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REAZIONI [14]
Si definisce reazione chimica la trasformazione di alcune sostanze, dette reagenti, in
altri composti, detti prodotti, attraverso la rottura o la formazione di legami chimici. La
formazione e la trasformazione di strutture molecolari comporta uno scambio di calore
con l’ambiente esterno.
Le reazioni chimiche si possono classificare in base a vari criteri:
• reazioni omogenee ed eterogenee, dipendentemente dal fatto che tutti i reagenti, i
prodotti e l’eventuale catalizzatore siano nella medesima fase o in fasi diverse; le
reazioni omogenee possono essere in fase liquida o gassosa.
• reazioni catalitiche e non catalitiche. Nelle prime, per aumentare la cinetica della
reazione di interesse, viene aggiunto un prodotto, detto catalizzatore; il catalizzatore
favorisce la reazione senza prendervi parte direttamente e rimane inalterato nel
corso del processo.
• reazioni endotermiche ed esotermiche, a seconda della tonalità termica della
reazione (il cosiddetto ∆H di reazione); nelle reazioni esotermiche si sviluppa calore,
in quelle endotermiche viene sottratto calore.
Inoltre, le reazioni chimiche possono essere realizzate operando in discontinuo o in
continuo.
Conversione
In una generica reazione: α A + β B → ρ R + σ S difficilmente i reagenti sono tutti
presenti esattamente nei rapporti stechiometrici, mentre, più frequentemente, ve ne
sarà uno, detto limitante, presente in quantità leggermente inferiore, cosicché la
reazione si arresterà quando questo si sarà consumato.
Ponendo pari ad 1 il coefficiente stechiometrico di questo reagente (che ipotizzeremo
essere il composto A) la reazione precedente si può scrivere nella forma:
β ρ σ
A+ B→ R+ S
α α α
Si definisce quindi la conversione, o grado di avanzamento della reazione, come la
frazione delle moli del componente A che ha reagito. Nota la conversione ed il numero
di moli iniziali dei componenti, ovvero la composizione dell’alimentazione, è possibile
calcolare la composizione del sistema:
a = a0 (1-x)
b = b0 – a0 (β/α)(1-x)
r = r0 + a0 (ρ/α)x
s = s0 + a0 (σ/α)x
dove
x = conversione
a0, b0, r0, s0 = moli di A, B, R ed S presenti inizialmente (reattore discontinuo)
moli di A, B, R ed S nell’alimentazione (reattore continuo)
a, b, r, s = moli di A, B, R ed S presenti ad un dato istante (reattore
discontinuo)
moli uscenti dal reattore (reattore continuo)
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Il massimo grado di conversione ottenibile è quello che corrisponde all’equilibrio;
tuttavia, il perfetto raggiungimento dell’equilibrio è teoricamente possibile solo in tempi
infiniti. Si pone quindi in molti casi il problema pratico se sia più conveniente adottare
tempi di reazioni ridotti, con il beneficio di utilizzare reattori di piccole dimensioni ma lo
svantaggio di una conversione modesta, oppure aumentare il tempo di reazione,
ottenendo conversioni maggiori ma a scapito di maggiori dimensioni del reattore.
Velocità di reazione
La velocità di reazione può essere definita come la quantità di un certo componente che
reagisce per unità di tempo e per unità di volume del reattore.
Se il volume del reattore è costante si può scrivere:
dC A
rA =
dt
dove
rA = velocità di reazione del componente A
CA = concentrazione del componente A
t = tempo
La velocità di reazione di ogni componente è funzione della concentrazione, della
temperatura, della pressione e, in alcuni casi, di altre variabili (diffusività di reagenti e
prodotti, proprietà del catalizzatore, ecc.).
Per una reazione semplice, considerata irreversibile: A + B → R + S la velocità di
reazione del reagente A è proporzionale alla concentrazione di tutti i reagenti:
− r A = kC Aa C Bb
dove
k = costante cinetica
Nell’espressione compare il segno negativo poiché il reagente viene consumato durante
la reazione.
La costante di reazione è funzione della temperatura attraverso un’espressione, detta di
Arrhenius:
⎛ E ⎞
k = A ⋅ exp⎜ − ⎟
⎝ RT ⎠
dove
A = fattore di frequenza (o pre-esponenziale)
E = energia di attivazione
R = costante dei gas perfetti, pari a 8.314 (J/moli K)
T = temperatura assoluta (K)
Si definisce anche un ordine di reazione che è dato dalla somma degli esponenti delle
concentrazioni nell’espressione della velocità di reazione (nel caso di cui all’esempio
precedente è pari ad a+b).
Nelle reazioni reversibili la conversione è incompleta e diventa importante anche la
reazione inversa:
kF
A + B←⎯⎯⎯
⎯→
⎯⎯ R + S
kR
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− r A = k F C A C B −k R C R C S
dove
kF = costante della reazione diretta
kR = costante della reazione inversa
Per un sistema reagente ideale, all’equilibrio si ha:
C R CS k F
= =K
C AC B k R
dove
K = costante di equilibrio
Catalisi
La catalisi è il processo chimico in cui le velocità di reazione sono influenzate da altri
prodotti, detti catalizzatori. Fondamentalmente si considera che il catalizzatore formi un
composto intermedio con qualcuno dei reagenti: questo composto intermedio
interagisce quindi con gli altri reagenti formando il prodotto di reazione e ripristinando il
catalizzatore. In pratica il catalizzatore consente alla reazione di procedere più
rapidamente, attraverso un meccanismo che richiede un’energia di attivazione più
bassa di quello della reazione non catalizzata.
La catalisi viene classificata nelle due tipologie della catalisi omogenea ed eterogenea:
nel primo caso il catalizzatore è nella stessa fase (gassosa o liquida) dei reagenti e del
prodotto di reazione; nel secondo il catalizzatore rappresenta una fase distinta dalla
miscela reagente.
In una reazione catalitica il catalizzatore rimane inalterato al termine della reazione, cui
partecipa solo negli stadi intermedi per innalzare la velocità di reazione. Quando la
reazione può procedere secondo più meccanismi, il catalizzatore può essere selettivo
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favorendo un meccanismo rispetto agli altri e quindi, se scelto opportunamente,
aumentando la cinetica della reazione desiderata.
La velocità di una reazione catalitica è generalmente proporzionale alla concentrazione
del catalizzatore. Se il catalizzatore è in fase solida diventa importante anche l’area
superficiale offerta dal catalizzatore (che aumenta al diminuire delle sue dimensioni) e
la concentrazione dei centri attivi sulla superficie.
Se la reazione è reversibile, il catalizzatore agisce sia sulla reazione diretta che su
quella inversa, per cui la concentrazione di equilibrio raggiunta dal sistema è la stessa
che si otterrebbe in assenza del catalizzatore.
In una reazione autocatalitica in cui uno dei prodotti funge da catalizzatore, una piccola
quantità di questo prodotto deve essere presente inizialmente per avviare la reazione.
Un esempio di catalisi omogenea in fase gassosa è l’ossidazione di SO2 a SO3
catalizzata da ossido di azoto nel processo a camere a piombo per l’acido solforico. La
presenza di ossido di azoto accelera il processo di ossidazione, che sarebbe molto
lento, mediante il meccanismo seguente:
2NO + O 2 → 2NO2
SO 2 + NO 2 → SO3 + NO
Esempi di catalisi eterogenea, con catalizzatore solido e reagenti e prodotti in fase
fluida (gas o liquidi) sono le reazione di produzione di numerosi prodotti chimici
inorganici ed organici come l’acido cloridrico, l’acido solforico, l’acido nitrico,
l’ammoniaca e il metanolo, nonché numerose reazioni dell’industria petrolifera quali
quelle di cracking, di alchilazione, isomerizzazione, ecc.
Una reazione catalitica eterogenea, con catalizzatore in fase solida, avviene
generalmente con la successione dei seguenti stadi:
1. diffusione dei reagenti dalla massa della fase fluida alla superficie esterna ed ai pori
del catalizzatore;
2. adsorbimento dei reagenti sulla superficie esterna e su quella dei pori;
3. reazione dei reagenti adsorbiti a dare i prodotti;
4. desorbimento dei prodotti dalla superficie del catalizzatore;
5. diffusione del prodotto dai pori del catalizzatore verso la massa della fase fluida.
I passi non si susseguono esattamente in serie, per cui può risultare complesso
determinare quale sia quello più lento. Questo è lo stadio “controllante”, poiché dalla
sua velocità dipende la velocità della reazione stessa. I fattori più importanti sono:
• la fluidodinamica, ad esempio le velocità della fase fluida;
• le proprietà del catalizzatore, ad esempio le dimensioni delle particelle, la porosità,
la dimensione dei pori, ecc.;
• le diffusività di reagenti e prodotti;
• l’energia di attivazione richiesta per l’adsorbimento dei reagenti ed il desorbimento
del prodotto;
• l’energia di attivazione della reazione superficiale;
• fattori termici, ad esempio la temperatura e le caratteristiche di scambio termico.
Gli stadi diffusivi (1 e 5) sono controllati principalmente dalla fluidodinamica, dalle
proprietà del catalizzatore e dalle diffusività di reagenti e prodotti; l’adsorbimento ed il
desorbimento (stadi 2 e 4) dalle caratteristiche del catalizzatore, dall’energia di
attivazione per l’adsorbimento ed il desorbimento e dai fattori termici; la reazione
superficiale (stadio 3) dalle proprietà del catalizzatore, dall’energia di attivazione della
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reazione superficiale e da fattori termici.
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Effetto della temperatura
Un processo di trasformazione chimica è sempre accompagnato da una cessione o un
assorbimento di calore che influenza non solo la velocità di reazione ma anche la resa
all’equilibrio e la composizione del prodotto. L’equazione di Arrhenius predice che la
velocità di una reazione semplice, come quella espressa attraverso la costante di
reazione, aumenta se la temperatura aumenta. Tuttavia, ad un incremento continuo di
temperatura non sempre corrisponde in un’accelerazione della velocità di reazione, per
la diminuzione della concentrazione dei reagenti, o per un cambiamento del
meccanismo di reazione. Ad esempio, a bassa temperatura, la velocità complessiva
della reazione è controllata dalla cinetica chimica, mentre ad alta temperatura può
risultare controllante la diffusione, che è meno sensibile agli effetti della temperatura
REATTORI [8]
Il reattore costituisce il nucleo centrale di un processo chimico, poiché rappresenta il
luogo in cui avviene la trasformazione delle materie prime nei prodotti.
Il progetto di un reattore chimico deve rispettare i requisiti seguenti:
1. I fattori chimici, ossia la cinetica di reazione. Nella progettazione occorre fare in
modo che nell’apparecchio vi sia un tempo di residenza (o un tempo di riempimento)
sufficiente a far procedere la reazione in esame fino al grado di conversione
richiesto.
2. I fattori relativi al trasferimento di materia. Nel caso di reazioni eterogenee la velocità
di reazione può essere controllata dalla velocità di diffusione delle specie che
reagiscono, piuttosto che dalla cinetica chimica.
3. I fattori relativi al trasferimento di calore, ossia la rimozione o la fornitura dall’esterno
del calore di reazione.
4. I fattori relativi alla sicurezza, ossia il confinamento di reagenti o prodotti pericolosi, il
controllo della reazione e delle condizioni di processo.
La necessità di soddisfare questi fattori, tra loro interconnessi in modo spesso
contraddittorio, rende complessa e difficile la progettazione dei reattori. Tuttavia, in molti
casi, un fattore predomina sugli altri e determina la scelta del tipo di reattore e del
metodo di progetto.
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• Gas-liquido-solido, in cui il solido è normalmente il catalizzatore, come nella
produzione delle ammine utilizzando come catalizzatore una sospensione di platino
su carbone attivo.
• Gas-solido, in cui il solido può prendere parte alla reazione o essere un
catalizzatore. Un esempio in cui il solido è un reagente è la combustione di
combustibili solidi.
• Gas-liquido, in cui il liquido può prendere parte alla reazione o essere un
catalizzatore.
Reattori tubolari
Questi reattori sono generalmente utilizzati per reazioni in fase gassosa, ma sono
anche adatti per alcune reazioni in fase liquida.
Quando è richiesta un’elevata velocità di trasferimento del calore si utilizzano tubi di
piccolo diametro, per aumentare il rapporto tra superficie e volume. Si possono
sistemare parecchi tubi in parallelo, connessi ad un collettore o fissati ad una piastra
tubiera, così come si fa per gli scambiatori a fascio tubiero. Nel caso di reazioni che
hanno luogo a temperatura molto elevata i tubi possono essere posti in un forno.
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tubi, di alcuni centimetri di diametro, a letti impaccati di grande diametro. I reattori a letto
impaccato sono utilizzati per reazioni di gas o gas-liquido. Nei grandi reattori a letto
impaccato lo scambio termico è poco efficiente per cui, quando si richiede una elevata
velocità di trasferimento del calore, occorre prendere in esame i reattori a letto
fluidizzato.
Dispositivi di miscelazione
I reattori in cui viene realizzata una miscelazione dei reagenti, e che quindi si avvicinano
al modello ideale del reattore mescolamento perfetto, sono quelli a tino agitato ed a
letto fluidizzato, mentre la miscelazione è molto ridotta nei reattori tubolari ed a letto
impaccato, che si avvicinano al modello ideale del reattore a mescolamento nullo. Nel
reattore a tino l’agitazione può essere fornita da una girante calettata su un albero
rotante: nei reattori in cui non sono presenti fasi solide si preferiscono giranti radiali,
come le turbine Rushton, mentre se c’è l’esigenza di sospendere particelle solide sono
più indicate giranti assiali, come quelle a pale inclinate. La girante ruota di norma nella
parte bassa del recipiente, e, se è presente una fase gassosa, appena al di sopra
dell’immissione di quest’ultima per suddividere la corrente gassosa in bollicine di piccole
dimensioni che offrano una buona superficie di contatto. Quando la fase gassosa ha
una portata elevata si può fare a meno dell’agitazione meccanica e sfruttare le bolle che
essa forma per garantire un certo mescolamento del liquido.
In presenza di una fase liquida si può ottenere la miscelazione prelevando parte del
liquido con una pompa e reimmettendolo in un punto diverso del reattore.
Nei reattori a letto fluidizzato, l’agitazione è garantita dal movimento delle particelle
solide dovuto al trascinamento del fluido che entra dal basso.
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Nei reattori tubolari ed in quelli a letto impaccato in cui si utilizzano tubi di piccolo
diametro lo scambio termico si ottiene abbastanza facilmente, provvedendo il tubo di
una camicia, realizzando in tal modo l’equivalente di uno scambiatore a doppio tubo, o
inserendo i tubi entro un mantello in cui passa il fluido termico, realizzando in tal modo
l’equivalente di uno scambiatore a fascio tubiero.
Nei reattori a letto impaccato di grande diametro si possono disporre serpentini tra uno
strato di materiale solido ed il successivo, oppure prelevare il prodotto e avviarlo ad uno
scambiatore di calore esterno al reattore.
Metanolo
Il metanolo (CH3OH) è un alcool, liquido in condizioni normali, che bolle a 64.7°C.
Questo prodotto si utilizza direttamente come solvente ed entra nella produzione di
varie sostanze, come il metilterbutiletere (MTBE), la formaldeide, l’acido acetico, metil
ammine, metilesteri, ecc.
Il metanolo può essere ottenuto dalla distillazione di derivati vegetali o per via sintetica.
Il processo ad alta pressione messo a punto dalla BASF nel 1923 lavorava a 250-300
atm e 320-450°C, utilizzando come catalizzatore ossido di cromo e zinco. Date le
pressioni si utilizzavano compressori alternativi, con portate relativamente basse ed una
produzione di circa 450 t al giorno per singolo impianto. A metà degli anni ’60 la ICI
sviluppò un catalizzatore più attivo, a base di rame, zinco e allumina, che presentava
maggiore stabilità e selettività, consentendo di lavorare a pressioni e temperature più
basse (circa 50-100 atm e 210-270°C). Infine, negli anni ’70 la Lurgi sviluppò un
catalizzatore simile, ma in un reattore tubolare. Con questi nuovi processi si usano
compressori centrifughi e si arriva a produrre 2200 t al giorno in un singolo impianto.
Le reazioni di sintesi del metanolo sono:
⎯⎯→
CO + 2H 2 ←⎯⎯ CH 3OH
⎯⎯→
CO2 + 3H 2 ←⎯⎯ CH 3OH + H 2O
Queste reazioni sono esotermiche e comportano una riduzione del numero di moli, per
cui la conversione di equilibrio è favorita da alta pressione e bassa temperatura. La
selettività è superiore al 99%: le impurezze sono costituite da eteri, esteri, aldeidi,
chetoni e alcoli superiori.
Come alimentazione si può utilizzare un qualunque idrocarburo, convertito a gas di
sintesi mediante reazione di “steam reforming” o gassificazione con ossigeno.
⎯⎯→ ⎛ m⎞
steam reforming CnHm + nH2O ←⎯⎯ nCO + ⎜ n + ⎟H2
⎝ 2⎠
n m
gassificazione CnHm + O 2 → nCO + H2
2 2
Circa l’80% della produzione di metanolo deriva da steam reforming del gas naturale.
La reazione è fortemente endotermica ed è favorita da alta temperatura e bassa
pressione. Il reattore (reformer) è essenzialmente un forno in cui viene fornito il calore
richiesto dalla reazione, che avviene all’interno dei tubi, riempiti con un catalizzatore a
base di nichel.
Nel processo di produzione del metanolo a partire da gas naturale, questo viene
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desolforato ed è avviato al reformer insieme a vapor d’acqua. Il gas di sintesi ottenuto
viene raffreddato compresso e avviato al reattore di produzione del metanolo. La
corrente uscente dal reattore viene raffreddata ed è inviata a distillazione, rimuovendo
prima i composti più leggeri e quindi quelli più pesanti. Lo schema del processo è
mostrato nella figura 141.
Figura 141
Ammoniaca [12]
Secondo uno dei possibili processi utilizzati industrialmente, l’ammoniaca, NH3, viene
prodotta a partire da azoto e idrogeno in un reattore catalitico che lavora ad alta
temperatura (400-500°C) e ad alta pressione (circa 300 atm). La reazione è esotermica
e la conversione, che è comunque piuttosto bassa, si abbassa ulteriormente se la
temperatura supera i 520 °C.
Nella configurazioni del reattore di sintesi di tipo Fauser (figura 142) il catalizzatore è
suddiviso in strati adiabatici, e si effettuato un raffreddamento intermedio tra ogni strato
ed il successivo, in modo da mantenere la temperatura più vicina possibile ai valori
ideali. La miscela azoto-idrogeno entra a temperatura di circa 20°C dal bocchello 13, e
si preriscalda fino a 360°C, scambiando calore con il prodotto uscente dal reattore nello
scambiatore di calore 7, e quindi fino a 400°C, risalendo nella zona anulare che
circonda gli strati di catalizzatore, per portarsi all’ingresso del primo strato di
catalizzatore. Nel passaggio attraverso il catalizzatore parte della miscela si converte ad
ammoniaca, con sviluppo di calore, per cui la temperatura si porta intorno a 500°C
all’uscita dal primo strato di catalizzatore: il gas viene quindi a contatto con un
dispositivo di scambio termico, costituito da spirali di acciaio speciale percorse da
acqua pressurizzata, che vaporizzando al loro interno, raffredda la miscela fino a circa
440°C. Seguono altri 5 strati di catalizzatore, tra cui sono interposti analoghi dispositivi
di raffreddamento, di modo che la temperatura segue l’andamento a denti di sega
riportato sulla destra nella figura 142: si nota come l’altezza degli strati di catalizzatori
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aumenti (e l’innalzamento di temperatura diminuisca), man mano che la reazione
procede, dato che la conversione si riduce. La miscela uscente dall’ultimo strato di
catalizzatore si trova ad una temperatura intorno ai 420°C e contiene circa il 20% di
ammoniaca, che va separata dai gas reagenti. Ciò viene effettuato per condensazione
(in presenza di incondensabili): per ridurre la percentuale di vapori di ammoniaca nei
gas in uscita, che vengono ricircolati al reattore, si mantiene elevata la pressione di
condensazione e si riduce la temperatura. La condensazione viene effettuata in
condensatori refrigerati con acqua e con ammoniaca liquida. Data la destinazione della
corrente uscente dal reattore, è quindi possibile ed opportuno effettuare dei recuperi
termici, come viene fatto negli scambiatori di calore 7 ed 8. Nel primo la miscela
uscente dal reattore si raffredda fino a circa 100°C, preriscaldando i reagenti, mentre
nel secondo la sua temperatura viene ridotta fino a 70°C, preriscaldando acqua
demineralizzata, che è inviata al ribollitore 11 per la produzione di vapore. L’acqua
pressurizzata utilizzata per la refrigerazione del reattore lavora in ciclo chiuso: essa
viene prelevata dal mantello del ribollitore 11 mediante la pompa 10 passa nelle spirali
di raffreddamento, in cui viene vaporizzata, e torna al ribollitore, dove condensa,
scambiando calore con l’acqua demineralizzata, proveniente dal preriscaldatore 8, che
vaporizza lato tubi ed esce dal bocchello 15.
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eliminarne gli asfalti. I catalizzatori utilizzati sono delle zeoliti con elevata superficie
attiva e porosità continua ed uniforme. La reazione è del tipo:
C m + n H 2( m + n )+ 2 → C n H 2 n + 2 + C m H 2 m
Essa è endotermica e procede meglio ad alte temperature e basse pressioni. Il
catalizzatore tende a disattivarsi per la progressiva deposizione di coke e va quindi
rigenerato, il che viene realizzato semplicemente bruciando il coke che si è depositato.
Gli attuali processi di cracking catalitico sono del tipo a letto fluidizzato (FCC, Fluid
Catalytic Cracking) e impiegano catalizzatori in polvere con dimensioni di alcune decine
di micron. La rigenerazione viene effettuata in continuo inviando parte del catalizzatore
dal reattore al rigeneratore e di nuovo dal rigeneratore al reattore, come mostra la figura
143. Una parte del calore prodotto durante la combustione del coke nel rigeneratore
serve a compensare la forte endotermicità del cracking, una parte viene recuperata in
serpentini di raffreddamento in cui viene prodotto vapor d’acqua, e la parte rimanente è
dissipata nei fumi. La produzione di coke è normalmente compresa tra il 3 e il 5% della
carica.
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Reforming [2]
Il reforming è il processo più diffuso ed efficace per aumentare il numero di ottano delle
benzine prima della distillazione. Il numero di ottano esprime il potere antidetonante
delle benzine e aumenta con il grado di ramificazione e aromatizzazione degli
idrocarburi. Il processo di reforming aumenta il numero di ottano incrementando il
contenuto di aromatici e prodotti isomerizzati: nel processo di reforming, inoltre, si ha
produzione di idrogeno.
Le principali reazioni di reforming sono quelle di isomerizzazione degli alcani e degli
anelli naftenici (da C5 a C6) seguita dalla deidrogenazione ad aromatici, secondo gli
schemi di figura 144. Il processo risulta nel suo complesso endotermico: si utilizzano
catalizzatori in grado di favorire sia le reazioni di isomerizzazione che quelle di
deidrogenazione, mediante platino e cloro ancorati ad un supporto di allumina.
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• Velocità di produzione del calore
• Volume specifico dei gas che si sviluppano
• Velocità di salita della pressione e valore massimo della pressione
• Temperatura di decomposizione esotermica
• Tempo di induzione adiabatico
Reazioni fuggitive
Reazioni fuggitive (o runaway reactions) è il termine che si adotta per indicare reazioni
esotermiche sfuggite al controllo. Il meccanismo con cui esse si sviluppano è mostrato
in figura 146.
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prodotto da una reazione esotermica, la temperatura del sistema aumenta. Poiché la
velocità di reazione aumenta all’aumentare della temperatura si produce un
meccanismo a spirale, come mostra la figura 146. Inoltre, per effetto dell’aumento della
temperatura si possono sviluppare vapori o prodotti gassosi con aumento della
pressione nel sistema chiuso.
Una reazione esotermica può quindi divenire fuggitiva quando la velocità di produzione
del calore supera la capacità di raffreddamento del sistema.
La velocità di produzione del calore, come visto in precedenza, è proporzionale alla
velocità di reazione, che è funzione esponenziale della temperatura (legge di
Arrhenius). Il flusso di calore associato alla reazione presenterà quindi anch’esso un
andamento esponenziale in funzione della temperatura, come mostra la figura 244.
La velocità di rimozione del calore, è invece proporzionale alla differenza di temperatura
tra reattore e fluido refrigerante: ipotizzando che la temperatura di quest’ultimo sia
costante, il flusso di calore asportato dal reattore presenterà un andamento lineare in
funzione della temperatura. La posizione della retta sul diagramma flusso di calore-
temperatura dipende dal valore della temperatura del mezzo refrigerante, Tm: in figura
147 sono mostrati gli andamenti per tre valori di temperatura del fluido refrigerante
crescenti, Tm1, Tm2 e Tm3.
Ogni intersezione tra la curva di produzione del calore e la retta di rimozione del calore
rappresenta un punto di equilibrio del sistema, in cui i quantitativi di calore prodotto e
sottratto si equivalgono. Nella figura 147 si nota che la retta relativa alla temperatura più
bassa (Tm1) presenta due intersezioni con la curva di produzione del calore, nei punti S1
ed S2. Il punto S1 rappresenta un punto di equilibrio stabile: infatti, se la temperatura
aumenta oltre questo valore, la capacità di refrigerazione è superiore a quella di
produzione di calore del sistema, e quindi tende a riportarla al valore desiderato;
analogamente, se la temperatura diminuisce rispetto al valore di equilibrio, la velocità di
produzione del calore, che supera quella di refrigerazione, tende a riportare la
temperatura al valore di equilibrio. Il punto S2 rappresenta invece un punto di equilibrio
instabile, poiché un aumento od una diminuzione della temperatura rispetto al valore di
equilibrio, tenderebbero a far divergere la temperatura stessa, che nel primo caso
aumenterebbe a dismisura, mentre nel secondo si porterebbe al punto S1 di equilibrio
stabile. Anche il punto S3, in cui la curva di produzione del calore è tangente alla retta di
asportazione del calore per la temperatura intermedia Tm2, rappresenta una condizione
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di equilibrio instabile, poiché, mentre a fronte di una riduzione di temperatura il sistema
tende a riportarsi in condizioni di equilibrio, non è in grado di farlo a fronte di un
aumento di temperatura.
Aumentando la temperatura del fluido refrigerante, si passa quindi da condizioni di
possibile equilibrio stabile (retta relativa alla temperatura Tm1) ad equilibrio instabile
(retta relativa alla temperatura Tm2) o, addirittura, nessun punto di equilibrio (retta
relativa alla temperatura Tm3).
Reazioni secondarie
Le reazioni secondarie sono quelle che portano alla produzione di composti diversi da
quelli per cui il processo è stato pensato. Tra le reazioni secondarie rientrano, ad
esempio, reazioni esotermiche di decomposizione e/o polimerizzazione di prodotti di
reazione e/o del solvente, che spesso coinvolgono una sola sostanza, e che si possono
sviluppare non solo nel corso dei processi produttivi, ma anche durante operazioni quali
distillazione o riscaldamento, come pure in fase di stoccaggio. Lo sviluppo di reazioni
secondarie è stato all’origine di molti incidenti.
In alcuni casi la perdita di controllo di una reazione primaria può portare il sistema ad
una temperatura a cui si sviluppa una reazione secondaria indesiderata che può
risultare critica nei confronti della sicurezza. Una volta che si sia stabilita la possibilità
che si sviluppi una reazione secondaria occorre stimare la temperatura a cui essa si
innesca, per confrontarla con la massima temperatura che può raggiungere il sistema
reagente. Occorre pure tener presente che la reazione secondaria può avviarsi anche a
temperature inferiori a quella di innesco, se questa condizione viene mantenuta per un
certo tempo.
Lo sviluppo di una reazione secondaria rappresenta uno dei maggiori pericoli associati
alla perdita di controllo della reazione primaria, per cui la stima della pericolosità del
processo richiede anche lo studio di reattività e stabilità termica dei composti che vi
prendono parte.
Ossidazioni
Le reazioni di ossidazioni che si considerano qui sono quelle di un composto organico
con O2.
Tra le reazioni di ossidazione di interesse industriale ve ne sono sia in fase vapore:
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etilene→ossido di etilene
propilene→acido acrilico
metanolo→formaldeide
naftalene→anidride ftalica
benzene, buteni→ anidride maleica
che in fase liquida:
acetaldeide→acido acetico
butano→acido acetico e prodotti correlati
cumene→idroperossido di cumene (e quindi fenolo, acetone)
cicloesano→cicloesanone e cicloesanolo (e quindi acido adipico e caprolattame)
toluene→acido benzoico ( e quindi fenolo)
p-xilene→acido tereftalico
Le reazioni sono generalmente esotermiche e spesso molto esotermiche: c’è quindi un
problema di rimozione del calore e di controllo della temperatura. Inoltre, nelle reazioni
di ossidazione, che generalmente non sono limitate dall’equilibrio termodinamico, ci
sono spesso problemi legati alla possibilità che si verifichi una reazione di combustione
completa o reazioni collaterali che portano a prodotti indesiderati. Per evitare tali
reazioni può essere necessario utilizzare un catalizzatore e limitare i livelli di
temperatura.
Le ossidazioni in fase vapore si realizzano in reattori vario tipo, a letto impaccato con
strati di catalizzatore, tubolari ed a letto fluidizzato: le ultime due tipologie si prestano ad
un più agevole raffreddamento quando il quantitativo di calore da asportare è ingente.
Nelle ossidazioni in fase vapore l’alimentazione viene mantenuta al di fuori
dell’intervallo di infiammabilità, a meno che non si ritenga molto improbabile
l’eventualità di un innesco.
Le ossidazioni in fase liquida sono tipicamente realizzate in reattori a tino alla pressione
di 10-50 atm ed a temperature tra 100 e 200°C, facendo gorgogliare l’aria nella parte
bassa del reattore. Un esempio di ossidazione in fase liquida è quella del cicloesano a
cicloesanone e cicloesanolo, utilizzata nell’impianto di Flixborough. Nel processo, che
avviene a 10-25 atm e 140-170°C, per minimizzare le reazioni collaterali si mantiene un
grado di conversione per passaggio basso, dell’ordine di pochi punti percentuali, Ciò
semplifica il problema della rimozione del calore, ma impone l’utilizzo di elevati ricircoli
di cicloesano liquido. Nei processi di ossidazione in fase liquida la linea di ingresso
dell’aria nel reattore può rappresentare una fonte di pericolo, se il liquido proveniente
dal reattore fluisce in questa linea quando il reattore viene fermato: infatti, quando il
reattore viene riavviato viene nuovamente alimentata l’aria e il liquido può incendiarsi.
I tre pericoli principali presenti nelle reazioni di ossidazione, sia in fase vapore che in
fase liquida, sono quelli di fuoriuscita di infiammabili, di innesco all’interno del reattore e
di presenza di sostanze instabili o reattive.
Nelle ossidazioni in fase liquida ci sono grossi quantitativi di prodotto a temperatura
elevata, ed è possibile un innesco se l’ossigeno si concentra nello spazio occupato dal
vapore al di sopra del liquido, per esempio se non viene disperso efficacemente nel
liquido o non reagisce immediatamente. Nelle ossidazioni in fase vapore i quantitativi
dei fluidi di processo sono inferiori, mentre possono persistere problemi se i fluidi
utilizzati per lo scambio termico sono infiammabili. I prodotti dei processi di ossidazione
possono contenere composti instabili, come ossido di etilene o acetaldeide.
I processi di ossidazione che in passato hanno causato i maggiori incidenti sono le
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ossidazioni in fase liquida di cicloesano e cumene e quelle in fase vapore di etilene e
naftalene o o-xilene.
Idrogenazioni
Le reazioni di idrogenazione che si prenderanno in esame sono quelle dei composti
organici con H2 in presenza di un catalizzatore. Esse comprendono le idrogenazioni in
fase vapore, come quella del monossido di carbonio a metanolo, e in fase liquida.
Le condizioni di equilibrio termodinamico comportano una diminuzione della resa
all’aumentare della temperatura, mentre la cinetica aumenta con questa variabile, per
cui la temperatura di reazione viene fissata come compromesso tra le condizioni
favorevoli ad una resa elevata e ad una cinetica elevata. Generalmente la velocità di
reazione raddoppia aumentando la temperatura di 50°C, ma ci sono dei casi in cui ciò si
verifica a fronte di un aumento di soli 10°C. Le reazioni di idrogenazione sono
generalmente esotermiche ed hanno luogo solo sul catalizzatore, la cui temperatura
superficiale può divenire molto alta. Ciò può originare reazioni collaterali indesiderate ed
un deterioramento del catalizzatore. Occorre pure tener presente che gran parte dei
catalizzatori utilizzati nelle reazioni di idrogenazione sono in grado di catalizzare anche
le reazioni di ossidazione.
Le condizioni adottate per le idrogenazioni in fase vapore variano dalla pressione
atmosferica a parecchie centinaia di atm, con temperature tra 100 e 400°C ed il
maggiore pericolo è rappresentato dall’utilizzo di idrogeno in pressione.
Clorurazioni
Le reazioni di clorurazione che saranno prese in esame sono quelle tra composti
organici e Cl2. Alcuni esempi di reazioni industriali di clorurazione sono quella del
metanolo a dare clorometani, che avviene in fase vapore, e quella dell’etilene a dare
etilene dicloro, che avviene in fase liquida.
Le reazioni di clorurazione sono per certi versi simili a quelle di ossidazione: ci possono
essere problemi legati alla reazione di clorurazione completa, per reazioni collaterali e
per formazione di sottoprodotti indesiderati. La reazione è esotermica o molto
esotermica e quindi ci possono essere problemi legati alla rimozione del calore ed al
controllo della temperatura. Nel caso della reazione di sostituzione:
R-H + Cl2 →R-Cl + HCl
Il calore di reazione è circa 24 000 kcal/kmol di cloro.
La reazione in fase vapore tra cloro e idrocarburi paraffinici può divenire molto violenta:
per ovviare a questo problema si può introdurre il cloro in più punti successivi o
utilizzare dei gas di diluizione, come azoto o gas di ricircolo. I reattori in fase vapore
sono spesso recipienti vuoti oppure letti impaccati. Nei reattori in fase liquida si può
procedere inviando sia il cloro che i reagenti organici nel prodotto liquido all’interno di
un reattore a tino.
Anche il cloro, come l’ossigeno, è in grado di formare miscele infiammabili con i
composti organici e si possono misurare dei limiti di infiammabilità. La miscela
alimentata al reattore in fase vapore viene quindi mantenuta al di fuori dei limiti di
infiammabilità.
Nitrazione
Le reazioni di nitrazione che saranno prese in esame sono quelle tra composti organici
ed agenti nitranti, come acido nitrico o acido misto (miscela di acido nitrico con un
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agente disidratante, come, ad esempio, acido solforico). Gli incidenti nei processi di
nitrazioni sono frequenti e molto distruttivi: tipici processi a rischio sono quelli di
fabbricazione della nitroglicerina e del trinitrotoluene (TNT).
I pericoli derivano dall’uso dell’acido nitrico che è un agente nitrante, ma anche
ossidante, corrosivo e pericoloso, che può reagire in modo esplosivo con molti composti
organici. Tanto la nitrazione che l’ossidazione sono fortemente esotermiche e ciò
rappresenta un serio problema dato che le miscele di nitrazione sono spesso molto
sensibili e suscettibili a dar luogo ad esplosioni. Va tenuto presente che il calore
sviluppato non è soltanto quello dovuto alla reazione di nitrazione, ma deve
comprendere anche il calore di diluizione, che in molti casi è confrontabile con quella di
reazione.
In vari reattori di nitrazione si sono verificate esplosioni dovute all’innesco di reazioni
fuggitive, ed in parecchi di questi casi si è riscontrato che la normale temperatura
operativa del reattore era solo 10-50°C inferiore a quella di innesco delle reazioni
fuggitive. Inoltre, alcuni prodotti possono presentare una temperatura di
decomposizione relativamente bassa (100-150°C).
Le nitrazioni vengono realizzate spesso in reattori agitati a funzionamento discontinuo.
Questa tipologia di reattore presenta alcuni rischi caratteristici, come il fatto di caricare
quantitativi non corretti dei reagenti, o introdurli in una sequenza sbagliata, o l’accumulo
di reagenti non mescolati che reagiscono violentemente all’avvio dell’agitatore.
Un altro pericolo nelle reazioni di nitrazione è rappresentato dall’ingresso di acqua,
poiché il calore di diluizione può essere in grado di innescare un’esplosione o qualche
altro fenomeno pericoloso.
Spesso gli impianti di nitrazione producono nello stesso reattore prodotti diversi,
lavorando per campagne di fabbricazione: questa modalità operativa può indurre errori
operativi quando di passa dalla produzione di un prodotto a quella di un altro.
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Il 10 luglio 1976 dal reattore B fuoriesce una nube tossica che il vento propaga
velocemente nel territorio circostante, densamente abitato. Il 14 luglio gli effetti
dell’esposizione alla nube cominciano ad essere avvertiti dalla popolazione, in cui si
segnalano casi di intossicazione, seguiti da ricoveri di emergenza e dalla moria di molti
animali. Il 20 luglio, nei laboratori dello stabilimento della casa madre Givaudan di
Zurigo, si riesce ad identificare la sostanza chimica fuoriuscita con l’incidente: si tratta di
TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina), composto altamente tossico e
cancerogeno. Il 24 luglio si decide di evacuare un’area di quindici ettari, che viene cinta
con reticolati, militarizzata e suddivisa in tre zone a seconda del grado di tossicità
raggiunto. Il giorno successivo, settecento persone vengono sfollate, mentre l’allarme si
estende anche ad altri comuni limitrofi, tra cui Meda, Desio, Nova Milanese, Seregno,
Lentate sul Seveso e Cesano Maderno. Successivamente l’ICMESA viene demolita,
unitamente alle abitazioni della zona A, la più contaminata. Tonnellate di terreno
inquinato vengono inoltre rimosse, nel quadro di un processo di bonifica delle aree
colpite.
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Figura 149 [6]
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