avevano già cominciato a tra-
sibile. smettere in diretta dai Bañados de la Amarga, trovaro-
Beltrán immaginava la lotta contro Ballesteros co- no inalmente un nome deinitivo: “Argentina: la bat-
me una possibilità legale per prenderlo a botte, ma taglia finale”, attizzando il fuoco delle biografie di
anche per creare una coscienza sociale sulle disugua- Beltrán e Ballesteros, irriconciliabili come l’acqua e
glianze a Laboulaye, che erano le disuguaglianze del l’olio.
mondo. La vedeva come una rappresentazione molto La catastrofe fu un prodotto deinito con laboriosi-
fedele della lotta sempre più silenziosa tra capitale e tà di insetto in tutti i suoi dettagli. Diverse concatena-
forza lavoro e, chi poteva dirlo, lo spettacolo che Sala- zioni casuali conluirono e si attivarono con la massi-
berry stava organizzando per la sua rielezione avrebbe ma eicacia distruttiva. Ma per ragioni che esulano
potuto diventare il germe di una rivoluzione inattesa. dalla tradizione della storia e dalle predizioni più ordi-
Nel suo saggio breve sulla violenza (Sociedad y vio- narie della politica, nessuno le vide arrivare.
lencia: una historia de amor, Editorial Plusvalía, 2012), Cominciò il combattimento, in parità e con la ten-
Beltrán aveva sviluppato un’ipotesi sui tratti generali e denza di un contraccolpo sferrato a testa. Il sangue di
particolari della violenza. Diceva che la violenza era Beltrán e Ballesteros cadeva in gocce indistinguibili
generale e particolare, ragion per cui era sicuro che sul tappeto ottagonale. Fuori non c’erano più i cento-
una lotta contro Ballesteros dentro una gabbia fosse mila partecipanti della mattina, ma un numero di per-
un aggiustamento dei conti tra due persone, ma anche sone incalcolabile. Migliaia, decine di migliaia, centi-
una guerra mondiale. La frase più spettacolare del naia di migliaia di persone si muovevano in direzione
saggio sembrava virare verso l’oscurità della supersti- dei Bañados de la Amarga a piedi, in macchina, in mo-
zione (ovvero verso un’afermazione senza un soste- to, a cavallo (e quelli che non ci andarono si avvicina-
gno statistico né scientiico): “L’esperienza universale rono con l’immaginazione). Tutto il paese sembrava
più importante della società e degli individui consiste scivolare in quella direzione, dove non c’era altro che
in tre attività: osservare atti di violenza, commettere folla e violenza contenuta. Fino a quando qualcuno
atti di violenza, dimenticare atti di violenza”. non decise di manifestare la sua felicità o il suo entu-
La sida tra Beltrán e Ballesteros fu annunciata co- siasmo con un petardo e tutto inì, purtroppo, come già
me “La lotta per la libertà”. Ancora prima dell’alba, la sappiamo. u

60 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Pola Oloixarac Disegni di Stefano Ricci

Rivolta
sociale
uella mattina Mara passò da casa di sua Cris avrebbe preferito non ascoltare un riferimento

Q madre a prendere della biancheria puli- così diretto alla coda; era una donna abbastanza fatta e
ta. Scivolò silenziosamente tra le poltro- inita – e sola, e presto vecchia – per sapere di essere in
ne del salotto; non voleva incrociarla. grado di sopportare la vista della coda, ma non per par-
Nella biblioteca, accanto ai libri di Eduar- larne. Quique non fu intimorito dagli sguardi assenti di
do Galeano e di Gabriel García Márquez, Cris. Li interpretava come lo spiegamento di una logica
il computer mostrava un solitario lascia-

pressa perché Quique, l’attuale idanza- uiciale, Quique e


to, girava per casa senza fare niente. Qui- Cris avevano
femminile che lubriicava la sua versione
to a metà. Sua madre, Cris, era un po’ de- Secondo la versione della conquista alcuni secondi prima di
lanciarsi, insaziabile, nell’accoppiamen-
to. La dolcezza della disperazione era un
que cominciò dimenticandosi lo spazzo- militato insieme per bene inalienabile nelle signore di
lino da denti e poi ofrendosi gentilmente un breve periodo nel mezz’età, per cui il sesso casuale presto
(in modo sospetto) di cucinare, fino a Partito comunista sarebbe diventato un gioiello di famiglia
quando un giorno lei lo guardò isso e gli rivoluzionario di La che nessuno avrebbe voluto toccare. Qui-
disse senti, io penso che in un rapporto di que era ottimista, e lo slogan dell’assem-
Plata, anche se
coppia la cosa più importante sia rispet- blea era “mani al lavoro, cambiamento e
tare i tempi l’uno dell’altra, ma se ne hai
probabilmente era rinnovo” (aveva una causa per alimenti
bisogno, fammi inire per favore, se dav- una #fakenews avviata da Norma, la sua precedente
vero ne hai bisogno, puoi restare da me. compagna). Quique socchiudeva gli oc-
Quique aveva gli occhi marroni e un’aria disorientata, chi, avvicinava il bicchiere di vino e interpretava il suo
priva però di tutto quello che rende il disorientamento ruolo civile di bravo ragazzo giocando a essere minac-
una cosa attraente o romantica. cioso: “All’epoca ti tenevo d’occhio, ma tu stavi con un
“Non mi riconosci perché ora non mi tingo più i ca- tipo”.
pelli e ho la coda”, disse lui, avvicinando il muso. Cris strinse le labbra. Essere la destinataria della
POLA OLOIXARAC Pur avendo preso una laurea passabilmente umani- seduzione di Quique non la convinceva affatto, ma
è una scrittrice e stica, Quique continuava a sembrare un ragioniere; l’idea di se stessa nel passato la risvegliò dal suo letargo.
giornalista nata a forse per questo, contro questo, raccoglieva i suoi ca- Rise con una risata un po’ isterica, venata di complicità:
Buenos Aires nel pelli lisci in una coda, cosa che aggravava la situazione. sì, di sicuro stava con qualcuno. Quique sentì che altri
1977. In Italia ha Secondo la versione uiciale, che avrebbe difeso arma- uomini intorno gli facevano segni con le braccia, invi-
pubblicato Le teorie to di un bicchiere di vino rosso alla iammante assem- tandolo a procedere, come se fosse in macchina e do-
selvagge (Dalai
blea popolare di quartiere “Palermo avanti”, Quique e vesse parcheggiare; va’ avanti, pensò, mentre faceva
Editore 2012). Il titolo
Cris avevano militato insieme per un breve periodo nel scivolare con prudenza il pollice sul passante dei jeans
originale di questo
racconto è Nuevas
Partito comunista rivoluzionario di La Plata, anche se di Cris. Cris si accorse della mano vicina al suo sedere e
condiciones para la probabilmente era una #fakenews, perché saltò fuori disse: “Fa’ attenzione. Guarda che io sono di quelle che
revolución. La che Quique aveva studiato per un certo periodo lettere s’innamorano. Se fossi in te ci penserei due volte”. Se
traduzione è di prima di passare a sociologia, e aveva sempre vissuto a Quique avesse avuto vent’anni di meno, avrebbe scom-
Francesca Rossetti. Caballito. messo con se stesso su quanto tempo ci avrebbe messo

64 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 65
Pola Oloixarac

a penetrarla da dietro; ora invece, maturo e sereno, tirò Rúa si traduceva in un campo semantico di “urgenze”,
leggermente fuori la lingua prima di toccarle le labbra. “cambiamento” e piani per il futuro della società. Qui-
Poi le raccontò di quando si era imbarcato per la que sorrise tra sé e sé ritrovandosi ad assaporare parole
Spagna, nel 1974. Cris lo guardò isso, scandalizzata: molto simili, rispolverando una vecchia tattica applica-
“Ma se quello è stato il momento più luminoso! Tutta la ta a Barcellona e a Parigi sulle iche appena arrivate;
nostra generazione, come mai prima, per strada! Non l’impegno politico spingeva a una forte fusione con al-
puoi essertene andato davvero nel 1974!”. Esagerava tre vite. Ogni notte d’amore era l’ultima. Il suo amico
un po’ questi entusiasmi, consapevole del fatto che spa- Rodrigazo suonava alla chitarra il repertorio perfetto, e
lancare gli occhi e alzare il tono della voce facevano la voce di Quique non era male; oltre agli accordi della
parte della messa in scena della politica, della passione compilation Cuba libre e le hit rivoluzionarie, non c’era
e, quindi, di se stessa. I gruppetti di manifestanti che tempo da perdere, domani potremmo essere morti!;
chiacchieravano lì vicino notavano la sua presenza ap- docili, le ragazze si spogliavano, pronte a consumare lo
passionata, agguerrita e giovane. “E quando abbiamo scettro della passione oferta. All’epoca Quique porta-
liberato i detenuti! E quando abbiamo occupato il cen- va pantaloni a campana e mocassini alti; allo zaino ave-
tro studentesco e abbiamo cacciato tutti i reazionari! E va attaccata una decalcomania che diceva “Sorridi,
quando...”. Perón ti ama”.
Con un improvviso gesto di tenerezza che esasperò Cris sospirò, leggermente nervosa; questo dev’esse-
Cris, Quique le prese dolcemente il mento: “Sentivo re un codardo, un vanitoso supericiale. Un lieve calo
che qualcosa non andava per il verso giusto, Cris. Le della tensione elettrica la incupì per qualche istante.
prerogative massimaliste stavano spingendo il carro Buttò lì: “Sono stati tempi molto diicili, sai, per chi è
degli avvenimenti verso un bivio. Poi stavo con una tipa rimasto qui”. Lui la tirò a sé con tutta la virilità di cui fu
che si stava trasferendo, tutte le sue cose erano sulla capace; dai jeans di Cris pendeva un portachiavi a for-
nave, e sono salito anch’io”. Cris stringeva di nuovo le ma di cuore, e Quique aveva un’erezione feroce. Voleva
labbra, la sua attenzione si spostava di continuo. “Cris, strusciarsi addosso a lei per farglielo capire, pensando
le basi erano lontane dal loro centro. La logica della che forse ne sarebbe stata contenta, e proprio in quel
congiuntura stava andando a farsi benedire. Ho lascia- momento misero una canzone di César “Banana”
to il peronismo quando mi sono reso conto che la vio- Pueyrredón.
lenza era l’unica strada che mi restava da percorrere. In “Pronti a fare baldoria!”, disse Eduardo. Arrivava
realtà ho avuto un momento metodologicamente mar- portando in equilibrio un vassoio con una crostata pre-
xista, ma di bandiera peronista”. parata dalla compagna Irma, una cuoca disoccupata,
Il contesto aiutava. La caduta del governo di De La per il club del baratto. Era normale mettere un po’ di

66 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


musica prima di un corteo o di una mobilitazione, per- me se volesse allontanare certe immagini. Quique in- La storia di
ché stimolava la coesione. Si organizzavano laboratori combeva su di lei come un portiere in attesa del calcio Horacio risaliva a
di murga, organo, italiano, cucina ebraica e riciclo di di rigore. qualche giorno
mobili, e tavole rotonde come riciclaggio dei riiuti, va- “Esci”, disse Mara. prima del
lori collettivi e protesta sociale. Quique doveva organiz- Per Mara sarebbe stato facile distruggere quel sinto- cacerolazo. Sua
zare un laboratorio di pensiero, e per questo andava in mo depressivo di sua madre. Cris non avrebbe tollerato
madre era entrata
giro con le sue edizioni di Marcuse e Horkheimer. Tutti certi casini; sarebbe stata presa da ondate di rabbia che
in casa come una
avevano portato liquori fatti in casa, whisky, granatina Quique (semiafogato, alla deriva) non avrebbe saputo
o qualsiasi cosa avessero a casa; si ascoltavano canzoni cavalcare; l’avrebbe cancellato, fatto sparire per sem- furia, con lo
del “Nano” Serrat e qualche Internazionale. Bastavano pre, kaput. L’ultimo pretesto edipico di Mara, Horacio, sguardo in
poche riunioni per individuare le donne single, quelle era un giornalista amico di sua madre. Una notte, in iamme. Accendi
separate, quelle pronte al sesso per il sesso e certe tipet- quella stessa stanza, dopo aver fatto sesso con lui Mara la tv, Mara, è
te a cui piaceva fare le diicili, per un po’, come la madre aveva fatto un movimento brusco e con un calcio l’ave- arrivata la rivolta
di Mara. va buttato giù dal letto. Horacio era inito in ginocchio sociale, sono scesi
Ma ora le assemblee languivano, e il club del baratto accanto a lei, esposto e vulnerabile. Senza guardarlo, tutti in piazza
fondato da Eduardo e Quique stava per chiudere. Qui- Mara si era sistemata sul cuscino e si era accesa una si-
que si sentiva solo, tradito, come se lo avessero nomi- garetta.
nato delegato alla pulizia e dopo la festa tutti se la fosse- “Perché l’hai fatto?”, chiese lui.
ro data a gambe levate. Sperava che Cris lo lasciasse “Perché mi andava di farlo”.
vivere a casa sua. Quique annunciò che avrebbe usato Il tipo le aveva dato uno schiafo che aveva fatto vo-
la stanza di Mara per farne il suo studio, anche se in re- lare la sigaretta e lei si era tirata su, iraconda, con le na-
altà dormiva tutto il giorno. rici frementi, in atteggiamento di sida. Horacio le ave-
O almeno è quello che dedusse Mara, entrando nel- va dato un altro schiafo, e lei era corsa nel bagno prin-
la sua vecchia stanza e trovandolo steso sul suo ex letto, cipale e si era chiusa a chiave. Si era raggomitolata ac-
con un libro aperto sul petto come un uccello morto. Lo canto al bidet e aveva aspettato. Aspettava che venisse
scricchiolio dell’armadio a muro lo svegliò. a cercarla, e sedendosi sulla ceramica fredda si era resa
“Ah! Mara, guarda in che stato mi trovi”. Quique si conto di essere bagnata per l’eccitazione. Aveva sentito
passò la mano sulla bocca e sorrise mostrando una ila la porta dell’ascensore aprirsi e chiudersi, e non l’aveva
di macchie di sigaretta. “Lo sai com’è Gramsci, a volte più visto.
ti mette ko”.
Mara cominciò a iccare delle magliette in una bor- a storia di Horacio risaliva a qualche gior-
sa. Quique mise un segnalibro nel volume e prese gli
occhiali. Gli arrivava l’aroma del corpo di Mara; il suo
sedere rotondo era diverso da quello della madre, ma
non troppo diverso.
“Marita, tua madre ti ha raccontato che Rodrigazo e
io abbiamo militato insieme?”.
Mara piegò una maglietta e alzò un volto inespressi-
vo; il suo sguardo mentale si era spostato. La sua testa
era piena di immagini e ricordi che forse aveva vissuto,
L no prima del cacerolazo. Sua madre era
entrata in casa come una furia, con lo
sguardo in iamme. Accendi la tv, Mara, è
arrivata la rivolta sociale, sono scesi tutti
in piazza. Quindici piani sotto, una massa
animale colorata si muoveva sull’asfalto; alle inestre
attorno, altre persone picchiavano sulle pentole al rit-
mo della folla che faceva tremare gli ediici. Cris comin-
ciò a tirare fuori vestiti dall’armadio, sparpagliandoli
o forse no. Rodrigazo (cos’altro poteva essere?) era l’ex sul letto. Devo fare le valigie anch’io?, chiese. No, Mara,
di Silvia, un’amica di Cris che era stata sequestrata a non possiamo mica andarcene, dobbiamo sostenere il
Campo de Mayo. Mara la conosceva solo come un altro popolo che si esprime, ha soferto a lungo e all’improv-
capitolo dell’ininito racconto materno: pensa, poveret- viso la volontà popolare si solleva e alza il pugno in alto,
ta, avevano ucciso il suo amore, il suo compagno di lot- non so se mettermi la gonna di jeans o i pantaloni, sarei
ta, e lei era rinchiusa lì, le toglievano il cappuccio solo più sobria. La notizia dei saccheggi nelle periferie di
per inilarle in bocca qualche porcheria o perché doveva Buenos Aires si alternava alle notizie sullo stato dei via-
baciare lui, lui e nessun altro che lui. Il suo torturatore li bloccati dagli abitanti indignati in tutta la capitale. La
era uno di quei tipi che la volevano tutta per sé. Era una città si sincronizzava in un solo fraseggio ritmico: alla
bella ragazza, biondina, non molto alta ma carina. Se la ine Cris si decise per dei jeans e un paio di scarpe da
prese come amante il Jaguar Gómez, un uomo scuro e ginnastica.
brutto, molto peloso, con una di quelle facce che quan- Il punto è che quando metti il dito nel culo alla classe
do la vedi vuoi scappare correndo, ed era anche feroce, media poi non c’è nessuno che riesca a fermarla, rilet-
solo a vederlo te la facevi sotto dalla paura. Il supercapo teva Cris colpendo con il mestolo la pentola di acciaio
dei gruppi di lavoro, immaginati il potere che aveva. inossidabile lungo avenida Coronel Díaz. Mara cammi-
Con lui non c’erano alternative, non potevi negargli nava al suo ianco; passare dove di solito passavano le
nulla, dovevi fare tutto quello che ti diceva. Credimi, macchine le ricordava i Mondiali Italia ’90, suo padre
Mara, se fossi dovuta andare a letto con un personaggio con la maglia dell’Argentina. Alcuni manifestanti si era-
del genere per salvare te e tuo fratello, non avere dubbi, no portati dietro i loro cani, che camminavano o abba-
lo avrei fatto. iavano in preda all’eccitazione. Le edicole erano aperte;
Mara chiuse la borsa con un movimento brusco, co- guardando in alto si vedevano altre inestre accese dove

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 67


Pola Oloixarac

la gente sbatteva sul metallo conduttore dell’agitazione grida, tamburi, transenne di sicurezza. Arrivate davan-
politica. Mara aveva paura che qualche autista di auto- ti al parlamento, Lucía strinse la mano sul braccio di
bus fuori di testa ne approittasse per “esprimersi” e Mara: attenzione, disse Lucía, è una trappola per met-
uccidere centinaia di persone. Non c’era polizia per terci spalle al muro.
strada. Il picco amoroso tra Mara e Lucía avvenne durante
La folla di pentole si dirigeva verso il parlamento e un’estate a Buenos Aires. Si trovavano tutti i giorni a
plaza de Mayo. All’altezza dell’incrocio tra avenida casa di Lucía con un’altra amica, Liti, una sorta di Ma-
Santa Fe e Riobamba, Mara incontrò una sua compa- rilyn Monroe brunetta e punk; alle sei, quando la madre
gna di classe, Lucía. Era da tempo che non si vedevano; di Lucía tornava dal lavoro, si disperdevano. Parlavano
Lucía le raccontò di essere appena tornata dalla Bolivia, costantemente, avevano così tante cose da dirsi! Con-
dove “la situazione rurale era arrivata al limite”. Lavo- dividevano dati e perplessità sull’universo che se ne
rava come graica per un’ong di giornalismo indipen- stava in agguato, aspettando il momento per gettarglisi
dente; il fotografo con cui collaborava spuntava qua e là addosso. Quando va bene toccargli le palle? Cos’è il pe-
nel racconto, era evidente che Lucía avrebbe potuto rineo, e dove si trova esattamente? Erano questi gli ar-
parlare di lui per ore. Mara l’ascoltava rapita, Lucía ave- gomenti che catturavano la loro attenzione. Poi le teorie
va sempre avuto un modo delizioso di raccontare e in- sul sesso si mischiavano alle storie di paura.
namorarsi delle persone. Lucía guardò l’orologio; la I genitori di Liti erano dell’Esercito rivoluzionario
stavano aspettando. Mara esagerò la sua umiltà e spie- del popolo; Liti aveva sotto gli occhi un’immagine di
gò velocemente che doveva sfuggire alla madre, in mo- sua madre incinta che correva sotto le pallottole a Ezei-
do che la decisione di camminare insieme all’amica za. Suo padre non lo confermò mai, ma lei era sicura
dipendesse più dall’indole altruista di Lucía che non che ne avesse “fatti fuori un paio”. Invece i genitori di
dalla sua voglia, e Lucía disse di sì. Camminarono tra Lucía si erano conosciuti alla Juventud cristiana, in una

68 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


aveva fatto le elementari in una scuola di suore di Bel-
grano, frequentata da molte figlie di militari; aveva
un’amica, Mariu, che era stata cresciuta dai nonni, un
colonnello dell’esercito e sua moglie. Mariu diceva che
i suoi genitori erano morti in un incidente automobili-
stico, ma poi seppe che sua madre, iglia del colonnello,
si era innamorata di un guerrigliero, e sapendo di esse-
re in pericolo aveva consegnato ai genitori le due iglie
piccole perché se ne occupassero. Il nonno le aveva rac-
contato che i suoi genitori erano soldati, che sua iglia
gliel’aveva detto dopo avergli rubato le armi e l’unifor-
me militare che teneva in casa, il nonno si vergognava e
sofriva. Nonostante tutto, quando era piccola la cosa
che piaceva di più a Mariu era montare sul carro arma-
to, ma era diicile raccontarlo senza suscitare pietà o
senza che qualcuno insultasse i suoi nonni. Altre foto di
carrista precoce mostrano Santi con un berretto da ca-
detto insieme a una madre in preda alle risate. La perdi- Mara si alzò in
ta del marito (militavano insieme) l’aveva distrutta, punta di piedi per
come raccontò ai igli, e dopo aveva ricostruito la sua
guardare più
vita a ianco di un militare gentile. La madre di Santi era
una a cui piaceva concedersi, sussurrava Juan, un ami-
lontano; c’erano
co di Santi con cui la suddetta, ormai separata, non di- centinaia di
sdegnava di mostrarsi afettuosa. Ogni dettaglio era un persone, seguite da
fascio di luce coerente che si allineava con gli altri, laser altre migliaia di
di amore e brutalità che consentivano a tutti loro di as- persone. Pregò che
sistere alla torrida scena delle loro stesse nascite. Erano arrivasse la
le iglie libresche di un paese letterario, pieno di mostri cavalleria a
e Facundos illuminati sotto il cielo nuvoloso. Così come inseguirle; avrebbe
la tragedia dà splendore alla bellezza morale di Antigo- preso Lucía per
ne, queste storie esaltavano il miracolo delle loro stesse mano e sarebbero
presenze; li coniguravano come esseri individuali e
scappate
puri, venuti da un’aristocrazia nazionale di fuoco e co-
raggio. Come bambine che si cospargevano la faccia di
fango per farsi paura a vicenda, osservavano afascina-
te la crudeltà trasformarsi in stupore, in bocche e in
espressioni proprie.
Mara ricordava ancora con nostalgia quell’estate. In
efetti voleva abbracciare Lucía e dirle che era bella; ma
bidonville dove insegnavano catechismo. Non erano la folla la spingeva in un angolo, in una strada vicina al
entrati nella lotta armata, ma avevano accettato di ospi- parlamento, e vide che Lucía stava cominciando a in-
tare diversi amici guerriglieri che in seguito erano mor- nervosirsi. Mara scoppiava di felicità: erano insieme in
ti o fuggiti. La maggior parte dei suoi compagni erano una trappola, strette in un angolo!
igli di ex militanti; alcuni genitori erano stati nemici tra “No, non di qua”, disse Lucía. In presenza del peri-
loro, perché appartenevano a un blocco della gioventù colo, l’aveva toccata. “È una trappola mortale”.
peronista (padre di un idanzato di Lucía) che aveva Tutto era nero di uomini. Riuscivano a malapena a
mandato al fronte altri peronisti (futuri idanzati o geni- distinguere le espressioni; un’ombra ipnotica circonda-
tori di idanzati di Mara). C’erano genitori che erano va i corpi e metteva i muscoli in stato di allerta. Mara si
arrivati a un accordo con la cupola lasciando gli altri al- alzò in punta di piedi per guardare più lontano; c’erano
la loro sorte, come il famoso marito di una donna che centinaia di persone, seguite da altre migliaia di perso-
era stata liberata in cambio di una lista di compagni in ne. Pregò che arrivasse la cavalleria a inseguirle; avreb-
armi. Le cose, oltre che immaginate, erano vere, e mol- be preso Lucía per mano e sarebbero scappate. Avevano
ti genitori conservavano prove contro altri (c’erano sta- paura ed erano emozionate.
te scene tortuose nelle riunioni di classe). Sole, un’altra Mara vide la truppa di graitari di stencil composta
compagna, raccontava che quando sua madre era sotto da Puwa, Teni e due ragazzi biondi, accompagnati da
sequestro era stata torturata con le scariche elettriche alcune ragazze con la testa rasata e i baschi in stile mag-
sulla pancia, e per questo lei da piccola aveva soferto di gio sessantottino. Passata la mezzanotte, gli animi era-
epilessia: faticava a ricordare i nomi dei Beatles, ma era no iniammati e la folla si ammassava contro le transen-
molto intelligente; la chiamavano “La Maga”, come il ne di sicurezza intorno al parlamento. Dopo aver grida-
personaggio di Rayuela di Cortázar, perché viveva sulla to per un po’, le ragazze salirono sulle spalle di Puwa e di
luna, un distretto molto quotato a sedici anni. Lucía uno dei biondi; tirarono fuori le macchine fotograiche

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 69


Pola Oloixarac
“Ti sto dicendo e cominciarono a ilmarsi a vicenda per immortalare la “E cosa disegnate?”, chiese Mara. Qualche mese
che se tu lottassi loro partecipazione alla protesta sociale. Le ragazze prima era andata a letto con Jeróm, ma chiaramente lui
per il diritto degli gridavano e alzavano i pugni; i ragazzi le sostenevano e non se ne ricordava.
altri a studiare, a guardavano nell’obiettivo. Poi Teni salì sulle spalle di “Cose contro l’imperialismo, il capitalismo”, rispo-
mangiare, a un altro amico e baciò una delle ragazze sullo sfondo se Jeróm, che se ne ricordava eccome.
della battaglia moltitudinaria. Era una bella cartolina. “È incredibile come tutto ritorna, no?”. Cris si se-
lavorare e a fare
Mara ricordò che Teni rimpiangeva un’altra ecatombe, dette davanti al mate. Si sentiva più sicura ripetendo
tante altre cose,
con un’altra scenograia: il suo sogno era saltare di liana frasi conosciute. “Voglio dire, qualche anno fa noi lot-
capiresti che c’è in liana su una Buenos Aires giurassica, fatta di boschi tavamo per le stesse cose. E guardali ora, i ragazzi della
una bella tropicali e strutture arrugginite di ferro; sai che bello nuova generazione, in piena ribellione popolare, che
diferenza tra sarebbe distruggere una volta per tutte questo sistema sostengono il cacerolazo, che lottano per un mondo più
vivere capitalistico corrotto, tornare animali, Mara, appen- giusto. Mi sembra ico, no?”
egoisticamente o derci agli alberi! Lucía li osservava, un po’ distante, sen- “La protesta di oggi è paciista e la vostra non lo era.
cercare in ogni za commenti afrettati che potessero turbare la purezza È una differenza enorme. E poi, questa protesta è
modo di aiutare dell’espressione popolare. un’evidente espressione di autodifesa della borghesia”,
gli altri” In quel momento Mara vide sua madre. Stava chiac- disse Mara.
chierando con Jeróm, un brunetto alto e attraente, con “Niente afatto”, disse la madre, attenta a Jeróm.
una vaga fama di ilmare le ragazze con cui andava a “Ogni epoca ha il suo discorso, ma l’importante sono le
letto. Cris stava ridendo troppo, con la bocca sempre basi, spezzare l’individualismo e lavorare per un mon-
più vicina, più aperta. La folla appena arrivata la sospin- do migliore, o no? Per te è stato tutto facile perché sei
se; erano adolescenti che pogavano al ritmo degli slo- nata qui e ti ho potuto pagare un’istruzione, un ambien-
gan e gente del Mas, il movimento per il socialismo. te sociale, ma c’è altra gente che non ha avuto quello
Mara osservò la sua mano accanto a quella di Lucía e che hai avuto tu, capisci?”.
chiuse gli occhi con forza, indovinando in lontananza i “E cosa c’entra questo?”.
cavalli irrequieti sul posto, trattenuti dal braccio fermo “Ti sto dicendo che se tu lottassi per il diritto degli
della legge montata sulla loro groppa; avrebbero potuto altri a studiare, a mangiare, a lavorare e a fare tante al-
dargli il via in qualsiasi momento. Mara non poteva tre cose, capiresti che c’è una bella diferenza tra vivere
aspettare. egoisticamente e cercare in ogni modo di aiutare gli al-
tri, in qualsiasi modo, con le armi e con i denti, se è ne-
ua madre e Jeróm si rividero all’assemblea cessario, se il momento storico lo richiede”.

S popolare di Palermo; Jeróm era andato a


curiosare perché viveva nella zona. Cris lo
accompagnò a fare alcuni stencil; lei tene-
va la maschera e Jeróm passava lo spray.
Dopo le sue mani erano in uno stato disa-
stroso ma non le importava, sguazzava nella beatitudi-
ne, al colmo della felicità. Mara fece tutto il possibile
per evitare di avere ulteriori dettagli sui nuovi hobby
materni; ma non passò molto tempo prima che arrivas-
Cris bevve il mate. Aveva alzato un po’ la voce, è ve-
ro, ma cosa doveva fare? Era energica e passionale. Ma-
ra contrattaccò: tutti i fascismi promuovono gli ideali
più elevati per giustificare la violenza (per esempio
Bush sbandierava come suoi i valori della libertà e della
democrazia), e Cris notò che Jeróm sembrava muovere
la testa in sincronia. Servì di nuovo il mate e glielo avvi-
cinò; Jeróm la ringraziò senza guardarla.
Il giorno dell’inaugurazione del club del baratto,
se il giorno in cui fecero colazione insieme tutti e tre. Jeróm arrivò all’assemblea di quartiere in compagnia
Faceva caldo, e Jeróm era a torso nudo, a capotavola; la di una ragazza giapponese con i capelli rosa; Cris l’ave-
mancanza di igiene esaltava la sua mascolinità. Quasi va vista aggirarsi nei gruppi stencil. L’atteggiamento
in preda a convulsioni di gioia, Cris scaldava l’acqua per soddisfatto di Jeróm era un segno del fatto che andare
il mate. a letto con lei non aveva presentato nessuna diicoltà,
Mara si sedette a tavola senza dire niente. Jeróm doveva rendere bene sulla videocamera. Mentre Qui-
sprofondò sulla sua sedia, strizzando l’occhio a Cris; lui que e i suoi amici distribuivano la crostata, Cris si rese
non doveva spiegazioni a nessuno. conto che la sua storia d’amore con le nuove modalità
“Con Cris abbiamo fatto qualche stencil. Non sai della guerriglia era inita, senza eccessivi efetti spe-
che belli! Sono meglio, più espliciti”. Notò che la sua ciali.
idea risultava incompleta. “Voglio dire, più dei grai- Tra le altre delusioni di quell’estate, il temuto reg-
ti”. gimento di cavalleria e le sue guardie pretoriane non
Cris preparò il mate di Mara. Mara evitò di toccarlo, arrivarono mai. Sarebbero passate alcune notti prima
per paura di replicare lo stato di eccitazione psicomoto- che si degnassero di ricorrere alla forza bruta, lancian-
ria della madre. do gas lacrimogeni o facendo silare la loro fame di
“Se t’interessa potresti venire con noi. Ci sono grup- gente innocente con mitragliatrici pronte ad attaccare.
pi che coprono diverse zone della città. A volte ci tocca- Le manifestazioni di dicembre non erano più così di-
no zone incasinate, altre volte è più tranquillo. Sempre vertenti; dissolta nella folla, la magia dell’incontro con
di notte, è molto meglio. Usciamo in gruppi di tre o Lucía sparì presto. Mara pensò di andare a cercarla ai
quattro per macchina. Facciamo lo stencil, documen- comizi del Partito operaio, nella sede di Balvanera,
tiamo la scena con delle foto, poi riuniamo tutto il ma- dove andava il fotografo che le piaceva, ma non lo fece
teriale nella Cyborga, la tana di Puwa e dei ragazzi. mai. u

70 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Portfolio

Buenos Aires
ai margini
Agli occhi dei passanti sono poco più di un mucchio
di stracci. Persone senza volto e senza identità.
Dani Yako ha fotografato per anni i poveri della città
Avenida del Libertador,
Buenos Aires, 2011
Portfolio
Autopista 25 de Mayo, 2015

Nel quartiere Palermo, 2009

74 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Avenida Brasil, 2010

Avenida Caseros, 2012

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 75


Portfolio
Calle Francia, 2016

Linea C della metropolitana, 2017

76 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Avenida Juan de Garay, 2017

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 77


Portfolio
Stazione di Constitución, 2015

78 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Avenida Montes de Oca, 2016

Calle Juncal, 2012

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 79


Portfolio

80 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


a foto qui accanto, che chiu-

L de questo portfolio, si chia-


ma Plaza Italia ed è stata
scattata vent’anni fa a Bue-
nos Aires. È molto diversa
dalle altre per il modo in cui
afronta temi complessi come la povertà e
la marginalità. L’immagine, pur essendo
in troppo esplicita, non perde la sua forza:
parla di un paese dove le disuguaglianze e
le ingiustizie non smettono di crescere. So-
no cinquant’anni che l’Argentina va indie-
tro, e nessuno sembra avere la risposta
giusta ai dilemmi del paese.
Mi rendo conto, anche se non ho mai
seguito un piano preciso, che quasi tutta la
mia opera ruota intorno alle ferite di que-
sta società. Dai dieci anni di crisi occupa-
zionale durante i governi di Carlos Menem
è nato il libro Extinción; negli altri dieci an-
ni di kirchnerismo ho raccontato la vita di
una cittadina dove nessuno aveva un lavo-
ro, e ne è nato il libro El silencio.
Io non guido, cerco di muovermi a piedi
o prendendo i mezzi pubblici. Una Leica
sarebbe troppo pesante da portarmi dietro,
per questo ho con me una piccola Contax
T3 con pellicola Kodak Tri X. In questo gi-
rovagare per Buenos Aires, ogni giorno
incrocio moltissime persone che vivono
per strada: fotografarle senza conoscere la
loro identità è stata all’inizio una scelta
estetica, poi mi sono convinto, sbagliando,
che guardandole avrei avuto la sensazione
che ogni persona senza volto potevo essere
io o chiunque osservasse la foto. Il fotogra-
fo ha bisogno degli altri per esprimersi,
questa è l’essenza del suo lavoro. Usiamo
tutti gli alibi possibili per eliminare la no-
stra colpa, ma raramente funzionano.
Martín Caparrós ha chiamato questa serie
Exclusión, esclusione. Insieme a Extinción
ed El silencio potrebbero formare una trilo-
gia sull’Argentina desolata.–Dani Yako

Dani Yako è un fotografo e architetto nato


a Buenos Aires nel 1955. Nel 1976, dopo esse-
re stato sequestrato dall’esercito durante la
dittatura militare, è andato in esilio a Ma-
drid, in Spagna. Lì ha lavorato per vari mez-
zi d’informazione spagnoli, argentini e sta-
tunitensi. Nel 1983, con il ritorno della de-
mocrazia, è tornato in Argentina e ha co-
minciato a lavorare per l’agenzia DyN. Nel
1996 è diventato photo editor del quotidia-
no Clarín. Le foto di queste pagine sono state
scattate a Buenos Aires.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 81


Patricio Pron Disegni di Chiara Dattola

Qualcosa
va salvato
primmo la bottiglia e bevemmo un rettangolo di cemento piazzato sopra la pensione origi-

A lungo sorso prima di stenderci sull’er- naria, forse costruita all’inizio del secolo, in cui S. aveva
ba e metterci a guardare le nuvole: solo un letto, un armadio per i vestiti e una sedia, su cui
quella somiglia a O. Henry, disse S.; c’era quasi sempre la sua tromba che non poteva suona-
quella sembra la faccia di Friedrich re in casa – praticando la sua diteggiatura e leggendo e
Dürrenmatt; no, quella è come la fac- pensando alla musica che avrebbe suonato quando
cia che deve aver fatto la moglie di Dürrenmatt dopo avesse trovato un contrabbassista; stranamente, il con-
aver letto L’incarico, corressi io; quella più avanti somi- trabbassista non compariva e a volte ci chiedevamo
glia alla faccia che hanno fatto Max
Frisch o Uwe Johnson dopo aver letto Naturalmente,
dove potesse essere e gli davamo un no-
me e immaginavamo per lui una biogra-
L’incarico, quella storia che va avanti per arrivati a questo ia parallela a quella di S., in altre parole
pagine intere senza un solo punto e a ca- punto, entrambi lo immaginavamo in una pensione della
po o un semplice punto, dicevamo, e ricordavamo il città di *osario intento a praticare la di-
guardavamo il cielo mentre ci passava- racconto di O. Henry teggiatura e leggendo e pensando alla
mo la bottiglia, e a volte scoppiavamo a che avevamo letto musica che avrebbe suonato quando
ridere, perché all’epoca S. rideva molto, anni prima in modo avesse trovato una trombettista, e a volte
per quanto la sua situazione non fosse quasi simultaneo davamo anche la sua faccia alle nuvole,
particolarmente buona, anche se non si alle nuvole più sfuggenti delle giornate
seppure in luoghi
poteva neanche dire che fosse cattiva, ventose d’inverno, quando l’erba era
perché S. viveva in una pensione nel cen-
diversi ghiacciata ma noi insistevamo e ci sten-
tro della città di *osario e studiava musica devamo sul prato e bevevamo e attribui-
PATRICIO PRON lì, in una città singolarmente proliica in questo senso, vamo una faccia alle nuvole; immagino che allora qual-
è uno scrittore nato a
che era il motivo per cui S. aveva abbandonato il suo pa- cosa in noi volesse essere salvato e qualcosa non volesse
Rosario nel 1975. In esino natale – su cui non disse mai una sola parola, no- esserlo, come succede sempre, e che alcuni di noi voles-
Italia ha pubblicato nostante la mia insistenza per conoscere dettagli della sero essere salvati e altri no, e pensavamo a tutti quelli
Lo spirito dei miei sua vita precedenti al suo arrivo –, solo per scoprire po- che, come S., volevano qualcosa e non l’avevano, men-
padri si innalza nella co dopo essersi trasferita che *osario era priva di una tre altri avevano qualcosa di cui i primi sentivano la
pioggia (Guanda 2013) vera e propria scena musicale, al punto che pur essendo mancanza e desideravano qualcosa che avevano altri, e
e Non spargere lacrime in città già da diversi mesi quando la conobbi, non era pensavamo ai malintesi e ai brevi e fortuiti incontri che
per chiunque viva in ancora riuscita a trovare un solo contrabbassista anche avvenivano tra queste persone e a come questi fatti for-
queste strade (Gran
se aveva aisso avvisi nella scuola di musica e nelle sale mavano strane catene di eventi non sempre soddisfa-
vía 2018). Il titolo
prova e nei bar, avvisi minuscoli che S. scriveva a mano centi; naturalmente, arrivati a questo punto, entrambi
originale di questo
racconto è Algo de
e di cui tagliava il bordo inferiore in una mezza dozzina ricordavamo il racconto di O. Henry che avevamo letto
nosotros quiere ser di linguette di carta che gli interessati avrebbero potuto anni prima in modo quasi simultaneo seppure in luoghi
salvado. La staccare e portare con sé per poi chiamarla, anche se diversi e senza avere notizia l’uno dell’altro: nel raccon-
traduzione è di nessuno rispose mai a quegli annunci, per cui S. passava to c’era una donna che aveva un dollaro e ottantasette
Francesca Rossetti. i pomeriggi nella sua camera – minuscola, appena un centesimi per comprare al marito un regalo di Natale;

84 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 85
Patricio Pron

aveva pensato a una catenina d’oro per l’orologio del cameriere e nell’appartamento a ianco un economista
marito, che prima era appartenuto a suo padre e prima che odia il suo lavoro e che farebbe volentieri a cambio
ancora a suo nonno, e decideva – e questa era la prima con il cameriere, che ha una idanzata bellissima che
svolta del racconto – di rinunciare alla sua lunga capi- però non ama, perché in fondo gli piacciono gli uomini,
gliatura per ottenere i soldi di cui aveva bisogno per il e c’è un uomo tre piani sopra a cui piace il cameriere:
regalo; anche il marito, dal canto suo, era alla ricerca di basterebbe che tutti riconoscessero quello che vogliono
un regalo per la moglie e anche lui era a corto di soldi; per essere felici”, diceva S., e ogni volta io lasciavo che
chiaramente aveva pensato di regalarle un set di pettini si trastullasse in quel pensiero per un minuto o due pri-
per capelli, e lo aveva comprato – e questa era la secon- ma di dirle che, secondo me, sarebbe bastato che qual-
da svolta del racconto – vendendo l’orologio che era cuno di loro avesse ottenuto ciò che desiderava – che
stato del padre e del nonno; con dei pettinini inutili nel- quella donna avesse un bambino, per esempio – perché
le mani lui e una catena assurda nelle mani lei, verso la nel giro di poco tempo reclamasse quello che aveva per-
ine del racconto, il narratore allontanava pudicamente duto, e che la sua proposta di dare a una persona quello
lo sguardo dalla coppia, che si abbracciava in una came- che l’altra aveva in eccesso o disprezzava non era del
ra da otto dollari alla settimana, in cui – diceva O. Henry tutto logica, giacché, per esempio, bastava che l’uomo
– c’era una cassetta delle lettere dove non entrava mai a cui piaceva il cameriere fosse interessato a lui perché
nessuna lettera, e un campanello elettrico che nessuno era molto mascolino perché perdesse l’interesse verso
suonava, esattamente come succedeva a S., che a que- di lui venendo a sapere che, in realtà, al cameriere pia-
sto punto si tirava su e guardava l’ediicio che si trovava cevano gli uomini, e forse poteva succedere la stessa
davanti al parco dove ci vedevamo di solito e comincia- cosa al cameriere, e forse – le dicevo – era proprio l’im-
va a indicare le sue inestre – quasi sempre chiuse, per- possibilità che ognuno degli inquilini di quell’ediicio
ché questo succedeva soprattutto nel pomeriggio, soddisfacesse i suoi desideri a mantenere le loro vite al
quando il sole batteva sulla facciata dell’ediicio ed era loro posto e quell’ediicio sulle sue fondamenta, come
bene chiudere le persiane perché gli appartamenti non una sorta di puzzle di vite mal riuscite e di aspirazioni
si riscaldassero troppo – e diceva: “Lì vive una donna incompiute dove ogni parte riposava sulle altre; quando
che vuole un iglio, e all’altra inestra, due piani sotto, dicevo questo, invariabilmente, S. rideva ed era chiaro
vive un uomo che ha un iglio e non lo vuole e rimpiange che pensava che io stessi esagerando e si alzava per an-
la libertà della donna dei piani superiori, che non cono- dare a comprare un’altra bottiglia o, se non avevamo
sce; e lì c’è uno studente di economia che lavora come più soldi – cosa che succedeva con frequenza –, per tor-

86 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


no al senegalese e che dovevano somigliare a quelli di
*osario, con le sue tradizioni scomode come il consumo
di torroni e di frutta candita e di tutte quelle cose pensa-
te inizialmente per essere mangiate durante il Natale
europeo e nel più rigido degli inverni, ma che a *osario
in estate erano completamente inutili e lasciavano i lo-
ro consumatori spossati, sempre più estenuati dopo
ogni boccone inghiottito in nome di tradizioni europee
ereditate e poco pratiche in quell’angolo di mondo,
molto lontano da dove erano state concepite inizial-
mente; e allora S. mi raccontò che qualche settimana
prima di Natale aveva cominciato a risparmiare per
comprare al senegalese un maglione per passare l’in-
verno francese e che ne aveva trovato uno magniico,
uno di quei maglioni così morbidi che sembrano confe-
zionati con la lana di pecore che sono state alimentate
di lana e che l’aveva comprato e voleva regalarglielo e
che una sera lo aspettava nell’appartamento che condi-
videvano nella periferia di Arles per darglielo quando
ricevette una strana telefonata dalla polizia locale, che
volle sapere il suo nome e il suo legame con il senegale-
se e il suo stato civile e che poi la informò che il senega-
lese era stato espulso perché non rispettava la normati-
va vigente in materia d’immigrazione in Francia e lei si
mise a gridare e a piangere, e quando l’uiciale che ave-
va chiamato brevemente per informarla riagganciò S. s’interruppe
esasperato il telefono, andò nel commissariato più vici- solo quando le
no e tornò a gridare e a piangere e commise un errore domandai –
gravissimo, perché, per dare più forza alle sue rivendi-
bruscamente,
cazioni, consegnò il suo permesso di soggiorno, che era
come capii subito –
scaduto l’anno prima; forse per il fatto di essere bianca,
le autorità furono più generose con lei di quanto non lo
che tipo di
nare alla sua pensione, e io la salutavo e me ne tornavo fossero state con il senegalese, che era stato espulso musicista fosse il
a casa; e fu proprio in quella casa, una sera, che ricevet- seduta stante, e le dettero ventiquattr’ore per raccoglie- senegalese, e lei
ti una telefonata di S. molti anni dopo, una di quelle sere re le sue cose, e lei tornò nell’appartamento che aveva esitò un secondo e
calde che seguono il Natale a *osario e in cui il calore e condiviso con il senegalese e dove lui non sarebbe più poi rispose che il
l’umidità si appiccicano alla pelle e la pelle si rifugia in tornato e si mise a piangere e a mettere via le sue cose e senegalese era
una memoria dei giorni freddi e delle pelli fredde toc- quelle di lui, e sotto il letto trovò un pacchetto con il suo contrabbassista
cate in precedenza, e la voce dall’altra parte del telefono nome sopra e lo aprì e trovò un biglietto in cui il senega-
– una voce che ricordavo a malapena – mi disse che era lese le augurava buon Natale e lo aprì e scoprì uno di
appena tornata da un soggiorno in Europa di due anni e quei vestiti ampli che usano le donne in Senegal e che
mi chiese se mi ricordavo ancora dei nostri pomeriggi spesso sono accompagnati da un fazzoletto che si lega
passati a bere sull’erba e io risposi di sì e la voce mi an- in testa e che lei non avrebbe potuto usare mai più per-
nunciò che aveva una storia per me come quelle che ci ché non sarebbe più andata con il senegalese in Mali, e
raccontavamo in quei pomeriggi e prese iato e disse poi tirò fuori dal sacchetto il maglione che si era portata
che negli ultimi anni aveva vissuto ad Arles, in Francia, dietro tutto il giorno e si mise a issare entrambi i capi
suonando nei gruppi locali in tutti i bar di Arles, e una ormai inutili e poi continuò a mettere via le sue cose,
volta anche a Nîmes, dove le avevano oferto di restare dentro una casa dove c’era una cassetta delle lettere in
per suonare in un gruppo ska i cui musicisti vivevano in cui non entrava mai nessuna lettera e un campanello
una casa occupata in rue de l’Herberie e stavano per elettrico che nessuno suonava, e quando mi diceva que-
registrare un disco, ma lei aveva detto di no – pur non sto, S., che aveva riso tanto in passato, mi spiegava con
avendo un soldo e anche se l’idea di registrare un disco voce tremante che era tornata a *osario e raccontava la
e forse pure quella di vivere in rue de l’Herberie le pia- sua storia al telefono e s’interruppe solo quando le do-
cevano – perché voleva tornare ad Arles, dove l’aspetta- mandai – bruscamente, come capii subito – che tipo di
va il idanzato, che era arrivato dal Senegal pochi mesi musicista fosse il senegalese, e lei esitò un secondo e
prima di lei e che era a sua volta musicista; S. mi raccon- poi rispose – con una vicinanza che non avevamo avuto
tò che il senegalese e lei avevano programmato di pas- neanche nei pomeriggi in cui ci stendevamo sul prato e
sare il Natale con degli amici ad Arles e poi di volare in davamo un volto alle nuvole che passavano – che il se-
Mali, dove il senegalese aveva degli amici che li avreb- negalese era contrabbassista e io pensai con un certo
bero ospitati e con cui speravano di passare tutto il mese sollievo che qualcosa di noi poteva davvero essere sal-
di gennaio, uno di quei gennai caldi che tanto mancava- vato in certe occasioni. u

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 87


Beatriz Sarlo Disegni di Pierluigi Longo

Senza
origine
azz moderno. Non erano mai stati lì prima. afascinante per i passanti diretti alla loro sessione di

J Poi sul marciapiede davanti alla più grande shopping. Invece no, i due avevano deciso di eseguire
banca di avenida Rivadavia, accanto solo con sax e batteria una melodia del tutto estranea
all’entrata della metropolitana nel quartie- alla ridotta memoria musicale su cui potevano contare
re Caballito, un sabato pomeriggio erano a quell’ora, con quel pubblico e in quella strada.
apparsi all’improvviso i due musicisti. Come se fossero su un piccolo palcoscenico e come
Quando voltai l’angolo, ero più o meno a trenta metri, se il rumore dell’avenida, cadenzato dall’alternarsi dei
sentii il suono di un sax. Pensai che il negozio di dischi colori del semaforo, non si sentisse proprio, il batterista
aveva chiuso da mesi e che diicilmente il suono poteva guardava il sassofonista, che leggeva il suo spartito. Lo
superare il rumore del traico e provenire dalla libreria guardava con aria sospesa, come un musicista osserva
che c’era di fronte. Il sax mi arrivava da davanti e qual- l’altro mentre lo segue e deve improvvisare sui suoi fra-
che secondo dopo lo vidi: eccolo lì, ac- seggi, le sue armonie, gli eventuali inter-
compagnato da una batteria. La melodia Non avevo mai venti che apporta alla musica scritta. Il
non era immediatamente riconoscibile; sentito suonare del sax, invece, indipendente dalla batteria,
mi sembrò che il sax improvvisasse con jazz in quella strada suonava con la certezza di essere il capo
la dovuta competenza, come si fa nel dove il rumore del duo e che il batterista l’avrebbe segui-
jazz. Mi fermai ad ascoltare. C’era un leg- domina su tutto e to. Tutto scorreva alla perfezione.
gio per il sax, e capii che stava provando dove, quando il Ricordai allora il racconto di un amico
un assolo che seguiva sullo spartito. Non negozio di dischi era che aveva fatto l’artista di strada in Euro-
si trattava di jazz tradizionale, ma di jazz pa. L’importante era che la musica o il
ancora aperto,
moderno. microspettacolo fossero buoni e che va-
si sentiva la peggiore
BEATRIZ SARLO Era stranissimo. Non avevo mai sen- riassero con il passare delle settimane. A
tito suonare del jazz in quella strada dove
musica pop queste condizioni era possibile guada-
è una giornalista,
scrittrice e critica il rumore domina su tutto e dove, quando gnarsi da vivere. Avevo sempre avuto
culturale nata a il negozio di dischi era ancora aperto, si sentiva la peg- questa impressione con i musicisti di strada in città co-
Buenos Aires nel giore musica pop nazionale e internazionale, falso rock me New York, dove ogni duo, trio e perino i gruppi più
1942. In Italia ha melodico, vecchi suonatori di boleros messicani e quasi grandi hanno una qualità sempre al di sopra della nor-
pubblicato Una tutta la musica commerciale, cumbia compresa. Perciò ma. E all’improvviso, in un quartiere di Buenos Aires, il
modernità periferica. un sax e una batteria sembravano strumenti extraterre- duo sax e batteria, con un pubblico di due persone ap-
Buenos Aires 1920- stri, arrivati da un pianeta musicale remoto, complesso pena, sembrava avere quelle stesse caratteristiche, ben
1930 (Quodlibet
e minoritario. Il ragazzo del sax avrebbe potuto suonare diverse da quelle dei suonatori di bandoneón delle vie
2005). Il titolo
qualsiasi altra cosa: quello che stava suonando era dav- turistiche, che raccolgono intorno a sé anziani che non
originale di questo
racconto è La ciudad,
vero diicile e per lui sarebbe stato uno scherzo seguire hanno mai saputo nulla di musica o che l’hanno dimen-
sus músicas, sus la melodia di una canzone conosciuta o di un classico di ticata e giovani il cui apprezzamento e gusto per il tango
músicos. La Sinatra, che gli avrebbe permesso di conquistare il pub- non ne compensano l’imperizia. Nel centro della città è
traduzione è di Sara blico della terza età. E il batterista l’avrebbe potuto ac- possibile ascoltare musica davvero brutta, senza nean-
Cavarero. compagnare in quell’impresa, senza dubbio molto più che doverla cercare.

90 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 91
Beatriz Sarlo

Due giorni dopo, nello stesso isolato dell’avenida jazz, si trasformerebbero in standard, ovvero in grandi
Rivadavia, che è lontana dal circuito turistico, si senti- melodie su cui altri musicisti tornano per arrangiarle e
rono un bandoneón e una chitarra che suonavano un suonarle in modi a volte così diversi da renderle quasi
tango famoso, ma in una versione che faceva di tutto irriconoscibili. Lo standard è un luogo comune della
per sfuggire alla routine di una melodia nota. Anche in tradizione musicale jazzistica. Un punto d’incontro.
questo caso due ragazzi, vestiti di marrone, con i capel- My funny Valentine ne è un esempio famossissimo.
li chiari, isicamente simili a quelli del sax e della batte- Non tutto ciò che diventa popolare si trasforma in uno
ria, occupavano lo stesso punto del marciapiede della standard; molte canzoni, che pure continuiamo a ri-
banca. Stranamente, sembravano il doppione o i fratel- cordare, inspiegabilmente non vengono omaggiate
li musicali dei jazzisti del sabato. Dopo quelle appari- con variazioni e reinterpretazioni e non raggiungono
zioni stellari non tornò più nessuno. tale gloria.
La barcarola che dà inizio al quarto atto dei Raccon- Come se fossero rinchiusi in una specie di baule dei
ti di Hofmann, l’opera di Jacques Ofenbach, è una di ricordi comuni, anche frammenti di alcune opere, di
quelle musiche che, se appartenessero al mondo del alcune sinfonie, hanno raggiunto questo massimo ri-

92 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Sono canzoni che,
anche se vengono
catturate dal
mercato o sono
addirittura
pensate per questo,
resistono alla
scomparsa che il
mercato impone
ogni giorno
per rinnovare
l’oferta e dare
l’impressione
che tutto
cominci sempre
da zero

conoscimento che è l’anonimato: due o tre temi sinfo- tato non è esattamente una fusione musicale, ma una
nici di Beethoven, la Cavalcata delle valchirie di Wa- specie di pop internazionale in salsa andina. Chi resta
gner, la Piccola serenata notturna di Mozart, La donna afascinato da questa salsa non darà importanza alla
è mobile di Verdi o Una furtiva lagrima di Donizetti. canzone pop.
In calle Florida, un gruppo con abiti che evocano Gli studiosi delle culture popolari chiamano queste
una sorta di altipiano andino a misura di turista euro- salse ibridazioni culturali, anche se ci si potrebbe chie-
peo o nordamericano, con un gran dispiego di cavi dere se si tratta di una mescolanza – come alla poesia
elettrici, tastiere e vistosi strumenti a percussione tipi- gauchesca si sono mescolate la tradizione creola me-
camente andini, ha in repertorio Chiquitita degli Ab- ticcia e quella spagnola – o di un’aggiunta, in una spe-
ba, in una versione condita con gli ingredienti classici cie di torta a due piani, con la melodia nella parte infe-
di un folclore evocativo delle Ande sudamericane. I riore e le decorazioni di zucchero colorato in quella
turisti ascoltano in religioso silenzio e mi sono sempre superiore. Comunque sia, questa versione andina di
chiesta se si fermino perché hanno riconosciuto la Chiquitita è molto lontana dal lavoro sulla tradizione
canzone degli Abba o proprio per il contrario. Il risul- che i musicisti jazz fanno con gli standard, in primo

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 93


Beatriz Sarlo

luogo perché non tutte le canzoni di successo hanno della sierra peruviana che, da lì, tracimò a sud, ino a
una qualità musicale tale da permettere di trasformar- raggiungere i vagoni di questa metropolitana.
le nella base di variazioni signiicative. L’efetto di riconoscimento fu davvero straordina-
Nella mia ultima esperienza come pubblico di un rio, perché la melodia di Ofenbach era anche nella
musicista di strada che lavora in una metropolitana testa di noi che eravamo a bordo in quel momento. E lo
dell’ovest di Buenos Aires, quando meno me l’aspetta- fu ancora di più quando il musicista, inito il suo giro,
vo alla lista di brani privilegiati si aggiunse la barcarola se ne andò, e accanto a me qualcuno continuò a i-
di Ofenbach, in uno scenario veneziano da teatro ro- schiettare l’huayno di Ofenbach che, ovviamente,
mantico. non era più né di Ofenbach né di nessun altro.
Il musicista della metropolitana aveva ripescato La melodia si era trasformata in un bene senza ori-
una melodia da un angolo della memoria, da un fuga- gine a cui si potevano aggiungere varianti alternative;
ce passaggio alla radio o in tv, da qualcuno che l’aveva in quel vagone della metropolitana qualcuno la ricor-
canticchiata in sua presenza. Era la barcarola, ma il dava proprio per le sue varianti e non per un “origina-
musicista, che suonava il charango e il siku, il tipico le” da cui l’huayno si era discostato; quello del musici-
lauto andino, annunciò la sua interpretazione con la sta non era stato un atto di deliberato allontanamento,
frase: “E adesso segue un huaynito”, forma originaria ma un utilizzo che non conosceva le remote esperien-

94 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


discreta, compone la sua esecuzione con i frammenti S’incontrano nei
e i suoni che si trova sottomano. Il tutto avviene nello mezzanini o nei
scenario di una cultura più pop che popolare. In molti vagoni della metro
casi, il lavoro consiste nel suonare per un turismo che di Buenos Aires e
non è mai esperto di autenticità, da nessuna parte. di tante altre città.
Una canzone indistruttibile. Nel vagone della
Rispondono alla
metropolitana, sidando lo sferragliamento e altri ru-
tipologia del
mori vari, un musicista di strada, con charango e siku-
ri, suona a ritmo più che veloce El arriero. Il sikuri so- tardoadolescente
stituisce la voce; il charango l’accompagna, con un o del giovane
proliferare di note ben lontano dalla sobrietà della chi- adulto che ha
tarra creola. Mentalmente ripeto lo straordinario testo studiato un paio
di Atahualpa Yupanqui: “Es bandera de niebla su pon- d’anni in qualche
cho al viento, / lo saludan las lautas del pajonal / y scuola di musica
animando a la tropa por esos cerros / el arriero va”
(Bandiera di nebbia è il suo poncho al vento, lo saluta-
no i lauti del campo irto di stoppie, e incitando la man-
dria su per quelle alture va il mulattiere).

icordo che anni fa un gruppo di “rock

R argentino” riciclò El arriero, quasi come


chi ammaina una bandiera e poi la issa
di nuovo. Sto deviando verso la fusion
music e le osservazioni che un mio ami-
co critico di solito fa circa le possibilità
della chacarera e di altre forme del folclore argentino.
Nel frattempo, il musicista si precipita vero il famoso
ritornello, in cui Atahualpa, come in molte altre sue
canzoni, inseriva il messaggio sociale, per deinirlo in
qualche modo: “Las penas son de nosotros, las vaquitas
ajenas” (Le pene sono nostre, le vacche sono di altri). Il
musicista non canta il testo perché è già abbastanza oc-
cupato a suonare il sikuri e il charango in contempora-
nea.
Tuttavia, la sua versione di El arriero regge dignito-
samente, forse perché si tratta di un tema miracoloso e
indistruttibile, di quelli che diventano grandi classici,
come Night and day o Yesterday, che sopravvivono alle
mode, agli arrangiamenti, alle banalizzazioni e resisto-
no come se fossero stati scolpiti con un colpo solo nel
basalto. E nonostante abbiano la perfezione di una lu-
cida sfera, ammettono che ci si lavori sopra, accettano
varianti e miscugli di stili, e si lasciano perino suonare
con strumenti non previsti dall’idea iniziale.
Sono canzoni che, anche se vengono catturate dal
ze precedenti. Non c’erano ragioni per riconoscere mercato o sono addirittura state pensate per questo,
l’origine operistica, e l’orecchiabile melodia di Ofen- resistono alla scomparsa che il mercato impone ogni
bach evocava la musica andina solo per via del suono giorno per rinnovare l’oferta e dare la sensazione che
caratteristico del charango e del siku. tutto cominci sempre da zero. El arriero e molti altri
In questo caso, non ha senso far risalire la barcaro- temi musicali resistono a tutto, per fortuna, e tutti i
la di Ofenbach alle sue origini, perché come melodia musicisti, da Gato Barbieri ai Divididos, possono tirar-
fa già parte di quell’inventario di suoni riconosciuti ne fuori qualcosa di nuovo. Sono quei testi che nel jazz
per la loro popolarità, la loro facilità e la loro grazia più si chiamano standard, cioè il luogo comune, nel senso
che per la loro speciicità musicale. Come i musicisti di migliore del termine, dove l’inventiva e la tradizione
calle Florida, ma con più umiltà, il suonatore in dialogano oppure litigano.
metropolitana aveva fatto un miscuglio in cui s’incro- Mentre pensavo a queste cose, momentaneamente
ciavano culture diverse che avevano perso la loro “au- riconciliata con il mondo, il musicista suonò l’ultima
tenticità”, sempre che ne avessero mai avuta una. La nota. E su questa, cominciando già a spostarsi nel va-
band elettronica e altipianica in maschera andina di gone per raccogliere il contributo dei passeggeri, dis-
calle Florida conta sull’inconsapevolezza prodotta se: “Coraggio, un applauso a questa canzone dei Divi-
dall’amnesia. Il musicista della metro, in maniera più didos”. E inalmente approdai.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 95


Beatriz Sarlo
Quella frase era una prova inconfutabile, più di tut- dappertutto, che dio ci salvi). I giovani musicisti di
to ciò a cui avevo pensato mentre ascoltavo. I Dividi- strada militano in quella che Michel Mafesoli ha dei-
dos erano un gruppo rock ed El arriero non aveva pa- nito la “tribù urbana” e l’ha fatto con un tale successo
drone: oggi era dei Divididos e se domani un’altra che quelli a cui la deinizione è applicata non la riiute-
band l’avesse suonata se ne sarebbe appropriata a sua rebbero.
volta. Se Atahualpa voleva essere un musicista folclo- Se ne stanno in strada con la stessa naturalezza con
ristico, ciò che avevo appena sentito dimostrava che cui salgono sul palco di un pub di quartiere. Coltivano
c’era riuscito. Per due motivi: in primo luogo perché tratti di stile e non prospettano nessun enigma sociale.
ormai non si sapeva più che era lui l’autore della can- Abbracciate a tutte le teorie del giovanil-populismo
zone, e il suo diritto di proprietà si era dissipato nella pedagogico, le scuole secondarie hanno incoraggiato
misura in cui la melodia si trasformava in standard, la cosiddetta “formazione all’arte”, e suonare la chi-
cioè qualcosa che è lì sia per i Divididos sia per il suo- tarra o la batteria è oggi una vocazione delle classi me-
In quella stessa natore di strada. In secondo luogo perché questo ano- die valorizzata come trent’anni fa si valorizzavano gli
strada, a pochi nimato e l’erronea attribuzione della paternità ai Divi- studi in legge o medicina. Che siano musicisti dotati o
metri dai giovani didos indicavano che la musica aveva già percorso un no non rientra nella questione. Né Spinetta né Charly
musicisti, un cammino così lungo da condurla a quello spazio di García né nessun’altra stella del cosiddetto rock nazio-
violinista sulla consacrazione che è l’oblio dell’origine. Le musiche nale sono responsabili del modo in cui vengono suo-
cinquantina che conosciamo meglio sono proprio quelle della cui nate le loro canzoni nei vagoni della metropolitana. A
dimostra che, in storia ci disinteressiamo, perché fanno parte di un pa- volte un ragazzo suona con il sax uno standard di The-
un qualche esaggio sonoro, resistono all’andirivieni delle mode e lonius Monk, ma lo sempliica molto, quasi svalutasse
alla fame cannibale del mercato. Atahualpa o Cole le competenze del suo eventuale pubblico o si limitas-
periodo ormai
Porter hanno gloria assicurata, più duratura del ricor- se a seguire la melodia senza avvicinarsi all’anima del
remoto della sua
do del loro nome, perché si tratta del più sublime di jazz, che sono proprio le variazioni.
vita, ha acquisito tutti gli anonimati, quello che non ha origine nell’oblio In quella stessa strada, a pochi metri dai giovani
una certa bensì nella moltiplicazione del ricordo. musicisti, un violinista sulla cinquantina dimostra
formazione El arriero per il musicista che l’ha imparata ascol- che, in un qualche periodo ormai remoto della sua vi-
tecnica con uno tando la versione dei Divididos e probabilmente per ta, ha acquisito una certa formazione tecnica con uno
strumento esigente molti di coloro che erano presenti nel vagone della strumento esigente. Questo violinista mi rende malin-
metropolitana appartiene a questo secondo gruppo. conica perché è inevitabile attribuirgli un vecchio so-
Domani… chi lo sa? gno mai realizzato.
Però adesso la famiglia cantante non è per niente
anto callejero, canzone di strada. Li ho facile da collocare. Dritta, immobile, appoggiata con-

C visti per la prima volta nelle ultime set-


timane di dicembre. Disattenta, all’ini-
zio li ho presi per un gruppetto di catto-
lici che intonava canti natalizi per raci-
molare qualche soldo per la festa par-
rocchiale o per distribuire giocattoli in qualche perife-
ria misera. Non gli diedi importanza perché rientrava-
no nella normalità di quel periodo di ine anno. Non
sono tanti i gruppi di cantanti, ma non sono nemmeno
tro il muro, con lo sguardo isso, potrebbe appartenere
semplicemente al genere dei gruppetti di persone che
se ne stanno lì a passeggiare, contenti che sia inita la
giornata. Non fa parte di una tribù urbana, a meno che
io non abbia avuto la fortuna di assistere alla nascita di
una nuova categoria. Non somiglia nemmeno ai pove-
ri, anche se riceve denaro per il proprio canto. È im-
possibile confonderla con la donna grassa che, avvolta
nella sua coperta, tiene una bambina addormentata
così inusuali. tra resti di cibo e suppellettili semidistrutte, che lei
Eppure continuo a vederli di sera, più o meno una mette in ordine perché sono tutto ciò che possiede. È
volta ogni dieci giorni, nella stessa avenida. L’aspetto impossibile confondere questa famiglia con il vendi-
del gruppo ormai non permette più la stessa spiegazio- tore di bonsai, piante in miniatura contorte come se
ne distratta. È una famiglia al completo, padre madre fossero state colpite da una radiazione; e nemmeno
e tre igli che, secondo i miei calcoli, hanno meno di con l’uomo che chiede l’elemosina inginocchiato, così
dodici anni. Sono tutti piuttosto biondi e di carnagione stanco di farlo che ormai emette solo qualche suono
chiara, indossano abiti tipici di una famiglia piccolo incomprensibile per spingere i passanti a leggere il
borghese, e hanno tutti gli stessi capelli tagliati con cartello in cui descrive la sua condizione di afamato e
cura, puliti e lucidi. senzatetto; non ha niente a che vedere con le donne
La famiglia condivide lo spazio con un ragazzo che che, meticolosamente, raccolgono cartoni insieme ai
suona il sax, un altro che suona (molto male) il trom- igli. I poveri di Buenos Aires non somigliano afatto a
bone e qualche chitarrista. Nessuno di loro è sorpren- questa famiglia di cantanti.
dente. S’incontrano nei mezzanini o nei vagoni della Ieri sera li ho visti di nuovo. Forse per l’ultima vol-
metro di Buenos Aires e di tante altre città. Rispondo- ta, e mi dispiace non essermi avvicinata a loro. Tanti
no alla tipologia del tardoadolescente o del giovane anni fa avrebbero avuto un posto nella letteratura ro-
adulto che ha studiato un paio d’anni in qualche scuola mantica. Nel 1924 Álvaro Yunque, poeta e anarchico,
di musica e che forse si trova a suonare in qualche a proposito di un vecchio lautista di strada scrisse
gruppo (immagino metal o, all’estremo opposto, quel- queste parole: “La sua umiliazione e la sua musica so-
la fusione tra cuarteto e cumbia con il pop che si sente no due mostri gemelli”. u

96 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


Fumetto

Questa storia è un estratto di Il pastrano dell’oblio, la prima delle quattro parti che compongono Perramus, una delle opere
più importanti del fumetto argentino. Perramus fu realizzato tra il 1982 e il 1989 da Juan Sasturain, scrittore, docente
universitario e giornalista specializzato in fumetti, e da Alberto Breccia, fumettista morto nel 1993. L’edizione integrale è
stata ristampata in Italia nel 2018 da 001 Edizioni.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 99


Fumetto

I.I.saber
saperey enonon
saber
sapere

100 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


cos'è stato?

mi hanno
trovato!!

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 101


Fumetto

ci faranno
a pezzi!

salgono!

102 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


è tutto finito…

* Versi della canzone Pedro Navaja, composta da Rubén Blades nel 1978, ndt.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 103


Fumetto

questa è
la cura
migliore per
il tuo male,
ragazzo.

che ti
prende,
ragazzo?

sto malissimo e
voglio morire…

voglio
dimenticare...

rosa, la
fortuna...
dimenticherai...
maría è il
piacere...

l’oblio.

margarita,
l’oblio...

104 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


dimenticherai… dimenticherai… dimenticherai…

chi sono? chi sta per


stanno per venire? che ci
venire a faccio qui?
prenderti.
vestiti.
tu, chi sei?

metti questa.
era di un mari/
naio svedese.
sbrigati.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 105


Fumetto

prendi. lasciano tutti


è di un capitano qualcosa. alcuni,
scozzese. tutto. apparteneva a
un clandestino argen/
tino. ci sono delle
cose dentro.

non so nulla…
ma credo di
amarti.

il tuo amore per


me era desiderio
di oblio. lo hai
ottenuto.

svelti, che
salpiamo tra
qui ce n’è un dieci minuti!
altro. avanti,
portatevelo
via!!

106 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


vediamo,
come si miserabile…
chiama,
largo*?

non si sa.
se ne è dimenti/
cato, dice.

bene, “perramus”… andiamo, perché cari/


mancano ancora dei pacchi. chiamo questa
roba? non bisogna
capisco. gettarli in
alto mare.

* In spagnolo largo signiica “lungo”. Il soprannome si potrebbe dunque tradurre con “Spilungone”, ndt.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 107


Fumetto

li portano al largo
e li buttano a mare.
spariscono senza
guarda! lasciare tracce.

chi sono?

non sai proprio


niente, eh?…

no…

meglio così,
“perramus”,
meglio così…

108 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


II. iL FONDO DEL MARe

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 109


Fumetto

ancora uno, ancora uno,


perramus. largo.

110 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


tanti: 45.
quanti pacchi
questo giro,
chupete?

la mia parte,
sì? questa volta?

aha!

è un’attività da
coltivare, chu/ pulita,
pete… sicura soprattutto.
il solito. e pulita.
in dollari,
depositati
all’estero.

Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018 111


Fumetto

per fortuna
era l’ultimo.
abbiamo finito.

non capisci. ora tocca a


che schifo! noi. quelle sacche e quelle
pietre sono per i nostri
pacchi.

aspetta. nella vediamo un


stiva c’è un altro po’. voi… nella
pacco. l’ho visto stiva!!
mentre lo na/
scondevano.

dico a chupete
che hanno finito.
ora dobbiamo
occuparci di
questi.

112 Internazionale 1288 | 28 dicembre 2018


tutto pronto, il mio. basta
chupete. carichi, largo.
questa volta
non si torna in
bene, andiamo porto. andiamo
avanti con il all'isola.
piano.

quale
piano?

porto una cosa a


mr. whitesnow.
diciamo, una prova.
desidera prendere le
distanze dal regime
dei militari e pagherà
molto bene qualcosa
che gli consenta di
far pressione su di
loro a livello inter/
nazionale.

esatto: il 46.
di’pure addio al