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Il modello di cortesia di Brown e Levinson

Penelope Brown e Stephen Levinson, basandosi sullo studio di tre lingue (inglese, tzeltal e tamil), hanno
utilizzato in due riprese la categoria goffmaniana di “faccia” ritraducendola in una categoria da loro
assunta come fondamentale, la cortesia. Il modello da loro proposto rappresenta uno dei più fortunati
della pragmatica recente. Secondo gli autori, i fenomeni della cortesia sono riconducibili a schemi
universalmente validi e applicabili a culture lontanissime tra loro. Nell’interazione preserviamo la faccia,
costruiamo la faccia, perdiamo la faccia, minacciamo la faccia di un altro. La faccia è l’immagine pubblica
che ciascuno di noi vuole sostenere. Due sono i tipi di esigenze (face-wants) che ad essa afferiscono:
l’esigenza di essere apprezzato ed approvato dagli altri e l’esigenza di essere libero da impedimenti e da
ostacoli. Due sono le componenti della faccia: la faccia positiva e la faccia negativa.

Ed è interesse dei partecipanti all’interazione rispettare i reciproci face-wants. Ci sono atti che
intrinsecamente rappresentano potenziali minacce per la faccia sia positiva sia negativa: sono gli atti
minaccianti della faccia, i face-threatening acts (i FTA). L’atto linguistico “richiesta” minaccia tipicamente
la faccia positiva dell’interlocutore perché implica una sua possibile acquiescenza (arrendevolezza); e
miaccia anche e soprattutto la faccia negativa dell’interlocutore, perché rappresenta una potenziale
invasione del suo territorio. Un parlante che intende compiere un atto minacciante deve scegliere se
compiere l’atto in modo diretto e chiaro (on record) o in modo indiretto e perciò ambiguo (off record)
(guarda schemi p.118-120). Nel secondo caso, vi sono diverse strategie impiegabili per limitare il
possibile danno interazionale. I tre fattori che secondo Brown e Levinson determinano la scelta della
strategia atta a mitigare un atto minacciante della faccia sono: la distanza sociale tra il parlante e
l’ascoltatore, il potere del parlante sull’ascoltatore, il grado intrinseco dell’imposizione contenuta
nell’atto nella cultura in questione.

Modello del 1978, ripreso in un lavoro del 1987.

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