La teoria del piacere di Giacomo Leopardi viene enunciata all'interno dello Zibaldone, ed è così
chiamata dal suo stesso autore. Alla spiegazione di questa teoria Leopardi dedica una ventina di
pagine, che costituiscono un breve e coeso saggio filosofico, steso, come indicano le date che lo
chiudono, tra il 12 e il 23 luglio del 1820.
La riflessione di Leopardi parte da un’idea ben precisa: ogni uomo, nel suo agire, mira «al
piacere, ossia alla felicità»; questa tendenza al piacere non conosce limiti perché connaturata
all’esistenza; al contrario, i mezzi attraverso i quali l’uomo cerca di soddisfarla, i «piaceri»,
sono limitati, temporanei ed effimeri. Ne consegue la distanza incolmabile tra desiderio del
piacere ed effettiva possibilità di soddisfarlo.
Il desiderio del piacere è infinito per durata (non si esaurisce finché non finisce la vita) e
per estensione (il desiderio del piacere è inesauribile perché riguarda il piacere in sé, e
quindi non possono esistere singoli oggetti che lo soddisfino);
la natura aveva disposto gli uomini al piacere facendoli ignoranti, cioè capaci di illusioni e
di immaginazione;
Nel brano proposto non si può ancora parlare di flusso di coscienza, ma di una scrittura che nasce
da una riflessione intimi, libera dal controllo linguistico che il poeta esercitava invece sui Canti.
Con questo pensiero Leopardi esprime cosa secondo lui provochi piacere: il piacere è dato dalla
varietà, dalla mescolanza, dalla moltitudine, dal poetico: ad esempio la luce della luna è poetica
quando non è totalmente visibile oppure se il suo bagliore si riverbera su altri oggetti, quindi, gli
impedimenti fisici, della vista, fanno spaziare l’immaginazione.
Infatti, una campagna aperta soleggiata è piacevole a causa dell’idea di indefinitezza che crea in
noi.
È invece impoetica la visione precisa, costretta entro dei confini, nitida, delineata delle cose.
Andando a ribadire è poetico ciò che permette all’animo di spaziare e di dilatarsi. A non essere
piacevole è anche il monotono, il tedio che indica una noia intellettuale, mentale.
TERMINI E PAROLE
Secondo Leopardi la vera poesia deve provocare molte “emozioni vivissime” nel lettore, riempire
il suo animo di” idee vaghe indefinite e vastissime sublimissime”. Questi brani dello zibaldone,
scritti tra il 1820 e il 1821, si riferiscono alle scelte linguistiche capaci di produrre tali effetti.