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1.

Passaggio dal ghetto comunitario all’iperghetto = segregazione che accoppia razza e classe
nel contesto del duplice ridimensionamento del mercato del lavoro e dello stato sociale. Il
Ghetto comunitario è composto da classi sociali nere, coscienza collettiva unificata, dalla
divisione sociale del lavoro completa e da agenzie di mobilitazione e rappresentazione
radicate. Viene sostituito dall'iperghetto: ghetto degli anni '80 e '90, poco coeso e coerente al
suo interno, sempre più segnato da una decomposizione del tessuto organizzativo; il
concetto di underclass definisce una realtà sociologica caratterizzata dall'esclusione dei
circuiti del mercato del lavoro stabile che porta alla presunzione di indegnità sociale e di
inferiorità morale.

• Cause dell'iperghettizzazione: inteso come una riacutizzazione della logica escludente del
ghetto quale strumento di controllo etno-razziale
1. Transizione dell'economia americana da un sistema fordista chiuso, integrato, destinato al
mercato
di massa, a un sistema aperto e decentrato, orientato a modelli di consumo differenziati;
questo cambiamento strutturale è stato accompagnato da una dualizzazione della struttura
occupazionale e
da un inasprimento della segmentazione razziale.
2. Persistenza della segregazione residenziale rigida degli afroamericani e addensamento
dell'edilizia residenziale pubblica nelle aree più povere.
3.Ridimensionamento del welfare combinato con le recessioni dell'economia americana che
contribuiscono a far aumentare la povertà nella Black Belt.
4. Inversione di tendenza nelle politiche federali e locali che si traduce nel ritiro dei servizi
pubblici dai quartieri storicamente neri Ogni fattore va considerato separatamente e
sequenzialmente.

2. Termine slum: è nato in epoca industriale con connotazioni dispregiative e utilizzato per indicare
i quartieri poveri delle città. È un termine che è entrato nella letteratura degli studi urbani e nel
linguaggio politico-istituzionale a partire dall’inizio degli anni 2000. È quindi di matrice
ottocentesca e nasce nel contesto della seconda rivoluzione urbana. A partire dalla seconda metà
dell’800 infatti, l’industrializzazione ha favorito in alcune città europee, e soprattutto Londra, una
concentrazione di popolazione proveniente da aree rurali, attratta dalle possibilità offerte dal lavoro
industriale. Si ha quindi una rapida espansione di quartieri sovraffollati caratterizzati da condizioni
igieniche drammatiche. Questo scenario è testimoniato da Engels, che effettua un lavoro di indagine
sulle città inglesi, pubblicato nel 1845 intitolato “La situazione della classe operaia in Inghilterra”.
È in questo contesto che compare la parola slum. Lo storico Reeder afferma che il termine diviene
di uso comune in Inghilterra solo dopo il 1880. Prima, i quartieri poveri delle zone centrali di
Londra o di altre città inglesi venivano definiti con espressioni diverse come rookeries o wynds.
Slum si afferma sostituendosi agli altri termini e con una peculiarità: quella di associare alle
condizioni di vita materiale (la qualità dell’alloggio, i deficit igienico-sanitari e il sovraffollamento)
lo stile di vita dei soggetti che vi abitano, cioè uno stile di vita caratterizzato da immoralità, vizio e
illegalità. Secondo il Vaux Flash Dictionary l’origine della parola risale al 1812 e successivamente
assume una valenza spaziale. I vocabolari inglesi registrano un diverso utilizzo a partire dal 1890.
Si indica infatti aree della città abitate da poveri, degradati e viziosi. La definizione descrive
contemporaneamente una zona della città dando un giudizio morale sui soggetti che vi risiedono. Si
uniscono la contestazione dello stato di povertà e la riprovazione morale per uno stile di vita
considerato patogeno e criminogeno. Jones ricorda che gli anni 70 dell’800 furono caratterizzati
dalla moralizzazione dei poveri occasionali, cioè quei provvedimenti e iniziative che avevano lo
scopo di imporre alla vita dei poveri un sistema di sanzioni e ricompense che li avrebbe convinti
che potevano sfuggire a una vita di miseria solo lavorando sodo e tramite l’ordine e la frugalità. Ma
questa tesi della moralizzazione venne abbandonata a favore della tesi della degenerazione: i poveri
erano considerati una minaccia, un substrato (residuum) pericoloso, il lato oscuro della città. Questa
immagine dei poveri si delineò attraverso le indagini di filantropi, riformatori, giornalisti e scrittori.
Sostanzialmente la parola slum è utilizzata per indicare aree povere degenerate in cui viveva il
residuum, entra nel linguaggio comune e nel vocabolario della stigmatizzazione urbana, grazie ai
resoconti di chi andava a osservare e esplorare gli slum, considerati luoghi di patologia sociale.
L’importanza delle esplorazioni all’interno degli slum è testimoniata anche dal fatto che nei
vocabolari compare a partire dal 1890, il termine to slum per indicare appunto il fatto di visitare i
quartieri poveri della città per motivi filantropici e caritatevoli. In molte definizioni, lo slum è
associato a forme di esclusione sociale e alla presenza di gruppi di popolazione vulnerabile (es.
immigrati, sfollati interni, minoranze etniche). Infine, per parlare di slum in molti contesti sociali, è
necessaria una dimensione minima dell’insediamento: lo slum si riferisce a più nuclei abitativi e
non un singolo alloggio. Nel censimento indiano la dimensione minima è definita da almeno 300
persone o 60 famiglie che si trovano nella stessa area e in condizioni di disagio abitativo. I
ricercatori Habitat riconoscono che le differenti definizioni adottate su scala globale per definire lo
slum rappresentano un ostacolo per misurare il fenomeno. Ma l’obiettivo di The Challenge of
Slums è contribuire alla conoscenza della povertà nelle città, tenendo conto delle condizioni
materiali di residenza. Il rapporto infatti non considera fattori come reddito, formazione, posizione
occupazionale. Allora nel rapporto viene adottata una definizione operativa: si è in presenza di uno
slum quando per un’unità familiare che condivide lo stesso tetto, mancano o più requisiti:

 accesso all’acqua = significa accesso a una quantità sufficiente di acqua potabile per uso
familiare e che sia reperibile senza sforzi eccessivi e a un prezzo sostenibile. La potabilità di
ha un assenza di contaminazione da parte di agenti esterni, come le deiezioni umane.
L’accesso è garantito anche dalla presenza di acqua corrente a domicilio, fontane e rubinetti
pubblici
 accesso ai servizi igienici = si intende la presenza di un sistema fognario in forma di bagno
privato o bagno pubblico condiviso con un numero ragionevole di persone
 spazio vitale sufficiente = è la condizione per cui meno di 3 persone condividono la stessa
stanza, che deve essere minimo 4 metri quadri
 qualità/durata delle abitazioni = si riferisce all’utilizzo di materiali da costruzione adeguati
alla protezione degli abitanti dagli agenti atmosferici e non pericolosi, ma anche durevoli nel
tempo e che non espongano a rischi come crolli. Il concetto di qualità si riferisce anche a
insediamenti che sono situati in zone non contaminate da rifiuti o da forme di inquinamento,
e al posizionamento in zone non vulnerabili dal punto di vista geologico
 garanzie del possesso = secondo le agenzie delle Nazioni Unite è il diritto degli individui
alla protezione dello stato contro le espulsioni illegali o arbitrarie, ma questa garanzia si ha
se l’abitante è in possesso dei documenti che provino la legalità della presenza o
occupazione dell’alloggio

3. Il termine “bidonville” comincia ad essere utilizzato in Francia solo a partire dalla seconda metà
del Novecento. La vicenda delle “bidonvilles” può essere letta tenendo conto dell’impatto che la
guerra dell’Algeria ha avuto sulla storia delle città francesi e quindi considerando la bidonville
nell’insieme dei dispositivi spaziali utilizzati per gestire e controllare i flussi migratori provenienti
dall’Algeria. La guerra d’Algeria (1954-1962) infatti provocò un forte aumento dei flussi migratori
verso le città francesi. La fine del conflitto rese poi più complesso lo scenario, poiché si rendeva
necessario trovare una soluzione per gestire nuovi flussi. Sia nel periodo della guerra che
successivamente il controllo di questi ultimi flussi fu realizzato grazie all’implementazione di
specifici dispositivi posti in essere attraverso le politiche urbane e politiche dell’alloggio, in un
contesto cruciale della storia delle città francesi, quello cioè dello sviluppo e della crescita delle aree
di abitazione al di là dei nuclei storici che ha dato luogo ad una periferia (banlieue) in buona parte
nuova. Il termine bidonville oggi ampiamente utilizzato negli studi urbani, soprattutto francofoni,
per indicare gli insediamenti precari e autocostruiti che sorgono ai margini delle città, comincia ad
essere adoperato in Francia solo a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento,
per designare gli insediamenti autocostruiti, soprattutto quelli in cui erano presenti lavoratori e
famiglie algerine.

4. Sia che si tratti del discorso compassionevole fatto dalle anime caritatevoli, preoccupate della
giustizia sociale o si tratti di un discorso di denuncia, ogni discorso sulla bidonvilles suscita
vergogna e induce a vergognarsi. “Alloggio vergognoso”, dato che non assicura questa separazione
che si vuole sia radicale e a tenuta stagna tra sfera privata e dominio pubblico. Un alloggio che non
garantisce la privatizzazione della vita, dell’affettività e soprattutto dei sentimenti, se non a
condizione di essere conforme alla norma, che è per definizione pubblica. La bidonville è in
trasparenza: non nasconde nulla, né dal di dentro, né del di fuori, non protegge da nulla, non
preserva da alcuno sguardo. E’ che fa parte essa stessa dello “spazio pubblico”, dello spazio meno
pianificato, meno urbanizzato, di uno spazio fisico quasi naturale. L’abitare in bidonville è qualcosa
di vergognoso: ogni occasione che si presenta di entrare in relazione con l’esterno, dalla visita
medica a domicilio fino alla semplice indicazione del proprio domicilio sono altrettanti momenti in
cui si prova e si confessa la vergogna che così strettamente è legate e viene collegata al fatto di
abitare in bidonville. Tutte le condotte personali che sono caratteristiche della bidonville, e
soprattutto le più banali tra di esse, sono sempre affettate, mai naturali perché si svolgono sempre in
presenza di altri, i Francesi, che non sono della bidonville, davanti al tribunale del loro giudizio,
vale a dire di fronte alla possibilità oggettiva del razzismo. L’acqua il fango e il fuoco: sono queste
cose ordinarie a provocare le angosce più terribile. L’acqua prima di tutto. Durante il periodo delle
piogge, l’acqua cola in abbondanza e non risparmia alcun luogo, neppure l’interno delle baracche.
Attraversa le pareti, cola dai tetti ecc. Nell’estate avanzata l’acqua continua a ruscellare dovunque.
Le inondazioni sono temute perché distruggono tutto al loro passaggio; creano stagni; Bisogna
sostenere, fare manutenzione, consolidare le tavole di legno, e soprattutto canalizzare, asciugare, e
in ultima istanza scaricare con i secchi l’eccesso di acqua che ristagna o continua a colare. Agli
occhi di tutti è il fango che segna l’appartenenza alla bidonville. Il fango è il marchio di infra-
urbanità, si potrebbe dire di una infra-umanità. Il fango tradisce in un certo modo tutta una
condizione sociale, la condizione dell’uomo “fuori luogo” così come è “fuori luogo” il fango che si
trasporta sulle scarpe da città nell’autobus, nei negozi e fino al posto di lavoro o a scuola. Così la
bidonville porta con sé la prova della falsa urbanizzazione di cui è il prodotto. È l’illustrazione di
questa forma di urbanità caratteristica dei più poveri, una urbanità incompiuta. In ultima analisi tutta
la cura che si mette nello sbarazzarsene non può essere altro che l’espressione della fobia che tutti
gli abitanti hanno finito per avere rispetto alla loro esistenza nel cuore della bidonville. Così al
tempo stesso abbondante ed eccessivamente rara, l’acqua corrode i fondamenti della bidonville,
questi edifici senza fondamenta, e anche il morale degli abitanti della bidonville.

5. Le banlieues in declino della classe operaia francese e il ghetto nero americano hanno in comune
il fatto di essere considerati comunemente nelle loro società come luoghi pericolosi dove il vizio e
la criminalità sono fuori controllo, dove lo stato di diritto è regolarmente disatteso e da cui è
consigliato fuggire. Eppure, mentre le loro immagini pubbliche sono simili, queste due costellazioni
urbane divergono nettamente nell’intensità, frequenza, grado di radicamento sociale, nella natura
delle attività illegali o criminali che le nutrono, nonché nell’impatto delle forme di violenza di
strada sulla configurazione e sui flussi della routine quotidiana. Delinquenza giovanile e senso di
insicurezza nelle cités della cintura rossa Nonostante i giovani si facciano protagonisti di atti di
vandalismo e violenza di strada, è abbastanza sicuro camminare nel Quatre Mille anche dopo il
tramonto, si può andare liberamente in giro per gli edifici che attirano e ospitano molta vita
pubblica. Nel parco regionale immediatamente adiacente al complesso si possono vedere famiglie
che fanno pic-nic ecc. Le persone che lavorano nelle vicinanze abitualmente attraversano gli spazi
del complesso per raggiungere l’adiacente stazione regionale di transito. Il complesso è in costante
scambio con il paesaggio urbano circostante, così come la maggior parte dei suoi lavoratori, dei
suoi negozi e degli spazi di intrattenimento fuori dal suo perimetro. Eppure regna, tra i residenti di
questo grande complesso in declino, un indolente e profondamente radicato sentimento di
insicurezza e sfiducia generato principalmente dalla crescente piccola delinquenza e dallo scenario
deprimente e spersonalizzante di questo milieu chiuso, in cui popolazioni eterogenee e vulnerabili
entrano in contatto quotidiano. Questo sentimento spinge molti residenti a dotare le loro case, le
loro auto e negozi di porte blindate e di altri sistemi di allarme. Le ‘cantine’ seminterrate della
maggior parte degli edifici sono state dichiarate inagibili per evitare ai giovani di nascondervisi per
consumare sostanze illegali, e non è difficile individuare quando gli spacciatori lavorano in
prossimità del supermercato locale. Ma lo spaccio di droga impallidisce rispetto a quello di Chicago
e sono per lo più droghe leggere, è un’attività marginale che attira soprattutto disoccupati e ragazzi
fuoriusciti dalla scuola. Le attività delinquenziali preferite dagli adolescenti sono montare in treno
verso Parigi senza biglietto, introdursi nel cinema senza pagare, rubare nei negozi, nelle scuole e in
altri edifici pubblici, i fuori di strada o atti di vandalismo minore come ‘etichettare’ o distruggere
cassette postali ecc. Violenza di strada e prosciugamento dello spazio pubblico nel South Side di
Chicago L’insicurezza fisica che affligge la Black Belt nella metropoli americana è incomparabile
con quella delle cités della periferia urbana francese, le inner cities britanniche e le aree di
relegazione nelle altre città dell’Europa continentale. La violenza nelle sue forme più brutali è così
intensa e diffusa all’interno dell’iperghetto che ha determinato in maniera costrittiva una completa
riorganizzazione del tessuto della vita quotidiana. I residenti barrano le loro case e appartamenti
dietro sbarre di ferro battuto e cancelli; personalizzano la loro routine quotidiana in modo da ridurre
al minimo incursioni all’esterno e in modo da evitare i luoghi e le strutture pubbliche; e si affrettano
a rientrare a casa al tramonto. La morte violenta fa così parte della vita di tutti i giorni che il solo
fatto di raggiungere l’età adulta è considerato un risultato degno di riconoscimento pubblico.
Nell’iperghetto americano, la criminalità è più legata all’economia che agli aspetti ludici; la
violenza è una pandemia a causa del predominio dell’economia informale sul settore del lavoro
salariato e alla disgregazione delle istituzioni pubbliche e private. E il crimine violento è in gran
parte separato da relazioni sociali locali, salvo quelle che riguardano il microcosmo della banda in
quanto predatore sociale quasi- istituzionalizzato o imprenditore informale.

6. Per quanto riguarda il ritorno dello Slum: Da Londra, il termine si diffonde in altri contesti come
gli Stati Uniti, che negli stessi anni erano caratterizzati da fenomeni simili di espansione urbana. Ad
esempio Chicago dalla seconda metà dell’800 in pochi decenni aumenta di popolazione da poche
migliaia di abitanti a più di un milione e nei primi del 900 raggiunge più di tre milioni.
Lo slum si ha dove la crescita dei tassi di urbanizzazione si accompagna a una rapida espansione dei
quartieri sovraffollati e caratterizzati da una carenza a livello igienico-sanitario. Persistono elementi
stigmatizzanti, come l’idea che lo slum è in grado di infettare altre parti della città o addirittura tutto
il corpo sociale. Per questo vennero adottate dai primi del 900 sia in Inghilterra che negli Stati
Uniti, le politiche di demolizione (slum clearance).
In altre realtà, come i paesi con un passato coloniale di matrice inglese, la parola slum è utilizzata in
riferimento agli insediamenti informali, cioè alle aree non pianificate della città, caratterizzate dagli
alloggi sotto standard e autocostruiti, in cui si stanziano i poveri o che assorbono i flussi di
migrazione rurale. Quindi più che avere un portato stigmatizzante, si riferisce a una modalità di
sviluppo non pianificato della città. L’avvento dell’urbanesimo planetario vede il ritorno e la
diffusione su scala globale della parola slum e dell’idea che l’intervento sulle aree povere e
marginali delle città in paesi in via di sviluppo debba essere una priorità dell’azione pubblica e degli
aiuti internazionali. La Cities Alliance (una organizzazione fondata dalla Banca Mondiale e
dall’agenzia Habitat delle Nazioni Unite) nel 2000 promuove il Cities Without Slums Action Plan e
si ha quindi un’adozione internazionale del termine. Il documento delinea la strategia di intervento
sulle aree marginali delle città dei paesi poveri, ed è evidente un richiamo alla triade dirty, danger,
dark che descrive l’intreccio tra povertà, criminalità e patologia che sta alla base della genesi della
parola slum. Il documento descrive gli ambienti come squallidi e insicuri, esposi alla malattia e alla
criminalità. Si evidenzia una opposizione tra sano e patologico. Il ritorno dello slum e delle sue
“ingloriose associazioni” (come scrive Gilbert) è stato criticato perché ricalca l’idea di povertà
urbana come patologia sociale che deve essere estirpata mediante politiche di demolizione degli
alloggi e espulsione degli abitanti. Anche se l’iniziativa è stata lanciata con l’obiettivo di portare
l’attenzione sulle pessime condizioni di vita dei poveri delle città nei paesi in via di sviluppo,
l’utilizzo del termine è stato letto come motore di rafforzamento degli stereotipi negativi sui poveri.
La retorica dello slum viene percepita come funzionale a politiche aggressive di slum clearance, che
affrontano le conseguenze della povertà senza rimuoverne le cause. Un esempio è lo Slum
Elimination Act del 2007 in Sud Africa, provvedimento che si è concretizzato nell’allontanamento
degli abitanti di quartieri poveri senza alcuna misura di sostegno per il miglioramento degli alloggi
esistenti. Altre politiche di Slum Elimination in Sud Africa sono continuate in occasione delle
trasformazioni che hanno interessato le città per l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2010. I
mondiali sono stati un’occasione per sgomberare interi quartieri abitati da poveri. Le persone furono
espulse dalle loro abitazioni e ricollocati in transit camps, posti a diversi chilometri di distanza dalle
città, ricollocazione che doveva essere temporanea.

7. URBANESIMO PLANETARIO: L’inizio del terzo millennio è caratterizzato da un forte


protagonismo urbano, innanzitutto perché per la prima volta nella storia dell’umanità la popolazione
mondiale vive nelle città. Gli ultimi anni del 900 sono stati caratterizzati da una rapida crescita dei
tassi di urbanizzazione, comportando l’avvento dell’urbanesimo planetario: un’era in cui il
fenomeno urbano ha un impatto significativo sul pianeta. La storia delle civiltà è intimamente
connessa alla storia delle città. Sjoberg diceva che civiltà e città sono inseparabili, con il sorgere e il
diffondersi delle città, l’uomo si è emancipato dallo stato primitivo e la città lo ha messo nella
condizione di pervenire a un modo di vita sempre più complesso. Lo storico Childe ha coniato
l’espressione rivoluzione urbana per sottolineare come l’avvento delle concentrazioni urbane (che si
sono sviluppate in Mesopotamia a partire dal 3500 a.C. e poi si sono diffuse progressivamente in
tutti i continenti) ha rappresentato l’inizio del processo di civilizzazione. La comparsa delle città è
considerata importante per lo sviluppo della cultura umana. Nonostante la centralità che le città
hanno sempre avuto, fino ai primi anni del 2000, la maggior parte della popolazione del pianeta
risiedeva in zone rurali. È con la rapida urbanizzazione che si è verificata in alcuni contesti,
soprattutto nei paesi in via di sviluppo, che si è arrivati a questo nuovo scenario.
L’Habitat è l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di insediamenti urbani, e prevede che nel
2050 il 70% della popolazione mondiale sarà urbanizzata. La crescita dei tassi di urbanizzazione
continuerà a interessare i paesi in via di sviluppo. Emergeranno quindi nuove megalopoli (città con
più di 10 milioni di abitanti) e ipercittà (città con più di 20 milioni di abitanti). L’Africa è il
continente protagonista dell’attuale ascesa delle città ed è caratterizzato da una urbanizzazione
tardiva, dato che fino a pochi decessi fa era stato poco interessato dal fenomeno urbano.
Importante è il ruolo strategico che la globalizzazione ha assegnato alle città. La riorganizzazione
del sistema produttivo (in seguito all’apertura di nuovi mercati e all’impatto delle innovazioni
tecnologiche) ha modificato le economie e lo spazio umano. Il passaggio dal fordismo a un sistema
di accumulazione flessibile ha portato al declino del modello di organizzazione territoriale di tipo
gravitazionale, cioè che opponeva centro e periferia e poneva le città in posizione di dominio
rispetto ai territori circostanti. Il fordismo si basava sulla localizzazione a livello urbano delle
grandi imprese, che permetteva di fruttare a pieno i vantaggi delle economie di scala. Quindi
successivamente si sono affermate delle economie di diversificazione, dove il punto di forza è
rappresentato dalla capacità dell’impresa di produrre una gamma differenziata di beni e servizi e
coordinarli in maniera efficace, indipendentemente dalla localizzazione delle unità produttive. Non
si ha più un vincolo tra città e industria. Ma questo non ha rappresentato un declino delle città,
perché comunque sia i meccanismi stessi dell’economia (che diventava sempre più globale) hanno
finito con l’assegnare alle città un ruolo di comando. Le città sono all’interno di un complesso di
relazioni di potere, strutturato in funzione di nodi urbani e di flussi di capitale, merci, persone e
informazioni. Riprendendo Friedman, la Sassen, ritiene che l’economia globale ha favorito il
consolidamento dei centri urbani e in alcuni di questi si è verificata la concentrazione delle funzioni
di controllo, finanziamento e gestione delle attività economiche. Identificava come città globali
(quelle dove si realizza la massima concentrazioni di queste funzioni) Tokyo, Londra e New York.
Le città globali vanno a formare una rete di potere in cui le interazioni si basano sull’utilizzo delle
nuove tecnologie e operano come punti direzionali di organizzazione delle economie globali, come
punti strategici per le società finanziarie e come luoghi di produzione, scambio e innovazione.
Castells e Borja definiscono invece la città globale come una rete di nodi urbani che ha la funzione
di centro nervoso della nuova economia e che va a delineare e comporre un sistema interattivo e
variabile a cui le città e le aziende si devono costantemente adattare.
In generale, gli studiosi dei rapporti tra globalizzazione e città ritengono che lo spazio urbano sia
importante per la sussistenza dell’economia globale. La crucialità dello spazio urbano è determinata
dalla connessione tra potere delle città e economia globale.
Concetto di concentrazione: le città sono luogo di concentrazione di popolazione e allo stesso tempo
è la concentrazione a livello urbano delle funzioni chiave e delle risorse dell’economia globale a
determinare il posizionamento delle città nel nuovo schema di potere decisionale.

8. MARGINALITA’ URBANA AVANZATA


Struttura della marginalità urbana avanzata (caratteristiche)
• Il venir meno del lavoro salariato come fattore di stabilità e sicurezza sociale. Il lavoro
ha perduto la sua capacità di integrazione nella macchina urbana, con declino del patto fordista-
keynesiano = precarizzazione – desolidarizzazione – frammentazione sociale.
• Disconnessione della marginalità avanzata dai grandi trends macroeconomici. La crescita senza
impiego (post-ind) fa si che anche cicli economici positivi incidano poco sulla marginalità. Perciò è
difficilissimo uscirne, inoltre la marginalità si concentra in determinate aree della città.
• Alienazione spaziale -> perdita e dissoluzione del senso del luogo, è un’altra faccia della
stigmatizzazione stessa. Smarrimento non solo per l’appartenenza spaziale ma anche un retroterra
sociale. Venute meno le reti di sostegno collettivo, gli abitanti delle zone stigmatizzate se la devono
cavare da soli. Secondo W. la marginalità urbana differisce dalla povertà del periodo fordista perché
si sviluppa in un conteso di decomposizione di classe -> il precariato è un gruppo nato morto.

9. UPGRADING: Nasce l’idea di sviluppare un approccio appropriato alle specificità


dell’urbanizzazione dei paesi del sud del mondo. Negli anni 70 alcuni contributi teorici, soprattutto
quelli di Turner, sottolineano come i poveri e gli abitanti delle aree informali diventano protagonisti
della costruzione delle proprie abitazioni, data l’impossibilità del settore formale di rispondere alla
domanda abitativa. Allora, il ruolo delle autorità pubbliche dovrebbe essere quello di supportare i
processi di auto-costruzione degli abitanti. Si passa dal considerare l’edificazione illegale come un
problema al considerarla come una risorsa dalla quale partire per dare una risposta alla crisi
abitativa. Ma l’auto costruzione assistita rimane ai margini dell’agenda delle principali istituzioni
internazionali fino agli anni 70, quando diventa importante per la Banca Mondiale e UN-Habitat.
Emerge come necessario mettere in campo politiche abitative per affrontare la proliferazione degli
slum. Politiche che devono essere inclusive della popolazione povera e adeguate alle risorse
finanziare limitate. L’approccio viene declinato in due tipi di intervento:
 fornitura di lotti infra strutturati (sites and services): si rivolge agli slum esistenti per
migliorarne le condizioni
 riqualificazione dell’esistente (upgrading): ha l’obiettivo di fornire nuove abitazioni in aree
non ancora urbanizzate
Sono due strategie complementari, due tipi di intervento sinergici.
Sistes and services sono programmi che consistono nel rendere disponibili lotti edificabili dotati di
un minimo di infrastrutture di base, lasciando ai residenti l’onere di realizzare l’abitazione vera e
propria. Le caratteristiche di ogni singolo intervento variano da caso a caso: vengono realizzati
moduli abitativi di base (singole stanze) e poi si lascia agli abitanti il compito di completare
l’abitazione oppure viene messo a disposizione un lotto, a cui si può associare un modulo per
servizi sanitari. Sono progetti che sono in grado di modificare e migliorare le condizioni abitative
dei beneficiari e in molti casi c’è un livello buono di recupero dei costi perché i progetti prevedono
che i beneficiari coprano una parte dei costi stessi e quindi si ha una mobilitazione delle risorse
degli abitanti.
Critiche: il numero delle abitazioni realizzate è marginale se considerato in relazione al fabbisogno
complessivo della popolazione a basso reddito. I progetti poi non sono riusciti a raggiungere i
settori più poveri della popolazione perché non erano in grado di sostenere le spese di accesso ai
lotti, che anche se ridotte, erano al di sopra delle loro possibilità. Quindi è un servizio offerto ad una
scala troppo limitata e certe opportunità non sono catturate dai gruppi più bisognosi.
Verso la fine degli anni 80, le principali organizzazioni internazionali interrompono la promozione
di questi progetti.
L’upgrading sono interventi messi in campo negli stessi anni dei progetti sites and services. Anche
qui, gli specifici interventi che caratterizzano ciascun progetto variano. Ma sulla carta queste
politiche sono caratterizzate da tre pilastri:
 realizzazione di infrastrutture e servizi di base
 garanzie di forme di sicurezza di possesso dell’abitazione e del suolo, con l’idea che questo
generasse benefici, ovvero fornendo agli abitanti la certezza di non essere sgomberati,
saranno incentivati a investire nell’abitazione e nel quartiere. In più questa sicurezza facilita
l’accesso ad alcuni servizi pubblici
 creazione di forme e canali di accesso al credito formale, adeguati al profilo economico
degli abitanti degli slum per metterli nella condizione di migliorare autonomamente la
propria abitazione es. acquistando materiali da costruzione necessari (interventi non sempre
presenti)
Le iniziative sono state promosse dalla Banca Mondiale e UN-Habitat ma anche autonomamente da
parte di ONG e autorità pubbliche locali es KIP a Jakarta e Surabaya in Indonesia, laniato nel 1969
su autonoma iniziativa delle autorità locali. Il KIP di Jakarta ha beneficiato circa il 70% della
popolazione residente nelle baraccopoli della città.
Critiche:
- di tipo interno : sono quelle che riguardano l’applicazione dell’approccio. Il miglioramento delle
condizioni dell’insediamento si è rivelato effimero perché le infrastrutture hanno subito un rapido
deterioramento a causa della scarsa qualità delle infrastrutture stesse e per la mancanza di fondi per
la manutenzione. Inoltre sono interventi che con difficoltà hanno raggiunto i settori più poveri.
Inoltre si ha una complicata replicabilità degli interventi a causa per es. delle opposizioni delle élites
locali.
- di tipo esterno mettono in discussione la validità dell’approccio. Lo studioso Davis sostiene che
non veniva data rilevanza al ridimensionamento di un diritto, cioè dello slum come modalità
abitativa. Il fatto di elogiare la prassi dei poveri diventata utile per nascondere l’atteggiamento dello
stato, che non trova né mette in atto soluzioni per alleviare la povertà e la condizione dei senzatetto.
Il cauto giudizio positivo, nonostante le varie critiche, è dato dal fatto che il risanamento degli
insediamenti esistenti e l’auto-costruzione assistita sono tutt’oggi una parte importante nelle
strategie di intervento nei paesi del sud del mondo.
L’upgrading è uscito dall’agenda della Banca Mondiale nella metà degli anni 80 ma nonostante
questo programmi di risanamento degli slum esistenti continuano a essere praticati.

10. RUOLO DELLO STATO


L’approccio dello Stato di risolvere le tensioni di razza e classe nella lotta per lo scarso spazio
urbano e per le ridotte risorse è stato duplice nel dopoguerra. Da un lato, al top dell’ordine
metropolitano, il governo federale ha sottoscritto un massiccio finanziamento di abitazioni medio e
alto ceto nei suburbs attraverso una combinazione di detrazioni fiscali, garanzie ipotecarie federali,
e con la costruzione di una vasta rete di autostrade che consentano alle famiglie benestanti di
lavorare in città, ma vivere lontano da essa.
Dall’altra parte, all’estremo inferiore della gerarchia urbana, lo stato ha inoltre avviato un vasto
programma di sostegno per le abitazioni a basso reddito, ma con due importanti differenze. In primo
luogo, in netto contrasto con quanto fatto per la classe media bianca, gli aiuti erogati dallo Stato per
la casa dei poveri si sono rilevati notevolmente avari.
In secondo luogo, il governo federale ha concesso ai comuni ampia discrezionalità sull’opportunità
o meno di costruire abitazioni a basso reddito, e su dove posizionarle, in modo che i progetti
federali hanno invariabilmente finito per rafforzare la segregazione già esistente.
Le conseguenze di questa politica pubblica razziale e sociale distorta non erano difficili da
prevedere. Già nel 1968, la Commissione Kerner aveva sottolineato che '' i programmi di edilizia
abitativa federali concentrano i segmenti più poveri e dipendenti della popolazione dei ghetti del
centro- città, dove c'è già un gap critico tra i bisogni della popolazione e le risorse pubbliche a
disposizione per farvi fronte''. Questo divario era destinato ad ampliarsi nei due decenni successivi,
dato che i fondi per l'edilizia pubblica furono prosciugati dopo gli anni '70 e la città cessò di
costruire edifici e di fare manutenzione, dopo che fu riconosciuta colpevole di discriminazione
razziale dai tribunali e le fu ordinato di costruire l'edilizia sociale in quartieri etnicamente misti.
Fino a oggi, gli USA rimangono l'unico paese avanzato senza un significativo sostegno statale per
alloggi a basso reddito. Il governo e le autorità locali sono quindi doppiamente responsabili per la
concentrazione sociale e spaziale del sottoproletariato nero nell'iperghetto di fin-de-siècle. Lo stato
è responsabile della configurazione dell'iperghetto, la cui struttura non è il prodotto di una vaga
dinamica ecologica o il frutto della libera scelta, della cultura o del comportamento dei suoi abitanti.

11. Rivolte: violenza dal basso


Negli ultimi due decenni del XX secolo si sono verificati frequenti esplosioni di disordine pubblico,
tensioni etniche e aumento del disagio nelle città. Le società avanzate sono state afflitte dalla
diffusione della nuova povertà e dall'insorgere di ideologie razziali, spesso accompagnate da
conflitti che hanno coinvolto i giovani del quartiere delle classi inferiori.
Esempi di disordini urbani:
-1 ottobre 1990, Vaulx en velin: zona operaia nella periferia di Lione. Giovani provenienti da
famiglie immigrate dal Maghreb si scontrano con la polizia a causa della morte di un ragazzo del
quartiere provocata da un incidente causato da un auto della polizia; la rabbia della banlieue arriva
fino all'apice delle preoccupazioni politiche
-2 luglio 1992, Bristol: rivolta nel quartiere di Hartcliff, distretto industriale degradato ai margini
della città. La violenza esplode quando due giovani su una moto rubata della polizia rimangono
uccisi in un incidente con un auto della polizia. Durante la notte, un centinaio di ragazzi
saccheggiano un centro commerciale e il contrattacco della polizia scatena una risposta violenta e la
contestazione si espande nel quartiere
-3 aprile 1992, Los Angeles: assoluzione di 4 poliziotti bianchi coinvolto nel pestaggio di un
automobilista nero indifeso arrestato dopo in inseguimento scatena esplosioni di violenza civile che
si espandono rapidamente e si moltiplicano; viene dichiarato lo stato di emergenza
Gli episodi di violenza sono numerosi e coinvolgono innanzitutto i giovani di quartieri urbani in
declino; sembrano essere alimentati dalla tensione etno-razziale. L'interpretazione dominante dei
media è stata quella di considerare questi episodi come "rivolte razziali", espressione dell'animosità
contro o fra le minoranze etniche e/o immigrate di questi paesi. In generale, l'Europa degli anni '80
è stata attraversata da un'ondata di sentimento xenofobo nella sfera pubblica e quotidiana. In
Francia l'ostilità contro gli arabi emerge alimentando le aggressioni a carattere razzista; trova
espressione nella politica del fronte nazionale. In Gran Bretagna il dibattito sulla criminalità di
strada e sulla brutalità della polizia è stato razzializzato nella misura in cui i disordini pubblici e
violenza sono sempre più considerati come un problema dei neri. Negli Usa si assiste negli anni '70
a rivendicazioni dell'uguaglianza civile che si traduce in un deterioramento delle relazioni razziali.
L'Europa diventava ossessionata dalla ghettizzazione all'americana nel suo territorio, gli Usa erano
ossessionati dallo sviluppo di underclass. In tutti i 3 paesi la violenza e i disordini collettivo sono
associati alla percezione pubblica con divisioni etnorazziali e/o con l'immigrazione. In USA questa
associazione risale all'urbanistica e dei neri a seguito della loro emancipazione ed è periodicamente
riattivata nei momenti di contrazione economica e di conflitto sociale. In Europa questa connessione
è più recente anche se è divenuta più potente durante la congiuntura socio-economica aperta dal
processo di deindustrializzazione e dalla recessione economica a metà anni '70. L'etichetta "rivolte
razziali" è fallace e nasconde fenomeni più profondi. I disordini urbani e collettivi degli anni '80 e
'90 non sono la semplice estensione della tradizionali rivolte razziali di cui hanno avuto esperienza
gli Usa nell'ultimo secolo. Non si assiste ad una americanizzazione della povertà urbana e delle
forme di protesta, né ad un cambiamento nel regime di marginalità urbana che annuncia una
convergenza atlantica tra i due continenti sul modello Usa. Nei disordini si combinano due logiche:
-protesta contro l'ingiustizia etno-razziale radicata nel tradimento discriminatorio
-insurrezioni contro le privazioni economiche e le crescenti disparità sociali attraverso lo scontro
diretto con l'autorità e l'interruzione forzata della vita civile
Gli anni '80 sono stato il decennio della maturazione di rivolte miste, nelle dinamiche, negli
obiettivi, nella composizione multietnica. I giovani provenienti da famiglie immigrate sono stati
protagonisti dei disordini urbani ma hanno agito con supporto di bianchi, come nel caso dei
"disordini estivi" in Inghilterra nel 1981. Inoltre, le richieste dei giovani in rivolta erano le stesse
che provengono dai giovani della classe operaia, per cui non sono richieste etniche.
12. Violenza dall'alto: deproletarizzazione, relegazione, stigmatizzazione
I disordini sono risposta a violenza strutturale dovuta a cambiamento economici e socio-politici; i
cambiamenti si sono tradotti in una polarizzazione della struttura di classe che, combinata con la
segregazione etno-razziale e con i ridimensionamento dello stato sociale, ha prodotto una
dualizzazione della struttura fisica e sociale della metropoli. Questa violenza dall'alto ha 3
componenti:
-disoccupazione di massa che per la classe operaia si traduce in deproletarizzazione e diffusione
della precarietà lavorativa
-relegazioni in quartiere in declino: risorse pubbliche e private diminuiscono e l'installazione di
famiglie immigrate intensifica la competizione per l'accesso ai beni collettivi
-stigmatizzazione: legata non solo alla classe e all'origine etnica, ma al fatto di vivere in quartieri
degradati Il ritorno della povertà, della violenza collettiva e della divisione etno-razziale sono intese
come il risultato irregolare dello sviluppo dei settori più avanzati nelle società capitaliste, i cui
effetti non si eliminano in tempi brevi.
L'arrivo di nuovi immigrati potrebbe aver accelerato il processo di deproletarizzazione parziale
della classe operaia. Certo è che la loro concentrazione nei quartieri a basso reddito ha accentuato la
polarizzazione sociale e spaziale delle città perché si è verificato in un momento in cui la classe
media fuggiva dai quartieri misto trasferendosi in posti in cui era possibile beneficiare di un livello
superiore di servizi (Fr), si aveva la possibilità di soddisfare bisogni familiari tramite un mercato
provato (Usa), godere di un mix di benefici pubblici e privati (GB). La segregazione spaziale
intensifica le difficoltà accumulando in enclave urbane isolate famiglie della classe operaia
autoctona in declino sociale e popolazione immigrata di nazionalità diversa, giovane ed
economicamente fragile, priva di competenze spendibili nella nuova economia.

POLITICHE ABITATIVE PER LA CASA


- A partire dagli anni 70 comincia la stagione dell’auto-costruzione-assistita : si prende atto che
quello dello slum non è un fenomeno transitorio e si rende quindi necessario mettere in campo una
risposta adeguata al problema
- Verso la fine degli anni 80, a fronte dei limiti dell’auto-costruzione-assistita, si fa strada un nuovo
paradigma, etichettato come mettere-in-grado-di-fare: una serie di interventi che mirano a affrontare
il problema dell’informalità urbana in termini olistici, con azioni coordinate in diversi settori
Questa stagione dell’autocostruzione assistita si articola in: sites and services (si rivolge agli slum
esistenti per migliorarne le condizioni) e upgrading (ha l’obiettivo di fornire nuove abitazioni in
aree non ancora urbanizzate). Sono 2 strategie complementari.
In particolare sites and services sono programmi che consistono nel rendere disponibili lotti
edificabili dotati di un minimo di infrastrutture di base, lasciando ai residenti l’onere di realizzare
l’abitazione vera e propria. Le caratteristiche di ogni singolo intervento variano da caso a caso:
vengono realizzati moduli abitativi di base (singole stanze) e poi si lascia agli abitanti il compito di
completare l’abitazione oppure viene messo a disposizione un lotto, a cui si può associare un
modulo per servizi sanitari. Sono progetti che sono in grado di modificare e migliorare le condizioni
abitative dei beneficiari e in molti casi c’è un livello buono di recupero dei costi perché i progetti
prevedono che i beneficiari coprano una parte dei costi stessi e quindi si ha una mobilitazione delle
risorse degli abitanti.
L’upgrading sono interventi messi in campo negli stessi anni dei progetti sites and services. Anche
qui, gli specifici interventi che caratterizzano ciascun progetto variano. Ma sulla carta queste
politiche sono caratterizzate da tre pilastri:
- La realizzazione di infrastrutture e servizi di base
- Le garanzie di forme di sicurezza di possesso dell’abitazione e del suolo, con l’idea che questo
generasse benefici, ovvero fornendo agli abitanti la certezza di non essere sgomberati, saranno
incentivati a investire nell’abitazione e nel quartiere. In più questa sicurezza facilita l’accesso ad
alcuni servizi pubblici
- La creazione di forme e canali di accesso al credito formale, adeguati al profilo economico degli
abitanti degli slum per metterli nella condizione di migliorare autonomamente la propria abitazione
A tale proposito vi sono 2 critiche:
1. Di tipo interno: sono quelle che riguardano l’applicazione dell’approccio. Il miglioramento delle
condizioni dell’insediamento si è rivelato effimero perché le infrastrutture hanno subito un rapido
deterioramento a causa della scarsa qualità delle infrastrutture stesse e per la mancanza di fondi per
la manutenzione. Inoltre, sono interventi che con difficoltà hanno raggiunto i settori più poveri.
Inoltre, si ha una complicata replicabilità degli interventi a causa per es. delle opposizioni delle
élites locali.
2. Di tipo esterno che invece mettono in discussione la validità dell’approccio. Lo studioso Davis
sostiene che non veniva data rilevanza al ridimensionamento di un diritto, cioè dello slum come
modalità abitativa. Il fatto di elogiare la prassi dei poveri diventata utile per nascondere
l’atteggiamento dello stato, che non trova né mette in atto soluzioni per alleviare la povertà e la
condizione dei senzatetto.

Per analizzare le politiche per la casa nella città informale, è necessario focalizzarsi su 3 variabili:
gli elementi sostantivi (cosa), le caratteristiche procedurali (come) e i beneficiari (per chi).
IL COSA DELLE POLITICHE. In termini di contenuti, ci sono tre principali campi che
caratterizzano le politiche: beni fisici, quadro normativo e finanziamenti.
Per quanto riguarda i beni fisici, i principali beni forniti sono:
- I moduli abitativi di base: come visto in relazione ai progetti di sites and services, una soluzione è
quella di realizzare moduli abitativi di base. Le dimensioni variano a seconda dei casi, ma nella
maggior parte dei casi si tratta di strutture dalle dimensioni ridotte (qualche decina di metri
quadrati)
- I lotti: in alcuni casi, per abbattere il costo unitario degli interventi, vengono forniti ai beneficiari
dei lotti vuoti, inseriti all’interno di un sistema di infrastrutture di base a scala di quartiere,
lasciando agli abitanti il compito di realizzare la propria abitazione
-Le infrastrutture e servizi: molti programmi per la casa promossi dalle organizzazioni
internazionali prevedono la realizzazione di infrastrutture e servizi nelle aree informali, il cui tipo e
qualità varia a seconda dei casi, nel senso che si va da interventi più limitati (es. sistemazione di
strade, installazione di illuminazione stradale) a interventi più significativi (es. realizzazione di
infrastrutture più avanzate e costruzione di servizi pubblici come scuole).
Per quanto riguarda il quadro normativo, si possono individuare 2 tipi di operazione:
- Regimi di possesso: si tratta di un intervento in materia di regime di proprietà dei suoli. Lo scopo è
di regolarizzare gli insediamenti informali. Le modalità per farlo sono la concessione di titoli
individuali di proprietà, concessione del diritto d’uso prolungato del suolo in forma di locazione,
pratiche di riconoscimento pubblico che non prevedono titoli individuali ma si fondano su forme
tradizionali o comunitarie di possesso. La regolarizzazione è stata uno dei pilastri dell’uprading ed è
diventata importante durante la stagione del mettere in grado di fare. Uno dei sostenitori è stato
Hernando De Soto. Ma sono stati messi in discussione i presunti benefici di questo approccio: la
fornitura di un titolo individuale di proprietà non sarebbe la strada migliore per rafforzare la
sicurezza di possesso delle abitazioni nelle aree informali, anzi comporterebbe l’aumento dei valori
immobiliari con il conseguente allontanamento delle fasce più povere di popolazioni in affitto
- Regole di uso dei suoli e degli edifici: nei paesi del sud del mondo, le regole e procedure
urbanistiche ed edilizie ricalcano i modelli occidentali, soprattutto europei e nord americani. Il fatto
è che risultano inadatte alle caratteristiche dell’espansione urbana di questi paesi perché sono
diverse le condizioni economiche, sociali, istituzionali e climatiche. Quindi la regolazione pubblica
non riesce a governare la crescita urbana e in molti casi produce effetti negativi per la popolazione
più povera: le opportunità di accesso a un’abitazione legale sono influenzati da costi che sono
superiori a quelli che le famiglie povere possono sostenere e quindi sono spinte a rivolgersi al
settore informale. Si può affermare che l’elevato livello di illegalità in città del sud del mondo è la
diretta conseguenza di standard urbanistici inadeguati.
Per quanto riguarda i finanziamenti, si hanno 2 principali interventi:
- Credito: una quota rilevante della popolazione (la maggior parte degli abitanti degli slum) non ha
accesso ai sistemi tradizionali di credito e questo porta a difficoltà nel fare investimenti, spinge al
ricorso di canali informali di prestito che spesso hanno costi elevati, superiori a quelli di credito
formale. La difficoltà di accedere al credito formale è legata alle caratteristiche del sistema bancario
ufficiale, che richiede come prerequisito per un prestito delle condizioni che non possono essere
soddisfatte dai poveri es. la presenza di un reddito fisso o la proprietà legale di un immobile. Nel
caso di programmi di upgrading o durante la stagione del mettere in grado di fare, l’attenzione si è
focalizzata sul favorire la formazione di sistemi di credito più adatti alle esigenze e alle
caratteristiche dei poveri e degli abitanti degli slum. Il caso più noto è quello del micro-credito
destinato al settore dell’abitazione, che consiste in prestiti di piccola entità (tra 500 e 2000 dollari),
da rimborsare in un tempo contenuto (tra tre e cinque anni). Vengono erogati per l’ampliamento o la
riqualificazione dell’abitazione, e possono essere erogati da ONG, istituzioni pubbliche ma anche
private di natura commerciale. Sono tutte accomunate dal fatto di richiedere garanzie di tipo sociale
all’erogazione del prestito
- Sussidi: gran parte delle politiche per gli slum può essere considerata una forma di sussidio
indiretto ai beneficiari. In nessun caso infatti si è stati in grado di recuperare i costi dell’intervento.
Ci sono però stati casi in cui sono messe in campo forme di sussidio diretto nei confronti dei poveri,
sotto forma di finanziamento una tantum per aiutarli ad acquistare una casa sul mercato privato.
IL COME DELLE POLITICHE ABITATIVE. Le politiche abitative per la città informale possono
essere distinte anche in base alle loro caratteristiche procedurali. Si hanno 2 distinzioni:
-Interventi che adottano un approccio per progetti: l’obiettivo è quello di intervenire in situazioni
specifiche per risolvere problemi su scala locale. È l’approccio dell’auto costruzione assistita, infatti
lo scopo degli interventi di sites and services e upgrading è quello di porre rimedio a problemi
specifici di una determinata area e di promuovere operazioni “esemplari” che possano essere
replicate poi dalle autorità locali (la replicabilità è stata difficile a causa dei costi troppo elevati o a
causa dell’opposizione delle élites locali). il problema è che sono interventi che rispondono alle
necessità di una percentuale limitata delle persone in situazione di bisogno, nonostante il fatto che
siano soluzioni piuttosto rapide dai benefici immediati.
- Interventi che adottano un approccio per politiche: mirano a un trattamento olistico della
questione abitativa. Non si cerca di agire sugli effetti, ma sulle cause del problema. Per questo, sono
interventi proposti non solo su scala locale, ma a livelli superiore di governo. È l’approccio che
caratterizza la stagione del mettere in grado di fare.
- Interventi che adottano un approccio centralizzato (top down)
- Interventi che adottano un approccio partecipativo (bottom up)
IL CHI DELLE POLITICHE. In termini di destinatari, è possibile distinguere tra:
- Politiche finalizzate a intervenire sugli insediamenti esistenti: l’idea che gli insediamenti informali
esistenti possano essere oggetto di politiche pubbliche, che non siano di sgombero e demolizione, si
hanno dagli anni 70 con l’avvio dei progetti di upgrading. La stagione dell’upgrading finisce negli
anni 80 ma continuano a essere praticati dei progetti di riqualificazione degli slum. Si hanno dei
programmi di regolarizzazione delle proprietà nelle aree informali. Rispetto alla stagione dell’auto
costruzione assistita si passa dall’intervento diretto alla creazione delle condizioni affinché i poveri
possano migliorare autonomamente le proprie abitazioni.
-Politiche finalizzate a creare nuovi insediamenti: se nella stagione dell’auto costruzione assistita si
ha l’idea che gli insediamenti esistenti possano essere oggetti di progetti di riqualificazione, la
maggior parte degli interventi riguarda comunque la produzione di nuove opportunità abitative. E
nella fase del mettere in grado di fare si cerca di stimolare il privato a produrre nuove abitazioni per
i poveri
-Politiche rivolte ai proprietari: la maggioranza delle politiche abitative del sud del mondo si è
concentrata sui proprietari o sul favore l’acquisto dell’abitazione. Le agenzie internazionali ma
anche i governi locali e nazionali hanno sempre considerato la proprietà dell’abitazione come la
soluzione alla crisi edilizia perché si pensa alla proprietà come la forma naturale di possesso. È il
caso degli interventi di sites and services o gli interventi della stagione del mettere in grado di fare
(es. politiche per la regolarizzazione della proprietà, i sussidi, gli interventi sul credito). Nel caso
dei progetti di upgrading, gli interventi non si focalizzano esplicitamente sui proprietari ma
comunque sia non si ha un’attenzione specifica verso gli affittuari
- Politiche rivolte agli affittuari: gli affittuari sono una categoria negletta da parte delle politiche
pubbliche. Il fatto è che i governi non mettono in campo interventi per l’affitto.

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