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APPUNTI

GIANCARLO DE CARLO
Cultura e progetto nella città storica

Il contributo dato all’architettura e all’urbanistica da Giancarlo


De Carlo nell’ultimo secolo ha creato innumerevoli modelli di
intervento di recupero e progetto nella città; paradossalmente
ha contribuito alla costruzione di una non teoria
dell’architettura e dell’urbanistica, ossia la negazione di regole
precostituite, di standard, di atteggiamenti alla moda di filoni
espressivi che si sono alternati negli ultimi 50 anni.
Fin dagli anni 40 si è imposto attraverso un atteggiamento
critico nei confronti del “modus operandi” accademico,
modernista, decostruttivista, denunciando un atteggiamento
superficiale e povero di contenuti, il cui fine sembrava non
essere l’uomo e tanto meno l’individuo.
Alla base delle tematiche di ricerca, si tratti di intervenire in
contesti consolidati, che in periferie aperte, esiste sempre una
profonda ricerca delle leggi che regolano quel contesto fisico
sociale.
L’uomo, l’ambiente in cui vive cresce e si sviluppa ( sia
storicamente consolidato o di nuova formazione ) diviene
fulcro della progettazione; in occasione della consegna della
Royal Gold Medal del 1993 si legge la seguente motivazione “
Non costruisce monumenti ma comunità”. Il suo motto” la
verità è che l’architettura non può essere autonoma, per il
semplice fatto che la sua prima motivazione è di corrispondere
a esigenze umane è la prima condizione è di collocarsi in un
luogo “ ci permette di analizzare il suo operato attraverso due
parametri inamovibili, l’individuo e il luogo.
Da questa base nasce l’idea di partecipazione alla costruzione
dell’architettura e dell’urbanistica quindi alla costruzione del
luogo; partecipazione che si attua in maniera dialettica con
l’utente, che si modifica e trasforma con il progettista. Il
progetto viene visto non come atto autoritario calato dall’alto,
ma come apertura, dialogo; tale dialogo in Mazzorbo, è
composto da un vocabolario architettonico desunto dalla storia
dal portato culturale del luogo, la cui comprensibilità è diretta e
facilmente addomesticabile.
L’apporto dell’individuo diviene fondamentale; come De Carlo
vuole ribadire “L’architettura come gran parte delle attività
umane, si è inaridita nella specializzazione e perciò il suo
linguaggio è divenuto astratto, arrogante e soprattutto povero.
L’impoverimento è venuto dall’isolamento e dalla perdita degli
innumerevoli apporti creativi che vengono da chi, pur non
essendo specializzato nell’ architettura, continuerà ad inventare
e a modificare lo spazio della sua vita quotidiana.
Di questi apporti l’architettura ha di nuovo bisogno per
riconquistare ricchezza espressiva…”è evidente che la sua
ricerca tenta di ripartire dal basso, da quel rapporto dialettico
tra popolare e colto tra maggiore e minore, tra dialetto ed
accademia.
L’identità diviene base di partenza del progetto di riuso-
conservazione di pianificazione o di nuova edificazione;
fondamentale,nel ciclo operativo progettuale, è l’analisi del
contesto fisico – sociale economico.

Il mezzo con cui De Carlo entra nei luoghi è semplice, la


lettura: “ se non si possiede un linguaggio complesso si contrae
la lettura dei fenomeni, si interviene con strumenti troppo
poveri, ci si confronta con la realtà essendo sprovveduti e goffi
… la cultura contemporanea è gia sulla strada di diventare
transdisciplinare” è il momento principale del progetto futuro.
La dimensione sociale, la dimensione storica, l’unita di misura,
i principi generatori, sono i punti cardini nella ricerca
progettuale; in contesti come Lastra a Signa o Mazzorbo, o
meglio Colletta di Castelbianco, si attua una vera radiografia
scientifica del contesto sia livello territoriale sia a livello locale,
il cui fine è l’ascolto la comprensione delle differenze, delle
variabili, della dualità nel tempo civitas-urbs.
La negazione della dualità Architettura – Urbanistica rimane in
questi contesti il carattere più forte del progetto; di colpo viene
meno l’eterno conflitto tra piano e progetto, la coincidenza tra
architettura ed urbanistica permette di analizzare –
programmare- dare forma al contesto considerato.
Il progetto ( riuso-recupero- intervento) della città storica
rappresenta l’apporto più cospicuo dell’opera di De Carlo “ per
progettare un alternativa bisogna prima di tutto saper leggere
criticamente l’intera stratificazione, accettando il fatto che ogni
strato è irreversibile. Dopotutto, i segni impressi nello spazio
fisico non cancellano mai quelli che li hanno preceduti, ne
possono essere cancellati da quelli che li seguiranno “ ; Urbino,
Mazzorbo, Collettà di Castelbinaco, Lastra a Signa,
rappresentano modelli apripista per altre realtà simili, il cui
risultato finale avvalora il portato e la validità della teoria
stessa.
Caratteristica non comune è l’impostazione che De Carlo
propone nell’affrontare qualsiasi tematica, un’impostazione un
“metodo di lavoro .. non procede dal generale al particolare (dal
progetto di massima al progetto esecutivo ed al particolare
costruttivo in una successione lineare nel tempo, ma piuttosto
attraverso una processo altalenante di continua verifica degli
assunti generali con affondi in profondità,sino al dettaglio più
minuto, con qualche concessione di sapore albiniano per il
disegno tecnico”,1una capacità personale di innovare
radicalmente creando sempre stati di equilibrio nuovi. Nella
relazione precedente abbiamo visto il termine Territorio, come
attraverso le teorie affrontate a livello di laboratorio ILAUD
viene interpretato ed importato nel progetto, in questa
relazione attraverso l’analisi di un progetto viene messo in

1
L.Rossi, Giancarlo De Carlo Architetture, cfr.pag.9
evidenza ,apparentemente senza un iter sistemico le tematiche
affrontate da De Carlo; momento di riflessione sulla sua opera
come viene richiesto dai docenti del Dottorato.
Partendo da una definizione autorevole, De Carlo viene
indicato da Norberg-Shultz “ il solo rappresentante della terza
via “ quella vicina alla gente; è indubbio che la sua opera
coincida con la sua personalità “ De Carlo non è mai stato
amato dai fotografi delle belle riviste del settore, non crea
volumi o segni sul territorio che possano gareggiare con opere
d’arte astratta .Per capire le sue architetture bisogna
percorrerle; perché sia belle hanno bisogno della gente dentro
che si muova , quella che di solito viene allontanata al
momento delle fotografie di architettura, per evidenziarne i
volumi puri”2. I temi ricorrenti come detto in questa
introduzione, partono da una base comune ed un fine unico, la
città, i luoghi e le architetture sono degli uomini e per gli
uomini, grandi piccoli colti ignoranti il portato culturale che
proviene dal basso rappresenta una ricchezza inestimabile per
non tenerne conto, ricchezza che esprime l’uomo e la società
che la costruita.
L’uomo quello della strada deve poter leggere e comprendere il
linguaggio architettonico” svincolare l’architettura dalle
esigenze del potere, depurarla dalle distorsioni opportunistiche
provocate da un lungo esercizio accademico, restituirle
immediatezza di rappresentazione e di espressione per renderla
comprensibile ed utilizzabile da parte di tutti”.3
Le parole minore e spontaneo hanno rappresentato sin dalle
origini della ricerca di De Carlo un umus fertile su cui
impiantare gran parte della sua ricerca, l’amicizia con

2
F.Buncuga ,Conversazioni con D.C, cfr.pag..9
3
G.De Carlo, Memoria e Fiasco, in Spazio e Società,n°4
G.Pagano ( cultore ed iniziatore della rivalutazione del portato
culturale minore) fin dalla giovinezza ha determinato
l’avvicinamento a quelle teorie legate alle esperienze spaziali
alle esperienze dell’uomo. Va da se che l’uomo , individuo che
possiede un anima, è sempre al centro della progettazione
decarliana ; lo spazio diviene spazio abitato dall’uomo, sempre
diverso sempre unico sempre legato all’esperienza spaziale che
lo circonda e che a sua volta crea.
L’uomo e l’ambiente costruito vengono coinvolti attraverso
quella ricerca di identità sempre più cara e sempre più rara;
ricerca che diviene quasi battaglia etica “ ..è l’unica battaglia
etica della nostra epoca: salvaguardare il principio di identità
dai processi di omologazione” 4. Riflettere sulle intenzioni di
avvicinare il progetto architettonico all’individuo, vuol dire
pensare ” che i veri clienti dell’architettura siano gli esseri
umani”5 e come tali debbano partecipare alla costruzione del
proprio abitat, costruzione che “come gran parte delle attività
umane si è inaridita nella specializzazione e perciò il suo
linguaggio è divenuto astratto ed arrogante e soprattutto
povero”.6
La partecipazione diviene momento essenziale nella
costruzione e nella ricerca progettuale a tutti i livelli.
La storia, anch’essa , è momento fondamentale della ricerca
decarliana; “ quel che io considero storia è l’acquisizione di una
conoscenza esatta dei problemi con i quali noi architetti
veniamo continuamente in contatto, si che le nostre soluzioni e
le nostre scelte sono legate alla realtà…la storia non riguarda il
passato ma riguarda il presente ed offre direzioni per il

4
L.Rossi.cfr.pag9
5
G.De Carlo,il Tempio di Apollo a Bassae, in S.S n°31/32
6
G.De Carlo, in Space Design,N°274
futuro”7. Interpretare la storia in questo senso significa
immettersi nel contesto, partecipare alla costruzione della storia
stessa senza salti o voli pindarici, introdurre innovazione nel
tessuto esistente. “Il carattere del luogo è segnato dalla natura e
dalla storia:la natura è il suo stato originale,la storia è la sua
trasformazione e tutte e due attraverso le loro interrelazioni
definiscono la realtà con la quale l’atto di costruire si deve
misurare.Un edifico un insieme di edifici , una città un
paesaggio coltivato o comunque antropizzato , diventano a loro
volta luogo quando stabiliscono ed esprimono un rapporto
equilibrato tra natura e storia. Un altro edificio che si aggiunge
ha valore solo se partecipa di questo equilibrio introducendo
innovazione nella tradizione. Altrimenti non ha valore e
potrebbe essere ovunque o sarebbe meglio che non ci fosse
perché introduce uno squilibrio tra natura e storia e quindi
abbassa la qualità del luogo.Vorrei insistere sull’idea di
interrelazione tra natura e storia tra passato presente e futuro,tra
innovazione e tradizione …e considero tutti gli storicismi fioriti
nell’architettura uno squilibrio tra natura e storia non solo non
interessanti, ma anche ignoranti .“8 Introdurre nuove spazialità
che dialoghino con il contesto e a sua volta si contestualizzino
per rigenerare l’evoluzione del luogo; questa azione è possibile
attraverso una lettura ricerca in profondità, addirittura
transdisciplinare ,carpire i segreti, il DNA permette il “continuo
movimento della realtà” un continuo dialogo tra storia forme
costruite e spazio aperto. Interessate l’idea decarliana di
conservazione; l’idea “ che ogni situazione che viene dal
passato debba essere conservata è…superficiale deteriore

7
G.De Carlo,in Zodiac, n°16,1996.
8
G.De Carlo in Space Design, n°274.
quanto l’idea che debba essere sostituita in nome del
progresso”9.
“Salvaguardare il principio di identità dai processi di
omologazione”10è il fine delle letture che De Carlo propone per
ogni contesto su cui si trova ad operare; quindi “ leggere uno
spazio “ significa già proiezione progettuale, ricercare
quell’unicum irripetibile che nella ricerca decarliana ha
permesso la realizzazione di progetti sempre diversi spesso
antitetici.
La ricerca dell’identità “ già identità è una questione centrale
alla quale sono sempre stato costretto a dedicare gran parte
delle mie energie , parlo dell’identità degli edifici e dei luoghi
ma anche dell’identità degli individui..”11rappresenta quindi la
vera traccia della ricerca di dottorato, che nella prima parte ha
messo a fuoco i principi generatori attraverso progetti e
realizzazioni mentre nel secondo periodo ( annuale) cerca di
recuperare le radici di questo singolare pensiero.
Difficile evidenziare una data singolare o un’esperienza che
segna questo modo di leggere il contesto, si dovrebbe parlare di
somma di esperienze e frequentazioni; alcune figure
professionali ( scrittori,poeti, architetti )possono essere
considerate dei punti fondamentali nella carriera di De Carlo.
L’iniziazione con G.Pagano, La Triennale di Milano
sull’Architettura Rurale ( Curata da Pagano), sarà alla base
della IX triennale di Milano sull’Architettura Spontanea (
curata da De Carlo), cominciare dal percorso conoscitivo della
mostra ( spiega de Carlo la tortuosità tema che riprenderà 50
anni dopo per spiegare la supremazia della città mediterranea

9
F.Brunetti F.Gesi, G. De Carlo,Fi.1981,p53.
10
L.Rossi.cfr.pag 9
11
G.De Carlo, Gli spiriti dell’architettura,Ed.riuniti,1999.
rispetto alla città europea) l’amicizia con E.Vittorini, la
frequentazione di I.Calvino e V.Sereni.
Esiste un periodo preciso ( anni 55-60) che un gruppo di amici ,
scrittori, poeti, architetti, pittori, ecc si ritrovano a Bocca di
Magra ( località turistica) dove trascorrono le proprie vacanze;
tra gli altri si ritrovano I.Calvino, E.Vittorini,G.De Carlo.
Le analogie tra gli scritti di Calvino in “ Le città invisibili” con
E.Vittorini in “ Le città del Mondo “ con l’ultimo saggio di De
Carlo “ Nelle città del mondo” saranno alla base della seconda
parte della ricerca di dottorato.
In particolare un altro scritto di De Carlo pubblicato con lo
pseudonimo di Ismè Gimdalcha in “ il progetto Kalhesa”
propone una riflessione sulla ricerca, attraverso una “lettura
umana”, delle identità dei luoghi “ in verità Kalhesa ha la
prerogativa di essere allo stesso tempo unica ed universale “12.
Nel periodo di Bocca di Magra, viene fondata una associazione
denominata “ Amici di Bocca di Magra” è verrà pubblicato un
manifesto programmatico; a questo periodo risale una dei primi
lavori urbanistici di De Carlo ossia il piano regolatore del
Comune di Bocca di Magra ( Ameglia).
La ricerca oltre ad indagare sugli scritti di Vittoriani, di
Calvino, e delle analogie con le teorie Decarliane, cercherà di
approdare a documentazioni originali del periodo di Bocca di
Magra, scritti manifesti e pubblicazioni collettive. De Carlo non
ha mai parlato del periodo di Bocca di Magra come
un’esperienza intellettuale, ma viceversa come occasione di
divertimenti e spensieratezza giovanile “noi andavamo a Bocca
di Magra per stare insieme e per giocare… facevamo vacanza e
giocavamo..eravamo tutti molto giovani e avevamo voglia di
fare i nostri mestieri…spesso verso il tramonto ci ritrovavamo

12
I.Gimdalcha, Il progetto Kalhesa,Marsilio,Venezia,1995, p19.
in tre o quattro seduti sul muretto del fiume …io parlavo di
città con Vittorini e Calvino…ne parlavamo insieme ciascuno
dal suo punto di vista che cambiava parlandone”.13
L’importanza di queste due pubblicazioni, Le città invisibili, e
Nelle città del mondo, sono avvalorate dal fatto che
rappresentavano nei corsi accademici di De Carlo due testi
fondamentali;in Nelle città del mondo, in effetti viene
evidenziato un atteggiamento di lettura intermedia tra Calvino
e Vittorini che la ricerca si propone di approfondire.
La produzione di De Carlo è stata selezionata attraverso temi di
ricerca differenti per contenuto e produzione; la tesi di
dottorato ha individuato quella vena teorica e non solo, che
passa attraverso una dizione che potremmo dire “
cotestualismo interiore” .
L’infanzia trascorsa in Tunisa, con i nonni paterni lo porterà in
contatto, con un ambiente urbano sempre diverso e speciale,
come del resto lui sottolineerà, la tortuosità e la vitalità del
SouK ( città araba) rimarrà come un impronta nella sua
personalità.
La X Triennale sull’urbanistica ( Curata da De Carlo) dove
produrrà anche tre brevi cortometraggi in Collaborazione di
Vittorini sarà l’occasione per una critica al movimento
moderno in architettura e delle leggi che governano in modo
autoritario lo spazio dell’uomo. I cortometraggi mettono in
contrapposizione la ruralità e la vitalità di certi insediamenti
minori, rispetto alla periferia modera ed al disagio che certi
spazi creano alla socialità.

13
F.Buncuga, Conversazioni con Giancarlo De Carlo,eleuthera,p.18
Le analogie tra il pensiero Vittoriniano sulle città e sugli
individui come partecipi alla costruzione del proprio spazio si
leggono interamente nel testo Le città del mondo.La relazione
tra la bellezza della città e la bellezza delle persone ed
viceversa,sulla felicità delle persone sono temi che si
rincorrono continuamente nell’opera di De Carlo:
De Carlo riceverà da Vittoriani l’idea che è l’uomo il fine
ultimo della progettazione, e che lo spazio in cui vive è il
riflesso della propria esperienza.
Il Rapporto con Calvino è di più difficile lettura:
In un articolo su spazio e società, De Carlo pubblicherà per
intero un o scritto di Calvino al titolo Lezioni Americane ove
Calvino sottolinea la peste del linguaggio attraverso la perdita
della immediatezza della parola, generica astratta e smussature
di punte espressive.
Anche le immagini prodotte si dissolvono senza lasciare traccia
nella memoria.
De Carlo appunto commenta che lo stesso linguaggio ha
infettato l’architettura.
I fili delle città di Calvino tema discusso insieme a Vittorini e
De Carlo a Bocca di Magra, sono appunto per De Carlo i Geni
della città storica .
In particolare un altro scritto di De Carlo pubblicato con lo
pseudonimo di Ismè Gimdalcha in “ il progetto Kalhesa”
propone una riflessione sulla ricerca, attraverso una “lettura
umana” delle identità dei luoghi; “ in verità Kalhesa ha la
prerogativa di essere allo stesso tempo unica ed universale “.
L’impostazione è pressoché identica; brevi saggi raccolti in un
unico tema.
De Carlo scriverà questo romanzo con lo pseudonimo di Ismè
Gimdalcha Kalehesa, e possiamo benissimo inserirla come 56
esima città invisibile nel romanzo di Calvino.
O meglio le potrebbe raccogliere di volta in volta la città e il
ricordo- la città e i segni- la città e la forma la città ed i morti.
Il rapporto Tra Calvino e Vittoriani e De Carlo, è ribadito da
Calvino stesso, il primo Calvino “ in nidi di Ragno”
rappresenta un omologo rurale alla Celebrazione di Vittoriani
della resistenza metropolitana di Milano in Uomini e no.
La ricerca si conclude con un analisi dettagliata e critica di un
progetto “ Minore “ cioè l’intervento a Mazzorbo. Le nuove
abitazioni di Mazzorbo, commissionate dall’Istituto Autonomo
Case Popolari di Venezia affronta il tema complesso della
residenza, di un contesto particolarissimo ( il paesaggio
lagunare) ed al tempo stesso una tabula rasa rappresentata
dall’isolotto di fronte a Burano.
L’intervento di Mazzorbo ci permette di verificare tutti gli
aspetti della ricerca decarliana, dalla partecipazione , alla stretta
relazione tra territorio, urbanistica ed architettuta, quindi
l’importanza della storia ed il Dna del luogo.
L’intervento di Mazzorbo, oltre ad una verifica concreta ( nel
senso di costruzione) ci permette di verificare in pieno la
capacità di lettura del contesto che caratterizza tutta l’opera di
De Carlo: l’intervento che si sviluppa intorno agli anni novanta
rappresenta un risultato popolare come avrebbe sognato Bob
Venturi e come lui non è mai riuscito a fare un modo di
penetrare i mutamenti della storia con la ferma convinzione di
assecondarli, con la certezza di perseguire ideali valori di
identità che permangono nel tempo.
Nell’esperienza di De Carlo
Il contestualismo interiore

Giancarlo De Carlo nasce a Genova il 12 Dicembre del 1919. Il


padre Carlo De Carlo, ingegnere navale era nato a Tunisi da
genitori Siciliani la madre Dora Migliar a Santiago del Cile da
genitori piemontesi. A due anni e mezzo Giancarlo De Carlo
viene affidato ai nonni paterni che vivono a Livorno. Nel 1925-
29 torna a Genova col padre e frequenta le elementari. Nel
1930-37 viene di nuovo affidato ai nonni e si trasferisce in
Tunisia e torna in Italia saltuariamente.
Partiamo da questo periodo per introdurre le esperienze di De
Carlo, che fin dall’infanzia segnano la personalità del futuro
Architetto. L’esperienza in Tunisia, è ricordata continuamente
negli scritti di De Carlo , e come lui stesso ci racconta, tale
ambiente ha influenzato in modo decisivo la sua esperienza
spaziale e sociale. In particolare ricorda quell’ambiente urbano,
dove la dimensione sociale e fisica rappresentano due facce
della stessa identità, l’ambiente della città araba, viene definito
come affascinate e stimolante “ credo che l’architettura araba
mi sia rimasta impressa nell’immaginazione :le concrezioni
degli spazi che si compenetrano, la non differenza di sosta tra
aperto e chiuso tra spazio edificato e spazio abitato.La città
araba è fatta di luoghi dove tutte le attività sono tutte intrecciate
:non fare nulla e lavorare sono quasi la stessa cosa .Passavo
molto tempo nel SouK…Non ho mai capito del tutto il loro
modo di confrontarsi con la quiete e il movimento…ora non
voglio fare quello che , essendo architetto, lo è stato fin dalla
nascita perché non è per niente vero, ma posso dire che ricordo
il piacere straordinario che provavo girando nei prodigiosi spazi
del Souk…non mi rendevo conto che si trattava di emozione
architettonica. L’emozione di camminare e di muovermi in un
ambiente che mi sollecitava perché mi era estraneo ma anche
perché era pieno di segni, di luci, di ombre di sorprese, di gente
che si immedesimava pienamente nello spazio: quell’emozione
non la provavo certo girando nella città europea”14 . Inizia così
quel percorso vitale e costruttivo che lo porterà attraverso
diverse esperienze, a non dimenticare ,mai il portato culturale
minore. Possiamo rintracciare in queste prime righe di
confessione, tutti gli argomenti, o in gran parte, cari a De Carlo:
i segni che caratterizzano lo spazio urbano, le luci e le ombre,

14
G.De Carlo, in Conversazioni con G.D.C, a cura di F.Boncuga, ed.Eleuthera,Milano,2000
l’idea di tortuosità, la dualità uomo spazio attraverso
l’immedesimazione dello stesso, la lettura opposta tra pieno e
vuoti, tra vitalità e quiete. Il SouK è per De Carlo un modello di
spazio urbano di grande portato culturale, a cui farà riferimento
in seguito per definire il primato della città Mediterranea ,in
termini di qualità ambientale, sulla città Europea “Penso che la
città mediterranea potrebbe avere un’influenza importante
nella costruzione dell’Europa e della città europea;
un’influenza che può essere positiva perché feconda di
contraddizioni.Non si deve infatti dimenticare che il modello
dominante di città europea appartiene ad una concezione
economicista dello sviluppo urbano ad un’idea estrema dell’uso
del suolo e dei rapporti umani.
Però la città mediterranea ci costringe a riflettere su alcune
questioni che ormai consideriamo fondamentali.In primo luogo,
il concetto che lo spazio è sempre spazio e non è divisibile in
Maggiore o minore. Nella città mediterranea non esistono
differenze rilevanti fra spazio interno e spazio esterno.Se si
prova a disegnare i pini ed i vuoti di una città mediterranea e li
si confronta , si vede che i due disegni sono analoghi: i vuoti
potrebbero essere i pieni ed i pieni i vuoti. Del resto
l’alternanza dei ruoli è lampante in luoghi come il Souk dove la
strada essendo coperta, diventa con naturalezza
un’interno…una seconda cosa è la tortuosità. Non la esalto
come espediente morfologico, ma mi interessa come
rappresentazione dello spazio fondata sul principio che la sua
percezione non può essere altro che complessa…quello che
certo in termini geometrici, diventa incerto in termini di spazio
urbano…sappiamo che sono colme di disfunzioni, ma che sono
dotate anche di straordinaria capacità di cambiare, di
modificarsi di estinguersi, continuando a generare percezione e
esperienza di spazio…e la città ha cominciato a perdere il suo
fascino impareggiabile di città mediterranea, tortuosa,
complessa, imprevedibile, dove ci si può perdere e quindi dove
si dove continuare a scoprire”15. Questo articolo apparso su
Domus datato gennaio 2004, contiene una serie di indicazioni
critiche, che riassumo in tondo le tematiche di una carriera di
Architetto, Urbanista, Filosofo, Scrittore e sono fondamentali
per tracciare la ricerca .
La contraddizione, nello spazio urbano, è per De Carlo un
pregio, come vedremo in seguito, questa rappresenta una
differenza su cui fondare il progetto, che si esprime attraverso il
disordine e l’ordine.” L’ordine deriva da una selezione che
isola le variabili considerate significative e le organizza in un
sistema quanto più possibile semplice tale cioè da offrire una
soluzione semplice…sappiamo che sempre di più si tende ad
organizzare lo spazio fisico secondo principio riduttivo e
sappiamo che esso è l’origine di tutti i metodi che vengono
universalmente applicati per la costruzione del
luogo…prototipi spaziali la cui combinazione additiva dà
luogo ad un insieme ambientale: la strada, il quartiere, la città.

15
G.De Carlo, Tortuosità, in Domus, n°866, Gennaio 2004.
Fig.1 Schizzi tratti da “Nelle Città del Mondo”

Sappiamo anche che una città ci interessa per tutto quello che
riesce a sfuggire ai controlli di queste regole , per le espressioni
non ammesse, che si insinuano nelle smagliature dell’ordine e
si rivelano con tutta la ricchezza di stimoli che è propria delle
contraddizioni. Il tessuto trapelante delle espressioni non
ammesse dà luogo a una configurazione imperfetta di
disordini”16.

16
G.De Carlo, Ordine istituzioneeducazione disordine- in Casabella n°366.
La contraddizione sarà un portato dell’architettura spontanea, a
cui De Carlo si rifarà più spesso; una lezione che, come
vedremo nel II capitolo riceverà da Pagano. Appunto siamo nel
36 quando Pagano organizzerà la famosa triennale di Milano
con tema “ L’Architettura Rurale”. Questa occasione culturale
permetterà a molti architetti giovani dell’epoca di entrare in
contatto con quel portato culturale minore, che in alcuni casi
può aver fatto frenare l’avanzamento della cultura
architettonica, dall’altro, come nel Caso di De Carlo, è stata la
base fondamentale per apportare quelle critiche costruttive al
movimento moderno che imperiava in quegli anni incontestato.
Pagano, redattore già di Casabella, diverrà negli anni della
resistenza molto amico di De Carlo; la loro amicizia,
documentata anche attraverso lettere intercorse tra i due,
porterà De Carlo ad una rivisitazione interiore dei postulati
formulati dai Ciam, che culminerà con l’abbandono del famoso
gruppo, a seguito delle aspre critiche per il progetto di
appartamenti di Matera. In quest’occasione, De Carlo, convinto
che anche il movimento moderno si avvicinava ai luoghi con
una certa superficialità, presenterà un progetto ormai noto a
tutti, impostato più sulle assonanze architettoniche, alla
continuità materia linguistica che non ai punti teorici dei Ciam.
Il complesso residenziale della Martella, viene fotografato sullo
sfondo di un campo ove pascolano un gregge di pecore. Questa
foto non a caso rappresenterà una sensibilità al codice genetico
dei luoghi. De Carlo ormai convinto del superamento dei
principi autoritari del movimento moderno, organizzerà come
tema della IX Triennale di Milano, una sezione sull’architettura
spontanea.
Fig.2 Complesso della Martella

Lo spazio museale, perderà quel percorso rettilineo, per


avvolgersi in un più articolato e organico percorso tortuoso, che
fin dall’origine ha sempre interessato De Carlo. Lo spazio
accidentale per De Carlo non sarà mai accidentale, ma sarà
sempre momento di riflessione maggiore, rispetto alla regola
composita; lo vedremo questo atteggiamento critico negli
interveti di Mazzorbo, dove appunto spiega che l’accidentalità
quando è spontanea appartiene a quella magia che solo la
cultura popolare può avere. Ma anche a Colletta di
Castelbianco, fonderà la sua lettura progettuale sulle
accidentalità urbane ed architettoniche, rileggendo e
reinterpretando quella filosofia “ del crostaceo che De Carlo
descrive e legge in maniera magistrale .
“Un organismo crostaceo che cresce lentamente adattandosi
al supporto anch’esso organico , sul quale si posa. Ogni
cellula si fonde con quelle circostanti in tutte le direzioni : in
orizzontali, in verticale, in obliquo scendendo o risalendo
Piccoli insiemi di cellule costituiscono le abitazioni che si
sviluppano quindi come sequenze di configurazione variabile
Quello che non varia – o varia molto poco – è la dimensione
di ciascuna cellula; e questo è dovuto alla coerenza che
intercorre tra le caratteristiche dello spazio e la tecnologia
usata per definirlo: oltre i muri, anche le volte sono in pietra e
questo fissa la loro dimensione entro un campo di variazione
limitato.
Fig.3 Schemi delle sezioni di Colletta

Le varie abitazioni non hanno di fatto confini, se non

impercettibili; per cui è possibile immaginare e così forse è


avvenuto in passato che possano estendersi o ritirarsi una
nell’altra …..Il progetto che è stato elaborato ha lo scopo di
recuperare il villaggio per renderlo di nuovo abitabile .
Gli abitanti non saranno gli stessi nel senso che non avranno
le stesse attività e gli stessi modi di vita di quelli che c’erano
nel tempo remoto, perché di certo non sono cessate le ragioni
per cui il villaggio è stato abbandonato.
Progettando si è avuta la sorpresa di scoprire che gli
adattamenti erano relativamente facili e che il sistema
crostaceo sul quale si stava operando era molto più docile e
reattivo di quanto non siano i sistemi vertebrati dei quali è
generalizzato l’uso nell’architettura contemporanea.
Essenziale era stato capire il codice genetico e sui modi di
generare eventi spaziali. L’altra sorpresa è stata di trovare
conferma, più di quanto non sia già capitato in altri casi, che
un sistema antico di costruzione come quello della pietra, con
le sue leggi precise perché legate alla natura dei materiali e
alle tecniche di metterli insieme, sopporta meglio inserti di
tecnologia avanzata e quindi leggera che inserti della
tecnologia pesante ancora generalmente usata nell’edilizia .

Fig.4 Il collegio del Colle -Urbino

contemporanea”.17

17
G.De Carlo, Un sistema Crostaceo, in Collettami Castelbianco, www,coletta.it
Il periodo dagli anni 50-60, vede De Carlo impegnato in uno
dei più grandi progetti architettonici –urbanistici, del panorama
italiano, Urbino. De Carlo viene chiamato da Carlo Bo ad
interessarsi del recupero della sede centrale dell’università; da
allora sarà l’esecutore di un progetto di recupero edilizio- fisico
– sociale- economico che non ha precedenti nel panorama della
cultura architettonica ed urbanistica italiana ed internazionale.
Dal piano urbanistico generale agli interventi edilizi di recupero
e riqualificazione, sono tutti esempi di architetture contestuali
che fanno scuola.

Fig.5 La scala della Facoltà di Economia a Urbino

Tra questi ricordiamo gli interventi della Facoltà del Magistero,


la Facoltà di Legge, la Facoltà di Economia, l’operazione
mercatale, il collegi sul colle dei cappuccini, le case per
dipendenti dell’università. Questo passaggio da un’architettura
razionale ( nel senso di essere impostata su canoni di
economicità, distribuzione ecc) ad una Architettura più
tradizionale( nel senso che contiene elementi desunti dal luogo
e per il luogo in cui ritrova) e evidente anche nei progetti di
Urbino. E interessante sottolineare quanto dice F.Samassa in
merito al collegio del Colle

Fig.6 Collegi Universitari a Urbino

”Per meglio valutare come De Carlo vive e risponde a quel


difficile passaggio, …nel progetto del collegio del colle è
impostato a partire dalla conformazione del terreno ancorché
non in modo naturalistico, mentre gli altri tre mostrano forme
architettoniche più definite e in rapporto dialettico con la
natura e il paesaggio circostante…il collegio del colle sia un
tentativo di costruire un’insieme di edifici pubblici emergenti
ed un tessuto residenziale adattato al terreno, sul modello delle
città storiche italiane: le residente studentesche, viste dal basso,
appaiono come il muro continuo di case che cinge gli antichi
paesi arroccati su di un colle” 18. Questa metafora introduce un
altro tema caro a De Carlo, ossia il rapporto con il territorio;
questo rappresenta un momento fondamentale nella costruzione
teorica che ho definito come contestualismo interiore. Che le
curve di livello siano una metafora dei caratteri dei luoghi non
è solo un’ipotesi leggibile attraverso le sue architetture, vedi la
palestra di S.Miniato, ma leggibile anche attraverso i suoi
scrittiti “le curve di livello portano riflettere più propriamente
sui caratteri dei luoghi di cui sono rappresentazione simbolica e
anche spoglia ma proprio per questo con forte predisposizione
a accogliere stratificazioni di significati…le curve di livello
fanno pensare agli alberi e non tanto assecondano il loro

Fig.7 Vittorini-De Carlo-Sereni

sviluppo …ma piuttosto perché con gli alberi hanno dirette


corrispondenze soprattutto nell’avere a fondamento la
flessibilità invece che la rigidezza…le curve di livello
ricordano immagini di sensibilità, percettività, adattamento
agile ed elegante”19. Il territorio, delle permanenze fisiche,

18
F.Samassa, in G.De Carlo Percorsi, il Poligrafico, Inezia 2004.
19
G. DE Carlo, La redazione del Progetto per Genova, in Immagini e Frammenti, a cura di A.Mioni, Electa,1995.
orografiche, storiche, è letto da De Carlo, nella sua complessità
e soprattutto attraverso la presenza dell’uomo.Il territorio è
visto e letto attraverso l’esperienza umana, quell’esperienza
colta attraverso la narrativa di Vittorini.

Fig.8 Incontro di De Carlo a Monte Marcello La Spezia

Come descriverò meglio in seguito, Vittorini e De Carlo si


conosceranno già ai tempi della X Triennale di Milano, ove
insieme firmeranno un cortometraggio “ La Città degli Uomini”
che sarà proiettata alla sezione Urbanistica.
Il loro rapporto continuerà tra gli anni 60, che inseguito
definirò periodo di Bocca di Magra; proprio in quel periodo
Vittorini scriverà un romanzo “ Le città del Mondo” ove i
territori sono letti e vissuti in dualità con le città. Città e
territorio, anche per De Carlo saranno allo stesso tempo due
spazi scindibili ma facenti parte di un unico spazio. Vedremo
infatti che la lezione di Vittorini sarà fondamentale nella teoria
di De Carlo. Il territorio è quindi per De Carlo per prima cosa
esperienza umana “ tutto il raccontare degli esseri umani è
prevalentemente territoriale: uomini e donne continuano a
raccontare nel corso della loro vita i territori nei quali hanno
vissuto.

Fig.9 Schizzi di De Carlo

Il territorio finisce essere sempre per sfondo di ogni loro


raccontare, quanto più è in movimento e quindi
differenziato.Non si raccontano le situazioni immobili, si
continuano a raccontare le situazioni che si muovono e si
cambiano.Tanto più sono in movimento tanto più diventano
riferimento sicuri per i poveri esseri umani che stanno per
essere sbattuti negli abissi dell’omologazione e si sentono
disorientati. Progressivamente si accorgono che l’omologazione
obnubila la memoria che poi è sostanzialmente la storia e
rendevano vano il progetto, se si estingue la possibilità di
trovare riferimenti nel territorio si perde la cognizione del
passato e si smette di proiettarsi nel futuro; si comincia a
pensare al progetto come strumento di conservazione , come
compilazione di tipologie di quanto è già avvenuto, come
sbarramento contro gli impulsi vitali che sono generati dal
cambiamento”20. I periodi trattati sono dunque quelli che vanno
dal 1943 al 1968.
Nel 1943-1945 torna a Milano e frequenta l’ambiente
antifascista attraverso il Movimento di Unità Proletaria.
Conoscerà in questo occasione Giuliana Baracco. Dopo l’8
settembre viene chiamato a Milano ed insieme a Giuseppe
Pagano organizzerà un’importante formazione partigiana. Nel
1945 pubblicherà per i tipi di Rosa e Ballo gli scritti su Le
Courbusier.

Fig.10 Casa a Sesto S.Giovanni

Nel 1946-1948 Finita la guerra abbandona la vita politica e


sviluppa rapporti con il movimento anarchico senza mai
aderirvi in pieno.

20
G.De Carlo, L’identità del Territorio, in Lettura e Progetto del territorio, Maggioli editore, Rimini,1996.
Nel 1948-1949 si iscrive a Architettura a Venezia ove si laurea
insieme a Gardella, poco dopo verrà chiamato ad insegnare a
Venezia presso il corso di Disegno e rilievo.
Nel 1950-1955 Con il piano Fanfani ha l’occasione di
realizzare i suoi primi importanti edifici, è chiamo da Carlo Bo
per interessarsi a Urbino, Organizzerà la IX triennale di
architettura, , è chiamato da Rogers a far parte della redazione
di Casabella, farà parte dei Ciam fino alla famosa notte del
1959 . Nel 1950, realizzerà le case per appartamenti a S.San

Fig.11 casa Zigania Friuli

Giovanni, edificio ascrivibile alla cultura modernista; edificio


a ballatoio posti su 5 livelli abitativi, di 8 appartamenti per
piano, disposti nord sud- camere e bagni a nord soggiorno e
pranzo a sud di fronte ai ballatoi che risultano staccati
dall’edificio per aumentare l’indipendenza e diminuire
l’introspezione. De Carlo tornerà spesso su questo edificio, non
per esaltarlo ma per criticarlo;” Avevo costruito delle case
operaie a Sesto San Giovanni. I progetto aveva un cardine che
mi pareva sicuro: fornire a ogni alloggio le migliori condizioni
di abitabilità…Ho passato qualche ora di domenica in
primavera a osservare da un caffè do fronte il moto degli
abitanti…ho subito la violenza che mettevano nell’aggredirla
per farla diventare la loro casa; ho verificato l’inesattezza dei
miei calcoli. Ho capito allora quanto poco sicuro era stato il
mio cardine malgrado l’apparenza razionale” 21. Gli edifici
seguenti quel periodo, infatti sembrano seguire un’altra teoria;
a cominciare dalle residenze e i negozi alla Comasia del 1953 (
edificio che recupera una certa lettura compositiva impostata
dalla base su portico, un corpo e una testa corrispondente al
tetto a falde), le case per dipendenti all’università di Urbino
1956, ( in questo case c’e l’esaltazione dell’apparato materico
recuperando quella cultura umbra sull’uso di materiali a faccia
vista).
Casa Zigania a Cervignano del 1958 e soprattutto le residenze a
Matera al quartiere la Martella che in quegli anni gli urbanisti
stavano studiando” riproponevano nuove versione dei Sassi
cioè aggregazioni di caverne dove per secoli avevano vissuti i
braccianti. Si esaltavano con l’idea che i Sassi erano un
modello perfetto di vicinato: un mirabile stato di
corrispondenza tra vita associata intensa e spazio fisico ricco di
figure. In realtà non era così per niente…non era affatto vero
che i nuovi abitanti dei Sassi volessero nuovi Sassi ma con
bagno, cucina e riscaldamento.Questo lo pensavano gli
architetti e i sociologi neorealisti…Avevo disegnato la casa di
Matera tenendo conto di tutto questo e avevo composto la sua
facciata come fosse un palazzo rinascimentale, anche se le
risorse che avevo a disposizione erano scarsissime ( tanto la
composizione se la si sa fare, non costa).

21
G.De Carlo, in Casabella n°201,1954.
Fig.12 facciata complesso residenziale la Martella

Non ho usato le finestre orizzontali, ne il tetto piano, ne i


pilotis. Ho dotato la casa di un portico di un grande tetto a falde
di finestre verticali: perché a Matera il paesaggio si percepisce
per tagli trasversali…ad Otterolo la casa di Matera aveva
suscitato le ire dei membri più ortodossi dei Ciam…ma perché
mai avrei dovuto disegnare finestre orizzontali in ogni caso?
Ma perché mai avrei dovuto impedire di fare tetti a falde anche
quando c’erano buone ragioni per farli?se per essere moderni o
basta applicare come stavano facendo loro le loro formule
meccaniche allora di essere considerato moderno non poteva
importarmene meno”22.Questa riflessione nasce in De Carlo sin
dai primi anni 50, i progetti di questo decennio sono figli di un
periodo esistenziale in cui de Carlo osserva che i postulati del
movimento moderno sono troppo autoritari e poco attenti al
contesto al linguaggio del luogo alla storia. È interessante ciò
che osserva Henry Milton “per più di trenta anni l’impegno di
De Carlo verso questa concezione della storia non si è

22
G.De Carlo, in Conversazione con G.D.Carlo, a cura di Franco Boncuga, Eleuthera, Milano,2000
stemperato.Per tutto il tempo in cui si è sviluppata la
discussione sul regionalismo, nazionalismo, piani urbanistici,
centri storici, centri direzionali, città territorio regione,
vernacolo, post modernismo e progetto piano, è rimasta ferma
la persistente convinzione di De Carlo che ogni intervento deve
introdurre innovazione nel tessuto della tradizione esistente”23.
Ma la tradizione è fatta di permanenze che caratterizzano
quell’insieme di cose che chiamiamo identità .L’idea che ogni
luogo possiede un identità passa dallo studio del codice
genetico, che sarà per De Carlo un altro fondamentale aspetto
della sua ricerca. Appunto sul termine identità De Carlo
interverrà a più riprese “l’identità è una questione centrale alla
quale sono stato costretto a dedicare gran parte delle mie
energie.Parlo dell’identità degli edifici e dei luoghi, ma anche
dell’identità degli individui e delle società. È minacciata dalla
specializzazione e quindi dall’unificazione e debbo dire che
l’urbanistica ufficiale più recentemente ha contribuito molto in
questi anni a rendere la minaccia sempre più
attuale”24.L’identità viene legata al codice genetico; il codice
genetico dei luoghi per De Carlo è qualcosa di più della sola
identità, anzi per certi versi la contiene: “ credo che la
conoscenza dei codici genetici dovrebbe essere preliminare ad
ogni azione che ci si propone di compiere sul territorio…la
qualità specifica che deve avere ogni spazio aperto o edificato,
le corrispondenze che si debbano stabilire col contesto per non
confondere la sua identità, le coerenze necessarie tra strutture
urbanistiche e forme architettoniche , le consonanze con le
cadenze della natura…allora procedendo per alternanza di
lettura e progettazione tentativa , si finisce con lo scoprire che

23
H.Millon, Il tempo e l’architettura, in Giancarlo De Carlo Architetture, a cura di L.Rossi, A.Mondatori.
24
G.De Carlo, Intervista di F.Karrer, in Spazio e Società, n° 41, Gennaio Marzo, 1998.
esiste un codice genetico che ha governato la nascita e lo
sviluppo del luogo sul quale si vorrebbe intervenire e che ogni
intervento incoerente con le ragioni di quel codice genetico
produrrebbe alienazione urbanistica –architettonica e sociale,
come si vede in modo inequivocabile dalla volgarità in cui cade
la morfologia”25.
Nel 1955-1966 Sono gli anni di insegnamento a Venezia,
l’appartenenza al Team X, l’appartenenza alla società amici di
Bocca di Magra.
In quegli anni apparterrà anche alla ormai famosa Società
Amici di Bocca di Magra, associazione culturale nata per
salvaguardare il patrimonio ambientale di quella località
turistica; in questa occasione, e nelle vacanze trascorse, De
Carlo entrerà in contatto con poeti scrittori, in particolare con
Calvino, Sereni. Di questo periodo, a mio parere di
fondamentale importanza, è il contatto con Vittorini e Calvino;
entrambi conoscitori di città parleranno della loro esperienza
con De Carlo, dopo pochi anni usciranno due libri, “ Le città
del Mondo” di Vittorini e “ Le città Invisibili “ di Calvino;
questi due libri come vedremo in seguito, precedono un terzo
libro di De Carlo “ Nelle città del mondo”la cui visione come
spiega appunto l’autore sarà una visione dall’interno.

25
G.De Carlo, Lettura e progetto del territorio, Maggioli editore, Rimini,1995.
Nel 1962-68 sono anni di intervento a Urbino, pubblicherà per
Argalia “la piramide rovescia” ma soprattutto sempre per
Argalia il libro “ Questioni di architettura ed Urbansitca”,

fig.13 copertina di “le città del mondo”

rivisitato ultimamente da Paola Di Biagi26

26
P.Di Biagi, I Classici dell’urbanisitca Moderna, Universale Donzelli, Roma 2002.
Nel 1960-68 Sono anni di intervento a Urbino, Pubblicherà per
Argalia “la piramide rovescia”. Gli interventi di Urbino
iniziano nel 1960 con la sede Centrale dell’Università , fino
all’attuale ristrutturazione della Data od orto dell’abbondanza.

Fig.14 Alcuni interventi nella città di Urbino

Questi interventi ricoprono sia progetti a carattere di restauro


architettonico, che di progettazione ex novo fino ai più noti
piani urbanistici; pur dividendo i suoi interventi, De Carlo
sembra intervenire in maniera organica su tutti i campi di
applicazione, senza alcuna divisione interna. “ A Urbino
progettando un pezzo di città ho simulato il suo sviluppo nel
tempo e per non rendere artificiale la simulazione mi sono
riferito a tutte le differenze concrete : della natura, dei paesaggi,
degli abitanti, dei raggruppamenti sociali, dei comportamenti
dei cittadini, dei comportamenti e delle caratteristiche degli
studenti. La diversa qualità degli spazi e il diverso modo di
essere degli studenti sono stati messi tra loro in relazione
spontaneamente”.27 Tra tutti gli interventi è interessante, per
l’argomento trattato, oltre a parlare dell’intervento dei nuovi
alloggi per dipendenti dell’università di Urbino, che tratterò in
seguito, esporre il progetto della facoltà del magistero.

Fig.15 Il corpo cilindrico della Facoltà del Magistero

L’intervento è del 1968, anni in cui De Carlo, come vedremo in


seguito, inizierà le prime riflessioni sulla partecipazione, si
inserisce in un contesto fortemente storicizzato, lungo via Bella
Via Saffi, in un antico convento. De Carlo decise di conservare
la muratura esterna, non volendo pregiudicare la particolare
fragilità del centro storico. Senza entrare nella disamina
distributiva e funzionale, mi preme sottolineare l’atteggiamento
di De Carlo nell’affrontare un tema così particolare; l’edificio
nella sua parte più nuova si inserisce nell’intorno storicizzato
senza esporre particolari accenti architettonici; la quasi totale

27
G.De Carlo, in Conversazioni con G.De Carlo, a cura di F.Boncuga , Eleuthera, 2000.
assenza di aperture, eccetto alcuni tagli verticali di modeste
dimensioni, la forte potenza architettonica del muro in mattoni
faccia vista, chiusa quasi a recinto, come molte architetture
nascoste ( sembra non voler far affermare, in termini di
importanza, nessuna facciata rispetto all’altra ), si alterano alla
ricchezza dello spazio interno quello introverso dello spazio e
degli individui. Lo scavo generato all’interno del lotto dove
trovano posto le aule, l’anfiteatro, si presenta come
un’architettura vuota e piena allo stesso tempo( come
nell’architettura conventuale ove ad una chiusura totale verso
l’esterno, non solo formale, corrisponde una ricchezza interna
di spazi di forme).

Fig.16 la vetrata esterna del Magistero

La facoltà del Magistero ha una valenza territoriale “ è proprio


il lucernaio, peraltro visibile dalle colline circostanti in
particolari da S.Bernardino divine il gesto più icastico del
moderno sull’antico a tal punto da essere riconoscibile anche
da una visione totale del corpus cittadino”28. I giardini pensili si
inserisco in quel rapporto tra natura e architettura caro a De
Carlo; in questo caso oltre ad addolcire l’inserimento vetrato, i
giardini sono memento di raccoglimento degli studenti. Come
spiega appunto De Carlo il magistero rappresenta “ un interno
geometricamente organizzato in un involucro topologico a
sviluppo continuo” che si rafforza per le assenza di accenti
formali, ad eccezione della torre del corpo scala. In questo
progetto possono sintetizzarsi diversi argomenti affini alla
ricerca in oggetto, ma in particolare modo è da sottolineare la
coincidenza del rapporto architettura ed urbanistica, il rapporto
interno ed esterno, del pieno e del vuoto, la misura percettiva
dell’intervento.

Fig.17 progetto per il Piano guida per Lastra a Signa

28
T.Fuligna, in Una Giornata con De Carlo, Art Grafiche Stibu Umbria, 2001
Appunto De Carlo fa forza sulla dualità delle situazioni ,
dualità che genera forza, quindi stimoli e occasioni “la
consapevolezza di non scindere l’interedipendenza delle parti
urbane e territoriali, la persuasione acquisita con fatica che non
dà frutti, il separare in modo manicheo il piccolo dal grande, il
continuo dal discontinuo, la tradizione
dall’innovazione…mentre è fertile muoversi nello stimolante
intrico dei rapporti duali…le svariate circostanze delle società e
dei luoghi e così via”29.Sulla dualità Architettura Urbanistica,

fig.18 Centro Storico di Lastra aSigna

De Carlo ha un’idea precisa, la coincidenza delle due


discipline; nell’introdurre il progetto guida per il centro storico
di Lastra a Signa scrive “ credo di dover cominciare col dire
perché il centro storico di Lastra a Signa mi ha interessato …e
allora dirò: perché è minuscolo e perciò non c’è dubbio che la
sua urbanistica coincida con la sua architettura, in termini di
tempo e spazio, generazione e sviluppo, struttura e forma ;

29
G.De Carlo, Architettura mosca cochiera, in Lotus,1991,n°69.
perciò si può pianificarlo e progettarlo allo stesso tempo, senza
astratti patemi d’animo sulla priorità del piano sul progetto o
suo contrario.”30La questione del rapporto architettura
urbanistica, è sempre stata alla base della ricerca di De Carlo,
di quel contestualismo interiore, che la piccola scala permette
di affrontare; lo vedremo negli interventi di Mazzorbo, ove De
Carlo attraverso una lettura delle preesistenze interviene in un
contesto fortemente storicizzato inserendovi oggetti nuovi la
cui organizzazione funzionale e formale formano un tutto uno
con il vocabolario del luogo. Sul rapporto interno esterno
abbiamo già accennato in precedenza, nel Magistero questo
rapporto è ancora più evidente; la relazione interno esterno
degli edifici, De Carlo la legge come un rapporto interiore della
socialità degli individui, e come questi si inseriscano in questa
dualità. In Urbino, questo rapporto sociale è molto chiuso, la
città, le muraglie, sono fortemente introversi; come appunto De
Carlo sottolinea, questo rapporto non può limitarsi alla logica
privata dell’organismo architettonico, ma deve penetrare nella
logica complessiva del contesto fisico sociale. L’ambiente
arabo, il SouK, è stato per De Carlo un momento di attenta
lettura di questo rapporto, come ho già sottolineato, questo
rapporto culminerà nella stesura del progetto di Mazzorbo,l
dove De Carlo sintetizzerà queste relazioni ( attraverso schemi
grafici, tracciati) per presentare all’IACP di Venezia il progetto
di 36 Alloggi. Anche la dualità pieno e vuoto è fortemente
condizionante in questo contesto; come ogni progetto di De
Carlo è difficile scindere le parti per metterne in evidenza il
contenuto, quindi risulta arduo dividere e frammentare un
progetto in tante parti. Per De Carlo il pieno degli edifici, e il
vuoto dello spazio esterno sono la stessa cosa, o meglio

30
G.De Carlo, in Lastra a Signa, Progetto Guida per il Centro Storico, Electa, Milano, 1989.
nessuna parte predomina sull’altra in termini di importanza,
come vedremo in seguito anche questa lettura si può dire
ereditata dal passato; in molti progetti /piani, la lettura dei vuoti
e dei pieni diventa talmente significativa da rendere vano un
recupero edilizio se non si interviene sul suo intorno “Quando i

Fig.19 Villaggio Matteotti Terni


processi di manutenzione si arrestano negli edifici e negli spazi
tra gli edifici, l’area urbana decade con accelerazione sempre
più rapida…il recupero deve dunque puntare agli spazi edificati
ma anche allo stesso tempo e possibilmente ancora prima – agli
spazi tra l’edificato; soprattutto deve intervenire sull’intero
tessuto, inteso come contesto indivisibile di pieni e di vuoti; e
anche sui margini del tessuto per riaprire i canali che lo
connettono con le latri parti di città.”31
Nel 1968 inizia le prime riflessioni sulla partecipazione. De
Carlo, abbiamo visto che il distacco dai principi del movimento
moderno passa attraverso il rifiuto del concetto di autoritarietà
del gesto architettonico/ urbanistico sull’individuo; questa
autorità, che in De Carlo sarà anche forza liberale e come dice
Purini “Anarchitettura”, sarà recepita da De Carlo grazie al
contatto con Pagano e forse anche da Vittorini. La sola idea
che l’individuo si pieghi alla volontà dell’architetto, porta De
Carlo a ripensare a quel valore umano interiore che sarà
evidente e fondamentale nei progetti di Terni, Rimini,
Mazzorbo. Come sempre spesso sottolinea, la specializzazione
ha causato la mancanza di quell’apporto dal basso, quel
contenuto spontaneo che è componente fondamentale e
rappresenta una complessità inscindibile e molteplice, che
l’architettura e l’urbanistica non possono fare più a meno.
L’uomo é fondamentale, “ In un architettura entrano gli esseri
umani, si incontrano intrecciano rapporti usano lo spazio e ne
vengono influenzati, stabiliscono con lo spazio una dialettica
partecipativa intesa in senso moderno”32. Se consideriamo poi,
che attualmente stiamo vivendo e andiamo sempre più verso
una società multietnica, il linguaggio dell’architetto non può
che considerare queste tendenze, quindi il progetto non può che
essere complesso e il suo linguaggio molteplice; in questo
senso De Carlo spiega appunto “ La nostra società diventerà
multietnica, multirazziale, multicolore, quella occidentale farà
fatica ad arrivare a questo stadio…la società sarà sostituita ad
avere fenomeni di movimento interno molto complessi e molto

31
G.De Carlo , in Istruzioni per il recupero ambientale, a cura di L.Rossi, Maggioli,
32
D.Vargas, in Conversazioni sotto una tettoia, Clean Edizioni,2004
probabilmente turbolenti, qualunque tentativo di opporsi è
inutile se non risibile”33. Per partecipazione De Carlo intende”
stimolare la presa di coscienza di uno stato di fatto
iniquo…delle motivazioni che stanno dietro quello stato di fatto
e delle conseguenze che produce di delineare un nuovo modo di
usare e configurare il territorio coerente con i bisogni reali della
collettività; di proporre di sistemi morfologici- in termini di
immagini fisiche , tridimensionali espressive dei valori sottesi
ai bisogni reali e alle aspettative della collettività”. 34

Fig.20 Collegio del tridente Urbino

Nel 1976 Fonda il laboratorio di progettazione urbanistica


ILAUD.
Nel 1976 Fonda la rivista “spazio e società”.
Nel 1989 viene nominato cittadino onorario di Urbino. “ Ogni
volata che torno ad Urbino non posso fare a meno di andare a
rivedere, come primo atto, i Torricini del Palazzo
Ducale…sono toccato, quando la ritrovo, dalla apprensione che

33
G.De Carlo, ibidem, p. 12.
34
G.De Carlo,in le radici malate dell’urbanisitca italiana, a cura di aa.vv. Miozzi ed.Milano 1976.
mi danno le sue rughe…sono geloso di questa città al punto di
non poter dormire se altri la guardano con speranze
possessive…soffro delle fatiche di questa città che spesso sono
tante…E allora adesso che sono cittadino onorario prometto
che sarò un buon cittadino”.35

Fig.21 Blue Moon Lido di Venezia

Nel 1980 inizia il progetto guida per il recupero di Lastra a


Signa; questo periodo segna un’ulteriore passaggio nella ricerca
di De Carlo, che culminerà con le ultime realizzazione delle
porte di S.Marino e l’imbarcadero di Salonicco, il Blue Moon.
Questa seconda o terza maturità, è segnata in De Carlo
attraverso progetti tentativi e allo stesso tempo liberi. In Lastra
a Signa il progetto è spinto fin dall’inizio a dare delle risposte
in termini di immagini” le immagini di un progetto se sono
definite con competenza ( e molta immaginazione ) descrivono
il quadro completo del processo che si vuole avviare e
forniscono le coordinate alle quali si riferiranno le mosse
successive. Perciò seguendo questa sperimentata presunzione

35
G.De Carlo, in Un Architetto e la città, Urbino Quattroventi, 1990.
sono state cominciate subito e contemporaneamente la lettura e
la progettazione tentativa Che per quattro mesi , molto
intensamente impiegati, sono state portate avanti in alternanza
continua”36. Sulla lettura e sulla progettazione tentativa sarebbe
interessante ampliare il discorso, che in fondo rappresenta in
qualche maniera un metodo operativo di De Carlo.
Nel 1993 rieceve la Royal Gold Medal.
Nel 1994 Progetto per le porte di S.Marino, rappresenta un altro
passaggio nella ricerca progettuale di De Carlo;

fig.22 Concorso per la zona Lizza Siena

già qualche anno prima nel concorso per la Lizza a Siena, tra
una cortina muraria e l’altra appariva una torre smaterializzata;
si parlerà in seguito di lirismo strutturale. Di questa perdita di
materia, leggerezza, si è parlato ancora una volta come riflesso
di cambiamento della società come abbandono alle leggi del
cosiddetto progresso; “ quello che allora ho cominciato a

36
G.De Carlo, Progetto Guida Per il centro Storico di Lastra a Signa, Electa,Milano,1989.
progettare era di certo influenzato dal crescente rifiuto di una
banale e passiva idea di progresso. Quindi da una più precisa
posizione critica nei confronti di una tecnologia data come
onnirisolutiva , e invece sulla via di essere obsoleta perché
ancorata ai suoi gloriosi presupposti ottocenteschi.

Fig.23 schizzi per la Torre della Lizza

Ho cercato di andare più avanti possibile in questa revisione


critica e sono arrivato a conclusioni che hanno influito molto
sul mio metodo di progettazione e al suo linguaggio. Anche per
questo considero il progetto per Siena un punto importante
della mia traiettoria. In quel progetto la struttura veniva liberata
dai vincoli imposti dalla statica convenzionale e tornava ad
essere problematica, relativistica e compositiva. Mentre
progettavo la Torre per Siena dicevo ai miei collaboratori
…testando la struttura avremmo capito dove teneva e dove
mancava, quando avessimo trovato punti cedevoli, l’avremmo
puntellata con una delle stecche che avremmo sfilato dal fascio
scegliendo a senso( mentale) la più appropriata. Entrando in
questa prospettiva ci si accosta al problema della forma con più
disinvoltura , perché diventa chiaro che i gesti da cui nasce
sono tutti necessari”37.

Fig. 24 Tatlin La torre per la terza internazionale

La disinvoltura cercata da De Carlo potremmo dire che è la


disinvoltura della cultura popolare; quella cultura che codifica
anche tipologia, ma vi arriva dopo una serie di sperimentazioni

37
G.De Carlo, Conversazioni con F.Boncuga, op.cit.pag.201.
progettuali crescono a piccoli passi; ancora una volta l’idea di
crescita spontanea della Torre, recupera metaforicamente quella
crescita della cultura popolare minore che in Siena è arrivata a
costruire la Torre del Mangia. Difficile distinguere il
linguaggio colto dal linguaggio popolare;

Fig.25 Schizzo raffigura tante L’Albero

De Carlo sembra fare forza su questa dualità per arrivare a


costruire un’architettura colta e popolare. Anche in questa
architettura torna il tema dell’ordine e del disordine; nella torre
rimette in discussione forze comportamenti”… implica di
rovesciare file di false certezze tenute su come pilastri della
rassicurazione universale.., che il campo dell’irrazionale è
degno di grande considerazione…che il disordine è più delle
volte una forma superiore di ordine ; più sfumata ,intricata e
arcana di quelle consuete e precettate, e tuttavia dotata di
rigorose corrispondenze interne che vengono percepite perché (
ancora) non si è capaci di distinguerle”38. Nella Torre di Siena,
è evidente il riferimento ad altre torri, quella di Tatlin,
personaggio amato appunto da De Carlo “ Nel descrivere le
motivazioni del suo progetto, Tatlin racconta che aveva sentito
la necessità ( mi sembra dicesse proprio: il dovere) di scoprire
nuove relazioni tra i materiali e che aveva voluto arrivarci

Fig.26 Porta a S.Marino

attraverso la costruzione di un sistema di forme complesse ,


capace di evolvere attraverso l’esercizio del suo stesso uso” 39.
Che questa evoluzione della costruzione attraverso l’uso stesso,
sia quella che De Carlo come scritto precedentemente, il senso
mentale. De Carlo nella Torre per Siena si avvicina ad un
progetto “ naturalista” ne senso che “ ho nominato gli alberi e
l’humus; ed allora a questo punto mi sembra necessario dire
che da alcuni anni mi capita di pensare agli alberi a al loro

38
G.De Carlo, Una Torre per Siena , in Spazio e Società,1991,n°53.
modo di consistere nello spazio aereo e sotterraneo. Sono
rimasto colpito da quel confronto che mi si era repentinamente
presentato tra le rovine e gli alberi, tra un intensa espressione
dell’essere spazio con emozione e razionalità e un’altra
egualmente intensa espressione con emozionante
naturalità…mi sembra che la seconda possa essere considerata
inclusiva e cioè capace di dare mezzi per diventare attuali a
configurazioni complesse, molteplici, mutevoli.” 40
Di alberi in movimento sembra essere il progetto per le Porte di
S.Marino; “la nuova porta per S.Marino, come quella per Siena
incorpora l’immaterialità, è infatti ariosa, trasparente , leggera;
la via immediata per esperirla è di ricordare ai propri sensi :la
vista il tatto e perfino l’olfatto, perché i materiali di cui è fatta
hanno capacità di evocare attraverso gli odori”41 Le porte di S.
Marino, oltre a risolvere un problema distributivo di passaggio,
rappresentano un modo di evocare le cose, le attitudini di una
popolazione , della sua ricchezza “ tutte queste cose messe
insieme e tante altre che ho scoperto o mi sono inventato e
magari non esistevano ma ormai, attraverso la porta esistono e
sono in circolo e ne generano altre”.42

39
G.De Carlo, La Idea plastica come reto a la Tecnologia, in Parametro n° 43, 1976
40
G.De Carlo, Una Torre per Siena, in Nelle città del Mondo,Marsilio, Venezia,1995.
41
G.De Carlo, Dalla relazione di Progetto.
42
G.De Carlo, Con i sensi e la ragione in Lezioni di Architettura , in Rassegna di Architettura ed Urbanistica n°92/93.
La Lezione di Pagano

Nel periodo della resistenza a Milano, De Carlo ha l’occasione


di conoscere Giuseppe Pagano. L’architetto Pagano era già
famoso attraverso gli articolo su “la Casa Bella “ che ne
assumerà la direzione nel 1931, e per i giovani della
generazione di De Carlo ha rappresentato un modello a cui
riferirsi. Giuseppe Pogatscnig, nasce in Istria a Parenzo il 20
Agosto 1896, si laureerà in Architettura 1928 al Politecnico di
Torino.

Fig.27 Esempi di architettura minore

Alla fine del 1931 si trasferisce a Milano dove inizia l’attività


con la redazione di “ La Casa Bella “. L’attività di Pagano a
Milano dura circa dieci anni, fino al suo richiamo alle armi che
avverrà nel 1941, e congedato nello stesso anno. Nel novembre
del 43 viene arrestato per la sua attività antifascista, ma evaderà
da Brescia dove era in carcere. A Milano viene di nuovo in
contatto con le organizzazioni partigiane; questo è il periodo in
cui De Carlo e Pagano avranno maggiori contatti che
culmineranno con una serie di lettere tra i due, dopo che
Pagano era stato di nuovo arrestato e condotto a S.Vittore.
Questa premessa indispensabile per capire il clima politico e
sociale del periodo, ci permette di mettere in evidenza la grande
amicizia tra i due personaggi, e introdurre i primi temi
d’architettura cari ad entrambi. Pagano attraverso i suoi scritti
su “ La casa Bella” si era posto come cultore del portato
culturale minore, quell’insieme di azioni spontanee che fin
dalla preistoria hanno permesso di mettere in atto un
patrimonio culturale immenso, che appunto Pagano attraverso i
suoi scritti, metterà in evidenza fino alla famosa Triennale del
36 a titolo “ Architettura Rurale”.

Fig. 28 Colombaia di casa Toscana, da G.Pagano

Gli scritti di Pagano che rimarranno come temi fondamentali


per la cultura contemporanea dell’epoca, sono incentrati sul
portato culturale del patrimonio storico della diretta relazione
tra gli individui e la costruzione del proprio spazio, nonché
della italianità di certi risultati architettonici e urbanistici. In
Architettura rurale in Italia, Pagano recita “ Cento anni or sono
quando John Ruskin parlava della casa rurale italiana, si
soffermava con piacere sulle modellature cadenti delle finestre
e dei suoi capitelli scolpiti delle colonnne d’angolo in
contrasto, le une con le tenebre senza vetri con l’interno, le
altre con le lacera e sudicia confusione dei panni sparsi
all’intorno. Ma pur con questa sua romantica adorazione del
pittoresco…parlando dell’abitazione rurale italiana riusciva a
determinare alcune osservazioni che ancor oggi possono
servire per chi si accontenta soltanto di un primo esame
superficiale. Egli ne esaltava la semplicità della forma.

Fig. 29 Cornicione presso Campobasso. Da G.Pagano


Oggi tale aderenza alla realtà del clima , all’economia agricola
e alla onestà costruttiva non è sempre rispettata. finchè era il
contadino che si murava la propria dimora … per antiche
abitudini rispettare e sempre collaudate dalla prova dei fatti,
sovrintendeva alla progettazione delle nuove cascine,
l’architettura rurale procedette su un binario strettamente
logico, assumendo quasi il valore di una manifestazione
subcosciente. Con l’estendersi delle cognizioni tecniche, con
l’influenza spesso perniciosa degli esperti rurali innamorati del
falso colore…l’architettura rurale ha corso il pericolo di
perdere il suo immenso valore di costruzione pura astilistica
afunzionale. Questo discorso… serve soltanto a dimostrare
come sia costantemente viva nell’architettura rurale la massima
indipendenza da ogni influenza stilistica.Se esiste anzi un libro
mastro del dare e avere siamo perfettamente convinti che
questo bilancio sia in attivo per l’architettura rurale.43 La
lezione più evidente di Pagano è la spontaneità di certi
atteggiamenti costruttivi e dei rispettivi risultati formali e
funzionali, il cui risultato risulta essere il coaugulo di azioni
astilistiche.

Fig.30 Casa Rurale .foto G.Pagano

Fondamentale per Pagano è l’apporto di chi opera senza


nozione alcuna , se non quella del portato che ogni persona ha
in se inconsciamente. Potremmo sintetizzare che Pagano
critica le azioni stilisticamente ricercate, che operano ed
agiscono sui luoghi attraverso atti autoritari nei confronti del
clima, del portato materico e formale, inserendovi a sua volta
elementi estranei perché forzati.Questa è una lezione che De
Carlo apprenderà appieno; da sempre infatti ha sempre criticato

43
G.Pagano, Architettura Rurale in Italia, in Casabella, n°96, dicembre 1935.
quelle azioni forzate, calate dall’alto senza tenere in
considerazione il luogo ove si andava ad operare e soprattutto
intervenendo i contesti storicizzati essendo sprovveduti e goffi.
Da sempre infatti De Carlo ha posto alla base della sua ricerca
la salvaguardia dei principi di identità dai processi di
omologazione che annullano quelle differenze umane , quindi
anche fisiche e materiche costituenti la base dei geni della città.

Fig.31 edificio a Boscotrecase. Foto.di G.Pagano

Ma Tornando a Pagano, è bene ricordare un ‘altro scritto


pubblicato nel 1940 in cui si critica favorevolmente
l’importanza pratica che può avere un libro come “ Die Neue
Architektur…sia per l’educazione estetica di giovani architetti ,
sia per comprendere a certi studiosi bene intenzionati l’entità e
l’indirizzo più vero della nuova architettura e presto definita
dalla sua stessa esauriente chiarezza espositiva. E questa analisi
trasforma la conoscenza superficiale ed esteriore
dell’architettura in una più intima espressione che tiene giusto
conto del modo e del sistema e della fantasia con cui gli
elementi della tecnica edilizia si sono trasformati in opera
d’arte.”44La presenza in questa pubblicazione di opere di
architetti “moderni” per De Carlo risultarono esempi
importantissimi negli anni 40’. Nel 1936 Pagano organizza la
VI Triennale con il titolo “L’architettura rurale”; in
quell’occasione aveva preparato un articolo insieme a Daniel
Guarnirei che farà ad introduzione al catalogo della mostra. In
quella mostra e soprattutto in quel catalogo, si coglie
l’importanza del portato culturale minore, “ Con l’estendersi
delle cognizioni tecniche , con l’influenza spesso esteticamente
perniciosa degli esperti rurali innamorati del falso colore locale
, con il pudore romantico di cui diedero prova molti costruttori
che si cedettero obbligati a trasformare in villini le fattorie o in
villaggi medioevali i moderni cascinali industrializzati. 45 De
Carlo ricorderà Pagano già all’inizio della collaborazione con
Casabella che inizierà attraverso Rogers nel 1953, in un famoso
articolo scrive” Al tempo di Persico e di Pagano, Casabella
significava lotta contro l’accademismo. Questa Casabella oggi
vuol significare lotta contro il formalismo,una seconda faccia
dello stesso nemico”46. Gli anni della resistenza a Milano,
Pagano e De Carlo si frequentavano assiduamente” Avevamo
un appartamento insieme in Via Romolo, all’ultimo piano di
una casa a otto piani in piena campagna.La mattina uscivamo in
bicicletta , ma la sera c’era il coprifuoco e stavamo in casa:
lui,Giuliano e io. Spesso mangiavamo qualcosa che di solito
non potevamo permetterci perché troppo cara, ascoltavamo

44
G.Pagano,La nuova dell’Architettura-recensioni di un libro,in Costruzioni Casabella, n°150 giugno 1940.
45
G.Pagano, D.Guarnirei, Architettura rurale italiana, Quaderna delle triennali, 1937.
46
G.De Carlo, Formalismo continuità dell’accademismo, in Isabella-Continuità,n°199, dicembre 1953.
musica, discutevamo di arte e di architettura. Erano come
piccole feste e di fatti le chiamavamo bairam. Discutevamo,
discutevamo, discutevamo di politica di arte e soprattutto di
architettura.Credo che quella sia stata in buona parte la mia
vera università.47A sottolinea l’amicizia tra Pagano e De Carlo,
esistono alcune lettere intercorse tra i due nel periodo in cui
G.Pagano era stato catturato dalla banda Koch e rinchiuso nel
carcere di S.Vittore, e che in questa sede se pur marginalmente
mi preme recupere: tra queste l’ultima lettera prima di essere
trasportato a Mathausen, “ Milano 10 Ottobre 1944, Carissimo
Giancarlo ho ricevuto oggi il tuo messaggio coni tuoi foglietti
del 7,8,9ottobre.

Fig.32 Case di Abitazione a Baveno

Ti ringrazio vivamente di quanto fai per il mio


salvataggio…extra importante.Domattina ale opre 8 si passerà
tutti la visita per la Germania…Detto questo mi occorre quanto
segue:+ farmi avere al più presto: carta di identità nuova ,
viveri molti condensati,tuta lima di ferro, bottiglietta con

47
G.De Carlo, in Conversazioni con G.De.Carlo, a cura di F.Boncuga, ed.Eleuthera, p.49,2000 Milano
benzina o petrolio per bruciare il fondo di legno del vagone,
bardolino per copricapo.Pera la mia evasione penso di servirmi
di questi mezzi.”48Tornando alla memorabile mostra
sull’architettura rurale, è bene sottolineare che Pagano, su
questo argomento aveva già scritto diversi articoli su Casabella,
sottolineerà il dizionario logico dell’architettura minore; quel
dizionario denso di vocaboli che De Carlo utilizzerà, come
vedremo al termine , nell’intervento a Mazzorbo. “La
conoscenza delle leggi di funzionalità ed il rispetto artistico del
nostro imponente e poco conosciuto patrimonio di architettura
rurale sana ed onesta , ci riserverà forse dalle ricadute
accademiche ,ci immunizzerà contro la retorica
ampollosa”.49Pagano, di persona scandagliò gran parte della
campagna italiana alla ricerca di un’altra architettura da
contrapporre a quella di mondo; la sua attenzione per
l’architettura rurale determinò un importante contributo anche
alla storia dell’architettura, e che molti progettisti faranno
propria. “ per lui assertore convinto del lavoro di
collaborazione , l’architettura rurale era la dimostrazione più
palese dell’efficacia del lavoro collettivo, anonimo, che non
crea l’opera di eccezione ma da corpo alle necessità di
organizzare razionalmente l’abitare comune. A Pagano e
Guarnirei sfugge il ruolo di classe su cui l’edilizia rurale e
l’intera cultura minore e spontanea è fondata. Il limite si
ripercuote nel taglio disciplinare con cui l’argomento viene
affrontato:sintomatico è infatti che la casa rurale non sia mai
inserita in un suo organizzarsi più complesso”50.Il lavoro svolto
da Pagano, anche se settoriale, sfociò nel periodo successivo,
con un dibattito critico sulla architettura italiana e

48
G.Pagano,lettere dal carcere, pubblicate in Parametro n°35, 1957.
49
G.Pagano,D.Guarnieri
50
A.Saggio, L’opera di G.Pagano tra politica e Architettura,ed.Dedalo.
sull’italianeità, che come vedremo successivamente sfociò con
il dibattito sui “sassi di Matera” e del villaggio la Martella di
Matera.. Anche Zevi sottolinea l’importanza del contributo di
Pagano, in particolare scrive “Alla vigilia della prima guerra
mondiale ,l’eversione futurista ebbe il merito di rompere col
passato eclettico…ed allora che Giuseppe Pagano, leader del
movimento moderno fruga nel patrimonio edilizio minore ,
quasi totalmente estromesso dalla storiografia
artistica…riesaminando a distanza di mezzo secolo , il libro di
Pagano induce ad alcune osservazioni e pone alcuni
quesiti…ma è identificabile una figura di architetto minore? No
e Pagano neppure lo cerca. Si ferma a pezzi di architettura e
ben lieto di ignorarne gli autori”51.

Fig.33 Casa con Volte da B.Zevi Dialetti architettonici

Sempre Zevi, spiega che il periodo successivo alla triennale


fino al 1951, fu una stagione “ in cui il cervello degli architetti

51
B.Zevi,in Dialetti architettonici, Tascabili newton,1996,Roma.
italici fu ottenebrato a causa di una droga : il cosiddetto
spontaneo. Ci caddero quasi tutti , da Giuseppe Samonà e
R.Pane, a G. De Carlo. Una mostra alla Triennale del 1951 fu
dedicata aquesto tema ,in un rancido tripudio di vernacoli e di
pseudo vernacoli. Una psicanalisi collettiva avrebbe riscontrato
l’assommarsi di istinti diversi ma convergenti: rientro
nell’utero materno.”52
Zevi appunto si riferisce alla Triennale numero nove del 1951;
De Carlo, in quell’occasione dedicherà all’architettura
spontanea una cospicua sezione, che si riallaccerà non solo
idealmente, alla triennale predente di Pagano sull’architettura
rurale. In questo periodo fino tutto il decennio 50-60’ la
produzione di De Carlo sarà caratterizzata da costruzioni che
mostreranno in maniera inequivocabile la lezione di Pagano.
Tornando alla Triennale sull’architettura spontanea, De Carlo
affronterà questo impegno insieme a Giuseppe Samonà, Ezio
Cerreti,Albe Stainer ed una serie di collaboratori regionali che
curavano le varie sezioni ,tra cui Michelacci, Detti. I risultati
della Triennale furono aspramente criticati; abbiamo già visto
che Zevi giudicherà il risultato come un tripudio di vernacoli,
,ma anche lo stesso Carlo Doglio, su Metron scrisse infatti”
…per varie ragioni ma fondamentalmente per mancanza di una
approfondita indagine sociologica , riscoté gli applausi dei
polemici dei populisti e quelli folcloristici dei romantici: ma la
verità delle sue cause che non può mai diventare oggetto di
analisi estetica a causa delle miserie che ricoprono chi le
capì?”53Sicuramente la IX Triennale non fu compresa appieno
nel suo significato; l’intenzione non era affatto quella
sottolineata da Carlo Doglio, come coaugolo di esperienze

52
Ibidem,p.p.29.
53
C.Doglio, Accademia e formalismo alla base della IX Triennale, in Metron, n°43,1951,p19.
romantiche o peggio ancora come un insieme sistematico di
elementi formali da utilizzare, ma viceversa”La mostra
dell’architettura spontanea si propone di accentuare e
diffondere il senso del problema che oggi è particolarmente
vivo nell’architettura moderna: la necessità di trovare nuovi
modi per ricostruire un ambiente che agisca sugli uomini come
veicolo di vita…Le architetture spontanee non possono fornirci
suggerimenti diretti-troppo diverse sono le costanti che
agiscono nella società contemporanea- ma indicano come possa
essere ricca di vitalità e fantasia un’opera che nasca in un
accettata aderenza ai fatti della vita e per contrasto come sia
misera un’opera che nasca dall’ignoranza di questi
fondamentali legami. Queste opere ovviamente non sono state
indicate perché divengano materia di ispirazione per gli
architetti e di nostalgia per il pubblico, ma perché il risalire ai
loro fondamentali valori, il comprendere le ragioni delle loro
origine, formazione e decadenza può avviare alla creazione e
alla comprensione di opere contemporanee valide”.54La
rilettura del contesto storico minore, sarà anche causa per De
Carlo di abbandono dei Ciam, infatti sono di questo periodo
importanti costruzioni che recuperano “un fare spontaneo”tra
cui il complesso residenziale del villaggio la Martella a
Matera.Questo intervento, presentato ad Otterlo alla conferenza
dei Ciam, suscitò l’ira dei “padri fondatori” che videro in
questo progetto una sorta di tradimento dei principi
fondamentali del movimento moderno; il tetto a falde, il
linguaggio degli elementi componenti la facciata, una base, un
corpo ed una testa, le aperture tradizionali sia livello di
dimensioni che di materiali, quindi un tamponamento di pietra
a faccia vista lascia intravedere una struttura in c.a portante. “io

54
G.De Carlo, Nona Triennale di Milano,Catalogo della Mostra, Milano, 1951,pp.89-90.
sapevo bene che i materiali e la tecnica mi consentivano di
tagliare finestre orizzontali di grande luce. Ma perché mai avrei
dovuto disegnare finestre orizzontali in ogni circostanza?
Sapevo bene che si potevano realizzare tetti piani che non
perdono.Ma perché mai avrei dovuto impedirmi di fare tetti a
falde anche quando c’erano buone ragioni per farli? Forse per
essere moderno? Se la modernità è solo quello dicevo ai miei
ostinati oppositori- se per essere moderni basta applicare come
stavano facendo lodole loro formule meccaniche , allora di
essere considerato moderno non me ne poteva importarmene di
meno.Però l’architettura moderna dicevo è di sostanza molto
più complessa dei pensierini semplici che i Ciam continuavano
a Ribadire”55.

Fig.34 apparatamenti al quartiere la Comasina

In questo appunto che De Carlo fa sulla vicenda di Otterlo si


legge la lezione di Pagano, l’abbandono di regole confezionate
da usare in ogni luogo, togliendo invece ciò che il luogo può

55
G.De Carlo, in Conversazioni con G.De.Carlo, a cura di F.Boncuga, ed.Eleuthera, p.105,2000 Milano
offrire attraverso il portato culturale minore. De Carlo respinge
con forza l’applicazione di regole che devono essere ripetute
pedessiquamente in ogni contesto, senza trarre invece dal
contesto stesso le leggi per una ricerca moderna dello spazio
antropico.Tornando alla sua produzione di questo decennio,
oltre all’intervento di Matera sono altre tre opere che descrivo
lo stato della ricerca decarliana: il complesso residenziale alla
Commasina, gli appartamenti per dipendenti dell’Università di
Urbino al Cavallino, Le case di abitazioni a Baveno, la casa a
Ziagania del Friuli.

Fig. 35 Interno di Casa Zigania

Mi preme sottolineare che tutti questi interventi hanno un


comune denominatore, sono interventi di edilizia residenziale,
la cui dimensione non supera mai le sei unità, e soprattutto sono
inserite in contesti quasi anonimi. Gli appartamenti a Baveno
Novara rappresentano il primo sintomo del cambiamento in atto
della teoria decarliana; “Innanzi tutto stimolato dall’ambiente
particolare della sponda del Lago Maggiore in cui deve inserire
quel suo organismo architettonico, avverte fortemente
l’interesse nei confronti di una progettazione che abbia come
parametro fondamentale il rapporto con la natura e con la
tradizione costruttiva locale” 56L’organismo costruittivo di
Baveno si articola attraverso sei nuclei collegati tra loro, dove
la coperture tende ad uniformere e a collegare l’intero
intervento. L’attenzione che De Carlo ha per lo spazio esterno,
la ricerca di una spazialità che garantisca un elevata socialità, è
figlia di quella ricerca che in quegli anni affronterà nella
esposizione sulla architettura spontanea, sugli spazi esterni dei

Fig.36 Planimetria edifici a Cavallino Urbino

borghi, sui luoghi carichi di Identità: qualche anno prima


proprio
De Carlo aveva criticato il proprio intervento dell’Ina Casa,
appartamenti con ballatoio, per la scarsa socialità che questi
creavano. Del resto questo è un periodo che V.Gregotti
descrive come momento forte “ il repertorio formale

56
F.Brunetti.F.Gesi,in Giancarlo De Carlo, Aliena Editrice,Firenze,1981.pp.77.
straordinario che venne scoperto influenzò direttamente per
molti anni l’architettura italiana nel suo sforzo di contatto con
gli strati popolari”.57 Del 1955 è l’intervento al Cavallino in
Urbino; si tratta di case per dipendenti dell’università di
Urbino: in questo progetto di nuovo l’attenzione per la città
storica italiana, per la tradizione costruttiva locale è ben
rappresentata. L’impianto urbano, si distribuisce ad emiciclo,
quasi a ricordare la circolarità di certi centri storici, nonché
articola i vari appartamenti in una concatenazione su più livelli
altimetrici.
Fig.37 Case al Cavallino Urbino-foto E.Bascherini

57
V.Gregotti, Orientamenti nuovi nell’architettura Italiana,Electa,. Milanoa,1969,p.53.
Ne risulta una composizione d’insieme molto suggestiva; anche
nell’uso dei materiali si riconosce l’attenzione per la tecnica
locale nell’uso di laterizio a faccia a vista, arricchita nel
sottogronda con delle modanature semplice, i tetti a falde che
abbracciano come a Baveno l’intera composizione a dimostrare
l’attenzione per le coperture Umbre; è da sottolineare l’uso di
un loggiato che si alterna tra pieni e vuoti della facciata.

Fig. 38 case al Cavallino Urbino.foto E.Bascherini

Esiste poi tutta un’attenzione ai particolari ed ai dettagli


costruttivi, diremo quasi albiniana, e sappiamo benissimo che
De Carlo ha iniziato la propria attività professionale nello
studio di Franco Albini,che si esprime attraverso la ricerca
formale dei comignoli, delle aperture e dei tamponamenti,
attraverso un attenzione al quel vocabolario architettonico che
definirà più precisamente qualche anno dopo nell’intervento di
Mazzorbo.La struttura portante in c.a viene tamponata dal
laterizio faccia a vista, il tutto disegna un prospetto leggibile e
riconoscibile.” Tutto l’insieme è inoltre caratterizzata da una
successione di vuoti e di pieni, il vuoto conta quanto è più del
pieno laddove accolga quei momenti del tempo libero e
socialità necessari ad ogni individuo. Le differenti posizioni dei
mattoni non solo arricchiscono gli edifici di un ritmo
cromatico, contrassegnano anche i vuoti dei garage dai pieni
degli appartamenti…ovvero acquistano nei confronti di tutto il
complesso un valore fortemente semantico58.
Fig.39 planimetria di Casa Zigania

Infine e non per importanza Casa Zigania del 1958, questa


nuova sperimentazione di De Carlo si fonda su una
aggregazione di più cellule autonome;il tema è

58
T.Fuligna, in Una giornata a Urbino con G.De Carlo,Aprile ,2001.p.63
l’organizzazione di più ambienti distinti ma raccolti sotto un
unico tetto a coppi. I materiali sono quelli della cultura
tradizionale muri in mattoni con travi in c.a pavimentazioni
interne in legno, finiture interne ed esterne in intonaco
fratazzato, serramenti in legno, muri di recinzione in pietra. La
leggera copertura che si adagia sui muri perimetrali, quasi
proteggerli, si ricollega a quell’architettura organica cara anche
a F.L.Wright.
Un altro argomento concettuale che avvicina De Carlo a
Pagano, e come vedremo di seguito De Carlo affronterà diverse
volte attraverso scritti ed interventi, è la questione della
“forma” o meglio lo spostamento concettuale dal “ Come “ al “
Perché” del progetto. Il come progettare qualcosa secondo De
Carlo ha assunto un ruolo secondario o quasi del come
progettare qualcosa; in poche parole il come è prematuro se non
troviamo prima di tutto perché. Questo spostamento concettuale
è il retroscena tutto decarliano della lettura come momento
anticipatore del progetto, o meglio leggere in maniera
progettuale.” Il problema del come progettare qualcosa è meno
importante del problema del perché progettare qualcosa. O
perlomeno che il come è prematuro, inopportuno e vago, se non
troviamo prima una risposta al problema del perché”59. E’
evidente il collegamento con Pagano, con i suoi scritti; nel
1935 appunto Pagano su Casabella scriveva “ Nella storia
dell’architettura noi studiamo generalmente la storia del gusto
architettonico, attraverso le forme auliche adottate dalle
costruzioni maggiori: i templi, le chiese, i palazzi.Quali ragioni
tecniche e quali rapporti di tradizioni formali e quali influenze
di carattere economico e funzionale abbiano originate queste
manifestazioni non interessano più ne il modo degli studioso ne

59
G.De Carlo, Whj/ How to build Schools buildings, in Casabella n°368-69, 1972.
quello degli artisti. Nell’esame dell’architettura stilistica ci
interessa enormemente il come ma non il perché…conosciamo
più per intuizione che per esperienza, che una forma
naturalmente estetica nella architettura rappresentativa è stata
inizialmente suggerita dalla risoluzione di una necessità tecnica
o funzionale . Ma i rapporti tra l’ultimo anello della catena e
quello iniziale spesso ci sfuggono perché crediamo morte e
disperse nella preistoria quelle testimonianze intermedie che
hanno servito da lievito alla rappresentazione aulica.Pur
conoscendo che la sopravvivenza di una forma è più forte della
sua stessa ragione pratica , e che una abitudine estetica o gergo
decorativo o inerzia tradizionale quando è cessato lo stimolo di
quel bisogno, la maggioranza si rifiuta di sottoporre
l’architettura stilistica a questa indagine apparentemente e poco
rispettosa ”.60Sicuramente il Perché di Pagano è uno stato di
necessità, derivante dal contesto, e l’architettura rurale ne
dimostra l’essenza. Il monumentalismo imperiante viene così
attaccato da quel portato culturale minore, attraverso quelle
regole consce che poi si fanno forma estetica pura, si ha
garanzia di arrivare secondo Pagano ad un moderno modi di
fare architettura, il cui contenuto diviene essenziale e privo di
decorazioni superflue. Possiamo dire che il perché di Pagano è
un perché economico e funzionale. In un secondo articolo
Pagano si spinge oltre l’analisi oggettiva del portato culturale
minore proponendo un atteggiamento progettuale “…Ci
troviamo di conseguenza , anche in questo campo alla sola
duplice valutazione delle cose: valutazione estetica che si
risolve in questioni di forma e valutazione tecnica che si risolve
in questioni di sostanza. In realtà però la dove la valutazione
tecnica volesse affidarsi all’intuizione estetica non dovrebbe

60
G.Pagano, Documenti di Architettura Rurale,in Casabella n°95,1935.
esistere questo contrasto ma anzi procedere con spontaneo
affiatamento tanto la valutazione estetica del problema quanto
quella tecnica ed economica e fondersi in un unico risultato: la
costruzione rurale corrisponde tanto ai postulati estetici quanto
alle necessità tecniche dell’edilizia moderna”.61
Fig.40 Il ballatoio degli appartamenti a S.S.Giulino

I perché funzionali di De Carlo partono dalla considerazione


che la dimensione economica e funzionale non sono sufficienti
per intraprendere un progetto d’architettura; sempre De Carlo
metterà in evidenza che la sola dimensione funzionale da
risposte parziali e non sufficienti. Infatti criticherà aspramente
il proprio progetto per gli appartamenti di S.Giuliano progettati
secondo i canoni del movimento moderno, gli stessi che
criticherà perché insufficienti a generarle e leggere uno spazio
molto più complesso di quello dettato da principi posti a priori
senza che si consideri il fine ultimo del progetto, ossia l’uomo.

61
G.Pagano, Case rurali, in Casabella, n°86, 1935.
Anche i principi del movimento moderno, divengono troppo
stretti e restrittivi;De Carlo porta l’esempio di due congressi
dei Ciam ed in particolare a quello di Francoforte, il cui tema
era l’abitazione razionale, dice”Avevamo smarrito la ragione
più profonda del loro impegno culturale. Oggi dopo
quarantenni dal congresso, ci troviamo con quelle proposte
diventate case e poi quartieri e poi periferie e poi intere città,
manifestazioni palpabili di una sopraffazione perpetuata prima
sui poveri e poi perfino sui meno poveri, alibi culturali della più
feroce speculazione economica e della più ottusa inefficienza
politica . E tuttavia quei perché così spensieratamente
memorizzati a Francoforte, ancora stentano ad affiorare con
chiarezza. Mentre è del tutto lecito domandarsi perchè
l’alloggio debba essere il più possibile economico, e non invece
per esempio assai costoso; perché invece di compiere ogni
sforzo per ridurlo ai minimi livelli di superficie di spazio di
spessori di materiali…ci si debba sforzare per renderlo più
ampio..renderlo confortevole ricco di occasioni
…comunicazione, scambio, creatività personale” 62. Secondo
De Carlo il come progettuale è stato sopravvalutato, ed è
rimasto il tema centrale nella produzione architettonica
contemporanea; “ un modo di pensare per archetipi che sarebbe
in ultima analisi della valorizzazione contemporanea del
monumentalismo della pura e incontaminata delle architetture
considerate in se per se , del tutto fuori dai bisogni degli utenti,
della banalizzazione del problema dell’architettura sulla
questione stilistica entro cui mescolare significati simbolici e
valori estetici: a completa evasione dei grandi problemi che le
discipline progettuali dovrebbero porsi concretamente e

62
G.De Carlo, Il Pubblico in Architettura, in Parametro,n°5,1970.
rimangono così inevasi”.63Superando quindi il problema del
perché tecnico del moderno e allo stesso tempo criticando la
supremazia dei come, De Carlo considera la realizzazione un
fatto sociale e come tale deve nascere dal basso,poi potrà
nascere anche la forma , ma a quel punto sarà superato il come
ed il perché del risultato.

Fig.41 particolare comignoli case al Cavallino foto E.B

Anche la forma può divenire momento progettato a priori;


come vedremo in seguito a Mazzorbo, l’aspetto formale sarà
condizione forte del progetto finale. “Altrettanta energia ( di
pensiero e di disegno, ma anche quella fisica che occorre per
avere profondi contatti con la gente e le cose) è stata investita
nella ricerca di un linguaggio in equilibrio tra innovazione e
tradizione.In questa parte della laguna la gente ha continuato a
trasformare e conservare lo spazio che abita senza modificare il
linguaggio architettonico.Ma quella stessa gente ha molto

63
G. De Carlo, in G.De Carlo Percorsi, a cura di F.Samassa,Il poligrafico, Vemnezia 2004,p.144.
ampliato lo spettro delle sue comunicazioni con il mondo
esterno e ha cambiato modi di produzione , comportamenti ed
aspettative.La contraddizione che dopotutto è frequente anche
fuori dalla laguna è stata accolta nel progetto come uno stimolo
positivo. E invece di abrogare il linguaggio tradizionale ( strada
dell’accademia modernista ) o di contorcerlo per renderlo
paradossale ( strada dell’accademia post-moderna) è stata scelta
la strada del linguaggio molteplice. Ne è risultata una
configurazione stratificata dove segni e segnali del presente si
mescolano a figure tradizionali, in un sistema compositivo
inequivocabilmente contemporaneo. La struttura formale del
nuovo nucleo residenziale è incrostata di analogie che
ricordano immagini già presenti nel luogo o riportate altrove.

Fig.42 Particolare attacco pilastro-gronda


Attraverso le analogie, la configurazione diventa comprensibile
e perciò appropriabile Ma per muoversi con scioltezza in
questo esercizio senza cadere nelle banalità è stato necessario
di scoprire le ragioni che hanno generato il carattere delle
forme architettoniche di Mazzorbo e Soprattutto di Burano. I
risultati di questa lettura sono stati raccolti in un vocabolario
dove sono registrate e confrontate le variazioni degli elementi

costruttivi che ricorrono con più frequenza nel territorio delle


isole. Il vocabolario è stato usato non per riprodurre quello che
già esisteva ma per inventare nuovi modi espressivi che
potessero entrare naturalmente a far parte del contesto fisico e
culturale.64
Fig.43 Lettura del vocabolario negli edifici di Burano.

64
G. De Carlo, Tra Acqua ed aria, Sagep editrice, Genova 1989.
Questa attenzione per il luogo lo riconosciamo anche a Pagano,
e la lettura che De Carlo fa a Mazzorbo Pagano lo fa sulla casa
rurale “…rigorosa e osservanza dei principi funzionali imposti
dalle abitudini edilizie del luogo..abitudini delle maestranze
locali, delle necessità climatiche e delle necessità tecniche
imposte dal tipo di coltivazione …dove le condizioni
economiche e clima delle possibilità tecniche non hanno subito
variazione notevoli, osserviamo ancor oggi tuttora in atto
abitudini edilizie che possano risalire all’età della palafitta o al
medioevo feudale.”65

Fig.44 lettura del vocabolario-le testate a Burano

65
G.Pagano, Case Rurali, op.cit.p.10.
Lo stesso termine sulle abitudini edilizie viene appunto ripreso
da De Carlo per affrontare il tema di Mazzorbo. Il progetto
deve quindi contenere i perché- i come- ed aggiungerei il chi; “
Benché la società contemporanea sia più pluralistica di quanto
non sia stato in passato accade che la gente comune venga
sempre più esclusa dalle grandi decisioni. Il problema è nella
sua sostanza ..che a questo punto deve decidere se il suo
cliente è l’anonimo potere economico oppure gli esseri
umani…l’architettura , come gran parte delle attività umane si è
inaridita nella specializzazione e perciò il suo linguaggio è
divenuto astratto arrogante e soprattutto povero.
L’impoverimento è venuto dall’isolamento e dalla perdita degli
innumerevoli apporti creativi di chi, pur non essendo
specializzato nell’architettura continuerà ad inventare e a
modificare lo spazio della sua vita quotidiana66.

Fig.45 il borgo di Colletta di Castelbianco

Il chi Di De Carlo, quindi parte dal basso, quell’individuo che


sta alla base della cultura popolare che Pagano ha descritto
benissimo, quel fare spontaneo “Anzi , proprio in questi casi il

66
G.De Carlo,Up to Now and From Now on, in Space Design, n°274,1987.
miracolo è più sorprendente perché rivela una singolare
sapienza nel fare la soluzione di una causa materiale dell’uso
con un accrescimento di potenziale nell’espressione . Si tratta
del mistero della cultura popolare che sta scomparendo e alla
quale comunque non possiamo sostituirci”.67Le innumerevoli
lezioni che la cultura popolare può apportare al progetto, e
attraverso la partecipazione ed attraverso la lettura del portato
culturale architettonico ed urbanistico, viene considerato da De
Carlo come punto di partenza attraverso il quale il progetto
futuro può avere fondamento. Interessante è l’analisi che De
Carlo fa sullo studio di Colletta di Castelbianco e sul rapporto

Fig.46 Il Borgo di Colletta di Castelbianco

tra organicità e individuo “un organismo crostaceo che cresce


lentamente adattandosi al supporto anch’esso organico , sul
quale si posa. Ogni cellula si fonde con quelle circostanti in

67
G.De Carlo, Tra Aria ed Acqua, op.cit.p.5.
tutte le direzioni : in orizzontali, in verticale, in obliquo
scendendo o risalendo Piccoli insiemi di cellule costituiscono
le abitazioni che si sviluppano quindi come sequenze di
configurazione variabile .
Quello che non varia – o varia molto poco – è la dimensione di
ciascuna cellula; e questo è dovuto alla coerenza che intercorre
tra le caratteristiche dello spazio e la tecnologia usata per
definirlo: oltre i muri, anche le volte sono in pietra e questo
fissa la loro dimensione entro un campo di variazione limitato.
Le varie abitazioni non hanno di fatto confini, se non
impercettibili; per cui è possibile immaginare e così forse è
avvenuto in passato che possano estendersi o ritirarsi una
nell’altra …..Il progetto che è stato elaborato ha lo scopo di
recuperare il villaggio per renderlo di nuovo abitabile .
Gli abitanti non saranno gli stessi nel senso che non avranno le
stesse attività e gli stessi modi di vita di quelli che c’erano nel
tempo remoto, perché di certo non sono cessate le ragioni per
cui il villaggio è stato abbandonato.
Non saranno probabilmente turisti nel senso che comunemente
si dà a questo modo di essere e di viaggiare .Potranno essere
persone o nuclei familiari che desiderano ritrovare un modo di
abitare immediato e tuttavia confortevole per lunghi periodi di
vacanza non necessariamente legati alla stagioni. Si tratta
dunque di ricostruire abitazioni di varie dimensioni e natura
senza alterare il codice che ha regolato la crescita del villaggio
nel passato.
In realtà non si è dovuto fare molto: è stata solo seguita la
logica dei sistemi costruttivo, aggregativi e compositivo;
ricollegando le varie parti del crostaceo secondo criteri il più
possibili aderenti alle nuove esigenze abitative; riparando le
parti che si erano consumate, adattando l’insieme per quanto
possibile, alle prescrizioni delle normative in vigore;
provvedendo ad una dotazione di impianti leggera, per non
entrare in conflitto con il sistema costruttivo e compositivo, ma
anche il più possibile sofisticata per offrire ai futuri abitanti il
doppio vantaggio di godere di un tranquillizzante isolamento e
di una costante capacità di stabilire relazioni con il mondo
esterno nel modo migliore possibile.
Progettando si è avuta la sorpresa di scoprire che gli
adattamenti erano relativamente facili e che il sistema crostaceo
sul quale si stava operando era molto più docile e reattivo di
quanto non siano i sistemi vertebrati dei quali è generalizzato
l’uso nell’architettura contemporanea. Essenziale era stato
capire il codice genetico ei sui modi di generare eventi spaziali.
L’altra sorpresa è stata di trovare conferma, più di quanto non
sia già capitato in altri casi, che un sistema antico di
costruzione come quello della pietra, con le sue leggi precise
perché legate alla natura dei materiali e alle tecniche di metterli
insieme, sopporta meglio inserti di tecnologia avanzata e quindi
leggera che inserti della tecnologia pesante ancora
generalmente usata nell’edilizia contemporanea”.68
L’insegnamento che De Carlo riceve da Pagano è molteplice e
si può sintetizzare come segue: l’attenzione per il portato
culturale minore, attraverso il quale si può percepire la
costruzione dello spazio umano( fisico- sociale- economico)
attraverso una lettura plurisdisciplinare;
De Carlo viene indicato da Norberg-Shultz “ il solo
rappresentante della terza via “ quella vicina alla gente; “ De
Carlo non è mai stato amato dai fotografi delle belle riviste del
settore, non crea volumi o segni sul territorio che possano
gareggiare con opere d’arte astratta.

68
G.De Carlo, Un sistema Crostaceo, in Collettami Castelbianco, www,coletta.it
“salvaguardare il principio di identità dai processi di
omologazione”69. Riflettere sulle intenzioni di avvicinare il
progetto architettonico all’individuo, vuol dire pensare ” che i
veri clienti dell’architettura siano gli esseri umani.Il portato
culturale minore entra nella ricerca decarliana attraverso
Pagano e rimarrà un’idea fissa culminate con l’intervento di
Mazzorbo.
La lettura del contesto specifico porterà ad avere progetti
differenti e realizzazioni linguisticamente mai Identiche.
La ricerca della coincidenza tra urbanistica ed architettura nel
contesto specifico approderà dalla dimensione territoriale al
principio insediativo all’unità di misura, della spontaneità”
capire i limiti della spontaneità o della razionalità nella
formazione del territorio sembra molto difficile” 70 lo spazio di
relazione, il vocabolario architettonico
La modestia in architettura, Sia Pagano che De Carlo detestano
le prime donne, le copertine patinate delle riviste i servizi
fotografici, gli eroi ed alla “pragmatica umilità che questo
mestiere richiede”71

69
L.Rossi.cfr.pag9
70
G.De Carlo, Tra acqua ed aria, Sagep editrice, Genova, 1989.
71
L.Rossi, Giancarlo De Carlo Architetture,A.Mondatori Editore,
La dimensione umana di Vittorini

Il motivo del viaggio, fondamentale nella narrativa di Vittorini,


assume in “Le città del mondo”, i caratteri inconsueti e più
drammatici di un allontanamento improvviso e forzato di uno
spostarsi di luoghi in luoghi, gli stessi che De Carlo descriverà
così memorabilmente nel libro “Nelle città del Mondo”. I titoli
dei due libri differisco l’un l’altro dalla preposizione “nelle”
quasi ad indicare nel testo di DeCarlo un ulteriore
avvicinamento nel profondo alle città descritte. Prima però di
entrare nel rapporto intenso dei due testi, mi preme sottolineare
il percorso parallelo dei due personaggi, dei loro primi contatti,
delle loro esperienze e conoscenze. La X triennale di Milano
del 1953 rappresenta un primo contatto tra Vittorini e De Carlo;
in quell’occasione la sezione organizzata da de Carlo avrà
come tema “l’Urbanistica”, tema che sarà sviluppato con
l’obiettivo di comunicare alle persone il significato urbanistica
e ai professionisti di porsi in maniera chiara e non autoritaria
alla gente comune. Per fare questo, De Carlo svilupperà tre
cortometraggi. Vittorini e De Carlo firmeranno due di questi
film prodotti da la Meridiana Film , il primo La città degli
Uomini, il secondo Una lezione di Urbanistica. Le intenzioni
della Mostra di Urbanistica “è stata fatta tenendo un occhio al
pubblico e un occhio agli urbanisti.Ci si è rivolti al pubblico per
fargli sapere che l’urbanistica esiste e che ormai con
l’urbanistica è necessario fare i conti.Nella società
contemporanea dove i parametri della vita associata hanno
assunto un motivo vorticoso, dove tutte le forze in gioco urtano
in continuo drammatico contrasto, dove le relazioni umane
sono intessute di violenza non c’è più speranza che il rapporto
uomo spazio trovi spontaneamente uno sviluppo armonico…Ci
si è rivolti al pubblico per avvertirlo del pericolo e lo si è
esortato ad avere chiara coscienza di essere lui stesso l’unico
ed insostituibile protagonista di tutti i fatti su quali
l’urbanistica opera, a non perdere il controllo di quanto avviene

Fig.47 disegno di Steimberg. Alla X Triennale

nell’operazione che si compie , ad essere diffidente verso tutte


quelle proposte che richiedono una limitazione – anche
provvisoria- delle sue prerogative , un uso provvisorio del
potere della violenza. Dall’altro lato ci si è rivolti urbanisti per
metterli in guardia sulle responsabilità e sulle conseguenze
della loro opera.”72
De Carlo all’indomani della mostra sull’architettura spontanea,
ed abbandonato armai le radici del movimento moderno, critica
adesso non solo gli assunti fondamentali ma colpisce alla radice
l’atteggiamento dei grandi sacerdoti, colpevoli da vent’anni

72
G. De Carlo, Intenzioni e risultati della mostra di Urbanistica, in Casabella n°203, 1954.
dalla carta di Atene di far girare l’urbanistica su se stessa,
proponendosi ”l’apocalisse e la paligenesi della società umana
e producendo città deserte, villaggi tetri squallidi centri
direzionali, miseri quartieri di abitazioni nei quali la vita non

Fig.48 Crhrysler Building new york-disegno di G.De Carlo

riesce a mettere radici”73De Carlo come Vittorini mette in


risalto le radici come momento forte dell’appropriazione del
luogo da parte dell’individuo. Radici che Vittorini metterà in
risalto attraverso il romanzo “le Città del Mondo” esaltando il
girovagare dei due pastori per le terre di Sicilia; Vittorini mette
in risalto un problema senza porvi l’attenzione , evidenzia un

73
Ibidem, p.24.
problema o un contenuto parlando d’altro, esalta il vuoto
parlando del pieno:
Anche De Carlo ha questa caratteristica, esalta il pieno per

Fig,49 parte cortometraggio “la città degli Uomini”

caricare di significato il vuoto “la forma tridimensionale


dell’architettura non è l’esterno di un pieno ma l’involucro
concavo o convesso di uno spazio; e sua volta lo spazio non è
un vuoto, ma il luogo volumetrico di un insieme di varie
possibili attività”.74Così ad Urbino la massa esterna del
magistero esalta il vuoto interno della struttura.
Ma tornando ai cortometraggi, la trama dei film è molto chiara;
il primo con il titolo “La città degli uomini” propone al
pubblico una riflessione sulle deficienze che città
contemporanea a sviluppato ma allo stesso tempo propone una
città ricca di possibilità “ Sembra che la città ci sommerga , ma
siamo noi che l’abbiamo fatta. Non potevamo vivere
soli…Costruiamo le città per stare insieme …città di contadini

74
G.De Carlo La idea Plastica come reto della tecnologia , in Parametro n°43, 1976.
…di artigiani…Città di Guerra..Da Babilonia a new York
hanno tutte la stessa storia…di bisogno e di lavoro per il
bisogno di libertà e di lotta per la libertà. Ma anche di
sopraffazione , di paura di sconfitta , di ingiustizia..ognuna di
esse ne porta il segno.Oggi la città ha questa faccia un ritmo
che attrae e disorienta . Ma sotto è gonfia della sua vita
contraddittoria per cui un uomo muore è non è che un
incidente…per cui nutrirsi, nella ripetizione di ogni giorno non
è più una festa comune per cui possiamo non far caso a chi ci
passa accanto disperato…La città che l’uomo ha creato si è
rivoltata contro di lui …ma la città è anche speranza , apertura
spinta alla comunicazione e alla libertà. Noi non possiamo
distruggerla per il suo male perché distruggeremo anche il suo
bene irriproducibile , unica forza viva del mondo
contemporaneo.Solo nella città si può lavorare per aiutare gli
uomini a vivere meglio”75.

Fig.50 cortometraggio “ Una lezione di Urbanisitca”


Le immagini parlano chiaro quanto la voce di fondo; una
squallida periferia si contrappone con la stessa forza
dirompente ad una corte gioiosa. Interessante che il secondo
cortometraggio è firmato dal solo De Carlo, ed il titolo è
emblematico “Una lezione di Urbanistica”. Appunto la lezione
di Vittorini è legata al titolo del cortometraggio la città degli
uomini, quell’uomo che centro fondamentale dell’esperienza

75
G.de Carlo E.Vittorini, estratto dal film “la città degli uomini” Meridiana Film.
vittoriniana e decarliana. I l secondo cortometraggio propone
una critica aspra e allo stesso tempo ironica all’urbanistica e
agli urbanisti moderni” Ogni azione è una lotto continua con lo
spazio con il tempo con i suoi simili. La città teatro di questa
lotta è un organismo difettoso minacciato da una grande
crisi.Gli urbanisti hanno il compito di studiare le ragioni dei
mali delle città e di proporne i rimedi.La città è un organismo
delicato e sensibile ed i suoi problemi vanno affrontati in tutta
la loro complessità e i rimedi non possono essere avventati o
parziali.Attenzione agli urbanisti che non tengono conto di
questo.Essi compiono un’azione astratta che spesso si risolve in
un danno ancora più grande.”76Esiste un secondo periodo di
notevole interesse che vede coinvolto anche la figura di
Calvino, Franco Fortini ecc. Tra il 1950 e il 1960, un gruppo di
amici tra cui De Carlo – Elio Vittorini, Italo Calvino, si
ritrovano in una località turistica della riviera Apuana alla foce
del fiume Magra. Come De Carlo più spesso ha sottolineato,
Bocca di Magra ha rappresentato un periodo felice tra amici,
che giocavano facevano vacanza e spesso parlavano dei propri
lavori e anche di città. Senza alcuna forzatura l’interesse di
Calvino per le sue città invisibili, non può essere stato
sottovalutato da De Carlo, o le città descritte da Vittorini, non
possono essere state trascurate da Calvino, lo stesso Calvino
dice che il suo primo romanzo “ Il sentiero dei nidi di ragno”
del 1947 fu scritto come una sorta di omologo rurale e ligure
alle celebrazione delle città di Vittorini della resistenza
metropolitana di Milano in “ Uomini e no” del 1945. Il periodo
di Bocca di Magra nasce quando “ Elio ci ha proposto di andare
con loro in vacanza …e ci ha trovato una stanza nel villaggio
che è sulla riva settentrionale del fiume.Il posto ci aveva subito

76
G. De Carlo, estratto dal film “ Una lezione di urbanistica” Meridiana Film.
incantati…noi andavamo a Bocca di Magra per stare insieme e
per giocare..spesso verso il tramonto ci trovavamo in tre o
quattro seduti sul muretto del fiume prima di decidere cosa
avremmo fatto la sera; e allora si parlava. Io parlavo di città con
Vittorini e Calvino e loro ne parlavano con me. Ho un ricordo
vivo e lacinate delle conversazioni sul muretto del fiume e sulle
rocce di Punta Bianca con Calvino, Vittorini, Sereni, spesso
anche con Stainer e Pintori. Parlavamo di città perché quello
era il nostro interesse comune che ci legava. Gli ultimi,libri di
Vittorini sono tutti centrati sulle città e ce ne è uno postumo
che si chiama Le città del mondo. Il titolo era stato proposto da
Calvino una sera a Milano.Calvino stava preparando Le città
Invisibili. Parlavamo anche di questo a Bocca di Magra…del
rapporto città-campagna, che in quel periodo veniva visto a
senso unico secondo l’ipotesi marxista. La città era per noi il
miracolo nel miracolo ancora più grande che è il territorio 77.In
quel periodo a Bocca di Magra si costituirà anche una
associazione culturale denominata “Amici di Bocca di Magra”,
un associazione spontanea che si proponeva di salvaguardare il
paesaggio naturale di quella costa turistica. L’associazione
attraverso un manifesto programmatico ( stampato a La Spezia)
aveva come logo il simbolo della vecchia luni ( una stella e una
luna.” L’associazione faceva capo a Luigi Biso, medico di
zona, e si riunivano sulle pendici della riviera, sotto un portico
a verde che si affaccia sulla foce del fiume; gli incontri a cui
partecipavano a più riprese diversi poeti, scrittori; l’incontro
più duro fu con la popolazione di monte Marcello, ove c’era
anche De Carlo, la popolazione insorse per il piano di
salvaguardia che De Carlo stava preparando, infatti era stato
incaricato dal Comune di Ameglia a redigere il piano regolatore

77
G. De Carlo, Conversazioni con G.D.Carlo, a cura di F.Boncuga. ed.Eleuthera,2000.
comunale, ma nello stesso periodo, una società romana, delle
Condotte, andava in giro ad offrire soldi e televisori per
persuadere i proprietari a vendere terreni ove speculare, con il
piano ciò non poteva accadere…alcune cose sono ancora
registrate, come le firme dell’associazione contenute in questo
quaderno”.78

Fig.51 Il simbolo della società Amici di Bocca di Magra ( archivio L.Biso)

Nel manifesto si legge”La ricchezza di Bocca dio Magra è


ricchezza naturale spiaggia scoglio, fiume e collina..per tutto
questo noi ci auguriamo che il piano regolatore commesso
all’arch. G.De Carlo e che sarà presentato entro il prossimo
mese possa ,se approvato e attuato essere energico strumento di
difesa dello sviluppo futuro della zona “79.
Bocca di Magra era dunque prima di tutto luogo di vacanza ma
inevitabilmente i tratti di quella spiaggia la ritroviamo nelle
opere di quei poeti e scittori; uno dei più drammatici racconti di
Margherite Duras, inserito ne “ La douleur” si svolge sulla
spiaggia di Bocca di Magra. Le emozioni di questa natura le
ritroviamo in racconti “ Passo veloce come il vento lungo la
riva sinistra del Magra” in “ Epitaffio” di Giorgio Bassani,

78
I.Fabbricotti, Colloquio avvenuto in data 20 Maggio 2004 nella abitazione .
“guardo le acque e le canne di un braccio di fiume e il sole
dentro l’acqua, “Questo Muro” di Franco Fortini.
“Oggi a Bocca di Magra non c’è più Vittorini, non c’è più
Sereni. Giù nel villaggio al posto dei bagni dell’albergo Sans
fancon c’è una discoteca, vicino c’è piazza Vittorini, Più in
là,lungomare Sereni."80

Fig.52 Manifesto della Società amici di Bocca di Magra

Tornando a Vittorini, è forte nei suoi il rapporto uomo-città ,


direi quasi inquietante e allo stesso tempo intrigante al punto
che sembra descrivere le proprie sensazioni intrinseche nei

79
Tratto da il manifesto programmatico “Società amici di Bocca di Magra”
80
C.Sabelli Fioretti, Quei poeti in riva al fiume, il secolo XIX, 1 Aprile 1988.
confronti dei luoghi attraverso le esperienze dei suoi
personaggio. Questo rapporto intimo coi luoghi lo troviamo
anche in De Carlo ( Urbino).
IL testo “ le città del mondo” era un testo fondamentale per
l’insegnamento di De Carlo agli studenti della facoltà di
Venezia; “ più tardi ho consigliato anche le città invisibili di
Calvino,sono due libri fondamentali se si vuole capire qualcosa
delle città e dei territori.”81 Le affinità tra il testo “ le città del
mondo” e l’opera di De Carlo sono diverse; il modo di
accerchiare la città, di descrivere il territorio prima di entrarvi,
che nel racconto di Vittorini, attraverso i suoi personaggi,
assume in De Carlo un carattere fondamentale di avvicinarsi ai
luoghi, di accerchiarli e descriverli. “accerchiare la città e
vederla anche dall’esterno è un’esperienza importante per
l’urbanistica. L’ambito naturale e quello cittadino sono stati
sempre strettamente legati e in perenne conflitto.Il concetto di
Vittorini di dover girare con timore e rispetto attorno a qualcosa
per poterlo definire è bellissimo”82.
“uno degli anni in cui noi uomini di oggi si era ragazzi o
bambini, sul tardi d’un pomeriggio di marzo, vi fu in Sicilia un
pastore che entrò col figlio e una cinquantina di pecore, più un
cane e un asino nel territorio della città di Scicli. Questa sorge
all’incrocio di tre valloni con case da ogni parte su per i dirupi
una grande piazza i basso a cavallo del letto di una fiumara e
antichi edifici ecclesiastici che coronano in più punti come
acropoli barocche il semicerchio delle altitudini…e a pochi
chilometri da Modica, e chi vi arriva dall’interno se la trova
d’un tratto ai piedi festosa di tetti ammucchiati…mentre chi vi
arriva dal non lontano litorale la scorge che si annida con

81
G.De Carlo, Conversazioni con G.D.Carlo, a cura di F.Boncuga. ed.Eleuthera,2000
82
F.Boncuga op.cit. p.97.
duemila finestre nere in seno a tutta l’altezza della montagna tra
fili serpeggianti di fumo qua e là il bagliore d’un vetro aperto o
chiuso, di colpo contro il sole” 83.
Questo modo di vedere la città dall’esterno per comprenderla
meglio, è, senza forzature , leggibile attraverso gli scritti di De
Carlo, in particolare nel famoso scritto “ è tempo di girare il
cannocchiale”84 o meglio “Urbino appare in maniera diversa a
seconda che la si osservi dal suo interno, in tangenza,
dall’esterno vicino, dall’esterno lontano; e questa differenza di
percettibilità che presenta la moltiplica, la ripropone in una
molteplicità di aspetti che finiscono col diventare un ‘unica
immagine di grande ampiezza. Nel piano ho tenuto conto di
questo fenomeno singolare; tanto è vero che uno degli studi
chiave è stato quello sulla struttura morfologica di tutta l’area
che include il centro storico e il paesaggio compreso
sull’orizzonte percettibile del centro storico.Lo studio cercava
di decifrare il sistema di relazioni attuali e potenziali che
connettono il costruito ed il naturale ; prendendoli come
tutt’uno come di fatto sono: perché anche il naturale è
interamente costruito secondo gli stessi moduli, e ritmi che
caratterizzano il tessuto della città”85De Carlo parla di
quell’identità territoriale che da sempre considera fondamentale
per la conoscenza dei luoghi; identità è una parola che può
servire da salvagente, e secondo De Carlo tale termine non
cambia pur variando gli elementi che la compongono, “ è una
che non nega ma invece implica il cambiamento continuo dei
simboli, proiettando la definizione …sul mondo reale i simboli
sono gli atti, i fatti e le circostanze interne ed al contorno in cui
accadono; il loro perenne cambiamento genera aggregazioni di

83
E.Vittorini, Le città del mondo,Oscar Mondatori, Milano, 1991.
84
G.De Carlo, E’ tempo di girare il cannocchiale, in Spazio e Società, n°54.
85
G.De Carlo, Conversazioni su Urbino con Pierluigi Nicolin,in Lotus International, n°18,1978
qualità che distinguono il modo di essere di individui, cose
situazioni, diverse da altri modi di essere e cioè dotate di un
loro particolare carattere..l’identità implica che ogni modo di
essere di individui, cose situazioni,ecc essendo distinto da altri
modi di essere sia stato di un profondo carattere e al limite sia
unico”86.Vittorini quindi secondo De Carlo, non vi è dubbi,
legge attraverso i suoi personaggi il carattere dei luoghi, la loro
identità.

Fig.53 Studi per il P.rg. .l’intorno di Urbino

Ci sono altri argomenti da approfondire nelle relazioni degli


autori; la relazione tra bellezza della città e bellezza degli
individui, il significato del carattere dei luoghi:

86
G.De Carlo, L’identità del Territorio, Tratto da relazione introduttiva Ilaud –Iuav
Il primo argomento sulla relazione tra individui e città, sulla
relazione tra la bellezza della città la bellezza della gente,
Vittorini racconta “ il padre allora si alzò in testa il berretto
dalla visiera mangiucchiata…il suo piede si avviò , Rosari
continuò è la più bella città che abbiamo mai vista più di
Nicosia, più di Enna, il padre non lo negava è forse la città più
bella di tutte le città del mondo, e la gente è contenta nelle città
che sono belle…e si capisce che sia contenta ha belle strade e
belle piazze in cui passeggiare ha belle case per tornarvi la sera,
ha tutto il resto che ha ed è bella gente. E se incontriamo un
vecchio tu dici che bel vecchio..ma più la città e bella e più la
gente e bella come se l’aria vi fosse buona. Nelle città brutte la
gente è anche cattiva…la gente delle città belle era bella ne più
ne meno come la gente delle città brutte era anche
cattiva…tutto dipendeva dal modo in cui la gente viveva, dove
la gente viveva come ad Enna si aveva Enna , dove la gente
viveva come a Licata si aveva Licata”87.Questi due passaggi
sono importanti anche per De Carlo; la relazione tra spazio ed
individuo, è fondamentale nella teoria decarliana; la relazione
tra spazio costruito e individuo è una relazione osmotica di
continui passaggi tra due parti della stessa totalità: il fatto che
Vittorini sottolinea fortemente, sulla dualità modo di vita degli
abitanti e modo di essere della città, è la premessa di De Carlo
sull’idea di partecipazione. Secondo Norberg –Schulz in De
Carlo “ la forma è parte di una situazione di vita .Si potrebbe
anche dire che ogni autentica situazione della vita riesce a
trovare una sua espressione e che l’architettura dovrebbe
possedere la stessa naturalezza. L’architettura entra così a far

87
E.Vittorini op.cit.p.27
parte della vita come un sistema di comunicazione che permette
agli esseri umani di esprimersi “88.

Fig.54 schizzi G.De Carlo ( in Nelle città del Mondo)

Appunto su questo argomento, De Carlo ritornerà più spesso;”


sono convinto che la desolazione ambientale è un importante
moltiplicatore delle patologie sociali, na si tratta di rapporti
indiretti e complessi che hanno a che fare senza dubbio con
insufficienze quantitative e ormai il più delle volte di lacune di
qualità”.89Infine e non per importanza, bisogna affrontare il
tema del carattere dei luoghi, inteso come portatore di vitalità;
sempre Vittorini, in Le città del Mondo scrive “Ma il bambino
tornò a posare sul macigno e la città e sulle calve terre intorno,

88
C.N.Schulz, La terza alternativa, in G.D.Carlo architetture , a cura L.Rossi, A.Mondatori.E. Milano.
89
G.De Carlo, Architettura Urbanistica Società, in Domus, 695,1998.
due occhi ch’erano rimasti impassibili,può darsi che vi siano il
padre continuò luoghi più ricchi di attrattive . Io ne conosco
che affascinano per la stravaganza loro, o per la loro confusione
Ma quanto a nobiltà di aspetto, Nardo mio non c’è luogo più
favorito di questo”.90

Fig.55 schizzi G.De Carlo ( in Nelle città del Mondo)

La stessa cosa la pensa De Carlo, esistono luoghi pieni di


attrattiva ed altri che apparentemente non ne possiedono, ma
entrambi sono esistenziale per la città quasi un principio di
bilanciamento. Le leggi che governano tali movimenti sono
assolutamente sfuggenti” esistono infatti molti luoghi nei centri
storici dove la vitalità è bassissima non accade quasi niente
,passa poca gente c’è silenzio e tuttavia non si può dire che

90
E.Vittorini, op.cit.p48.
siano luoghi morti e cioè sgradevoli ripugnanti inquietanti. Al
contrario sono attraenti rinfrescanti distensivi. Ma perché?
Probabilmente sono complementari ai luoghi dove la vitalità è
alta. Senza luoghi a bassa vitalità forse i luoghi ad alta vitalità
diventano fastidiosi e insolenti”91.
Di nuovo la dualità del pieno e del vuoto, del circoscritto e
dell’inscritto della complementarietà delle cose che mai si
alternano, ma si compensano.
Ed ancora sulla stessa ricerca della vitalità ed attrazione dei
luoghi è interessante l’osservazione “ oggi nella città
assistiamo al formarsi di interazioni tra spazi e gruppi
sociali…vediamo gruppi di giovani che si incontrano per
qualche mese in alcuni luoghi che in apparenza non hanno
alcuna attrazione, poi cambiano e ancora per qualche mese si
incontrano in latri luoghi che appaiano ugualmente
insignificanti. Di questo scegliere , cambiare fissarsi cambiare
ancora fissarsi di nuovo e cambiare ulteriormente non
riusciamo a capire la ragione …eppure qualche ragione …ci
deve essere; e deve essere una ragione connessa alla qualità dei
luoghi.Di certo si tratta di una ragione molto complessa che
non viene dall’uso diretto di quello che lo spazio offre…la
complessità deve essere riconosciuta altrimenti si piomba
nell’idiozia”.92
De Carlo appunto parla di complessità lezione questa che a mio
parere riceverà anche attraverso le frequentazioni con Clavino.

91
G.De Carlo, Tre note per un laboratorio di Architettura, in Spazio e Società, n°49, Gennaio, 1990.
92
G.De Carlo, Architettura Urbanistica Società, in Domus, 695,1998.
La complessità dello spazio di Calvino

Ho già detto delle frequentazioni di Calvino Vittorini e De


Carlo nel periodo di Bocca di Magra e ribadito che in quelle
occasioni non sempre si parlava di architettura; le occasioni di
parlare di architettura attraverso Calvino e Vittorini, De Carlo
le ha trovate in più occasioni. Nell’introdurre un ‘articolo su
Spazio e Società, De Carlo sposerà in piene le indicazioni di
Calvino “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale
abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè
l’uso della parola una peste che si manifesta come perdita di
forza conoscitiva e di immediatezza come automatismo che
tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche,
anonime astratte, a diluire i significati, a smussare le punte
espressive a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro
delle parole con nuove circostanze..Vorrei aggiungere che non
è soltanto il linguaggio che mi sembra colpito da questa pesete
Viviamo sotto una pioggia ininterrotta di immagini. Gran parte
di questa nuvola di immagini si dissolve immediatamente
come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si
dissolve una sensazione d’estraneità e di disagio.Il mio disagio
è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco
d’opporre l’unica difesa che riesco a concepire:un’idea della
letteratura”93.” Siamo interessati a diffondere la consapevolezza
che anche l’architettura è affetta da quella peste del linguaggio
che Calvino descrive tanto magistralmente” 94. Anche in altre
occasione De Carlo, si arrende all’idea che gli altri hanno
dell’idea di architettura, e che certamente lui non condivide; ”
l’architettura è fondamentalmente organizzazione e forma

93
I.Calvino, Lezioni Americane, Garzanti, Milano 1988.
94
G.De Carlo, in Spazio e società, n°43, 1998.
dello spazio, dice e precisa che tutto quello che si allontana da
questo intento non è architettura…l’architetto è libero oggi di

Fig. 56 I. Calvino

non fare architettura e di preoccuparsi dei problemi del mercato


strettamente connessi a quelli dell’immagine. Alcuni molto
lucidamente …che l’architettura è in fondo una forma di
pubblicità, non c’è da illudersi che l’architettura sia molto di
più”95. Invece l’architettura è sicuramente molto di più, sia per
De Carlo che per Calvino; nelle città invisibili di Calvino e
nelle città del mondo di De Carlo si capisce che l’architettura è
decisamente di più, e sicuramente ciò che lega il contenuto
teorico dei due personaggi è la complessità. Un modello”

95
G.De Carlo, Conversazioni sotto una tettoia, a cura di Davide Vargas, Clean, 2003
diafano, trasparente , sottile come ragnatele “96 direbbe
Calvino.

Fig.57 la prima copertina di “Le Città Invisibili”

Appunto, componente fondamentale del volano della


complessità è la descrizione della complessità stessa; attraverso
la lettura e la descrizione dei luoghi, viene letto , interpretato,
individuato intuito ciò che la realtà è, struttura stratificata,
complessa interattiva con l’individuo. Prima di parlare
direttamente del romanzo Le città invisibili di Calvino, orami
testo consolidato di architettura ed urbanistica, è interessante

96
I.Calvino, Palomar,Einaudi, Torino,1983,p.113.
leggere altri testi di Calvino di qualche anno prima che in
qualche modo ricordano altri testi di De Carlo. In uno dei primi
romanzi Calvino scrive “Per vedere una città non basta tenere
gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che
Fig.58 schzzi di De Carlo (la complessità)

impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini che


continuano ad ingombrare il campo visivo e le capacità di
comprendere”97.

97
I.Calvino,Gli dei della Città, in La collana dei Meridiani, Saggi,1975,p346.
Leggere vuol dire guardare criticamente , identificare i segni
del lo spazio fisico, estrarli” dalle loro
stratificazioni,interpretarli, ordinarli e ricomporli, in sistemi che
siano significativi…di questo processo è necessario
comprendere , ma anche immaginare sul filo di ipotesi
considerate plausibili: il che significa progettare”98.
“ Se si vuole descrivere un luogo, descriverlo completamente,
non come un’apparenza momentanea ma come una porzione di
spazio che ha una forma , un senso e un perché, bisogna
rappresentarlo attraversato dalla dimensione del tempo, bisogna
rappresentare tutto ciò che in questo spazio si muove, d’un
moto rapidissimo o con inesorabile lentezza: tutti gli elementi
che questo spazio contiene o ha contenuto nelle sue relazioni
passate presenti e future”99
“lento o rapido che sia, ogni movimento in atto nella società
deforma e riadatta o degrada irreparabilmente il tessuto urbano
la sua topografia la sua sociologia, la sua cultura istituzionale e
la sua cultura di massa( diciamo la sua antropologia)…città
diverse si succedono e si sovrappongono sotto uno stesso nome
di città occorre non perdere di vista quale è stato l’elemento di
continuità che la città ha perpetuato lungo tutto la sua storia
quello che l’ha distinta dalle altre città e le ha dato un senso” 100.
La dimensione della stratificazione raccontata da Calvino è la
dimensione della stratificazione che ritroviamo negli scritti di
De Carlo “per progettare un’alternativa bisogna prima di tutto
saper leggere criticamente l’intera stratificazione accettando
che ogni strato è irreversibile.Dopo tutto i segni impressi nello
spazio fisico non cancellano mai quelli che lo hanno preceduti,
ne possono essere cancellati da quelli che li

98
G.De Carlo, Lettura e Progetto del territorio, Note introduttive al laboratorio ILAUD,Ferrara, Aprile,1995.
99
I.Calvino, Storia e Natura, in La collana dei Meridiani, Saggi ,1974,p.2320.
100
I.Calvino, Gli dei della città,op.cit.p.p.347-349.
seguiranno”101.Potremmo dire quindi che la lettura diviene
momento fondamentale della conoscenza dell’ambiente urbano;
saper leggere criticamente un tessuto, un ambiente, un contesto,
da consultare.
Fig.59 schizzi di De Carlo

“ Potrei dire allora che Parigi, ecco cosa e Parigi, è una


gigantesca opera di consultazione , è una città che si consulta
come un’enciclopedia : ad apertura di pagina ti dà tutta una
serie d’informazioni, d’una ricchezza come nessun’altra città.
Prendiamo i negozi, che costituiscono il discorso più aperto,
più comunicativo che una città esprime: tutti noi leggiamo una
città una via un tratto di marciapiede seguendo la fila dei
negozi.Ci sono negozi che sono capitolo di un trattato, negozi
che sono voci d’una enciclopedia, negozi che sono pagine di
giornali”102.

101
G.De Carlo, Goreè,Dakar,Pikine,in Spazio e società, n°é20, Dicembre,1982.
102
I.Calvino, Eremita a Parigi, in La collana dei Meridiani, Volumi Romanzi e Racconti 1974.
La città per De Carlo, come avevamo visto precedentemente è
fatta anche di vuoti, che l’architettura sia un’arte del togliere
invece che dell’aggiungere?”le città sono tessiture di svariati
contesti e ogni contesto è fatto da un sistema di edifici che
racchiude uno spazio aperto; oppure , si può dire da uno spazio

Fig.60 Interpretazione della città di Zenobia –G.Mauri

aperto delimitato da edifici.Non si può dire invece se siano


venuti prima gli spazi aperti o quelli edificati, o forse è meglio
non cercare di dirlo perchè dicendolo si rischia di stabilire un
principio di priorità del pieno sul vuoto e viceversa…infatti la
qualità dei contesti urbani dipende sempre dal rapporto tra i
loro due stati complementari, l’edificato e il non edificato”103.

103
G.De Carlo, Hanno ancora senso le piazze, e per chi?, in Spazio e Società, n°42, Aprile Giugno,1988.
“Camminando per la grande Prospettiva della nostra città
cancello mentalmente gli elementi che ho deciso di non
prendere in considerazione .Passo accanto al palazzo d’un
ministero, la cui facciata è carica di cariatidi, balaustre, plinti,
mensole, metope, e sento il bisogno di ridurla ad una liscia
superficie verticale, a una lastra di vetro opaco, a un diaframma
che delimiti lo spazio senza imporsi alla vista. Ma anche così
semplificato quel palazzo continua a pesarmi addosso in

fig.61 Schizzi di G.De Carlo

maniera opprimente: decido di abolirlo completamente….il


mondo è così complicato, aggrovigliato e sovraccarico che per
vederci un po’ più chiaro e necessario sfoltire,sfoltire”.
In” le città Invisibili”sono i “segni” che caratterizzano l’intero
romanzo,“ Io direi che un’attrazione molto più evidente è
quella che Calvino ha provato per la semiotica, per la scienza
dei segni. Ogni città, è per lui, un testo da leggere; tutto il libro
è una continua cattura di indizi e decifrazione di sensi.Marco
Polo prima di imparare la lingua tartara e possa quindi usare la
parola, espone al Kan i suoi rapporti con grida o gesti o
pantomime, o semplicemente sciorinandogli dinanzi oggetti
raccolti nei suoi viaggi; ma il nesso fra queste cose e i luoghi
visitati rimane incerto( i segni formano una lingua ma non
quella che tu credi di conoscere)”.104 I segni di Calvino, senza
forzature sono per De Carlo i “geni” della città; cercare il
codice genetico dei contesti, vuol dire decifrare i segni di
Calvino. Tra gli scritti di De Carlo più vicino alle “Città
invisibili “ di Calvino è il romanzo pubblicato sotto lo
pseudonimo di Ismhè Gimdalcha, dal titolo il progetto
Kalhesa. La storia di questo romanzo nasce all’indomani del
piano per il centro storico di Palermo, a cui De Carlo partecipa
insieme a Giuseppe Samonà, Di Cristina, Sciarra.
“che Ismhè Gimdalcha sia pseudonimo o eteronomo di De
Carlo o sia Roger Bodenham, non è ancora del tutto chiaro.
Che Kalhesa abbia a che fare con Kalsa e dintorni 1358 o con
Palermo 1979, non è dato sapere.Parlo del progetto Kalhesa(
pure Marsilio, da un manoscritto scoperto da Bodenham, che si
poi fatto vivo dopo la pubblicazione del libro). Una scrittura
che non usa più, in un mondo che ne avrebbe tanto bisogno
molle e viscido com’è, fatto più di cose, di immagini, esse pure
evanescenti.Solo la metafora e l’allegoria possono salvarci da
quella epidemia pestilenziale che ha colpito l’uso della
parola…i dubbi scompaiono .Gimdalcha è De Carlo, e Kalhesa

104
P.Milano,Commento a due voci sulle città di Clavino, in La visione dell’invisibile,Mondatori, Milano,2003.
è proprio una storia palermitana ( e insieme italiana) che si è
aggirata dentro e fuori il suo centro storico 1972-1982 senza
lasciare traccia, ovviamente se non questa . Un racconto
filosofico in forma di allegoria e metaforica che non sarebbe
spiaciuto, penso a Diderot”105.

Fig.62 Il centro storico di Palermo

Non è dato di sapere, come dice Sichirollo, chi sia appunto


Ismhè Gimdalcha; Ismhè può essere che derivi appunto
dall’arabo, che vuol dire “io Sono” la prima persona del verbo
essere, ( del resto l’importanza del mondo arabo nella vita di
De Carlo è sempre costantemente presente, come inizialmente
ho scritto). Gimdalcha, potrebbe essere una parola composta da
tre consonanti, tre iniziali, e quindi potrebbe voler dire “Io sono
GDC”, o meglio Io sono Giancarlo De Carlo. Che Kalhesa sia
Palermo lo si legge nel romanzo, attraverso i fatti, la narrazione
dei personaggi, degli avvenimenti.” Ma dove è mai Kalhesa? In

105
L.Sichirollo, in Gli spiriti dell’architettura, Editori riuniti, Roma,1999,p.XXII.
verità Kalhesa io l’ho cercata dappertutto dedicandole tutti i
miei viaggi estivi ed invernali degli ultimi dieci anni. L’ho
cercata in ogni paese del Mediterraneo e poi anche nel medio
oriente e nel cuore della Turkia e perfino in Iran, India
settentrionale e Pakistan. In ogni paese ho trovato tracce che mi
davano speranze di averla trovata , ma presto prove
inoppugnabili mi dimostravano che ero fuori strada.Alla fine ho
deciso che Kalhesa non c’è e anche che è dappertutto.Forse
come tutte le città di valore inestimabile ,Kalhesa ha la
prerogativa di essere allo stesso tempo unica ed universale”106.
Sicuramente Kalhesa potrebbe far parte di una delle città
invisibili di Calvino. Come “Le città Invisibili” non è un libro
di Architettura o Urbanistica, ma permette di entrare nei
meccanismi che regolano la vita di una città, quei segni visibili
e invisibili che ne disegnano lo spazio fisico, sociale e
economico.Si legge attraverso la narrazione delle vicende
un’idea forte di architettura, ed un’idea forte di come ci si
rapporta alla città storica”il perimetro dell’area è disintegrato
dall’inserimento di nuove costruzioni che hanno squarciatomi
tessuti antichi…come sempre mi domando se bisogna salvarlo,
se non sarebbe meglio radere al suolo tutto e rifare
daccapo.Ogni rovina è seducente, quasi per sua natura, ma
l’ideografia è cambiamento e non certo culto della
rovina.Perché abbiamo tanto paura del futuro da divenire così
timidi nei confronti del passato”107.Questo pensiero è
decisamente decarliano, “Il problema è come un’opera del
passato possa essere convertito per essere significativo per il
presente. Se l’opera del passato non è significativa per il
presente, la sua presenza non serve a niente”108.Ed ancora

106
Ismhè Gimdalcha, Il progetto Kalhesa,Marsilio,1995.
107
Ibidem.p.175.
108
G.De Carlo, Tratto dalla relazione “Tradizione e Innovazione” Pisa, registrato da E.Bascherini.
“Ogni spazio sembra a prima vista dotato di una disponibilità
senza fine ad accogliere usi diversi da quelli della loro
destinazione originale, a mettersi in relazione con altri spazi per
formare nuove configurazioni…e contemporaneamente si
rivela refrattario ad ogni trasformazione”.109
De Carlo nel progetto Kalhesa descrive luoghi attraverso
l’esperienza umana, descrive vicende persone e luoghi come
Marco Polo.De Carlo vive in un’unica città che contiene tutte le
città del mondo “ è un viaggiatore all’interno del corpo interno
della città, microsonda che si muove in quel corpo, in proposte ,
in progetti…credo che il progetto Kalhesa sia un viaggio
compiuto da Gimdalcha all’interno di Giancarlo De Carlo:
questi si riflette in tutte le persone presenti nella vicenda
raccontata, si specchia in quei nomi noti eppure
irriconoscibili…De Carlo costruisce la più bella delle
similitudini, un’analogia che ci parla delle affinità fra Samonà e
la città,fra l’uomo e la città fra la malattia dell’uomo…e il
simile annebbiamento e confusione del codice immunitario
della città, che provoca l’entrata in circolo di materiali
incongrui a quella città.Questi materiali iniziano a moltiplicarsi
come un tumore a stratificarsi e disorganizzando e
destabilizzando il corpo della città”110.L’idea di cosa sia
Kalhesa ce la fornisce direttamente De Carlo “IL progetto
Kalhesa è un Journal che l’islamico signor Gimdalcha teneva
durante il corso di una strana esperienza…non è un luogo e
basta ma è tanti luoghi insieme per cui, se uno o ha conosciuto,
quando lo ripensa finisce col confonderlo con tanti altri
luoghi…mi ha sempre affascinato…il modo di scrivere di
architettura dei trattatisti rinascimentali ed in particolare del

109
G.De Carlo, La Centrale Tecnica del Monastero di San Nicolò l’Arena Catania, in Casabella n°611,1994.
110
G.Ciucci, Questioni sul progetto Kalhesa, in Rassegna di Architettura ed Urbanistica, n°88.
Filerete:mescolando le teorie che venivano elaborando con le
esperienze del loro lavoro…tutti e due i libri sono un viaggio
interno a me stesso…tutte e due si propongono di leggere
situazioni specifiche e indicare modi di leggerle, dei fornire
frammenti di metodo per progettarle o riprogettarle e modi di
far corrispondere attraverso viaggi itineranti a spirale ferendosi
ad una molteplicità di esperienze dirette per dare ad ogni
giudizio un contenuto che sia il più universale possibile…ed

Fig.63 Centrale Termica Università di Catania

ora vengo alla questione sul mio essere coinvolto e distaccato


allo stesso tempo.E’ vero sono coinvolto on quella che
considero realtà, ma sono anche persuaso che per decifrare il
reale bisogna guardarlo da vicino e da lontano bisogna esserci
dentro e anche fuori…per essere buoni architetti bisogna
immedesimarsi con la cultura del luogo per cui si
progetta…Nel mio caso l’analisi è quella che chiamo Lettura
ed è una penetrazione dall’interno ed esterne e con me stesso;
la sintesi è quella che chiamo progettazione tentativa.
Il progetto si forma attraverso l’uso alternato di questi due
strumenti”111.
L’idea di De Carlo che Kalhesa possa essere allo stesso tempo
unica ed universale, e che contenga in se tutte le città del
mondo è strettamente legato all’idea che Calvino ha delle sue
“Città invisibili”Nelle città invisibili non si trovano città
riconoscibili.Sono tutte città inventate; le ho chiamate ognuna
con nome di donna; …ognuno dei quali dovrebbe offrire uno
spunto di riflessione che vale per ogni città o per la città in
generale”112.

Fig.64 le città del mondo

Nell’apertura di un editoriale De Carlo a commemorazione


dell’amico scomparso trascrive un pezzo delle “Città Invisibili”
“ Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra Ma quale è la
pietra che sostiene il ponte ? chiede Kublai Kan. Il ponte non è
sostenuto da questa o quella pietra,risponde Marco, ma dalla
linea dell’arco che essa formano. Kublai Kan rimane silenzioso,

111
G.De Carlo,Risposte alle questioni sul progetto Kalhesa, in Rassegna di Architettura ed Urbanistica, n°88.
112
I.Calvino, op.cit.p.V.
riflettendo.Poi soggiunge : Perché mi parli delle Pietre? E’ solo
dell’arco che mi importa Polo risponde: senza pietre non c’è
arco”113. A questa osservazione se ne può affiancare un’altra di
De Carlo che mi sembra sulla stessa linea di pensiero “ l’opera
architettonica non ha solo significato in se stessa , ma un
significato più ampio…essa va considerata nella struttura più
ampia in cui si inserisce…in altre parole il campo di influenza
dell’architettura stabilisce una tangenza immediata e
profonda...”114
Come dice appunto F.Samassa, la visone decarliana tra pietra
ed arco e simile alla dualità tra architettura e città, dove è
possibile operare solo sulle forme dell’architettura ma è la
forma della città che ci interessa, la risultante del nostre
disporre pietra su pietra.
Un altro argomento,anche se sottile, si può leggere nella città
invisibile Moriana e l’idea di carattere dello spazio vuoto di De
Carlo. In Moriana 56 ° città invisibile si recita “ Da una parte
all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il
suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste
solo in un dritto e un rovescio, come un foglio di carta con una
figura di qua e una di là, che non possono staccarsi ne
guardarsi”115. Come lo spazio vuoto e pieno della città pensato
da De Carlo, sembra essere un continuo di valori nessuna
supremazia l’uno sull’altro, nessuna dualità ma coincidenza di
statuto e di identità.
Se dovessi sintetizzare l’esperienza calviniana attraverso
l’opera e gli scritti di De Carlo , indicherei, che in entrambi è
forte il concetto di complessità visibile ed invisibile.

113
I.Calvino,op.cit.
114
G.De Carlo, in Giancarlo De Carlo Percorsi, a cura di F.Salassa, il Poligrafico, Venezia 2004.
115
I.Calvino, in Le città Invisibili, la città di Moriana.
A Calvino questa complessità serve per descrivere e rendere
leggibile il contenuto delle città attraverso fili che legano e
tessono radici, contrasti, tensioni, speranze inquietudini
collettive e paradossalmente i suo romanzo è comprensibile a
tutti, perché tutti riconoscono una città familiare o meglio una
città che dia risposte al proprio essere. A De Carlo questa
complessità serve come conoscenza del codice genetico che in
ugual maniera serve per costruire quei luoghi comprensibili a
tutti .
“ E direi che la sua comprensione attraverso l’analisi della sua
fisicità, del sistema di relazioni, di quella specie di DNA, che fa
di ogni città del mondo qualcosa di assolutamente irripetibile, è
il centro della ricerca progettuale di De Carlo.Ogni suo edificio
, tende ad essere città perché i significati che un edificio
sottende devono essere complessi esattamente come le
stratificazioni di significati che si accumulano nella città. Mi
sono spesso chiesto se a questa idea astratta di città corrisponda
anche un’immaginazione più tangibile ; se anche per De Carlo
come per molti architetti esista una città implicita –copme la
Inezia di Marco Polo di Calvino- una città che vive come
riferimento continuo, nascosto o evidente fisico o emozionale,
in tutte le esperienze di progettazione …non necessariamente
una città geografica ma piuttosto un luogo della mente e del
ricordo; una città ideale cristallizzazione fisica dell’essenza
della convivenza e della tolleranza, di quella incredibile
commistione di occasioni di sviluppo individuale e di relazioni
culturali che trova la massima espressione nella città europea.
Forse anche per DE Carlo questa città invisibile esiste ma è un
anti modello o meglio un processo di continua modificazione di
un modello, una specie di sommatoria di luoghi che si
accordano e si negano”116.

116
L.Rossi, Giancarlo De Carlo architetture, Mondatori editore, Milano.
Mazzorbo
Un esempio di Contestualismo interiore

L’intervento nella Laguna Venezia risale al 1980 e sarà


realizzato nella prima parte nel 1984 ; con questo intervento a
carattere residenziale si può leggere interamente il pensiero
decarliano, in particolare possiamo cogliere ciò che fino a qui
ho esposto più o meno chiaramente.
L’infanzia di De Carlo, la lezione di Pagano, l’uomo
vittoriniano, la complessità calviniana, sono leggibili per
interno nel progetto di Mazzorbo, isoletta situata ad est di
Venezia vicino all’isola di Burano e Torcello.

Fig.65 L’isola di Burano

L’Istituto Autonomo Case Popolari di Venezia (IACP) incarica


l’Architetto Giancarlo De Carlo per la progettazione di 36
alloggi nell’isola di Mazzorbo: ”Ottanta alloggi in qualsiasi a
parte del mondo possono anche stare dentro un solo edificio e
passare inosservati. Invece nelle isole della laguna veneta
ottanta alloggi sono o dovrebbero essere ottante case che
appaio tutte insieme come una grande dimensione.
Questo è perchè le terre e le acque della laguna veneta sono
solcate da un universo di segni minuti e qualsiasi segno anche

Fig.66 L’isola di Burano e Mazzorbo foto storiche

se appena percettibile ha sempre significati risolutivi: può


indicare le vie appropriate alle diverse stazze di barca oppure
la presenza di particolari coltivazioni ittiche o agricole o i tratti
di pontile dove l’ormeggio è possibile , o l’uso che si può fare
delle rive.
Ho riflettuto sul significato delle facciate di Burano e sul
rischio che si correrebbe a Mazzorbo di cadere in una
esecuzione grafica componendo finestre sulle pareti.In realtà
kle facciate di Burano sono piani semplici e levigati che
chiudono un involucro privo di accedintalità. La mancanza di
accidentalità deriva dal fatto che gli spazi interni non sono
ripartiti. L’uso si adatta e si differenzia dentro volumi che non
predeterminano se non per la posizione delle fonti di luce ( Le
finestre) e degli elementi di circolazione ( porte di ingresso e
scale ): al piano terreno la cucina, il pranzo e il soggiorno si
compenetrano senza confini e lo stesso fanno le attività
notturne ai piani superiori.

Fig.67 L’isola di Burano schemi di insediamento lagunare


Le sezioni orizzontali dei volumi ( le piante) sono infatti
rettangolari e non presentano increspature se non quando esiste
un camino o i si presenta la necessità di cambiare allineamento
per esigenze che nascono dalla configurazione dello spazio
esterno.Le facciate sono dunque piane bidimensionali non
risentono di tensioni interne e si risolvono in una composizione
di pieni e di vuoti. Sono in un certo senso scariche come se i
loro obblighi verso lo spazio esterno fossero tutti assolti nel
chiudere e dar luce.
Fig.68 L’isola di Burano

Ed è proprio questa indipendenza dall’interno che le lascia


libere di costruire scena all’esterno.Il rapporto tra pieni e vuoti
si sistema nelle case di Burano in un equilibrio miracoloso;
come del resto capita spesso nell’architettura popolare che
ancora sopravvive incontaminata”117.
Il rapporto tra pieni e vuoti è stato sin dall’inizio confermato
come punto fondamentale nella conoscenza e progettazione

117
G.De Carlo, Tra Aria ed Acqua op.cit.
dello spazio urbano: De Carlo considera questi due spazi un
unico insieme, senza dualità alcuna; lo spazio vuoto può essere
considerato benissimo il pieno, ed il pino il vuoto. Questo
carattere segna quello che è la dimensione sociale
dell’ambiente fisico, attraverso la dimensione vuoto, De Carlo
riscrive quella qualità ambientale che nella maggioranza
dell’architettura è relegata solamente all’edificio. Possiamo
benissimo asserire che l’edificio sembra, non solo nel caso di
Mazzorbo, inscritto nel vuoto.

Fig.69 L’isola di Burano


“Ogni vuoto ha sempre il posto giusto in rapporti ai pieni e agli
altri vuoti; anche quando viene aperto abusivamente e
all’improvviso , per qualche nuova esigenza intervenuta
all’interno. Anzi , proprio in questi casi il miracolo è più
sorprendente perché rivela una singolare sapienza nel fare la
soluzione di una causa materiale dell’uso con un accrescimento
di potenziale nell’espressione . Si tratta del mistero della
cultura popolare che sta scomparendo e alla quale comunque
non possiamo sostituirci”.
Fig.70 Schizzi di De Carlo

Il riferimento alla lezione di Pagano sta tutta in questa frase; il


non potersi sostituire alla cultura popolare non vuol dire che
non la si può conoscere e applicare. Dobbiamo fare una piccola
riflessione in questo senso; la cultura popolare, sembra che
abbia una dimensione intoccabile, nel senso che ci appare
atemporale e aspaziale. De Carlo fa una precisazione, nel caso
di Mazzorbo, sul fatto che il linguaggio adottato è sempre
attuale, o meglio è quello corrente.
Fig.71 L’isola di Burano schemi di insediamento residenziale

“ Il fatto che non possiamo sostituirci non vuol diruperò che


dobbiamo opporci assumendo posizioni antagoniste sia sul
piano dell’organizzazione dello spazio, sia su quello del
linguaggio.Sul piano dell’organizzazione dello spazio abbiamo
cercato di non farlo: infatti abbiamo ripreso il più possibili e il
carattere delle zone pubbliche buranelle, nelle varie situazioni
che hanno con Burano qualche similitudine; e per quanto
riguarda gli spazi interni stiamo facendo di tutto per renderli
compenetrabili mitigando la specializzazione che ci è imposta
dalle norme ed in parte anche dai nuovi comportamenti degli
utenti.
Sul piano del linguaggio la questione è più complicata perché le
Fig.71 L’isola di Burano, le relazioni interno esterno

riprese aprono il rischio del vernacolo che è senza dubbio nella


grande ritirata dell’architettura moderna il simmetrico speculare
del neo-eccletismo. Però bisogna riflettere sul fatto che il
linguaggio architettonico di Burano è ancora praticato con
vigore dai buranelli e non è contaminato da intrusioni alogene
se non in modo del tutto marginale.”
Ancora sul lessico, inteso come grafia dell’apparato
iconografico, la complessità del luogo e delle permanenze,
impone a De Carlo questa riflessione, determinare quali sono le
variabili su cui lavorare e quali sono le permanenze a cui
affidare il compito di ricucire quella lettura del testo urbano.

Fig.72 L’isola di Mazzorbo, i nuovi insediamenti –le rive


“ La pratica intensa di un apparato lessicale ancora integro
conserva comprensibile a tutti i buranelli il processo di
trasformazione del loro ambiente ; in genera in altre parole di
autentica appropriazione ambientale. Se si deve introdurre nel
processo di trasformazione di Burano un intervento cospicuo
rapido ed accidentale come si capita di dover fare –certo
sarebbe ridicolo di limitare un linguaggio che non si possiede
per nascita: verrebbe fuori quell’insopportabile cadenza che
assumono gli stranieri quando conoscono bene una lingua che
non è la loro e cercano di parlarla nascondendo le loro natuarli
inflessioni vocali. Ma sarebbe altrettanto redicolo di usare un
linguaggio interamente straneo, per il semplice fatto che non
sarebbe comprensibile e per di più l’effetto di introdurre nel
ciclo ci appropriazione esistente anacronismi che finirebbero
per distruggerlo.
Fig.72 L’isola di Burano,i coli il vocabolario architettonico

La cosa migliore per uno che parla molto bene un’altra lingua
è di parlarla con la propria intonazione : così facendo rispetta la
sua integrità intrinseca : la sua capacità di adattarsi a cadenze
che non le sono proprie conservando intatta la sua capacità
rilevante. In sostanza mi pare si debbano assumere le strutture
lessicali dell’architettura di Burano e poi usarle con
naturalezza, omologandole al nostro patrimonio culturale ( di
specialisti, di non partecipi della cultura popolare del luogo).
Tornando alle facciate a cosa servirebbe evitare la
bidimensionalità che è tipica degli involucri edilizi di Burano?

Fig.72 L’isola di Burano, la lettura

Si cadrebbe in una artificialità che già si è cercato di evitare


nello studio degli spazi interni e soprattutto esterni. Sembra
molto più interessante e assai più difficile , naturalmente, di
lasciare libere le nostre cadenze estranee e e farle trapelare in
una generazione di segnali.
Tenendo conto che questi segnali, prodotti dal praticare con
naturalezza un linguaggio non innato, si aggiungeranno ad altri
segnali, prodotti da quelle differenze tecnologiche che si è
costretti ad accogliere nella costruzione e da altri segnali ancora
risultanti da metafore che inevitabilmente scoccano( o bisogna
lasciare scoccare) dall’omologazione tra le immagini che si
trovano e quelle che ci si porta dietro o già si intravedono su un
Fig.72 L’isola di Burano, la lettura

orizzonte più lontano. In questa prospettiva ho disegnato le


finestre ed i loro contorni di pietra artificiale .nella stessa
prospettiva penso si debba ricorrere a tracciati regolatori( ne
più ne meno che sistemi di proporzioni)per comporre sulle
facciate i pini e i vuoti; e contemporaneamente, identificare i
luoghi e i punti dove c’è vocazione e stimolo per l’inserto di
particolari segnali.

Fig.72 L’isola di Burano, la lettura

E sembrato necessario che l’espansione di Burano nel territorio


mazzorbino non avesse ombre di aggressione ; verso gli
abitanti delle casermette ma soprattutto nei confronto delle
famiglie che risiedono a Mazzorbo da molte generazioni e
amano più gli attrezzi agricoli che le reti da pesca più gli orti
che i campielli . C’è nella laguna veneta uno spessore storico
così profondo da rendere inquietanti anche i più piccoli sintomi
di invasione .Perciò ci si è preoccupati molto di depurare il
progetto da sfumature imperialiste. Se si guarda attentamente la
configurazione finale si vede infatti che dopo essere partita
buranella diventa sempre più mazzorbina.
Man mano che si allontana dal ponte tra le due isole cambiano
le unità edilizie il loro modo di associarsi, i rapporti tra spazi
interni ed esterni.”
Questa considerazione avvalora quella complessità che in
Calvino la si legge, attraverso “ Le città Invisibili”in piccole
sfumature, variabili e che differenziano una città dall’altra.
Fig.74 Mazzorbo, il nuovo intervento- gli interni

“IL primo nucleo di 36 case quello che è stato costruito finora


si sviluppa lungo una spina centrale dove si affacciano i negozi,
i sottoportici e le calli trasversali come accade a Buranella
strada principale che in origine era un canale .Sui retri della
spina si articolano due sequenze di campielli, una aperto verso
il viale alberato e la riva sulla laguna , l’altra verso la darsena
costruita sulla traccia del canale che era scomparso. L a
pavimentazione della spina è in masselli di pietra; quelle delle
due calli dei campielli e dei vari livelli delle Darsene è in
mattoni; bordi, gradinio ormeggi e caditoie sono in pietra
d’Istria . Sono gli stessi materiali che si ritrovano nelle parti più
pregiate e meglio conservate di Burano; anche a Venezia
l’avversata e sognata capitale. Le unità edilizie sono di tre tipi e
ciascun tipo contiene un alloggio che, secondo le norme
dell’edilizia sovvenzionata, può essere di 46,70 o 95 metri
quadrati.
Fig.75 Mazzorbo, il nuovo intervento- gli esterni
Il magazzino al piano terreno, le scale e le varie terrazze ai
livelli superiori, non rientrano nel calcolo delle superfici. Le
due unità più piccole sono organizzate su due piani e l’unità più
grande su tre piani.Quella più grande cade nelle articolazioni
più sensibili della struttura e le sottolinea. Le unità sono state
associate in forme dio edifici diversi tra loro per composizione,
dimensione, orientamento, esposizione verso gli spazi esterni
che concorrono a definire.

Fig.76 Mazzorbo, il nuovo intervento- lettura comparata

Quando entrano a far parte degli edifici, i tipi originali delle


unità si dissolvono; perché è previsto nel loro sistema
organizzativocce possano adattarsi alla diversità delle
circostanze presenti ed anche future, senza compromettere
l’integrità formale dell’insieme. Non si guadagna abbastanza in
laguna facendo a pieno tempo i pescatori o gli ortolani; perciò
molti abitanti delle due isole lavorano in terraferma e
viaggiano, in battello e in autobus o in treno quattro ore al
giorno di media. Per sopportare così grande fatica bisogna
avere un forte attaccamento al proprio luogo.Questo
attaccamento per gli abitanti di Burano e Mazzorbo sembra
indiscutibile ed il contrastarlo ha influito sul progetto in modo
decisivo.
Molta energia è stata investita per persuadere le autorità di
Venezia che bisognava alzare il più possibile la qualità
ambientale ( la darsena, i ponti,le passerelle, le
pavimentazioni,ecc) e quindi dedicare a questo scopo altre
risorse, oltre quelle fornite dallo stato che bastano a mala pena

Fig.77 Burano, lavita all’esterno

per gli edifici. Altrettanta energia ( di pensiero e di disegno, ma


anche quella fisica che occorre per avere profondi contatti con
la gente e le cose) è stata investita nella ricerca di un linguaggio
in equilibrio tra innovazione e tradizione.In questa parte della
laguna la gente ha continuato a trasformare e conservare lo
spazio che abita senza modificare il linguaggio architettonico.
Ma quella stessa gente ha molto ampliato lo spettro delle sue
comunicazioni con il mondo esterno e ha cambiato modi di
produzione , comportamenti ed aspettative.La contraddizione
che dopotutto è frequente anche fuori dalla laguna è stata
accolta nel progetto come uno stimolo positivo. E invece di
abrogare il linguaggio tradizionale ( strada dell’accademia
modernista ) o di contorcerlo per renderlo paradossale ( strada
dell’accademia post-moderna) è stata scelta la strada del
linguaggio molteplice. Ne è risultata una configurazione

Fig.74 Mazzorbo, il nuovo intervento- le facciate

stratificata dove segni e segnali del presente si mescolano a


figure tradizionali, in un sistema compositivo
inequivocabilmente contemporaneo”.
La stratificazione è permanenza di segni di segnali, che vanno
letti ed interpretati nella loro totalità; alcuni di questi portano
con se un portato fondamentali, altri sono solo ingombranti.
Decodificare significa quindi dare valore ai segni o fili ( vedi
Calvino).
La struttura formale del nuovo nucleo residenziale è incrostata
di analogie che ricordano immagini già presenti nel luogo o
riportate altrove. Attraverso le analogie, la configurazione
diventa comprensibile e perciò appropriabile Ma per muoversi
con scioltezza in questo esercizio senza cadere nelle banalità è
stato necessario di scoprire le ragioni che hanno generato il
carattere delle forme architettoniche di Mazzorbo e Soprattutto
di Burano.”

Fig.77 Mazzorbo, le barche della laguna

Solo leggendo questa complessità si riesce ad entrare nella


complessità dell’individuo, solo leggendo l’individuo si riesce
a leggere lo spazio.
“ I risultati di questa lettura sono stati raccolti in un vocabolario
dove sono registrate e confrontate le variazioni degli elementi
costruttivi che ricorrono con più frequenza nel territorio delle
isole.
Il vocabolario è stato usato non per riprodurre quello che già
esisteva ma per inventare nuovi modi espressivi che potessero
entrare naturalmente a far parte del contesto fisico e culturale”.
Sul significato del Vocabolario di De Carlo e del rapporto con
il Dizionario logico dell’architettura di Pagano, ho già scritto in
precedenza; mi sembra però opportuno segnalare che in questo
caso De Carlo, affronta il tema del vocabolario, non nel senso
più ampio dell’edilizia minore in genere, ma adotta un
linguaggio ai limiti del vernacolare, al luogo in cui progetta,
senza mai sfiorarlo affronta il tema del pittoresco, ma con
Fig.78 Mazzorbo, il nuovo intervento- gli schemi dei percorsi

equilibrio circense decodifica la cifra stilistica è la riidentifica


in qualcosa di nuovo.
“ Il tessuto residenziale di Burano è fatto di catene di case
unifamiliari che si sviluppano uno dopo l’altra come capita con
le cellule dei tessuti organici.Le catene tendono a distendersi tra
canale e canale , ma in realtà hanno frequenti interruzioni dove
si congiungono tra loro attraverso calli e campielli.Lo scarso
tessuto residenziale di Mazzorbo è invece fatto di case
unifamiliari isolate, che qualche volte formano un fronte

Fig.79 Mazzorbo, il nuovo intervento- la lettura delle corti e dei campielli

continuo verso la riva perché sono unite da corpi di fabbrica più


piccoli destinati a magazzini.Nella prima fase del progetto le 36
case il tessuto è fatto di segmenti di catene molto simili a quelle
di Burano. Invece diventerà sempre più simile a quella di
Mazzorbo nelle fasi successive.Gli spazi aperti davanti alle
case di Mazzorbo sono soltanto percorsi, mentre quelli davanti
alle case di Burano sono luoghi di intensa comunicazioni.
Secondo le stagioni e le diverse ore del giorno, le attività dei
buranelli escono all’aperto, si ritirano in casa e poi escono
ancora occupando in modo diverso i campielli e le rive. Perché
questa alternanza ritmica non trovi ostacoli, ne fisici ne
psicologici,la soglia delle porte non è più alta di 2,5-3 cm.
Fig.80 Mazzorbo, il nuovo intervento- l’agglomerato

Cosicché mentre gli abitanti di Mazzorbo rialzano il piano


terreno per difendersi dall’alta marea, gli abitanti di Burano
invece hanno sempre preferito correre i rischi dell’allagamento
piuttosto che interrompere la continuità tra l’interno e l’esterno
delle loro case. Le facciate della laguna veneta sono piatte. Le
finestre e le porte se hanno cornici le hanno ha filo e la gronda
del tetto se è ha sbalzo lo è di pochi centimetri.
La sola eccezione è data dai camini che sporgono dalle facciate
con larghi focolari che si restringono al primo piano per
raccordarsi alle canne e finire nel cielo con comignoli piuttosto
elaborati.

Fig.81 Mazzorbo, il nuovo intervento- gli infissi

Nel vocabolario sono stati registrati i casi più interessanti, ma


non per riprodurli perché, da quando nella laguna è stato
portato il gas metano, i camini sono ormai utilizzati o come
armadi o come nicchie per la televisione .In realtà quello che
interessava non era il camino ma la vibrazione diversificante
eloquente densa di significato e infatti è stata assunta dal
progetto e trasferita in altre componenti della costruzione. A
Burano le case sono colorate. Lo sono anche a Mazzorbo ma
con toni più sommessi e comunque stemperati dal prevalere
della gamma verde degli orti, delle siepi e degli alberi. Le
famiglie continuano a dipingere la loro casa , per ringiovanirla
e per conservarla riconoscibile a prima vista anche da lontano.
Anche in questo caso, l’infanzia e la conoscenza del Souk, per

Fig.82 Mazzorbo, il nuovo intervento- i volumi

De Carlo è fondamentale; da valore ad ogni spazio in base alla


funzione che deve generare a tutte le ore del giorno e delle
stagioni; cerca di studiarle dividendole per poi ricomporle in
un’unica organica soluzione.
“I colori scelti sono sempre sorprendenti perché singolari,
eleganti non convenzionali.Un tempo le facciate erano dipinte a
fresco stendendo il colore sull’intonaco non ancora rappreso;
ora invece sono dipinte a secco con tempere o colori sintetico,
purtroppo con vernici plastificate che danno l’illusione di poter
tenere fuori l’umidità dai muri.In genere ogni casa è dipinta con
un solo colore , a parte le cornici delle porte e delle finestre che
sono sempre bianche e a parte lo zoccolo che è davvero
dipintori un altro colore oppure sembra esserlo perché lo stesso
colore è stato steso su un intonaco più ruvido che gli cambia la
luce”
Fig.83 Mazzorbo, il nuovo intervento- i sottoportici

La prima idea che era venuta in mente era stata di finire gli
intonaci e lasciare agli abitanti di colorarsi le facciate da
loro.Ma era la prima e quindi la più facile. La ventesima idea
invece, quella messa in atto, è stato che non ci si poteva
sottrarre alla responsabilità di decidere e di realizzare le
colorazioni. Perché, perché il processo di formazione delle
nuove case è stato in tutto diverso da quello delle case che sono
state costruite finora nelle due isole e sembrava necessario
conservarlo coerente fino in fondo.perciò si è indagato sulle
strutture cromatiche esistenti a Burano e Mazzorbo e poi
attraverso molte prove e accurate osservazioni si è deciso per
tre toni diversi di tre diversi colori. Invece che unità edilizie , i
colori distinguono le loro associazioni; e i toni dello stesso
colore distinguono i vari piani in cui le facciate si compongono.
E probabile che in futuro gli abitanti ridipingeranno in modo

Fig.83 Mazzorbo, il nuovo intervento- gli infissi

diverso e forse torneranno a distinguere la loro casa dalle altre ,


ma allora si sarà sviluppato un rapporto di identificazione che
adesso non può ancora esistere.
LA misura del luogo
Nel progetto di Mazzorbo vi è però qualcosa d particolare : la
misura del tempo non solo è una dimensine ineliminabile del
progetto ma è anche parte del principio compositivodel nuovo
insediamento. E stato infatti pensato come uno spazio collettivo
dinamico costruito come unità edilizie sempliciche hanno tra
loro minime variazioni, ma che aggregandosi generano unità
morfologiche diverse e dotate tutte di una propria identità. Un
progetto che accetta le modifiche e le variazioni; che consente

Fig.84 Mazzorbo, lettura comparata di Burano

di adattarsi senza perdere i propri principi compositivi. Un


carattere questo che alla base della composizione morfologica
dei tessuti storici insulari e che determina nell’ambiente urbano
dei valori essenziali e insostituibili.Iniziato nel 1980 il nuovo
insediamento residenziale prende nel tempo diverse
configurazioni che variano tra loro per la presenza o meno di
intrusioni quale un nucleo di piccole case abusive e un campo
sportivo o nel numero e distribuzione degli edifici. Dei
centocinquanta alloggi previsti nel piano Peep e nel
planivolumetrico, ne sono stati costruiti trentasei dei restanti
nella seconda fase se ne realizzeranno forse altrettanti aasieme
ad una palestra e ad un nuovo campo sportivo. La riva
dell’isola dove si affaccia il nuovo insediamento, è
incredibilmente fuori scala, fatta su un modello d’importazione
, che ha avuto un grande successo negli ultimi trentenni presso
gli uffici tecnici del magistrato delle acque.. la nuova riva di
Mazzorbo fatta per garantire una adeguata protezione degli
argini dal crescente moto ondosoin realtà modifica i rapporti
gerarchici tra gli elementi morfologici degli insediamenti
lagunari: le fondamenta dove si approda o si cammina e il
canale.” E interessante che il recupero non si limita alla
funzione alla tipologia ecc., De Carlo come a Rimini, vuole che
gli abitanti entrino subito in armonia con la propria abitazione,
magari dipingendola.
“ La sezione è infatti inclinata e alta due metri sopra il livello
medio mare, così da rendere impossibile scendere e salire dalla
barca.”
Anche in questo caso, possiamo notare le affinità con la visione

Fig.81 Mazzorbo, il nuovo intervento- gli infissi

terriotoriale di Vittorini, la percezione dall’esterno, l’arrivare in


un luogo, descrivendolo e leggendolo dall’esterno, mettere in
evidenza una soglia, un limite.
La nuova riva interrompendo i flussi terra/acqua, non solo
nega la relazione che sono alla base dei tessuti lagunari, ma
soprattutto impone una misura del basamento nel bordo
lagunare così fuori scala da rompere il precario equilibrio tra
linee orizzontali e verticali che caratterizzano il paesaggio
lagunare.Scendendo a Burano invece che a Mazzorbo abbiamo
l’opportunità di visitare l’insediamento insulare che ci ha
fornito l’unità di misura , la dimensione la scala, il modello
morfologico per il progetto del nuovo nucleo
residenziale.L’isola di Burano è stata spesso usata nelle
discussione come cartina al tornasole per poter commisurare le
nostre intenzioni con il luogo. Anche nei momenti di maggiore
creatività è servita da stimolo per non accontentarsi della
soluzione raggiunta, convinti che in qualche posto dell’isola, un
po’ più nascosta vi era una soluzione che poteva farci
aggiungere limare modificare qualcosa che avevamo già fatto.
Il nostro imprevisto sopralluogo a Burano diventava quindi una
rivisitazione del processo progettuale.
Fig.85 Burano lettura comparata

Un modo di ripercorrerete quasi simbolicamente il lento e


faticoso percorso che avevamo seguito alla ricerca della misura
del luogo; attraverso la lettura delle variazione dimensionali,
delle regole e delle eccezioni compositive ; cercando di
comprendere le proporzioni e le sequenze che legano i vuoti
con i pieni; tentando di dare un peso specifico al linguaggio nel
contesto sociale dell’isola. Questa complessa lettura dei valori
del luogo ha accompagnato infatti in parallelo la nascita del
progetto, ma di questo si è anche spesso nutrita. A dispetto di
quello che ancora molti pensano, solo il progetto può farci
conoscere quello che Pagano chiama il dizionario logico
dell’architettura, solo il tentativo di costruire un luogo
attraverso un progetto ci consente di scoprire la misura del
luogo stesso.
Fig.86 Buarano lettura della vitalità estrena

A Burano come nelle altre isole lagunari la morfologia del tessuto


urbano segue movimenti centripeti. Tende a concentrare flussi e
attività verso l’interno, lungo le fondamenta dei canali, dove possono
attraccare le piccole barche in legno degli abitanti a contatto con le
loro abitazioni. I principi ordinatori del tessuto edilizio degli
insediamenti lagunari delle origini, come quello di Burano sono assai
semplici.Tutto nasce dall’acqua , o meglio dai canali interni che
solcano le terre emerse e fanno da catalizzatori dei flussi e quindi
delle linee di forza che generano i percorsi pedonali, che a loro volta
costruiscono passi e dimensioni della maglia morfologica.Alle isole
si arriva infatti in barca . La barca è la prima misura dello spazio. La
larghezza del canale, la lunghezza della fondamenta, l’altezza e la
forma dei ponti nascono così. La barca è costruita per muoversi
agilmente nei canali interni e lagunari: alla barca
Fig.87 Buarano lettura della vitalità estrena

di laguna viene richiesto di essere veloce a remi e a motore ( un


tempo a vela).E quindi lunga e stretta . Ha inoltre il fondo
piatto per passare nei bassi fondali delle barene anche nelle
condizioni più sfavorevoli, quando la marea è bassa. Cosa che
capita due volte al giorno. Quindici/venti centimetri d’acqua
diventano quindi , per le isole della laguna , una discriminante ,
un vincolo da rispettare sempre nel progettare un luogo. Una
dimensione apparentemente insignificante , minima, diventa
nella laguna condizione di inaccessibilità, garanzia di luogo
urbano, possibilità di vita sociale.”
Ricordando Vittorini nel testo “ Le città del Mondo” appunto
dice , che “ dove la gente abita come ad Enna si ha Enna …” La
relazione tra la vita dell’individuo e lo spazio come riflesso
della vita stessa, assume in Mazzorbo ed in Burano il carattere
più forte; De Carlo affronterà questo tema sperando che in
seguito gli abitanti si dipingano da soli le proprie abitazioni, e
magari ritrovino quella dualità tra abitazione e barca.
“La stessa cosa succede nelle abitazioni.La piccola minuta
dimensione è la misura del luogo.La Barca di laguna ha un grande
spazio interno per poter ospitare persone e merci anche

Fig.88 Buarano lettura della vitalità estrena

contemporaneamente. La prua e la poppa sono ridotte al


minimo non occupano più di un quarto della lunghezza , a
differenza delle gondole che hanno lunghi slancia di prua e
poppa che non le consentono di percorrere i canali di Burano.
Le gondole sono infatti nate a misura dei canali di Venezia: più
ampi spesso privi di fondamenta, scanditi dalle incombenti
facciate dei palazzi quasi tutti dotati di loro portoni d’acqua,
dove attraccare con comodità. Un modo più aristocratico e
privato di utilizzare l’affaccio su l’acqua. La gondola sta a
Venezia come la barca di laguna sta agli insediamenti insulari
minori. L a barca di laguna è un mezzo più promiscuo e più
flessibile anche se anche’esso richiede luoghi ed attrezzature
particolari che misurano le diverse rive delle isole e che infatti
si trovano a Burano.
Lungo il perimetro esterno dell’isola che è battuto dal vento e dalle
onde, vengono ormeggiate solo le barche più grosse. L’ampio
spazio sterrato esistente tra le case e l’argine della riva viene
utilizzato per riparare, stuccare e ridipingere più volte l’anno.La riva
quindi è attrezzata con scivoli,paline per gli
Fig.88 Buarano lettura della vitalità estrena

ormeggi e passerelle in legno. Lungo i canali interni invece , su


entrambe le rive e dirimpetto alle case, vengono ormeggiate le
imbarcazioni.Ad ogni casa corrisponde una barca alla cortina
edilizia corrisponde un continuum di imbarcazione colorate. La
barca va aggiustata e ridipinta più volte ogni anno per
proteggere il legno di larice delle fiancate o della coperta di
rovere per togliere le alghe ed i denti di acne che tendono a far
marcire le tavole della parte sommersa. La casa va aggiustata e
ridipinta più volte l’anno per l’aggressione dell’aria e del vento
salmastro.
Gli anziani, soprattutto le donne vi si dedicano anche una volta al
mese nelle parti più esposte alle intemperie : nella fascia di attacco
attorno alle finestre. Gli uomini preferiscono invece dedicarsi alle
barche. Case e barche sono oggetto della stessa manutenzione della
stessa manualità. Non è un caso quindi che abbiano la stessa pelle
sfruttino lo stesso e immediato linguaggio espressivo dei materiali,
adottino gli stessi abbinamenti di colore : verde e rosso- bianco e
azzurro- blu e marrone. Fanno parte del luogo appartengono ai propri
abitanti. Case e barche sono così a Burano misura di luogo e
d’uomo.

Fig.86 Mazzorbo, il nuovo intervento e il territorio

Se la barca definisce il canale, il canale definisce le


fondamenta , dove convergono o si distribuiscono i flussi
pedonali, che nascono dall’interscambio con il canale. I canali
seguono linee sinuose che sembrano assorbire energie e
assecondare il movimento dell’acqua che entra ed esce ogni sei
ore dalla laguna. Le anse più o meno ampie dei canali e delle
fondamenta sono generate da questa energia che produce
geometrie complesse. Dalle fondamenta partono i percorsi/calle
che tendono ad unire secondo il tracciato più breve i canali e le
fondamenta tra loro.Questi percorsi si pongono quindi secondo
un orientamento ortogonale alla fondamenta. In corrispondenza
delle anse dei canali, per seguire l’andamento sinuoso delle
fondamenta i percorsi-calle subiscono delle rotazioni e formano
così dei ventagli più o meni ampi.
Ma non solo, quasi sempre la sequenza accelerata delle anse crea
punti di sovrapposizione dei ventagli, rotture dei passi,

Fig.89 Mazzorbo Planimetria d’insieme

interruzioni e vuoti atematici. In questi punti, dove la regola


primaria che stabilisce l’ortogonalità del percorso pedonale
appare contraddetta,in questi punti di conflitto, si creano
slabbrature che rompono la densa maglia del tessuto. Queste
slabbrature, questi spazi non tematici diventano luoghi
privilegiati, dove è più alta la qualità urbana e dove si
concentrano le tensioni abitative.
Queste corti caratterizzano la trama spaziale degli insediamenti
lagunari. E questa la seconda regola morfologica dalla quale non si
può prescindere nel misurare la morfologia del tessuto lagunare.La
corte diventa la conclusione dello spazio pubblico e l’inizio dello
spazio privato: nella corte si svolgono contemporaneamente attività
che appaiono in altri luoghi incompatibili.La corte ci dà il carattere e
la misure fisica dell’abitare in un isola della laguna.La dimensione e
la forma delle corti non risultano mai l’una uguale all’altra , lungo le
anse dei canali gli edifici si sviluppano seguendo leggeri
disassamenti che scandiscono sempre in modo diverso il raggio e la
profondità della curva. Anche gli edifici, come in una reazione
chimica assorbono le tensioni alla variazione presenti
Fig.90 Mazzorbo Planimetria d’insieme

nello spazio pubblico. Si generano così un universo delle


differenze che risulta assai più numeroso di quello delle
permanenze . Se analizziamo gli edifici ci accorgiamo come
siano composti da pochi tipi edilizi che però generano una vasta
varietà di soluzioni.
Gli edifici nascono dalla associazione di cellule che variano tra
loro anche di poco, per dimensioni planimetriche composizione
degli elementi di facciata per le altezze degli interassi dei solai
in legno.”
IL riferimento quindi è tutto per la città storica italiana;
attraverso pochi tipi edilizi, viene ricostruita interamente un
tessuto edilizio denso di differenze e denso di affinità.
“E sorprendente come una cellula semplice con una dimensione
media di 5,5 metri x 5,0 e ripetuta centinaia di volte possa generare
una tale varietà di soluzioni. Se infatti misuriamo ci accorgiamo
come pur in presenza di un campo di oscillazione abbastanza
contenutole variazioni anche se minute sono sempre
Fig.91 Mazzorbo scorcio dal canale

presenti e generalizzate su tutti gli elementi che compongono la


cellula: finestra porta, camino, gronda in pietra, intonaco colorato,
cornice delle finestre. Ogni elemento non si presenta mai come lo
abbiamo già conosciuto.Non è infatti mai uguale a se stesso e
contiene in sé il gene della piccola e continua variazione. Saper
riconoscere, valutare , misurare la scala della variazione è
indispensabile per la definizione delle regole compositive. Gli edifici
appaio infatti composti da singole unità edilizie di due otre piani che
nascono da una cellula di piccole dimensioni.
Questa cellula ha su un lato un camino con il focolare al piano terra
nel locale cucina ;ai lati una finestra ed una porta di piccole
dimensioni.Entrambe le porte sono fornite di una tenda che
sostituisce per molti mesi l’anno la porta di legno che

Fig92 Mazzorbo l’ingresso alla spina centrale

rimane aperta e crea così un’intensa osmosi tra dentro e fuori.


Risultà perciò difficile riconoscere e misurare ciò che è
pubblico e ciò che è privato;ciò che appartiene alla sfera privata
dell’abitazione o al dominio collettivo delle calli, corti,
fondamenta.Dalle ridotte dimensioni della cellula e dalla
ricchezza e abbondanza di spazio pubblico, nasce l’abitudine
dei buranelli di svolgere gran parte della loro attività domestica
all’esterno. Negli abitanti di Burano vi è infatti un esplicito e
cosciente giudizio sul peso che lo spazio esterno esercita sulla
gerarchia dei valori abitativi.Pur avendo l’acqua corrente in
casa, molte donne conservano ancora l’abitudine di servirsi
delle piccole fontanelle pubbliche che si trovano al centro delle
corti. Si perpetua così un grande scambio sociale.
Credo che sia un momento molto importante quello della fine degli
annio Sessanta.hai in qualche modo operato un ribaltamento
dell’idea tradizionale di partecipazione nelle riflessioni di quel
periodo.E’ questa riflessione che ti ha ispirato progetti come quello
di Mazzorbo?” Nel progetto di Mazzorbo
Fig93 Mazzorbo una facciata

ho cercato di dare una risposta concreta proprio a quella


riflessione . E questo mi ha dato occasione di capire meglio i
limiti dell’idea di Lettura e di partecipazione tentativa che poi
sono statio ripresi e sviluppati dall’Ilaud”. A Mazzorbo la scelta
dei colori esterni degli edifici può essere un esempio di queste
tue riflessioni. Ti sarai posto il problema se lasciar scegliere
agli abitanti del quartiere un colore qualsiasi secondo la loro
tradizione insomma sottrarti alla scelta progettuale oppure
importi.
Fig94 Mazzorbo la riva alta

” Ho scelto i colori di Mazzorbo cercando di capire come li


avrebbero scelto gli abitanti delle nuove case.Ma allo stesso
tempo assumendomi la responsabilità della scelta del momento
che le case le avevo fatte io e gli abitanti ancora non c’erano.
Dove che all’interno del processo di partecipazione è come se i
colori li avessero scelti loro non sarebbe corretto.Ma non è
anche corretto dire che li ho scelti io senza tener conto di loro.
Nel processo di partecipazione è tutto sottile , contraddittorio,
mutevole, e bisogna accettare questa condizione altrimenti il
processo si falsifica. Ci vuole molto più talento nella
progettazione partecipata di quanto ce ne voglia nella
progettazione autoritaria, perché bisogna essere ricettivi,
prensili, agili, rapidi nell’immaginare fulminei nel trasformare
un sintomo in un fatto e farlo diventare punto di partenza.Ho
spiegato perché sceglievo quei colori piuttosto che altri e le
regole della loro composizione stabilita attraverso una ricerca
sull’infinita e stupefacente tavolozza di Burano.
Fig94 Mazzorbo le corti e il canale

I futuri abitanti hanno voluto sapere tutto,nei particolari, e poi


hanno approvato le scelte che erano state proposte. Ma io ho
pensato fin dall’inizio che gli abitanti cambieranno i colori in
futuro, quando si saranno appropriati delle loro case ( che fino
al momento in cui le ho consegnate erano ancora come fossero
mie).Fa parte di questa perdita di qualità della più generale
degenerazione dei procedimenti dell’edilizia, falsificati da
un’errata concezione dell’economia”.
Fig94 Mazzorbo l’ingresso alla spina centrale da un sottoportico

” Ai confini settentrionali della laguna veneta quando Venezia


non è più che un’ombra azzurra di aguzzi campanili, si trova un
gruppo di isolotti con una lunga e non chiara storia urabana
:vie è Torcello…Burano dalla storia più recente ma tuttora
viva, vivace e colorita patria di merletti,pittori e pescatori, e
vicinissimo a quest’ultima quasi fosse il suo orticello, è
Mazzorbo, tranquilla e dimenticata”118”l’edificazione delle
prime 36 case ha seguito il modello tipico di Burano anziché
quello di Mazzorbo.Il nuovo progetto propone di ruotare il
campo da calcio esitente per dargli l’orientamento giusto, di
costruire col suo margine settentrionale una palestra modellata
in modo da non apparire come quello scatolone che in genere
gli si chiede di essere, di aggiungere altre 48 case alle 36
Fig96 Mazzorbo una corte interna

costruite col primo intervento, di distribuirle in modo i


concludere il frammento”buranello” del primo intervento e da
infoltire la rada edificazione “mazzorbina “ che ora si affaccia
sui canali di Mazzorbo e Mazzorbetto.

118
Piaggio M Tra Burano e Mazzorbo, in Costruire in Laterizio, n°10 Luglio.Agosto,1989.
La lezione che si può trarre da queste esperienze …può essere
riassunta nell’invito a prestare molto attenzione alle matrici
storiche che hanno determinato l’edificazione del contesto, sia
sul piano tipologico che su quello tecnologico e nell’assimilare
il rapporto tra funzione e morfologia al fine di coniugare con
saggia umiltà la possibilità di innovare con il rispetto della
tradizione. L’ambiente urbano che ne risulta è sempre e
comunque veneziano, anche se i singoli interventi possono
essere facilmente attribuibili, per la filosofia progettuale che
esprimono ai loro autori a al loro tempo”119.”

Fig96 Mazzorbo l’ingresso alla spina centrale dai campielli laterali

119
M.Zaffagnini,Progettare nel tessuto urbano, Alinea Firenze, 1993.
Nonostante la distanza esigua le due isole rappresentano due
mondi assolutamente diversi: da un lato la vitalità di Buranio,
dall’altro il decadente silenzio di Mazzorbo.In questo contesto
così delicato … l’intervento è una atto di ricomposizione
pacifica tra due diverse culture per dare luogo ad una terza
cultura capace di omogeneizzare entrambe …è tutto giocato sul
sottile filo della comprensione dei luoghi…il risultato può
essere considerato come metafora dei colori di Burano,un po’
come i camini metallici, le fasce di piastrelle ceramiche sulle

Fig97 Mazzorbo le finiture esterne

vetrine , gli infissi metallici dei negozi, le inusuali forme


cilindriche delle scale che sovrapposte a forme più tradizionali
concorrono a definire un linguaggio innovativo e
molteplice”120.
“il programma di sistemazione degli spazi pubblici, l’organizzazione
e sistemazione del canale del ponte tra le due rive realizzate
contestualmente alle case , a far parte di un progetto unico che

120
L.Rossi, Gioancarlo De Carlo Architetture, Mondatori editore, Milano.
investe decisioni collettive e un processo partecipativo fuori dal
comune.E’ evidente inoltre che la morfologia è realizzata
permutando gli elementi tipizzati onde realizzare le diverse tipologie
edilizie:la serialità razionalista ancora presente in molte opere qui
viene arricchita da elementi vernacolari, dal colore, dalla completa
integrazione con le sistemazioni esterne.Il sistema combinatorio è
qui esaltato nelle sue valenze più importanti:offrire la
personalizzazione , la

Fig98 Mazzorbo le finiture esterne

riconoscibilità e una peculiare identità a ciascuna unità edilizia


variandone la configurazione .
E’ un linguaggio che utilizza a piene mani un vocabolario
sintattico dell’architettura lagunare accentuandone le qualità
misurali e percettive in termini di riduzione scalare delle masse
costruitre per via infinite modeste articolazioni del volume.”
La stessa rielaborazione lo si ha nell’intervento al Cavallino ad
Urbino; anche in questo caso trattandosi di edifici residenziale,
si legge lo stesso percorso progettuale, gli lementi, la
distribuzione, fino al dettaglio dei comignoli di sapore
albiniano..
“Articolazioni contrassegnate da una molteplicità di elementi
una varietà di forme nuove disposte su quelle tradizionali per
raggiungere una molteplicità linguistica.Un risultato popolare
come avrebbe sognato Bob Venturi.E’ un modo di penetrare i
mutamenti della storia con la ferma convinzione di
assecondarli, con la certezza di perseguire ideali valori di
identità che permangono nel tempo”121.
Fig99 Mazzorbo le finiture esterne, i comignoli

“l’accurata e precisa realizzazione delle pavimentazioni in


mattoni e pietre, il ridisegno dei nuovi argini della cavana
secondo i tipici rapporti terra-acqua della laguna, gli ingressi gli
affacci delle singole unità edilizie le mostre delle bucature le
finiture, ma anche l’espressività plastica della volumetria del
quartiere dovuta ai robusti corpi cilindrici delle scale oltre a

121
Piero Sartogo, Note dal Fronte , in L.Rossi, Giancarlo De Carlo Architetture, Mondatori editore, Milano.
rivelare un amore per il dettaglio costituiscono acquisizione da
un linguaggio stratificato e domestico, strutturate in un insolita
narrazione moderna”122.”
Le residenze di Mazzorbo che specchiano i loro nitidi volumi
colorati nella laguna veneziana, declinano con estrema capacità
narrativa una serie di spazi dalla scala urbana a quella del singolo
alloggio nel quale la matrice tipologica si dissolve in una sottile rete
di relazioni tipologiche .Distanza e vicinanza si fanno in questo
insediamento strumenti di un racconto
Fig99/1 Mazzorbo le finiture interne

umanissimo che parla del vivere assieme in un paesaggio


urbano che non sembra progettato, ma nato
spontaneamente”123.

122
A.Romano,G.De Carlo, universale di architettura,Gennaio, 2001.
123
F.Purini, L’opera e il tema, in G.De Carlo , Percorsi, a cura di F.Samassa, Il Poligrafico, Venezia 2004.
Egli ha avviato questo processo di ricerca della qualità
architettonica ed ambientale puntando sulle analisi
morfologiche piuttosto che sulle prescrizioni e sugli
standard…ha elaborato un progetto architettonico per giungere
alla formazione di un piano…è forse l’unico modo di
intervento altamente qualificato laddove la struttura
paesaggistica , storica e ambientale debba essere salvaguardata
e rafforzata.Il disegno di De Carlo…ha privilegiato l’assetto
morfologico dell’impianto lo stretto rapporto con la realtà
edilizia buranella.

Fig.99/2 la cartella dei Colori

Anzi proprio attraverso attente e approfondite letture del


sistema insediativi di Burano,l’architetto ha delineato il senso
dell’impianto formale della nuova compagine edilizie tanto
ricco e specifico nei caratteri linguistici e strutturali.In effetti lo
stupore che l’insediamento di Mazzorbo genera è legato alla
straordinaria ricchezza delle forme che sollecitano rimandi di
memoria e letture più diverse.Se la composizione generale è
chiaramente ispirata alla trama urbana di Burano alcune scelte
particolari sembrano rimandare a raffinati ricordi
architettonici.Ebbene in alcuni casi essi paiono richiamare
prepotentemente l’epressività plastica della casa di Andrè Lucat
al Werkbaund viennese.
E ancora le insersioni decorative di ceramica multicolore, nel
coronamento dei piccoli volumi adibiti a servizi lungo la
strada principale, evocano la familiare grafie delle
composizioni e dei disegni di Van Ejck, esponente con De
Carlo del Team X”124.”una strategia compositiva, ma anche una
filosofia dell’abitare che coglie nella moltiplicazione degli
aspetti formali e di quelli tipologici una maniera di superrare
l’impatto di un inserimento artificiale estraneo alle linee
portanti del territorio.Natura e storia paesaggio naturale e
paesaggio urbano ne risultano così enfatizzati senza per questo
cadere nel mimetismo vernacolare di una falsa architettura
locale o nella contrapposizione frontale dei due termini
antitetici.Alti e bassi, lunghi e corti, sinuosi e rettilinei, i nuovi
volumi stabiliscono con il sito una feconda relazione di
proporzioni e di rapporti, di allusioni e rispondenze:
un’architettura antieroica e familiare stabilisce così una forma
d’approccio che tende ad aderire al calco del sito come l’orma
del piede nella traccia della terra. Tafuri ha opportunamente
sottolineato il peso esercitato sul conservatorismo abitativo dal
richiamo al culto dell’originen rappresentato dal mito della
cosiddetta legge Daulia, che prescriveva per le case dimensioni
tutte euguali e modestia”125.

124
A.Benedetti, Edilizia residenziale nella laguna veneziana a Mazzorbo, in L’idustria italiana delle Costruzioni, n°192.
125
F.Irace, Nuovi quartieri in Laguna, in Abitare,n°260,1987
Conclusioni

Nell’opera di De Carlo non può un argomento considerarsi


concluso; per sua natura un argomento concluso propone delle
decisioni certe, definitive. De Carlo non ama le cose definitive, ma
la sua opera è sempre suscettibile di mutazioni, movimenti, come
le cose della natura.

Fig. 100 Diagramma della vita di De Carlo, schizzo di De Carlo.

Come ogni individuo, la sua opera cresce , matura si trasforma, e


pronta di nuovo a trasformarsi. Anche il tema definito dalla ricerca
in oggetto “ Contestualismo interiore”, non può dirsi definito
completamente; la traccia di ricerca fin qui seguita non esaustiva,
prova a dare dei limiti, ricucire delle situazioni, rintracciare dei fili,
o meglio i filamenti dei codici genetici che De Carlo si propone di
leggere e adottare, sfugge dalle maglie di un inquadramento
sistemico per rifugiarsi in altri contesti opere e tracce di ricerca.
Contestualismo interiore è quindi una situazione che cambia, di
luogo in luogo di tempo in tempo, è una funzione matematica che
cambia campi esistenziali.
Contestualismo interiore , è il saper leggere il codice genetico dei
luoghi, entrare nel profondo delle situazioni, della storia, dei
problemi degli uomini, di far crescere la società con le capacità
attitudini e speranze degli individui.

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