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“IL CANTE JONDO: ALLUSIONI ATAVICHE NELLA LETTERATURA PER CHITARRA”,

di Fabrizio Furci

Negli ultimi due anni, durante i miei studi specialistici nella classe di chitarra del Conservatorio “J.
Tomadini” di Udine sotto la guida del Maestro Stefano Viola, ho sviluppato una ricerca sulla
musica folklorica spagnola e i suoi influssi nella musica classica “colta” intitolata: “Il cante jondo:
riflessi atavici nella letteratura per chitarra”. Recentemente ho incontrato e intervistato il più grande
chitarrista flamenco vivente - Manolo Sanlucar - icona della cultura andalusa, implementando il mio
lavoro con una testimonianza di notevole rilievo e spessore.

Mentre Béla Bartok coltiva un appassionato interesse per il canto popolare ungherese e balcanico e
si dedica con Zoltan Kodaly alla raccolta e allo studio dei suoi documenti, parallelamente, Manuel
De Falla compie un percorso simile di “ispirazione nazionale”.
Il loro comune tentativo è riuscire a dare un valore di lingua a ciò che era stato raccolto come
dialetto locale, riuscire a pervenire all’universale passando attraverso la “piccola” patria;
individuare gli elementi base, le cellule generatrici, i mattoncini costitutivi del folklore musicale o,
come la chiama Felipe Pedrell, la musica naturale. Questa è fatta di elementi tipici che, come
afferma il Maestro spagnolo nel suo Cancionero musical español, si estrapolano dalla sostanza
melodica della canzone tradizionale.
Lo stesso De Falla afferma che si deve passare attraverso l’uso del documento popolare, attraverso i
suoi ritmi, le sue modalità, i suoi intervalli melodici; aggiunge che l’accompagnamento ritmico e
armonico di una canzone hanno importanza pari alla canzone stessa.
Il percorso di ricerca che compie De Falla - assieme ad altri intellettuali, musicisti, artisti e poeti -
alla ricerca delle origini musicali e culturali del vocabolario poetico e musicale della propria terra
(l’Andalucia) - coincide con il percorso della sua intera vita e lo porterà ad identificare nel cante
jondo l’identità ancestrale e atavica del proprio vocabolario musicale.
Felipe Pedrell svolge un’analisi sulle origini del folklore musicale (con particolare riferimento a
quello spagnolo) e del significato che assume la cosiddetta musica naturale nei confronti della
musica artificiale. Il tema della musica folklorica e popolare spagnola è trattato, con particolare
riferimento allo sviluppo delle proprie teorie poetiche e musicali, da Federico Garcia Lorca e
Manuel De Falla. Questi riterranno necessaria, assieme a un gruppo di intellettuali connazionali, la
creazione di un concorso per ridare lustro, visibilità e prestigio al cante jondo ed “educare”
all’originaria essenza stilistica della musica popolare spagnola e andalusa, contrapponendovi quella
che loro stessi ritengono la sua degenerazione: i cosiddetti cantes flamencos. Questa affermazione
va contestualizzata in un’epoca - quella successiva ai primi anni’20 del ‘900 - in cui in Spagna
avveniva un recupero delle tradizioni culturali, artistiche e musicali. Era necessario nobilitare di
fatto un’arte musicale folklorica “depurandola” dalle corruzioni della modernità; di qui la
distinzione tra cante flamencos e il cante jondo. Questa distinzione rimane netta soprattutto nel
periodo del Concorso de cante jondo (1922) ed è dovuta anche a motivazioni di tipo politico ed
economico.

Così scriveva Manuel De Falla su Claude Debussy:

“Claude Debussy ha scritto musica spagnola senza conoscere la Spagna; o per meglio dire
senza conoscere il territorio spagnolo, che è cosa ben distinta. Claude Debussy conosceva la
Spagna attraverso letture, quadri, canti e danze, cantate e ballate da spagnoli autentici”.

Si esprime con le seguenti parole su Maurice Ravel:

“Ma ritorniamo al giorno in cui conobbi Ravel. Egli e Viñes fecero una lettura della Rapsodie
espagnole […]. La Rapsodia […] mi sorprese per il suo carattere spagnolo, che […] non
veniva raggiunto dal semplice impiego di documenti folcloristici, ma anzi (eccettuata la jota
della Feria) da un libero uso di essenze ritmiche, melodico-modali e ornamentali della nostra
lirica popolare, essenze che non alterano la maniera peculiare dell’autore […].”

Claude Debussy, per usare le sue stesse parole, “ha sempre osservato” cercando di “trar partito da
quelle osservazioni”. I suoi interessi verso i “vasti orizzonti sonori che gli si aprivano davanti, dalla
musica cinese fino alle musiche della Spagna” avevano destato in lui sempre curiosità e avrebbero
portato a tradurre tutto ciò in “splendide attuazioni.”
L’interesse di Claude Debussy per la musica liturgica era noto; dato che il canto popolare spagnolo
è in gran parte basato su di essa è naturale che vi si incontrino molte cadenze, modi, concatenamenti
di accordi, ritmi e anche giri fortemente imparentati con la musica naturale spagnola e andalusa.
Molte delle sue opere, a parere di Manuel De Falla, potevano essere scambiate per alcune delle più
belle danze andaluse che fossero mai state scritte. E’ curioso che fosse lo stesso Debussy ad
affermare che non ci fosse nessuna intenzione da parte sua di dare un carattere spagnolo a queste
opere. Utilizzando le parole di Manuel De Falla possiamo dire che la forza evocativa condensata ne
La soireé dans Grenade ha del miracoloso se si pensa che fu scritta da uno straniero guidato dalla
sola intenzione del suo genio”:

“Qui ciò che ci si presenta è l’Andalusia: la verità senza l’autenticità, potremmo dire, giacché
non vi è una sola battuta desunta dal folclore spagnolo e, nondimeno, tutto il pezzo, fino ai più
piccoli particolari, fa sentire la Spagna.”

Allo stesso modo la Puerta del vino si presenta frequentemente adornato da molti abbellimenti che
sono propri alle coplas andaluse del cante jondo. Qui sono usati i modi caratteristici della chitarra
popolare spagnola “che preludiano e accompagnano la copla”, dice Manuel De Falla.
L’altra opera, forse la più importante del gruppo, è Iberia. Qui l’autore stesso disse espressamente
che non era sua intenzione fare musica spagnola bensì di tradurre in musica le impressioni che la
Spagna aveva risvegliato in lui.
Mi pare interessante riportare qui un commento su Debussy fatto da De Falla:

“Si potrebbe affermare che Debussy ha completato quanto il maestro Felipe Pedrell già ci
aveva rivelato delle ricchezze modali contenute nella nostra musica e delle possibilità che da
esse derivano. Però mentre il compositore spagnolo usa documenti popolari autentici in gran
parte della sua musica, si direbbe che il maestro francese li abbia ascoltati per crearne una
musica propria, non derivandone altro che l’essenza degli elementi fondamentali.”

Quando De Falla conobbe Ravel, nel 1907, quest’ultimo aveva appena scritto la Rapsodie
espagnole. Questa composizione aveva sorpreso De Falla per il suo carattere spagnolo che non
veniva raggiunto dal semplice “uso di documenti folklorici (eccettuata la jota della Feria) ma da un
libero uso di essenze ritmiche, melodico-modali e ornamentali della lirica popolare spagnola.
Queste essenze, come spiega De Falla, non alterano la maniera peculiare dell’autore. La Spagna che
conosceva Ravel era - allo stesso modo che per Debussy - una Spagna lontana, sognata, raccontata
dalla madre che, evocando i suoi anni di gioventù vissuti a Madrid, ricordava le emozioni
dell’epoca, attratto dal ritmo di habanera, una delle canzoni più suonate nell’epoca del soggiorno
madrileño della madre; danza dimenticata in Spagna nei primi del ‘900 ma in voga a Madrid mezzo
secolo prima, riviveva in Francia - anche attraverso Ravel - come caratteristica dello spirito
spagnolo.
Ciò che osserviamo è che allo stesso modo Bartok e Kodaly, Felipe Pedrell e Manuel De Falla,
Claude Debussy e Maurice Ravel, attraverso la ricerca e lo studio del folklore popolare o attraverso
le abilità e il genio compositivo riescono a pervenire all’universale passando attraverso la piccola
patria, a individuare gli elementi base, le cellule generatrici, i mattoncini costitutivi del folklore
musicale e della musica naturale così come l’aveva definita Pedrell nel suo Cancionero musical
popular español.
De Falla dichiara, nella rivista musicale “Excelsior”:

“Gli elementi essenziali della musica, le fonti di ispirazione, sono le nazioni, i popoli. Sono
contrario alla musica che prende per base i documenti folcloristici autentici; credo, al contrario,
che è necessario partirsi dalle fonti naturali vive e utilizzare le sonorità e il ritmo nella loro
sostanza, e non per ciò che offrono esteriormente.
Per la musica popolare di Andalusia, per esempio, è necessario andare molto in fondo per non
caricaturarla”

Questa dichiarazione se da una parte, oggi, appare anacronistica - il mondo globale e le


comunicazioni ci portano a conoscere, ascoltare, apprezzare (o disprezzare) le forme d’arte più
disparate e lontane - dall’altra calza a perfezione se intendiamo conoscere gli elementi tipici e
tradizionali di una cultura o di un gruppo sociale più o meno vasto di persone, di un popolo.

INTERVISTA A MANOLO SANLÚCAR


Il giorno 6 gennaio 2020 grazie a una serie fortuita di eventi (per chi non crede che esista il destino
e non crede che le cose debbano andare in un certo modo perché predestinate) ho avuto
l’opportunità di incontrare e conoscere il più grande esponente vivente della chitarra e della cultura
musicale flamenca e andalusa.
Manuel Muñoz Alcòn (1943), in arte Manolo Sanlúcar, è compositore e concertista nato a
Sanlúcar de Barrameda - vicino Cadice, in Andalusia. "La sua squisita sensibilità artistica, e le sue
idee musicali e interpretative precise lo hanno reso uno dei più grandi conoscitori dell’anima
andalusa; dotato di una eccezionale musicalità e di una tecnica fuori dal comune, questo
indiscutibile genio della chitarra flamenca continua ad aprire nuovi percorsi chitarristici con
falsetas e arpegios, restando sempre nel substrato del [cante] jondo”

Sanlúcar de Barrameda, 6 gennaio 2020

Manolo Sanlúcar:
“La regione dell’Andalusia ha la particolarità di produrre uno stile di pronuncia musicale che è
collegata con l’oriente e che ha origine nella cultura millenaria della città di Tartesso dove già
c’erano un ordine politico e dei valori.
Si dice che il popolo di questa cultura millenaria fosse, all’epoca, il più colto d’Europa. L’arte era
dentro il popolo; a partire da alcuni “privilegiati” - in senso artistico, dotati di maggiori qualità
artistiche e musicali - si incomincia a sviluppare una particolare attitudine o arte musicale e si
incomincia a creare il flamenco.
Questi individui privilegiati si esprimevano col canto e la voce, trasformando i temi cantati in opere
artistiche; gli stessi temi cantati dai gruppi corali, che nel flamenco non determinano il fatto
musicale, avevano al contrario un’andamento molto più regolare o “quadrato”.
Il flamenco ha una caratteristica evidente: nel concetto ritmico rifugge continuamente dalla
regolarità e dall’ovvietà, al punto che un tema cantato dal cantaor solista non potrebbe mai, da lui,
essere ripetuto uguale due volte.”

Fabrizio Furci:
“Nel flamenco c’è una relazione tra improvvisazione e regole - ritmiche o melodiche?
Può spiegarci il suo punto di vista?”

Manolo Sanlúcar:
“La musica una volta si trasmetteva solo da maestro ad alunno (al maestro si possono fare domande
al libro no) e la trasmissione orale era dunque prevalente; l’armonia nel flamenco era molto
elementare e persino i più grandi chitarristi non conoscevano più di 7 o 8 accordi, riuscendo tuttavia
a creare uno (il loro proprio) stile.
Il mondo del flamenco è un mondo particolare perché dà importanza ad altri valori piuttosto che
all’aspetto armonico come, ad esempio, la complessità melodica, valore molto importante nel
flamenco antico.

Fabrizio Furci:
“Il flamenco di oggi mantiene una connessione con la realtà arcaica e a volte spirituale del primo
cante jondo?

Manolo Sanlúcar:
“C’è della gente non molto onesta che cerca di provocare quello che conviene loro e non quello che
conviene alla musica. Per questo il livello musicale si è abbassato tanto negli ultimi tempi; tuttavia -
nonostante un abbassamento qualitativo della musica proposta - c’è sempre più gente che la ascolta.
I veri artisti oggi non sono (purtroppo) considerati; le persone che hanno successo sono le stesse che
venivano cacciate dalle sale da concerto quando io ero giovane. Per questo oggi i veri artisti non
hanno lavoro.
I canti flamencos moderni nascono attraverso la incorporazione di nuovi elementi (interpretazione
personale) anche considerato che il flamenco è una musica a trasmissione prevalentemente orale e i
chitarristi e musicisti flamenco non sanno leggere la musica.

Fabrizio Furci:
“Quali sono i musicisti più importanti della storia del flamenco dalle sue origini ad oggi? In che
modo, secondo la sua opinione, hanno segnato delle tappe importanti nell’evoluzione del flamenco?

Manolo Sanlúcar:
“La chitarra flamenco incomincia ad avere importanza, regole e una sua struttura canonica nel
contesto musicale del flamenco, con Ramon Montoya; lui ha segnato il cammino della chitarra di
oggi anche con il contributo importante di Don Javier Molina di Jerez de la Frontera. Altro
chitarrista importante è stato Miguel Borrul, colui che inventò il toque por taranta, in cui appare un
buono sviluppo dell’armonia. Ramon Montoya, prima di lui, accompagnava il cante por taranta con
il toque por malagueña.
Successivamente appare una scuola chitarristica più progressista i cui principali esponenti sono:
Sabicas, Manuel Cerrapì e Niño Ricardo.
Si arriva quindi alla terza tappa, quella in cui sono compreso anche io; la chitarra può fare dei passi
avanti notevoli nella sua evoluzione perché, grazie alla disponibilità dei mezzi di comunicazione, è
possibile ascoltare nuove musiche che ‘aprono la mente’. Ciò non significa copiare ma recepire ed
elaborare con il pensiero le novità musicali ascoltate.
Nella chitarra flamenco di oggi si è compiuta ancora un’altra evoluzione rispetto alla mia
generazione. Credo che i parametri della musica di oggi non cerchino la qualità musicale; se così
non fosse il 90% della musica di oggi non sarebbe suonata a ritmo di rumba! Prima [nella mia
generazione] si cercava di crescere come musicisti, non di diventare famosi. Anch’io per un periodo
della mia vita ho cercato di fare musica più “commerciale”, poi però sono tornato sui miei passi con
il disco Tauromagia e ho anche scritto musica sinfonica flamenco - Medea - opera scritta per
chitarra e orchestra. Si tratta di un’opera sinfonica di gusto flamenco. Paco De Lucia fece
un’operazione simile ma l’arrangiamento e l’orchestrazione la fece un musicista classico il quale
non fu capace di trasmettere alla parte orchestrale lo stile flamenco.
‘Medea’ venne premiata come miglior opera dell’anno al Metropolitan di New York.”

Fabrizio Furci:
“C’è una relazione tra il mondo della chitarra classica e quello della chitarra flamenco?
Se sì, quale?”

Manolo Sanlúcar:
“Durante il XIX secolo i migliori chitarristi non erano specializzati nell’una o nell’altra ma le
suonavano entrambe; l’idea di distinguerle prende piede a cavallo tra i due secoli. Si deve
aggiungere che in quegli anni il flamenco era molto più vicino al folklore. Questi grandi chitarristi
studiavano nei Conservatori; erano classici ma suonavano anche flamenco. Ad esempio Julian
Arcas. Arriva un momento in cui la scuola classica vuole delimitare il proprio spazio; tutto ciò che
non era classico o accademico venne in parte screditato. E’ così che alcuni di loro, tra cui Arcas,
camuffavano il titolo originale dell’opera eseguita perché non volevano rinunciare a suonare
flamenco ma, allo stesso tempo, temevano di essere screditati dalla scuola.
Inizialmente c’era la vihuela che però diventa presto strumento di corte, a quel punto si separa dal
popolo e quindi appare la chitarra di 4 corde, poi di 5, poi di 6, che farà lo stesso percorso della
vihuela, separandosi anch’essa dal popolo. Al popolo rimase quella rasgueada a 4 corde con cui era
possibile accompagnarsi facilmente alla voce con semplici accordi. Piano piano anche la chitarra
rasgueada popolare inizia a essere suonata pulsada e prende molto dalla chitarra classica - arpeggi e
scale… - arricchendo la chitarra flamenco (fine sec. XIX). Oggi questi due strumenti si dividono per
il carattere delle musiche suonate; realmente, ciò che ha apportato la chitarra flamenco alla classica,
dalla sua identità musicale, è stato renderla più artistica, di fatto ciò che allo stesso modo ha fatto la
classica nei confronti di quella flamenco. Infine ciò che ci separa sono il carattere delle opere e lo
stile. I flamenco prendono dal classico ma hanno un carattere diverso. Anni fa volevo scrivere
un’opera [che poi scrissi] Oraciòn con il tremolo, ma il classico tremolo flamenco di 4 note non era
adatto. Lo spirito non era abbastanza artistico o religioso. Dunque ho separato il tremolo dal basso.
Il tremolo di Oración non è regolare.

Fabrizio Furci:
“Quali sono gli elementi che più caratterizzano il flamenco da quando esiste ad oggi?

Manolo Sanlúcar:
“Nel flamenco per il suo carattere è molto importante il modo di eseguire. Se prendiamo ad esempio
le scale posso dire che oggi i classici usano in gran parte la tecnica del flamenco; una volta però non
era cosi. Ricordo Narciso Yepes che suonava una scala discendente legando più note di quelle che
pizzicava. Ciò che varia è la pronuncia [pronunciación] musicale. Los Romeros o John Williams
usano la tecnica del flamenco. Queste caratteristiche della chitarra flamenco hanno apportato molto
alla chitarra in generale.
La chitarra flamenco non usa molti altri effetti tipici della chitarra classica, (es. armonici, pizzicati)
perché sembrano troppo timidi, delicati..in poche culture si accompagna la musica con pugni sul
tavolo o con le palmas!!”

Fabrizio Furci:
“Ci sono luoghi in Spagna in cui si possono trovare forme stilistiche arcaiche, più spirituali e legate
alla tradizione?”

Manolo Sanlúcar:
“Questo è proprio della condizione dei gruppi sociali. La tradizione si conserva sicuramente di più
nell’etnia gitana che in quella dei payos. Sarebbe meglio specificare gitani andalusi poiché i gitani
catalani suonano la rumba!, che nel mondo flamenco, una volta, non esisteva. Data la sua
somiglianza con i tangos, quando arrivò ci si poteva quasi confondere.
I gitani, nel flamenco, hanno un valore più profondo di quello che hanno i payos.”

Fabrizio Furci:
“Quale è la differenza tra i gitani e i payos?

Manolo Sanlúcar:
“I gitani vengono in Spagna da varie zone del mondo, persino dallo Sri Lanka.
Quando incomincia la riconquista dell’Andalucia - che prima era invece araba - da parte dei
castigliani (711-1492) Castiglia, Leon e Aragon si uniscono e partono alla conquista - non
riconquista, dico io. In questo lungo lasso temporale gli arabi vengono espulsi dal territorio
andaluso. Nello stesso tempo i gitani provenienti dall’India - Sri Lanka - vagano peregrini attraverso
la Persia, la Grecia e altri paesi. Il gruppo che si ferma a Bisanzio si accredita come costituito da
grandi musicisti. I turchi poi invadono la Grecia e ne cambiano la religione. Quest’epoca coincide
con l’espulsione degli arabi [dall’Andalusia]. Ricapitolando: se i gitani [di religione cristiana] vanno
in Andalucia è perché vedono che lì i cristiani stanno vincendo. Portano con se’ i loro canti e il
sistema tradizionale della musica greca. Qui si incrociano con i nativi andalusi. Il flamenco si crea
così con l’incontro di gitani greci e i cristiani nativi: Gitanos e Payos.
MANUEL MUNOZ ALCON, MANOLO SANLÚCAR

1943 Manuel Muñoz Alcon, in arte Manolo Sanlúcar, nasce a Sanlúcar de Barrameda; nei primi anni di vita impara a suonare la
chitarra con il padre Isidro Muñoz Rapos detto Isidro Sanlúcar, chitarrista flamenco che si era formato nella scuola di Jerez
di Javier Molina.
Sin da bambino Manolo suona alle feste di paese della zona e attrae l’attenzione di grandi cantanti flamenco per il suo
virtuosismo.

1957 Dopo aver lasciato gli studi per dedicarsi allo studio della chitarra Pepe Pinto gli trova un posto come chitarrista nella
compagnia di Pepe Marchena e poco tempo dopo accompagna le leggendarie Niña de Los Peines e Paquera de Jerez

1968 Pubblica i primi dischi solisti e collabora col cantante Enrique Morente

1970 Suona con Enrique Morente alla prima sessione di cante flamenco che si è svolta nei saloni dell’Ateneo di Madrid

1972 Vince: il Premio nacional de Guitarra de la cátedra de flamencologia de Jerez; il premio al miglior interprete nel festival di
musica folk a Campione in Italia

1973 Esce la trilogia “Mundo y formas de la guitarra flamenco”

1974 Vince il premio “Ramon Montoya” del concorso nacional de Cordoba e il Cernícalo de oro de la peña de Los Cernícalos de
Jerez

1975 Registra Caballo Negro con cui ottiene un grande successo commerciale.
Successivamente riceve numerosi riconoscimenti artistici in tutta Spagna e, come il suo collega Paco De Lucia, fa conoscere
la chitarra flamenco in vari teatri importanti del paese.

1978 Scrive Fantasía para guitarra y orquesta avvicinando la chitarra flamenco al mondo classico

1979 Tourneè in Giappone


Anni’80 Suona in tutto il mondo anche accompagnato dal fratello Isidro, anche egli chitarrista e compositore.

1986 Scrive Trebujena opera sinfonica scritta per orchestra da camera composta da due chitarre, flauti, violini, oboe, viola e cello.

1988 Registra Tauromagia considerato da molti critici il miglior disco flamenco della storia

1992 Presenta Aljibe (Sinfonia andaluza)

1995 Partecipa al Festival di Caracas insieme a interpreti come Alirio Diaz, David Russell, Leo Brouwer e Carlos Barbosa - Lima

2000 Riceve il Premio nacional de musica, ottenuto precedentemente solo da chitarristi classici come Segovia e Yepes, e il
premio Puerta de Alcalá per l’opera Locura de brisa y trino

2005 Scrive il libro sobre la guitarra flamenca, Teoria y Sistema para la guitarra flamenca

2008 Pubblica il libro Manolo Sanlucar: el alma compartida, ed esce il disco La voz del color

2009 Vengono eseguite sue due composizioni Musica para oche momentos e La cancion de Andalucia

2013 Decide di ritirarsi dall’attività concertistica e dedicarsi solo all’insegnamento e alla scrittura.

2014 Inaugura il Primer congreso de Guitarra Flamenca con la conferenza Una manera de sentir la vida

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