Sei sulla pagina 1di 24

Ognuno pu suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana.

Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente pi fascinoso e spiritualmente pi elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, lintelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povert contro legoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e limprovvisazione, la verit contro lerrore, lamore contro lindifferenza.

A.O.

Adriano Olivetti

Il mondo che nasce


Dieci scritti per la cultura, la politica, la societ A cura di Alberto Saibene

collana Olivettiana/1

Edizioni di Comunit

Nota delleditore

Il titolo di questa antologia ha origine dal primo numero di Comunit, rivista nata nel secondo dopoguerra. A tenerla a battesimo fu Ignazio Silone con un editoriale intitolato, appunto, Il Mondo che nasce. A seguire, un fondo firmato Redazione, nel cui stile facile riconoscere la cifra delleditore delliniziativa, Adriano Olivetti: veder nuovo significa vedere un mondo umano, veramente umano, un mondo fondato su leggi naturali, su leggi che siano eterne e siccome eterne diano vita a una societ ove alberghi la quiete e risplenda la bellezza. Nonostante il tempo passato, era il 1946, le questioni poste allora non sono oggi meno valide. La scelta di utilizzare lo stesso titolo per il primo volume della nuova collana Olivettiana perci un omaggio alla storia editoriale di questa casa editrice, ma soprattutto definisce lidentit tra quelle parole e lanima essenziale e pi accessibile di quellesperienza. Pi che sulle caratteristiche progettuali della Comunit, negli scritti che abbiamo raccolto per questoccasione laccento perci posto sulle premesse, su quegli aspetti non immediatamente riconducibili ai necessari indirizzi teorici e tecnici, cos che si possa cogliere anzitutto il nucleo umanistico e spirituale che

contraddistingue lidea comunitaria, il pensiero di Adriano Olivetti, e quindi la loro attualit. questa una caratteristica del programma delle Edizioni di Comunit rispetto alla figura di Olivetti, programma che la natura dellantologia che presentiamo qualifica in modo certamente non esclusivo, ma senza dubbio essenziale. La voce di Adriano Olivetti dimostra, infatti, di aver conservato intatta la sua forza e la sua chiarezza, riflesso della semplicit e della vicinanza alla dimensione umana dei temi a lui pi cari. Anche per questo motivo abbiamo deciso che le pubblicazioni che nella collana presenteranno la sua opera integrale non avranno introduzione. La selezione antologica vuole restituire, in altre parole, quella straordinaria capacit di Adriano Olivetti di spingere lo sguardo oltre i suoi tempi, mantenendo sempre come punto di riferimento per un mondo possibile un immaginario fantastico e attraente, e unidea di persona in cui le diversit e gli spazi dellinteriorit siano salvaguardati e messi nelle condizioni di esprimersi e compiersi liberamente. Lo spirito di questo libro e il criterio con cui sono stati scelti gli scritti provano a sollecitare proprio questo livello di conoscenza della figura di Olivetti, e a essere una prima ma fondamentale introduzione alla sua biografia, che i temi qui affrontati daltra parte tracciano. Non stupir, dunque, trovare raccolte qui pagine che pur esaminando in modo sistematico alcuni nuclei teorici essenziali dellideale comunitario, raccontano prima di ogni altra cosa il sentimento che fa di Adriano Olivetti un vero autore a noi contemporaneo.

Il mondo che nasce

Prime esperienze in una fabbrica

Prima di essere una istituzione teorica, la Comunit fu vita. La mia Comunit non si espresse subito formalmente, ma ebbe per molto tempo una esistenza virtuale. La sua immagine nacque a poco a poco in un lavoro durato venti anni. Nelle esperienze tecniche dei primi tempi, quando studiavo problemi di organizzazione scientifica e di cronometraggio, sapevo che luomo e la macchina erano due domini ostili luno allaltro, che occorreva conciliare. Conoscevo la monotonia terribile e il peso dei gesti ripetuti allinfinito davanti a un trapano o a una pressa, e sapevo che era necessario togliere luomo da questa degradante schiavit. Ma il cammino era tremendamente lungo e difficile. Mi dovetti accontentare in principio a volere loptimum e non il maximum delle energie umane, a perfezionare gli strumenti di assistenza, le condizioni di lavoro. Ma mi resi a poco a poco ben conto che tutto questo non bastava. Bisognava dare consapevolezza di fini al lavoro. E lottenerlo non era pi compito di un padrone illuminato, ma della societ. Tecnico, ingegnere, direttore generale e, molti anni dopo, presidente, percorsi rapidamente, in virt del privilegio di

Adriano Olivetti

essere il primo figlio del principale1, una carriera che altri, sebbene pi dotati di me, non avrebbero mai percorsa. Ma imparai il valore della gerarchia, i pericoli degli avanzamenti troppo rapidi, lassurdo delle posizioni provenienti dallalto. Capii che solo dopo dieci, quindici anni potevo dire di conoscere i veri problemi, la vera natura del mio compito. Dal 1919 al 1924, nei lunghi anni del Politecnico, assistei allo svolgersi della tragedia del fallimento della rivoluzione socialista. Vedo ancora il grande corteo del 1 maggio 1922 a Torino: 200.000 persone; sapevo che i tempi non erano ancora maturi, intuivo soprattutto che la complicazione dei problemi era tremenda e non vedevo nessuna voce levarsi a dominare con lintelligenza la situazione e indicare una via perch il socialismo diventasse realt. Mi domandavo sin da allora perch la societ avesse saputo trovare in molti campi forme di organizzazione di sorprendente efficienza e perch invece la struttura politica apparisse cos poco adatta ad assolvere i suoi compiti. Quando partii per lAmerica nel 1925 mi proposi di studiare il segreto dellorganizzazione, per poi vederne i riflessi nel campo amministrativo e politico. Imparai la tecnica dellorganizzazione industriale, seppi capire che per trasferirla nei mio paese doveva essere adattata e trasformata; ma i riferimenti intorno allazione e al metodo della poCamillo Olivetti (1868-1943), padre di Adriano, si laurea in ingegneria al Politecnico di Torino. Nel 1908 fonda a Ivrea la Prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Personalit colta ed eclettica, fine inventore, introduce nella fabbrica di Ivrea, in anticipo rispetto ai tempi, le prime forme di assistenza ai lavoratori poi sviluppate dal figlio.
1

Adriano Olivetti

litica rimanevano, come dovevano rimanere, di modesta importanza. L ambiente in cui mi trovai, a 25 anni, ad affrontare il problema difficile e complesso di trasformare una industria fondata su sistemi semi-artigianali in una impresa di pi grandi dimensioni e modernamente intesa, era largamente dominato dalla figura originalissima di mio padre e della piccola citt dove eravamo nati. Mio padre era dotato di un geniale talento economico, disprezzava la struttura capitalista, il sistema bancario, la finanza, la borsa, i titoli. Perci volle essere ingegnere contro la sua stessa pi profonda vocazione. Poich era intelligente e tenace, fu un buon ingegnere. Molti dei capi alla cui coraggiosa iniziativa si deve il nascere dellindustria moderna furono del suo tipo: dominatore, accentratore, scarsamente capace di utilizzare le altrui esperienze. Mio padre era dominato dallidea dellindipendenza, del non dover niente a nessuno, di non essere soggetto a controlli o a legami di qualsiasi sorta. Perci procedeva con estrema cautela e prudenza, adeguando lo sviluppo dellazienda alle proprie risorse finanziarie e alla personale attivit organizzativa. Quando entrai nella fabbrica, la direzione tecnica della produzione era il dominio di un self-made man, di un capo proveniente dalle file operaie, versatile, attivissimo, eclettico, di uno stampo difficilmente riproducibile. Pi tardi compresi ancor meglio il valore umano di quellantico collaboratore che insieme a mio padre governava la fabbrica con dei principi insoliti: la bont e la tolleranza.

10

Adriano Olivetti

In quel tempo regnava nella fabbrica una atmosfera di pace e di armonia fra capi e personale. Molti anni pi tardi, compresi quanto era difficile riprodurre quellatmosfera in mutate circostanze storiche e in dimensioni dieci volte pi grandi. Lidea fondamentale che guid la trasformazione tecnica fu lintroduzione nellattivit industriale, in tutti i suoi rami, di uomini di elevato livello di preparazione scientifica. I vecchi capi, provenienti dalla gavetta cui la fabbrica doveva linizio, lo sviluppo, i maggiori sacrifici degli anni difficili, si dovettero mettere in disparte; entrarono in officina i 100 e lode della scuola politecnica. Io avevo dovuto giudicare le cose e gli uomini sotto un profilo razionale: se servivano o non servivano alla trasformazione che ritenevo indispensabile. Oggi il dissidio fra il pratico e il teorico finalmente composto, in una valutazione obbiettiva dei reali meriti degli uni e degli altri. Provveduto a organizzare nuovi uffici tecnici e di ricerca, uffici tempi, uffici produzione, servizi di controllo e via dicendo; raddoppiato il personale (da 580 dipendenti nel 1927 si era arrivati a 1200 nel 1934 e oggi son circa 5000) mancava a tutta lorganizzazione una componente, quella sociale. Mio padre e il suo braccio destro tecnico avevano dunque guidato prima di me lofficina con un occhio allintelligenza e una mano sul cuore. Erano i tempi in cui il direttore, con infaticabile energia, con paziente umanit assumeva lui i ragazzi che avevano fama, nella parrocchia, di essere volenterosi e capaci. Egli soleva dedicare almeno unora al giorno ad ascoltare loperaio che chiedeva lassunzione della moglie

11

Adriano Olivetti

o della cognata, che chiedeva un prestito per comperarsi la mobilia o pagare un piccolo debito, che si riteneva trascurato dal proprio capo-reparto, che chiedeva di essere cambiato di posto per motivi di salute, che chiedeva una licenza per rimettersi. Per tutti egli trovava, quando poteva, un rimedio, una soluzione, un provvedimento. Questo tocco personale, introdotto da un uomo di cuore, era andato in parte inevitabilmente perduto con lingrandirsi della fabbrica. Mio padre lo comprese assai prima di me e quando nel 1932 venne a mancare il Burzio2 (questo era il nome del suo primo direttore tecnico), cre per sua memoria e per continuare lopera il fondo che ancora porta il suo nome. Questo sarebbe servito, come infatti serv, come serve tuttora, a garantire alloperaio una sicurezza sociale al di l del limite delle assicurazioni, in Italia ancor troppo ristretto. Cos nessuno fu costretto a indebitarsi per pagare il funerale del padre o della sorella, nessuno dovette pi rinunziare, per mancanza di denaro, a dare lestremo saluto alla madre lontana e morente, le madri ebbero lettini, materassi, mantelli, scarpe, per i loro bambini, a nessuno manc la legna nellinverno: gli orfani e le vedove vennero largamente assistiti, nessun convalescente fu chiamato a lavorare ancor debole; imparai organizzando questi servizi (non sempre perfetti) a conoscere lintimo nesso tra lassistenza sanitaria e lassistenza sociale. Imparai a conoscere quanto
2

Domenico Burzio fu un ottimo direttore tecnico e un prezioso collaboratore di Camillo Olivetti nel periodo non facile delle prime affermazioni della nuova industria. In sua memoria venne istituito un Fondo di solidariet interna.

12

Adriano Olivetti

scarsa sia la sensibilit a questi problemi da parte di coloro che non li soffrono, o che sono distratti da obbiettivi concreti, verso la tragica marcia per lefficienza e il profitto, e che infine solo una parte di tali problemi pu essere affidata a un piano anche se generoso e ben congegnato, poich lazione volontaria, come lha definita Beveridge, non pu essere sottovalutata. Quando i problemi tecnici che si presentavano nel mio lavoro furono risolti e il successo finanziario che ne fu principale conseguenza lo permise, fui tratto a occuparmi della vita di relazione fra gli operai e la fabbrica. Le casse mutue funzionavano male: laccentramento era disastroso e un operaio tubercolotico per essere ricoverato doveva trasmettere le pratiche al capoluogo di provincia, e di l a Roma, e perch di nuovo tornassero indietro con un nulla osta occorrevano talvolta tre mesi. In quel tempo le cure erano generalmente insufficienti, i medici cambiavano ogni tre mesi, malattie gravissime non erano contemplate dagli statuti, molti rimedi importanti non considerati, i familiari non godevano degli stessi vantaggi del lavoratore. Nacque allora il servizio di assistenza sanitaria con scopi di complemento alle funzioni delle casse mutue. E sorsero cos, oltre a un convalescenziario, uninfermeria di fabbrica, completa dei pi moderni strumenti di cura, con la presenza permanente di un medico e di un pediatra e periodica di altri specialisti, per prestare cure ambulatoriali e domiciliari non solo ai dipendenti, ma anche ai loro familiari. Per i figli dei dipendenti sorse cos lasilo nido, per bambini da sei mesi a sei anni, e le colonie estive marina e montana.

13

Adriano Olivetti

Alle dipendenti in maternit, sia operaie che impiegate, fu concesso un periodo di conservazione del posto di nove mesi retribuito quasi totalmente. E infine si costruirono e si continuarono ad ampliare dei complessi di edifici moderni di abitazione per operai e impiegati, mentre per coloro che risiedono nei centri fuori di Ivrea si costituita una rete di comunicazioni automobilistiche. Unaltra forma di attivit densa di insegnamenti preziosi per leducazione dei figli degli operai: lorganizzazione di scuole dinsegnamento tecnico e professionale, la creazione di un meccanismo di borse di studio per permettere ai giovani pi dotati di diventare dei capi-tecnici e degli ingegneri, lapertura di una biblioteca di cultura. Imparai la enorme difficolt affinch queste istituzioni non diventassero strumenti di paternalismo, fonte di privilegi, organi di selezione del tutto inadeguati. E quando recentemente la parte elettiva del Consiglio di Gestione pose la questione della posizione del complesso assistenziale nei rapporti tra la Societ e il lavoratore, si addivenne alla redazione di una carta assistenziale che parte dalla seguente dichiarazione: Il Servizio Sociale ha una funzione di solidariet. Ogni Lavoratore dellAzienda contribuisce con il proprio lavoro alla vita dellAzienda medesima e quindi a quella degli organismi istituiti nel suo seno e potr pertanto accedere allIstituto assistenziale e richiedere i relativi benefici senza che questi possano assumere laspetto di una concessione a carattere personale nei suoi riguardi. Mentre eguale il diritto potenziale per tutti i Lavoratori allaccesso ai benefici del Servizio Sociale, il godimento effettivo dei benefici medesimi si de-

14

Adriano Olivetti

termina in rapporto alle particolari condizioni ed esigenze constatate secondo criteri il pi possibile obbiettivi, che dovranno tendere a essere progressivamente sempre meglio regolamentati in anticipo. Con la redazione di questo documento, un primo importante passo per lautonomia di questa attivit sociale e il suo razionale distacco dallazione volontaria da cui trasse origine compiuto. Lazione volontaria, riconoscendo la natura giuridica del nuovo diritto e in definitiva la naturale partecipazione del Lavoro alla creazione di quella ricchezza da cui trasse prima origine, ha cancellato quel senso di inferiorit e degradazione che il gesto pi generoso finisce per provocare negli animi delle persone diritte. Tuttavia ancora, cos come impostata, la carta ha un motivo di debolezza che io non sottovaluto; presuppone un alto grado di senso di solidariet umana, sia nei proprietari, sia nei lavoratori. Oggi questo fortunatamente esiste, ma non vi nessuna garanzia di stabilit. A ovviare a un inconveniente stato redatto lo Statuto di Fondazione autonoma. Essa ha due scopi: immettere nellamministrazione dellassistenza di fabbrica elementi atti a garantire stabilit alle istituzioni raggiunte e un alto grado di interesse scientifico. Per listituzione di questa fondazione, la dotazione dei suoi mezzi e sui limiti dei suoi poteri vi sono gravi difficolt ancora da superare. Ma da queste esperienze che man mano si accumularono venni a una conclusione pi generale. Vedevo che ogni problema di fabbrica diventava un problema esterno e che solo chi avesse potuto coordinare i problemi interni a quelli esterni sarebbe riuscito a dare la

15

Adriano Olivetti

soluzione corretta a tutte le cose. Ad esempio: unaltra fabbrica nella citt, che era diretta da amministratori lontani e avulsi dagli interessi locali, trascurava una politica sociale avente una immediata sensibilit. Perci sul mio tavolo attendevano domande di lavoratori che chiedevano lestensione alle loro famiglie del nostro sistema di protezione, distruzione, di assistenza. Quando dovevo reclutare giovani allievi delle scuole medie per formare i quadri futuri della fabbrica dovevo accordarmi con le autorit scolastiche locali. La scuola entrava necessariamente al servizio di un interesse privato. Ma pi evidenti erano i contrasti tra gli interessi della fabbrica e la propriet edilizia e terriera. Piccole costruzioni senza valore, in conseguenza di uno sforzo collettivo al quale non avevano partecipato, venivano ad assumere prezzi eccessivi. Per costruire fabbriche e case occorreva un piano organico, spodestare una classe laboriosa di piccoli agricoltori che spesso avevano difficolt a ritrovare lo strumento del proprio lavoro, mentre ricchi fittavoli avrebbero potuto rinunziarvi senza modificare la loro vita. Se io avessi potuto dimostrare che la fabbrica era un bene comune e non un interesse privato, sarebbero stati giustificati trasferimenti di propriet, piani regolatori, esperimenti sociali audaci di decentramento del lavoro. Il modo di equilibrare queste cose esisteva, ma non era nelle mie mani: occorreva creare una autorit giusta e umana che sapesse conciliare tutte queste cose nellinteresse di tutti. Questa autorit per essere efficiente doveva essere investita di grandi poteri economici, doveva, in altre parole, fare, nellinteresse di tutti, quello che io facevo nellinteresse di una fabbrica. Non cera che una soluzione: rendere la fab-

16

Adriano Olivetti

brica e lambiente circostante economicamente solidali. Nasceva allora lidea di una Comunit. Una Comunit n troppo grande n troppo piccola, concreta, territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che desse a tutte le attivit quellindispensabile coordinamento, quellefficienza, quel rispetto della personalit umana, della cultura e dellarte, che il destino aveva realizzato in una parte del territorio stesso, in una singola industria. Pi tardi misi sulla carta lidea teorica di una Comunit concreta: La misura umana di una Comunit definita dalla limitata possibilit che a disposizione di ogni persona per contatti sociali. Un organismo armonico ed efficiente soltanto quando gli uomini preposti a determinati compiti possono esplicarli mediante contatti diretti. Tutti i problemi, in una Comunit, entrano in limiti semplici e facilmente controllabili: il raggiungere un campo sperimentale, un reparto autonomo di una officina, una clinica per fanciulli, un cantiere edile, uno studio di architetti o di un pittore, possibile usando mezzi umani o naturali. La risoluzione dei problemi di vita delluomo implica, da parte del potere, conoscenze attinenti a rapporti sociali, fattori economici, stato della tecnica, aspetti geografici, esigenze culturali, valori artistici e infine, non ultimi, elementi tradizionali o storici insopprimibili. Essi sono risolvibili in una sintesi valida solo quando sono nella loro integrit presenti al potere e da questo assimilati. Una tale sintesi, indispensabile alla creazione di una nuova civilt, solo possibile in unit ridotte, le cui dimensioni non sono che in misura limitata modificate dalluso di automobili e di telefoni.

17

Adriano Olivetti

Luso di mezzi rapidi e rapidissimi di trasporto tende piuttosto a diminuire che ad aumentare la comprensione e la conoscenza esatta della vita di ogni giorno, che si profila in mille dettagli apprezzabili solo a chi assiste, passo passo, allo svolgersi della vita che luomo, la donna e il bambino, portano riflessa nel loro volto. Quando le Comunit avranno vita, in esse i figli delluomo troveranno lelemento essenziale dellamore della terra nata nello spazio naturale che avranno percorso nella loro infanzia, e lelemento concreto di una fratellanza umana fatta di solidariet nella comunanza di tradizioni e di vicende. Le attuali strutture elementari della nostra societ non determinano una tale unit di sentimenti e rendono perci difficile lo stabilirsi di una tangibile solidariet umana. Ma essa, la Comunit, era nata, nelle sue dimensioni naturali e umane, nella mia piccola patria: il Canavese. La linea diritta della Serra, il corso inquieto della Dora, lo scenario di fondo con i monti amati della Val dAosta, poi, nel mezzo, i prati verdi, i campi di grano, i faticati vigneti attorno ai paesi percorsi una, dieci, cento volte. Sono questi i limiti naturali di una terra che la fede e la fantasia di un gruppo di uomini tenaci potrebbero riscattare dalla chiusa atmosfera di provincia, rivolgendosi a preparare un luogo pi felice quando domani la fabbrica, la natura, la vita, ricondotte a unit spirituale, diano a un uomo nuovo una nuova dignit. A questo scritto, che risale ormai a oltre sette anni fa, non trovo molto da aggiungere, e quasi nulla da mutare. In questi anni la fabbrica cresciuta, le dimensioni dello stabilimento

18

Adriano Olivetti

di Ivrea si sono praticamente raddoppiate con la costruzione della nuova ICO e con lassunzione di qualche migliaio di nuovi operai; la vecchia, gloriosa OMO, la cui creazione era stata personale fatica dellingegner Camillo, ha trovato sede pi ampia e degna nel medesimo stabilimento di San Bernardo; ad Agli i locali di una fabbrica tessile costretta al silenzio dei suoi telai da una grave crisi economica si sono riaperti alla fervida vita del lavoro con il trasferimento di una nostra officina, ove a un gruppo di attente e capaci maestranze venute da Ivrea si sono aggiunte alcune centinaia di operai di altre zone, flagellate e impoverite dalla disoccupazione: n la nostra Societ ha voluto rimanere estranea al secolare bisogno di lavoro e di industrie del Mezzogiorno dItalia, e oggi a Pozzuoli, di fronte al golfo pi singolare del mondo, si elevano le strutture della nostra fabbrica, che, nel rigore razionalista della sua architettura, nella sua organizzazione, nella ripetizione esatta dei servizi culturali e assistenziali gi creati a Ivrea, ricorda e conferma il nostro impegno di porre la tecnica al servizio delluomo. E intanto, ad accompagnare il coraggioso sviluppo della nostra produzione, un vasto e massiccio sforzo veniva compiuto nella nostra organizzazione commerciale nel mondo intero: la rete distributiva esistente veniva potenziata e affinata, nuove societ consociate venivano create, nuovi stabilimenti progettati e avviati al lavoro in lontani continenti, s da recare in ogni parte del mondo, in una virile competizione, i prodotti della nostra organizzazione, alla quale oggi si trovano a collaborare, nei diversi settori, oltre 24.000 persone. N lingegno creativo dei nostri progettisti e dei nostri tecnici mancato alla prova in questi anni: nuovi modelli di macchine si sono sosti-

19

Adriano Olivetti

tuiti o si sono aggiunti ai precedenti, in un superamento continuo come senza soste batte il suo ritmo la vita; nuovi perfezionamenti li accompagnano, mentre in nuovi campi di attivit, come quello delle macchine elettroniche, si gi valicata la lunga e delicata fase degli studi e delle ricerche per affrontare i problemi della produzione. E infine, mi avvedo che anche taluni degli elementi che sommariamente indicavo tra le tappe del nostro sforzo per il progresso sociale della fabbrica e della comunit sono ormai superati: nel 1956 e nel 1957 nel Canavese, per la prima volta in Italia, si sono operate riduzioni dorario a parit di salario che hanno permesso da tempo una settimana lavorativa di cinque giorni; stato recentemente possibile assicurare il 100 per cento del loro salario alle donne che entrano in maternit per i nove mesi e mezzo del loro congedo; per ci che riguarda la parte aziendale della retribuzione le donne sono state equiparate agli uomini cos come esige la loro dignit di lavoratrici. I bilanci delle famiglie numerose sono stati alleviati da unintegrazione sensibile degli assegni familiari nazionali ancora troppo lontani dal risolvere le reali necessit per i quali la legge li istitu; ancorch non sancito da un preciso regolamento, un dispositivo del Servizio Sociale scatta allorch loperaio anziano lascia la fabbrica e la sua pensione gli consente di affrontare con la serenit cui ha diritto gli anni del suo riposo, che sono anche, talvolta, gli anni della solitudine e della nostalgia; un Centro Relazioni Sociali provvede ai bisogni pi urgenti ed elementari di coloro che, insieme con i loro bambini e i loro vecchi, versano nellindigenza e nella disperazione, spesso affluiti qui da lontane regioni, affascinati da un miraggio di lavoro che

20

Adriano Olivetti

non umanamente prevedibile la fabbrica possa offrire loro. E quando questo volume uscir dalla tipografia, gli uffici e servizi di questo complesso sistema assistenziale avranno trovato una sede unitaria e organica nella nuova serie di edifici che qui ad Ivrea chiamiamo la Fascia dei Servizi Sociali, posta di fronte alla fabbrica a testimoniare visibilmente, con la diligente efficienza dei suoi molteplici strumenti di azione culturale e sociale, che luomo che vive la lunga giornata nellofficina non sigilla la sua umanit nella sua tuta di lavoro. In questi anni, dunque, noi abbiamo lavorato nella stessa direzione lungo la quale per primo si era incamminato mio padre, e di cui era toccato a me il compito di individuare e non abbandonare il tracciato tra le difficolt spesso ardue di un mondo e di una societ che si rinnovavano attraverso prove sanguinose e terribili, dove lo spirito di potenza contrastava il passo alla fratellanza e alla libert, ove il disordine minacciava di prevalere sulla ragione e sulle forze spirituali. Ma il segreto del nostro successo, cos nel passato come per lavvenire, era racchiuso nel codice morale da cui, ormai mezzo secolo, questa fabbrica era nata: esso era fondato sul rigore scientifico della ricerca e della progettazione, sul dinamismo dellorganizzazione commerciale e sul suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernit dei macchinari e dei metodi, sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dellazienda. Bisogna dare consapevolezza di fini al lavoro, io intuivo, come ho narrato, agli inizi della mia esperienza. Ma ci implica aver risposto a una domanda che non esito a definire una delle domande fondamentali della mia vita, drammaticamente rinnovata nei momenti di incertezza e di dubbio,

21

Adriano Olivetti

profondamente discriminante per la fede che presuppone e per gli impegni che implica. Pu lindustria darsi dei fini? Si trovano questi fini semplicemente nellindice dei profitti? O non vi al di l del ritmo apparente, qualcosa di pi affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica? Nel 1947 riprendemmo a Ivrea, dopo la dolorosa parentesi della guerra, una consuetudine gentile e solenne al tempo stesso: la consegna della Spilla dOro a coloro che abbiano compiuto 25 anni di lavoro presso la nostra Societ. Era la prima volta che lingegner Camillo non era con noi, seduto al centro delle lunghe tavolate, a presiedere una cerimonia di cui egli stesso aveva fissato il profondo significato e il rito. Nel buio dopoguerra, lavvenire si presentava irto di problemi nuovi, di scelte imperiose e non semplici: anche la fabbrica veniva coinvolta nel contrasto di valori, di ideologie e di interessi che ribolliva fuori dei suoi cancelli. Il mondo dissi allora a quei nostri anziani, fedeli collaboratori diviso fra due concezioni della vita e della societ: luna afferma che i valori dello spirito premono su quelli della materia e che affidandosi allautorit e allordine anche i problemi della materia verranno risolti. Gli altri, pur non negando i valori dello spirito, pensano che laffermazione degli inesorabili diritti della materia risolver i problemi per una societ pi giusta e pi umana. Noi rispettiamo le opinioni di questi due gruppi, ma siamo preoccupati per la durezza della lotta, per le tragiche conseguenze che la lotta stessa potrebbe avere. In queste circostanze abbiamo una sola indicazione, una sola possibilit, un solo dovere: apportiamo nei nostri atti tutta la forza della nostra tradizione

22

Adriano Olivetti

e risolviamo ogni problema che si presenta al nostro esame con la ricerca tenace della maggiore giustizia e verit, con la maggiore benevolenza e tolleranza. Solo in questo atteggiamento la strada della nostra salvezza, solo con questa ostinata indipendenza spirituale potremo vincere la battaglia della nostra esistenza, ogni giorno, nonostante talune apparenze, pi dura, pi difficile. I tempi corrono, le cose si muovono, non possiamo fermarci a rimescolare le formule e le istituzioni del passato se non per quella parte di bene che in esse contenuta e per cui ancora valgono. Ora siamo davanti al nuovo. Potremo e dovremo in tempi pi facili perfezionare tecnicamente qualcuna delle istituzioni sociali del passato voglio dire ad esempio una scuola autonoma e separata dallattivit produttiva, delle colonie meglio attrezzate e via dicendo ma avremo ancora locchio rivolto allindietro se questi perfezionamenti rimarranno esclusivamente dei perfezionamenti tecnici. Occorre andare pi in l, occorre vedere se nei limiti di uneconomia e di una societ cangiante, queste forme, queste istituzioni non possano essere modificate o sostituite da soluzioni nuove, informate a nuovi principi. Ebbene, questa ostinata indipendenza spirituale, questa costante affermazione di nuovi principi validi universalmente, questa non mai spenta ricerca di una consapevolezza collettiva di ci che erano le nostre possibilit e i nostri doveri di fronte agli impegni cui laccrescersi delle dimensioni dellazienda ci metteva ogni giorno di fronte: tutto questo fa parte della storia della nostra fabbrica, ne ormai patrimonio inalienabile, costume di vita.

23

Adriano Olivetti

Rendere umano il lavoro pu apparire unespressione retorica se letta o ripetuta distrattamente nel corso di un elzeviro o di una conferenza: lo molto di meno, e si colma invece di una palpitante, severa verit, per coloro ai quali sia toccato il destino di poter intervenire a modificare il destino di migliaia di altre persone, ognuna con una sua dignit, una sua luce, una sua vocazione. Noi abbiamo cercato allora strumenti creativi di mediazione che nel mondo delluomo che lavora portassero oltre gli schemi inoperanti della lotta di classe (che agisce contro la carit) e di un generico solidarismo (che mutila la giustizia): e li abbiamo trovati nella cultura e nella Comunit. Attraverso il rigoroso rispetto della cultura a tutti i livelli della vita di fabbrica noi abbiamo favorito il risplendere dei valori spirituali, la testimonianza della bellezza, il calore della tolleranza, la limpida supremazia della scienza. Attraverso lideale e il concreto cammino della Comunit, creando cio un intreccio di vincoli tra la fabbrica e il Canavese, abbiamo ravvicinato luomo al suo destino e la fatica al suo premio: un progresso visibile, una partecipazione non astratta ma consapevole. cos che la fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni allelevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata a operare, avviando quella regione verso un tipo di comunit nuova ove non sia pi differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita pi degna di essere vissuta.

24

Adriano Olivetti

Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a dire ancora del tutto incompiuto, risponde dunque a una semplice idea: creare unimpresa di tipo nuovo al di l del socialismo e del capitalismo, giacch i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, luno contro laltro, non riescono a risolvere i problemi delluomo e della societ moderna. Noi sappiamo bene che nessuno sforzo sar valido e durer nel tempo se non sapr educare, elevare lanimo umano, e che tutto sar inutile se il tesoro insostituibile della verit e della cultura, luce dellintelletto e lume dellintelligenza, non sar dato a ognuno con generosa abbondanza, con amorosa sollecitudine. Sia ben chiaro tuttavia che per noi queste mete importanti non sostituiscono n il pane, n il vino, n il combustibile e non ci sottraggono quindi al dovere di lottare strenuamente alla ricerca di un livello salariale pi alto, di una condizione economica che vada bene al di l del minimo di sussistenza vitale e consenta finalmente una vera libert. Questa duplice lotta nel campo materiale e nella sfera spirituale per la fabbrica che amiamo limpegno pi alto e la ragione della mia vita. La luce della verit, usava dirmi mio padre, risplende soltanto negli atti, non nelle parole.

Potrebbero piacerti anche