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Giacomo Leopardi erano se non gli antichi, e non sono ora se non i fanciulli, o giovanetti, e i moderni che

hanno questo nome, non sono altro che filosofi. Ed io infatti non divenni sentimentale,
se non quando perduta la fantasia divenni insensibile alla natura, e tutto dedito alla
Zibaldone ragione e al vero, in somma filosofo.
1 luglio 1820 [143-44]

La teoria del piacere


Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci
Poesia degli antichi e dei fanciulli, filosofia dei moderni l'animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene
Nella carriera poetica il mio spirito ha percorso lo stesso stadio che lo spirito umano da una cagione semplicissima, e - più materiale che spirituale. L'anima umana (e così
in generale. Da principio il mio forte era la fantasia, e i miei versi erano pieni tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché
d'immagini, e delle mie letture poetiche io cercava sempre di profittare riguardo alla sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno
immaginazione. lo era bensì sensibilissimo anche agli affetti, ma esprimerli in poesia col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o
non sapeva. Non aveva ancora meditato intorno alle cose, e della filosofia non avea congenita coll'esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non
che un barlume, e questo in grande, e con quella solita illusione che noi ci facciamo, può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti: 1. né per durata;
cioè che nel mondo e nella vita ci debba esser sempre un'eccezione a favor nostro. 2. né per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere che uguagli: 1. né la sua
Sono stato sempre sventurato, ma le mie sventure d'allora erano piene di vita, e mi durata, perché nessun piacere è eterno; 2. né la sua estensione, perché nessun piacere è
disperavano perché mi pareva (non veramente alla ragione, ma ad una saldissima immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente, e tutto abbia
immaginazione) che m'impedissero la felicità, della quale gli altri credea che confini, e sia circoscritto. Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata,
godessero. In somma il mio stato era allora in tutto e per tutto come quello degli perché, come ho detto, non finisce se non coll'esistenza, e quindi l'uomo non
antichi. Ben è vero che anche allora quando le sventure mi stringevano e mi esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch'è
travagliavano assai, io diveniva capace anche di certi affetti in poesia, come sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del
nell'ultimo canto della Cantica1. La mutazione totale in me, e il passaggio dallo stato piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente l’infinità, perché ogni piacere è
antico al moderno, segui si può dire dentro un anno, cioè nel 1819 dove privato circoscritto, ma non il piacere, la cui estensione è indeterminata, e l'anima amando
dell'uso della vista 2, e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l'estensione immaginabile di questo
mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonar la speranza, a sentimento, senza poterla neppur concepire, perché non si può formare idea chiara di
riflettere profondamente sopra le cose (in questi pensieri ho scritto in un anno il una cosa ch'ella desidera illimitata. Veniamo alle conseguenze. Se tu desideri un
doppio quasi di quello che avea scritto in un anno e mezzo, e sopra materie cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo e come un tal piacere, ma in fatti lo
appartenenti sopra tutto alla nostra natura, a differenza dei pensieri passati, quasi tutti desideri come piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo, trovi
di letteratura), a divenir filosofo di professione (di poeta ch'io era), a sentire l'infelicità un piacere necessariamente circoscritto e senti un vuoto nell'anima, perché quel
certa del mondo, in luogo di conoscerla, e questo anche per uno stato di languore desiderio che tu avevi effettivamente non resta pago. Se anche fosse possibile che
corporale, che tanto più mi allontanava dagli antichi e mi avvicinava ai moderni. restasse pago per estensione, non potrebbe per durata, perché la natura delle cose
Allora l'immaginazione in me fu sommamente infiacchita, e quantunque la facoltà porta ancora che niente sia eterno. E posto che quella material cagione che ti ha dato
dell'invenzione allora appunto crescesse in me grandemente, anzi quasi cominciasse, un tal piacere una volta, ti resti sempre (per esempio, tu hai desiderato la ricchezza,
verteva però principalmente, o sopra affari di prosa, o sopra poesie sentimentali. E s'io l'hai ottenuta, e per sempre), resterebbe materialmente, ma non più come cagione
mi metteva a far versi, le immagini mi venivano a sommo stento, anzi la fantasia era neppure di un tal piacere, perché questa è un'altra proprietà delle cose, che tutto si
quasi disseccata (anche astraendo dalla poesia, cioè nella contemplazione delle belle logori, e tutte le impressioni a poco a poco svaniscono, e che l'assuefazione, come
scene naturali ec. come ora ch'io ci resto duro come una pietra); bensì quei versi toglie il dolore, così spenga il piacere. Aggiungete che quando anche un piacere
traboccavano di sentimento. Così si può ben dire che in rigor di termini, poeti non provato una volta ti durasse tutta la vita, non perciò l'animo sarebbe pago, perché il
suo desiderio è anche infinito per estensione, così che quel tal piacere quando
1
Cantica, allude all'Appressamento della morte, in cinque canti, scritto a Recanati nel uguagliasse la durata di questo desiderio, non potendo uguagliarne l'estensione, il
novembre e dicembre 1816.
desiderio resterebbe sempre, o di piaceri sempre nuovi, come accade in fatti, o di un volte più grande negl'istruiti che negl'ignoranti, non lo è in atto come in potenza, e
piacere che riempiesse tutta l'anima. Quindi potrete facilmente concepire come il perciò operando molto più negl'ignoranti, li fa più felici di quelli che da natura
piacere sia cosa vanissima sempre, del che ci facciamo tanta maraviglia, come se ciò avrebbero sortito una fonte più copiosa di piaceri. E notate in secondo luogo che la
venisse da una sua natura particolare, quando il dolore la noia ec. non hanno questa natura ha voluto che l'immaginazione non fosse considerata dall'uomo come tale, cioè
qualità. Il fatto è che quando l'anima desidera una cosa piacevole, desidera la non ha voluto che l'uomo la considerasse come facoltà ingannatrice, ma la
soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal confondesse colla facoltà conoscitrice, e perciò avesse i sogni dell'immaginazione per
piacere; ora nel fatto trovando un piacere particolare, e non astratto, e che comprenda cose reali e quindi fosse animato dall'immaginario come dal vero (anzi più, perché
tutta l'estensione del piacere, ne segue che il suo desiderio non essendo soddisfatto di l'immaginario ha forze più naturali, e la natura è sempre superiore alla ragione). Ma
gran lunga, il piacere appena è piacere, perché non si tratta di una piccola ma di una ora le persone istruite, quando anche sieno fecondissime d'illusioni, le hanno per tali,
somma inferiorità al desiderio e oltracciò alla speranza. E perciò tutti i piaceri e le seguono più per volontà che per persuasione, al contrario degli antichi
debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perché l'anima nell’ottenerli cerca degl'ignoranti de' fanciulli e dell'ordine della natura. 2. Tutti i piaceri, come tutti i
avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la dolori ec. essendo tanto grandi quanto si reputano, ne segue che in proporzione della
soddisfazione di un desiderio illimitato. grandezza e copia delle illusioni va la grandezza e copia de' piaceri, i quali sebbene
Veniamo alla inclinazione dell'uomo all'infinito. Indipendentemente dal desiderio neanche gli antichi li trovassero infiniti, tuttavia li trovavano grandissimi, e capaci se
del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose non di riempierli, almeno di trattenerli a bada. La natura non volea che sapessimo, e
che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza l'uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare. Quindi e trovando
innata dell'uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue ciascun piacere molto più grande che noi non facciamo, e dandogli
principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di coll'immaginazione un estensione quasi illimitata, e passando di desiderio in
questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli desiderio, colla speranza di piaceri maggiori e di un'intera soddisfazione,
infiniti: 1. in numero, 2. in durata, 3. in estensione. Il piacere infinito che non si può conseguivano il fine voluto dalla natura, che è di vivere, se non paghi intierarnente di
trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la quella tal vita, almeno contenti della vita in genere. Oltre la detta varietà, che li
speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia: 1. che la speranza sia sempre distraeva infinitamente, e li faceva passare rapidamente da una cosa all'altra senz'aver
maggior del bene; 2. che la felicità umana non possa consistere se non se nella tempo di conoscerla a fondo, né di logorare il piacere coll'assuefazione. 3. La
immaginazione e nelle illusioni. Quindi bisogna considerare la gran misericordia e il speranza è infinita come il desiderio del piacere, ed ha di più la forza, se non di
gran magistero della natura, che da una parte non potendo spogliar l'uomo e nessun soddisfar l'uomo, almeno di riempierlo di consolazione, e di mantenerlo in piena vita.
essere vivente, dell'amor del piacere che è una conseguenza immediata e quasi tutt'uno La speranza propria dell'uomo, degli antichi, fanciulli, ignoranti, è quasi annullata per
coll'amor proprio e della propria conservazione necessario alla sussistenza delle cose, il moderno sapiente. Vedi il pensiero che incomincia Racconta, p. 162.
dall'altra parte non potendo fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire: 1. colle Del resto il desiderio del piacere essendo materialmente infinito in estensione (non
illusioni, e di queste è stata loro liberalissima, e bisogna considerarle come cose solamente nell'uomo, ma in ogni vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è
arbitrarie in natura, la quale poteva ben farcene senza; 2. coll'immensa varietà di veder subito i limiti della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli
acciocché l'uomo stanco o disingannato di un piacere ricorresse all'altro, o anche scorge solamente da presso. Quindi è manifesto: 1. perché tutti i beni paiano
disingannato di tutti i piaceri fosse distratto e confuso dalla gran varietà delle cose, ed bellissimi e sommi da lontano, e l'ignoto sia più bello del noto; effetto della
anche non potesse così facilmente stancarsi di un piacere, non avendo troppo tempo di immaginazione determinato dalla inclinazione della natura al piacere, effetto delle
fermarcisi, e di lasciarlo logorare, e dall'altro canto non avesse troppo campo di illusioni voluto dalla natura. 2. Perché l'anima preferisca in poesia e da per tutto, il
riflettere sulla incapacità di tutti i piaceri a soddisfarlo. Quindi deducete le solite bello aereo, le idee infinite. Stante la considerazione qui sopra detta, l'anima deve
conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni in ordine alla felicità. 1. naturalmente preferire agli altri quel piacere ch'ella non può abbracciare. Di questo
L'immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità umana. Quanto più bello aereo, di queste idee abbondavano gli antichi, abbondano i loro poeti, massime il
questa regnerà nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice. Lo vediamo nei fanciulli. Ma più antico cioè Omero, abbondano i fanciulli, veramente Omerici in questo, (vedi il
questa non può regnare senza l'ignoranza, almeno una certa ignoranza come quella pensiero Circa l'immaginazione, p. 57, e l'altro, p. 100), gl'ignoranti ec. in somma la
degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e definizioni delle cose, natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce difficilissimo il provarne.
circoscrive l'immaginazione. E osservate che la facoltà immaginativa essendo spesse La malinconia, il sentimentale moderno ec., perciò sono così dolci, perché immergono
l'anima in un abisso di pensieri indeterminati, de' quali non sa vedere il fondo né i Le ricordanze, l’indefinito, il remoto.
contorni. E questa pure è la cagione perché nell'amore ec. come ho detto, p. 142. Il sentimento che si prova alla vista di una campagna o di qualunque altra cosa v'ispiri
Perché in quel tempo l'anima si spazia in un vago e indefinito. Il tipo di questo bello e idee e pensieri vaghi e indefiniti quantunque dilettosissimo, è pur come un diletto che
di queste idee non esiste nel reale, ma solo nell’immaginazione, e le illusioni sole ce non si può afferrare, e può paragonarsi a quello di chi corra dietro a una farfalla bella
le possono rappresentare, né la ragione ha verun potere di farlo. Ma la natura nostra e dipinta senza poterla cogliere: e perciò lascia sempre nell’anima un gran desiderio:
n'era fecondissima, e voleva che componessero la nostra vita. 3. Perché la natura pur questo è il sommo de' nostri diletti, e tutto quello ch'è determinato e certo è molto
nostra odi tutto quello che confina le sue sensazioni. L'anima cercando il piacere in più lungi dall'appagarci, di questo che per la sua incertezza non ci può mai appagare.
tutto, dove non lo trova, già non può esser soddisfatta, dove lo trova, abborre i confini (gennaio 1820 [p. 75]
per le sopraddette ragioni. Quindi, vedendo la bella natura, ama che l'occhio si spazi
quanto è possibile. La qual cosa il Montesquieu (Essai sur le Gout, De la curiosité, p. Ma tra gli effetti di questo costume [quello di “lasciarla pensare allo spettatore o
374, 375) attribuisce alla curiosità. Male. La curiosità non è altro che una uditore più di quello ch'esprimessero”] dico effetti e non cagioni, giacché gli antichi
determinazione dell'anima a desiderare quel piacere, secondo quello che dirò poi. non pensavano certamente a questo effetto, e non erano portati se non dalla causa che
Perciò ella potrà esser la cagione immediata di questo effetto (vale a dire che, se ho detto, è notabilissimo quello del rendere l'impressione della poesia o dell'arte bella,
l'anima non provasse piacere nella vista della campagna ec. non desidererebbe infinita, laddove quella de' moderni è finita. Perché descrivendo con pochi colpi, e
l'estensione di questa vista), ma non la primaria, né questo effetto è speciale proprio mostrando poche parti dell'oggetto, lasciavano l'immaginazione errare nel vago e
solamente delle cose che appartengono alla curiosità, ma di tutte le cose piacevoli, e indeterminato di quelle idee fanciullesche, che nascono dall'ignoranza dell'intiero. Ed
perciò si può ben dire che la curiosità è cagione immediata del piacere che si prova una scena campestre p. e. dipinta dal poeta antico in pochi tratti, e senza dirò così, il
vedendo una campagna, ma non di quel desiderio che questo piacere sia senza limiti. suo orizzonte, destava nella fantasia quel divino ondeggiamento d'idee confuse, e
Eccetto in quanto ciascun desiderio di ciascun piacere può essere illimitato e perpetuo brillanti di un indefinibile romanzesco, e di quella eccessivamente cara e soave
nell'anima, come il desiderio generale del piacere. Del rimanente, alle volte l'anima stravaganza e maraviglia, che ci solea rendere estatici nella nostra fanciullezza. Dove
desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, che i moderni, determinando ogni oggetto, e mostrandone tutti i confini, son privi
come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell'infinito, quasi affatto di questa emozione infinita, e invece non destano se non quella finita e
allora in luogo della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. circoscritta, che nasce dalla cognizione dell' oggetto intiero, e non ha nulla di
L'anima s’immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre stravagante, ma è propria dell'età matura, che è priva di quegl'inesprimibili diletti
gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non della vaga immaginazione provati nella fanciullezza. (8 gennaio 1820) [p. 100]
potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe
l'immaginario. Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel Non solo la facoltà conoscitiva, o quella di amare, ma neanche l'immaginativa è
vedere il cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come capace dell'infinito, o di concepire infinitamente, ma solo dell'indefinito, e di
chiamano. Al contrario la vastità e moltiplicità delle sensazioni diletta moltissimo concepire indefinitamente. La qual cosa ci diletta perché l'anima non vedendo i
l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande ec. Non è questa la ragione. Ma confini, riceve l'impressione di una specie d'infinità, e confonde l'indefinito
proviene da ciò, che la moltiplicità delle sensazioni confonde l'anima, gl'impedisce di coll'infinito; non però comprende né concepisce effettivamente nessuna infinità. Anzi
vedere i confini di ciascheduna, toglie l'esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare nelle immaginazioni le più vaghe e indefinite, e quindi le più sublimi e dilettevoli,
d'un piacere in un altro, senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia l'anima sente espressamente una certa angustia, una certa difficoltà, un certo desiderio
in certo modo a un piacere infinito. Parimente la vastità quando anche non sia insufficiente, un'impotenza decisa di abbracciar tutta la misura di quella sua
moltiplice, occupa nell'anima un più grande spazio, ed è più difficilmente esauribile. immaginazione, o concezione o idea. La quale perciò, sebbene la riempia e diletti e
La maraviglia similmente, rende l'anima attonita, l'occupa tutta e la rende incapace in soddisfaccia più di qualunque altra cosa possibile in questa terra, non però la riempie
quel momento di desiderare. Oltre che la novità (inerente alla maraviglia) è sempre effettivamente, né la soddisfa, e nel partire non la lascia mai contenta, perché l'anima
grata all'anima, la cui maggior pena è la stanchezza dei piaceri particolari. (luglio sente e conosce o le pare, di non averla concepita e veduta tutta intiera, o che creda di
1820) [165-172] non aver potuto, o di non aver saputo, e si persuada che sarebbe stato in suo potere di
farlo, e quindi provi un certo pentimento,nel che ha torto in realtà, non essendo
colpevole. (4 gennaio 1821) [pp. 472-73]
ec. E per la stessa ragione ci è piacevole nella vita anche la ricordanza dolorosa, e
La sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un'immagine quando bene la cagion del dolore non sia passata. (25 ottobre 1821).
degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una
ripercussione o riflesso della immagine antica. E ciò accade frequentissimamente. La sola vastità desta nell'anima un senso di piacere, da qualunque sensazione fisica o
(Così io, nel rivedere quelle stampe piaciutemi vagamente da fanciullo, quei luoghi, morale, ella provenga, e per mezzo di qualunque de' cinque sensi. Un salone ampio e
spettacoli, incontri ec. nel ripensare a quei racconti, favole, letture, sogni ec. nel disteso, alle cui estremità appena giunge la vista, piace sempre, e massime se se ne
risentire quelle cantilene udite nella fanciullezza o nella prima gioventù ec.). In nota bene la vastità, per non essere interrotta da colonne, p. e. o altri oggetti, che
sminuzzino la sensazione. Piace la vastità, in quanto vastità, anche nelle sensazioni
maniera che, se non fossimo stati fanciulli, tali quali siamo ora, saremmo privi della
assolutamente dispiacevoli, sebbene il dispiacere essendo vasto, paia che debba
massima parte di quelle poche sensazioni indefinite che ci restano, giacché non le essere, e sia per una parte maggiore. Bisogna distinguere il vasto dal vago o
proviamo se non rispetto e in virtù della fanciullezza. (16 gennaio 1821). indefinito. L'uno e l'altro piace all'anima per le stesse ragioni, o per ragioni della
stessa specie. Ma ci può ben essere un vasto che non sia vago, e un vago che non sia
E proprio ufficio de' poeti e degli scrittori ameni il coprire quanto si possa le nudità vasto. Nondimeno queste qualità si ravvicinano sempre quanto all'effetto che fanno
delle cose, come è ufficio degli scienziati e de' filosofi il rivelarla. Quindi le parole sull'anima, e ciò perché le sensazioni vaghe, ancorché derivino (come spesso) da
precise convengono a questi, e sconvengono per lo più a quelli; a dirittura l'uno a oggetti materialmente piccolissimi, e compresi bastantemente dall'anima per piccoli,
l'altro. Allo scienziato le parole più convenienti sono le più precise, ed esprimenti sono sempre vaste, in quanto essendo indefinite non hanno termini; e le sensazioni
un'idea più nuda. Al poeta e al letterato per lo contrario le parole più vaghe, ed vaste, ancorché gli oggetti che le producono abbiano manifesti termini, sono sempre
esprimenti idee più incerte, o un maggior numero d'idee ec. Queste almeno gli denno indefinite, in quanto l'anima non arriva ad abbracciarle tutte intere, almeno in un sol
esser le più care, e quelle altre che sono l'estremo opposto, le più odiose. [...] Ho detto punto, e però non può contenerle, né giungere a sentire pienamente i loro termini.
e ripeto che i termini in letteratura e massime in poesia faranno sempre pessimo e Tutto ciò può applicarsi alle sensazioni prodotte dalla poesia, o dagli scrittori, ec. al
bruttissimo effetto. Qui peccano assai gli stranieri, e non dobbiamo imitarli. Ho detto lontano, all'antico, al futuro, ec. ec. (5 novembre 1821) [pp. 2053-54]
che la lingua francese (e intendo quella della letteratura e della poesia) si corrompe
per la profusione de' termini, ossia delle voci di nudo e secco significato, perch'ella si In Omero tutto è vago, tutto è supremamente poetico nella maggior verità e proprietà
compone oramai tutta quanta di termini, abbandonando e dimenticando le parole: che e nella maggior forza ed estensione del termine; incominciando dalla persona e storia
noi non dobbiamo mai né dimenticare né perdere né dismettere, perché perderemmo sua, ch'è tutta involta e seppellita nel mistero, oltre alla somma antichità e lontananza
la letteratura e la poesia, riducendo tutti i generi di scrivere al genere matematico. (26 e diversità de' suoi tempi da' posteriori e da' nostri massimam. e sempre maggiore di
giugno 1821) [pp. 1226-27] mano in mano (essendo esso il più antico, non solo scrittore che ci rimanga, ma
monumento dell'antichità profana; la più antica parte dell'antichità superstite), che
Le parole lontano, antico e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee tanto contribuisce per se stessa a favorire l'immaginazione. Omero stesso è un'idea
vaste e indefinite e non determinate e confuse.(25 settembre 1821). vaga e conseguentemente poetica. Tanto che si è anche dubitato e si dubita ch'ei non
sia stato mai altro veramente che un'idea. (12 Dec. 1823). Il qual dubbio, stoltissimo
Le parole notte, notturno, ec., le descrizioni della notte ec., sono poeticissime, perché benché d'uomini gravissimi, non lo ricordo se non per un segno di questo ch'io dico.
la notte confondendo gli oggetti, l'animo non ne concepisce che un'immagine vaga, (12 dicembre 1823) [pp. 3975-76]
indistinta, incompleta, sì di essa che di quanto ella contiene. Così oscurità, profondo
ec. ec. (28 settembre 1821). Memorie della mia vita. Cangiando spesse volte il luogo della mia dimora, e
fermandomi dove più dove meno o mesi o anni, m'avvidi che io non mi trovava mai
Per la copia e la vivezza ec. delle rimembranze sono piacevolissime e poeticissime contento, mai nel mio centro, mai naturalizzato in luogo alcuno, comunque per altro
tutte le immagini che tengono dal fanciullesco e tutto ciò che ce le desta (parole, frasi, ottimo, finattantoché io non aveva delle rimembranze da attaccare a quel tal luogo,
poesie, pitture, imitazioni o realtà ec.). E sono piacevoli per la loro vivezza anche le alle stanze dove io dimorava, alle vie, alle case che io frequentava; le quali
ricordanze d'immagini e di cose che nella fanciullezza ci erano dolorose, o spaventose rimembranze non consistevano in altro che in poter dire: qui fui tanto tempo fa; qui,
tanti mesi sono, feci, vidi, udii la tal cosa; cosa che del resto non sarà stata di alcun si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape, nelle
momento; ma la ricordanza, il potermene ricordare, me la rendeva importante e dolce. sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose,
Ed è manifesto che questa facoltà e copia di ricordanze annesse ai luoghi abitati da pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime,
me, io non poteva averla se non con successo di tempo, e col tempo non mi poteva senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è infestato da un formicaio,
quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito neLla scorza
mancare. Però io era sempre tristo in qualunque luogo nei primi mesi, e coll'andar del
e cruciato dall'aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco o
tempo mi trovava sempre divenuto contento ed affezionato a qualunque luogo. neLle radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è roso, morsicato nei fiori;
(Firenze, 23 luglio 1827). Colla rimembranza egli mi diveniva quasi il luogo natio. quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo
fresco; troppa luce, troppa ombra, troppo umido, troppo secco. L'una patisce
Una voce o un suono lontano, o decrescente e allontanantesi appoco appoco, o incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova
echeggiante con un'apparenza di vastità ec. ec. è piacevole p. il vago dell'idea ec. Però dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi
è piacevole il tuono, un colpo di cannone, e simili, udito in piena campagna, in una una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o
gran valle ec. il canto degli agricoltori, degli uccelli, il muggito de' buoi ec. nelle med. dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un
circostanze. (21 settembre 1827) [p. 4293] filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via.
Intanto tu strazi le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le
Un oggetto qualunque, p. e. un luogo, un sito, una campagna, p. bella che sia, se non rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile va dolcemente sterpando e
desta alcuna rimembranza, non è poetica punto a vederla. La medesima, ed anche un infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra
sito, un oggetto qualunque, affatto impoetico in se, sarà poetichissimo a rimembrarlo. sensibili, colle unghie, col ferro. (Bologna, 19 aprile 1826). Certamente queste piante
La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non p. altro, se non vivono; alcune perché le loro infermità non sono mortali, altre perché ancora con
perché il presente, qual ch'egli sia, non può esser poetico: e il poetico, in uno o in altro malattie mortali, le piante, e gli animali altresì, possono durare a vivere qualche poco
modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago. (14 dicembre di tempo. Lo spettacolo di tanta copia di vita all'entrare in questo giardino ci rallegra
1828) [p. 4426] l'anima, e di qui è che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verità questa
vita è trista e infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale (luogo ben più
Chi ha viaggiato, gode questo vantaggio, che le rimembranze che le sue sensazioni gli deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri sentono o, vogliamo dire, sentissero,
destano, sono spesso di cose lontane, e però tanto più vaghe, suscettibili di fare certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l'essere. (Bologna, 22 aprile
illusione, e poetiche. Chi non si è mai mosso, avrà rimembranze di cose lontane di 1826).
tempo, ma non mai di luogo. Quanto al luogo (che monta pur tanto, che è più assai
che nel teatro la scena), le sue rimembranze saranno sempre di cose, per così dir,
Colpevole è la natura, non gli uomini.
presenti; però tanto men vaghe, men capaci d'illusione, men soggette
La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la
all'immaginazione e men dilettevoli. (11 aprile 1829, Recanati). guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la
misantropia, di sua natura tende a sanare, a spegnere quel mal umore, quell'odio, non
sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, i quali non sono filosofi, e non
“Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori”. Tutti gli esseri sono infelici. vorrebbero esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a' loro
Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che, giustamente
Non solo il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma o ingiustamente, essi, come tutti gli altri, ricevono dagli altri uomini. la mia filosofia
tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se
globi, i sistemi, i mondi. non altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi ec. ec.
Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella (Recanati, 2 gennaio 1829).
più mite stagion dell'anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi
non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in stato di souffrance,
qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita;
“Una giovane dai sedici ai diciotto anni”
Una donna di venti, venticinque o trenta anni ha forse più d'attraits, più d'illècebre,
ed è più atta a ispirare, e maggiormente a mantenere, una passione. Così almeno è
paruto a me sempre, anche nella primissima gioventù: così anche ad altri che se ne
intendono. Ma veramente una giovine dai sedici ai diciotto anni ha nel suo viso, ne'
suoi moti, nelle sue voci, salti ec. un non so che di divino, che niente può
agguagliare. Qualunque sia il suo carattere, il suo gusto; allegra o malinconica,
capricciosa o grave, vivace o modesta; quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di
gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o
che voi nel guardarla concepite in lei e per lei; quell'aria di innocenza, d'ignoranza
completa del male, delle sventure, de' patimenti, quel fiore insomma, quel
primissimo fior della vita; tutte queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza
interessarvi, fanno in voi un'impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che
voi non vi saziate di guardar quel viso; ed io non conosco cosa che più di questa sia
capace di elevarci l'anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un'idea d'angeli,
di paradiso, di divinità, di felicità. Tutto questo, ripeto, senza innamorarci, cioè senza
muoverci desiderio di posseder quell’oggetto. La stessa divinità che noi vi
scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce lo fa riguardare come di una sfera
diversa e superiore alla nostra, a cui non possiamo aspirare. Laddove in quelle altre
donne troviamo più umanità, più somiglianza con noi; quindi più inclinazione in noi
verso loro, e più ardire di desiderare una corrispondenza seco. Del resto, se a quel
che ho detto, nel vedere e contemplare una giovane di sedici o diciotto anni, si
aggiunga il pensiero dei patimenti che l'aspettano, delle sventure che vanno ad
oscurare e a spegner ben tosto quella pura gioia, della vanità di quelle care speranze,
della indicibile fugacità di quel fiore, di quello stato, di quelle bellezze; si aggiunga il
ritorno sopra noi medesimi; e quindi un sentimento di compassione per quell'angelo
di felicità, per noi medesimi, per la sorte umana, per la vita (tutte cose che non
possono mancar di venire alla mente), ne segue un affetto il più vago e il più sublime
che possa immaginarsi. (Firenze, 30 giugno 1828).

“Felicità da me provata nel tempo del comporre”


Memorie della mia vita. Felicità da me provata nel tempo del comporre. il miglior
tempo ch'io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch'io
vivo. Passar le giornate senza accorgermene, e parermi le ore cortissime, e
meravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle. (30 novembre).

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