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Passaggio dal ghetto comunitario all’iperghetto = segregazione che accoppia razza e classe
nel contesto del duplice ridimensionamento del mercato del lavoro e dello stato sociale. Il
Ghetto comunitario è composto da classi sociali nere, coscienza collettiva unificata, dalla
divisione sociale del lavoro completa e da agenzie di mobilitazione e rappresentazione
radicate. Viene sostituito dall'iperghetto: ghetto degli anni '80 e '90, poco coeso e coerente al
suo interno, sempre più segnato da una decomposizione del tessuto organizzativo; il
concetto di underclass definisce una realtà sociologica caratterizzata dall'esclusione dei
circuiti del mercato del lavoro stabile che porta alla presunzione di indegnità sociale e di
inferiorità morale.
• Cause dell'iperghettizzazione: inteso come una riacutizzazione della logica escludente del
ghetto quale strumento di controllo etno-razziale
1. Transizione dell'economia americana da un sistema fordista chiuso, integrato, destinato al
mercato
di massa, a un sistema aperto e decentrato, orientato a modelli di consumo differenziati;
questo cambiamento strutturale è stato accompagnato da una dualizzazione della struttura
occupazionale e
da un inasprimento della segmentazione razziale.
2. Persistenza della segregazione residenziale rigida degli afroamericani e addensamento
dell'edilizia residenziale pubblica nelle aree più povere.
3.Ridimensionamento del welfare combinato con le recessioni dell'economia americana che
contribuiscono a far aumentare la povertà nella Black Belt.
4. Inversione di tendenza nelle politiche federali e locali che si traduce nel ritiro dei servizi
pubblici dai quartieri storicamente neri Ogni fattore va considerato separatamente e
sequenzialmente.
2. Termine slum: è nato in epoca industriale con connotazioni dispregiative e utilizzato per indicare
i quartieri poveri delle città. È un termine che è entrato nella letteratura degli studi urbani e nel
linguaggio politico-istituzionale a partire dall’inizio degli anni 2000. È quindi di matrice
ottocentesca e nasce nel contesto della seconda rivoluzione urbana. A partire dalla seconda metà
dell’800 infatti, l’industrializzazione ha favorito in alcune città europee, e soprattutto Londra, una
concentrazione di popolazione proveniente da aree rurali, attratta dalle possibilità offerte dal lavoro
industriale. Si ha quindi una rapida espansione di quartieri sovraffollati caratterizzati da condizioni
igieniche drammatiche. Questo scenario è testimoniato da Engels, che effettua un lavoro di indagine
sulle città inglesi, pubblicato nel 1845 intitolato “La situazione della classe operaia in Inghilterra”.
È in questo contesto che compare la parola slum. Lo storico Reeder afferma che il termine diviene
di uso comune in Inghilterra solo dopo il 1880. Prima, i quartieri poveri delle zone centrali di
Londra o di altre città inglesi venivano definiti con espressioni diverse come rookeries o wynds.
Slum si afferma sostituendosi agli altri termini e con una peculiarità: quella di associare alle
condizioni di vita materiale (la qualità dell’alloggio, i deficit igienico-sanitari e il sovraffollamento)
lo stile di vita dei soggetti che vi abitano, cioè uno stile di vita caratterizzato da immoralità, vizio e
illegalità. Secondo il Vaux Flash Dictionary l’origine della parola risale al 1812 e successivamente
assume una valenza spaziale. I vocabolari inglesi registrano un diverso utilizzo a partire dal 1890.
Si indica infatti aree della città abitate da poveri, degradati e viziosi. La definizione descrive
contemporaneamente una zona della città dando un giudizio morale sui soggetti che vi risiedono. Si
uniscono la contestazione dello stato di povertà e la riprovazione morale per uno stile di vita
considerato patogeno e criminogeno. Jones ricorda che gli anni 70 dell’800 furono caratterizzati
dalla moralizzazione dei poveri occasionali, cioè quei provvedimenti e iniziative che avevano lo
scopo di imporre alla vita dei poveri un sistema di sanzioni e ricompense che li avrebbe convinti
che potevano sfuggire a una vita di miseria solo lavorando sodo e tramite l’ordine e la frugalità. Ma
questa tesi della moralizzazione venne abbandonata a favore della tesi della degenerazione: i poveri
erano considerati una minaccia, un substrato (residuum) pericoloso, il lato oscuro della città. Questa
immagine dei poveri si delineò attraverso le indagini di filantropi, riformatori, giornalisti e scrittori.
Sostanzialmente la parola slum è utilizzata per indicare aree povere degenerate in cui viveva il
residuum, entra nel linguaggio comune e nel vocabolario della stigmatizzazione urbana, grazie ai
resoconti di chi andava a osservare e esplorare gli slum, considerati luoghi di patologia sociale.
L’importanza delle esplorazioni all’interno degli slum è testimoniata anche dal fatto che nei
vocabolari compare a partire dal 1890, il termine to slum per indicare appunto il fatto di visitare i
quartieri poveri della città per motivi filantropici e caritatevoli. In molte definizioni, lo slum è
associato a forme di esclusione sociale e alla presenza di gruppi di popolazione vulnerabile (es.
immigrati, sfollati interni, minoranze etniche). Infine, per parlare di slum in molti contesti sociali, è
necessaria una dimensione minima dell’insediamento: lo slum si riferisce a più nuclei abitativi e
non un singolo alloggio. Nel censimento indiano la dimensione minima è definita da almeno 300
persone o 60 famiglie che si trovano nella stessa area e in condizioni di disagio abitativo. I
ricercatori Habitat riconoscono che le differenti definizioni adottate su scala globale per definire lo
slum rappresentano un ostacolo per misurare il fenomeno. Ma l’obiettivo di The Challenge of
Slums è contribuire alla conoscenza della povertà nelle città, tenendo conto delle condizioni
materiali di residenza. Il rapporto infatti non considera fattori come reddito, formazione, posizione
occupazionale. Allora nel rapporto viene adottata una definizione operativa: si è in presenza di uno
slum quando per un’unità familiare che condivide lo stesso tetto, mancano o più requisiti:
accesso all’acqua = significa accesso a una quantità sufficiente di acqua potabile per uso
familiare e che sia reperibile senza sforzi eccessivi e a un prezzo sostenibile. La potabilità di
ha un assenza di contaminazione da parte di agenti esterni, come le deiezioni umane.
L’accesso è garantito anche dalla presenza di acqua corrente a domicilio, fontane e rubinetti
pubblici
accesso ai servizi igienici = si intende la presenza di un sistema fognario in forma di bagno
privato o bagno pubblico condiviso con un numero ragionevole di persone
spazio vitale sufficiente = è la condizione per cui meno di 3 persone condividono la stessa
stanza, che deve essere minimo 4 metri quadri
qualità/durata delle abitazioni = si riferisce all’utilizzo di materiali da costruzione adeguati
alla protezione degli abitanti dagli agenti atmosferici e non pericolosi, ma anche durevoli nel
tempo e che non espongano a rischi come crolli. Il concetto di qualità si riferisce anche a
insediamenti che sono situati in zone non contaminate da rifiuti o da forme di inquinamento,
e al posizionamento in zone non vulnerabili dal punto di vista geologico
garanzie del possesso = secondo le agenzie delle Nazioni Unite è il diritto degli individui
alla protezione dello stato contro le espulsioni illegali o arbitrarie, ma questa garanzia si ha
se l’abitante è in possesso dei documenti che provino la legalità della presenza o
occupazione dell’alloggio
3. Il termine “bidonville” comincia ad essere utilizzato in Francia solo a partire dalla seconda metà
del Novecento. La vicenda delle “bidonvilles” può essere letta tenendo conto dell’impatto che la
guerra dell’Algeria ha avuto sulla storia delle città francesi e quindi considerando la bidonville
nell’insieme dei dispositivi spaziali utilizzati per gestire e controllare i flussi migratori provenienti
dall’Algeria. La guerra d’Algeria (1954-1962) infatti provocò un forte aumento dei flussi migratori
verso le città francesi. La fine del conflitto rese poi più complesso lo scenario, poiché si rendeva
necessario trovare una soluzione per gestire nuovi flussi. Sia nel periodo della guerra che
successivamente il controllo di questi ultimi flussi fu realizzato grazie all’implementazione di
specifici dispositivi posti in essere attraverso le politiche urbane e politiche dell’alloggio, in un
contesto cruciale della storia delle città francesi, quello cioè dello sviluppo e della crescita delle aree
di abitazione al di là dei nuclei storici che ha dato luogo ad una periferia (banlieue) in buona parte
nuova. Il termine bidonville oggi ampiamente utilizzato negli studi urbani, soprattutto francofoni,
per indicare gli insediamenti precari e autocostruiti che sorgono ai margini delle città, comincia ad
essere adoperato in Francia solo a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento,
per designare gli insediamenti autocostruiti, soprattutto quelli in cui erano presenti lavoratori e
famiglie algerine.
4. Sia che si tratti del discorso compassionevole fatto dalle anime caritatevoli, preoccupate della
giustizia sociale o si tratti di un discorso di denuncia, ogni discorso sulla bidonvilles suscita
vergogna e induce a vergognarsi. “Alloggio vergognoso”, dato che non assicura questa separazione
che si vuole sia radicale e a tenuta stagna tra sfera privata e dominio pubblico. Un alloggio che non
garantisce la privatizzazione della vita, dell’affettività e soprattutto dei sentimenti, se non a
condizione di essere conforme alla norma, che è per definizione pubblica. La bidonville è in
trasparenza: non nasconde nulla, né dal di dentro, né del di fuori, non protegge da nulla, non
preserva da alcuno sguardo. E’ che fa parte essa stessa dello “spazio pubblico”, dello spazio meno
pianificato, meno urbanizzato, di uno spazio fisico quasi naturale. L’abitare in bidonville è qualcosa
di vergognoso: ogni occasione che si presenta di entrare in relazione con l’esterno, dalla visita
medica a domicilio fino alla semplice indicazione del proprio domicilio sono altrettanti momenti in
cui si prova e si confessa la vergogna che così strettamente è legate e viene collegata al fatto di
abitare in bidonville. Tutte le condotte personali che sono caratteristiche della bidonville, e
soprattutto le più banali tra di esse, sono sempre affettate, mai naturali perché si svolgono sempre in
presenza di altri, i Francesi, che non sono della bidonville, davanti al tribunale del loro giudizio,
vale a dire di fronte alla possibilità oggettiva del razzismo. L’acqua il fango e il fuoco: sono queste
cose ordinarie a provocare le angosce più terribile. L’acqua prima di tutto. Durante il periodo delle
piogge, l’acqua cola in abbondanza e non risparmia alcun luogo, neppure l’interno delle baracche.
Attraversa le pareti, cola dai tetti ecc. Nell’estate avanzata l’acqua continua a ruscellare dovunque.
Le inondazioni sono temute perché distruggono tutto al loro passaggio; creano stagni; Bisogna
sostenere, fare manutenzione, consolidare le tavole di legno, e soprattutto canalizzare, asciugare, e
in ultima istanza scaricare con i secchi l’eccesso di acqua che ristagna o continua a colare. Agli
occhi di tutti è il fango che segna l’appartenenza alla bidonville. Il fango è il marchio di infra-
urbanità, si potrebbe dire di una infra-umanità. Il fango tradisce in un certo modo tutta una
condizione sociale, la condizione dell’uomo “fuori luogo” così come è “fuori luogo” il fango che si
trasporta sulle scarpe da città nell’autobus, nei negozi e fino al posto di lavoro o a scuola. Così la
bidonville porta con sé la prova della falsa urbanizzazione di cui è il prodotto. È l’illustrazione di
questa forma di urbanità caratteristica dei più poveri, una urbanità incompiuta. In ultima analisi tutta
la cura che si mette nello sbarazzarsene non può essere altro che l’espressione della fobia che tutti
gli abitanti hanno finito per avere rispetto alla loro esistenza nel cuore della bidonville. Così al
tempo stesso abbondante ed eccessivamente rara, l’acqua corrode i fondamenti della bidonville,
questi edifici senza fondamenta, e anche il morale degli abitanti della bidonville.
5. Le banlieues in declino della classe operaia francese e il ghetto nero americano hanno in comune
il fatto di essere considerati comunemente nelle loro società come luoghi pericolosi dove il vizio e
la criminalità sono fuori controllo, dove lo stato di diritto è regolarmente disatteso e da cui è
consigliato fuggire. Eppure, mentre le loro immagini pubbliche sono simili, queste due costellazioni
urbane divergono nettamente nell’intensità, frequenza, grado di radicamento sociale, nella natura
delle attività illegali o criminali che le nutrono, nonché nell’impatto delle forme di violenza di
strada sulla configurazione e sui flussi della routine quotidiana. Delinquenza giovanile e senso di
insicurezza nelle cités della cintura rossa Nonostante i giovani si facciano protagonisti di atti di
vandalismo e violenza di strada, è abbastanza sicuro camminare nel Quatre Mille anche dopo il
tramonto, si può andare liberamente in giro per gli edifici che attirano e ospitano molta vita
pubblica. Nel parco regionale immediatamente adiacente al complesso si possono vedere famiglie
che fanno pic-nic ecc. Le persone che lavorano nelle vicinanze abitualmente attraversano gli spazi
del complesso per raggiungere l’adiacente stazione regionale di transito. Il complesso è in costante
scambio con il paesaggio urbano circostante, così come la maggior parte dei suoi lavoratori, dei
suoi negozi e degli spazi di intrattenimento fuori dal suo perimetro. Eppure regna, tra i residenti di
questo grande complesso in declino, un indolente e profondamente radicato sentimento di
insicurezza e sfiducia generato principalmente dalla crescente piccola delinquenza e dallo scenario
deprimente e spersonalizzante di questo milieu chiuso, in cui popolazioni eterogenee e vulnerabili
entrano in contatto quotidiano. Questo sentimento spinge molti residenti a dotare le loro case, le
loro auto e negozi di porte blindate e di altri sistemi di allarme. Le ‘cantine’ seminterrate della
maggior parte degli edifici sono state dichiarate inagibili per evitare ai giovani di nascondervisi per
consumare sostanze illegali, e non è difficile individuare quando gli spacciatori lavorano in
prossimità del supermercato locale. Ma lo spaccio di droga impallidisce rispetto a quello di Chicago
e sono per lo più droghe leggere, è un’attività marginale che attira soprattutto disoccupati e ragazzi
fuoriusciti dalla scuola. Le attività delinquenziali preferite dagli adolescenti sono montare in treno
verso Parigi senza biglietto, introdursi nel cinema senza pagare, rubare nei negozi, nelle scuole e in
altri edifici pubblici, i fuori di strada o atti di vandalismo minore come ‘etichettare’ o distruggere
cassette postali ecc. Violenza di strada e prosciugamento dello spazio pubblico nel South Side di
Chicago L’insicurezza fisica che affligge la Black Belt nella metropoli americana è incomparabile
con quella delle cités della periferia urbana francese, le inner cities britanniche e le aree di
relegazione nelle altre città dell’Europa continentale. La violenza nelle sue forme più brutali è così
intensa e diffusa all’interno dell’iperghetto che ha determinato in maniera costrittiva una completa
riorganizzazione del tessuto della vita quotidiana. I residenti barrano le loro case e appartamenti
dietro sbarre di ferro battuto e cancelli; personalizzano la loro routine quotidiana in modo da ridurre
al minimo incursioni all’esterno e in modo da evitare i luoghi e le strutture pubbliche; e si affrettano
a rientrare a casa al tramonto. La morte violenta fa così parte della vita di tutti i giorni che il solo
fatto di raggiungere l’età adulta è considerato un risultato degno di riconoscimento pubblico.
Nell’iperghetto americano, la criminalità è più legata all’economia che agli aspetti ludici; la
violenza è una pandemia a causa del predominio dell’economia informale sul settore del lavoro
salariato e alla disgregazione delle istituzioni pubbliche e private. E il crimine violento è in gran
parte separato da relazioni sociali locali, salvo quelle che riguardano il microcosmo della banda in
quanto predatore sociale quasi- istituzionalizzato o imprenditore informale.
6. Per quanto riguarda il ritorno dello Slum: Da Londra, il termine si diffonde in altri contesti come
gli Stati Uniti, che negli stessi anni erano caratterizzati da fenomeni simili di espansione urbana. Ad
esempio Chicago dalla seconda metà dell’800 in pochi decenni aumenta di popolazione da poche
migliaia di abitanti a più di un milione e nei primi del 900 raggiunge più di tre milioni.
Lo slum si ha dove la crescita dei tassi di urbanizzazione si accompagna a una rapida espansione dei
quartieri sovraffollati e caratterizzati da una carenza a livello igienico-sanitario. Persistono elementi
stigmatizzanti, come l’idea che lo slum è in grado di infettare altre parti della città o addirittura tutto
il corpo sociale. Per questo vennero adottate dai primi del 900 sia in Inghilterra che negli Stati
Uniti, le politiche di demolizione (slum clearance).
In altre realtà, come i paesi con un passato coloniale di matrice inglese, la parola slum è utilizzata in
riferimento agli insediamenti informali, cioè alle aree non pianificate della città, caratterizzate dagli
alloggi sotto standard e autocostruiti, in cui si stanziano i poveri o che assorbono i flussi di
migrazione rurale. Quindi più che avere un portato stigmatizzante, si riferisce a una modalità di
sviluppo non pianificato della città. L’avvento dell’urbanesimo planetario vede il ritorno e la
diffusione su scala globale della parola slum e dell’idea che l’intervento sulle aree povere e
marginali delle città in paesi in via di sviluppo debba essere una priorità dell’azione pubblica e degli
aiuti internazionali. La Cities Alliance (una organizzazione fondata dalla Banca Mondiale e
dall’agenzia Habitat delle Nazioni Unite) nel 2000 promuove il Cities Without Slums Action Plan e
si ha quindi un’adozione internazionale del termine. Il documento delinea la strategia di intervento
sulle aree marginali delle città dei paesi poveri, ed è evidente un richiamo alla triade dirty, danger,
dark che descrive l’intreccio tra povertà, criminalità e patologia che sta alla base della genesi della
parola slum. Il documento descrive gli ambienti come squallidi e insicuri, esposi alla malattia e alla
criminalità. Si evidenzia una opposizione tra sano e patologico. Il ritorno dello slum e delle sue
“ingloriose associazioni” (come scrive Gilbert) è stato criticato perché ricalca l’idea di povertà
urbana come patologia sociale che deve essere estirpata mediante politiche di demolizione degli
alloggi e espulsione degli abitanti. Anche se l’iniziativa è stata lanciata con l’obiettivo di portare
l’attenzione sulle pessime condizioni di vita dei poveri delle città nei paesi in via di sviluppo,
l’utilizzo del termine è stato letto come motore di rafforzamento degli stereotipi negativi sui poveri.
La retorica dello slum viene percepita come funzionale a politiche aggressive di slum clearance, che
affrontano le conseguenze della povertà senza rimuoverne le cause. Un esempio è lo Slum
Elimination Act del 2007 in Sud Africa, provvedimento che si è concretizzato nell’allontanamento
degli abitanti di quartieri poveri senza alcuna misura di sostegno per il miglioramento degli alloggi
esistenti. Altre politiche di Slum Elimination in Sud Africa sono continuate in occasione delle
trasformazioni che hanno interessato le città per l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2010. I
mondiali sono stati un’occasione per sgomberare interi quartieri abitati da poveri. Le persone furono
espulse dalle loro abitazioni e ricollocati in transit camps, posti a diversi chilometri di distanza dalle
città, ricollocazione che doveva essere temporanea.
Per analizzare le politiche per la casa nella città informale, è necessario focalizzarsi su 3 variabili:
gli elementi sostantivi (cosa), le caratteristiche procedurali (come) e i beneficiari (per chi).
IL COSA DELLE POLITICHE. In termini di contenuti, ci sono tre principali campi che
caratterizzano le politiche: beni fisici, quadro normativo e finanziamenti.
Per quanto riguarda i beni fisici, i principali beni forniti sono:
- I moduli abitativi di base: come visto in relazione ai progetti di sites and services, una soluzione è
quella di realizzare moduli abitativi di base. Le dimensioni variano a seconda dei casi, ma nella
maggior parte dei casi si tratta di strutture dalle dimensioni ridotte (qualche decina di metri
quadrati)
- I lotti: in alcuni casi, per abbattere il costo unitario degli interventi, vengono forniti ai beneficiari
dei lotti vuoti, inseriti all’interno di un sistema di infrastrutture di base a scala di quartiere,
lasciando agli abitanti il compito di realizzare la propria abitazione
-Le infrastrutture e servizi: molti programmi per la casa promossi dalle organizzazioni
internazionali prevedono la realizzazione di infrastrutture e servizi nelle aree informali, il cui tipo e
qualità varia a seconda dei casi, nel senso che si va da interventi più limitati (es. sistemazione di
strade, installazione di illuminazione stradale) a interventi più significativi (es. realizzazione di
infrastrutture più avanzate e costruzione di servizi pubblici come scuole).
Per quanto riguarda il quadro normativo, si possono individuare 2 tipi di operazione:
- Regimi di possesso: si tratta di un intervento in materia di regime di proprietà dei suoli. Lo scopo è
di regolarizzare gli insediamenti informali. Le modalità per farlo sono la concessione di titoli
individuali di proprietà, concessione del diritto d’uso prolungato del suolo in forma di locazione,
pratiche di riconoscimento pubblico che non prevedono titoli individuali ma si fondano su forme
tradizionali o comunitarie di possesso. La regolarizzazione è stata uno dei pilastri dell’uprading ed è
diventata importante durante la stagione del mettere in grado di fare. Uno dei sostenitori è stato
Hernando De Soto. Ma sono stati messi in discussione i presunti benefici di questo approccio: la
fornitura di un titolo individuale di proprietà non sarebbe la strada migliore per rafforzare la
sicurezza di possesso delle abitazioni nelle aree informali, anzi comporterebbe l’aumento dei valori
immobiliari con il conseguente allontanamento delle fasce più povere di popolazioni in affitto
- Regole di uso dei suoli e degli edifici: nei paesi del sud del mondo, le regole e procedure
urbanistiche ed edilizie ricalcano i modelli occidentali, soprattutto europei e nord americani. Il fatto
è che risultano inadatte alle caratteristiche dell’espansione urbana di questi paesi perché sono
diverse le condizioni economiche, sociali, istituzionali e climatiche. Quindi la regolazione pubblica
non riesce a governare la crescita urbana e in molti casi produce effetti negativi per la popolazione
più povera: le opportunità di accesso a un’abitazione legale sono influenzati da costi che sono
superiori a quelli che le famiglie povere possono sostenere e quindi sono spinte a rivolgersi al
settore informale. Si può affermare che l’elevato livello di illegalità in città del sud del mondo è la
diretta conseguenza di standard urbanistici inadeguati.
Per quanto riguarda i finanziamenti, si hanno 2 principali interventi:
- Credito: una quota rilevante della popolazione (la maggior parte degli abitanti degli slum) non ha
accesso ai sistemi tradizionali di credito e questo porta a difficoltà nel fare investimenti, spinge al
ricorso di canali informali di prestito che spesso hanno costi elevati, superiori a quelli di credito
formale. La difficoltà di accedere al credito formale è legata alle caratteristiche del sistema bancario
ufficiale, che richiede come prerequisito per un prestito delle condizioni che non possono essere
soddisfatte dai poveri es. la presenza di un reddito fisso o la proprietà legale di un immobile. Nel
caso di programmi di upgrading o durante la stagione del mettere in grado di fare, l’attenzione si è
focalizzata sul favorire la formazione di sistemi di credito più adatti alle esigenze e alle
caratteristiche dei poveri e degli abitanti degli slum. Il caso più noto è quello del micro-credito
destinato al settore dell’abitazione, che consiste in prestiti di piccola entità (tra 500 e 2000 dollari),
da rimborsare in un tempo contenuto (tra tre e cinque anni). Vengono erogati per l’ampliamento o la
riqualificazione dell’abitazione, e possono essere erogati da ONG, istituzioni pubbliche ma anche
private di natura commerciale. Sono tutte accomunate dal fatto di richiedere garanzie di tipo sociale
all’erogazione del prestito
- Sussidi: gran parte delle politiche per gli slum può essere considerata una forma di sussidio
indiretto ai beneficiari. In nessun caso infatti si è stati in grado di recuperare i costi dell’intervento.
Ci sono però stati casi in cui sono messe in campo forme di sussidio diretto nei confronti dei poveri,
sotto forma di finanziamento una tantum per aiutarli ad acquistare una casa sul mercato privato.
IL COME DELLE POLITICHE ABITATIVE. Le politiche abitative per la città informale possono
essere distinte anche in base alle loro caratteristiche procedurali. Si hanno 2 distinzioni:
-Interventi che adottano un approccio per progetti: l’obiettivo è quello di intervenire in situazioni
specifiche per risolvere problemi su scala locale. È l’approccio dell’auto costruzione assistita, infatti
lo scopo degli interventi di sites and services e upgrading è quello di porre rimedio a problemi
specifici di una determinata area e di promuovere operazioni “esemplari” che possano essere
replicate poi dalle autorità locali (la replicabilità è stata difficile a causa dei costi troppo elevati o a
causa dell’opposizione delle élites locali). il problema è che sono interventi che rispondono alle
necessità di una percentuale limitata delle persone in situazione di bisogno, nonostante il fatto che
siano soluzioni piuttosto rapide dai benefici immediati.
- Interventi che adottano un approccio per politiche: mirano a un trattamento olistico della
questione abitativa. Non si cerca di agire sugli effetti, ma sulle cause del problema. Per questo, sono
interventi proposti non solo su scala locale, ma a livelli superiore di governo. È l’approccio che
caratterizza la stagione del mettere in grado di fare.
- Interventi che adottano un approccio centralizzato (top down)
- Interventi che adottano un approccio partecipativo (bottom up)
IL CHI DELLE POLITICHE. In termini di destinatari, è possibile distinguere tra:
- Politiche finalizzate a intervenire sugli insediamenti esistenti: l’idea che gli insediamenti informali
esistenti possano essere oggetto di politiche pubbliche, che non siano di sgombero e demolizione, si
hanno dagli anni 70 con l’avvio dei progetti di upgrading. La stagione dell’upgrading finisce negli
anni 80 ma continuano a essere praticati dei progetti di riqualificazione degli slum. Si hanno dei
programmi di regolarizzazione delle proprietà nelle aree informali. Rispetto alla stagione dell’auto
costruzione assistita si passa dall’intervento diretto alla creazione delle condizioni affinché i poveri
possano migliorare autonomamente le proprie abitazioni.
-Politiche finalizzate a creare nuovi insediamenti: se nella stagione dell’auto costruzione assistita si
ha l’idea che gli insediamenti esistenti possano essere oggetti di progetti di riqualificazione, la
maggior parte degli interventi riguarda comunque la produzione di nuove opportunità abitative. E
nella fase del mettere in grado di fare si cerca di stimolare il privato a produrre nuove abitazioni per
i poveri
-Politiche rivolte ai proprietari: la maggioranza delle politiche abitative del sud del mondo si è
concentrata sui proprietari o sul favore l’acquisto dell’abitazione. Le agenzie internazionali ma
anche i governi locali e nazionali hanno sempre considerato la proprietà dell’abitazione come la
soluzione alla crisi edilizia perché si pensa alla proprietà come la forma naturale di possesso. È il
caso degli interventi di sites and services o gli interventi della stagione del mettere in grado di fare
(es. politiche per la regolarizzazione della proprietà, i sussidi, gli interventi sul credito). Nel caso
dei progetti di upgrading, gli interventi non si focalizzano esplicitamente sui proprietari ma
comunque sia non si ha un’attenzione specifica verso gli affittuari
- Politiche rivolte agli affittuari: gli affittuari sono una categoria negletta da parte delle politiche
pubbliche. Il fatto è che i governi non mettono in campo interventi per l’affitto.