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Neuromarketing libro

Psicologia dei consumi e Neuromarketing (Libera Università di Lingue e Comunicazione


IULM)

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“Neuromarketing,
Comunicazione e
Comportamenti di Consumo”
CAPITOLO 1 – IL CONTRIBUTO DEL
NEUROMARKETING PER LO STUDIO DEI
COMPORTAMENTI DI CONSUMO E LA
COMUNICAZIONE
CHE COS’è IL NEUROMARKETING E COME FUNZIONA: è un nuovo campo di studio nato dalla
convergenza delle teorie di mktg, scoperte neuroscientifiche, economia comportamentale, psicologia dei
consumi, comunicazione, e tecnologie di analisi di indici psicofisiologici e neurologici.
L’idea di base è che le decisioni possano essere caratterizzate da processi irrazionali, intuitivi, euristici ed
affettivi. Il neuromktg non potrà mai guidare i comportamenti dei consumatori, ma offrire la possibilità di
misurare in maniera diretta le emozioni e i processi, di cui i consumatori potrebbero non essere consapevoli,
delle scelte di consumo e le reazioni agli stimoli pubblicitari.
Il neuromktg offre tecniche capaci di misurare il coinvolgimento emotivo, la focalizzazione attentiva e la
memorizzazione, aspetti determinanti del processo di consumo.
Il principio base del neuromktg recita che il consumo è un atto dotato di senso, in cui la dimensione
emotiva, relazionale e identificatoria (nel gruppo) ha un ruolo predominante rispetto alla funzionalità del
prodotto.
Dagli anni ’70 in poi abbiamo assistito ad un mutamento paradigmatico nel modo di studiare i consumatori
grazie ad una nuova modalità di rappresentazione dei processi decisionali.
Questa nuova modalità si basa sulla prevalenza della dimensione emotiva nella percezione delle
stimolazioni e sulla non-esclusione ma mutuo influenzamento dei due processi di decodifica di queste: quello
emotivo e quello cognitivo, che, però, vengono mediati da sistemi cerebrali del tutto differenti anche se
interagenti.
Nel 1996 LeDoux espose la sua posizione a riguardo: egli sosteneva che il sistema cognitivo fosse
caratterizzato dall’attivazione della zona corticale, secondo un processo più lento e dispendioso, e da un altro
processo (emotivo) con funzione adattiva, più veloce e collegato alla zona talamica, la parte più ancestrale
del cervello (vedi p73).
Le neuroscienze studiano il sistema nervoso partendo dall’analisi dei processi biologici integrandoli con
quelli di psicologia e psicofisiologia. Per fare ciò si servono di sofisticate tecnologie: la risonanza magnetica
funzionale (fMRI), la risonanza a emissione di positroni (PET), l’analisi elettroencefalografica e l’analisi dei
segnali psicofisiologici (come la frequenza cardiaca e respiratoria).
Le principali tecniche di misurazione del neuromktg sono:
• Eye tracking: misurazione del movimento oculare tramite uno strumento (eye tracker) che permette
di analizzare le fasi di esplorazione oculare (saccadi), i tempi di fissazione, il percorso di visione, la
dilatazione pupillare (strettamente connessa all’attivazione fisiologica) e il blinking. Gli output
derivanti sono le Heat Map (in funzione della durata e del numero di fissazioni), le Focus Map
(restituiscono info sulle aree non osservate) e gli Scan Path.
Lo strumento può essere utilizzato sia in laboratorio che sul campo.

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• Analisi della skin conductance: determina il grado di attivazione psicofisiologica e viene misurata
tramite anelli o braccialetti in grado di rilevare il cambiamento del livello di sudorazione indicatore
del grado di arousal provocato sia da stimolazioni ambientali che da stati interni.
• Analisi respirazione e battito cardiaco: la velocità e la profondità del respiro è correlata al grado di
attenzione e tensione emotiva, mentre il battito cardiaco allo stato di concentrazione. Si possono
misurare tramite strumenti posizionati sul corpo del soggetto o a distanza tramite l’analisi del flusso
sanguigno del volto fatta da una webcam.
• Misura espressioni facciali: si valuta il movimento dei muscoli del volto in relazione all’emozione
provata. Per analizzare le espressioni facciali si utilizzano software specifici come il Face Reader,
per analizzare le microespressioni, invece, ci si affida al modello FACS (Facial Action Coding
System) e alle competenze di un esperto in grado di valutare con la moviola i movimenti del volto.
• Analisi tempi di risposta e latenza: è una misura del processo di comparazione tra stimoli in termini
di velocità di risposta ad essi valutandone la forza di associazione. Tempi di latenza più brevi
indicano un più radicato atteggiamento nei confronti di quello stimolo.
• Analisi dell’elettroencefalogramma EEG: si misurano le onde cerebrali e le zone del cervello
attivate dalle determinate stimolazioni.
La forza di tutti questi strumenti sta nella loro capacità di rilevare anche i più lievi cambiamenti e nella
possibilità della loro sincronizzazione e integrazione reciproca.
Negli ultimi anni la neuroscienza ha sviluppato sistemi di indagine sul cervello non invasivi in grado di
misurare le attivazioni cerebrali. Gli strumenti di Brain Imaging si basano sulla fMRI, in grado di misurare
il flusso sanguigno nelle varie parti del cervello, e sulla Magnetoencelografia (MEG), attivata dai campi
magnetici determinati dalla attivazione elettrica del cervello.
Queste tecniche hanno permesso di mappare il cervello e individuare quali zone si attivano in relazione a
particolari comportamenti o esperienze.
Anche la EEG può essere considerata una tecnica di Brain Imaging, la più antica, anche se la sua efficienza è
ridotta in quanto permette di misurare l’attivazione solo sullo scalpo.
Nell’analisi dei processi inconsapevoli il neuromktg può contribuire a valutare tre processi fondamentali
nelle scelte di consumo:
• Attenzione: può avvenire in maniera guidata (top-down) e quindi direzionata dalle aspettative della
comunicazione, oppure in maniera spontanea (bottom-up), stimolata dall’ambiente. Nel mktg
l’eccesso di novità può avere effetto negativo: è bene infatti trovare un perfetto equilibrio tra
l’attrattività data dalla novità e il riconoscimento di ciò che è noto e familiare.
• Emozione: gioca un ruolo determinante. È pressochè inconsapevole e immediata. Dell’emozione è
possibile misurare la valenza (positiva o negativa), l’arousal (intensità) e la sua motivazione.
• Memorizzazione: processo più articolato da misurare. Si presenta con due dimensioni: una in
entrata, ovvero la codifica delle informazioni il loro radicamento nel sistema mnemonico, e una in
uscita cioè il recall di ciò che si è memorizzato e il riconoscimento.
I contributi più importanti del neuromktg si riferiscono ai processi neurologici e psicofisiologici legati a:
• Rappresentazione degli stimoli e capacità di attirare o meno l’attenzione: la prima è influenzata dalle
possibili scelte, dai processi interni e dalle condizioni esterne. L’attivazione della rappresentazione
del prodotto può essere più rapida per quelli più graditi ed avvenire in maniera inconsapevole.
Non attira l’attenzione tutto ciò che è davanti ai nostri occhi, questa è influenzata dal contesto o da
come vengono presentate le informazioni. Secondo il processo bottom-up solo gli stimoli salienti
attirano la nostra attenzione, ma vanno anche considerati i bias attentivi. Secondo questi, ad
esempio, i consumatori prestano più attenzione agli a ciò che sta in alto a dx del campo visivo
durante la fase di acquisto.
Il processo top-down, invece, contribuisce a rendere più facilmente rilevabili alcuni stimoli piuttosto
che altri. Le aspettative, ad esempio, sono in grado di generare la cecità attenzionale per cui si vede
solo ciò che ci si aspetta di vedere. Queste fanno in modo che gli stimoli coerenti con esse risultino
più pregnanti rispetto a tutti gli stimoli neutri.
È per questo motivo che il movimento degli occhi risulta differente se vi è un obiettivo preciso
rispetto a quello determinato dalla semplice osservazione libera.
• Previsione del valore attribuibile allo stimolo di consumo o comunicazione: le ricerche hanno
dimostrato che vi sono tre aree del cervello coinvolte nella valutazione della piacevolezza
dell’esperienza di consumo. Esse sono il corpo striato, la corteccia vento-mediale prefrontale e la
corteccia dorsolaterale prefrontale. Tramite la misurazione del grado di attivazione di queste aree del
cervello, il neuromktg è in grado di stabilire il grado di piacevolezza attribuito dal soggetto
all’esperienza di consumo o alla comunicazione pubblicitaria.

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• Memorizzazione e relativo apprendimento dei processi di consumo: gli studiosi si sono concentrati
sia sulla misurazione della memoria implicita, cioè quella che non arriva alla coscienza del soggetto,
sia su quella della memoria esplicita. Vi sono numerosi studi in grado di dimostrare l’effetto
inconscio che possono avere alcune stimolazioni, come quelli riguardanti l’effetto priming.

LA RISCOPERTA DELL’INCONSCIO: negli anni ’50 Ogilvy scrisse che “le persone non pensano ciò
che sentono, non dicono ciò che pensano e soprattutto non fanno ciò che dicono”. Con tale frase afferma
l’incapacità delle persone di essere consapevoli delle proprie reazioni di fronte alle stimolazioni e la
difficoltà delle ricerche di mercato di poter individuare le motivazioni profonde in grado di spiegare i
comportamenti di consumo.
A discapito di ciò che annunciavano le teorie economiche della prima metà del ‘900, tutte le volte che il
consumatore deve fare una scelta può essere inconsciamente coinvolto da processi di cui non è
assolutamente consapevole.

• L’INCONSCIO COGNITIVO: termine coniato nel 1987 da John Kihlsrom per descrivere quei
processi cognitivi non consapevoli. Noi esseri umani siamo consapevoli degli output derivanti dai
processi cognitivi ed affettivi, ma difficilmente sapremmo descrivere i processi che li originano
perché molto di quanto fatto dalla mente umana avviene fuori dalla coscienza.
A fronte di quanto dichiarato dai consumatori i comportamenti di consumo possono essere molto
diversi. Ciò spiega, ad esempio, l’insuccesso della gran parte dei prodotto nuovi: solo il 31% di
questi, infatti, supera la prova di lancio. Questo accade perché vi sono delle discrepanze tra ciò che
viene rilevato in fase di ricerca e ciò che poi guida i comportamenti dei consumatori nella
quotidianità. È qui che viene in aiuto il neuromktg: può aiutare ad avere una conferma di quello che i
consumatori dichiarano spontaneamente tramite l’analisi di quello che sentono emotivamente prima
della sua razionalizzazione.

• L’INCONSAPEVOLEZZA DEI CONSUMATORI: i consumatori spesso non hanno


consapevolezza dei motivi per cui acquistano determinati prodotti o per cui hanno determinate
opinioni e atteggiamenti. Questo accade perché non hanno consapevolezza dei loro processi
cognitivi superiori anche se cercano comunque di fornire giustificazioni (esperimento calze tutte
uguali) rifugiandosi in rappresentazioni stereotipiche, nelle abitudini o nel senso comune.
Noi umani possiamo avere accesso attraverso l’introspezione ai contenuti coscienti, ma non tutti i
processi producono un contenuto cosciente. L’elaborazione degli stimoli che non arriva alla
consapevolezza nella forma di contenuto cosciente può, infatti, venire comunque registrata
implicitamente e avere una grande influenza sul pensiero e il comportamento.
A questi processi inconsapevoli va poi aggiunto tutto ciò che i consumatori non dichiarano perché
influenzati fortemente dalle regole sociali (desiderabilità sociale).

PERCHè CIò CHE DICHIARANO I CONSUMATORI NON COINCIDE CON Ciò CHE
FARANNO? La misurazione di ciò che è implicito è divenuto un ambito di studio anche grazie alla
pubblicazione di un lavoro riguardante l’utilizzo dell’Implicit Association Test (IAT). Questa misurazione
differisce da quelle classiche in quanto non si serve delle informazioni dichiarate spontaneamente dai
soggetti riguardo ad un oggetto in esame, ma ne ricavano la sua valutazione tramite i tempi di reazione
associati ad un compito di tipo cognitivo.
Pittosto che studiare i consumatori come decisori razionali occorrerebbe studiarli sapendo che questi possono
essere dei razionalizzatori puri, capaci cioè di trovare delle giustificazioni a tutto ciò che hanno sentito anche
inconsapevolmente.
Questo modello ha alla sua base l’assunto che i comportamenti economici delle persone sia no guidati da
aspetti razionali, frutto di una modellizzazione idealizzante che serve ad ordinare una realtà complessa,
semplificando i fenomeni allo scopo di poterne ricavare regolarità predicibili.
In linea con questo modo di leggere i comportamenti di consumo è ciò che hanno rilevato Iyengar e Lepper
in merito al contrasto tra attese e preferenze dei consumatori e ciò che viene registrato in termini di azione
osservata. Chiedendo ad un gruppo di consumatori di esprimere la propria preferenza tra un punto vendita
con grande scelta e uno meno fornito, non risulta strano scoprire che il primo risulta il più preferito. Tuttavia,
grazie al paradosso della troppa scelta, i due autori hanno dimostrato l’incongruenza tra ciò che è stato
detto e ciò che è stato successivamente agito. Essi crearono due condizioni diverse in store: in una mettevano
a disposizione 24 diversi tipi di marmellate, nell’altra solo 6. Nel primo caso si fermò ad assaggiare le
marmellate il 60% dei passanti, nel secondo il 40%. Tuttavia, l’atto d’acquisto fu differente: nel primo caso

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solo il 3% dei passanti comperò la marmellata, nel secondo il 30%. Questo accadde perché l’eccessiva scelta
ha prodotto un sovraccarico decisionale in grado di ridurre notevolmente l’atto d’acquisto.

• IL RAPPORTO RA PENSIERI AUTOMATICI, EMOZIONI E RAZIONALIZZAZIONE: il


sistema cerebrale ha una grande funzione adattiva, infatti i processi cognitivi e i comportamenti sono
programmati per essere svolti in maniera automatizzata o in maniera consapevole. Ciò ci permette di
avere pensieri latenti o pensieri veloci: i primi, caratterizzati da attenzione, fatica, concentrazione
avvengono in maniera consapevole, i secondi avvengono in maniera veloce, adattiva, automatica e
per processi di semplificazione o errore (bias o euristiche) in cui la dimensione emotiva ha valore
determinante. Ne consegue che i comportamenti sono determinati sia da aspetti associativi,
analizzabili con tecniche di indagine che fanno uso di misure implicite, sia da aspetti deliberativi,
rilevabili con tecniche di indagine facenti uso di misure esplicite.

• CASO NEW COKE: nel corso del 1985 la coca cola cercò un modo per rispondere alla continua
crescita delle quote di mercato del competitor pepsi modificando la formula originale della bevanda
e lanciando la new coke, di gusto più simile alla pepsi.
Tale scelta fu guidata da quanto era stato razionalmente dichiarato dai consumatori in merito alle loro
possibili scelte d’acquisto se la coca cola fosse stata prodotta con una ricetta più simile a quella della
pepsi, più dolce, più aromatica e meno gassata.
Fu allora condotta una grandissima ricerca di mercato i cui risultati suggerirono un posizionamento
del prodotto più vicino al gusto del prodotto della pepsi. Nei test la nuova coca batteva la vecchia 61
a 39. Anche nei test comparativi con la pepsi, la new coke vinceva a mani basse. Ma non appena il
prodotto venne lanciato ci fu il caos più totale: la coca cola iniziò a ricevere valanghe di lettere e
telefonate di lamentela.
Tutto ciò accadde perché la coca cola non aveva considerato gli aspetti intangibili del suo prodotto:
il nome della marca, la storia, l’immagine, il packaging e il patrimonio culturale. Tutti aspetti in
grado di attivare emotivamente più di quanto potesse fare un gusto percepito più vicino ai desideri
dichiarati. La valenza simbolica si era dimostrata più importante del gusto. In poche settimane la
coca cola tornò ala vecchia formula rilanciando il prodotto con il nome di classic coke.
Anni dopo l’evento fu realizzata una sperimentazione neuroscientifica replicando l’esperienza e
utilizzando, questa volta, sia tecniche classiche di indagine (self report) che la fMRI in grado di
valutare quali aree del cervello venivano attivate sia in condizione di blind sia in condizione di
visione della marca durante l’assaggio del prodotto.
I risultati misero in evidenza che nel caso in cui il consumatore era consapevole di assaggiare coca
cola si attivava nel suo cervello una zona correlata alle emozioni piacevoli, nella condizione di blind,
invece, i soggetti dichiaravano di preferire la pepsi, ma la zona legata alle emozioni piacevoli non si
attivava, si attivava invece quella correlata alle ricompense in condizioni di appetito.

• L’INCONSAPEVOLEZZA DELLE ATTESE – LA PERCEZIONE DEL VINO E DINTORNI:


il vino ha una forte connotazione sensoriale, olfattiva e visiva e, in più, il modo in cui viene descritto
ha una valenza comunicativa di grande impatto. Alcuni autori hanno voluto comprendere il valore
che processi automatici o inconsapevoli possono avere non solo nella percezione del prodotto ma
anche nelle aspettative sulla degustazione.
A tal proposito vennero coinvolti 54 esperti di vino, la sessione sperimentale più interessante è stata
quella riguardante il confronto tra un vino rosso ed uno bianco colorato di rosso, la quale richiedeva
ai soggetti di fornire una descrizione sensoriale.
Le parole utilizzate dai soggetti per descrivere il vino rosso e quello bianco colorato di rosso furono
pressochè identiche anche se le sensazioni olfattive e gustative provocate dai due vini erano molto
differenti. La vista del colore rosso in entrambi i casi, infatti, ha influenzato la valutazione dei
soggetti così tanto da annullare la capacità di riconoscimento sensoriale del gusto e dell’olfatto.
Attraverso l’immagine offerta dal PET si evince infatti come la corteccia visiva abbia avuto un ruolo
determinante anche nella percezione olfattiva dimostrando la capacità di influenzamento che la
stimolazione visiva ha nei confronti di gusto e olfatto.
In un altro esperimento sono stati fatti assaggiare ad un gruppo di soggetti particolarmente sensibili
al tema della sostenibilità degli yoghurt biologici e non biologici e si è scoperto come cambiava la
percezione del gusto di questi in relazione alla consapevolezza che lo yoghurt fosse bio o meno.
L’esperimento è stato condotto attraverso tre fasi: nella prima è stato fatto assaggiare il prodotto in
blind e i risultati hanno mostrato una preferenza nei confronti degli yoghurt convenzionali, nella

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seconda è stata fatta esprimere una preferenza senza l’assaggio del prodotto ma solo tramite la
visione delle etichette ed hanno raccolto maggior favore gli yoghurt bio, nella terza fase sono stati
fatti assaggiare i prodotti in una condizione informata e le preferenze sono state rivolte agli yoghurt
bio.
La percezione del gusto è cambiata grazie alla comunicazione dell’etichetta. Questo dimostra come
le aspettative abbiano un ruolo determinante nella valutazione degli oggetti.
A volte queste possono anche guidarci verso una valutazione corretta nella percezione di un gusto
(individuazione gusto bevande facilitata dal colore con cui venivano presentate).
Questi studi dimostrano come la reazione inconsapevole, se adeguatamente misurata, possa mettere
in guardia il mktg prima di prendere decisioni complicate: riprendere il cervello mentre attua un
comportamento di osservazione o scelta permette di comprendere come le emozioni influenzano le
nostre scelte e quali attività neurali sono coinvolte nei vari casi. La conoscenza di tali elementi
permette di ottimizzare quello che è stato definito lo shopping emozionale.

UN NUOVO MODO DI INTENDERE IL RAPPORTO TRA EMOZIONE E DECISIONE: le emozioni


sono state considerate variabili disturbanti del processo decisionale in grado di alterare la valutazione logica
e razionale della realtà. Platone, nel Fedro, parla di una biga composta da un cavallo bianco, facilmente
assoggettabile, che rappresenta la parte emotiva ed irascibile dell’anima (eros) e da un cavallo nero, indomito
e sfrenato, simbolo della parte concupiscibile e istintuale (tsanathos). È sul cavallo bianco che l’auriga deve
lavorare perché, mentre l’emotività serve a sostenere la ragione, l’istinto, lasciato libero a sé stesso, rende
l’uomo simile ad una bestia.
Per decenni il decisore è stato studiato come un soggetto razionale e le scienze cognitive hanno considerato
l’emozione come un elemento determinato dall’elaborazione delle informazioni, quindi secondario al
processo intellettivo primario.
Le emozioni, quindi, sono sempre state considerate come l’esito di qualcos’altro, l’output di qualcosa di più
importante. A questa visione aveva contribuito la teoria sulle emozioni di Cannon (1927) che sosteneva che
l’emozioni fossero l’esito fisiologico dell’attivazione indifferenziata di uno specifico circuito cerebrale (il
sistema limbico) e gli studi di Schacter e Singer (1962) secondo i quali le risposte fisiche all’emozione
informano il cervello di uno stato di attivazione del tutto indifferente alla tipologia di emozione fino a
quando non entra in gioco il processo di razionalizzazione in grado di assegnare un’etichetta allo stato di
attivazione psicofisiologica. L’emozione diviene allora un’interpretazione cognitiva.
La prima teoria premonitrice di quanto sarebbe poi stato dimostrato grazie alle neuroscienze è tuttavia più
antica: la teoria degli effetti periferici di James (1890) dice che la percezione di eventi esterni è in grado di
determinare modificazioni corporee periferiche elaborate poi retroattivamente a livello cognitivo ed
etichettate come sentimento emotivo. La relazione stimolo-sentimento emotivo è riassunta dalla sequenza:
stimolo ! risposta fisiologica ! retroazione ! sentimento. Se ad esempio veniamo rincorsi da un orso
(stimolo) rispondiamo con fuga, tremito, sudorazione e batticuore (risposta fisiologica) e tramite la
retroazione etichettiamo tali elementi come sentimento di paura.
James postulava un processo di base nel quale particolari stimoli ambientali eccitano un quadro specifico di
reazioni corporee per mezzo di un meccanismo innato e inderogabile. Il sentimento emotivo non è
determinato dallo stimolo ma da tali reazioni.
Anche secondo Lange ciò che caratterizza l’emozione è la percezione dei cambiamenti dell’organismo che
sono causati da un aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo che controlla tutte le attività viscerali.
La differenza tra il modello di Cannon e quello di James, quindi, sta nel fatto che il primo sosteneva che i
sistemi viscerali reagissero allo stesso modo in ogni situazione emozionale, il secondo, supportato dalle
scoperte odierne, sosteneva che il sistema nervoso autonomo reagisse selettivamente attivando gli organi
diversamente a seconda dello stimolo.

• SIAMO LIMITATAMENTE RAZIONALI: i consumatori non decidono di partire da tutte le


informazioni disponibili, ma solo da quelle ritenute soddisfacenti anche se non del tutto esaustive.
Gli esseri umani, infatti, non sono del tutto razionali nelle loro scelte ma soggetti a semplificazioni e
ad una sorta di razionalità limitata (Herbert Simon). Secondo questo paradigma abbiamo una
conoscenza incompleta delle alternative, una panoramica frammentaria delle conseguenze delle
nostre strategia d’azione e costruiamo delle rappresentazioni facendoci influenzare dalle nostre
preferenze e senza seguire il principio della utilità attesa. In questo modo le preferenze, e quindi le
scelte di consumo, non sono più ordinabili secondo una gerarchia universale sempre valida e si
rinuncia così alla prevedibilità assoluta. Secondo Simon, infatti, vi è una quota non prevedibile nei
modelli di rappresentazione e previsione dell’agire umano.

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• DUE MODI DIVERSI DI DECIDERE – CON IMPEGNO O SENZA FATICA: secondo il


modello razionalistico la scelta avverrebbe attraverso un processo lineare e suddivisibile in fasi ben
precise, ovvero riconoscimento del problema, raccolta delle alternative, valutazione del valore di
ognuna di queste, scelta di quella che garantisce il maggior guadagno a fronte della minor spesa e
valutazione finale in relazione al grado di risoluzione del problema iniziale. Siamo davanti ad un
processo lento e dispendioso che è stato definito percorso centrale, attivato quando si è
particolarmente motivati a trovare una soluzione e si hanno le competenze cognitive e le risorse per
farlo. In sostituzione a questo processo lento, molte volte si fa uso di un processo più veloce
chiamato processo periferico o euristico in cui la scelta avviene dopo processi di semplificazione o
errori (bias) in cui la dimensione emotiva assume un valore determinante. Secondo questa visione le
emozioni, quindi, non sono un qualcosa di disturbante ma una parte essenziale del processo
decisionale, esse sono il modo in cui contestualizziamo un problema e le opinioni che caratterizzano
la scelta.

• DECISIONI CALDE E DECISIONI FREDDE – IL CONTRIBUTO DI KANHEMAN E


TVERSKY: hanno dimostrato come i processi decisionali siano determinati da errori o bias
sistematici e ricorrenti.
Secondo la loro teoria del prospetto le scelte economiche sono fortemente condizionate dal contesto
in cui vengono poste e dal modo in cui vengono proposte, è la dimensione emozionale che acquista
maggiore valore rispetto all’analisi razionale del problema (è diverso leggere “contiene il 25% di
carne grassa” e leggere “contiene il 75% di carne magra”).

• NON SIAMO MACCHINE PENSANTI CHE SI EMOZIONANO MA MACCHINE


EMOTIVE CHE PENSANO: offre una nuova visione del decisore che inquadra le emozioni come
elementi di base del buon funzionamento della mente, e non più come elementi disturbanti,
dimostrando come un danno a un’area cerebrale deputata alle capacità emozionali renda le persone
incapaci di manifestare ragionevolezza. I soggetti che presentano lesioni nelle zone deputate alla
gestione delle emozioni (amigdala, corteccia orbito-frontale e insula) hanno minore avversione al
rischio.
Ciò dimostra che la ragione non può funzionare senza le emozioni cioè senza lo stretto
collegamento con il corpo che offre costantemente la materia di base con cui il cervello costruisce le
immagini da cui origina il pensiero.
La mente cognitiva svolge un ruolo importante ma residuale nel processo d’acquisto: essa ritarda e
razionalizza le scelte fatte a livello emotivo.
Analizzando il comportamento cerebrale di soggetti impegnati nel gioco d’azzardo, Damasio è
giunto alla conclusione che l’emozione è elemento di scelta, senza il corretto funzionamento del
processo emotivo non si possono prendere decisioni, non si riconoscono i rischi, non si
comprendono le reazioni degli altri, le loro esigenze e sensazioni.
Secondo la teoria del marcatore somatico di Damasio l’esito negativo di una scelta o di un atto in
grado di produrre una sensazione spiacevole determina un’associazione tra la rappresentazione della
situazione e l’esperienza spiacevole attraverso un marcatore somatico in grado di forzare l’attenzione
sull’esito negativo al quale può condurre una certa azione e agendo come segnale automatico di
allarme per il futuro. Le emozioni intese come marcatori somatici renderebbero i processi decisionali
più efficienti.
Le emozioni non sono un elemento disturbante del processo decisionale ma un elemento
cogente.
La forza delle emozioni è in grado di spiegare un gran numero di paradossi come le incoerenze
comportamentali, l’acquisto d’impulso e le contraddizioni tra ciò che viene studiato con metodi
razionalizzanti (self report) e ciò che viene registrato analizzando il comportamento agito (vedi caso
new coke).

• EMOZIONE E CONSAPEVOLEZZA – LA DOPPIA VIA DI LEDOUX: numerose evidenze sui


processi emotivi stanno iniziando a dimostrare che la dimensione biologica e il corpo hanno una
profonda capacità di influenzare la mente. LeDoux sostiene che spesso agiamo sotto la spinta di
processi adattivi di tipo emotivo senza che ve ne sia piena consapevolezza. Egli dimostra come
l’amigdala possa letteralmente attivare il nostro corpo determinando una risposta bypassando
completamente la razionalità.

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Vi sono due diverse vie d’azione che caratterizzano il funzionamento del cervello: una più veloce e
immediata, con funzione adattiva, impulsiva e inconscia, e un’altra più lenta, faticosa e
consapevole.
Secondo l’autore il sensory shalamus è un nucleo che riceve impulsi elettrici, quindi informazioni,
da tutti gli organi di senso. Se lo stimolo codificato dagli organi di senso ha una netta connotazione
emotiva, il talamo invierà impulsi elettrici all’amigdala (deputata ad attivare le forti emozioni
negative) la quale invierà informazioni ai nuclei cerebrali che comandano gli organi effettori
(muscoli, apparato scheletrico…) per una pronta reazione.
In questo processo il collegamento diretto tra talamo e amigdala è chiamato low road a volte definita
anche quick and dirty. Si tratta di un processamento di info rapido ma non accurato né preciso che
segue i criteri di “preferanda”.

LOW ROAD/QUICK AND DIRTY:

talamo ! amigdala ! nuclei cerebrali ! organi effettori ! azione

Se lo stimolo processato dal cervello non è di natura emotiva ma di fondamentale importanza per la
sopravvivenza, l’informazione viene mandata dal talamo alla sensory cortex la quale manderà
impulsi elettrici all’amigdala che valuterà se la situazione è degna di attenzione oppure no. Il
collegamento indiretto tra talamo e amigdala è chiamato high road o slow and accurate. Questa via
più accurata segue i criteri di “inferanda”.

HIGH ROAD/SLOW AND ACCURATE:

talamo ! corteccia sensoriale ! amigdala ! nuclei cerebrali ! organi effettori ! azione

La compresenza di queste due vie dimostra la stretta interconnessione tra emozione e ragione e
spiega tutti quei processi di scelta automatici che spesso caratterizzano i consumatori e spiega il
bisogno degli uomini di mktg di attivare la via bassa attraverso l’emozione.
Le risposte rapide (low road) permettono alle persone di decidere in maniera euristica, senza fatica,
quando la scelta non è caratterizzata da grande motivazione o alto coinvolgimento e non si
possiedono le competenze necessarie per un’attenta valutazione.
L’intelligenza non consiste nella capacità di reprimere le emozioni, ma di usarle per leggere la
realtà esterna e le dinamiche interne.

L’EMOZIONE COME PROCESSO AUTONOMO E NON “POST-COGNITIVO”: Zajonk è stato il


primo autore a considerare l’emozione preliminare al processo cognitivo. Egli h dimostrato come le
preferenze possano formarsi senza alcuna registrazione cosciente degli stimoli e come la dimensione emotiva
è quella che emerge nei ricordi, nel riconoscimento di cose, persone ed eventi.
La posizione di Zajonk non si differenzia da quella degli autori del New Look che dicevano che, secondo la
percezione difensiva, parole o immagini presentate in maniera subliminale, ma cariche emotivamente in
maniera negativa, venivano riconosciute con un tempo di latenza più elevato. Sebbene fossero
inconsapevolmente percepite, vi era una resistenza nel loro riconoscimento dettato dalla valenza
emotivamente negativa delle stimolazioni.

SI PUò CONDIZIONARE IL COMPORTAMENTO DEI CONSUMATORI SENZA CHE NE SIANO


CONSAPEVOLI? L’EFFETTO “PRIMING”: a dimostrazione dell’esistenza e del ruolo dei processi
inconsapevoli ci cono numerose ricerche. Tra queste, quelle riguardanti i processi di priming, ovvero quella
tecnica in grado di rendere più immediato uno schema di azione rispetto ad altri tramite degli stimoli-
innesco.
Si tratta di un processo di associazione: l’attivazione per associazione dipende dalla propensione della nostra
mente ad immaginare gli eventi correlati tra loro sequenzialmente. Il processo associativo rende più
immediato uno schema d’azione che si conserva nella nostra memoria a lungo termine o che è stato reso
disponibile dalla visione di altri schemi d’azione.
Le tecniche di priming sono state utilizzate per dimostrare come sia possibile stimolare certi
comportamenti senza che le persone ne siano consapevoli (vedi Tenaris Dalmine, sicurezza sul lavoro).
Per creare una condizione di priming occorre presentare ad un soggetto parole o concetti in grado di rendere
“più disponibile” un comportamento o una chiave di lettura di un fenomeno.

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Il priming può essere agito anche con il corpo, sappiamo, infatti, che questo produce segnali che possono
avere un’influenza sulla valutazione delle stimolazioni e dell’ambiente.
I processi di consumo e il rapporto brand-individuo possono essere condizionati tramite due diversi processi.
Il primo è più razionale in grado di essere rilevato dal dichiarato, quindi attinente alla parte più razionale
della scelta, quella correlata con l’attivazione della corteccia orbito frontale (high road). Il primo processo ha
anche una componente affettiva ma può essere definita come sentimento. La differenza fra sentimento ed
emozione è che il primo è l’esito di un processo di valutazione in cui la razionalizzazione ha sempre una sua
valenza, la seconda ha un’accezione più istintuale.
È proprio l’emozione che caratterizza il secondo processo di costruzione del rapporto brand-consumatore, di
cui si potrebbe non avere consapevolezza (low road).
La familiarità rende più gradevole un oggetto, così come uno stimolo affettivo (il prime) è in grado di
evocare una risposta emotiva coerente con sé stesso modificando il modo di valutare la situazione e lo
stimolo stesso. La familiarità ha la forza di diventare un utile risolutore euristico nelle occasioni a bassa
motivazione, basso coinvolgimento e bassa competenza.
I consumatori vedono, sentono e si emozionano, ma non sono in grado di attribuire alle variabili introdotte
dagli sperimentatori sul luogo di consumo (certo tipo di musica, odori, luminosità) le loro sensazioni. Questa
loro incapacità, tuttavia, non limita il loro tentativo di ricercare una motivazione razionale alle loro azioni.
In realtà, il “cervello conscio” è preparato per apprendere e pianificare ma non per prendere una decisione. I
consumatori, infatti, quando devono scegliere e sono in una situazione a bassa motivazione, bassa
competenza e basso coinvolgimento (cioè la maggior parte delle volte) si fanno guidare dalle intuizioni, dalle
emozioni e dalle scorciatoie cognitive (euristiche).
L’emozione è una reazione intensa, improvvisa e di breve durata in grado di incidere sul consumatore a tre
livelli: fisiologico, attraverso modificazioni ruguardo la pressione arteriosa, la respirazione, il battito
cardiaco, la circolazione, la digestione etc, comportamentale, grazie al quale possiamo vedere un
cambiamento nelle espressioni facciali, nella postura, nel tono della voce e nelle reazioni (attacco o fuga ad
es), e psicologico che si riferisce a ciò che sentiamo e proviamo personalmente e che è in grado di modificare
l’autocontrollo. Queste sono tutte reazioni che possono essere direttamente misurate.

LA PUBBLICITà DEVE SEMPRE ATTIRARE L’ATTENZIONE E FAR RIFLETTERE? L’idea di


attirare l’attenzione è sempre stata parte integrante del principio di efficacia pubblicitaria. Se negli anni ’50
l’esigenza più sentita era quella di attirare l’attenzione, negli anni seguenti ci si è concentrati anche sulla sua
capacità di essere memorizzata in maniera corretta.
Quando l’emozione è troppo forte, si rischia di compromettere il ricordo del prodotto/brand pubblicizzato
(signor buonasera, fiat punto) perché questa distrae lo spettatore da esso. Questo dimostra che non basta
attirare l’attenzione, ma è anche necessario scatenare il ricordo.
Dagli anni ’60 si è iniziato a capire l’importanza della memorizzazione, era questo il periodo dello sviluppo
delle teorie motivazionali di Freud e dell’invenzione della di Rosser Reeves riguardo alla Unique Selling
Proposition, il quale escludeva anche che ci fosse la possibilità di una memorizzazione senza attenzione.
Secondo Reeves il modello pubblicitario si doveva fondare su una comunicazione razionale, chiara ed
esplicita al fine di promuovere un cambiamento di opinione nei consumatori. Allora, la visione dell’uomo era
quella di un soggetto razionale e l’idea che vi potesse essere una forma di persuasione a basso livello
attentivo o condizionata dall’emotività spaventava molto. Ammettere, ad esempio, che la libertà di opinione
politica potesse essere condizionata da messaggi subliminali significava mettere in discussione l’intero
processo democratico.
Numerosi studi successivi hanno dimostrato che vi può essere effetto pubblicitario senza consapevolezza,
senza necessariamente scomodare il tema del subliminale, ma dimostrando la specificità di funzionamento
del sistema cerebrale (low road!!!).
Addirittura, l’eccessiva attenzione rivolta ad un messaggio pubblicitario potrebbe attivare una sorta di
pensiero critico e di posizioni contro argomentative rispetto ad esso. Tale meccanismo prende il nome di
reattanza, secondo il quale sapere che qualcuno sta cercando di influenzarci attiva in noi un meccanismo
difensivo.

CAMBIARE GLI ATTEGGIAMENTI PER MODIFICARE I COMPORTAMENTI O VICEVERSA?


l’uso del neuromktg trova giustificazione anche in merito all’importanza del cambiamento degli
atteggiamenti al fine di modificare i comportamenti.
Potremmo, però, anche ipotizzare un ribaltamento del paradigma: considerare cioè il cambiamento dei
comportamenti come fase preliminare per la modifica degli atteggiamenti. Krugman ed Ehremberg
sostenevano che fosse possibile persuadere senza modificare in alcun modo gli atteggiamenti. Questo

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significa ammettere che, se l’atteggiamento è la somma di credenze e opinioni consapevoli caratterizzate da


una declinazione affettiva, vi può essere apprendimento implicito ed un vero e proprio rovesciamento del
tradizionale modello che vede la pubblicità come uno strumento per cambiare gli atteggiamenti e per
persuadere razionalmente il consumatore. Secondo gli autori, il principale ruolo della pubblicità sarebbe
rinforzare i sentimenti di soddisfazione determinati dalla fruizione del prodotto e del brand. In tal modo il
processo verrebbe ribaltato, riconoscendo al comportamento un ruolo importante nel modificare gli
atteggiamenti e non viceversa.
In uno dei programmi di promozione di comportamenti di consumo alimentare dl titolo Food Dudes si è
replicato ciò che gli autori hanno dimostrato sull’utilità di agire sui comportamenti prima che sugli
atteggiamenti: i bambini sono stati guidati ad apprendere direttamente dall’esperienza del contatto diretto
con frutta e verdura, non mediato dal linguaggio, l’importanza di un consumo alimentare adeguato. Il
programma si è basato su 3 principi: assaggi ripetuti (per acquisire abitudine al gusto), apprendimento
attraverso imitazione di modelli (testimonial che spingono il pubblico all’identificazione) e uso di
rinforzatori estrinsechi (piccoli premi).

• APPRENDIMENTO IMPLICITO E MEMORIA IMPLICITA: si parla di apprendimento


passivo quando questo avviene senza consapevolezza, gli sforzi cognitivi sono ridotti al massimo e
viene guidato da un processo bottom-up, questo attiva la via periferica (low road) a partire dagli
elementi euristici solo se vi è qualche predisposizione o posizione favorevole ad esso.
Un altro tipo di apprendimento è quello implicito, che avviene quando non vi è alcuna attenzione o
consapevolezza.
Entrambi i due tipi di apprendimento sono coerenti con la modalità di fruizione della pubblicità più
dell’apprendimento attivo: infatti, in genere, la ascoltiamo facendo altro.
La memoria a lungo termine, infatti, può essere frazionata in due componenti: memoria esplicita (o
dichiarativa) e memoria implicita (o non dichiarativa). La prima è coinvolta in situazioni ad alto
coinvolgimento, la seconda in situazioni contrarie.
I primi a parlare di memoria senza consapevolezza, furono Jacoby e Witherspoon nel 1982
intendendo definire quelle situazioni in cui il ricordo di un evento precedente influenza la codifica di
un evento successivo senza che l’individuo sia consapevole di ricordare l’evento precedente. Il
modello di apprendimento pubblicitario inconsapevole viene definito learn-feel-do. È questo il tipo
di memoria che viene indagata attraverso la metodologia del priming.
La memoria implicita (o senza consapevolezza) sembra essere superiore a quella esplicita in tre
aspetti: è più duratura, più capiente e indipendente dal gradi di attenzione prestata.

PERCHÉ USARE LE TECNICHE DI NEUROMKTG? Se si usano solo tecniche di misurazione


tradizionale, ciò che si misura non è l’emozione, ma la sua razionalizzazione.
Il vero problema sta nel riuscire a misurare l’emozione senza la mediazione cognitiva razionalizzante. Si
tratta quindi di studiare il consumatore non più come homo oeconomicus, ma come homo neurobiologicus.
Così, accanto alle tradizionali metodologie di studio sul consumatore in grado di misurare solo la
razionalizzazione dell’emozione, si affiancano sempre più frequentemente strumenti in grado di analizzare
quel substrato biologico che per anni è stato considerato solo un elemento disturbante.
Si tratta di analizzare le correlazioni tra comportamento osservabile e corrispondente correlato biologico. Le
emozioni sono state in passato considerate “meno interessanti” dei processi razionali perché hanno origine
nella parte bassa del cervello (amigdala e talamo che stanno sotto la corteccia) che dal punto di vista
evolutivo è la parte più recente. L’idea più comune è che esistano sistemi neurali dedicati a riconoscere certe
situazioni selezionate durante l’evoluzione della specie umana il cui fulcro si trova nell’amigdala. Al
contrario, la corteccia contiene l’esperienza individuale di ognuno di noi: un dominio molto più ampio ma
anche molto più personalizzato e difficile da determinare a priori.

• IL NEUROMKTG COME NUOVA EFFICACE PROSPETTIVA DI INDAGINE O UNA


SORTA DI “POSITIVISMO DI RITORNO"? una delle critiche più ricorrenti nei confronti del
neuromktg è che contribuisce ad esaltare la quantificazione e modelli di indagine basati
sull’oggettivizzazione dell’emozione, considerata difficile da misurare.
In realtà, ormai, è pieno di apparecchiature in grado di misurare i parametri psicofisiologici collegati
alle emozioni, anche a basso costo.
Questa potenzialità, tuttavia, solleva alcune considerazioni di tipo etico: misurare ciò di cui le
persone non sono consapevoli potrebbe essere considerato una lesione alla loro privacy.

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In realtà, i soggetti sottoposti a sperimentazione di neuromktg sono assolutamente consapevoli di


ciò, e a chi asserisce che la condizione “sperimentale” potrebbe viziare i risultati, gli esperti di
neuromktg rispondono che prima di ogni sessione è sempre programmata una fase di rilassamento.

GLI STUDI DEL NEUROMKTG E I COMPORTAMENTI DI CONSUMO: le nostre emozioni guidano


le scelte che vengono successivamente spiegate razionalmente. Se si vuole studiare ciò che determina i
processi decisionali occorre quindi prendere in considerazione sia ciò che razionalmente viene deciso sia ciò
che emotivamente condiziona il processo decisionale.
A tal proposito è importante un lavoro svolto da Damasio nel 2006: lui e i suoi colleghi individuarono
l’attivazione di circuiti cerebrali differenti all’interno del sistema nervoso centrale e periferico a seconda del
tipo di emozioni provate, dimostrando quindi che le diverse emozioni hanno una stretta connessione con
specifiche aree cerebrali.
Il mktg ha sempre cercato di misurare l’emozione che stava dietro la relazione con il brand e con il prodotto,
l’uso del differenziale semantico di Osgood è stato uno degli strumenti tradizionali più utilizzati a questo
scopo.
Le tecniche psicofisiologiche più utilizzate, invece, sono la dilatazione pupillare, il movimento oculare, il
battito cardiaco, la conduttanza elettrocutanea, la misurazione cardiovascolare e le espressioni facciali.
La misurazione della dimensione affettiva permetterebbe di valutare oggettivamente la reazione emotiva
nelle sue principali dimensioni: piacere/dispiacere, grado di arousal e dominanza (dominant vs submissive. Il
grado di piacere e di attivazione sono stati già studiati attraverso l’analisi delle onde alpha e beta
dell’elettroencefalogramma (EEG), utilizzate anche per misurare l’attività cerebrale, l’impegno cognitivo e
lo stato di attivazione cognitiva.

ALCUNE POSSIBILI APPLICAZIONI DEL NEUROMKTG:

• ANALISI DEI SITI WEB: devono essere attrattivi ma immediati e di facile comprensione.
Nell’ambito della web usability registrare e studiare il movimento oculare di una persona che
esplora un sito web mentre esegue un compito misurandone le reazioni psicofisiologiche restituisce
numerose info sui processi cognitivi coinvolti. Impiegando eye tracking ed EEG congiuntamente è
possibile dedurre: il livello di attenzione focalizzata, il modo di trattare le info, la modalità di
esplorazione e le possibili criticità, il tempo, il numero di fissazioni e click medi necessari per
raggiungere l’obiettivo e la tipologia e numero di errori.

• ANALISI DELLA PUBBLICITà SU WEB, CARTA E VIDEO: sempre mediante eye tracking e
altri indicatori di attivazione cognitiva ed emotiva (EEG, misuratore delle espressioni facciali) è
possibile comprendere l’efficacia degli elementi pubblicitari misurando: il tempo medio necessario
affinchè ci si accorga della pubblicità, il tempo di permanenza media, il numero di visite dell’area di
interesse, il numero di soggetti “attirati” e la durata media della prima fissazione.

• ANALISI DELL’ESPERIENZA DI PRODOTTO (USER EXPERIENCE): è definita come le


percezioni e le reazioni di un utente che derivano dall’uso o dall’aspettativa d’uso di un prodotto,
sistema o servizio. Grazie all’utilizzo dell’eye tracking e dell’osservazione dei parametri neuro-
psicofisiologici è possibile contribuire alla comprensione di questi processi.
Questa fase permette anche di valutare il grado di facilità d’uso del prodotto.

• ANALISI DELLE SOLUZIONI IN-STORE MKTG: l’utilizzo dell’eye tracking mobile


permette di valutare il percorso visivo dell’utente in condizioni in-store. Grazie a questa tecnologia
si è scoperto, ad esempio, che le zone perimetrali di un PoS sono frequentate per circa l’85% e
quelle centrali solo per il 45-50%. Uno dei motivi per cui i prodotti essenziali (sale, zucchero…) non
sono così facilmente individuabili, è proprio per “costringere” i clienti a muoversi.
A supporto della tecnologia eye tracking può essere aggiunta la registrazione dell’attività cerebrale
tramite caschetto EEG.

• ANALISI DELLE PROMOZIONI IN FIELD (STREET ADV TEST): l’eye tracker portatile
aiuta a verificare l’efficacia di un’affissione pubblicitaria in termini di visibilità e di efficacia
comunicativa, in modo da poter correggere un eventuale posizionamento scorretto. A questo scopo
sono analizzati il numero e la durata delle fissazioni necessarie a comprenderne il significato: se la
fissazione supera i 200ms significa che l’affissione non è chiara.

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• ANALISI DEL PACKAGING: sempre grazie all’eye tracking è possibile comprenderne gli
elementi più esplorati, l’eventuale difficoltà nel ricercare determinate info e se elementi
particolarmente importanti vengono percepiti o meno.

• ANALISI DELL’EFFICACIA DELLE INTERFACCE TECNOLOGICHE: visto che la


tecnologia mobile è in continua ascesa, un elemento di distinzione dai competitor passa
dall’ideazione di un’interfaccia user friendly. Sempre tramite metodologia eye tracker è possibile
misurare il percorso di esplorazione della tecnologia da parte di un utente e registrarne le eventuali
difficoltà.

• ANALISI DEL CAMPO DI FRUIZIONE DEI VIDEO – IL NEUROCINEMA: la fruizione


video rappresenta un’altra frontiera di analisi dal punto di vista della capacità di certi spezzoni di
film di provare certe emozioni. La tecnologia usata è ancora una volta l’eye tracker abbinato alla
misurazione di altri parametri. Tutto ciò può essere particolarmente utile quando è necessario
analizzare un product placement: il prodotto attira l’attenzione voluta (numero fissazioni)? Il grado
di intensità dell’attenzione (durata fissazioni) è abbastanza elevato?
La neurocinematics è la metodologia di indagine in cui l’attività cerebrale è misurata usando la fMRI
durante la libera visione di un film.

CAPITOLO 2 – EMOZIONI,
COMPORTAMENTI D’ACQUISTO E ANALISI
ELETTROENCEFALOGRAFICA
L’ELETTROENCEFALOGRAFIA (EEG): è la registrazione non invasiva dell’attività elettrica del
cervello e ne indica lo stato di attivazione.
Il campo elettrico è lo spazio che circonda una carica elettrica, al suo interno c’è una forza di tipo attrattivo
e una di tipo repulsivo. La forza elettrica del campo agisce su una carica elettrica posta al suo interno e
misura la differenza di potenziale elettrico, ovvero il potenziale necessario affinchè venga generate un
flusso di corrente. la corrente elettrica è generata dal movimento di cariche (atomi e molecole, ovvero ioni).
È possibile misurare a distanza l’attività cerebrale proprio grazie alla proprietà di sommazione dei
potenziali di un gruppo di ioni.
Quando cariche di segno opposto (ioni negativi e ioni positivi) vengono separate da un mezzo interposto, la
combinazione dei campi elettrici genera un dipolo elettrico che produce potenziale.
La misurazione dell’attività cerebrale effettuata dall’EEG si basa sulla propagazione del campo elettrico
attraverso i tessuti.

LE CELLULE NERVOSE: possono essere piramidali e non piramidali. Le prime sono dotate di
molteplici connessioni e sono il costituente principale della corteccia cerebrale, sono parallele tra loro e
perpendicolari alla superficie della corteccia, sono anche chiamate neuroni eccitatori. Le seconde sono di
forma ovale e i loro assoni (prolungamenti) terminano sulla cellula vicina, ecco perché sono chiamate anche
interneuroni. L’attivazione simultanea di cellule piramidali produce campi elettrici misurati dall’EEG.

SISTEMI DI REGISTRAZIONE EEG: comprendono elettrodi con mezzi di conduzione, amplificatori,


filtri, convertitore analogico-digitale e dispositivo di registrazione. Il processo di misura e registrazione dei
segnali EEG si articola in più step:
1. Trasduzione del segnale: conversione del segnale bioelettrico in corrente elettrica a livello della
superficie dell’elettrodo che viene posizionato sullo scalpo secondo il sistema internazionale 10-20 e
la loro congiunzione avviene grazie a del gel conduttivo.
2. Trasmissione del segnale all’amplificatore: deve avvenire tenendo conto della presenza di artefatti
(rumori) che possono disturbare. Essi possono essere meccanici e strumentali, ambientali o
fisiologici (battito cardiaco o movimenti oculari).

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I RITMI DEL SEGNALE EEG: l’EEg analizza la frequenza correlata ai processi cognitivi, a seconda del
ritmo analizzato si possono monitorare diverse attività.
• Ritmo delta: onde che accompagnano il sonno
• Ritmo theta: onde che accompagnano ipnosi e meditazione
• Ritmo alpha: onde che accompagnano rilassamento e occhi chiusi
• Ritmo beta: onde che accompagnano l’attività mentale
• Ritmo gamma: onde che accompagnano l’attività cognitiva complessa
Nel campo dei consumi, l’analisi dei ritmi viene utilizzata per analizzare l’impatto pubblicitario su
attenzione e memoria poiché identifica il cambiamento dell’attività cerebrale a seguito delle stimolazioni
esterne.

• RUOLO DELLE STRUTTURE CORTICALI E SOTTOCORTICALI NELL’ATTIVAZIONE


DELLE EMOZIONI: Papez valuta il valore emotivo seguendo una via corticale e una
sottocorticale. Leventhal studia tre livelli all’interno dei quali il sistema emozionale diviene sempre
più interconnesso con quello cognitivo:
o Livello sensori-motore: consiste in un insieme di programmi espressivi, ovvero motori
innati e universali che vengono innescati dagli stimoli ambientali.
o Livello schematico: si basa sull’utilizzo di schemi formati tramite processi di
condizionamento. Gli schemi derivano dalla connessione tra i programmi innati e le
sensazioni associate a tali programmi nell’esperienza dell’individuo. Perciò esistono schemi
diversi per ciascun individuo.
o Livello concettuale: le elaborazioni concettuali non portano a memorizzare il ricordo
concreto di una situazione emotigena quanto piuttosto a elaborare una nozione astratta di
cosa sono le emozioni, quali situazioni le possono provocare e come rispondere
correttamente, in accordo alle norme sociali.

• RUOLO DELLE STRUTTURE CORTICALI NELL’ORGANIZZAZIONE DELLE


EMOZIONI: esistono due assi principali nello studio dell’organizzazione corticale delle emozioni.
L’asse antero-posteriore, i lobi frontali hanno un ruolo più importante nel controllo delle emozioni
rispetto a quelli posteriori, e l’asse trasversale, i due emisferi (dx e sx) hanno un diverso
coinvolgimento nell’elaborazione delle condotte emozionali.
Secondo quanto detto dalla teoria della valenza, l’emisfero sx è il centro delle emozioni positive,
una lesione ad esso provoca delle reazioni depressive, l’emisfero dx è il centro delle emozioni
negative perciò una sua lesione provoca reazioni di euforia.
Le teoria motivazionale, invece, asseriscono che l’emisfero dx sia deputato alle risposte di
evitamento/fuga e quello sx alle risposte di avvicinamento.
La teoria espressione vs controllo dice che l’emisfero dx è superiore per comprensione ed
espressione delle emozioni, quello sx per il controllo di queste.

CAPITOLO 3 – MISURARE GLI


ATTEGGIAMENTI DEI CONSUMATORI IN
MODO INDIRETTO: LO IAT
GLI ATTEGGIAMENTI E LA LORO FUNZIONE: il termine atteggiamento viene definito come il
processo della coscienza individuale che determina le risposte affettive (mentali) e potenziali (azioni) di ogni

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individuo nel proprio ambiente sociale. Si tratta di processi sempre appartenenti a qualcuno e diretti verso
qualcosa.
Successivamente, Allport definì gli atteggiamenti come uno stato di prontezza mentale e neurologica,
organizzata attraverso l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva o dinamica sulla risposta
dell’individuo nei confronti di ogni oggetto o situazione con cui entra in contatto. L’aspetto innovativo di
questa concezione riguarda la natura non direttamente osservabile dell’atteggiamento.
Fazio, invece, definisce l’atteggiamento come la struttura cognitiva costituita dall’associazione in memoria
tra la rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione.
Katz indica 4 funzioni principali degli atteggiamenti:
• Strumentale: indirizza verso gli oggetti che garantiscono un beneficio o l’evitamento di qualcosa di
negativo.
• Espressione del valore e del self-concept individuale
• Difensiva del self
• Cognitiva: organizza e semplifica la nostra esistenza mettendoci in condizione di padroneggiare
l’ambiente

LA STRUTTURA DEGLI ATTEGGIAMENTI: sono stati elaborati diversi modelli per esprimere la
struttura degli atteggiamenti. Si è partito da quello ad una componente (affettiva), poi si è passati a quello a
due componenti (affettiva e cognitiva) per arrivare infine a quello a tre componenti (affettiva, cognitiva e
conativa).

LA MISURAZIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI: le tecniche tradizionali si basavano sulle dichiarazioni


individuali utilizzanti questionari autodescrittivi impostati sulla scala Likert o sul differenziale semantico di
Osgood.
L’attuale approccio della psicologia sociale riconosce due dimensioni degli atteggiamenti: una espicita
e una implicita. La seconda può essere solo parzialmente colta tramite le tecniche classiche di misurazione
proprio per la difficoltà provata dal soggetto dell’accedervi. Per questo motivo sono stati elaborati sistemi
non tradizionali di misurazione degli atteggiamenti che permettano di valutare quelli impliciti con più
facilità.

L’IMPLICIT ASSOCIATION TEST – L’IAT: si tratta di una misura indiretta degli atteggiamenti che
consente di cogliere le influenze non consapevoli e non intenzionali che essi hanno sulle risposte dei
soggetti. Lo strumento si occupa di misurare la forza del legame associativo tra due concetti o tra un concetto
e una valenza (positiva o negativa).

• STRUTTURA: il test viene svolto a computer ed è costituito da 5 blocchi sequenziali durante i


quali il soggetto utilizza due tasti per categorizzare gli stimoli a cui è sottoposto.
Possono venire indagate le preferenze tra due oggetti richiamando la loro categoria di appartenenza e
la loro valenza (pos o neg).
Nella prima fase i partecipanti devono classificare gli stimoli presentati sotto forma di immagini o
parole (es: coca cola vs pepsi). Nella seconda fase il soggetto deve attuare una discriminazione tra
due attributi (es positivo vs negativo). Nella terza fase (primo blocco critico) si utilizza lo stesso
tasto per un oggetto (ad esempio la coca) e per la valenza positiva e l’altro tasto per il secondo
oggetto (pepsi) e per la valenza negativa, nella quarta fase viene riproposta la discriminazione
proposta nella seconda fase ma a tasti invertiti (negativo vs positivo), nella quinta fase (secondo
blocco critico) si presenta la stessa associazione della fase 3 ma invertita (coca+negativo e pepsi
+positivo).

• LA LOGICA SOTTOSTANTE: la differenza tra i tempi di risposta nei due blocchi critici (3 e 5) è
indice della forza dell’associazione tra gli elementi delle coppie di concetto (coca o pepsi) e attributo
(positivo o negativo).

• APPLICAZIONI NELLA RICERCA SUL CONSUMATORE: gli atteggiamenti hanno una


componente consapevole e una inconsapevole non sempre coerenti tra loro. A peggiorare la
situazione interviene anche il fenomeno della desiderabilità sociale che influenza fortemente le
nostre scelte di consumo e le dichiarazioni fatte durante indagini tradizionali a proposito di esse.
Durante le interviste autodichiarative, i soggetti tendono a fornire informazioni che non
corrispondono al loro reale comportamento sia a causa della desiderabilità sociale, sia per evitare il

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fenomeno della dissonanza cognitiva provocata dall’incoerenza percepita tra le proprie convinzioni
e il proprio comportamento.
Gran parte delle scelte d’acquisto viene fatta senza un’approfondita riflessione razionale, in queste
situazioni lo IAT ha dimostrato capacità predittiva superiore rispetto alle tecniche tradizionali.
Lo IAT ha avuto ampio utilizzo nell’ambito della psicologia sociale per indagare concetti delicati
quali autostima e pregiudizi, difficili da analizzare tramite tecniche tradizionali a causa della
desiderabilità sociale.
Un altro impiego interessante riguarda gli effetti dell’associazione tra un brand o un oggetto e il sé. Il
self-reference è l’effetto per il quale la semplice associazione di un oggetto con il concetto di sé
migliora la valutazione dell’oggetto stesso anche quando l’associazione è elaborata esclusivamente
in maniera implicita.

LO SC-IAT: un problema nell’applicazione dello IAT riguarda il fatto che la misurazione è basata sul
confronto fra due categorie in alcuni casi, trovare una categoria di contrasto non è semplice e in altri, i
ricercatori possono essere interessati a una misurazione assoluta degli atteggiamenti.
Può essere quindi utile fare ricorso ad una variante dell’IAT, il Single Cathegory-IAT (SC-IAT) il quale
prevede l’utilizzo di tre tipi di stimoli: la categoria di interesse e i due estremi della dimensione di attributo.
Lo SC-IAT è strutturato in due parti nelle quali il soggetto deve categorizzare due tipi di concetti (pringles
+positivo) utilizzando un tasto di risposta e il concetto rimanente (negativo) utilizzando il tasto alternativo.
Ciascuno dei due blocchi è costituito da una fase preparatoria seguita da una di test.

CAPITOLO 4 - IL NEUROMKTG E I SEGNALI


PSICOFISIOLOGICI:
COSA INDICANO? Vi sono tre elementi di base necessari per la misurazione del rapporto tra brand/
prodotto e consumatore:
• Associazioni: possono essere misurate attraverso sia l’osservazione dei comportamenti sia con le
tecniche di neuromktg. Si possono anche utilizzare tecniche di valutazione dell’attivazione cerebrale
strettamente connesse con la memorizzazione (fMRI o EEG).
• Motivazioni: legame tra brand/prodotto e obiettivi consapevoli e non del consumatore.
• Emozioni: elementi più difficili da misurare, soprattutto con le tecniche classiche, le quali riescono a
misurare solo la loro razionalizzazione.
Il nostro sistema nervoso è suddiviso in un sistema centrale e in uno periferico. Il sistema nervoso centrale
(cervello+midollo spinale) ha il compito di attribuire significato e valore alle cose, di analizzare e di
decidere. L’attività legata alla formazione delle impressioni, al linguaggio e all’azione coinvolge anche il
sistema nervoso periferico (sistema sensoriale+sistema motorio).
Le emozioni hanno un forte radicamento nella biologia del corpo, secondo le principali riflessioni teoriche il
sistema nervoso funzionerebbe secondo l’alternanza di sistema simpatico, responsabile della reattività
(attacco/fuga), e di sistema para-simpatico con un ruolo protettivo di riduzione dell’arousal e recupero
dell’omeostasi.
Stephen Porges ha sintetizzato la Fight or Flight Theory secondo la quale non ci sarebbero solo le due
risposte del sistema simpatico (che attiva) e del sistema para-simpatico (che de-attiva), in quanto il secondo
sarebbe suddivisibile in altri due tipi di reazioni: una attiva in condizioni di sufficiente sicurezza in grado di
elicitare uno stato di immobilità senza paura e un’altra in grado di attivare solo risposte estreme (es pericolo
di vita) che produrrebbero stati di ipotonia muscolare e catalessia, ovvero di morte apparente o di
svenimento. Il meccanismo che permette di stabilire la pericolosità degli stimoli ambientali e che quindi
regola il funzionamento dei due sistemi, è detto neurocezione.

QUALI INDICATORI PSICOFISIOLOGICI SI USANO NEL NEUROMKTG: la pratica di misurare le


reazioni psicfisiologiche correlate con le emozioni è stata inizialmente conosciuta con il termine di
biofeedback. Nel caso si concentri l’attenzione sull’attività cerebrale si parla anche di neurofeedback.
Il sistema nervoso simpatico e para-simpatico determina l’attivazione di una batteria di segnali fisiologici
collegati ai processi emotivi e cognitivi: battito cardiaco, pressione sanguigna, volume dell’ormone cortisolo

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nel sangue, sudorazione, dilatazione pupillare e respirazione. L’uso di questi indicatori da la possibilità di
distinguere i diversi processi emotivi in base alla tipologia di attivazione psicofisiologica.

• LA CONDUTTANZA CUTANEA: è governata sia dal sistema simpatico (che ne aumenta la


produzione) sia da quello parasimpatico (che la diminuisce). Questo indicatore riguarda l’attività
delle ghiandole sudoripare della pelle i cui processi non sono direttamente accessibili alla
coscienza. Il sudore contiene una soluzione salina conduttiva che rende la pelle maggiormente
incline a condurre corrente elettrica rispetto a quando è secca.
La corrente elettrica viene rilevata attraverso un dispositivo dotato di due derivazioni collocate sulle
dita attraverso anelli o sui palmi attraverso cerotti adesivi dotati di un piccolo elemento di metallo.
Gli anelli (o i cerotti) sono collegati ad un sensore collegato ad una centralina connessa ad un
computer.

• IL BATTITO CARDIACO: viene monitorato solitamente tramite l’elettrocardiogramma (ECG).


Vengono disposti dai 3 a 10 elettrodi in diversi punti del corpo del paziente. L’attività meccanica di
pompa del cuore è accompagnata da attività elettrica. L’attività cardiaca può essere monitorata
attraverso due tipi di sensore: il primo è collocato sul dito e sfrutta la luce a infrarossi, questa viene
proiettata attraverso i vasi capillari e, in base alla quantità di sangue in essi presente, la avrà diversa
intensità (è la “molletta” che ci mettono in ospedale!!!); il secondo sensore è chiamato tripolare
elettrocardiografico e può essere posizionato sulle braccia (due derivazioni su uno e una sull’altro)
oppure con due derivazioni sulle spalle e una sopra l’ombelico. Un ambito di ricerca attuale
riguarda la possibilità di misurare il battito anche in condizione contact-less per mezzo di una
webcam che monitora l’arrossamento della pelle del viso correlato al fluire del sangue nei capillari
del viso.

• LA RESPIRAZIONE: il ritmo respiratorio può essere monitorato attraverso un sensore


diaframmatico oppure uno addominale. Questo sensore in entrambi i casi è dotato di un elastico che
tendendosi aumenta il valore del segnale attraverso un secondo sensore detto piezoelettrico.
L’analisi dei parametri cardio-respiratori può permettere di riconoscere emozioni di rabbia, paura,
gioia e tristezza.

• L’ELETTROMIOGRAFIA: misura il livello di microcontrazione dei muscoli ed è utile


soprattutto su quelli delle spalle o quelli zigomatici e corrugatori.

• LA DILATAZIONE PUPILLARE: il diametro della pupilla è un segnale altamente informativo e


consiste di due componenti temporali, una transiente, in risposta ad un cambiamento improvviso
ad alto contrasto delle condizioni luminose o in seguito ad uno stimolo cognitivo/affettivo
significativo, e una tonica, data in condizioni di luminosità costanti ma che può variare in seguito
ad alterazioni dello stato di coscienza (sonno, anestesia…). La misurazione della dilatazione
pupillare viene spesso affiancata a quella dei movimenti oculari, delle fissazioni e della frequenza
del blinking.
Il segnale di diametro pupillare può essere modulato da stimoli ambientali quali la complessità
dell’immagine, la luminosità, il colore oppure da variabili dipendenti da altre funzioni visive come il
riflesso di accomodamento, stimoli cognitivi (attenzione spaziale o sforzo cognitivo) o stimoli
emotivi.
La dilatazione pupillare è rilevata tramite l’eye tracker.

LA MISURAZIONE DIRETTA DELL’EMOZIONE TRAMITE I SEGNALI PSICOFISIOLOGICI:


vi sono due alternative maggiormente condivise dalla comunità scientifica in merito alla possibilità di
derivare un modello scientifico dalle emozioni. Il primo è il modello discreto, caratterizzato
dall’individuazione specifica di ogni emozione, il secondo è il modello continuo, basato sulla progressiva
variazione di configurazioni che gradualmente mutano in diversi stati emotivi secondo valenza e arousal.
Peter Lang ha esposto un centinaio di persone ad un insieme di immagini che compongono l’International
Affective Picture System (IAPS), durante l’esposizione ha registrato e analizzato skin conductance,
parametri cardiologici e parametri elettromiografici del muscolo corrugatore. I risultati hanno mostrato una
correlazione significativa tra il self report (tramite Self-Assessment Manikin – SAM) e i parametri
psicofisiologici.

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La misura utilizzata durante il SAM prevede la valutazione dei tre grossi fattori bibolari che caratterizzano
l’emozione e la sua misura: arousal, pleasure (valenza) e dominance.
Peter Lang è riuscito a correlare i punteggi di self-report derivati dal SAM e i segnali psicofisiologici: più
diminuisce il valore lungo l’asse del pleasure, più aumenta la contrazione del muscolo corrugatore (zona
mediale del sopracciglio); più aumentano i punteggi medi del SAM, più le micro-contrazioni del muscolo
zigomatico aumentano (sorriso!!!), più i punteggi del SAM sono positivi, più l’accelerazione del battito
cardiaco aumenta; più i punteggi lungo la dimensione dell’arousal aumentano, più aumenta anche la skin
conductance.
La State Trait Anxiety Inventory (STAI) è una scala molto utilizzata per misurare i livelli di ansia e stress.

CAPITOLO 5 – EYE TRACKING, UNA


“VISIONE” OGGETTIVA DELLA REALTà
IPOTESI MENTE-OCCHIO: è il principio alla base della tecnologia eye tracker, ciò che una persona sta
osservando riflette anche ciò a cui sta pensando o ciò a cui è interessato. Nel mktg l’attenzione visiva è
correlata con la brand memory, con la percezione del brand, con gli atteggiamenti e con il processo di
decision making.

LA VISIONE UMANA E LA TECNOLOGIA EYE TRACKER: ¼ del volume del cervello è dedicato a
tutti quei processi che hanno origine nella visione. Il processo visivo ha origine nella cornea che riceve il
segnale luminoso veicolato poi dalla retina. Questa, composta da milioni di fotorecettori, trasforma l’input
luminoso in segnali elettrochimici che vengono codificati nel cervello. È però una piccola area all’interno
della retina che svolge il ruolo principale: la fovea è dove l’acuità visiva è massima.
Per fornire un’informazione accurata, infatti, gli occhi si muovono in continuazione (microsaccadi) e si
fermano sull’area di interesse (fissazione), la maggiore acuità visiva si ha tramite la visione foveale
caratterizzata anche da massima sensibilità al colore e massima capacità di discriminazione e identificazione
dell’oggetto.
La visione periferica, invece, è caratterizzata da bassissima acuità visiva e insensibilità alla cromia, ha
capacità di avvistamento ma non di identificazione.
Il dispositivo eye tracker ha la capacità di misurare il comportamento visivo e restituire sotto forma di
output quali-quantitativo una serie di info idonee a caratterizzare uno stimolo visivo. Questo si avvale di un
sistema a infrarossi inserito in un monitor, i raggi emessi vengono riflessi dal cristallino dell’occhio e
registrati da un sensore. La versione mobile del dispositivo ha la forma di un occhiale.

L’INTERPRETAZIONE DEI DATI: gli ouput possono essere suddivisi tra qualitativi e quntitativi.

• GLI OUTPUT QUALITATIVI: possono essere usati singolarmente o combinati tra loro, questi
sono:
o Heat Map e Focus Map: la prima è probabilmente l’output più conosciuto. Si tratta di una
mappa colorata in funzione del numero o della durata delle fissazioni su determinati
elementi visivi. I colori vanno dal rosso (massimo numero o massima durata delle
fissazioni) al verde (minimo numero o minima durata delle fissazioni).
La Focus Map, al contrario, restituisce il dato sulle aree non osservate fornendo una visione
più immediata delle aree “fredde”.
o Scan Path (o Gaze Plot): restituisce il tracciato oculare caratteristico di una persona, è
caratterizzato da cerchi (fissazioni), di diametro diverso a seconda della durata, e linee
(saccadi). Analizzare lo Scan path permette di comprende quali sono le modalità tipiche di
osservazione dell’oggetto in analisi, le aree di maggior interesse e le eventuali difficoltà.
o Gridded Area of Interest: si tratta di una griglia che suddivide lo stimolo visivo in singoli
quadrati che assumono colorazione differente a seconda della durata o del numero di
fissazioni su quella particolare area. Oltre al dato qualitativo, ne restituisce uno anche di tipo
quantitativo poiché in ogni quadratino è riportato anche il numero o la durata (in ms) delle
fissazioni.

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o Area of Interest (AOI): è quello che più si avvicina ad un output di tipo quantitativo poiché
restituisce una serie di informazioni statistiche. Ovvero: sequence (numero di passaggi
affinché venga osservata l’AOI), entry time (tempo antecedente alla prima fissazione), dwell
time (tempo medio di permanenza sull’AOI), hit ratio (nemro di soggetti che guardano
almeno una volta l’AOI), revisits (numero di volte in cui l’AOI è stata rivisitata tra tutti gli
utenti), revisotors (numero di volte in cui l’AOI è stata rivisitata dallo stesso utente),
average fixation (durata media delle fissazioni), first fixation (durata media della prima
fissazione) e fixation count (numero medio di fissazioni sull’AOI).

• GLI OUTPUT QUANTITATIVI: tipicamente, le tipologie di info numeriche derivanti dall’attività


oculare sono:
o Analisi pupillometrica: la pupilla reagisce in particolar modo a luminosità, emozioni e
impegno cognitivo. In presenza di forte luminosità la pupilla si restringe, si allarga quando
vediamo uno stimolo che ci interessa e reagisce conseguentemente al grado di impegno
cognitivo legato alla complessità dello stimolo (si restringe quando lo sforzo è elevato).
L’utilizzo di questa misura in mktg è però limitato a causa dell’eccessiva sensibilità della
pupilla agli stimoli ambientali.
o Blinking: la sua misurazione è utile a capire la valenza emotiva dello stimolo. L’ampiezza
della frequenza del blinking diminuisce in caso di emozioni positive e aumenta in presenza
di emozioni spiacevoli. La frequenza di blinking si riduce, inoltre, all’aumentare
dell’impegno cognitivo.
o Saccadi e fissazioni: sono usati come indicatori indiretti del gradimento, della
memorizzazione e dei processi decisionali di scelta.

L’EYE TRACKING NEL CAMPO DEL MKTG E DEI CONSUMI: si stima che i consumatori di oggi
siano esposti ad una media compresa tra le 3000 e le 5000 pubblicità al giorno e che ogni secondo siano
esposti a 11mln di bit di informazione, la maggior parte interessanti il senso della vista. La capacità di
processamento informativo umano si ferma però solo a 50 bit, disperdendo l’informazione restante.
Oltre a promuovere la brand identity, il visual mktg ha un ruolo fondamentale nel rendere più efficaci le
vendite. A causa della sempre più rilevante importanza che la componente visiva ha assunto nel mktg e a
causa del conseguente ammontare degli investimenti in comunicazione, la metodologia eye tracking si sta
sempre più affermando.
La ricerca eye tracking fornisce informazioni maggiori e più accurate dei self report, soprattutto perché non è
influenzata dal principio di desiderabilità sociale.

EYE TRACKING E PUBBLICITà: il primo utilizzo dell’eye tracker per analizzare una pubblicità risale al
1924 quando Nixon scopri che il numero di fissazioni su un’affissione pubblicitaria aumentava
proporzionalmente alla radice quadrata della sua dimensione. L’autore scoprì anche che le immagini erano
in grado di guidare l’attenzione sugli elementi testuali: se lo sguardo del testimonial è rivolto verso
l’osservatore, questo focalizzerà la sua attenzione sul viso del testimonial, se invece il testimonial guarda, ad
esempio, l’etichetta della bottiglia dell’acqua che pubblicizza, invoglierà l’osservatore a fare lo stesso.
Successivamente, è stato anche analizzato l’effetto che la dimensione degli elementi testuali, del brand e
delle figure ha sull’attenzione dell’osservatore: un incremento percentuale dell’1% nella dimensione di
ciascuno di questi elementi determina, rispettivamente, un aumento dell’attenzione del 1%, 0.4% e 0.3%.
Inoltre, un aumento dell’1% nelle dimensioni generali della pubblicità determina un aumento dell’attenzione
dello 0.8%.
Per quanto riguarda l’effetto che l’originalità e la famigliarità hanno sul livello di attenzione, è stato
scoperto che la prima porta ad una maggiore attenzione verso la marca, che aumenta grazie all’effetto
congiunto dei due elementi comportando, quindi, anche un miglior ricordo.
La complessità visiva invece ha un effetto deleterio sull’attenzione: un’eccessiva densità di elementi visivi
influisce negativamente sull’attenzione verso il brand. Un design complesso, invece, agisce positivamente
sull’attenzione verso le immagini e verso la pubblicità in generale.
La metodologia eye tracking è stata anche utilizzata per segmentare il consumatore: è stata infatti valutata la
possibilità di individuare pattern di esplorazione tipici per diversi profili di consumatori, ne sono stati
delineati tre: il primo è caratterizzato dalla maggior importanza data all’headline e alle immagini, il secondo
all’headline, alle immagini e poi al brand e il terzo a tutti e tre gli elementi uniti anche al testo.
L’attenzione alla pubblicità è fortemente influenzata dall’atteggiamento e dalle motivazioni del fruitore, in
condizioni sperimentali, invece, è condizionata fortemente dal tipo di istruzioni date.

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EYE TRACKING E PROCESSI DECISIONALI IN-STORE: una tra le principali funzioni


dell’attenzione visiva è quella di ignorare elementi irrilevanti e selezionare quelli più rilevanti per
importanza e gradimento. Sono stati individuati tre passaggi principali del processo decisionale in-store:
orientamento, visione complessiva dello scaffale, valutazione, ovvero comparazione diretta tra due o più
prodotti, e verifica, cioè esame in dettaglio del prodotto selezionato.
Secondo numerosi studi, la parte centrale, la parte destra e la parte ad altezza occhio dello scaffale sono
quelle che ricevono maggiore attenzione.
Il consumatore odierno ha un’ampia varietà di alternative appartenenti alla medesima categoria merceologica
e per questa ragione necessita di informazioni aggiuntive per poter concludere un acquisto. Ecco quindi che
il labelling è fondamentale nell’attrarre l’attenzione e nel fornire tutte le info che possono guidare il
consumatore nella scelta.
Grazie alla tecnologia eye tracking si è scoperto che, all’interno di un’etichetta, le aree maggiormente
osservate al fine di giudicare la genuinità di un prodotto sono brand, ingredienti e infine informazioni
nutrizionali. Per quanto riguarda la propensione all’acquisto, vengono osservati prima gli ingredienti, poi le
informazioni nutrizionali e poi il brand.
Anche il packaging può influenzare la scelta di acquisto: in particolare, la luminosità e la vivacità di questo
sono elementi che favoriscono la propensione all’acquisto.

EYE TRACKING E HUMAN-COMPUTER INTERACTION (HCI): nella HCI, la tecnologia eye


tracker è stata utilizzata per giudicare la usabilità dei siti web, delle interfacce grafiche dei software, delle
console di comando, delle TV interattive etc… la tecnologia permette di individuare eventuali difficoltà
(fissazioni di lunga durata), la visibilità delle particolari aree di interesse (elevato numero di fissazioni e
lunga durata di queste) e i percorsi di esplorazione tipici (scan path).
Se viene dato al soggetto in esame un compito preciso, dalla durata delle fissazioni è possibile capire il grado
di difficoltà da esso riscontrato: più le fissazioni sono durature, meno il sito è di facile utilizzo.
Se, invece, al soggetto non viene dato alcun compito ma gli si viene detto di esplorare la pagina, allora la
durata delle fissazioni ci fornisce un’informazione diversa: più è alta, maggior interesse è suscitato dall’area
in questione.
Anche la frequenza dei blink e la dilatazione pupillare forniscono importanti informazioni: una bassa
frequenza di blink indica un elevato impegno cognitivo e una pupilla contratta sta a significare sforzo
cognitivo e fatica.

EYE TRACKING, MEMORIZZAZIONE E PROCESSI DECISIONALI: basandosi sull’ipotesi mente-


occhio, la tecnologia eye tracking può essere impiegata anche per valutare il livello di gradevolezza e la
capacità di essere ricordato di un brand, prodotto o pubblicità.
Grazie a diversi studi, si è scoperto che maggiore è il numero e la durata delle fissazioni su un
determinato elemento, migliore è il ricordo che si ha di questo in futuro.
Verificare la memorizzazione tramite tecnologia eye tracker permette di superare i limiti delle ricerche
tradizionali come la desiderabilità sociale o l’incapacità dei partecipanti di rievocare esplicitamente il ricordo
di una pubblicità, di un brand o di un prodotto visti.
Le metodologie di ricerca classiche molto spesso non sono in grado di registrare il ricordo di un oggetto
semplicemente perché questo è sedimentato a livello dell’inconscio, raggiungibile solo tramite tecniche di
ricerca che si servono di misurazioni implicite (tempi di reazione).
Per quanto riguarda i processi decisionali, tramite tecnologia eye tracker si è scoperto che maggiore è il
numero di fissazioni e saccadi su un determinato prodotto, più probabile è che venga scelto.
Il rapporto tra attenzione visiva e processo decisionale viene chiamato Gaze Cascade Model.

CON UN OCCHIO AL FUTUTO – IL REMOTE EYE TRACKING: piccole telecamere installate sulle
TV sui PC, sui cartelloni pubblicitari e su smartphones consentiranno alle imprese di utilizzare le
informazioni catturate dallo sguardo dei consumatori.
L’intento di Google, tramite l’utilizzo dei Google glass, è quello di far pagare ai suoi inserzionisti solo le
pubblicità realmente osservate, il costo dipenderà dai secondi di effettiva visione. Questo metodo è stato
definito “Pay-per-Gaze Advertising”.

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CAPITOLO 6 – LA METODOLOGIA
SCIENTIFICA DI PAUL EKMAN:
L’OSSERVATORE UMANO COME
STRUMENTO DI CODIFICA DELLE AZIONI
COMUNICATIVE DEL VOLTO
METODI DI STUDIO DEL COMPORTAMENTO NON VERBALE: Paul Ekman ha contribuito
enormemente ad espandere la comprensione del comportamento non verbale che contempla le espressioni
facciali e il linguaggio del corpo. La comunicazione non verbale è il più importante segnalatore di
cambiamenti qualitativi nelle relazioni interpersonali, è il termometro delle relazioni sociali, è il linguaggio
più spontaneo, veritiero e difficile da inibire e simulare.
Elkman e Friesen costruirono uno strumento di codifica dei comportamenti non verbali, lo SCAN
(Classification and Analysis of Nonverbal Behaviour). Per quanto riguarda la specifica codifica delle
espressioni facciali esiste il Facial Action Coding System (FACS).

INFORMAZIONI VEICOLATE DAL VOLTO – TRACCIARE LA BASELINE DI UN VOLTO


NEUTRALE: il viso è l’oggetto di osservazione primaria durante la comunicazione dal vivo. Secondo
Ekman il volto presenta quattro tipi di segnali capaci di veicolare informazione:
• Statici: sono gli aspetti più o meno permanenti. Ovvero la pigmentazione, la forma del viso, la
struttura ossea, le cartilagini, i depositi di grasso, la dimensione, la forma e la posizione dei
lineamenti.
• A variazione lenta: rughe, alterazioni del tono muscolare della grana e della pigmentazione della
pelle.
• Rapidi: movimenti dei muscoli che producono variazioni passeggere come le rughe temporanee e i
cambiamenti di forma e posizione dei lineamenti.
• Artificiali: uno di accessori o altro che camuffano l’aspetto usuale del volto come occhiali, barba,
cosmetici o botulino.

IL FACIAL ACTION CODING SYSTEM (FACS): comprende una descrizione sistematica di come
misurare i movimenti facciali in termini anatomici scomponendoli in unità di movimento (Action Unit –
AU). Sono state individuate 44 AU che considerano variazioni nelle espressioni facciali e 14 AU che
interpretano cambi di direzione dello sguardo e nell’orientamento della testa. Le combinazioni ottenibili sono
più di 10000.

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• COM’è STATO COSTRUITO? Nelle prime pubblicazioni ignorava i cambiamenti invisibili come
quelli del tono muscolare e i segnali statici. Durante la costruzione del FACS, i due autori notarono
che, assumendo alcune combinazioni dell’AU, si innescavano in loro reazioni fisiologiche
usualmente entranti in gioco durante una emozione spontanea.

• QUALI AZIONI INTRAPRENDE CHI UTILIZZA IL FACS? Attraverso la visione ripetuta, il


codificatore seziona ogni espressione osservata e la scompone nelle singole AU al fine di
determinare quale di queste può causare il cambiamento espressivo osservato. Oltre a ciò, il
codificatore rileva l’eventuale unilateralità espressiva di alcune AU o l’antagonismo tra due
particolari AU.

• IL FACS Può ESSERE AUTOMATIZZATO? UN SOFTWARE PUò DIVENTARE UN


OSSERVATORE E CODIFICATOE FACS? Il software sviluppato da emotient è la principale
autorità in analisi di espressioni facciali automatizzata. Lo strumento che utilizza tale software si
chiama Face Reader e utilizza un sistema di computer vision.
La computer vision è una scienza che permette di estrarre e rappresentare dalle regisrazioni video
digitali le informazioni d’interesse in pattern percettivi dotati di significato.
Una webcam inquadra i volto del soggetto e quando questo manifesta un’emozione il computer
riesce a rilevare i micromovimenti facciali utilizzando il FACS.
La versione attualmente disponibile del Face Reader è in grado di riconoscere e analizzare le sei
espressioni di base (felice, triste, spaventato, disgustato, sorpreso e arrabbiato), il disprezzo,
l’espressione neutra, la direzione dello sguardo, l’orientamento della testa e le caratteristiche
personali.

ESPRESSIONI FACCIALI DI EMOZIONI PRIMARIE E UNIVERSALI E LE AZIONI


MUSCOLARI DECODIFICATE CON L’EMFACS (EMOTIONAL FACS):

• GLI STUDI SULL’UNIVERSITà E IL RICONOSCIMENTO DELLE ESPRESSIONI


FACCIALI: Paul Ekman ha cercato di capire il complesso sistema di variabili comunicative non
verbali dell’essere umano. Ha quindi individuato sette emozioni di base (felicità, sorpresa, paura,
rabbia, tristezza, disgusto e disprezzo) le cui espressioni facciali sono più o meno le stesse in ogni
essere umano.
Darwin riteneva che le espressioni facciali delle emozioni primarie non fossero qualcosa di
culturalmente appreso, ma qualcosa di uguale per ogni essere umano e frutto dell’evoluzione. La sua
visione è detta “pro universalità”.
Allport assunse una posizione diversa a riguardo, secondo la quale le espressioni delle emozioni di
base hanno un fondo uguale per tutti ma vengono poi sviluppate diversamente nel corso della vita
tramite l’interazione con l’ambiente. La sua visione è detta “relativista”.
Ad oggi, la posizione più riconosciuta è quella “interazionista”, che prevede un’interazione fra i
fattori coordinati ereditariamente (Darwin) e ambiente culturale (Allport).
A questo proposito, Ekman nel 1967 condusse tre esperimenti:
1. Furono impiegati soggetti appartenenti a due culture alfabetizzate (Giapponesi e Statunitensi)
che furono invitati a riconoscere ed etichettare le espressioni facciali di altri soggetti sempre
Giapponesi e Statunitensi. Tutti i soggetti interpretarono le emozioni allo stesso modo (sia che
stessero guardando un connazionale o meno).
2. Furono coinvolti Statunitensi, Giapponesi, Argentini, Brasiliani e Cileni e gli si chiese di
classificare le emozioni tramite l’analisi delle espressioni facciali di soggetti presentati in
fotografia. I risultati confermarono la tesi darwiniana in quanto tutti i soggetti classificarono le
espressioni allo stesso modo. Ekman quindi ipotizzò che fosse entrato in gioco un fattore
legato all’apprendimento in quanto in tutti i paesi di origine dei soggetti erano presenti i mass
media.
3. Ekman infine analizzò popoli incontaminati dai mass media, i Fore (Nuova Guinea) e chiese
loro di immedesimarsi in alcune situazioni e indicare quale espressione facciale tra quelle
presentate in fotografia fosse quella più coerente. Successivamente, sempre in riferimento a
situazioni specifiche, chiese loro di produrre l’espressione corrispondente a quella che
avrebbero prodotto se si fossero davvero trovati nella situazione indicata. Ad eccezione della
paura e della sorpresa, spesso confuse tra loro, tutte le mimiche espressive furono
correttamente riconosciute.

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Grazie a questi esperimenti Ekman riuscì a dimostrare che le espressioni facciali non sono
determinate dalla cultura, ma possono essere inibite nella loro manifestazione perché
influenzate da regole di esibizione date dal contesto sociale e culturale.
Altri ricercatori misero a confronto bambini vedenti e bambini ciechi dalla nascita e confermarono
ogni elemento trovato da Ekman.
Un primo strumento utile a studiare le differenze culturali nelle espressioni facciali è stato il Facial
Affect Scoring Technique (FAST) che descriveva il comportamento visivo in termini di rughe,
borse, tensione o rilassamento dei muscoli facciali. Le descrizioni erano applicate separatamente a
tre aree del viso: fronte-sopracciglia, occhi-palpebre-radice nasale, guance-naso-bocca-mento-
mascella. Il FAST era composto da immagini divise in tre serie (ognina per ogni zona del viso)
corredate da descrizioni verbali riguardanti l’orientamento della testa e la direzione dello sguardo.
Tuttavia, questo strumento sembrava poco adatto a distinguere emozioni combinate , problema poi
risolto dal FACS che lo soppiantò.

• GLI ELEMENTI CULTURALI CHE INFLUENZANO LE ESPRESSIONI DEL VOLTO:


Ekman proseguì nei suoi studi per scoprire come mai comportamenti non verbali manifestati allo
stesso modo avessero trigger differenti tra soggetti di culture diverse, quali meccanismi culturali
controllassero l’emissione delle espressioni facciali in determinati contesti sociali e per quale motivo
all’emissione di un’espressione facciale seguissero particolari conseguenze comportamentali negli
altri. Questa concettualizzazione fu definita come Teoria Neuro-culturale, la quale postula che le
espressioni facciali fanno capo ad un programma scritto all’interno del sistema nervoso di tutti noi
che collega specifici movimenti muscolari a particolari emozioni.
Secondo Ekman alcuni trigger possono essere universalmente riconosciuti come tali, ma altri, la
maggior parte, sono del tutto soggettivi o appresi culturalmente.
Per quanto concerne le regole di esibizione, Ekman disse che uno stimolo può innescare
un’espressione facciale emozionale, ma prima di poter diventare osservabile, questa passa dal filtro
cognitivo delle regole di esibizione. (non si ride ai funerali!).
Queste regole sono normalmente socialmente apprese e prescrivono precise procedure di
comportamento.

• EMOZIONI – NOZIONI INDISPENSABILI: secondo Ekman queste hanno una durata variabile,
si palesano intermittenti sul volto per un periodo da qualche frazione di sec a un massimo di 4 sec,
tranne che per la sorpresa che può durare al massimo un sec. Questo si applica alle emozioni
spontanee. Si è inoltre scoperto come alle mimiche facciali si aggiungano taluni pattern fisiologici
caratteristici di particolari emozioni:
o voce più acuta: collera e paura
o voce più grave: collera e tristezza
o discorso accelerato e voce più alta: collera, paura, eccitazione
o discorso rallentato e voce più bassa: tristezza e noia
o deglutizione frequente: attivazione emozionale generica
o ammiccamento aumentato: attivazione emozionale generica
o dilatazione pupillare: attivazione emozionale generica, è segno di interesse ma non è chiaro
se questo sia positivo o negativo
o lacrime: tristezza, dolore, risata incontrollata
o rossore: imbarazzo, vergogna, collera, eccitazione sessuale
o pallore: paura e collera trattenuta
o orripilazione (capacità di rizzare i peli degli avambracci): paura
o comparsa di macchie: segnale che un’emozione sta per comparire
o ritmo cardiaco/respiratorio accelerati: in ogni emozione, in particolare rabbia e paura
o aumento/diminuzione temperatura corporea: collera (a) e paura (d)
Le risposte emozionali sono brevi, rapide, complesse e difficili da controllare. La valutazione
automatica degli stimoli è praticamente immediata e attiva in maniera selettiva quali circuiti
neurologici debbano essere influenzati per determinare l’emozione appropriata.
Durante una forte emozione spesso si è in balia di una sorta di filtro di codifica delle informazioni
che non permette di utilizzare appieno la propria parte razionale: in questo periodo definito
refrattario ogni informazione è colorata dall’emozione provata e l’analisi obiettiva della realtà è
compromessa.

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È improbabile controllare le proprie emozioni, però è possibile sentire le prime avvisaglie e cercare
di gestirle al meglio.

• ESPRESSIONI FACCIALI ED EMOZIONI PRIMARIE – IL DISGUSTO: le principali


caratteristiche sono:
o Funzione adattiva dell’emozione: è collegata ad un sentimento di repulsione e prevede
l’espulsione o l’allontanamento da un oggetto.
o Trigger: sapore, cattivo odore, tatto, vista o pensiero di qualcosa che riteniamo
particolarmente spiacevole. Anche i suoni possono essere collegati a qualcosa per noi
disgustoso. I trigger sono altamente soggettivi e molto legati alla cultura di appartenenza,
ma i più potenti e universalmente validi sono prodotti dal corpo (feci, vomito, muco,
sangue…).
o Livelli di intensità: nell’esperienza di estremo disgusto possono palesarsi anche nausea e
vomito.
o Mimica facciale: sopracciglia tirate verso il basso, naso corrugato e arricciato sui lati e nella
parte superiore, formazione di pieghe sotto gli occhi e palpebra inferiore tirata verso l’alto,
guance sollevate, labbro superiore sollevato, labbro inferiore sollevato o abbassato a
scoprire gli incisivi inferiori.
o Emblemi: sono elementi tipici della comunicazione non verbale che hanno un significato
chiaro all’interno di una cultura e possono essere utilizzati per enfatizzare un concetto
espresso verbalmente. Quando, durante un racconto, una persona vuole enfatizzare la
sensazione di disgusto che ha provato in una determinata situazione può riprodurre
volontariamente la mimica facciale o utilizzare la gestualità.

LE MICRO ESPRESSIONI FACCIALI: una micro espressione consiste in un’espressione mimica


emotiva che si manifesta e svanisce nell’arco di una frazione di secondo.
Le emozioni sincere innescano reazioni immediate che automaticamente emergono sotto forma di
espressioni mimiche. Quando queste sono bloccate consciamente, nel tentativo di controllare e nascondere
l’emozione, presentano un lieve ritardo che provoca una fuga di informazioni (micro espressione)
consentendo ad un osservatore allenato di cogliere comunque l’emozione.
Le espressioni e le micro espressioni possono presentarsi su tutto il volto o in una singola parte, nell’ultimo
caso sono dette espressioni sottili.

LIE CATCHING ATTRAVERSO L’ANALISI DEL VOLTO – DISANIMA PRAGMATICA E


METODOLOGIA CONCERNENTE IL PRIMO DEI SEI CANALI COMUNICATOVI
DELL’UOMO:

• IL PRIMO CANALE COMUNICATIVO CONNESSO ALLE EMOZIONI – LE


ESPRESSIONI FACCIALI: il metodo di analisi della credibilità sviluppato da Ekman, l’ETaC,
complementare al metodo di gestione e analisi delle competenze emotive, l’ESaC, riassume più di
50 anni di pubblicazioni in merito alla menzogna.
Il metodo utilizzato da Ekman comprende l’analisi di 5 distinti canali della comunicazione:
espressioni e micro espressioni del volto, body language, componenti legate alla voce, stile verbale e
contenuto verbale.
Secondo Ekman senso di colpa, vergogna e imbarazzo sono emozioni secondarie frequenti in chi
mente. Il primo è strettamente legato al rimorso e alla tristezza, individui sociopatici raramente
provano rimorso o senso di colpa per le loro azioni. La vergogna è un comportamento che
accompagna una valutazione, un giudizio biasimante, mortificante o di scherno rispetto ad un
mancato perseguimento o rispetto di scopi o regole sociali condivise, a differenza dell’imbarazzo che
si prova davanti agli altri, ci si può vergognare anche da soli.
Chi prova senso di colpa prova una sensazione talmente sgradevole che lo può indurre a confessare,
mentre chi prova vergogna può non confessare per evitare un pubblico biasimo.
Riuscire a riconoscere queste emozioni può quindi aiutare a riconoscere chi mente.
Secondo Ekman, esistono inoltre 4 parametri utili a individuare un tentativo di mascheramento o
falsificazione delle emozioni tipici di chi non è sincero:
o Morfologia del volto: lo studio approfondito delle mimiche facciali corrispondenti alle
emozioni aiuta a capire in quali occasioni queste sono agite deliberatamente con lo scopo di
fingere l’emozione.

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o Tempi: ci si riferisce a quello di avvio dell’emozione, di durata e di scomparsa. Un inizio o


una fine troppo bruschi e una durata anormale possono essere indicatori di un emozione non
provata realmente.
o Collocazione: legata ai tempi e al coordinamento di attivazione dei muscoli del viso rispetto
alle parole pronunciate o ai movimenti del corpo.
o Micro espressioni

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Distribuzione proibita | Scaricato da Silvina Hualpa (silvina.hualpa@gmail.com)

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