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Lo studio quotidiano

Alla base dello sviluppo tecnico ed artistico di ogni strumentista deve esservi un
coordinato studio quotidiano dal quale nessun esecutore, specialmente se ancora
in via di formazione, può prescindere.
Indubbiamente talento ed abilità naturali sono essenziali per la rapida crescita
strumentale, ma l’esperienza insegna che dalla quantità e soprattutto dalla
qualità del lavoro quotidiano di uno studente dipende, in massima parte, il
successo finale.
Ogni buon professionista conosce l’importanza di un piano di studio completo e
sa quanto invece il mancato rispetto di esso possa portare a risultati scadenti.

I contenuti e la durata dello studio devono tenere conto di alcuni


importantissimi fattori:
_ il livello tecnico già acquisito dallo strumentista.
_la disponibilità di tempo da potere dedicare ad ogni singolo aspetto tecnico su
cui lavorare.
_lo stato dell’imboccatura e le proprie condizioni fisiche generali.
_gli impegni, più o meno imminenti, che ci si accinge ad affrontare, siano essi
concerti, audizioni, concorsi, prove oppure lezioni.

In definitiva si può affermare che la vera difficoltà dello studio consiste


nell’individuare cosa, quanto, ma soprattutto come studiare.

Partiamo dal primo di questi argomenti, il cosa studiare ogni giorno;


è opinione piuttosto diffusa che lo studio vero e proprio debba sempre essere
preceduto da una fase di riscaldamento o, all’inglese warm-up, per preparare
l’insieme muscolare al successivo lavoro. Io sono invece del parere che il
concetto di riscaldamento sia fuorviante ed ho notato che spesso esso porta ad
una sorta di routine tecnica che, in presenza di cattive abitudini, tende a
rafforzarle invece che a debellarle, la ripetizione metodica infatti è un processo
tendente a trasferire l’azione reiterata in quella particolare “area” del nostro
cervello nella quale hanno sede le abitudini ed ogni movimento, anche se non
corretto, diviene in breve tempo abitudine consolidata.
Tutto ciò non deve indurre a ritenere che gli esercizi che di norma compongono i
vari warm-up (note lunghe, arpeggi, flessibilità sulle serie armoniche, scale ecc.)
siano da considerarsi inutili, al contrario essi sono nella realtà ottimi, soltanto
che sono da studiare con atteggiamento di esecuzione e non di riscaldamento,
ponendo il massimo impegno nella ricerca del più alto standard musicale.
Per sintetizzare ancora meglio questo concetto voglio citare un celebre
insegnante, Arnold Jacobs, che di fronte ad un tipico atteggiamento di
riscaldamento soleva affermare:
_ Non prepararti a suonare, suona!_
Torniamo ora a tutto ciò che lo studio giornaliero del corno dovrebbe contenere.
Un inizio con note lunghe ed arpeggi lenti nel registro centrale porta lo studente
a concentrarsi sulla qualità del suono che deve essere alla base di questa prima
fase di lavoro, che è bene sia seguita da tutte le scale, maggiori e minori, che si
suoneranno legate e staccate.
Ottimi a questo riguardo gli schemi di lavoro indicati nei metodi di Philip
Farkas e Barry Tuckwell (v. lista metodi).
Esercizi e studi su articolazione, fraseggio, figurazioni ritmiche, interpretazione
ecc. possono essere facilmente individuati nei moltissimi metodi in commercio ed
a questo proposito ritengo opportuno fornire una lista di alcuni di essi alla fine
di questo capitolo, con l’avvertenza che un’elenco di questo tipo può solo essere
parziale, e che ogni docente indirizzerà il proprio studente verso quei testi che
ritiene maggiormente utili al suo sviluppo.
La pratica quotidiana degli studi tratti da questi metodi è assolutamente
indispensabile se si vuole poi approdare allo studio approfondito del repertorio
solistico, cameristico ed all’apprendimento dei passi orchestrali, fondamentali ed
incredibilmente spesso trascurati.
Dal momento che una delle difficoltà maggiori del corno consiste nell’attaccare
correttamente i suoni è bene inserire uno studio specifico su questo argomento
oltre ad uno studio sui trilli di labbro (v. capitolo 14 ), oltre a suoni chiusi e
trasporto.

Detto di cosa studiare è necessario stabilire quanto tempo dedicare a questo


studio.
Per evidenti motivi di tenuta muscolare il principiante o comunque lo studente
nei suoi primi approcci non potrà sostenere sessioni di lavoro prolungate e dovrà
invece puntare sulla loro frequenza, fino a quando la sua imboccatura non gli
permetterà di sopportare una mole di studio più consistente.
Mano a mano che ciò avviene potrà ampliare il carico di lavoro rendendolo
sempre più complesso e comprensivo di tutte le componenti tecniche esaminate
in precedenza ed una volta conseguita una sufficiente tenuta fisica ed un
adeguato livello tecnico, ci si potrà assestare sulla propria media ideale che di
solito va dalle tre alle cinque ore quotidiane, suddivise in tre o più sessioni.
Nello svolgimento della professione di cornista è prassi normale dovere
effettuare nello stesso giorno cinque o più ore di prove e a volte suonare un
concerto alla sera, ecco perché solo la resistenza che deriva da almeno tre ore di
studio giornaliero svolto negli anni della formazione, diviene requisito
irrinunciabile.

Infine un avvertimento a tutti quegli studenti che al primo manifestarsi della


stanchezza decidono di interrompere la sessione di studio per poi ricominciare
dopo essersi riposati; questo atteggiamento comporterà, una volta intrapresa la
attività professionale, un brusco risveglio, dal momento che questa sospensione
non sarà più loro consentita.
Una buona soluzione preventiva a questo problema consiste nell’imparare a non
“mollare” ai primi segni di cedimento muscolare continuando, anche soltanto
per alcuni minuti, a suonare, senza peraltro eccedere nel volume e nel registro
acuto. La consapevolezza di potere comunque procedere anche in una
condizione non ideale come quella appunto della stanchezza, è fondamentale per
garantire al cornista fiducia nei propri mezzi, qualità questa assolutamente
indispensabile ad un sereno svolgimento della professione.

Il fattore più importante circa lo studio è senza dubbio quello che concerne la
sua qualità, ovvero il come studiare, infatti mentre è piuttosto semplice stilare
una serie di esercizi “su misura” per ognuno di noi in relazione al livello tecnico,
del tempo a disposizione ecc. è invece molto difficile imparare a studiare, quasi
questa fosse un’arte in sé stessa.
Si deve soprettutto porre la massima attenzione sulla concentrazione, senza mai
suonare pigramente e, come già accennato, senza mai cadere nella routine, vera
nemica di ogni processo creativo.
Ogni esercizio, concerto o passo orchestrale deve essere studiato con la massima
partecipazione, avendo chiara in mente la motivazione specifica di quel
determinato studio, cercando di conseguire il miglior risultato possibile anche
negli esercizi più noiosi e faticosi.
La qualità della musica prodotta è più importante di qualche eventuale sbaglio
che, ripetendo correttamente il singolo passaggio più volte, secondo il principio
di apprendimento dei “tentativi ed errori”, verrà automaticamente rimosso.

Un possibile rischio è quello di concentrare eccessivamente la propria attenzione


sul lato fisico dell’esecuzione musicale, cercando di controllare il proprio corpo
invece che il proprio suono, dimenticando così che è il suono a motivare il
movimento dell’aria, la giusta tensione muscolare e tutte le procedure fisiche,
mentre non è detto che partendo da queste si arrivi poi ad un buona produzione
del suono.

La tradizione lirica italiana ha spinto i nostri didatti del passato ad attingere a


temi tratti dall’opera o ad essa ispirati per scrivere studi che, al di là del valore
musicale intrinseco in essi contenuto, aiutano lo studente ad esprimersi con la
spontaneità del bel canto.
Anche se al giorno d’oggi spesso queste raccolte di studi vengono ora considerate
obsolete, personalmente ne raccomando l’uso proprio in quei casi nei quali un
eccessivo coinvolgimento tecnico porta ad un’atteggiamento iper-analitico con
conseguente blocco del movimento che si cerca di controllare e relativa perdita
di spontaneità.
Un altro atteggiamento che ritengo altamente costruttivo e stimolante
specialmente per gli studenti alle prime armi è lo sforzarsi di suonare sempre
per un pubblico anche se solo immaginario, cercando di dare al proprio studio la
motivazione e l’impronta dell’esecuzione. Qualora poi fosse possibile avere un
pubblico vero, anche se all’inizio questa opportunità si potrebbe presentare solo
con la presenza di parenti od amici, ci si dovrà esibire il più possibile, senza mai
tirarsi indietro anche se ciò costerà dapprincipio un poco di sacrificio .
L’esporsi spesso in pubblico è il migliore antidoto ai problemi legati alla
“emozione da palcoscenico”, sensazione provata prima o poi da tutti gli
strumentisti (anche i più grandi !), e che solo l’esperienza unita alla profonda
fiducia nelle proprie capacità derivante da un serio studio insegnano a superare.

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