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Saggio breve pag.

218 Riccardo Zancan

L’UOMO NUOVO DEL RINASCIMENTO

Homo Faber Fortunae suae: l’uomo è l’artefice del proprio


destino. Questa frase, ripresa dal mondo classico, rappresenta la
nuova concezione che si va instaurando tra la popolazione
dell’Umanesimo e del Rinascimento.L’uomo, secondo questa
concezione, “è come un dio terreno”, riprendendo le parole dello
storico Eugenio Garin, ovvero è creatore e signore del proprio
mondo.
Emerge quindi in questo periodo la centralità dell’uomo come
forza attiva e trasformatrice: mentre il Medioevo riteneva che
l’uomo avesse un destino ultraterreno, cioè fosse parte di un
ordine cosmico prestabilito, per il Rinascimento l’uomo deve
costruire e conquistare il proprio posto nell’universo.
Questa nuova visione dell’uomo è data anche dalla nascita di un
nuovo genere di intellettuali. Nel Medioevo essi erano uomini di
Chiesa o ad essa legati, che si ponevano il compito di preservare
e di tramandare gli insegnamenti della religione al fine di
assicurare la salvezza delle anime e stabilire i precetti adatti
all’ordine politico e civile; il loro punto di riferimento principale era
la tradizione ecclesiastica formatasi nel periodo tardoantico e agli
inizi del Medioevo. La figura di intellettuale che si viene a creare
nel Rinascimento è radicalmente diversa.
Gli intellettuali del Rinascimento si consideravano autonomi e
vedevano in tale condizione un valore da coltivare e da difendere.
La loro attività fu resa possibile in maniera essenziale dalla
protezione accordata da sovrani, grandi nobili, e anche papi
caratterizzati da un nuovo spirito di mondanità. Costoro, favoriti
anche da una rinnovata prosperità economica e sociale, misero a
disposizione degli intellettuali ingenti risorse economiche
ottenendone in cambio prestigio. E sicuramente questa nuova e
forte spinta data alla cultura da parte dei grandi signori permise
agli studiosi del tempo di approfondire, studiare e riscoprire ideali
e concetti fondamentali allo sviluppo di una nuova mentalità,
caratterizzata dalla rivalutazione del piacere, della natura e della
stessa dignità dell’uomo.
Niccolò Machiavelli, con la sua più grande opera, Il Principe,
incarna alla perfezione la nuova visione dell’uomo padrone di se
stesso, uomo che attraverso le sue opere può decidere di
diventare qualunque cosa, seguendo il principio esposto da
Giovanni Pico della Mirandola nel “De Hominis Digntate”. Certo,
la fortuna influenza le azioni degli uomini in maniera
imprevedibile ma gli stessi uomini possono sfruttarla a proprio
vantaggio, ed è ciò che Machiavelli enuncia a Lorenzo II de’
Medici nel suo libro. Il principe infatti dovrebbe governare con
astuzia e forza, come una volpe e un leone, seguendo il principio
esposto dal poeta classico Sallustio, ovvero simulando e
dissimulando, senza preoccuparsi dei
principi etici e morali .
Nonostante questa visione evidentemente pessimistica della vita
e della natura umana, è possibile vedere in Machiavelli
un’esaltazione della potenza umana, che attraverso l’uso
dell’ingegno non ha limiti davanti a sè.
Non per forza però questa nuova concezione di uomo deve
allontanarsi dalla quella cristiana e Tommaso Moro, come molti
altri studiosi cristiani, ha cercato l’anello di congiunzione che
legasse indissolubilmente entrambe:

“ Dammi o Signore la grazia di lavorare alla realizzazione delle


cose per cui prego ”

Questa immensa capacità dell’uomo di poter fare qualunque cosa


non è per forza contraria alla visione cristiana della vita: e
Tommaso Moro nel suo libro, “Utopia”, lo dimostra alla
perfezione.
Nel Rinascimento infatti Dio non smette di esistere e in pochi
sono quelli che vanno contro la sua autorità, cambia però
l’influenza che la Chiesa possiede sull’uomo comune, uomo che
smette di essere oppresso dai vincoli morali a cui la Chiesa lo
incatenava e che adesso diventa consapevole delle sue
potenzialità.
Vi è poi chi porta all’estremo la valorizzazione del piacere e del
libero arbitrio, creando un mondo dispotico dove tutto è
concesso. Luigi Pulci con il suo “Morgante” e ancora prima di lui
Francois Rabelais con “Gargantua e Pantagruel” sono delle
accese satire, caratterizzate da un forte sarcasmo, che però
nascondo la nuova visione dell’uomo nel Rinascimento.
Rabelais infatti si pone contro l'ascetismo e il dogmatismo
medievale, contro il tentativo di sopprimere gli istinti da parte
delle religioni cattolica e protestante, contro le teorie e i
procedimenti speculativi di teologi e filosofi.L’ideale è quello di un
uomo tollerante e libero, naturalmente buono, e la regola stabilita
nell'Abbazia di Thelème ("Fa' quello che vuoi"), riassume la
fiduciosa e utopistica aspirazione alla libertà, contrapposta al
dogmatismo della cultura ufficiale e alla censura del potere
ecclesiastico e politico.
L’enorme distanza tra questi ideali e quelli cattolici / protestanti
non si esaurirà mai del tutto e sarà sempre motivo di lotte feroci.
L’uomo è davvero “faber fortunae suae” ?.

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