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LJÓÐA EDDA

EDDA POETICA

Traduzione a cura della Redazione Bifröst

LJÓÐA EDDA

Ljóða Edda. Edda poetica

- Vǫluspá. La profezia della Veggente


- Hávamál. Il discorso di Hár
- Vafþrúðnismál. Il discorso di Vafþrúðnir
- Grímnismál. Il discorso di Grímnir
- Skírnismál. Il discorso di Skírnir
- Hárbarðsljóð. Il canto magico di Hárbarðr
- Hymiskviða. Il carme di Hymir
- Lokasenna. Gli insulti di Loki
- Þrymskviða. Il carme di Þrymr
- Alvíssmál. Il discorso di Alvíss
- Baldrs draumar. I sogni di Baldr
- Gróttasǫngr. La canzone del Grótti
- Svipdagsmál. Il discorso di Svipdagr
LJÓÐA EDDA

EDDA POETICA

Titoli Ljóða Edda, «Edda poetica»


Sæmundar Edda, «Edda di Sæmundr»
Eldri Edda, «Edda antica»
Pseudoepigrafo Sæmundr Sigfússon
Genere Raccolta di poemi di argomento mitologico
Lingua Norreno
Epoca Composizione Tra il IX e l'XI sec.
Redazione Seconda metà del XIII sec.
Manoscritti [R] Stofnun Árna Magnússonar (Reykjavík): Codex
Regius [GKS 2365 4to]
[A] Stofnun Árna Magnússonar (Reykjavík): Codex
Arnamagnæanus [AM 748 I 4to]
[F] Stofnun Árna Magnússonar (Reykjavík):
Flateyjarbók [GKS 1005 fol]

LJÓÐA EDDA
EDDA POETICA

La poesia eddica
La scoperta del canzoniere eddico
Il Codex Regius
Il Codex Arnamagnæanus
Le altre fonti
I poemi eddici in Snorri
Eddica minora
Età, provenienza e contesto
Materiale e stile
Metrica
I poemi eddici a confronto
Edizioni italiane
Bibliografia

La poesia eddica

Con l'espressione «poesia eddica» si indica una scuola poetica fiorita in Islanda tra il IX e l'XI secolo,
attestata da un certo numero di composizioni anonime, di argomento mitico o eroico; e dunque ben distinta –
in termini di argomento, metro e stile – dalla successiva poesia scaldica.

In senso più specifico, l'espressione «poesia eddica» viene spesso ristretta alle ventinove composizioni
contenute nel manoscritto oggi conosciuto come Codex Regius della Ljóða Edda. Quest'ultima definizione è
però meno rigorosa, in quanto circoscrive un genere letterario al contenuto di un singolo codice e non
piuttosto sulla base delle sue caratteristiche formali. Questa imprecisione pesa tuttora sulla classificazione
dei poemi eddici, il cui corpus viene talvolta distinto in «Edda poetica» (le composizioni contenute
nel Codex Regius) ed «Edda minore» (le composizioni affini attestate in altre fonti).
Scoperta del canzoniere eddico

Nel 1643, l'erudito Brynjólfur Sveinsson (1605-1675), vescovo nella diocesi di Skálholt, in Islanda, venne in
possesso di un codice medievale nel quale erano contenuti ventinove poemi mitologici, incentrati sugli dèi e
gli eroi della tradizione pagana.

Brynjólfur Sveinsson

Brynjólfur era un collezionista di antichi manoscritti e possedeva già un prezioso codice trecentesco
dell'Edda  di Snorri Sturluson (1179-1241), un manuale per apprendisti scaldi nel quale venivano citate
numerose strofe tratte dagli antichi poemi mitologici. Il vescovo si accorse che il nuovo manoscritto
conteneva, in forma completa, i medesimi poemi citati da Snorri, e ritenne di possedere la raccolta da questi
consultata per la compilazione della sua Edda. Poiché al nuovo manoscritto mancava un titolo, Brynjólfur lo
intitolò anch'esso «Edda», stabilendo così un legame ideale con l'opera di Snorri.

Ma alla nuova «Edda» occorreva anche un autore e Brynjólfur pensò che un'opera così importante non
potesse che essere stata compilata dal sacerdote Sæmundr Sigfússon inn fróði (1056-1133), che la tradizione
ricordava per la vasta erudizione e per aver scritto una Historia regum norvegicorum, «Storia dei re
norvegesi», in latino. Sebbene al tempo di Brynjólfur quest'opera fosse già andata perduta, se ne conosceva
il contenuto grazie al Nóregs konungatal, il «Catalogo dei re di Norvegia», un poema dinastico-genealogico
composto intorno al 1190, ed era noto che fosse servita come fonte per diversi scrittori successivi, compreso
lo stesso Snorri. Brynjólfur fece copiare il manoscritto e, poiché esso era privo titolo, scrisse di proprio
pugno sulla copia la pomposa epigrafe Edda Sæmundi Multiscii, «l'Edda del sapientissimo Sæmundr».

Da allora, si usa distinguere tra la raccolta detta «Edda poetica» [Ljóða Edda], «Edda di Sæmundr»
[Sæmundar Edda] o «Edda antica» [Eldri Edda], e l'opera di Snorri detta «Edda in prosa» [Prose Edda],
«Edda di Snorri» [Snorra Edda] o «Edda giovane» [Yngri Edda].

Nel 1650, re Frederik III di Danimarca (♔ 1648-1670) chiese a Brynjólfur di assumere l'incarico di storico
reale, al posto dell'erudito Stephan Hansen Stephanius, morto quello stesso anno. Il vescovo ricusò la
nomina, ma promise al re che avrebbe fornito alla biblioteca reale una quantità di antichi manoscritti
islandesi. Fu così che, nel 1662, il codice della Ljóða Edda e quello della Prose Edda, fino ad allora
posseduti da Brynjólfur, giunsero in Danimarca in dono a re Frederik e, per tale ragione, furono poi
conosciuti come Codices Regii. 
Dalla vecchia collezione reale [Gammel kongelig samlin], i due manoscritti passarono poi alla Biblioteca
Reale di Copenhagen, dove vennero registrati con le segnature GKS 2365 4° (la Ljóða Edda) e GKS 2367
4° (la Prose Edda).

Il manoscritto della Ljóða Edda sarebbe ritornato in Islanda solo il 22 aprile 1971, dopo una lunga e
complessa vicenda giudiziaria che si concluse con l'impegno da parte della Danimarca di restituire tutti quei
manoscritti che potessero essere considerati patrimonio culturale della lontana isola nord-atlantica. Nel 1985
anche il manoscritto della Prose Edda tornò in Islanda. Entrambi i codici sono ora custoditi nella biblioteca
dell'Istituto Árne Magnússon, a Reykjavík, dove ci si riferisce a essi come al «Codex Regius dell'Edda
poetica» [Konungsbók Eddukvæða] [R] e al «Codex Regius dell'Edda di Snorri» [Konungsbók Snorra-
Eddu] [Rs].

Che i due codici abbiano lo stesso nome, come le due opere in essi contenute, non deve però trarre in
inganno. A rigore, il nome «Edda» appartiene di diritto soltanto all'opera di Snorri; fu il vescovo Brynjólfur
a estendere impropriamente questo titolo alla raccolta da lui trovata. Che i due manoscritti siano oggi
conosciuti come Codex Regius dipende soltanto dalle circostanze storiche, in quanto entrarono entrambi a
far parte della collezione di re Frederik III. Ma detto questo, i due manoscritti sono originariamente
indipendenti e non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro.

Il Codex Regius

Il Codex Regius della Ljóða Edda − il manoscritto scoperto da Brynjólfur Sveinsson nel 1643 − può essere
considerato il cuore della poesia eddica. Di aspetto quasi insignificante, questo codice è composto di 45
fogli, con una lacuna di sedici pagine dopo il trentaduesimo. Contiene ventinove composizioni di argomento
mitologico ed eroico.

Pagina del Codex Regius, GKS 2365 4°. Dal sito dell'Istituto Árne Magnússon
Il Codex Regius risale alla seconda metà del XIII secolo e certamente non fu compilato da Sæmundr
Sigfússon, il quale era vissuto due secoli prima. Si ritiene che il nucleo del manoscritto risalga ai primi del
1200, pressappoco al periodo in cui anche Snorri compilava la sua Edda. Gli studi paleografici hanno
evidenziato che il Codex Regius si formò per successiva aggiunta di materiale, assemblato in tempi
successivi e secondo diversi principi editoriali. Certamente alcuni editori lavorarono con meno scrupoli di
altri, intervenendo nel testo, sostituendo passaggi in versi con riassunti in prosa, e mettendo insieme strofe di
diversa origine intorno a specifici nuclei tematici.

Fu però sicuramente unico il compilatore finale del codice, come si evince dall'attenta cura con cui i poemi
sono ordinati nel manoscritto: prima i dieci mitologici, poi i diciannove di argomento eroico. Questi ultimi
sono disposti secondo un preciso criterio cronologico: prima il canto su Vǫlundr, che ha un suo proprio
argomento; poi i tre poemi incentrati sull'eroe Helgi; infine il lungo ciclo su Sigurðr e i Niflungar. I brani
sono collegati da passi in prosa, i quali forniscono chiarimenti e colmano le lacune.
Questo il contenuto del Codex Regius [R]:

CANTI MITOLOGICI

1. Vǫluspá, «Profezia della Veggente»


2. Hávamál, «Discorso di Hál»
3. Vafþrúðnismál, «Discorso di Vafþrúðnir»
4. Grímnismál, «Discorso di Grímnir»
5. Skírnismál, «Discorso di Skírnir»
6. Hárbarðsljóð, «Canto di Hárbarðr»
7. Hymiskviða, «Carme di Hymir»
8. Lokasenna, «Insulti di Loki»
9. Þrymskviða, «Carme di Þrymr»
10. Alvíssmál, «Discorso di Alvís»

CANTI EROICI

11. Vǫlundarkviða, «Carme di Vǫlundr»

Ciclo di Helgi

12. Helgakviða Hundingsbana in fyrri, «Primo carme di Helgi uccisore di Hundingr»


13. Helgakviða Hjǫrvarðssonar, «Carme di Helgi figlio di Hjǫrvarðr»
14. Helgakviða Hundingsbana ǫnnor, «Secondo carme di Helgi uccisore di Hundingr»

Ciclo di Sigurðr e dei Niflungar

15. Grípisspá, «Profezia di Grípir»


16. Reginsmál, «Discorso di Reginn»
17. Fáfnismál, «Discorso di Fáfnir»
18. Sigrdrífomál, «Discorso di Sigrdrífa»
19. Brot af Sigurðarkviðo, «Frammento del carme di Sigurðr»
20. Guðrúnarkviða in fyrsta, «Primo carme di Guðrún»
21. Sigurðarkviða in skamma, «Carme breve di Sigurðr»
22. Helreið Brynhildar, «Viaggio di Brynhildr verso gli inferi»
23. Guðrúnarkviða ǫnnor, «Secondo Carme di Guðrún»
24. Guðrúnarkviða in þriðja, «Terzo carme di Guðrún»
25. Oddrúnargrátr, «Lamento di Oddrún»
26. Atlakviða in grǿnlenzka, «Carme groenlandese di Atli»
27. Atlamál in grǿnlenzka, «Discorso groenlandese di Atli»
28. Guðrúnarhvǫt, «Incitamento di Guðrún»
29. Hamðismál, «Discorso di Hamðir»
Il Codex Arnamagnæanus

La seconda fonte, in ordine di importanza, per la nostra conoscenza sulla poesia eddica, è il frammentario
manoscritto conosciuto come Codex Arnamagnæanus [A], oggi custodito nella biblioteca dell'Istituto Árne
Magnússon, a Reykjavík, con la segnatura AM 748 I 4°. Di questo codice, redatto agli inizi del XIV secolo,
cioè pochi anni dopo la redazione finale del Codex Regius, si sono conservati soltanto sei fogli, per un totale
di sette poemi, tutti di argomento mitologico:

1. Grímnismál, «Discorso di Grímnir»


2. Hymiskviða, «Carme di Hymir»
3. Baldrs Draumar, «Sogni di Baldr
4. Skírnismál, «Discorso di Skírnir»
5. Hárbarðsljóð, «Canto di Hárbarðr»
6. Vafþrúðnismál, «Discorso di Vafþrúðnir»
7. Vǫlundarkviða, «Carme di Vǫlundr

Pagina del Codex Arnamagnæanus, AM 748 I 4°. Dal sito dell'Istituto Árne Magnússon

Solo i primi tre poemi sono completi. I tre seguenti presentano lacune più o meno vistose, mentre
dell'ultimo, il Vǫlundarkviða, rimangono solo il prologo in prosa e l'incipit. Sei delle sette composizioni
sono conosciute anche al Codex Regius, con varianti minime. La rimanente, il Baldrs Draumar, è invece
attestata solo nel Codex Arnamagnæanus, dettaglio che rende questo manoscritto di valore inestimabile.
Naturalmente non è possibile sapere quale fosse l'estensione del codice originale e quali altri poemi
contenesse.
Le altre fonti

Altri manoscritti riportano dei poemi eddici, anche se nessuno di essi è ricco e vario come il  Codex Regius e
il Codex Arnamagnæanus. Ad esempio, la Vǫluspá è attestata anche nell'Hauksbók [H] di Hauk Erlendsson
(prima metà del XIV secolo), in una versione la cui scansione in strofe è diversamente organizzata da quella
del Codex Regius.

Tra le fonti eddiche si ricorda poi il Flaytejarbók [F]. Un tempo custodito nella Biblioteca Reale di
Danimarca, questo codice è stato restituito all'Islanda insieme al Codex Regius e oggi si trova anch'esso nella
biblioteca dell'Istituto Árna Magnússon, con la segnatura GkS 1005 fol. Il Flaytejarbók consta di ben 225
fogli, vergati con cura e splendidamente illustrati. Questo preziosissimo manoscritto contiene alcune delle
più belle saghe storiche, tra cui la Óláfs saga Tryggvasonar, «Saga di Óláfr Tryggvason», la Óláfs saga
Helga, «Saga di Óláfr il santo», la Sverris saga, «Saga di Sverri», e la Hákonar saga Hákonarsonar, «Saga
di Hákon»; contiene inoltre diversi interessantissimi racconti, tra cui il Vǫlsa þáttr, «Racconto del fallo», 
il Nornagests þáttr, «Racconto di Nornagestr», e alcune composizioni poetiche di argomento religioso.
Riguardo ai poemi eroico-mitologici, il Flaytejarbók ne riporta soltanto tre, di cui due,
il Reginsmál e l'Helreið Brynhildar, sono presenti anche nel Codex Regius; il terzo, l'Hyndluljóð, si trova
solo in questo manoscritto e viene così ad aggiungersi a un ideale corpus della poesia eddica.

I poemi eddici in Snorri

Un'altra importantissima fonte eddica è rappresentata dalla Prose Edda di Snorri Sturluson, scritta tra il
1222 e il 1225. La prima parte di questo manuale di arte scaldica, il Gylfaginning, è un vero e proprio
trattato di mitologia, materia evidentemente considerata indispensabile al bagaglio culturale dell'apprendista
poeta. Nel narrare la creazione e distruzione del cosmo, la fisionomia degli dèi e le loro imprese, Snorri fa
puntualmente riferimento ai poemi eddici, soprattutto alla Vǫluspá, al Vafþrúðnismál e al Grímnismál (i più
importanti dal punto di vista dell'erudizione mitologica), riportandone a più riprese dei lunghi passi. Le
strofe citate non hanno alcuna pretesa di continuità o di completezza: compaiono a scopo unicamente
illustrativo, come fonte e testimonianza del racconto prosastico di Snorri.

Snorri Sturluson

Il vescovo Brynjólfur Sveinsson riteneva che Snorri avesse attinto direttamente al Codex Regius. Sappiamo
che non è così, sia perché il Codex Regius è stato ultimato almeno mezzo secolo dopo la composizione
dell'opera di Snorri, sia perché i versi citati da Snorri presentano, in molti punti, delle varianti rispetto a
quelli contenuti nella Ljóða Edda. Addirittura, Snorri completa una strofa mutila sia in R che
in A (Vafþrúðnismál [31]).
Dunque Snorri aveva a sua disposizione il testo di numerosi poemi eddici, ma provenienti da una fonte
diversa dal Codex Regius. Ciò rende le varianti che egli fornisce degne della massima attenzione. Ma la
principale ragione per cui l'opera di Snorri risulta straordinariamente importante per la nostra comprensione
dei poemi eddici è dovuta al fatto che egli ne spiega le parti più complesse e sviscera molti dei miti a cui essi
fanno riferimento. Senza i suoi chiarimenti e le sue osservazioni, buona parte della poesia eddica
risulterebbe per noi del tutto incomprensibile.

Se la Vǫluspá, il Vafþrúðnismál e il Grímnismál erano noti da Snorri in una forma molto simile a quella
del Codex Regius, la stessa cosa non si può dire per altri poemi. Snorri cita ad esempio una strofa tratta
dal Lokasenna (Gylfaginning [20d {29}]) che sembra essersi originata da un collage di strofe differenti nella
versione attestata in R. È anche possibile che Snorri non conoscesse la Þrymskviða, la cui vicenda è del tutto
ignorata nella sua Edda. Forse non conosceva nemmeno la Dissertazione sulle rune presente nell'Hávamál,
in quanto non fa alcun accenno né dà alcuna spiegazione alle oscure strofe sull'autosacrificio di Óðinn.
Inoltre Snorri cita alcuni versi da un poema, non contenuto nel Codex Regius, a cui dà il titolo di Vǫluspá in
skamma, la «Breve profezia della veggente»; questa composizione, che egli aveva probabilmente conosciuto
come poema indipendente, è stata poi interpolata nell'Hyndluljóð, poema contenuto nel Flateryjarbók. Il
fatto che Snorri non citi brani dei poemi eroici (a parte un breve passo dal Fáfnismál), fa pensare che egli
avesse a disposizione una piccola raccolta di composizioni esclusivamente mitologiche, assai simile
al Codex Arnamagnæanus.

Ma Snorri cita anche diversi brani tratti da composizioni che non ci sono pervenute. È il caso del breve e
bellissimo scambio di battute tra tra Njǫrðr e Skaði (Gylfaginning [23b-23c {33-34}]); o della scena dove
i Vanir osservano Gná volare nell'aria sul suo destriero (Gylfaginning [35p-35q {40-41}]); o della cinica
risposta di Þǫkk agli ambasciatori che vengono a chiederle di piangere la morte
di Baldr (Gylfaginning [49y {52}]). In un caso, Snorri fornisce persino il titolo di un'opera ormai perduta,
l'Heimdallargaldr, l'«Incantesimo di Heimdallr», di cui fornisce un unico verso (Gylfaginning [27c {38}]).
Infine, nella seconda parte del suo libro, lo Skáldskaparmál, Snorri cita integralmente una composizione
non riportata da nessuna altra fonte, il  Grottasǫngr, la «Canzone del [mulino] Grotti».

Eddica minora

Poiché il Codex Regius identifica la raccolta della Ljóða Edda, ci si riferisce al complesso dei composizioni
provenienti da altre fonti come Eddica minora. Si tratta tuttavia di una distinzione effettuata sulla base delle
composizioni contenute nel manoscritto principale o da esso escluse, e non ha alcuna pretesa filologica.
I due poemi più importanti classificati come Eddica minora sono il Baldrs Draumar, contenuto nel Codex
Arnamagnæanus, e l'Hyndluljóð, presente nel Flateyjarbók. Entrambi non stonerebbero affatto accanto a
quelli del Codex Regius, e molte edizioni della Ljóða Edda giustamente li comprendono. Anche
il Grottasǫngr è annoverato nell'Eddica minora.

Il Codex Wormianus [W], uno dei quattro manoscritti della Prose Edda di Snorri, tramanda un altro poema
eddico, la Rígsþula o «Sequenza di Rígr», di cui è l'unica fonte.
Altri poemi esclusi dai manoscritti principali si trovano inclusi in alcune saghe. Ad esempio,
il Darraðarljóð, «Canto dello stendardo», è conservato nella Njáls saga. Il Gátur Gestumblinda, «Enigmi di
Gestumblindi», il Hlǫðskviða, «Carme di Hlǫðr» (o «Battaglia tra Goti e Unni»), e l'Hervararljóð, «Canto di
Hervǫr» (o «Risveglio di Angantýr»), provengono dalla Hervarar saga ok Heiðreks.

Altre composizioni riconducibili al genere delle poesia eddica ci giungono da codici più tardi. Dei
manoscritti del XVII secolo conservano lo Svipdagsmál, o «Discorso di Svipdagr», un lungo poema che si
ritiene essere una combinazione di due composizioni originariamente distinte: il Grógaldr, «Incantesimo di
Gróa», e il Fjǫlsvinnsmál, «Discorso di Fjǫlsviðr», legate tra loro dalla figura del protagonista Svipdagr.
A quest'ultimo gruppo, possiamo ancora aggiungere due titoli, il Rafnagaldr Óðins, «Incantesimo dei corvi
di Óðinn», e il Sólarljóð, «Canto del sole», composizioni a cui la maggior parte dei filologi guarda con
prudente sospetto.

EDDICA MINORA

I. Baldrs Draumar, «Sogni di Baldr»


II. Hyndluljóð, «Canto di Hyndla», nel quale è interpolata:
Vǫluspá in skamma, «Piccola profezia della Veggente»
III. Rígsþula, «Sequenza di Rígr»
IV. Grottasǫngr,«Canzone del [mulino] Grotti»
V. Darraðarljóð, «Canto dello stendardo»
VI. Gátur Gestumblinda,«Enigmi di Gestumblindi»
VII. Hlǫðskviða,«Carme di Hlǫðr» («La battaglia tra Goti e Unni»)
VIII. Hervararljóð,«Canto di Hervǫr» («Il risveglio di Angantýr»)
IX. Svipdagsmál, «Discorso di Svipdagr», composto dai due canti:
Gró[u]galdr, «Incantesimo di Gróa»
Fjǫlsvinnsmál, «Discorso di Fjǫlsviðr»
X. Rafnagaldr Óðins, «Incantesimo dei corvi di Óðinn»
XI. Sólarljóð, «Canto del sole»

Età, provenienza e contesto

Tra i problemi che la poesia eddica pone ai filologi, assai dibattuti sono quelli riguardanti l'età e l'origine
delle singole composizioni, le relazioni interne tra i vari testi, le relazioni tra questi e altre opere nel
panorama letterario germanico, e infine i possibili rapporti con le opere classico-cristiane.
Riguardo all'età dei poemi, è evidente che questi sono assai più antichi dei manoscritti che li contengono. Ad
esempio, se il Codex Regius è stato ultimato nella seconda metà del XIII secolo, le evidenze linguistiche
mostrano che i poemi in esso contenuti risalgono a un ampio periodo tra l'800 e il 1200, con un culmine nel
X secolo. Detto questo, stabilire una precisa data di composizione per i singoli poemi non è affatto agevole,
perché lo studio delle forme linguistiche si limita a registrare la fase finale nella trasmissione dei testi e non
la loro antichità. Quello che il Codex Regius e gli altri manoscritti ci tramandano, insomma, non è la forma
«originale» dei poemi, ma la versione conosciuta e memorizzata dai redattori del XIII secolo.

Il fatto che non siano stati tramandati i nomi degli autori potrebbe indicare che i poemi siano stati trasmessi
oralmente per un tempo imprecisato, prima di essere registrati. Qualche studioso ha voluto definirli con il
nome di þulir o «sapienti», avanzando l'ipotesi che formassero un corpo di poeti esperti di miti, in seguito
soppiantati e respinti dagli skáld o poeti d'arte. Fuor di dubbio è che tra un genere e l'altro esistono notevoli
differenze di tecnica; le composizioni della Ljóða Edda sono caratterizzate da una grande semplicità verbale
che impiega in misura minima i sinonimi e le kenningar, al perfetto contrario dell'involuta poesia scaldica
fiorita in Islanda a cavallo del 1000. Tutto questo contribuisce a retrodatare l'età dei poemi a un'antichità
ancora più remota.

In quanto al luogo di composizione, è evidente che, nella forma in cui ci sono pervenuti, tali poemi siano
stati composti nella maggior parte dei casi in Islanda. L'Atlakviða in grǿnlenzka e l'Atlamál in
grǿnlenzka pare siano stati composti in Groenlandia; la Rígsþula mostra invece, nel nome del suo
protagonista (Rígr è epiteto di Heimdallr), un'influenza celtica (deriva infatti dal gaelico ríg «re»), e
potrebbe essere stato composto in una colonia scandinava in Irlanda. Di nuovo però queste conclusioni non
esauriscono il problema della provenienza, perché è evidente che i poemi eddici non siano originari
dell'Islanda. Bastano d'altronde i molti riferimenti a querce, abeti e betulle, piante non presenti in Islanda,
per mostrare come tali poemi, insieme all'intera mitologia che sottendono, abbiano provenienza continentale.
Lo stesso può dirsi di lupi, cervi, orsi e picchi, tutti animali ben presenti nei poemi eddici ma non
nell'ecosistema islandese. Dunque, se anche i poemi eddici ricevettero la loro ultima stesura definitiva in
Islanda tra l'XI e il XIII secolo, è evidente che il loro materiale di base – costituito da canti mitici ed eroici
trasmessi oralmente – era stato portato dalla Norvegia tra la fine del IX e nel corso del X secolo.

Un raffronto tra i poemi eddici e analoghe composizioni provenienti dal resto dell'area germanica rivela una
sostanziale unità di registri poetici e argomenti.
Ad esempio, le strofe iniziali della Vǫluspá mostrano strettissime affinità con la Wessobrunnen Gebet,
«Preghiera di Wessobrunn» (VII-VIII sec.), una composizione cristiana in antico alto tedesco, dettaglio che
suggerisce l'esistenza di un antichissimo canto germanico della creazione confluito nella redazione di
entrambi i testi. Inoltre, alcuni eroi della Ljóða Edda sono attestati in tutta l'area germanica.

Ad esempio, in ambito anglosassone, il Bēoƿulf (VIII sec.) menziona Sigemund e Fitela (conosciuti ai poemi


eddici come Sigmund e Sinfjǫtli); il Ƿidsið (IX sec.) nomina Eormenric (l'eddico Jǫrmunrekkr, Ermanarico);
il Dēor (X sec.) menziona sia Eormenric che Veland (il Vǫlundr eddico). Spostandoci sul continente,
l'Hildebranslied (VII-VIII sec.) in antico alto tedesco tratta di Theotrihhe (il Þjóðrekr eddico, cioè re
Teodorico), mentre il tardo Nibelungenlied (fine XII sec.) in medio tedesco narra ancora una volta, in chiave
cortese, l'intera vicenda dei Niflungar. Tutte queste vicende risalgono senza dubbio all'età delle migrazioni
germaniche (IV-VIII sec.). Pressoché scomparse nel continente, sono sopravvissute proprio nei poemi eddici
d'Islanda, l'ultimo paese germanico a venire cristianizzato.

Infine, molti motivi presenti nei canti eddici mostrano strati compositi, di diversa origine e provenienza.
La Vǫluspá rivela l'influsso degli Oracula Sibyllina (così come il Mūspilli bavarese ne è la riscrittura alla
luce dell'escatologia cristiana). Alcune parti dell'Hávamál mostrano la possibile influenza dei Disticha
Catonis. Si tratta insomma di testi piuttosto complessi, che affondano le loro radici nel profondo del
substrato germanico. Forse la loro origine più remota va cercata in quei barditus che, secondo Tacito, erano
l'unica forma di documentazione storica degli antichi Germani (Germania [3]).

Materiale e stile

Per quanto la poesia eddica sia un genere letterario ben definito, non bisogna dimenticare che le
composizioni al suo interno sono piuttosto eterogenee, mostrando una straordinaria varietà di temi e forme
poetiche, con scelte espressive a volte molto lontane le une dalle altre. I poemi stessi sono classificati
secondo una varietà di sottogeneri: abbiamo il discorso [mál], il canto [ljóð], il carme [kviða], la profezia
[spá], la canzone [sǫngr], il lamento [grátr], l'esposizione erudita [þula] e persino l'insulto [senna], ciascuno
con proprie caratteristiche formali e metriche.

Un buon numero di poemi eddici appartengono al sottogenere del «discorso» (col termine mál si indicano
tutte le forme del parlato orale), specializzato nel riportare le parole pronunciate dai personaggi mitologici.

Abbiamo dunque l'Hávamál e il Grímnismál, declamati dallo stesso Óðinn; il Vafþrúðnismál,


dove Óðinn discorre col gigante Vafþrúðnir; lo Skírnismál, dove Skírnir discute con Gerðr;
il Reginsmál il Fáfnismál e il Sigrdrífumál, lunghe dissertazioni messe in bocca ai rispettivi personaggi. È
probabile che tali poemi venissero recitati in pubblico da uno o più poeti, i quali, come autentici attori, si
calavano nelle voci dei protagonisti e, attraverso di loro, davano vita a una narrazione tanto più coinvolgente
quanto più veniva udita dalle voci stessi dei suoi personaggi.

Il sottogenere del «discorso» è composto esclusivamente di parole pronunciate in prima persona, senza alcun
narratore esterno. In certi casi (come nel Reginsmál) vi sono degli inserti in prosa che spezzano il flusso del
dialogo, ma si tratta con ogni probabilità di interpolazioni esplicative aggiunte dai redattori del manoscritto.
Questi poemi possono consistere tanto in monologhi quanto in dialoghi a due o più voci, fino ad arrivare al
record di sedici voci che battibeccano nel Lokasenna. I discorsi si presumono pronunciati in occasione di
eventi ben precisi e in genere sottendono un contesto narrativo. Anche i monologhi sono rivolti a personaggi
che, pur presenti nella finzione drammatica, non prendono parte al discorso.
Ad esempio, nel Grímnismál, Óðinn (celato sotto l'epiteto di Grímnir) svolge l'intera sapienza cosmologica a
vantaggio di re Geirrøðr e suo figlio, i quali però non intervengono mai. Dunque i vari «discorsi» non si
rivolgono mai direttamente agli ascoltatori, ma sono sempre calati in una cornice narrativa. Unica eccezione
è costituita dall'Hávamál, poema sorto dalla giustapposizione di un certo numero di composizione distinte,
nel quale Óðinn sembra riferirsi direttamente al pubblico (a parte una breve sezione in cui il destinatario è un
certo Loddfáfnir). Tutto ciò mostra un notevole grado di complessità drammaturgica.
Riguardo agli argomenti dei «discorsi», essi sono piuttosto vari. L'Hávamál riporta perlopiù massime di
saggezza medievale sul modo di comportarsi nei vari casi della vita. Il Grímnismál e
il Vafþrúðnismál svolgono argomenti di erudizione mitologica e cosmologica, dando molte informazioni
sulla struttura dell'universo, le dimore degli dèi, la nascita del mondo e il suo incendio finale.
Nel Sigrdrífumál, la valchiria, appena risvegliata dal suo sonno incantato, istruisce Sigurðr sul corretto uso
delle rune. Il sapiente nano interrogato da Þórr nell'Alvíssmál fornisce gli heiti (le denominazioni poetiche)
degli elementi della terra e del cielo. Dunque, seppur calati in un contesto narrativo, raramente i «discorsi» si
riferiscono alle vicende in questione; al contrario, le loro voci narranti (Óðinn, Vafþrúðnir, Þórr, Alvíss,
la vǫlva) sono finalizzate a fornire un sostegno adeguato all'altezza degli argomenti trattati.

Sono assai rari i «discorsi» in cui il dialogo sia finalizzato alla narrazione. Un esempio è fornito
dallo Skírnismál, in cui Freyr manda il suo servitore come pronubo presso la gigantessa di cui è
innamorato; Skírnir dialoga successivamente con tutti i personaggi incontrati nel corso del viaggio, e il
culmine della vicenda si ha in un lungo monologo in cui elenca a Gerðr gli sgradevoli incantesimi che le
getterà addosso se non acconsentirà alla richiesta di matrimonio. Il Lokasenna ha invece luogo durante il
banchetto funebre di Baldr e tratta di un lungo e vivace scambio di ingiurie tra Loki e gli altri dèi. La forma
narrativa è qui finalizzata all'esposizione dei dettagli meno nobili delle biografie divine. Il ritratto impietoso
degli dèi non è però dovuto − com'è stato detto − a una tarda influenza cristiana, perché si tratta anche in
questo caso di un vero e proprio esercizio di erudizione mitologica, al quale non è estraneo il gusto per lo
scherno e la beffa.
Assai affini ai «discorsi» sono i canti caratterizzati dalla parola ljóð «canto» (cfr. tedesco Lied, inglese lay),
di cui il corpus eddico presenta però un numero limitato di esempi. Uno è l'Hárbarðsljóð, un serratissimo
dialogo tra Þórr e un traghettatore a nome Hárbarðr (di nuovo Óðinn) che rifiuta di accoglierlo in barca:
ciascuno dei due ricorda all'altro le sue imprese meno eroiche, e così facendo vengono citati molti miti di cui
si è persa memoria. Vi è poi l'Hyndluljóð (non presente nel Codex Regius), dove Freyja dialoga con la
veggente Hyndla.

Assai diverso è invece il sottogenere della kviða, «carme» o «ballata». Tali composizioni sono un misto di
narrazione e dialogo, dove la narrazione è data in terza persona e il dialogo è funzionale al racconto e
riferisce le parole scambiate dai personaggi coinvolti. Questo sottogenere è assai raro tra le composizioni
strettamente mitologiche: vi appartengono soltanto l'Hymiskviða (racconto in versi di un mito riportato
anche da Snorri, la pesca di Þórr del serpente Jǫrmungandr) e il Þrymskviða (sorta di grottesca ballata
dove Þórr si reca travestito da sposa nella dimora del gigante Þrymr). La kviða è invece diffusa soprattutto
tra i canti eroici, nei quali ha valore predominante la vicenda in sé e non il dato erudito.

Nei vari esempi di questo sottogenere, il rapporto tra narrazione e dialogo può assumere diversi tipi di
equilibrio. Nella maggior parte dei casi, come abbiamo detto, il dialogo è parte integrante della narrazione.
Ad esempio, l'Atlakviða in grǿnlenzka  è un continuo alternarsi tra strofe narrative e strofe dialogiche, nelle
quali si traccia una delle più cupe vicende del ciclo nibelungico: il re unno cattura i
cognati Hǫgni e Gunnarr e li tortura fino alla morte per farsi rivelare dove abbiano nascosto l'oro del Reno;
la sua sposa Guðrún li vendica imbandendo ad Atli un banchetto con la carne dei suoi stessi figli, quindi dà
fuoco alla reggia. In altri poemi, la narrazione è invece quasi interamente affidata al dialogo.
Il Sigurðarkviða in skamma, dopo una breve sezione introduttiva, consiste quasi completamente in un lungo
monologo di Guðrún − a tratti interrotto da inserti descrittivi − in cui ella ricapitola il dramma del suo
sposo Sigurðr, ucciso in una congiura; il racconto è quasi tutto affidato alle parole di Guðrún, che riporta
anche i dialoghi delle persone implicate nella vicenda.

Come si vede, al genere della poesia eddica appartengono composizioni molto diverse tra loro, come genere,
voce narrante o contenuto. Quest'ultimo può variare dal poema epico alla ballata burlesca, dall'esposizione
erudita al contenuto gnomico-sentenzioso. In tutti i casi, di rado i poemi affrontano direttamente gli
avvenimenti in forma narrativa, ma spesso preferiscono procedere per accenni, attraverso le voci narranti
degli stessi personaggi, spesso prediligendo forme oscure ed ellittiche. Questo crea a volte pesanti problemi
d'interpretazione ai moderni esegeti, dovuti al fatto che viene trattata una materia mitico-leggendaria ben
conosciuta e presente ai suoi fruitori, ma che per noi è ormai perduta da mille anni.

Metrica

La caratteristica principale del verso eddico è l'uso dell'allitterazione: il ripetersi meccanico di parole che
iniziano con lo stesso suono, utilizzata a fini mnemotecnici non meno che espressivi. Ad esempio,
in Vǫluspá  [45g-j]:
...skeggǫld, skalmǫld,     |     skildir klofnir,
vindǫld, vargǫld,     |     áðr verǫld steypisk...

L'allitterazione non è un fenomeno estetico fine a sé stesso, ma uno dei cardini su cui poggia
l'organizzazione del verso eddico. Il verso principale della poesia scandinava è il «verso lungo», diviso da
una cesura centrale in due semiversi. L'allitterazione non solo crea un ritmo interno, ma conduce l'attenzione
dell'ascoltatore sulla parola che funge da «chiave di volta» del verso stesso. Ad esempio, troviamo
nell'Atlakviða in grǿnlenzka [22a-b]:

...skaro þeir  hjarta     |     Hjalla or brjósti...

Il secondo semiverso (...Hjalla or brjósti «...dal petto di Hjalli») fissa [h] come consonante allitterante,
facendo risaltare il medesimo suono nel semiverso che la precede (skaro þeir hjarta... «strapparono il
cuore...»). «Cuore» [hjarta] è la parola-chiave su cui poggia il significato del verso. Le parole norrene −
composte per la maggior parte di una o due sillabe − hanno di regola l'accento sulla prima sillaba, dettaglio
che, combinandosi con l'allitterazione, contribuisce alla sonorità e al tipo ritmico (Scardigli ~ Meli 1982). In
questo caso abbiamo un metro di tipo trocaico:

⏐⏑⏑⏐⏑  ⏐⏑⏑⏐⏑

I poemi eddici sono composti di due tipi di metri principali: il fornyrðislag e il ljóðaháttr. Il fornyrðislag o
«metro epico» (da forn yrðis «parole antiche») consiste, nella sua forma canonica, in una quartina di quattro
«versi lunghi», ciascuno dei quali − abbiamo visto − è a sua volta composto da due semiversi. Un ottimo
esempio da Vǫluspá [1]:
Hljóðs biðk allar     |      helgar kindir,
meiri ok minni     |     mǫgu Heimdallar;
vildu at, Valfǫðr,     |     vel fyr teljak
forn spjǫll fira,      |     þaus fremst of man.

Una variante del «metro epico» è il málaháttr o «metro dei discorsi», i cui semiversi consistono di sei
sillabe invece che di quattro. Nell'ambito del corpus eddico troviamo quest'ultimo metro attestato
unicamente nell'Atlamál in grǿnlenzka. È probabile che gli ascoltatori islandesi non fossero in grado di
distinguerlo dal fornyrðislag, anche se Snorri, nel suo Háttatal, li individua.
Il secondo metro in ordine di frequenza è il ljóðaháttr o «metro dei canti». Nella sua forma canonica, esso
consiste in una quartina dove due «versi lunghi» (a loro volta composti da due semiversi) si alternano a due
«versi pieni» (composti da un solo semiverso di cinque o più sillabe). Si tratta di un metro che forse risente
alla lontana del distico elegiaco od epigrammatico latino. Un ottimo esempio dal Vafþrúðnismál [1]:

Rád þú mér nú, Frigg,     |      allz mik fara tiðir


at vitja Vafþrúðnis;
forvitni mikla      |     kveð ek mér á fornom stǫfom
við þann inn alsvinna jǫtun.
La differenza tra l'uso del fornyrðislag e del ljóðaháttr è fondamentale ai fini del contenuto dei singoli
poemi e, presumibilmente, della modalità della loro recitazione orale. Il fornyrðislag è il metro del racconto,
che si ritrova legato soprattutto al genere del ballata epica [kviða]. Il ljóðaháttr è invece legato al discorso,
alla rappresentazione dialogata, alla poesia sentenziosa e gnomica, ed è indicativo che
nell'intero corpus eddico sia usato unicamente per il discorso diretto (con l'eccezione di un'unica
strofa, Vafþrúðnismál [5]).

Per quanti i metri eddici tendano a strutturarsi in quartine, vi sono esempi in cui sia il fornyrðislag che
il ljóðaháttr presentano dei versi aggiuntivi, sia «lunghi» che «pieni», soprattutto nelle parti più arcaiche
del corpus. In realtà, la «quartina» è una struttura metrica che non appartiene alla poesia norrena, la quale
avverte, come unità sintattica della strofa, non tanto la strofa quanto la semistrofa [helming]. Nella poesia
eddica, infatti, ogni strofa può essere idealmente divisa in due semistrofe, ciascuna delle quali è di senso
compiuto. Mettiamo a raffronto, in traduzione, i già citati Vǫluspá [1] e Vafþrúðnismál [1].

Ascolto io chiedo a tutte | le sacre stirpi, Ora consigliami, Frigg, | di andare ho gran voglia
maggiori e minori | figli di Heimdallr. a trovare Vafþrúðnir.
Tu vuoi che io, o Valfǫðr, | compiutamente narri Confesso che son curioso | di disputare sulle cose
le antiche storie degli uomini | quelle che prima remote
ricordo. con quel gigante onnisciente.

Questa distinzione delle strofe in helmingar sembra essere una costante della poesia norrena. È d'altronde
provato che rarissimamente (otto casi su 383) vi siano collegamenti sintattici che si estendono oltre i confini
del distico. All'associazione di due versi (due «lunghi», oppure uno «lungo» e uno «pieno»), corrisponde per
regola una frase di senso compiuto. Ma non si tratta di un semplice enjambement, ma più di una
concatenazione logico-sintattica fra due versi (Scardigli ~ Meli 1982). Troviamo ad esempio
in Vǫluspá [19a-d]:

So che un frassino s'erge     |     Yggdrasill lo chiamano,


alto tronco lambito     |     d'acqua bianca di argilla.

Qui, il secondo verso dipende dal primo. In altre parole, anche se ciascun verso di una helming ha una sua
autonomia relativa, il secondo non può prescindere dal primo. L'helming può dunque essere considerata
l'equivalente verticale di quello che è il verso pieno in orizzontale. È una struttura sintatticamente
autosufficiente, in cui si stabiliscono legamenti gerarchici tra i due versi, e tra i due semiversi che
compongono ogni verso.

Anche quando il numero dei versi di una strofa sia eccessivo o difettivo, vale sempre il principio della
distinzione degli helmingar in unità di senso compiuto. Ad esempio, in Hávamál [135] troviamo una strofa
irregolare formata dalla successione di tre versi lunghi e sette pieni, cioè tre helmingar distinti. Ciascuno è
un'unità di senso:
Ti consiglio, Loddfáfnir,     |     e tu accetta il consiglio,
ne trarrai beneficio se l'accetti,
bene ti verrà se l'accogli.

————

Se vuoi per te una buona femmina     |     parlale con dolci sussurri
e prendi piacere con lei.

————

Devi fare belle promesse     |     e subito mantenerle:


nessuno soffre il bene, a riceverlo.
Ci sarebbe ancora molto da dire per approfondire la metrica eddica, ma queste brevi note possono bastare
per mostrare al lettore la complessità di questo genere di poesia.

I poemi eddici a confronto

Segue qui uno schema generale dei poemi che compongono la Ljóða Edda (compresa l'Eddica Minora),
mettendone a confronto varie caratteristiche: epoca di composizione, fonte, genere, metro e numero di
strofe. La sigla iniziale è quella che viene comunemente data a ciascuna composizione dai filologi e che è
facile trovare nella letteratura scientifica.
Lo schema è tratto, con qualche variazione, da quello fornito da Terry Gunnell (Gunnell 2005). La datazione
qui fornita per le singole composizioni, che in Gunnel è basata sulla ripartizioni dei poemi in «antichi» e
«tardi» (Sveinsson 1982), è invece quella fornita – tranne che per gli ultimi quattro casi – da Piergiuseppe
Scardigli e Marcello Meli nell'introduzione alla loro traduzione della Ljóða Edda (Scardigli ~ Meli 1982).

Edizioni italiane

 DI LEESTHAL Olga Gogala [cura]. Canti dell'Edda. UTET, Torino 1939.


 MASTRELLI Alberto [cura]. L'Edda. Carmi norreni. «Classici della religione». Sansoni, Firenze
1951, 1982.
 SCARDIGLI Piergiuseppe ~ MELI Marcello [cura]. Il canzoniere eddico. Garzanti, Milano 1982.

Bibliografia

 BELLOWS Henry Adams [trad.]. The Poetic Edda. Translated from the Icelandic with an
Introduction and Notes. American-Scandinavian Foundation, New York 1923.
 BUGGE Sophus, Sæmundar Edda hins fróða. In: «Norrœœn fornkvæði». Christiania [Oslo] 1867.
 CLEASBY Richard ~ VIGFÚSSON Guðbrandur, An Icelandic-English Dictionary. Oxford, 1874.
 GERING Hugo [trad.], Die Edda. Die Lieder der sogenannten älteren Edda. Bibliographisches
Institut, Liepzig/Wien 1892, 1927.
 GRUNDTVIG Nikolai Frederik Severin, Lidet om Sangene i Edda. København 1806.
 GUNNELL Terry, Eddic Poetry. In: McTURK Rory [cura], Old Norse-Icelandic Literature and
Culture. Blackwell, Oxford 2005.
 HILDEBRAND Karl von, Die Lieder der Älteren Edda. Schöningh, Paderborn 1876
 JÓNSSON Finnur, Sæmundar Edda. Reykjavík 1926.
 LEESTHAL Olga Gogala di [cura], Canti dell'Edda. UTET, Torino 1939.
 MASTRELLI Alberto [cura], L'Edda. Carmi norreni. Classici della religione. Sansoni, Firenze 1951,
1982.
 NECKEL Gustav, Edda. Die Lieder des Codex Regius nebst verwandten Denkmälern, Vol. I.
Heidelberg 1962.
 NIEDNEL Felix, Edda Heldendichtung / Gǫtterdichtung. Diederichs, Jena 1962.
 PRAMPOLINI Giacomo, Letterature germaniche insulari. In: Storia universale della letteratura,
vol. III. UTET, Torino 1949.
 RASK Rasmus Christian [trad.], Sæmundar Edda. Stockholm 1818.
 REICHBORN-KJENNERUD Ingjald, Lægerådene i den eldre Edda. In: «Maal og Minne». Novus
Forlag, Kristiania [Oslo] 1923.
 SCARDIGLI Piergiuseppe [cura] ~ MELI Marcello [trad.], Il canzoniere eddico. Garzanti, Milano
1982.
 SIJMONS Barend, Lieder der Edda. Halle 1906.
Titolo Vǫluspá, «Profezia della Veggente »
Genere Poema gnomico-sapienziale
Voci Monologo
Lingua Norreno
Epoca Composizione: Inizio X secolo
Redazione: XIII-XIV secolo
Manoscritti [R] Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar. Codex
Regius, ms. GKS 2365 4to
[H] Copenhagen, Det Arnamagnæanske Institut.
Hauksbók, ms. AM 544 4to

LJÓÐA EDDA

VǪLUSPÁ

LA PROFEZIA DELLA VEGGENTE

Il poema
Le redazioni
L'esegesi
Genere e metrica
Edizioni italiane

Il poema
La Vǫluspá  è il gioiello della Ljóða Edda, il primo dei due monologhi che aprono il grande canzoniere.
Opera di un poeta islandese di vigoroso talento, ancorché pagano, vissuto probabilmente intorno alla prima
metà del X secolo, la Vǫluspá si configura come la visione di una sinistra profetessa [vǫlva] che Óðinn ha
evocato affinché riveli per intero la sapienza nordica, i segreti delle cose primordiali e i destini del mondo. E
così, in una sessantina di strofe, la Veggente disegna la creazione dell'universo, racconta dell'età dell'oro e
della guerra che oppose gli Æsir ai Vanir, narra della morte di Baldr, vola dalle fonti del destino ai dirupi
infernali, dalle radici del frassino Yggdrasill ai confini del mondo, per concludersi col terrificante racconto
della distruzione, e quindi della rinascita, dell'universo. La Vǫluspá si configura insomma come una vera e
propria summa mythologiæ scandinava. Tra balenii epocali e schegge d'apocalisse, è senza alcun dubbio uno
più bei poemi mitologici di ogni tempo e di ogni paese.

Le redazioni

La Vǫluspá  è giunta a noi conservata in due manoscritti: il Codex Regius [R] (XIII sec.), che è il manoscritto
più importante della Ljóða Edda, e l'Hauksbók [H] di Hauk Erlendsson (prima metà del XIV secolo). Le due
versioni divergono in alcuni dettagli e nell'organizzazione delle strofe (62 contro 59). Terza importante fonte
della Vǫluspá è la Prose Edda, che Snorri scrisse ispirandosi in buona parte al poema, riportando
integralmente 30 strofe e citandone indirettamente altre 16; anche qui vi sono delle interessantissime
varianti. Sembra che Snorri avesse sottomano una versione della Vǫluspá più precisa di quelle a nostra
disposizione, ragion per cui le varianti del testo che egli fornisce sono preziosissime.

La vǫlva (✍ 1893)
Carl Larsson (1853-1919)
Illustrazione (Sanders 1893)

L'esegesi
Detto questo, bisogna doverosamente aggiungere che la Vǫluspá non è un testo di semplice approccio. La
comprensione è resa ardua dal fatto che le varie scene non vengono narrate, ma piuttosto evocate, e sempre
con accenni rapidi ed ermetici. Se la Vǫluspá non ci è completamente oscura è soltanto grazie alla Prose
Edda di Snorri Sturluson, che col suo racconto preciso e dettagliato ci rende chiari molti passaggi che
altrimenti sarebbero stati incomprensibili. Infatti, quelle strofe della Vǫluspá  per cui non abbiamo
riferimenti rimangono in buona parte enigmatiche.

La Vǫluspá presenta una lunga serie di passi problematici, su cui sono state proposte infinite congetture e
interpretazioni. Si ha l'impressione, probabilmente esatta, che la Vǫluspá sia in molti passi «corrotta» (per
usare un aggettivo caro ai filologi dell'Ottocento). Tali corruttele sono però più facili da individuare che da
emendare, ragione per cui molte delle «letture» che si sono succedute in oltre un secolo di critica filologica
sono il risultato delle interpretazioni personali dei vari autori e non sono necessariamente aderenti alle
effettive intenzioni del testo. La critica moderna è molto più cauta nell'emendare, integrare, spostare i passi
più problematici. Nella sezione antologica, abbiamo segnato, nelle note al testo, soltanto alcuni dei punti più
delicati del lavoro filologico. D'altra parte, dar conto puntualmente di ogni difficoltà di lettura avrebbe
richiesto un apparato critico molto più ingombrante e complicato, ben al di là delle nostre possibilità e
capacità.

Genere e metrica

La Vǫluspá  è essenzialmente un poema gnomico o sapienziale, in quanto diretto all'esposizione delle cose
profonde, alla conoscenza degli eventi primordiali e del destino finale del mondo. È un genere comune a
diversi altri testi eddici, tra cui la Vafþrúðnismál e il Grímnismál. Questi tre testi, presi insieme,
costituiscono un'ideale enciclopedia della sapienza mitologica nordica.

Il metro della Vǫluspá  è il fornyrðislag o «metro epico», il più comune della poesia nordica. Ogni strofa è
composta da quattro «versi pieni», ciascuno costituito a sua volta di due semiversi. In questa pagina, per
ragioni grafiche, i «versi lunghi» sono stati spezzati e i due semiversi posti su righe differenti; in altre parole,
le singole strofe, originariamente formate di quattro versi, appaiono qui disposte su otto righe, ciascuna
corrispondente a un semiverso. Ecco, per confronto, la versificazione rigorosa della strofa [1]:

Hljóðs biðk allar helgar kindir,


meiri ok minni mǫgu Heimdallar;
vildu at, Valfǫðr, vel fyr teljak
forn spjǫll fira, þaus fremst of man.

Edizioni italiane

Diverse sono state le traduzioni italiane della Vǫluspá che si sono succedute nel corso degli anni.
Escludendo le strofe scorporate presenti nelle antologie, o quelle citate da Snorri e presenti nelle traduzioni
della Prose Edda, la prima traduzione integrale – a nostra conoscenza – è quella presente nel libro I canti
dell'Edda, a cura di Olga Gogala di Leesthal, pubblicato nella collana «I grandi scrittori stranieri» dalla
UTET (Torino 1939). Intitolata Voluspa, è una traduzione metrica in quartine (o sestine) di endecasillabi, dal
tono quasi classicheggiante, ma suggestivo; sebbene non possa essere considerata una traduzione letterale, è
sorretta da un buon corredo di note.

Datemi ascolto, voi sacre stirpi,


potenti ed umili figli di Heimdall!
Di Odino debbo l'opre narrare,
di antiche storie che mi sovvengono.

Segue la traduzione di Alberto Mastrelli, nel libro L'Edda. Carmi norreni, nella collana «Classici della
religione», edita da Sansoni (Firenze 1951, 1982). Intitolata Volospa. La predizione dell'indovina, è in versi
liberi, con le coppie di semiversi «cucite» in versi interi, Abbastanza libera, ma rigorosa, fittamente
annotata.

Vi prego di ascoltarmi voi tutte, sacre stirpi,


maggiori o minori figli di Heimdall!
tu vuoi, Valfodhr, che io racconti compiutamente
antiche storie, le più antiche che ricordi.

Un'altra traduzione, con il titolo direttamente tradotto in Profezia della Veggente, è quella fornita da
Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, nell'antologia Il canzoniere eddico, edito da Garzanti (Milano
1982). Di nuovo versi liberi, sebbene i semiversi siano finalmente evidenziati, presenta un corredo di note
ridotto al minimo e non giustifica molte scelte, non sempre felici, nella traduzione.

Silenzio chiedo a tutte le divine genti,


piccole e grandi, progenie di Heimdallr!
Tu vuoi che io, o Valfodhr, narri compiutamente
le antiche storie del mondo, le cose che prima ricordo.

Dell'anno successivo, la traduzione fornita dall'antropologo Mario Polia, nell'edizione monografica Völuspá.


I detti di colei che vede, edita dall'editrice Il Cerchio (Rimini 1983). Finalmente abbiamo il testo originale
norreno a fronte della traduzione, e ogni singola strofa viene fatta seguire da un commento più o meno
ampio. La versificazione è libera, e le semistrofe sono riportate in a capo come fossero strofe intere. I
commenti risentono, sebbene in misura estremamente controllata, delle interpretazioni esoteriche dell'autore.

Ascolto io chiedo o tutte


sacre stirpi,
maggiori e minori
figli di Heimdallr;
tu vuoi, o Valföđr, che io
compiutamente racconti
le antiche storie dei viventi,
le prime (che) io ricordo.

L'edizione monografica definitiva viene alla luce soltanto negli ultimi anni, con il titolo Vǫluspá.
Un'apocalisse norrena, tradotta da Marcello Meli per la prestigiosa «Biblioteca Medievale» della Carocci
(Roma 2008). Letterale e rigorosa, ogni strofa è regolarmente suddivisa per semistrofe e accompagnata dal
testo originale. Sono segnalate le varianti testuali e il commento è a dir poco imponente.

«Silenzio io chiedo a tutti voi presenti,


maggiori e minori, figlioli di Heimdallr!»
Valfǫðr, tu vuoi che io come si deve racconti
l'antica storia delle creature che io remota rammento.

Ricordiamo infine, a titolo di curiosità, la libera traduzione in senari condotta da Claudia Maschio e Dario
Giansanti per il loro romanzo-saggio Viaggio irreale nella Scandinavia vichinga, recentemente edito da
QuiEdit (Verona 2011), liberamente scaricabile a questo link:
LJÓÐA EDDA
VǪLUSPÁ

LA PROFEZIA DELLA VEGGENTE

- Richiesta di ascolto (1)


- Ymir (2-3)
- La creazione del mondo (4-6)
- L'età dell'oro (7-8)
- La creazione dei nani (9-16)
- La creazione degli uomini (17-18)
- Le Norne (19-20)
- Gullveig (21-22)
- La guerra degli dèi (23-26)
- La fonte della sapienza (27)
- Óðinn e la Veggente (28-29)
- Le Valchirie (30)
- L'uccisione di Baldr (31-35)
- Visione degli inferi (36-39)
- La stirpe dei lupi (40-41)
- Tre galli annunciano il ragnarǫk (42-44)
- Gli ultimi giorni (45)
- Il richiamo del corno (46-49)
- L'attacco dei giganti (50-52)
- Il crepuscolo degli dèi (53-56)
- La fine del mondo (57-58)
- Rinascita del mondo: la nuova età dell'oro (59-64)
- Il giudizio finale (65-66)
- Note
 
Richiesta di ascolto
1 Hljóðs biðk allar Ascolto io chiedo a tutte
helgar kindir, le sacre stirpi,
meiri ok minni maggiori e minori
mǫgu Heimdallar; figli di Heimdallr.
vildu at, Valfǫðr, Tu vuoi che io, o Valfǫðr,
vel fyr teljak compiutamente narri
forn spjǫll fira, le antiche storie degli uomini
þaus fremst of man. quelle che prima ricordo.
Ymir
2 Ek man jǫtna Ricordo i giganti
ár of borna, nati in principio,
þás forðum mik quelli che un tempo
fædda hǫfðu; mi generarono.
níu mank heima, Nove mondi ricordo
níu íviði, nove sostegni
mjǫtvið mæran e l'albero misuratore, eccelso,
fyr mold neðan. che penetra la terra.
3 Ár vas alda, Al principio era il tempo,
þars Ymir byggði, Ymir vi dimorava.
vasa sandr né sær, Non c'era sabbia né mare
né svalar unnir; né gelide onde.
jǫrð fansk æva Non c'era terra
né upphiminn; né cielo in alto:
gap vas ginnunga, un vuoto si spalancava
en gras hvergi. e in nessun luogo erba”.
La creazione del
mondo
4 Áðr Bors synir Finché i figli di Borr
bjǫðum of ypðu, trassero su le terre,
þeir es Miðgarð loro che Miðgarðr
mæran skópu; vasta formarono.
sól skein sunnan Splendette da sud il sole
á salar steina; sulle pareti di pietra;
þá vas grund gróin allora si ricoprì il suolo
grænum lauki. di germogli verdi.
5 Sól varp sunnan, Con forza da sud il sole,
sinni mána, compagno della luna,
hendi enni hægri stese la mano destra
of himinjǫður; verso l'orlo del cielo.
sól þat né vissi, Il sole non sapeva
hvar hon sali átti; dov'era la sua casa;
stjǫrnur þat né vissu, le stelle non sapevano
hvar þær staði áttu; di avere una dimora;
máni þat né vissi, la luna non sapeva
hvat hann megins átti. qual era il suo potere.
6 Þá gengu regin ǫll Andarono allora tutti i potenti  
á rǫkstóla, ai seggi del giudizio,
ginnheilǫg goð, gli altissimi dèi,
ok gættusk of þat: e tennero consiglio:
Nótt ok niðjum alla notte e alle fasi lunari
nǫfn of gáfu, nome imposero;
morgin hétu al mattino dettero un nome
ok miðjan dag, e al mezzogiorno,
undorn ok aptan, al pomeriggio e alla sera
árum at telja. per contare gli anni.
L'età dell'oro
7 Hittusk æsir Convennero gli Æsir
á Iðavelli, in Iðavǫllr,
þeirs hǫrg ok hof loro che altari e templi
hátimbruðu; alti innalzarono;
afla lǫgðu, focolari accesero,
auð smíðuðu, crearono ricchezze,
tangir skópu tenaglie fabbricarono,
ok tól gerðu. ingegnarono utensili.
8 Teflðu í túni, Nel cortile giocavano a
teitir váru, scacchi;
vas þeim véttergis erano ricchi:
vant ór gulli, non sentivano affatto
unz þríar kómu mancanza d'oro.
þursa meyjar, Fino a quando tre giunsero,
ámátkar mjǫk, fanciulle di giganti
ór Jǫtunheimum. oltremisura possenti,
da Jǫtunheimr.
La creazione dei nani
9 Þá gengu regin ǫll Andarono allora tutti i potenti
á rǫkstóla, ai seggi del giudizio,
ginnheilǫg goð, gli altissimi dèi,
ok gættusk of þat, e tennero consiglio:
hvárt skyldi dverga chi dovesse dei dvergar
dróttir skepja le schiere foggiare
ór Brimis blóði dal sangue di Brimir
ok ór Bláins leggjum. e dagli ossi di Bláinn.
 
10 Þar vas Móðsognir Là Móðsognir era
mæztr af orðinn il più eccellente
dverga allra, fra tutti i dvergar
en Durinn annarr; e Durinn era secondo.  
þeir manlíkun Là, d'aspetto umano,
mǫrg of gerðu molti furono fatti,
dverga í jǫrðu, dvergar dalla terra;
sem Durinn sagði. come Durinn diceva.
 
11 Nýi ok Níði, Nýi e Níði,
Norðri, Suðri, Norðri, Suðri,
Austri, Vestri, Austri, Vestri,
Alþjófr, Dvalinn, Alþjófr, Dvalinn,
Bívǫrr, Bávǫrr, Bívǫrr, Bávǫrr,
Bǫmburr, Nóri, Bǫmburr, Nóri,
Ánn ok Ánarr, Ánn e Ánarr,
Ái, Mjǫðvitnir. Ái, Mjǫðvitnir.
 
12 Veigr ok Gandálfr, Veigr e Gandálfr,
Vindálfr, Þráinn, Vindálfr, Þráinn,
Þekkr ok Þorinn, Þekkr e Þorinn,
Þrór, Vitr ok Litr, Þrór, Vitr e Litr,
Nár ok Nýráðr, Nár e Nýráðr,
nú hefk dverga, ordunque i dvergar,
Reginn ok Ráðsviðr, Reginn e Ráðsviðr,
rétt um talða. doverosamente ho enumerato.
 
13 Fili, Kili, Fili, Kili,
Fundinn, Náli, Fundinn, Náli,
Heptivili, Heptivili,
Hannarr, Svíurr, Hannarr, Svíurr,
[Nár ok Náinn [Nár e Náinn
Nípingr, Dáinn, Nípingr, Dáinn,
Billingr, Brúni, Billingr, Brúni,
Bíldr ok Búri,] Bíldr e Búri,]
Frár, Hornbori, Frár, Hornbori,
Frægr ok Lóni, Frægr e Lóni,
Aurvangr, Jari, Aurvangr, Jari,
Eikinskjaldi. Eikinskjaldi.
 
14 Mál es dverga È tempo che i dvergar
í Dvalins liði della stirpe di Dvalinn,
ljóna kindum ai figli degli uomini,
til Lofars telja, fino a Lofarr enumeri.
þeir es sóttu Loro che arrancarono
frá salarsteini dal suolo roccioso,
aurvanga sjǫt dimora di Aurvangar,
til Jǫruvalla. fino a Jǫruvellir.
 
15 Þar vas Draupnir C'era a quel tempo Draupnir
ok Dólgþrasir, e Dólgþrasir,
Hár, Haugspori, Hár, Haugspori,
Hlévangr, Glói, Hlévangr, Glói,
[Dóri, Óri, [Dóri, Óri,
Dúfr, Andvari, ] Dúfr, Andvari,]
Skirvir, Virvir, Skirvir, Virvir,
Skáfiðr, Ái, Skáfiðr, Ái,
 
16 Álfr ok Yngvi, Álfr e Yngvi,
Eikinskjaldi, Eikinskjaldi,
Fjalarr ok Frosti Fjalarr e Frosti
Finnr ok Ginnarr; Finnr e Ginnarr.
þat mun æ uppi, Sarà ricordata a lungo
meðan ǫld lifir, finché gli uomini vivranno
langniðja-tal questa lista degli antenati
til Lofars hafat. fino a Lofarr.
La creazione degli
uomini
17 Unz þrír kómu Finalmente tre vennero
ór því liði da quella stirpe,
ǫflgir ok ástkir potenti e belli,
æsir at húsi, æsir, a casa.
fundu á landi Trovarono in terra,
lítt megandi senza forze,
Ask ok Emblu Askr ed Embla,
ǫrlǫglausa. privi di destino.
 
18 Ǫnd þau né áttu, Non possedevano respiro
óð þau né hǫfðu, né avevano anima,
lá né læti non calore vitale, non gesti
né litlu góða; né colorito.
ǫnd gaf Óðinn, Il respiro dette Óðinn,
óð gaf Hǿnir, l'anima dette Hǿnir,
lá gaf Lóðurr il calore vitale dette Lóðurr
ok litu góða. e il colorito.
Le Norne
19 Ask veitk standa, So che un frassino s'erge
heitir Yggdrasill chiamato Yggdrasill,
hár baðmr, ausinn alto albero asperso
hvíta auri; di bianca argilla.  
þaðan koma dǫggvar Di là viene la rugiada
þærs í dala falla; che cade nella valle,
stendr æ of grænn si erge sempre verde
Urðar brunni. su Urðarbrunnr.
 
20 Þaðan koma meyiar Da quel luogo vengono
margs vitandi fanciulle
þríar ór þeim sæ, di molta saggezza,
es und þolli stendr; tre, da quelle acque
Urð hétu eina, che sotto l'albero si stendono.
aðra Verðandi, Ha nome Urðr la prima,
skáru á skíði, Verðandi l'altra
Skuld ena þriðju. (sopra una tavola incidono
Þær lǫg lǫgðu, rune),
þær líf kǫru, Skuld quella ch'è terza.
alda bǫrnum, Queste decidono la legge,
ǫrlǫg seggja. queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini.
Gullveig
21 Þat man hon folkvíg Lei ricorda lo scontro
fyrst í haimi, primo nel mondo,
es Gullveigu quando Gullveig
geirum studdu urtarono con lance
ok í hǫll Háars e nelle sale di Hár
hána brendu, le dettero fuoco:
þrysvar brendu tre volte l'arsero,
þrysvar borna, tre volte rinacque,
opt ósjaldan, e altre tre volte,
þó hon enn lifir. ma è ancora in vita!
 
22 Heiði hétu, «Splendente» le misero nome:
hvars til húsa kom, dovunque venisse nelle case
vǫlu velspáa, indovina esperta in profezie,
vitti hon ganda; dava potere alle magiche
seið, hvars kunni, verghe;  
seið hug leikinn; incantò, dovunque poteva,
æ vas hon angan incantò i sensi,
illrar brúðar. sempre era la delizia
di spose malvagie.
La guerra degli dèi
23 Þá gengu regin ǫll Andarono allora tutti i potenti
á rǫkstóla, ai seggi del giudizio,
ginnheilǫg goð, gli altissimi dèi,
ok gættusk of þat, e tennero consiglio:  
hvárt skyldi æsir se avessero dovuto gli Æsir
afráð gjalda, un tributo pagare
eða skyldi goð ǫll o avessero gli dèi tutti
gildi eiga. diritto a un compenso.
 
24 Fleygði Óðinn Levava la lancia Óðinn  
ok í folk of skaut; e la scagliava nella mischia:
þas vas enn folkvíg quella fu la battaglia
fyrst í heimi; prima nel mondo;
brotinn vas borðveggr infranto il riparo di legno
borgar ása, della rocca degli Æsir
knáttu vanir vísgpá minacciosi poterono i Vanir
vǫllu sporna. porre il piede in campo
 
25 Þá gengu regin ǫll Andarono allora tutti i potenti
á rǫkstóla, ai seggi del giudizio,
ginnheilǫg goð, gli altissimi dèi,
ok gættusk of þat, e tennero consiglio:
hverr hefði lopt alt chi avesse l'aria tutta
lævi blandit avvolta di sventura
eða ætt jǫtuns e alla stirpe degli jǫtunn
Óðs mey gefna. dato la fanciulla di Óðr.
 
26 Þórr einn þar vá Solo Þórr si levò
þrunginn móði, terribile nell'ira:
hann sjaldan sitr, non pazientò un istante
es slíkt of fregn; quando apprese tali fatti.  
á gengusk eiðar, Si ruppero i patti,
orð ok særi, la parole e i voti,
mál ǫll meginlig, tutti i giuramenti
es á meðal fóru. fra loro stabiliti.
La fonte della sapienza
27 Veit hon Heimdallar Sa lei di Heimdallr
hljóð of folgit il fragore celato
und heiðvǫnum sotto il sacro albero
helgum baðmi; avvezzo all'aria tersa del
á sér hon ausask cielo.
aurgum forsi Su quello ella vede riversarsi
af veði Valfǫðrs. uno scrosciare d'acque
Vituð ér enn eða hvat? argillose
dal pegno pagato da Valfǫðr.
Volete saperne ancora?
Óðinn e la Veggente
28 Ein sat hon úti, Sola sedeva di fuori
þás enn aldni kom quando il vecchio giunse
yggjungr ása Yggjungr degli Æsir
ok í augu leit. e la fissò negli occhi.
“Hvers fregnið mik? “Che cosa mi chiedete?
hví freistið mín? Perché mi mettete alla prova?
Alt veitk, Óðinn, Tutto so io, Óðinn,
hvar auga falt dove un occhio celasti
í enum mæra là, nella famosa
Mímis brunni” Mímisbrunnr!”
drekkr mjǫð Mímir Beve Mímir l'idromele
morgin hverjan ogni mattino
af veði Valfǫðrs. sopra il pegno di Valfǫðr.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
 
29 Valði henni Herfǫðr Per lei Herfǫðr scelse
hringa ok men; anelli e collane,
fékk spjǫll spaklig sagge parole di ricchezza
ok spáganda; e la verga della profezia:
sá vítt ok of vítt vede lontano, lei, e oltre,
of verǫld hverja. in ogni mondo.
Le valchirie
30 Sá hon valkyrjur Vide, lei, le Valkyrjur
vítt of komnar, venire da lontano,
gǫrvar at ríða pronte a cavalcare
til Goðþjóðar. verso il popolo dei Goti.
Skuld helt skildi, Skuld teneva lo scudo,
en Skǫgul ǫnnur, seconda era Skǫgul,
Gunnr, Hildr, Gǫndul Gunnr, Hildr, Gǫndul
ok Geirskǫgul; e Geirskǫgul.
nú eru talðar Ora ho elencato
nǫnnur Herjans, le fanciulle di Herjan,
gǫrvar at ríða pronte a cavalcare
grund valkyrjur. la terra, le Valkyrjur.
L'uccisione di Baldr
31 Ek sá Baldri, Io vidi per Baldr
blóðgum tívur, un sacrificio di sangue;
Óðins barni, per il figlio di Óðinn
ørlǫg folgin; il celato destino.  
stóð of vaxinn Ritto cresceva
vǫllum hæri alto sui campi
mær ok mjǫk fagr esile e molto bello
mistilteinn. un ramoscello di vischio.
 
32 Varð af meiði, Venne su da quel ramo
þeims mær sýndisk, che esile mi parve
harmflaug hættlig, un terribile dardo di dolore.
Hǫðr nam skjóta. Hǫðr lo scagliò.
Baldrs bróðir vas Era il fratello di Baldr
of borinn snimma, nato precocemente;
sá nam Óðins sonr il figlio di Óðinn
einnættr vega. vecchio di una notte
combatté.
 
33 Þó hann æva hendr Non lavò mai le mani
né hǫfuð kembði, né si pettinò il capo
áðr á bál of bar finché non trascinò sul rogo
Baldrs andskota. il nemico di Baldr.
En Frigg of grét Ma Frigg pianse
í Fensǫlum in Fensalir
vá Valhallar. il dolore di Valhǫll.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
 
34 [Þá kná Vála [E Váli poterono legare
vígbǫnd snúa con ceppi di battaglia.
heldr váru harðgǫr Molto vennero stretti
hǫpt ór þǫrmum.] i lacci di budello.]
 
35 Hapt sá hon liggja Legato lei vede giacere
und Hveralundi sotto il bosco di Hveralund
lægjarns líki l'infausta figura
Loka áþekkjan; simile a Loki.  
þar sitr Sygyn Là siede Sigyn
þeygi of sínum presso il suo sposo
veri vel glýjuð. per nulla entusiasta.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
Visione degli inferi
36 Á fellr austan Scroscia un fiume da oriente
of eitrdala per valli di gelido veleno,
sǫxum ok sverðum, con daghe e con spade,
Slíðr heitir sú. Slíðr è chiamato.
 
37 Stóð fyr norðan Sta verso nord
á Niðavǫllum nelle Niðavellir
salr ór golli la corte d'oro
Sindra ættar, della stirpe di Sindri;
en annarr stóð ma una seconda si trova
á Ókólni, in Ókólnir
bjórsalr jǫtuns, sala da birra del gigante
en sá Brimir heitir. che è chiamato Brimir.
 
38 Sal sá hon standa Una sala vidi ergersi
sólu fjarri lontana dal sole
Nástrǫndu á, in Nástrandir,
norðr horfa dyrr; le porte rivolte a nord.
fellu eitrdropar Gocce di veleno cadono
inn of ljóra, dentro, dal tetto:
sá 's undinn salr questa sala è un intreccio
orma hryggjum. di dorsi di serpenti.
 
39 Sá hon þar vaða Vide lei in quel luogo guadare
þunga strauma difficili correnti
menn meinsvara uomini spergiuri
ok morðvarga ed assassini
ok þanns annars glepr e chi seduce di un altro
eyrarúnu. la consorte.
Þar sýgr Níðhǫggr Là succhia Níðhǫggr
nái framgengna; i corpi dei trapassati,
slítr vargr vera. il lupo strazia gli uomini.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
La stirpe dei lupi
40 Austr sat en aldna A oriente la vecchia
í Járnviði vive in Járnviðr
ok fæddi þar e ivi partorisce
Fenris kindir; la prole di Fenrir.
verðr af þeim ǫllum Verrà fra tutti loro
einna nǫkkurr l'unico e solo
tungls tjúgari divoratore della luna
í trolls hami. in aspetto di trǫll.
 
41 Fylliz fjǫrvi Sazio della vita
feigra manna, dei condannati,
ryðr ragna sjǫt arrossa i seggi divini
rauðum dreira; con sangue scarlatto.
svart var þa sólskin Si oscura la luce del sole
of sumur eptir nelle estati venture:
veðr ǫll válynd. il tempo minaccia.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
Tre galli annunciano
il ragnarǫk
42 Sat þar á haugi Là siede sul colle
ok sló hǫrpu e suona l'arpa
gýgjar hirðir, il custode della gigantessa
glaðr Eggþér; il lieto Eggþér.
gól of hánum Canta vicino a lui
í gaglviði nel bosco degli uccelli
fagrrauðr hani, un gallo rosso splendente
sás Fjalarr heitir. che Fjalarr è chiamato.
 
43 Gól of ásum Canta tra gli Æsir
Gullinkambi, Gullinkambi,
sá vekr hǫlða gli eroi ridesta
at Herjafǫðrs, nella dimora di Herjafǫðr.  
en annarr gól Ma un altro ancora canta
fyr jǫrð neðan giù sotto terra,
sótrauðr hani gallo rosso fuliggine
at sǫlum Heljar. nelle sale di Hel.
 
44 Geyr Garmr mjǫk Feroce latra Garmr
fyr Gnipahelli, dinanzi a Gnipahellir:
festr mun slitna, i lacci si spezzeranno
en freki rinna, e il lupo correrà.
fjǫlð veitk fræða, Molte scienze ella conosce:
framm sék lengra da lontano scorgo
of ragna rǫk, il destino degli dèi,
rǫmm sigtíva. possenti divinità di vittoria.
Gli ultimi giorni
45 Bræðr munu berjask I fratelli si aggrediranno
ok at bǫnum verðask, e alla morte giungeranno,
munu systrungar tradiranno i cugini
sifjum spilla, i vincoli di stirpe,
hart 's í heimi, prova dura per gli uomini,
hórdómr mikill, immane l'adulterio.
skeggǫld, skalmǫld, Tempo di asce, tempo di
skildir klofnir, spade
vindǫld, vargǫld, s'infrangeranno scudi,
áðr verǫld steypisk tempo di venti, tempo di lupi,
[Grundir gjalla prima che il mondo crolli.
gífr fljúgandi.] [Strepita il suolo;
mun engi maðr volano via le streghe.]
ǫðrum þyrma. Neppure un uomo
un altro ne risparmierà.
Il richiamo del corno
46 Leika Míms synir, S'agitano i figli di Mímir;
en mjǫtuðr kyndisk si compie il destino
at enu gamla al suono del possente
Gjallarhorni, Gjallarhorn.
hátt blæss Heimdallr, Forte soffia Heimdallr,
horn 's á lopti; il corno è nell'aria.
mælir Óðinn Discorre Óðinn
við Mímis hǫfuð. con la testa di Mímir.
 
47 Skelfr Yggdrasils Trema di Yggdrasill,
askr standandi, il frassino eretto,
ymr aldit tré, geme l'antico albero,
en jǫtunn losnar; lo jǫtunn è libero.
hræðask allir Tutti temono
á helvegum sulla strada degli inferi,
áðr Surtar þann che la stirpe di Surtr
sevi of gleypir. li inghiotta.
 
48 Hvat 's með ásum? Che accade tra gli Æsir?  
hvat 's með álfum? Che accade tra gli Álfar?
gnýr allr Jǫtunheimr, Risuona tutto Jǫtunheimr,
æsir 'ro á þingi, gli Æsir sono a consiglio.
stynja dvergar Gemono i dvergar
fyr steindurum alle soglie di pietra,
veggbergs vísir. delle rupi esperti.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
 
49 Geyr Garmr mjǫk Feroce latra Garmr
fyr Gnipahelli, dinanzi a Gnipahellir:
festr mun slitna, i lacci si spezzeranno
en freki rinna, e il lupo correrà.  
fjǫlð veitk fræða, Molte scienze ella conosce:
framm sék lengra da lontano scorgo
of ragna rǫk, il destino degli dèi,
rǫmm sigtíva. possenti divinità di vittoria.
L'attacco dei giganti
50 Hrymr ekr austan, Da est viene Hrymr,
hefsk lind fyrir, con lo scudo innanzi;
snýsk Jǫrmungandr si attorce Jǫrmungandr
í jǫtunmóði; nello jǫtunmóðr.
ormr knýr unnir, Il serpente flagella le onde,
en ari hlakkar, mentre l'aquila stride:
slítr nái niðfǫlr; dilania i cadaveri, pallida.
Naglfar losnar. Naglfar salpa.
 
51 Kjǫll ferr austan, Da est avanza una chiglia:
koma munu Múspells verranno di Múspell
um lǫg lyðir, sul mare le genti,
en Loki styrir; e Loki tiene il timone.
fara fífls megir Avanzano i mostruosi figli
með freka allir, tutti insieme con il lupo.
þeim er bróðir Con loro è il fratello
Býleipz í fǫr. di Býleistr in viaggio.
 
52 Surtr ferr sunnan Surtr viene da sud
með sviga lævi, col veleno dei rami.
skínn af sverði Splende la spada,
sól valtíva; sole degli dèi caduti.
grjótbjǫrg gnata, Le rocce si frangono,
en gífr rata, crollano gigantesse;
troða halir helveg, gli uomini vanno Hel,
en himinn klofnar. il cielo si schianta.
Il crepuscolo degli dèi
53 Þá kømr Hlínar Ecco viene a Hlín
harmr annarr framm, un secondo lutto,
es Óðinn ferr quando Óðinn va
við ulf vega, a combattere il lupo,
en bani Belja e l'uccisore di Beli
bjartr at Surti; affronta, fulgido, Surtr.
þá mun Friggjar Ecco di Frigg
falla angan. abbattuta la gioia.
 
54 Geyr Garmr mjǫk Feroce latra Garmr
fyr Gnipahelli, dinanzi a Gnipahellir:  
festr mun slitna, i lacci si spezzeranno
en freki rinna. e il lupo correrà.
 
55 Þá kømr enn mikli Va il figlio di Óðinn
mǫgr Sigfǫður, a combattere col lupo,
Víðarr vega Víðarr combatte
at valdýri; la bestia dei morti.
lætr hann megi Hveðrungs Al figlio di Hveðrungr
mund um standa con le mani la spada
hjǫr til hjarta; conficca fino al cuore.
þá 's hefnt fǫður. Così il padre è vendicato.
 
56 Þá kømr enn mæri Ecco viene il famoso
mǫgr Hlǫðvinjar figlio di Hlóðyn,
gengr Óðins sonr s'avanza il figlio di Óðinn
við úlfr vega a combattere il lupo
   [ormi mæta].    [a contrastare il serpente].
Drepr af móði Infuriato colpisce
Miðgarðs véurr; il difensore di Miðgarðr:
munu halir allir tutti gli uomini dovranno
heimstǫð ryðja; sgombrare il mondo.
gengr fet níu Nove passi va
Fjǫrgynjar burr il figlio di Fjǫrgyn,
neppr frá naðri, stremato, dal serpe
níðs ókvíðinn. che disonore non merita.
La fine del mondo
57 Sól tér sortna, Il sole si oscura
sigr fold í mar, la terra sprofonda nel mare,
hverfa af himni cadono dal cielo
heiðar stjǫrnur; le stelle lucenti.
geisar eimi Erompe il vapore
ok aldrnari; e chi nutre la vita;
leikr hár hiti gioca alta la vampa
við himin sjalfan. con il cielo stesso.
 
58 Geyr Garmr mjǫk Feroce latra Garmr
fyr Gnipahelli, dinanzi a Gnipahellir:
festr mun slitna, i lacci si spezzeranno
en freki rinna, e il lupo correrà.  
fjǫlð veitk fræða, Molte scienze ella conosce:
framm sék lengra da lontano scorgo
of ragna rǫk, il destino degli dèi,
rǫmm sigtíva. possenti divinità di vittoria.
Rinascita del mondo:
la nuova età dell'oro
59 Sér hon upp koma Affiorare lei vede
ǫðru sinni ancora una volta
jǫrð ór ægi la terra dal mare
iðjagræna; di nuovo verde.  
falla forsar, Cadono le cascate,
flýgr ǫrn yfir, vola alta l'aquila,
sás á fjalli lei che dai monti
fiska veiðir. cattura i pesci.
 
60 Finnask æsir Si ritrovano gli Æsir
á Iðavelli in Iðavǫllr,
ok of moldþinur e del serpente intorno al
mátkan dæma, mondo
[ok minnask þar possente, ragionano,
á megindóma] [e rammentano là
ok á Fimbultýs le grandi imprese,]
fornar rúnar. e di Fimbultýr
le antiche rune.
 
61 Þar munu eptir Lì di nuovo
undrsamligar meravigliose
gollnar tǫflur le scacchiere d'oro
í grasi finnask, si ritroveranno nell'erba.
þærs í árdaga Eran quelle che anticamente
áttar hǫfðu. avevano posseduto.
 
62 Munu ósánir Cresceranno non seminati
akrar vaxa; i campi;
bǫls mun alls batna ogni male guarirà,
mun Baldr koma; farà ritorno Baldr.
búa Hǫðr ok Baldr Abiteranno Hǫðr e Baldr
Hropts sigtoptir le vittoriose rovine di Hroptr,
vel valtívar, felici dèi guerrieri.
vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
 
63 Þá kná Hǿnir Allora Hǿnir
hlautvið kjósa l'aspersorio sceglierà,
ok burir byggva e i figli abiteranno
bræðra tveggja dei due fratelli
vindheim víðan. l'ampio mondo del vento.
Vituð ér enn eða hvat? Volete saperne ancora?
 
64 Sal sér hon standa Vede lei ergersi una corte
sólu fegra, più bella del sole,
golli þakðan, d'oro ricoperta,
á Gimléi; in Gimlé.  
þar skulu dyggvar Là abiteranno
dróttir byggva schiere di giusti
ok of aldrdaga e per sempre
ynðis njóta. vivranno felici.
Il giudizio finale
65 [Þá kømr enn ríki [Allora viene il potente
at regindómi al suo regno,
ǫflugr ofan, il forte dall'alto
sá 's ǫllu ræðr.] che tutto governa.]
 
66 Þar kømr enn dimmi E viene di tenebra,
dreki fljúgandi, il drago che vola,
naðr fránn neðan il serpe scintillante
frá Niðafjǫllum; dai monti Niðafjǫll.
berr sér í fjǫðrum Porta tra le sue ali,
flýgr vǫll yfir sulla pianura vola,
Níðhǫggr nái; Níðhǫggr, i morti.
nú mun hon sǫkkvask Ora lei si inabissa.

NOTE

1 ― (a) Hljóðs biðk «ascolto io chiedo», esordisce la vǫlva, con formula solenne e imperiosa, ché tra poco la
grande profezia svolgerà i fili del tempo e scioglierà i nodi del destino. È probabilmente la stessa formula
che veniva utilizzata nel þing, nelle assemblee vichinghe, per imporre il silenzio e richiamare l'attenzione dei
presenti, e che riecheggia con forza l'antica formula omerica kéklute óphr' éipō «ascoltate affinché io
dica» (Polia 1983). ― (d) L'espressione «figli di Heimdallr» per indicare le «sacre stirpi» [helgar kindir]
degli uomini, richiama il mito riferito nel Rígsþula dove alla discendenza di Heimdallr si riconducono i
capostipiti delle tre classi sociali. ― (e) Valfǫðr, «Padre dei caduti», è epiteto di Óðinn. 

2 ― (d) Fædda hǫfðu è letteralmente «mi diedero cibo», ma forse è da intendere con «mi generarono». ―
(f) Questo verso è di ardua traduzione. Secondo l'interpretazione condivisa dalla maggior parte degli
studiosi, quel níu í viði si riferirebbe appunto ai «nove sostegni» dei mondi (cfr. viðjur «radici, travi»
< viðr «bosco, legna»); non mancano però le voci dissenzienti: alcuni pensano che la frase sia da leggere níu
íviði «nove specie di creature»; Sir George W. Cox è riandato all'antico svedese inviþir e ha interpretato, un
po' fantasiosamente, «l'insieme di tutti gli esseri, del mondo dei vivi e del mondo dei morti». In tutti i casi si
tratta di una visione dell'universo riassunto nella sua stabilità e nella sua totalità (Cox 1870). ― (g) La
parola mjǫtviðr è una delle più delicate dell'intera letteratura mitologica norrena. È stata qui resa con «albero
misuratore», da «albero [viðr] delle misure [mjǫt]».

Quest'ultima parola è connessa col norreno meta «misurare», da cui mjǫtuðr «giudice, governatore,


dispensatore del fato» (cfr. gotico mitan, antico alto tedesco mezzan, tedesco messen,
anglosassone metan «misurare»; ma anche latino medeor «misuro» e meditari «meditare»). S'intende
probabilmente il frassino Yggdrasill come asse e impalcatura del cosmo, i cui rami e radici formano gli assi
[viðjur] che reggono i mondi e ne misurano il tempo [SAGGIO]. 

3 ― Questa strofa della Vǫluspá  possono essere agevolmente messa a confronto con alcuni versi
del Wessobrunner Gebet, la «Preghiera di Wessobrunn», un testo in antico alto tedesco proveniente
dall'omonimo monastero bavarese, composto intorno al 775. Un brano della preghiera così suona:

Dat gafregin ih mit firahim iriuuizzo meista. Questo appresi tra gli uomini, il sommo prodigio.
Dat ero ni uuas noh ufhimil, Che non era la terra, né il cielo in alto,
noh paum noh pereg ni uuas, non era albero, né monte,
ni [sterro] nohheinig noh sunna ni scein, né [stella] alcuna, né il sole splendeva,
noh mano ni liuhta, noh der maręo seo. né la luna brillava, né il lucente mare.

Wessobrunner Gebet

Entrambi i brani descrivono lo stato precedente la creazione in termini negativi: attestando l'originaria
inesistenza degli enti e delle sostanze che compongono il nostro universo. Si precisa dunque che in principio
non esistevano né il cielo, né la terra, non vi erano alberi, monti e mari, né splendevano il sole e la luna, e
via dicendo. È in questo stadio negativo che subentra quindi la creazione: sia essa la complessa cosmogonia
pagana descritta nella Vǫluspá, o la creatio ex nihilo operata dal Dio cristiano nel Wessobrunner Gebet. La
somiglianza formale tra i due brani è impressionante. Il verso di Vǫluspá [3c-3d], «non c'era sabbia né mare
| né gelide onde» [vasa sandr né sær, | né svalar unnir], richiama il «né il lucente mare» [noh der mareo
seo] di Wessobrunner Gebet  [5]. Il verso successivo [3e-3f], «terra non si distingueva | né cielo in alto»
[jǫrð fansk æva | né upphiminn], è vicinissimo a Wessobrunner Gebet [2] «che non era la terra, né il cielo in
alto» [ero ni uuas noh ufhimil]. La somiglianza formale dei due brani, a volte addirittura letterale (per «cielo
in alto» troviamo l'identico composto ufhimil in anticoaltotedesco e uphiminn in islandese), ha indotto gli
studiosi a ipotizzare l'esistenza, in tempi remoti, di un poema germanico della creazione i cui esiti siano
confluiti, separatamente, nelle due composizioni: il poema pagano islandese, la preghiera cristiana alto-
tedesca. ― (a) Ár significa «una volta» (latino olim), ed è una parola frequente all'inizio dei poemi eddici (la
ritroveremo in: Hymiskviða [1], Rígsþula [1], Atlakviða in
grǿnlenzka [1], Guðrúnarkviða [1], Sigurðarkviða [1]). Ár vas alda, letteralmente «una volta era il tempo»
(ǫld è «tempo, età, epoca), può essere tradotto «in principio» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). ― (a-b) I primi
due semiversi, nella versione citata da Snorri, suonano in altro modo: «Al principio era il tempo | quando
nulla esisteva» [Ár var alda | það er ekki var] (Gylfaginning [4 {5}]). Probabilmente Snorri attinse a una
versione della Vǫluspá diversa da quella attestata nei due manoscritti a noi pervenuti. 
4 ― (a) La Vǫluspá non fornisce i nomi dei figli di Borr. È Snorri ad affermare che essi furono Óðinn e i
suoi fratelli Vili e Vé (Gylfaginning [6d]). 

5 ― (e-j) Questi semiversi possono essere messi in relazione con la Preghiera di Wessobrunn [4-5],
laddove dice: «né [stella] alcuna, né il sole splendeva, né la luna brillava» [ni [sterro] nohheinig noh sunna
ni scein, noh mano ni liuhta]. Addirittura, la parola sterro «stella», assente nel manoscritto
del Wessobrunner Gebet, è stata proposta dai filologi in base al confronto col poema eddico. Analogamente,
nel citare questa strofa, Snorri omette i primi due semiversi ma cita questi ultimi sei semiversi, seppure
invertendo l'ordine col quale vengono elencati gli ultimi due luminari: nella citazione di Snorri viene prima
il sole, poi la luna e poi le stelle (Gylfaginning [8 {10}]). 

7 ― (b) Iðavǫllr: «campo del vortice, campo-torto», campo al centro di Ásgarðr dove gli dèi decisero per la
prima volta l'ordinamento del loro regno e, dunque, di tutto il mondo. Qui si riuniranno di nuovo
gli Æsir  sopravvissuti al ragnarǫk all'inizio del ciclo che verrà, per stabilire il nuovo ordine cosmico. Il
riferimento al «vortice», simbolo di inizio e di fine, oltre che metafora astronomica della rotazione del cielo,
insieme al fatto che Iðavǫllr sia l'unica parte di Ásgarðr che non verrà distrutta, ne suggeriscono
l'identificazione con il nord celeste o con una proiezione terrestre di esso. La stella polare è infatti il punto
del cielo che, pur cambiando posizione a causa della precessione degli equinozi, rappresenta in ogni epoca il
centro della rotazione celeste, dunque il «vortice» che emana il movimento e dà ordine al cosmo. 

8 ― (f) Non è molto chiaro chi fossero le «tre fanciulle di giganti» [þríar þursa meyjar]; sicuramente
corrispondono a quelle che Snorri indica come donne «venute da Jǫtunheimr» [kómu ór
Jǫtunheimum] (Gylfaginning [14b]). Non si può tuttavia dir molto sulla loro identità. Karl Müllenhoff ritiene
si tratti le tre Nornir, di cui si parla nel capitolo successivo [15] del testo di Snorri (Müllenhoff 1908),
seguito in questo da Giorgio Dolfini, che commenta in tal senso la sua traduzione (Dolfini 1975), ma senza
una reale certezza. Si tratta del rimasuglio di un mito perduto, probabilmente non chiaro allo stesso
Snorri. 

9 ― (g-h) I nomi Brimir e Bláinn sembrano essere epiteti di Ymir. Questa strofa è chiusa da una
doppia kenning in quanto «sangue di Brimir» è metafora per significare il mare, e «ossa di Bláinn» per
indicare le pietre. 

10 ― (e-h) Questa strofa presenta qualche problema d'interpretazione. In genere viene interpretata nel senso
che gli dèi crearono i dvergar dalla terra, ma altri ritengono che siano i dvergar stessi il soggetto della frase.
Ad esempio Bugge interpreta: «I nani fecero molti fantocci nella terra» a cui gli dèi avrebbero poi infuso il
soffio vitale (Bugge 1881 | Polia 1883). Non è ben chiaro, in questo caso, chi fossero i «fantocci» creati dai
nani. Tantopiù che Snorri dà una spiegazione molto ragionevole del passo:

Þar næst settust goðin upp í sæti sín ok réttu dóma Poi gli dèi s'insediarono sui loro troni, si riunirono in
sína ok minntust, hvaðan dvergar hǫfðu kviknat í giudizio e ricordarono in che modo i dvergar
moldinni ok niðri í jǫrðunni, svá sem maðkar í avessero preso vita nel fango e sotto la terra, come i
holdi. Dvergarnir hǫfðu skipazt fyrst ok tekit vermi nella carne. I dvergar furono creati per primi e
kviknun í holdi Ymis ok váru þá maðkar, en af presero vita nella carne di Ymir, dove erano come
atkvæðum goðanna urðu þeir vitandi manvits ok vermi, tuttavia per decisione degli dèi ricevettero la
hǫfðu manns líki ok búa þó í jǫrðu ok í steinum. conoscenza del sapere umano e l'aspetto degli
uomini, e abitarono nella terra e nelle rocce.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [14]


Non vi è motivo di dubitare che questa sia la corretta interpretazione della creazione dei dvergar, che qui appaiono,
proprio in virtù della loro origine, legati per nascita alla terra e al fango. [ SAGGIO] 

11 ― Le strofe [11-16] costituiscono il cosiddetto «catalogo dei nani», una composizione probabilmente


indipendente inclusa nella Vǫluspá. La versione del «catalogo» fornita dal Codex Regius [R] presenta alcune
differenze, nei nomi e nell'ordine dei dvergar, con la versione presente nell'Hauksbók [H]; l'una e l'altra
presentano a loro volta altre differenze con la redazione citata da Snorri (Gylfaginning [14 {17-20}]). Le varie
redazioni discendono probabilmente da un antigrafo il quale dipendeva a sua volta dalle þulur, antichi
elenchi in versi dove si fornivano gli heiti (i nomi, gli epiteti o le definizioni poetiche) di cose, persone,
divinità o creature mitologiche. Per un'analisi dettagliata delle fonti rimandiamo alla pagina apposita
[MITI]. ― (d) Dopo Alþjófr e Dvalinn, la redazione H inserisce una serie di quattro nomi, non presenti
in R [«Nár e Náinn | Nípingr, Dáinn»], i quali appaiono però essere una duplicazione di una sequenza
che H riporta alla strofa [13]. ― (e) I nomi Bívǫrr e Bávǫrr compaiono in H e in Snorri nelle varianti
grafiche Bífurr e Báforr. ― (f) Il nome Bǫmburr compare in Snorri nella variante Bǫmbǫrr. ― (g-h) I
nani Ánn, Ánarr e Ái appartengono a una serie che i vari manoscritti di Snorri presentano in maniera
piuttosto difforme; il confronto tra le varie redazioni e le þulur mostra che la serie originaria doveva essere
formata dai nomi: Óri, Órinn, Óinn, Ónn e Ónarr [SAGGIO].

12 ― (b) Il nome Þráinn compare in Snorri nella variante Þróinn. ― (c) Il nome Þekkr, presente in R (e in


Snorri), viene sostituito in H da Þrár (forse, una variante del Þrór presente in [12b]). 

13 ― (b) In luogo del nome Náli compare in Snorri un Váli (la confusione è sorta forse per qualche legame
con la coppia formata da Váli e Nari, figli di Loki). ― (c) Heptivili («manico di lima») appare in H scisso in
due nomi distinti: Hefti e Fili («manico» e «lima»). Solo il secondo nome (Fili) è attestato separatamente
come il nome di un nano [13a]. ― (d) Hannarr viene sostituito in Snorri da Hárr. Invece, il
nome Svíurr compare in H nella variante Svíðr e in Snorri nella variante Svíarr. ― (e-h) Questi versi, gli
unici a riportare una sequenza di otto nomi [«Nár e Náinn | Nípingr, Dáinn, | Billingr, Brúni, | Bíldr e Búri»],
sono riportati unicamente in H, mancando in R e in Snorri.― (i) Il nome Hornbori, attestato nella
redazione R, viene sostituito da Fornbogi nella redazione H. 

14 ― (d) Nella parafrasi in prosa che Snorri fa di questa strofa (Gylfaginning [14f]), si parla dei Lofarr al
plurale, come nome complessivo di questa stirpe di dvergar. 

15 ― (b) Al nome Dólgþrasir, Snorri sostituisce Dólgþvari. ― (c) Al nome Hár, Snorri sostituisce Hǫrr.


Ad Haugspori, sostituisce invece Hugstari. ― (d) Il primo nome viene riportato come Hlévangr «campo
riparato» in R, ma come Hlévargr «lupo dei luoghi protetti» in H. La seconda forma sembra più ragionevole.
Snorri lo sostituisce con un nome affatto diverso: Hleðjólfr «lupo protettore». Il secondo nome compare
invece nella forma Glói in R, nella forma Glóinn in H e in Snorri.― (e-f) Questi due versi, che riportano una
breve sequenza di quattro nomi, sono presenti soltanto nella redazione di Snorri [«Dóri, Óri,
| Dúfr, Andvari»], mancando nei due codici della Vǫluspá.

16 ― (a) Snorri sostituisce Yngvi con Ingi. È più probabile sia quest'ultimo il nome originario del nano,
essendo Yngvi un epiteto di Freyr, quale progenitore della stirpe degli Ynglingar. ― (c-d) Questi due
semiversi, con una sequenza di quattro nomi [«Fjalarr e Frosti | Finnr e Ginnarr»] è attestata nel codice R,
ma manca in H. Anche Snorri, tuttavia, la riporta (seppur sostituendo Fjalarr con Falr). 

17 ― Le strofe [17-18] alludono alla creazione della prima coppia umana a partire da due alberi, un frassino
[askr] e un olmo [embla]. Così Snorri spiega il passo e descrive la scena:

Þá er þeir Bors synir gengu með sævarstrǫndu, Mentre i figli di Borr andavano lungo la riva del
fundu þeir tré tvau, ok tóku upp tréin ok skǫpuðu af mare trovarono due alberi, li raccolsero e li
menn. Gaf hinn fyrsti ǫnd ok líf, annarr vit ok mutarono in uomini. Il primo diede loro respiro e
hrǿring, þriði ásjónu, málit ok heyrn ok sjón; gáfu vita, il secondo ragione e movimento, il terzo
þeim klæði ok nǫfn. Hét karlmaðrinn Askr en konan aspetto, parola, udito e vista. Gli diedero poi vesti e
Embla, ok ólusk þaðan af mannkindin nomi. Il maschio si chiamò Askr, la femmina Embla
e nacque allora l'umanità.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [9b]

― (b) La Vǫluspá non chiarisce quale fosse la «stirpe» [liðr] da cui i tre dèi sarebbero giunti, così come non
si sa bene a quale «casa» faccia riferimento il testo. ― (d) È stato qui suggerito di emendare at húsi «a
casa» in at húmi «al mare», interpretando la scena come se si svolgesse sulla riva del mare. La correzione è
giustificata dal fatto che Snorri afferma che gli dèi andavano «lungo la riva del mare» [með sævarstrǫndu]
quando trovarono i due tronchi destinati a essere trasformati nella prima coppia umana. 

18 ― (e-g) Mentre la Vǫluspá attribuisce la creazione degli uomini alla triade Óðinn ~ Hǿnir ~ Lóðurr,


Snorri afferma che a compiere l'opera fossero stati in realtà «i figli di Bórr» (Gylfaginning [9b]). Tuttavia lo
stesso Snorri aveva precedentemente affermato che i figli
di Bórr fossero Óðinn ~ Vili ~ Vé (Gylfaginning [6d]) e alla loro opera aveva attribuito l'uccisione di Ymir e
la creazione del mondo. Sono stati naturalmente versati i proverbiali fiumi d'inchiostro per stabilire se la
triade della Vǫluspá (Óðinn ~ Hǿnir ~ Lóðurr) possa venire identificata o meno con quella fornita da Snorri
(Óðinn ~ Vili ~ Vé). [SAGGIO]► 

20 ― (c) Si è tradotto qui «da quelle acque» ma il testo originale dice sæ «mare». Difficile capire se si
intenda la fonte Urðarbrunnr o se bisogna invece immaginare uno specchio d'acqua assai più consistente alle
radici del frassino Yggdrasill. 

21 ― (c) L'episodio di Gullveig è particolarmente enigmatico, in quanto tutto ciò che sappiamo di questo
personaggio consiste in queste due strofe della Vǫluspá. Non vi sono altri riferimenti a Gullveig in tutta la
letteratura mitologica, e anche Snorri, nella sua opera, non ne fa alcun cenno. Si ritiene che il tentativo di
uccidere Gullveig abbia causato un dissidio tra gli Æsir e i Vanir, da cui una guerra tra le due stirpi divine (a
cui si accenna rapidamente nella strofa [24]); in realtà i due episodi potrebbero anche non avere nulla a che
fare l'uno con l'altro. ― (e) Hár «alto» è epiteto di Óðinn. 

25-26 ― Stando al racconto di Snorri (Gylfaginning [42]), dopo la guerra contro i Vanir,


gli Æsir ingaggiarono un gigante affinché ricostruisse le mura dell'Ásgarðr. Ma questi chiese come
pagamento il sole e la luna, e la dea Freyja, sposa di Óðr. Era stato Loki a consigliare agli dèi di accettare il
patto, convinto che il gigante non fosse riuscito a finire il lavoro nel tempo stabilito. Ma quando le mura
furono completate entro i termini, gli dèi ruppero il contratto e Þórr uccise il gigante. [MITO]► 

27 ― (b) Seguiamo qui l'interpretazione tradizionale secondo cui il «fragore celato» [hljóð of folgit] indichi
il Gjallarhorn, il corno destinato a suonare nel giorno di ragnarǫk e che Heimdallr, se tale interpretazione è
corretta, avrebbe nascosto alle radici del frassino Yggdrasill. ― (g) Valfǫðr «padre dei caduti»è un epiteto
di Óðinn. Per «pegno di Valfǫðr» si intende qui l'occhio ceduto da Óðinn in cambio di un sorso alla sorgente
di Mímisbrunnr, da cui sgorga l'acqua della sapienza. Mímir è appunto il guardiano di tale fonte. 

28 ― Questa breve descrizione della vǫlva, che sedeva sola «di fuori» [úti], va forse messo in relazione con
certe descrizioni presenti negli antichi testi, dove i veggenti erano presentati desti nella solitudine notturna
intenti a scrutare i fati. Si tratta forse della scena che dà l'avvio all'intera rappresentazione del
poema. Yggjungr «molto spaventoso» è epiteto di Óðinn, che guarda la vǫlva «negli occhi» [í augu senza
parlare, forse per provarne il potere. La vǫlva sostiene lo sguardo del dio e gli rivela di conoscere il suo più
geloso segreto: egli ha dato in pegno un occhio al saggio Mímir, custode della fonte della sapienza
di Mímisbrunnr. 

29 ― (a) Herfǫðr «padre degli eserciti» è epiteto di Óðinn. E la persona a cui avrebbe dato anelli e collane,
oltre alla verga della profezia, è naturalmente la stessa vǫlva. ― (b-d) Secondo questi versi, Herfǫðr (Óðinn)
avrebbe dato alla vǫlva: (1) anelli e collane, (2) sagge parole di ricchezza, (3) la verga della profezia
[spágandr]. Ma emendando spágandr  in spá ganda e adottando l'interpretazione del Neckel, la strofa
diventerebbe così: «Herfǫðr le diede anelli e collane, ottenne [in cambio] sagge parole di ricchezza e
profezie [ottenute tramite] la verga» (Neckel 1908 | Polia 1983). La correzione sembra chiarire lo scopo
della visita di Óðinn alla vǫlva, ma si tratta comunque di una forzatura che non aggiunge dettagli a quanto
già implicito nel resto del poema, che tratta comunque di una profezia lanciata dalla stessa veggente. 

30 ― (j) Herjan «capo degli eserciti» è, ancora una volta, epiteto di Óðinn. 

32 ― (e) Il fratello di Baldr di cui qui si parla è Váli figlio di Óðinn, che nacque appositamente per
vendicarne la morte. 

33 ― (d) Il nemico di Baldr è invece il cieco Hǫðr, che venne ucciso da Váli. ― (e) Frigg, sposa di Óðinn,
era la madre di Baldr. 

34 ― Questi versi vengono dal codice H, dove sostituiscono i primi quattro semiversi di quella che nel
codice R è la strofa [35]. ― (a) Il Váli di cui qui si parla, interpretando il testo secondo quanto afferma
Snorri, non sarebbe il summenzionato Váli figlio di Óðinn, ma Váli figlio di Loki, il quale venne trasformato
in lupo dagli dèi e sbranò il fratello Narfi. Con gli intestini di questi, gli dèi trassero i lacci con
cui Loki venne legato. Sigyn, sposa di Loki, gli rimase accanto. 

36 ― Il codice R considera la sequenza [36-37] un'unica strofa: gli studiosi sono però persuasi che si tratti
della giustapposizione di due strofe, di cui la prima [36] mutila. Tutto il gruppo di strofe [36-39] sembra
dare una vivida descrizione del mondo infero. 

37 ― Nell'ambito della veloce visione degli inferi presentata dalla Veggente, compaiono qui queste due
località, le Niðavellir, che, secondo quanto qui è detto, sembrano ospitare la corte dei dvergar (Sindri è
infatti nome di un dvergr, come risulta dalle þulur), e Ókólnir, dove si troverebbe la sala da birra del
gigante Brimir (apparentemente lo stesso citato nel verso [9g]). ― Snorri riporta una riscrittura in prosa di
questa strofa, con alcune varianti piuttosto interessanti:

Margar eru þá vistir góðar ok margar illar. Bazt er Allora vi saranno molti luoghi buoni e molti cattivi.
þá at vera á Gimlé á himni, ok allgott er til góðs Il migliore per abitarvi sarà Gimlé, nel cielo, ottimo
drykkjar þeim er þat þykkir gaman í þeim sal er per buone bevute, per coloro che là troveranno
Brimir heitir, hann stendr ok á himni [á Ókólni]. Sá piacere, in quella sala che si chiama Brimir e sta in
er ok góðr salr er stendr á Niðafjǫllum, gǫrr af cielo [a Ókólnir]. Sarà un buon luogo quello che si
rauðu gulli, sá heitir Sindri. Í þessum sǫlum skulu trova nei Niðafjǫll, fatto con oro rosso e che si
byggja góðir menn ok siðlátir. chiama Sindri. In quella dimora vivranno gli uomini
buoni e i giusti.

Snorri Sturluson: Prose Edda > Gylfaginning [52]

Mentre la Vǫluspá presenta le regioni di Niðavellir e Ókólnir nell'ambito di una visione dei luoghi infernali,


Snorri ne dà un'immagine affatto diversa: sale celesti deputate ad accogliere gli uomini giusti nel futuro
escatologico dopo il ragnarǫk. È possibile che nella versione del poema consultata da Snorri, questa strofa
fosse collocata verso la fine della composizione e si riferisse appunto ai tempi futuri. D'altra parte, se
le Niðavellir sono le «pianure oscure», un toponimo come Ókólnir «mai freddo» dà più l'idea di un luogo
accogliente, e non di una dimora di giganti collocata in gelide regioni infernali. Snorri comunque sembra
fraintendere il poema eddico, affermando che Brimir e Sindri siano i nomi delle due sale in questione, e non
il gigante e il nano a cui esse rispettivamente appartengono. Inoltre Snorri confonde le Niðavellir con
i Niðafjǫll, che costituiscono la regione infernale da cui emerge il serpente Níðhǫggr nella chiusa del
poema (Vǫluspá [66]). 

38 ― Le strofe [38-39] seguono la [43] nel codice H. ― (c) Nástrandir è la spiaggia dei morti, in Helheimr;


il palazzo descritto appartiene alla regina Hel. 

39 ― Secondo alcuni esegeti, questa strofa sarebbe pervenuta in forma corrotta, forse come
giustapposizione di due strofe mutile, di cui la prima comprenderebbe i primi semiversi [a-f], la seconda i
semiversi [g-j]. ― (g) Níðhǫggr è il serpente che giace alla radici del frassino Yggdrasill.
(Cfr. Grímnismál [34-35]).

40 ― Questa strofa e la successiva sono citate da Snorri (Gylfaginning [12 {13-14}]). ― (a) La vecchia che


abita in Járnviðr (la foresta dagli alberi di ferro) è forse Angrboða, madre del lupo Fenrir. I lupi sono dunque
la stirpe di Fenrir. ― (f) Tra di essi, il lupo Skoll è destinato, nel giorno di ragnarǫk, a ingoiare il sole. ―
(g) Tungl  significa letteralmente «luminare» (cfr. latino sidus), indicando indifferentemente il sole o la luna,
e i vari traduttori hanno proposto via via l'una o l'altra delle interpretazioni. Mario Polia traduce «sole»
segnalando in nota l'ambiguità del termine (Polia 1983); al contrario, Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli
traducono «astro» segnalando in nota che si tratta del sole (Scardigli ~ Meli 1982). Gianna Chiesa Isnardi
traduce invece «luna» (Isnardi 1975), così come Giorgio Dolfini (Dolfini 1975). La traduzione di tungl  con
«sole» potrebbe essere giustificata dal fatto che alcuni versi più sotto si parla del lupo destinato a divorare il
sole, ma il significato di «luna» è quello maggiormente attestato nella letteratura islandese, dove il termine
ha spesso sostituito il più poetico máni «luna» (Cleasby ~ Vigfússon 1874).

41 ― (e) L'oscurarsi del sole di cui qui si parla è un annuncio del fimbulvetr, il «terribile inverno», il tempo
di oscurità e malvagità che precederà il ragnarǫk. 

42 ― (d) Chi sia il «lieto» Eggþér, che in questi versi si presenta come custode o pastore, non ci è dato di
sapere. Si può solo arguire che le mandrie dei giganti fossero i lupi. 

44 ― (a-d) Questa strofa, quale cupo ritornello, si udrà altre tre volte, scandendo i tempi della catastrofe
cosmica. Garmr è il cane legato dinanzi alle porte di Helheimr, anch'esso destinato a sciogliersi quando sarà
il giorno di ragnarǫk. 

45 ― Con rapidi accenni e serrate allitterazioni, la vǫlva ci scaglia nel fimbulvetr, il «terribile inverno», il
tempo di gelo e di oscurità, di malvagità e depravazione, che culminerà nella distruzione universale
del ragnarǫk. Il mitema del crollo morale dell'umanità, nei tempi finali, è presente in molte culture diverse
compresa quella cristiana. La più antica attestazione di questo motivo si trova nella mitologia indù, in cui
il Kaliyuga, l'epoca finale dell'intero ciclo temporale, è caratterizzata dalla totale perdita di ogni senso
morale e legge religiosa, perdita che, a partire dai nostri tempi, si farà sempre più accentuata man mano che
il ciclo procederà verso la sua conclusione. È anche lo stesso motivo presente nelle Érga kaì
Hēmérai  di Hēsíodos, in cui la storia cosmica è vista come una progressione di età (dell'oro, dell'argento, del
bronzo, del ferro) di cui l'ultima – la nostra – è caratterizzata da un'umanità singolarmente priva delle virtù e
del valore dei tempi precedenti. 

46 ― (a) I figli di Mímir [Míms synir] sono i giganti. C'è un lugubre senso di gioia in questo loro agitarsi,
ché sanno che la battaglia contro gli dèi è ormai vicina. 

47 ― (d) Il gigante che si scioglie è Loki, che avevano lasciato legato nella sua caverna con le budella di
suo figlio. ― (g) «Stirpe di Surtr» è una kenning per indicare le fiamme dell'incendio universale,
essendo Surtr il guardiano del Múspellsheimr. 

50 ― (a) Hrymr è il re dei giganti di ghiaccio, che guida le schiere di Jǫtunheimr. ― (c) Jǫrmungandr è il
serpente che circonda il mondo. ― (g) L'aquila è forse Hræsvelgr, che crea i venti col battito delle sue ali.
― (h) Naglfar è la nave dei morti. 
51 ― (b) Da est (ma forse sarebbe più logico da sud) arrivano i «figli di Múspell», i giganti di fuoco
deputati alla distruzione del mondo. ― (d) Il lupo che li precede è Fenrir. ― (e-f) Loki, fratello di Býleistr, è
il loro timoniere. 

52 ― (a) Surtr è il re dei giganti di fuoco. ― (b) Il «veleno dei rami» [sviga lævi] è una
trasparente kenning per indicare il fuoco. 

53 ― (a) Hlín è Frigg, qui chiamata col nome di una delle sue ancelle (o forse si tratta di due personaggi in
origine concidenti). ― (c-d) Sposo di Hlín/Frigg è Óðinn, che combatte contro il lupo Fenrir e muore nello
scontro. ― (e) L'«uccisore di Beli» è Freyr: si getta a mani nude contro Surtr ma non ha miglior fortuna. 

55 ― (b) Sigfǫðr «Padre di vittoria» è epiteto di Óðinn. ― (c) Suo figlio Víðarr uccide Fenrir con la spada


vendicando il padre. ― (e) Hveðrungr è probabilmente un epiteto di Loki padre di Fenrir. 

56 ― Spetta a Þórr, difensore di Miðgarðr, scendere a battaglia contro Jǫrmungandr, il serpente che


circonda il mondo. Riesce a ucciderlo, ma subito muore intossicato dal
veleno. ― (b | j) Hlóðyn e Fjǫrgyn sono due epiteti di Jǫrð, dea della terra, madre di Þórr. ― (d) Si noti che
il testo del Codex Regius [R] ha qui in realtà við úlfs vega «a uccidere il lupo», non il serpente. Si tratta
probabilmente di un errore sorto per confusione tra Þórr e Víðarr, prima citato. Il testo viene generalmente
emendato in  ormi mæta «a contrastare il serpente». Snorri, nella sua versione, ricombina la strofa,
eliminando i problematici semiversi [c-d] e sostituendoli con i due semiversi finali. 

57 ― (f) «Quel che alimenta la vita» è una kenning per indicare il fuoco. Dunque la frase è da intendere
«sibila il vapore con il fuoco», nell'incendio che mette fine al mondo. 

60 ― (e-f) Questi due semiversi mancano nel codice R ma sono presenti in H. ― (g) Fimbultýr «dio
terribile» è un epiteto di Óðinn. 

61 ― (a) Mentre il codice R scrive il primo semiverso: «Là di nuovo...» [Þar muno eptir], il
codice H riporta con piccola variazione: «Allora gli Æsir...» [Þá muno æser]. 

62 ― (f) Hroptr è un epiteto di Óðinn. 

63 ― (d) Chi sono i «figli dei due fratelli» [burir [...] bræðra tveggja]? Difficile dirlo. Secondo
alcuni Hǫðr e Baldr, i quali tuttavia erano fratelli tra loro e non cugini. Secondo altri sarebbero
invece Hǿnir e Lóðurr, ipotesi piuttosto fragile in quanto nulla si può dire sulla parentela di questi due
personaggi. Bellows interpreta «i figli dei fratelli di Tveggi», essendo questo uno degli epiteti
di Óðinn (Bellows 1923). Poiché i fratelli di Óðinn sono Vili e Vé, ci si può chiedere chi siano i figli di
costoro. ― (e) Il «mondo del vento» [vindheim] è forse da intendere come il cielo, o come l'atmosfera?
Oppure è una kenning per indicare il mondo stesso, percorso dal vento? 

65 ― Questa breve strofa, formata da soli quattro semiversi è assente nel codice R e attestata unicamente
nel codice H, senza alcuna indicazione della presenza di una lacuna. Tardi manoscritti aggiungono altri
quattro semiversi, registrati da Henry Bellows: «Lui stabilisce le regole | e fissa i diritti, | ordina le leggi | che
sempre vivranno» (Bellows 1923). ― (a) Questo «potente» [enn ríki] che compare nella penultima strofa, fa
naturalmente pensare all'immagine del Cristo che compare sulle nubi, nel giorno del Giudizio.

66 ― Tutta l'ultima strofa, che alcuni ritengono interpolata nel testo, è di difficile interpretazione. Perché è il
serpente Níðhǫggr a chiudere il poema? E perché porta i morti tra le sue ali? È una visione che appartiene al
futuro escatologico o va collocata al presente in cui la vǫlva narra la sua profezia?― (h) Si ritiene che a
inabissarsi, nell'ultimissimo verso del poema, sia appunto la vǫlva, anche se in molte traduzioni hon «ella»
viene emendato con hann «egli» e l'inabissamento finale viene riferito a Níðhǫggr. Ma che possa essere
la veggente (e non il serpente) a inabissarsi, è forse giustificato dal Baldrs Draumar, dove si narra di
come Óðinn fosse sceso nel regno dei morti e con un canto magico avesse tratto fuori una morta vǫlva dal
suo tumulo affinché interpretasse i funesti sogni che affliggevano Baldr. Non c'è naturalmente alcuna
indicazione che la vǫlva del Baldrs Draumar sia la stessa della Vǫluspá, ma non c'è nemmeno motivo di
escluderlo.

LEZIONE DEI MANOSCRITTI

Confronto interlineare tra la lezione del poema contenuta nel Codex Regius [R] e quella dell'Hauksbók [H].
Sono riportati anche le strofe citate da Snorri nella Prose Edda, secondo il manoscritto [Rs].

VǪLUSPÁ

Lezione [R] Lezione [H] Lezione [Rs]


Codex Regius Hauksbók Prose  Edda
1 Hlıoꝺſ bıð ec  1 Hlıoðſ bıð ek allar 
allar kınꝺır  helgar kınꝺır 
meırı ⁊ mıı  meırı ok mınnı 
mavgo heımꝺallar  mǫgu heımꝺallar 
vılðo aꞇ ec ualꝼꜹþr  vıllꞇu aꞇ ek vaꝼǫꝺrſ  1
uel ꝼyr ꞇelıa  vel ꝼram ꞇelıa 
ꝼoꝛn 﫬ıoll ꝼíra  ꝼorn 﫬ıǫll ꝼıra 
þꜹ er ꝼremſꞇ um man. þau er ek ꝼremz vm man.
2 Ec man ıoꞇna 2 Ek man ıǫꞇna 
ár um boꝛna  ąr vm borna 
þa er ꝼoꝛꝺom  þa er ꝼorðum 
mıc ꝼǫꝺꝺa hoꝼꝺo  mık ꝼæꝺꝺa hǫꝼðv: 
nıo man æc heıma nıu man ek heıma  2
nío ıvıþı  nıu ıuıꝺıur 
mıoꞇ uıð mǫꝛa  mıǫꞇvıð męran 
ꝼyr molꝺ neꝺan. ꝼyrır mollꝺ neðan.
3 Ar uar alꝺa  3 Aar uar allꝺa  {5} Ár var halꝺa
þar er ymır bygðı  þar er ymır bygðı  þaꞇ er eckı var;
vara ſanꝺr nę ſęr  vara ſanꝺr ne ſıor  vara ſanꝺr ne ſær
ne ſualar uır  ne ſvalar unnır  ne ſvalar vnnır,
ıoꝛð ꝼaz ęva  ıǫrð ꝼannz ęꝼa ıoꝛð ꝼannz eıgı 3
ne upp hımın  ne vpp hımınn  ne vphımınn,
gap uar gıvnga  gap var gınnvnga  gap var gınnunga,
e graſ hvergı. enn graſ ekkı. en graſ eckı.
4 Aꝺr bvrſ ſynır  4 Aaꝺr borſ ſynır 
bıoðom um ypðo  bıǫðum oꝼ ypꞇu 
þeır er mıð garð  þeır er męran 
mǫꝛan ſcopo.  mıðgarð 﫦opu 
ſol ſceın ſuan  ſol 﫦eınn ſunnan  4
a ſalar ſꞇeına  ą ſalar ſꞇeına 
þa var grvnꝺ groın  þa uar grunꝺ groın 
grǫnom laukı. grænum laukı.
5 Sol varp ſvan  5 Sol uarp ſunnan  Sol þaꞇ ne vı﫭ı
ſıı mana  ſınnı mąna  hvar hon ſalı aꞈı; 5
henꝺı ıı hǫgrı  henꝺıınnı hægrı  manı þaꞇ ne vı﫭ı
vm hımın ıoꝺyr oꝼ ıoꝺur  hvaꞇ hann megınſ aꞈı;
ſol þaꞇ ne uı﫭ı ſol þaꞇ ne uı﫭ı  {10} ſꞇıoꝛnvr þaꞇ ne vı﫭v
huar hon ſalı aꞈı  huar hon ſalı ąꞈı  hvar þær ſꞇaþı aꞈv.
ſꞇıoꝛnoꝛ þaꞇ ne vı﫭o  ſꞇıǫrnur þaꞇ ne uı﫭u 
hvar þęr ſꞇaðı aꞈo  hvar þær ſꞇaꝺı ąꞈu 
manı þaꞇ ne vı﫭ı  mąnı þaꞇ ne vı﫭ı 
hvaꞇ hann megınſ aꞈı. hvaꞇ hann megınſ aꞈı.
6 Þa gengengo regın oll  6 Þa gengu regın ǫll 
arꜹk ſꞇola  ą rǫkſꞇola 
gıhęılog goꝺ  gınnheılvg goð 
⁊ vm þaꞇ gęꞈvz ok vm þaꞇ gıeꞈuz 
noꞈ ⁊ nıþıom  noꞈ ok nıðıum 
nꜹꝼn vm gaꝼo  nǫꝼn vm gąꝼu  6
moꝛgın heꞇo  morgın heꞇv 
⁊ mıðıan ꝺag  ok mıðıan ꝺag 
vnꝺoꝛn ⁊ apꞇan  vnꝺvrn ok apꞇan 
árom aꞇ ꞇelıa. ąrum aꞇ ꞇelıa.
7 Hıꞈoz æſır  7 Hıꞈuz æſır
a ıꝺa uellı  ą ıꝺauellı 
þeır er hꜹrg ⁊ hoꝼ  aꝼlſ koſꞇuðv 
haꞇımbroðo.  allz ꝼreıſꞇuðu 
aꝼla lꜹgðo  aꝼla lǫgðu  7
ꜹð ſmıðoþo  auð ſmıðuðu
ꞇangır ſcopo  ꞇangır 﫦opv 
⁊ ꞇol goꝛðo. ok ꞇol gıǫrꝺu.
8 Ꞇeꝼlðo ıꞇvnı  8 Ꞇeꝼlꝺu ıꞇvnı 
ꞇeıꞇır voꝛo  ꞇeıꞇır uorv 
var þeım veꞈergıſ var þeım ueꞈugıſ
vanꞇ oꝛ gullı.  vanꞇ or gullı 
vz ııı. qvomo  unz þrıar komv  8
þurſa meyıar  þu﫭a meyıar 
amaꞇkar mıoc  ąmaꞇkar mıǫk 
oꝛ ıoꞇvn heımom. or jǫꞇvn heımvm.
9 Þa g. r. a. ar.  9 Þa gengu regın ǫll  {15} Þa gengv regın ꜹll
ą rǫkſꞇola  arokſꞇola,
gınnheılug goð  gınnheılvg goð,
ok vm þaꞇ gıæꞈuz   oꝼ þaꞇ geꞈvz,
hverr ſcylꝺı ꝺuerga hverer 﫦yllꝺu ꝺuergar aꞇ 﫦ylꝺı ꝺverga 9
ꝺroꞇın ſcepıa  ꝺroꞈır 﫦epıa  [ꝺr]oꞈ oꝼ 﫦epıa
oꝛ brımıſ bloðı  or brımı bloðgv  oꝛ brımı bloðgo
⁊ oꝛ blam leıom. ok or blaınſ leggıum.  oꝛ blam 﫩eggıvm.
10 Þar moꞇſognır  10 Þar uar moꝺſognır 
mǫzꞇr vm oꝛðınn  męzꞇr oꝼ orðınn 
ꝺverga allra  ꝺuerga allra 
e ꝺvrı aa  enn ꝺurınn anna 
þeır manlıcon  þeır manlıkan  {16} Þar manlıkvn 10
moꝛg vm goꝛðo  mǫrg oꝼ gıorðv  moꝛg oꝼ gerþvz,
ꝺvergar oꝛ ıoꝛðo  ꝺuerga ı ıǫrðu  ꝺvergar ııoꝛþv,
ſem ꝺvrı ſagꝺı. ſem ꝺurınn ſagðı. ſem Ꝺvrınn ſagþı.
11 Nyı ⁊ nıþı  11¹ Nyı nıðı  {17} Nyı, Nıþı,
noꝛðrı ⁊ ſuðrı  norðrı ſuðrı  Noꝛðrı, Svðrı,
ꜹſꞇrı ⁊ ueſꞇrı  auſꞇrı veſꞇrı  Ꜹſꞇrı, Veſꞇrı,
alþıoꝼr ꝺvalı.  alþıoꝼr ꝺualınn.  Alþıolꝼr, Ꝺvalınn,
naar ok naınn Nár, Naınn,
nıpıngr ꝺaınn  Nıpıngr, Ꝺaınn, 11
bıvꜹ bavꜹ  12¹ Bıꝼv baꝼv  Bıꝼvrr, Baꝼvrr,
bꜹmbu noꝛı  bǫmbv norı  Bꜹmbꜹrr, Noꝛı,
án ⁊ ana  ąn ok ona  <Orı>, Onarr,
aı mıoðvıꞇnır. aı mıǫðvıꞇnır. Oınn, Mǫðvıꞇnır,
12 Veıgr ⁊ ganꝺalꝼr  11² ueggr ganꝺ alꝼr  {18¹} Vıgr  Gannꝺalꝼr,
vınꝺalꝼr þraı  uınꝺąlꝼr þorınn. Vınnꝺalꝼr, Þoꝛınn, 12
þeccr ⁊ þoꝛı  12² þrar ok þraınn  {18³} Þroꝛ, Þroınn,
þroꝛ vıꞇr ⁊ lıꞇr þror lıꞇr ok vıꞇr  Þeckr, Lıꞇr, Vıꞇr,
nár ⁊ nyraþr  nyr ok nyrąðr  Nyr, Nyraðr,
nv heꝼı ec ꝺverga  nv heꝼı ek rekka  Reckr, Raðſvıðr.
regı ⁊ raðſuıꝺr  regınn ok rąðſvıðr 
reꞈ um ꞇalþa. reꞈ vm ꞇalða.
13 Ꝼılı kılı  13 Ꝼılı kılı  {18²} Ꝼılı, Kılı,
ꝼvnꝺı. nalı.  ꝼunnꝺın nalı  Ꝼvnꝺın, Valı,
hepꞇı. vılı  heꝼꞇı ꝼılı 
hana ſvıo.  hana ok ſvıꝺ 
nąr ok naınn 
nıpıngr ꝺáınn  13
bıllıngr brunı 
bıllꝺr ok burı 
ꝼrar hoꝛnboꝛı.  ꝼror ꝼornbogı 
ꝼręgr ⁊ lonı. ꝼręg ok lonı.
ꜹrvangr. ıarı  14 Aurvangr ıarı 
eıkınſcıalꝺı. eıkın 﫦ıallꝺı
14 Mal er ꝺverga  mąl er ꝺuerga 
ıꝺvalıſ lıðı  ı ꝺualınſ lıðı
lıona kınꝺom  lıona kınꝺum 
ꞇıl loꝼarſ ꞇelıa.  ꞇıl loꝼarſ ꞇelıa  14
þeır er ſoꞈo  þeım er ſoꞈu 
ꝼra ſalar ſꞇæını  ꝼra ſalar ſꞇeını 
ꜹrvanga ſıꜹꞈ  ǫrvanga ſıǫꞇ 
ꞇıl ıóro valla. ꞇıl ıǫrv valla.
15 Þar var ꝺrꜹpnır  15 Þar var ꝺrauꝼnır  {19} Ꝺrꜹpnır, Ꝺolgþvarı,
⁊ ꝺolgþraſır  ok ꝺolgþraſer  Hꜹrr, Hvgstarı,
hár hꜹg 﫬oꝛı hąr haug﫬orı  Hleðıolfr, Gloınn,
hlęvangr gloı. hlevargr gloınn Ꝺoꝛı, Orı,
15
Ꝺúfr, Andvarı,
Heptıfılı,
Hárr, Sıarr.
ſcırvır. vırvır.  ſcırꝼır vırvır  {20} Skırpır, Vırpır,
ſcaꝼıþr. aı.  﫦aꝼıðr aı  Skaꝼıðr, Aı,
alꝼr ⁊ yngvı aalꝼr ok yngvı  Alꝼr, Ingı,
eıkınſcıalꝺı.  eıkın﫦ıallꝺı. Eıkınn, Skıalꝺı,
ꝼıala ⁊ ꝼroſꞇrı  Ꝼalr, Ꝼroſꞇı,
ꝼır ⁊ gıa. Ꝼıþr, Gınnarr. 16
þaꞇ mvn vppı 16 Þaꞇ man æ vppı 
meþan ꜹlꝺ lıꝼır  meðan ǫllꝺ lıꝼır 
langnıþıa ꞇal  lang nıðıa ꞇal 
loꝼarſ haꝼaꞇ. loꝼarſ haꝼaꞇ.
16 Vnz þrıár qvomo 17 Vnꝺz þrıar komu 
oꝛ þvı lıþı  þu﫭a bruꝺır 
ꜹꝼlgır ⁊ aſꞇgır  ąſꞇkır ok ǫꝼlgır 
ęſır aꞇ hvſı.  æſer aꞇ huſı 
ꝼvnꝺo alanꝺı  ꝼunꝺu ą lanꝺı 
lıꞈ meganꝺı  lıꞈ meganꝺı 
aſc ⁊ emblo  a﫦 ok emblv  17
oꝛlꜹglꜹſa.  orluglauſa 
ꜹnꝺ þꜹ ne áꞈo  ǫnꝺ þau ne aꞈu 
óþ þav ne hꜹꝼðo  oð þau ne hǫꝼꝺu 
la ne lęꞇı  lą ne læꞇı 
ne lıꞇo goða. ne lıꞇv goða.
17 Ꜹꝺ gaꝼ oþı  18 Ǫnꝺ gaꝼ oðınn 
oþ gaꝼ hęnır  oꝺ gaꝼ hęnır 
la gaꝼ loðv  lą gaꝼ loðv  18
⁊ lıꞇo goða. ok lıꞇv goða.
18 Aſc ueıꞇ ec ſꞇanꝺa 19 A﫦 ueıꞇ ek ſꞇanꝺa  {26} A﫦 veıꞇ ec ꜹſınn
heıꞇır yꝺraſıll  heıꞇır yggꝺraſıll heıꞇır Yggꝺraſılſ,
hárbaðmr auſı  hąr baꝺmr auſınn  hár baþmr heılagr
huíꞇa aúrı.  huıꞇa aurı.  hvıꞇa ávre;
þaðan coma ꝺꜹvar  þaðan koma ꝺǫggvar  þaþan koma ꝺꜹggvar,
19
þęrſ ıꝺala ꝼalla  þęrſ ı ꝺala ꝼalla er ıꝺalı ꝼalla;
ſꞇenꝺr ę yꝼır grǫ  ſꞇenꝺr æ yꝼır grænn  ſꞇenꝺr hann æ yꝼır
vrðar brvı. vrðar brunnı. grvnn
Vrþarbrvnnı.
19 Þaðan coma meyıar  20 Þaðan koma meyıar 
margſ uıꞇanꝺı  margſ vıꞇanꝺı 
þrıar oꝛ þeım ſę  þrıar or þeım ſal 
er unꝺ þollı ſꞇenꝺr  er a þollı ſꞇenꝺr. 
vrð héꞇo eına  vrꝺ heꞇv eına 
aðra verþanꝺı  aðra verꝺanꝺı 
ſcáro aſcıðı  﫦ąru ą 﫦ıðı  20
ſcvlꝺ ena þrıðıo. 﫦ullꝺ hına þrıðıu.
20 Þęr lꜹg lꜹgðo  21 Þær lǫg logðu 
þęr líꝼ kvro  þær lıꝼ kuru 
alꝺa boꝛnom  allꝺa bǫrnum 
órlꜹg ſeıa. ǫrlǫg aꞇ ſegıa.
21 Þaꞇ man hon ꝼolc uíg  26 Þaꞇ man hon ꝼolkuıg 
ꝼyrſꞇ ıheımı  ꝼyrſꞇ ı heımı 
er gvll ueıg er gullueıg 
geırom ſꞇvꝺꝺv  geırum ſꞇuꝺꝺı 
⁊ ıhꜹll hárſ  ok ı hǫll hąrſ 
hana brenꝺo. hana brenꝺv 21
22 Þryſvar brenꝺo þryſvar brenꝺv 
þryſvar boꝛna  þryſvar borna 
opꞇ oſıalꝺan,  opꞇ oſıallꝺan 
þo hon e lıꝼır. þo hon enn lıꝼır.
23 Heıꝺı hána heꞇo  27 Heıðı hana heꞇu 
hvarſ ꞇıl hvſa com  huarſ ꞇıl hvſa kom 
uólo vel 﫬á  ok vǫlu vel 﫬a 
uıꞈı hon ganꝺa  uıꞇı hon ganꝺa 
ſeıð hon kvı  ſeıꝺ hon hvarſ hun kunnı  22
ſeıþ hon leıkı  ſeıꝺ hon hugleıkın 
ę var hon angan  æ var hon angann 
ıllrar brvðar. ıllrar bruðar.
24 Þa g. r. a. a.  28 Þa gengv regın ǫll 
ą rǫk ſꞇola 
gınnheılvg goð 
ok vm þaꞇ gıeꞈuz 
huarꞇ ſcylꝺo ęſır  huarꞇ 﫦yllꝺv æſır  23
aꝼrað gıalꝺa  aꝼrąð gıallꝺa 
eþa ſcylꝺo goðın ꜹll  eðr 﫦yllꝺv guðın ǫll 
gılꝺı eıga. gıllꝺı eıga.
25 Ꝼleygðı oðı  29 Ꝼleygðı oðınn 
⁊ ıꝼolc um ſcꞗꞇ  ok ı ꝼolk vm 﫦auꞇ  24
þaꞇ var e ꝼolc vıg  þaꞇ var enn ꝼolkuıg 
ꝼyrſꞇ ıhęımı.  ꝼy ı heımı 
broꞇı var boꝛð uegr  broꞇınn var borðveggr 
boꝛgar aſa  borgar ąſa 
knaꞈo vanır uıg﫬a  knaaꞈv vanır vıg 﫬a 
uollo 﫬oꝛna. vǫllv 﫬orna.
26 Þa g. r. a.  22 Þa gengv regın ǫll  {50} Þa gengv regın ꜹll
ą rǫkſꞇola  a rǫkſꞇola,
gınnheılugh goꝺ  gınnheılvg goð,
ok um þaꞇ gıęꞈuz   oꝼ þaꞇ geꞈvz,
hverır heꝼðı lopꞇ alꞇ  hverr heꝼðı loꝼꞇ allꞇ  hverr heꝼþı lopꞇ allꞇ 25
lęvı blanꝺıꞇ  lęvı blanꝺıꞇ  læꝼı blanꝺıꞇ
eþa ęꞈ ıoꞇvnſ  ęðr æꞈ ıǫꞇunſ  eþa æꞈ ıoꞇvnſ
oþſ mey geꝼna. oðſ mey geꝼna. Oðſ mey geꝼna.
27 Þoꝛr eı þar var  23 Þorr eınn þar vą  {51} Agengvz eıþar,
þrvngın moðı  þrungınn moꝺı  oꝛð  ſære,
hann ſıalꝺan ſıꞇr  hann ſıallꝺan ſıꞇr  mal ꜹll megınlıg,
er hann 﫩ıcꞇ vm ꝼregn  er hann 﫩ıkꞇ oꝼ ꝼregnn  er a meþal ꝼoꝛv.
agengoz eıðar  ą genguz eıðar  Þoꝛr eınn þaꞇ vann, 26
oꝛð ⁊ ſęrı  orð ok ok ſærı  þrvngın moþı,
mál ꜹll megın lıg  maal ǫll megınlıg  hann ſıalꝺan ſıꞇr
er ameꝺal ꝼóro. er ą meðal voru. er hann 﫩ıkꞇ oꝼ ꝼregn.
28 Veıꞇ hon heımꝺalar  24 Veıꞇ hun heımꝺallar 
hlıoð vm ꝼolgıꞇ  hlıoð um ꝼolgıꞇ 
unꝺır heıðvonom  unꝺır heıꝺvǫnvm 
helgom baðmı.  helgum baꝺmı 
á ſér hon ꜹſaz  ą ſer hon auſaz  27
ꜹrgom ꝼoꝛſı  ǫrgum ꝼorſı 
aꝼ ueðı val ꝼꜹꝺrſ  aꝼ ueꝺı valꝼǫꝺrſ 
uıꞇoþ er en e. hvaꞇ. uıꞇu þer enn ęðr hvaꞇ.
29 Eín ſaꞇ hon uꞇı 
þa er ı alꝺnı com 
yıóngr aſa 
⁊ ıꜹgo leıꞇ. 
hverſ ꝼregnıꞇ mıc 
hvı ꝼreıſꞇıþ mın 
alꞇ ueıꞇ ec oðı  {21} Alꞇ veıꞇ ec Oþın,
hvar þv ꜹga ꝼalꞇ  hvar á ꜹga ꝼalꞇ 28
ıenom męra  vr þeım envm mæra
mımıſ brvı  Mımıſ brvnnı;
ꝺreckr mıóð mımır  ꝺreckr moð Mımır
moꝛgın hverıan  moꝛgvn hverıan
aꝼ veþı v.  aꝼ veıþı Valꝼꜹðrſ.
v. e. e. h. Vıꞇvð þer en eþa hvaꞇ?
30 Valþı henne herꝼꜹðr  29 Valðı hennı Herfǫðr
hrınga ⁊ men  hrınga ok men;
ꝼe 﫬ıoll 﫬aclıg  fékk spjǫll spaklıg
⁊ 﫬a ganꝺa  ok spáganda; 29
ſa hon uıꞈ ⁊ vm vıꞈ  sá vítt ok of vítt
oꝼ verolꝺ hverıa. of verǫld hverja.
31 Sa hon valkyrıoꝛ 
víꞈ vm komnar  30
gꜹrvar aꞇ rıða 
ꞇıl goðþıoðar. 
ſcvlꝺ helꞇ ſcılꝺı 
enn ſcꜹgul ꜹoꝛ 
gvr. hılꝺr gꜹnꝺul 
⁊ geır ſcꜹgul. 
nv ero ꞇalþar 
nꜹoꝛ herıanſ 
goꝛvar aꞇ ríþa 
grvnꝺ valkyrıoꝛ.
32 Ec ſa balꝺrı 
bloꝺgom ꞇıvoꝛ 
oꝺınſ barnı 
oꝛ log ꝼolgı 
ſꞇóð vm vaxı  31
vollo hęrı 
mıór ⁊ mıoc ꝼagr 
mıſꞇılꞇeı.
33 Varð aꝼ þeım meıðı 
er mer ſynꝺız 
harmꝼlꜹg hęꞈlıg 
hꜹþr nam ſcıóꞇa. 
balꝺrſ broðır  32
vár oꝼ boꝛı ſnęmma 
ſa nam oþınſ ſónr 
eın nęꞈr vega.
34 Þo hann ęva henꝺr 
ne hꜹꝼuþ kembþı 
aþr a bál vm bar 
balꝺrſ anꝺſcoꞇa. 
en ꝼrı um gréꞇ  33
ıꝼenſꜹlom 
ua val hallar. 
v. e. e. e. h.
30 Þa kna vala 
vıgbonꝺ ſnua 
hellꝺr voru harðgıor  34
hǫꝼꞇ or þǫrmum
35 Hapꞇ ſa hon lııa 
unꝺır hvera lunꝺı 
lę gıarn lıcı 
loca aþeckıan. 
þar ſıꞇr ſıgyn  þar ſıꞇr ſıgyn  35
þeygı vm ſınom  þeygı vm ſınum 
ver velglyıoð  ver uel glyıuꞇ 
v. þ. e. h. vıꞇv þer enn eða hvaꞇ.
36 A ꝼellr ꜹſꞇan 
um eıꞇr ꝺala 
ſꜹxom ⁊ ſverþom 36
﫩ıþr heıꞇır ſv.
Sꞇoꝺ ꝼyr noꝛðan 
anıþa vollom 
ſalr oꝛ gvllı 
ſınꝺra ęꞈar. 
enn aa ſꞇoð  37
a okolnı 
bıoꝛ ſalr ıoꞇvnſ 
en ſa brımır heıꞇır.
37 Sal ſa hon ſꞇanꝺa  34 Sal ſıer hon ſꞇanꝺa  {64} Sal veıꞇ ec ſꞇanꝺa
ſolo ꝼıáı  ſolu ꝼıaı ſolv ꝼıarrı 38
na ſꞇronꝺo a  nąſꞇrǫnꝺu ą  Naſꞇrꜹnꝺv a,
noꝛþr hoꝛꝼa ꝺy.  norðr horꝼa ꝺy noꝛðr hoꝛꝼa ꝺyrr;
ꝼello eıꞇr ꝺropar  ꝼalla eıꞇrꝺropar  ꝼalla eıꞇrꝺropar
ı vm lıóra  ınn vm lıora  ınn oꝼ lıoꝛa,
ſa er unꝺı ſalr  ſą er unꝺınn ſalr ſa er vnꝺın ſalr
oꝛma hryıom. orma hryggıum. oꝛma hryggıvm.
38 Sa hon þar vaþa  35 Ser hon þar vaða  {65} Skvlv þar vaþa
þvnga ſꞇrꜹma  þunga ſꞇrauma  þvnga ſꞇrꜹma
menn moꝛð vargar menn meınſvara  menn meınſvara
⁊ meınſvara. ok morꝺvarga   moꝛðvargar.
⁊ þa aarſ glepr  ok þannz annarſ glepr 
eyra rvno  eyrna runa  39
þar ſvg nıþ hꜹr  þar ſavg nıðhǫggr  {66} Þa qvelr Nıðhꜹggr
náı ꝼram gengna  naı ꝼramgengna  naı ꝼramm genga.
﫩ęıꞇ vargr vera  﫩eıꞇ vargr vera 
v. e. e. e. h. vıꞇv þer enn eða hvaꞇ.
39 Ꜹſꞇr ſáꞇ ın alꝺna  25 Auſꞇr byr hın allꝺna  {13} Ꜹſꞇr byr en allꝺna
ı ıarn uıþı  ı ıarnvıꝺı  í Iarnvıþı
⁊ ꝼǫꝺꝺı þar  ok ꝼeðır þar   ꝼæþır þar
ꝼenrıſ kınꝺır.  ꝼenrıſ kınꝺır  ꝼenrıſ kınꝺır;
verþr aꝼ þeım ꜹllom  verðr aꝼ þeım ǫllum  verþr oꝛ þeım ꜹllvm 40
eıa noccoꝛr  eınna nokkur  eınna nockvrr
ꞇvnglſ ꞇıvgarı  ꞇunglſ ꞇ..garı  ꞇvnglſ ꞇıvgarı
ıꞇrollz hamı. ı ꞇrollz hamı.  ıꞇrꜹllz hamı.
40 Ꝼyllız ꝼıoꝛvı  ꝼyllız ꝼıǫrꝼı  {14} Ꝼyllız ꝼıoꝛvı
ꝼeıgra manna  ꝼeıgra manna  ꝼeıgra manna;
ryþr ragna ſıóꞇ  ryðr ragna ſıǫꞇ  ryðr ragna ſıꜹꞇ
rꜹðom ꝺreyra  rauðum ꝺreyra  rꜹþvm ꝺreyra;
ſvarꞇ var þa ſol ſcín  ſvǫrꞇ verꝺa ſol﫦ın  ſvꜹrꞇ verþa ſol﫦ın 41
oꝼ ſvmoꝛ epꞇır  um ſumvr eꝼꞇır  oꝼ ſvmvr epꞇır,
veþr oll valynꝺ  ueðr ǫll ualynꝺ  verþr ꜹll valvnꝺ.
v. e. h. uıꞇv þer eınn enn ęꝺr hvaꞇ Vıꞇvð er enn eþa hvaꞇ?
31 Geyr garmr mıǫk 
ꝼyrır gnupa hellı 
ꝼeſꞇr man 﫩ıꞇna 
enn ꝼrekı renna 
ꝼramm ſe ek lengr
ꝼıǫlð kann ek ſegıa 
um ragna rǫk 
rǫmm ſıgꞇıva.
41 Saꞇ þar a hꜹgı 32 Saꞇ þar ą haugı 
⁊ 﫩ó hꜹrpo  ok 﫩o hǫrpu 
gygıar hırþır  gygıar hırðır 
glaꝺr eþęr.  glaðr egðır 
gól vm hanom  gol yꝼır  42
ıgagl vıþı  ıgalguıðı 
ꝼagr rꜹꝺr hánı  ꝼagr rauðr hanı 
ſa er ꝼıala heıꞇır. enn ſa ꝼıalaR heıꞇır.
42 Gól um aſom  33 Gol yꝼır ąſum 
gullıncambı  gullın kambı  43
ſa uecr hꜹlþa  ſa vekr hǫlꝺa 
aꞇ hıarar aꞇ herıaꝼꜹꝺrſ.  aꞇ herıa ꝼǫðrſ 
e aa gelr  enn annaR gelr
ꝼyr ıoꝛð neðan  ꝼyr ıǫrð neðan 
ſóꞇ rꞗþr hánı  ſoꞇ rauðr hanı 
aꞇ ſꜹlom helıar. aꞇ ſǫlum helıar.
43 Geyr garmr mıoc  36 Geyr nu garmr mıok 
ꝼyr gnıpa hellı  ꝼyrır gn. h. 
ꝼeſꞇr mvn 﫩ıꞇna  ꝼ. man 﫩. 
e ꝼrekı rea  enn ꝼ.
ꝼıolþ veıꞇ hon ꝼrǫða  44
ꝼram ſe ec lengra 
vm ragna rꜹc 
rꜹm ſıgꞇyva.
44 Broþr mvno berıaz  37 Bræðr munu berıaz  {53} Bræðr mvnv berıaz
⁊ aꞇ bꜹom verþa  ok aꞇ bǫnum verðaz   aꞇ bꜹnvm verþaz
mvno ſyſꞇrvngar  munu ſyſꞇrungar  mvnv ſyſꞇrvngar
ſıꝼıom 﫬ılla  ſıꝼıum 﫬ılla  ſıꝼıvm 﫬ılla;
hárꞇ er ı heımı  harꞇ er ı heımı  harꞇ er með hꜹlðvm
hór ꝺomr mıcıll  horꝺomr mıkıll  hoꝛꝺómr mıkıll,
ſceꜹlꝺ ſcalm ꜹlꝺ  﫦eggǫll 﫦ąlmǫllꝺ  﫦eggıollꝺ, 﫦almǫlꝺ,
ſcılꝺır ro kloꝼnır 﫦ıllꝺır kloꝼnır. 﫦ılꝺır kloꝼnır, 45
vınꝺꜹlꝺ vargꜹlꝺ  38 Vınꝺ ǫllꝺ vargǫllꝺ  vınꝺávlꝺ, vargǫlꝺ,
aþr verolꝺ ſꞇeypız  ąðr verǫllꝺ ſꞇeypız  aðr verǫlꝺ ſꞇeypız.
grunꝺır gıalla 
gıꝼr ꝼlıuganꝺı 
mvn engı maþr  man eıngı maðr 
oðrom þyrma. ǫðrum þyrma.
45 Leıca mımſ ſynır  39 Leıka mımſ ſynır 
e mıoꞇvðr kynꝺız  enn mıǫꞇvðr kynꝺız 
aꞇ en galla  aꞇ hínv gamla 
gıallar hoꝛnı  gıallar hornı 
haꞈ blę﫭 heımꝺallr  hąꞈ blę﫭 heımꝺallr  {54} Háꞈ blæ﫭 Heımꝺallr, 46
hoꝛn er alopꞇı  horn er ą lopꞇı  hoꝛn er a lopꞇ,
męlır oðı męler oðınn  mey Oþınn
vıð mımſ hꜹꝼuþ vıð mımſ hǫꝼuꞇ. vıð Mımſ hꜹꝼvꞇ;
Ymr ıþ alꝺna ꞇre  40 Skelꝼr yggꝺraſılſ  﫦elꝼr Ygꝺraſılſ
e ıóꞇv loſnar  a﫦r ſꞇanꝺanꝺı  a﫦r ſꞇanꝺannꝺı,
ſcelꝼr yꝺraſılſ  ymr hıꝺ allꝺna ꞇre  ymr eꞇ alna ꞇre,
aſcr ſꞇanꝺanꝺı. enn ıǫꞇunn loſnar en ıoꞇvnn loſnar.
hræꝺaz allır  47
ą helvegum 
ąðr ſurꞇar þann 
ſevı oꝼ gleypır.
46 Hvaꞇ er meþ aſom  41 Hvaꞇ er með ąſum  {55} Hvaꞇ er með aſvm?
hvaꞇ er meþ alꝼom  hvaꞇ er með alꝼum  hvaꞇ er með alꝼvm?
gnyr allr ıoꞇvn heımr  gnyr allr ıǫꞇun heımr ýmr allr Ioꞇvnheímr,
ęſır ro aþıngı  æſır eru ą þıngı  æſır ró aþıngı;
ſꞇynıa ꝺvergar  ſꞇynıa ꝺvergar  ſꞇynıa ꝺvergar 48
ꝼyr ſꞇeın ꝺvrom  ꝼyrır ſꞇeınꝺyrvm  ꝼırır ſꞇeınꝺvrvm,
ve bergſ vıſır  vegbergſ uıſır  veggbergſ vıſır;
v. e. e. h. uıꞇv þer enn eða hvaꞇ. vıꞇvð ér enn eþa hvaꞇ?
47 Geyr nv g. 42 Geyr nu garmr mıok 
ꝼyrır gnıpa hellı 
49
ꝼ. m.
48 Hrymr ekr ꜹſꞇan  43 Hrymr ekr auſꞇan  {56} Hrymr ecr ꜹſꞇan,
heꝼız lınꝺ ꝼyr  hęꝼız lınꝺ ꝼyrır heꝼız lınꝺ ꝼırır; 50
ſnyz ıoꝛmvnganꝺr  ſnyz ıǫrmunganꝺr  ſnyz ıoꝛmvnganꝺr
ı ıoꞇvn moðı.  ı ıǫꞇunmoðı  ııoꞇvnmoþı
oꝛmr knyr vır  ormr knyr unnır  oꝛmr kyrr vnnır,
e arı hlaccar  enn arı hlakkar  ꜹrn mvn hlacka,
﫩ıꞇr naı neꝼ ꝼꜹlr  﫩ıꞇr naı nıðꝼǫlr  﫩ıꞇr naı nıðꝼꜹlr,
nagl ꝼar loſnar. naglꝼar loſnar. Naglꝼal loſnar.
49 Kıoll ꝼe ꜹſꞇan  44 Kıoll ꝼerr auſꞇan  {57} Kıoll ꝼerr ꜹſꞇan,
koma mvno mv﫬ellz  koma munu mu﫬ellz  koma mvnv Mv﫬ellz
vm lꜹg lyꝺır  vm lǫgh lyðer  oꝼ lꜹg lyþır
e lokı ſꞇyrır  enn lokı ſꞇyrır  en Lokı ſꞇyrır;
ꝼara ꝼıꝼlſ megır  ꝼarar ꝼıꝼlmegır  þar ró ꝼıꝼlmegır 51
meþ ꝼreka allır  með ꝼreka aller  með ꝼreka allır;
þeım er broꝺır  þeım er broðır  þeım er broþır
by leıpz ıꝼór. byleıſꞇz ı ꝼerꝺ. Byleız ıꝼꜹr.
50 Surꞇr ꝼe ſvan  45 Surꞇr ꝼerr ſunnan  {58} Svrꞇr ꝼerr ſvnnan
meþ ſvıga lęꝼı  með ſuıga lęvı  með ſvıga leıvı;
ſcı aꝼ ſverþı  﫦ınn aꝼ ſuerꝺe  﫦ınn aꝼ ſverþı
ſol valꞇíꝼa.  ſol valꞇıꝼa  ſol valꞇıva;
grıoꞇ bıoꝛg gnaꞇa  grıoꞇbıǫrg gnaꞇa grıoꞇbıoꝛg gnaꞇa, 52
e gıꝼr raꞇa  enn gıꝼr raꞇa  en gıꝼr raꞇa,
ꞇroþa halır helveg  ꞇroða haler helveg  ꞇroþa halır helveg,
en hımın cloꝼnar. enn hımınn kloꝼnar. en hımınn kloꝼnar.
51 Þa cǫmr hlınar  46 Þa kemr hlınar  {59} Þa kmr Hlınar
harmr aa ꝼram  harmr annaR ꝼramm  hamr annarr ꝼram,
er oðı ꝼe  er oðın ꝼerr  er Oþınn ꝼerr
vıð ulꝼ vega vıð vlꝼ vega  vıð vlꝼ vega,
en banı belıa  enn banı belıa  en banı Belıa 53
bıarꞇr aꞇ ſurꞇı  bıarꞇr aꞇ ſurꞇı  bıarꞇr aꞇ Svrꞇı;
þa mvn ꝼrııar  þar man ꝼrıggıar  þar mvn Ꝼrıggıar
ꝼalla angan ꞇyr. ꝼalla angann. ꝼalla angan.
47 Geyr nu garmr mıǫk 
ꝼyrır gnıpa hellı 
54
ꝼ. m.
48 Gınn loꝼꞇ yꝼer
gıǫrð ıarðar . eð . . 
. . . . . . g . ar 
ormſ . . eꝺvm 
. . . oðınſ ſvn 
ormı męꞇa 
uargſ aꞇ . . .
uıðarſ . . . . . .
52 Þa kǫmr ı mıclı  {60} Gengr Oþınſ ſon
mꜹgr ſıgꝼꜹꝺur  vıð vlꝼ vega,
víða vega  Vıþarr oꝼ veg
aꞇ val ꝺyrı.  aꞇ valꝺyrı;
leꞇr hann megı hveꝺrvngſ  læꞇr hann megı
55
mvnꝺ vm ſꞇanꝺa  Hveðrvgſ
hıór ꞇıl hıarꞇa mvnꝺ oꝼ ſꞇanꝺa
þa er heꝼnꞇ ꝼꜹꝺur. hıoꝛr ꞇıl hıarꞇa;
þa er heꝼnꞇ ꝼꜹþvr.
53 Þa kǫmr ı mǫꝛı  49 {61} Gengr ınn mærı
mꜹgr hloꝺynıar  mǫgr Hlǫðynıar 56
gengr oþınſ ſonr  . . . . . . . . . .  nepr aꞇ naþrı
vıꝺ ulꝼ vega  . . . . . . . . . .  nıðſ oqvıðnvm;
ꝺrepr hann aꝼ moþı  . . . . . . . . . .  mvnv hallır allır
mıðgarz uęoꝛ .......... heımſꞇeıð ryðıa,
mvno halır allır  munu halır al . . .  er aꝼ moþı ꝺrepr
heım ſꞇǫꝺ ryþıa  . . . . . . yꝺıa  Mıðgarðz veoꝛr.
gengr ꝼeꞇ nío  . . . . . . . . . . 
ꝼıoꝛgynıar bv  ..........
neppr ꝼra naðrı 
nıðſ oqvıðnom.
54 Sol ꞇer ſoꝛꞇna 50 [Sol] ꞇer ſorꞇna  {6} Sól mvn ſoꝛꞇna,
ſıgr ꝼolꝺ ımar  ſıgr ꝼollꝺ ımar  {62} ſꜹckr ꝼolꝺ ımar,
hverꝼa aꝼ hımnı  huerꝼa aꝼ hımnı  hverꝼa aꝼ hımnı
heıðar ſꞇıoꝛnoꝛ.  heıðar ſꞇıǫrnur heıþar ſꞇıoꝛnvr;
geıſar eímı [ge]ıſar eımı  geıſar eımı
57
vıþ alꝺr nara  ok allꝺrnarı   alꝺrnarı,
leıcr har hıꞇı  leıkr hąr hıꞇı  leíkr har hıꞇı
uıð hımın ſıalꝼan. vıð hımın ſıalꝼan. vıð hımın ſıalꝼan.

55 Geyr n. 51 Geyr [nu] garmr mıǫk 


ꝼyrır gnıpa hellı 
ꝼeſꞇr man 﫩ıꞇna  58
enn ꝼrekı r.
56 Ser hon upp koma  52 [Se]r hon vpp koma 
ꜹðro ſıı  ǫðru ſınnı 
ıoꝛð oꝛ ęgı  ıǫrð or ægı 
ıþıa grǫna.  ıðıa græna 
ꝼalla ꝼoꝛſar  ꝼalla ꝼorſar  59
ꝼlygr ꜹrn yꝼır  ꝼlygr ǫrn yꝼır 
ſa er aꝼıallı  ſą er áa ꝼıallı 
ꝼıſca ueıðır. ꝼı﫦a veıðır.
57 Ꝼıaz ęſır  53 Hıꞈaz æſer 
aıþa vellı  ı ıða uellı 
⁊ vm molꝺ þınvr  ok um mollꝺ þınur 
maꞇka ꝺǫma  maꞇkan ꝺęma 
ok mınnaz þar  60
a megın ꝺoma 
⁊ a ꝼımbvl ꞇyſ  ok a ꝼımbulꞇyſ 
ꝼoꝛnar rvnar. ꝼornar runar.
58 Þar mvno epꞇır  54 Þa munu æſer 
vnꝺr ſamlıgar  unꝺrſam legar 
gvllnar ꞇꜹꝼloꝛ  gullnar ꞇǫꝼlur 
ıgraſı ꝼıaz.  ı graſı ꝼınna  61
þerſ ı arꝺaga  þærſ ı aarꝺaga 
aꞈar hoꝼðo. aaꞈar hǫꝼðv.
59 Mvno oſanır  55 Munu oſaanır 
acrar uaxa  akrar uaxa 
bꜹlſ mvn allz baꞇna  bǫlſ man allz baꞇna 
balꝺr mvn coma.  man ballꝺr koma 
bva þeır hꜹþr ⁊ balꝺr  bua þeır hǫðr ok ballꝺr  62
hropꞇz ſıgꞇopꞇır  hropꞇz ſıgꞇoꝼꞇır 
vel valꞇıvar  vel uellꞇıꝼar 
v. e. e. h. uíꞇu þer enn eðr hvaꞇ.
60 Þa kna hǫnır  56 Þa kna hęnır 
hlꜹꞇ vıþ kıoſa  hlvꞇvıð kıoſa 
⁊ byrır byıa  er burır byggıa
brǫꝺra ꞇveıa.  bræðra ꞇueggıa  63
vınꝺ heım vıꝺan  vınꝺheım vıðan 
v. e. e. h vıꞇv þer enn ęðr hvaꞇ.
61 Sal ſer hon ſꞇanꝺa  57 Sal ſer hon ſꞇanꝺa  {27} Sal veıꞇ ec ſꞇanꝺa
ſolo ꝼegra  ſolu ꝼegra  ſolv ꝼegra, 64
gvllı þacþan  gullı þakꞇan  gvlle beꞇra
agImlé  a gımle.  aGımle,
þar ſcolo ꝺyvar  þar 﫦olo ꝺyggvar þar 﫦vlo ꝺyggvar
ꝺroꞈır byıa  ꝺroꞈır byggıa  ꝺroꞈır byggıa
⁊ vm alꝺr ꝺaga  ok vm allꝺrꝺaga   oꝼ allꝺrꝺaga
ynþıſ nıoꞇa. ynꝺıſ nıoꞇa. ynꝺıſ nıoꞇa.
58 Þa kemr hınn rıkı 
aꞇ regınꝺomı 
ǫꝼlugr oꝼan  65
ſa er ǫllu ræðr.
62 Þar kǫmr ı ꝺımmı  59 Kemr hınn ꝺımmı 
ꝺrekı ꝼlıvganꝺı  ꝺrekı ꝼlıuganꝺı 
naþr ꝼra neþan  naðr ꝼraann neðan 
ꝼra nıþa ꝼıollom.  ꝼra nıða 
be ſer ıꝼıoþrom  berr ſıer ı ꝼıǫðrum  66
ꝼlygr vꜹll yꝼır  ꝼlygr uǫll yꝼır 
nıþhꜹr naı  nıðhoggr naı 
nv mvn hon ſeyqvaz. nv man hon ſǫkkvaz.

Bibliografia

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