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Anno XLVIII

Economia & Lavoro

Saggi, pp. 171-189

LIDEA DI CULTURA IN ADRIANO OLIVETTI.


VALORE E ATTUALIT DI UNESPERIENZA INTELLETTUALE
E IMPRENDITORIALE*
di Leonello Tronti

Larticolo offre una lettura originale della


famosa definizione di cultura come ricerca disinteressata di verit e bellezza, proposta da
Adriano Olivetti nellOrdine politico delle Comunit (1946) e ripresa in molti altri suoi scritti. La
lettura viene condotta alla luce, da un lato, della
sua opera di imprenditore e, dallaltro, di alcuni
recenti risultati della teoria economica riferiti al
rapporto tra capitalismo e innovazione (Phelps,
2009) e alla gestione della conoscenza come bene
comune (Hess, Ostrom, 2009). La trattazione
parte dallidentificazione del complesso di colpa della classe imprenditoriale italiana nei confronti dellimprenditore di Ivrea, per affrontare
poi i capisaldi della sua atipica teorizzazione
del concetto di cultura e della sua, ancor pi atipica, pratica concreta nellazienda Olivetti. Vengono cos passati in rassegna i temi dellapertura
dellorganizzazione al futuro, dellinnovazione
come autorealizzazione del lavoratore, del lavoro
come ricerca di verit, dellinterdipendenza tra
partecipazione cognitiva e comunit di conoscenza, del rapporto tra ricerca della bellezza, conoscenza e armonia sociale. Conclude larticolo un
sintetico riferimento alla possibilit di delineare
unexit strategy dalla crisi presente di marca olivettiana, basata su di una politica industriale che
miri alla costruzione di comunit di conoscenza
tra piccole e medie imprese.

The paper offers a novel reading of the famous


definition of culture as an unselfish search for
truth and beauty, proposed by Adriano Olivetti
in LOrdine politico delle Comunit (1946), and
repeated in many others of his writings. The
reading is carried out in the light, on the one
side, of his work as an entrepreneur and, on
the other, of some recent results of economic
theory referring both to the relationship between
capitalism and innovation (Phelps, 2009) and to
the management of knowledge as a commons
(Hess, Ostrom, 2009). The paper moves from
the identification of the guilt complex of the
Italian entrepreneurial class against the Ivrea
entrepreneur, to deal subsequently with the
tenets of his atypical theorization of the concept
of culture and its even more atypical actual
practice in the company Olivetti. Then it passes
in review the themes of organizational opening to
the future, innovation as a form of workers selfrealization, work as a search for truth, the mutual
interdependence between cognitive participation
and knowledge communities, the relationship
between the pursuit of beauty, knowledge and
social harmony. Concludes the paper a reference
to the possibility of devising an Olivettian exit
strategy from the present crisis, based on an
industrial policy aiming at building knowledge
communities among small and medium-sized
enterprises.

Leonello Tronti, Scuola nazionale dellamministrazione.


* Un testo precedente stato presentato al Seminario Contesti, valori, idee di Adriano Olivetti, organizzato
congiuntamente dalla Fondazione Giacomo Brodolini e dalla Fondazione Aldo Aniasi e tenuto a Milano il 25 marzo
2014, nella sede del Circolo di Via Deamicis. Lautore ringrazia sentitamente un anonimo referee per gli utili e dettagliati suggerimenti, restando pienamente responsabile di ogni giudizio espresso, come pure di ogni residuo errore o
imprecisione.

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1. ADRIANO OLIVETTI E IL COMPLESSO DI COLPA


Per qualche decennio lopinione pubblica italiana ha accarezzato (pi o meno consciamente) lidea che il sistema imprenditoriale nazionale fosse in grado di riformarsi e
rinnovarsi da solo, assicurando occupazione e sviluppo senza bisogno di indirizzi strategici
pubblici, sulla sola base della visione del proprio ruolo e delle condizioni delleconomia.
Purtroppo, messa allimpietoso confronto con i dati della crisi, questa idea si dimostrata
decisamente ottimista, al limite dellingenuit. Tuttavia, guardando al passato dellindustria
italiana, non si pu fare a meno di notare che di quellidea lOlivetti di Adriano Olivetti fu
una delle incarnazioni pi luminose, dato che non solo riusc ad assicurare occupazione,
innovazione e sviluppo in assenza di indirizzi e aiuti pubblici, ma addirittura precorse di
molti anni il cammino dello stesso settore pubblico, predisponendo per i dipendenti, le
loro famiglie e i territori dove operava, elementi di un moderno Stato sociale di livello
locale, ancora oggi non pienamente realizzati dalla mano pubblica.
Lopera esemplare di Adriano Olivetti, per, non si pu purtroppo in alcun modo
considerare rappresentativa dellintero sistema imprenditoriale e nemmeno della sua
maggioranza, n ai tempi suoi n ai nostri. La vicenda imprenditoriale di Olivetti fu infatti caratterizzata da una numerosa serie di anomalie e divari rispetto alle altre imprese
industriali, tra le quali forse la pi stridente fu quella di essere (ben ricambiato) molto
lontano da Confindustria. Il fascino da lui esercitato sui suoi collaboratori, dagli operai
delle presse agli intellettuali pi sofisticati, era direttamente proporzionale al senso di
distanza provato nei sui confronti dai membri del gotha imprenditoriale. E lostilit fu
condivisa da Confindustria, al cui presidente Angelo Costa viene imputata una circolare riservata alle Unioni industriali di messa in guardia contro Adriano Olivetti, reo di
criticare pubblicamente gli imprenditori per il perseguimento della fallace e limitata
logica del massimo profitto, per la gestione delle imprese in modo familistico e per
lutilizzazione clientelare dei fondi americani del Piano Marshall (Ochetto, 2009, pp.
212-4). Monito non privo di conseguenze concrete, se poi lOlivetti dovette intervenire
ripetutamente con la Montecatini e la Edison per scongiurare lembargo dei suoi prodotti da parte delle due aziende.
Adriano Olivetti, dunque, stato certamente un imprenditore italiano illuminato ed
esemplare, ma molto isolato; e il suo isolamento rispetto a Confindustria e alllite del
capitalismo italiano nonostante levidente successo della sua azienda un tratto forte, che
caratterizza in modo significativo la sua persona e la sua storia e, in quanto tale, non solo
non pu essere sottaciuto, ma va anzi analizzato e compreso1.
a partire dallisolamento dellOlivetti di Adriano dal contesto imprenditoriale italiano dellepoca che opportuno argomentare perch quellidea di un sistema imprenditoriale capace di autoregolarsi e di generare sviluppo e benessere anche senza una
guida dello Stato appare, questa s, davvero utopistica, assai pi di quella di Adriano di
dare vita ad una fabbrica comunitaria. Perch la lezione di Adriano Olivetti rimasta
sostanzialmente disattesa dallItalia industriale dal 1960 ad oggi? Lipotesi qui avanzata
che la cultura delllite economica e imprenditoriale sia rimasta sostanzialmente prigioniera di un complesso di colpa nei confronti di questo grande imprenditore, troppo
incompreso, troppo isolato e troppo facilmente osteggiato. Con eccessiva facilit ed
1
Lisolamento di Adriano Olivetti in ambito nazionale, peraltro, non fu soltanto nei confronti dei massimi rappresentanti del capitalismo, ma anche della politica e del sindacato (si veda, infra, il PAR. 3).

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energia si continuato, al di l delle celebrazioni rituali e puramente esteriori, ad isolare


nei fatti la sua figura anche dopo la morte, con il risultato di farne un santino, unicona
talmente particolare e diversa (ci che in buona parte era), che si finito con il metterlo
da unaltra parte, confinandolo in una dimensione eterea, in un mondo di utopia pi
o meno realizzata che non era e non poteva essere quello in cui viveva il paese reale, e
che perci non riguardava e non poteva insegnare nulla alla classe imprenditoriale, n
tantomeno a quella politica.
Questopera di rimozione collettiva appare tanto radicata e diffusa quanto profondamente dannosa. E non impossibile giungere invece alla convinzione che, se si volesse condurre senza pregiudizi e senza tentazioni di rimozione un approfondito studio di caso sulla
Olivetti di Adriano, sui suoi valori e sulle sue pratiche, sulla sua visione e sulle sue strategie,
si troverebbero facilmente alcuni fondamenti del fare impresa, del fare impresa moderna
(secondo la definizione di Roberts, 2004), alcuni aspetti importanti, anticipatori e profondamente innovatori, che sfortunatamente insegnano assai poche business schools, ma dei
quali le imprese e il sistema produttivo italiano possono e debbono ancora far tesoro2. La
ricerca, in altri termini, pu portare alla conclusione che lisolamento di Adriano Olivetti
rispetto al ceto imprenditoriale coevo essenzialmente dovuta al carattere fortemente innovativo e anticipatore delle sue convinzioni sul modo di concepire e gestire unimpresa,
pi ancora che non ai suoi valori. Cos che oggi, a distanza di ormai pi di mezzo secolo
dalla sua scomparsa, si pu abbastanza facilmente ricavare dallo studio della sua impostazione, teorica e pratica, un modello di impresa pienamente valido, indipendentemente
dalla figura storica irripetibile di Adriano Olivetti.
Questo studio si muove in questa direzione proponendo una lettura interdisciplinare
della famosa definizione di cultura proposta da Adriano Olivetti nellOrdine politico
delle Comunit (1946) e ripresa in molti altri suoi scritti. La lettura del modo olivettiano
di intendere la cultura e il lavoro viene condotta alla luce, da un lato, della sua opera di
imprenditore e, dallaltro, dei recenti risultati della teoria economica riferiti al rapporto
tra capitalismo e innovazione (Phelps, 2009) e alla gestione della conoscenza come bene
comune (Hess, Ostrom, 2009). Questi risultati dellanalisi economica, pur trascurando
aspetti molto importanti del modo di fare al tempo stesso cultura e impresa di Adriano
Olivetti, confermano a distanza di pi di mezzo secolo alcune sue intuizioni e pratiche
fondamentali.
Larticolo si sofferma, in particolare, sul tema della centralit della cultura per lo
sviluppo dellimpresa (PAR. 2), sullapertura dellorganizzazione al futuro (PAR. 3), sul
lavoro e sullinnovazione come autorealizzazione del lavoratore (PAR. 4), sul lavoro come
ricerca di verit (PAR. 5), sullinterdipendenza tra partecipazione cognitiva e comunit di
conoscenza (PAR. 6), sul rapporto tra ricerca della bellezza, conoscenza e armonia sociale (PARR. 7 e 8). Conclude il lavoro un sintetico riferimento alla possibilit di delineare
unexit strategy dalla crisi di marca olivettiana. Molti sono gli elementi che, a questo
fine, potrebbero essere tratti dallo studio dellidea e della pratica di cultura di Adriano
Olivetti, ma qui, per brevit, si accenna soltanto ad una politica industriale che miri alla
costruzione di comunit di conoscenza o, con un termine pi diffuso, di smart communities tra piccole e medie imprese.

2
Su questa linea si vedano, tra gli altri, gli importanti contributi di Berta (1980); Novara, Rozzi e Garruccio
(2005); Scarpa (2013).

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2. CENTRALIT DELLA CULTURA NEL MODELLO OLIVETTI


Adriano Olivetti ha avuto grandi meriti e qualche demerito. Ma ha indubbiamente
rappresentato con la sua impresa e la sua riflessione, con il mondo cui ha saputo dare
vita, un modo innovativo e vincente di intendere non solo limpresa ma, pi in generale,
il lavoro, la cultura e la comunit3. Pertanto, per abbozzare uno schizzo di quello che andrebbe chiamato il modello Olivetti, appare indispensabile partire dalla caratteristica
visione del rapporto inscindibile tra il lavoro, la cultura e la comunit che aveva Adriano
Olivetti. Quando ci si interroga sulle relazioni tra impresa e Stato, sul modello di sviluppo,
sulla politica industriale, sulla coesione sociale, non bisognerebbe mai trascurare che la
Costituzione italiana pone il lavoro a fondamento della Repubblica; un fondamento che,
nelle parole dellarticolo 4, ha il dovere di concorrere al progresso materiale o spirituale
della societ. dunque sul terreno della concreta interpretazione del lavoro e delle sue
modalit di apporto al progresso materiale e spirituale della comunit nazionale che quei
rapporti, nel nostro paese, sono chiamati a muoversi.
Su questo punto necessario esprimersi in modo sintetico, per parole chiave: per Olivetti il lavoro cultura, cultura del lavoro e cultura al lavoro. Per Adriano il lavoro
cultura e civilt, fattore di progresso materiale e spirituale assieme un concetto in cui il
dispendio di energia, la fatica e la pena, la disciplina e limpegno del lavoro non compaiono
mai separati dallintelligenza, dallo studio, dallinnovazione e dallarte. E, allopposto, la
cultura non mai una sfera privilegiata e protetta, separata dallattivit produttiva di beni
e di servizi, ma invece lo strumento per rendere quei beni e servizi sempre pi piacevoli,
dotati di senso e utili alla soddisfazione dei bisogni umani, al progresso delle condizioni di
vita materiale e spirituale delluomo e della comunit. Lequazione tutta olivettiana lavoro
uguale cultura va pertanto letta in entrambe le direzioni, anche come cultura uguale
lavoro; e, per potersi verificare, richiede lesistenza di una comunit che si riconosca in
quella cultura-lavoro, perch solo una comunit intera impregnata di quella cultura (e non
unaristocrazia di illuminati) in grado di assicurare un miglioramento significativo e
sostenibile nel tempo delle condizioni di vita di tutti.
Cultura, nelle parole di Adriano Olivetti, ricerca disinteressata di verit e bellezza4.
certo un fatto notevole ed estremamente inconsueto che un imprenditore, per quanto
profondamente colto (come ingegnere, urbanista e politico oltre che come imprenditore), senta il bisogno di dare una propria definizione del termine cultura5. Analizziamo
dunque pi approfonditamente questa famosa definizione che, alla luce dellopera dellimprenditore, legittimo sospettare ne racchiuda il fondamento stesso.
La cultura, identificata come ricerca disinteressata, rimanda immediatamente a due
aspetti. Da un lato al valore spirituale del lavoro, alla sua caratterizzazione antropologica
prima ancora che economica in senso utilitarista. Rimanda allimpegno dellessere umano
nel lavoro come espressione e realizzazione di s e come elemento fondamentale per il
superamento dei limiti dati, per il conseguimento di orizzonti nuovi, prima sconosciuti;

Questo aspetto messo bene in luce da Renzi (2008).


Cos nellOrdine politico delle Comunit (Olivetti, 1946, p. 44); ma in altri scritti laggettivo diventa indipendente.
5
Particolarmente interessanti, a proposito della riflessione sulla cultura di Adriano Olivetti, sono il catalogo della
sua biblioteca (Fondazione Adriano Olivetti, 2012) e il volume su Bobi Bazlen editore nascosto (Riboli, 2013), che
offre numerosi e importanti indizi sul sodalizio intellettuale che leg questultimo (uno dei personaggi meno noti
eppure pi influenti sulleditoria culturale italiana) allOlivetti.
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Leonello Tronti

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rimanda al lavoro, dunque, non come maledizione biblica ma come missione umana, di
realizzazione, di solidariet e di progresso. Si noti come nella definizione il lavoro-cultura,
inteso essenzialmente come ricerca e dunque come attivit primariamente innovativa,
caratterizzato dallaggettivo disinteressato, a indicare che esso non pu esaurirsi nella finalit del guadagno immediato, ma trova invece la sua giusta collocazione nella prospettiva
della realizzazione della persona, in rapporto e in funzione dello sviluppo della comunit
in cui opera.
3. FUTURO
Oggi, a pi di cinquantanni di distanza dalla scomparsa di Adriano Olivetti, assistiamo con meravigliato stupore al grandioso spettacolo globale dello sviluppo onnipervasivo
dellhardware e del software. Tuttavia, forse proprio perch ha voluto respingere Adriano
Olivetti in una dimensione altra, lontana, lindustria italiana non sembra essere cosciente
che il primo personal computer stato inventato proprio in Italia, e che se la vicenda
dellOlivetti avesse avuto un esito diverso, forse prodotti come liPad e liPhone li avrebbe
inventati e fabbricati unazienda italiana, prima e anche meglio di come non facciano altri.
La rimozione della scandalosa memoria olivettiana (Sapelli, 2005) va ascritta al fatto
che, come abbiamo sinteticamente notato, lesperienza Olivetti ha lasciato dietro di s, in
termini di psicologia sociale, un vasto complesso di colpa e di incomprensione. Le forze politiche (allora non solo i democristiani ma gli stessi socialisti, verso i quali Olivetti
aveva inutilmente tentato approcci di collaborazione), sindacali (si ricordino le accuse di
patronalsocialismo da parte della CGIL) e parimenti datoriali (oltre alle citate campagne
di boicottaggio, va ricordata la richiesta della FIAT di dismissione dellelettronica quale
condizione per la partecipazione al Gruppo di salvataggio che, dopo la morte di Adriano,
affid limpresa a Bruno Visentini) devono ancora oggi, a distanza di tanti decenni, dimostrare di avere superato il complesso di colpa maturato a causa dellincomprensione e
dellesclusione praticata nei confronti tanto delle idee quanto delle concrete realizzazioni
di Adriano Olivetti. Per non parlare della fine ingloriosa dellazienda, stravolta e svilita sino
al punto di essere trasformata in una scatola cinese al servizio della scalata alla Telecom
della cordata Colaninno: il gioiello tecnologico dellindustria italiana, che si permetteva di
essere presente in tutto il mondo e di produrre per prima o tra i primi non solo il personal
computer ma anche il computer portatile6, svuotata di ogni valore culturale, scientifico,
tecnico, sociale e produttivo, e trasformata in un mero contenitore di titoli per unazione
di scalata finanziaria!
Ma il Vangelo insegna che il seme, per dare vita alla pianta, deve prima disfarsi nella
terra. Proprio oggi che il paese in crisi, afflitto da grandi e profonde difficolt, le forze
politiche, sindacali, datoriali e culturali possono forse finalmente comprendere che lindustria italiana ha un profondo bisogno di riprendere quella lezione: ha bisogno di pensare il suo sviluppo in termini nuovi, costruendo una nuova cultura del lavoro che apra la
porta serrata del futuro, riprendendo con maggior forza e pi ampia partecipazione una
ricerca disinteressata di verit e bellezza. Sta in queste parole, infatti, e nelle concrete

6
Sulla consapevole e dissennata assenza di una politica industriale sullelettronica in Italia, con specifico riferimento alla vicenda dellOlivetti, si confronti Gemelli (2013). Sullespansione internazionale dellOlivetti si vedano
Castagnoli (2012) e Barbiellini Amidei, Goldstein e Spadoni (2010).

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interpretazioni che ne ha saputo dare lesperienza di Adriano Olivetti, il segreto che consente la riapertura del paese al suo futuro. Nella sua visione, il passaggio dal presente al
futuro implicito nel termine ricerca che pone al lavoro-cultura il compito di aprire la
conoscenza e la pratica concreta dellattivit industriale a idee, soluzioni e prodotti nuovi.
E non difficile riconoscere che, in questa Italia colpevolmente dimentica di Adriano che,
anzi, fa mostra di averne eradicata leredit, proprio la mancanza di futuro ad agitare lo
scenario politico. Si pensi alle forze di nuova creazione (e di rapida consunzione), quali
Futuro e libert, Italia futura ecc.; o ai giovani che protestano per le magre prospettive
occupazionali inalberando cartelli con lo slogan Vogliamo il nostro futuro, a segnalare la
desolante mancanza di prospettive che il paese sembra offrire loro.
NellItalia che ha rinnegato Adriano, che di s dichiarava in me non c che futuro7,
non difficile, insomma, riscontrare un gravissimo problema di vista corta: per troppo
tempo il paese non riuscito a guardare pi in l dellimmediato, e questa mancanza di
prospettiva ha ingenerato disillusione e sconforto, inquietudine, malessere, antipolitica e
declino. Se il paese, immerso in un presente senza spessore, non ha la capacit di antivedere il futuro, nemmeno pi in grado di plasmarlo a proprio piacimento.
4. LAVORO, INNOVAZIONE, AUTOREALIZZAZIONE
Peraltro, il concetto di lavoro come attivit di ricerca disinteressata trova conferma
nella letteratura scientifica recente, che mostra che la scoperta e lintroduzione di innovazioni, la percezione di essere responsabile di un miglioramento o di essere parte integrante di unorganizzazione seriamente impegnata nel miglioramento sono di per s, per il
lavoratore non meno che per limprenditore, motivo di soddisfazione e di compiacimento
per il proprio lavoro. Posseggono, dunque, unintrinseca caratterizzazione motivante. Si
faccia riferimento, ad esempio, al concetto di felicit dello stato nascente di Francesco
Alberoni (1977), riferito allentusiasmo del tutto particolare connesso con le appercezioni
innovative collettive, con una particolare caratterizzazione riferita ai movimenti.
Ma si guardi pi ancora alla teoria dellHomo innovaticus delleconomista Premio Nobel Edmund Phelps (2009), che individua il compito fondamentale del sistema economico
nel consentire agli esseri umani di realizzare la loro vera natura di creatori e innovatori.
Il fine morale positivo della teoria economica scrive Phelps di realizzare unantropologia che parta dalla caratterizzazione innovativa della natura umana: dallhomo innovaticus, non dallhomo economicus. La teoria economica esistente ha un contenuto morale
negativo, in quanto tratta i fattori economici come se fossero pezzi di una scacchiera invece
che esseri umani che apprendono, scoprono e innovano. I politici giocano lo stesso gioco,
incanalando risorse da unattivit allaltra o da un gruppo sociale allaltro, senza considerarne leffetto sulla creativit e sul giudizio che ne d leconomia, e quindi le ricompense
profonde che leconomia elargisce o non elargisce8. E ancora: questa dimensione ci
Si veda il film di Michele Fasano su Adriano Olivetti (Fasano, 2011).
Lattacco di Phelps al contenuto morale negativo della teoria economica corrente per lincomprensione del
valore creativo e innovativo del lavoro umano si estende anche alla filosofia del diritto corrente. Il difetto fondamentale che Phelps scorge nel celebrato modello di giustizia di Rawls (1971) che esso fondamentalmente statico e non
considera il valore sociale e antropologico dellinnovazione: il modello di Rawls non ha posto per altro che per la
distribuzione dei beni materiali. Cos facendo tralascia la scoperta, lavventura e il salto verso lignoto. un errore
profondo sostenere che potrebbe essere buona una societ che soffoca la sfida e il progresso personale se questo
ci che serve per assicurare agli ultimi lultimo biscotto che si pu ottenere dalle risorse della societ. Le persone non
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che il dinamismo del capitalismo offre allesperienza umana, a beneficio delluomo; , in


altre parole, la vera dimensione morale delleconomia. Un capitalismo ben funzionante,
dove raggiungibile, trova il suo vero valore nel fatto di permettere agli esseri umani di
realizzare la loro vera natura di creatori e innovatori.
Si pensi poi, ancor pi in generale, alla definizione antropologica dellattuale fase di
sviluppo della specie umana come Homo sapiens sapiens, dove quella sapienza ripetuta
non indica soltanto una maggiore capacit biologica di conoscere, ma segnala anche unirrequietezza profonda, uninestinguibile sete di conoscenza, di ricerca, apprendimento, cultura, creativit, progresso. E sono proprio queste strutture motivazionali profonde che, se
innestate e gestite opportunamente nellambiente e nel rapporto di lavoro, costituiscono
lessenza del capitale organizzativo della comunit di lavoro, ovvero di quel patrimonio
di invisible assets che consente la sostenibilit dellimpresa, la valorizzazione del capitale
umano e pi elevati risultati di performance e di soddisfazione del lavoro9.
Oggi della ricerca si parla in continuazione: diventata una parola-simbolo di questepoca, una sorta di mantra ripetuto in infiniti rosari dai mezzi di comunicazione di massa e
dalle cronache della politica. Ma raramente se ne parla come di unattivit disinteressata
e connaturale alluomo, di unesigenza primaria per la sua autorealizzazione. Per Adriano
Olivetti non si trattava di litanie n di utopie, ma dello stesso tessuto motivazionale della
sua azienda: ancora nel 1969, a nove anni dalla sua scomparsa, lOlivetti dava lavoro a
2.000 ricercatori a tempo pieno. E quando si guarda a quellesperienza come ad un caso
irripetibile e strano nel panorama industriale italiano, bisognerebbe avere lonest intellettuale, il buon senso e il pragmatismo di riconoscere che quellesperienza funzionava
e gratificava i lavoratori dando un chiaro esempio, nelle parole di Phelps, di capitalismo
ben funzionante; e, anzi, ha continuato a funzionare pur tra mille ostacoli e nellincomprensione generale per un lungo periodo, producendo occupazione10, redditi, soddisfazione di consumatori e lavoratori, moderazione del conflitto, rapporti di lavoro cooperativi,
innovazione sociale e tecnologie davanguardia.
5. LAVORO E RICERCA DELLA VERIT
Proseguendo nellanalisi della definizione di cultura di Adriano Olivetti incontriamo le
finalit che la cultura-lavoro deve servire, attraverso lo strumento della ricerca disinteressata: non il profitto11, ma la verit e la bellezza. Soffermiamoci sulla prima. La ricerca
della verit un aspetto fondamentale del legato di Adriano. Certo, dopo il crollo degli
assolutismi e delle ideologie che li hanno alimentati, il concetto di verit si maneggia
con una certa difficolt: appare oggi, in un mondo che cerca rapidit e leggerezza, parola
troppo grande, troppo seria, troppo importante, che tende a schiacciare chi la proferisce
sotto un peso quasi insostenibile.
hanno diritto a qualche biscotto in pi se questo va a scapito dellautorealizzazione di tutti gli altri, della scoperta e
dellappagamento di s in quanto homo innovaticus (Phelps, 2009).
9
Gi la Penrose (1959) individua come fondamentali per la crescita dellimpresa non tanto le risorse di cui dispone ma i servizi che quelle risorse producono nello specifico contesto dellimpresa che le utilizza. Sotto questo profilo,
sono proprio gli invisible assets a determinare le condizioni ambientali che consentono alle risorse di produrre i servizi
necessari allo sviluppo dellimpresa.
10
Quando, nel 1933, Adriano Olivetti diventa direttore generale, lazienda conta 870 dipendenti. Quando, nel
1960, muore, ne conta 22.000 in Italia e 25.000 nelle consociate estere (Novara, Rozzi, Garruccio, 2005, p. 620).
11
Su questo punto si veda anche Olivetti (2012, pp. 28-9).

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In termini pi semplici, per, pensando alla concretezza della vita imprenditoriale, si


pu operativamente parlare anzitutto di comportamenti concreti di ricerca della verit e
della trasparenza in azienda. La ricerca della verit, nei rapporti sociali e di lavoro, infatti,
in primo luogo, trasparenza e responsabilit; ci che consente la creazione di un clima di
fiducia e lealt come invisible asset cui lazienda pu ricorrere nel suo operare quotidiano. Ricerca della verit non nascondere le cose scomode dietro una cortina di veli che
ne rendano impenetrabile il significato, le motivazioni e gli obiettivi. Ricerca disinteressata della verit , per Olivetti, non aver paura non solo di consentire ai suoi dipendenti
di approfondire la cultura marxista, tanto sui libri quanto nelle manifestazioni culturali
organizzate dallazienda; ma anche non temere di comprendere e criticare apertamente
lalienazione connessa alla condizione operaia, che egli stesso aveva sperimentato per un
breve periodo12, e lottare per superarla tanto sul piano dellorganizzazione del lavoro, con
lintroduzione delle isole, quanto su quello della qualit dei luoghi di lavoro, quanto ancora
su quello del rapporto tra propriet dellimpresa e lavoro dipendente, con la teorizzazione
della fondazione titolare dimpresa, come possibile struttura di gestione economica il
cui cammino si sarebbe dovuto intrecciare a quello della Comunit (Olivetti 1959, p. 200).
Sotto questo profilo, la ricerca della verit nei rapporti dazienda costruzione della
comunit di lavoro, ovvero di un insieme di relazioni di fiducia, solidariet e rispetto che
spingono ciascuno ad apportare il proprio contributo alla comunit, sapendo che non sar
ignorato e che il progresso della comunit recher miglioramento a tutti. Lobiettivo della
realizzazione della persona del lavoratore nel lavoro infatti conseguibile solo se limpresa
viene riconosciuta dallimprenditore cos come dai lavoratori come una comunit, fatta
di interessi anche divergenti e a volte contrapposti, ma sostanzialmente capace di trovare
al proprio interno le soluzioni e gli equilibri adeguati, di superare le contrapposizioni sulla
base dellimpegno a valorizzare lapporto di tutti, e quindi della capacit di richiedere a
ciascuno di contribuire al continuo progresso della comunit nel suo insieme (Olivetti,
2012, passim).
A questa declinazione sociale del concetto di ricerca della verit ne va poi aggiunta
unaltra: laccezione che si riferisce alle verit della tecnica e della scienza. Linnovazione
organizzativa e produttiva, in quanto risultato della ricerca scientifica, opera di verit
perch consente lattingimento di una conoscenza del mondo pi avanzata ed efficace.
Linnovazione in sostanza unaffermazione di nuove verit, prima sconosciute, sul mondo materiale (si pu fare questa cosa, in questo modo, con queste conseguenze). Siamo
qui di fronte alla ricerca della verit come conoscenza, ovvero come comprensione di pi
informazioni e coscienza del fatto che esse possono essere connesse tra loro da una teoria
(ipotesi sul funzionamento della realt) che, se verificata (o meglio non falsificata, secondo la lezione di Popper), ha un valore e unutilit assai superiori rispetto alla somma
delle singole informazioni, in quanto consente di intervenire sulla realt per modificarla
a piacimento.
Guardando a questa prospettiva dal punto di vista dellimprenditore possiamo riscontrarne laffinit con lanalisi dellimprenditore innovativo avanzata nel 1912 da Schumpeter
(2002). Limprenditore schumpeteriano introduce nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni
tecnologiche, apre nuovi mercati, cambia le modalit organizzative della produzione e, in
Nel lontano agosto 1914, avevo allora tredici anni, mio padre mi mand a lavorare in fabbrica. Imparai cos
ben presto a conoscere e a odiare il lavoro in serie: una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che
non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina (appunto inedito di Adriano Olivetti ritrovato da Bruno
Caizzi, 1962, p. 132).
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definitiva, responsabile delle fasi espansive del ciclo economico, che consentono alleconomia di non convergere verso una condizione circolare di stazionariet. Alle fasi espansive
seguono quelle recessive, in cui leconomia rientra nellequilibrio di flusso circolare. Un
equilibrio, per, non uguale a quello precedente, in quanto linnovazione ha dato luogo alla distruzione creatrice, ovvero ad un drastico processo selettivo nel quale molte
aziende spariscono, altre ne nascono, altre si rafforzano in preparazione di un nuovo ciclo
espansivo13.
Dal punto di vista del lavoratore, invece, la olivettiana ricerca disinteressata di verit precorre di molti decenni lattenzione internazionale allaccumulazione e alla valorizzazione del capitale umano dei lavoratori, riconoscendo con largo anticipo anche nei
confronti delle teorie della crescita endogena14 la centralit della persona e della qualificazione del lavoro ai fini del progresso economico e sociale, e di pari passo indicando
che le prospettive di sviluppo delle economie avanzate vanno collocate quasi esclusivamente nellambito di quella che oggi viene chiamata economia della conoscenza15.
Non quindi errato affermare che nellidea di cultura di Adriano Olivetti gi insita la
convinzione, che verr ben pi tardi fatta propria dalle agenzie sovranazionali (se non
ancora dalla politica italiana), che nelle economie moderne il vero fattore competitivo,
lelemento strategico fondamentale, la vera materia prima la conoscenza un termine
di uso corrente nel linguaggio economico odierno in unaccezione che ha molti punti
in comune con ci che Olivetti chiama cultura e individua come ricerca disinteressata
di verit, e che non si limita a teorizzare ma pone a fondamento dello sviluppo della
sua azienda. E ancor pi significativo che ci che ha consentito alla conoscenza di
assumere il ruolo di materia prima fondamentale del progresso economico e sociale in
misura oggi assai maggiore di ieri proprio la spettacolare e pervasiva diffusione delle
tecnologie dellinformazione e comunicazione (Tronti, 2014, p. 17), tecnologie al cui
sviluppo si dedica la scommessa imprenditoriale pi avanzata e pionieristica dellOlivetti di Adriano.
6. PARTECIPAZIONE COGNITIVA E COMUNIT DI CONOSCENZA
Non va per sottaciuto che, tuttora e ancor pi allora, numerosi e rilevanti sono gli
ostacoli che si frappongono alla diffusione della conoscenza e allaffermazione dellinnovazione cui essa finalizzata. Numerosi elementi critici del processo di accettazione sociale
dellinnovazione derivano dalla notevole complessit che caratterizza il bene conoscenza.
La conoscenza, infatti, non un bene come gli altri, in quanto contrassegnata da caratteristiche del tutto particolari, quali lincertezza dei risultati e la conseguente difficolt di
valutazione ex ante, lincertezza dei diritti di propriet, la produzione di entropia informa-

Qualche affinit teorica con questa impostazione riscontrabile nel testo di Perotto (1988), scritto dallautore
quando era a capo dellElea.
14
Soprattutto nelle formulazioni di Romer (1986) e di Lucas (1988).
15
Non si pu evitare, a questo proposito, il riferimento al punto 5 delle Conclusioni della presidenza del Consiglio
europeo di Lisbona (2000): LUnione si ora prefissata un nuovo obiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare
leconomia basata sulla conoscenza pi competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica
sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale (http://www.consilium.europa.eu/
ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm). Per unesplorazione ad ampio raggio del concetto di economia della conoscenza, si veda Rooney, Hearn e Ninan (2005).
13

180

Economia & Lavoro, XLVIII, 2

tiva, i complessi effetti esterni alla transazione-apprendimento e altri ancora16. Per questi
motivi, la trasmissione di conoscenza tipicamente gravata da costi di transazione elevati e
lapprendimento ne risulta ostacolato.
La diffusione della conoscenza trova poi significativi ostacoli anche nellatteggiamento
personale di chi cosciente di questi costi: lattuazione dellinnovazione derivante dalla conoscenza comporta spesso costi collettivi di carattere economico, psicologico e relazionale
difficili da prevedere, costi che caratterizzano il processo di innovazione sociale connesso
con la sperimentazione e ladattamento del corpo sociale alle opportunit offerte dallinnovazione.
Purtroppo, per, la conoscenza detenuta da pochi generalmente serve a pochi; e non
assicura n lapprendimento organizzativo n il progresso economico e sociale, perch
la sua applicazione si scontra con lopposizione dei molti che, essendone esclusi, non ne
comprendono il valore17. Cos come il linguaggio ha un ruolo e un valore tanto maggiore
quanto pi alto il numero di quelli che lo parlano (e, in verit, la conoscenza non altro
che un nuovo e pi articolato linguaggio, che consente di definire precisamente modalit
di interazione con la realt in modi prima ignoti), la conoscenza un bene immediatamente
sociale o non un bene, o piuttosto viene spesso temuta e ostacolata come se non lo fosse.
La recente letteratura economica segnala che il modo pi efficace di limitare gli elementi di criticit e di contenere gli elevati costi di transazione che caratterizzano la creazione,
lacquisizione, la condivisione, ma anche lutilizzazione della conoscenza, che il bene
conoscenza venga considerato e gestito come un bene comune (commons)18. Questa scelta
comporta per lorganizzazione innovativa lavvio di un percorso di costruzione della coesione sociale che deve perseguire due obiettivi fondamentali:
a) i dirigenti e i lavoratori debbono potersi identificare come appartenenti ad una stessa
comunit (pi precisamente a una knowledge community);
b) e debbono, quindi, poter riconoscere il patrimonio di conoscenza dellorganizzazione
come un bene comune, cui tutti possono accedere e al quale tutti sono chiamati a contribuire secondo regole ben definite.
In altri termini, per ridurre i costi e le frizioni connessi con la produzione, lapprendimento e la piena utilizzazione della conoscenza, necessario portare a termine uninnovazione nellatteggiamento e nella professionalit del lavoro, nella funzione stessa che
il lavoro assolve nellorganizzazione, che ha interessanti e rilevanti punti di contatto con
la olivettiana ricerca disinteressata della verit. In sintesi, la centralit della conoscenza
come fattore di produzione richiede che lorganizzazione e lambiente di lavoro aiutino
il lavoratore ad ampliare la sfera delle competenze che costituiscono il proprio capitale
umano assumendo una nuova e specifica competenza, che stata chiamata da chi scrive
partecipazione cognitiva, e definita nel modo seguente: la capacit e la volont di acquisire, condividere e utilizzare la conoscenza (propria e dellorganizzazione) per migliorare i
prodotti e i processi produttivi, amministrativi e organizzativi19.

16
Su questi aspetti si veda Tronti (2003, 2012, 2014). In particolare, lincertezza sui risultati e sui diritti di propriet degli apprendimenti comporta un costo di assicurazione che eccede anche di molto il puro costo dei servizi
di formazione.
17
Sulla circostanza che chi non sa cosa non sa non pu nemmeno conoscerne il valore, si veda Arrow (1971).
18
Questa affermazione deriva in larga misura dalla riflessione del Premio Nobel Elinor Ostrom sulleconomia dei
beni comuni e, in particolare, su alcune piste di indagine presenti in Hess e Ostrom (2009, p. IV): Assicurare laccesso
alla conoscenza diventa pi facile se se ne analizza la natura e si mette a fuoco la sua natura di bene comune.
19
Si veda Tronti (2012, p. XLVIII, 2014, p. 30).

Leonello Tronti

181

Pertanto, lobiettivo del processo di innovazione sociale al quale gli interventi formativi e i valori stessi dellorganizzazione (in termini correnti si direbbe la mission e la vision
aziendali) devono contribuire in modo primario, quello dello sviluppo della partecipazione cognitiva nellambito della creazione della comunit di conoscenza. E questa vera e
propria innovazione sociale20 costituisce il presupposto di maggior rilevo dei risultati di
miglioramento della capacit operativa, della stessa motivazione e della realizzazione personale dei lavoratori che possono essere ottenuti attraverso il pieno utilizzo delle risorse di
conoscenza e lo sviluppo delle competenze professionali e relazionali dei dipendenti. Conoscenza e apprendimento non bastano a produrre gli effetti desiderati se non si radicano
in comunit che riconoscono limportanza e il valore della loro concreta applicazione ai
processi produttivi e organizzativi. Sono infatti queste comunit il luogo naturale dellapprendimento e dellinnovazione perch, per le specifiche caratteristiche critiche sopra illustrate, la conoscenza pu generare i suoi frutti solo se gestita come patrimonio di una
comunit, al quale ciascun membro pu attingere e tutti possono contribuire. in questa
ben specifica prospettiva che trova la sua esatta collocazione la costruzione olivettiana
dellimpresa innovativa e sostenibile fondata sui pilastri del lavoro, della cultura e della
comunit.
Questi aspetti trovano pi di un punto di contatto con la teoria economica delle istituzioni, riferita ad organismi (ma anche comportamenti e culture, pi o meno formalizzati)
che, creando un ambiente favorevole a soluzioni cooperative in un complesso contesto di
scambi, sono alla base della crescita economica. Secondo questo approccio limpresa pu
essere identificata come unistituzione, in quanto pone al suo interno vincoli comportamentali che disciplinano le transazioni, individuando e coordinando linsieme delle scelte
individuali. Sotto questo profilo, limpresa ha successo in quanto si propone come istituzione di coordinamento delle transazioni economiche pi efficiente del mercato di concorrenza (Coase, 1937). Nel quadro teorico delineato in questo scritto, limpresa comunitaria di Adriano Olivetti, considerata come unistituzione molto particolare, soprattutto per
i tempi in cui si sviluppata, assolse tipicamente il compito di coordinare transazioni di
conoscenza, ovvero processi di apprendimento e di innovazione, in modo pi efficiente ed
efficace di quanto possibile in un mercato di concorrenza.
Questi principi organizzativi valgono per unimpresa (e lesperienza dellOlivetti di
Adriano ne ha dato una dimostrazione esemplare), ma valgono anche per configurazioni
sociali pi ampie e complesse come una citt, un territorio o unintera nazione (North,
1991). Il problema dellaccettazione della ricerca disinteressata della verit e dei processi
di innovazione sociale che essa comporta dunque legato a come e quanto lapprendimento da personale pu diventare un bene collettivo; e richiede pertanto di ripensare e
riprogettare le imprese (anzitutto da sole; ma anche in associazione con i clienti, i fornitori,
le altre imprese, i territori) come comunit tra persone che singolarmente detengono conoscenze differenti le quali, se integrate, ibridate, potenziate e condivise grazie allo sviluppo
delle opportune competenze relazionali, istituzioni e infrastrutture tecnologiche, aprono a
tutti i membri laccesso ad un patrimonio di conoscenze in grado di potenziarne la capacit
operativa, cos come la stessa accettazione dei (e collaborazione ai) processi di innovazione.
20
Con questa espressione, che conta ormai qualche decennio di affinamento, si intendono molte cose: Le innovazioni sociali sono soluzioni nuove ai problemi sociali che risultano pi efficaci, efficienti, sostenibili o giuste rispetto
alle soluzioni esistenti, e per le quali il valore creato va in favore della societ nel complesso piuttosto che di singoli
individui (Phills, Deiglmeier, Miller, 2008). Qui vista, in particolare, in funzione del miglioramento della comunit
dellimpresa (o della comunit territoriale) piuttosto che della societ nel complesso.

182

Economia & Lavoro, XLVIII, 2

7. BELLEZZA
La rilettura dellidea di cultura di Adriano Olivetti pu quindi affrontare lultimo
snodo della definizione, la cultura-lavoro come ricerca disinteressata di bellezza, oltre
che di verit. Non si pu ritenere casuale che, nelle parole di Adriano Olivetti, la definizione della cultura traguardi la verit prima della bellezza. Si tratta certamente di un
ordine che affonda le radici nelletica familiare di Camillo Olivetti e Luisa Revel, unetica
del lavoro e della responsabilit civile e sociale plasmata da influenze ebraiche, valdesi e
socialiste, e corroborata dalla formazione tecnica cos come dal mestiere di imprenditore
tanto del padre come del figlio. Tuttavia, se limpegno sociale, il lavoro come dovere
morale e possibilit di autorealizzazione, la ricerca scientifica e tecnica, lorganizzazione costituivano diverse facce di quella ricerca della verit che ne plasmava la cultura,
la bellezza era per Adriano Olivetti un obiettivo fondamentale, probabilmente quello
ultimo. Il tema della bellezza compare spesso nei suoi discorsi e nei suoi scritti, ma il
suo valore supremo trova forse la sua pi profonda espressione nella Citt delluomo
(Olivetti, 1959, p. 124), nella citazione di Platone, tratta dal Simposio, che precede il capitolo Ostacoli alla pianificazione: E quando luomo si elevato prendendo la buona
via dellamore delle cose del mondo, sino a intendere la Bellezza, egli non lontano dal
fine. E colui che prende il giusto cammino deve cominciare ad amare le bellezze della
terra e progredire, incessantemente, verso lidea della Bellezza stessa: dallarmonia delle
forme a quella delle azioni, dalla perfezione delle azioni a quella delle conoscenze, per
pervenire infine a quellultima conoscenza che la Bellezza in s. qui sinteticamente
descritto un cammino che dallamore della bellezza nelle cose del mondo si eleva a quello
della bellezza nelle azioni e nelle conoscenze, per poi giungere al traguardo assoluto, che
lamore dellultima conoscenza, quella della Bellezza in s.
Anche in questo caso, non diversamente che per la ricerca della verit e anzi in associazione con essa , il ventaglio di significati che il termine bellezza acquisisce nella testimonianza concreta dellopera di Adriano Olivetti quanto mai ampio. A proposito dellimpegno dellOlivetti per larte, Adriano si fregiava di dire: Le altre imprese finanziano le
mostre darte, noi le organizziamo (Caizzi, 1962, p. 345). E, in effetti, il Centro culturale
Olivetti, alle dirette dipendenze dalla Direzione relazioni culturali, ne organizz centinaia,
di alto livello, con opere, fra gli altri, di Carr, Morandi, De Pisis, Casorati, De Chirico,
Metelli, Guttuso, Rosai. Cos come, oltre alla gestione della vasta Biblioteca Olivetti e alla
sistematica organizzazione di incontri e conferenze (cui non di rado presenziava, silenzioso
negli ultimi banchi, lo stesso Adriano), lattivit di ricerca disinteressata della bellezza da
parte del Centro, rivolta tanto ai dipendenti quanto ai membri della comunit eporediese,
si estendeva alla proiezione di documentari e film di fiction, allorganizzazione di concerti,
spettacoli teatrali, cicli di conversazioni e recital. Forse le altre attivit culturali non raggiunsero i livelli di eccellenza che gli storici della comunicazione industriale riconoscono
allOlivetti per le mostre, i restauri, la grafica, leditoria, il design e tutte le iniziative di
corporate image. Ma non erano questi gli obiettivi, bens la ricerca di una durevole qualit, non elitaria ma pur sempre di alto livello, non appariscente ma sistematica (Novara,
Rozzi, Garruccio, 2005, p. 587).
E, seguendo da vicino i passi del percorso platonico che aveva intrapreso, la ricerca
olivettiana della bellezza non riguardava soltanto le attivit culturali e artistiche rivolte ai
lavoratori e alla cittadinanza, e nemmeno soltanto la qualit estetica dei luoghi di lavoro
(si pensi allo straordinario stabilimento di Pozzuoli, e non solo a quello), mirata a rendere

Leonello Tronti

183

luminoso, piacevole e sereno lo spazio del lavoro, o quella del design dei prodotti e della
comunicazione. Adriano Olivetti poneva la bellezza e larmonia al centro stesso della costruzione della fabbrica e della formazione della citt e della Comunit; la bellezza era il
fulcro del suo sforzo urbanistico, in cui lo sviluppo economico doveva armonizzarsi con la
cura dei rapporti sociali e con la costruzione delle Comunit nel territorio.
significativo riportare, a questo proposito, un passo di Luigi Einaudi che, subito
dopo la morte di Adriano, ricorda, sintetizzando mirabilmente tutto il lavoro da lui svolto, come lopera dellimprenditore gli apparisse visibile, in uno dei suoi aspetti per lui
pi cari, quando attraversando il Canavese e avvicinandosi a Ivrea non avvertiva il mutare di paesaggio, consueto al Nord quanto al Sud, allapprossimarsi del grande centro
industriale: lo spegnersi della campagna, i terreni vaghi e sporchi che prendono il posto
del prato, gli avanzi di quelli che fino a ieri erano boschi o giardini; ma ancora la fresca
campagna, la casetta col pozzo, la pergola, il pollaio21. Nella concretezza del concetto di
ricerca della bellezza proprio di Adriano cera infatti anche la qualit del rapporto con
la natura, con lagricoltura in particolare, che voleva che i suoi dipendenti mantenessero.
Aveva infatti, come noto, particolari previsioni per consentire ai dipendenti la partecipazione al lavoro nei campi.
8. BELLEZZA E ARMONIA SOCIALE
Infine, una peculiare declinazione concreta di ricerca della bellezza da parte di
Adriano sta anche a fondamento della sua teorizzazione delle Comunit: si tratta dellintuizione che i conflitti sociali, culturali ecc. si possano ricomporre in un interesse superiore, nellambito di comunit territoriali, di amministrazione, di cultura e di lavoro. A
questo proposito, la ricerca della bellezza mira essenzialmente allindividuazione delle
caratteristiche dimensionali, economiche, sociali e politiche al cui interno si dimostri
possibile ricomporre in modo armonico linteresse superiore delle persone allo sviluppo
della humana civilitas22.
Nellambito delle relazioni industriali, lesperienza di Adriano si caratterizza per unevidente tensione alla cooperazione, che sfiora pi volte, senza mai riuscire a concretizzarla, lipotesi stessa della partecipazione dei lavoratori alla propriet dellazienda. Questa
prospettazione ideale, molte volte prospettata e mai raggiunta, viene collocata nel quadro
progettuale della Fondazione, che avrebbe dovuto associare alla propriet e al controllo
quattro diverse componenti sociali: quella tecnica (universit e centri di ricerca), quella
ambientale (amministrazione locale), quella lavorativa (dipendenti) e quella tradizionale
(azionisti) (Ferrarotti, 2001, p. 98). Adriano istituisce sin dal 1947 un Consiglio di gestione composto da rappresentanti della direzione e dei lavoratori. Prevede con notevole
anticipo rispetto allo Statuto dei lavoratori che i dipendenti possano riunirsi, discutere e
assumere liberamente proprie decisioni allinterno dellazienda. Stabilisce remunerazioni
significativamente superiori a quelle di mercato. Concede periodi di ferie pi lunghi e orari
di lavoro pi brevi prima che questi vengano richiesti dai contratti nazionali. Favorisce in
vario modo la diffusione e lapprofondimento tra i lavoratori della cultura contemporanea,

21
La citazione, di cui purtroppo, nonostante lunghe ricerche, non stato possibile a chi scrive individuare il riferimento originale (molto probabilmente un articolo di giornale), riportata da Argentero (1987, pp. 23-4).
22
Si vedano, tra gli altri, Olivetti (2011, 2014); Ristuccia (2009).

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Economia & Lavoro, XLVIII, 2

senza alcuna esclusione di natura politica. E assicura sempre un rilevante scambio di informazioni e comunanza di obiettivi tra gestione e sindacato.
Si badi bene: ci non vuol dire che Adriano abbia sempre avuto con i sindacati rapporti
idilliaci. Tutto sommato, innegabile che lesperienza del sindacato di comunit fu, per
Adriano Olivetti, un tentativo (peraltro fallito) non solo di accrescere in fabbrica la propria
forza politica, ma anche di ridurre i motivi di conflitto sindacale, soprattutto con la CGIL.
Ma lo stesso fallimento di quellesperienza mostra che, allinterno della vicenda dellOlivetti di Adriano, il conflitto ha sempre avuto lo spazio e il modo per esercitarsi; ed in particolar modo evidente il tentativo (questo pienamente riuscito) di farlo esprimere in forme
non distruttive, rispettose del comune bene superiore del buon andamento dellazienda.
Appare quindi innegabile che lOlivetti di Adriano, per quanto sia stata indubbiamente unazienda molto attenta ai rapporti con i dipendenti (e con le loro famiglie) e al loro
sviluppo economico, culturale e sociale, non si mai confusa con il sindacato. Lo sforzo
maggiore di Adriano nelle relazioni industriali stato probabilmente quello di introdurre
anche nel conflitto industriale lidea di cultura analizzata nelle pagine precedenti. Per questo allOlivetti lo spazio per le ragioni del conflitto era non solo preservato, ma lazienda
cercava di incanalarlo nellalveo della continua ricerca di soluzioni ai problemi culturali,
del lavoro e sociali di quella cultura del saper fare e sapersi organizzare che poteva mirare
al superamento dello stesso disagio del lavoro di linea. Lazienda doveva fare cultura del
lavoro, e a questo fine doveva consentire a tutti quelli che partecipavano ad essa con il loro
lavoro la possibilit di approfondire la loro partecipazione con lo studio e la formazione,
di discuterne con colleghi e superiori, di trovare ipotesi di risoluzione dei problemi, di
presentarle a chi ne era competente in un clima di apertura e fiducia allepoca del tutto
inusitato.
Questo peculiare rapporto di collaborazione e di reciproca crescita culturale nel lavoro tra lavoratore, impresa, mondo della ricerca e territorio appare qualcosa che ancora
oggi manca molto allItalia, al suo apparato industriale23. La politica e le relazioni sindacali
italiane si mostrano oggi depauperate anzitutto di questo senso di comunit, di ricerca disinteressata e comune tanto di verit quanto di bellezza: della saggezza di capire che il consenso non si pu conquistare sulla base di unadesione viscerale e ideologica, di una mera
capacit di comunicazione, ma va costruito giorno per giorno sulla base dellavanzamento
della conoscenza e del lavoro, dei loro risultati concreti. LItalia ha bisogno di una cultura
materiale pi vicina allideale olivettiano, tale da conferire identit positiva e coesione, da
consentire ad ognuno una pi chiara cognizione del proprio ruolo allinterno della societ,
del lavoro, dellesercizio della democrazia; di una cultura materiale tale da permettere a
ciascuno di esercitare quel ruolo, garantirgli lo spazio per poterlo fare e mettergliene a
disposizione gli strumenti senza che questo sia proposto come un privilegio o una concessione, ma sia invece valutato come un vantaggio per tutti.
Ed proprio nella ripresa delle idee di cultura, lavoro e comunit di Adriano Olivetti
che appare possibile cercare la soluzione al male oscuro che affligge oggi leconomia
23
Si noti, anche in questo caso, la visione fortemente anticipatrice dellimprenditore eporediese. Il miglior modello di sviluppo delle imprese e diffusione dellinnovazione (orizzontale e trasversale) stato infatti riscontrato nella creazione di parchi tecnologici dedicati allinnovazione e allo scambio di conoscenza, con una stretta convivenza anche
fisica fra mondo della conoscenza (universit e laboratori di ricerca), mondo finanziario (venture capitalist e fondi
di private equity) e mondo delle imprese (pi rappresentative e con pi predisposizione allinnovazione). Il successo
di questo modello (ad esempio la Silicon Valley negli USA o il distretto di Oxford in Gran Bretagna) passa attraverso
linserimento (o il finanziamento e tutoraggio) dei giovani pi promettenti. La gestione della propriet intellettuale che
nasce allinterno del parco spesso riesce a finanziarne lo sviluppo e la crescita.

Leonello Tronti

185

italiana, al problema di bassa crescita e disoccupazione, del difficile progresso economico


e sociale. LItalia repubblicana ha avuto, dal 1945 al 1975, un lungo, straordinario periodo
di crescita, pi intenso della media dei paesi europei i nostri trentanni gloriosi. stato
quel periodo straordinario che ha consentito allItalia di considerarsi a buon diritto, dagli
anni Ottanta in poi, uno dei grandi paesi europei. Caratterizzava leconomia un modello
di sviluppo oggi non pi percorribile, basato sullesportazione di prodotti anche tecnologicamente avanzati in alcuni casi eccellenti a prezzi contenuti rispetto ai concorrenti
internazionali. Le retribuzioni erano modeste ma anche i prezzi erano contenuti, cos che
le retribuzioni erano sufficienti a garantire ai lavoratori standard di vita crescenti. In quel
mondo prosperava la grande impresa, in parte per il fiorire di iniziative private, come nel
caso della Olivetti, in parte per la spinta propulsiva offerta dalle aziende a partecipazione
statale. Salari e prezzi bassi derivavano da costi di transazione pi modesti, minori rendite
oligopolistiche, pi forti investimenti in infrastrutture, maggiore fiducia e unit di intenti
tra gli agenti economici.
Lo sviluppo del trentennio glorioso, se lo si guarda con gli occhiali tradizionali della
teoria della crescita, appare quasi inspiegabile un vero miracolo. La popolazione attiva
era significativamente sottoqualificata rispetto ai concorrenti, e il ciclo degli investimenti
era comunque debole (gi allora). I dati OCSE mostrano che gli investimenti per persona in
et di lavoro crescevano in Italia al 40% del tasso di crescita medio dei sette maggiori paesi
OCSE. Tuttavia, nonostante lesiguo capitale umano e un ciclo degli investimenti tanto parsimonioso, lItalia cresceva, pi dei concorrenti. Il sistema produttivo era animato da uno
spirito di comunit pi forte, che consentiva profitti e prezzi mediamente pi contenuti,
costi di transazione pi bassi, maggiore governabilit e unitariet interna delle grandi imprese; condizioni che consentivano lapprendimento, linnovazione e lapertura al futuro.
Certo il periodo fu denso di sconvolgimenti sociali, legati alle grandi migrazioni interne e
agli stessi shock culturali connessi con lo sviluppo: ma quei sommovimenti consentirono la
nascita e la crescita di mille e mille imprese nel territorio, in un processo di crescita poco
programmato, a volte caotico, ma di grande impatto economico.
Oggi limpresa italiana soffre perch quel modello di crescita si dissolto. Da un lato
i salari, pur tra i pi moderati dellEurozona, non sono e non possono pi essere competitivi rispetto a quelli dei paesi nuovi concorrenti globali; dallaltro i prezzi italiani, interni
e ancor pi allesportazione, continuano inesorabilmente a crescere pi di quelli dei nostri stessi partner nelleuro. In un regime di moneta unica, il risultato di questo opposto
disallineamento strutturale di salari e prezzi rispetto alla media dei partner monetari non
pu che tradursi nellarresto della crescita. La domanda interna bloccata dai bassi salari,
quella estera dagli alti prezzi. Leconomia si dibatte in una situazione gravata da bassa fiducia, alte rendite, alti costi di transazione, scarsa capacit innovativa una situazione di
crisi che attesta la perdita della prospettiva, della trasparenza, del dialogo, il difficile riconoscimento del proprio ruolo da parte di lavoratori e imprenditori, la mancanza di unit
di intenti allinterno dellimpresa e nelle relazioni sindacali, in una parola, la dissoluzione
dello spirito di comunit.

9. COMUNIT DI CONOSCENZA: UNEXIT STRATEGY OLIVETTIANA PER RIPRENDERE A CRESCERE


La letteratura sullimpresa moderna conferma quanto evidenziato dal caso empirico
dellOlivetti di Adriano, e cio che il fattore fondamentale della crescita, lapprendimento

186

Economia & Lavoro, XLVIII, 2

organizzativo (concetto che approssima, seppure per abbondante difetto, lidea olivettiana di cultura qui sinteticamente esaminata) si sviluppa soltanto dove vengono creati i necessari invisible assets, quali fiducia, lealt, riconoscimento, coesione sociale, leadership.
Se questi presupposti non si danno, limpresa non in grado di apprendere e dunque
nemmeno di innovare; e rimane condannata ad una performance mediocre, bloccata
dallimpossibilit di costruire il futuro che desidera (Senge, 1990)24. Ma, guardando le
cose pi in grande, la performance delleconomia altro non che la somma algebrica
della performance delle imprese che ne fanno parte: se le imprese non si sviluppano
leconomia non pu crescere.
Per proporre al sistema produttivo italiano una exit strategy dalla crisi caratterizzata da
una marcatura olivettiana, il governo dovrebbe anzitutto definire una politica di sviluppo
ispirata ad un percorso culturale (non di cultura libresca ma di cultura del lavoro e di cultura al lavoro), orientato allo sviluppo umano, allautorealizzazione attraverso il lavoro e la
costruzione della comunit lungo un percorso di ricerca disinteressata di verit e bellezza. Purtroppo, per, nel caso italiano la possibilit che imprese, sindacati, amministrazioni pubbliche e universit percorrano assieme una traiettoria di questo tipo pu sembrare
molto difficile, quasi proibitiva, per motivi non solo di conflitto sociale e politico ma anche
di evoluzione materiale dellapparato produttivo. Il fatto che il Censimento dellindustria
e dei servizi 2011 abbia appurato che il 95,2% delle imprese italiane (4,2 milioni circa su
un totale di 4,4 milioni) siano microimprese con meno di 10 addetti, e occupino il 46,9%
degli addetti, un dato che spaventa. Nel Rapporto annuale 2014 sulla situazione del
paese, lISTAT (2014, p. 9) non ha difficolt ad ammettere che queste imprese esprimono
chiaramente condizioni produttive caratterizzate da problemi strutturali di efficienza. Per
questo la riproposizione del ruolo trainante della grande impresa come fulcro economico
della comunit territoriale appare oggi unopzione certamente impervia, se non improponibile. dunque certamente indispensabile porre termine alla fuga dellimpresa verso la
dimensione minima e riprendere il cammino in senso opposto.
Lo sviluppo delle tecnologie dellinformazione e della comunicazione pu favorire questo processo aggregativo, ponendo il problema dimensionale dellimpresa in modo nuovo. Se davvero nei percorsi di apprendimento organizzativo che si collocano la capacit
dellimpresa di innovare, e dunque il suo vantaggio competitivo, le tecnologie che abbattono in modo straordinario i costi di comunicazione e gestione della conoscenza permettono
di definire i confini e la dimensione dellorganizzazione che beneficia dellapprendimento secondo linee inconsuete. , dunque, forse in questa direzione che possibile trarre
qualche indicazione di politica industriale dallampio spettro di suggestioni che derivano
dallesame dellidea di cultura in Adriano Olivetti.
Consideriamo, per semplificare, il modello wiki di gestione della conoscenza: un serbatoio aperto cui una vasta platea di operatori pu sia contribuire che attingere in un
processo di continuo ampliamento del serbatoio stesso. Lorganizzazione che apprende, in
questo caso, si pu pensare sia costituita entro il perimetro della comunit di chi detiene
i diritti di utilizzo di questo serbatoio, di questo bene comune (la cosiddetta knowledge
community). Naturalmente, il perimetro deve essere delimitato da una barriera che in24
Per Senge, laspetto che definisce unorganizzazione che apprende che essa espande continuamente la capacit di creare il proprio futuro un futuro che realizza i risultati che desidera. Lapprendimento visto, pertanto,
come miglioramento della capacit dellorganizzazione di ottenere i risultati che si propone, e quindi di creare il proprio futuro, in accordo con la definizione di conoscenza come ipotesi non falsificata sul funzionamento della realt
che consente di intervenire per modificarla in modo desiderabile.

Leonello Tronti

187

dividui in modo chiaro la comunit che pu accedere al bene comune e chi invece non
pu. Perch il modello wiki pu essere brillante, attraente e funzionale, ma, se gratuito
e aperto a tutti, non produce alcun vantaggio competitivo per la comunit che lo adotta; e
quindi non genera alcun valore aggiunto e non consente n la sopravvivenza n lo sviluppo
della comunit stessa. Invece, se il deposito utilizzato da una knowledge community ben
definita da regole di ingresso/uscita, il modello pu aiutare le imprese che ne fanno parte
a ricercare verit e bellezza assieme e in modo disinteressato (almeno nei confronti degli
altri appartenenti alla comunit), e quindi a creare cultura nel senso olivettiano che abbiamo discusso nelle pagine precedenti.
In altri termini, in questo nuovo contesto ci che conta potrebbe non essere pi la
dimensione dellimpresa, ma il perimetro della comunit di conoscenza che alimenta e
utilizza il wiki. Poco importa che della comunit facciano parte, in termini giuridici, dieci,
cento o mille imprese. Una nuova grande impresa pu crearsi dallinterazione di centinaia di microimprese allinterno di ununica comunit di conoscenza. Daltro canto era
proprio questa caratterizzazione di sistema produttivo di dimensione rilevante, seppure
caratterizzato da unit molecolari, che fino a pochi anni fa rendeva efficienti e competitivi
i distretti industriali italiani. Grazie alle nuove tecnologie, quella stessa logica si pu oggi
riprodurre senza pi necessit di contiguit territoriale, e con contenuti tecnici pi elevati.
Questa Italia, che oggi appare frammentata, sfiduciata e incapace di guardare al proprio
futuro, ha quindi nuove possibilit di organizzarsi, di intraprendere un percorso di sviluppo culturale, produttivo e di solidariet attraverso la costruzione, favorita dalla tecnologia,
di comunit deputate allo scambio di conoscenza tra centri di ricerca, amministrazioni
pubbliche, sistema finanziario e imprese. Le nuove tecnologie consentono di dare vita a comunit tematiche di cultura e di lavoro di dimensioni rilevanti che, se anche non possono
assolvere a tutte le funzioni tipiche delle grandi imprese, possono per favorire ugualmente
la riqualificazione di relazioni interpersonali e di lavoro, cos come quella di prodotti e
servizi e, con essa, il ritorno alla crescita e, pi ancora, a quella ricerca disinteressata di
verit e bellezza di cui una durevole crescita economica non che il precipitato materiale.
Perch ci accada c per bisogno della coscienza e della volont di farlo, e c bisogno
che questa volont si rispecchi in un consenso, e che il consenso si fondi su di un disegno
per loggi e per il domani che sia percepito come bello, vero e desiderabile da parte di una
comunit che ad esso si ispiri e per esso sia disposta ad impegnare tempo e fatica. Non si
tratta di condizioni facili da ottenere, ma che appaiono indispensabili per rimettere il paese
in cammino.
LItalia delle produzioni di nicchia, dei beni di lusso, degli stilisti di fama non ha portato
al paese abbastanza sviluppo, abbastanza crescita, abbastanza benessere, abbastanza futuro; lo si deve purtroppo riconoscere. Per quanto dinamico e internazionalizzato, questo
segmento dellapparato produttivo non si dimostrato forte abbastanza da trainare lintera
economia n da riuscire a trasformare e a modernizzare il resto delle imprese italiane. Il
mondo datoriale si sta muovendo, con difficolt, nella direzione di vie di sviluppo meno
elitarie, che si possono sintetizzare nello slogan il made in Italy per tutti la qualit italiana a prezzi contenuti. Ma la realizzazione di questa intuizione non pu che basarsi
su grandi volumi di produzione, e dunque su apparati produttivi di grandi dimensioni o
quanto meno formati da molti piccoli apparati produttivi coordinati tra loro. Il mercato
per la qualit italiana a prezzi pi accessibili potenzialmente vastissimo e ogni giorno
crescente. Tuttavia, per raggiungere prezzi accettabili e soddisfare questa domanda potenziale, necessario organizzare capacit produttive ampie, siano queste costituite da singole

188

Economia & Lavoro, XLVIII, 2

imprese di grandi dimensioni o da comunit coese, cui partecipano molte imprese pi


piccole. questa la sfida maggiore delloggi, questo il terreno su cui lesperienza di
Adriano Olivetti e la sua idea di cultura, di lavoro e di comunit possono aprire allItalia
la via verso la scoperta di tesori imprenditoriali colpevolmente osteggiati e nascosti, ma
profondamente attuali e vitali perch fondati su una visione integrale e non economicista
dello sviluppo umano.
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RIBOLI V.

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