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Giacomo Leopardi

La teoria del piacere si sviluppa tra il 1819 e il 1823. Leopardi identifica il piacere con la felicità. Siccome la
tendenza alla felicità è insita nella vita dell’uomo, allora ogni piacere è limitato. Il desiderio del piacere è
illimitato ma si spegne quando l’uomo muore. Piacere qui è inteso come elemento astratto. Ogni piacere è
circoscritto, invece il piacere è illimitato. Piacere è inteso in senso assoluto. Il brano dello Zibaldone del
1820 presenta il nucleo della teoria del piacere. Il poeta sostiene che “l’anima umana desidera sempre e
mira unicamente al piacere, ossia alla felicità. Questo desiderio non ha limiti e termina solamente colla vita.
E non ha limiti né per durata né per estensione.

Per Leopardi si prova il piacere nella ricerca della felicità nel:

* Futuro: (Sabato del villaggio);

* Ricordo (Alla Luna);

* Immaginazione: immaginando di naufragare nell’infinito, lui immagina di trovare la sua felicità (L’infinito).
L’uomo non riesce a soddisfare il suo bisogno di piacere, così crea dei surrogati (futuro-ricordo-
immaginazione). L’idea che la felicità può consistere nell’attesa del futuro è ben esplicitata nell’operetta del
1827: “Dialogo un venditore di almanacchi e di un passeggere”.

IL PIACERE OSSIA LA FELICITA’

Questo brano è stato scritto da Leopardi nel luglio 1820, si trova una delle prime formulazioni della “teoria
del piacere”. Secondo lui, la ricerca del piacere si trova nell’animo umano ma è destinata a rimanere
perennemente insoddisfatta in quanto nessun piacere particolare può uguagliare l’idea del piacere che, di
natura, è senza limiti. Solo l’immaginazione, da cui derivano speranza e illusioni, può aiutare l’uomo ma si
attenua con l’avanzare del progresso; da qui afferma che solo i bambini si possono avvicinare all’idea del
piacere.

Nella prima parte del testo, Leopardi afferma che l’animo umano tende a inseguire il piacere inteso come
felicità. Questa sua continua aspirazione alla felicità rimarrà sempre insoddisfatta in quanto la sua è una
durata limitata anche se l’uomo vorrebbe raggiungere una gioia permanente e infinita. Proprio per questo
motivo, non verrà soddisfatta la sua ansia di piacere poiché una volta soddisfatto un desiderio, vorrà
soddisfarne un altro. Dunque vi è un contrasto tra l’illimitata aspirazione al piacere e la limitata sensazione
di appagamento dell’uomo dopo aver ottenuto ciò che desiderava. Proprio da questo contrasto nascono il
dolore e la constatazione del fatto che i piaceri sono vani.

Nella seconda parte Leopardi parla della capacità che l’uomo ha di immaginare. Leopardi definisce
l’immaginazione come madre dei sogni e poiché la natura ha dato a l’uomo questa facoltà di poter
immaginare, viene definita da Leopardi BENIGNA. L’immaginazione, è per Leopardi, fonte di sogni e
speranze che sono molto più grandi e importanti dei piccoli piaceri reali e proprio per questo è fonte di
felicità. I bimbi/fanciulli sono, in natura, già dotati di questa facoltà. Inoltre Leopardi afferma che le persone
meno istruite e quindi ignoranti, sono sicuramente più felici di quelle istruite in quanto la consapevolezza
del vero distrugge l’immaginazione, i sogni, le speranze e dunque la felicità.

Leopardi a tal proposito fa anche un esempio, l’esempio del cavallo. Con questo esempio, vuole dimostrare
che il desiderio materiale di un oggetto non è il desiderio dell’oggetto in sé o di un oggetto in particolare.
Esso è il desiderio di provare un piacere astratto e illimitato, non il piacere legato a quel determinato
oggetto. In sostanza afferma che l’infinità della felicità può essere parzialmente colmata
dall’immaginazione.

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