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La pittura Metafisica

Nasce a Ferrara con Giorgio de Chirico, vi aderiscono anche il


fratello Andrea, noto con lo pseudonimo di Alberto Savino,
Carlo Carrà e Giorgio Morandi.
Il termine “metafisica” è di origine greca, fu Andronico di Rodi
a distinguere gli scritti di Aristotele in due gruppi di opere:
1.  Quelle che studiano la fisica e le leggi della natura, cioè i
fenomeni naturali percepibili attraverso i cinque sensi.
2.  Quelle che si occupano dell’essenza delle cose cioè, che
indagano tramite il ragionamento le realtà di cui non abbiamo
esperienza diretta.
Per De Chirico il termine “metafisica” allude ad una realtà
diversa, che va oltre a ciò che vediamo, fatta di oggetti usati al
di fuori del loro solito contesto e che sorprendono.
Se si interrompono i ricordi, che associano significati ed usi ad
ogni cosa, tutto diventa all’improvviso nuovo.
Estraniando gli oggetti dal loro usuale contesto si crea una
diversa realtà, e ciò avviene anche mostrando come inanimati
luoghi fatti per contenere persone.
Non è l’inizio del Surrealismo, anche se i Surrealisti ritennero De
Chirico loro precursore in quanto esula dall’intento di De Chirico
il ricorso al sogno, all’automatismo, all’inconscio, al voler
conciliare sogno e veglia in una realtà trasfigurata e superiore.
La pittura Metafisica si colloca temporalmente prima del
movimento surrealista ed è in opposizione al Futurismo italiano e
alle esperienze dell’Impressionismo e del Divisionismo francesi.
All’immediatezza visiva degli Impressionisti, alla scomposizione
delle forme e allo spazio dinamico dei Futuristi, la Metafisica
oppone uno spazio rigidamente geometrico, una prospettiva
schematica ma ordinatrice, un colore omogeneo, una solida
volumetria degli oggetti, un segno netto.
Un richiamo all’ordine della tradizione pittorica italiana, che
risponde alla condizione di smarrimento e di bisogno di
sicurezza dovuta alla guerra e alla profonda crisi dei valori che
ne segue. Un richiamo all’ordine che viene ricercato in Italia e in
altre parti d’Europa.
Valori Plastici
La rivista “Valori Plastici”, fondata nel 1918 dal pittore Mario
Broglio, diffonde i contenuti della pittura metafisica attraverso gli
scritti di De Chirico, Savinio, Carrà.
La rivista si prefigge di mantenersi coerente alla tradizione
pittorica italiana del Trecento e del Quattrocento, quella
tradizione fatta di forma e di solidità volumetrica, per l’appunto
valori plastici.
La rivista aspira all’internazionalità dell’informazione.
Novecento e Novecento italiano
Nel 1922 si esaurisce l’esperienza di “Valori Plastici” quando a
Milano alcuni artisti, tra questi Mario Sironi, organizzano una
prima esposizione i cui contenuti pittorici sono il richiamo
all’ordine.
Contenuti che già avevano ispirato “Valori Plastici”, ma con una
più accentuata volumetria e contrasto chiaroscurale, finalizzate a
una classica solennità compositiva.
Nel 1924 il gruppo esordisce alla XIV Esposizione
Internazionale d’Arte di Venezia, le sue idee sono condivise da
molti artisti italiani che si esprimono mediante una
rappresentazione pittorica naturalistica e oggettiva ma
permeata di un’atmosfera magica, che viene definita
“Realismo magico”.
Un ritorno della pittura all’ordine della forma e del volume, agli
ideali di concretezza e semplicità, alla corposità dei piani e delle
penombre, caratteristiche dell’arte italiana.
Nel 1926 fa seguito la prima mostra del “Novecento italiano”, il
gruppo ormai cresciuto è diventato movimento nazionale.
Tuttavia i risultati del movimento, orientato verso un’arte
popolare e nazionale, sfociano in un’arte di regime.
Agli inizi degli anni Trenta i contenuti dei due gruppi sono
assorbiti dall’estetica fascista.
Giorgio De Chirico (1888-1978)
Capisaldi dell’arte di De Chirico, dichiarati anche nelle frasi
epigrafiche che accompagnano due suoi autoritratti, sono
l’enigma, la metafisica e la classicità.

1.  L’enigma è il mistero, il dubbio, il segreto da svelare


2.  La Metafisica è quella verità nuova che si cela in ogni
oggetto se solo si riesce a immaginarlo al di fuori del suo
solito contesto
3.  Classicità è l’essere in linea con la tradizione pittorica
italiana basata sul disegno, sulla forma e sul volume
Giorgio De Chirico, figlio di un ingegnere ferroviario italiano, in
Grecia per lavoro, nasce a Volos, in Tessaglia.
Nella culla della civiltà occidentale compie i suoi primi studi.
Nel 1906, dopo la morte del padre, si trasferisce a Milano e poi
a Firenze con la madre ed il fratello Andrea.
Nel 1910 frequenta l’Accademia di Belle Arti a Monaco, qui
approfondisce la filosofia di Nietzsche e di Schopenhauer che
sono alla base delle concezioni artistiche dell’artista e della sua
pittura metafisica.
Nel 1911 raggiunge il fratello che si è trasferito a Parigi ed
espone al Salon d’Automne.
Nel 1913 espone al Salon des Indépendants.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale rientra in Italia con il
fratello per arruolarsi, ottenendo come destinazione Ferrara.
Qui conosce Carrà ed inizia a partecipare attivamente alla rivista
“Valori Plastici”, nasce ufficialmente la pittura metafisica.
Nel 1924 ritorna a Parigi dove frequenta il gruppo dei Surrealisti,
trascorre due anni a New York, poi si trasferisce a Firenze e di
seguito a Roma, dove rimarrà fino alla sua morte, all’età di 90
anni.
Negli ultimi decenni della sua vita, dopo un lungo periodo
caratterizzato dal rinnovarsi continuo dei suoi modi e temi
pittorici, ripropone, immutata, la pittura metafisica del primo
ventennio del Novecento.
Le chant d’amour, il canto
d’amore
Il dipinto mostra tre oggetti senza
relazione tra loro: un calco della
testa dell’Apollo del Belvedere,
un rosso guanto di gomma da
chirurgo inchiodato al muro, e in
basso, una sfera verde.
Sullo sfondo un muro, dietro cui
si alza il fumo di una locomotiva.
Una piazza su cui incombono le
ombre degli edifici e della sfera.
La piazza, elemento ricorrente
Le chant d’amour, il canto d’amore, Giorgio
nelle sue opere, è spopolata, non
De Chirico, 1914, olio su tela, 73x59,1 cm, c’è traccia di umanità.
Museum of Modern Art, New York
Le dimensioni degli oggetti
rappresentati sono fuori scala,
enormi.
Guanto e calco invadono
completamente il fianco
dell’edificio su cui sono appesi.
I tre elementi non hanno alcun
nesso tra loro, né con il luogo
dove sono riuniti che appare
silenzioso e inanimato.
Il quadro ha un fascino
misterioso, come quasi tutte le
opere metafisiche di De Chirico,
si presenta come un enigma la
Le chant d’amour, il canto d’amore, Giorgio cui soluzione non potrà mai
De Chirico, 1914, olio su tela, 73x59,1 cm,
Museum of Modern Art, New York
essere trovata.
Ettore e Andromaca
I protagonisti del dipinto sono
due manichini che
rappresentano Ettore e
Andromaca e sono al centro
della scena.
La scena rappresentata è
citata nel sesto libro dell’Iliade.
L’abbraccio tra i due avviene
davanti alle porte Scee appena
prima che l’eroe troiano si
immoli per la patria affrontando
Achille.

E3ore e Andromaca, Giorgio De Chirico,


1917, olio su tela, 60x90, Collezione privata,
Milano
E’ rappresentato l’ultimo bacio
tra i due, la tragicità della
scena è accentuata dal fatto
che i due manichini sono privi
degli arti superiori, e di
conseguenza sono
impossibilitati ad abbracciarsi
in quest’ultimo saluto.
L’eroe è consapevole di andare
verso una morte certa, ma
nonostante tutto non si tira
indietro al suo destino crudele
e lo affronta coraggiosamente.

E3ore e Andromaca, Giorgio De Chirico,


1917, olio su tela, 60x90, Collezione privata,
Milano
L’enigma dell’ora, De Chirico, 1911, olio su tela, 55x71, collezione privata, Milano
L’enigma dell’ora, De
Chirico, 1911, olio su
tela, 55x71, collezione
privata, Milano

Un porticato sovrastato da una loggia


occupa quasi l’intero spazio della tela.
Nell’ombra del porticato una figura
umana immobile aspetta.
In basso, i raggi del sole pomeridiano,
che generano ombre lunghe, sfiorano
appena una vasca con uno zampillo
d’acqua…
investondo l’uomo vestito di bianco
che le sta di fianco.
L’architettura
essenziale del portico
e del loggiato richiama
le architetture fiorentine
dello Spedale degli
Innocenti, con la
sopraelevazione che un
restauro ha poi
eliminato, e il Corridoio
Vasariano.
I due uomini immobili e
l’orologio che indica
l’ora stabiliscono con
l’osservatore un
rapporto di attesa.

Attesa di un evento sconosciuto,


enigmatico, che apparentemente sta
per compiersi, ma che, probabilmente,
non si compirà mai.
Anche il tempo si è fermato nel
silenzio di una piazza quasi disabitata.
Le Muse inquietanti
Nel mezzo di una grande piazza ai
cui margini si erge il Castello
Estense di Ferrara, città in cui il
pittore si trova all’inizio della Prima
guerra mondiale, si protende un
palco formato da tavole di legno.

Le Muse inquietan9, De Chirico, 1917,


olio su tela, 97x66cm, Collezione
MaHoli, Milano
Le commettiture delle assi
sembrano governate da una
prospettiva rigorosa, in realtà
non è così, infatti i punti di fuga
del palco sono due, molto
vicini, da sembrare uno solo.
Castello estense, Ferrara
Le alte ciminiere sulla sinistra non
buttano fumo, pertanto non ci sono
segni di vita o di attività.
Sul palco delle statue manichino
con grandi teste ovoidali sono
collocate su piedistalli.
La figura inanimata al centro è sedu
ta su un parallelepipedo azzurro, ha
la testa smontata appoggiata a
terra.
Altri corpi geometrici colorati, come i
giochi di un bimbo, si trovano tra i
muti manichini di pietra.

Le Muse inquietan9, De Chirico, 1917,


olio su tela, 97x66cm, Collezione
MaHoli, Milano
L’uomo non è presente, le finestre
degli edifici sono buie e chiuse.
Le Muse, protettrici delle arti, sono
colonne consunte dal tempo, sono
immobili ed enigmatiche. Mute
presenze depositarie di un mistero
inaccessibile e inquietante.
La brezza che muove i vessilli sul
castello, la nitidezza del segno, le
ombre nette e lunghe, il colore
caldo, il silenzio che regna, il
tempo sospeso sono gli elementi di
cui l’artista si serve per
rappresentare una realtà diversa da
quella usuale, metafisica, di cui non
Le Muse inquietan9, De Chirico, 1917,
olio su tela, 97x66cm, Collezione
siamo sempre consapevoli, ma che è
MaHoli, Milano insita in tutte le cose.
Carlo Carrà (1881-1966)
Aderisce inizialmente al Futurismo, firmandone i Manifesti,
quello dei pittori futuristi e quello tecnico della pittura futurista,
insieme a Boccioni, Russolo, Balla e Severini. Per divergenze
con Boccioni e Marinetti se ne allontana per aderire alla pittura
Metafisica e poi al Realismo magico.
Carlo Dalmazzo Carrà nasce a Quargnento, Alessandria, da
una modesta famiglia di artigiani. A Milano svolge l’attività di
decoratore e si iscrive ai corsi serali dell’Accademia di Brera.
Nel 1900 risiede per breve tempo a Parigi, dove conosce le
opere dei pittori romantici Delacroix e Gèricault ed è
affascinato dagli Impressionisti e dal realismo di Courbet.
Ritorna a Milano e aderisce al Futurismo, ma presto ne è
insoddisfatto, alla continua ricerca di qualcosa di diverso.
Nel 1912 a Parigi entra in contatto con i cubisti e la sua pittura
cambia radicalmente, orientandosi verso una maggiore solidità
della forma.
Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, è mandato a
Ferrara in convalescenza, qui incontra Giorgio De Chirico e il
fratello di lui, Alberto Savinio.
Si avvicina così la pittura metafisica, praticata da De Chirico già
dal 1909 e che aveva avuto modo di conoscere durante un
soggiorno parigino nel 1914.
L’incontro con De Chirico lo converte ad una pittura che rientra
nella tradizione italiana, fondata sulla forma ed il volume.
La stagione Metafisica di Carrà è breve ma molto intensa.
Breve e problematica è l’amicizia con De Chirico, egli infatti
organizza una mostra a Milano in cui non invita a partecipare
anche l’amico De Chirico e neppure lo cita in un suo libro
“Pittura Metafisica”.
Conclusa l’esperienza metafisica Carrà si rivolge al Realismo
magico.
Nel 1941 ottiene la cattedra di Pittura all’Accademia di Brera.
I funerali dell’anarchico Galli, Carlo Carrà, 1911, olio su tela, 198,7x259,1 cm,
Museum of Modern Art, New York
I funerali dell’anarchico
Galli
Durante gli scontri in seguito
allo sciopero generale di
operai e contadini del 1904,
è ucciso l’anarchico Angelo
Galli.
Durante i suoi funerali si
verificano altri scontri con le
I funerali dell’anarchico Galli, Carlo Carrà, 1911, forze dell’ordine, i lancieri del
olio su tela, 198,7x259,1 cm, Museum of Modern re caricano la folla in mezzo
Art, New York
alla quale si trova anche
Carlo Carrà, simpatizzante
ora per gli anarchici, ora per i
socialisti.
Il giovane artista resta
impressionato della scena
cruenta, e a distanza di sette
anni dai fatti, dipinge la tela
secondo i dettami futuristi.
Un concitato movimento
della folla in fuga, sotto la
minaccia delle armi delle forze
dell’ordine.
I cavalli e le lance dei lancieri
I funerali dell’anarchico Galli, Carlo Carrà,
1911, olio su tela, 198,7x259,1 cm, Museum of si moltiplicano a destra e a
Modern Art, New York sinistra, la folla è disposta tra i
due schieramenti. I fendenti
delle armi dei soldati sono
rappresentati mediante tratti
raggiati.
I colori sono cupi, le forme
aguzze, un sole infuocato
genera un insieme di ombre
tagliate da lame di luce.
Il quadro nasce dal ricordo e
da una serie di disegni che
l’artista fa subito dopo
l’avvenimento.
Ed è sempre il ricordo che gli
I funerali dell’anarchico Galli, Carlo Carrà, 1911, fa scrivere nel Manifesto
olio su tela, 198,7x259,1 cm, Museum of Modern tecnico della pittura futurista
Art, New York
la frase: “Noi metteremo lo
spettatore al centro del
quadro”.
Simultaneità: donna al balcone,
Carlo Carrà, 1912, olio su tela,
147x133 cm Collezione privata,
Milano
Simultaneità: donna al
balcone
Due glutei femminili e un
ripetuto arcuarsi della schiena
di una donna al balcone nel
dipinto cubo-futurista.
I motivi futuristi si sommano alla
scomposizione per piani dei
volumi di un paesaggio cittadino
ricomposto in solide masse
geometriche.
Le case sembrano rovesciarsi
all’interno della tela e l’inferriata
del balcone sta davanti, di fianco
e di dietro alla donna.
Simultaneità: donna al balcone, Carlo Carrà,
1912, olio su tela, 147x133 cm Collezione
privata, Milano
La musa metafisica
Carrà vuole dare dignità poetica
alle cose e alle situazioni ordinarie,
isolandole e riunendole in modo
non omogeneo e in un contesto
inconsueto.

La musa metafisica, Carlo Carrà, 1917,


olio su tela, 90x66 cm, Pinacoteca di
Brera, Milano
In un interno angusto,
rappresentato prospetticamente,
una piramide tronca a base
poligonale, variamente colorata,
si trova nella posizione più lontana,
verso la parete di fondo.
Una tela dipinta è collocata
obliquamente rispetto alle pareti,
un dipinto nel dipinto che
rappresenta un paesaggio.
Una scatola con la carta
geografica dell’Istria, allude ai
campi di battaglia della Prima
guerra mondiale ed un bersaglio
da tiro a segno.
Una presenza inquietante è una
bambola di pezza rappresentante
una tennista dall’enorme testa di
manichino, richiama “Le muse
inquietanti” di De Chirico.
Monocromia nella tennista e
nell’ambiente che è interrotta
solo dalla vivacità dei colori
della piramide e della carta
geografica.
La maestosità delle forme
richiama la tradizione
figurativa italiana, quella di
Giotto.
Madre e figlio
È una tela su cui Carrà ha lavorato
molto, modificandola più volte fino ad
ottenere il risultato desiderato, e la
superficie pittorica ne porta tutt’ora i
segni.
Inizialmente pensata con la sola
presenza del manichino di destra,
la madre, circondata di sfere e pesi,
si è trasformata, infine, nel dipinto
che è oggi.

Madre e figlio, Carlo Carrà, 1917, olio


su tela, 90x59,5cm, Pinacoteca di
Brera , Milano
Una stanza con una prospettiva
irregolare, in quanto esistono
più punti di fuga
Sul muro di fondo a destra, una porta
buia, indica un altrove; al centro un
muro obliquo con una riga
graduata.
A sinistra un grande libro dietro il
quale si diparte un lungo tubo.
In posizione centrale e avanzata si
trova il figlio, un manichino da sarto
con un completo “alla marinara”,
fissato su un basamento cilindrico e
raffigurato frontalmente.
Alla sua sinistra la madre, un busto
di manichino con una doppia base,
parallelepipedea e cilindrica, tenuto in
equilibrio da un telaio metallico.
Madre e figlio, Carlo Carrà, 1917, olio
su tela, 90x59,5cm, Pinacoteca di
Brera , Milano
Il busto carenato della madre è
formato da elementi metallici colorati
assemblati, la testa è rosata.
A terra, in sequenza, sono allineati un
grande dado con le pareti inflesse,
un rullo da tipografo, un pallone da
mare.
Contrariamente ai dipinti metafisici di
De Chirico, in quelli di Carrà non è
tanto l’attesa a determinare l’enigma
e l’impressione di un evento che sta
per accadere, quanto la
sospensione del gesto che aspetta
solo di riprendere vita.
Madre e figlio, Carlo Carrà, 1917, olio
su tela, 90x59,5cm, Pinacoteca di
Brera , Milano
Manichini antropomorfi ambientati
in angusti interni, popolati da rigorosi
volumi geometrici, dove l’artista
propone il congelamento di ogni
segno di vita e di ogni gesto.

Madre e figlio, Carlo Carrà, 1917, olio


su tela, 90x59,5cm, Pinacoteca di
Brera , Milano
Le figlie di Loth
Tema che Carrà riprenderà
nell’acquaforte del 1924 e nella
litografia del 1961, senza
rinunciare ai dettami della pittura
metafisica.
Il tema è ripreso dal libro della
Genesi, in cui si narra che dopo la
distruzione delle città di Sodoma e
Gomorra, le figlie del patriarca
Loth, che hanno perso la madre,
giacciono con il padre, stordito dal
vino, per generare dei figli.

Le figlie di Loth, Carlo Carrà, 1919, olio


su tela, 110x80 cm, Mart, Rovereto
Il tema scabroso è trasformato da
Carrà nell’esaltazione della vita,
con sicuro riferimento all’eccidio
avvenuto nella Prima guerra
mondiale.
La fanciulla gravida è sull’uscio di
casa, l’altra, sulla destra è
inginocchiata e le tende la mano
destra.
Carrà si rifà allo schema
dell’Annunciazione.
Lo spazio è costruito
prospetticamente.

Le figlie di Loth, Carlo Carrà, 1919, olio


su tela, 110x80 cm, Mart, Rovereto
La prospettiva, non rigorosa,
presenta numerosi punti di fuga,
richiamando quella trecentesca.

Le figlie di Loth, Carlo Carrà, 1919, olio


su tela, 110x80 cm, Mart, Rovereto
A sinistra la casa di scorcio, a
destra un piedistallo sormontato
da una pigna.
I colori, la gestualità ed il
paesaggio brullo illuminato da un
cielo screziato di nubi è di chiara
ascendenza giottesca; mentre le
mani con le lunghe dita delle
ragazze e il cane dal corpo
slanciato, è un richiamo al Gotico
Internazionale.
Le linee prospettiche del
pavimento e il bastone in primo
piano, disposto diagonalmente,
contribuiscono alla resa spaziale.
Le figlie di Loth, Carlo Carrà, 1919, olio
su tela, 110x80 cm, Mart, Rovereto
Acquaforte
tecnica calcografica che consiste nel corrodere una lastra di metallo (zinco
o rame) con un acido, per ricavarne immagini da trasporre su un supporto di
carta per mezzo di colori.
La lastra viene:
•  ripulita con carta smeriglio
•  sgrassata con ovatta intrisa con carbonato di calcio sciolto in acqua
•  cosparsa con un coprente, asfalto, gomma, mastice
•  affumicata con un mazzo di candele
•  si incide il disegno con una punta sottile, mettendo a nudo il metallo in
corrispondenza dei segni
•  s'immerge la lastra in acido, dopo averne cosparso di coprente la faccia
posteriore, inizia così la morsura, l'acido incide il metallo solo dove non è
protetto.
•  si lava la lastra con benzina od acquaragia, la si asciuga e la si tiene come
matrice del disegno da replicare.
•  la stampa avviene al torchio calcografico su carte poco collate e inumidite,
cospargendo di inchiostro grasso la lastra e scaldandola per favorire la
penetrazione della tinta nei solchi e la sua cessione alla carta, previa pulitura
delle parti che dovranno risultare bianche sul foglio stampato.
Litografia
La matrice è fatta di pietra calcarea:
•  viene levigata con pomice o sabbia
•  disegnata con una matita grassa o con inchiostro litografico che è grasso,
si spennella la lastra con un liquido a base di acido nitrico, gomma
arabica acidificata e acqua, l'acido nitrico trasforma tutte le parti non protette
dall'inchiostro litografico, trasformando il carbonato di calcio in nitrato di
calcio, sostanza idrofila.
•  la stampa avviene dopo 24 ore dalla preparazione, mediante il torchio
litografico, la matrice disegnata viene bagnata e poi inchiostrata con un rullo
di caucciù.
•  l’inchiostro sulla pietra così trattata è respinto dalle parti inumidite e
trattenuto dalle parti grasse
•  Al torchio, il foglio di carta riceve solo l’inchiostro che si deposita sulle parti
disegnate e non sulle altre.
Il pino sul mare
Si esprime attraverso il senso
metafisico di calma,
sospensione e di attesa.
Il dipinto è ispirato da un
soggiorno in Liguria.
La solidità dei volumi richiama
i dipinti di Giotto, l’ambiente
naturale è rappresentato in
modo ordinato, non c’è
presenza umana, anche se è
suggerita dalla presenza
dell’abitazione a sinistra e
dall’antro roccioso in fondo,
Il pino sul mare, Carlo Carrà, 1921, olio su lambito dal mare quasi
tela, 68x52,5 cm, collezione privata immobile.
Altro elemento che suggerisce
l’esistenza di esseri umani è un
cavalletto su cui è steso un
panno ad asciugare e che si
trova in prossimità di un pino
dal tronco curvo e da una
esigua chioma.

Il pino sul mare, Carlo Carrà, 1921, olio su


tela, 68x52,5 cm, collezione privata
Donna al mare, Carlo Carrà, 1931, olio su tela, 71x95 cm, Museo Revoltella, Trieste
Donna al mare
I dipinti che Carrà esegue tra il
1930 e il 1966 esprimono
meglio il legame con il passato
pittorico dell’Italia medioevale
e quattrocentesca.
Una giovane donna seduta
sulla spiaggia è appoggiata
Donna al mare, Carlo Carrà, 1931, olio su con la mano destra sulla
tela, 71x95 cm, Museo Revoltella, Trieste sabbia e volge la testa verso il
mare mosso dalle onde alte e
increspate.
Il cielo è dello stesso azzurro
cupo del mare.
Due barche sono in secco
sulla spiaggia, in lontananza
una a vela è in balia delle
onde.
La donna ha la camicetta
bianca sotto l’ascella destra
così da scoprirne il seno.
La monumentalità del corpo
Donna al mare, Carlo Carrà, 1931, olio su femminile richiama la pittura
tela, 71x95 cm, Museo Revoltella, Trieste di Giotto che qui si amalgama
ancora con la tematica
metafisica dell’attesa.
Carrà ha diviso la tela in due parti orizzontalmente, nella metà
superiore c’è il mare e il cielo dai toni freddi, nella parte inferiore
la spiaggia dai toni caldi. Il corpo della donna segue una delle
diagonali della tela.

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