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PONTIFICIA FACOLTA‘ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE

Istituto Superiore Interdiocesano di Scienze Religiose „G. Duns Scoto“ Nola – Acerra
(ISSR)

METODOLOGIA E DIDATTICA IRC


1^ lezione - mercoledì 3 marzo 2021

PROSPETTIVE DELLA DIDATTICA IRC

I PARTE
L’articolazione delle lezioni e il disegno complessivo degli insegnamenti 1
Issr
Questa prima dispensa intende chiarire la prospettiva didattica da cui si studierà
l’Insegnamento della Religione Cattolica (irc). E’ composta da una prima parte che
descrive l’organizzazione del Corso e da una seconda parte che colloca la disciplina nel
contesto didattico attuale. L’aspetto meramente legislativo, che riveste una grande
importanza quando si parla di Irc, è trattato invece nelle dispense relative al corso
Teoria della scuola e legislazione scolastica.

Da quale punto ci muoviamo? In questa prima lezione affronteremo innanzitutto il


disegno complessivo delle cattedre che sono state affidate per questo anno accademico
2020.2021: quali sono i rapporti tra Metodologia, Didattica Generale, Tirocinio e Teoria
della Scuola e Legislazione scolastica? In quali contesti si situano? Quali sono le
prospettive di studio e di ricerca?

Quali sono i rapporti tra i tre insegnamenti? La Didattica Generale è una scienza
fondativa delle pratiche dei saperi e trova i suoi spazi epistemologici in riferimento alla
teoria dell’insegnamento e alla riflessione sulle teorie insegnative (metateoria della
didattica). Essa si colloca all’interno del sistema d’insegnamento nel quale agiscono
con pari dignità tutti i protagonisti della formazione: alunni, docenti, comunità
scolastica e territorio. Il sistema - didattica comprende sia gli oggetti che assumono il
ruolo di punti di riferimento del sistema: contenuti disciplinari, saperi e linguaggi,
metodologie e tecniche, sia i soggetti che vivono concretamente l’esperienza relazionale
formativa.
La Didattica Generale quindi funge da percorso sul quale gli altri insegnamenti si
dispongono: la Didattica e Metodologia Irc, che rappresenta la possibilità per gli alunni
e i docenti di concordare un apprendimento relativo alla riflessione sulla Religione
Cattolica oggi, incrociandola con i nessi confessionali e i bisogni generazionali degli
allievi; il Tirocinio Irc, che affronta il discorso della professionalizzazione dei propri
saperi in un contesto di avvio alle pratiche didattiche; la Teoria della Scuola e
Legislazione scolastica, che incardina i sistemi didattici nel riconoscimento legislativo a
livello nazionale, basato però su una matrice culturale europea ed occidentale.

Metodologia e Didattica Irc prof. Michele Montella


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In questa visione il paradigma della didattica come modello riferibile all’apprendimento


trova da un lato il quadro prospettico di riconoscimento sociale e comunitario, che ne
definisce la sua operatività concreta e diffusa e, dall’altro, un’opzione epistemologica
particolarmente interessante applicabile nel campo del complesso sistema cooperativo -
metacognitivo a cui si fa costante riferimento.
In questa prospettiva lo studio e il rispettivo momento dell’esame saranno condotti
tenendo presente costantemente il quadro generale. In tal modo saranno ridotte le
sovrapposizioni di tematiche e gli argomenti affrontati nelle discipline Metodologia e 2
Didattica Irc, Tirocinio Irc e Teoria della scuola presupporranno sempre le grandi
questioni analizzate e descritte in Didattica Generale e ad esse faranno riferimento
come guida e collocazione generale.

Quali sono le caratteristiche del Corso di Didattica e Metodologia Irc? Fissando


adesso l’attenzione sul Corso di Didattica e Metodologia Irc, possiamo dire che ci
occuperemo soprattutto delle modalità e degli esiti con cui tale disciplina s’innesta sui
cambiamenti profondi che la società ha subito nell’ultimo cinquantennio, con uno
speciale approfondimento delle funzioni sociali che la Religione ha acquisito nelle
nostre comunità locali, nazionali ed europee.
Se la didattica è il luogo di una riflessione educativa, se la sua fisionomia rappresenta le
condizioni per poter accedere alla logica dell’apprendimento e delle relazioni
apprendimento/insegnamento, allora la didattica di questa disciplina analizza e attua un
percorso educativo, che parte dal bisogno di circoscrivere e definire gli interrogativi
circa la storia dell’esistenza di ogni uomo nel luogo e nella società in cui è posto ed
orienta alunni e docenti a saggiare le caratteristiche dei processi nell’ambito del
contesto religioso.
Lungo il percorso saranno illustrati i panorami sociali ed antropologici in cui si situa
l’insegnamento Irc, motivando gli studenti ad una presa in carico di attività di ricerca e
studio durante le lezioni come modalità cooperative e metacognitiva e per promuovere il
protagonismo degli alunni in un contesto applicativo.
Il corso intende sviluppare il tema della didattica Irc come scienza dell’apprendimento
significativo, in maniera da collocarla come momento fondamentale del processo di
inclusione scolastica e di strumento di cooperazione e di interdisciplinarità. In questa
prospettiva l’Irc sarà metaforicamente una lente attraverso cui leggere le problematiche
civili e sociali attuali.
Inoltre sarà dato ampio spazio alle finalità dell’Irc nella scuola pubblica, accennando
alle dinamiche comunicative e affrontando il tema della definizione dei modelli didattici
sottesi a questa disciplina e sarà approfondito il tema, ancora più cogente,
dell’educazione alla religiosità in un contesto laico. Infine ci occuperemo di analizzare
approcci didattici, strumenti e dispositivi metodologici tipici della disciplina Irc

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confrontandoli con quelli delle altre discipline, nel tentativo di guidare gli studenti ad
orientarsi verso un insegnamento aperto all’essenzialità e alla trasversalità dei saperi.

Quadro comparativo degli elementi contenutistici. La didattica come scienza


educativa è caratterizzata da una serie di prospettive e di incroci disciplinari che offrono
allo studioso e al docente ricche modalità di connessione di saperi e interessanti opzioni
ermeneutiche; per cui affrontare il suo studio vuol dire comprendere innanzitutto il
crocevia di indicazioni, che possiamo ricavare dalla sua configurazione e soprattutto 3
collocarne le questioni e i problemi nel quadro di una sinergia di aspetti epistemologici.
Nel quadro comparativo che si propone emerge la stretta connessione fra i vari aspetti
pedagogici, ma anche la compenetrazione tra i piani scientifici e tra i linguaggi che si
illuminano reciprocamente.

QUADRO SINOTTICO
Didattica generale Didattica e Metodologia Irc Teoria della scuola Tirocinio Irc
e Legislazione
scolastica
L’idea della didattica e L’Irc nella storia e nel Rapporti tra Problematiche e
le sue narrazioni contesto sociale italiano normativa e scuola tipologie di
(Cfr Teologia e Vita Tirocinio
11/2020) Il portfolio
Epistemologia della La teoria dell’umanesimo Le teorie come Docente, alunno e la
didattica e apprenditivo. modello. relazione educativa.
problematiche Esercitazioni/Documenti di Le rappresentazioni La Relazione
dell’apprendimento lavoro/Studio personale sociali e le leggi. Didattica
L’apprendimento: Caratteristiche dell’IdR. Tre
modelli, concetti, teorie metafore letterarie per
comprenderne il ruolo.
Metacognizione e Caratteristiche della relazione Irc e concordato Esempi e laboratori
Cooperazione didattica. Pratiche Stato giuridico IdR metacognitivi. La
metacognitive Irc. metacognizione
nella pratica
didattica
Stili e strategie di La metacognizione nell’Irc Le competenze
apprendimento emotive. Il gruppo.
Esercizi sugli stili.
Espressioni didattiche: Esempi e laboratori
Autobiografia, scrittura sulle tecniche della
collettiva scrittura di sé e della
scrittura collettiva.
Il confronto con i Epistemologia dell’Irc Sguardo storico ai Esercitazioni sulle
saperi: Conoscenze, Conoscenze, competenze, modelli scolastici differenze
competenze Curricolo Irc strutturali.
Il curricolo Le Indicazioni nazionali per Come si usano le
l’Irc 1° e 2° ciclo Indicazioni
La dimensione Un curricolo per l’Irc Le Leggi e il Focus su alcune
progettuale riconoscimento didattiche: debate,

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delle problematiche flipped classroom,


dell’insegnamento: Dad
Obiettivi e UdA Unità di apprendimento come Bes. Uso delle Unità di
strumenti organizzativi. Irc e Rappresentanze. Apprendimento
interdisciplinarità Le riforme intorno Come si usano gli
ai curricoli obiettivi e le
competenze nella
progettazione
Le didattiche speciali Esempi di didattiche 4
e loro uso
Il Sistema Valutazione La valutazione nell’Irc: Il dibattito Pratiche valutative
pratiche didattiche legislativo sulla
valutazione

METODOLOGIA E DIDATTICA IRC


Il corso intende sviluppare, in continuità con gli insegnamenti di Didattica generale, di
Tirocinio Irc e di Teoria della Scuola e Legislazione scolastica, il tema della didattica
come scienza dell’apprendimento significativo. In questo ambito la didattica Irc sarà
collocata come momento fondamentale del processo di inclusione scolastica e di
strumento di cooperazione e di interdisciplinarità.
Criteri ed Obiettivi
L’Irc come lente attraverso cui leggere le problematiche civili e sociali attuali.
Lo Statuto epistemologico dell’Irc
Le caratteristiche dei processi di insegnamento / apprendimento
L’utilizzo di modelli didattici, strumenti e dispositivi metodologici tipici della disciplina
Irc.
Lo studente, posto in un contesto di studio e di ricerca sulle caratteristiche didattiche e
metodologiche dell’Insegnamento della Religione cattolica, rifletterà / discuterà /
individuerà categorie, visioni culturali, scientifiche e civili legate al proprio della
disciplina.
Lo studente, posto in un contesto di studio e di ricerca sulle caratteristiche didattiche e
metodologiche dell’Insegnamento della Religione cattolica, apprenderà modelli,
processi didattici e partiche didattiche in situazione.

Testi e materiali di studio


 Dispense a cura del professore M. Montella, titolare protempore del Corso.
 Roberto Rezzaghi, Manuale di didattica della Religione ed. La Scuola, 2012
 Bini A., Monfrinotti M., Pucciarini M., Pace e violenza. Percorsi formativi
all’interno dei testi sacri e delle tradizioni religiose dell’Ebraismo, Cristianesimo,
Islamismo ed. Cittadella 2018
 Di Pietro M., Dacomo M., Fanno i bulli, ce l’hanno con me … ed. Erickson 2005
 Luca Toselli, La didattica a distanza. Funziona, se sai come farla ed. Sonda

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II PARTE
L’Irc nella pluriversità dell’apprendimento

La visione didattica dell’Insegnamento di religione, sviluppatasi parallelamente all’iter


legislativo, dalla Legge n. 3725 del 13 novembre 1859 fino al Dpr del n. 175 del giugno
2012, ha rappresentato per la storia della scuola italiana l’affermarsi graduale di un
sistema dialettico, nel quale l’apprendimento si qualifica come possibilità multiversa di 5
comprendere il mondo e il proprio ruolo in esso. Non c’è apprendimento significativo
senza lo sforzo di confrontare ciò che si conosce già con ciò che si va conoscendo
dall’esperienza, dallo studio, dall’incontro con gli altri. L’interrelazione tra le
conoscenze e le categorie culturali acquisite, con le quali gli alunni leggono e
interpretano il mondo, e le novità costanti vissute quotidianamente nella realtà, che
dinamizzano e provocano le loro interpretazioni, creano incroci, aprono orizzonti,
richiamano memorie, permettendo loro di prendere coscienza delle potenzialità e
dell’attualità degli interventi nella realtà.
E’ il principio di un apprendimento significativo che si apre all’apprendimento servizio
definito come la possibilità di mettere “a servizio di una comunità gli apprendimenti
ottenuti o in fase di acquisizione (…) che obbliga a interrogarsi sulla rilevanza sociale
delle conoscenze acquisite in un contesto educativo formale o informale”1
I saperi scolastici, veicolati dalla disciplinarità, sono in grado di fornire senso, e di
essere quindi autenticamente saperi, se si connettono alle prospettive religiose e
spirituali e se annoverano fra le conoscenze scientifiche gli statuti teologici e
antropologici, che rappresentano l’occasione per ciascun alunno e ciascun docente di
esplorare l’evoluzione umana e naturale, di percorrere il pensiero e la ricerca e infine di
accogliere in una visione ecosostenibile il rapporto dell’uomo con la natura e con il
cosmo.
L’Irc vive in questo momento e con grande intensità la fase di cambiamento e di
trasformazione didattica comune alle altre discipline e s’interroga circa il suo ruolo
all’interno di questi rapporti. Anzi possiamo dire che sono poche le altre discipline che
hanno subito un lavoro di approfondimento e di ricerca circa la propria identità e il
proprio statuto come questa. Infatti se da un lato la disciplina Irc partecipa naturalmente
di una serie di elementi culturali presenti nelle altre discipline, sia a livello storico -
letterario sia a livello tecnico - scientifico, dall’altro è tesa a precisare il suo ruolo ed
individuare le proprie caratteristiche, che ne fanno una materia fra le altre e non una
materia opposta alle altre.
Se quest’insegnamento è immerso in queste dinamiche, anche il docente di Religione è
motivato a riflettere seriamente sul suo operato e sulla sua collocazione sociale e

1
Maria Nieves Tapia, Educazione e solidarietà, la pedagogìa dell’apprendimento servizio, ed.
Città Nuova, Roma 2006, 54 - 55

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istituzionale nel mondo scolastico, trovandosi quindi a vivere un ruolo complesso, in


quanto si pone come protagonista frontale del servizio ecclesiale, caratterizzato da
un’identità precisa, che ha il dovere di rendersi disponibile ad una reale dialogo, ma è
anche portatore di una dimensione laicale e identificato da un profilo professionale
autonomo in grado di promuovere il dispiegarsi degli interventi educativi e didattici
autonomamente, sulla base della epistemologia disciplinare e di pratiche didattiche che
sappiano gestire le situazioni di apprendimento.
L’attività dell’insegnante di Religione è quindi spendibile in un contesto civile arduo da 6
gestire, perché necessitata a confrontarsi con più aspetti, sociali, identitari, culturali e
professionali, che non sempre stanno assieme in maniera pacifica e devono essere
sviluppati unitariamente. Per questo motivo i vescovi italiani, già un trentennio fa,
hanno definito la sua identità come uomo della sintesi: “Egli è uomo della sintesi
innanzitutto sul piano della mediazione culturale, propria del suo servizio educativo.
Egli deve favorire la sintesi tra fede e cultura, tra vangelo e storia, tra i bisogni degli
alunni e le loro aspirazioni profonde. I1 suo insegnamento esige, pertanto, una
continua capacità di verificare e di armonizzare i diversi e complementari piani:
teologico, culturale, pedagogico, didattico. L'opera educativa del docente di religione
tende infatti a far acquisire ai giovani, nella loro ricerca della verità, la capacità di
valutare i messaggi religiosi, morali e culturali che la realtà offre, aiutandoli a
coglierne il senso per la vita”2.
In un contesto culturale arduo da comprendere e complesso da dipanare nelle sue forme,
la sfida che l’educazione lancia ad una società spesso incapace di recepire i segni della
crisi, diventata non più eccezione ma essa “stessa regola della nostra società”3, consiste
nel restituire autorità e credibilità al mondo della scuola, nell’opporsi al tentativo di
relegare nell’ombra le grandi questioni dell’esistenza, consegnandosi ad analisi
superficiali e a tecnicismi didattici, nel superare le fratture fra gli strati sociali e, infine,
nel ricomporre i frantumi delle divisioni e dei conflitti generazionali.
Gli aspetti positivi che pure sono presenti nel diffuso bisogno di partecipazione sociale,
nel sentimento di condivisione, così forte soprattutto in questo tempo di pandemia, nella
rinnovata volontà di rimettere in gioco competenze e risorse, non sono garanzia di
certezza, come, con grande acume, ha affermato Benedetto XVI, secondo cui “a
differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi
possono sommarsi a quelli del passato, nell'ambito della formazione e della crescita
morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la
libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione
deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del
passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati

2
Cei, Insegnare religione cattolica oggi, Nota pastorale dell'Episcopato italiano
sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, Roma 1991, 88.
3
Miguel Benasayag, Gerard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2005, 13.

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attraverso una, spesso sofferta, scelta personale”4. In questa maniera il rischio


dell’abbandono di ogni fiducia e di ogni speranza può prendere il sopravvento proprio
fra gli operatori e i docenti della scuola, generando una pervasiva e pericolosa
sudditanza al nichilismo e al relativismo; questi ultimi, dimensioni terribili del nostro
tempo, spesso si nutrono dell’inganno secondo cui la scienza può risolvere i nodi
cruciali della nostra crisi, panacea attrattiva e affascinante; tuttavia “il paradigma
tecnico –scientifico, non si propone alcun fine da realizzare, ma solo dei risultati da
raggiungere come esiti delle procedure. Questa abolizione dei fini destituisce, fin dalle 7
sue fondamenta, ogni possibile ricerca di senso per quel tipo d’uomo, l’occidentale,
cresciuto nella “cultura del senso” secondo la quale la vita è vivibile solo se inscritta in
un orizzonte di senso”5.
Allo stesso modo il relativismo, che si pone talvolta come una “dittatura”6, mascherato
da fascinosa ideologia del compromesso, valorizzatore di qualsiasi opinione come
legittima, da una specie di mentalità indifferentista, può condurre ad un disorientamento
educativo del docente Irc, ad una faticosa ricerca delle modalità di gestione in una
classe, fra gli studenti, dei temi concernenti la vita umana, la sua direzione, la sua
finalità.
Nel campo educativo il lavoro quotidiano dello svelamento dell’equilibrio tra la
bellezza del sentirsi persone libere e il rischio di perdere la libertà, in quanto non
ancorata al faticoso discernimento di cui i giovani hanno assoluto bisogno, fa dubitare
dell’ancoraggio alla verità; l’uomo “non è più convinto che solo nella verità può trovare
la salvezza. La forza salvifica del vero è contestata, affidando alla sola libertà,
sradicata da ogni obiettività, il compito di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò
che è male”7. Perfino il provvidenziale metodo del dibattito, la dimensione del dialogo,
l’interazione, senza autoritarismi né paraocchi, a cui può portare un lecito e auspicabile
atteggiamento di accoglienza di tutte le opinioni e di tutte le convinzioni in un contesto
di confronto, possono essere annullate da una prospettiva relativistica che sminuisce
ogni opzione e scelta, perché rende giuste ogni opzione e ogni scelta.
In questa prospettiva diventa duplice il rilievo dell’Irc nel concerto delle finalità
educative, in quanto contribuisce, in primo luogo e in maniera originale e potente,
all’ispirazione globale della comunità scolastica in cui si muove, offre per così dire
un’anima alla scuola8 e nello stesso tempo si fa carico di riportare i territori religiosi,

4
Benedetto XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione,
21 gennaio 2008. Libreria Editrice vaticana.
5
Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2008, 18.
6
Joseph Ratzinger, Omelia Missa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005, Liberia
Vaticana.
7
Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, AAS, 84 1993, 1133
8
Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro degli insegnanti di religione cattolica,
Roma 2009.

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per tanto tempo percepiti come lontani ed inutili, ininfluenti rispetto alle necessità
dell’uomo del duemila, nel vivo degli spazi civili e sociali.
Tali compiti, scaturenti dalla natura intima della disciplina, sono resi concreti e attuabili
grazie ad una didattica che consente loro di realizzarsi in una costante riflessione
scientifica e lungo una rielaborazione operativa in grado di affrontare con strumenti
adeguati le questioni che si pongono.
Come didatticamente è possibile per l’Irc assumersi la responsabilità di contribuire ad
ispirare le finalità della scuola? Come si possono elaborare modelli didattici per fare 8
emergere la vicinanza religiosa e di accompagnamento ai vissuti contradditori odierni?
Come si vede, dai quesiti posti, il ruolo della didattica in questa realtà non è secondario
in quanto serve a tradurre le motivazioni e i valori, le scelte e gli obiettivi, prima su uno
sfondo unitario e di collegamento e poi in piste di interventi, in pratiche didattiche
percorribili.
Per la composizione di uno sfondo unitario diventa praticabile un approccio dialogico,
che si andrà sviluppando lungo le lezioni, organizzato intorno al raggiungimento di
competenze metacognitive, relative alla capacità di ascolto attivo, di gestione della
regolazione e del controllo del conflitto, inteso come risorsa, e di competenze
cooperative, relative alle capacità di condividere i temi, di approfondirli attraverso la
necessaria messa in discussione e il confronto fra prospettive civili, culturali e religiose
diverse.
L’obiettivo della definizione di piste di interventi in itinere diventa percorribile in
presenza di una didattica tesa alla progettazione di azioni, non scollegate da quelle delle
altre discipline, in ordine alle esperienze esistenziali di contatto con le problematiche
esistenziali e antropologiche, con le grandi questioni ambientali, con le tematiche
interreligiose, storiche, nonviolente.
Inoltre è necessario scegliere, all’interno del moltiplicarsi di offerte spesso
frammentarie e troppo denotate come “animazioni” più che come “lezioni”, alcuni focus
didattici più vicini alle dimensioni caratteristiche dell’Irc, disciplina connotata dal
confronto, dall’interattività, dalla lettura dei fatti alla luce della proposta evangelica,
come i Consigli di Cooperazione, il Debate, la Classe capovolta, l’approccio sistemico
dell’apprendimento - servizio, già esplicitato sopra.
L’idea di fondo è che una didattica funzionale alla disciplina Religione consideri
l’alunno come portatore di un mondo complesso e globale, ma compatto, nel quale si
forma la sua personalità e per questo sia destinatario di interventi tali da valorizzarne le
sfaccettature, di tradurre quell’unità in una pluriversità di manifestazioni, le quali
rappresentano bene la sua ricchezza e la sua grazia.

I modelli didattici dell’Irc. L’Insegnamento della Religione, come tutte le discipline,


presenta una parte legata ai contenuti scientifici e una parte che riguarda

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l’organizzazione di questi contenuti. La didattica Irc si occupa di questa seconda


caratteristica e del modo in cui avviene l’operatività organizzatrice.
Le conoscenze rappresentano quindi la sostanza dinamica in contatto con le categorie
ordinative e comunicative che rendono possibile lo studio e l’applicazione. Risulta
chiaro dunque che ciascuna disciplina scientifica è portatrice di bisogni e caratteristiche
particolari di cui la didattica terrà conto in questo percorso unitario e fluido, sebbene i
punti di tangenza tra le discipline e quindi fra le didattiche siano molteplici a tal punto
che non si può parlare veramente di didattica dell’Irc se non si pone mente che tale 9
denominazione deve essere intesa come campo euristico aperto.
I rapporti tra conoscenze e modalità di organizzazione e gestione delle conoscenze non
sono semplici da descrivere all’interno dell’Irc a causa dell’universalità delle tematiche
personalistiche e del coinvolgimento di tutti gli aspetti educativi spirituali attinenti alla
sfera umana. Inoltre la particolarità delle norme concordatarie, prescriventi l’ambito nel
quale tali questioni vanno dibattute e cioè quello cattolico, stabiliscono i confini precisi
nei quali l’insegnamento deve essere definito, pur in una prospettiva che individua tra
gli elementi identitari della disciplina la laicità, al fine di non imporre alcuna fede, ma
solo proporre contenuti di riflessione sulla fede.
L’Irc mette in gioco alcuni elementi psicologici, affettivi e cognitivi che fungono da
punti di riferimento, da ponte, per accostare e collegare le conoscenze relative alla
materia RC e le modalità della loro gestione didattica; vediamone alcuni.
Il primo e forse il più importante elemento da considerare è la funzione metaforica e di
simbolizzazione tipica della sfera religiosa, che permette alla mente umana di dare
ordine, significato e struttura all’esperienza e ai suoi vissuti (cfr., da un punto di vista
giuridico, lo stesso tema nelle dispense del Corso di Teoria della Scuola e Legislazione
scolastica). I sistemi simbolici, che popolano la nostra vita e quella degli studenti,
esprimono generalmente la razionalità, agente secondo una serie di codificazioni che
rendono intelligibile la realtà. Talvolta alla linearità logica della codificazione si abbina
la capacità di intuire le relazioni fra le cose, così come avviene nel campo della
religione, dove le cose, gli eventi assumono un ruolo metaforico e mostrano qualcosa
che vuole parlarci di un’altra cosa alla prima affine per significato o per suggestione o
per rappresentazione, come il mito, il sogno e, per l’appunto la narrazione religiosa che
scava dentro l’esperienza umana e la legge alla luce del bisogno della dimensione
trascendente.
E’ da questo punto di vista che l’Idr agisce, durante le lezioni, come rappresentante
consapevole, del sapere collettivo di una comunità e di una civiltà e quindi aiuta i propri
alunni a discernere, attraverso il processo di simbolizzazione, i significati del contesto
storico e scientifico nel quale si disvela la religione, anche nei suoi rapporti con le altre
discipline. La religione elabora i simboli esistenziali e vi conferisce un’interpretazione
razionale che accompagna gli studenti lungo i percorsi di acquisizione e di
comprensione delle conoscenze.

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Il simbolo come lente che rende possibile una rappresentazione di dimensioni


complesse e sfuggenti dell’essere umano perché non immediatamente percepibile dai
sensi o dalla percezione sensoriale è il necessario strumento per attribuire senso agli
eventi religiosi e alle sue dimensioni interiori e per promuovere la narrazione dei
messaggi che perciò stesso diventa narrazione simbolica, da cui partiremo per esporre
uno dei modelli didattici che più avanti saranno presentati.
Così passiamo al secondo dei tre elementi che descriviamo come possibili spazi di
incrocio tra contenuti della disciplina e sua organizzazione. 10
Il secondo elemento da considerare, è dunque strettamente legato al primo e attiene al
nesso tra parola e realtà religiosa ovverosia il profondo bisogno di dare un nome alle
cose che, in ambito religioso, trova grandi difficoltà di fronte alla impalpabilità e alla
misteriosa realtà di tali “cose”. Il bambino chiede agli adulti di riferimento il nome,
grazie al quale egli si può connettere con la realtà che lo circonda, cerca rassicurazione
circa l’estraneità del mondo e la sua paura si trasforma in gioia di vivere quando si
rende conto, pur non attraverso la logica, ma intuendo e percependo l’affettuosa e
disponibile “competenza” dei genitori, che non deve difendersi e chiudersi, ma aprirsi
all’esplorazione di ciò che lo circonda.
Il nominare le cose attraverso il linguaggio è quindi un’operazione non solo lessicale e
semantica, ma anche, a dire con il linguaggio del linguista, “pragmatica”, cioè legata
all’uso sociale e comunitario. Chiamare le cose assume, da questo punto di vista,
l’importante e radicale ruolo del riconoscere una realtà esterna e quindi un interlocutore.
Quando il bambino chiede il nome delle cose stabilisce un contatto che lo apre
spontaneamente ad un tu. Nella sfera spirituale il tu, che emerge spontaneo, rispetto alle
persone che abitano l’esperienza del bambino, gradualmente assume i contorni di una
ricerca dell’essenziale e dell’attesa di una risposta “tale risposta è il necessario omaggio
reso ad un’alleanza ormai stretta, appunto mediante la conoscenza del nome proprio di
ciascuno. Tale alleanza non consente certo una conoscenza, ma garantisce la
possibilità della parola. Promette dunque una via praticabile per realizzare anche la
conoscenza”9.
In questa maniera il linguaggio rappresenta il veicolo attraverso cui si traduce
l’esperienza in significato, si avvia la conoscenza intuitiva di alcuni collegamenti tra le
cose e infine si promuove la comunicazione con gli altri. Più l’elaborazione è costante e
sollecitata maggiori saranno le probabilità che il soggetto, in questo caso il bambino,
impari a chiedersi spontaneamente conto delle ragioni delle cose e chieda non più solo
quali sono i nomi delle cose, ma anche quali sono i fenomeni che sovrintendono al
meccanismo del chiamare e in questo senso gli si affacceranno alla mente e ai
sentimenti le realtà che percepisce e che ancora non possiedono un nome e inizierà a
fare memoria di ciò che vive. “Il linguaggio assume dunque valore simbolico e
comunicativo, ossia diviene un “sistema di codifica degli eventi”: conferisce a tali
9
Giuseppe Angelini, Il tempo e il rito, Cittadella, Assisi 2006, 5

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eventi una “struttura”; rende esplicito e comunicabile il processo di categorizzazione


della realtà; consente lo scambio sociale: rappresenta insomma un aspetto
imprescindibile nel processo di culturizzazione e di umanizzazione delle persone in
quanto realizza forme di relazione e di conoscenza.”10
Il complesso di temi e di situazioni, la multiformità dei messaggi di cui si alimenta l’Irc
necessitano di essere espressi con linguaggi comprensibili e in particolare con quelli dei
segni dei simboli, in quanto tra i vari approcci è quello più coerente con la natura della
disciplina. Come si vede questo secondo l’elemento, che si sta trattando, richiama il 11
primo in un incrocio che valorizza le competenze linguistiche dell’IdR e pone come
imprescindibile un lavoro di alfabetizzazione e di impostazione ermeneutica di base.
Il terzo elemento da considerare consiste nella funzione relazionale, nella capacità di
utilizzare l’attività di simbolizzazione e quella del linguaggio per stabilire rapporti
interpersonali, funzione che rappresenta il più alto livello di testimonianza umana e di
radicamento nella storia, ma anche di consonanza con la natura e con l’ambiente in una
reciprocità fattuale, costituita dalle capacità di ricevere, di accogliere, di rispondere, di
affidarsi.
Non bisogna mai dimenticare che oggi è anacronistico pensare alla relazione solo come
interlocuzione fra esseri umani. Di fronte alle trasformazioni della tecnica, ad un diverso
modo di guardare alla natura e al cosmo sentiamo di essere solidali con tutte le creature
viventi, di far parte di uno stesso sistema, comprendiamo di avere finalmente
abbandonato la concezione antropologica secondo cui l’uomo è chiamato a dominare la
natura, che per millenni è stata affermata in maniera dispotica e acritica, così violenta e
distruttiva; è venuto il momento in cui la stessa Chiesa sta tracciando una via di non
ritorno sul paradigma della coltivazione e della cura, rispetto a quello del dominio:
“Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire
proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di
reciprocità responsabile tra essere umano e natura.”11 Quando parliamo di funzione
relazionale intendiamo quindi la consapevolezza di essere inseriti in un vasto e
universale contesto di legami, di connessioni, di correlazioni e di interdipendenze che
fanno di ciascuno di noi un essere composto da relazioni, la cui personalità è essa stessa
diversità e apertura alla molteplicità.
La funzione relazionale è l’elemento che congiunge in sistema gli altri due elementi di
cui abbiamo parlato. Il soggetto che entra in relazione scambia con l’interlocutore non
solo pensieri e affetti, ma legami, meticciamenti e grazie ad essi genera nuovi legami,
nuove concezioni di mondo. Questa capacità generativa mette in moto altri percorsi,
altre vie che trasformano la stessa relazione arricchendola ed evolvendola.

10
Giuseppina Zuccari, L’insegnamento della Religione cattolica, ed. Elledici, Il capitello,
Torino 2004, 176
11
Francesco, Laudato sì, Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Libreria vaticana, Città
del vaticano 2015, 67, p.62

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Riepilogando, dunque, possiamo affermare che i tre elementi della funzione metaforica,
del linguaggio simbolico e della funzione relazionale conducono l’Idr a sviluppare una
connessione profonda tra contenuti disciplinari e permettono il processo che Morin
chiama della comprensione umana, quando afferma che “(…) la missione propriamente
spirituale dell’educazione: insegnare la comprensione fra gli umani è la condizione e la
garanzia della solidarietà intellettuale e morale dell’umanità.”12 E polarizza tale
comprensione secondo i due poli planetario della comprensione tra lontani e individuale
secondo le relazioni fra vicini. 12
Dopo aver evidenziato questo passaggio didattico, occupiamoci adesso di capire come
avviene didatticamente l’operazione riguardante il modo di strutturare le conoscenze ai
fini delle competenze. I tre elementi di cui abbiamo discusso, quali nuove categorie di
riferimento, forniscono il quadro epistemologico dell’approccio, ma non ci dicono
ancora a quale modello didattico si può far riferimento per attivare gli interventi e
collegarli nell’interazione in classe.
L’apprendimento viene avviato a partire da modelli scientifici, in grado di
sistematizzare gli oggetti cognitivi da acquisire in percorsi, i quali colgono ora l’uno ora
l’altro aspetto caratterizzante dell’insegnare e in particolare dell’insegnare Religione.
Se, per esempio, si ritiene che sia necessario definire una prospettiva apprenditiva calata
nella riflessione sul come si conosce e sul come si accresce la conoscenza, mettendola
in contatto con l’esperienza, allora il modello sarà di tipo metacognitivo.
Quando la conoscenza, attraverso la sua azione competente, diventa sapere e libera il
soggetto dalle zavorre didascaliche per proiettarlo nell’autonomia della ricerca e dello
sguardo personale sul mondo, allora accade il miracolo della costruzione di una forma,
di una mappa del mondo, come la stesura di un metaforico libro, che interpreta i segni
della realtà e li confronta con le altre interpretazioni in un continuo e perenne scambio
che arricchisce e amplia sempre più la riflessione sul sé e l’azione del sé nella storia. E’
in fondo questa l’operazione che chiamiamo modellizzazione e che utilizziamo come
forma di traduzione, sempre subordinata ad una costante verifica al fine di evitare sia
una frammentazione relativistica sia una predominanza culturale dannosa e pericolosa,
dell’esperienza umana, come possibilità di entrare con strumenti chiari nella realtà così
liquida e in continua trasformazione circostante.
Rispetto a questo discorso sono molti i modelli proposti all’insegnante basati ciascuno
su una visione particolare del fare scuola. Rezzaghi nel rilevare la necessità di un
modello da utilizzare nella comunicazione dinamica e interattiva richiama l’Idr a
“conoscere, a scegliere e a usare i modelli didattici più opportuni nella situazione in cui
si trova a operare, per promuovere itinerari personali capaci di trascendenza”13 e
propone un confronto dal punto di vista storico dei modelli più utilizzati: il

12
Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina editore, Roma 2001,
97.
13
Roberto Rezzaghi, Manuale di didattica della religione, editrice La scuola, Brescia 2012, 90.

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puerocentrico, il kérigmatico, l’antropologico, il curricolare, il modello per concetti,


sottoponendoli ad una serrata critica in un orizzonte personalistico.
Tali modelli offrono l’occasione per una riflessione approfondita di alcuni aspetti
comuni ai vari modelli da cui si può partire per un’impostazione originale che presenti
una sintesi originale come base di partenza.
Ci sembra di ravvisarne l’individuazione nella centralità del dialogo come forma
sottostante ai vari approcci, l’esperienza intesa come condivisione di una narrazione in
grado di interpretare la realtà e di connetterla a significati trascendenti, il rifiuto di 13
ingabbiare in stilemi eccessivamente tecnici le finalità e la natura dell’Irc.
A partire da questi comuni e proficui aspetti che possono alimentare ciascun modello,
possiamo tentare una sintesi che metta in evidenza non più l’aspetto storico della
modellizzazione quanto quello orizzontale della sincronicità dei modelli possibili, da cui
emergano sinergie e ricomposizioni da realizzare in classe. Lo facciamo analizzando
brevemente tre dimensioni degli approcci didattici e focalizzando l’attenzione su due di
essi da poter amalgamare e rendere fruibili all’insegnante.
A partire dai modelli generali della didattica, operanti come sfondo integratore e da cui
discendono le forme particolari delle discipline, possiamo individuare, dunque, alcune
forme di modellizzazione tipiche dell’apprendimento/insegnamento IR che possiamo
brevemente indicare come modello della ricezione - trasmissione, modello della
costruzione, modello della narrazione.
Dallo sfondo integratore riguardante un apprendimento come ricezione di un contenuto
da rendere attivo in situazione e quindi aperto ad un modello trasmissivo, discende una
didattica IR focalizzata sulla funzionalizzazione delle conoscenze all’aspetto applicativo
nelle esperienze di apprendimento. Tale sfondo è assai vicino ad un modello
prestazionale, tale che individua la didattica come il campo dell’insegnamento delle
funzioni. In questa visione viene valorizzata la conoscenza dei nuclei fondanti la
disciplina e la competenza è legata alla esatta prestazione richiesta.
Se invece adottiamo uno sfondo integratore riguardante un apprendimento come
elaborazione delle conoscenze e ricomposizione di esse in funzione della realtà e delle
sue problematiche e quindi aperto ad un modello costruttivista, discende una didattica
IR focalizzata sulla scoperta che le conoscenze sono dinamiche e comportano sempre la
possibilità di essere meticciate, ricostruite, ristrutturate in maniera flessibile tale che
l’applicazione ai contesti esperienziali non sia una semplice applicazione ma una
attivazione di nuovi percorsi da scoprire. In questa visione viene valorizzato
l’apprendimento dell’allievo, la conoscenza diventa lo spunto creativo per attivare le
risorse a disposizione, sia interne e conosciute già sia esterne e nuove per il soggetto.
Se infine adottiamo uno sfondo integratore in cui l’apprendimento è visto ancora come
una costruzione, ma sviluppata intorno alla narrazione degli eventi da cui si sprigiona la
conoscenza e quindi aperto ad un modello narrativo, nel quale le pratiche metacognitive
hanno la preminenza, discende una didattica IR focalizzata sulla reciprocità tra i

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soggetti che apprendono, mediante una relazione tra ascolto e produzione linguistica.
Tale modello, come scrive Bruner, pur non sottovalutando l’importanza del pensiero
logico – scientifico il cui “valore è così implicito nella nostra cultura altamente
tecnologica che la sua presenza nei curricoli scolastici è scontata”14, è tuttavia in grado
di rappresentare l’emergenza delle motivazioni alla base dell’apprendimento e mette in
grado l’insegnante e la scuola in generale di “coltivare la propria capacità narrativa,
svilupparla, smetterla di darla per scontata”15.
Raccontare di sé e del mondo ha a che fare con la capacità di scavare nella propria 14
interiorità e trovarvi gli oggetti spirituali di una storia, come centri a cui attribuiamo la
formazione della nostra coscienza. Analogamente, sebbene con le dovute proporzioni,
in un bambino l’operazione di discesa nella propria interiorità può divenire, con l’aiuto
dell’adulto, un discorso, un racconto, che mette insieme i vari elementi esperienziali in
un ininterrotto legame con il fuori, come un filo invisibile che collega lo spirito infantile
al mondo nel quale dovrà emergere.
Nella tripartizione che Jedlowski propone tra storia, racconto e narrazione solo
quest’ultima è azione e interazione. “A narrare si è in due. Non c’è solo il narratore:
senza un destinatario il narratore non potrebbe essere tale. Quali storie, perché e come
vengano raccontate dipende così dalla relazione che sussiste fra il narratore e il
destinatario”16
Risulta chiaro, da questa breve disamina sui modelli didattici IR, che mentre il primo
rappresenta una modalità didattica poco interattiva, basata su un solo canale
comunicativo, diretto agli alunni e quindi poco trattabile e molto rigido, il secondo e il
terzo modello sono più flessibili e rappresentano una buona opzione per intessere con i
gruppi – classe una efficace interazione comunicativa e un vasto campo di possibilità di
avviare percorsi didattici in grado di misurarsi con le situazioni - problema nelle
sequenze non solo di classe, ma anche proposte nella realtà concreta.
Se poi optiamo per una sintesi dei due modelli, in maniera da coniugare la costruzione
personalistica delle conoscenze con la loro declinazione narrativa, allora le lezioni di IR,
particolarmente sensibili alla reciprocità relazionale e allo sguardo esistenziale sulle
cose, potrebbero trarre un innegabile vantaggio apprenditivo. Si pensi alle difficoltà che
sempre più spesso mostrano i bambini a raccontare storie ed esperienze, dovute ad una
lingua stereotipata, mutuata da quella delle pubblicità o delle animazioni televisive
oppure alla scarsa capacità dei più grandi e dei giovani ad elaborare un pensiero
narrativo, un pensiero cioè che sappia ricostruire le conoscenze per condividerle nel
dialogo e sappia descrivere le emozioni e i sentimenti percepiti nelle varie circostanze

14
Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2004, 55
15
Ivi, 55
16
Paolo Jedlowski, Culture e narrazioni di sé, in Studiare la comunicazione in Italia. Bilanci e
prospettive, Sociologia della Comunicazione, Angeli editore, 50 Anno XXVI, Milano 2015,131

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della vita, ricostruzione e descrizione che sono appunto due delle principali competenze
narrative.
In questo contesto riecheggiano le parole di Benjamin che in “Angelus Novus” scrive,
relativamente al passaggio dalla cultura orale alla cultura della riproducibilità: “Capita
sempre più di rado d’incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si
deve: e l’imbarazzo si diffonde sempre più spesso quando, in una compagnia, c’è chi
vorrebbe sentirsi raccontare una storia. E’ come se fossimo privati di una facoltà che
sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare 15
esperienze”.17
La didattica dell’IR ha questo compito immane, ma affascinante di restituire negli
ambienti scolastici, ma anche in quelli sociali e civili, le occasioni di apprendere
narrando, così come una lunga tradizione ecclesiale e le fondamenta stesse delle fonti
scritturistiche ci indicano come orizzonte ultimo di senso.

17
Walter Benjamin, 1976, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, in
“Angelus Novus”, Einaudi, Torino 1976, 235

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