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Su questa linea si vedano, tra gli altri, gli importanti contributi di Berta (1980); Novara, Rozzi e Garruccio
(2005); Scarpa (2013).
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rimanda al lavoro, dunque, non come maledizione biblica ma come missione umana, di
realizzazione, di solidariet e di progresso. Si noti come nella definizione il lavoro-cultura,
inteso essenzialmente come ricerca e dunque come attivit primariamente innovativa,
caratterizzato dallaggettivo disinteressato, a indicare che esso non pu esaurirsi nella finalit del guadagno immediato, ma trova invece la sua giusta collocazione nella prospettiva
della realizzazione della persona, in rapporto e in funzione dello sviluppo della comunit
in cui opera.
3. FUTURO
Oggi, a pi di cinquantanni di distanza dalla scomparsa di Adriano Olivetti, assistiamo con meravigliato stupore al grandioso spettacolo globale dello sviluppo onnipervasivo
dellhardware e del software. Tuttavia, forse proprio perch ha voluto respingere Adriano
Olivetti in una dimensione altra, lontana, lindustria italiana non sembra essere cosciente
che il primo personal computer stato inventato proprio in Italia, e che se la vicenda
dellOlivetti avesse avuto un esito diverso, forse prodotti come liPad e liPhone li avrebbe
inventati e fabbricati unazienda italiana, prima e anche meglio di come non facciano altri.
La rimozione della scandalosa memoria olivettiana (Sapelli, 2005) va ascritta al fatto
che, come abbiamo sinteticamente notato, lesperienza Olivetti ha lasciato dietro di s, in
termini di psicologia sociale, un vasto complesso di colpa e di incomprensione. Le forze politiche (allora non solo i democristiani ma gli stessi socialisti, verso i quali Olivetti
aveva inutilmente tentato approcci di collaborazione), sindacali (si ricordino le accuse di
patronalsocialismo da parte della CGIL) e parimenti datoriali (oltre alle citate campagne
di boicottaggio, va ricordata la richiesta della FIAT di dismissione dellelettronica quale
condizione per la partecipazione al Gruppo di salvataggio che, dopo la morte di Adriano,
affid limpresa a Bruno Visentini) devono ancora oggi, a distanza di tanti decenni, dimostrare di avere superato il complesso di colpa maturato a causa dellincomprensione e
dellesclusione praticata nei confronti tanto delle idee quanto delle concrete realizzazioni
di Adriano Olivetti. Per non parlare della fine ingloriosa dellazienda, stravolta e svilita sino
al punto di essere trasformata in una scatola cinese al servizio della scalata alla Telecom
della cordata Colaninno: il gioiello tecnologico dellindustria italiana, che si permetteva di
essere presente in tutto il mondo e di produrre per prima o tra i primi non solo il personal
computer ma anche il computer portatile6, svuotata di ogni valore culturale, scientifico,
tecnico, sociale e produttivo, e trasformata in un mero contenitore di titoli per unazione
di scalata finanziaria!
Ma il Vangelo insegna che il seme, per dare vita alla pianta, deve prima disfarsi nella
terra. Proprio oggi che il paese in crisi, afflitto da grandi e profonde difficolt, le forze
politiche, sindacali, datoriali e culturali possono forse finalmente comprendere che lindustria italiana ha un profondo bisogno di riprendere quella lezione: ha bisogno di pensare il suo sviluppo in termini nuovi, costruendo una nuova cultura del lavoro che apra la
porta serrata del futuro, riprendendo con maggior forza e pi ampia partecipazione una
ricerca disinteressata di verit e bellezza. Sta in queste parole, infatti, e nelle concrete
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Sulla consapevole e dissennata assenza di una politica industriale sullelettronica in Italia, con specifico riferimento alla vicenda dellOlivetti, si confronti Gemelli (2013). Sullespansione internazionale dellOlivetti si vedano
Castagnoli (2012) e Barbiellini Amidei, Goldstein e Spadoni (2010).
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interpretazioni che ne ha saputo dare lesperienza di Adriano Olivetti, il segreto che consente la riapertura del paese al suo futuro. Nella sua visione, il passaggio dal presente al
futuro implicito nel termine ricerca che pone al lavoro-cultura il compito di aprire la
conoscenza e la pratica concreta dellattivit industriale a idee, soluzioni e prodotti nuovi.
E non difficile riconoscere che, in questa Italia colpevolmente dimentica di Adriano che,
anzi, fa mostra di averne eradicata leredit, proprio la mancanza di futuro ad agitare lo
scenario politico. Si pensi alle forze di nuova creazione (e di rapida consunzione), quali
Futuro e libert, Italia futura ecc.; o ai giovani che protestano per le magre prospettive
occupazionali inalberando cartelli con lo slogan Vogliamo il nostro futuro, a segnalare la
desolante mancanza di prospettive che il paese sembra offrire loro.
NellItalia che ha rinnegato Adriano, che di s dichiarava in me non c che futuro7,
non difficile, insomma, riscontrare un gravissimo problema di vista corta: per troppo
tempo il paese non riuscito a guardare pi in l dellimmediato, e questa mancanza di
prospettiva ha ingenerato disillusione e sconforto, inquietudine, malessere, antipolitica e
declino. Se il paese, immerso in un presente senza spessore, non ha la capacit di antivedere il futuro, nemmeno pi in grado di plasmarlo a proprio piacimento.
4. LAVORO, INNOVAZIONE, AUTOREALIZZAZIONE
Peraltro, il concetto di lavoro come attivit di ricerca disinteressata trova conferma
nella letteratura scientifica recente, che mostra che la scoperta e lintroduzione di innovazioni, la percezione di essere responsabile di un miglioramento o di essere parte integrante di unorganizzazione seriamente impegnata nel miglioramento sono di per s, per il
lavoratore non meno che per limprenditore, motivo di soddisfazione e di compiacimento
per il proprio lavoro. Posseggono, dunque, unintrinseca caratterizzazione motivante. Si
faccia riferimento, ad esempio, al concetto di felicit dello stato nascente di Francesco
Alberoni (1977), riferito allentusiasmo del tutto particolare connesso con le appercezioni
innovative collettive, con una particolare caratterizzazione riferita ai movimenti.
Ma si guardi pi ancora alla teoria dellHomo innovaticus delleconomista Premio Nobel Edmund Phelps (2009), che individua il compito fondamentale del sistema economico
nel consentire agli esseri umani di realizzare la loro vera natura di creatori e innovatori.
Il fine morale positivo della teoria economica scrive Phelps di realizzare unantropologia che parta dalla caratterizzazione innovativa della natura umana: dallhomo innovaticus, non dallhomo economicus. La teoria economica esistente ha un contenuto morale
negativo, in quanto tratta i fattori economici come se fossero pezzi di una scacchiera invece
che esseri umani che apprendono, scoprono e innovano. I politici giocano lo stesso gioco,
incanalando risorse da unattivit allaltra o da un gruppo sociale allaltro, senza considerarne leffetto sulla creativit e sul giudizio che ne d leconomia, e quindi le ricompense
profonde che leconomia elargisce o non elargisce8. E ancora: questa dimensione ci
Si veda il film di Michele Fasano su Adriano Olivetti (Fasano, 2011).
Lattacco di Phelps al contenuto morale negativo della teoria economica corrente per lincomprensione del
valore creativo e innovativo del lavoro umano si estende anche alla filosofia del diritto corrente. Il difetto fondamentale che Phelps scorge nel celebrato modello di giustizia di Rawls (1971) che esso fondamentalmente statico e non
considera il valore sociale e antropologico dellinnovazione: il modello di Rawls non ha posto per altro che per la
distribuzione dei beni materiali. Cos facendo tralascia la scoperta, lavventura e il salto verso lignoto. un errore
profondo sostenere che potrebbe essere buona una societ che soffoca la sfida e il progresso personale se questo
ci che serve per assicurare agli ultimi lultimo biscotto che si pu ottenere dalle risorse della societ. Le persone non
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definitiva, responsabile delle fasi espansive del ciclo economico, che consentono alleconomia di non convergere verso una condizione circolare di stazionariet. Alle fasi espansive
seguono quelle recessive, in cui leconomia rientra nellequilibrio di flusso circolare. Un
equilibrio, per, non uguale a quello precedente, in quanto linnovazione ha dato luogo alla distruzione creatrice, ovvero ad un drastico processo selettivo nel quale molte
aziende spariscono, altre ne nascono, altre si rafforzano in preparazione di un nuovo ciclo
espansivo13.
Dal punto di vista del lavoratore, invece, la olivettiana ricerca disinteressata di verit precorre di molti decenni lattenzione internazionale allaccumulazione e alla valorizzazione del capitale umano dei lavoratori, riconoscendo con largo anticipo anche nei
confronti delle teorie della crescita endogena14 la centralit della persona e della qualificazione del lavoro ai fini del progresso economico e sociale, e di pari passo indicando
che le prospettive di sviluppo delle economie avanzate vanno collocate quasi esclusivamente nellambito di quella che oggi viene chiamata economia della conoscenza15.
Non quindi errato affermare che nellidea di cultura di Adriano Olivetti gi insita la
convinzione, che verr ben pi tardi fatta propria dalle agenzie sovranazionali (se non
ancora dalla politica italiana), che nelle economie moderne il vero fattore competitivo,
lelemento strategico fondamentale, la vera materia prima la conoscenza un termine
di uso corrente nel linguaggio economico odierno in unaccezione che ha molti punti
in comune con ci che Olivetti chiama cultura e individua come ricerca disinteressata
di verit, e che non si limita a teorizzare ma pone a fondamento dello sviluppo della
sua azienda. E ancor pi significativo che ci che ha consentito alla conoscenza di
assumere il ruolo di materia prima fondamentale del progresso economico e sociale in
misura oggi assai maggiore di ieri proprio la spettacolare e pervasiva diffusione delle
tecnologie dellinformazione e comunicazione (Tronti, 2014, p. 17), tecnologie al cui
sviluppo si dedica la scommessa imprenditoriale pi avanzata e pionieristica dellOlivetti di Adriano.
6. PARTECIPAZIONE COGNITIVA E COMUNIT DI CONOSCENZA
Non va per sottaciuto che, tuttora e ancor pi allora, numerosi e rilevanti sono gli
ostacoli che si frappongono alla diffusione della conoscenza e allaffermazione dellinnovazione cui essa finalizzata. Numerosi elementi critici del processo di accettazione sociale
dellinnovazione derivano dalla notevole complessit che caratterizza il bene conoscenza.
La conoscenza, infatti, non un bene come gli altri, in quanto contrassegnata da caratteristiche del tutto particolari, quali lincertezza dei risultati e la conseguente difficolt di
valutazione ex ante, lincertezza dei diritti di propriet, la produzione di entropia informa-
Qualche affinit teorica con questa impostazione riscontrabile nel testo di Perotto (1988), scritto dallautore
quando era a capo dellElea.
14
Soprattutto nelle formulazioni di Romer (1986) e di Lucas (1988).
15
Non si pu evitare, a questo proposito, il riferimento al punto 5 delle Conclusioni della presidenza del Consiglio
europeo di Lisbona (2000): LUnione si ora prefissata un nuovo obiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare
leconomia basata sulla conoscenza pi competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica
sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale (http://www.consilium.europa.eu/
ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm). Per unesplorazione ad ampio raggio del concetto di economia della conoscenza, si veda Rooney, Hearn e Ninan (2005).
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tiva, i complessi effetti esterni alla transazione-apprendimento e altri ancora16. Per questi
motivi, la trasmissione di conoscenza tipicamente gravata da costi di transazione elevati e
lapprendimento ne risulta ostacolato.
La diffusione della conoscenza trova poi significativi ostacoli anche nellatteggiamento
personale di chi cosciente di questi costi: lattuazione dellinnovazione derivante dalla conoscenza comporta spesso costi collettivi di carattere economico, psicologico e relazionale
difficili da prevedere, costi che caratterizzano il processo di innovazione sociale connesso
con la sperimentazione e ladattamento del corpo sociale alle opportunit offerte dallinnovazione.
Purtroppo, per, la conoscenza detenuta da pochi generalmente serve a pochi; e non
assicura n lapprendimento organizzativo n il progresso economico e sociale, perch
la sua applicazione si scontra con lopposizione dei molti che, essendone esclusi, non ne
comprendono il valore17. Cos come il linguaggio ha un ruolo e un valore tanto maggiore
quanto pi alto il numero di quelli che lo parlano (e, in verit, la conoscenza non altro
che un nuovo e pi articolato linguaggio, che consente di definire precisamente modalit
di interazione con la realt in modi prima ignoti), la conoscenza un bene immediatamente
sociale o non un bene, o piuttosto viene spesso temuta e ostacolata come se non lo fosse.
La recente letteratura economica segnala che il modo pi efficace di limitare gli elementi di criticit e di contenere gli elevati costi di transazione che caratterizzano la creazione,
lacquisizione, la condivisione, ma anche lutilizzazione della conoscenza, che il bene
conoscenza venga considerato e gestito come un bene comune (commons)18. Questa scelta
comporta per lorganizzazione innovativa lavvio di un percorso di costruzione della coesione sociale che deve perseguire due obiettivi fondamentali:
a) i dirigenti e i lavoratori debbono potersi identificare come appartenenti ad una stessa
comunit (pi precisamente a una knowledge community);
b) e debbono, quindi, poter riconoscere il patrimonio di conoscenza dellorganizzazione
come un bene comune, cui tutti possono accedere e al quale tutti sono chiamati a contribuire secondo regole ben definite.
In altri termini, per ridurre i costi e le frizioni connessi con la produzione, lapprendimento e la piena utilizzazione della conoscenza, necessario portare a termine uninnovazione nellatteggiamento e nella professionalit del lavoro, nella funzione stessa che
il lavoro assolve nellorganizzazione, che ha interessanti e rilevanti punti di contatto con
la olivettiana ricerca disinteressata della verit. In sintesi, la centralit della conoscenza
come fattore di produzione richiede che lorganizzazione e lambiente di lavoro aiutino
il lavoratore ad ampliare la sfera delle competenze che costituiscono il proprio capitale
umano assumendo una nuova e specifica competenza, che stata chiamata da chi scrive
partecipazione cognitiva, e definita nel modo seguente: la capacit e la volont di acquisire, condividere e utilizzare la conoscenza (propria e dellorganizzazione) per migliorare i
prodotti e i processi produttivi, amministrativi e organizzativi19.
16
Su questi aspetti si veda Tronti (2003, 2012, 2014). In particolare, lincertezza sui risultati e sui diritti di propriet degli apprendimenti comporta un costo di assicurazione che eccede anche di molto il puro costo dei servizi
di formazione.
17
Sulla circostanza che chi non sa cosa non sa non pu nemmeno conoscerne il valore, si veda Arrow (1971).
18
Questa affermazione deriva in larga misura dalla riflessione del Premio Nobel Elinor Ostrom sulleconomia dei
beni comuni e, in particolare, su alcune piste di indagine presenti in Hess e Ostrom (2009, p. IV): Assicurare laccesso
alla conoscenza diventa pi facile se se ne analizza la natura e si mette a fuoco la sua natura di bene comune.
19
Si veda Tronti (2012, p. XLVIII, 2014, p. 30).
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Pertanto, lobiettivo del processo di innovazione sociale al quale gli interventi formativi e i valori stessi dellorganizzazione (in termini correnti si direbbe la mission e la vision
aziendali) devono contribuire in modo primario, quello dello sviluppo della partecipazione cognitiva nellambito della creazione della comunit di conoscenza. E questa vera e
propria innovazione sociale20 costituisce il presupposto di maggior rilevo dei risultati di
miglioramento della capacit operativa, della stessa motivazione e della realizzazione personale dei lavoratori che possono essere ottenuti attraverso il pieno utilizzo delle risorse di
conoscenza e lo sviluppo delle competenze professionali e relazionali dei dipendenti. Conoscenza e apprendimento non bastano a produrre gli effetti desiderati se non si radicano
in comunit che riconoscono limportanza e il valore della loro concreta applicazione ai
processi produttivi e organizzativi. Sono infatti queste comunit il luogo naturale dellapprendimento e dellinnovazione perch, per le specifiche caratteristiche critiche sopra illustrate, la conoscenza pu generare i suoi frutti solo se gestita come patrimonio di una
comunit, al quale ciascun membro pu attingere e tutti possono contribuire. in questa
ben specifica prospettiva che trova la sua esatta collocazione la costruzione olivettiana
dellimpresa innovativa e sostenibile fondata sui pilastri del lavoro, della cultura e della
comunit.
Questi aspetti trovano pi di un punto di contatto con la teoria economica delle istituzioni, riferita ad organismi (ma anche comportamenti e culture, pi o meno formalizzati)
che, creando un ambiente favorevole a soluzioni cooperative in un complesso contesto di
scambi, sono alla base della crescita economica. Secondo questo approccio limpresa pu
essere identificata come unistituzione, in quanto pone al suo interno vincoli comportamentali che disciplinano le transazioni, individuando e coordinando linsieme delle scelte
individuali. Sotto questo profilo, limpresa ha successo in quanto si propone come istituzione di coordinamento delle transazioni economiche pi efficiente del mercato di concorrenza (Coase, 1937). Nel quadro teorico delineato in questo scritto, limpresa comunitaria di Adriano Olivetti, considerata come unistituzione molto particolare, soprattutto per
i tempi in cui si sviluppata, assolse tipicamente il compito di coordinare transazioni di
conoscenza, ovvero processi di apprendimento e di innovazione, in modo pi efficiente ed
efficace di quanto possibile in un mercato di concorrenza.
Questi principi organizzativi valgono per unimpresa (e lesperienza dellOlivetti di
Adriano ne ha dato una dimostrazione esemplare), ma valgono anche per configurazioni
sociali pi ampie e complesse come una citt, un territorio o unintera nazione (North,
1991). Il problema dellaccettazione della ricerca disinteressata della verit e dei processi
di innovazione sociale che essa comporta dunque legato a come e quanto lapprendimento da personale pu diventare un bene collettivo; e richiede pertanto di ripensare e
riprogettare le imprese (anzitutto da sole; ma anche in associazione con i clienti, i fornitori,
le altre imprese, i territori) come comunit tra persone che singolarmente detengono conoscenze differenti le quali, se integrate, ibridate, potenziate e condivise grazie allo sviluppo
delle opportune competenze relazionali, istituzioni e infrastrutture tecnologiche, aprono a
tutti i membri laccesso ad un patrimonio di conoscenze in grado di potenziarne la capacit
operativa, cos come la stessa accettazione dei (e collaborazione ai) processi di innovazione.
20
Con questa espressione, che conta ormai qualche decennio di affinamento, si intendono molte cose: Le innovazioni sociali sono soluzioni nuove ai problemi sociali che risultano pi efficaci, efficienti, sostenibili o giuste rispetto
alle soluzioni esistenti, e per le quali il valore creato va in favore della societ nel complesso piuttosto che di singoli
individui (Phills, Deiglmeier, Miller, 2008). Qui vista, in particolare, in funzione del miglioramento della comunit
dellimpresa (o della comunit territoriale) piuttosto che della societ nel complesso.
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7. BELLEZZA
La rilettura dellidea di cultura di Adriano Olivetti pu quindi affrontare lultimo
snodo della definizione, la cultura-lavoro come ricerca disinteressata di bellezza, oltre
che di verit. Non si pu ritenere casuale che, nelle parole di Adriano Olivetti, la definizione della cultura traguardi la verit prima della bellezza. Si tratta certamente di un
ordine che affonda le radici nelletica familiare di Camillo Olivetti e Luisa Revel, unetica
del lavoro e della responsabilit civile e sociale plasmata da influenze ebraiche, valdesi e
socialiste, e corroborata dalla formazione tecnica cos come dal mestiere di imprenditore
tanto del padre come del figlio. Tuttavia, se limpegno sociale, il lavoro come dovere
morale e possibilit di autorealizzazione, la ricerca scientifica e tecnica, lorganizzazione costituivano diverse facce di quella ricerca della verit che ne plasmava la cultura,
la bellezza era per Adriano Olivetti un obiettivo fondamentale, probabilmente quello
ultimo. Il tema della bellezza compare spesso nei suoi discorsi e nei suoi scritti, ma il
suo valore supremo trova forse la sua pi profonda espressione nella Citt delluomo
(Olivetti, 1959, p. 124), nella citazione di Platone, tratta dal Simposio, che precede il capitolo Ostacoli alla pianificazione: E quando luomo si elevato prendendo la buona
via dellamore delle cose del mondo, sino a intendere la Bellezza, egli non lontano dal
fine. E colui che prende il giusto cammino deve cominciare ad amare le bellezze della
terra e progredire, incessantemente, verso lidea della Bellezza stessa: dallarmonia delle
forme a quella delle azioni, dalla perfezione delle azioni a quella delle conoscenze, per
pervenire infine a quellultima conoscenza che la Bellezza in s. qui sinteticamente
descritto un cammino che dallamore della bellezza nelle cose del mondo si eleva a quello
della bellezza nelle azioni e nelle conoscenze, per poi giungere al traguardo assoluto, che
lamore dellultima conoscenza, quella della Bellezza in s.
Anche in questo caso, non diversamente che per la ricerca della verit e anzi in associazione con essa , il ventaglio di significati che il termine bellezza acquisisce nella testimonianza concreta dellopera di Adriano Olivetti quanto mai ampio. A proposito dellimpegno dellOlivetti per larte, Adriano si fregiava di dire: Le altre imprese finanziano le
mostre darte, noi le organizziamo (Caizzi, 1962, p. 345). E, in effetti, il Centro culturale
Olivetti, alle dirette dipendenze dalla Direzione relazioni culturali, ne organizz centinaia,
di alto livello, con opere, fra gli altri, di Carr, Morandi, De Pisis, Casorati, De Chirico,
Metelli, Guttuso, Rosai. Cos come, oltre alla gestione della vasta Biblioteca Olivetti e alla
sistematica organizzazione di incontri e conferenze (cui non di rado presenziava, silenzioso
negli ultimi banchi, lo stesso Adriano), lattivit di ricerca disinteressata della bellezza da
parte del Centro, rivolta tanto ai dipendenti quanto ai membri della comunit eporediese,
si estendeva alla proiezione di documentari e film di fiction, allorganizzazione di concerti,
spettacoli teatrali, cicli di conversazioni e recital. Forse le altre attivit culturali non raggiunsero i livelli di eccellenza che gli storici della comunicazione industriale riconoscono
allOlivetti per le mostre, i restauri, la grafica, leditoria, il design e tutte le iniziative di
corporate image. Ma non erano questi gli obiettivi, bens la ricerca di una durevole qualit, non elitaria ma pur sempre di alto livello, non appariscente ma sistematica (Novara,
Rozzi, Garruccio, 2005, p. 587).
E, seguendo da vicino i passi del percorso platonico che aveva intrapreso, la ricerca
olivettiana della bellezza non riguardava soltanto le attivit culturali e artistiche rivolte ai
lavoratori e alla cittadinanza, e nemmeno soltanto la qualit estetica dei luoghi di lavoro
(si pensi allo straordinario stabilimento di Pozzuoli, e non solo a quello), mirata a rendere
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luminoso, piacevole e sereno lo spazio del lavoro, o quella del design dei prodotti e della
comunicazione. Adriano Olivetti poneva la bellezza e larmonia al centro stesso della costruzione della fabbrica e della formazione della citt e della Comunit; la bellezza era il
fulcro del suo sforzo urbanistico, in cui lo sviluppo economico doveva armonizzarsi con la
cura dei rapporti sociali e con la costruzione delle Comunit nel territorio.
significativo riportare, a questo proposito, un passo di Luigi Einaudi che, subito
dopo la morte di Adriano, ricorda, sintetizzando mirabilmente tutto il lavoro da lui svolto, come lopera dellimprenditore gli apparisse visibile, in uno dei suoi aspetti per lui
pi cari, quando attraversando il Canavese e avvicinandosi a Ivrea non avvertiva il mutare di paesaggio, consueto al Nord quanto al Sud, allapprossimarsi del grande centro
industriale: lo spegnersi della campagna, i terreni vaghi e sporchi che prendono il posto
del prato, gli avanzi di quelli che fino a ieri erano boschi o giardini; ma ancora la fresca
campagna, la casetta col pozzo, la pergola, il pollaio21. Nella concretezza del concetto di
ricerca della bellezza proprio di Adriano cera infatti anche la qualit del rapporto con
la natura, con lagricoltura in particolare, che voleva che i suoi dipendenti mantenessero.
Aveva infatti, come noto, particolari previsioni per consentire ai dipendenti la partecipazione al lavoro nei campi.
8. BELLEZZA E ARMONIA SOCIALE
Infine, una peculiare declinazione concreta di ricerca della bellezza da parte di
Adriano sta anche a fondamento della sua teorizzazione delle Comunit: si tratta dellintuizione che i conflitti sociali, culturali ecc. si possano ricomporre in un interesse superiore, nellambito di comunit territoriali, di amministrazione, di cultura e di lavoro. A
questo proposito, la ricerca della bellezza mira essenzialmente allindividuazione delle
caratteristiche dimensionali, economiche, sociali e politiche al cui interno si dimostri
possibile ricomporre in modo armonico linteresse superiore delle persone allo sviluppo
della humana civilitas22.
Nellambito delle relazioni industriali, lesperienza di Adriano si caratterizza per unevidente tensione alla cooperazione, che sfiora pi volte, senza mai riuscire a concretizzarla, lipotesi stessa della partecipazione dei lavoratori alla propriet dellazienda. Questa
prospettazione ideale, molte volte prospettata e mai raggiunta, viene collocata nel quadro
progettuale della Fondazione, che avrebbe dovuto associare alla propriet e al controllo
quattro diverse componenti sociali: quella tecnica (universit e centri di ricerca), quella
ambientale (amministrazione locale), quella lavorativa (dipendenti) e quella tradizionale
(azionisti) (Ferrarotti, 2001, p. 98). Adriano istituisce sin dal 1947 un Consiglio di gestione composto da rappresentanti della direzione e dei lavoratori. Prevede con notevole
anticipo rispetto allo Statuto dei lavoratori che i dipendenti possano riunirsi, discutere e
assumere liberamente proprie decisioni allinterno dellazienda. Stabilisce remunerazioni
significativamente superiori a quelle di mercato. Concede periodi di ferie pi lunghi e orari
di lavoro pi brevi prima che questi vengano richiesti dai contratti nazionali. Favorisce in
vario modo la diffusione e lapprofondimento tra i lavoratori della cultura contemporanea,
21
La citazione, di cui purtroppo, nonostante lunghe ricerche, non stato possibile a chi scrive individuare il riferimento originale (molto probabilmente un articolo di giornale), riportata da Argentero (1987, pp. 23-4).
22
Si vedano, tra gli altri, Olivetti (2011, 2014); Ristuccia (2009).
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senza alcuna esclusione di natura politica. E assicura sempre un rilevante scambio di informazioni e comunanza di obiettivi tra gestione e sindacato.
Si badi bene: ci non vuol dire che Adriano abbia sempre avuto con i sindacati rapporti
idilliaci. Tutto sommato, innegabile che lesperienza del sindacato di comunit fu, per
Adriano Olivetti, un tentativo (peraltro fallito) non solo di accrescere in fabbrica la propria
forza politica, ma anche di ridurre i motivi di conflitto sindacale, soprattutto con la CGIL.
Ma lo stesso fallimento di quellesperienza mostra che, allinterno della vicenda dellOlivetti di Adriano, il conflitto ha sempre avuto lo spazio e il modo per esercitarsi; ed in particolar modo evidente il tentativo (questo pienamente riuscito) di farlo esprimere in forme
non distruttive, rispettose del comune bene superiore del buon andamento dellazienda.
Appare quindi innegabile che lOlivetti di Adriano, per quanto sia stata indubbiamente unazienda molto attenta ai rapporti con i dipendenti (e con le loro famiglie) e al loro
sviluppo economico, culturale e sociale, non si mai confusa con il sindacato. Lo sforzo
maggiore di Adriano nelle relazioni industriali stato probabilmente quello di introdurre
anche nel conflitto industriale lidea di cultura analizzata nelle pagine precedenti. Per questo allOlivetti lo spazio per le ragioni del conflitto era non solo preservato, ma lazienda
cercava di incanalarlo nellalveo della continua ricerca di soluzioni ai problemi culturali,
del lavoro e sociali di quella cultura del saper fare e sapersi organizzare che poteva mirare
al superamento dello stesso disagio del lavoro di linea. Lazienda doveva fare cultura del
lavoro, e a questo fine doveva consentire a tutti quelli che partecipavano ad essa con il loro
lavoro la possibilit di approfondire la loro partecipazione con lo studio e la formazione,
di discuterne con colleghi e superiori, di trovare ipotesi di risoluzione dei problemi, di
presentarle a chi ne era competente in un clima di apertura e fiducia allepoca del tutto
inusitato.
Questo peculiare rapporto di collaborazione e di reciproca crescita culturale nel lavoro tra lavoratore, impresa, mondo della ricerca e territorio appare qualcosa che ancora
oggi manca molto allItalia, al suo apparato industriale23. La politica e le relazioni sindacali
italiane si mostrano oggi depauperate anzitutto di questo senso di comunit, di ricerca disinteressata e comune tanto di verit quanto di bellezza: della saggezza di capire che il consenso non si pu conquistare sulla base di unadesione viscerale e ideologica, di una mera
capacit di comunicazione, ma va costruito giorno per giorno sulla base dellavanzamento
della conoscenza e del lavoro, dei loro risultati concreti. LItalia ha bisogno di una cultura
materiale pi vicina allideale olivettiano, tale da conferire identit positiva e coesione, da
consentire ad ognuno una pi chiara cognizione del proprio ruolo allinterno della societ,
del lavoro, dellesercizio della democrazia; di una cultura materiale tale da permettere a
ciascuno di esercitare quel ruolo, garantirgli lo spazio per poterlo fare e mettergliene a
disposizione gli strumenti senza che questo sia proposto come un privilegio o una concessione, ma sia invece valutato come un vantaggio per tutti.
Ed proprio nella ripresa delle idee di cultura, lavoro e comunit di Adriano Olivetti
che appare possibile cercare la soluzione al male oscuro che affligge oggi leconomia
23
Si noti, anche in questo caso, la visione fortemente anticipatrice dellimprenditore eporediese. Il miglior modello di sviluppo delle imprese e diffusione dellinnovazione (orizzontale e trasversale) stato infatti riscontrato nella creazione di parchi tecnologici dedicati allinnovazione e allo scambio di conoscenza, con una stretta convivenza anche
fisica fra mondo della conoscenza (universit e laboratori di ricerca), mondo finanziario (venture capitalist e fondi
di private equity) e mondo delle imprese (pi rappresentative e con pi predisposizione allinnovazione). Il successo
di questo modello (ad esempio la Silicon Valley negli USA o il distretto di Oxford in Gran Bretagna) passa attraverso
linserimento (o il finanziamento e tutoraggio) dei giovani pi promettenti. La gestione della propriet intellettuale che
nasce allinterno del parco spesso riesce a finanziarne lo sviluppo e la crescita.
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organizzativo (concetto che approssima, seppure per abbondante difetto, lidea olivettiana di cultura qui sinteticamente esaminata) si sviluppa soltanto dove vengono creati i necessari invisible assets, quali fiducia, lealt, riconoscimento, coesione sociale, leadership.
Se questi presupposti non si danno, limpresa non in grado di apprendere e dunque
nemmeno di innovare; e rimane condannata ad una performance mediocre, bloccata
dallimpossibilit di costruire il futuro che desidera (Senge, 1990)24. Ma, guardando le
cose pi in grande, la performance delleconomia altro non che la somma algebrica
della performance delle imprese che ne fanno parte: se le imprese non si sviluppano
leconomia non pu crescere.
Per proporre al sistema produttivo italiano una exit strategy dalla crisi caratterizzata da
una marcatura olivettiana, il governo dovrebbe anzitutto definire una politica di sviluppo
ispirata ad un percorso culturale (non di cultura libresca ma di cultura del lavoro e di cultura al lavoro), orientato allo sviluppo umano, allautorealizzazione attraverso il lavoro e la
costruzione della comunit lungo un percorso di ricerca disinteressata di verit e bellezza. Purtroppo, per, nel caso italiano la possibilit che imprese, sindacati, amministrazioni pubbliche e universit percorrano assieme una traiettoria di questo tipo pu sembrare
molto difficile, quasi proibitiva, per motivi non solo di conflitto sociale e politico ma anche
di evoluzione materiale dellapparato produttivo. Il fatto che il Censimento dellindustria
e dei servizi 2011 abbia appurato che il 95,2% delle imprese italiane (4,2 milioni circa su
un totale di 4,4 milioni) siano microimprese con meno di 10 addetti, e occupino il 46,9%
degli addetti, un dato che spaventa. Nel Rapporto annuale 2014 sulla situazione del
paese, lISTAT (2014, p. 9) non ha difficolt ad ammettere che queste imprese esprimono
chiaramente condizioni produttive caratterizzate da problemi strutturali di efficienza. Per
questo la riproposizione del ruolo trainante della grande impresa come fulcro economico
della comunit territoriale appare oggi unopzione certamente impervia, se non improponibile. dunque certamente indispensabile porre termine alla fuga dellimpresa verso la
dimensione minima e riprendere il cammino in senso opposto.
Lo sviluppo delle tecnologie dellinformazione e della comunicazione pu favorire questo processo aggregativo, ponendo il problema dimensionale dellimpresa in modo nuovo. Se davvero nei percorsi di apprendimento organizzativo che si collocano la capacit
dellimpresa di innovare, e dunque il suo vantaggio competitivo, le tecnologie che abbattono in modo straordinario i costi di comunicazione e gestione della conoscenza permettono
di definire i confini e la dimensione dellorganizzazione che beneficia dellapprendimento secondo linee inconsuete. , dunque, forse in questa direzione che possibile trarre
qualche indicazione di politica industriale dallampio spettro di suggestioni che derivano
dallesame dellidea di cultura in Adriano Olivetti.
Consideriamo, per semplificare, il modello wiki di gestione della conoscenza: un serbatoio aperto cui una vasta platea di operatori pu sia contribuire che attingere in un
processo di continuo ampliamento del serbatoio stesso. Lorganizzazione che apprende, in
questo caso, si pu pensare sia costituita entro il perimetro della comunit di chi detiene
i diritti di utilizzo di questo serbatoio, di questo bene comune (la cosiddetta knowledge
community). Naturalmente, il perimetro deve essere delimitato da una barriera che in24
Per Senge, laspetto che definisce unorganizzazione che apprende che essa espande continuamente la capacit di creare il proprio futuro un futuro che realizza i risultati che desidera. Lapprendimento visto, pertanto,
come miglioramento della capacit dellorganizzazione di ottenere i risultati che si propone, e quindi di creare il proprio futuro, in accordo con la definizione di conoscenza come ipotesi non falsificata sul funzionamento della realt
che consente di intervenire per modificarla in modo desiderabile.
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dividui in modo chiaro la comunit che pu accedere al bene comune e chi invece non
pu. Perch il modello wiki pu essere brillante, attraente e funzionale, ma, se gratuito
e aperto a tutti, non produce alcun vantaggio competitivo per la comunit che lo adotta; e
quindi non genera alcun valore aggiunto e non consente n la sopravvivenza n lo sviluppo
della comunit stessa. Invece, se il deposito utilizzato da una knowledge community ben
definita da regole di ingresso/uscita, il modello pu aiutare le imprese che ne fanno parte
a ricercare verit e bellezza assieme e in modo disinteressato (almeno nei confronti degli
altri appartenenti alla comunit), e quindi a creare cultura nel senso olivettiano che abbiamo discusso nelle pagine precedenti.
In altri termini, in questo nuovo contesto ci che conta potrebbe non essere pi la
dimensione dellimpresa, ma il perimetro della comunit di conoscenza che alimenta e
utilizza il wiki. Poco importa che della comunit facciano parte, in termini giuridici, dieci,
cento o mille imprese. Una nuova grande impresa pu crearsi dallinterazione di centinaia di microimprese allinterno di ununica comunit di conoscenza. Daltro canto era
proprio questa caratterizzazione di sistema produttivo di dimensione rilevante, seppure
caratterizzato da unit molecolari, che fino a pochi anni fa rendeva efficienti e competitivi
i distretti industriali italiani. Grazie alle nuove tecnologie, quella stessa logica si pu oggi
riprodurre senza pi necessit di contiguit territoriale, e con contenuti tecnici pi elevati.
Questa Italia, che oggi appare frammentata, sfiduciata e incapace di guardare al proprio
futuro, ha quindi nuove possibilit di organizzarsi, di intraprendere un percorso di sviluppo culturale, produttivo e di solidariet attraverso la costruzione, favorita dalla tecnologia,
di comunit deputate allo scambio di conoscenza tra centri di ricerca, amministrazioni
pubbliche, sistema finanziario e imprese. Le nuove tecnologie consentono di dare vita a comunit tematiche di cultura e di lavoro di dimensioni rilevanti che, se anche non possono
assolvere a tutte le funzioni tipiche delle grandi imprese, possono per favorire ugualmente
la riqualificazione di relazioni interpersonali e di lavoro, cos come quella di prodotti e
servizi e, con essa, il ritorno alla crescita e, pi ancora, a quella ricerca disinteressata di
verit e bellezza di cui una durevole crescita economica non che il precipitato materiale.
Perch ci accada c per bisogno della coscienza e della volont di farlo, e c bisogno
che questa volont si rispecchi in un consenso, e che il consenso si fondi su di un disegno
per loggi e per il domani che sia percepito come bello, vero e desiderabile da parte di una
comunit che ad esso si ispiri e per esso sia disposta ad impegnare tempo e fatica. Non si
tratta di condizioni facili da ottenere, ma che appaiono indispensabili per rimettere il paese
in cammino.
LItalia delle produzioni di nicchia, dei beni di lusso, degli stilisti di fama non ha portato
al paese abbastanza sviluppo, abbastanza crescita, abbastanza benessere, abbastanza futuro; lo si deve purtroppo riconoscere. Per quanto dinamico e internazionalizzato, questo
segmento dellapparato produttivo non si dimostrato forte abbastanza da trainare lintera
economia n da riuscire a trasformare e a modernizzare il resto delle imprese italiane. Il
mondo datoriale si sta muovendo, con difficolt, nella direzione di vie di sviluppo meno
elitarie, che si possono sintetizzare nello slogan il made in Italy per tutti la qualit italiana a prezzi contenuti. Ma la realizzazione di questa intuizione non pu che basarsi
su grandi volumi di produzione, e dunque su apparati produttivi di grandi dimensioni o
quanto meno formati da molti piccoli apparati produttivi coordinati tra loro. Il mercato
per la qualit italiana a prezzi pi accessibili potenzialmente vastissimo e ogni giorno
crescente. Tuttavia, per raggiungere prezzi accettabili e soddisfare questa domanda potenziale, necessario organizzare capacit produttive ampie, siano queste costituite da singole
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Leonello Tronti
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