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Necessità e caso: il progetto

dell’abitare in Aris Konstantinidis


Giovanni Leoni

Chi percorra la strada panoramica che da Atene conduce a Sounio, può incontrare per ben due volte,
ai km 47 e 48, lo spirito di Mies van der Rohe. Giunti nella località denominata Anávyssos, infatti, si
trovano, a poca distanza l’una dall’altra, due case di vacanza costruite negli stessi anni (1961-64),
una su progetto di Nikos Valsamákis (Atene, 1924) e una su progetto di Aris Konstantinidis (Atene,
1913-93). Colpisce poter osservare, nello stesso straordinario paesaggio, a così breve distanza e in
posizione del tutto eccentrica rispetto ai luoghi di elaborazione della cultura architettonica moderna
europea, due edifici che, in modo del tutto differente, sono così strettamente apparentati alla ricerca
miesiana.
La matrice miesiana della casa di Valsamákis, considerato un rappresentante del purismo raziona-
lista greco, è evidente e visibile perché basata su riferimenti di natura formale. Più complesso, e forse
più interessante, è tentare di comprendere in che modo, sul piano storico come su quello teorico, il
piccolo edificio di Konstantinidis e più in generale la sua ricerca architettonica, si riconnettano ad al-
cune fondamentali indicazioni di Mies, affondando, con lui, in comuni radici della cultura architettonica
europea che dovremmo far risalire, quanto meno, a Eugène Emmanuel Viollet le Duc.
La formazione architettonica di Aris Konstantinidis – per la quale si rimanda al saggio di Helen
Fessas Emmanouil contenuto in questo stesso volume – avviene al Politecnico di Monaco tra il 1931
e il 1936; negli stessi anni egli compie viaggi di studio in Francia, Belgio, Olanda, Italia, Austria e
Ungheria. Ma il suo non è il percorso di un architetto regionale desideroso di portarsi al centro della
cultura modernista europea. Lo studio della nuova cultura architettonica mitteleuropea è vissuto
come apprendimento di una “lingua straniera” utile, secondo la sua stessa espressione, après Goethe,
solamente «per meglio apprendere la propria».
Dal suo percorso formativo in terra straniera, Konstantinidis ritorna con la convinzione che ogni in-
novazione, ogni movimento d’avanguardia, ogni tentativo di costruire un’architettura che si possa
definire nuova o moderna, è vano se non si perseguono due obiettivi: il primo è la ricerca della verità,
il secondo la ricerca della specificità. Articoleremo più avanti i due concetti riferendoli all’architettura
costruita di Konstantinidis, tuttavia è importante ricordare subito che, «fortificato», ma in alcun modo
abbagliato dai linguaggi architettonici conosciuti fuori patria, nel 1936 egli, portatosi nuovamente
sotto «il cielo luminoso» della «sua lingua», intraprende nuovi studi e, più precisamente, scopre la le-
zione dell’architettura anonima come chiave risolutiva della tormentata ricerca di «un’architettura
vera e contemporanea». Ed è certamente questo l’aspetto da sottolineare. L’incontro con l’architet-
Tavola comparativa con gli schemi strutturali
tura anonima greca non è un atto di nostalgia, da parte di Konstantinidis, ma un’illuminazione sulla via delle case:
dell’innovazione e di una modernità architettonica intesa, miesianamente, non come un bambinesco 1 Papapanaghiotou ad Anávyssos
2 Konstantinidis a Spétses
3 Wood a Spétses
4 Viktor Melás al Penteli
5 Eleni Konstantinidi a Egina
6 Iannis Móralis a Egina
7 Klaudianós a Egina
8 Klaudianós a Egina
9 casa-studio di Aris Konstantinidis
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«gioco di forme» ma come «l’autentico campo di battaglia dello spirito», «cristallizzazione» di un’e- mentre la possibile attualità dell’architettura è affidata alla ricerca di una giustezza architettonica co-
poca, «della sua intima struttura». stante nel tempo e indipendente dai dati stilistici o dalle innovazioni formali seguite al definitivo
L’architettura anonima, greca o di altri Paesi, è un’architettura, scrive Konstantinidis, totalmente as- tramonto degli stili.
sente dagli studi fatti, ma che egli “riconosce” nella sua forza di lezione architettonica assoluta in un È una scelta, la sua, che evidentemente implica una sorta di autocondanna alla marginalità.
processo di vera e propria “rivelazione”. Nel momento in cui il movimento moderno costruisce la propria storiografia e la propria mitologia,
Konstantinidis non si ferma agli aspetti esteriori dell’architettura anonima, non è certamente inte- che sono una storiografia e una mitologia fondate sulla personalità artistica, sulla capacità individuale
ressato ad aggettivazioni vernacolari, ma ne studia la profondità «la forza generatrice che ne giustifica di inventare forme nuove e affermarle anche sul piano della comunicazione, non necessariamente
l’esistenza», quella che, citando il poeta Dionysios Solomós (1798-1857), definisce la «vera essenza». cancellando la dimensione impersonale e collettiva richiesta dai processi di costruzione e uso dell’ar-
A dimostrazione del fatto che non si tratta di un processo di natura visiva e figurativa, chitettura, ma certamente relegandola a un ruolo secondario rispetto alla forza espressiva della figura,
Konstantinidis testimonia che la sua comprensione dell’architettura anonima inizia a essere vera- Konstantinidis sceglie, ben conoscendo le nuove forme e la loro efficacia, il confronto con una dimen-
mente efficace solamente nel momento in cui egli costruisce. Solo nel corso del procedimento sione strutturale ed essenziale dell’architettura, che invece di esaltare la personalità tende a
costruttivo, mosso dal desiderio di risolvere “problemi” contemporanei, la lezione dell’anonimo si cancellarla, a lasciar prevalere l’opera sull’autore. È un destino che lo accomuna ad altri architetti della
mostra per ciò che è, non un modello da imitare sul piano figurativo per semplificare il lavoro pro- stessa generazione, operanti in diverse regioni d’Europa – Roland Rainer (1910-2004) in ambito au-
gettuale, ma lezione di semplicità, di chiarezza costruttiva e di accordo con i caratteri “scultorei” del striaco-tedesco, Antoni Coderch (1913-84) in Spagna, Jørn Utzon (1918-2008) nei Paesi scandinavi,
paesaggio greco. Fernando Távora (1923-2005) in Portogallo, per citare alcuni nomi che con Konstantinidis condivi-
L’anonimo appare a Konstantinidis come la chiave di accesso a una modernità da un lato svinco- dono un atto di consapevole superamento dei linguaggi moderni per una «terza via», come Távora la
lata dalle mitologie del moderno – dalla proiezione della ricerca di una nuova architettura in un futuro definirà, né articolazione regionale di quei linguaggi né rifiuto degli stessi in chiave storicista, ma ri-
non ancora accaduto e foriero di nuove forme –, dall’altro radicata in una concezione della storia non torno ai fondamenti oggettivi della disciplina architettonica, indagine su una dimensione sovrastorica
critica ma operativa. dell’architettura, sulla presenza di soluzioni costruttive ritornanti e costanti dovute a un rapporto, in
La «vera architettura contemporanea» – egli afferma – non consiste nella comparsa del total- parte sempre uguale nel tempo, tra uomo e mondo. Tale dimensione antropologica del progetto, che
mente nuovo, perché «non esiste nulla senza un precedente […] nulla viene dal nulla. Il che significa non può non fondarsi sul rapporto specifico con un luogo, non porta tuttavia, nella prospettiva di
che quanto facciamo oggi a modo nostro è già stato fatto in altri modi. Significa anche che la perfe- Konstantinidis come degli altri architetti citati, a risultati locali ma, al contrario, aspira a risultati di va-
zione, se mai esiste, è pre-esistita. Rilke lo intuì quando scrisse i versi: “Se anche rapido il mondo / lore universale.
come forma di nuvola si muta, / ritorna ai suoi principi / ogni cosa compiuta”1. Ecco come stanno le «Dunque, più l’architettura è genuinamente interprete di un Paese – scrive Konstantinidis – più ac-
cose, ecco come è la vera architettura contemporanea. Al di là dei sintomi accidentali di un’epoca, la quista rilievo e valore di verità per gli altri. Ne deriva un’identità, un’esistenza, un valore internazionale
vera architettura testimonia con tutta se stessa certi valori e certe verità fondamentali ed eterne perché le persone, in qualsiasi luogo della terra, hanno le stesse necessità, gli stessi legami, gli stessi
spesso comuni a molti paesi»2. amori, gli stessi sogni. Una sola umanità.
Tali affermazioni collocano la ricerca di Konstantinidis con grande chiarezza nei processi di forma- Intendo dire che probabilmente l’architettura è il fenomeno capace di mostrare il mondo interiore
zione dei nuovi linguaggi architettonici novecenteschi. Le figure proposte dalle avanguardie artistiche di ogni essere umano»3.
sono riportate, immediatamente, si può dire senza nemmeno una specifica fase di sperimentazione In tale chiave l’anonimo di Konstaninidis non è mascheratura figurativa dell’atto artificiale, non è
operativa da parte dell’architetto greco, al ruolo di linguaggi, innovativi ma non rifondativi della disci- sogno dechirichiano di un incontro divino tra uomo e natura, non è illusione di una possibile “sponta-
plina architettonica, perfettamente assimilabili a una secolare storia di variabili forme architettoniche, neità” del progetto, non è suggestione linguistica di stampo “neorealista”.

Nikos Valsamákis, villa Lanarás ad Anávyssos, 1961-64.


Casa Papapanaghiotou ad Anávyssos, 1962-64.
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Non vi è, in Konstantinidis, alcuna ricerca di una naturalità architettonica, nessuna illusione che si
possa ritrovare fondamento al progetto fuori dalla responsabilità umana e dalla artificialità.
L’anonimo diviene modello, al contrario, perché in esso si mostra la vera natura dell’architettura
come opera totalmente umana, come sapiente artificio messo in atto per rispondere all’inospitalità
della natura.
Nell’anonimo Konstantinidis ricerca la nudità e la correttezza dell’atto costruttivo non la nostalgia
di una dimensione artigianale, non il mito della pura funzionalità ma l’esercizio di un’architettura intesa
come atto semplice e poetico di trasfomazione della materia per favorire la vita dell’uomo nelle sue
esigenze fisiche e spirituali.
Una semplicità d’atto che, nella modernità, è forse il risultato più difficile in quanto richiede una pu-
rificazione da ogni retorica, richiede la capacità di “dimenticare” i sistemi di forme che la storia
inevitabilmente, come una ricchezza e come un peso, impone, nella ricerca di un’essenzialità che so-
lamente può essere raggiunta mediante una rigorosa disciplina del costruire.
Tale disciplina ha certamente una stretta relazione con la tradizione, intesta non però come cono-
scenza critica delle forme storiche, ma come trasmissione, nel tempo, di saperi e di procedure
costruttive, una memoria scritta negli edifici, nella loro consistenza materiale, piuttosto che nelle bio-
grafie, artistiche e intellettuali, di chi tali edifici ha ideato, dunque un sapere che emerge con tanto
maggiore evidenza laddove la biografia dell’autore è del tutto assente.
«Nelle vecchie case “popolari” di Atene l’uomo “popolare” non agisce per passione, per commo-
zione unilaterale o per una assurda fantasia, ma dopo aver disciplinato la sua volontà, la sua
conoscenza e la sua capacità a ciò che è assolutamente necessario e dopo aver ricapitolato, nel suo in-
timo, in una complessiva purezza, tutte le necessità della vita, pervenendo al superamento
dell’elemento soggettivo ed eccessivamente individuale e giungendo immacolato all’essenza e all’ele-
mento comune, cioè a una soluzione complessiva, a una forma rasserenatrice, a un’unità stilistica, in
altre parole a una soluzione formale, a una forma, a modello architettonico. L’elemento più significativo visibilmente racchiuso in ciò che è comune e lo si possa quindi cogliere, come detto, in forma di rive-
e importante nelle costruzioni che ci interessano è che si fondano sulle leggi che giustificano la nostra lazione, mediante una osservazione di ciò che è impersonale.
esistenza in un determinato paesaggio greco che ha le sue caratteristiche climatiche, i suoi prerequi- È evidente che tale concezione dell’architettura come confronto con l’elementarità e con l’espe-
siti, i suoi vincoli, linea e qualità greche, colore greco.»4 rienza di ciò che è comune in quanto veicolo, lezione visibile, dell’essenziale permanente nel
La ricerca di tale sapere scritto nel corpo stesso degli edifici, la possibilità di attingere a una di- dispiegarsi fenomenologico degli stili e dei linguaggi architettonici nel tempo, trova nel progetto della
mensione oggettiva dell’architettura, assume in Konstantinidis più che il tono di una rinuncia alla residenza unifamiliare il più consono dei temi.
propria personalità espressiva, il carattere mistico di una uscita da sé, di una vera e propria rivelazione. Konstantinidis realizza la sua prima casa a Eleusi (oggi Elefsina) nel 1938, fissando da subito gran
«C’è una cosa – scrive Konstantinidis – che voglio dire riguardo alla mia opera: un dio mi ha illuminato parte dei caratteri principali del suo progetto per la casa unifamiliare.
e grazie a ciò ho colto, fin dall’inizio, una verità. È come se mi fosse stato rivelato ciò che era vero e ne- Il complesso ha una struttura paratattica che organizza, su un terreno degradante per un dislivello
cessario per la terra in cui sono nato; ciò che è vero e necessario alla sua vita in una data epoca […] di oltre 20 metri lungo i 100 circa che separano la strada e il mare, una sequenza di luoghi, in parte
essendomi garantito questa “scoperta” non mi restava altro da fare che viverla ed esperirla, immutata aperti e in parte chiusi, da considerarsi tutti elementi integrati della casa. A ovest dell’ingresso ven-
ma rinnovata giorno dopo giorno, ringiovanita e perfezionata»5. gono costruiti, per lo più con muri a secco, dei terrazzamenti collegati da scale, tra i quali viene
È l’idea, già violletiana, di un istinto del costruire, dote che non ha alcuna relazione con l’intuizione collocata una pergola realizzata con esili tronchi in legno semplicemente sbozzati che reggono una co-
creativa da cui nasce l’invenzione formale. Se questa, attivamente, genera il nuovo, la “rivelazione” di pertura in cannicciato. Si tratta di una struttura elementare desunta dall’architettura spontanea greca,
cui Konstantinidis scrive, passivamente pone il progettista in relazione con il già accaduto, spinge a in- che in questa prima casa di abitazione ha un ruolo non certo esornativo, quanto piuttosto program-
dagarne i risultati non per modificarli ma per reiterarli, concependo l’atto inventivo come ripetizione, matico, come presto vedremo, poiché ben rappresenta, in forma estrema, l’essenza dell’architettura
attualizzazione e costante perfezionamento del già costruito e non come invenzione mai apparsa. domestica secondo Konstantinidis, ovvero l’atto di porre, con il più essenziale procedimento costrut-
La verità che Konstantinidis pone alla base della pratica architettonica è una verità di fatto, non tivo possibile, un tetto tra la terra e il cielo.
soggettiva, una verità scritta nel mondo oggettuale, raggiungibile non per via interpretativa ma grazie L’abitazione in senso stretto è, anch’essa, una sequenza di spazi correlati e autonomi organizzati
a una mistica disposizione all’ascolto di ciò che, nella modernità, sembrerebbe essere divenuto muto. secondo un percorso e ricavati applicando il principio della scatola muraria. A nord volumi minori e più
Non siamo certo molto distanti dal «dovere di acquisire una conoscenza esauriente delle cose e delle chiusi ospitano un bagno, una cucina e una stanza con camino, poi un dislivello alla quota del pavi-
loro interconnessioni» di cui parla Mies, in anni a ridosso della formazione tedesca di Konstantinidis, mento conduce nello spazio unico che ospita il soggiorno, il pranzo e il letto. Tale volume risulta di
rispondendo all’appello di Romano Guardini contro una «singolare svuotamento di realtà» che «rende maggiore altezza – poiché a fronte dell’abbassamento del piano rimane alla stessa quota la copertura
larve uomini e cose». –, di maggiore ampiezza e, a differenza degli altri già citati, è dotato di grandi aperture rivolte al mare,
Nel 1975 Konstantindis raccoglie in un volume una raccolta di fotografie, schizzi e disegni accom- in direzione sud. Grazie alle aperture lo spazio si estende in una veranda che si può considerare un
pagnati da annotazioni, immagini con cui ha fissato, nell’arco di trent’anni, elementi della vita e del unicum nell’architettura di Konstantinidis. Invertendo il principio, a lui caro, della essenziale relazione
paesaggio in terra greca, individuati come ciò che «sostanzialmente rimane immutato ed eterno». tra tetto e suolo, egli propone qui infatti dei pilastri a base quadrata, di proporzioni imponenti se para-
Significativamente il titolo di questa autobiografia impersonale e oggettiva è Elements of Self- gonate alla struttura con cui si relazionano, a sorreggere un’esile pergola. Lo si potrebbe considerare
Knowledge e sarebbe certamente interessante seguire, nelle riflessioni teoriche degli architetti che un omaggio, e un estremo saluto a voler considerare la sua produzione successiva, alla monumenta-
abbiamo accostato alla figura di Konstantinidis – e in altri che vi si potrebbero accostare – quali forme lità classica, sia essa di matrice greca o di una classicità filtrata dalla cultura schinkeliana che segna
assume il genere dell’“autobiografia anonima”. L’idea chiave di Elements of Self-Knowledge è che l’es- anche la prima produzione miesiana, cultura che, come detto, è parte integrante della formazione del
senziale non si ricavi per rinuncia alla complessità – dunque per via purista di astrazione – ma sia nostro. Resta da sottolineare come la sequenza di scatole murarie che la lettura della planimetria sug-

Casa Eftaxías a Eleusi, 1938: pergola di legno


e cannicciato nel giardino, planimetria generale
e pianta.
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gerisce, organizzi, di fatto, un fluido susseguirsi di spazi, separati tra loro da elementi “tessili” gerar- è nella casa di Sykiá che si fissa come una grammatica in grado di articolare la complessità di orga-
chicamente inessenziali rispetto al prevalere del volume murario principale – nel caso della divisione nizzazione spaziale e di rapporto con il luogo, una grammatica che si svilupperà in progetti
tra la stanza del focolare e il soggiorno una vera e propria tenda in stoffa – caratterizzati per differenze straordinari come i camerini di Epidauro (1957-58) o l’hotel Xenía di Mykonos (1958-60). Per chi
altimetriche, per relazione con l’esterno al cambiare delle murature, per grado di luminosità. La lezione fosse tentato di considerare tale sperimentazione in chiave vernacolare, può essere utile ricordare
della casa ateniese, che Konstantinidis sta iniziando a studiare scientificamente ma di cui ben conosce una coincidenza di date: è in questi anni che Mies giunge ai più maturi risultati nella sua ricerca di
i caratteri, certamente si coniuga con lezioni, non di linguaggio ma di più profonda riflessione sullo una “ontologica” – come è stata definita – fusione tra telaio e tamponatura. L’accostamento è forse
spazio e la costruzione, apprese nei suoi studi tedeschi, oltre il già citato Mies, qui indubbiamente spericolato ma non privo di fondamenti poiché è evidente che la capacità di Konstantinidis di artico-
anche Loos. lare i due principi e di declinare, grazie a ciò, la relazione tra spazio aperto e spazio chiuso, deriva da
Nella casa a Sykiá del 1951, Konstantinidis aggiunge – rispetto all’edificio di Eleusi – alcuni elementi medesime radici culturali e, in particolare, da un’applicazione rigorosa, e chiarificata appunto, dei
al suo sistema ma, soprattutto, compie un passo decisivo verso quella chiarezza costruttiva che è vei- principi semperiani.
colo principale per ottenere l’essenzialità e la verità architettonica cui tende. Infine, la casa di Sykiá è non meno esemplare per il suo fissare, in forma costruita, un altro tema
Il lavoro sul suolo è riportato a un atto di chiarificazione – che raramente manca anche nel progetto chiave di Konstantinidis, ovvero la ricerca – materica e spaziale – del non-finito, di cui meglio diremo.
miesiano – ovvero alla costruzione di un basamento, da Konstantinidis realizzato in pietra locale e La casa, già citata in apertura, che Konstantinidis costruisce, all’inizio degli anni sessanta, in località
dunque in continuità materica, ma non formale, con il suolo naturale. Il basamento, eccedendo le di- Anávyssos, a circa 50 chilometri a sud di Atene, è da considerarsi certamente la sua architettura mani-
mensioni dei volumi costruiti crea, a sud, uno spazio aperto ma integrato alla casa che è, nuovamente, festo, l’opera che più di ogni altra offre una visione costruita – oggi purtroppo deturpata da costruzioni
ispirato a un elemento essenziale della casa tradizionale greca studiata da Konstantinidis. Lo spazio è circostanti – della sua concezione di un’architettura essenziale e tipica.
organizzato per scatole murarie ma non vi è più una gradazione tra spazio chiuso e spazio aperto, Avvalendosi delle piccole dimensioni dell’edificio e della straordinaria collocazione geografica,
bensì una netta e chiara distinzione. Konstantinidis assume, virtuosisticamente, il suolo naturale come basamento dell’edificio. «L’architettura
I due blocchi chiusi, segnati solamente da piccole aperture, ospitano, nel corpo a ovest un bagno e ha uno sguardo umano e un corpo umano che sta eretto oppure ondeggia proprio come accade agli uo-
una camera da letto, nel corpo a est una zona di soggiorno, pranzo, e cucina. mini, che assumono posture differenti in luoghi ed epoche differenti.»6
Le due “stanze” ne racchiudono tuttavia una terza, pienamente integrata nel sistema di spazi, ma La naturalezza e, al tempo stesso, il coraggio e la chiarezza con cui il piccolo edificio si colloca al co-
esattamente opposta per principio spaziale in quanto totalmente aperta tanto verso il paesaggio na- spetto del glorioso e imponente paesaggio di capo Sounio è certamente la prima e più visibile dote
turale del mare quanto verso il paesaggio costruito del piccolo cortile. della casa di Anávyssos.
Due elementi mostrano con chiarezza che non si tratta di un luogo di passaggio ma di una stanza Impadronitosi del suolo, Konstantinidis contiene l’ideazione della propria architettura nel gesto che
perfettamente integrata nell’edificio. Il “sistema” basamento-tetto, che definisce e unifica i tre spazi egli considera essenziale: la collocazione di un tetto tra cielo e terra.
senza distinzione, e il telaio strutturale in cemento armato che, appartenendo visibilmente al sistema Ciò fatto, si occupa della relazione tra spazio esterno e spazio interno, ovvero dell’organizzazione
di copertura e sostegno, resta leggibile tra le pareti in pietra dei corpi chiusi – come marcapiano e in- della vita nello spazio definito dal tetto, dunque della relazione tra l’atto del proteggere e l’offerta di op-
corniciatura delle finestre –, estendendosi poi, come un tracciato di forte astrazione ma di portunità di relazione con la natura esterna.
inequivocabile chiarezza, a definire la “presenza” delle pareti trasparenti della terza stanza centrale. Lo fa abbandonando la relazione-tensione tra spazio scatolare e spazio aperto che segnava le due
La relazione tra telaio, come elemento ordinatore e misuratore, e muratura, era stata sperimen- case analizzate sopra, che segna larga parte della ricerca modernista, che caratterizza – per mante-
tata da Konstantinidis in una serie di progetti per edifici d’abitazione a più piani ad Atene, tra il 1947 nere un parallelo che certo non esaurisce la ricerca di Konstantinidis ma per molti aspetti la illumina –
e il 1950, ed è anche principio centrale nel progetto per la Galleria d’Arte Nazionale, del 1956-57. Ma tutta la sperimentazione di Mies.

Casa Kakrídis a Sykiá, 1951: dettaglio dell’ipóstego


e fronte verso la strada.
Casa Papapanaghiotou ad Anávyssos, 1962-64:
dettaglio dell’ipóstego e pianta quotata.
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Tre setti paralleli in pietra generano uno spazio che ha, al tempo stesso, la dimensione infinita dello lo spazio del soggiorno è un ricordo dei cortili della «semplice, chiusa e silenziosa» casa ateniese. Nel
spazio aperto e la dimensione finita e controllata di uno spazio chiuso, non appartenendo, infine, né al- soggiorno campeggia, come sempre, un camino, centro della vita domestica ed elemento autonomo
l’una né all’altra categoria (o a entrambe). rispetto alla struttura complessiva dell’edificio.
Se considerato nella sua dimensione longitudinale, ovvero parallela ai setti, lo spazio è infinito per Se nel 1951, a Sykiá, Konstantinidis mette a punto la descritta integrazione tra telaio e muratura, se
non avere elementi – o quanto meno non elementi dello stesso valore gerarchico – che chiudano i nel 1962-64, ad Anávyssos, sperimenta la soluzione più essenziale ed esatta – sul fronte della stereo-
setti ad angolo. Se considerato nella direttrice ortogonale alla disposizione dei setti, lo spazio è reso in- tomia – per l’atto elementare e decisivo di porre un tetto tra terra e cielo, tra il 1958 e il 1963 lo
finito per un sistema di aperture, da suolo a tetto, che in un gioco di sfalsamenti lo aprono, visivamente vediamo applicare a due residenze unifamiliari – casa Trezos a Vouliagmeni e casa Bernitsa a Philothei
e fisicamente, all’esterno. – il principio del telaio e della tamponatura tessile già utilizzato nei tre padiglioni espositivi di
Tuttavia, nonostante tale doppia apertura in direzione dell’infinito, la geometria dei setti controlla lo Tessalonica (1952, 1954 e 1959) e in una sequenza, che proseguirà oltre questa data, di hotel Xenía:
spazio della casa e lo definisce con grande chiarezza, introducendo un altro elemento chiave del si- Lárissa, 1958-59; Igoumenitsa, 1958-59; Kalambáka, 1958-62; Paliouri, 1960-62; Olympia 1, 1959-63.
stema architettonico di Konstantinidis, ovvero la composizione per misura modulare. Lo spessore del Tuttavia, se tale grammatica appare logica nelle strutture espositive e dimostra grande efficacia nella
muro in pietra infatti – 50 cm –, è misura generatrice dell’intero sistema che qui si articola nella gestione della complessità di interventi quali gli Xenía, se avvicina sul piano visivo l’architettura di
estrema semplicità di due campate, una doppia dell’altra, ma che, come vedremo, si rivelerà un flessi- Konstantinidis alla sensibilità del tempo, le due case di Vouliagmeni e Philothei appaiono, nello svi-
bile e potente dispositivo di composizione anche per spazi ben più complessi. luppo della sua ricerca sulla residenza unifamiliare intesa come lente per comprendere i dati essenziali
È interessante notare come, nello stesso anno in cui sperimenta l’essenzialità radicale della casa di del suo sistema architettonico, se non una battuta d’arresto, certo una soluzione che Konstantinidis
Anávyssos – dove l’intuizione spaziale ora descritta è ottenuta senza avvalersi del sistema telaio deciderà di non coltivare ulteriormente, riservandola, nell’ambito dell’edilizia residenziale, a edifici
muratura messo a punto nella casa di Sykiá –, Konstantinidis ha l’occasione di sottoporre quella complessi e plurifamiliari.
grammatica alla prova della vera e propria «competizione architettonica», come egli stesso la defi- Dalla casa a Spétses (1963-64), il progetto per la residenza unifamiliare diventa principalmente oc-
nisce, del dover costruire un’abitazione nella complessità della città di Atene. casione per sperimentare le potenzialità del principio costruttivo e spaziale focalizzato ad Anávyssos.
La casa di via Archimede e via Clitomaco sorge su un terreno scosceso nel centro di Atene, alle L’equilibrio tra spazialità aperta e scatolare offerto dal sistema dei setti murari modulari e sfalsati con-
spalle dello Stadio Panatenaico, e distribuisce su cinque piani un alloggio in cui, tra il garage del piano sente esercizi di controllo della complessità del luogo ma, soprattutto, offre una straordinaria
terra e gli ambienti residenziali principali vi sono più di 8 metri di sbalzo. Ciò non induce certamente flessibilità nelle risposte al programma combinata con la possibilità di variare radicalmente le qualità
Konstantinidis a mutare il proprio sistema. L’edificio ha una struttura in cemento con tamponature in spaziali modulando i semplici e ripetuti elementi del sistema.
pietra gialla e i balconi sono un’estensione del telaio in cemento arricchiti con elementi in acciaio tin- Nella casa a Spétses (1963-64) Konstantinidis imposta, sulla forma irregolare del terreno, una
teggiati in arancione e pannelli in legno tinteggiato di verde. La struttura in telaio e pietra rimane struttura di muri in pietra con spessore di 50 cm disposti a formare quattro campate con passo di 2
visibile all’interno della casa, i cui pavimenti sono in legno. Dai citati studi sulla casa ateniese deriva la metri. Al piano terra, il sistema s’incassa nel terreno verso sud, dove il lotto è in salita, e crea una strut-
decisione di collocare gli ingressi – carrabile e pedonale – ai livelli inferiori, rispettivamente dei piani di tura di fondazione in cui i cinque setti longitudinali vengono chiusi in forme scatolari. Man mano che il
servizio e di soggiorno, e l’ingresso pedonale in posizione laterale. Anche il piccolo giardino che integra terreno si abbassa di quota, le “stanze” così create – non accessibili – si aprono verso uno spazio che,

Casa Xidis ad Atene, 1960-61: vista della testata


dell’edificio da via Archimidous e dettaglio
del soggiorno con il camino.
Casa Trezos a Vouliagmeni, 1958-62: vista della testata
di ingresso e dettaglio del soggiorno con la scala
interna.
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per chi provenga dal cancello di entrata pedonale e abbia attraversato il giardino, accoglie come un
luogo intermedio tra esterno e interno – modulato su spazi differenti che rendono leggibile il sistema
dei cinque setti – distribuito da un percorso largo 2 metri, ortogonale al sistema dei setti stessi.
Risalendo la scala, posta a sud rispetto al percorso, ci si trova al piano principale, dove il sistema dei
setti paralleli si riduce a quattro e si chiarifica nella regolarità delle tre campate a modulo di 3 metri,
mantenendo una struttura tendenzialmente scatolare tanto nel sistema delle due campate di uguale
lunghezza – in cui è ospitata la zona giorno – quanto nella campata più corta a est, in cui si trova la cu-
cina. La scatola è tuttavia aperta, secondo il principio fissato a Anávyssos, grazie all’interruzione del
setto per moduli di 2 metri o multipli. Sono naturalmente i solai, di copertura e intermedio, costruiti in
cemento, a unificare e ricongiungere il sistema modulare di muratura e vuoti ora descritto.
La casa bifamiliare che Konstantinidis realizza sulla stessa isola a breve distanza di tempo (1965-
67), così come la casa della sorella Eleni (1975-76) e la casa-studio (1978) a Egina, non fanno che
articolare con maggiore complessità lo stesso principio di “standardizzazione costruttiva”, così come
lo definisce lo stesso Konstantinidis in alcune pagine del suo Projects + Buildings, schematizzando i
principi generativi di queste sue realizzazioni.
La chiarezza costruttiva che Konstantinidis mette così a punto, in forma esemplare, nelle case uni-
familiari, è il veicolo per giungere a uno degli obiettivi primari della sua architettura: il tipico.
«Ecco, in breve, come ho trovato la forza e l’entusiasmo per costruire sempre con il medesimo
spirito, con la stessa concezione strutturale e scultorea, sempre con convinzione e con amore immu-
tati. Così, forse, ciò che di vero contiene la mia opera si è rivelato essere contenuto semplicemente in
quegli elementi che si potevano ripetere e ricreare come in una rinascita: un progetto tipico e una co-
struzione tipica. Ho scoperto da solo, in qualche modo, che se si cercano la perfezione e verità genuine
si arriva a un tipo o a una regola. In altre parole, si ottengono costruzioni che, avendo la stessa essenza
anche se non la stessa forma, sono come fratelli. Fratelli, ognuno con la sua personalità, con la sua sta-
ture, con la sua ispirazione. Uno sorge qui, l’altro là, simili ma diversi a seconda della istanza che ha
determinato la loro nascita, condizionati dal sole e dalla terra che ha dato loro la vita.
Poiché la questione della regola o del tipo è importante nella costruzione, permettetemi di elabo-
rarla ulteriormente. Un’ampia esperienza, ottenuta mediante la pratica e la teoria, produce una
organizzazione della struttura che può essere applicata come un canone in tutti gli edifici, mantenen-
dolo immutato o assoggettandolo a molte variazioni. Mediante l’uso di tecniche strutturali precise e
di materiali specifici si arriva a un progetto tipico che rende funzionale l’opera architettonica. Questo
progetto strutturale e funzionale è una ricerca dell’opera architettonica ideale, il tipo architettonico,
che attribuisce funzioni differenti al medesimo spazio, a seconda della necessità […] Ciò accade solo
quando un edificio è strutturalmente completo e sano. A tal fine, un’opera architettonica è “governata”
o da muri in pietra che reggono, a intervalli determinati, un tetto, oppure da pilastri in cemento armato
che supportano, a intervalli determinati, la piastra che protegge la struttura. Ciò che scrivo può essere
osservato chiaramente in molte, se non in tutte, le costruzioni incluse in questo libro […] Vorrei ag-
giungere una cosa: una fiduciosa e ragionevole persistenza nel progetto rende tutto piano e semplice,
ma non sempre facile. C’è un tempo per le cose difficili e uno per le cose facili; un problema che in una
data occasione ha richiesto molto lavoro in un altro caso può essere licenziato con inattesa facilità»7.
L’elementarità del tipico, fondata su pochi principi costruttivi chiarificati, non deve in alcun modo
essere confusa con la semplicità, anche se non la esclude laddove è opportuna. Al contrario, la ricerca
del tipico ha come obiettivo, come subito vedremo, di offrire all’architettura un maggiore controllo
della complessità; della complessità del luogo in cui si costruisce, della complessità della vita per cui
si costruisce.
Ma prima di affrontare i due temi occorre dire che la chiarificazione del sistema costruttivo e la ri-
cerca del tipico implicano una concezione del tutto particolare della forma architettonica e del modo
in cui la si definisce. La elementarità dell’architettura di Konstantinidis non è infatti una semplifica-
zione o purificazione “della” forma ma “dalla” forma modernamente intesa e, miesianamente, il
problema della forma tende a coincidere con il procedimento tecnico e costruttivo. L’edificio non viene
concepito prefigurandone un’immagine, un “ritratto” che lo identifica singolarmente, rappresentato
con gli opportuni strumenti del prospetto e della prospettiva, e destinato a essere, in una fase logica-
mente successiva del processo progettuale, concepito nella sua costruibilità e poi costruito in maniera
quanto più possibile conforme alla immagine ideata. Il processo del dare forma, in Konstantinidis, è in-
teramente affidato alla pianta e alla sezione, come strumenti in grado di collocare correttamente
secondo misura e opportunità gli elementi costruttivi che compongono l’edificio e ne definiscono gli

Casa Konstantinidis a Spétses, 1963-64:


pianta del seminterrato e del piano rialzato.
Casa Wood a Spétses, 1965-67.
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spazi. La forma dell’edificio non è quindi un a-priori, ma solamente una conseguenza, visibile al ter- Chiarificazione degli elementi costruttivi, essenzialità del tipo, spersonalizzazione dell’edificio come
mine del processo di insediamento nel luogo e sviluppo del programma di vita all’interno dell’edificio figura, definizione delle specifiche qualità spaziali: sono queste le scelte che definiscono l’oggetto ar-
con gli strumenti elementari del costruire scelti da Konstantinidis a seconda dell’occasione: la stereo- chitettonico di Konstantinidis ma che certo non esauriscono la sua azione architettonica, i cui scopi
tomia e stereometria del muro o la carpenteria del telaio, per lo più in cemento. più alti vanno oltre la costruzione dell’edificio.
«La pianta di un edificio con muri in pietra disegnato mentalmente sul posto dovrebbe mostrare Al fondo del rigore della costruzione vi è, dobbiamo ricordarlo nuovamente, una mistica intuizione
con chiarezza la posizione specifica e la dimensione dei muri in pietra che sostengono il tetto. Lo di leggi da un lato oggettive e, dall’altro, sovrapersonali. Tali leggi si concretizzano, secondo la visione
stesso principio dovrebbe essere valido per una struttura a scheletro con pilastri di cemento, o acciaio di Konstantinidis, rispettivamente nel paesaggio e nell’agire degli uomini.
o legno. Anche qui, tutti i pilastri portanti e la loro posizione, gli specifici intervalli tra loro e anche le di- Distinguendosi in ciò radicalmente da Dimitris Pikionis (1887-1968), con particolare riferimento a
mensioni dovrebbero essere chiaramente visibili nella pianta. Lo stesso accade con la sezione o le opere come la celebre strada di accesso pedonale all’Acropoli (1953-57), Konstantinidis non tende in
sezioni: i muri in pietra o i pilastri che sorreggono la piastra o il tetto dovrebbero uscir fuori con chia- alcun modo a confondere la propria architettura con il luogo, non pone in atto processi analogici, non
rezza. Ne segue (ricordiamo che stiamo ancora “disegnando” sul posto) che i prospetti riveleranno confonde il costruito con il non costruito, il volontario con l’involontario – e nemmeno cerca il confine
l’articolazione strutturale dell’edificio. Gli elementi di supporto – muri in pietra o pilastri – sono diffe- tra l’uno e l’altro atteggiamento come, tipicamente e poeticamente, accade in Pikionis. Il nostro non
renziati rispetto agli elementi supportati […] Ciò che supporta solo se stesso è chiaramente visibile: dissimula in alcun modo l’artificialità della sua opera, non fa perdere mai le proprie tracce, ma compie
partizioni, muri esterni, finestre per dare luce all’interno, ringhiere dei balconi ecc. Così il prospetto, un atto costruttivo chiaro, evidentemente artificiale, offrendo al paesaggio una nuova struttura. E pro-
come la pianta e la sezione, esibisce tutti gli elementi della costruzione di un edificio […] Se hai le prio l’essenzialità della nuova struttura, la sua elementarità, gli consente di compiere – di governare –
piante e le sezioni, i prospetti seguono senza alcun sforzo; prima sul luogo, lo ripeto in maniera pe- atti insediativi dalla straordinaria complessità. Se la poeticità dell’agire di Pikionis consiste nel suo al-
dante, e poi sul tavolo da disegno. Non sono necessari esercizi speciali, nessuna contorsione per ludere a una relazione pre-tecnica tra opera dell’uomo e mondo fisico, la non minore poeticità della
ottenere buone (o cattive) proporzioni; le proporzioni presumibilmente si generano sul foglio quando architettura di Konstantinidis consiste nel mostrare l’opera dell’uomo nella sua nudità, il suo legittimo
veramente derivano dalla pianta e dal sito sul cui terreno (lavorando “con il terreno”) abbiamo conce- agire per difendere, a fronte di una natura non madre, di una natura inospitale, una debolezza che non
pito la sostanza della struttura da costruire»8. ha scelto, che nessun altro animale ha ricevuto, che è la sua condanna ma anche ciò che gli offre il pri-
All’edificio, secondo una concezione certamente più orientale che occidentale, manca la compiu- vilegio unico di una lingua architettonica.
tezza e la fissità di un’immagine singolare e riconoscibile ma la sua forma esterna, risultato di un Tuttavia, l’opera dell’uomo non deve semplicemente essere mostrata nella sua nudità – come
processo e non di una concezione ideale prefigurante, offre comunque, secondo l’espressione usata anche uno scultore potrebbe fare – ma deve essere mostrata, in architettura, nella sua legittimità.
da Konstantinidis «una forma significativa, un volto libero di esprimere il proprio mondo interiore». Nella concezione architettonica di Konstantinidis architettura e paesaggio si compenetrano, uni-
Ed è certamente questo “volto interiore” l’altro componente fondamentale della specifica espres- scono le proprie strutture, senza in alcun modo confondersi, l’uno opera divina, l’altra opera
sività architettonica delle sue architetture. Come già notato, il sistema costruttivo essenziale messo a dell’uomo. Ed è in tale unione rispettosa e visibile, non nella ricerca di una fusione, che risiede la legit-
punto dall’architetto greco è totalmente orientato a rendere visibile la natura dell’architettura come timità dell’atto architettonico.
strumento di protezione dell’uomo fino a mostrarne l’atto primario del porre un tetto tra terra e cielo. Il tipo, l’essenzialità, l’elementarità dell’atto architettonico sono attitudini di opportuna umiltà e
Compiuto tale gesto, con una chiarezza che non manca in nessuna opera di Konstantinidis, si tratta di chiave di ingresso per la complessità del paesaggio, la cui presenza nell’architettura offre una ric-
articolare la relazione che il luogo protetto ha con l’esterno, di calibrare, sulla base di necessità mate- chezza determinata dal contenere, il paesaggio, una memoria stratificata, oggettiva e sovrapersonale.
riali e spirituali, la relazione tra interno ed esterno. Il progetto di Konstantinidis non cerca, romanticamente, una memoria personale del paesaggio
«La verità dell’opera architettonica – scrive Konstantinidis in Elements of Self-Knowledge – con- greco, ma la relazione tra un atto costruttivo spersonalizzato, dunque disponibile ad assumere valori
siste prima di tutto ed essenzialmente in ciò: la sua composizione strutturale, la sua sostanza formale, e significati esterni, e la concretizzazione di valori e significati che nel paesaggio sono presenti, che dal
niente altro; una struttura che regge un tetto; ogni opera di architettura è volta a proteggere, a mettere paesaggio possono essere estratti, possono essere resi visibili e vivibili, proprio grazie alla elementa-
un tetto sulla testa di qualcuno, non è né più né meno che un tetto sospeso, che abbia o che non abbia rità della architettura.
mura; ciò dipende dalle richieste dell’edificio, dalle condizioni climatiche, dal fatto che gli abitanti di un Non è la memoria personale a guidare l’architettura e non deve, l’architettura, trasformare il pae-
paese vivono una vita del tutto o in parte all’aperto, dalla necessità di unire, con gradi variabili, “in- saggio in memoria personale. Si tratta, per richiamare un’espressione che Viollet usa a proposito
terno” ed “esterno” in un insieme organico, così che l’“interno” diviene spesso un altro “esterno” e dell’immaginazione architettonica, di una “memoria passiva”, la quale si confronta, come detto, con
l’“esterno” un altro “interno”»9. due distinti aspetti del paesaggio, uno oggettivo e uno sovrapersonale.
Nella gradualità dell’unione tra interno ed esterno è racchiusa, appunto, una delle grandi doti La componente oggettiva è la materia del paesaggio che diviene materia dell’architettura in una
espressive dell’architettura di Konstantinidis. Una gradualità che non è, tuttavia, confusione o mesco- comunione essenziale per la compenetrazione strutturale di cui si diceva. Una comunione che certo
lanza. Konstantinidis non cede in alcun modo al mito modernista della casa totalmente aperta al non esclude l’inserimento di materiali differenti o l’uso di quelli presenti sul luogo impiegati con tec-
mondo e dello spazio isomorfo ma, al tempo stesso – e ciò che è ancor più interessante, sulla base di niche di lavorazione differenti, riferite tanto alla tradizione quanto all’attualizzazione di tecniche
una profonda conoscenza della architettura tradizionale anonima greca – non rinuncia a compiere tradizionali.
una sperimentazione perfettamente in sintonia con il superamento della scatola muraria tradizionale La materia è il veicolo più diretto per il confronto e la compenetrazione tra le due strutture: archi-
che segna i primi decenni del secolo scorso. «Il paesaggio inquadrato da una porta aperta. La luce del tettura e paesaggio. «Una volta compreso che l’architettura è una modellazione tridimensionale di un
sole lambisce il pavimento creando una sottile linea dorata e, lentamente, risale la parete. In tal ma- terreno e di un paesaggio specifico, e una volta stabilito che tutto deriva dalla pianta che è la forza “ge-
niera il paesaggio si avvicina a noi, ben di più di quando cerchiamo di vederlo attraverso una grande neratrice” nel “motore” dell’architettura, mi si lasci affermare quanto segue: un architetto visualizzando
apertura, senza soluzione di continuità, o dietro una grande finestra, o dall’interno di una casa con la nuova struttura da costruire nel paesaggio deve anche considerare i materiali che utilizzerà. Così,
muri di vetro, in cui non sappiamo più se siamo “dentro” oppure “fuori”. Qui il paesaggio si fa vicino a quando l’architetto costruisce il suo concetto in situ decide anche i materiali necessari per la realizza-
noi, si avvicina all’edificio, non tanto perché lo vediamo con i nostri occhi, ma perché sappiamo che zione del concetto. La scelta dei materiali non è determinata esclusivamente dal costo di costruzione
esiste, ne cogliamo l’esistenza con tutti i nostri sensi, lo abbracciamo con il corpo e con l’anima.»10 (reperibilità del materiale ecc.). Il fattore decisivo per questa scelta è invece la capacità, da parte della
L’interno rimane interno, con i suoi caratteri, l’esterno deve essere percepito come tale, lo spazio di singolare fisiognomica del terreno e del paesaggio, di accettare senza sofferenza un dato materiale o
filtro tra l’uno e l’altro è la nota magica, sempre uguale ma variamente modulata, con cui Konstantinidis una specifica forma e composizione strutturale. Naturalmente, qualsiasi paesaggio accetta qualsiasi
riesce a far risuonare poeticamente le sue partiture architettoniche fondate sul ritmo di pochi e ripetuti composizione se l’architetto ha individuato la composizione appropriata richiesta dal caso specifico.
elementi. Di più, tutti i materiali, artificiali o naturali, possono essere collocati con successo in ogni tipo di pae-

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saggio se nella composizione si è compiuta la giusta stima della loro quota di partecipazione alla co- colo di vita; una costruzione che vive accanto al suo creatore, seguendolo nelle funzioni della vita, va-
struzione.»11 riabili e sempre in rapido mutamento, offrendo a ogni singola funzione una determinata forma. Una
Nessuna ideologia tradizionalista, dunque, quanto piuttosto una concezione geografica dell’archi- forma che non è mai terminata e definitiva, ma che si completa con il passare del tempo, con ripetute,
tettura che, interrogandosi sui caratteri fisici del luogo, ne saggia la capacità di sostenere una giornaliere fioriture di perfezione.»15
determinata trasformazione, ne verifica, in situ, la disponibilità ad accogliere diversi materiali e una In perfetta analogia con la ricerca di costanti costruttive sovrastoriche, Konstantinidis attribuisce
loro differente disposizione. un ruolo determinante al confronto con le costanti del rituale ripetersi di gesti della vita quotidiana.
«Fatemi spiegare il modo, sempre uguale, in cui mi sono messo all’opera ogni qual volta mi si è data Ma non si tratta di un semplice confronto. «I veri edifici – sostiene Konstantinidis – tendono ad as-
l’opportunità di costruire. Per prima cosa “corro” a osservare il luogo in questione e il paesaggio che lo somigliare agli eventi che descrivono». Il gesto, l’azione di vita non è semplicemente “ospitata”
“abbraccia”. Là, sedendo a terra o su una roccia, cerco di visualizzare come la nuova struttura – pic- nell’architettura ma genera architettura, genera forme architettoniche, e non vi è dubbio che l’abita-
cola o grande, casa singola o complesso residenziale – potrebbe collocarsi correttamente in quel zione di Anávyssos sopra analizzata possa ben rappresentare la definizione della casa come
luogo specifico. Poi mi alzo e vado a osservare il sito a distanza, ma subito ritorno alla mia roccia. Con «esistenza umana fortificata» coniata da Dom van der Laan (1904-91), architetto che possiamo cer-
il pensiero – ma anche con il pensiero del cuore – cerco di “costruire” la pianta, le sezioni e i prospetti tamente aggiungere alla costellazione di progettisti accostabili, per affinità, ad Aris Konstantinidis,
della struttura. Faccio tutto ciò nell’aria, nel cielo o nel terreno (che sia un lotto urbano oppure libero soprattutto in relazione al tema del rapporto tra ritualità e forma architettonica166.
su tutti i fronti). Fatto ciò, vado al tavolo da disegno e traccio alcuni segni sulla carta per “trascrivere”, Va sottolineato che vi è una differenza sostanziale, quasi una piena contraddizione, tra l’idea – e l’i-
ovvero disegnare, ciò che ho mentalmente costruito sul posto. Tutto riesce come deve, in maniera più deologia – funzionalista, fondata sulla concezione di un’architettura in grado di rispondere nel modo
semplice, più veloce e meno tormentata, più sicura di come sarebbe stata iniziando al contrario: prima migliore alle esigenze – necessariamente standardizzate e semplificate – dell’uomo, e questa conce-
un foglio di carta senza anima e solo dopo sul luogo con la sua anima vivente. Così gran parte del la- zione di un gesto specifico che genera una specifica forma architettonica, la quale, solo grazie alla
voro è compiuto sul posto, nel paesaggio; in situ, come si dice. Questa fase del lavoro può richiedere rituale ripetizione nel tempo del gesto generatore assurge a una tipicità densa, carica di complessità,
molto tempo o avere una brevissima durata. In ogni caso, tanto maggiore è il numero di ore, giorni o in alcun modo astratta o rarefatta.
settimane spesi in situ; tanto minore il tempo speso al tavolo da disegno, che è comunque “fuori «Esiste qualcosa in noi che agisce incessantemente per portare a perfezione ciò che chiamiamo
posto” e più o meno irreale.»12 έργο. Quando portiamo ciò a esistere, è la luce della vita, proveniente dalla nostra interiorità, e com-
La concezione geografica si estende, tuttavia, oltre la consistenza fisica del luogo, che viene visto prendiamo come un’opera vera deve essere fatta.»17
anche come il risultato dell’agire su di esso, nel tempo, dell’opera dell’uomo. È questa la dimensione Ma la giustezza dell’operare architettonico, nella concezione di Konstantinidis, non è perfezione,
sovrapersonale del paesaggio, non meno preziosa per Konstantinidis poiché pone il processo della rifinitura, compiutezza. Al contrario, la correttezza e la legittimità dell’opera architettonica si eviden-
chiarificazione dell’atto costruttivo – processo del tutto individuale per quanto rivolto alla impersona- ziano nell’imperfezione e nel non finito, carattere ricercato ed evidente nella sua architettura
lità – in confronto con una dimensione collettiva testimoniata dalla struttura del luogo e del paesaggio. costruita.
La possibilità di coniugare “individuale” e “collettivo” è, come diremo in chiusura, uno dei completa- Un eccesso di perfezione “uccide” l’opera di architettura e, muovendo da tale convinzione,
menti necessari per il suo sistema architettonico. Konstantinidis descrive una concezione del decoro architettonico fondato sulla capacità di sospen-
Infine il paesaggio – τοπίο nella terminologia di Konstantinidis –, grazie alla stratificazione di ma- dere il progetto al momento opportuno, un decoro che nasce non solo dal fare ma anche dalla
teria e atti che lo compone, ha una dimensione temporale che racchiude e visibilmente mostra – a chi sospensione del fare quando ciò è opportuno.
sappia osservare e a chi sappia, anche grazie all’architettura, scavare nella sua complessità – passato, «C’è ancora una cosa da dire derivata dalla esperienza costruttiva: un costruttore onesto dovrebbe
presente e futuro. sapere quando intraprendere un atto e quando sospenderlo. È pericoloso elaborare un progetto in
«Quando la costruzione, nella sua interezza, è emersa da uno “spirito” con profonde radici nel pae- maniera ossessiva perché l’ispirazione iniziale, che è incontrollabile, potrebbe svanire. La costru-
saggio e da memorie che creano un mondo in grado di collegare il passato con il presente e il futuro, zione rimane felice e viva solo quando l’architetto è capace di controllare la sua irrequietezza estetica
allora abbiamo una unità che, in sé rigida, lascia la parola alla bellezza, all’ethos, alla misura, all’equili- e la sua tendenza a comporre. Una creazione architettonica giunge a compimento, anche se può ap-
brio delle intenzioni […] e a tutto ciò che (imprevedibile, accidentale e legato a circostanza) può parire non finita, solo se l’architetto si trattiene dal tormentarlo fino a esaurirlo avendo per risultato di
toccare le corde di un’anima in grado di ergersi in atteggiamento giusto e senza pregiudizi.»13 “ucciderlo”. Una corda troppo tirata si rompe; anche la sostanza di un’opera architettonica si “rompe”
L’architettura, costruita secondo i principi di elementarità e rigore detti, assoggettata a un paesaggio e la carne si strappa se sottoposta a tensioni ripetute e tiranniche che, in ultima analisi, tradiscono
che riassume il tempo in una dimensione triplice – passato, presente e futuro – che equivale a eternità, solo ignoranza e scarsa confidenza con l’essenziale e il vero.»18
è pronta ad accogliere l’imprevedibile e la circostanza, ovvero la vita degli uomini al suo interno. Non si tratta quindi di una imperfezione, di un non finito che intende alludere a una naturalità della
Si tratta di uno dei concetti chiave del pensiero di Konstantinidis: l’architettura è «contenitore di vita». architettura. Al contrario è la denuncia più chiara della natura umana dell’atto architettonico. Anche a
«Architettura non è solo “coprire” (come un ombrello che copre il nostro corpo per proteggerlo tal riguardo sarebbe certamente interessante un confronto approfondito tra le “pietre” di Pikionis,
dalla pioggia, dalla neve o dal sole cocente) ma è anche, e allo stesso tempo, “rivelare” poiché rivela pezzi unici, accostati singolarmente con cura, arricchiti talvolta di figure, spesso in gioco mimetico con
la vera realtà in tutte le manifestazioni di vita e le progetta con chiarezza nei loro aspetti buoni e cat- il “naturale”, e le pietre di Konstantinidis, elementi costruttivi semplici, combinabili secondo un prin-
tivi. In questo senso l’architettura dà forma alle funzioni vitali. E in questo senso costruisce cipio di montaggio indifferente, del tutto privi di figura, particelle elementari di un elemento costruttivo
“contenitori per la vita” in cui ogni essere umano nasconde e rivela il se stesso più vero. Dall’altro assolutamente chiaro e inequivocabile.
lato, l’architettura mantiene in giusto equilibrio le possibilità offerte dalla tecnica e le disciplina per ot- Diversi sono i motivi che devono spingere l’architetto, secondo Konstantinidis, a mantenere imper-
tenere un insieme che sia visibilmente armonioso. L’opera di architettura (έργο) funziona come un fetta e non finita la propria opera nel senso detto.
τοπίο, accoglie nel suo spazio tutte le cose esistenti prodotte dalla vita e dall’uomo.»14 Innanzitutto vi è, strettamente connessa al meccanismo di rivelazione della giustezza costruttiva,
L’opera artificiale dell’uomo – έργο – assurge al valore di un paesaggio – τοπίο – ovvero giunge, ben l’idea premoderna, profondamente analizzata da Mircea Eliade nei suoi saggi sui riti del costruire, di
oltre l’impersonalità del sistema costruttivo, alla capacità di consentire e ospitare un’esistenza plurima un’imperfezione che ogni oggetto deve mantenere per essere legittimamente costruito dall’uomo,
e sovrapersonale, non determinata dal progetto, analoga a quella testimoniata dal paesaggio. poiché solo di Dio è la perfezione.19
Ciò può avvenire solamente perchè l’architettura, riportata all’essenzialità dell’atto tecnico, viene In secondo luogo, il non finito corrisponde alla necessità di mantenere visibile l’opera dell’uomo;
intesa da Konstantinidis come il risultato di gesti umani. l’architettura, afferma Konstantinidis, deve portare trascritti i gesti che sono serviti a costruirla.
«La vera opera di architettura non è un monumento (anche se la sua qualità eterna la si può trovare Infine, l’architettura non è un oggetto plastico destinato alla contemplazione, ma il risultato, in con-
nella mente di chi l’ha costruita e non nella durabilità dei materiali usati per costruirla) ma un ricetta- tinuo mutamento, in costante stato di attualizzazione, di atti vitali. Solo l’imperfezione consente alla

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vita di abitare l’architettura e di trasformarla nel tempo adattandola a nuove esigenze. L’imperfezione
è dunque il ponte tra la rivelazione dell’essenza architettonica – del tipo – e la possibilità di rendere di-
sponibile tale essenzialità alla complessità della vita, dunque alla comunità. Si tratta, in realtà, della
chiusura di un circolo: la ricerca dell’essenza è percorso iniziatico, necessariamente individuale, affi-
dato allo specifico sapere dell’architetto, ma muove dalla conoscenza di fatti – il paesaggio, la
costruzione anonima – che sono il frutto di una sommatoria, nel tempo, di azioni collettive ripetute;
fatti che il sapere architettonico deve distillare per giungere al tipo e per offrire nuovamente il tipo
alla comunità. Si potrebbe descrivere il percorso come un passaggio dalla visione – il tipo – alla pro-
fezia – la articolazione della rivelazione in lingua architettonica comprensibile ai non iniziati e per essi
disponibile.
Solo tale passaggio consente di accettare, all’interno del progetto, l’alea, la circostanza, l’energia
dell’esperienza.
«Mi si lasci sottolineare che l’architettura, a differenza della scienza, non è un processo che ri-
guarda solo ciò che può essere conosciuto anticipatamente. Al contrario, l’architettura accoglie ciò
che si può inaspettatamente manifestare come dato di circostanza, casualità o coincidenza. È dunque
bene, quando ci si attrezza per le necessità di un’opera architettonica, lasciare spazio per elementi im-
previsti, incidentali e inattesi che entreranno nell’opera. L’esperienza innata e conquistata ci insegna
che quanto entra nella creazione architettonica per le vie della vita dovrebbe essere ben accolto
perché offre verità e vitalità, una vibrante compiutezza, un aspetto vivace alla struttura. Ciò non si ot-
tiene mediante la completezza scientifica anche se quest’ultima è indispensabile e non va trascurata.
Ecco come l’architettura diventa arte: con l’unione armonica di caso e necessità. Democrito lo aveva
compreso e diceva: “L’universo è il prodotto della necessità e del caso”.»20

Nel licenziare questo scritto desidero 1 Rilke 1990.


ringraziare innanzi tutto Dimitri 2 Konstantinidis 1981a, pp. 277-278.
Konstantinidis, che in un ormai lontano 3 Ibid.
pomeriggio estivo, ad Atene, mi ha 4 Konstantinidis 1950; testo in greco
mostrato lo straordinario archivio del cit. nella trad. it. di Laura Marino in
padre e mi ha offerto l’opportunità di una Marino 2008, p. 51.
discussione sulla sua opera, per me 5 Konstantinidis 1981b, pp. 258-273.
decisiva. In secondo luogo, ringrazio 6 Konstantinidis 1981a, pp. 277-278.
Marina Lathouri – incontrata per caso 7 Konstantinidis 1981b, pp. 258-273.
sui sentieri di questa ricerca in tempi 8 Ibid.
altrettanto remoti – per avermi 9 Konstantinidis 1975, p. 320.
generosamente dato in lettura un suo 10 Ibid, p. 295.
dattiloscritto – Aris Konstantinidis: 11 Konstantinidis 1981b, pp. 258-273.
The Topos of Building – che mi ha aperto 12 Ibid.
molti fronti di riflessione. 13 Konstantinidis 1992a.
14 Konstantinidis 1975, p. 312.
Il saggio è dedicato a un Anonimo 15 Ibid., p. 301.
(non per molto) che avremo presto fra noi 16 Van der Laan 1977.
per un’armonica unione di caso 17 Konstantinidis 1992a, p. 239.
e necessità. 18 Konstantinidis 1981a, pp. 277-278.
19 Eliade 1990.
I testi di Aris Konstantinidis citati nel 20 Konstantinidis 1981a, pp. 277-278.
saggio sono stati tradotti da Giovanni
Leoni sulla base delle edizioni riportate
in nota.

Aris Konstantinidis ritratto sulla terrazza della


propria casa a Spétses; la scultura al suo fianco
è di Natalía Melá.
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