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LJÓÐA EDDA
GRÍMNISMÁL
IL DISCORSO DI GRÍMNIR
► LJÓĐA EDDA
Ljóða Edda. Edda poetica o antica
Vǫluspá. La profezia della Veggente
Hávamál. Il discorso di Hár Schema
Vafþrúðnismál. Il discorso di Vafþrúðnir GRÍMNISMÁL - Saggio
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Skírnismál. Il discorso di Skírnir Note
Hymiskviða.Il carme di Hymir Bibliografia
Baldrs draumar. I sogni di Baldr
Grottasǫngr. La canzone del Grotti
Svipdagsmál. Il discorso di Svipdagr
LJÓÐA EDDA
GRÍMNISMÁL
IL DISCORSO DI GRÍMNIR
Il poema
Struttura ed età del poema
Le redazioni
Genere e metrica
Edizioni italiane
Il poema
Il testo del poema comprende unicamente il monologo di Óðinn, ov vero le parole pronunciate dal dio della sapienza a re
Geirrøðr. Il contesto della vicenda viene chiarito invece da due passi in prosa, un prologo in cui si narrano i fatti per i
quali Geirrøðr era divenuto re e per quali ragioni aveva deciso di torturare così crudelmente il suo ospite Grímnir, e un
brevissimo epilogo nel quale la narrazione si chiude con la morte del re.
Evidenze ling uistiche ci mostrano che le parti in prosa risalgono al XII o XIII secolo. Cioè di due o tre secoli posteriori
al poema stesso, che risalirebbe al X secolo.
I passi in prosa furono presumibilmente scritti dal compilatore medievale del manoscritto della Ljóða Edda, che sentì la
necessità di palesare il contesto del monologo di Óðinn, in questo fornendoci un aiuto inestimabile per l'interpretazione
del testo. È possibile che il monologo facesse parte in origine di una lunga narrazione in cui si alternassero parti
poetiche e in prosa, ma con il decadere dell'età scaldica e con la progressiva perdita del materiale orale tradizionale, si
rese a un certo punto necessario raccontare, a chi non ne avesse familiarità, l'intera vicenda di re Geirrøðr e del suo
misterioso ospite.
Le redazioni
Il Grímnismál ci è per venuto in due redazioni: dal Codex Regius e dal Codex Arnamagnæanus. Entrambe le versioni
sono complete e le variazioni tra l'uno e l'altro testo minime. Si pensa tuttavia che diverse strofe siano state interpolate
da altri poemi e in effetti ci sono dei passi che paiono inseriti casualmente nel testo, talvolta interrompendo il flusso del
discorso. Si ha l'impressione che alcune di queste strofe provengano da una versione del Vafþrúðnismál (è il caso per
esempio della strofa [40]). Ma tutto questo interessa soltanto il filologo e non inficia il valore mitologico né la bellezza
del poema.
Snorri, nella sua Prose Edda, cita circa venti strofe dal Grímnismál e in altri punti della sua opera fa delle attenti
parafrasi di altri passi del poema. Molte strofe non sono però citate integralmente: ad esempio la lista degli epiteti di
Óðinn è riportata da Snorri nella pura sequenza dei nomi, senza le brevi inserzioni esplicative presenti in realtà nel testo
originale (Gylfaginning [20]). Per diverse ragioni si pensa che Snorri disponesse di una versione del Grímnismál più
antica e meno corrotta di quella a noi tramandata.
Il Grímnismál è un poema gnomico-sapienziale. Allo stesso genere appartengono anche il Vafþrúðnismál e la Vǫluspá.
Tuttavia, al contrario degli altri due poemi, che sembrano occuparsi soprattutto del principio e della fine dell'universo, il
Grímnismál si occupa essenzialmente del presente: la sua esposizione rig uarda cose come le dimore degli dèi, i loro
destrieri, il loro cibo, i nomi delle valchirie, i fiumi cosmici, le creature che abitano il frassino Yggdrasill, fino alla lunga
sequela dei nomi di Óðinn. Le spiegazioni sono minime: il Grímnismál è essenzialmente un'esibizione mnemonica.
Buona parte del testo consiste in lunghe liste di nomi propri.
Nel monologo del misterioso ospite, crudelmente torturato da re Geirrøðr, traspare un'immensa sapienza sulle cose
antiche e sacre del mondo. Dal punto di vista narrativo, è vero che il lungo discorso di Grímnir introduce in realtà alla
sua ultima esibizione di sapienza, quella che, attraverso il terribile elenco degli epiteti di Óðinn, arriverà a svelare la vera
identità di colui che il re ha appeso tra due fuochi. Ma vi è anche un sottile monito diretto alle limitazioni dello spirito
umano, alla sua impossibilità di comprendere appieno i segreti del mondo divino: “Molto io ti ho detto | e tu poco
ricordi...” [52]. Così dice Óðinn a re Geirrøðr, prima di predirne l'immediata rovina.
Il metro del Grímnismál è il cosiddetto ljóðaháttr o «metro strofico», che, come abbiamo detto, è legato alla poesia
sentenziosa, ai testi dai contenuti magico-formulari o proverbiali. Nella sua forma canonica il «metro strofico» è formato
da quattro versi, in cui due «lunghi», costituiti ciascuno da due semiversi, si alternano a due versi «pieni», formati di un
solo semiverso. Tuttavia, il Grímnismál presenta, oltre a strofe dal metro regolare, molte varianti delle stesse, spesso
formate da un numero di versi superiore a quattro e senza una regolare successione di «versi lunghi» e «pieni». Questo
allungamento delle strofe è giustificato dal fatto che il testo del Grímnismál è formato essenzialmente di liste di nomi
proprie il cui novero esce dai limiti stabiliti dal metro e, poiché nella poesia nordica sono quasi sempre i distici delle
semistrofe [helming] a mantenere una sorta di unità sintattica, si rende necessario dilatare la semistrofa con l'aggiunta di
versi e semiversi.
In questa pagina, per ragioni grafiche, i due semiversi che compongono i «versi lunghi» sono stati spezzati e disposti
su due righe. Così le strofe risultano organizzate su un numero di righe diverso da quelle originali. Ecco, per confronto,
la versificazione della strofa [3]:
Edizioni italiane
Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, o quelle citate da Snorri e presenti nelle traduzioni della Prose
Edda, la prima traduzione integrale del Grímnismál è quella presente nel libro I canti dell'Edda, a cura di Olga Gogala
di Leesthal, pubblicato nella collana «I grandi scrittori stranieri» dalla UTET (Torino 1939). Intitolata Grimnesmal, è una
traduzione metrica in quartine (o sestine) di endecasillabi alternati a settenari. Sebbene non possa essere considerata una
traduzione letterale, è sorretta da un buon corredo di note.
Seg ue la traduzione di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni, nella collana «Classici della religione», edita
da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Intitolata Grimnismal. Il carme di Grimnir, è in versi liberi, con le coppie di semiversi
«cucite» in versi interi. Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente annotata.
Un'altra traduzione, con il titolo tradotto in Canzone di Grimnir, è quella fornita da Piergiuseppe Scardigli e Marcello
Meli, nell'antologia Il canzoniere eddico, edito da Garzanti (Milano 1982). Di nuovo versi liberi, sebbene i semiversi siano
finalmente evidenziati, presenta un corredo di note ridotto al minimo e non giustifica molte scelte, non sempre felici,
nella traduzione.
LJÓÐA EDDA
GRÍMNISMÁL
IL DISCORSO DI GRÍMNIR
Prologo
Grímnir inizia a parlare (1-3)
Descrizione delle dimore divine (4-17)
La Valhǫll (9-10)
La cucina della Valhǫll (18)
Lupi e cor vi (19-20)
Ancora sulla Valhǫll (21-26)
I fiumi dell'universo (27-29)
I destrieri degli dèi (30)
Il frassino Yggdrasill (31-35)
Le valchirie (36)
Il sole e la luna (37-39)
Il sacrificio di Ymir (40-42)
Le cose migliori (43-44)
I nomi di Óðinn (45-50)
Si rivela Óðinn (51-54)
Epilogo
Note
Prologo
Hrauðungr konungr átti tvá sono; hét annarr Re Hrauðungr aveva due figli: l'uno si chiamava Agnarr,
Agnarr, en annarr Geirrøðr. Agnarr var x. l'altro Geirrøðr. Agnarr era di dieci inverni, Geirrøðr di
vetra, en Geirrøðr viii. vetra. Þeir rero tveir otto inverni. I due remavano in una barca, con lenze per
á báti með dorgar sínar at smáfiski. Vindr piccoli pesci. Il vento li spinse al largo. Nell'oscurità
rak þá í haf út. Í náttmyrkri bruto þeir við della notte toccarono terra; scesero e trovarono una
land ok gengo upp, fundo kotbónda einn. Þar masseria. Là trascorsero l'inverno. La padrona della
vóro þeir um vetrinn. Kerling fóstraði Agnar, masseria si prese cura di Agnarr, il padrone di
en karl Geirrøð. At vári fekk karl þeim skip. Geirrøðr. Giunta la primavera, l'uomo procurò loro un
En er þau kerling leiddo þá til strandar, þá battello. Mentre la donna li g uidava alle spiagge,
mælti karl einmæli við Geirrøð. l'uomo si fermò a parlare da solo con Geirrøðr.
Þeir fengo byr ok kvómo til stǫðva fǫðurs síns. [I due fratelli] ebbero un vento favorevole e raggiunsero
Geirrøðr var fram í skipi; hann hljóp upp á la casa del padre loro. Geirrøðr stava a prua; balzò sulla
land, en hratt út skipino ok mælti: “Farðu riva e spinse via la barca dicendo: “Vattene dove ti piglino
þar er smyl hafi þik!” Skipit rak út, en gli spiriti maligni!” Il battello fu trascinato al largo
Geirrøðr gekk upp til bæjar. Hánom var vel mentre Geirrøðr saliva verso le case. Vi venne ben
fagnat; þá var faðir hans andaðr. Var þá accolto, ché suo padre era morto. Geirrøðr venne fatto re
Geirrøðr til konungs tekinn ok varð maðr e si fece gran fama tra gli uomini.
ágætr.
Frigg sendi eskismey sína, Fullo, til Frigg inviò la sua damigella Fulla da Geirrøðr. Ella invitò
Geirrøðar. Hón bað konung varaz at eigi il re a diffidare di un uomo esperto in incantesimi, giunto
fyrirgerði hánom fjǫllkunnigr maðr, sá er þar nelle sue terre. E aggiunse che aveva un segno
var kominn í land, og sagði þat mark á, at riconoscimento: nessun cane, per quanto aggressivo, gli
engi hundr var svá ólmr at á hann myndi si sarebbe av ventato.
hlaupa.
En þat var inn mesti hégómi at Geirrøðr La calunnia più grande era che Geirrøðr non fosse
væri eigi matgóðr. Ok þó lætr hann handtaka ospitale. Il re fece dunque catturare l'uomo che i cani
þann mann er eigi vildo hundar á ráða. Sá non vollero aggredire. Av volto in un mantello azzurro,
var í feldi blám ok nefndiz Grímnir, ok sagði questi disse di chiamarsi Grímnir e non disse altro,
ekki fleira frá sér, þótt hann væri at spurðr. sebbene venisse duramente interrogato. Il re lo fece
Konungr lét hann pína til sagna ok setja milli torturare affinché parlasse, facendolo sedere tra due
elda tveggja, ok sat hann þar viii. nætr. fuochi e lì egli rimase seduto per otto notti.
Geirrøðr konungr átti son x. vetra gamlan, Re Geirrøðr aveva un figlio di dieci inverni, che si
ok hét Agnarr eptir bróður hans. Agnarr gekk chiamava Agnarr, come suo fratello. Agnarr andò da
at Grímni ok gaf hánom horn fult at drekka, Grímnir e gli porse un corno ricolmo da bere. Disse che
sagði at konungr gørði illa er hann lét pína il re sbagliava a torturare un innocente. Grímnir bev ve.
hann saklausan. Grímnir drakk af. Þá var Le fiamme si erano av vicinate così tanto che il mantello
eldrinn svá kominn at feldrdinn brann af di Grímnir prese fuoco.
Grímni.
Ancora sulla
Valhǫll
21 Þýtr þund, Il Þund rumoreggia,
unir þjóðvitnis nuota di «Þjóðvitnir
fiskr flóði í; il pesce» nell'onda.
árstraumr Il vortice
þikkir ofmikill si mostra periglioso
valglaui at vaða. al g uado della Valhǫll.
Le valchirie
36 Hrist ok Mist Hrist e Mist
vil ek at mér horn beri, voglio che mi portino il corno,
Skeggjǫld ok Skǫgul, Skeggjǫld e Skǫg ul,
Hildi ok Þrúði, Hildi e Þrúði,
Hlǫkk ok Herfjǫtur, Hlǫkk e Herfjǫtur,
Gǫll ok Geirǫlul, Gǫll e Geirǫlul,
Randgríð ok Ráðgríð Randgríð e Ráðgríð
ok Reginleif; e Reginleif,
þær bera einherjom ǫl. agli Einherjar portano birra.
Il sole e la luna
37 Árvakr ok Alsviðr, Ár vakr e Alsviðr,
þeir skolo upp heðan da qui devono trascinare
svangir sól draga; faticosamente il sole;
en und þeira bógóm ma sotto i loro petti
fálo blíð regin nascosero gli dèi
æsir, ísarnkol. Æsir, un riparo di ferro.
Il sacrificio di Ymir
40 Ór Ymis holdi Dalla carne di Ymir
var jǫrð um skǫpuð, fu la terra formata,
en ór sveita sær, dal sang ue i mari,
bjǫrg ór beinom, montagne dalle ossa,
haðmr ór hári, alberi dai capelli
en ór hausi himinn. e dal cranio il cielo.
Le cose migliori
43 Ívalda synir I figli di Ívaldi
gengo í árdaga andarono al principio
skíðblaðni at skapa, a forgiare Skíðblaðnir,
skipa bezt, nave propizia
skírom Frey, per il luminoso Freyr,
nýtom Njarðar bur. il benedetto figlio di Njǫrðr.
I nomi di Óðinn
45 Svipom hefi ek nú ypt Il volto ho innalzato
fyr sigtíva sonom, dinanzi ai figli degli dèi vittoriosi,
við þat skal vilbjǫrg vaka; con ciò si desterà la sospirata salvezza;
ǫllom ásom per tutti gli Æsir,
þat skal inn koma e questo verrà
Ægis bekki á, sulla panca di Ægir,
Ægis drekko at. nella taverna di Ægir.
Si rivela Óðinn
51 Ǫlr ertu, Geirrøðr! Ubriaco sei tu, Geirrøðr!
hefr þú ofdrukkit; Troppo tu hai bevuto.
miklo ertu hnugginn, Di una gran cosa ti sei privato
er þú ert míno gengi, se lo sei del mio aiuto;
ǫllom einherjom e del favore di Óðinn
ok Óðins hylli. di tutti gli Einherjar.
Epilogo
Geirrøðr konungr sat ok hafði sverð um kné Re Geirrøðr sedeva con la spada sulle sue ginocchia,
sér, ok brugðit til miðs. En er hann heyrði at sg uainata a metà. Quando egli udì che era venuto
Óðinn var þar kominn, stóð hann upp ok Óðinn, si alzò con l'intenzione di togliere Óðinn dal
vildi taka Óðin frá eldinom. Sverðit slapp ór centro dei fuochi. La spada gli cadde di mano, l'elsa
hendi hánom, visso hjǫltin niðr. Konungr verso il basso. Il re mise un piede in fallo e cadde in
drap fæti ok steyptiz áfram, en sverðit stóð í avanti, la spada lo trafisse ed egli morì. Óðinn allora
gǫgnom hann, ok fekk hann bana. Óðinn scompar ve. E Agnarr fu re per lungo tempo.
hvarf þá. En Agnarr var þar konungr lengi
síðan.
2 — (g) Difficile è localizzare questa «terra dei Goti» [Gotna lande]. Il Gǫtland è principalmente una regione della Svezia
occidentale, toponimo che presuppone la forma antica Gautar come designazione del popolo che la abitava. Da essi si sarebbero
mossi, intorno al I secolo, genti destinate a formare il popolo germanico orientale dei Goti, distinto in Ostrogoti e Visigoti
(Manganella 1979), a cui il testo potrebbe ancora riferirsi. Senza dimenticare che con «Goti» si intendeva spesso, in maniera
generica, il complesso meridionale dei popoli germanici.
4 — (d) Þrúðheimr «casa della forza» è il nome del territorio celeste posseduto da Þórr. Nella Prose Edda, il suo nome, tuttavia,
è Þrúðvangar «campi della forza» (Gylfaginning [21 | 47] | Skáldskaparmál [25]). Vi sorge la dimora del dio, Bilskírnir,
descritta alla strofa [24].
5 — (d-f) Era usanza degli antichi Scandinavi di fare un dono al bambino quando metteva il suo primo dente, usanza che
sembra si sia conser vata in Islanda fino a tempi molto recenti. Per il suo primo dente, Freyr avrebbe ricevuto in dono l'intero
mondo degli elfi [Álfheimr], dettaglio che non ha riferimenti in altri testi.
6 — (d-f) Valaskjálfr è la reggia di Óðinn. L' áss che la «costruì per sé» all'inizio dei tempi è dunque lo stesso Óðinn.
10 — Perché la formula d'apertura di questa strofa è identica a quella della strofa precedente, entrambi i manoscritti (sia il
Codex Regius che il Codex Arnamagnæanus) la scrivono qui in forma abbreviata.
17 — (b) Seg uendo la lezione dei migliori interpreti del testo, abbiamo tradotto Víðars land viði con «nella boscosa terra di
Víðarr», dal norreno viðr «bosco» (cfr. inglese wood). Alcuni studiosi ritengono tuttavia che la parola viði vada intesa come
nome proprio: «in Viði, terra di Víðarr» (Bellows 1936). La difficoltà di tale interpretazione sta nel fatto che questo toponimo
non compare in altre fonti mitologiche.
19 — Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [38 {45}]). — (c) Herjafǫðr «Padre degli eserciti», è epiteto di Óðinn.
21 — Questa strofa è tra le più difficili da interpretare di tutto il poema, sulla quale sono stati versati i proverbiali fiumi
d'inchiostro. Letta in progressione con le strofe successive (essendo la [23] un'interpolazione), sembra narrare la difficile ascesa
in cielo degli Einherjar [21], che quindi attraversano i cancelli di Valgrind [22] e quindi accedono nella Valhǫll [24]. — (c) Il
Þund «tonante» è probabilmente un fiume che rende difficoltoso l'accesso alla Valhǫll. — (b-c) Il nome Þjóðvitnir «lupo del
popolo» è un hápax legómen, non comparendo in nessun altro testo conosciuto; gli studiosi tendono a interpretarlo come un
appellativo di Fenrir, ma questo non spiega la kenning «pesce di Þjóðvitnir», della quale non si comprende il significato. Secondo
l'elegante ipotesi di Eysteinn Björnsson, il nome Þjóðvitnir sarebbe invece un epiteto di Heimdallr. Il termine vitnir, infatti,
prima di specializzarsi nel senso di «lupo», significava letteralmente «[colui che ha] i sensi ag uzzi» (da vit «sensi»).
Analogamente þjóð-, come prefisso nei nomi maschili, può fungere da accrescitivo. Interpretato in questo modo, il nome
Þjóðvitnir può adattarsi perfettamente a Heimdallr, del quale appunto si diceva fosse in grado di scorgere qualsiasi cosa fino a
cento leghe di distanza, e di percepire il rumore dell'erba che cresce sulla terra o quello della lana sul dorso delle pecore. In
quanto al «pesce di Þjóðvitnir», secondo Eysteinn, sarebbe appunto il ponte Bifrǫst, alla cui estremità Heimdallr sta eternamente
di vedetta. Per giustificare la sua asserzione, lo studioso nota che in norreno (ma anche in islandese moderno) la coda del pesce e
la testa del ponte sono indicate con la medesima parola, sporðr (cfr. brúar sporði «l'estremità del ponte», in Sigrdrífumál [16]).
L'intera strofa descriverebbe l'ascesa degli Einherjar lungo il ponte arcobaleno, il quale permette loro di scavalcare i fiumi
cosmici che scorrono in cielo, di cui il Þund – forse ipostasi dell'atmosfera percorsa dai venti e vibrante del rombo del tuoni – è
evidentemente uno dei più difficili da g uadare. [SAGGIO] (Björnsson 2000)
23 — La presenza di questa strofa [23] sulla sala Bílskirnir di Þrúðheimr, nel bel mezzo di una sezione di strofe incentrate
24 — La difficoltà del calcolo è che húndruð in norreno significava originariamente «centoventi» e solo in seg uito questa parola
venne usata per «cento». Dunque, se si intende l'húndruð di «centoventi», seicentoquaranta sono le porte della Valhǫll e
novecentosessanta gli Einherjar che usciranno da ciascuna di esse (640 x 960 = 614 ˙ 400); se si intende l'húndruð di «cento»,
cinquecentoquaranta sono le porte di Valhǫll e ottocento gli Einherjar che usciranno da ciascuna di esse (540 x 800 = 432˙000).
Considerazioni legate alla durata del ciclo della precessione degli equinozi indicherebbero nel secondo calcolo le cifre corrette
(De Santillana ~ Von Dechend 1969), anche se i filologi preferiscono in genere attenersi al valore tradizionale di húndruð come
«centoventi».
27-28 — Il novero dei fiumi cosmici è abbastanza confuso, l'ortografia dei nomi varia nei manoscritti del Grímnismál.
Oltretutto nella sua opera Snorri riprende alcuni di questi nomi di fiumi, dandone due elenchi tra loro assai differenti
(Gylfaginning [4 | 39]). Per un approfondimento sui fiumi cosmici, si veda il capitolo apposito [MITI]. — Secondo Sophus
Bugge, le strofe [27-30] sarebbero in blocco un'interpolazione (Bugge 1867); altri editori che pure hanno accettato il passaggio,
hanno invece espunto dei versi.
29 — (g) L'ásbrú «Ponte degli Æsir» è ov viamente il ponte Bilrǫst (secondo Snorri, Bifrǫst), l'arcobaleno che unisce la terra al
cielo. Questa strofa è citata da Snorri (Gylfaginning [15 {22}]). — (h) Non si capisce perché il ponte vada a fuoco se vi transiti
Þórr: forse vi è un riferimento a un mito che non conosciamo [MITI].
33 — Alcuni studiosi, tra cui Sophus Bugge, pensano che questa strofa possa essere interpolata. Snorri, che pure riporta
integralmente le due strofe successive [34-35], di questa fa soltanto una parafrasi (Gylfaginning [16]) ma senza aggiungere nulla
di nuovo. — (b) «I più alti ramoscelli», che i cer vi brucherebbero, sono soltanto una traduzione ipotetica (Bellows 1936): nel
manoscritto originale il testo non è molto chiaro.
34-35 — Queste strofe sono citate da Snorri (Gylfaginning [16 {15-16}]), anche se in senso inverso rispetto al loro ordine nel
Grímnismál. L'ordine Snorri appare essere più logico, rispetto a quello tramandato dal poema.
37-41 — Secondo Müllenhoff queste strofe sarebbero state interpolate ed Edzardi sospetta che esse possano venire addirittura
da una versione più antica del Vafþrúðnismál (si confronti Grímnismál [40] con Vafþrúðnismál [21]). Snorri parafrasa le strofe
37-39 (Gylfaginning [11]) e cita direttamente le strofe 40-41 (Gylfaginning [8 {11-12}]).
39 — (e) Hróðvitnir è un appellativo di Fenrir. — (c) In alcune traduzione il semiverso til varna viðar «al riparo tra i boschi»
viene emendato in til Jarnviðar «al bosco di ferro», con riferimento alla località mitica di Jarnviðr, il bosco dagli alberi di ferro
dove dimorano le streghe. — (f) «Chiara sposa del cielo» [heiða brúði himins] è una kenning per indicare il sole. In norreno, sól
è femminile.
40-41 — Come detto, queste due strofe sono citate da Snorri (Gylfaginning [8 {11-12}]).
45 — Ora Grímnir cessa la sua esibizione di sapienza e torna, d'un tratto, alla realtà immediata. Legato tra i fuochi, egli alza il
capo a rivelare chi sia. La sequela di nomi che enumera, oltre a continuare in qualche modo il contenuto gnomico-sapienziale del
poema, prelude alla rivelazione finale, chi sia dav vero il viandante che Geirrøðr, in spregio alle sacre regole dell'ospitalità, sta
torturando. I nomi che egli elenca in una serie di fittissime strofe sono infatti gli heiti di Óðinn.
46-49 — Il canone degli heiti di Óðinn viene citato da Snorri in una lunga sequenza (Gylfaginning [20 {30}]), privata delle parti
discorsive che nel poema interrompono l'enumerazione dei nomi. La maggior parte di questi epiteti si riferiscono evidentemente a
miti che non conosciamo, di cui anzi qua e là si fa qualche oscuro accenno (ad esempio deve essere esistito un mito dove Óðinn,
sotto il nome di Jálkr, si recò presso le genti di un certo Ásmundr; oppure di quando, sotto il nome di Kjalarr, fu costretto a
tirare una slitta). Per approfondire gli epiteti di Óðinn, si veda [SAGGIO]►.
Epilogo — Dopo che Óðinn ha cessato di parlare e il suo lungo discorso si è chiuso, una piccola, tragica chiusa in prosa,
conclude il poema.
BIBLIOGRAFIA ►
© BIFRÖST
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