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Social Architecture: From the Phalanstery to „Making Heimat“, AA 2022–23, Master, Sem 2

Prof. Dr. Sonja Hildebrand, assistant: MSc Arch. ETH Frida Grahn

Aldo Van Eyck


Verso un’architettura più umana

Ioannis Barbas, Giovanna Gambaro, Elena Peroni

1
Indice
3
1. Introduzione

2. L’architettura secondo Aldo Van Eyck 6

3. L’orfanotrofio di Amsterdam 10

4. Fonti bibliografiche 14

2
2. L’architettura secondo Aldo Van Eyck

Tra i primi a formulare una vera e propria critica nei confronti del movimento moderno fu Aldo Van
Eyck, che non negò completamente il funzionalismo di per sé, ma cercò di evitare la
progettazione di spazi che risultassero come la diretta conseguenza di un calcolo puramente
funzionale.

L’architetto Francis Strauven, nel breve saggio “Aldo Van Eyck - Shaping the New Reality From
the In-between to the Aesthetics of Number”, sottolinea come la critica abbia sempre avuto una
certa difficoltà nell’incasellare Aldo Van Eyck all’interno di un movimento artistico-architettonico
preciso. C’è chi lo dipinge come esponente del movimento moderno, chi pone l’accento sulla
critica che ha mosso nei confronti di quest’ultimo, e chi invece ritiene che la sua architettura
riprenda tecniche compositive rinascimentali o appartenenti a culture primitive10.

Fig. 2.1

Aldo Van Eyck


Otterloo Circles
CIAM, 1959

Francis Strauven sottolinea come, paradossalmente, tutte queste tesi possano essere considerate
almeno in parte corrette, come a suggerire che forse è proprio questa inafferrabilità la chiave
interpretativa più giusta per leggere l’architettura di Aldo Van Eyck. Quest’ultimo si è infatti
contraddistinto per essere riuscito a mettere in atto un principio compositivo fondato sull’armonia
delle dissonanze, intesa come l’equilibrio che si ottiene dalla somma degli opposti, posti
dialetticamente l’uno con l’altro. Al congresso del CIAM del 1959, l’architetto presenta un
diagramma che esplicita la genesi del suo pensiero, fondato su tre grandi tradizioni: l’epoca
classica - l’immutabilità, il movimento moderno - il cambiamento e il movimento, e la cultura
arcaica - l’arte e l’architettura vernacolare. Van Eyck racchiude in un unico cerchio queste tre
grandi forze, come a suggerire che l’architettura contemporanea, per essere considerata tale, non
dovrebbe leggerle come tre entità separate. Al contrario, se intrecciate con sensibilità, possono
coesistere e formulare un linguaggio capace di riflettere la complessità del reale. Accanto al primo
cerchio, l’architetto ne disegna un secondo, raffigurante delle sagome di persone che danzano in
cerchio, formando una sorta di spirale che si dilata e si restringe attorno ad un centro indefinito e
in constante cambiamento. Le persone in cerchio siamo “noi”, come suggerisce il titolo del
diagramma, “da noi, per noi”, che danziamo riorganizzandoci continuamente attorno ad un
centro, la nostra realtà, in continuo mutamento. Occorre pensare alla struttura del tempo - e
quindi della storia - come circolare, come un motivo ricorrente: non si può disegnare una linea di
demarcazione precisa fra l’antico e il moderno; perché c’è sempre qualcosa che, sotto le
differenze, riesce ad riconciliarli. Per chiarire questo principio, Aldo Van Eyck scrive sotto al
diagramma circolare: “Possiamo ritrovare noi stessi dappertutto - in qualunque luogo ed epoca -
facendo le stesse cose in maniera differente, provando le stesse cose differentemente, reagendo
differentemente alle stesse cose”11. Questa frase ci vuole forse ricordare che, nonostante le
diversità e la distanza spazio-temporale, in fondo siamo sempre “noi”.

10Strauven, Aldo Van Eyck - Shaping the New Reality From the In-between to the Aesthetics of Number, CCA Mellon
Lectures, 2007, p.1

11 Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture & Natura, Amsterdam, 1998. p. 350
6
È importante sottolineare l’insistenza dell’architetto sul termine “noi”, che suggerisce un
immaginario condiviso, in cui l’esistenza del singolo acquisisce un senso solo nella collettività.
Aldo Van Eyck è promotore di un’architettura intrisa di un senso di umanità ritrovata,
un’architettura per tutti, nella quale gli opposti possono essere riconciliati.

Pertanto, l’architetto ricercò un linguaggio architettonico, nuovo e denso di significato, che


potesse avere un impatto sia a livello emozionale che socioculturale.
I membri del CIAM appartenenti alla generazione di Van Eyck si riunirono nel gruppo
internazionale chiamato “Team X”, che nel 1959 assunse la direzione del Congresso.
Tra i membri spiccarono figure di notevole rilevanza quali Allison e Peter Smithson, John Voelker,
Jaap Bakema e Giancarlo De Carlo, i quali sentirono il desiderio di riflettere sui concetti
dell’abitare più conformi ai nuovi modelli sociali e culturali che si stavano diffondendo nel
dopoguerra.

Il Team X si distinse per l’applicazione pratica delle proprie idee umaniste: il gruppo aveva
compreso che l’esigenza principale della società post-bellica, ormai alienata e privata delle
tradizionali relazioni umane, fosse il concetto di comunità.
Era dunque necessaria la progettazione di spazi che mirassero al miglioramento delle condizioni
di vita e delle relazioni interpersonali.
Pertanto, Van Eyck formulò il principio di “in-between”, secondo il quale ogni spazio dovesse
prevedere modelli di circolazione capaci di offrire luoghi d’incontro e di dialogo tra le persone.
Queste idee presero forma all’interno del piano di ricostruzione e di rivitalizzazione della città di
Amsterdam, attraverso i primi progetti di parchi giochi.
La strategia dall’architetto consisteva nella riconversione di vuoti urbani in spazi che
assicurassero nuove connessioni interpersonali. Van Eyck sfruttò questa opportunità per
recuperare aree urbane in disuso attraverso un approccio differente, proponendo un’alternativa
alle proposte di ricostruzione massiccia volute dal CIAM. Inoltre, come viene ricordato nel saggio
“Seventeen Playgrounds”12, in questo periodo storico si assistette ad una grave carenza di spazi
pubblici: da un lato, bisognava far fronte all’improvviso boom delle nascite, dall’altro la maggior
parte dei parchi giochi, ancora pensati in una logica ottocentesca, erano privati e riservati ai soli
membri. I bambini che non erano ammessi all’interno di questi circoli esclusivi si ritrovavano
costretti a giocare nei parchi pubblici, che, tuttavia, non garantivano spazi e misure di sicurezza
adeguati.

Sotto l’influenza dell’urbanista Jakoba Mulder del Dipartimento dei Lavori Pubblici, Van Eyck
progettò, a partire dal 1947, più di 700 parchi giochi nella città di Amsterdam.

Fig. 2.2

Mappa del
Gementearchief
(Archivio Comunale)
di Amsterdam che
indica l'ubicazione
dei parchi giochi di
Aldo van Eyck, 1957

12 Denisa Kollarová & Anna van Lingen, Seventeen Playgrounds - Amsterdam, Lecturis, Amsterdam, 2016
7
L’architetto decise di operare partendo dai “punti cechi”13, ovvero quegli spazi pubblici
abbandonanti dalla pianificazione postbellica del CIAM.
Infatti, si trattava spesso di luoghi dimenticati che rimanevano nascosti tra le case, o dietro
recinzioni utilizzati come discariche.
Citando Kollarová, Van Eyck “trasformò questi spazi trascurati in luoghi intimi dove poteva
avvenire l'interazione sociale, e così facendo cambiò il paesaggio urbano e sociale delle città”14.
Questi progetti furono pensati rispetto alla vita quotidiana dei bambini, coinvolgendo gli stessi
cittadini e utilizzando materiali non convenzionali trovati in prossimità del sito.
La stessa posizione dei parchi giochi non è casuale, poiché, come riferisce l’autrice del saggio in
una conversazione con lo stesso Van Eyck, furono proprio gruppi di cittadini che fecero appello al
dipartimento dei lavori pubblici per ottenere un proprio parco giochi15.
È rilevante sottolineare la mancanza di mappe o piani, in quanto non ci fu una vera e propria
pianificazione come per altri progetti. Ciononostante, venne intrapreso un intervento di
documentazione fotografica, dal quale si ottennero scatti che mostrano il confronto tra le
situazioni originarie e il progetto concluso.

Fig. 2.3

Dijkstraat,
1954

Fig. 2.4

Egelantiersstraaat,
1956

13Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a Postwar World, 010,
Rotterdam, 1999, p. 17

14 Denisa Kollarová & Anna van Lingen, Seventeen Playgrounds - Amsterdam, Lecturis, Amsterdam, 2016, p. 28.

15Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a Postwar World, 010,
Rotterdam, 1999, p. 17
8
Fig. 2.5

Conradstraat,
1957

Queste fotografie testimoniano la qualità dell’operato di Van Eyck, e del cambiamento sociale
promosso attraverso questi piccoli interventi.
Con pochi gesti minimali, Van Eyck era riuscito a trasformare il “deserto sociale”16 presente in
questi luoghi in spazi dove il senso di comunità veniva celebrato.

Questo progetto rivelò la “visione straordinariamente umana della pianificazione urbana”17 da


parte dell’architetto. Van Eyck si distinse per il suo approccio concreto al sito, accettandone i
vincoli e le condizioni specifiche, a differenza degli architetti del dopoguerra che, al contrario,
progettavano illudendosi di operare in una realtà astratta, in una condizione di tabula rasa.
Dunque, ogni sito vantava di una “una composizione unica per quanto riguarda la loro posizione e
l'ambiente circostante”18, evitando di ricreare lo stesso luogo più di una volta. La disposizione dei
giochi non era mai simmetrica o monotona, ma ricercava un equilibrio e un ritmo suggeriti dal sito
stesso.

Gli spazi di gioco pensati dall’architetto si contraddistinsero per l’assenza di una gerarchia
spaziale dominante. Come scrisse il pittore olandese Theo van Doesburg, si trattava di ricercare
un’architettura nella quale ogni elemento avesse la stessa importanza degli altri, in maniera tale
da rifuggire gli “spazi morti” o i “momenti passivi”19. Questo significava progettare anche agli
spazi intermedi, di respiro, tra un gioco e l’altro.
Una delle lettere di Van Eyck agli Smithson risalente al 1954, riporta chiaramente come fosse
necessario per l’architetto “superare polarità frenanti che nella realtà non esistono, cioè
individuale-collettivo, materiale-emotivo, parte-intero, permanenza-cambiamento, interno-esterno.
Questi sono ambivalenti. Non dualistici…”20
La lettera continua sostenendo l’idea di Bakema, secondo il quale gli edifici dovrebbero resistere
al tempo in modo da poter cambiare e mantenere la propria identità.

In tutti i progetti di Van Eyck, divenne infatti fondamentale la dimensione del “tempo” nella
pianificazione, in maniera tale che fossero flessibili e adattabili a possibili cambiamenti
futuri.

16Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a Postwar World, 010,
Rotterdam, 1999, p. 18.

17 Ibidem

18 Denisa Kollarová & Anna van Lingen, Seventeen Playgrounds - Amsterdam, Lecturis, Amsterdam, 2016, p. 32

19Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a Postwar World, 010,
Rotterdam, 1999, p. 11

20Aldo Van Eyck, Aldo Van Eyck: Collected articles and other writings 1947-1998, a c. di Vincent Ligtelijn e Francis
Strauven, SUN, 2008, p. 187
9
3. Orfanotrofio di Amsterdam
Il progetto che forse rappresenta la perfetta sintesi del pensiero dell’architetto è l’Orfanotrofio
municipale di Amsterdam, considerato il capolavoro di Aldo Van Eyck; si tratta di un’opera
complessa, ricca di ambiguità e di contraddizioni che, tuttavia, coesistono in maniera armonica.
L’orfanotrofio è un’architettura che appartiene al movimento moderno, ma che al tempo stesso
adopera un registro linguistico che sembra provenire da lontano. È una casa, ma è anche una
piccola città; nel momento in cui sembra aprirsi al paesaggio circostante, si ritira.

Fig. 3.1 Fig. 3.2

Fotografia aerea dell’orfanotrofio Pianta del piano terra

L’obiettivo, certamente ambizioso, che Aldo Van Eyck si pone in ambito architettonico è quello di
ricercare un’architettura capace di riflettere l’unità sotto la moltitudine delle differenze.
L’orfanotrofio è, probabilmente, il progetto di Van Eyck che meglio traduce questo principio
apparentemente contraddittorio. L’orfanotrofio, sintesi delle tre grandi tradizioni architettoniche
presentate nel diagramma a cerchi di Otterloo, è al tempo stesso una casa e una piccola città;
dinamico e statico, antico e contemporaneo. Vuole essere un’architettura per l’uomo, un luogo in
cui ogni individuo possa riconoscere se stesso, ma anche le proprie origini. Lo studio delle
proporzioni classiche è leggibile nell’articolazione geometrica alla base della pianta dell’edificio,
ma anche nella reinterpretazione contemporanea degli ordini classici, composti da colonne,
architravi e cupole. Vi sono poi delle finezze, quali la lunga fenditura orizzontale nell’architrave,
che si chiude all’estremità e che, appoggiandosi alle colonne, richiama la memoria di un capitello.
Questi piccoli accorgimenti linguistici ambientano chi entra nell’orfanotrofio, che viene
riconosciuto come un luogo vagamente antico, familiare. Tuttavia, la simmetria “classica” della
pianta è spezzata dal dinamismo della forza centrifuga che la attraversa21, che disegna due assi
diagonali lungo i quali si dispiegano e si articolano gli spazi, in una successione di ambienti
concatenati che alternano momenti di luce e di ombra, di apertura al paesaggio e di
introspezione. Gli ambienti non sono legati dalla prospettiva centrale; al contrario si attraversano
in un percorso diagonale, che si snoda e si articola attorno ad essi, rivelandoli poco alla volta.

La corte centrale, il ricordo di un cortile rinascimentale, è una piazza che, nonostante si trovi al
centro della pianta, non domina gerarchicamente sul resto del complesso. Il punto focale della
corte, una seduta circolare, non occupa il centro geometrico della piazza, ma è diagonalmente
spostato22.
Allo stesso modo, l’ordine assiale della piazza non prosegue in linea retta negli spazi interni

21Strauven, Aldo Van Eyck - Shaping the New Reality From the In-between to the Aesthetics of Number, CCA Mellon
Lectures, 2007, p.7

22 Ibidem
10
dell’orfanotrofio; la corte è il centro nevralgico da cui partono i percorsi diagonali che seguono la
tensione rotatoria della pianta.
La sensazione è simile a quella che si ottiene attraversando le stradine di una piccola città, che si
svela dispiegandosi lentamente, girando l’angolo. L’orfanotrofio diventa un luogo in cui il tempo
sembra rallentare, dove ci si può perdere o incontrare senza averlo previsto, con naturalezza. Non
c’è più traccia dei lunghi corridoi sterili tipici dell’architettura funzionalista: gli ambienti
confluiscono l’uno nell’altro in un percorso fluido, raccordandosi armonicamente.

L’orfanotrofio è un’architettura organica, che sembra crescere come una radice, o un organismo
biologico. Le singole unità residenziali sembrano disposte quasi si fossero riassestate l’una in
relazione all’altra, pervase dalla stessa forza centrifuga che genera la pianta. La unità abitative
sono simili, ma non identiche: la modularità ammette delle piccole variazioni per venire incontro
alle esigenze programmatiche del complesso, quali le fasce d’età differenti di chi lo abita. Si
articolano attorno a un patio, piegandosi attorno ad esso, che diventa uno spazio di raccordo con
l’esterno. É importante sottolineare come nonostante si aprano al paesaggio circostante, lo
facciano ripiegandosi attorno ad un cortile; questa ambivalenza dona all’edificio un carattere
estroverso ed introverso al tempo stesso. Le unità abitative sono quindi sia aperte che chiuse:
Aldo Van Eyck utilizza la metafora della respirazione, spiegando che l’architettura debba, come
un’organismo vivente, inspirare ed espirare, aprirsi e chiudersi23. Ne consegue l’importanza delle
soglie, gli spazi di raccordo tra l’interno e l’esterno, che diventano luoghi abitati, di incontro e di
scambio.

Fig. 3.3 Fig. 3.4

È fondamentale il principio che Van Eyck chiama “principio della relatività”, che nasce dallo studio
dei progetti per i parchi giochi: lo spazio non è strutturato da una gerarchia, nella quale un
elemento centrale domina sugli atri. Sparisce quindi il punto di convergenza, come si legge
dall’impianto planimetrico dell’orfanotrofio. L’asse e la prospettiva centrale si dissolvono in favore
di una struttura spaziale policentrica, nella quale ogni punto di vista assume un valore
equivalente.24 Ogni centro è legato agli altri tramite particolari relazioni reciproche, in una rete
spaziale complessa nella quale la somma di forze opposte risulta in equilibrio. La struttura dello
spazio, lontana dall’essere casuale o dispersiva, è retta da una coerenza complessa che rende
l’orfanotrofio un’architettura ricca e sorprendentemente armonica. L’architetto amava ricordare
una frase di Mondrian: “la cultura della forma particolare è giunta alla sua conclusione. Sta

23Strauven, Aldo Van Eyck - Shaping the New Reality From the In-between to the Aesthetics of Number, CCA Mellon
Lectures, 2007, p. 8

24 Ivi p.4
11
cominciando, invece, la cultura delle relazioni determinate”.25 Il principio della relatività si riflette
nella maniera attraverso la quale si vive lo spazio; camminando, ci si accorge come quest’ultimo
si riveli in una moltitudine di momenti inaspettati, fatti di silenzio e di vitalità, di movimento e di
stasi. Si ha come la sensazione, attraversandolo, di poter sempre scoprire qualcosa di nuovo.

L’architettura vernacolare, la terza grande tradizione individuata da Van Eyck, si coniuga in


relazione alla classicità e al dinamismo contemporaneo dell’edificio: l’orfanotrofio ricorda quasi
una casba africana, o un villaggio arabo. Le piccole cupole di cemento prefabbricato sul tetto, la
cui morbidezza dona un carattere biomorfico all’edificio, permettono l’ingresso della luce zenitale
che scivola sulla superficie muraria, senza violenza. Alcuni critici hanno notato come le fenditure
nelle architravi ricordino i fori per gli occhi presenti nelle tradizionali maschere africane, in
particolare quando sottostate da una colonna, che sembra delineare il profilo di un volto26. Aldo
Van Eyck è un conoscitore della cultura arcaica, alla quale si avvicina, paradossalmente,
studiando l’arte moderna. Le piante delle sue architetture ricordano alcune composizioni di
Mondrian o Lhose di matrice neoplastica, che a loro volta non risultano troppo dissimili dai motivi
ricamati nei tessuti africani. Nello stesso modo, le sculture di Brancusi rimandano ad un
immaginario arcaico, primitivo. Di nuovo, si evince la capacità di Van Eyck di risalire all’unità dietro
la moltitudine delle differenze.

Fig. 3.5 Fig. 3.6

Tessuto Bakuba, Congo R.P. Lhose, Konkretion I, 1945-46

L’orfanotrofio è, quindi, anche un’architettura antica. L’utilizzo del mattone segna il ritorno dello
spessore murario che, combinato con il vetrocemento, torna ad essere materia e superficie,
colore, qualcosa da toccare. Le fughe dei cerchi tracciati sul pavimento attorno alle colonne,
invogliano i bambini a giocare girandoci intorno. Le sedute circolari, che racchiudono uno
specchio d’acqua, diventano delle occasioni di gioco per i bambini, che sono i veri attori dello
spazio. I cambi di quota sono raccordati da un gradino sagomato, che invita a salire ma anche a
sedersi, per scambiare qualche parola con chi sta passando da lì. Van Eyck pensa ad una vera e
propria coreografia spaziale, composta da elementi architettonici che possono essere scoperti ed
utilizzati con fantasia dai bambini, che riconoscono lo spazio come proprio e come l’estensione
dei propri movimenti. Tutto è progettato in maniera tale che anche un dettaglio, un piccolo segno

25 Mondrian, Plastic Art and pure Plastic Art, in J.L Martin, B. Nicholson, N. Gabo, 1937 p.47

26Strauven, Aldo Van Eyck - Shaping the New Reality From the In-between to the Aesthetics of Number, CCA Mellon
Lectures, 2007, p.9
12
come una fuga nel pavimento, rimanga impresso nella memoria. La temporalità e la memoria sono
la chiave attraverso la quale l’architettura di Van Eyck diventa “emozionale”: un luogo senza
tempo, o meglio che appartiene a tutti i tempi, in cui ci potremo sempre rincontrare.

Fig. 3.7 Fig. 3.8

13
4. Fonti bibliografiche

• Kollarová, Denisa, & Lingen, Anna van. Seventeen Playgrounds - Amsterdam, Lecturis,
Amsterdam, 2016.

• Lefaivre, Liane, e Tzonis, Alexander. Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a
Postwar World, 010, Rotterdam, 1999.

• Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture & Natura,
Amsterdam, 1998.

• Strauven, Francis. Aldo Van Eyck - Shaping the New Reality From the In-between to the
Aesthetics of Number, CCA Mellon Lectures, 2007.

• Van Eyck, Aldo. Aldo Van Eyck: Collected articles and other writings 1947-1998, a c. di
Vincent Ligtelijn e Francis Strauven, SUN, 2008, p. 187

• Van Eyck, Aldo. Writings. The Child, the City and the Artist. An Essay on architecture.
The in-between realm. Edited by V. Ligtelijn and F. Strauven. SUN Publishers,
Amsterdam 2008.

Iconografia

• Fig. 1.1 - J. Mirò, Painting, 1927. Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of
Relativity. Architecture & Natura, Amsterdam, 1998, pp. 114.

• Fig. 1.2 - P. Mondrian, Composition with Colored Rectangles, 1917. Strauven, Francis.
Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture & Natura, Amsterdam, 1998, pp.
115.

• Fig. 2.1 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 350

• Fig. 2.2 - Mappa dell’archivio comunale dei parchi giochi di Amsterdam 1957, Liane
Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a
Postwar World, 010, Rotterdam, 1999, pp. 19.

• Fig. 2.3 - fotografia prima e dopo l’intervento di Aldo Van Eyck a Dijkstraat 1954, Liane
Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a
Postwar World, 010, Rotterdam, 1999, pp. 26-27.

• Fig. 2.4 - fotografia prima e dopo l’intervento di Aldo Van Eyck a Egelantiersstraaat,
1956, Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening
in a Postwar World, 010, Rotterdam, 1999, pp. 26-27.

14
• Fig. 2.5 - fotografia prima e dopo l’intervento di Aldo Van Eyck a Conradstraat, 1957,
Liane Lefaivre e Alexander Tzonis, Aldo van Eyck - Humanist Rebel, Inbetweening in a
Postwar World, 010, Rotterdam, 1999, pp. 26-27.

• Fig. 3.1 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 285

• Fig. 3.2 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 290

• Fig. 3.3 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 296

• Fig. 3.4 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 296

• Fig. 3.5 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 95

• Fig 3.6 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 95

• Fig 3.7 - - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 1

• Fig. 3.8 - Strauven, Francis. Aldo Van Eyck: The Shape of Relativity. Architecture &
Natura, Amsterdam, 1998. p. 301

15
Work Process
- 21 aprile. Primo incontro organizzativo: abbiamo iniziato a guardare le slide delle lezioni passate
e di quelle successive con l’intento di selezionare le nostre aree di interesse.

- 25 - 28 aprile. Decisione di indagare il macro-tema dell’architettura sociale del dopoguerra,


corrispondente alla lezione tenutasi il 22 marzo.

- 2 maggio. All’interno del macro-tema, abbiamo deciso di focalizzarci sullo studio di Aldo Van
Eyck.

- 3 maggio. Ricerca delle fonti bibliografiche e raccolta del materiale. Attraverso una prima
ricerca sia collettiva sia personale, abbiamo delineato più nello specifico le tematiche da
trattare all’interno della tesina.

- 6 maggio. Stesura punti chiave della ricerca e consegna abstract il 10 maggio.


- 9 giugno. Divisione ricerca in parti e inizio stesura individuale della tesina: Elena si è occupata
della parte introduttiva, analizzando il contesto generale dell’Europa postbellica; Giovanna si è
focalizzata sulla figura di Aldo Van Eyck e sulle sue prime idee e realizzazioni; Yannis ha invece
analizzato, più nello specifico, il progetto dell’Orfanotrofio.

- 13 - 17 giugno. Una volta terminati i testi individuali, li abbiamo condivisi e commentati insieme.
Successivamente, abbiamo unito le nostre ricerche in un discorso lineare.

- 21 - 22 giugno. Lettura finale della tesina, apportando aggiustamenti formali. Completamento


delle note, della bibliografia e dell’iconografia.

16
Integrity Statement

I hereby certify that the present work entitled:

Title
Aldo Van Eyck: Verso un’architettura più umana

was independently written by me, that no other


sources and aids than those specified have been
used and that the parts of the essay taken from
other publications, including electronic media, in
wording or meaning, have been identified as
borrowed, stating the source.

Ioannis Barbas, Giovanna Gambaro, Elena Peroni


Mendrisio, 22.06.2023

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