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2 progettare con i luoghi


Progetto e luogo

Luigi Coccia. Schede di Alessandro Gabbianelli


Riflettendo sui concetti di arte e di spazio, Martin Heidegger sostiene che la teorico-astratta, del concetto di luogo. In campo architettonico un appro-
pratica dell’arte si esplicita nell’atto del formare, inteso come “fare-spazio”, fondimento del concetto di luogo assunto come ambito spaziale material-
e ciò avviene «nel modo del circoscrivere, come un includere e un esclude- mente determinato richiede una attenzione da rivolgere alle cose e alle
re rispetto ad un limite». L’atto del circoscrivere come delimitazione consa- reciproche relazioni, a ciò che mostra un aspetto fisico riconoscibile con-
pevole di uno spazio genera luoghi che si apprestano di volta in volta ad traddistinto da elementi naturali e/o artificiali, a ciò che si manifesta attra-
essere abitati, quindi il “fare-spazio” scrive Heidegger, «è libera donazione verso una forma e concorre a connotare uno spazio.
di luoghi» (Heidegger, 1964). In architettura la pratica dell’arte coincide con
l’esercizio del progetto che richiede ogni volta una appropriata disposizione
di elementi nello spazio: «il disporre prepara per le cose la possibilità di
appartenere a qualche luogo e a partire da questo di porsi in relazione fra
loro». Si può dunque ritenere che attraverso l’esercizio del progetto di
architettura si operi nella “libera vastità” dello spazio e si sperimenti il rac-
cogliersi delle cose nella “località” del loro reciproco coappartenersi.
Le considerazioni di Heidegger raccolte in L’arte e lo spazio forniscono inte-
ressanti spunti di riflessione nell’affrontare il complesso rapporto tra proget-
to di architettura e luogo. Heidegger utilizza generalmente espressioni affer-
mative nel sostenere le sue tesi, ma, consapevole della problematicità del
rapporto tra arte e spazio, giunge ad alcuni interrogativi: «I luoghi sono innan-
zitutto e unicamente il risultato e la conseguenza del disporre? O al contrario
il disporre riceve ciò che gli è proprio dal predominare del luogo che racco-
glie?». Le due ipotesi inducono ad una riflessione sulla varietà di approcci cul-
turali riguardanti il rapporto tra progetto e luogo. Da un lato si riconosce
all’azione progettuale un’autonoma peculiarità dispositiva che consente alle
cose, opportunamente collocate nello spazio, di generare luoghi; dall’altro si
cerca nella località il movente di una azione progettuale fondata su una rela-
zione di coappartenenza che tiene assieme le cose che gravitano in una spe-
cifica condizione spaziale. Amplificando ulteriormente la problematicità della
questione, Heidegger giunge ad affermare: «dovremmo imparare a ricono-
scere che le cose stesse sono i luoghi e non solo appartengono a un luogo».
Se per definizione un luogo identifica un ambito spaziale idealmente o
materialmente determinato, Martin Hedegger tra le due opzioni privilegia la 1

seconda ed esclude dal suo ragionamento qualsiasi interpretazione ideale, Fig. 1. Le Corbusier, Rio de Janeiro, schizzo di viaggio, 1929.

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Luoghi sublimi e progetti esportabili coloro che se ne occupano, ha carattere errante e porta con sé un certo
La tendenza innovatrice del Movimento Moderno ha investito il rapporto numero di luoghi» (Wigley, 1997).
tra progetto e luogo influenzando la ricerca architettonica contemporanea Lo spirito errante dell’architettura moderna, e in particolare gli effetti pro-
che, a partire dalla metà del secolo scorso, si è espressa in difesa o in con- dotti da una stessa idea di architettura applicata in ambiti spaziali differenti,
trasto rispetto ai principi teorici. Richiamando la tradizione dei trattati di emerge in alcuni schizzi elaborati da Le Corbusier che esplorano il rapporto
architettura, il pensiero modernista assume il luogo naturale con le sue spe- tra progetto e luogo. Un semplice prisma rettangolare sintetizza l’opera archi-
cifiche connotazioni fisiche come una condizione che precede il progetto, il tettonica, una casa posta su una superficie piana, sui pendii di un colle bosco-
quale a sua volta, attraverso la costruzione, trasforma il luogo naturale in so, sullo sfondo di un rilievo montuoso o in fondo ad una strada raffigurata in
luogo artificiale determinando così i presupposti affinché l’opera realizzata prospettiva. Pur se la concezione del manufatto architettonico prescinde
entri a far parte del grande patrimonio della storia dell’architettura. In La dalla natura del contesto, Le Corbusier con i suoi disegni intende dimostrare
Ville Radieuse, Le Corbusier sostiene che il luogo naturale è un nemico che che il luogo produce effetti, ogni volta diversi, nella riconfigurazione spaziale
l’architettura deve addomesticare: «Per costruire delle case occorre avere indotta dall’azione di progetto. Le condizioni uniche del luogo tendono dun-
dei luoghi. Luoghi naturali? Niente affatto: vengono resi immediatamente que a conferire specificità al manufatto architettonico e l’architettura, a sua
artificiali. Questo vuol dire che il terreno naturale si limita a svolgere un’uni- volta, attraverso la costruzione si fa portavoce dei singoli luoghi (fig. 2).
ca funzione: sostenere lo sforzo, il peso della struttura. Una volta fatto que-
sto, diciamo addio al luogo naturale, perché nemico dell’uomo» (Le
Corbusier, 1935). Le perentorie dichiarazioni di Le Corbusier restituiscono
con efficacia il contesto culturale in cui si muove il pensiero modernista: il
rapporto tra luogo e progetto si traduce nella contrapposizione tra natura e
artificio, riconoscendo il primato dell’artificio sulla natura. In tal senso
l’espressione «il luogo naturale è nemico dell’uomo» costituisce un invito
alla antropizzazione del territorio, alla costruzione di luoghi conformi alle
pratiche dell’abitare, luoghi rigorosamente artificiali che esprimono formal-
mente i nuovi valori di una società organizzata.
Ma c’è un altro aspetto che emerge dalle affermazioni di Le Corbusier,
quello riguardante il ruolo assunto dal suolo nella costruzione dell’opera
architettonica: il terreno si limita a sostenere esclusivamente il peso della
struttura. Nella ideazione della forma architettonica, Le Corbuisier non si
lascia condizionare dalla forma del luogo naturale: l’assetto morfologico del
sito viene del tutto trascurato a vantaggio di un’ansia di perfezione che con-
duce alla standardizzazione dei risultati formali e quindi alla dichiarata
autonomia dell’architettura rispetto al luogo. Portando agli estremi questo
ragionamento, Le Corbusier giunge a dichiarare che il terreno ideale è quel-
lo pianeggiante e nel caso in cui non lo fosse l’azione progettuale deve pre-
liminarmente agire per conseguire il suo livellamento. Operando la cancel-
lazione delle tracce naturali, il suolo si trasforma in un piano astratto, sem-
plice supporto per nuovi edifici concepiti come machine à habiter, modelli
di forme perfette applicabili ad ogni latitudine, messi a punto per far fronte
alle istanze nomadi dell’abitare moderno. Mark Wigley, analizzando con 2

attenzione questo fenomeno, dichiara: «l’architettura moderna, così come Fig. 2. Le Corbusier, Rapporto tra progetto e luogo, schizzo di studio, 1930.

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Durante i suoi frequenti viaggi Le Corbusier rileva luoghi sublimi ed ela- tettura. «Il luogo è il nutrimento offerto dagli occhi ai nostri sensi, alla
bora progetti esportabili, architetture dirompenti che esprimono un deside- nostra intelligenza, al nostro cuore», scrive Le Corbusier, «L’ho scoperto nel
rio di conquista evitando abilmente di cadere nella tentazione di adegua- 1911, quando, zaino in spalla, ho compiuto un lungo viaggio da Praga fino
mento della forma artificiale alla naturalità del paesaggio. Nel 1929, sorvo- alla Grecia e all’Asia Minore. Ho scoperto l’architettura in rapporto con il suo
lando il territorio brasiliano modellato dalla geografia e soffermando l’at- luogo naturale. E non solo, l’architettura esprimeva il suo luogo. Era l’elo-
tenzione sulla straordinaria bellezza del paesaggio segnato dalle forme di quente linguaggio degli uomini che avevano raggiunto la padronanza dei
una natura tropicale che fanno da sfondo agli insediamenti umani, scrive: luoghi» (Le Corbusier, 1943).
«lo vediamo, l’abbiamo conquistato, l’abbiamo costruito». Le proposte pro- La ricca produzione di schizzi di viaggio attesta la profonda attenzione
gettuali per San Paolo e per Rio de Janeiro, esito di questo esercizio di osser- espressa da Le Corbusier per i luoghi visitati, disegni che catturano lo spa-
vazione dei luoghi, pur se formalmente distinte, esprimono la medesima zio e lo indagano, disegni che con uno spirito di astrazione tracciano le geo-
intenzione, quella di operare un risanamento radicale del contesto urbano. metrie su cui sperimentare nuove specie di spazi. Un schizzo elaborato da
Il disegno dell’infrastruttura si pone a fondamento della nuova visione pro- Le Corbusier dopo il primo viaggio in India nel 1951 offre una lettura sinte-
gettuale: un sistema cardo-decumanico si sovrappone alla città di San Paolo tica del sito su cui prenderà forma qualche anno dopo il Campidoglio di
proiettandola nella dimensione estesa del territorio; una lunga serpentina Chandigarh. Una sezione territoriale sottolinea la presenza di un pianoro
si insinua tra le baie di Rio evitando di intaccare la configurazione della città rialzato collocato tra il massiccio montuoso dell’Himalaya e la città, un
preesistente. «Quanto più leggero è il tocco, tanto più forte è il controllo» luogo ideale per la costruzione della nuova acropoli. È la natura del luogo a
scrive Le Corbusier, facendo espressamente riferimento alle modalità con sancire la separazione tra città e Campidoglio: «da un lato la città in cui
cui queste megastrutture abitate avrebbero dovuto stabilire il contatto con urbanistica e architettura parlano lingue quotidiane, inevitabilmente con-
il terreno. Il “tocco leggero” delle nuove architetture avrebbero prodotto un venzionali; dall’altro l’acropoli, dove un moderno costruttore di simboli
“disturbo minimo” della terra, la natura avrebbe conservato la sua integrità cerca il colloquio con il tempo, la natura e l’essere». Come giustamente
e il luogo sarebbe stato esaltato dalla forza creativa dell’azione umana. osserva Manfredo Tafuri, «la scissione provocata da Le Corbusier nel corpo
Atterrando letteralmente sul suolo, le nuove forme architettoniche così di Chandigarh è perfettamente classica» (Tafuri, 1993).
concepite avrebbero messo in atto una vera e propria azione di conquista Perfezione delle forme e conquista del suolo sono ancora la chiave inter-
del luogo dichiaratamente enunciata da Le Corbusier nei suoi scritti e tra- pretativa dell’azione progettuale, ma questa volta l’azione di conquista non è
dotta graficamente in rappresentazioni a volo d’uccello, manifestazione di affidata esclusivamente all’imponente forma dei “grandi protagonisti” (il
una prediletta percezione aerea del territorio. Segretariato, il Palazzo dell’Assemblea, l’Alta Corte di Giustizia e il non realiz-
L’espressione «il luogo naturale è nemico dell’uomo» si traduce quindi zato Palazzo del Governatore), ma anche al disegno della vasta esplanade
nell’invito ad utilizzare lo strumento del progetto di architettura per trasfor- che trasforma il luogo naturale in luogo artificiale, dunque in architettura. Il
mare i luoghi naturali in luoghi artificiali sperimentando soluzioni formali “tocco leggero” dei nuovi edifici monumentali che atterrano sul sito non agi-
capaci di esprimere un dovuto distacco dalla naturalità del sito. Attribuendo sce dunque su un suolo naturale, ma su un suolo artificiale predisposto ad
all’opera architettonica un significato culturale, Le Corbusier valuta questa accogliere quelli che Tafuri chiama i “grandi protagonisti”. «Nulla congiunge
presa di distanza dal luogo, che si manifesta a pieno nella costruzione del- i giganteschi volumi del Segretariato, del Parlamento e dell’Alta Corte di
l’opera, come una condizione imprescindibile per riuscire a parlare del Giustizia: nulla aiuta l’occhio a collocarsi rispetto a tali tre personaggi – non
luogo nella consapevolezza di esercitare su di esso una azione di dominio. strade, non allusioni prospettiche, non triangolazioni formali – che intessono
In Entretien avec les étudiantes des Écoles d’architecture del 1943 Le fra loro un colloquio di cui l’orecchio umano non è adeguato a cogliere che
Corbusier ritorna sul rapporto tra luogo e progetto affermando questa volta deboli e deformati echi. Anzi la modellazione del terreno, la dislocazione dei
che «il luogo è alla base della composizione architettonica». Non si riferisce livelli, gli specchi d’acqua, principalmente la fossa della Considerazione, stan-
ai luoghi naturali ma ai luoghi artificiali, a quegli spazi, come direbbe no lì ad accentuare discontinuità e fratture. All’osservatore è presentato uno
Heidegger, che sono innanzitutto e unicamente il risultato del disporre, che spazio fatto di assenze, impercorribile, estraniante: salendo sui rialzi predi-
si offrono come fonte di insegnamento nella pratica del progetto di archi- sposti da Le Corbusier – le collinette artificiali, il monumento dei martiri, la

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torre delle ombre – tali assenze divengono ancora più inquietanti; scenden- le figure che provengono dall’ascolto di lingue indicibili» (Tafuri, 1993). Alla
do nella fossa della Considerazione, l’assenza e il moltiplicarsi degli echi radice dell’idea dell’esplanade e della sua modellazione segnata da scavi,
enigmatici si mutano in silenzio […] La differenza e non la dialettica tiene riporti, incisioni c’è la conoscenza del territorio indiano. Nei suoi viaggi in
insieme i tre volumi […] questi tre volumi sono realmente desideranti» India, Le Corbusier visita i giardini di Pinjore, non molto distanti da
(Tafuri, 1993). Da semplice terreno di approdo, il suolo diviene il nuovo Chandigarh; i suoi schizzi registrano inoltre le profonde erosioni presenti sul
punto di partenza per una ricerca che tende a conferire qualità ad un dato territorio indiano generate dalle infiltrazioni dell’acqua nello strato argilloso
fisico comunemente trascurato, offuscato dalla carica figurativa autorefe- del suo sottofondo, erosioni su cui si costruirono in passato le piattaforme
renziale degli edifici. «I nuovi monumenti di Chandigarh» scrive Tafuri, «si d’appoggio per i templi indù. A tutto ciò si riferisce Tafuri quando parla di
mostrano come frammenti di certezza che combattono eroicamente contro ascolto di lingue indicibili, inteso come ascolto dei luoghi.

Luoghi identitari
Le ricerche progettuali condotte in Italia a partire dagli anni Sessanta pun-
tano ad una rifondazione della disciplina architettonica stabilendo le dovu-
te distanze da alcuni principi del Movimento Moderno i cui effetti avevano
trovato espressione nell’International Style. La standardizzazione dei pro-
cessi ideativi e produttivi aveva esaltato la dimensione oggettuale delle
forme architettoniche e la loro indifferenza rispetto ai luoghi.
Nel 1966 Aldo Rossi pubblica L’architettura della città, un libro che pro-
pone un diverso approccio allo studio dell’architettura e soprattutto pone al
centro della sua argomentazione la città, intesa come manufatto, come
creazione umana per eccellenza. Sono i luoghi urbani a definire il campo di
studio della ricerca e verso di essi si rivolge l’azione progettuale. Il rapporto
tra progetto e luogo presuppone una conoscenza che non si limita alla presa
d’atto dello spazio nella sua essenza fisica, ma anche del tempo che ha scan-
dito i momenti della sua formazione. Tra progetto e luogo si colloca la sto-
ria, lo studio del passato che trova espressione nelle forme del presente, e
in particolare nelle tracce stratificate che connotano i luoghi storicamente
abitati dall’uomo. Nell’introduzione al suo libro Rossi scrive: «Ogni area
sembra essere un “locus solus” mentre ogni intervento sembra doversi
riportare a dei criteri generali di impostazione. Così mentre da un lato io
nego che si possa in qualche modo razionale stabilire degli interventi legati
a delle situazioni locali, dall’altro mi rendo conto che queste situazioni sono
poi quelle che caratterizzano gli interventi».
Nell’affrontare la questione del luogo Rossi utilizza volutamente l’espres-
sione latina “locus”, un termine più esaustivo nel suo significato, inteso
come «rapporto singolare eppure universale che esiste tra una certa situa-
zione locale e le costruzioni che stanno in quel luogo» (Rossi, 1966).
La parola “locus” indica qualcosa che va ben oltre la naturalità del sito,
3
definisce una condizione determinata dall’azione antropica che, come
Fig. 3. Le Corbusier, Proposta di espansione di Rio de Janeiro, schizzo di studio, 1929-1932. direbbe Heidegger, ha disposto opportunamente le cose nello spazio e ha

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definito tra esse un sistema di relazioni. Da un punto di vista operativo si


deve quindi ritenere che l’atto del disporre non può prescindere dalla spe-
cificità delle situazioni locali per cui l’azione progettuale presuppone la
conoscenza dei luoghi. Nel chiarire il concetto di locus, Rossi richiama il
mondo classico e sottolinea la premura dimostrata dagli antichi nella indivi-
duazione del sito su cui edificare. Alla scelta del luogo si attribuiva un valo-
re sacrale, attraverso di esso si entrava in contatto con il genius loci, con
quella divinità locale che presiedeva ogni attività svolta in quel determina-
to luogo. A ciò faceva seguito la costruzione intesa come momento di appli-
cazione di alcuni principi generali che, interagendo con la situazione locale,
determinavano la forma dell’architettura.
Rossi ricorda che gli antichi Romani nel costruire nuove città applicavano
il medesimo principio d’ordine e adoperavano sempre gli stessi elementi,
affidando al locus il valore di trasfigurazione: «l’architettura conformava
una situazione e le sue stesse forme si mutavano nella mutazione più gene-
rale della situazione».
Giorgio Grassi sviluppa questa tesi mettendo a confronto Timgad e
Djemila, due città di fondazione romana in Algeria, poco distanti l’una dal-
l’altra, la prima costruita su un sito pianeggiante, la seconda sulla curva di
un crinale montuoso (figg. 4, 5, 6, 7). La forma del suolo condiziona radical-
mente la forma dei due insediamenti, entrambi definiti dal sistema cardo-
decumanico che concorre a determinare la posizione del foro, luogo pub-
blico per eccellenza. Analizzando queste due città, Grassi si sofferma a 4
descrivere il principio d’ordine che presiede alla formazione degli insedia-
menti, parla di un ordine formale prefissato, cioè imposto dall’esterno, e di
un ordine formale che proviene dalle cose, insito nella costituzione geo-
morfologica del sito. Il principio d’ordine prefissato coincide con un enun-
ciato teorico, la città romana di fondazione, e trova in Timgad l’esempio di
una pratica costruttiva portata alla perfezione. Lo stesso principio d’ordine
si ritrova in Djemila, ma in questo caso l’applicazione ha richiesto un adat-
tamento di quella stessa idea elementare che, pur nella parzialità della sua
manifestazione, dimostra una validità generale. «Di modo che dalla secon-
da impariamo molto di più che dalla prima perché, a differenza della prima,
della seconda non possiamo fare a meno. E questa è la qualità particolare
di tutte le grandi architettura, la loro lezione perenne che Djemila ci tra-
smette» (Grassi, 1988).
Nel rapporto tra progetto e luogo l’azione del “conformare” svolge un inte-
ressante ruolo operativo, richiamando il significato del conferire forma a
qualcosa ponendo particolare attenzione agli elementi che entrano in gioco e 5

alle reciproche relazioni. Nella costruzione di un luogo l’atto del conformare Figg. 4, 5. Timgad, II secolo d.C., pianta e vista.

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si traduce dunque nel far corrispondere, nell’adattare una forma ad un sito,


attività che richiede una imprescindibile conoscenza topologica attraverso la
quale far emergere dal palinsesto del territorio figure già espresse o segni
interrotti. Rinunciando ad una esplorazione formale fine a se stessa che
genera figure autoreferenziali indifferenti alle situazioni locali, il progetto
come atto conformativo indaga la forma radicandola ad una specifica situa-
zione locale dalla quale difficilmente potrebbe distaccarsi. All’interno di tale
logica la risposta progettuale acquisisce una sorta di unicità, non da inten-
dersi come eccezionalità quanto come peculiarità di una soluzione corri-
spondente ad un tema assegnato e intimamente legata ad un luogo deter-
minato. Per questa ragione le forme prodotte da un’azione conformativa
sono difficilmente separabili dai siti per cui sono pensate, pena l’annulla-
mento di relazioni spaziali che il progetto determina con il suo intorno e che
si riverberano nella definizione architettonica dell’opera stessa.
Se nel fondare nuove città i Romani si avvalevano di un identico princi-
pio insediativo che applicato in luoghi diversi determinava soluzioni singo-
lari, del tutto eccezionale è la costruzione del foro nell’antica Roma, la cui
forma ha origini geografiche e storiche al contempo. Scrive Rossi: «La con-
formazione geografica dettò il percorso dei sentieri, poi delle strade, risa-
lendo le valli nel senso della loro minima pendenza, determinò gli itinerari
delle piste extraurbane; nessun chiaro disegno urbanistico, ma una struttu-
ra obbligata dal terreno. Questo carattere di legame con il terreno, con le
6 condizioni di sviluppo della città, permane per tutta la storia del foro, che lo
rende così diverso da quelli delle città di nuova fondazione» (Rossi, 1966).
Geografia e storia, ossia sito e avvenimento concorrono a definire l’indivi-
dualità di un fatto urbano, un aspetto distintivo e connotativo dell’opera di
architettura, come ad esempio il Foro Romano, che trova radice ancora nel
locus, in quella situazione singolare determinata dallo spazio e dal tempo,
dalla sua dimensione topografica e dalla sua forma, dall’essere sede di
vicende antiche e nuove, dalla sua memoria. L’individualità di un fatto urba-
no non è solo un giudizio di valore che si attribuisce ad alcune grandi opere
della storia che esprimono con originalità la risposta ad un tema di architet-
tura, ma è anche un concetto esplorabile attraverso la pratica del progetto
che, contrastando consapevolmente la genericità, sperimenta la forma nei
suoi aspetti particolari e specifici cercando ad esempio nel rapporto con la
situazione locale alcuni punti di appiglio.
Il rapporto tra costruzione e luogo da un lato tende a conferire individua-
lità ad alcuni fatti urbani che, riconosciuti come monumenti, si affermano
7 come punti singolari all’interno della città, dall’altro influisce sull’assetto
Figg. 6, 7. Djemila, II secolo d.C., pianta e vista. morfologico complessivo dell’insediamento urbano e sulle tipologie edilizie.

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Gli studi tipo-morfologici, applicati prevalentemente alla città consolidata,


hanno fornito interessanti chiavi di lettura dei fenomeni urbani giungendo
a ritenere tipicità e unicità, associati rispettivamente a tipo e luogo, come
termini di un processo dialettico attraverso il quale l’architettura prende
forma. Quando Carlos Martí Aris parla di “omogeneità tipologica” si riferi-
sce proprio all’effetto di questo rapporto dialettico che coincide con la for-
mazione di un luogo e che contribuisce a conferire identità agli spazi antro-
pizzati, giungendo così a ritenere che «l’anima della città non sia altro che il
riflesso di una straordinaria armonia che si stabilisce, a volte, tra tipo e
luogo; in determinate condizioni l’idea mette radici nel luogo e domina su
di esso». Tra gli esempi Martí Aris descrive la casa sivigliana che, riprodu-
cendo con straordinaria fissità la “liturgia del patio”, concorre a definire una
sorta di topografia artificiale la quale a sua volta arriva a confondersi con il
luogo stesso, in modo che «ogni tentativo di accordo e di dialogo che l’ar-
chitettura instaura con il sito finisce per confermare la ricorrenza dell’idea,
la persistenza del tipo» (Aris, 1990).
Il concetto di identità applicato ai luoghi edificati si fissa nella forma della
costruzione e concorre a rendere definibili e riconoscibili gli spazi abitati
dall’uomo. L’identità è ciò che esprimono i luoghi nella loro formazione sto-
rica, ma anche ciò che è possibile sperimentare attraverso un progetto di
architettura che, contrastando l’omologazione delle forme, si indirizza verso 8
l’esplorazione della situazione locale nell’intento di mettere in atto azioni
conformative. Parlare di formazione storica di un luogo significa riferirsi ad
un processo costitutivo in cui agiscono nel corso del tempo fenomeni natu-
rali e fenomeni artificiali. In molti casi l’artificialità domina sulla naturalità e
ciò determina straordinari assetti tipologici; in altri invece la naturalità
costituisce il carattere dominante e la sua formazione tende a rievocare
fenomeni geologici. Nel progetto per le terme di Vals (figg. 10, 11), Peter
Zumthor realizza uno straordinario esperimento sul rapporto tra architettu-
ra e luogo: l’intenzione, espressamente dichiarata dall’autore, è quella di
costruire un dialogo con l’energia primigenia insita nella geologia del pae-
saggio montuoso e dunque con la sua imponente topografia. «La possibili-
tà di progettare delle costruzioni che nel corso del tempo entrano in una
simbiosi così naturale con la conformazione e la storia del loro luogo, ecci-
ta la mia passione», scrive Zumthor. «Montagna, pietra, acqua, costruire in
9
pietra, con la pietra, dentro la montagna, costruire fuori dalla montagna,
essere dentro la montagna: il tentativo di dare a questa catena di parole
una interpretazione architettonica ha guidato il progetto e, passo dopo
passo, gli ha dato forma». Zumthor richiama il pensiero di Peter Handke che
in una intervista si definisce uno “scrittore di luoghi” quando afferma che Figg. 8, 9. Foro di Traiano a Roma, II secolo d.C., pianta e sezione.

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Scheda 1. Ambiente

Dal latino ambiens, participio presente di ambire, stare attorno. In genera-


le, con la parola ambiente si intende lo spazio che circonda una cosa o una
persona e in cui questa si muove o vive. Questa definizione associa la vita
(o i processi vitali) alla dimensione spaziale e implicitamente a quella tem-
porale. L’interpretazione di ambiente, inteso come spazio, solleva immedia-
tamente alcune questioni che mettono in crisi la completezza della defini-
zione. Se l’ambiente è spazio, e quindi entità fisica, è possibile quantificar-
lo? Durante il trascorrere del tempo necessario allo svolgimento della vita
vi sono modificazioni dello spazio/ambiente?
In realtà non esiste una sola definizione di ambiente, ma diverse declinazio-
ni per ognuna delle discipline a cui ci si riferisce (ambiente naturale, socia-
le, economico, urbano, ecc.): solo circoscrivendo il campo disciplinare è
possibile una maggiore precisazione del termine.
La Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janerio nel
1992, ha sancito tra i principali argomenti la necessità di sforzi mondiali per
la salvaguardia dell’ambiente e ha formalizzato un testo programmatico e
operativo, l’Agenda21, che si propone di realizzare la completa integrazione
tra ambiente e sviluppo in un clima generale di cooperazione. Tutto questo
per invitare l’umanità intera a perseguire uno sviluppo sostenibile, che secon-
do il Rapporto Brundtland, è «uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presen-
te senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i
propri bisogni». Anche per quanto riguarda l’architettura è possibile parlare
di sostenibilità ambientale e cioè di un processo che renda un ambiente urba-
no e architettonico gradevole, durevole, funzionale, accessibile, comodo e
sano, che favorisca il risparmio energetico e che rispetti l’ambiente circostan-
te, la cultura e il patrimonio locale. Le ricerche sull’architettura sostenibile ini-
ziano già alla metà degli anni Sessanta e vengono diffuse attraverso un testo
che tuttora rimane un riferimento per tali ricerche, Design with Climate.
Bioclimatic Approach to Architectural Regionalism dell’ungherese Victor
Olgyay. Le relazioni tra architettura e ambiente sono molteplici e investono le
diverse scale della progettazione, da quella territoriale, che vede l’edificio
interagire con un sistema complesso, a quella architettonica, che vede la
ricerca tecnologica e spaziale protagonista nell’inseguire un sempre più alto
livello di sostenibilità del manufatto. La qualità di un ambiente però non è
garantita solamente dal legame tra un manufatto e lo spazio circostante, ma
è necessario tenere in considerazione le molteplici relazioni che si vengono a
Gli schizzi che illustrano le cinque schede contenute nel testo sono di Alvaro Siza e ritraggono la città creare tra i diversi elementi presenti in quel medesimo ambiente.
di Porto.

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nei suoi testi generalmente non accade nulla di superfluo e che si svolge sol-
tanto il riconoscimento dei singoli particolari, «il loro intrinsecarsi in uno
stato di cose». Pensare l’opera architettonica come “stato di cose” significa
per Zumthor «creare delle entità naturali e unitarie» in cui le singole parti
partecipano alla ridefinizione di un luogo. È proprio questa vocazione geo-
logica a conferire identità al progetto per le terme di Vals, un’opera che non
si inserisce nel sito ma che costruisce il sito stesso (Zumthor, 2003).

Dis-locazioni e nuovi sistemi relazionali


Il rapporto tra progetto e luogo si fa più complesso se applicato ai territori
urbani di recente formazione, in particolare a quelle aree su cui ha agito, in
poco più di mezzo secolo, lo sprawl insediativo, tipico fenomeno di crescita
incontrollata che ha contraddistinto la città contemporanea. La città ha
assunto una dimensione estesa e lo spazio urbano da chiuso è diventato
aperto, manifestando in termini estremi quell’ordine discontinuo su cui si
fondava l’idea di città moderna che, come sottolinea Pier-Alain Croset, «ha
dilatato i suoi confini attraverso l’espansione e la diffusione teoricamente 10
infinita sul territorio» (Croset, 1993). La bassa densità edilizia, associata
all’elevato consumo di suolo, ha dato vita ad urbanizzazioni disperse, città
che stemperano i loro caratteri identitari nello spazio fluido dell’attraversa-
mento, quello segnato dalle principali infrastrutture viarie. Sono dunque la
grandi vie di comunicazione, in particolare superstrade e autostrade, ad
aver assunto un ruolo morfogenetico nel recente sviluppo urbano, determi-
nando così l’ossatura di queste conurbazioni diffuse. Intorno alle infrastrut-
ture le città hanno preso forma adeguando i loro spazi alle pratiche di un
abitare nomade che si riversa quotidianamente sulle principali vie di transi-
to e intorno ad esse cerca luoghi di nuova rappresentatività.
Agli inizi degli anni Novanta Marc Augé, analizzando il cambiamento
della società contemporanea associato all’idea di mobilità, ha introdotto il
concetto di “nonluogo”, inteso come una entità spaziale generica che non si
compie mai totalmente. Augé giunge a definire il significato di questo
nuovo termine a partire dalla sua antitesi, ossia dal termine “luogo” che a
differenza del “nonluogo” non è mai completamente cancellato. «Se un
luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che 11
non può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un non-
luogo». Ciò che sembra andare in crisi nella città contemporanea è quindi il
senso di fissità dello spazio, tradizionalmente espresso nella costruzione dei
luoghi che nel compimento della loro forma e nel rinnovamento del loro
uso avvalorano una idea di permanenza. I nuovi luoghi della città contem-
poranea si mostrano instabili, indefiniti, spesso indecifrabili, gran parte di Figg. 10, 11. Peter Zumthor, Terme di Vals, 1991-1996, pianta e sezione.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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Luigi Coccia 139

Scheda 2. Area

Il significato corrente di area è «superficie circoscritta di terreno o spazio


delimitato di terreno», ma non viene specificato in alcun modo da che cosa
l’area può essere circoscritta o delimitata. Può uno spazio vuoto delimitato
all’interno di uno spazio vuoto di dimensioni maggiori chiamarsi area? Solo
indagando l’etimologia della parola si scopre che in origine l’area è uno spa-
zio vuoto delimitato da un pieno. L’origine latina del termine è àrea nel
senso di piazza, campo, aia, che sembra corrispondere etimologicamente
all’antico tardo tedesco el-in aia, dalla radice ar (= al) separare, allargare; di
fatto i Latini dissero area i luoghi liberi e piani nella città, sul genere dello
square inglese, delimitati al contorno da templi e palazzi, piazze per giochi
e arringhe; ma il termine fu esteso anche a indicare gli spazi liberi nei
campi. L’origine greca della parola aia (in lat. àrea) è aloè ossia alòne (cer-
chio luminoso che talvolta appare attorno agli astri: la Luna e il Sole).
Le due differenti accezioni del termine ci propongo interessanti riflessioni
se calate nella disciplina della progettazione architettonica e urbana. La
prima, quella di derivazione latina, è quella più comune e intende l’area
come uno spazio libero, geometricamente definito da limiti fisici, incluso in
confini materici. La seconda, meno ricorrente, di derivazione greca, raccon-
ta l’area come uno spazio virtuale (alòne) che circonda un oggetto o un
manufatto architettonico; scrive Purini: «l’area può essere considerata una
parte del sistema figurativo espresso dal manufatto e consiste in una sorta
di irradiamento geometrico dell’oggetto architettonico sullo spazio circo-
stante». Se nella prima accezione è possibile associare etimologicamente il
termine di area a quello di aia, piazza, campo e quindi a uno spazio vuoto
delimitato da dei pieni, di conseguenza geometricamente definibile e misu-
rabile; nella seconda accezione l’area è uno spazio che viene comunque
generato da un pieno, ma non è geometricamente definibile nè commen-
surabile; continua Purini: «il primo caso consiste nel procedimento di reci-
proco scambio tra finito e infinito, artificiale-naturale, aperto-chiuso; il
secondo si risolve nell’attivazione di una geometria del circostante prodot-
ta dal manufatto».
Non è dato sapere quale siano le caratteristiche di un manufatto diretta-
mente implicate nel generare tale area (alòne); potrebbe essere solo una
questione di dimensione, di forma, di matericità, o ancora, la sua persisten-
za storica. Forse si dovrebbe prendere in considerazione anche la rilevanza
sociale di un’architettura, o la sua monumentalità, ma queste sono catego-
rie che trascendono la pratica del progetto.

Progetto e luogo
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140 Atlante di progettazione architettonica

essi generati dalle infrastrutture viarie ritenute da Augé come “archetipi dei
nonluoghi”, e resi visibili dai frequenti attraversamenti dei territori urbaniz-
zati. «Nella realtà concreta del mondo di oggi», scrive Augé in conclusione
al suo libro, «i luoghi e gli spazi, i luoghi e i nonluoghi si incastrano, si com-
penetrano reciprocamente. La possibilità del nonluogo non è mai assente
da un qualsiasi luogo; il ritorno al luogo è il rimedio cui ricorre il frequenta-
tore di nonluoghi. Luoghi e nonluoghi si oppongono o si evocano come i ter-
mini e le nozioni che permettono di descriverli» (Augé, 1993).
La mobilità urbana, favorita dalla fitta rete infrastrutturale, ha influito
sulla territorializzazione dei fenomeni insediativi che contraddistingue la
realtà contemporanea, la quale a sua volta si manifesta attraverso forme
tutt’altro che dense e compatte, ma diradate e rarefatte, intervallate da
spazi vuoti in cui l’urbanità si rivela spesso come una qualità potenziale.
Non è più la reciproca prossimità dei manufatti entro un’area geografica a
contraddistinguere gli insediamenti urbani ma è il sistema di relazioni a
distanza tra manufatti o tra gruppi di manufatti a definire la struttura orga-
nizzativa della città contemporanea. La geografia si offre come chiave inter-
pretativa dei recenti fenomeni urbani che agiscono generalmente in modo
anisotropo, condizionati dalla forma naturale dei siti che detta alcune dire-
zionalità prevalenti lungo le quali le dinamiche di sviluppo risultano mag-
giormente accentuate. Aree di fondovalle o fasce costiere sono i contesti
fisici in cui tali dinamiche hanno agito con maggiore incisività determinan-
do assetti spaziali contraddistinti dalla polverizzazione di monadi solitarie
atterrate sul suolo senza però quella volontà di “conquista” espressamente
dichiarata dal pensiero modernista. Il principio della dislocazione dei fatti
urbani entro ambiti geografici estesi si pone dunque a fondamento di una
nuova ricerca tra progetto e luogo che si prefigge di rinnovare il senso del
“fare spazio”, come direbbe Martin Heidegger. L’esercizio progettuale, come
atto del formare, presuppone una reinterpretazione e quindi un adegua-
mento di quelle azioni del “circoscrivere” e del “delimitare” che Heidegger
pone a fondamento del “fare spazio” entro la “libera vastità”. Una diversa
idea di inclusività, non necessariamente determinata dal tracciamento di un
limite fisico, può contribuire a specificare alcuni ambiti spaziali e quindi a
connotare i luoghi della città contemporanea. In ogni caso, pur dilatando a
scala geografica la dimensione dei fenomeni urbani, l’esercizio del progetto
richiede sempre più una abilità nel disporre le cose nello spazio e la loro
dislocazione non preclude la possibilità per le cose stesse «di appartenere
a qualche luogo e a partire da questo di porsi in relazione fra loro». 12
Antonio Monestiroli riconduce il principio della dislocazione dei fatti
urbani ad una idea di città policentrica, «una città in cui i centri della vita Fig. 12. Planimetria delle rovine di Tikal in Guatemala, X secolo d.C.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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Luigi Coccia 141

civile, connessi dalle infrastrutture viarie in un territorio vasto dominato


dalla natura, hanno un ruolo strutturante» (Monestiroli, 1997). La natura,
non più contrapposta alla città, definisce il contesto entro cui la città si col-
loca, lo spazio delle relazioni tra elementi urbani distinti. Evidenti sono i
richiami al pensiero illuminista, alla concezione urbana elaborata da Ledoux
o alla città come foresta di Laugier, ma anche alle idee sviluppate dal
Movimento Moderno, alla giungla lecorbuseriana o all’ambiente naturale
entro cui Hilberseimer immagina la città del futuro. La natura viene quindi
assunta come il luogo in cui prendono forma i nuovi poli urbani che, pur
dislocati nello spazio, si confrontano a grande distanza. Le aree urbane di
recente formazione, quelle che Monestiroli chiama periferie, possono esse-
re assunte come occasione per convertire il modello monocentrico, tipico
delle città consolidate, in modello policentrico, una potenzialità di tutti gli
insediamenti dispersi. «Un policentrismo a diverse scale, dalla scala regio-
nale a quella metropolitana, in cui il rapporto fra luoghi collettivi e aree resi-
denziali consenta di riconoscere in ogni punto del territorio un luogo urba-
no» (Monestiroli, 1997).
Il tema dello spazio aperto, oltre ad offrire nuove chiavi di lettura dei ter-
ritori urbanizzati, mostra la sua valenza anche nella trasformazione di questi
territori segnati da “sussulti individuali”, affidando alla nuova qualità dello
spazio aperto la possibilità di riscattarli da una latente condizione di anoni-
mato. Intendere però lo spazio aperto come “natura” potrebbe risultare for-
temente limitativo in quanto tale posizione tenderebbe a non riconoscere la
presenza di una quantità infinita di tracce naturali e antropiche stratificate
sul suolo nel corso del tempo. In tal senso il progetto dello spazio aperto pre-
suppone una accurata indagine topografica attraverso la quale rintracciare
segni naturali, che rimandano alla conformazione geografica del sito, e segni
artificiali, che attestano l’incessante operato dell’uomo (Coccia, 2005). Si
comprende così il significato profondo della parola “palinsesto” utilizzata da
André Corboz nel descrivere il supporto su cui «gli abitanti di un territorio
cancellano e riscrivono incessantemente il vecchio incunabolo del suolo»
(Corboz, 1985).
Applicato al tema dello spazio aperto, il rapporto tra progetto e luogo
assume quindi una valenza indiziaria: non a caso Sébastian Marot parla di
“anamnesi”, come una meticolosa ricerca di indizi da compiersi ogni volta
che si agisce progettualmente su un luogo. Essa «consiste nel guardare al
territorio e allo spazio pubblico come a una terra di antica cultura o a un
13 palinsesto in cui, più o meno evidente, permane il segno di tutti i gesti che,
nella memoria, hanno contribuito a modellare quello specifico paesaggio, e
Fig. 13. Planimetria dei tracciati viari nel territorio milanese, 1993. non un altro. In queste tracce stratificate nel corso del tempo, contrastanti

Progetto e luogo
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142 Atlante di progettazione architettonica

o affini, l’anamnesi decifra intenzioni e potenzialità che si tratta di salvaguar- A partire dalla metà degli anni cinquanta gli editoriali firmati da Ernesto
dare e di trasmettere» (Marot, 1996). Le ricerche condotte sui territori con- Nathan Rogers per la rivista Casabella Continuità sollevano le prime critiche
temporanei da alcuni paesaggisti francesi avvalorano questa tesi: accurate alla pratica architettonica del Movimento Moderno. Rogers pone in discus-
indagini topografiche indirizzano le scelte progettuali di Desvigne e Dalnoky sione quella tendenza tipicamente modernista a circoscrivere i problemi e
che nel disegno del parco urbano lungo le rive del Théols a Issoudun fanno ad affrontarli in modo astratto, giungendo a soluzioni progettuali esemplari
riemergere tracce nascoste riconducibili alla divisione ed uso del suolo agri- del tutto indifferenti nei confronti del luogo. In alternativa ritiene che le
colo (figg. 14, 15). Sulla base delle conoscenze acquisite dall’analisi dei sin- forme architettoniche debbano esplicitare un profondo dialogo con l’am-
goli contesti, il progetto è chiamato ogni volta ad operare una scelta la quale
si traduce nella riconfigurazione architettonica dei luoghi.
Il rapporto tra progetto e luogo esercitato sulle aree urbane di recente
formazione presuppone un continuo aggiornamento degli strumenti e dei
metodi di indagine al fine di interpretare l’evoluzione dei fenomeni in atto.
I territori investiti dalla diffusione insediativa sembrano oggi manifestare
un rallentamento delle dinamiche di espansione e una auspicabile azione
rigenerativa. Riconoscere nuovi nessi tra le cose disperse sul vasto territo-
rio urbanizzato, tentare di mettere a sistema ciò che a prima vista appare
disarticolato, esplicitare possibili relazioni a distanza tra monadi solitarie,
riscattare dalla residualità i suoli interstiziali sono solo alcuni tra i possibili
temi su cui condurre nuove indagini topologiche e sperimentare nuove
topografie.

Contestualismo e universalità
Contestualismo e universalità è il titolo di un articolo di Jacques Lucan pub- 14
blicato nel 1992, inserito in un forum della rivista Lotus International incen-
trato sul rapporto tra architettura e contesto. Lucan ritiene il contestuali-
smo come una reazione alla universalità, ossia all’applicazione universale di
alcuni principi architettonici e urbani enunciati dal Movimento Moderno
che trova nella produzione di massa degli anni cinquanta e sessanta la sua
estremizzazione. Il contestualismo reagisce non solo alla applicabilità asso-
luta di tali principi, ma anche alla esportabilità di quelle soluzioni che, aven-
do raggiunto una perfezione formale, si rendono disponibili in qualsiasi con-
testo spaziale, come espressamente dichiarato da Le Corbusier. Navi, mac-
chine, aeroplani sono per Le Corbusier modelli di riferimento nella speri-
mentazione dei nuovi edifici concepiti come “machine à habiter” che atter-
rando letteralmente sul suolo avrebbero esercitato una azione di conquista.
Immeubles-villas, gratte-ciel cartésien, unitè d’habitation sono i risultati di
questa sperimentazione, esempi di forme perfette collocabili in ogni luogo.
Analogamente accade per la Ville Radieuse, perfezione formale a scala
urbana, che Le Corbusier proverà ad esportare oltreoceano, immaginando 15

di poter riconfigurare persino l’intera isola di Manhattan. Figg. 14, 15. Michel Desvigne e Christine Dalnoky, Parco del Théols a Issodun, 1993-1994, pianta e veduta.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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Luigi Coccia 143

Scheda 3. Contesto

L’insieme delle parti di uno scritto o di un discorso in relazione fra loro e con
il tutto viene detto contesto; dal latino contèxtus, participio passato di con-
téxere, tessere insieme, intrecciare.
Il termine in esame prevede che vi sia una concatenazione, una commistio-
ne di elementi singoli che nella loro composizione, più o meno casuale,
danno luogo a un sistema più complesso. Pertanto il contesto è da inten-
dersi come qualcosa di composito, divisibile in frammenti, la cui compren-
sione può partire dalla lettura delle singole parti costituenti oppure dall’in-
tero. L’indagine sul contesto non si dovrebbe limitare alla sola analisi delle
unità che lo compongono, ma essendo originariamente atto (téxere), sareb-
be necessario indagare anche il tipo di relazioni/azioni che tengono assie-
me i singoli elementi.
Calando il discorso all’interno della disciplina progettuale, Vittorio Gregotti
evidenzia come la città «si presenta soprattutto a noi come stratificazione
e accumulazione di materiali storici su cui operare letture e scelte. Ciò che
la storia e la tradizione hanno costruito ha, nel fatto urbano, una concretez-
za contestuale e una presenza speciale; è il campo o, se si vuole, il testo con
il quale ci confrontiamo, da cui traiamo gran parte dei nostri materiali, in
cui più particolarmente si opera ogni trasformazione. [...] In rapporto a tale
testo si esercita l’innovazione, anzi esso è proprio ciò che dovrebbe permet-
tere e fondare la distanza critica». Da queste parole sembra che il progetto
debba inevitabilmente scaturire da un confronto critico con il contesto, ma
a metà degli anni Novanta, Koolhaas imposterà tutta la sua ricerca proget-
tuale affermando continuamente l’inutilità del contesto ai fini della proget-
tazione architettonica e urbana.
Oggi il contesto viene inteso come l’insieme degli elementi della città, o più
in generale del paesaggio, già compresi in un determinato intorno; ma in un
mondo ormai totalmente globalizzato, è necessario chiedersi quale siano i
limiti fisici del contesto oggetto del confronto critico, e se sia ancora possibi-
le sciogliere gli elementi singoli di questo “intreccio” sempre più articolato e
multiforme. In una urbanizzazione sempre più estesa e confusa, in cui produ-
zione agricola, produzione industriale e modi di abitare si mescolano, il con-
testo viene inteso come ambiente o, riconoscendone l’artificialità, come pae-
saggio recepito nella sua complessa condizione di prodotto culturale costrui-
to a partire da paesaggi precedenti (Tamburelli). In questa accezione, il con-
testo diventa, al pari del paesaggio, «un’entità relativa e dinamica, dove natu-
ra e società, sguardo e sviluppo sono in costante interazione» (Berque).

Progetto e luogo
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144 Atlante di progettazione architettonica

biente, sia in senso fisico-geografico che in senso storico. I termini utilizzati


da Rogers nell’affrontare l’argomento sono “preesistenze ambientali” o
“ambiente”, erroneamente tradotti nella lingua inglese come “context”.
«Per considerare l’ambiente bisogna considerare la storia»: in tal senso un
architetto, per non essere tacciato di formalismo, non può sottrarsi ad espli-
citare attraverso la soluzione progettuale una relazione adeguata con l’am-
biente, a sua volta inteso come “processo storico”. Scrive ancora Rogers in
uno dei suoi editoriali: «Resistiamo all’affettato cosmopolitismo che, in
nome di uno stile superficialmente ritenuto universale, usa la stessa archi-
tettura a New York, Tokyo o Rio; un’architettura identica in città e in cam-
pagna. Cerchiamo piuttosto di fondare i nostri lavori con le preesistenze
ambientali, vale a dire con l’ambiente naturale circostante e quello creato in
passato dal genio umano» (Rogers, 1955).
Negli stessi anni in cui Rogers muove le sue critiche al Movimento
Moderno, in occasione dell’organizzazione del decimo congresso del CIAM
tenuto a Ragusa in Dalmazia nel 1956, il gruppo di architetti Team X si
distingue per la capacità di alimentare con nuovi temi il dibattito architetto-
nico. Nel solco del Movimento Moderno, i Team X non si sottraggono a
mettere in discussione alcune posizioni moderniste espresse attraverso
l’operato architettonico proponendo la ricerca di una nuova contestualità
del progetto e di un nuovo rapporto con la storia. Anche se non preferiti da
Rogers, i termini “contesto” e “contestualismo” si affermano a livello inter-
nazionale. Adrian Forty nel suo libro Words and Buildings. A Vocabulary of
Modern Architecture, attribuisce la parola “context” a Colin Rowe che ne fa
ampio uso nel dibattito avviato nel 1966 sui temi architettonici e urbani,
ritenendo il volume Collage City, pubblicato nel 1978, l’epigrafe del conte-
stualismo della Cornell University (Forty, 2005).
Nel 1976 viene pubblicato Genius Loci. Towards a Phenomenology of
Architecture di Christian Norberg-Schulz, un saggio che analizza l’architettu-
ra e soprattutto il suo modo di inserirsi nel territorio. Norberg-Schulz pone al
centro della sua riflessione il concetto di luogo inteso come un sito dotato di
una precisa identità, sempre riconoscibile, con caratteri che possono essere
eterni o mutevoli. Per luogo si intende «un insieme fatto di cose concrete
con la loro sostanza materiale, forma, testura, colore; tutte insieme queste
cose un carattere ambientale che è l’essenza del luogo». Il termine “caratte-
re” ricorre nella trattazione dell’argomento, inteso come costituzione mate-
riale e formale del luogo. A tale proposito scrive Norberg-Schulz: «bisognerà
dunque chiedersi come sia il terreno su cui si cammina, come sia il cielo che 16
ci sovrasta, come siano i confini che delimitano il luogo». Fondamentale è la
distinzione tra luogo naturale e luogo artificiale, entrambi indagati secondo Fig. 16. Alberto Burri, Cretto a Gibellina, 1984.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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Luigi Coccia 145

un approccio fenomenologico che conduce al riconoscimento di specifiche


strutture formali con le quali l’azione progettuale dovrà interagire.
Alla luce dei recenti orientamenti architettonici che hanno investito il
rapporto tra progetto e luogo, Kenneth Frampton nel 1984, pubblicando la
seconda edizione della sua Storia dell’architettura moderna, ritiene oppor-
tuno aggiungere al volume un nuovo capitolo dedicato al Regionalismo cri-
tico, inteso come una categoria della critica piuttosto che un movimento
artistico identificabile e riconoscibile. «La basilare strategia del
Regionalismo critico è quella di mediare l’impatto della civiltà universale
con alcuni elementi derivanti direttamente dalle caratteristiche di un luogo
particolare» (Frampton, 1984). Richiamando i limiti del fenomeno della uni-
17 versalizzazione, che se da un lato costituisce un avanzamento del genere
umano, dall’altro determina una distruzione di culture e tradizioni, il
Regionalismo critico rivendica un rapporto con la dimensione locale e con
le sue tradizioni costruttive traducendo tutto ciò in espressività formale. Nel
Regionalismo critico non c’è nessun atteggiamento nostalgico e neppure
mimetico nei confronti dei processi costruttivi locali, nessuna volontà di
perpetuazione di una immagine della città statica e fuori della vita. Non c’è
nulla di “sentimentale” nel rapporto con il luogo, che presuppone una
18
coscienza critica e quindi una percezione critica della realtà, come è dimo-
strato dagli autori e dalle opere che Frampton colloca all’interno di questo
approccio regionalistico. A partire dall’esperienza della scuola norvegese, in
particolare da alcune opere di Utzon, o di quella spagnola di Sostres, o por-
toghese di Tavora e Siza, si comprende il significato profondo di un radica-
mento dell’architettura ai luoghi. Di straordinario interesse è il progetto per
Leça da Palmeira di Alvaro Siza, una raffinata operazione di integrazione tut-
t’altro che mimetica con il contesto locale: le rocce dell’Atlantico entrano a
far parte organicamente della sistemazione architettonica dello spazio
aperto occupato stabilendo un nuovo equilibrio naturale e geografico (figg.
20, 21). Siza richiama le opere di Alvar Aalto e la sua abilità ad ancorare gli
edifici alla configurazione orografica del sito e alla trama sottile del tessuto
locale. Un atteggiamento altrettanto sensibile nei confronti del luogo si
riscontra nel lavoro di Luis Barragán che tende a conformare alcune delle
sue architetture al terreno sperimentando una forma marcatamente topo-
grafica. Degno di nota è anche lo spirito regionalista di Dimitris Pikionis
nella sistemazione della collina Philopappus di fronte all’acropoli di Atene:
un percorso che snodandosi lungo le pendici del colle intercetta punti sin-
19 golari trasformati in luoghi per la contemplazione solitaria.
Figg. 17, 18, 19. Giuseppe Perugini, Mario Fiorentini, Nello Aprile, Mausoleo delle Fosse Ardeatine, La revisione dei criteri di valutazione dell’azione trasformativa operata
Roma 1944-49, sezione e vista. dal progetto di architettura e l’assunzione di un atteggiamento realistico e

Progetto e luogo
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146 Atlante di progettazione architettonica

concreto piuttosto che utopico e visionario conducono Jacques Lucan ad l’attenzione sulla consistenza dello spazio, su ciò che si rende visibile, e
esplicitare in due atteggiamenti complementari quel «tentativo di penetra- quindi sulla pratica dell’osservare, del descrivere e dell’interpretare critica-
re ogni specifica situazione in modo da rivelarne e accoglierne le caratteri- mente ciò che lo sguardo pone all’attenzione. I luoghi sono specie di spazi
stiche locali». Il primo atteggiamento si evince in quei progetti che tentano la cui struttura costitutiva, geografica e/o architettonica, concorre a rende-
di interpretare i particolarismi storici e geografici generalmente espressi re distinguibili da altri e in alcuni casi unici e non ripetibili.
dalla tradizione produttiva, tipologica e urbana; il secondo contraddistingue Diversi sono i modi di rapportarsi allo spazio ed ognuno di essi può for-
invece quei progetti che si relazionano direttamente con il contesto fisico nire spunti interessanti nella sperimentazione progettuale: se lo sguardo a
riconoscendone da subito le specificità topologiche, e si pongono l’obietti-
vo di operare una trasformazione consapevole e compatibile. Lucan ricono-
sce in entrambi gli atteggiamenti un imprescindibile relazione ambientale e
in tal senso il contestualismo si rivela dunque profondamente riformatore.
«Esso si regge su una logica che Rem Koolhaas ha giustamente definito
retroattiva: una logica che non impone un nuovo ordine ex-nihilo, ma che si
sforza invece, a seconda dei casi, di portare alla luce un ordine segreto per
conferirgli un orientamento e potenziarlo, oppure di unificare gli elementi
sparsi, antichi e nuovi, dando un senso al loro insieme». Da ciò si deduce
che una visione contestuale presuppone che il territorio sia da sempre abi-
tato e che non siano necessarie azioni colonizzatrici condotte attraverso
l’applicazione di ordini formali validi universalmente. L’approccio al contesto
che Lucan ritiene più coerente è quello del commento critico «che stabili-
sce nessi, ma conserva e valuta le distanze che ci dividono da qualsiasi tra-
dizione; che non oblitera le discontinuità inerenti a ogni successione di tem-
poralità; e che dunque implica necessariamente un processo di distacco e di 20
astrazione». A partire da una attenta conoscenza del contesto, l’azione pro-
gettuale, intesa come commento critico, ha la capacità di andare oltre la
dimensione contestuale e di sperimentare nuove forme di autenticità archi-
tettonica e urbana.
Jacques Lucan chiude il suo articolo su contestualismo e universalità con
una affermazione provocatoria che offre nuovi spunti di riflessione: «para-
dossalmente, la progettazione in un dato contesto ha quale scopo ultimo
un’esigenza di universalità: ma senza alcuna forzatura, poiché ormai sappia-
mo che ogni traccia di universalità si inscrive nella condizione di un mondo
transitorio» (Lucan, 1992).

Progetto e luogo: indirizzi operativi


Le questioni fin qui sviluppate intorno al rapporto tra progetto e luogo tro-
vano ulteriori approfondimenti nei contributi e negli esercizi raccolti in que-
sto capitolo, a sua volta articolato in tre sottocapitoli.
Acquisire consapevolezza degli spazi è il titolo del primo sottocapitolo, 21

affidato a Gustavo Ambrosini e Filippo Lambertucci, nel quale si focalizza Figg. 20, 21. Alvaro Siza, Piscina a Leça de Palmeira, 1959-1973, pianta e veduta.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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Luigi Coccia 147

Scheda 4. Luogo

In generale con la parola “luogo” si intende una parte dello spazio, ideal-
mente o materialmente circoscritta. Per poter definire con maggiore preci-
sione il concetto di luogo, la categoria “spazio”, che indica l’organizzazione
tridimensionale degli elementi che lo compongono, non è sufficiente. Per
essere maggiormente esaustivi è necessario parlare anche di “carattere” di
un luogo. Il carattere è definito dalla costituzione materiale e formale del
luogo e ne denota un’atmosfera onnicomprensiva (C. Norberg-Schulz).
Pertanto da una parte c’è la necessità di definire il luogo attraverso delle
categoria che ne definiscono la geometria, i confini; dall’altra quella di pre-
cisarne le caratteristiche fisiche come la forma concreta e la sostanza degli
elementi che definiscono lo spazio e che fanno intendere i luoghi come
“cose esistenti”, reali.
Prendere in considerazione le sole qualità fisiche per descrivere un luogo non
basta, nella nozione di luogo è insita l’idea di situazione, non a caso usiamo
espressioni del tipo: i fatti hanno luogo... Aldo Rossi ci fa notare come il luogo
sia un “fatto singolare” definibile attraverso requisiti fisici quali: spazio,
tempo, dimensione topografica, forma, ma è anche determinato «dall’essere
sede di vicende antiche e nuove, dalla sua memoria». Con questa affermazio-
ni Rossi va al di là dell’analisi delle semplici peculiarità spaziali che servono a
contraddistinguere un luogo, bensì il luogo diventa contenitore di vicende e
custode di memorie; si può quindi affermare che il luogo è un’entità spaziale
circoscrivibile nello spazio e nel tempo. Purini, sintetizzando, definisce il
luogo come una struttura logica che tiene assieme tre tipi di significati: il
primo legato alla scena naturale e ai suoi caratteri individuali; il secondo
riguarda il complesso delle memorie che si trasmettono sull’insediamento; il
terzo riassume i comportamenti che attengono all’uso significativo del movi-
mento nello spazio costruito. La definizione di Purini sembra essere tutta pro-
iettata sul confronto con i tre temi classici del progetto di architettura: la
“scena” all’interno della quale si inserirà, il confronto operativo e critico con
le “memorie”, la riflessione sui modi del vivere/attraversare lo spazio.
Il rapporto luogo e progetto non è mai univoco, scrive Mark Wigley: «Si
suppone che il luogo preceda il progetto; che le sue condizioni fisiche ven-
gano prima di qualsiasi storia che si possa raccontare al riguardo e che assu-
me legittimità dal rilievo che viene eseguito su tale presenza fisica. Il luogo
della costruzione diventa il luogo della storia, una storia che agisce come se
il luogo l’avesse preceduta. Ma non esiste luogo senza progetto. In realtà, il
progetto produce il luogo cui sembra essere destinato».

Progetto e luogo
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148 Atlante di progettazione architettonica

distanza, esercitato attraverso un imprescindibile distacco dell’osservatore tuale delle forme, ma sul riconoscimento di relazioni che determinano
dal suolo, rileva trame e geometrie comprensibili solo alla grande scala del assetti formali più complessi i quali a loro volta concorrono a definire la
territorio, lo sguardo ravvicinato pone invece l’attenzione su ciò che si forma della città. Nel rintracciare i principi insediativi si tenta quindi di deci-
dispiega dinanzi all’osservatore situato sul suolo. Gli elementi trascurati in frare la forma urbana risalendo alle ragioni che l’hanno generata, verifican-
una visione dall’alto acquistano importanza in una visione dal basso e vice- do la possibilità di continuare ad applicare tali principi o di definirne di
versa, per cui si può ritenere che le due modalità di osservare e descrivere nuovi nella sperimentazione del progetto urbano.
la Terra assumano un valore complementare nella registrazione della forma Pur nel continuo mutamento dell’idea di spazio urbano, Carlo Ravagnati
del suolo e la prevalenza dell’una o dell’altra è affidata ogni volta alla scelta si sofferma sul concetto di “permanenza” richiamando L’architettura della
operata dalla pratica progettuale. città in cui Aldo Rossi traccia una teoria dei fatti urbani visti in una costru-
Le immagini zenitali della Terra offrono due distinte letture: la prima di zione che si compie nel tempo. Le permanenze sono dunque elementi anco-
natura topografica, tesa alla individuazione degli elementi e al riconosci- ra rintracciabili sul territorio, nonostante le recenti trasformazioni abbiano
mento delle relazioni che intercorrono tra essi; la seconda di natura esteti- offuscato la loro manifestazione, “fatti primari” che hanno innescato, orien-
ca, che registra le potenzialità formali associate a porzioni di territorio con-
traddistinte da una evidente carica figurativa. Ambrosini sviluppando questi
concetti, giunge a sottolineare l’importanza della fotografia aerea, da un
lato la capacità di sviluppare quella che i geografi chiamano “immaginazio-
ne geografica”, espressa dal desiderio da parte dell’uomo di orientarsi e
costruirsi una figurazione astratta del territorio; dall’altro, la capacità inter-
pretativa intrinseca allo strumento fotografico, che sottende ogni volta una
specifica visione della realtà.
Le esperienze percettive che si compiono a partire dal “situarsi” in uno
specifico contesto spaziale offrono ulteriori spunti nella conoscenza dei luo-
ghi e nella prefigurazione di nuovi sistemi relazionali attraverso mirati eserci- 22
zi progettuali. In tal senso l’azione progettuale materializza l’atto del situarsi,
il quale a sua volta si avvale di adeguate misure e proporzioni per costruire
architettonicamente uno spazio in cui l’osservatore possa compiere una spe-
cifica esperienza spaziale. Acquisire consapevolezza degli spazi è, secondo
Lambertucci, trovare il proprio posto, non solo nello spazio, ma anche nel
sistema di condizioni che si è voluto prima riconoscere e poi rafforzare attra-
verso il progetto di architettura. Il situarsi non è semplicemente una espe-
rienza statica, l’essere fermi in un punto dello spazio e osservare ciò che si
dispiega nell’intorno, ma è anche una esperienza dinamica, l’essere in movi-
mento e costruire una visione spazio-temporale che si esplicita attraverso
una successione di episodi disposti lungo la traiettoria descritta dal cammino.
Rintracciare i principi insediativi è il titolo del secondo sottocapitolo che
esplora il rapporto tra progetto e luogo con un esplicito rimando alla città
nella sua formazione storica e nei suoi sviluppi contemporanei. A fonda-
mento di questo argomento si pongono i fertili studi urbani condotti a par-
tire dagli anni Sessanta che hanno dato inizio ad una diversa modalità di 23

interpretare i fenomeni architettonici non più incentrata sulla natura ogget- Figg. 22, 23. Luis Barragán, Fuentes de Los Amantes a Los Clubes, 1966, pianta e veduta.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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Scheda 5. Sito

Il significato primordiale di sito è: «luogo dove alcuno ha gettato i fonda-


menti della sua casa, o fermato la sua dimora». Pare ovvio che il legame tra
il concetto di luogo e sito sia indissolubile. Se il luogo è lo spazio governa-
to dalla divinità locale (genius loci) dove gli oggetti sono collocati e i fatti si
svolgono, il sito determina il posto che un certo luogo occupa in uno spazio
più ampio. Aldo Rossi scrive: «mi occuperò del luogo in cui si manifestano i
fatti urbani; cioè dell’area in cui è possibile rilevarli, del suolo urbano che è
un dato naturale ma anche un’opera civile ed è parte sostanziale dell’archi-
tettura della città. Quest’area possiamo vederla nel suo insieme, e allora
costituisce la proiezione della forma della città su un piano orizzontale, o
per singole parti. I geografi chiamano questo il sito (site) cioè l’area su cui
sorge una città; la superficie che essa realmente occupa». Da queste paro-
le emerge una differenza fondamentale tra luogo e sito: se il luogo, come si
è detto precedentemente, è lo spazio tridimensionale, il contenente aristo-
telico all’interno del quale i corpi si muovono, il sito è una superficie bidi-
mensionale (area) che registra la posizione, la dimensione e la forma dello
spazio. Su questo piano orizzontale (suolo urbano) sono impressi segni
naturali e artificiali, tracce di fatti urbani recenti e passati; pertanto il sito
diventa il testimone silenzioso del susseguirsi degli eventi che si stratifica-
no su di esso lasciando tracce più o meno visibili.
«La lettura del sito sa di non essere mai esaustiva né in grado di fornire di
esso “un’immagine vera”. Consapevole di essere a sua volta un processo in
divenire, essa si adopera a valorizzare appunto tutto ciò che nel sito può
dare presa ai segni del tempo, dei mutamenti e della vita: ciclo delle stagio-
ni e dei climi, ciclo dell’acqua, alternarsi del giorno e della notte, della cre-
scita e del declino» (Marot). Pertanto la lettura che promuove Marot non si
esaurisce in un’indagine che si limita a esplorare la sola dimensione spazia-
le del sito, ma anche quella temporale. Innanzitutto si tratta di un tempo
lineare che si fa testimone della vita del sito, durante il quale le pratiche, gli
usi, le azioni si formalizzano in una sovrapposizione di tracce; vi è poi un
tempo ciclico, quello delle stagioni e dei giorni, che forniscono di questi
tracce un’immagine sempre mutevole.
Vedere, riconoscere, analizzare, scegliere e interpretare quelle tracce, appar-
tenenti a tempi sempre differenti, ci immerge immediatamente nella dimen-
sione del progetto che non può non confrontarsi con quella complessa trama
di segni e di successioni temporali, anche nell’eventualità di negarli per
riportare il sito a una tabula rasa e in un presunto tempo zero mai esistito.

Progetto e luogo
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tato e a volte accelerato un processo di urbanizzazione. La “città della diffe- ri delle forme della costruzione e quelli delle forme della terra permette
renza” è quella che prende forma intorno a questi punti permanenti che, dunque di istituire relazioni fondative tra progetto e luogo.
pur nella loro immobilità, assumono di volta in volta significati diversi Ma i luoghi non sono solo espressione della forma naturale, nei casi più
influenzando l’evoluzione della forma urbana. Le permanenze sono quindi frequenti essi sono il risultato di un lungo e articolato processo di stratifica-
le forme «in cui agisce un passato che non passa, un passato che resta atti- zione e per essere compresi richiedono al progettista uno sguardo da
vo e che lascia inoltre presagire un futuro». archeologo che indirizzi la raccolta delle informazioni al fine di operare le
Numerose configurazioni spaziali attraverso le quali si manifesta la città scelte di progetto ritenute più adeguate. «L’archeologia in molte realtà pale-
contemporanea trovano anche una loro spiegazione associata alla costru- sa la struttura morfologica della città e del paesaggio», afferma Vanore,
zione di nuove strade o alla localizzazione di nuove polarità dislocate nella «sottolineando le potenzialità di ambiti poco riconoscibili, per poter rigene-
dimensione estesa del territorio. Geografia e infrastruttura diventano ter- rare luoghi significativi e valorizzare il patrimonio culturale». Se la lettura
mini di riferimento nel tracciare le coordinate di quella polverizzazione inse- archeologica punta dunque a riconosce ai luoghi della città e del paesaggio
diativa che ha trasformato la città compatta in conurbazioni diffuse. attraverso i suoi frammenti, l’azione progettuale si pone come obiettivo
Rintracciare i principi insediativi all’interno dei contesti urbani di recente prioritario la interpretazione critica di tali frammenti e la costruzione di una
formazione significa ancora una volta cercare le ragioni che ne hanno gene- nuova spazialità dalla spiccata valenza narrativa.
rato la forma, scoprire la presenza di atti fondativi non programmati ma
determinati dalla iterazione di gesti associati ad alcune pratiche ricorrenti
dell’abitare contemporaneo. Sottoposti ad un esercizio di astrazione, tali
contesti mostrano la presenza di configurazioni formali che, sottraendosi
alla logica della pura casualità localizzativa, sembrano fissare alcune regole
insediative attraverso le quali si rinnova il rapporto tra progetto e luogo.
Nuove ricerche topologiche si rendono dunque indispensabili nello studio
della città contemporanea nell’intento di attivare processi rigenerativi dei
territori segnati della dispersione edilizia.
Indagare il rapporto tra costruzione e luoghi è il titolo del terzo ed ulti-
24

mo sottocapitolo affidato a Francesco Defilippis e Margherita Vanore, nel


quale la relazione tra progetto e luogo si esplicita attraverso un dialogo tra
architettura e sito, naturale o archeologico. In entrambe le trattazioni si fa
riferimento alla forma fisica dei luoghi che richiede una imprescindibile
esplorazione conoscitiva su cui agisce l’azione progettuale.
Uno dei modi di pensare e di stabilire il rapporto tra costruzione e luogo
è quello basato sull’analogia tra i caratteri spaziali dei sistemi costruttivi e i
caratteri topologici della forma fisica della terra. Nell’esplicitare questa tesi
Defilippis richiama, a titolo esemplificativo, due possibili caratteri spaziali,
quelli espressi dal sistema trilitico e dal sistema murario archivoltato, mezzi
tecnici portati alla perfezione rispettivamente dai Greci e dai Romani attra-
verso cui si sono espresse nel tempo due distinte concezioni dello spazio
architettonico. Nell’esplicitare i caratteri del sito fa riferimento agli elemen-
ti della geografia, a quelli che Christian Norberg-Schulz chiama le forme 25
delle «variazioni della superficie del rilievo» che, analizzate alla scala oppor- Figg. 24, 25. Marcella Aprile, Roberto Collovà, Francesco Venezia, Teatrino all’aperto a Salemi, 1983-
tuna, conferiscono misura e orientamento ai luoghi. L’analogia tra i caratte- 1986, schizzo di studio e veduta.

2 PROGETTARE CON I LUOGHI


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26 27

Figg. 26, 27. Dimitris Pikionis, Sistemazione dell’area archeologica attorno all’Acropoli e al colle di
Filopappo ad Atene, 1954-1957, veduta e pianta.

Progetto e luogo

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