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“Verso i cieli”: parole, suoni e musica dall’Inferno al

Paradiso
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14 giugno 2021

di Maria Antonietta Epifani

Il viaggio di Dante «ai regni dell’eternità, transito all’immutabile perfezione dell’eterno»


(Ossola 2011: XV) inizia nelle mostruosità “stonate” dell’Inferno, sale la montagna del
Purgatorio e giunge alla beatitudine del Paradiso. È un percorso purificatorio che procede
dal basso verso l’alto, dall’imperfezione alla perfezione, dal dolore alla gioia, dal buio alla
luce, dalla fissità al movimento, dalla disarmonia all’armonia.

Per me si va ne la città dolente

Dante, prima di intraprendere il viaggio, si trova in una selva oscura, regno dell’assenza della
luce di Dio, dell’eterno castigo e del caos, là dove 'l sol tace (I, 60) che trova una
corrispondenza nel linguaggio musicale in suoni aspri, disgraziati, impietosi, volgari, in strida.
Il primo impatto del Sommo, superata la porta dell’Inferno, è di tipo acustico; vi è, in pochi
versi, una concentrazione fortissima di parole legate al campo semantico del “sonoro”:
sospiri, pianti, guai, risonavan, lingue, favelle, parola, accenti, voci, alte, fioche, tumulto,
suon, spira (III, 22-30): sostantivi, verbi e aggettivi messi insieme con un evidente intento
stilistico. I “suoni” delle voci disumane del dolore.

Il paesaggio sonoro infonde in Dante paura e sbigottimento, pietà e sofferenza, emozioni che
contrassegnano l’intero percorso di conoscenza del male. Potremmo affermare che la prima
cantica è il regno della “non musica”, in cui le presenze relative al suono sono definite «anti-
musicali, extra-musicali, infra-musicali» (Sanguineti 1986:207) e la dannazione si
materializza in rumore, in una terribile esperienza dei sensi segnata dall’eco ricorrente di
suoni snaturati, perversi e storpiati, come il ringhio di Minosse spaventoso e minaccioso (V,
4-12) che anticipa le dolenti note che colpiscono le orecchie del Poeta (V, 25-27) e la bufera
infernal, vorticosa e impetuosa (V, 31-32); le gru che van cantando i lor lai, somiglianti al
lamento dei lussuriosi (V, 46) e le grida inquietanti delle Arpie, io sentia d’ogne parte trarre
guai/e non vedea persona che ‘l facesse (XIII, 22 - 24), come quelle dolorose e sinistre nella
selva dei suicidi e «il sangue vocale di Pier delle Vigne» (Sermonti 2017: 82); gli
scialacquatori inseguiti dalle cagne (XIII,109 -114) e il corteo degl'indovini che procedono
tacendo e lagrimando (XX, 8-9), e infine, le ombre dolenti immerse nella Caina mettendo i
denti in nota di cicogna (XXXII, 36).

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All’interno della Cantica è presente una narrazione di diversi scenari sonori. Le risonanze del
Basso Inferno non sono uguali a quelle dell’Alto Inferno, così come le singole bolge in cui
alle dissonanze urlate della parte alta si contrappongono quelle represse e straziate della
parte bassa. I dannati generano in maniera confusa e disarmonica una molteplicità timbrico-
sonora, una sorta di “perversione” musicale «in alcuni casi, ritmica, che non arriva mai, però,
ad acquisire uno statuto musicale. L’intero percorso infernale è marcato da continui
riferimenti sonori» (Cappuccio 2009: 125), mostrandosi organizzato «sotto il simbolo e le
leggi della musica» (Monterosso 1970).

E quindi uscimmo a riveder le stelle

La descrizione dell’alba che apre il II canto del Purgatorio, Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto
(II,1) introduce l’ordine temporale e la luce, assenti nell’Inferno, spazio in cui l’aura è sanza
tempo tinta (If., III, 29).

Questa cantica presenta un alto numero di riferimenti sonori e, al suo interno, comprende un
variegato messaggio musicale (Marti 1967: 69; Russo 1971: 242). Luce, tempo e musica,
disegnano la nuova geografia che Dante si appresta a conoscere. Con la comparsa di
Casella che intona la dolcissima canzone Amor che nella mente mi ragiona, preceduta
dall’ascolto del Salmo 113 (In exitu Israel de Aegytpo che le anime stando ancora sul
vascello cantavan tutti insieme ad una voce, unite in una preghiera comunitaria rivolta
all’espiazione), la musica entra nel Purgatorio – regno della purificazione dei peccati – e ci
allontana dal caos cacofonico dell’Inferno. L’anti-musica infernale cede il posto all’armonico
coro di più di cento spirti (II, 45). Superato il tragico congegno della dannazione, si entra nel
respiro fiducioso della salvazione.

In base alle tre zone in cui ci soffermiamo, appaiono le differenze: la musica


dell’antipurgatorio è diversa da quella delle sette cornici purgatoriali, che è, a sua volta,
diversa dalle presenze musicali del paradiso terrestre. Giunti alla sommità del monte, si
realizza il conseguimento della emendatio animae e i canti vanno collocati all’interno di un
processo di purificazione che li guiderà sulla via della salvezza. Il canto nel Purgatorio, oltre
che strumento di penitenza, rappresenta «il mezzo attraverso il quale si forma e si esprime
[…] un’identità collettiva di salvati» (Schneider 2010:15).

Assente nell’Inferno, la preghiera individuale e corale acquista, in questa cantica, una grande
importanza. Mentre i golosi, piangendo, intonano con devozione il Miserere a verso a verso,
nel VII, i principi negligenti cantano Salve Regina, orazione penitenziale vespertina e, a
un’anima che si alza e leva le mani giunte al cielo, uscìo di bocca e con sì dolci note il Te
lucis ante, inno di compieta (VIII,1-15). Dante ne è colpito (fece a me uscir di mente) e prima
di entrare nel purgatorio vero e proprio, ode il Te Deum. Ancora suoni, dall’Ecce ancilla Dei
(X, 44) al Beati pauperes spiritu (XII,110), all’Agnus Dei (XVI,19) e, intanto che la montagna
è scossa da un terremoto, giunge l’inno angelico Gloria (XX,136-140). Man mano che si
sale, tutto diviene più intenso Labïa mëa, Domine (XXIII,11), Summae Deus clementiae
(XXV,121-122), Beati mundo corde, la sesta beatitudine evangelica, e Venite, benedicti

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Patris (XXVII, 8 e 58) cui segue nel XXIX l’Osanna, intonato da angeli, santi e figure
simboliche. Giungiamo così ai versi in cui è descritto l’approssimarsi “danzato” di una donna
che canta. Dante non riconosce né il testo né la melodia e le chiede di avvicinarsi per
intender che tu canti: è Matelda che risponde alla richiesta del poeta; si avvicina, rende
chiare le parole della sua intonazione monodica, del dolce suono, e riferendosi al salmo
Delectasti, fa conoscere la sua letizia per intonare successivamente il Beati quorum tecta
sunt peccata (XXIX, 1 e 3), cantando come donna innamorata. Infine, nell’Eden, risuona la
salmodia di un coro formato da sette donne (personificazione delle virtù cardinali e teologali):
è il salmo 78, Deus venerunt gentes (XXXIII,1-3), il lamento per la distruzione del tempio in
Gerusalemme.

Dante può ora salire ancora più in alto, rifatto sì come piante novelle/rinnovellate di novella
fronda (XXXIII,143-144) e potrà ascoltare il suono della machina coeli, della rotazione delle
sfere celesti di cui ci parla Boezio.

Puro e disposto a salire alle stelle

Spesso Dante, «trasportando le parole dall’un senso all’altro» (Bonaventura 1904:54), usa
termini che includono un’idea di suono per designare un’idea di luce: troviamo, per esempio,
sol tace per indicare l’oscurità o ancora loco d’ogni luce muto, frasi che mettono insieme
corrispondenze tra i sensi della vista e dell’udito. Questa armonia di luce è una caratteristica
dell’ultima cantica (dove la musica rinvia proprio alla luce ed al movimento essendo il
riverbero del concerto cosmico) e spesso «assume connotati evocativi e retorici ed entra
nella costruzione della grande rappresentazione allegorica dell’armonia celeste» (Cappuccio
2008:151).

L’inizio del Paradiso ci rimanda una visione abbagliante, la gloria di colui che tutto move, una
luce che per l’universo penetra e risplende fino ad attraversare, in una parte più meno
altrove, interamente il mondo. Dopo l’ascesa alla sfera di fuoco, il Nostro percepisce la
novità del suono e ‘l grande lume (I,82), «l’universo sonoro è decontaminato da qualsiasi
gravezza, si è alleggerito per potersi trasfigurare in una musica mai udita, una musica che
varca i perimetri del sensibile per farsi principio di armonia» (Epifani 2021: 231) concetto
della musica, questo, che rimanda alla tradizione pitagorica per giungere fino a Boezio.
Dante non riesce più a comprendere esattamente le evoluzioni musicali del regno dei beati e
la qualità del canto cambia perché si crea la dolce sinfonia di paradiso (XXI, 59) del Dio
“musicista”.

Melodia e lumi per la circulata melodia, impronta sonora dell’armonia delle sfere intonata
dagli angeli che facean sonare il nome di Maria (XXIII, 111), mentre nel successivo canto
Pietro, cantando e girandogli tre volte intorno, benedice Dante (XXIV, 151-154). Un continuo
flusso musicale investe i versi successivi: le corone danzanti dei beati intonano il salmo
Sperent in te (XXV, 97 – 99) e l’arcangelo Gabriele canta l’Ave Maria (XXXII, 95). Questi
riferimenti sono solo esempi fra i tanti che attestano l’importanza che Dante accorda alla
musica nella Divina Commedia, musica in quanto suono e propagazione del moto

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dell’universo, da intendersi quest’ultimo «come anelito a raggiungere il porto per lo gran mar
dell’essere (I, 113), a conseguire il fine ultimo dell’esistenza: compito supremo che è gioia,
che provoca gioia e che quindi si estrinseca nella più immateriale delle sensazioni, la
musica» (Monterosso 2005: 495).

Nel Paradiso, la musica si manifesta come harmonia, è contemplazione e il linguaggio


umano mostra palesemente la sua inadeguatezza a narrare l’inesprimibile. L’unico strumento
possibile è il silenzio. Dante, ch'al fine di tutt'i disii/appropinquava (XXXIII, 46-47), pronto alla
contemplazione verticale, conclude il suo viaggio e già volgeva il mio disio e ‘l velle, /sì come
rota ch’ igualmente è mossa, /l’amor che move il sole e l’altre stelle (XXXIII, 143– 145).

Suggerimenti di lettura

All’interno della vasta bibliografia dantesca si assiste allo sviluppo di un filone di studi volti a
rilevare l’importanza della musica nell’opera di Dante e particolarmente nella Divina
Commedia. Si indicano i contributi presenti nella nota 42 del mio saggio Carmelo Bene. La
Lectura Dantis in ricordo delle vittime della strage alla Stazione di Bologna, in Idomeneo
"Studi danteschi in Terra d'Otranto", Lecce, Università del Salento, 2021, 31, pp. 230-231. Le
citazioni dantesche sono tratte per l’Inferno da L. Pietrobono (a cura di), La Divina
Commedia, Torino, SEI, 1961, per il Purgatorio da V. Sermonti, Il Purgatorio di Dante,
Milano, Rizzoli, 1994 e per il Paradiso da V. Sermonti, Il Paradiso di Dante, Milano, Rizzoli,
1994.

Nel testo sono citati C. Rossi, Suoni, Musica, Armonia: riflessioni sull’intelaiatura melodica
della Commedia, in Theory and Criticism of Literature and Arts, Vol. 1, No. 1, 2017, pp. 126-
183; V. Sermonti, L’ombra di Dante, Milano, Garzanti, 2017; C. M. Ossola (a cura di),
Commedia, Classici Treccani. I grandi autori della letteratura italiana, Roma, 2011; F.
Schneider, Ancora su “Dante musicus”: musica e dramma nella Commedia, in Studi
Medievali e Moderni, XIV, II, 2010, pp. 5-24; C. Cappuccio, Aure musicali in Dante,
«Cuadernos de filología Italiana», XVI, 19, Servicio de Publicaciones de la Universidad
Complutense de Madrid, 2009, pp. 109-136; ID, Strutture musicali del cielo del Sole: Dante e
Beatrice al centro della danza dei beati, «Tenzone. Cuadernos de Filología Italiana», 9,
2008, pp.147-178; V. Russo, Il canto II del Purgatorio, in Esperienze e / di letture dantesche,
Napoli, Liguori, 1971; R. Monterosso, Enciclopedia Dantesca in https://www.treccani.it/,
1970; M. Marti, Il canto II del Purgatorio, in Lectura Dantis Scaligera, Firenze, Le Monnier,
1967; E. Sanguineti, Canzone sacra, canzone profana, in La musica nel tempo di Dante, Atti
del congresso internazionale di studi, Ravenna, 12-14 settembre 1986, a cura di L.
Pestalozza, Milano, Unicopli, 1986, pp-206-221; A. Bonaventura, Dante e la musica, Livorno,
Giusti editore, 1904.

Immagine: Dante e Beatrice

Crediti immagine: Biblioteca Nazionale Marciana, Public domain, via Wikimedia Commons

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